L’Altare cattolico e l’altare “privilegiato”

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Gli altari e l’altare privilegiato

(da: “I santi misteri” vol. 10 delle opere di Mons.De Ségur)

Cosa rappresenta l’altare sul quale si celebra la Messa?

   L’altare deve essere di pietra. Se fosse di legno o di bronzo, o anche di argento ed oro, occorrerebbe comunque che lo spazio sul quale si offre il Sacrificio, sia di pietra; questa pietra si chiama appunto “pietra d’altare”. L’altare (o “pietra d’altare”, che è la stessa cosa, almeno in pratica) è consacrata dal Vescovo, che lo marchia con cinque croci, in onore delle cinque piaghe che Gesù-Cristo conserva in eterno nel suo Corpo glorificato; questa consacrazione si fa con il santo Crisma, che è il più sacro degli oli santi, e dopo le unzioni il Vescovo brucia un grano di incenso purissimo in ciascuna delle croci che sono incise nella pietra.

Così consacrato l’altare, in effetti, significa: Nostro Signore GESU’ CRISTO, al di fuori del Quale, il Padre Celeste non gradisce alcun omaggio religioso, alcuna adorazione, nessun sacrificio. GESU’ CRISTO è quindi il centro ed il fondamento vivente dell’unica vera Religione, la quale è iniziata con gli Angeli e con Adamo, fin dall’origine del mondo, e non finirà neppure con la fine del mondo, perché Essa durerà nel cielo, per tutta l’eternità. GESU’ è la pietra consacrata, la pietra angolare che supporta tutto l’edificio della Religione degli Angeli e degli uomini, ed è per questo che è assolutamente vietato celebrare la Messa fuori dall’altare consacrato, o almeno una pietra d’altare consacrata.

L’altare significa allora GESU’ CRISTO, fondamento divino della Religione e del Sacrificio. Ognuno può comprendere allora quale sia la santità dei nostri Altari, e perché è proibito non solo di farlo servire per alcun uso profano, ma anche di non posarvi sopra nulla di estraneo al Culto divino. Ci sono dei preti che non si curano di posare sull’altare i loro occhiali, il loro berretto, la loro tabacchiera. Io ho visto sacrestani posarvi tranquillamente sopra la loro penna, la spazzola, etc. Il santo abate Olièr, uno degli uomini che hanno usato il massimo rispetto per il Santo Sacrificio ed il Santo Sacramento, era al riguardo di una severità straordinaria: una volta un giovane chierico del seminario di San Sulpizio, di cui Olièr era il Superiore, era stato scelto da lui per servir Messa per la sua grande pietà. Un giorno il pio giovane posò sbadatamente la sua piccola calotta sul cono dell’altare. M. Olièr lo riprese severamente, come per una mancanza di rispetto verso l’adorabile Eucaristia, e lo privò per otto giorni dell’onore di servire Messa. Non si è mai troppo delicati in ciò che concerne le testimonianze della fede e dell’adorazione nei riguardi dei santi Misteri e di tutto ciò che ha rapporto con il Santissimo Sacramento.

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Gli “altari privilegiati”

Il Papa accorda talvolta la grazia dell’Indulgenza plenaria per le anime del Purgatorio, ai Sacerdoti che celebrano la Messa su certi altari. Questo privilegio sì prezioso ha fatto attribuire a questi altari il nome di “altari privilegiati”. Talvolta un altare è privilegiato una sola volta a settimana, altre volte il privilegio dell’Indulgenza si estende a due, tre, quattro giorni della settimana; più raramente è quotidiano. Questo dipende unicamente dalla concessione pontificale. L’indulgenza degli altari privilegiati è riservata esclusivamente alle anime del Purgatorio. A meno che il contrario non sia specificato nella concessione, queste indulgenze possono essere lucrate solo celebrando la Messa su un altare “fisso”. Per “altare fisso” si intende un altare immobile, che non possa essere cioè trasportato da un luogo ad un altro. Poco importa che sia consacrato interamente, o che ne sia consacrata solo la pietra, l’importante è che sia sigillato sia al muro, sia al suolo.

Peccato contro lo Spirito Santo

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« Ogni peccato ed ogni bestemmia sarà perdonata agli uomini, dice Gesù Cristo in S. Matteo, ma la bestemmia contro lo Spirito Santo non sarà rimessa. Chiunque sparlerà del Figliuolo dell’uomo otterrà perdono; ma chi avrà sparlato dello Spirito Santo non ne avrà remissione, né in questo secolo, né nel futuro » — “Omne peccatum, et blasphemia non remittetur hominibus: Spiritus autem blasphemia non remittetur. Et quicumque dixerit verbum contra Filium hominis, remittetur ei; qui autem dixerit contra Spiritum Sanctum, non remittetur ei neque in hoc saeculo neque in futuro” ( MATTH . XII, 31 – 32 ). Qual è questo peccato che non sarà rimesso né nel tempo, né nell’eternità?

1° Parecchi dottori intendono l’eresia d’Eunomio, la quale negava che lo Spirito Santo fosse Dio. – 2° S. Ilario stima che il peccato contro lo Spirito Santo consista nella negazione della divinità di Gesù Cristo (De Peccat.), – 3 ° S. Ambrogio lo classifica tra lo scisma e la simonia; perché Simone volle comprare col denaro il potere di fare miracoli concesso dallo Spirito Santo agli Apostoli (De Poenìt. lib. II ). – 4 ° Papa Gelasio considera come colpevoli di questo peccato coloro che, colpiti d’anatema, ossia scomunicati, restano e vogliono restare peccatori, e che per conseguenza non sono assolti né quaggiù né nell’altra vita (Stor. eccles.).  – 5° S. Cipriano vede questo peccato nella negazione della fede in tempo di persecuzione ( Lib . Ili , Ep. XIV ) . – 6 ° Riccardo da S. Vittore lo colloca tra l’odio ed il disprezzo formale di Dio (De Blasphem. in Spiritu S.). – 7° Finalmente S. Tommaso scrive che ogni peccato di malizia è contro lo Spirito Santo: Omne peccatum ex malitia, est contra Spiritum Sanctum (De Peccat.).

I teologi contano sei delitti contro lo Spirito Santo:

1° presumere di salvarsi senza merito . . . ; 2° abbandonarsi alla disperazione…; 3° combattere la verità conosciuta…; 4° rompere per gelosia la carità fraterna . . . ; 5° ostinarsi nella via del male…; 6 ° rimanere nell’impenitenza… Questi peccati sono infatti direttamente e maliziosamente contro la bontà di Dio, che è attribuita allo Spirito Santo.

Nel testo sopra citato, Gesù Cristo non parla di ogni peccato contro lo Spirito Santo, ma solamente della bestemmia contro questa Persona dell’adorabile Trinità; bestemmia che consiste nel calunniare le opere evidentemente divine e miracolose, pie e sante, che Dio opera per la salute degli uomini e per mezzo delle quali conferma la loro fede, e appoggia la verità della sua parola; quali sono, cacciare i demoni, e simili; queste tali opere appartenenza dello Spirito Santo. Questa è la spiegazione che ne danno i Santi Atanasio, Ambrogio, Gerolamo, Giovanni Crisostomo.

Il peccato contro lo Spirito Santo non sarà rimesso: — “non remittetur”;— cioè difficilmente e raramente sarà perdonato. Ma Dio che è la volontà e la potenza per natura, può rimettere e infatti rimette ogni sorta di peccato a chi sinceramente se ne pente… Questo peccato non sarà perdonato nel secolo futuro: “Neque in futuro”; perché chiunque muore in istato di colpa grave va all’inferno e non ha più speranza di uscirne…

[E. Barbier: I Tesori di Cornelio A Lapide. Vol. III – Torino 1930]

La strana sindrome di nonno Basilio: 18

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La strana sindrome di nonno Basilio -18-

Carissimo direttore “arieccomi” a raccontarle le “quasi” avventure di casa Del Vescovo, dei confronti tra un nonno “rincitrullito”, ma al quale ogni tanto la memoria fa capolino, ed i suoi giovani nipoti, in particolare dell’esuberante e talvolta dispettoso Mimmo. E proprio Mimmo qualche giorno fa, mi faceva visita dopo un periodo di assenza abbastanza prolungato. “Mimmo, ma che fine hai fatto”? “Oh caro nonno, sapessi, sono stato in Germania, a rinverdire i miei trascorsi bavaresi, (io penso che però sia andato per tracannarsi un po’ di birra innaffiando crauti e wurstel!, ma non glielo posso certamente dire così, a bruciapelo!). Tra l’altro – mi dice – girando per la Baviera, mi sono imbattuto in un grazioso borgo, Bad Staffelstein, adagiato sulle colline bavaresi, immerso nel verde, in tutta tranquillità e pace. Qui, poi tra le altre cose ho potuto visitare una chiesa molto bella, austera e maestosa, della diocesi di Bamberga, la “Basilika vierzenheiligen”, dei quattordici santi! Ma chi sono, nonno? Dalle nostre parti non ne ho mai sentito parlare, dalle nostre parti non si conoscono proprio, tu ne sai qualcosa? “Oh ma come, certamente, i quattordici Santi soccorritori, invocati per tantissime evenienze, ed ognuno “specializzato” in interventi specifici. Lo zio Tommaso, santo sacerdote di un tempo andato, ce li ricordava spesso, ed ogni qualvolta ognuno di noi nipoti ricorreva alla loro intercessione, veniva immancabilmente esaudito. Ricordo che la loro memoria e festa ricorre l’8 di agosto! Si tratta di un culto antico, molto diffuso e praticato in Europa fin dal medioevo! Me lo ricordo bene, e tu Caterina, perché agiti la mano? Che mi dici al proposito?” “Nonno ma questa festa è stata soppressa, cancellata dal calendario attuale, come quasi tutte le feste dei martiri, si vede che davano fastidio a qualche “farfariello”! “Ma come i 14 soccorritori cancellati? Ma chi si è permesso, come hanno potuto occultare questi Santi, tutti illustri martiri, visto che tra l’altro Papa Niccolò V ne aveva concesso il culto con numerose indulgenze annesse”? E Mimmo, ansioso di sapere, riprende: “Nonno orsù dimmi, ma chi erano questi santi, e perché venivano invocati, ti prego, ora sono curioso!”.  “Beh allora procediamo con calma, facciamo un test mnemonico … io me li ero fissati in memoria da ragazzo, come si fa con le squadre di calcio … Acazio, Biagio e Barbara, Cristoforo, Caterina d’Alessandria e Ciriaco, Dionigi, Erasmo, Egidio, Eustachio e Giorgio, Margherita di Antiochia, Pantaleone e Vito! Miracolo! Me li sono ricordati tutti! Qualche neurone funziona ancora!”. “E bravo nonno, ma adesso dicci in cosa erano specializzati! Vediamo se anche qualche altro neurone ancora funziona!”. Beh allora proviamo … ehm, dunque: S. Acazio, protegge ad “ampio spettro” nella malattia e nell’agonia, ma interviene particolarmente nei casi di emicrania. S. Barbara viene invocata per proteggersi dai fulmini, dalle febbri in generale, propizia una morte serena evitando una morte improvvisa. Abbiamo poi lo specialista faringo-laringoiatra, S. Biagio, che protegge dalle malattie dell’apparato respiratorio alto e dal mal di gola. S Cristoforo protegge dalla peste, oggi dall’Aids, la peste attuale, dagli uragani e dagli incidenti di viaggio. S Ciriaco agisce con grande efficacia nelle tentazioni, oppressioni e possessioni del diavolo. S Dionigi, specialista in cefalee e venereologia (sifilide e malattie veneree). Sant’Egidio veniva invocato in caso di sterilità, negli attacchi di panico e paure notturne, ma se la cavava bene anche come neurologo nell’epilessia, nella pazzia (oggi avrebbe tantissimo lavoro … ed invece lo hanno mandato in pensione anzitempo … è un povero disoccupato!) e come dermatologo nelle eruzioni cutanee. S. Erasmo, da specialista gastroenterologo, è efficacissimo nei dolori addominali ed intestinali, ma al bisogno aiuta pure le partorienti! S. Giorgio veniva invocato con profitto contro la peste, la lebbra e le malattie della pelle. S. Caterina d’Alessandria era invocata per le malattie della lingua e linguaggio, dislessia ed autismo (anch’essa avrebbe tanto lavoro oggi, specie negli ambulatori di pediatria!). S Margherita di Antiochia, come un’ostetrica provetta, protegge le partorienti, mentre S Pantaleone assiste nelle malattie di consunzione dell’uomo e, nei ritagli di tempo, fin’anche degli animali. Oh, ragazzi, ma come, proprio io mi sono scordato di San Vito, il santo“neurologo”, invocato contro tutte le malattie psichiche, nei casi di letargia, corea, epilessia, idrofobia! Da oggi comincerò ad invocarlo anch’io, sono sicuro che mi aiuterà! Ed infine, il Santo più importante per noi che ne abbiamo bisogno assoluto: S. Eustachio, che protegge e preserva dal fuoco, in particolare dal fuoco eterno! Ragazzi, ma ce l’ho fatta! Sono contentissimo, qualche neurone comincia a risvegliarsi. Deo gratias!” Passato il momento di euforia, vedo Mimmo pensoso che tutto d’un fiato mi chiede: “… ma un tempo, come venivano canonizzati questi Santi, le cui vicende si perdevano nella memoria dei popoli, spesso confondendosi con fatti leggendari, e per i quali non penso si potesse istituire un processo canonico in piena regola”? “Bravo Mimmo, gli rispondo, questa stessa domanda la pose quella “secchiona” di Felicina, un’altra nipote del gruppo, allo zio Tommaso, il quale senza scomporsi minimamente risolse l’arcano in poche battute: “Prima di Papa Urbano VIII, che mise un po’ di ordine nelle canonizzazioni, c’era la “canonizzazione equipollente”, definita così proprio dal cardinale Prospero Lambertini, poi Papa Benedetto XIV, nel poderoso trattato in 5 grossi volumi: “De servorum Dei, beatificatione et beatorum canonizatione” edito a Bologna durante gli anni 1734-38. Qui egli distingue, per la canonizzazione equipollente, un primo gruppo di Santi, come i martiri dell’antichità, i SS. Padri e dottori antichi, molti Santi medioevali che godono in tutta la Chiesa di culto universale, e su di loro non fu mai fatto un processo, mai emanata una sentenza, essendo l’effetto di uno sviluppo storico, ove però non manca il consenso dei Sommi Pontefici, almeno tacito. Ci sono poi altri Santi, confessori, vergini, considerati Santi, ma la loro festa viene celebrata solo in determinate regioni, tra questi San Rocco e Santa Genoveffa, giusto per citare anche una Santa festeggiata nella nostra famiglia. Pure qui, esiste il consenso della Chiesa, anche se manca la procedura canonica e la formale canonizzazione. Ma guardate che anche per i Santi formalmente canonizzati, oltre l’atto della canonizzazione, ci vuole un secondo atto, con cui il Papa impone anche la festa alla Chiesa universale. A questo, il Lambertini aggiunge un secondo gruppo di Santi, per i quali constata l’atto pontificio di imposizione della festa a tutta la Chiesa, senza però alcuna procedura precedente canonica né un atto di canonizzazione formale. Sono i Santi inseriti per rito pontificio nel calendario della Chiesa universale, calendario che in senso stretto esiste solo dai tempi di San Pio V. Pertanto la canonizzazione equipollente in quest’ultimo senso si riscontra in tutti i casi in cui un Papa inserisce la festa di un Santo, non mai canonizzato formalmente, nel detto calendario. E tra questi troviamo una serie di Santi importanti come ad esempio S. Romualdo, S. Norberto, S. Brunone, S. Pietro Nolasco, S. Raimondo Nonnato, S. Giovanni de Matha, S. Stefano d’Ungheria, S. Gregorio VII, e poi più recentemente S. Pier Damiani, S. Beda, S. Cirillo di Gerusalemme e S. Cirillo di Alessandria e così via, che a citarli tutti ci vuole una settimana! Ma in tempi più recenti la questione, piuttosto ingarbugliata, si rischiara con due atti pontifici, dichiarati espressamente “canonizzazione equipollente”, e cioè quelli riguardanti S. Alberto Magno, dichiarato pure Dottore della Chiesa, con festa imposta a tutta la Chiesa universale, sotto Pio XI (16 dic. 1931) e S. Margherita d’Ungheria, sotto Pio XII (19 nov. 1943), ed in entrambi casi ci fu uno studio preliminare storico-critico della Santa Congregazione dei Riti”. Mi interrompe Caterina: “Ma quali sono i requisiti richiesti per proporre al Santo Padre questi personaggi per la canonizzazione equipollente”? “I presupposti inderogabili per una canonizzazione equipollente, continuo, sono in generale l’autenticità della persona stessa, la prova storica delle virtù o la certezza del martirio, l’esistenza di veri miracoli operati dalla persona dopo la sua morte, l’esistenza di un vero e proprio culto liturgico antico, la sua origine, la sua continuazione, e un certo rilievo della persona stessa.” Interviene ancora Mimmo chiedendo: “Scusa nonno la mia ignoranza, ma mi puoi intanto spiegare la differenza tra beatificazione e canonizzazione”? Ecco ti rispondo subito: “nella beatificazione: il culto è limitato ad una città, una diocesi, una regione, o una famiglia religiosa, ed è unicamente permissivo; nella canonizzazione invece il culto è esteso all’orbe cattolico, ed è precettivo, ma la vera differenza sta, come scrive Benedetto XIV, in “quest’ultima e definitiva sentenza della santità, che impone il culto dovuto ai Santi nella Chiesa Universale: sentenza che il Sommo Pontefice pronunzia per la canonizzazione e giammai per la beatificazione …”. “E già che ci siamo, orsù Mimmo,prendimi per cortesia il III volumone della Enciclopedia cattolica, perché io non ce la faccio oramai più, e leggi dalla colonna 569 in poi …”. “Ma nonno, questo argomento è lunghissimo, ci vuole molto tempo da dedicarvi”. “Si, e lo dici a me? lo so bene perché lo zio Tommaso ogni tanto ci assegnava qualche argomento da studiare e poi da riferire agli altri, questa enciclopedia è una miniera d’oro per il cattolico”! “… ah ecco perché non si trova più in giro …” (chissà perché Caterina dice così, ai miei tempi era molto diffusa!). Leggi, leggi qua: “Assertore, custode e giudice di questa santità non è che il Vicario di Cristo; ed è a lui solo, che presiede a tutta la Chiesa ed ha il diritto di proporre ciò che si deve credere ed operare in cose concernenti la religione, che spetta di giudicare chi debba essere ritenuto ed onorato come Santo. Ed in questo giudizio il Papa non può errare. Benedetto XIV, incomparabile maestro in materia, insegna che egli riterrebbe, se non eretico, certamente temerario, scandaloso a tutta la Chiesa, ingiurioso verso i Santi, sospetto di eresia, assertore di erronea posizione, chi osasse affermare che il Pontefice, in questa o in quella Canonizzazione abbia errato, e che questo o quel Santo da lui canonizzato non dovesse onorarsi con il culto di “dulia”, cioè per ragione della sua dignità nell’ordine soprannaturale. Del resto la sentenza definitiva, con la quale il Papa proclama la santità dei Servi di Dio, oltre che trovare la sua prima ed alta espressione nell’assistenza speciale dello Spirito Santo che lo illumina, è appoggiata solidamente a tutto un complesso di investigazioni, di studi, di fatti che dimostrano con quanto discernimento e con quanta prudenza proceda la Chiesa nelle cause di Canonizzazioni. Le quali vanno annoverate tra le maggiori e le più gravi che siano di sua competenza.” E alla colonna 604: “ … L’aspetto immediato e diretto della definizione papale, nella Canonizzazione è solo il fatto che l’anima della persona santa gode certamente la gloria celeste; ciò però non è un fatto, incluso direttamente nel tesoro della rivelazione soprannaturale, chiusa dopo la morte dell’ultimo Apostolo; quindi il Papa non lo può definire come oggetto di fede divina, ma solo come oggetto di fede “ecclesiastica”. Il Concilio Vaticano, nella sua esposizione dell’infallibilità del Papa, non nomina espressamente la Canonizzazione dei Santi come oggetto dell’Infallibilità pontificia. È però dottrina comune dei teologi che il Papa nella Canonizzazione è veramente infallibile, trattandosi di un atto importantissimo attinente alla vita morale della Chiesa universale, in quanto che il Santo non viene soltanto proposto alla venerazione perché gode la gloria celeste, ma anche perché modello delle virtù e della santità reale della Chiesa. Ora, sarebbe intollerabile se il Papa in una tale dichiarazione che implica tutta la Chiesa, non fosse infallibile. Questa dottrina risulta da non poche bolle di Canonizzazione, anche del medioevo, dalle deduzioni dei canonisti, sin dal medioevo, e dei teologi sin da S. Tommaso d’Aquino. Benedetto XIV insegna che è certamente eretico e temerario insegnare il contrario!”. Ma qui Caterina ci gela: “Guarda nonno che sono state recentemente fatte delle canonizzazioni di personaggi notoriamente massoni, Illuminati di Baviera, eretici ostinati, mai pentiti, pedofili, omosessuali ed altro ancora. Qui direttore, non ci ho visto più! “Ma Caterina, cosa dici mai? è assolutamente impossibile che un Vicario di Cristo, assistito dallo Spirito Santo possa compiere un’azione così sacrilega propinandola alla Chiesa Universale, per cui, volendo assecondarti in quanto dici, solo perché sei mia nipote, le ipotesi sono due: o si tratta della ennesima pacchianata truffaldina escogitata da Mimmo e dai suoi amici per burlarsi di me, oppure l’infame che avrebbe compiuto questo atto blasfemo è un impostore, un attore travestito con talare bianca, un burattino fasullo in mano alle conventicole della sinagoga di satana, un antipapa marrano, un “principe dell’esilio”, ma certamente, ed è sicurissimo come il sole che brilla in estate, te lo posso sottoscrivere con il mio sangue: “non un Papa vero”! Insiste Caterina: “Nonno, io non vorrei contraddirti, ma l’ho visto pure io in tv!” “Beh allora – spazientito, paonazzo e con la pressione alle stelle, perdo le mia calma serafica: “ … eh nipote mia, fatti visitare da un buon oculista, cambia televisore, pulisci bene lo schermo, perché, cara mia, ciò che conta non è certo la mia o la tua opinione o quella di chicchessia tra i soloni televisivi o “giornalettari” o “internettari” (ormai ho perso le staffe, mi si perdonino i neologismi!), ma solo il Magistero infallibile della Chiesa che, come sempre ti dico, è un orologio svizzero dal meccanismo perfetto, con la differenza che l’orologio, benché perfetto, può cadere e rompersi, cosa che non può succedere mai al Magistero che, oltre ad essere infallibile, è pure irreformabile in ogni sua virgola … “iota unum, et apex unum …”. E poi definire Papa uno che chiaramente non lo è, un fantoccio, un pagliaccio, uno zombi, costituisce un peccato contro la fede, peccato mortale, peccato contro lo Spirito Santo poiché, impugnando la verità conosciuta, si bestemmia il dogma dell’Infallibilità del Santo Padre divinamente assistito, definita solennemente nel Concilio Vaticano, subito dopo interrotto in modo provvidenziale dalla guerra franco-prussiana e dalla presa di Porta Pia! La Massoneria era arrivata con un attimo di ritardo, un attimo fatale però per chi voglia veramente capire senza lasciarsi ingannare da chiacchiere, panzane e pinzellacchere! … ed alla faccia di quelli che festeggiano il “20 settembre” insieme ai falsi prelati del vat’inganno!” Direttore, ma veda un po’ in che impiastro mi sono trovato impantanato, e come adesso ci si metta pure Caterina ad impugnare la verità conosciuta. Roba da Sodalitium planum, o da Santa Inquisizione …. Paolo IV, Pio II, san Pio V, Benedetto XIV, Pio IX e via via fino a Pio XII si staranno rivoltando nella tomba … Requiem aeternam … cerco di calmarmi, … ma direttore bisogna perdonarli questi giovani, sono così ignoranti e non certo solo per loro colpa. Beh la prossima volta andremo tutti insieme a fare una bella gita in ambienti incontaminati (ma ce ne sono ancora?) per rinfrancarci e schiarirci le idee, non davanti ad un boccale di birra bavarese però! Se vuole, può venire anche lei e qualche suo lettore, se ancora ce n’è e se ne ha voglia! La saluto fraternamente! Nonno Basilio e famiglia.

La medaglia miracolosa

La medaglia miracolosa

Nella Cappella delle Figlie della Carità, rue du Bac, 140, a Parigi, la Santa Vergine apparve, la notte dal 18 al 19 Luglio 1830 a una giovane novizia, Suor Caterina Labouré. Verso le unidici e mezzo essa si sente chiamare per nome:Suor Labouré”! tre volte di seguito; ben desta “all’appello, apre un po’ la tendina del letto, dalla parte donde viene la voce. E che vede? Un fanciullino bello da incantare, sui 4 o 5 anni, vestito di bianco, che dai biondi capelli, come dalla personcina angelica diffonde un mite splendore che rischiara intorno intorno tutto l’ambiente. « Vieni, egli le dice con voce melodiosa, vieni in Cappella; la Vergine Santa ti aspetta! » — Ma, pensa fra sé Suor Labouré che coricava in gran dormitorio, mi sentiranno, sarò scoperta… — «Non temere, riprese il bambino rispondendo al suo pensiero, sono le undici e mezzo, t’accompagnerò io ». A queste parole, non potendo resistere all’invito della graziosa guida che le è inviata, Suor Labouré si veste in fretta e segue il fanciullo che cammina sempre alla sua sinistra, emanando raggi di luce sul suo passaggio; come pure, dovunque passano, i lumi sono accesi, con grande meraviglia della Suora. La sua meraviglia cresce ancor più quando la porta della Cappella si apre non appena il fanciullo la tocca con la punta del dito e, entrata, vede tutto illuminato « cosa, ella racconta, che le ricordava la messa della notte di Natale ». – I momenti di aspettativa sembrano lunghi a Suor Labouré; infine, verso mezzanotte, il fanciullo l’avverte: Ecco la Santa Vergine, eccola! Contemporaneamente ella sente d’istinto dalla parte dell’epistola un rumore leggero, simile al fruscio di una veste di seta, e ben presto una signora, di maestosa e pura bellezza, viene a sedersi nel santuario. Spinta dallo slancio del cuore la Suora si getta ai piedi della Santa Vergine, posandole familiarmente le mani sui ginocchi, come l’avrebbe fatto con la mamma sua. “In quel momento, ella narra, provai la commozione più dolce della mia vita e mi sarebbe impossibile esprimerla”. “Non saprei dire, essa prosegue, quanto tempo sono rimasta accanto alla Santa Vergine; tutto quello che so è che dopo avermi parlato a lungo, ella se n’è andata, sparendo come un’ombra che svanisce”. Allorché si rialza, la Beata Suor Labouré ritrova il fanciullo al posto dov’ella l’aveva lasciato quando si era accostata alla Santa Vergine; egli le dice: “è partita”, e ponendosi nuovamente alla sua sinistra la riconduce come aveva fatto prima, spandendo intorno un celeste chiarore.

« Credo, continua la Suora nel suo racconto, che quel fanciullo fosse il mio Angelo custode, perché l’avevo molto pregato che mi ottenesse il favore di vedere la Santa Vergine. Tornata a letto sentii suonare le due e non mi sono più riaddormentata ».

Il 27 Novembre, alle cinque e mezzo di sera, facendo la meditazione in profondo raccoglimento, la Beata Suor Labouré viene favorita da un’altra apparizione della Santa Vergine. La Regina del Cielo si mostra a lei in piedi su di un globo, tenendo fra le mani alzate all’altezza del petto un altro globo, più piccolo, che sembra offrire a Nostro Signore con gesto supplichevole. All’improvviso le dita le si riempiono di anelli e di gemme bellissime; si sprigionano da esse fasci di raggi dai mille riflessi i quali cingono la Santa Vergine di un tale splendore che non si scorgono più i piedi e la veste di lei. Mentre Suor Labouré è tutta assorta nella mirabile contemplazione, la Vergine Santa china gli occhi verso di lei e una voce le dice in fondo al cuore: Il globo che tu vedi rappresenta il mondo intero ed ogni persona in particolare. E la Vergine aggiunge: “ecco il simbolo delle grazie che spando sulle persone che me le domandano”. La bella figura della Santa Vergine appare allora incorniciata nella sua parte superiore da un cerchio un po’ ovale formato dalle seguenti parole scritte in lettere d’oro : “O Maria concepita senza peccato, pregate per noi, che ricorriamo a Voi!” Di poi le mani di Maria cariche di grazie simboleggiate dai raggi si abbassano e si stendono prendendo la posa graziosamente materna riprodotta sulla Medaglia. Una voce si fa sentire alla veggente, che dice: «Fa’, fa’ coniare una medaglia su questo modello; le persone che la porteranno riceveranno grandi grazie, sopratutto tenendola al collo; le grazie saranno abbondanti per le anime che avranno fiducia ».

In quel momento il quadro sembrò girare su se stesso e la Suora vede al rovescio la lettera M sormontata da una croce che poggia su di una sbarra trasversale; e al di sotto del monogramma di Maria due cuori, uno circondato di spine, l’altro trafitto da una spada. Due anni dopo, la medaglia viene coniata con l’approvazione di Monsignor de Quélen, Arcivescovo di Parigi, e da allora si è diffusa rapidamente nel mondo intero, e dovunque ha operato incessanti prodigi di guarigioni e di conversioni. Tali fatti soprannaturali che si sono verificati in tutti i paesi della terra e in tutte le classi della società, hanno fatto dare alla Medaglia il nome di: Medaglia Miracolosa.

Le persone che portano la medaglia miracolosa, ne hanno esse notato il commovente simbolismo e gli insegnamenti pratici? Sul davanti, Maria appare tutta bella e buona, con le mani scintillanti di raggi che, secondo le sue proprie parole, rappresentano le grazie da lei largamente versate su coloro che glieLe domandano; ed Ella stessa si affretta a dirci come dobbiamo domandarglieLe e ci insegna la potente invocazione: O Maria concepita senta peccato, pregate per noi, che ricorriamo a Voi! (1).

Al rovescio vediamo con quali opere dobbiamo accompagnare le nostre preghiere perché siano bene accolte: la carità, la penitenza, la mortificazione raffigurate dai due cuori e la croce; lo zelo e l’apostolato simboleggiami nelle stelle. Da questo lato non c’è nessuna iscrizione, e la Santa Vergine ne spiega il motivo a Suor Caterina : « La Croce e i due Cuori parlano abbastanza ».

La festa della Manifestazione dell’Immacolata Vergine Maria della Medaglia Miracolosa si celebra il 27 Novembre; tutti coloro che, confessati e comunicati, visitano in tal giorno una Cappella delle Figlie della Carità o dei Preti della Missione, guadagnano un’Indulgenza plenaria, purché preghino secondo le intenzioni del “vero” Sommo Pontefice. La Medaglia Miracolosa è un dono del Cielo perché Maria stessa l’ha data alla terra. Rivestiamoci di questa armatura celeste, ripetiamone con amore la breve preghiera, sicuri che è questo il modo col quale la Regina degli Angeli e degli uomini desidera di essere invocata.

(1) Indulgenza di 300 giorni ogni volta.

CON APPROVAZIONE DELL’AUTORITÀ ECCLESIASTICA

Attenzione!

     Abbiamo recentemente appreso, da uno studio accurato del dr. Franco Adessa, riportato sulla rivista Chiesa Viva [num. 493 – maggio 2016], al quale rimandiamo per i dettagli, che sono state messe in circolazione delle medaglie “massoniche”, somiglianti ingannevolmente alla Medaglia miracolosa, rappresentanti la simbologia luciferina più odiosa e occultata, quella della blasfema e satanica “triplice trinità” massonica! A tanto è giunta la sfrontatezza delle “conventicole”, che si sentono ormai padrone della situazione mondiale, senza rendersi conto di essere solo uno strumento spregevole di satana e di coloro che “odiano tutti gli uomini” (… massoni compresi), che una volta realizzato il loro piano, le stritoleranno soffocandole nello sterco e nel fuoco eterno. Quindi attenzione, e controllate attentamente le immagini riprodotte sulla medaglia, sì da non portare al collo il simbolo satanico più ributtante, invece che la dolce protezione della Vergine Santissima.

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Re delle nazioni.

 Re delle nazioni.

[Dom P. Gueranger]

Cristo Re

   Aspettando la conclusione finale dei destini dell’umano genere, Gesù oggi riceve anche dal Padre l’investitura visibile del potere legale su tutte le nazioni della terra. Avendoci riscattati col prezzo del suo sangue, noi Gli apparteniamo; che Egli, dunque, d’ora in avanti sia il nostro Signore. E lo è infatti, ed il suo titolo è quello di Re dei re e Signore dei signori (Apoc. XIX, 16). I sovrani della terra non regnano legittimamente che per Lui e non per la forza, o in virtù di un preteso fatto sociale, la cui sanzione non sarebbe che di quaggiù. I popoli non appartengono a loro stessi: sono suoi. La sua legge non si discute; deve librarsi al disopra di tutte le leggi umane, quale loro regola e loro padrona: « A che prò cospirano le genti e le nazioni brontolano vanamente? Insorgono i re della terra e i principi congiurano insieme contro Dio e contro il suo Messia: “spezziamo i loro legami e scotiamo da noi le loro catene” » (Ps. II, 1-3). Inutili sforzi! poiché, come ci dice l’Apostolo, «è necessario che egli regni finché non abbia posto sotto i suoi piedi tutti i suoi nemici » (I Cor. XV, 25), finché non apparisca una seconda volta per abbattere la potenza di Satana e l’orgoglio degli uomini.

Così dunque il Figlio dell’uomo, incoronato nella sua Ascensione, dovrà regnare sul mondo finché egli ritorni. Ma, direte voi, regna dunque in un tempo in cui i principi confessano che l’autorità é venuta loro da un mandato dei popoli; in cui i popoli stessi, sedotti da quel prestigio che chiamano libertà, hanno perduto financo il senso dell’autorità? Sì, Egli regna, ma nella giustizia, visto che gli uomini hanno tenuto in disprezzo l’essere guidati per mezzo della bontà. Essi hanno scancellato la sua legge dai loro codici, hanno accordato il diritto di cittadinanza all’errore ed alla bestemmia; allora egli li ha abbandonati al loro senso assurdo e menzognero. Presso di essi, quel potere effimero che la santa unzione non rende più sacro, sfugge ad ogni momento da quelle mani che si sforzano di trattenerlo; e quando i popoli, dopo essere precipitati negli abissi dell’anarchia, cercano di ricostruirlo, sarà per vederlo crollare di nuovo, perché principi e popolo vogliono tenersi fuori del dominio del Figlio dell’uomo. E sarà sempre così, finché principi e popoli, stanchi della loro impotenza, Lo richiameranno per regnare su di essi; finché non abbiano ripreso quella divisa dei loro padri:

  Cristo vince! Cristo regna! Cristo comanda!

Si degni Cristo di preservare il suo popolo da ogni disgrazia»!

In questo giorno della tua incoronazione, ricevi dunque gli omaggi dei fedeli, o nostro Re, nostro Signore, e nostro Giudice! Noi che, per i peccati, fummo causa delle umiliazioni e delle sofferenze avute durante il corso della tua vita mortale, ci uniamo alle acclamazioni che gli spiriti celesti Ti tributarono nel momento in cui il diadema reale fu posto sul tuo Capo divino. Noi non possiamo che intravedere i tuoi splendori; ma lo Spirito Santo che ci hai promesso finirà di rivelarci tutto ciò che possiamo sapere quaggiù sul tuo sovrano potere, di cui vogliamo essere, per sempre, sudditi umili e fedeli.

La persecuzione contro i discepoli di Cristo.

 

La persecuzione contro i discepoli di Cristo.

[da: “I sermoni di S. Antonio di Padova”]

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“Vi ho detto queste cose perché non vi scandalizziate. Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi verrà l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio. E vi faranno ciò perché non hanno conosciuto né il Padre né me. Ma Io vi ho detto queste cose perché quando giungerà la loro ora, vi ricordiate che ve ne ho parlato.” (Gv. XVI, 1-4), e poiché i dardi che si prevedono feriscono di meno (S. Gregorio), per questo il Signore ha prevenuto i suoi soldati affinché, contrapponendo ai dardi della persecuzione lo scudo della pazienza, non si scandalizzino quando si imbatteranno nel momento della prova. “Vi ho detto queste cose perché non vi scandalizziate”. Io, Verbo del Padre, da cui dovete prendere esempio di pazienza, parlo a voi affinché non vi scandalizziate.

Chi si scandalizza nel momento della persecuzione, con lo scandalo della sua impazienza si separa dai discepoli di Cristo: “Vi scacceranno dalle loro sinagoghe”. Infatti, dice Giovanni “I giudei avevano già stabilito che se uno avesse riconosciuto il Cristo, sarebbe stato espulso dalla sinagoga” (Gv. IX, 22).

Cristo dice: “Io sono la verità” (Gv.XIV,6), chi predica la verità professa Cristo. Chi invece nella predicazione tace la verità, rinnega Cristo. “La verità genera l’odio” (Terenzio), e quindi alcuni per non cadere nell’odio di certe persone, si coprono la bocca con il manto del silenzio. Se predicassero la verità, se dicessero le cose come stanno, come la stessa verità esige e come la sacra Scrittura espressamente comanda, incorrerebbero nell’odio dei carnali, e forse questi li scaccerebbero dalla loro sinagoga, siccome si regolano secondo l’esempio degli uomini, temono lo scandalo degli uomini, mentre non è lecito rinunciare alla verità per timore dello scandalo.

E infatti i discepoli dissero a Gesù: “Sai che i farisei, sentita questa parola, si sono scandalizzati? Allora Gesù rispose: “Ogni albero che non è stato piantato dal Padre mio celeste, sarà sradicato. Lasciateli perdere: sono ciechi e guide di ciechi” (Mt. XV, 12-14).

O predicatori ciechi, poiché temete lo scandalo dei ciechi, per questo cadete nella cecità dell’anima! Questi fanno con voi ciò che fa la vacca selvatica con il cacciatore. Si legge nella Storia Naturale che la vacca selvatica lancia da lontano il suo sterco contro il cacciatore che la insegue e lo colpisce: il cacciatore viene così trattenuto e ritardato, ed intanto essa fugge. Sicuramente fanno oggi così anche alcuni prelati, vacche grasse sul monte di Samaria (cf. Am. IV , 1), “vacche belle e molto grasse che pascolano in luoghi paludosi” (cf. Gen XLI, 2), le quali al cacciatore, cioè al predicatore, lanciano lo sterco delle cose temporali per sfuggire alle sue rampogne. Leggiamo infatti nell’Ecclesiastico “Il pigro sarà lapidato con sassi infangati» (Eccli. XX,1) . E il Signore dice, per bocca di Isaia: «Susciterò contro di loro i Medi», cioè dei predicatori, “che non cerchino l’argento, né bramino l’oro, affinché uccidano con le frecce i loro pargoli», cioè gli amatori del mondo con le frecce della santa predicazione (Is XIII, 17-18).

 

Omelia della Domenica fra l’ottava dell’Ascensione

 

Apparecchio alla Festa dello Spirito Santo-

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. II -1851-]

 

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Egli è Gesù Cristo, che nell’odierno Vangelo parla ai suoi discepoli nel seguente tenore: “Quando manderò sopra di voi lo Spirito Santo, Spirito di verità, che procede dal Padre, Ei vi darà di me la più ampia testimonianza, Ei vi farà conoscere la mia Persona, la mia dottrina e la Divinità che in me si asconde. Voi, poscia, da questo Spirito illuminati nell’intelletto, infiammati nel cuore renderete di me, dell’Evangelio mio, della mia fede, testimonio fedele e costante a tutte le nazioni, fino a suggellarlo col proprio sangue”. Per disporsi a ricevere questo Spirito santificatore, promesso dal divino Maestro, si congregarono i discepoli sul monte santo di Sion, sollecitando co’ più vivi desideri, colle più fervide preghiere la sua discesa. Vogliamo ancor noi, uditori amatissimi, ricevere lo Spirito Santo che illumini le nostre menti, che infiammi i nostri cuori? Convien prepararsi, convien disporsi. Due sono le disposizioni necessarie a premettersi, e che tutte le altre racchiudono: disposizione negativa, disposizione positiva. Disposizione negativa, che consiste nell’allontanarsi dal peccato; disposizione positiva, che consiste in praticare le cristiane virtù. Io leggo ne’ santi Vangeli che lo Spirito Santo venne in forma di colomba in riva al Giordano, e si fermò sul capo del Redentore, battezzato dal suo precursore Giovanni, e questo simbolo di colomba da noi richiede la disposizione negativa; Io leggo che lo Spirito discese sopra gli Apostoli nel cenacolo in forma di fuoco, e questo simbolo esige da noi una disposizione positiva. Vediamolo.

I . Lo Spirito Santo, disceso dal cielo in forma di colomba, assunse forse la natura di volatile? E allora che venne in forma di fuoco, prese la natura di questo elemento? E quella colomba, e quel fuoco furono e sono inseparabilmente uniti alla Persona del divino Spirito? No, risponde a queste domande il grand’Agostino (Lib. 4 de Trin.), né la natura della colomba, né quella del fuoco fu unita allo Spirito Santo, né queste reali figure, formate di purissimo aere per ministero degli Angeli, furono in Lui permanenti. Ciò premesso ad istruzione de’ men colti, io dicea che la colomba, in forma della quale apparve lo Spirito del Signore, richiede da noi per riceverlo una disposizione negativa, cioè l’allontanamento dal peccato. Infatti il reale Profeta, per volare a riposarsi in seno a Dio, desiderava e chieder ali di colomba, simbolo di innocenza. “Quis dabit mihi pennas sicut columbae, et volabo, et requiescam” (Ps. LIV,7)? Il nostro divin Salvatore, in raccomandare ai suoi Apostoli e a noi l’evangelica e virtuosa semplicità, ci propone l’esempio della colomba, “estote semplices sicut columbae” (Matt. X, 16). La colomba in realtà è un augello che di sua natura abborre le immondezze e le sozzure, fugge dalle fogne, dalle cloache e dalle limacciose paludi; amante di respirar l’aria più pura suol sempre spiccare il volo sulla cima delle più alte torri, ed ha pochi eguali nella nitidezza delle sue piume. Date uno sguardo alla colomba spedita dell’arca, dal Patriarca Noè. Spiccato il volo si aggirò per gl’immensi spazi dell’aere, e non scorgendo sotto di sé che acque mortifere e galleggianti cadaveri, non trovando ove fermare il piede senza macchiarsi, fece presto ritorno in seno all’arca. Quanto fece la colomba di Noè dopo il diluvio, altrettanto si protestò che fatto avrebbe riguardo all’uomo carnale il grande Iddio, pentito d’averlo creato: “Non permanebit Spiritus meus in homine in aeternum, quia caro est” (Gen. VI, 3). L’ uomo dimentico di essere stato da me creato a mia immagine e somiglianza, dimentico della nobiltà del suo spirito, si avvilisce a riporre la sua felicità negl’immondi piaceri, nella carne, nell’opere carnali? Ah dunque non abiterà lo spirito mio in esso lui in eterno, “non permanebit spiritus meus in homine in aeternum, quia caro est”. Chiunque ha il cuore imbrattato da questo fango, attaccato a questa pece, non isperi poter ricevere lo Spirito Santo. L’uomo carnale è l’oggetto di sua necessaria ed infinita abominazione; già lo fu con sommergerlo tutto in massa nell’acque micidiali di un universale diluvio, seguirà ad esserlo fino alla consumazione de’ secoli, e in tutt’i secoli eterni. “Non permanebit spiritus meus in aeternum, quia caro est”.

Se lo spirito del Signore (dicea fin da’ suoi tempi S. Vincenzo Ferrerio, quel gran Santo che ha predicato su quest’istesso pulpito, da cui ho l’onore di parlarvi) se lo Spirito Santo discendesse un’altra volta dal cielo in forma di colomba e venisse fra noi, ditemi dove fermerebbe il suo volo, dove poserebbe il suo piede? Nelle nostre contrade? ma no; l’allontanerebbero da queste le oscene parole, le maledizioni, gli scandali, le bestemmie. Forse nelle nostre case? Ma no; in molte abita il demonio della discordia, la guerra tra marito e moglie, la lite tra padre e figlio, l’odio tra fratello e sorella, l’invidia tra congiunti e congiunti; in questo sta la mala pratica, in quella la rea amicizia; qui è la conversazione dissoluta, là la veglia scandalosa. Nelle botteghe forse e nelle officine? Ma no; Lo metterebbero in fuga le bugie, le frodi, gl’inganni, le usure. Via, troverà luogo almen nelle Chiese; né pure, anche dal luogo santo dovrebbe ritirarsi con orrore per non sentire i cicalecci, i rumori sconvenevoli, i prolungati discorsi, per non vedere gli amoreggiamenti, le occhiate libere, le sacrileghe profanazioni della santa sua casa.

Ma dunque non vi sarà luogo alcuno fra noi, ove possa discendere lo Spirito del Signore? Si, miei dilettissimi, vi sarà, e quale? Torniamo alla colomba di Noè. Questa spedita la seconda volta dall’ arca adocchiò un arboscello di verde ulivo, su quello fermò il volo, e col rostro un ramicello, con quello in bocca ritornò all’arca. Simbolo di pace è l’ulivo; e perciò la colomba (mi servirò della frase del citato S. Vincenzo), la colomba dello Spirito Santo discenderà in que’ cuori che sono in pace con Dio per la giustificante grazia; in quei cuori che vogliono far pace con Dio per mezzo di una sincera penitenza, in quei cuori che sono in pace col prossimo per vera inalterabile carità. Simbolo di misericordia è il soave liquore che produce l’ulivo; verrà di buon grado a far altresì la sua mansione in quei cuori che d’olio di misericordia sono ripieni, che di misericordia son ridondanti a pro degli afflitti, a vantaggio de’ bisognosi, a sollievo de’ miserabili.

Ed eccoci entrati nella seconda disposizione positiva che nell’esercizio consiste delle cristiane virtù, le quali da noi esige lo Spirito Santo venuto in forma di fuoco.

II. Insegna l’angelico dottor S. Tommaso (3, P. q. 39, a 7), che lo Spirito Santo prese forma di fuoco per significare gli effetti meravigliosi ch’Egli produce nell’anime nostre, purché in noi ritrovi le necessarie disposizioni. Il fuoco illumina, e lo Spirito Santo, che luce si appella, rischiara le tenebre della nostra notte. Il fuoco consuma, ed Egli consuma i nostri vizi e le colpevoli abitudini: “Deus noster ignis consumens est” (Ebr. XII, 29). Il fuoco infiamma ed Egli infiamma i nostri cuori del suo santo amore; ma la massima parte dei cristiani resiste a questo fuoco a somiglianza degl’induriti Ebrei usciti dall’Egitto. Parlò Iddio a Mosè fra mezzo alle fiamme d’un ardente roveto per dimostrare l’eccesso amor suo, intento a liberarli dal tirannico giogo del Faraone, e in una colonna di fuoco si fece loro per condurli alla terra promessa. E pur quella gente di dura cervìce, e di cuore incirconciso, fu sempre insensibile e sconoscente a così amorevoli rimostranze. Ma che cerchiam di quel popolo? Volgiamoci a noi. Gesù Cristo si dichiara esser Egli disceso dal cielo per accendere nel nostro cuore questo divin fuoco, “ignem veni mittere in terram, et quid volo nisi ut accendatur” (Luc. XII, 49). E non ostante l’amoroso suo desiderio e l’espresso suo volere, a questo fuoco divino fa resistenza l’umana freddezza. Al fuoco elementare non resistono i più duri macigni, gli stritola in polvere, non reggono i più sodi metalli, gli fa correre liquidi. Solo la cenere gli fa resistenza, e giunge ad estinguere la sua fiamma, e a spegnere il suo calore. Or mirate, dice lo scrittore della Sapienza, se questa cenere ingrata non è il simbolo più espressivo della sconoscenza dell’uman cuore, che, dimentico di Chi lo creò, volge gli affetti suoi a tutt’altro, che al suo Fattore. “Cinis est cor eius … quoniam ignoravit qui se finxit (Sap. XV, 10, 12). Così è, miei cari, al fuoco dello Spirito Santo fa colpevole resistenza la cenere della nostra ingratitudine, quando si chiudono gli occhi a’ suoi lumi, quando si fa il sordo alle sue voci, alle sue sante ispirazioni, quando si soffocano i salutari rimorsi, che desta nella nostra coscienza per trarci a ravvedimento e a salute. Meritiamo, allora il rimprovero che S. Stefano fece ai caparbi Giudei: “Vos semper Spiritui Sancto resistitis” (Act. VII, 51).

Affinché non si rinnovi in noi, o non si confermi questa mostruosa resistenza, convien disporre, in questa già cominciata novena, convien preparare il nostro cuore, acciò lo Spirito Santo accenda del suo santo amore. Volete ch’io ve ne accenni il modo? Rammentatevi il profeta Elia, allorché per confondere i falsi profeti di Baal, e far conoscere al popolo astante che il Dio d’Israele era il vero Dio, si accinse a far discendere fuoco dal cielo per accendere e consumare un olocausto. Scelse egli dodici pietre, secondo il numero delle Tribù d’Israele, e ne formò un altare; su quello dispose le legna, e sopra la massa delle medesime collocò le parti della vittima immolata; indi per ben tre volte sparse acqua abbondevole sopra la vittima, le legna e l’altare; finalmente con fervide preghiere invocò il Dio di Abramo, d’Isacco e di Giacobbe, e al tempo stesso ecco cadere dal cielo un’ardentissima fiamma che divorò vittima, legna e le stesse pietre che componevano l’altare. Ecco fedeli amatissimi, ecco la norma. Acciò sopra di noi discenda il fuoco del vivificante Spirito del Signore, fa d’uopo comporre l’altare con mistiche pietre. Saranno queste le astinenze, i digiuni, la mortificazione de’ sensi, le opere di spirituale e corporale misericordia. Edificato l’altare, si devono su quello preparare le legna. Legna opportune a formar questo mistico rogo, sono le lezioni spirituali, le limosine ai poverelli, le volontarie penitenze. Su di tal rogo dobbiamo collocare la vittima. Vittima non v’è, non v’è sacrifizio a Dio più accettevole d’uno spirito contristato, d’un cuore umiliato e contrito pel dolore de’ propri peccati: “Sacrificium Deo spiritus contribulatus, cor contritum et humiliatum, Deus, non despicies” ( Ps. L, 19). Su questa vittima di cuor contrito bisogna versare acqua abbondante, acqua di lacrime, acqua d’amarissima pena, lacrime che partano dall’intimo del cuor compunto, ad imitazione di S. Pietro che in questi giorni nel cenacolo, in aspettazione dello Spirito Santo, quantunque certo del perdono delle sue colpe, non cessava di piangere i suoi spergiuri; ad imitazione di S. Tommaso, che piangeva la sua incredulità; ad imitazione di tutti gli Apostoli congregati, che piangevano la loro fuga e l’abbandono del loro divino Maestro. Finalmente siccome la preghiera di Elia ottenne la prodigiosa discesa del fuoco del Signore, che consumò l’olocausto, così le nostre preghiere muoveranno il cuore di Dio a mandarci il Santo suo Spirito che in noi distrugga ogni colpa, purghi ogni macchia, dissipi ogni affetto terreno, e ci accenda del fuoco dell’eterna sua carità. Così avvenne nella Pentecoste agli Apostoli, alle pie donne, ai devoti fedeli con Maria Vergine nel cenacolo adunati. Essi tutti concordemente uniti in viva orazione e perseverante preghiera, sollecitarono l’arrivo del loro promesso Spirito del Signore che sopra ciascuno di essi si fece vedere in forma di lucidissime fiamme. “Hi omnes erant perseverantes unanimiter in oratione cum Maria matre lesu” (Act. I, 14.)

Felici noi se al termine di questa santa novena che è da Gesù Cristo istituita e a tutte l’altre ha dato il nome, si troveranno in noi le fin qui indicate disposizioni. Lo Spirito Santo verrà nelle nostre anime, e vi farà la sua mansione: co’ sette suoi doni, colla superna sua luce diraderà le tenebre del nostro intelletto, ci farà conoscere la vanità delle cose terrene, e la grandezza ed importanza delle eterne: ci renderà luminosa, convincente testimonianza della Persona, della Divinità, della dottrina e della fede di Gesù Cristo. E noi rischiarati nella mente, infiammati nel cuore, Gli daremo, ad imitazione degli Apostoli, prove e testimonianze di fedeltà, di riconoscenza coll’integrità della nostra fede, coll’osservanza della sua legge, coll’esemplarità de’ nostri costumi, coll’imitazione de’ suoi esempi, coll’esercizio delle cristiane virtù, fino a pervenire ove col Padre e con lo Spirito Santo vive e regna ne’ secoli de’ secoli. Così sia.

Il trattato del Purgatorio

Oggi, nella falsa chiesa dell’uomo, apostatico-conciliare, viene negata, dagli adepti del “principe di questo mondo” e dai marrani della quinta colonna della “sinagoga di satana” infiltrata nel Santuario Santo, l’esistenza del Purgatorio, e finanche quella dell’inferno, prospettando una misericordia fasulla, senza pentimento, contrizione e proposito, dal carattere francamente luciferino, per precipitare le anime, così miseramente ingannate, nel fuoco eterno. La “Verità rivelata” ed il “Magistero” della Chiesa Cattolica, hanno fornito delle risposte esaustive e definitive al riguardo, eterne ed immodificabili. Ecco, come una grande Santa, S. Caterina da Genova, canonizzata dal Santo Padre Clemente XII, ha descritto, come meglio ha potuto, con parole umane, lo stato delle anime del Purgatorio, essendo così di sprono: 1) – nel cercare di evitarlo con i mezzi che la Provvidenza divina ci ha messo a disposizione; 2) – nel portare un aiuto alle anime purganti onde progrediscano verso l’eterno Bene, il Paradiso, e godere così della vista beatifica di Dio.

Caterina genova

TRATTATO DEL PURGATORIO

Di Santa Caterina da Genova

Come (la santa), per relazione col fuoco divino che percepiva nel suo cuore e che la rendeva casta interior­mente, vedeva con gli occhi dell’anima e comprendeva la condizione dei fedeli nel purgatorio – erano lì per purificarsi prima di essere presentati al cospetto di Dio, in paradiso.

1. – Quest’anima santa, ancora vestita del suo corpo, era stata posta nel Purgatorio dell’amore divino, che, pieno di fuoco, la bruciava completamente e purificava in lei ogni cosa, perché – lasciata questa vita – potesse essere subito presentata al cospetto del suo dolce Dio. E, grazie a questo amorevole fuoco, comprendeva nel suo intimo la condizione dei fedeli nel purgatorio: erano lì per purgare ogni ruggine e macchia di peccato non ancora mondate nel corso della loro esistenza terrena. Nell’amorevole Purgatorio del fuoco divino la Santa, unita al divino amore, gioiva di tutto ciò che operava in lei e, comprendendo la condizione delle anime, usava queste parole:

2.- «Le anime del Purgatorio non possono avere al­tra scelta che essere lì. Ciò avviene per disposizione di Dio, che ha operato con giustizia”. I purganti non sono nella condizione di voltarsi indietro e dire: «Ho commesso certi peccati, per cui merito di stare qui». E neppure dire: «Non vor­rei averli commessi, così ora andrei in paradiso». Né ancora: «Lui uscirà di qui prima di me o io ne uscirò prima di lui». Non sono in grado di tenere alcuna memoria propria, né in bene né in male, né su altri: sono così felici di appartenere al piano di Dio, che non han­no pensieri per se stessi. Vedono solo tanta bontà e l’opera di Dio, che, pieno di misericordia, conduce l’uomo a sé; (le anime) non percepiscono la pena e il bene che ciascuno vive dentro se stesso – del resto, se riuscissero a percepirli, non potrebbero più prender parte alla carità pura. Non vedono neppure di essere nella pena per i loro peccati né sono in grado di trattenere nella mente quella vista, perché sarebbe una imperfezio­ne in atto, che non può esistere in questo luogo: lì non è più possibile peccare attualmente. La percezione del Purgatorio avviene in loro una sola volta, nell’istante, cioè, in cui abbandonano questa vita e poi mai più, perché questo costitui­rebbe una proprietà.

3.- Le anime sono nella carità e non possono devia­re da essa con una mancanza volontaria: non sono più in grado di volere né desiderare altro, se non esclusivamente il volere puro della carità pura. In­fatti, essendo immerse nel fuoco del Purgatorio, ap­partengono al disegno divino – che è carità pura – e in esso non sono nella condizione di deviare in nessuna parte. Trovano così impedimento nel com­mettere peccato attuale e, parimenti, nel compiere atti meritevoli.

4.- Non credo esista felicità paragonabile a quella di un’anima del Purgatorio, tranne quella dei Santi del Paradiso. E ogni giorno questa gioia aumenta per influsso di Dio nelle anime e tende ad aumentare, perché ogni giorno consuma ciò che impedisce tale influsso. La ruggine del peccato è l’impedimento; il fuoco consuma la ruggine e così l’anima si apre sempre di più all’influsso di Dio. Se un oggetto coperto, stando al sole, non può corrispondere al riverbero del sole – non per difet­to del sole, che continuamente splende, ma per ciò che lo copre – quando la copertura si consumerà, esso si dischiuderà al sole e corrisponderà al suo ri­verbero nella misura in cui si sarà consumato ciò che lo copriva. Lo stesso accade per la ruggine del peccato, co­pertura delle anime nel Purgatorio: essa si consuma man mano per il fuoco e, nella misura in cui si consu­ma, corrisponde al suo vero sole, Dio. Tanto cresce la gioia, quanto viene meno la ruggine e l’anima si apre all’influsso: mentre una cresce, l’altra si ridu­ce, sino a quando non sia giunto al termine (il tem­po dell’espiazione). La pena non diminuisce, dimi­nuisce il tempo in cui restare in essa. Per ciò che concerne la loro volontà (le anime) non possono mai dire che quelle siano pene; gioi­scono della disposizione divina, con la quale è uni­ta la loro volontà nella pura carità.

5.- Ma, contraria­mente alla gioia della volontà in tale modo unita, subiscono una pena così atroce, che lingua non può parlarne, né intelletto può capirne una minima scin­tilla, se Dio non glielo mostrasse per grazia speciale. Dio mi ha mostrato questa scintilla per sua gra­zia, ma non mi è possibile esprimerla a parole. Quella vista, che il Signore mi mostrò, non lasciò mai più la mia mente. Dirò di ciò che mi successe quel che riuscirò a esprimere e intenderà chi il Si­gnore vorrà che intenda.

6.- Il fondamento di tutte le pene è il peccato, ori­ginale o attuale. Dio ha creato l’anima pura e semplice, pulita da ogni macchia di peccato, dotata di istinto beatifico verso di Lui; da quest’ultimo l’allontana il peccato originale. Il peccato attuale poi, si aggiunge ad esso e allontana di più l’anima da Dio e, a mano a mano che si scosta, l’anima diventa maligna, perché non è corrisposta da Dio. Tutte le forme di bontà esistenti, vengono per divina partecipazione, che nelle creature irrazionali corrisponde come vuole e come ha disposto e non viene mai meno a esse. Verso l’anima poi, Dio cor­risponde in maggiore o minore misura a seconda del suo stato di purificazione dal peccato. Quando l’anima si avvicina alla sua prima crea­zione pura e netta trova in sé un istinto beatifico che cresce con tale impeto e furore di fuoco di ca­rità – il quale l’attira al suo fine ultimo – da dive­nirle insopportabile l’impedimento. A mano a ma­no che vede farsi vicino il suo fine ultimo, la pena diventa per lei più grande e atroce.

7.- Le anime che sono nel Purgatorio non possiedo­no peccato né esiste impedimento fra loro e Dio, ad eccezione di quella pena che le ha costrette e a cau­sa della quale l’istinto non ha potuto raggiungere la sua perfezione (nel fine ultimo che è Dio). Vedendo con certezza quanto sia grave anche un solo impedimento presso Dio e che, per necessità di giustizia, viene ritardato quell’istinto, ne nasce un fuoco così terribile che è paragonabile a quello dell’inferno, anche se non c’è colpa, – colpa che si ritrova invece nei dannati dell’inferno, perché pro­dotta dalla volontà maligna. A questi Dio non cor­risponde la sua bontà; i dannati restano in quella volontà disperata e nella malignità, contro la vo­lontà di Dio.

8.- Da ciò si vede ed è chiaro che si considera colpa la volontà perversa che agisce contro la volontà di Dio: mentre persevera la mala volontà, persevera la colpa. Dal momento che quelli dell’inferno hanno la­sciato questa vita con la cattiva volontà, la loro col­pa non è rimessa, né si può rimettere, in quanto non possono più mutare di volontà: con quella mala volontà sono passati da questa vita all’altra. Il passo seguente conferma la decisione nei ri­guardi dell’anima, in bene o in male, a seconda del­la volontà deliberata in cui si trova: “Ubi te invenero”, cioè all’ora della morte, in quella volontà di peccare o di dolore per aver peccato, “ibi te iudicabo”. Al giudizio non segue poi remissione, perché dopo la morte la libertà d’arbitrio non è più mutabile: si ferma nella condizione in cui si trova al punto della morte. Le anime infernali portano con sé per sempre la colpa e la pena; quest’ultima poi, non è proporzio­nale alla pena che meritano, ma è infinita. Le ani­me purganti soffrono solamente la pena e, poiché sono senza colpa – cancellata dal dolore -, la pena ha un termine e diminuisce sempre di più in rap­porto al tempo, come si è detto. O miseria sopra ogni miseria, tanto maggiore poi se non è considerata dall’umana cecità!

9.- La pena dei dannati non è infinita in quantità, perché la dolce bontà spande il raggio della sua mi­sericordia anche all’inferno. L’uomo che muore nel peccato mortale merita pena e tempo infiniti, ma la misericordia divina rende possibile che solo il tem­po sia infinito e la pena sia invece limitata nella quantità, – anche se giustamente il Signore avrebbe potuto attribuire al peccatore una pena maggiore di quella che gli è stata attribuita. Vedi quanto è pericoloso il peccato commesso con malizia! Difficilmente l’uomo se ne pente e, non pentendosi, la colpa resta sempre e dura quan­to l’uomo resta nella volontà del peccato, com­messo o da commettere.

10.- Ma le anime del purgatorio hanno la loro vo­lontà in tutto conforme a quella di Dio; a lei Dio corrisponde con la sua bontà ed esse sono felici perché la loro volontà è purificata dal peccato ori­ginale e attuale. Quanto alla colpa, le anime riacquistano la pu­rezza della prima creazione perché hanno lasciato questa vita dolendosi di tutti i peccati commessi, con l’intenzione di non commetterne più. Per il dolore che provano Dio perdona subito la colpa e così alle anime non rimane (altro) se non la ruggine e la deformità del peccato, che si purifica poi nel fuoco attraverso la pena. Queste anime, purificate totalmente da ogni col­pa e unite a Dio per volontà, vedono Dio in manie­ra chiara e proporzionale a quanto Lui fa loro co­noscere; nel vedere quanto è importante la fruizio­ne di Dio e che l’anima è stata creata a quello sco­po, trovano una conformità tale che le unisce a Dio – conformità che tende a realizzarsi per l’istinto na­turale che spinge l’anima verso Dio – che non si possono dire ragionamenti, figure né esempi suffi­cienti a chiarire questa condizione, come la mente cioè l’avverta nei suoi effetti e la comprenda per sentimento interiore.

11.- Un esempio: poniamo che in tutto il mondo non ci sia che un unico pane in grado di togliere la fame e che tutte le creature si sazino anche solamente col vederlo. Ora, la creatura – cioè l’uomo – ha l’istin­to di mangiare quando è sano e, se non mangia, se non si ammala, se non muore, quella fame crescerà sempre di più, perché non viene meno quell’istinto. Lui è contento, perché conosce il pane che lo può saziare, tuttavia, per il fatto stesso di non averlo a disposizione, non può togliersi la fame. Questo è l’inferno che vive chi ha una grande fa­me: più l’uomo si avvicina al pane senza poterlo ve­dere, più si accende il suo desiderio naturale, che istintivamente è tutto rivolto verso quel pane, in cui consiste la felicità. La certezza di non vedere mai quel pane è per lui l’inizio dell’inferno vero e pro­prio, quello che vivono i dannati, privati della spe­ranza di contemplare l’autentico pane, Dio salva­tore. Le anime del purgatorio invece hanno fame, sì, perché non vedono il pane di cui potersi nutrire, ma conservano la speranza del momento in cui potran­no vederlo e saziarsene completamente; la loro pe­na consiste nel non poter soddisfare subito la fame.

12.- È chiaro che lo spirito purificato non trova altro luogo che Dio per riposare – a tal fine infatti è sta­to creato – e il peccato nell’anima non ha altro luo­go che l’inferno secondo l’ordinamento divino. Nel momento in cui lo spirito si separa dal corpo, l’anima – se si diparte in peccato mortale – rag­giunge il luogo prestabilito, guidata dalla natura del peccato. Se l’anima non ritrovasse là l’ordinamento divi­no, che procede dalla sua giustizia, vivrebbe in un inferno peggiore di quello in cui si trova, perché fuori da tale disposizione. Quest’ultima infatti è partecipe della misericordia divina, che permette ai dannati di non scontare la pena che meritano; essi, d’altro canto, si gettano subito nell’inferno – come se quel luogo fosse di loro proprietà – perché non trovano per sé nulla di più adatto e di meno dolo­roso.

13.- Lo stesso vale a proposito del purgatorio: l’ani­ma, separata dal corpo, non possiede più la purez­za originaria e, accorgendosi della sua macchia – che non si può eliminare se non per mezzo del pur­gatorio – si getta in quel luogo presto e volentieri.

Se il progetto divino non prevedesse di purgare la ruggine del peccato, in quell’istante si generereb­be un inferno peggiore del purgatorio, perché l’ani­ma si vede separata da Dio, che diventa così im­portante da far passare in secondo piano le pene del purgatorio (sebbene, come si è detto, questo luogo sia simile all’inferno).

14.- Per ciò che dipende da Dio, vedo che il paradiso non ha porta alcuna: chi vuole entrare lo può fare, perché Dio è tutto misericordia e sta con le braccia aperte verso di noi, per riceverci nella sua gloria. La divina essenza è pura e monda – molto più di quanto l’uomo possa immaginare – e l’anima che ha in sé la minima imperfezione – un fuscello, per dire – preferirebbe gettarsi in uno o mille inferni, piuttosto che ritrovarsi alla Presenza divina con una minima macchia. Ma compito del purgatorio è quello di togliere la macchia! L’anima sceglie que­sto luogo per trovare in esso la misericordia che le occorre per potersi mondare dalle sue colpe.

15.- La lingua non può esprimere e il cuore non può capire quanto sia importante il purgatorio: la pena è infernale, ma l’anima peccatrice la riceve come dono di misericordia, perché le pene non hanno pe­so di fronte alla gravità di quella macchia che im­pedisce l’amore. Vedo che la pena di quelli che sono nel purga­torio è soprattutto quella di essere causa del dispia­cere di Dio e il fatto che esso sia il frutto di un atto volontario compiuto contro la bontà divina, rispet­to a qualsiasi altro dolore. Dico ciò perché i pur­ganti, dal momento in cui godono della Grazia, si accorgono finalmente dell’importanza dell’impedi­mento che li distacca da Dio.

16.- Sono certa delle mie parole per ciò che ho po­tuto comprendere in questa vita. Ogni vista, ogni parola, ogni sentimento, ogni immaginazione, ogni giustizia, ogni verità mi sembrano bugie. Di queste parole resto più confusa che soddisfatta, perché non trovo vocaboli più estremi con cui potermi esprimere e perciò taccio.

Le mie parole sono niente se paragonate a quel­lo che la mia mente avverte; tra Dio e l’anima c’è una conformità tale che, nel momento in cui il Si­gnore la vede nella sua purezza originale, con il fuo­co del suo amore – sufficiente ad annichilire l’ani­ma immortale – le dona quella tensione, che è sguardo unitivo, attraverso cui la lega e la tira a se. L’anima si assorbe in Dio al punto di negare l’e­sistenza di altro all’infuori di Dio. Il Signore l’attira e la infuoca continuamente, fi­no a condurla a quell’essere da cui è uscita, quella assoluta purezza nella quale fu creata.

17.- Quando l’anima vede interiormente che è attira­ta dal divino fuoco dell’Amore, sente che il calore la scioglie e ridonda nella mente il suo dolce Signo­re. Lei sa che Dio non mancherà mai di attirarla e di condurla alla perfezione, con attenzione costante e secondo i suoi piani. La pena delle anime nel purgatorio consiste pro­prio nel vedere ciò che Dio mostra loro nella sua lu­ce e di esserne attratte, senza però poter seguire quella seduzione, quello slancio unitivo che il Si­gnore ha dato loro per legarle a sé. La percezione di quanto sia gravoso quell’impedimento e l’istinto che l’anima ha di poter essere attratta da quello sguardo senza impedimenti, costituiscono la soffe­renza dei purganti. Essi non tengono conto della pena vera e pro­pria – per quanto, di per sé, sia grandissima – ma danno importanza al fatto che si oppongono alla vo­lontà di Dio, che, acceso da tanto estremo amore puro verso loro, le attira fortemente a sé con il suo sguardo unitivo, come se ciò fosse l’attività prin­cipale. Se l’anima trovasse un altro purgatorio oltre quello in cui si trova, pur di potersi liberare dall’im­pedimento al più presto, gli si butterebbe dentro, tanto impetuoso è l’amore, simile a quello di Dio.

18.- Vedo ancora che dall’amore divino si dipartono verso l’anima raggi e lampi così colmi di fuoco, pe­netranti e forti, che, se fosse possibile, annullereb­bero addirittura l’anima, non solo il corpo. I raggi compiono nell’anima due operazioni: la sua purificazione e il suo annullamento. Come succede all’oro: quanto più lo si fonde, tanto diventa puro, e, se si continuasse a fonderlo, ogni imperfezione verrebbe annullata; tale è l’effet­to del fuoco nella materia. L’anima non può annullarsi in Dio, ma in se stes­sa; a mano a mano che si purifica, si annulla in se stessa e resta in Dio l’anima pura. L’oro, puro a ventiquattro carati, per quanto fuoco gli si possa dare, non consuma più, salvo le sue imperfezioni. Ciò accade con il fuoco divino nell’anima: mentre Dio la tiene nel fuoco, lei con­suma ogni sua mancanza e va verso la perfezione dei ventiquattro carati. Monda, resta completamente in Dio senza al­cunché di proprio, perché la purificazione dell’ani­ma consiste nella privazione di noi in noi: il no­stro essere è Dio. L’anima, purificata a ventiquattro carati, rimane impassibile, perché non ha più nul­la da consumare. Se anche fosse tenuta nel fuoco, non le sarebbe penoso: è fuoco dell’amore divino che è per lei vita eterna. Possono vivere senza al­cuna contrarietà, come le anime beate, persino in questa vita, se fosse possibile per loro restare in­sieme al corpo. Ma non credo che Dio le tenga sulla terra, eccetto che per qualche grande volontà divina.

19.- L’anima è stata creata capace di poter raggiun­gere la sua perfezione originaria, vivendo secondo quanto era stato disposto per lei senza lasciarsi con­taminare dal peccato. Con il peccato originale e con quello attuale, essa perde i suoi doni e le grazie e, morta, non può risuscitare se non per mezzo di Dio. Risuscitata per mezzo del Battesimo, resta in lei però la cattiva inclinazione che la conduce (se non oppone resistenza) al peccato attuale, facendola ri­tornare alla morte.

Dio torna per risuscitarla nuovamente per mez­zo di un’altra grazia speciale, ma l’anima è talmen­te imbrattata e rivolta verso se stessa che, per ritor­nare allo stato in cui Dio l’ha creata, necessita di tutte quelle operazioni divine, senza le quali l’ani­ma non potrebbe ritornare alla sua condizione ori­ginaria di purezza. Nel momento in cui l’anima sta per ritornare al suo primo stato, proprio perché deve trasformarsi in Dio, arde così intensamente, che quello è il suo purgatorio (non guarda al purgatorio come purga­torio, ma il suo purgatorio è proprio l’istinto arden­te che le è impedito). Questo stato – l’ultimo dell’amore – si compie se è assente la parte umana, perché l’anima possiede imperfezioni nascoste e, se l’uomo le vedesse, vi­vrebbe disperato. Quest’ultimo stadio dell’amore consuma tutte le piccole mancanze e, una volta consumate, gliele mostra in modo che l’anima veda l’opera di Dio, che produce quel fuoco d’amore e consuma le imperfezioni che sono da consumare.

20.- Ciò che l’uomo giudica perfetto è difettoso pres­so Dio; non appena l’uomo compie l’atto di vedere, sentire, intendere, volere o avere memoria, si mac­chia e le operazioni che compie, apparentemente perfette, restano contaminate; se l’opera deve esse­re perfetta, si deve compiere in noi senza noi e l’o­pera di Dio deve essere in Dio senza che l’uomo agisca per primo. Questo è ciò che compie Dio nell’ultima spre­sione dell’amore puro solamente per mezzo suo. L’opera è così penetrante e ardente nel fondo del­l’anima che il corpo, che la circonda, pare si agiti fortemente, come se si trovasse in un grande fuoco che non lo lascia mai quieto, sino alla morte. L’amore di Dio che riempie l’anima (secondo quanto io vedo) dona una gioia che non si può esprimere a parole, ma questa gioia non toglie nem­meno una scintilla di pena nelle anime del purga­torio. L’amore trattenuto produce una pena grande quanto è la perfezione di quell’amore di cui Dio l’ha resa capace. Ne consegue che le anime del pur­gatorio provano gioia grandissima e pena grandissi­ma senza che la prima ne impedisca l’altra.

21.- Se esse potessero purgarsi per mezzo della con­trizione, purgherebbero in un istante tutto il loro debito, tale è l’impeto di contrizione che è in loro, poiché hanno la chiara consapevolezza dell’impor­tanza di quell’impedimento! E’ fuori dubbio che Dio non risparmia nulla al pagamento di quel de­bito, perché così è stato stabilito dalla sua giustizia. L’anima, d’altro canto, non ha più possibilità di scelta propria e non può vedere se non quello che Dio vuole, né vorrebbe vedere altro, perché così è stato preordinato per 1ei.

22.- Se poi quelli che stanno nel mondo fanno l’ele­mosina per abbreviarle il periodo della pena (1’ ani­ma) non può permettersi di voltarsi a guardarla con affetto e di prenderla in considerazione: l’unico a operare è Dio, che ha il suo modo di appagarsi. Il fatto di potersi voltare per guardare all’elemosina, risulterebbe una proprietà che la distoglierebbe dalla percezione del volere divino e, di conseguen­za, farebbe diventare la sua pena infernale. Immobili di fronte a tutto ciò che Dio dà loro (di gioia o di pena) le anime del purgatorio non po­tranno mai più voltarsi verso se stesse, perché han­no trovato la loro intimità nella volontà del Signore e su di essa si sono plasmate, felici di vivere il pro­getto divino.

23.- Presentare al cospetto di Dio un’anima in debito ancora di un’ora col purgatorio, significherebbe renderla colpevole di una grande offesa e ciò le co­sterebbe una pena pari a più di dieci purgatori, per­ché la somma giustizia e la pura bontà non potreb­bero reggerne la vista e, per parte di Dio, ciò risul­terebbe sconveniente.

Se l’anima si accorgesse che Dio non è piena­mente soddisfatto anche solo per una mancanza pa­ri a una farfallina d’occhio, non potrebbe tollerarlo, anzi, sopporterebbe più volentieri mille inferni piut­tosto di non essere ancora del tutto purificata da­vanti alla presenza di Dio (se fosse possibile sce­gliere quei mille inferni).

24.- Mentre vedo nella luce di Dio ciò che sto rac­contando, mi viene voglia di gridare così forte da spaventare tutti gli uomini di questo mondo e dire loro:

   «O miseri, che vi lasciate accecare in questo mondo al punto da non stimare affatto questa ne­cessità, quando vi imbatterete in essa! Tutti vi na­scondete sotto la speranza della misericordia di Dio, che sapete essere grande; non vi rendete con­to invece che l’immensa bontà di Dio vi giudicherà per aver agito contro la sua volontà? La sua bontà ci deve guidare a compiere il suo volere e non ad avere speranza, se ci rendiamo colpevoli di un’azio­ne malvagia. La giustizia non può venir meno e de­ve compiersi in qualche modo».

Non essere troppo sicuro di poter credere: «Io mi confesserò, prenderò l’indulgenza plenaria e a quel punto sarò purgato da tutti i miei peccati!». Sappi che questo tipo di confessione e di contrizio­ne – che occorrono per ottenere l’indulgenza plena­ria – sono difficili da raggiungere. Se solo te ne ren­dessi conto, tremeresti di timore e saresti più sicuro di non poterla raggiungere che di raggiungerla.

Anime-purganti

25.- Io vedo le anime rimanere nella pena del purga­torio consapevoli di due obiettivi: il primo consiste nel patire volentieri le pene, sapendo che Dio ha usato grande misericordia in proporzione a ciò che meriterebbero e all’importanza che ha il loro Signo­re. Se la sua bontà non temperasse la giustizia con la misericordia – e la giustizia si soddisfa col san­gue di Cristo – un solo peccato meriterebbe mille inferni eterni. Le anime purganti conoscono la grande miseri­cordia divina e volentieri patiscono la pena senza lamentarsi e senza che ne venga meno un solo cara­to, perché pare loro di meritarla giustamente, se­condo il piano divino e poiché non possono eserci­tare la loro volontà. L’altro scopo è accorgersi della gioia che non man­ca mai, anzi, cresce per accostarsi a Dio. Le anime vedono queste due realizzazioni del progetto divino non in esse né per mezzo di se stes­se, ma esclusivamente in Dio, verso il quale, rispet­to alle pene che patiscono, prestano maggior atten­zione, perché per Lui nutrono una stima più gran­de: ogni attimo di cui possono godere di Dio supe­ra ogni pena e gaudio che l’uomo possa capire, ma, nonostante li superi, non toglie una scintilla di gioia o di pena.

26.- Sento nella mia mente il processo di purificazio­ne delle anime del purgatorio nella misura in cui la vedo, in maniera sempre più chiara, come vi ho det­to ormai da due anni a questa parte; ogni giorno che passa la vedo e la sento più evidente: vedo che la mia anima sta in questo corpo come in un pur­gatorio che si sovrappone a quell’altro per salvare il corpo dalla morte – nella misura in cui il corpo stes­so è in grado di sopportare – e che cresce sempre di più, finché sopravviene la morte fisica.

Vedo che lo spirito è alienato da tutti i doni spi­rituali che possono dargli nutrimento, come la leti­zia o il piacere; non può gustare alcuna cosa dello spirito, né per volontà né per intelletto, né attraver­so la memoria per cui poter esprimere felicità di questo o di quello!

27.- Il mio mondo interiore è immobile e assediato; tutto ciò che reggeva la vita spirituale e corporale gli è stato tolto a poco a poco; nel momento in cui sono venute meno le sue impalcature, si rende conto che per lui sono state cose di cui nutrirsi e confor­tarsi, ma, una volta riconosciute come tali, sono così aborrite che scompaiono senza lasciare traccia, poi­ché lo spirito ha in sé l’istinto di eliminare ogni co­sa che possa impedire il raggiungimento della sua perfezione, a costo di permettere che l’uomo venga gettato nell’inferno, pur di pervenire al suo intento. Per questa ragione lo spirito elimina tutto ciò di cui l’interiorità dell’uomo si può nutrire e lo assedia in maniera così sottile da non lasciar passare il ben­ché minimo fuscello d’imperfezione, che non sia da lui veduto e aborrito. Per questo l’anima era assediata interiormente: non poteva sopportare che quelle persone che era­no entrate in relazione con lei e che parevano sulla via della perfezione, trovassero sostentamento in al­cuna cosa. Quando le vedeva nutrirsi di ciò che lei aborriva, lasciava quel luogo per non vederle, so­prattutto se si trattava di alcune persone in particolare.

28.- Anche la parte esteriore restava ancora assedia­ta, perché lo spirito non le corrispondeva: non tro­vava cosa sulla terra da cui poter trarre sostegno, secondo l’istinto umano, né le rimaneva altro con­forto se non Dio, che agisce per amore e con gran­de misericordia per soddisfare la propria giustizia, la cui vista le dava una grande gioia e una immensa pace. Non esce però di prigione né cerca di uscirne fintanto che Dio non abbia compiuto ciò che le oc­corre; la sua felicità è la soddisfazione di Dio e, per lei, non si potrebbe trovare pena alcuna, per enor­me che sia, quanto non corrispondere più all’ordi­namento di Dio, perché l’anima riconosce che il progetto è giusto e misericordioso. Diceva: «Vedo e tocco tutte queste cose, ma non so trovare vocaboli adatti ad esprimere ciò che vor­rei dire. Quello che ho detto, lo sento operare den­tro di me, spiritualmente».

29.- La prigione nella quale mi sembra di essere è il mondo, i legami, il corpo; la mia anima, che vive nella grazia, lo sa bene e sa bene anche che cosa im­plica essere privati della possibilità – o ritardarla – di pervenire al suo fine. L’anima è delicata ed è re­sa degna dalla Grazia divina di essere con Dio una cosa sola, perché partecipe della sua bontà. Come è impossibile che a Dio possa accadere al­cuna pena, così vale per le anime che sono a Lui vi­cine: quanto più gli si fanno prossime, tanto mag­giormente ricevono del suo Essere. Il ritardo che l’anima ha (nell’unirsi al suo Signore) è causa di grande pena per lei e fa in modo di allontanarla dal­le proprietà che ha in sé per natura e che, per gra­zia, le sono mostrate. Non potendole trattenere, ma essendone capa­ce, la pena è in proporzione alla stima che lei ha di Dio. La stima poi è tanto maggiore quanto l’anima più conosce e tanto più conosce, quanto è più sen­za peccato. L’impedimento è più terribile quando l’anima, completamente raccolta in Dio e senza al­cun altro impedimento esterno, giunge alla perfetta conoscenza senza errore.

30.- L’uomo che preferisce farsi ammazzare piutto­sto di offendere Dio, sente che la morte gli procura pena, ma la luce di Dio lo induce a dare più impor­tanza al suo Signore che alla morte corporale. L’a­nima conosce il progetto di Dio e stima ancor più quel progetto di tutti i tormenti, per terribili che possano essere, tanto quelli interiori, quanto quelli esteriori, perché Dio – per il quale quest’opera si compie – eccede in tutto ciò che si possa immagi­nare e sentire. L’anima, come già si è detto, non vede né parla né conosce danno o pena in sé propria, ma il tutto conosce in un solo istante, pur non vedendolo in se stessa, perché lo spazio che Dio occupa in lei (per poco che sia) la impregna al punto da allontanare ogni cosa e da non lasciarle considerare null’altro. Dio fa perdere tutto ciò che è dell’uomo e che il purgatorio purifica.

“LA CHIESA” di mons. De Ségur

Per chi non avesse attualmente ben chiaro che cosa sia la Chiesa di Cristo, unica fondata dal divino Maestro, unica via per giungere alla salvezza eterna dell’anima, magari confondendola con la falsa “chiesa ecumenica dell’uomo”, sbandierata dai media in funzione del mondialismo ormai prossimo venturo (salvo diverse disposizioni dell’ultima ora dell’Altissimo!), o con le altrettanto false “parrocchiette” scismatiche pseudo-tradizionaliste di auto-referenziati “santi” ed obnubilati teologi, anch’esse funzionali all’inganno di “coloro che hanno per padre il diavolo”, riportiamo questo scritto illuminante di un grande autore del XIX secolo, mons. De Ségur, con tanto di imprimatur ed approvazione ecclesiastica, per cui possiamo star tranquilli circa inganni o deviazioni dottrinali, fatte passare disinvoltamente come cattoliche ed alle quali ci hanno assuefatto i modernisti eretici della “nouvelle thèologie” con i loro apostati fiancheggiatori, oramai insediati saldamente nei sacri palazzi, con talari nere, rosse, porpora o bianche … ma dai “sepolcri imbiancati” ci aveva già messo in guardia il divino Redentore.

 

Mons. L.-G. De Segur

“La Chiesa”

[ Roma tipogr. Tiberina, 1883]

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I.

La Chiesa e la Religione.

   La Religione è il vincolo spirituale che unisce Iddio all’uomo; la Chiesa è la forma esteriore che Iddio medesimo ha dato a quel vincolo. La Religione è la conoscenza, il servizio e l’amore del vero Dio; la Chiesa è la società degli uomini fedeli che conoscono e praticano la Religione.

Quel che è il corpo in rapporto all’anima, tale è la Chiesa in riguardo alla Religione. Il corpo e l’anima, creati da Dio e uniti insieme compongono l’uomo vivente; tutto l’intiero uomo. Così è del Cristianesimo che Gesù Cristo ha formato di due elementi, l’uno spirituale ed invisibile che comprende la verità religiosa, la santità, la vita dell’anima e l’altra esteriore, visibile e terrestre che comprende la gerarchia de’pastori, l’insegnamento cattolico, i sacramenti, il culto divino; e l’uno e l’altro sono d’istituzione divina e l’unione di ambedue costituisce il Cristianesimo.

La Chiesa è divina come la Religione, la Religione è quello che insegna la Chiesa, ciò che conserva e difende nel nome di Dio medesimo; ed anche distinguendo la Chiesa dalla Religione è impossibile separare l’una dall’altra, come è impossibile separare l’anima dal corpo volendo conservare la vita. « Che l’uomo non separi quel che Iddio ha unito », tale è la gran legge della vita religiosa dell’umanità. I protestanti hanno fatta tale scissione; altro non è loro rimasto che una chimera di religione. Rigettando la Chiesa, hanno perduto il Cristianesimo e la fede. Il Cristianesimo e la Chiesa non formano che una sola cosa.

II

Se la Chiesa è puramente spirituale.

Np, la Chiesa non è puramente spirituale ed eccone il perché: Essendo la Chiesa la società de’cristiani che conoscono e praticano sulla terra la vera Religione, ella è della medesima natura dei cristiani, cioè spirituale e corporale insieme. Noi non siamo puri spiriti; la Religione nostra non può essere puramente spirituale. Lo è spirituale e tutta celeste e divina perché vien da DIO e perché unisce a Dio la nostre anime; ma necessariamente ella ha una parte tutta terrestre e visibile che associa il nostro corpo al culto che noi rendiamo a DIO e ci applica così interamente ai servizio del nostro Padre che è nei cieli.

Così l’insegnamento religioso della Chiesa, così com’è tutto divino è affidato da GESÙ CRISTO al Papa, ai Vescovi che sono uomini; il sacerdozio della Chiesa ch’è il sacerdozio divino del Cristo si esercita in mezzo di noi mediante i sacerdoti che sono uomini; la grazia di DIO che è puramente spirituale, ci vien comunicata per mezzo dei Sacramenti che sono segni esteriori e sensibili stabiliti a tale effetto dal medesimo Signor Nostro; il culto finalmente che la Chiesa rende a DIO ed il cui oggetto è egualmente spirituale è accompagnato da cerimonie, da riti esteriori che ne sono come il corpo.

Quei tali che pretendono che la Chiesa sia puramente spirituale, non intendono punto di Cristianesimo, o per dir meglio, intendono perfettamente che sbrigandosi della parte visibile della Religione, che altro non è che la Chiesa, si spacciono ad un tempo di quel decalogo insopportabile che violano da mane a sera e da quelle disgradevoli verità cristiane che non parlano che di santità, e di giustizia “che ardiscono minacciare i perversi del fuoco eterno dell’inferno”. Una Chiesa al tutto spirituale, sarebbe assai più comoda; nessuno la vedrebbe, non se ne sentirebbe parlare da alcuno; la non sarebbe incomoda a verun galantuomo. Ecco la Chiesa che conviene alle coscienze de’ liberi pensatori.

III.

Come non può esservi che una sola Chiesa di GESÙ CRISTO.

Egli non vi ha che un DIO; non vi ha che un CRISTO, che una sola fede che un solo battesimo; dunque non può esservi che una Chiesa, vale a dire una sola società che possiede la vera fede, che adori il solo vero DIO, il solo vero CRISTO.

La Chiesa è l’inviata da GESÙ CRISTO sopra la terra; CRISTO non ha due inviati, come non ha due religioni, due dottrine, due battesimi. La Chiesa è una come uno è GESÙ CRISTO. Ella è la sua sola sposa legittima e diletta, che gli da dei figliuoli e gli genera dei cristiani. Quindi gli Apostoli, scrissero, nel simbolo della fede. « Io credo ALLA santa Chiesa » e non ALLE sante Chiese; e il primo Concilio generale, ha formulato questa stessa verità anche più chiaramente dicendo nel simbolo di Nicea — Io credo alla Chiesa che è UNA. »

Se per impossibile si supponessero due vere Chiese, una delle due: o queste Chiese insegnerebbero e praticherebbero la stessa religione ed allora si confonderebbero in una sola; ovvero si contraddirebbero, ed una di esse necessariamente sarebbe falsa e perciò stesso cesserebbe di appartenere a GESÙ CRISTO che è verità infinita. Dunque non può esservi che una sola Chiesa di GESÙ CRISTO.

IV.

Che la sola Chiesa cattolica è l a CHIESA di GESÙ CRISTO.

   Egli è quasi inutile il dimostrarlo. La sola Chiesa cattolica risale per una successione non interrotta di Pontefici e di Vescovi sino a S. Pietro primo Sommo Pontefice e sino agli Apostoli primi Vescovi e primi predicatori del Vangelo. Or chi non sa che GESÙ CRISTO medesimo ha mandato al mondo S. Pietro e gli Apostoli? E per questa ragione che la Chiesa cattolica è nominata altresì Apostolica e Romana. Essa è romana dalla sua origine, da che il suo primo Papa per ispirazione di DIO, elesse la città di Roma per sede episcopale e vi morì martire. Il Papa successore dì S Pietro e Capo visisibile della Chiesa è Vescovo di Roma; ed ogni Chiesa prendendo il nome dal suo Capo, si gloria del nome di Chiesa Romana.

Tutte le altre Chiese spurie che nel corso de’ secoli si sono successivamente separate dalla grande, santa Chiesa Cattolica, Apostolica e Romana, perciò stesso si sono separate da GESÙ CRISTO, perdettero la grazia di DIO e divennero adultere e non spose. La storia ha registrato la data della loro nascita, ossia del loro divorzio, ed il nome è conosciuto degli uomini perversi che presiedettero a quella separazione, è per sé solo una condanna inappellabile; così il divorzio della Chiesa Greco-Russa in Oriente ebbe compimento nel IX secolo per l’empio Fozio, patriarca di Costantinopoli; quello della Chiesa protestante d’Inghilterra per opera di Enrico VIII e della degna sua figlia Elisabetta nel secolo XVI; la separazione delle sette protestanti di Alemanna, di Francia, etc. per opera del frate apostata Lutero, del fanatico Calvino e di altri uomini di tal tempra; tutti separati da GESÙ CRISTO e dagli Apostoli, non solo per l’interruzione de’ secoli, ma ancora per dottrine al tutto opposte alla vera fede apostolica.

In mezzo alle defezioni delle false Chiese, la Chiesa cattolica s’avanza a traverso i secoli sempre immutabile nella sua dottrina, sempre una nella sua costituzione, nella sua fede, nella sua morale, producendo santi, continuando i suoi miracoli, raddrizzando gli errori umani e diffondendo ovunque penetra, la luce della vera civilizzazione e la vita della vera religione.

v

Se può uno salvarsi fuori della Chiesa

Si, in apparenza, no in realtà — Si: in questo senso che può uno salvarsi senza appartenere esteriormente alla santa Chiesa cattolica. Vi sono infatti fuori della Chiesa delle anime che sono in una perfetta ed invincibile buona fede che amano sinceramente la verità e che si farebbero certamente cattoliche se si conoscessero nell’errore; se d’altronde tali anime sincere, osservano del loro meglio ciò che credono essere la volontà di Dio, se sfuggono a tutto il potere il male, è certo che è possibile la loro salute; perché è di fede che « DIO vuole la salvezza di tutti .gli uomini » e che quei soli si perdono che mettono volontariamente ostacolo a questa santissima e paterna volontà.

Ciò nondimeno è egualmente vero il dire che non può salvarsi fuori della Chiesa. Infatti le anime di buona fede or dette, appartengono alla Chiesa, vale a dire a Cristo Signore nostro che vive ed opera nella Chiesa. Costoro sono cattolici che si ignorano e che non sono responsabili dell’involontaria sventura che li separa esteriormente dalla gran famiglia di GESU’ CRISTO. Dessi non si salvano se non perché sono cattolici e quindi è sempre vero che fuori della Chiesa non vi è salvezza. Il che vale lo stesso che il dire che senza la buona fede è impossibile di appartenere a Dio, né in questo mondo né nell’altro. Che vi ha di più semplice?

VI.

Se può separarsi la Chiesa dal Papa.

Né più né meno di quel che sarebbe il separare il corpo dal capo di un uomo vivo. L’unione del capo al corpo è la prima condizione della vita. Ora avendo GESÙ CRISTO stabilita la sua Chiesa per vivere ed estendere la vita sino alla fine dei secoli, per ciò stesso ha stabilito di diritto divino l’unione del capo e delle membra, l’unione del Papa suo Vicario, suo rappresentante visibile con i Vescovi, i Sacerdoti ed i Cristiani che formano insieme il corpo della santa Chiesa.

Il Papa è il padre della grande famiglia di DIO sopra la terra; ecco perché noi lo chiamiamo nostro Santo Padre; noi lo chiamiamo “santo” perché la sua paternità è tutta spirituale, tutta santa e tutta divina. Come la famiglia forma un tutto composto del padre, della madre e dei figli; cosi la Chiesa forma un tutto composto del Papa, dei Vescovi e dei fedeli.

Egli è dal Papa che i Concilii generali, o ecumenici istessi desumono la loro suprema autorità: senza il Papa, non è possibile Concilio ecumenico; Egli solo lo aduna, egli solo lo scioglie; i loro decreti di fede non sono irreformabili che dopo l’alta sanzione del Papa e per il fatto della stessa sanzione il Papa non soggiace al giudizio di alcuno, a nemine judicatur; Ei non dipende da alcuno e tutti sono dipendenti da lui: Egli è il capo del Concilio perché è capo della Chiesa.

« Il Papa e la Chiesa è una medesima cosa » diceva S. Francesco di Sales; non si può separarsi dal Papa senza separarsi dalla Chiesa. Questo è un dogma di fede e chiunque lo negasse, sarebbe eretico. Non si può colpire il Papa senza ferire col medesimo colpo la Chiesa intera.

   Ora separarsi dalla Chiesa, disprezzarla, colpirla è un separarsi da GESÙ CRISTO e un disprezzare IDDIO, sollevarsi contro DIO: « Chi disprezza voi, disprezza Me. » Gli empi non colpiscono il Papa se non per distruggere la Chiesa; e non pretendono distruggere la Chiesa, se non per arrivare sino a Colui che hanno crocifisso e contro il Quale satana li spinge di continuo con un misterioso ed impotente furore.

VII.

Come è organizzato il governo della Chiesa.

Come un’armata. La Chiesa infatti è l’esercito di Cristo e noi tutti siamo soldati di DIO combattenti il demonio ed il peccato e diretti alla conquista del Paradiso, e da ciò il nome di Chiesa militante. Un esercito ha sempre un generale in capo destinato dal Sovrano a comandare a tutti in suo nome, e perciò tutti, senza eccezione, soldati, ufficiali e generali devono esatta ubbidienza al generale in capo. L’esercito è diviso in vari corpi, comandato ognuno da un capo speciale; e questi corpi si suddividono alla loro volta in reggimenti, in compagnie etc. con ufficiali subordinati gli uni agli altri nell’unità del comando e dell’ubbidienza. In fine per la suprema direzione dell’esercito il generale in capo riunisce a sé lo stato maggiore di ufficiali e di aiutanti di campo che trasmettono i suoi ordini ai diversi capi del corpo.

La Chiesa è organizzata precisamente nella stessa guisa. Il suo Capo supremo rappresentante di Cristo comanda a tutti colla stessa autorità di Colui del quale tiene il posto; tutti devono ubbidirgli e Iddio lo assiste nel suo comando. Il Papa è altresì il Vescovo, il Pastore, è il Pontefice della Chiesa universale, il Vescovo dei Vescovi, il giudice supremo ed infallibile di tutte le questioni religiose. La Chiesa riposa sopra di lui, sulla di lui autorità , in tal modo è stata stabilita da Nostro Signore.

Subordinati al Papa e intorno a lui sono i Vescovi, che uniti al Papa governano le diverse diocesi del mondo e per rafforzare il governo della diocesi e facilitare le relazioni dei Vescovi col Pontefice Sommo, le Diocesi sono riunite in provincie a cui presiedono gli Arcivescovi.

Ciascun Vescovo alla sua volta divide la sua diocesi in un certo numero di parrocchie al governo delle quali sono proposti sacerdoti chiamati curati e con il parroco altri sacerdoti chiamati vicari. Finalmente vengono i semplici fedeli.

Vi si scorge altresì l’unità, la forza e la somma semplicità del governo della Chiesa. Tutti nella Chiesa ubbidiscono al Papa, come nell’esercito tatti ubbidiscono al generale in capo: non vi ha che un comando che da Gesù Cristo passa pienamente al Papa, dal Papa agli Arcivescovi ed ai Vescovi e da questi ai Parrochi ed ai Sacerdoti e si estende fino al più umile dei fedeli.

In quella guisa che lo stato maggiore partecipa al supremo comando dell’esercito rappresentando a riguardo di tutti il generale in capo, cosi nella Chiesa i Cardinali e gli altri ecclesiastici applicati dal Papa a certe funzioni, amministrano e governano a nome del sommo Pontefice tutta intera la Chiesa cattolica. Queste chiamansi Congregazioni Romane; desse sono relativamente al Papa nel governo spirituale, ciò che sono d’altronde i diversi Ministeri a riguardo del capo dello stato. La loro autorità è la stessa autorità del Papa che per loro mezzo giudica, governa e decide tutti gli affari della Chiesa cattolica. I Cardinali, i Prelati e le sacre Congregazioni formano lo stato maggiore spirituale del sommo Pontefice.

Finalmente nella Chiesa come in un’armata, vi sono dei segni esteriori per distinguere i diversi gradi della gerarchia: la sottana o veste sacerdotale per il sommo Pontefice è di color bianco; per i Cardinali è di color rosso; per i Vescovi come per i Prelati, di color violetto; per i semplici sacerdoti di color nero.

VIII.

Che sono nell’organizzazione della Chiesa, gli Ordini Religiosi e le Associazioni Cattoliche?

Quello che presso il pastore è un cane vigilante e fedele, aiutandolo a custodire il gregge e a difenderlo dai lupi. I lupi temono più i cani che il pastore, benché i cani non facciano che secondare il pastore, solo vero pastore, quindi si crederebbero tosto vittoriosi del pastore e del gregge, se potessero sbrigarsi di quegli accoliti importuni che stan sempre in guardia; che vanno e vengono di continuo, tutto vedono e sentono da lungi il minimo lupastro.

Tale è il secreto dell’odio profondo ed incurabile che tutti i lupi a due zampe ebbero sempre, hanno ed avranno ai nostri Religiosi. E benché i Religiosi non facciano parte della gerarchia ecclesiastica propriamente detta, sono suscitati da DIO per assistere potentemente questa sacra gerarchia nella predicazione della divina parola, nella educazione della gioventù, nella direzione delle coscienze, nella conversione dello anime e in tutte le altre opere di zelo cattolico. Gli empi sanno bene quel che fanno allorché se la prendono contro gli Ordini religiosi e quando adoprano contro di essi ora la persecuzione e la violenza, ora la calunnia; sordi intrighi e tutte le astuzie di un’avversione implacabile.

È lo stesso, in grado minore tuttavia, delle Associazioni di fede e di pietà, che suscita da ogni parte nel nostro secolo il risveglio religioso, del che la Chiesa ogni giorno benedice IDDIO. Desse uniscono fortemente i fedeli attorno ai loro Pastori per aiutarli colla preghiera e coll’elemosina a propagare, conservare e difendere la fede, ed estendere il regno di GESÙ CRISTO, a soccorrere i poveri e a salvare le anime. Non vi sono che i malvagi ed i ciechi che ne prendono ombra.

IX.

La Chiesa insegnante e la Chiesa insegnata.

La Chiesa cattolica è composta di Pastori e di fedeli. Il corpo dei Pastori si chiama la Chiesa insegnante; comprende il Papa ed i Vescovi ed in certo senso i Preti; la Chiesa insegnata comprende tutti i fedeli chiunque siano, anche re, e principi. Una tale distinzione è d’istituzione divina.

Quando si parla della Chiesa riguardo alla sua autorità, alla sua missione etc. non si tratta che della Chiesa insegnante, che del Papa e de’ Vescovi, che soli hanno ricevuto da GESÙ CRISTO il diritto e il dovere d’insegnare, di governare e di giudicare. La Chiesa insegnata approfitta di questi privilegi, ma non vi partecipa.

Il Papa riassume in sé la pienezza dell’autorità della Chiesa insegnante; egli ne possiede l’infallibilità dottrinale, la suprema potestà di giudicare senza appello, di comandare o proibire. Ogni Vescovo nella sua Diocesi insegna altresì con autorità; giudica, governa, fa leggi, ma la sua potestà non essendo suprema è dipendente da una potestà superiore; i suoi atti in caso di contesa non sono inappellabili e non hanno valore definitivo se non dopo la conferma del sommo Pontefice. I Vescovi non sono i Vicari del Papa, sono i suoi fratelli e se egli è loro superiore, non è in qualità di Vescovo, ma nella sua qualità di sommo Pontefice eletto da Cristo per pascere le pecore non meno che gli agnelli.

In quanto ai Sacerdoti che IDDIO ha dato ai Vescovi per aiutarli nella carica pastorale, non sono giudici della fede, nondimeno essi insegnano», ma non fanno che trasmettere e distribuire l’insegnamento, a quali essi medesimi lo ricevono. Essi sono alla testa della Chiesa insegnata, come i figli primogeniti della famiglia cattolica.

Tutta la Chiesa è altresì nell’infallibilità religiosa; la Chiesa insegnante perché GESÙ CRISTO è con lei tutti i giorni sino alla fine dei tempi e l’assiste col suo Santo Spirito; la Chiesa insegnata, perché riceve e conserva fedelmente la verità purissima che le apporta il corpo de’ suoi Pastori.

X

Il solo dogma è egli oggetto dell’autorità del Papa e dei Vescovi ?

Non già: la fede è soltanto una parte della Religione come l’intelligenza non è che una parto dell’uomo. Nostro Signore GESÙ CRISTO ha incaricati i Pastori della sua Chiesa di far conoscere e di far praticare agli uomini non solo ogni verità, ma ancora ogni giustizia, tutta la morale, tutta la virtù. La Chiesa è costituita da DIO Madre spirituale e Maestra infallibile di tutti gli uomini, dei popoli come degli individui, dei governanti, come dei governati, dei sapienti e dei filosofi come dei semplici. Essa è inviata da GESÙ CRISTO per essere la luce del mondo » vos estis lux mundi. »

Questa missione dunque comprende assai più del domma. Tutte le questioni umane qualunque esse sieno, dal momento che riguardano la coscienza ed i costumi, sono di diritto divino di sua competenza; nessuno può declinarla senza ribellarsi contro GESÙ CRISTO che a Lei ha dato la sua missione « chi ascolta voi, ascolta me; chi disprezza voi, disprezza me »!

E siccome la Chiesa è infallibilmente assistita da Dio, in tutto ciò che concerne l’adempimento del suo dovere, essa sola è competente per regolare ciò che a lei spetta, ciò che ò giudicabile dal suo tribunale e ciò che spetta alla sua giurisdizione. I nostri scrittorelli giornalisti, urleranno e sbraiteranno a loro posta; il buon DIO cosi ha stabilito; e ciò che è fatto è fatto.

Che dire in conseguenza dell’ anticristiana stranezza di taluni che decidono dall’altezza della loro ignoranza che il Papa ed i Vescovi non sono cristiani, che non intendono i veri interessi della Religione, agitano imprudentemente le coscienze, dovrebbero fare così, hanno torto di fare quell’altro etc. etc? È il povero ortolano della favola che vuol risalire alla Provvidenza; è stenterello che non sa leggere e che tratta di filosofia; è il ciabattino che con i lumi della sua botteguccia discute la politica del suo governo. Povere teste stravolte! … e ancor peggio, poveri cuori ribelli e molto colpevoli!

XI.

La Chiesa fa ella poco conto delle potestà secolari?

Nessuno come la Chiesa rispetta la potestà laica. Essa rispetta e fa rispettare tutte le vere autorità; la famiglia, la proprietà, la società, lo stato. Anche di recente per la bocca de’ Sommi Pontefici ha condannato le erronee dottrine di Lamennais e delle sette rivoluzionarie che pretendevano che la potestà temporale sia un’usurpazione e che l’insurrezione sia il più santo dei doveri.. I settari detestano la Chiesa precisamente a causa dell’incrollabile energia con cui difende tutti i princȋpi d’ordine e di ubbidienza, tanto nella società civile come nella società religiosa.

Se nel corso de’ secoli la Chiesa talvolta ha biasimato, giudicato ed anche condannato gli atti di certi principi e di certi stati, non è stato perché facesse poco conto delle potestà secolari, ma unicamente perché il suo dovere religioso l’obbligava a difendere verso e contro tutti la giustizia e la verità e i grandi princȋpi della pubblica morale. È il peccato è l’ingiustizia che ha colpito e non già l’autorità dei principi. Operando in tal guisa ella ha fatto per le nazioni e i loro sovrani ciò che fa ogni giorno per gl’individui ; essa ha illuminate e raddrizzate le loro coscienze, ha mostrato loro la via del dovere, si è sforzata di ricondurle al bene, non le ha mai condannate né colpite di anatema che dopo aver esaurito tutti i mezzi di persuasione e di dolcezza.

   Il demonio e gli amici suoi nel denunziare la Santa Sede e l’Episcopato come nemici delle potestà laiche, hanno un solo scopo, ed è di sollevare contro la Chiesa il braccio secolare e far rovesciare col trono l’altare, che ne è il più solido sostegno.

Il potere secolare è degno di sommo rispetto in tutto ciò che si attiene al governo temporale degli Stati; ma nel suo stesso governo deve essere morale, deve essere secondo DIO, deve aiutare nel miglior modo la missione di salute che la Chiesa ha ricevuta dal Signore per santificare e per salvare tutti gli uomini; e se è giusto ed equo, non deve meravigliarsi che i Pastori delle anime gli rammentino i suoi doveri in nome di GESÙ CRISTO, lo illuminino e lo riprendano come lo fanno per ciascuno dei fedeli. Laico, vuole egli forse dire anticristiano? Se cosi fosse, nessuno in coscienza potrebbe esser laico.

XII

Quale influenza cerca la Chiesa di conquistare in questo mondo.

È l’influenza del bene, dei buoni costumi, della giustizia; del servizio di DIO. Essa non vuole altro, checché ne dicano i suoi nemici ; ma cotesto ella lo vuole, lo vuole ad ogni costo e per conquistarlo non risparmia né fatiche, né sudori, né il suo sangue. Che importano alla santa Chiesa i vani calcoli dell’umana politica? Essa non vi s’immischia se non in vista della coscienza ed allora è nel suo diritto.

La Chiesa romana vuol far regnare GESÙ CRISTO nel mondo perché è inviata per questo. Il divino Maestro prima di ritornare in cielo le disse « mi è stato dato ogni potere in cielo e sopra la terra. Andate adunque ammaestrate tutte le nazioni ed in-segnate loro ad osservare le mie leggi » ed essa va, coll’autorità di DIO, facendoLo conoscere, facendoLo servire ed amare. Nessuna cosa la trattiene e nulla mai la tratterrà. Per far trionfare la verità ella invoca con egual diritto la libertà e l’autorità; mezzi umani che ritraggono tutta la loro eccellenza dal buon uso che se ne fa e che la Chiesa onora grandemente facendoli servire alla salvezza delle anime.

Che si gridi quanto si vuole alla doppia faccia, all’usurpazione all’agitazione clericale, all’orgoglio del clero e ad altri travisamenti di tal genere: la Chiesa non adempirà meno perciò la sua santa, potente, la sua dolce e benefica missione. Ella salva anche quelli che dopo averla bestemmiata nel modo il più indegno, le chiedono aiuto nel giorno del pericolo e della prova.

No, la Chiesa non usurpa quando ammaestra i principi ed i popoli, quando si oppone a quello che è vietato da DIO, quando condanna sulla terra ciò che GESÙ CRISTO condanna in cielo. Ella fa il suo dovere a riguardo di quelli che non fanno il loro. Dessa non turba mai le coscienze se non quando bisogna destarle da un sonno pericoloso; essa non agita mai se non le questioni che devono essere agitate ed il suo preteso orgoglio non è altro se non il profondo ed unico sentimento della divina missione che tiene da DIO. Avventurati anche in questo mondo quei che accettano con amore la divina influenza della Chiesa e quindi si sottraggono dall’influenza malefica di tutte le pazze idee che sconvolgono le intelligenze e rovinano le società insieme colle anime.

XIII.

Se i Vescovi ed i Preti sono funzionari pubblici.

Essi non lo sono in verun senso. I ministri di DIO, non possono essere ministri dei re della terra. L’annuo stipendio che i vescovi e curati cattolici ricevono da certi governi, non cambia in verun modo il loro ministero. In Francia a mo’ d’esempio, un tale stipendio, non è un salario di pubblico funzionario, ma bensì il pagamento di un debito riconosciuto ufficialmente dall’Imperatore Napoleone I innanzi al Papa Pio VII dopo la grande rivoluzione. Le proprietà del clero erano state involate e confiscate ed il Papa, supremo amministratore di tutti i beni della Chiesa, cedette a’ suoi diritti su quelle proprietà ingiustamente rapite, mediante una scarsa indennità che il governo francese assunse l’impegno di pagare annualmente ai Vescovi ed ai Parroci di tutto le Chiese di Francia.

Lo stipendio de’ funzionari civili, non ha in verun modo un tal carattere. Gli è uno stipendio onorevole, senza dubbio, ma in fondo è un vero salario per i servizi che rendono allo Stato. La loro autorità è soltanto una delegazione del potere civile; ed una tale delegazione può cessare per la sola volontà del Sovrano che loro la toglie a suo piacimento.

I Vescovi ed i Sacerdoti al contrario esercitano il ministero cattolico in nome di DIO soltanto; non dipendono che da GESÙ CRISTO e dal Papa suo Vicario. La loro missione sorpassa i limiti di tutti gli Stati e li domina come il cielo domina la terra. Essi predicano il rispetto per l’autorità temporale senza dipendenza da lei, almeno in ciò che concerne il loro santo ministero; poiché è un non intender nulla delle questioni spirituali e temporali, religiose e civili l’assimilare i ministri della Chiesa ai funzionari dello Stato, come fanno tutto giorno quei deplorabili giornali che inondano e pervertono l’Europa.

XIV

Come sì fa il Vescovo.

Affinché un sacerdote eserciti le sacre funzioni dell’Episcopato, richiedonsi due condizioni. Bisogna primieramente che sia eletto ed istituito dal Sommo Pontefice che è il Vescovo de’ Vescovi incaricato da GESÙ CRISTO di governare e di far governare dai suoi venerabili Fratelli i Vescovi, ogni porzione della Chiesa universale. Nella Chiesa il solo Papa ha il diritto di fissare nel mondo intero i limiti delle Diocesi, di crearne delle nuove e d’investire della giurisdizione pastorale il sacerdote a cui giudica a proposito di confidare l’incarico di una Diocesi. La giurisdizione è il potere di governare, d’insegnare, di giudicare, di sciogliere o di legare. Senza questa giurisdizione, che appartiene pienamente al Papa e che egli solo può conferire, un prete non ha alcun potere ecclesiastico in una diocesi ; se un prete si permettesse di farla da Vescovo, di far leggi, di dare dispense, tutti i suoi atti sarebbero nulli di pieno diritto ed egli stesso incorrerebbe ipso facto la scomunica maggiore, degna punizione degli scismatici e degli intrusi.

La seconda condizione richiesta perché un prete possa esercitare legittimamente e validamente le funzioni episcopali è la consacrazione per mezzo dei Sacramento dell’Ordine. Se mai, come è accaduto talvolta in tempi di scisma, si trovasse un Vescovo ed un prete sì dimentichi de’ loro doveri l’uno per conferire e l’altro per ricevere la consacrazione episcopale, senza la volontà del Papa, lo sciagurato prete consacrato in tal guisa, avrebbe veramente il carattere di Vescovo, potrebbe validamente amministrare il Sacramento di Confermazione e il Sacramento dell’Ordine; ma tutto ciò sarebbe illecito in prima linea; come la consacrazione eucaristica fatta da un prete interdetto, è valida, ma illecitissima, colpevolissima e sommamente sacrilega.

In seguito di certe convenzioni dette concordati tra la Santa Sede e diversi governi temporali, la designazione o nomina de’ futuri Vescovi è lasciata dalla Chiesa all’iniziativa del Sovrano. Ma una tal nomina non ha alcun valore religioso finché non è ratificata dal Papa con un atto ufficiale a cui nulla può supplire e che chiamasi L’istituzione canonica.

Ecco in qual modo un prete può divenire Vescovo.

XV

Che cos’è uno scisma.

Lo scisma ò un gran peccato e una grande follia. È la separazione dal Papa Capo della Chiesa, e per conseguenza la separazione dalla Chiesa società di DIO: e quindi la separazione da DIO stesso. Lo scisma è la rivolta di un certo numero di cristiani, ecclesiastici o laici, contro la legittima autorità della Chiesa e del suo Capo. È un peccato mortale di prim’ordine e i principi, i Vescovi, i preti e i laici che se ne rendono colpevoli, avranno a renderne al tribunale di GESÙ CRISTO un conto tanto più terribile, quanto che quasi sempre questo delitto di alto tradimento cattolico è seguito dal delitto di eresia ancor più grave; la disubbidienza ha per degna ricompensa l’apostasia dalla fede; la Grecia, la Russia, la Svezia, la Prussia, l’Inghilterra, per lo scisma sono state gettate nell’eresia.

Una Chiesa scismatica, vale a dire separata dal Papa e dalla Chiesa universale, cade immediatamente sotto il giogo delle potestà di questo mondo e si avvilisce ben tosto in una servitù vergognosa. Ella perde tutto il suo sugo religioso, tutta la sua morale autorità, tutta la sua forza, tutta la sua dottrina; ella diviene nelle mani del potere un istrumento servile e spregiato e bene spesso il suo ministero non è che un soccorsale di polizia. Questo chiamasi una Chiesa nazionale ed un clero raffazzonato in tal guisa, ha la fortuna di possedere una Costituzione civile.

Povere Chiese nazionali e povere costituzioni civili del Clero! Voi siete troppo degne di compassione per essere da noi paventate, troppo assurde per metterci a confutarvi ! Membri vivi della Santa Chiesa di DIO, noi vogliamo sempre vivere della sua vita, non formare che una medesima cosa con essa e col Cristo e rimanere inviolabilmente unite al sommo Pontefice che è il centro dell’unità cristiana, il solo Dottore che mai travia, il Vescovo universale di tutti i figliuoli di DIO! LO scisma è la morte è il disonore, e noi nol vogliamo.

XVI.

Della menzogna storica contro la Chiesa ed il Papato

« Mentiamo, mentiamo francamente, scriveva l’onesto Voltaire ad uno de’suoi onesti amici, ne resterà sempre qualche cosa » ecco la parola d’ ordine che da più d’un secolo seguono fedelmente tutti i nemici della fede. Essi hanno mentito, mentiscono e mentiranno; e DIO sa se ne rimane qualche cosa !

Ahimè! questo diluvio di menzogne inonda non solo la Francia, ma l’Europa ed il mondo intero. È una vasta cospirazione che snatura i fatti, parodia tutti i caratteri, inventa tutte le falsità per far credere alla gioventù, al popolo e a tutti, che la Chiesa cattolica è uno spegnitoio, un focolare d’intrighi di tenebrosi maneggi; di delitti; che il Papato ò violento e sanguinario, che la sua esistenza è incompatibile colla sicurezza della Stato, colla pubblica pace; ch’ella non vive che di ambizione e di cupidigia, che i Papi furono i nemici del genere umano e che è giunto il tempo di vendicare quell’abominevole papato. Ecco ciò che si dice, ecco ciò che si scrive, ciò che si stampa in tre quarti de’ nostri giornali, nei romanzi sedicenti storici, coadiuvati in ciò da innumerevoli libelli anticlericali che diffonde a milioni la propaganda protestante. Ecco ciò che si dice e che si crede, la MENZOGNA STORICA è la grande arma degli empi.

Io non posso qui confutare in dettaglio tali calunnie sì grossolane e detestabili; io mi limito a constatare il fatto ed asserirlo innanzi a DIO e innanzi alla scienza e a supplicare ogni persona onesta, nell’interesse della sua eterna salute, di non prestar fede a tali affermazioni malefiche che produce ogni giorno non l’amore della verità, ma una cieca ignoranza, un odio satanico contro Nostro Signore Gesù Cristo.

XVII.

Che la sola Chiesa è la madre de’ piccoli e de’ poveri.

Egli è un fatto sì notorio e sì pubblico che è inutile stabilirlo con prove. La sola Chiesa cattolica fa le suore della carità, i fratelli delle scuole Cristiane, le piccole sorelle de’ poveri. Il succo divino che possiede la vera Chiesa soltanto, può produrre, perpetuare e sviluppare in proporzioni gigantesche quell’incomparabile sacrificio di sé, quell’umile eroismo di ogni giorno, di cui il cielo sarà la magnifica ricompensa. Le sette protestanti e le Chiese nazionali, hanno voluto tentare un tal prodigio; elle fecero come il corvo della favola, che volle imitare l’aquila prendendo un montone; desse furono prese là appunto ove credevano prendere e si è veduto una volta di più ciò che la sola verità genera la carità.

La Chiesa cattolica è la madre dei poveri, dei fanciulli, dei piccoli, dei deboli, di tutti quelli che hanno bisogno di amore. Essa sola li ama in pratica come in teorica. Le altre hanno talvolta la teoria e cianciano e scrivono sulla beneficenza, ma lasciano alla Chiesa, a suoi ministri ed a’ suoi Ordini religiosi, l’ardua fatica del servizio de’poveri, dell’educazione religiosa de’ fanciulli, della cura degli infermi, de’ mentecatti degli abbandonati, la visita de’ poveri vergognosi; in una parola il sollievo delle umane miserie.

L’amore di GESÙ CRISTO, che s’intenda bene, 1’amore della Vergine MARIA, l’amore al Santissimo Sacramento, il celibato cattolico, l’abnegazione della vita religiosa, ecco il segreto, ecco la sorgente inesauribile della cristiana carità della Chiesa. Essa soltanto possedé un tal segreto, questa viva sorgente, ed ecco perché sola, ad onta delle ingratitudini di cui è tutto giorno abbeverata, è passata e passa come GESÙ CRISTO, facendo il bene, transiit benefaciendo, UNITÀ, VERITÀ, CARITÀ: tal’è l’inimitabile divisa cattolica!

XVIII.

Del grande delitto di chi osteggia la Chiesa

Assalire la Chiesa e la Santa Sede, è assalire GESÙ CRISTO; è assalire IDDIO « chi disprezza voi me disprezza » La guerra alla Chiesa di qualsivoglia pretesto si cerchi di ricoprirla, è una guerra sacrilega e parricida, perché la Chiesa è l’opera di DIO e la Madre dell’umanità. Qual nome è da darsi ad un figlio perverso che odia la madre sua, che la calunnia, l’oltraggia, la percuote; che vorrebbe discacciare ed uccidere?

Assalire la Chiesa è assalire l’anima e la salute eterna di ciascun di noi; perché l’anima nostra e la nostra salute sono confidate dalla Provvidenza, alla Chiesa, come la nostra vita e la nostra sanità quando eravamo nell’infanzia, erano dalla medesima Provvidenza affidate alla nostra buona madre. È un assalire la società e l’incivilimento, che sono egualmente l’oggetto della sacra missione della Chiesa cattolica e che ben tosto degenerano, quando la luce della fede e la forza della religione non le garantiscono.

È osteggiare sopra tutto il povero popolo, l’immenso numero degli sventurati che non hanno in questo mondo per loro porzione, che lacrime e privazioni e che la Chiesa sola sa consolare, loro mostrando l’Eternità che si avvicina, loro mostrando la culla, la croce di GESÙ CRISTO, i patimenti dei martiri, le fatiche dei Santi, il tabernacolo dell’Eucaristia, il cuore paterno del prete, l’amor tutelare e tenero della Beata Vergine MARIA, Madre del dolcissimo Salvatore.

Finalmente è un’osteggiare l’infanzia la cui innocenza e debolezza non hanno altro ricovero che la Chiesa e della quale IDDIO ha detto nel suo Vangelo « se alcuno scandalizza uno di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio che gli fosse legata al collo una macina e fosse gettato in fondo al mare! »

Lo stesso Signore ha detto inoltre: « se alcuno non ascolta la Chiesa, che sia per voi come un pagano ed un ladro » Che sarà mai di coloro che non solamente non danno ascolto alla Chiesa, ma ribellano apertamente contro di essa, sollevano sopra il sacro capo di lei una mano maledetta! Questi tali sono sulla spaziosa strada che conduce dritto all’inferno, lata via quae ducit ad perditionem.

XIX.

Se la Chiesa abbia a durare ancor lungo tempo.

Noi non ne sappiamo nulla: ma ciò che noi sappiamo, perché GESÙ CRISTO ed i suoi Apostoli ce l’hanno detto, è che la Chiesa durerà quanto il Mondo, mentre questo non esiste se non per il Cristo e la sua Chiesa. Quel che sappiamo è che all’avvicinarsi degli ultimi tempi della Chiesa e del mondo, vi saranno terribili seduzioni capaci di far crollare gli stessi eletti; un apostasia generale delle società, come società; una perdita quasi universale della fede, flagelli e miserie d’ogni genere; finalmente una generale persecuzione più formidabile di tutte le precedenti ed una tribolazione tale, dice il Vangelo, che non ve ne sarà stata altra somigliante dal principio del mondo: “tribulatio magna, qualis non fuit ab initio mundi”.

Codesti tristi giorni sono a noi vicini? Io l’ignoro, ma ciò che so e tutti vedono è che una crisi spaventevole minaccia la Chiesa nel mondo universo e che a noi tutti fa d’uopo, se non si vuole soccombere alla tentazione, vegliare e pregare, divenir più veramente cristiani, più solleciti degli interessi della fede, più assidui alla sacra mensa, più generosi al sacrificio; in una parola, più santi e più distaccati dalla terra. Bisogna pagare colla nostra persona, pagare con i nostri beni, metterci interamente al servizio di GESÙ o della sua Chiesa. Noi non abbiamo nulla a temere: noi siamo di DIO e l’avvenire è nostro ! Che il sacro esercito di Cristo rinserri le sue fila attorno a’ suoi capi immediati, che sono i Vescovi e attorno al supremo Pastore delle anime che è il Sommo Pontefice; che non si lasci sedurre dalle astuzie scismatiche di Satana e che nelle prove che potranno sopraggiungere, si rammenti sempre la gran parola di S. Ambrogio: OVE È PIETRO, IVI È LA CHIESA. “Ubi Petrus, ibi Ecclesia”.

 

 

Uomini liberi e schiavitù delle bestie!

Uomini liberi e schiavitù delle bestie!

[Tit. redaz.]

[da: “Trattato Dello Spirito Santo”, J.- J. Gaume; cap. XVII, e XVIII]

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I Cittadini delle due Città.

   Ogni società si divide in due classi; governanti e governati: conosciamo i re ed i principi della Città del bene e della Città del male. Quali ne sono i cittadini? Questa è la questione alla quale dobbiamo noi ora rispondere.

I cittadini, ovvero i sudditi della Città del bene e della Città del male, sono tutti gli uomini. La ragione, l’esperienza e la fede ce l’hanno detto”: non vi sono tre città ma due sole. Faccia egli quel che si voglia, bisogna che l’uomo, qualunque sia il suo nome e il suo grado, appartenga all’una od all’altra: questa alternativa è crudele.

Incominciata essa con la vita, non finisce neppure con la morte. Unita al duplice quadro del mondo angelico e del mondo satanico, che passa sotto i nostri occhi, ci rivela la vera posizione dell’ uomo quaggiù. Chi può riguardarlo senza essere commosso sino alla profondità dell’ essere suo ?

     Il nostro corpo, fragile come un vetro, vive tra due forze spaventose, il cui antagonismo potrebbe ad ogni secondo divenire a noi fatale. Secondo i calcoli della scienza, la colonna d’aria che pesa sul capo di ciascuno di noi, rappresenta un peso di 20,000 libbre. Chi ci salva dalla distruzione? Soltanto l’aria che è dentro di noi, intorno a noi, e sotto di noi. Quest’ aria fa resistenza alla massa superiore e rende la vita possibile. Appena che l’equilibrio viene a rompersi, subito l’uomo resta schiacciato.

Cosi succede della nostra anima. Essa vive della sua vera vita, la vita della grazia, fra due potenze nemiche e di una forza incalcolabile. All’ equilibrio di queste due potenze essa deve evitare leterna rovina. La conservazione della nostra vita spirituale è dunque un miracolo non meno continuo, non meno sorprendente, ma molto più degno di riconoscenza che la conservazione della nostra vita fisica.

Nelle stesse condizioni è posta evidentemente l’esistenza delle società. L’influenza più o meno determinante del mondo angelico o del mondo satanico, rende conto delle alternative di lumi e di tenebre, di delitti e di virtù, di libertà e di servitù, di gloria e di vergogne, di prosperità e di catastrofi, che segnalano di quando in quando gli annali dell’ umanità. Tale è la vera filosofia della storia. La prova non dubbia di questo fatto rivelatore dell’innalzamento e della caduta degli imperi, è la storia medesima della Città del bene e della Città del male: noi la delineeremo ben tosto a grandi tratti.

Frattanto notiamo che una sola cosa costituisce, tanto al morale che al fisico, tutto il pericolo della situazione, la rottura cioè dell’ equilibrio. Essa ha luogo nell’ordine spirituale, tutte le volte che l’uomo dà la preponderanza su sè medesimo allo Spirito del male, piuttosto che allo Spirito del bene; cosa che dipende da lui, unicamente da lui. A fine di distornarlo da quest’atto di colpevole follia, a cui lo sollecitano di continuo i principi della Città del male, lo Spirito Santo non si contenta di fornirgli tutti i mezzi di resistenza, ma gli mostra le conseguenze della sua fellonia. Esse sono terribili, subitanee, inevitabili: é la schiavitù, l’onta ed il castigo.

Triplice baluardo con cui il Re della città del bene circonda la sua felice Città, all’ oggetto di preservare i suoi sudditi dalla tentazione di uscirne.

La schiavitù. — La libertà è figlia della verità: Veritas liberabit vos. La Città sola del bene, diretta dallo Spirito di verità, è la patria della libertà. I disertori nell’abbandonarla, per entrare nella Città del male, imparino ad arrossire. No, essi non glorificano la libertà, ma la disonorano: essi non camminano alla conquista della indipendenza, ma diventano schiavi: e lo sono di già. Da lungo tempo la logica e la fede hanno pronunziata la loro sentenza. La libertà non consiste nel fare il male, ma nell’evitarlo. Quanto più lo evitiamo, tanto più siamo liberi. « Bisogna, dice san Tommaso, ragionare del libero arbitrio come dell’intelletto. Il libero arbitrio sceglie tra gli atti che si riferiscono al fine; l’intelletto trae le conclusioni dai princȋpii. Ora ognun sa che entra nelle attribuzioni dell’intelletto quella di trarre delle conclusioni, ma sempre logicamente discendenti da dati princȋpii. Che se, nel trarre una conclusione, dimentica o disprezza i princȋpi, è una imperfezione, una debolezza da parte sua. « Parimente, la perfezione del libero arbitrio consiste nell’avere la facoltà di fare differenti scelte, ma sempre relative al fine proposto. Per esempio, gli accade di fare una scelta contraria al fine ultimo dell’uomo? Questa non è una perfezione, ma una debolezza e un difetto. Quindi risulta che la libertà, o la perfezione del libero arbitrio è più grande negli Angeli che non possono peccare, che in noi che peccare possiamo. »

Tale è dunque la dottrina dell’Angelo della Scuola: la libertà è il potere di fare il bene, come lintelletto ha la facoltà di conoscere il vero. La possibilità di fare il male non è più dell’essenza della libertà: quanto la possibilità d’ingannarsi, non è dell’essenza dell’ intelletto ; come la possibilità d’essere malato non è dell’essenza della salute. L’impeccabilità è la perfezione della libertà, come l’infallibilità è la perfezione dell’intelletto; come l’essere liberi da infermità è la perfezione della salute.

Essere peccabile è dunque un difetto nella libertà, come essere fallibile lo è nell’ intelletto; come essere malato lo è nella sanità. Ne segue dunque che quanto più l’uomo pecca, tanto più mostra la debolezza del suo libero arbitrio; parimente quanto più egli s’inganna, tanto più mostra la debolezza della sua ragione; cosi quanto più è malato tanto più egli fa prova di cattiva salute.

Altresi, l’uomo quanto più pecca e sragiona più che mai si degrada e si rende spregevole, imperocché si riavvicina sempre più al fanciullo che non ha ancora né la libertà, né l ‘intendimento, e all’insensato che non l’ha più, o alla bestia che non l’avrà mai. Questa verità fondamentale è la prima armatura della quale lo Spirito Santo ci riveste, il primo motivo dato all’uomo di rinchiudersi eternamente dentro i confini della Città del bene. Molti non lo comprendono. Sedotti dai principi della Città del male, moltissimi vengono a riguardare il giorno in cui si emancipano dalla sovranità dello Spirito Santo, come il giorno natalizio della loro libertà.

Poveri ciechi! che una volta almeno guardino in faccia la verità: né gli costerebbe molto. Essa è scolpita nella schiavitù di tutte le facoltà della loro anima: nella degradazione di tutte le membra del loro corpo, in tutte le pagine macchiate della loro pretesa vita indipendente.

Giovani o vecchi, ricchi o poveri, letterati o illetterati, per avere disertato dalla Città del bene, traditi i voti del vostro battesimo, arrossito della fede della vostra infanzia e delle pratiche de’ vostri avi, vi credete voi forse liberi? lo siete voi? È vero, voi camminate con la testa alta e con lo sguardo sicuro. Le vostre labbra si contorcono al riso, e la vostra fronte si nasconde sotto un sembiante di gaiezza. Al suono metallico della vostra voce, ed al tuono imperioso delle vostre parole si potrebbe prendervi per i reggitori dell’umanità. Ciò nonostante voi non siete che tanti schiavi, schiavi infelici, e schiavi della peggiore specie.

In luogo di un solo Padrone, altissimo e santissimo che voi rifiutate di servire come egli l’intende, servite altrettanti padroni che sono le vostre ignobili passioni; e fuori di voi, altrettante creature che possono procurarvi o disputarvi l’insigne onore di soddisfarle. Voi le servite, non come l’intendete, ma come esse l’intendono.

Padroni spietati, essi vi trascinano con la corda al collo, o vi cacciano con la bacchetta alla mano in tutte le tenebrose vie del male. Trascinati lontano dal paese natio, avete dimenticato la strada dei nostri templi; ma sapete a mente la strada dei teatri e di altri luoghi. Il calice del Dio Redentore, in cui con la vita si beve la virtù, l’onore, la libertà, il pacificamento dell’anima e dei sensi, vi è di disgusto; e voi bevete a lunghi sorsi il calice del demonio, in cui con la morte, si beve il delitto, la vergogna, la schiavitù, la febbre dell’anima ed i furori della disperazione. Immaginandovi d’esser troppo grandi agli occhi vostri per portare su di voi le insegne protettrici della Regina del Cielo, voi portate invece, incastonati nell’oro i capelli di una cortigiana. Uomini e non angeli, bisogna che amiate la carne. Voi non avete voluto amare la carne immacolata dell’Uomo Dio, amerete la carne immonda di ima creatura immonda.

Vorreste invano respirare talora l’aria della libertà. Come tanti uccelli impaniati nelle ‘perfide reti, non potete prendere il vostro volo. Ad ogni tentativo, una voce spietata, la voce dei vostri padroni mascolini o femminini si fa udire; non fare resistenza, tu sei mio.

Dandomi la tua volontà tu mi hai dato tutto. Dammi il tuo danaro, dammi le tue notti, dammi le rose delle tue gote; dammi la pace della tua anima, dammi la salute del tuo corpo; dammi la gioia di tua madre; dammi le speranze di tuo padre; dammi l’onore del tuo nome, e voi lo date!                                          Siete liberi?

Silenzio! schiavi:

non profanate nel pronunziarla, una parola che vi accusa. Schiavi nella vostra intelligenza, tiranneggiata dal dubbio e dall’errore; schiavi nel vostro cuore, tiranneggiato da brutali appetiti, cosa è la vostra vita se non che un panno lordo? Che forse la storia della vostra vita è quella di uno schiavo? Sciagurati! che non potete scendere nella vostra coscienza senza ascoltarvi una voce che vi accusa, né contemplare le vostre mani senza vedervi il segno dei ferri o i vostri piedi senza rinvenirvi la palla del galeotto! Figli di re diventati guardiani di porci; ecco quel che voi siete. Avete proprio ragione di andarne superbi ! [Misit illum in villam suam ut pascerei porcos. Luc., xv, 15].

La schiavitù dell’anima: ecco ciò che incontrano tutti gli uomini che mettono il piede fuori del recinto della Città del bene: poiché sta scritto: « dove abita lo Spirito del Signore ivi, e ivi soltanto, abita la liberta.1 » [Ubi autem Spiritus Dei, ibi libertas. II, Cor, III, 17].

Ora nel mondo morale, come nel mondo materiale avvi una legge che la parte superiore attrae l’inferiore: Major pars trahit ad se minorem. Alla servitù dell’anima si aggiunge necessariamente la schiavitù del corpo: per conseguenza la schiavitù sociale. Non basta il ripeterlo spesso, e oggi soprattutto: la libertà civile e politica non si trova né nella punta di un pugnale, né nella bocca di un cannone, né sotto il lastrico di una barricata. Essa è figlia non di una carta né di una legge, né di una forma qualunque di governo, ma della libertà morale. Checché ne dica o faccia:

ogni popolo corrotto è uno schiavo nato!

   La libertà morale suppone la fede: la fede è la verità, la verità non risiede che nella Città del bene.

Volete voi averne la prova? pigliate un mappamondo. Accanto al dispotismo dell’errore che cosa vi mostra esso? Dappertutto il dispotismo dell’oro, il dispotismo della carne, il dispotismo della materia, e sopra tutti questi dispotismi, quello della sciabola. Che cosa è dunque una società che scuote il giogo dello Spirito Santo? Testimoni non sospetti, gli stessi pagani rispondono: « È una quantità di bestiame sopra un mercato, sempre pronto a vendersi al migliore offerente. » [Parole di Giugurta, in Sallustio].

Più che la storia antica, la storia moderna non dà loro neppur l’ombra di una smentita. Come è egli trattato il bestiame umano? Come se lo merita. satana, a cui si dà, abbandonando lo Spirito Santo, gli manda dei padroni fatti di sua mano. Nerone, Eliogabalo, Diocleziano e tanti altri, s’incaricano di far gustare all’uomo emancipato le dolcezze della libertà, della quale gode la Città del male. Per un ricambio di misericordiosa giustizia, Iddio medesimo permette l’esaltazione di queste tigri coronate. A questo proposito la storia riferisce un fatto che dà da riflettere. Siccome i popoli hanno sempre il governo che essi si meritano, una crudele bestia, chiamata Foca, erasi assisa sul trono imperiale di Roma. Per suo ordine il sangue scorreva a torrenti; e la bestia lo beveva come una delizia. Un solitario della Tebaide, stomacato più che afflitto di un tale spettacolo, si rivolge a Dio e gli dice: “Perché, o mio Dio, l’avete fatto voi imperatore?” E Dio gli risponde: “Perché non ne ho trovato uno più malvagio”.

Cosi, conservare la libertà con tutte le sue glorie, tale è per l’umanità il primo vantaggio del suo soggiorno nella Città del bene; il perdere questo tesoro e trovare la schiavitù, tale è, se essa osa varcarne il recinto, il suo primo castigo.

La vergogna. — Di libero diventare volontariamente schiavo è un’onta. D’uomo diventar bestia è ancora una maggiore. Quest’onta inevitabile è il secondo baluardo, di cui lo Spirito Santo circonda la Città del bene per impedir all’uomo di uscirne.

Indiarsi [divenir Dio -n.d.r.-], o farsi bestia: ecco i due poli opposti del mondo morale. 0 Dio, o bestia; tal’è la suprema alternativa in cui si trova posto l’uomo quaggiù. La ragione è ch’egli è obbligato a vivere sotto l’impero del Re della Città del bene, o sotto l’impero del Re della Città del male. Ora, e l’uno e l’altro di questi Re fa i suoi sudditi ad immagine sua: Iddio, lo Spirito Santo, li fa dii: Satana bestia, li fa bestie. La città del bene è una grande fabbrica di Dei, e la Città del male una grande fabbrica di bestie. «Ciascuno di noi, dice sant’Agostino, è come il suo amore. Se ami la terra, tu sarai terra: se ami Dio, tu sarai dio. »

« Restate con me, dice lo Spirito Santo, ed Io vi faccio figli di Dio, Dii veri, Dii per l’essere divino che vi comunico: Dii per la verità dei vostri pensieri; Dii per la nobiltà dei vostri sentimenti; Dii per la santità della vostra vita; Dii per l’indomita potenza della vostra volontà contro il male, armato di sofismi, di promesse o di minacce; Dii pel diritto all’eredità eterna di Dio, vostro Creatore e vostro Padre.»

Lo Spirito Santo ha mantenuta la parola. Vedete ciò che sono diventati gli Angeli docili alla sua voce. Risplendenti di gloria, inondati di voluttà, dotati di tutti gli attributi divini, l’intelligenza, la forza, la bontà; essi si avvicinano a Dio, quanto il finito può avvicinarsi all’infinito. Vedete l’umanità cristiana nei suoi veri rappresentanti, gli Apostoli, i martiri, le vergini, quelle legioni di santi e di sante, divinamente generati da diciotto secoli e più oltre, su tutti i punti del globo. A quale altezza essi innalzano l’umanità cristiana al disopra dell’umanità pagana, al disopra dell’umanità che cessa d’essere cristiana!

Che cosa sarà se voi contemplate questa deificazione nel suo complemento, cioè dire negli splendori dell’eternità? Qui è che la parola, spirando sulle labbra, non può più fare udire se non che l’espressione della sua impressione: « No, l’occhio dell’uomo non ha punto visto, né il suo orecchio ha punto inteso, e ancor meno il suo cuore il quale, per quanto vasto egli sia, non può comprendere ciò che Dio riserba a coloro, che sono divenuti per l’amore, suoi figli e suoi eredi. »

Dal canto suo, il principe della Città del male travaglia con accanimento all’opera contraria. Allorché attira a sè un uomo, lo piglia nelle sue granfie, gli acceca lo spirito, gli corrompe il cuore, lo inebria co’ suoi veleni e lo trasforma in bestia. Considerate piuttosto, che la bestia fa tutto quel che fa l’uomo, eccetto una cosa. La bestia mangia, beve, dorme, digerisce, cammina, corre, vola, nuota, fabbrica, calcola, parla, scrive, canta, viaggia, prevede, accumula, esercita tutte le arti della pace e della guerra. In tutto questo, essa è uguale all’uomo, talvolta superiore. Ma vi è una cosa che la bestia non fa, che non può fare, né farà giammai, e che la lascia a una distanza infinita al di sotto dell’uomo: la preghiera. L’ uomo prega; la bestia non prega.

L’uomo adora, la bestia non adora, cioè dire, in altri termini, che l’uomo e la bestia, in una sola cosa diversificano: nella religione.

Ora, il primo effetto dell’azione satanica sull’uomo è di farlo arrossire della religione; e ne arrossisce! La religione ha due grandi manifestazioni, la preghiera e l’amore. La preghiera è talmente il segno distintivo dell’uomo, che i pagani l’hanno definito un animale che prega: animal religiosum. Lo stesso Nostro Signore definisce il cristiano: un uomo che prega sempre : oportet semper orare et numquam deficere. Cosi quando l’uomo cessa di pregare, si avvicina alla bestia. Se egli non prega punto, diventa affatto bestia. Non siamo noi che lo diciamo, è la stessa verità che si esprime per bocca di san Paolo, uomo animale, animalis homo.

Ora è cosa nota che il primo atto dell’ uomo diventato cittadino della Città del male, si è di rinunziare alla preghiera. Un esempio tra mille. Se havvi nella vita ordinaria una circostanza in cui la preghiera sia sacra, è l’ora solenne del cibo. Noi diciamo solenne, perché il pasto è un’azione profondamente misteriosa. Mangiando, l’uomo comunica, comunica con le creature e nel modo più intimo, poiché ei le trasforma nella sua propria sostanza. Ora tutte le creature sono viziate dallo Spirito del male, a cui esse servono di veicoli, per introdursi nell’uomo e comunicargli i suoi veleni. Questa assimilazione separata dalla preghiera che gli purifica cacciando il demonio, è evidentemente piena di pericoli.

Così l’ha compreso l’umanità tutta quanta. Di qui, quel fatto altrimenti inesplicabile che tutti i popoli, anche pagani, hanno pregato prima di mangiare. Il fatto essendo universale, ha dunque una causa universale. Una causa universale è una legge. Pregare prima di mangiare è dunque una legge dell’umanità. Il disprezzo orgoglioso, il sorriso imbecille non vi fanno niente. Rimarrà sempre il non conoscere nella natura che due specie di esseri che mangiano senza pregare: le bestie, e quelli che assomigliano ad esse.

Diciamo che assomigliano ad esse, imperocché si può sfidare non solamente tutti gli sprezzatori del Benedicite, che è poco, ma tutti i naturalisti del mondo a trovare la differenza tra l’uomo che mangia senza pregare, e un cane o un porco. Assimilarsi alle bestie in una circostanza in cui tutti i popoli anche pagani, hanno sentita la necessità di distinguersi da loro; ecco quel che fanno! E perché lo fanno, si tengono per grandi genii. È bisogna venire al tempo nostro di grossolano materialismo, per incontrare uomini che si crederebbero disonorati, se due volte al giorno essi non si assimilassero ostensibilmente all’asino ed al coccodrillo.

“Homo cum in honore esset, non intellexit : comparatus est jumentis insipientibus et similis factus est illis”. (Ps. XLVIII)

Un secondo segnale della religione è l’amore. Lo Spirito Santo essendo carità, dell’anima in cui risiede forma la carità vivente. Il segno distintivo della carità è l’oblio di se medesimo, per Iddio e per gli altri; l’oblìo del corpo a profitto dell’anima, l’oblio portato sino al sacrifizio. Appena che l’uomo entra nella Città del male, subito sparisce la carità, e gli succede l’egoismo. L’uomo si ricorda di sé, e nient’altro che di sé. Invece di andare da sé verso gli altri, va dagli altri verso di sé. L’egoismo non sa che una parola sola, ma la sa a maraviglia: l’io. L’io in tutto ; l’io dappertutto: l’io sempre. Dopo di me, Iddio e i suoi ordini; dopo di me, gli altri e i loro bisogni e i loro desideri; dopo di me, nulla. Non basta; l’egoismo è il sacrifizio degli altri per sé. Innocenza, onore, fortuna, riposo, sanità, la stessa vita, non sono niente per lui, allorquando si tratta di soddisfare sé stesso.

Ma che cosa è il “me” dell’egoista? È forse la sua anima? nient’affatto: imperocché l’amore dell’anima è la carità: che cosa è dunque? È la parte inferiore del suo essere, è il corpo; e nello stesso corpo, la parte più infima. Al di fuori della fede, tutto il lavoro dell’uomo si riduce in ultima analisi alla vita corporea. Il bere ed il mangiare ne sono gli elementi. Cominciata per essi, sostenuta per essi, finisce per essi. Avere da bere e da mangiare, soddisfare le sue cupidigie, averle in abbondanza, assicurarsi d’averle sempre; ecco la prima e l’ultima parola dell’ egoismo. Il rimanente non è che un mezzo o un risultato. Ora il laboratorio della vita animale è il ventre. In fin dei conti la vita di ogni uomo si riferisce al ventre, poiché è divenuto suddito di colui che si chiama la Bestia, la Bestia per eccellenza, la Bestia in tutti i sensi. Quindi per definire queste immense e queste immonde mandrie di Epicuro, la parola a un tempo cosi energica e cosi giusta dell’Apostolo, che gli chiama: adoratori del Dio ventre: Quorum Deus venter est. Ciò che è vero dell’uomo e di taluni popoli, lo è stato dell’umanità medesima la vigilia del diluvio, e lo sarà ancor più verso la fine dei tempi. Questa vergognosa assimilazione dell’uomo alla bestia si svolge in tutte le sue conseguenze. Noi non ne citiamo che ima sola: cioè la stupidità o la perdita dell’intelligenza. La bestia è stupida, vale a dire che essa non capisce, né ammira. Essa non capisce; perché il capire è vedere l’idea nel fatto. Ponete un triangolo sotto gli occhi di un cane, ei vedrà un oggetto materiale, formato di tre lati eguali: ma l’idea del triangolo gli sfugge. Perché? Perché al di là del dominio dei sensi non vi è nulla per lui. La bestia non ammira. Per ammirare bisogna capire. Certo, all’asino produce la stessa impressione tanto la vista di un capolavoro, che la vista di un carciofo. La bestia dunque non comprende, né ammira. Cosi avviene all’uomo che diventa bestia. Caduto egli dalle altezze della fede non ha più altra intelligenza che quella della materia e della vita materiale. Cercate lo scopo finale delle sue speculazioni, dei suoi studi e delle sue scoperte, della sua politica, di tutto quel moto febbrile che lo trascina e lo consuma: che vi trovate voi? Il corpo ed i suoi appetiti. Luce, progresso, civiltà, qual’è il significato di tutte queste parole pompose? tradotte in prosa volgare significano; scienza di petardi, filosofia pirotecnica, amore di fuoco di stoppa, guarentigia e glorificazione di fuochi fatui. In altri termini, è il programma invariabile e l’eterno ritornello di tutti gli uomini e di tutti i popoli, beatificati dalla Bestia infernale. « Beviamo e mangiamo, poiché noi morremo domani. Quest’è la nostra beatitudine ed il nostro destino. Pane e piaceri: ecco tutto l’uomo.» Non mi date come prove dell’intelligenza dell’uomo animale, il modo abile con cui manipola la materia. La rondine, il baco da seta, l’ape che non hanno intendimento, la manipolano più abilmente di lui. Noi lo ripetiamo, l’intelligenza consiste nel leggere l’idea nel fatto, nel vedere la causa nel fenomeno : notate bene non quella causa immediata che riluce in qualche modo attraverso il fatto; ma la vera causa, la causa prima e lo scopo finale. Ora tutto ciò non è conosciuto che nella Città del bene.

A colui che abita la Città del principe delle tenebre, parlate del mondo delle cause, del mondo di Dio e degli Angeli, vero dominio dell’intelligenza: tutte queste realtà sono per lui tante astrazioni o chimere; egli è uno stupido.città male

Che cosa sarà se voi gli segnalate l’intervento permanente, universale, inevitabile e decisivo del mondo inferiore? Le sue labbra sorrideranno di disprezzo; egli è uno stupido.

Discendete da queste elevatezze: ditegli che egli ha un’anima immortale, creata a immagine di Dio, redenta dal sangue di un Dio, destinata ad una felicità o a una infelicità eterna; aggiungete che l’unica faccenda dell’uomo essendo il salvarla, occuparsi di tutte le altre, eccetto che di questa, è uno scacciare le mosche e tessere delle tele di ragno; egli sbadiglia o dorme; è stupido.

Tentate di dispiegare dinanzi ai suoi occhi le meraviglie della grazia, tutti quei capolavori di potenza, di sapienza e di amore che hanno esaurita l’ammirazione dei più grandi genii, voi gli parlate una lingua di cui non capisce una parola; è uno stupido.

Sermoni, libri di pietà o di filosofia cristiana, conferenze religiose, feste solenni le quali, con i più augusti misteri, descrivono allo spirito ed al cuore i più grandi benefìzi del cielo, come i più grandi avvenimenti della terra; insomma tutto ciò che attiene al mondo soprannaturale, lo annoia; egli non comprende nulla, non sa nulla; è uno stupido.

Ma parlategli di danaro, di commercio, di vapore, di elettricità, di macchine, di carbon fossile, di cotone, di barbabietole, di bestiame, di praterie, d’ingrassi, di produzione e di consumo, egli diventa tutt’occhi e tutt’orecchi. Voi toccate la questione vitale della sua filosofia, la questione della marmitta: non ne conosce altra.

« L’uomo, dice il Profeta, dimenticando da sua dignità, si è tenuto bestia senza intelligenza, ed è diventato simile a lei.»

A fine di proteggere la pace e la vita de’ suoi sudditi contro gli assalti del nemico, lo Spirito Santo circonda la sua Città di un terzo baluardo più solido dei primi. Se l’uomo, chiunque si sia, osa dire al Re della Città del bene: Io non voglio più obbedirvi, “non serviam”; all’istante, di libero diventa schiavo, e cammina verso l’abbrutimento. Trascinato per tutte le degradazioni intellettuali e morali, incomincia per esso sino da questa vita l’inferno, che l’aspetta nell’altra. Tal’è, noi lo abbiamo visto, la sorte inevitabilmente riserbata all’individuo. Se la ribellione contro lo Spirito Santo diviene contagiosa sino al punto, che nel suo insieme, un popolo, o lo stesso genere umano, non sia più che un grande insorto, allora il delitto, traboccando da tutte le parti, attira a sé dei castighi eccezionali. Ogni legge reca seco una sanzione. Ogni legge avendo per soggetto l’uomo, composto di un corpo e di un’anima, è una spada a doppio taglio, che colpisce il prevaricatore nelle due parti del suo essere. Pigliate una qualunque legge divina o ecclesiastica che vi piaccia, se voi cercate bene, tenete per certo di trovare senza pregiudizio della sanzione morale, una ricompensa e una punizione temporale, unita all’osservanza o alla violazione di questa legge.

Lasciando da parte i flagelli particolari, rilegga l’umanità i suoi annali storici e profetici. Tre grandi catastrofi vi sono registrate. La prima è il diluvio, o la rovina del mondo antidiluviano. Quale fu la cagione di questo cataclisma nel quale perì, eccetto otto persone, tutta intera la stirpe umana ? Colui che con la sua mano ruppe le dighe del mare ed aprì le cateratte del cielo, ce la rivela in due parole: « Il mio Spirito, dice il Signore, non resterà più a lungo nell’uomo, imperocché l’uomo è diventato carne ». Questa terribile sentenza si traduce in tal modo: « A malgrado di tutti i miei avvertimenti, l’uomo ha scosso il giogo del mio spirito, spirito di luce e di virtù; ei s’è reso schiavo dello Spirito di tenebre e di malizia. Il mondo soprannaturale, la sua anima, Io stesso, non siamo più nulla per lui. Del suo corpo ha fatto il suo Dio, è divenuto carne. Come creatura colpevole e degradata, è indegna del benefizio della vita; ei perirà. » Ed al diluvio di delitti succedette il diluvio d’acqua che portò via tutti.

Una seconda catastrofe, non meno famosa della prima, è la rovina del mondo pagano. Dimenticando l’uomo la terribile lezione che aveva ricevuta, di nuovo si era sottratto all’azione dello Spirito Santo. Datosi corpo e anima allo Spirito malvagio, era venuto a riconoscerlo quasi universalmente per suo re e per suo Dio. Sotto mille nomi diversi, egli lo adorava in tanti milioni di templi da un capo all’altro del mondo: tante adorazioni, tanti, sacrilegi, crudeltà e infamie. Siccome l’uomo innanzi al diluvio, era ridivenuto carne, così al soffio dei barbari, disparve il mondo pagano sotto un diluvio di sangue.

   Una terza catastrofe, più terribile e non meno certa delle precedenti, è la rovina del mondo apostata del cristianesimo, mediante il diluvio di fuoco che porrà fine all’esistenza della specie umana sul globo. Conculcando i meriti del Calvario e i benefizi del Cenacolo, il mondo degli ultimi giorni si costituirà in piena ribellione contro lo Spirito del bene. Schiavo più che mai dello Spirito del male, ei si abbandonerà con un cinismo sconosciuto a tutti i generi d’iniquità. Tale sarà il numero dei disertori, che la Città del bene sarà quasi deserta, mentre la Città del male piglierà proporzioni colossali. Una terza volta l’uomo sarà divenuto carne. Lo Spirito del Signore si ritirerà per non più ritornare; e un diluvio di fuoco arderà la terra, mille volte più colpevole poiché sarà mille volte più ingrata della terra dei pagani e dei giganti.

La schiavitù, l’onta, il castigo: tale è dunque il triplice baluardo che l’uomo dee varcare per uscire dalla Città del bene. A questi mezzi esteriori, se si aggiungono gli aiuti ed i benefizi di ogni genere, prodigati agli abitanti di questa felice Città, non siamo noi in diritto di concludere che nessuno vorrà abbandonarla? Se la esperienza confermi il ragionamento, ce lo insegnerà ora la storia.