LO STATO DI NECESSITA’ PRESUNTO DEI FALSI TRADIZIONALISTI

Dal Vangelo odierno [martedì dopo Pentecoste]:

“In illo témpore: Dixit Iesus pharisaeis: Amen, amen, dico vobis: qui non intrat per óstium in ovíle óvium, sed ascéndit aliúnde, ille fur est et latro. Qui autem intrat per óstium, pastor est óvium. Huic ostiárius áperit, et oves vocem eius áudiunt, et próprias oves vocat nominátim et e ducit eas. Et cum próprias oves emíserit, ante eas vadit: et oves illum sequúntur, quia sciunt vocem eius. Aliénum autem non sequúntur, sed fúgiunt ab eo; quia non novérunt vocem alienórum. Hoc provérbium dixit eis Iesus. Illi autem non cognovérunt, quid loquerétur eis. Dixit ergo eis íterum Iesus: Amen, amen, dico vobis, quia ego sum óstium óvium. Omnes, quotquot venérunt, fures sunt et latrónes, et non audiérunt eos oves. Ego sum. óstium. Per me si quis introíerit, salvábitur: et ingrediétur et egrediátur et páscua invéniet. Fur non venit, nisi ut furétur et mactet et perdat. Ego veni, ut vitam hábeant et abundántius hábeant.” [Ioannes X:1-10]

Omelia di sant’Agostino Vescovo

[Trattato 45 su Giovanni, dopo il principio.]– Che dirò dei Giudei? Ecco gli stessi farisei leggevano, e in ciò che leggevano celebravano il Cristo, ne speravano la venuta, e non lo riconoscevano punto, sebbene fosse presente. Si vantavano ancora d’essere del numero dei Veggenti, cioè, dei sapienti, e negavano il Cristo, e non entravano per la porta. Anch’essi per conseguenza, se riuscivano a sedurne alcuni, li attiravano non per liberarli, ma per ammazzarli e ucciderli. Ma lasciamo anche questi. Vediamo se almeno entrano per la porta coloro che si gloriano del nome dello stesso Cristo. Sono innumerevoli coloro che non solo si spacciano per Veggenti, ma vogliono essere considerati come illuminati da Cristo: e questi sono gli eretici…  [ … Videamus illos, si forte ipsi intrant per ostium, qui ipsius Christi nomine gloriantur. Innumerabiles enim sunt, qui se Videntes non solum iactant, sed a Christo illuminatos videri volunt: sunt autem haeretici.].

… a proposito dello stato di necessità e delle consacrazioni abusive (ed invalide) invocato dai finti (pseudo)tradizionalisti falsi preti spuntati dalla radice velenosa del 30° Liennart e del suo “figlioccio” spirituale!

 Tutti i trasgressori della legge del mandato papale, sono ladri e briganti!

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Papa Pio XII, in “Ad Apostolorum Principis” (29 giugno 1958)

ha “Infallibilmente”

condannato le “consacrazioni” episcopali senza Mandato papale.

“Ci sarà una generale defezione dalla Chiesa verso la fine del mondo, soprattutto per quanto riguarda la sua obbedienza.” (Profezia di Richard Rolle di Hample, d. 1349)

(Nota: quanto segue è estratto dall’enciclica di Pio XII, “Ad Apostolorum Principis” . Le Encicliche papali sono parte di ciò che costituisce il Magistero ordinario della Chiesa e quindi sono infallibili, irreformabili e vincolanti per tutti in eterno.)

I Vescovi illegittimi distruggono l’unità dell’obbedienza e della disciplina!

“… Abbiamo nuovamente fatto riferimento a questo insegnamento quando abbiamo poi rivolto a voi la lettera “Ad Sinarum Gentem.,” in cui abbiamo detto: “la potestà di giurisdizione, che al sommo Pontefice viene conferita direttamente per diritto divino, proviene ai Vescovi dal medesimo diritto, ma “soltanto” mediante il successore di San Pietro, al quale non solo i fedeli, ma anche tutti i vescovi sono tenuti ad essere costantemente soggetti, e legati con l’ossequio dell’obbedienza e con il vincolo dell’unità ” (Enciclica”Ad Sinarum Gente,”7 ottobre 1954.). […]

Tornano al proposito quanto mai ammonitrici le parole del divino Maestro: “Colui che non entra nell’ovile per la Porta, ma vi sale per altra parte, è ladro e brigante”(Giovanni X,1.); le pecorelle riconoscono la voce del loro vero pastore e lo seguono docilmente, “ma uno sconosciuto non lo seguiranno, anzi fuggono da lui: perché non conoscono la voce degli estranei” (Giovanni X, 4-5.).

… Sappiamo bene che, purtroppo, per legittimare le loro usurpazioni, i ribelli si richiamano alla prassi seguita in altri secoli, ma tutti vedono che cosa mai diventerebbe la disciplina ecclesiastica se, in una questione o nell’altra, fosse lecito a chiunque di rifarsi a disposizioni che non sono più in vigore, in quanto la suprema autorità ha, da diverso tempo, disposto altrimenti. Anzi, proprio il fatto di appellarsi ad una diversa disciplina, lungi dallo scusare l’operato di costoro, è prova della loro intenzione di sottrarsi deliberatamente alla disciplina che vige e che devono seguire: disciplina che vale non solo per la Cina e per i territori di recente evangelizzazione, ma per tutta le Chiesa; disciplina che è stata sancita in virtù di quella universale e suprema potestà di pascere, di reggere e di governare, che fu conferita da nostro Signore ai successori dell’Apostolo Pietro. […] Per quanto vi abbiamo esposto consegue che nessun’altra autorità, che non sia quella del supremo Pastore, può revocare l’istituzione canonica data ad un Vescovo; nessuna persona o assemblea, sia di sacerdoti che di laici, può arrogarsi il diritto di nominare vescovi; nessuno può conferire legittimamente la Consacrazione episcopale se prima non sia certa l’esistenza dell’apposito mandato apostolico [can. 953]. Sicché, per una siffatta consacrazione abusiva, la quale è un gravissimo attentato alla stessa unità della chiesa, è stabilita la scomunica riservata in modo specialissimo alla sede apostolica, in cui automaticamente incorre non solo chi riceve l’arbitraria consacrazione, ma anche chi la conferisce.

Proponiamo qualche altro stralcio dell’Enciclica del Santo Padre: … che vescovi non nominati né confermati dalla Santa Sede, e anzi scelti e consacrati contro le esplicite disposizioni di essa, non possono godere di alcun potere né di magistero né di giurisdizione; perché la giurisdizione viene ai vescovi unicamente attraverso il romano Pontefice, come già avemmo occasione di ricordare nella lettera enciclica Mystici corporis: «I vescovi … in quanto riguarda la loro diocesi, sono veri pastori che guidano e reggono in nome di Cristo il gregge assegnato a ciascuno. Mentre fanno ciò, non sono del tutto indipendenti, perché sono sottoposti alla debita autorità del romano pontefice, pur fruendo dell’ordinaria potestà di giurisdizione che è comunicata loro direttamente dallo stesso sommo pontefice». Dottrina che avemmo occasione di richiamare ancora nella lettera Ad Sinarum gentem a voi successivamente diretta: «La potestà di giurisdizione, che al sommo Pontefice viene conferita direttamente per diritto divino, proviene ai Vescovi dal medesimo diritto, ma soltanto mediante il successore di san Pietro, al quale non solamente i semplici fedeli, ma anche tutti i Vescovi devono costantemente essere soggetti e legati con l’ossequio dell’obbedienza e con il vincolo dell’unità». (…) … E gli atti della potestà di ordine, posti da tali ecclesiastici, anche se validi – supposto che sia stata valida la consacrazione loro conferita – sono gravemente illeciti, cioè peccaminosi e sacrileghi. Tornano al proposito quanto mai ammonitrici le parole del divino Maestro: «Chi non entra nell’ovile per la porta, ma vi sale per altra parte, è ladro e brigante» (Gv 10,1); le pecorelle riconoscono la voce del loro vero pastore, e lo seguono docilmente, «ma non vanno dietro a un estraneo, anzi fuggono da lui: perché non conoscono la voce degli estranei» (Gv 10,5). (…) … quando vorrebbero giustificarsi invocando la necessità di provvedere alla cura delle anime nelle diocesi prive della presenza del loro vescovo?

È evidente, anzitutto, che non si provvede ai bisogni spirituali dei fedeli con la violazione delle leggi della chiesa [… Liquet imprimis spirituali commodo christifidelium nequaquam consuli, si leges Ecclesiae violantur] (…) … nessuna persona o assemblea, sia di sacerdoti sia di laici, può arrogarsi il diritto di nominare vescovi; nessuno può conferire legittimamente la consacrazione episcopale se prima non sia certa l’esistenza dell’apposito Mandato apostolico. Sicché, per una siffatta consacrazione abusiva, la quale è un gravissimo attentato alla stessa unità della chiesa, è stabilita la scomunica riservata in modo specialissimo alla sede apostolica, in cui automaticamente incorre non solo chi riceve l’arbitraria consacrazione, ma anche chi la conferisce!

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Teniamoci allora ben lontani da briganti e ladri, additandoli come tali alle “pecorelle ingannate”, restando ben saldi nella fede Apostolica e radicati nel solenne ed inviolabile MAGISTERO della CHIESA CATTOLICA, …  costi quel che costi!

Prove dirette della divinità dello Spirito Santo.

Prove dirette della divinità dello Spirito Santo.

[mons J.-J. Gaume: Tratt. dello Spirito Santo, vol. II, cap. III e IV]

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    La prima cosa a sapersi dello Spirito Santo si è che Egli è Dio come il Figliuolo e il Padre: che ha la stessa natura, la stessa divinità, le stesse perfezioni: che è eterno com’Essi, onnipotente, infinitamente sapiente, e infinitamente buono; degno come loro della fiducia e dell’amore, delle adorazioni, delle preghiere e delle lodi del cielo e della terra, degli Angeli e degli uomini. Ecco tutto ciò che noi professiamo, dicendo: Io credo nello Spirito Santo: Credo in Spiritum Sanctum.  Ora nei libri sacri, dalla Genesi sino all’Apocalisse: quell’insegnamento non interrotto per diciotto secoli, dei Padri della Chiesa e della Chiesa medesima, la divinità dello Spirito Santo non brilla con minore splendore che la divinità del Figliuolo e del Padre. La prova é nelle testimonianze citate sin qui in favore del domma della Trinità. Noi potremmo starcene a questo, imperocché niente è meglio fondato della nostra fede sulla divinità dello Spirito Santo. Con tutto ciò rechiamo alcune prove dirette di questa verità fondamentale. Esse si presentano numerosissime nei nomi che la Scrittura dà allo Spirito Santo; negli attributi che essa Gli riconosce; nella tradizione dei Padri e nella dottrina della Chiesa.

Questi nomi ci offrono due generi di prove della divinità dello Spirito Santo: una negativa, e le altre positive. La prima risulta da questo fatto perentorio, che nelle scritture dell’antico e nuovo Testamento, lo Spirito Santo non è appellato mai creatura. Però noi troviamo nei profeti e negli Apostoli, la luminosa enumerazione delle principali creature del cielo e della terra. David ce la dà parecchie volte nei salmi. Daniele la ripete magnificamente nel cantico dei tre fanciulli di Babilonia. Fra tutti i capi d’opera della potenza créatrice, non si fa nessuna menzione dello Spirito Santo. Paolo, rapito sino al terzo cielo, ha visto le gerarchie angeliche: egli nomina gli ordini che le compongono, ciascuno pel suo nome. Il suo aspetto, irradiato dalla luce dello stesso Dio, non ha scoperto lo Spirito Santo. In nessun luogo Lo nomina tra le creature: il che pertanto non avrebbe egli mancato di fare, se lo Spirito Santo non era Dio. Difatti, il suo sublime censimento delle angeliche creazioni ha per iscopo di mostrare che tutto ciò che non è Dio, é al disotto del Verbo incarnato. Non solamente ei non nomina mai lo Spirito Santo tra le creature, ma sempre ei Lo pone nella stessa linea del Padre e del Figliuolo e Lo nomina con Essi.

Veniamo adesso alle prove positive. Nell’Antico Testamento il nome di Jehovah, e nel Nuovo il nome di Dio senza modificazione é, come ognun sa, il nome incomunicabile di Dio. Ora questo doppio nome è dato costantemente allo Spirito Santo. Nel secondo libro dei Re, Davide dice: «Lo Spirito di Jehovah ha parlato per me, e il suo discorso è uscito dalle mie labbra. » [Spiritus Domini (hebraice Jehovah) locutus est per me, et sermo ejus per linguam meam. II Reg. XXIII, 2.] Qual’è questo Spirito? Il seguente versetto tosto ce lo insegna: « Il Dio d’Israele mi ha detto: Il Forte d’Israello ha parlato. » [Dixit Deus Israel mihi : Locutus est Fortis Israel. Id., 8.]. Donde si vede che lo Spirito di Jehovah è Jehovah medesimo, il Forte, il Dio d’Israele. Isaia alla volta sua così si esprime: « E il Signore degli eserciti (Jehovah) ha detto: Va’ e di’ a quel popolo: Voi ascolterete attentamente, e non vorrete intendere » [Et dixit Dominus exercituum (hebraice Jehovah): Vade, et dices populo huic : Audite audientes, et nolite intelligere. Is., VI, 9.]. Qual è questo Dio, questo Jehovah degli eserciti? Lo Spirito Santo, risponde san Paolo. Nella sua prigione di Roma, parlando agli Ebrei increduli accorsi ad udirlo, ricorda questo testo d’Isaia e dice loro: « Lo Spirito Santo ha avuto ragione di dire per bocca d’Isaia: Va e di’ a questo popolo: Voi ascolterete con attenzione ma non vorrete capire.» [Bene Spiritus sanctus locutus est per Isaiam: Vade, et dices populo huic: Audite audientes, et nolite intelligere. Act. XXVIII, 25]. Ivi ancora quegli che Isaia chiama il Signore degli eserciti, Jehovah, il Dio d’Israele, il vero Dio, in una parola: l’Apostolo ci dice che è lo Spirito Santo. Poteva egli insegnare con più chiarezza la divinità della terza Persona dell’Augusta Trinità? Non è solamente in Isaia, ma in tutti i libri dell’Antico e del Nuovo Testamento è detto che Dio ha parlato per mezzo dei profeti. Per non citarne che due esempi: nel principio del suo Vangelo san Luca si esprime in questi termini : « Come il Dio d’Israele lo ha detto per bocca dei suoi santi profeti nel succeder dei secoli. » [Sicut locutus est per os sanctorum, qui a saeculo sunt, prophetarum ejus. Luc., I, 70]. E san Paolo scrivendo agli Ebrei: « In antico Iddio ha parlato ai nostri padri per mezzo dei profeti. » [Olim Deus loquens patribus in prophetis. Hebr., I, 1]. Ebbene, questo Dio ispiratore dei profeti è ancora lo Spirito Santo. Noi non possiamo esserne più assicurati se non per la testimonianza di san Pietro medesimo. Ecco le sue parole : « Bisogna che la Scrittura sia compiuta, come lo Spirito Santo l’ha predetto per bocca di David. » [Oportet implori scripturam, quam praedixit Spiritus sanctus per os David. Act, I, 11]. E altrove : « È per ispirazione dello Spirito Santo che hanno parlato i santi uomini di Dio.1 » [Spiritu sancto inspirati locuti sunt sancti Dei homines. II Petr., I, 21.]. Di qui dunque quel ragionamento tanto semplice quanto concludente: Colui che ha parlato mediante i profeti è il vero Dio. Ora è lo Spirito Santo che ha parlato per i profeti. Lo Spirito Santo è dunque Dio, vero Dio, come il Padre ed il Figliuolo. Di più, siccome la Scrittura distingue lo Spirito Santo dal Padre e dal Figliuolo, ne risulta chiaramente che lo Spirito Santo è una Persona distinta dal Figliuolo e dal Padre.

In una circostanza memorabile lo stesso Apostolo proclama con splendore non minore la divinità dello Spirito Santo. Anania inganna sul prezzo del suo campo; all’inganno aggiunge una pubblica menzogna, ed in presenza di tutta la Chiesa di Gerusalemme, Pietro gli dice : « Perché Satana ha egli tentato il tuo cuore sino a farti mentire allo Spirito Santo? non hai mentito soltanto agli uomini ma a Dio. >> [Dixit autem Petrus : Anania, cur tentavit Satanas cor tuum, mentiri te Spiiitui sancto et fraudare de pretio agri?…. Non es mentitus hominibus sed Deo. Act, V, 3, 4.]. Anania ha mentito allo Spirito Santo. Pietro svela la sua colpa e gli dice: Mentendo allo Spirito Santo, non agli uomini, né ad una semplice creatura tu hai mentito, ma a Dio stesso.

Spirito Santo

   Dunque lo Spirito Santo è Dio. La conseguenza è logica e la conclusione inappuntabile. Per gli attributi, lo stesso ragionamento che per i nomi. È Dio quegli al Quale si convengono tutti gli attributi di Dio: ora tutti gli attributi di Dio convengono allo Spirito Santo. I grandi attributi di Dio sono : l’eternità, l’immensità, l’intelligenza infinita, l’onnipotenza; e lo Spirito Santo gli possiede tutti.

L’eternità. È eterno Colui il quale ha preceduti tutti i tempi: ed ha preceduti tutti i tempi, Colui che nel creare l’uomo, ha creato il tempo medesimo. Ora lo Spirito Santo ha creato il mondo di concerto col Padre e col Figliuolo. Nel Principio, Dio creò il cielo e la terra, e lo Spirito di Dio era portato sulle acque.

L’immensità. È immenso Quegli il quale abbraccia tutti i luoghi e che gli riempie, sino al punto che niuno può sottrarsi alla sua presenza. « Lo Spirito del Signore riempie il globo. [Spiritus Donimi replevit orbem terrarum. Sap.I, 7.]. Dove andrò io lontano dal vostro Spirito? Dove fuggirò lontano dalla vostra faccia? Se io monto in cielo, Voi vi siete; se io scendo nell’inferno, vi siete pure; se io piglio le ali dell’aurora e mi trasporto al di là degli oceani, è la vostra mano che mi vi condurrà e mi tenete alla vostra diritta. » [Quo ibo a Spiritu tuo et quo a facie tua fugiam? Si ascendero in coelum, tu illio es; si descendero in infemum, ades. Si sumpsero pennas meas diluculo et habitavero in extremis maris, etenim illuc manus tua deducet me et tenebit me dextera tua. Psalm. CXXXVIII, 7-10].

L’intelligenza infinita. Egli vede tutto, conosce tutto, sa tutto, Quegli pel quale il cielo e la terra non hanno nessun segreto; che penetra sin nelle loro profondità i misteri dello stesso Dio: che abbraccia la verità, tutta la verità nel passato, nel presente, nell’avvenire, e che n’è il dottore infallibile. Tal’é lo Spirito Santo. Parlando delle meraviglie della celeste Gerusalemme, san Paolo dice: « L’occhio non ha punto visto, l’orecchio non ha punto udito e il cuore dell’uomo non ha mai compreso ciò che Dio prepara a quelli che L’amano; ma per noi Iddio ce l’ha rivelato per mezzo del suo Spirito, poiché questo Spirito penetra ogni cosa, anche le profondità di Dio. Chi conosce tra gli uomini ciò che è nell’uomo, se non lo spirito dell’uomo che è in lui? Parimente, nessuno conosce ciò che è un Dio, se non lo Spirito di Dio…. [I Cor. II, 9-11] ». E san Giovanni : « Il consolatore, lo Spirito Santo, che mio Padre manderà in mio nome, vi insegnerà tutte le cose, vi rammenterà tutto ciò che Io vi ho detto e vi annunzierà tutto quello che deve accadere.». [Joan.XIV, 26, e XV, 13] Questi testi così chiari furono le armi vittoriose, di cui sant’Ambrogio e gli antichi Padri si servirono per confondere il negatore della divinità dello Spirito Santo, l’empio Macedonio.

L’onnipotenza. È onnipotente colui che fa uscire l’essere, dal nulla, con un sogno della sua volontà e per cui tutte le opere denotano una potenza infinita. Tale è ancora lo Spirito Santo. « I cieli, dicono i profeti, sono stati creati dal Verbo del Signore, e la loro costante armonia dallo spirito della sua bocca; imperocché lo Spirito della sapienza creatrice è onnipotente,» [Verbo Domini coeli firmati sunt, et Spiritu oris ejus omnis virtus eorum. Ps. XXXII, 6. — Omnium enim artifex.docuit me sapientia… est enim in illa Spiritus… omnem habens virtutem. Sap., VII, 21-23].

Le opere. Noi non faremo che sfiorare quest’ampio soggetto, poiché dobbiamo trattarne minutamente nel seguito dell’opera nostra. Le opere di Dio sono di due sorte, le opere della natura e le opere della grazia. Ora tutte queste opere sono attribuite allo Spirito Santo, come al Figliuolo ed al Padre. Nell’ordine naturale la creazione dell’uomo e del mondo; noi l’abbiamo già visto per le testimonianze dei libri santi. Aggiungiamo soltanto la parola cosi precisa del sant’uomo Giobbe: « È lo Spirito di Dio che mi ha creato : Spiritus Dei fecit me. » [XXXIII, 4]. Nell’ordine della grazia, la rigenerazione dell’uomo e del mondo. Il profeta ce l’insegna: «Voi manderete il vostro Spirito e tutto sarà creato, e rinnoverete la faccia della terra. [Ps. CIII, 30] » E con più chiarezza ancora il Maestro dei profeti: « Se qualcuno non rinasce dall’acqua e dallo Spirito Santo non può entrare nel regno di Dio. » [Jo. III, 5]. È la formula stessa della rigenerazione universale: « Andate dunque, istruite tutte le nazioni battezzandole nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo.  » Matth., XXVIII, 14]. Qual uguaglianza più perfetta!

« Oh, si, Spirito santificatore, esclama Bossuet, voi siete eguale al Padre ed al Figliuolo, poiché noi siamo del pari consacrati nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo; chè voi avete con essi uno stesso tempio che è l’anima nostra, il nostro corpo, e tutto ciò che noi siamo. Nulla d’ineguale né di estraneo al Padre ed al Figliuolo, deve essere nominato con essi in eguaglianza. Io non voglio essere battezzato nè consacrato in nome di un conservo, né voglio essere il tempio di una creatura, chè sarebbe una idolatria il fabbricarle un tempio, e con maggior ragione l’essere e il credersi sé medesimo il proprio tempio ». [Elev. sopra i mist., II Serm., Elev. 5.].

La tradizione. Essa si è espressa mediante la voce dei Padri e dei dottori. Non meno precisa di quella della Scrittura, la sua parola ha attraversato i secoli, di continuo riprodotta da nuovi organi. La vediamo altresì immobilizzata in tanti monumenti che risalgono sino alla culla del cristianesimo. Gli echi dell’Oriente e dell’Occidente ripetevano ancora gli ultimi accenti della voce degli apostoli; san Giovanni era appena sceso nella tomba, quando comparvero i primi apologisti cristiani. Relativamente a san Basilio, il papa san Clemente, terzo successore di San Pietro, martirizzato verso l’anno 100, aveva l’usanza di fare questa preghiera: Vìva Dio e il nostro Signor Gesti Cristo e lo Spirito Santo, [Vivit Deus et Dominus Jesus Cristus et Spiritus sanctus – Lib, de Spir. sanct.XXIX, n. 72]. Nella sua eloquente Apologia presentata all’imperatore Antonino, verso 1’anno 120, san Giustino così si esprime: « Noi onoriamo e adoriamo in spirito e in verità il Padre e il Figliuolo e lo Spirito Santo. » [Hunc (Patrem) et qui ab eo venit … Filium et Spiritum sanctum colimus et adoramus, cum ratione et veritate venerantes. Apolog. 1, n. 6].  Ciò che san Giustino aveva detto a Roma, qualche anno più tardi sant’Ireneo l’ insegnava nelle Gallie: « Coloro che, dice, scuotono il giogo della legge e si lasciano adescare dai loro allettamenti, non avendo nessun desiderio dello Spirito Santo, l’apostolo gli chiama con ragione uomini di carne. [Eos vero, qui effrenes sunt, et feruntur ad suas concupiscenti as. nullum h.ab entes divini Spiritus desiderium, merito apostolus camales vocat. (Citato da san Basilio in prova della divinità dello Spirito Santo. Lib. de Spir. Sanct., c. XXIX, n. 72.)  All’istess’epoca Atenagora domandava : « Non è egli strano che siamo chiamati atei, noi che predichiamo Dio il Padre, il Figliuolo e lo Spirito Santo? » Quis non miretur, cum auclit nos, qui Deum patrem praedicàmus et Deum Filium et Spiritum sanctum…. atheos vocari- Legat. pro christian. n. 12 e 24]. Il suo contemporaneo, Eusebio di Palestina, per incoraggiarsi a parlare, diceva: « Invochiamo il Dio dei Profeti, autore della luce, mediante il nostro Salvatore Gesù Cristo con lo Spirito Santo.5 » [Loquitur enim in hunc modum, se ad dicendum excitans: Sanctum ProphetarumDeum, lucis auctorem, per Salvatorem nostrum Jesum Christum cum sancto Spiritu, invocante». Ap. Basii,, ibid.].

Sono scorsi appena venti anni e noi troviamo la testimonianza non più di un solo uomo, ma di tutta una Chiesa. L’anno 169, i fedeli di Smirne scrivono a quelli di Filadelfia la stupenda lettera nella quale raccontano che san Policarpo, loro vescovo e discepolo di san Giovanni, prossimo a soffrire il martirio, ha reso gloria a Dio in questi termini : « Padre del diletto e benedetto Figliuolo tuo, Gesù Cristo: ….O Dio degli Angeli e delle potenze, Dio di ogni creatura, io vi lodo, vi benedico, vi glorifico con Gesù Cristo vostro Figliuolo diletto, pontefice eterno, per cui gloria a Voi con lo Spirito Santo, adesso e nei secoli dei secoli. » [Pater dilecti et benedicti Ellii tui Jesu Christi…. Deus Angelorum et Potestatum, Deus totius creaturae..-.. Te laudo, te benedico, te glorifico per Jesum Christum dilectum Filium tuum, Pontifìcem aeternum, per quem tibi cum Spiritu sancto gloria nunc et in futura saecula saeculorum. Amen. Epist. Smym. Eccl., apud Baron an. 169]. Che la divinità dello Spirito Santo fosse un domma della fede cristiana, gli stessi pagani lo sapevano. Nel suo dialogo intitolato Philopatris. Luciano, uno dei più grandi nemici, introduce un cristiano che invita un catecumeno a giurare per il Dio sovrano, per il Figliuolo del Padre, per lo Spirito che ne procede, che fanno uno in tre e tre in uno, ciò che è il vero Dio.

Nel terzo secolo noi troviamo in Occidente, il terribile Tertulliano. Il suo libro De Trinìtate contro Praxea comincia cosi : « Praxea, procuratore del diavolo è venuto a Roma a fare due opere del suo maestro; egli ha cacciato il Paracleto e crocifìsso il Padre. La zizzania praxeana ha germogliato. Con l’aiuto di Dio la svelleremo; basta che noi opponiamo a Praxea il simbolo che ci viene dagli Apostoli. Noi crediamo dunque sempre, e ora più che mai, in un solo Dio, il quale ha inviato sulla terra il proprio Figliuolo, il quale alla sua volta è risalito a suo Padre, ha mandato lo Spirito Santo, santificatore della fede di coloro che credono al Padre, e al Figliuolo ed allo Spirito Santo. Benché essi sieno inseparabili, pur tuttavia altro è il Padre, altro il Figliuolo, altro lo Spirito Santo ».

Dall’Oriente ci viene la testimonianza del santo vescovo martire, Dionigi d’Alessandria; quantunque falsamente accusato di sabellianismo, termina la sua difesa con queste notevoli parole: « Conformandoci in tutto alla formula ed alla regola ricevuta dai vescovi che hanno vissuto prima di noi, unendo la nostra voce alla loro, vi rendiamo grazie e poniamo fine a questa lettera. Cosi a Dio Padre e al Figliuolo Gesù Cristo nostro Signore con lo Spirito Santo, sia gloria ed impero nei secoli dei secoli. Àmen.2 » [….Tandem nunc vobis scribere desinimus : Deo autem Patri et Filio Domino nostro Jesu Chxisto cum sancto Spiritu gloria et imperium in saecula saeculorum. Amen. Apud S. Basii., ubi supra, n. 72.].  La formula gloriosa di fede non sfugge a Giulio Africano. Nel quinto libro della sua Storia egli dice: « Noi che abbiamo intesa la forza di questo linguaggio, e che non ignoriamo la grazia della fede, rendiamo, grazie al Padre che ha dato a noi, sue creature, il Salvatore di tutte le cose, Gesù Cristo, al quale sia resa gloria e maestà con lo Spirito Santo in tutti i secoli. ». [Adv. Prax. C. I, II, IX, edit. Pamel]. Ecco nel quarto secolo, i due grandi luminari della Chiesa Orientale, san Basilio e san Gregorio Nazianzeno. Il primo incomincia col citare due costumanze, come testimoni viventi della fede immemorabile alla divinità dello Spirito Santo, le preghiere lucernarie e l’inno d’Atenogene. « È parso buono a noi padri, dice egli, di non ricevere in silenzio il benefìzio della luce della sera, ma di render grazie appena che essa brilla. Chi è l’autore della preghiera, che si recita in rendimento di grazie, allorché si accendono le lampade, non lo sappiamo; ma il popolo pronunzia questa antica formula che nessuno ha mai tacciato d’empietà: «Lode al Padre ed al Figliuolo ed allo Spirito Santo. Chi conosce l’inno di Atenogene, lasciato da questo martire ai suoi discepoli come un preservativo, allorché s’incamminava al rogo, sa ciò che i martiri hanno pensato dello Spirito Santo.2 » [Apud S. Basii., ubi supra, n. 73.]

L’illustre vescovo diventa egli medesimo un organo potente della tradizione. Lo Spirito Santo, dice, è chiamato santo, come il Patire è Santo, come il Figlio è Santo; santo non come la creatura che trae la sua santità dal di fuori, ma santo nella stessa essenza della sua natura. Per conseguenza egli non è santificato, ma santifica. Egli è detto buono, come il Padre è buono, perché la bontà gli è essenziale; parimente è detto retto, come lo stesso Signore Dio è retto, perché è di sua natura la stessa rettitudine, la stessa verità, la stessa giustizia, senza variazione, senza alterazione a causa della immutabilità di sua natura. È detto Paracleto, come il Figliuolo medesimo; di modo che tutti i nomi comuni al Padre e al Figliuolo convengono allo Spirito Santo, in virtù della comunanza di natura. Dove trovare un’altra origine? » [Lib. de Spirìt. sancii, c. XXIX, n. 78]. Ascoltiamo adesso l’amico suo san Gregorio Nazianzeno: « Lo Spirito Santo è sempre stato, è, e sarà’; non haa avuto mai principio, né avrà mai fine, nulla più che il Padre ed il Figliuolo, co’quali è inseparabilmente unito. Egli è stato dunque partecipe della divinità non la ricevendo mai; perfezionante, né stato mai perfezionato; riempiendo ogni cosa, tutto santificando, non essendo né santificato né ripieno; che dà la divinità e non la riceve; sempre lo stesso e sempre eguale al Padre ed al Figliuolo; invisibile, eterno, immenso, immutabile, incorporeo, essenzialmente attivo, indipendente, onnipotente; vita e padre della vita; luce e centro della luce; bontà e sorgente di bontà, ispiratore di profeti, distributore delle grazie. Spirito di adozione, di verità, di sapienza, di prudenza, di scienza, di pietà, di consiglio, di forza, di timore; che possiede tutto in comune col Padre e col Figliuolo: adorazione, potenza, perfezione, e santità.1 » [Spiritus sanctus et semper erat, et est, et erit, nec ullo ortu generatus, nec finem habiturus, etc.: Orat. in die Pentecoste]. Che cosa di più chiaro di questo passo, a cui sarebbe facile aggiungerne molti altri dell’epoca medesima? Né meno formali, né meno numerose sono le testimonianze dei tempi posteriori: una sola basterà. « Noi crediamo allo Spirito Santo, dice Ruperto, e noi lo proclamiamo vero Dio e Signore, consustanziale e coeterno al Padre ed al Figliuolo, cioè dire assolutamente lo stesso in sostanza che il Padre ed il’ Figliuolo, ma non lo stesso, quanto alla persona. Infatti siccome altra è la persona del Padre, e altra la persona del Figliuolo ; cosi altra è la Persona dello Spirito Santo. Ma la divinità, la gloria, la maestà del Padre e del Figliuolo, sono la divinità, la gloria, la maestà dello Spirito Santo. A fine di distinguere la Persona del Figlio dalla Persona dello Spirito Santo, noi diciamo che il Figliuolo è il Verbo, e la Ragione del Padre, ma Verbo sostanziale, Ragione eternamente e sostanzialmente vivente; e dello Spirito Santo, diciamo che è la Carità o l’Amore del Padre e del Figliuolo, non carità accidentale, amore passeggero, ma Carità sostanziale e Amore eternamente sussistente. » [Spiritum sanctum credimus et confìtemur verum esse Deum et Dominum, Patri et Filio consubstantialem, quod Patrem et Filium, non eumdem in persona quam Patrem et Filium, etc. De Operib. Spir. sancL, lib. I c. III]. E per fare risaltare con splendore la divinità dello Spirito Santo, il profondo teologo aggiunge: « Vogliamo noi aver qualche idea di questo amore e della sua maestosa potenza? Pigliamo due creature dello stèsso genere e della stessa specie, una delle quali lo possiede, e l’altra ne è priva. Se questo è fra gli Angeli, uno è Lucifero, l’altro san Michele; tra gli uomini, uno è Pietro, l’altro Giuda. La sola cosa che forma la differenza tra questi due angeli e tra questi due uomini, si è che uno è partecipe dello Spirito Santo, l’altro no. Alla maestà del Verbo che gli ha creati, l’uno e l’altro debbono l’essere ragionevoli, essi non differiscono tra loro, come si è detto, se non che per la partecipazione o per la privazione dell’eterno amore. Quest’esempio fa rifulgere il carattere proprio dell’operazione dello Spirito Santo: la creatura ragionevole deve la sua esistenza al Verbo eterno: ed allo Spirito Santo deve l’esistenza buona. » [ibid.].  La grande parola dei secoli si è incarnata in parecchie pratiche eminentemente tradizionali : vogliamo parlare delle tre immersioni nel battesimo ; del Kyrie ripetuto tre volte in onore di ciascuna persona divina ; del trisagio cantato nella liturgia; del segno della croce, della doxologia e del Gloria Patri. Specialmente queste due preghiere sono la splendida proclamazione del domma della Trinità, per conseguenza della divinità dello Spirito Santo. Come eco terreno dell’eterno trisagio dei serafini, ‘queste ammirabili formule danno termine a tutti gli inni e a tutti i salmi dell’ufficio. sino dai tempi apostolici esse si ripetono giorno e notte in tutti i punti del globo, per mezzo di migliaia di bocche sacerdotali. Altrettanto è del segno della croce. Questo segno augusto, la cui origine, non di questa terra, ripete con una voce indefessa a tutti gli echi del mondo e a tutti gli istanti della giornata; il Padre é Dio, il Figliuolo è Dio, lo Spirito Santo è Dio. Quanto più questi usi sono polari, tanto più confermano l’antichità e la universalità della tradizione.

Ci rimane da coronare tutte le prove dirette della divinità dello Spirito Santo, per mezzo dell’insegnamento della Chiesa. Ciò che essa sta per insegnarci è la verità, nulla più che la verità, tutta la verità. Difatti, le è stato detto : « Andate, istruite tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo, insegnando loro a custodire tutte le verità che Io vi ho affidate ; imperocché ecco che Io sono con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo. » [S. Matt. XXVII; 19,20] Il Verbo incarnato non sarebbe Dio, se la Chiesa, con la quale Egli ha promesso d’essere, tutti i giorni, per tutti i secoli, potesse insegnare una sola volta un solo errore, per quanto piccolo lo si supponga, o lasciar perire una sola delle verità affidate alla sua custodia.

Cosi i protestanti che negano la perpetua infallibilità della Chiesa, negano altresì virtualmente la divinità di Nostro Signore, Il loro Dio non è il vero Dio ; è un Dio impotente o mentitore. Impotente, poiché non ha potuto impedire l’insegnamento dell’errore; mentitore, poiché non l’ha voluto, dopo aver promesso di farlo. Ora, fra tutte le verità, la custodia delle quali e l’insegnamento, sono state rimesse alla Chiesa, brilla in primo grado la divinità dello Spirito Santo. Come quella del Figliuolo e del Padre, noi la vediamo scritta a caratteri indelebili nel Sinodo degli Apostoli, nel Simbolo di Nicea, nel Simbolo di Costantinopoli e in quello di sant’Atanasio. Riassumendo con una inimitabile precisione la dottrina dei tre altri, quest’ultimo cosi, si esprime: «La fede cattolica è di adorare un solo Dio nella Trinità, e la Trinità nell’unità, non confondendo punto le persone, né separando la sostanza. Infatti, altra è la persona del Padre, altra quella del Figliuolo, altra quella dello Spirito Santo. Ma del Padre e dei Figliuolo e dello Spirito Santo la divinità è una, la gloria eguale, la maestà coeterna. Tale il Padre, tale il Figlio, tale lo Spirito Santo. Increato il Padre, increato il Figlio, increato lo Spirito Santo. Immenso il Padre, immenso il Figlio, immenso lo Spirito Santo. Eterno il Padre, eterno il Figlio, eterno lo Spirito Santo. E con tutto ciò non vi sono tre eterni, ma un solo eterno; parimente non vi sono tre increati, né tre immensi, ma un solo increato, un solo immenso. Così Dio il Padre; Dio il Figlio; Dio lo Spirito Santo. E ciononostante, non vi sono tre Dei, ma un solo Dio. » Alla vista dello Spirito del Bene che si rivela nel mondo con tanto splendore,.e cammina a gran passi a riprender possesso delle intelligenze, lo Spirito del male comprese che il suo impero era minacciato persino nelle sue fondamenta. Per scongiurarne la ruina, egli suscita, in Oriente ed in Occidente, innumerevoli negatori dello Spirito Santo. Armati di sofismi, i Valentiniani, i Montanisti, i Sabelliani, gli Ariani,, gli Eunomeni, scendono 1’uno dopo l’altro nell’arena. Costoro con una fede malvagia e, con una pertinacia, della quale non si trova ragione d’essere, altro che nella ispirazione satanica, assalgono fortemente, di viva voce e per iscritto la divinità dello Spirito Santo, trionfalmente difesa dai dottori cattolici. Ma quando la passione discute, la ragione non è mai sicura di vincere. Gli errori intorno allo Spirito Santo si accrescono come un cancro, sino a Macedonio che ne fa una lebbra così estesa, quasi quanto l’arianesimo. Chi fu quest’uomo, il cui nome, aggiunto a quello di Ario, ricorda cosi tristemente uno dei più famosi eresiarchi della Chiesa primitiva? Macedonio era patriarca di Costantinopoli: innalzato a quella dignità nel 351 dagli Ariani, dei quali partecipava gli errori, esercitò contro i Novaziani ed i cattolici, violenze tali che lo resero odioso, anche all’imperatore Costanzo, suo protettore. In un conciliabolo tenuto a Costantinopoli nel 360, e presieduto da Acacio ed Eutropio, gli Ariani lo deposero e lo fecero esiliare dalla capitale. Ristabilito sulla sua sede per ordine dell’imperatore, ei si mostrò nemico giurato dei cattolici e degli Ariani. Contro questi ultimi ei sostenne la divinità di Nostro Signore, e contro i primi negò la divinità dello Spirito Santo, del quale fece una semplice creatura più perfetta delle altre. Un anno dopo nel 361, l’eresiarca, spogliato una seconda volta della sua dignità, morì come Ario, miseramente.

Frattanto la zizzania dei suoi errori era caduta in molte teste sediziose. Ricchi di facondia, di artifizio e di scelleratezza, i macedoniani formarono una sètta tanto numerosa, che la Chiesa durò fatica ad estirparla. I principali furono Maratone, vescovo di Nicomedia, Eleusio di Cizica, ordinati da Macedonio; Sofronio, vescovo di Pompeopoli nella Paflagonia, ed Eustasio di Sebaste in Armenia. Come tutti i novatori, cosi i macedoniani, detti altresi Pneumatoniachi, vale a dire nemici dello Spirito Santo, o Maratoniani, dal nome del vescovo di Nicomedia, affettavano una grave esteriorità e austeri costumi. Grazie a questo artifizio essi. Seducevano il popolo ed i monaci, tra quali si occupavano a seminare i loro errori. E malgrado degli sforzi della Chiesa d’Oriente, l’eresia, lungi dall’essere spenta, estendeva le sue devastazioni. Venti anni di inutili lotte fecero capire a Teodosio la necessità di un concilio generale. Di concerto col papa san Damaso, il pio imperatore convoco l’augusta assemblea a Costantinopoli per il mese di maggio dell’ anno 381. Ella si trovò composta di cento cinquanta vescovi. Alla loro testa vedevasi san Gregorio di Nazianze, san Cirillo di Gerusalemme, san Gregorio di Nissa, fratello di san Basilio; Melecio, vescovo dAntiochia; Ascolio di Tessalonica, e fuori dell’ordine dei vescovi, l’illustre dottore san Girolamo. A fine di togliere ogni pretesto, sia di nullità del concilio, ossia di giudizio reso senza avere udito le parti, l’imperatore chiese che i macedoni ani fossero convocati con i cattolici. Essi vi furono di fatti rappresentati da trentasei vescovi, i due principali dei quali erano Eleusio di Cizica e Mariano di Lampsaco. Fra le mani dei Padri trovavasi la formula di fede della Chiesa cattolica, mandata nel 353 dal papa san Damaso a Paolino, vescovo d’Antiochia ; di più, il simbolo di Nicea. I vescovi resero testimonianza della fede delle loro Chiese, interamente conforme a questi due monumenti. Quanto ai macedoniani, essi furon sentiti, i loro sofismi rifiutati ed essi stessi convinti di essere novatori, in opposizione con la fede cattolica e con la fede degli apostoli. Cosi, proclamando solennemente la divinità dello Spirito Santo, il concilio non fece un nuovo articolo di fede ; ei si contentò di confermare il domma, e nel definirlo, di porlo al riparo dagli attacchi dell’eresia. Dietro l’esempio del concilio di Nicea, il quale, per annientare l’arianesismo, aveva aggiunto alcune spiegazioni al simbolo degli apostoli, il concilio di Costantinopoli confuse i macedoniani e assicurò l’ortodossia della dottrina, sviluppando l’articolo del simbolo di Nicea intorno allo Spirito Santo.

La divinità dello Spirito Santo non essendo punto attaccata, il concilio di Nicea aveva detto semplicemente : E allo Spirito Santo la santa Chiesa cattolica, ecc. Nello spiegare queste parole, i Padri di Costantinopoli aggiunsero: E allo Spìrito Sànto, Signore e vivificatore, il quale procede dal Padre, e che col Padre ed il Figliuolo è adorato e conglorificato; che ha parlato mediante i profeti. La lettura solenne di quest’articolo fu seguita incontanente dagli applausi del concilio e dagli anatemi contro l’eresia. A voce unanime, i vescovi esclamarono: « Ecco la fede degli ortodossi! a questo modo crediamo tutti. Maledizione ed anatema a chiunque tenesse un’altra dottrina, diversa da quella che è stata definita, e che attaccherebbe la fede di Nicea, che noi approviamo, che giuriamo, e che professiamo, dichiarando empie, inique, perverse, eretiche, le opinioni degli ariani, degli eunomiani, dei sabelliani, dei marcellanisti, dei fontiniani, degli apollinaristi e di tutti coloro che aderiscono alle loro dottrine, che le predicano o che le favoriscono! » A fine di rendere la loro definizione, per quanto era possibile ancor più rispettabile, imprimendole una nuova impronta di cattolicità, i Padri di Costantinopoli indirizzarono una lettera sinodale a tutti i vescovi d’Occidente. Ed eccone il tenore: « Ai nostri generabilissimi fratelli e colleghi Damaso, Ambrogio, Brittonio, Valeriano ed altri santi vescovi, riuniti nella gran città di Roma. Il domma che abbiamo definito deve essere approvato da voi e da tutti coloro che non pervertono la parola della vera fede. Difatti, essendo esso antichissimo e conforme alla formula del battesimo, c’insegna a credere nel nome del Padre, e del Figliuolo, e dello Spirito Santo, vale a dire alla divinità, alla potenza ed all’unità di sostanza del Padre, e del Figliuolo e dello Spirito Santo; all’eguaglianza di dignità ed alla coeternità d’impero in tre ipostasi, o persone infinitamente perfette. « Di maniera che, non vi ha più appiglio per la pestilenziale eresia di Sabellio, la quale, confondendo le Persone, distrugge le loro rispettive proprietà; né per le bestemmie degli eunomiani, degli ariani e degli altri che attaccano lo Spirito Santo, dividono 1’essenza, la natura o la divinità, e introducono nella Trinità, che è increata, consustanziale e coeterna, una natura posteriormente ingenerata o creata, o di una essenza differente. »Da questa lettera risulta che i vescovi d’ Occidente erano radunati a Roma col Papa Damaso, per distruggere l’eresia di Macedonio, intantoché i vescovi d’Oriente lo scomunicavano a Costantinopoli. Non fuvvi mai accordo più perfetto, né maggiore unanimità, né condanna più solenne e più irrevocabile.

Satana battuto da questo colpo di fulmine, stette per lunghi secoli senza osare di rialzare il capo e assalire direttamente la divinità dello Spirito Santo. Finalmente giunse il ritorno del suo regno. Col rinascimento vedonsi ricomparire tutti gli errori e tutte le eresie che si credevano per sempre spente; esse riappariscono ancor più sottili più audaci e più complete che nell’antichità. Cosicché i sociniani rinnovano 1’eresia di Macedonio, svolgendola; e gli autori di questa setta furono i due Socino, zio e nipote. Il primo, nacque a Siena nel 1525; e a malgrado degli anatemi del concilio di Laterano, il razionalismo, alimentato dallo studio fanatico degli autori pagani, invadeva l’Europa. Socino fu nutrito in quell’atmosfera avvelenata. Appena uscito di collegio assisté nel 1546 al famoso conciliabolo di Vicenza [ritenuto l’atto di fondazione della franco-massoneria moderna -n.d.r.-], dove la distruzione del Cristianesimo fu risoluta. Fedele agli impegni ch’egli vi contrasse ed ai principi della sua educazione, il giovane e libero pensatore, impiegò tutta la sua vita nel rinnovellare l’arianesimo e il macedonianismo, a fine di scalzare dalla sua base il cristianesimo. Il secondo, nato a Siena nel 1530, ereditò lo spirito anticattolico del suo zio e fu uno dei più ardenti promotori delle sue eresie. Aveva meno di vent’anni che già la paura dell’inquisizione gli fece abbandonare l’Italia. Ei passò in Francia, di là in Svizzera, dove pubblicò le sue empietà. L’inquietudine del suo spirito congiunta al desiderio di dommàtizzare dapertutto, lo condusse ben presto in Polonia. I letterati l’accolsero con favore; ed un gran numero si dichiararono suoi partigiani, ed egli mori in mezzo appunto a questa truppa di atei nel 1604.1 suoi discepoli, degni del loro maestro, vollero trarre conseguenze pratiche dalle sue dottrine. Furono commessi grandi eccessi; il popolo indignato li cacciò, e in odio dell’eresia, dell’eresiarca e del suo seguito, le ceneri di Socino furono disotterrate, portate sulle frontiere della piccola Tartaria, e messe dentro a un cannone, le mandarono nel paese degli infedeli. [Di questo empio, funesto ed immondo servo di satana, parleremo compiutamente in un prossimo scritto –n.d.r.-]. Abbiamo detto che nelle loro empietà contro lo Spirito Santo i sociniani avevano oltrepassato i macedoniani. Secondo sant’Agostino questi ultimi non negavano resistenza personale dello Spirito Santo, ma la sua divinità. D’altro canto erano essi ortodossi circa le due altre Persone della santa Trinità. [Lib. de haeresib.] Per i sociniani lo Spirito Santo non è neppure una creatura; ma un soffio, una forza, una semplice influenza di Dio sull’uomo e sul mondo. La stessa Trinità, un’accozzaglia di parole senza idee: il peccato originale, la grazia, i sacramenti, il cristianesimo tutto quanto, altrettante chimere. Quest’è la negazione pagana, la negazione di Sesto Empirico, innalzata alla sua ultima formula, e continuata dai nostri razionalisti moderni.

A questa negazione impudente nella sua espressione, assurda nel suo principio, funesta nelle sue conseguenze, basta opporre e le testimonianze della tradizione da noi citate, e la conferma solenne di tutti i dommi attaccati, fatta dal concilio di Trento al principio de’ suoi immortali lavori: « I nostri predecessori, dicono i Padri, inauguravano le loro sessioni con la professione della fede cattolica e l’opponevano come uno scudo impenetrabile a tutte le eresie. Dietro al loro esempio ci par buono il professare solennemente il simbolo di cui si serve la santa Chiesa Romana, unico ed incrollabile fondamento della fede, contro il quale non prevarranno mai le porte dell’inferno: Io credo in Dio Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, e nel Signore Gesù Cristo, figliuolo unico di Dio e nello Spirito Santo, Signore e vivificatore; il quale procede dal Padre e dal Figliuolo; il quale Col Padre e col Figliuolo è adorato e conglorificato, e che ha parlato per mezzo dei profeti. 1 » [ Conc. Triden. sess. III.]  Questo simbolo cattolico, immutabile come la stessa verità, espressione esatta della fede delle nazioni incivilite, rivestito della sanguinosa sottoscrizione di dodici milioni di martiri, è la prova eternamente trionfante della divinità dello Spirito Santo, il rifugio sicuro di ogni spirito perseguitato dal dubbio, la inespugnabile rocca, dall’alto della quale il cristiano sfida satana ed i suoi ministri, con tutti i loro sofismi e tutte le loro negazioni.

Il macedonianismo ed il socinianismo : tali sono le due grandi eresie le quali, a dodici secoli di distanza hanno assalito, ma invano, la divinità dello Spirito Santo. Nell’intervallo, ne è sorta una terza ; la quale apparentemente, meno fondamentale delle due altre, ha avuto più disastrose conseguenze. S’intende bene che vogliamo parlare dell’eresia dei Greci intorno alla Processione dello Spirito Santo. Muro di divisione, tuttora in piedi, tra la chiesa latina e la chiesa greca, bisogna oggidi più che mai farlo conoscere e confutarlo.

 

La strana sindrome di nonno Basilio: 19

nonno

   Caro direttore, eccomi ancora qui davanti al mio aggeggio elettronico per raccontarle le strane vicende della mia famiglia, che si susseguono purtroppo ininterrottamente e turbinosamente. Ma veniamo ai fatti: in una chiara mattina primaverile, circa all’ora terza, ero intento a salmodiare il “Veni Creator Spiritus”, che apre la mia novena allo Spirito Santo, la madre di tutte le novene che, in verità, iniziata come tale, è poi diventata prima una “novantena”, poi una novena con prolungamento semestrale, infine una “giornaliera continua” che mi aiuta molto nella mia vigilanza spirituale, e giacché ci sono, anche per conservare le mie residue attività cerebrali. Con me erano ovviamente, anche se solo di passaggio, i miei cari nipoti Mimmo e Caterina che sostenevano a tratti la mia voce stentata. E ripensavo a come ci si sia potuti separare nella fede dalla Chiesa Cattolica Romana proprio su di un argomento chiave come lo Spirito Santo, così come successe nel 1054, anno in cui si verificò il cosiddetto scisma d’Oriente, perpetrato dall’orgoglio di Fozio che fu portato a disconoscere il Primato di Pietro, oltre che ad introdurre poi altre perniciose eresie. Come mi aspettavo, interviene subito Mimmo interrompendo il mio discorsetto: “Ma nonno, anche il mio parroco dice che tra Ortodossi e Cattolici romani non ci sono diversità sostanziali, forse più che altro di riti, e che quindi qui il discorso ecumenico può essere proficuamente attuato!”. “Caro Mimmo, se questa cosa l’avessi detta tu, conoscendoti per quel mattacchione che sei, mi sarei fatta una grassa risata, ma poiché sostieni che tali espressioni siano state proferite, anche se ho i miei dubbi, da un prelato, a sua volta confortato da autorità più alte e Caterina me ne da subito conferma, citando anche nomi illustri oltre a numerosi avvenimenti “ecumenici” tra alte cariche ecclesiastiche, sono costretto a puntualizzare, ricorrendo ai “rimasugli” della mia malandata memoria, dalla quale si riaffacciano prodigiosamente non solo gli insegnamenti dello zio Tommaso, santo sacerdote, come ripetutamente detto, ma pure i ricordi della tremenda campagna di Russia di un anziano medico veterinario, mio dirimpettaio in gioventù. Ciò premesso, andiamo ad analizzare attentamente la religione eretico-scismatica dei cristiani orientali, detta impropriamente “Ortodossa”, perché nei fatti non lo è proprio!. Anzitutto a livello linguistico va notato che “cattolici” e “ortodossi” sono due titoli che entrambe le istituzioni, sia la Chiesa romana, che la “setta” orientale, si auto-assegnano. Anche l’apostolicità, condizione necessaria per rendere validi i sacramenti[1], è condivisa sia dalla Chiesa romana sia da quelle orientali. Quale è dunque il problema? Interviene ancora Mimmo: “Secondo il mio amico idraulico bielorusso Yuri (ma dopotutto) la Chiesa romana ha perduto la vera ed originaria Fede”. “Ma questo, caro Mimmo –ribatto subito- è il leitmotiv tipico di ogni scismatico come giustifica che poi non si riesce mai a definire. Eppure, anche qui, analizzando realmente il processo storico che ha portato alla spaccatura tra Occidente ed Oriente cristiano, si comprende benissimo che la colpa di tale divisione è per lo più esclusivamente degli pseudo-ortodossi”. “Ed adesso tocca a te dimostrarlo, nonno”, mi dice Mimmo con aria di sfida.“Cominciamo allora dagli interessi politici. Sin dai primi secoli, la Chiesa Apostolica ha ribadito che il primato nella Chiesa spetta al vescovo di Roma, il Papa. Ne parla il Vangelo, lo ribadirono i Padri della Chiesa, lo affermarono solennemente i Concilii ecumenici, così come già detto in altre occasioni … vattele a ripassare. Negli Acta del Concilio di Nicea (325), ad esempio, al canone VI leggiamo, a proposito della precedenza di alcune sedi sulle altre: “In Egitto, nella Libia e nella Pentapoli siano mantenute le antiche consuetudini per cui il vescovo di Alessandria abbia autorità su tutte queste province; anche al vescovo di Roma infatti è riconosciuta una simile autorità. Ugualmente ad Antiochia e nelle altre province siano conservati alle chiese gli antichi privilegi”. La Chiesa poneva il vescovo di Alessandria, il vescovo di Gerusalemme e il vescovo di Antiochia come Patriarchi, ossia Vescovi con particolare onore e con particolare potere di giurisdizione su quelle regioni. Il Canone specifica che anche al Vescovo di Roma è riconosciuta una simile autorità, segno che i nuovi patriarcati venivano costituiti sul modello di quello romano, sebbene esclusivamente il Papa romano mantenesse il primato pietrino. Il primato di Roma non fu mai pienamente tollerato dal potere ecclesiastico e soprattutto politico delle regioni orientali. Già Costantino pare, secondo vari autori, che decise di farsi battezzare come ariano in punto di morte, in segno di disprezzo verso la Chiesa di Roma, Chiesa che insieme a tutte le altre aveva dichiarato – proprio nel Concilio da egli stesso convocato a Nicea – l’arianesimo come eresia. Dieci anni dopo Nicea, infatti, lo stesso Costantino convocò un conciliabolo a Tiro, dove condannò il vescovo patriarca di Alessandria, Sant’Atanasio, approvando il credo ariano. Le prime incrinature con l’Oriente, dunque, sono di natura prettamente politica. Costantino e i successivi imperatori cristiani cercavano di manovrare la Fede per questioni di potere e non di Verità religiosa. Fu sotto Teodosio, nel 381, che il Concilio di Costantinopoli I stabilì solennemente valide ed immutate le decisioni del Concilio di Nicea e ribadì la condanna all’arianesimo e alle varie innovazioni teologiche che si stavano diffondendo nell’area orientale, che in quanto innovazioni costituivano di per sé eresie (… un po’come tutte le innovazioni moderniste …. capiscimi bene Mimmo!) Fu in occasione di questo Concilio, e non prima, che fu istituita la figura del Patriarca di Costantinopoli, che tuttavia aveva un primato d’onore nella regione orientale ed era però sempre sottomesso alle decisioni del Pontefice. Dunque, impossibilitati a dare fondatezza teologica per praticare l’eresia del cesaropapismo, il clero orientale e le autorità imperiali continuarono a cercare pretesti teologici per screditare la Chiesa di Roma. Il primo fu, ovviamente, quello riguardante il primato petrino. Commenterà Sant’Alfonso: “È fuori dubbio che il Signore, comunicando a Pietro il nome di “pietra”, gli comunicò la potestà vicaria di capo ( … ) Inoltre disse il Signore a Pietro: “pasce agnos meos … pasce oves meas…”. Per pasce (pasci) si intende ogni atto pastorale di presiedere, condurre, ridurre, agnos (agnelli) sono tutti i fedeli, i figli, oves (pecore madri) sono gli Apostoli ed i Vescovi loro successori … potrei dirtene tanti altri ma mi fermo qui. Più volte fu ribadito il primato petrino del vescovo romano e più volte uscirono dissensi da parte dell’Impero e del clero bizantino. Ma la Chiesa può piegarsi alle esigenze politiche? Il patriarca di Costantinopoli fu quindi scomunicato nel 1054 da Papa Leone IX, ma questi, invece di ritrattare o ubbidire, senza autorità decise di scomunicare a sua volta il Pontefice romano, compiendo una insanabile frattura fra Occidente ed Oriente, nota più tardi con il nome di Grande Scisma. Sin dal 1054, le varie chiese orientali (molto differenti al loro interno anche a livello teologico, oltre che liturgico, in quanto autocefale, cioè autonome secondo fantasia…) sono cresciute in funzione della loro ostilità a Roma. Mentre la Chiesa Cattolica ha con il tempo approfondito e chiarito solennemente, attraverso i Concilii e le affermazioni dogmatiche e magisteriali, il deposito della Tradizione ereditata dagli Apostoli, le chiese ortodosse non hanno indetto più alcun Concilio ecumenico, per timore di dar ragione alla Chiesa Cattolica anche su un singolo dogma. Ne è un esempio clamoroso il dibattito sul Purgatorio. Qualsiasi cristiano orientale ortodosso, infatti, negherà l’esistenza del Purgatorio come regno ultraterreno alternativo ad Inferno e Paradiso, in cui sono destinate le anime di coloro che muoiono in stato di grazia ma che non hanno ancora espiato definitivamente le proprie colpe. Eppure, anche gli ortodossi durante le loro celebrazioni pregano per i defunti, tradizione che arriva dall’epoca apostolica ed anche preapostolica (come dimostrano i libri dei Maccabei) e che loro continuano a trasmettere. Tuttavia gli ortodossi non hanno avuto mai il coraggio di chiedersi: perché pregare per i defunti? Chiedilo anche al tuo amico Yuri vediamo cosa risponde … Infatti, se le anime dei defunti per cui si prega sono all’inferno, le preghiere sono inutili, perché la dannazione è irrevocabile. Se invece essi sono in paradiso, le preghiere sono parimenti inutili, perché hanno già raggiunto la beatitudine, la mèta della propria esistenza. Perché dunque pregare per i defunti se non per dar loro suffragio, ossia aiutarli a raggiungere la pienezza della santità e della salute eterna? Paradossalmente, anche le tradizioni degli stessi ortodossi danno ragione ai dogmi cattolici. Gli ortodossi negano a parole il dogma del Purgatorio, ma nei fatti lo affermano. Negare una verità di fede esclusivamente per non concordare con Roma è un mero atto di superbia, nonché esternazione di poca libertà spirituale, ancora peggio: è peccato contro lo Spirito Santo (non uno, bensì tre … : impugnare la verità conosciuta … ostinarsi nel peccato, … l’impenitenza finale). Può infatti una chiesa essere veramente libera se è costretta in tutto quello che dice a confrontarsi con un’altra, e scegliere ciò che è vero e ciò che è falso in base a ciò che afferma l’altra chiesa? Tralasciando la santità di Costantino, accettata dagli ortodossi, passiamo alla “questione del Filioque”, che fu un altro pretesto per lo scisma, o della processione dello Spirito Santo. I teologi occidentali aggiunsero nel Credo niceno-costantinopolitano, per una maggiore chiarezza, che “lo Spirito Santo […] procede dal Padre “e” dal Figlio”. Essa è dunque la terza Persona della Santissima Trinità. I teologi orientali, invece, sostenevano che lo Spirito Santo procedesse solo dal Padre e che fosse dunque la seconda Persona trinitaria. Spiega Padre Dragone nel Catechismo di San Pio X commentato: “Da tutta l’eternità il Padre, per via della conoscenza genera il Figlio in modo perfetto e totale, come un atto unico e puro. Il Figlio è quindi perfetto come il Padre da tutta l’eternità. Il Padre contemplando da tutta l’eternità il Figlio Lo ama con un amore infinito, e il Figlio da tutta l’eternità ricambia il Padre con lo stesso amore. Padre e Figlio, con un atto unico e perfettissimo spirano a vicenda un amore eterno, infinito, perfetto, Amore che è la Terza Persona, eguale e distinta dal Padre e dal Figlio, e che riceve tutto il suo essere dal Padre e dal Figlio, come da unico principio o fonte d’amore”. Il Vangelo stesso dichiara che lo Spirito Santo non è la seconda, ma la terza Persona della Trinità: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo”(S.Matteo XXVIII,19). Caterina dimostra di inserirsi correttamente nella discussione e ci ricorda: “ … ma diversi Papi si sono sforzati con ogni mezzo, amorevolezza ed energia, di ricondurre gli orientali sulla retta strada dottrinale, come nei confronti ad es. di Michele Cerulario, ed essi più volte sembravano esserne convinti, come al Concilio di Firenze. Ed anche in questo caso, tornati a casa ritrattarono subito i documenti ivi firmati, un ribaltone in piena regola, come il conciliabolo vat’inganno secondo, sempre fomentati da coloro che per padre hanno il ‘farfariello’ e sono nemici di tutti gli uomini, ma in particolare dei cristiani. A questo punto però, la sede di Costantinopoli, in balia di una cotale eresia anti-filioque, senza sostegno divino (ricordiamo che disprezzare lo Spirito Santo significa condannarsi “in cielo e in terra” senza misericordia alcuna, e così fu …) venne spazzata via in pochissime battute, con ferocia cruenta impressionante, dalle orde dei maomettani, cancellata per sempre come vera cattedra apostolica! Come doveva poi succedere in Russia, in tempi più recenti, e fino ad oggi in Iraq, in Siria e così via”. Brava Caterina, vedo che hai ben approfondito la questione, anche ci sarebbe ancora molto da dire, ma … ragazzi, adesso sono stanco, è l’ora del biscottino della nonna Genoveffa (mia moglie, per chi non avesse letto le precedenti missive) … ne riparliamo anzi, presentatemi i vostri amici orientali, così potremo conoscere più da vicino i loro usi e … costumi religiosi”. Caro direttore, la saluto e non dubiti, le farò sapere come andrà a finire!

Preghiera per i giorni delle QUATTRO TEMPORA

Da: “Via del paradiso”, Siena 1823 – imprimatur –

“O Dio sapientissimo, Dio santissimo, che ci avete insegnato per bocca del vostro santo Angelo Raffaele, che l’orazione accompagnata dal digiuno, e dalla limosina è un sacrificio grato alla vostra divina Maestà, e ci avete dichiarato di vostra propria bocca esservi una specie di demoni che non si vince se non coll’orazione e col digiuno, siate benedetto d’aver’ispirato alla vostra Chiesa di consacrare al digiuno ed all’orazione tre giorni in ogni stagione dell’anno.

Degnatevi, Vi prego, di accettare a gloria vostra, l’esaltazione della santa Chiesa e a santificazione delle anime nostre, il sacrificio del nostro spirito per mezzo dell’orazione e del nostro corpo per mezzo del digiuno, che Vi offriamo in queste Tempora. Accettateli, Vi supplico, in ringraziamento di tanti benefici che abbiamo da Voi ricevuti, e de’ quali ci riconosciamo indegni. Accettateli in penitenza delle colpe passate, delle quali Vi chiediamo umilmente perdono. Con questo santo digiuno, che indebolisce la carne, indebolite gli sforzi del demonio contro di noi, e fortificateci nel vostro santo servizio; elevateci ed uniteci inseparabilmente a Voi per mezzo dell’orazione, moltiplicando sopra di noi le vostre grazie, e benedizioni.

E poiché appartiene principalmente ai vostri Ministri di ottenerci queste grazie e benedizioni in questi tempi che la santa Chiesa ha destinato all’Ordinazione dei Sacerdoti, dateci per vostra bontà uomini secondo il vostro cuore, che si applichino unicamente a conoscere ed adempire le vostre sante volontà. Ispirate ai Pastori di eleggere all’augusto e santo Sacerdozio persone piene di scienza, di virtù e di zelo, che possono elevare al Cielo le mani pure ed offrirVi degnamente il Sacrificio pel vostro popolo. Imprimete nel loro spirito le vostre sante Verità, animate il loro cuore coll’amor della vostra santa legge, riempiteli di zelo per le anime, acciò essendo essi lucerne ardenti e luminose avanti a Voi e avanti agli uomini, possano con l’esempio servire di guida ai fedeli per condurli sicuramente al Cielo. Così sia.

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QUATTRO TEMPORA

(Dom Guéranger: “l’anno liturgico”)

   La Chiesa pratica in questo giorno (mercoledì dopo Pentecoste – n.d.r. -) il digiuno chiamato delle Quattro Tempora, il quale si estende anche al Venerdì e al Sabato seguenti. Questa osservanza non appartiene punto all’economia dell’Avvento; essendo una delle istituzioni generali dell’Anno Ecclesiastico. Si può annoverare nei numero delle usanze che la Chiesa ha derivate dalla Sinagoga; poiché il profeta Zaccaria parla di digiuno del quarto, del quinto, del settimo e del decimo mese. L’introduzione di tale pratica nella Chiesa cristiana sembra risalire ai tempi apostolici; questa è almeno l’opinione di san Leone, di sant’Isidoro di Siviglia, di Rabano Mauro e di parecchi altri scrittori del l’antichità cristiana: tuttavia, è da notare che gli Orientali non osservano tale digiuno.

Fin dai primi secoli, le Quattro Tempora sono state fissate, nella Chiesa Romana, alle epoche in cui si osservano ancora attualmente; e se si trovano parecchie testimonianze dei tempi antichi nelle quali si parla di Tre Tempora e non di Quattro, è perché le Tempora di primavera, cadendo sempre nel corso della prima Settimana di Quaresima, non aggiungono nulla alle osservanze della Quarantena già consacrata a un’astinenza e a un digiuno più rigorosi di quelli che si praticano in qualsiasi altro tempo dell’Anno.

Le intenzioni del digiuno delle Quattro Tempora sono nella Chiesa le stesse che nella Sinagoga: consacrare cioè, mediante la penitenza, ciascuna delle stagioni dell’anno. (…) Esso [il digiuno] è la fonte di pensieri casti, di risoluzioni sapienti, di consigli salutari. Mediante la mortificazione volontaria, la carne muore ai desideri della concupiscenza, lo spirito si rinnova nella virtù. Ma poiché il digiuno non ci basta per acquistare la salvezza delle nostre anime, suppliamo al resto con opere di misericordia verso i poveri. Facciamo servire alla virtù quello che togliamo al piacere; e l’astinenza di colui che digiuna divenga il nutrimento dell’indigente ».

Prendiamo la nostra parte di questi avvertimenti, noi che siamo i figli della santa Chiesa; e poiché viviamo in un’epoca in cui il digiuno dell’Avvento [e della Pentecoste –ndr.-] non esiste più, impegniamoci con tanto più fervore a soddisfare il precetto delle Tempora, in quanto questi tre giorni (…), nei quali la disciplina della Chiesa ci impone in modo preciso, in questa stagione, l’obbligo del digiuno. Rianimiamo in noi, con l’aiuto di queste lievi osservanze, lo zelo dei secoli antichi, ricordandoci sempre che se per la venuta di Gesù Cristo nelle nostre anime é soprattutto necessaria la preparazione interiore, tale preparazione non potrà essere vera in noi, senza manifestarsi all’esterno attraverso le pratiche della religione e della penitenza.

Il digiuno delle Quattro Tempora ha ancora un altro fine oltre quello di consacrare, con un atto di pietà, le diverse stagioni dell’Anno; esso ha un legame intimo con l’Ordinazione dei Ministri della Chiesa, che riceveranno la consacrazione il sabato, e la cui proclamazione aveva luogo un tempo davanti al popolo nella Messa del Mercoledì (…) I fedeli debbono unirsi alle intenzioni della Chiesa, e presentare a Dio l’offerta dei loro digiuni e delle loro astinenze, con lo scopo di ottenere degni Ministri della Parola e dei Sacramenti, e veri Pastori del popolo cristiano.

Divinità dello Spirito Santo.

 

Divinità dello Spirito Santo.

[J.-J. Gaume: Trattato dello Spirito Santo, vol. II]

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Dio, la Trinità e la divinità dello Spirito Santo! Nel linguaggio della rivelazione come nella fede dei popoli, queste tre verità sono talmente unite, che la certezza della prima implica la certezza delle due altre. Ora, Dio esiste con tutti gli attributi coi quali L’adora il genere umano. Innanzi a tutti i secoli, al di là di tutti i mondi evvi un Essere personale, eterno, infinito, immutabile che é a sé medesimo il suo principio e la suà felicità. Come essere sempre fecondo Egli é la vita di tutte le vite, il n. 1, centro di tutti i movimenti, il principio e la fine di tutto ciò che è. Come l’Oceano che contiene la goccia d’acqua nella sua immensità, Egli avvolge nel suo seno l’universo e le sue molteplici creazioni. Egli è dentro e fuori, è lontano e vicino, infine dappertutto. Nell’astro che brilla nella fronte dei cieli Egli vi é; nell’aria che mi fa vivere, vi è. Nel calore che mi anima e nell’acqua che mi disseta; nell’alitare del vento, come nei muggiti delle onde; nel fiore che mi rallegra e nell’animale che mi serve; nello spirito e nella materia, nella culla e nella tomba, nell’atomo e nell’immensità; nel rumore e nel silenzio egli è desso sempre e dapertutto. Egli intende ogni cosa; e la musica armoniosa delle sfere celesti, ed i giocondi canti della lodoletta, ed il ronzio dell’ape, ed il ruggito del leone, e il passo della formica, e il rumor della foglia agitata, e il respiro dell’uomo, e la preghiera del giusto, e le bestemmie del malvagio. Ei vede tutto; il sole che splende agli sguardi dell’universo, e l’insetto nascosto sotto l’erba, ed il vermiciattolo sepolto sotto la scorza dell’albero, e l’impercettibile infusorio perduto negli abissi dell’Oceano. Ei vede il giuoco vario dei loro muscoli e la circolazione del loro sangue, ed i pensieri del mio spirito, e i palpiti del mio cuore, ed i bisogni dell’augellino che domanda il suo cibo, ed i voti solitari del debole, e le lacrime dell’ oppresso. Ei tutto governa; e l’innumerevole esercito dei cieli: e le stagioni, ed i venti, e le tempeste, ed i secoli, ed i popoli, e le umane passioni, e le potestà delle tenebre, e le creature prive di ragione, e gli esseri dotati d’intelligenza. Ei nutrisce, Ei riscalda, Egli alloggia, veste, protegge, conserva tutto ciò che respira; imperocché tutto ciò che respira, non respira che per Lui e non dee respirare che per Lui.

Come fonte eterna del vero, e regola immutabile del bene, Ei dà all’uomo la luce per conoscerlo, la forza per compierlo. Nella sua bilancia infallibile Ei pesa le azioni dei re e dei sudditi, degli individui e dei popoli. Rimuneratore supremo della virtù, e vendicatore incorruttibile del vizio, egli cita al suo tribunale il debole ed il potente, e il giusto che Lo adora, e l’empio che L’oltraggia. Agli uni manda dei gastighi senza misericordia e senza speranza, agli altri una felicità perfetta e senza fine. 0 Essere superiore a tutti gli esseri, Creatore e moderatore dell’universo! Tutto proclama la vostra esistenza; e le magnificenze del cielo, e lo sfolgorante abbigliamento della terra, e la obbedienza figliale dell’onde irritate, e le virtù dell’ uomo dabbene, ed i castighi del colpevole, e la demenza stessa dell’ateo. Chi parla, Vi loda con le sue acclamazioni; ciò che è muto, Vi loda col suo silenzio. Ogni cosa venera la vostra maestà, e la viva e la morta natura. A Voi s’indirizzano tutti i dolori; verso di Voi s’innalzano tutte le preghiere. Creatore, Conservatore, Moderatore, Padre, Giudice, Rimuneratore e Vendicatore, tutti i nomi di potenza, di sapienza, d’amore, d’indipendenza e di giustizia Vi sono dati; tutti Vi convengono e non pertanto nessuno saprebbe nominarVi. Essere al disopra di tutti gli esseri, questo nome è il solo che non sia di Voi indegno. “Ego sum qui sum”. Un Essere al disopra di tutti gli esseri, un Dio autore e regolatore supremo del mondo e dei secoli, tale è il domma fondamentale che proclama l’universo e dinanzi al quale si sono piegati, con la fronte nella polvere, tutte le generazioni che da sei mill’anni, sono passate sulla faccia del globo. Contro questo fatto su cui riposa, come l’edifizio sulla sua base, la fede dell’uman genere, che cosa provano e che possono i dinieghi dell’ateo?

Che cosa provano? Quello che prova una voce scordante in un vasto concerto. La si fa tacere o si fa ritornare all’unisono, e senza di lei o con lei, il concerto continua. Che cosa possono essere? quello che può il debole dardo, scagliato nel passare dall’Arabo fuggitivo, contro la piramide del deserto. L’Arabo sparisce, e la piramide rimane. Alla sua volta, cosa vuole da noi la filosofia razionalista col suo dio di fabbrica umana, col suo dio travicello, col suo nulla? Essere di ragione o piuttosto di sragione, dio impersonale, sordo, muto, indifferente alle opere ed ai bisogni delle sue creature, prodotto variabile del pensiero individuale; no, tale non è, tale non fu in nessun epoca e sotto alcun clima, il Dio dell’uman genere. La sua storia l’attesta: « Giammai, dice un uomo che la conosce a fondo, giammai le nazioni caddero cosi basse nel culto degli idoli, da perdere la cognizione, più o meno esplicita di un solo vero Dio, creatore di tutte le cose. » Il domma dell’unità di Dio non è vero soltanto perché ha tanti testimoni quanti sono astri nel firmamento, e fili d’erba sulla terra; ma è vero altresì perché è necessario. Quel che è il sole nel mondo fisico, Iddio lo è per tutti il rispetti, e più ancora, nel mondo morale. Immaginate che il sole invece di continuare a versare sul globo i suoi torrenti di luce e di calore, venga egli tutt’ad un tratto a estinguersi; e poi sappiatemi dire che cosa diventa la natura. La vegetazione in un istante si arresta ; i fiumi ed i mari diventano tante pianure di ghiaccio; la terra s’indurisce come lo scoglio ; tutti gli animali malefici che la luce incatena nei loro antri tenebrosi, escono fuori dai loro nascondigli e s’invitano al carname; il terrore e lo spavento s’impadroniscono dell’uomo, dovunque regna la confusione, la disperazione e la morte, pochi giorni bastano per ricondurre il mondo nel caos. Appena che Iddio, sole necessario delle intelligenze, venisse a sparire, tosto la vita morale si estinguerebbe. Tutte le nozioni del bene e del male si cancellano, l’errore e la verità, il giusto e l’ingiusto si confondono nel diritto del più forte. In mezzo a queste tenebre, tutte le più schifose cupidigie, sopite nel cuore dell’uomo si risvegliano, e senza timore, come senza rimorsi, si disputano i mutilati brandelli delle fortune, delle città e degli imperi ; la guerra è dappertutto, la guerra di tutti contro tutti, e il mondo non è più che una caverna di ladri e di assassini. Questo spettacolo, non vidde mai occhio d’uomo, molto meno ha visto 1’universo senza l’astro che lo vivifica. Ma quel che ha visto, é un mondo in cui, simile al sole velato da folte nebbie, l’idea di Dio non gettava più che un bagliore incerto. Attraverso a tenebre nelle quali essi si erano volontariamente sepolti, i popoli pagani non scorgevano che indistintamente l’unità incomunicabile dell’essenza divina. Perocché la fiaccola che dovea dirigerla vacillava al vento delle passioni, degli interessi e delle opinioni; il loro cammino intellettuale e morale fu or titubante, ora assurdo, ora retrogrado; gli dei fuorviavano l’uomo. Eterne dubbiezze intorno a questioni più importanti e più semplici, superstizioni grossolane e crudeli, sistemi oscuri o immorali, condannano il genere umano al castigo venti volte secolare dell’idolatria. Ivi, giacciono ancora incatenate le moderne nazioni, lontane dalle benedette zone sulle quali rifulge di tutto il suo splendore il domma tutelare dell’unità divina. Non può essere altrimenti: tra l’uomo e il male, non vi é che una barriera: Iddio; Iddio conosciuto e rispettato. Togliete Iddio, l’uomo senza freno e senza regola, diventa una belva feroce, il quale scende con delizia sino ai combattimenti dei gladiatori ed ai banchetti di carne umana. Per la ragione contraria, vogliamo noi impedire all’uomo di cadere nell’abisso della degradazione e dell’infortunio? Se vi si trova sepolto, vogliamo noi ritrarnelo fuori e condurlo al più alto grado di luce, di virtù e di felicità? Facciamo tregua ai discorsi, tregua alle combinazioni ed ai sistemi: basta una parola. Dite al grande infermo: “vi è un Dio, alzati e cammina alla sua presenza”. Che il genere umano pigli questa parola sul serio, in modo tale che il domma sovrano dell’unità divina, gravi con tutto il suo peso sugli spiriti e sulle volontà, e l’infermo è guarito. Iddio regna; e l’uomo è illuminato dalla sola luce che non sia ingannatrice; egli è virtuoso della sola virtù, che non sia una maschera; esso è felice della sola felicità, che non sia una fraude; egli è libero della sola libertà, che non sia una vergogna, né un delitto, né una menzogna. [Ambula coram me et esto perfectus. Gen. XVII, 1]. Noi lo ripetiamo con una sola parola: Vi è un Dio, il mondo sarà guarito; se no, no. Questa parola fu detta un giorno sul genere umano, incancrenito di paganesimo, detta dappertutto, detta con una autorità sovrana, e il gran Lazzaro sorse dal suo letto doloroso, e cuoprì di ardenti baci la mano che lo aveva salvato. Filosofi, politici, senato, areopago, voi tutti che vi deste e che vi date ancora pei risanatori delle nazioni, quella mano non fu la vostra, né mai sarà. Tuttodì ancora questa parola sovrana vien pronunziata in Europa su qualche anima inferma; nelle isole lontane dell’Oceania, su qualche popolazione antropofaga; e da vicino come da lontano, produce sotto i nostri occhi l’effetto miracoloso che produsse milleottocento anni fa. Tale è, confermata dalla ragione e dalla storia, la potenza salutare, cioè la verità del domma dell’unità di Dio. Ma che cosa è questo Dio? Dio, è il Padre e il Figliuolo e lo Spirito Santo, tre Persone distinte in una sola e medesima divinità. In altri termini, Dio è la Trinità; né può essere altra cosa. Interrogato su ciò che egli è, lo stesso Dio ha risposto: Io sono colui che sono; io sono l’Essere, l’Essere assoluto, l’Essere senza qualificazione [“Ego sum qui sum.” Exod. III, 14.]. Ora l’essere assoluto, possiede necessariamente tutto ciò che costituisce l’essere, e lo possiede in tutta la sua perfezione. Tre cose costituiscono l’essere.; la misura, il numero, il peso. [Omnia in mensura, et numero, et pondere disposuisti, Sap., XI, 21. 3 Mensura omni rei modum praefìgit, et numerus onmi rei speciem praebet, et pondus omnem rem ad quietem et stabilitatem trahit. S. Aug. De Gen. ad Litt., lib. IV, c. III.]. Negli esseri materiali, la misura è il fondamento o la sostanza; il numero, è la figura che modifica la sostanza; il peso è il vincolo che unisce la sostanza alla figura, e tra di esse, tutte le parti dell’essere. Cercate in tutta la natura, dal cedro al filo dell’erba, dall’elefante ai vermiciattoli del monte in mezzo alla sabbia, voi non troverete un solo essere che non riunisca queste tre cose. Esse sono talmente essenziali, che con una di meno, l’essere non può esistere, nemmeno concepirsi. Così se togliete la sostanza, che cosa avete voi? il nulla; la figura? il nulla; il vincolo ? il nulla. La misura, il numero e il peso non sono nelle creature se non perché Iddio ve le ha messe. Iddio ve le ha messe perché le possiede, vale a dire perché è Lui stesso misura, numero e peso. Come abbiamo visto circa il domma dell’unità di Dio, cosi la Trinità ha dunque altrettanti testimoni quante sono nell’universo creature inanimate, astri nel firmamento, atomi nell’aria e fili d’erba sulla terra: quest’è il pensiero dei più grandi genii. « In tutte le creature, dice sant’Agostino, appare il vestigio della Trinità. Ciascun’opera del divino Artefice presenta tre cose: l’unità, la bellezza, e l’ordine. Ogni essere è uno, come la natura dei corpi e l’essenza delle anime. Questa unità riveste una forma qualunque, come le figure o le qualità dei corpi, le dottrine o i talenti delle anime. Questa unità e questa forma, hanno tra loro dei rapporti e sono di un ordine qualunque. Così nei corpi, la gravità e la posizione ; nelle anime l’amore e il piacere. Da questo, poiché è impossibile di non intravvedere il Creatore nello specchio delle creature, noi siamo condotti a conoscere la Trinità, della quale ciascuna creatura presenta un vestigio più o meno splendido. Difatti, in questa sublime Trinità vi è l’origine di tutti gli esseri, la perfetta bellezza, il supremo amore.

Trinità! ecco secondo Lattanzio, sant’Atanasio, san Dionigi d’Alessandria, Tertulliano, il domma che proclama incessantemente, a coloro che hanno orecchi per udire, l’università degli esseri. I più nobili lo ripetono con una voce più sonora. Sarebb’egli giusto che fosse altrimenti? Non devono essi un omaggio particolare all’augusto mistero, il cui vestigio più luminoso, segnato sulla loro fronte, è la ragione stessa e la misura della loro nobiltà? Cosi il sole, l’albero, la fonte, sono tanti predicatori eloquenti della Trinità. Nell’unità della stessa essenza essi ci mostrano, uno: il centro, il raggio, il calore: l’altro la radice, il tronco ed i rami; il terzo il serbatoio, il corso ed il fiume. L’angelo della scuola (san Tommaso), nello spiegare la dottrina dei Padri, aggiunge che: « In ciascuna creatura trovansi delle cose che si riferiscono necessariamente alle divine Persone, come alla loro causa. Difatti ogni creatura ha il suo proprio essere, la sua forma, il suo ordine e peso. Ora, come sostanza creata, essa rappresenta la causa e il principio, e dimostra la Persona del Padre che è il principio senza principio. In quanto essa ha una forma, rappresenta il Verbo, e come forma dell’opera concepita dall’operaio. In quanto essa ha l’ordine e il peso, rappresenta lo Spirito Santo, come amore che unisce gli esseri tra loro che procedono dalla volontà creatrice. A ciò si riferiscono la misura, il numero ed il peso: la misura alla sostanza dell’essere ; il numero alla forma; il peso all’ordine. » Se le creature inanimate, che sono le ultime nella scala degli esseri, presentano il vestigio della Trinità, è chiaro che questo vestigio dee rifulgere con più splendore nelle creature di un ordine superiore. Ma che dico? non è solamente il vestigio che noi troveremo ma la immagine. «Ogni effetto, continua san Tommaso, rappresenta la sua causa in parte, ma in modi differenti. Un certo effetto rappresenta soltanto la causalità della causa, senza indicazione della forma. Per tale modo il fumo rappresenta il fuoco. Tale rappresentazione si chiama rappresentazione per vestigio. E con ragione, imperocché il vestigio prova che un essere é passato da questo; ma non dice quale sia. Cert’altro effetto rappresenta la causa, quanto alla rassomiglianza. Così il fuoco generato rappresenta il fuoco generatore, la statua di Mercurio, Mercurio. Questa rappresentazione si chiama così per immagine. « Ora le processioni delle Persone divine si considerano secondo gli atti dell’intelletto e della volontà. Difatti, il Figliuolo procede, come la parola, dall’intelletto; lo Spirito Santo, come l’amore, dalla volontà. Ne resulta che nelle creature ragionevoli dotate d’intelletto e di volontà si trova la rappresentazione della Trinità in forma d’immagine, poiché trovasi in esse il Verbo concepito e l’amore che deriva». Ne resulta ancora che il domma della Trinità ha tanti riflessi, quanti sono Angeli in cielo, demoni nell’inferno, e uomini venuti o da venire sulla terra, dal principio del mondo sino alla fine. Riassumendo: ciò che nelle creature inanimate è misura, numero e peso, si chiama nelle creature ragionevoli potenza, sapienza, amore; e in Dio: Padre o potenza, Figliuolo o sapienza, Spirito Santo o amore mutuo del Padre e del Figliuolo. Queste tre cose: potenza, sapienza, amore, sono talmente essenziali in Dio, che una di meno, Dio non è, né può nemmeno concepirsi. Se voi Gli togliete la potenza che cosa avete? il nulla. La sapienza? il nulla. L’amore? il nulla. Abbiamo aggiunto che Dio possiede le tre condizioni essenziali dell’essere in tutta la loro perfezione. Ora nell’Essere propriamente detto, la perfezione di queste condizioni è di essere reali, sostanziali, sussistenti per sé medesimi; in una parola vere ipostasi o Persone distinte. Aspettando le prove dirette del domma della Trinità, ciò sia detto, non per dimostrare ciò che è non dimostrabile, ma per mostrare che l’augusto mistero non ha niente di contrario alla ragione, e che anche la vera filosofia ne sospetta l’esistenza innanzi d’averne la certezza. Cosi Dio l’ha voluto. E perché ? Da un lato, a fine di non lasciarsi senza testimonianza, imprimendo le sue vestigia o la sua immagine in tutte le creature; dall’altro lato, allo scopo di dare agli uomini e specialmente alle nazioni cristiane il mezzo di raggiungere la loro perfezione, pigliando per modello la Potenza infinita, la Sapienza infinita e l’infinito Amore. Di fatti, se il domma dell’Unità di Dio fu il sole del mondo giudaico, il domma della Trinità è il sole del mondo evangelico. Ora, quel che è la rosa in boccio alla rosa sbocciata, il domma dell’unità di Dio sta al domma della Trinità. Camminare alla presenza di un Dio in tre Persone chiaramente noto, è dunque per i popoli cristiani la legge del loro essere e la condizione della loro superiorità. Se questa legge del loro essere vengono essi a dimenticarla o a disconoscerla, cadono sull’istante dalle altezze luminose del Calvario, e retrocedendo di quaranta secoli, ricadono nelle tenebre del Sinai. Ma non si arresta qui la loro caduta. Un popolo cristiano non può cessare d’esserlo, senza discendere al disotto dell’ebreo, al disotto del maomettano, senza diventare una razza degradata che non ha nome nell’umano linguaggio. Tale è la condizione della sua superiorità. La perfezione intellettuale e morale di una società è sempre in ragione diretta della nozione che essa ha di Dio. Quanto la cognizione chiara dell’unità divina innalzò i figli d’Israello al disopra delle nazioni pagane, altrettanto la rivelazione della Trinità innalza i popoli cristiani al disopra del popolo ebreo. Che lo sappiano le società battezzate o che lo ignorino, che lo credano o lo neghino, è nelle profondità di questo domma eternalmente fecondo, che trovasi la sorgente nascosta della loro superiorità sotto tutti i rapporti. La Trinità è il cardine del Cristianesimo, per conseguenza la principale divisa delle società nate dal Cristianesimo. Togliete questo domma, e l’incarnazione del Verbo non è altro che una chimera; la redenzione del mondo una chimera; l’effusione dello Spirito Santo una chimera; la comunicazione della grazia una chimera; i sacramenti una chimera; il Cristianesimo tutto quanto una chimera, e la società una rovina.

Vedere l’augusta Trinità nello specchio delle creature, non è più illusione che il riconoscere l’albero dai suoi frutti o l’operaio dalla sua opera. Per conseguenza le vedute ed i ragionamenti dei grandi genii che abbiamo citati, sono confermati autenticamente dallo stesso Creatore. Tre capi d’opera riassumono ai nostri occhi la sua opera esteriore: il mondo materiale, l’uomo ed il cristiano. Ora, come l’artefice pone la sua impronta ad ogni prodotto della sua industria e si fa in tal modo conoscere al pubblico; cosi Iddio medesimo ci dice che si è scolpito in caratteri indelebili su ciascuno dei suoi capolavori, in modo da dichiararsi l’autore di tutti gli esseri e di manifestarsi a chiunque possegga occhi per vedere e uno spirito per comprendere. Dice san Paolo: « Il Vangelo non mi fa arrossire, perché é la virtù di Dio per salvare coloro che credono. Cosi ci è altresì rivelata l’ira di Dio che scoppierà dal cielo contro tutta l’empietà e l’ingiustizia di quelli uomini, i quali ritengono ingiustamente la verità’ di Dio; poiché ciò che possiamo conoscere di Dio è loro noto: Dio medesimo lo ha loro manifestato. Di fatti le cose che sono invisibili in sé, come la sua eterna potenza e la sua divinità, sono diventate visibili nello specchio della creazione, di maniera che sono inescusabili, poiché avendo conosciuto Dio non lo hanno punto glorificato come Dio. » Vogliamo noi vedere quanto è legittima quest’ira ispirata contro i negatori o i disprezzatori della Trinità? Studiamo la condotta dello stesso Dio. Ei vuole che il suo primo organo, Mosè, cominci la storia del mondo dalla rivelazione della Trinità creatrice. « Iddio, nel principio, crea il cielo e la terra, e lo Spirito di Dio era portato sulle acque.[Gen.I, 1, 2.] » Su di che il più autorevole come il più profondo degli interpetri, sant’Agostino, cosi si esprime: « Nel momento stesso in cui la creazione in massa fu chiamata dal nulla sotto il nome di cielo e di terra per indicare ciò che doveva esser fatto, la Trinità del Creatore è insinuata. Dice la Scrittura: “Nel principio Dio creò il cielo e la terra. Ora sotto il nome di Dio noi comprendiamo il Padre; sotto il nome di Principio il Figliuolo che non è principio per il Padre ma per tutte le creature; e quando la Scrittura aggiunge: E lo Spirito di Dio era portato sulle acque, noi abbiamo la rivelazione completa della Trinità, poiché questa parola indica la potenza sovrana dello Spirito Santo. »

La Trinità non contenta d’essersi rivelata nella creazione della massa materiale, essa si rivela in ciascuna opera particolare che ne trae. È anche questo un concetto del grande vescovo d’Ippona: «Nella manipolazione e nel perfezionamento della materia per formare delle creature distinte s’insinua la stessa Trinità. In queste parole: Dio dice, noi abbiamo il Verbo o la parola, e il generatore del Verbo; e in quest’altre: Dio vide che ciò era buono, abbiamo la Bontà infinita, lo Spirito Santo, per cui solo piace a Dio tutto ciò che gli piace. » Ora le stesse parole ritornano sette volte nell’opera della creazione; cosicché ripetesi per sette volte la proclamazione del domma della Trinità; sette volte l’affermazione divina che il mondo materiale nel suo insieme ed in ciascuna delle sue parti porta il suggello del suo Autore. Ascoltiamo un altro commentatore, del pari degno di nota per la purità del suo cuore e per la solidità della sua scienza: « Il libro che contiene l’origine delle cose, dice l’Abate Ruperto, comincia con queste parole: “Al principio Dio creò il cielo e la terra”. Poiché la stessa creazione è il principio del mondo, perché dicesi: “Al principio Iddio creò”? È la stessa cosa come se avesse detto: al principio cominciò. Se lo pigliamo qui nel significato volgare, la parola cominciamento, forma una tautologia ridicola. È dunque ben fondato il prenderlo per un nome proprio del Figliuolo. Egli stesso vuole cosi, poiché interrogato dai Giudei che Gli dicevano : Chi siete voi ? Egli risponde: lo sono il Cominciamento o il Principio, Io che vi parlo. » Difatti, è veramente nel Principio che Dio creò il cielo e la terra, poiché tutte le cose sono state fatte da Lui. La medesima Scrittura conferma questa interpretazione, quando altrove dice: “Voi avete fatte le cose per mezzo della Sapienza”. Ora questa Sapienza non è altro che il Verbo di Dio, il Quale come abbiamo visto si chiama Lui stesso il Principio. E lo Spirito di Dio era portato sulle acque. La materia esiste ma è informe; bisogna darle la vita e la bellezza. Lo Spirito di Dio fa per essa ciò che l’uccello, col suo calore, fa sul pulcino rinchiuso nell’uovo: lo scalda, lo anima, lo vivifica e ne fa un essere dotato di tutte le sue perfezioni. Chi pensate voi che sia questo Spirito di Dio, se non l’Amore stesso di Dio, Amore, non di affezione, ma Amore sostanziale, vita e virtù vivente dimorante nel Padre e nel Figliuolo, procedente dall’Uno e dall’Altro e consustanziale all’Uno ed all’Altro? Ora Egli si recava sulle acque, per conseguenza sulla terra racchiusa nel loro seno, perché il Creatore era attratto da un immenso amore verso la sua creatura; e non potendo essere Lui medesimo ciò che avea creato, voleva trarne tanti esseri capaci di unirsi a Lui. Questa Bontà, quest’Amore del Creatore è lo stesso Spirito Santo: « In testa del Libro dei libri, è dunque splendidamente iscritto il domma della Trinità creatrice. Nel nome di Dio noi vediamo il Padre; nel nome del Principio il Figliuolo; in quello che è portato sulle acque, lo Spirito Santo. » Come prova di questa interpretazione cosi netta e tanto autorevole, gli interpreti più abili nella lingua ebraica, fanno valere l’anomalia grammaticale del testo ebraico. Letteralmente egli deve tradursi: nel ‘principio “gli Dei” creò. Perché questa forma strana? Perché il concetto deve essere superiore a tutte le parole, e che dinanzi alla volontà sovrana di Colui che nella prima parola ispirata dal suo primo organo vuole rivelare la sua Essenza divina, debbono piegare tutte le leggi della grammatica. Elohim, “gli Dei”, al plurale indica in Dio la pluralità delle persone, come l’unità di essenza è indicata dal verbo singolare “Bara” creò. La storia della creazione del mondo materiale comincia dunque con la rivelazione del domma della Trinità. Alla stessa guisa comincia la storia della creazione dell’uomo, “Facciamo l’uomo ad immagine e somiglianza nostra, dice il Creatore; e il divino Artefice incide se medesimo a caratteri indelebili, fin nell’essenza di quella nuova creatura. Consideriamo prima di tutto la profondità del linguaggio biblico: queste due parole immagine e somiglianza non sono una inutile ripetizione. Una è il preambolo dell’altra: entrambi riunite rivelano all’uomo e i suoi rapporti con Dio, e il fine della sua vita. Al Padre della stirpe umana e ad ognuno dei suoi discendenti essi dicono : « Dotato della triplice facoltà di ricordarti, di conoscere e di amare, tu sei fatto ad immagine del Dio Trinità. Questa immagine è improntata perfino nei più intimi penetrali del tuo essere. Ebreo, pagano, cattolico, eretico, giusto o peccatore, chiunque tu sii, e qualunque cosa tu faccia, finché sarà vero che tu sei uomo, sarà vero che tu sei l’immagine di Dio. Dannato, tu la porterai nell’inferno, e le fiamme eterne la bruceranno senza distruggerla. » Non è il fine della tua vita il conservarla, ma il perfezionarla, insino a formare in te la rassomiglianza con Dio. Tale è la legge del tuo essere e la condizione della tua felicità. Come peccatore tu perdi questa somiglianza; come giusto sulla terra, tu l’hai, ma imperfetta; santo nel cielo tu la possederai nella sua perfezione. Allora, e allora soltanto tu potrai dire: Io ho raggiunto il fine della mia creazione: sono simile a Dio. Se non vi ha dottrina più sublime di questa, nessun’altra è più certa. « Alla immagine di Dio impressa nell’anima mia, dice san Basilio, io debbo l’uso della ragione: alla grazia d’essere cristiano, la rassomiglianza con Dio. » E san Girolamo : « Bisogna osservare che l’immagine solamente è fatta in noi dalla creazione; la rassomiglianza mediante il battesimo. » E san Crisostomo: « Dio dice immagine, a motivo dell’impero dell’uomo su tutte le creature; rassomiglianza, affinché nella misura delle nostre forze noi ci rendiamo simili a Dio con la mansuetudine, con la dolcezza, con la virtù, secondo il precetto di Gesù Cristo medesimo che dice: Siate simili al Padre rostro che è nei cieli». Lavoro magnifico del quale san Giovanni fa brillare ai nostri occhi il complemento eterno quando egli scrive: « 0 diletti, noi siamo adesso i figli di Dio; ma non si sa ancora quel che noi saremo. Solamente sappiamo che quando Egli apparirà noi saremo simili a lui, [Jo. III, 2] ». Ma in che consiste questa immagine della Trinità che portiamo in noi medesimi? In nome di tutti lasciamo parlare due grandi maestri della dottrina; sant’Agostino e Bossuet: « Occupandoci della creazione, dice il primo, abbiamo per quanto da noi dipenderà, avvertito coloro che cercano la ragione delle cose, di applicare tutta la forza del loro spirito nel considerare le perfezioni invisibili di Dio, nelle sue opere esteriori, e principalmente nella creatura ragionevole che è stata fatta ad immagine di Dio. Là, come in uno specchio essi vedranno se sono capaci di vedere la Trinità divina nelle nostre tre facoltà; la memoria, l’intelletto, e la volontà. « Chiunque distingue chiaramente queste tre cose scolpite nell’anima propria dalla mano del Creatore, e che considera quanto è grande il vedere in quest’anima creata la natura immutabile di Dio, ricordata, veduta, amata; imperocché ce ne ricordiamo mediante la memoria, Lo vediamo mediante l’intelletto, e Lo amiamo per mezzo della carità; quegli trova senza dubbio in sé medesimo l’immagine della Trinità. Trinità sovrana, obietto eterno della memoria, dell’intelletto e dell’amore, cosicché tutta quanta la vita dee avere per fine di ricordare, di contemplare ed amare. [De Trinitate, lib. XV, n. 39] » Dopo il Vescovo d’Ippona, ascoltiamo il Vescovo di Meaux. Delineando all’uomo l’augusta immagine ch’ei porta e scongiurandolo a farne l’oggetto continuo della sua imitazione: « Questa Trinità, dice Bossuet, increata, sovrana, onnipotente, incomprensibile, a fine di darci qualche idea della sua perfezione infinita, ha fatto una Trinità creata sulla terra…. Se volete sapere qual è questa Trinità creata, della quale parlo, rientrate in voi stessi, e la vedrete; è l’anima vostra. « Di fatti, come l’augustissima Trinità ha una sorgente ed una fonte di divinità, secondo parlano i Padri greci, un tesoro di vita e d’intelligenza che noi chiamiamo il Padre, dal quale il Figliuolo e lo Spirito Santo non cessano mai di attingere, cosi l’anima umana ha il suo tesoro che la rende feconda. Tutto ciò che i sensi gli recano di fuori, ella raduna internamente: e ne fa come un serbatoio che appelliamo memoria. E nella stessa guisa che questo tesoro infinito, cioè il Padre eterno, contemplando le sue proprie ricchezze, produce il suo Verbo che é sua immagine; cosi l’anima ragionevole, piena e ricolma di belle idee, produce quella parola interiore che noi chiamiamo il pensiero, o il concetto; o il discorso, che è la viva immagine delle cose. « Imperocché noi cristiani non sentiamo, che quando concepiamo qualche oggetto; ce ne facciamo noi medesimi una pittura animata, che l’incomparabile sant’Agostino chiama il Figlio del nostro cuore: Filius cordìs nostri? [De Trin. IX c. VII] Finalmente, come producendo in noi questa immagine che ci dà l’intelletto, noi ci compiacciamo di intenderla, amiamo per conseguenza questa intelligenza, e cosi da questo tesoro che è la memoria, e dall’intelligenza ch’essa produce, nasce una terza cosa che si chiama “amore”, nella quale hanno termine tutte le operazioni dell’anima nostra. « Cosi dal Padre che è il tesoro, e dal Figlio che è la ragione e l’intelletto, procede quello Spirito, infinito, che è il termine dell’operazione dell’uno e dell’altro. E siccome il Padre, questo eterno tesoro, si comunica senza estinguersi; così questo tesoro invisibile e interiore che l’anima nostra racchiude nel proprio suo seno, nulla perde diffondendosi, imperocché la nostra memoria non si esaurisce con i concetti che essa produce, ma rimane sempre feconda come Dio Padre è sempre fecondo. E altrove: « Abbiamo detto che, la Trinità risplende magnificamente nella creatura ragionevole. Simile al Padre essa ha l’essere; simile al Figlio essa ha l’intelletto, e simile allo Spirito Santo essa ha l’amore. Simile al Padre e al Figlio ed allo Spirito Santo ha essa nel suo essere, nella sua intelligenza e nel suo amore una stessa felicità ed una stessa vita. Voi non sapreste toglierle nulla, senza toglierle tutto. Felice creatura e perfettamente simile, se essa si occupa unicamente di Lui. Allora essendo perfetta nel suo essere, nella sua intelligenza, nel suo amore, essa intende tutto ciò che è, ed ama tutto ciò ch’essa intende. Il suo essere e le sue operazioni sono inseparabili. Dio diventa la perfezione del suo essere, il nutrimento immortale del suo intelletto, e la vita del suo amore. Essa non dice come Dio, che una sola parola, la quale comprende tutta la sua sapienza. Come Dio essa non produce che un solo amore, il quale abbraccia tutto il suo bene. E tutto ciò non muore punto in lei. « La grazia sopraggiunge su questo fondamento, e rialza la natura: la gloria le è mostrata, ed aggiunge il suo complemento alla grazia. Fortunata creatura se essa sa, lo ripeto ancora, conservare la sua felicità. O uomo, tu l’hai perduta! dove si smarrisce la tua intelligenza? Dove va ad annegarsi il tuo amore? Ahimè! Ahimè! e senza fine ahimè! ritorna alla tua origine. » Ritorna; e se tu vuoi conoscere la tua dignità ed il fine della tua esistenza, non guardare né il cielo, né la terra, né gli astri, né gli elementi, né tutto quell’universo che ti circonda: guarda te stesso dunque, o uomo! Ascolta non più la voce che esce dalle creature, ma la voce che viene da te. Tu stesso sei il predicatore della Trinità. Dovunque ti rechi, ne porti l’immagine. Rispettala, amala, copiala, fatti a sua somiglianza, poiché la tua felicità è a questo prezzo. Nei grandi avvenimenti che segnano la vita dell’uomo primitivo, la Trinità riapparisce. Adamo è caduto: « Ecco, dicono le divine persone, Adamo divenuto simile a uno di noi: “Ecce Adam factus est quasi unus ex nobis”. [Gen.III, 22] ». Quanto più queste parole sono chiare, interpretate nel senso cattolico, tanto più esse sono assurde se non indicano la pluralità delle Persone divine. In questo caso esse hanno il seguente significato: ecco Adamo divenuto simile a uno di me. satana vuol gettare le fondamenta della Città del male. Per edificarla egli riunisce gli uomini nelle pianure di Sennaar. La città e la torre che deve innalzarsi fino al cielo salgono a vista d’occhio. Questa audace impresa provoca una nuova manifestazione della Trinità. Siccome le tre Persone hanno tenuto consiglio per creare l’uomo, esse si trovano d’accordo per punirlo. «Venite, dicono Esse, scendiamo e confondiamo il loro linguaggio [Gen. XI, 7]».

Dal canto suo Iddio vuole formare la Città del bene. Abramo ne sarà la pietra angolare, e la Trinità gli apparisce. In mezzo alla valle di Mambre s’innalzava la tenda del Padre dei credenti. Un giorno verso l’ora di mezzodì il caritatevole patriarca stava seduto sulla sua porta, allorquando, alzando gli occhi, ei vede tre personaggi ritti dinanzi a lui. A quello spettacolo volge la faccia verso terra e adora dicendo in “singolare”: «Signore se io ho trovato grazia appresso di Te non venire dinanzi al tuo servo. [Domine, si inveni gratiam in oculis tuis, ne transeas servum tuum. Gen. XVIII, 3 ] » Abramo vede tre Persone, ed egli non adora che un solo Signore, al Quale dà costantemente il nome incomunicabile di Jehova. Che cosa significa questo linguaggio? Consultiamo l’oracolo, interprete infallibile della Scrittura, la Tradizione: « Ecco tosto, dice un Padre della Chiesa, che la Maestà incorporea scende sulla terra, sotto la corporea figura di tre Personaggi. Abramo corre loro incontro; tende verso di Essi le sue mani supplichevoli, bacia Loro le ginocchia e dice: Signore, se io ho trovato grazia appo Te non passare dinanzi al tuo servo senza fermarti. Voi vedete, che il Padre dei credenti si precipita incontro a quei tre e non adora che un solo: Unità in tre, Trinità in uno. Ecco che la celeste Maestà prende posto alla tavola di un mortale, accetta un desinare, gusta delle pietanze, e si stabilisce una amichevole conversazione famigliare tra Dio e un uomo. Alla vista di quei tre personaggi, Abramo comprende il mistero della santa Trinità; e se non adora in Essi che un solo Signore, è perché non ignora che in quelle tre Persone, non vi è che un Dio solo. »

Da queste molteplici manifestazioni era resultata presso gli ebrei, la conseguenza certa del domma fondamentale della fede dell’uman genere, nell’antica alleanza come nella nuova. « Gli uomini illuminati tra gli Ebrei, dice sant’Epifanio, tanto profondamente istruito nelle cose della sua nazione, insegnarono fino dai primi tempi e con una intera certezza, la Trinità in un’unica Essenza divina. » Un altro figliuolo d’Israele, non meno versato nella storia religiosa della Sinagoga, il signor Drach, cosi si esprime: « Nei quattro Vangeli non si osserva meno la Rivelazione nuova della santa Trinità, punto fondamentale, e cardine di tutta la religione cristiana, quanto quella di ogni altra dottrina di già insegnata nella Sinagoga, al momento della venuta di Cristo: come, per es.: il peccato originale, la creazione del mondo senza materia preesistente, e l’esistenza di Dio. «Quando Nostro Signore dà ai suoi discepoli, che avea tutti scelti tra i Giudei, la missione di andare a predicare il suo santo Vangelo ai popoli della terra, ordina loro di battezzarli in nome del Padre, e del Figliuolo, e dello Spirito Santo. È chiaro che queste parole, le sole dei quattro Evangeli, in cui le tre divine Persone vengono nominate insieme in termini tanto espressi, non sono dette come aventi per oggetto di rivelare la santa Trinità. Se il Salvatore pronunzia qui i nomi odorabili del Padre, e del Figliuolo e dello Spirito Santo, egli è per prescrivere la formula sacramentale del battesimo. La menzione del gran mistero in questa circostanza, in occasione del battesimo, produce sullo spirito di chiunque legge il Vangelo, l’effetto di un articolo di fede già conosciuto e pienamente ammesso tra i figli d’Israele. « Insomma, gli evangelisti prendono per punto di partenza il mistero della incarnazione. Essi ce lo rivelano e ci prescrivono di credervi. Quanto a quello della Trinità che lo precede, e che n’è la base nella fede, se ne impadroniscono come di un punto già manifesto, ammesso nella credenza della legge antica. Ecco perché non dicono in nessun luogo, sapete; ma credete che vi sono tre Persone in Dio. Difatti chiunque è in familiarità con ciò che insegnavano gli antichi dottori della Sinagoga, soprattutto quelli che hanno vissuto innanzi la venuta del Salvatore, sa che la Trinità in un Dio unico, era una verità ammessa tra loro fino dai più remoti tempi. [Armonia della Chiesa e della Sinagoga, t. II, p. 277, 279]». Però vi è una creazione più nobile di quella dell’universo materiale, più nobile di quella dell’uomo stesso, vale a dire la creazione del cristiano. Come i due primi, cosi questo terzo capo d’opera comincia con la rivelazione del domma della Trinità. La pienezza dei tempi è compiuta: il Verbo mediante il Quale tutto é stato fatto, è disceso sulla terra per rigenerare la sua opera. Un nuovo mondo più perfetto dell’antico deve nascere alla sua voce. Egli stesso ascende di nuovo al Padre suo; ma i suoi apostoli hanno ricevuto l’ordine ed il potere di continuare questa meravigliosa creazione. Nel momento solenne della sua dipartita, lascia cadere dalle labbra divine il nome ineffabile di Jehovah, che non aveva ancor punto pronunziato nel suo intiero, e la cui completa enunciazione, doveva essere, secondo la profetica tradizione della Sinagoga, il segnale della redenzione universale. [La Trinità delle persone in un Dio solo non doveva essere insegnata pubblicamente, chiaramente, a confessione stessa dei Rabbini, se non all’epoca della venuta del Messia nostro, giusto, epoca in cui il nome di Jehova che annunzia quest’augusto mistero, alla stessa guisa che l’incarnazione del Verbo, doveva cessare d’essere impronunziabile… Una delle loro antiche tradizioni dice in termini formali: la Redenzione si opererò, mediante l’intiero nome Jehova ; quando una delle tre Persone divine, inseparabile dalle due altre si sarà fatta, il che significa l’ultima lettera del nome ineffabile: Uomo Dio ecc. Drach, ibid.7 t. II, p. 455. ].

Ei dice loro: « Andate dunque, istruite tutte le nazioni e battezzatele in nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo. [Matteo, XVIII, 19] ». Ecco, ornai, indicata la perfetta uguaglianza delle Tre Persone, la stessa potenza, la stessa virtù santificante in un solo nome, vale a dire in una sola divinità: che cosa vi ha di più chiaro! Cosi l’uomo, che deve l’essere suo naturale all’adorabile Trinità, Le dovrà pure il suo essere soprannaturale. Vita umana e vita divina gli derivano dalla stessa sorgente. Questa grande verità sarà scritta nell’atto stesso della sua duplice creazione. Nasca sotto qualunque clima, un figlio di Adamo non può diventare Figlio di Dio, senza che la Chiesa sua madre gli scolpisca sulla fronte il marchio indelebile dell’augusta Trinità. Ma ciò non basta. Come Iddio in tre Persone nell’antico Testamento moltiplicò le sue apparizioni all’uomo primitivo, cosi sotto la legge di grazia Egli le moltiplica più’ spesso, e più chiare all’uomo nuovo. Seguitate il cristiano dalla culla sino alla tomba; ei non potrebbe fare un passo nella vita senza incontrare la Trinità. Battezzato che sia in nome della Trinità, egli è rivestito della forza e ripieno dei lumi dello Spirito Santo, perché lo é in nome della Trinità. Se egli riceve la carne vivificante del suo Redentore, è in nome della Trinità. Se ricupera la purità dell’ anima per la remissione delle sue colpe; se è fortificato nei pericoli dell’ultima lotta; se secondo la carne, o secondo lo spirito, diventa il padre di una nuova famiglia, lo è sempre in nome della Trinità. Se infine, ritorna egli all’ultima sua dimora terrena, ed è consegnato alla tomba come un inviolabile deposito, lo è sempre in nome della Trinità. Così, da qualunque lato ch’ei si volga, che sollevi i suoi sguardi verso il firmamento, che gli abbassi verso la terra, o che gli riconcentri su se medesimo, dappertutto vede brillare il domma augusto di un Dio in tre Persone. Per negarlo, fa d’uopo che egli neghi l’universo, che neghi la sua ragione, che neghi le Scritture, che neghi sé stesso, come uomo e come cristiano. Ma quante volte egli lo afferma, tante volte afferma la divinità dello Spirito Santo. Il nostro compito era di stabilire appunto ciò.

Omelia della Domenica della Pentecoste

Ascensione

Omelia della Domenica della Pentecoste 

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. II -1851-]

-Ispirazioni –

È questo il memorabile giorno in cui lo Spirito Santo discese in forma di fuoco sopra i discepoli, con Maria Vergine nel Cenacolo congregati. Se mi chiedete, uditori umanissimi, perché venne in questa forma di fuoco? Io vi rispondo con l’angelico dottor S. Tommaso (3 P, q. 39. A. 7.) che lo Spirito Santo prese forma sensibile di questo elemento per significare ch’egli produce nell’anime nostre quegli effetti, che sono propri del fuoco. Il fuoco illumina, purifica, consuma. Lo Spirito Santo illumina la mente, purifica il cuore, consuma le viziose abitudini: “Deus noster ignis conmmens est” (ad. Ebr. XII, 29). Ma perché in noi produca questi salutevoli effetti, è necessario aprirGli la strada con accogliere e mettere in pratica de sue sante ispirazioni. Si verificherà allora ciò che Gesù Cristo ha promesso nell’odierno Vangelo, che lo Spirito Santo c’insegnerà e ci suggerirà ogni cosa appartenente alla nostra eterna salute: “Ille docebit vos omnia, et suggeret vobis omnia”. Ma come potrà insegnare, se chiudiamo le orecchie alle sue voci? Come potrà suggerirci i mezzi e la via da tenere per andar salvi, se chiudiamo gli occhi alla sua luce? È dunque della somma importanza, anzi della massima necessità, il profittare della sua luce, l’ascoltare la sua voce, il seguire le sue sante ispirazioni. Ispirazioni, notate bene quel che mi accingo a dimostrarvi, ispirazioni, dall’accoglimento o rifiuto delle quali può dipendere la nostra eterna salvezza, o la nostra eterna perdizione. Uditemi cortesemente!

Noi siamo pellegrini su questa terra: “peregrinamur a Domino” (2 Cor. V, 6). In questa nostra pellegrinazione, i nostri passi sono indirizzati alla casa dell’eternità “Ibit homo in domum aeternitatis suae” (Prov. XVI, 5), e di quella eternità felice, o sventurata a cui l’uomo viatore avrà diretti i suoi passi, “in domum aeternitatis suae”. Posto ciò, egli è certo che in qualità di viatori o di pellegrini ci troviamo sovente ad un bivio, in capo a due strade, l’una a destra, l’altra a sinistra, una che al bene ci porta, l’altra al male, una di salute, l’altra di perdizione. Tutto il punto sta a metter bene il primo piede, a dar il primo passo nella buona strada. Si chiama dallo Spirito Santo un tal passo: “initium viae bonae”, principio di buon sentiero, che sul cominciare da una ispirazione, la quale ci suggerisce una limosina o una preghiera, una confessione da farsi, o un vizio da emendarsi, un’occasione da fuggire, o una virtù da praticare; alla quale ispirazione secondata vien poi dietro una serie non interrotta d’altri passi virtuosi, che dirittamente ci conducono fino all’ultima meta, fino alla beata eternità.

La predestinazione degli eletti, come co’ santi Agostino e Tommaso insegnano i teologi, altro non è che la divina prescienza, e l’ordinazione de’ mezzi valevoli a condurre i predestinati all’eterna beatitudine; onde siccome la sua provvidenza ha disposto di darci l’esistenza e la vita, così la sua bontà ha decretato di farci sentire nel tal tempo, nella tal circostanza quella santa ispirazione, la quale se prontamente si accoglie e s’eseguisce, come il primo anello di ben contesta catena, trae seco l’altre grazie, gli altri lumi, gli altri mezzi, che facilmente conducono all’ultimo beato fine.

Vediamolo in pratica. Dove cominciò la predestinazione, la santità di tanti eroi, che veneriamo sugli altari? Da un’occasione per essi fortuita, ma dallo Spirito Santo diretta a commuoverli, accompagnata dall’impulso della sua grazia, e da un raggio della superna sua luce. Entra a caso in una Chiesa S.Antonio Abbate ancor giovanetto, mentre si legge il santo Vangelo, ciò che sente lo crede detto a se stesso, e sull’istante vende tutto ciò che possiede, lo dà a’ poveri, fugge dal mondo, si nasconde in un deserto, diviene Patriarca di monaci, caro a Dio, terribile a’ demoni. Una limosina prima negata, e poi per commovente ispirazione conceduta, innalzò alla più gran santità un Francesco d’Assisi. Giugne casualmente alle mani d’Ignazio di Loiola un libro divoto, comincia a leggerlo per rompere l’ozio; ma leggendo, lo Spirito del Signore lo illumina, profitta di questo lume, rompe i legami del mondo, e si fa uno de’ più zelanti promotori della gloria di Dio. La vista del contraffatto cadavere del complice de’ suoi disordini, congiunta con una luce alla mente, e con un tocco al cuore, converte sul momento la peccatrice Margherita da Cortona in una fervidissima penitente. Un avviso della propria madre ben accolto da Andrea Corsino lo cangia di lupo in agnello in un chiostro del Carmelo, e lo fa un Vescovo santissimo! Ditemi ora, uditori, se questi santi, e tanti altri di cui son piene l’ecclesiastiche storie, avessero disprezzata quell’ispirazione, negletta quella chiamata, ributtata quella grazia, volete dire che, rifiutato il primo passo, avrebbero poi potuto più metter piede in quella virtuosa carriera, che li portò all’onore degli altari, ed alla patria dei beati? V’è molto a dubitarne. L’ occasione è calva, dicea un antico uomo di senno, una volta che sia passata non si può più tenere per i capelli. Gesù Cristo chiamò i suoi discepoli a seguitarLo, e li chiamò passando, “cum pertranserit”, e li chiamò una sola volta, e sull’ istante Simon Pietro abbandonò la sua barca, Matteo il suo banco, i figli di Zebedeo, Giovanni e Giacomo, le loro reti, e cominciarono così la carriera dell’ apostolato, che li rese tanto accetti a Dio, e tanto benemeriti della sua Chiesa.

Per l’opposto que’ due seguaci della legge di Mosè, invitati dal Redentore a seguirLo, perché trovarono scuse, uno per assistere al funerale del padre, l’altro per ispedire gli affari domestici, perdettero la bella sorte d’essere annoverati fra’ suoi discepoli, e S. Agostino li piange come perduti. Ah, dicea pertanto lo stesso Agostino, fratelli miei, osservo nel santo Vangelo che Gesù dispensa i suoi benefici come lampi fuggitivi, e via passando, “pertransit benefaciendo”, e vi confesso apertamente, e v’assicuro, che mi riempie di timore Gesù che passa. “Fratres mei, dico, et aperte dico, timeo lesum transenuntem” (Serm. 18 de verb. Dom.). La sua chiamata è una luce che balena alla mente: chi non profitta di questa luce resterà al buio, camminerà fra le tenebre, incontrerà inciampi e precipizi; e perciò il Redentore ci avvisa a camminare al favor di questa luce acciò non ci sorprendano tenebre per noi fatali: “Ambulate dum lucem habetis, ne vos tenebrae comprehendant (Jo. XII, 33).

È vero che talora rinnova le sue chiamate, Iddio pietoso, e fa di nuovo risplendere la sua luce, anche a chi chiuse gli occhi per non vederla; ma di qui appunto nasce il pericolo per l’uomo caparbio, che ostinato nelle sue ripulse vie più s’indura, come una incudine al dir di Giobbe (Giob. XLI, 15), sotto i colpi di grave martello. Non vi fu anima tanto dalla divina grazia amorevolmente assediata con replicate ispirazioni, quanto quella di Giuda. Osservate la traccia amorosa tenuta dal divino maestro per espugnare il cuore di questo suo discepolo traditore. Gesù scopre, e comincia a dargli indizio d’avere scoperto il suo iniquo disegno. Voi siete, dice a’ suoi discepoli, per purezza di cuore costituiti in grazia e mondi; ma tutti nol siete “Vos mundi estis, sed non omnes” (Jo. XIII, 10). Potea Giuda conoscere l’infelice suo stato, e sentirne rimorso, ma non si muove. Replica Gesù e con più forza gli mette innanzi l’enormità del suo delitto con dire: Uno fra voi è per malizia un vero Demonio: “Ex vobis unus diabolus est”, e Giuda non inorridisce. Passa ad intimargli l’atrocità della pena che va ad incorrere, pena per la quale sarebbe meglio per lui che mai veduta avesse la luce del giorno: “Bonum erat ei si non fuisset homo ille” (Mat. XXVI, 24); e Giuda è insensibile. Parla Gesù in genere finora, e non lo nomina per lasciargli un segreto ritiro a ravvedersi, ma nulla giova. Torna alle prese il buon Salvatore, e alquanto più chiaro: un di voi, o miei discepoli, un di voi mi tradirà: “Unus ex vobis tradet me” , e Giuda dissimula. Più chiaro ancora: La mano del traditore è meco su questa mensa. “Manus tradentis me mecum est in mensa” (Luc. XXII, 21): assai più chiaro: Chi meco in questo piatto pone la mano, desso è colui che mi tradirà: “Qui mecum intingit manum in paropside, hic me tradet” (Mat. XXVI, 23), e Giuda fa il sordo, e tutto disprezza. E via, finalmente gli dice Gesù, vanne pure, ed il reo attentato che volgi in mente affrettati ad eseguirlo. “Quod facis, fac citius” (Jo. XII, 21). Non fu già questo un precetto, dice qui il Crisostomo, non comanda Iddio un’azione sì indegna, un tradimento, “non est vox praecipientis”. Non fu consiglio, una somma bontà non può consigliare un eccesso cotanto esecrabile, “non est vox consulentis”. Che dunque volle significare Cristo con quelle parole? Volle dimostrare il giusto e tremendo abbandono ch’egli facea di quel cuore indurito, come non più capace di ravvedimento e di emenda. “Cum Judas, conchiude il citato Dottore, “esset inemendabilis, dimisit cum Christus” (Hom. 73 in Io.). Ma pure Giuda dà qualche segno di penitenza, restituisce il danaro a’ sacerdoti, rende la fama al suo divino maestro, si ritratta, confessa d’aver tradito il sangue d’un giusto. Ahimè nulla giova, movimenti son questi da disperato, non d’un convertito. Dio vi guardi, miei cari, dall’imitare nel rifiuto delle divine ispirazioni questo discepolo prevaricatore, incontrerete la stessa sorte. Farete forse come Giuda qualche opera apparentemente buona, ma non vi gioverà ad uscire da quel precipizio, che dopo tanti avvisi non avete voluto schivare.

Potete forse lagnarvi che Iddio non v’abbia parlato? Dio vi parlò quando vi trovaste in quella malattia, quando per lo spavento di morte temporale ed eterna vi fé’ conoscere lo stato deplorabile dell’anima vostra: prometteste allora, se Dio vi accordava grazia d’uscirne, di cangiar vita; Egli vi esaudì, e voi non adempiste la fatta promessa. Vedeste esposto in Chiesa, o condotto al sepolcro il cadavere di quella donna, colpita nel fior dell’età, foste presente al funerale di quel facoltoso, ed una voce vi disse al cuore: ecco dove va a finire la beltà e la ricchezza. La vanità delle terrene cose disingannò in quel momento il vostro intelletto, ma la volontà non si arrese a romperne il colpevole attacco. Quel rimorso, fratello mio, quel rimorso, che vi lacera il cuore, è una grazia da voi non conosciuta, con cui Iddio pietoso vi stimola ad emendar costume, a troncare quella scandalosa corrispondenza; che conto ne fate? Vi avvisa per mezzo di quel congiunto, di quell’amico, di quel buon cristiano a ritirarvi da quella licenziosa conversazione, a lasciare quel giuoco, quel ridotto, quel malvagio compagno, che ascolto gli date? Figlio, dice a più d’uno di noi, se non paghi gli operai, se non soddisfi quel debito, se non dismetti quella lite ingiusta, se non adempi quel pio legato, non isperare salute. Figlio, dice a quell’altro, le partite di tua coscienza son mal in ordine, datti fretta d’aggiustarle con una generale confessione: fa’ al presente quel che desidererai voler fare in punto di morte. Tutte queste e simili voci, pensieri, sentimenti, ispirazioni, rimorsi, sono chiamate di Dio, sollecito del vostro bene; se chiudete l’orecchie, come un aspide sordo, Iddio offeso, Iddio disprezzato tratterà voi come da voi venne trattato. Così Egli si esprime e minaccia: “Vocavi, et renuistis, ego quoque in interitu vestro ridebo” (Prov. I, 24. 26). Ponderate bene, peccatori fratelli miei, queste tremende divine parole. “Vocavi”, ch’io vi abbia più volte chiamati, e tuttora vi chiami, non potete negarlo. Vi ho chiamati per bocca de’ miei sacri ministri colla predicazione, per bocca dei vostri parenti colle ammonizioni, per mezzo di quelle disgrazie, di quelle infermità, coll’esempio de’ buoni, col castigo de’ malvagi: “Vocavi, et renuistis”, che abbiate ricusato di ascoltarmi, dovete confessarlo, ve ne convince la propria coscienza. Che cosa dunque potete aspettarvi? “Ego quoque”, che Dio cioè vi renda la pariglia, e nel maggior de’ vostri affanni si rida di voi, “in interitu vestro ridebo”. Miei cari, se si può dire di voi che fate continua resistenza agl’impulsi dello Spirito Santo, come ai contumaci Ebrei rinfacciò lo zelante Levita S. Stefano, “vos semper Spiritui Sancto resistitis” (Act. VII, 51), voi siete perduti. Sarete come una casa, che minaccia ruina, che perciò si lascia vuota e abbandonata. “Ecce relinquetur vobis domus vestra deserta” (Mat. XXIII, 38): abbandono, segno fatale d’eterna riprovazione. Che Dio vi guardi.

L’amore per il Papa

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L’AMORE PER IL PAPA

[Mons. De Ségur da: “Le tre rose”, Tutte le opere vol. 11]

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Perchè tutti I cristiani devono amare il Papa:

Perché è il Vicario, cioè il rappresentante visibile del buon DIO sulla terra!

   Nel suo amore infinito, DIO ha volute discendere ed apparire visibilmente in mezzo a noi; ed è per questo che Egli si è fatto uomo. Lui, il Creatore e il sovrano Signore di tutto ciò che esiste, e si è rivestito della nostra umanità, nella pienezza dei tempi; e da allora, vero DIO e vero uomo insieme, ha preso il nome sacro di GESU’. – Questo è ciò che la Chiesa chiama “il mistero dell’Incarnazione”. Dopo averci riscattati morendo sulla croce per noi, GESU’ CRISTO è risuscitato e salito al cielo, ove ci prepara a tutte le felicità eterne del suo bel Paradiso, se durante la nostra vita, Gli siamo stati fedeli ed osserviamo i suoi comandamenti. Ma, come DIO, invisibile ed eterno in se stesso, ha voluto apparire visibilmente agli uomini nella Persona del suo Figlio unigenito, per porsi alla sua portata e facilitare la Fede, la confidenza e l’amore che attendeva da essi; allo stesso modo, per partecipare a tutti i figli della sua Chiesa la conoscenza precisa della Religione, ha voluto che Essa fosse loro insegnata e spiegata dagli uomini dei quali poteva intendere la parola ed imitarne l’azione. Questi uomini sono i Vescovi ed i Preti. Affinchè i Vescovi ed i Preti non possano sbagliarsi ed ingannare gli uomini insegnando loro l’errore, ha Egli stesso preposto loro un Capo supremo ed unico, un Sommo Sacerdote, un Pontefice sovrano, al quale ha conferito il privilegio divino dell’infallibilità dottrinale, rivestendolo della sua sovrana autorità. Prima di lasciare la terra l’ha incaricato di aver cura nel pascere il suo gregge, cioè di condurre, di insegnare, di dirigere, nel suo nome ed al suo posto, la sua Chiesa tutta intera, tutti i Vescovi, tutti i Preti, tutti i fedeli. – Questo capo supremo ed unico della Chuesa, Dottore e Pastore di tutti i Vescovi, di tutti i Preti e di tutti i cristiani, è il Papa, successore dell’Apostolo San Pietro ed erede di tutti i suoi privilegi. Il Papa è il depositario unico delle grandi promesse fatte da GESU’ CRISTO a San Pietro, per la salvezza ed il bene del popolo cristiano tutto intero; di modo che, riconoscendo nel Papa il Vicario ed il luogotenente visibile di GESU’ CRISTO quaggiù, noi sottomettendoci alla sua autorità, riverendo ed amando i suoi insegnamenti e le sue direttive, noi siamo sicuri di camminare nella via della salvezza, di conoscere e praticare, in tutta la sua purezza, la religione di nostro Signore GESU’ CRISTO. – Il Papa è così, per tutti i fedeli in generale e per ciascuno in particolare, come un altro GESU’ CRISTO senza il Quale noi non potremmo conoscere con certezza ciò che ci interessa conoscere di più quaggiù: le vera Religione, la vera via di salvezza, di servizio di DIO, e di conseguenza, della felicità, prima in questo mondo, e poi nell’altro. Eccoperchè noi dobbiamo amare il Papa, se veramente siamo cristiani. È GESU’ CRISTO che noi riveriamo nella Persona del suo Vicario, ed è all’autorità stessa di GESU’ CRISTO CHE noi ci sottomettiamo, quando ci sottomettiamo sinceramente, totalmente all’autorità del suo Rappresentante sulla terra.

L’autorità del Papa non è altro che l’autorità di GESU’ CRISTO.

È il nostro stesso Signore GESU’ CRISTO che ce lo dice nel suo Vangelo. Ecco i tre celebri passaggi nei quali Egli stabilisce S. PIETRO Capo della sua Chiesa, Dottore infallibile dei suoi fratelli, e Pastore di tutte le sue pecore. «Io stesso te lo dichiaro – gli dice un giorno (al capitolo XVI del Vangelo di San Matteo) – Tu sei Pietro, e su questa pietra IO edificherò la mia Chiesa, e le potenze degli inferi non prevarranno su di Essa, ed è a te che IO darò le chiavi del Regno dei cieli; e tutto ciò che tu legherai sulla terra, sarà legato in cielo; e tutto ciò che scioglierai sulla terra, sarà sciolto nei cieli ».  – Un’altra volta, pochi giorni prima della sua Passione, Egli dice allo stesso San Pietro (al capitolo XXII di san Luca): « Simone, ecco che il demonio ha chiesto di vaglisarvi come si vaglia il frumento; ma IO ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno. E tu a tua volta, conferma i tuoi fratelli ».  – Infine, dopo la sua Resurrezione, nel momento in cui stava risalento in cielo, il Salvatore, circondato dai suoi Apostoli, si rivolge un’ultima volta a Colui che doveva diventare il suoi Vicario ed il Capo visibile della sua Chiesa; e gli dice (nell’ultimo capitolo del Vangelo di San Giovanni): « Sii il Pastore dei miei agnelli, dei miei agnelli e delle mie pecore ». Queste sono proprio le parole del Figlio di DIO. Esse mi sono state sufficienti dimostrandole, leggendole e spiegandole con semplicità ad un giovane artista protestante, per aprirgli gli occhi e fargli toccare con mano questa grande e fondamentale verità, che la Chiesa cattolica, che sola ha il Papa come Capo spirituale, è la sola vera Chiesa di GESU’ CRISTO. Abiurando i suoi errori, il degno giovane non esitò così a diventare cattolico. – Vedete in effetti: Nostro Signore, la cui parola è sovrana e divina, dichiara formalmente a San Pietro che bisogna fare di Lui la Pietra fondamentale, la Pietra unica sulla quale Egli farà riposare tutto l’edificio vivente della sua Chiesa, vale a dire della società dei suoi veri discepoli. Non c’è che una Chiesa, Egli non dice “le mie Chiese”, bensì la “MIA CHIESA”. – E qual è questa Chiesa, questa UNICA Chiesa? Egli ce lo dice ancora: è la Chiesa che riposa su San Pietro, sull’autorità di San Pietro, sull’insegnamento di San Pietro, sul governo spirituale di San Pietro, sempre vivente nei suoi Successori, i Vescovi di Roma. E poiché la sua Chiesa sarà da Lui fondata su San Pietro, ed Egli, il Figlio di DIO, governerà e condurrà sempre la sua Chiesa con la santa pietra, e con San Pietro, e a causa di ciò « le potenze dell’inferno » non potranno mai, benché siano, benché facciano, nel diciannovesimo secolo, come nel primo, come in tutti gli altri, prevalere contro di Essa, trionfare su di Essa, distruggerla. La forza di Pietro gli viene da GESU’ CRISTO, e GESU CRISTO è il Figlio di DIO, è DIO fatto uomo.

GESU’ dà al suo Vicario, e a LUI SOLO « le chiavi del Regno dei cieli »; quaggiù, il Regno dei cieli, è la Chiesa di DIO; in cielo è il Paradiso, dove la Chiesa è incaricata di condurci. Nell’antichità le chiavi erano il simbolo della proprietà o almeno dell’intendenza generale dei palazzi; e ai nostri giotni si offrono ancora ai Sovrani le chiavi delle città ove vengono fatti solennemente entrare. Le chiavi della Chiesa date da Nostro Signore a San Pietro sono il simbolo dell’autorità suprema, affidata dal Figlio di DIO al Capo della sua Chiesa.

Ci sono due chiavi: la chiave che apre e la chiave che chiude, la chiave che lega e la chiave che scioglie. La chiave che “lega”, è il potere di comandare sovranamente, di insegnare, de definire, giudicare senza appello: «Tutto ciò che tu legherai sulla terra, sarà legato anche nei cieli ». La chiave che scioglie, è il potere, egualmente sovrano, di perdonare, di assolvere e benedire. Non pià che il potere di legare, il potere di sciogliere non ammette limiti né restrizioni: « Tutto ciò che sciogliera sulla terra, sarà sciolto anche nei cieli» . Il Papa, o per meglio dire GESU’ CRISTO, per mezzo del Papa, e con il Papa, è così costituito, fino alla fine del mondo, il Sovrano spirituale di tutta la terra; in ciò che concerne, direttamente o indirettamente, la gloria di DIO e la salvezza delle anime, tutto è sottomesso alla sua divina e suprema autorità; tutto, senza eccezione; i popoli, i principi, i governanti, chiunque essi siano, le leggi, le costituzioni ed istituzioni pubbliche, gli imperi, i reami, le repubblche, tutte le magistrature di questo mondo, le società, le famiglie, gli individui; tutto, senza eccezione, è sottomesso al Vicario di DIO, come a DIO stesso; ed Egli è incaricato di far regnare ovunque Nostro Signore GESU’ CRISTO, di segnalare e combattere dappertutto ciò che è contrario alla legge di DIO: di far conoscere e di far fiorire dappertutto e malgrado tutto, ciò che è santo, ciò che è buono, ciò che è secondo DIO, ciò che conduce la anime alla eeterna felicità. Chiunque si oppone o resiste a questo ministero divino del Vicario di GESU’ CRISTO, diviene perciò stesso l’avversario di GESU’ CRISTO, il nemico di DIO e degli uomini. – Il Papa è incaricato di “pascere le pecore e gli agnelli” da GESU’ CRISTO, su tutta la superficie della terra, per tutti i secoli. Egli è incaricato di propagare daèèertutto e conservare dappertutto la fede, cioè la conoscenza del solo vero DIO vivente, GESU’ CRISTO, e di farLo amare e servire da tutti gli uomini. « Sii il Pastore dei miei agnelli; sii il Pastore delle mie pecore ». Le “pecore” di GESU’ CRISTO sono i Vescovi, successori degli Apostoli (almeno in un senso); gli “agnelli” di GESU’ CRISTO, sono in primo luogo i preti, figli primogeniti e cooperatori dei Vescovi, e quindi tutti i fedeli, tutti i battezzati, a cominciare dai principi di questo mondo e tutti coloro che a qualsiasi titolo si trovano ad essere depositari dell’autorità. Il Papa è, per diritto divino, cioè per volontà di DIO, il loro “Pastore”, a tutti ed ognuno; loro Pastore, cioè loro guida, nelle vie della santità cristiana e della salvezza eterna; egli è loro Dottore supremo ed infallibile, il sovrano Direttore spirituale di tutte le coscienze, il Giudice supremo di tutte le questioni che interessano sia la verità, sia il diritto, e la giustizia, e la morale, ed il bene spirituale dei popoli e dei particolari, in una parola, di tutto ciò che interessa quaggiù la salvezza delle anime. – Per l’onore del suo nome e per la salvezza della Chiesa, GESU’ CRISTO l’assiste così bene in tutto ciò che concerne l’insegnamento della vera dottrina ed il governo spirituale del mondo, che egli non può errare né ingannare gli altri. È l’effetto divino dell’onnipotente preghiera del Figlio di DIO, quando ancora era in questo mondo: “il demonio sta per vagliarvi tutti; ma “IO ho pregato per te”, per te stecialmente, perché a te solo IO affiderò la cura si tutta la moa Chiesa. E qual è la mia preghiera? “Che le tua fede non venga mai a mancare”; la tua fede come Capo della Chiesa, la tua fede come Sovrano Dottore di tutti i Vescovi, di tutti i Preti, di tutti i Cristiani, di tutte le società, di tutti gli uomini. Confermali nel mio Nome, con la mia infallibile autorità, che per partecipazione, diventa la tua. IO ti confermo nell’infallibilità della fede; tu a tua volta conferma i tuoi fratelli”. Tali sono, caro lettore, gli oracoli caduti dalle labbra di DIO stesso. Tali sono le promesse che Egli si è degnato fare per l’amore nostro e per la nostra salvezza, a Colui che Egli costituiva per sempre il Padre di tutti i Cristiani a venire, il Capo supremo della sua Chiesa, il Pastore di tutte le sue greggi. – Non ho allora ragione nel dirvi che l’autorità del Papa, è l’aurorità stessa di GESU’ CRISTO? – Non quanto alla persona, ma quanto all’autorità, quanto alla dignità, il Papa è GESU’ CRISTO che continua in mezzo a noi il suo ministero divino di Padre e di Pastore delle anime, di Dottore, di Giuduce, di Consolatore e di Amico. È GESU’ CRISTO e non l’uomo che bisogna sempre vedere nel Papa. Attraverso l’uomo bisogna sempre risalire fino a GESU’ CRISTO. Di qual santo amore dobbiamo quindi amare il Papa? – Un giorno, nella campagna di Roma, io ragionavo, sul suo catechismo, con un pastorello di tredici o quattordici anni che mi faceva da guida tra le meravigliose montagne del Lazio. Il ragazzo era molto orgoglioso: egli non sapeva forse né leggere né scrivere, ma ciò che sapeva, con una precisione che mi stupiva, era tutto ciò che concerneva la Religione, cioè l’unica cosa necessaria all’uomo quaggiù. Dopo alcune domande, alle quali il piccolo romano aveva ben risposto, ebbi l’idea di interrogarlo sul Papa. « Ditemi un po’, ragazzo, che cos’è il Papa? » A questa parola, il giovane pastore si ferma, si anima e con una sorta di fierezza e di religioso rispetto mi risponde: « Il Papa, è GESU’ CRISTO sulla terra! ». Oh, che bella risposta! Nella sua energica semplicità, aveva riassunto tutta la dottrina sull’autorità suprema ed infallibile del Vicario di GESU’ CRISTO. Si: il Papa è GESU’ CRISTO sulla terra!

Come il Papa sia la regola vivente della vera fede 

La « regola della fede, » è l’autorità docente alla quale si è tenuti a sottomettersi se si vuol sapere, senza rischio di inganno, ciò che è vero e ciò che è falso in materia di religione, ciò che è rivelato da DIO e ciò che non lo è. – La fede è la sottomissione totale dello spirito e del giudizio a tutte le verità rivelate da DIO; e queste verità si trovano consegnate in primis nella Santa Scrittura, poi nella Tradizione degli Apostoli, primi predicatori della religione cristiana. Tutte le verità rivelate, non sono in effetti esplicitamente relate nelle Sante Scritture; e quelle che vi leggiamo hanno bisogno di una spiegazione,di una interpretazione vivente che, dopo mille e novenento anni, gli eretici non hanno fatto altra cosa che appoggiare gli errori si testi mal compresi. È dunque tutto naturale che, nel suo amore per le anime e per l’unità della fede, Nostro Signore istituì, nell’ambito della sua Chiesa, un Giudice supremo, infallibile, sempre vivente e presente, la cui funzione principale sarebbe di conservare intatto il deposito delle verità rivelate agli uomini dall’inizio del mondo. – Questo giudice, divinamente assistito da DIO per interpretare il vero pensiero divino nascosto sotto la scorzadella lettera nella Scrittura Santa, e per non lasciare alterarsi le verità predicate all’origine del Cristianesimo dagli Apostoli, è il Papa, Vicario di Colui che è la Verità, e Capo infallibile della Chiesa di DIO. – La conseguenza evidente di questa verità, che è un articolo di fede, è che per l’autorità divina ed infallibile del suo insegnamento, il Papa è la regola vivente e suprema della vera fede; vale a dire che sul suo insegnamento, e non sull’insegnamento di un altro, che noi dobbiamo regolare la nostra credenza; il Papa, in effetti, sia quando parla singolarmente ex cathedra, sia quando si pronuncia con l’assenso dei Vescovi riuniti in Concilio, ha ricevuto da DIO la missione di dare al mondo, con autorità infallibile, ciò che è vero e ciò che non lo è, ciò che bisogna credere e ciò che bisogna rigettare. Senza dubbio, le parole della Scrittura e gli insegnamenti della Tradizione sono delle verità rivelate, di conseguenza delle rewgole per la fede; ma perché queste verità rivelate divengano di fatto, la regola vivente e definitiva della vera fede, bisogna che siano definita dall’autorità della Chiesa, e principalmente dal suo Capo supremo, dal suo Dottore infallibile, che è il Papa. Solo al Papa, quando parla come Capo supremo della Chiesa, GESU’ CRISTO ha dato la missione e dà continuamente la grazia di interpretare le parole della Santa Scrittura nel loro giusto senso, e di trasmetterci in tutta la sua purezza la verità cattolica, sia scritta, sia tradizionale. A lui solo, nella Persona di Pietro, Egli ha detto: « Tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli. Io ho pregato per te, perché tu non possa fallire. A te ora il confermare i tuoi fratelli. Sii il Pastore dei miei agnelli e delle mie pecore ». Al Papa solo appartiene il dispensare in modo divinamente infallibile le verità religiose. Dunque è egli solo la regola vivente della vera fede. Questo non vuol dire che nella Chiesa cattolica, il Papa faccia tutto, e solo tutto lui. È vero che tuttoi ciò che si fa, si fa sotto la sua alta presidenza, e tutto procede da Lui,, o per meglio dire, da GESU’ CRISTO, che per lui ed in lui, governa, insegna e dirige incessantemente la Chiesa. Come la testa regge e condice tutto il corpo, senza essere per questo tutto il corpo, così il Papa insegna e governa sovranamente la sua Chiesa, senza essere pertanto tuttom nella Chiesa. – Nello Stato, tutto si fa in nome del Sovrano, e tutti i poteri secondari derivano e dipendono realmente dal suo. In questo senso egli fa tutto, governa tutto. Ma egli non fa tutto da se stesso: egli lo fa mediante i suoi ministri, i suoi prefetti, i suoi magistrati, i suoi funzionari di ogni grado, fino al sindaco del più piccolo villaggio, fino all’ultimo dei sergenti e dei caporali, fino al più umile giudice di pace; così, in un senso, è il governo della Chiesa universale da parte del Papa. – L’incarico di vegliare nel contempo sull’insieme e nel dettaglio di una società che abbraccia il mondo intero, sarebbe un’impresa evidentemente impossibile; e la saggezza divina del Salvatore vi ha provvisto dando al Papa, successore di San Pietro, degli ausiliari che sono i Vescovi, successori degli Apostoli. San Pietro non è stato inviato solo per conquistare il mondo a GESU’ CRISTO, ma San Pietro, con i suoi fratelli, gli Apostoli che, con lui, e sotto la sua dipendenza, insegnano, battezzano, fondano le Chiese, evangelizzano i popoli, salvano le anime. – Tale è stato, tale è ancora, tale sarà fino alla fine del mondo, il ministero dei nostri Vescovi. Uniti al Papa, come gli Apostoli erano uniti a San Pietro, essi ricevono da lui l’insegnamento infallibile della fede e le grandi direttive del governo spirituale della frazione del gregge di GESU’ CRISTO che il Papa affida alle loro cure. Inoltre essi insegnano infallibilmente con il Papa; essi giudica le questioni dottrinali con il Papa, ma sempre sotto la sua dipendenza. Essi sono contemporaneamente pecore e pastori: pecore in rapporto al Papa, pastori, in rapporto ai fedeli. E così è con essi e per essi che il Pastore ed il Dottore universale di tutti i cristiani, insegna, governa, evangelizza e salva le anime. – In quanto Vescovo come essi, il Papa è loro fratello e loro uguale; intanto che è Papa, cioè il Vicario di GESU’ CRISTO, egli è loro Padre, loro Pastore e il Vescovo dei Vescovi. Bisogna non di meno osservare che il carattere di Giudice e di Dottore della fede appartengono, ad un grado secondario, ai Vescovi congiuntemente con il Papa, e che i Vescovi cattolici compongono, realmente con lui, la Chiesa insegnante ed infallibile in senso attivo. E questo, di diritto divino, vale a dire in virtù dell’istituzione divina. Inoltre, per aiutare i Vescovi stessi nel loro ministero pastorale, e raggiungere facilmente tutte le anime. Nostro Signore ha donato loro degli ausiliari inferiori, che sono i Preti e i Diaconi. Li si vede apparire, dopo gli Apostoli, all’origine stesso del Cristianesimo. Sotto la direzione del Vescovo in ogni diocesi, i preti predicano la Religione, amministrano il Battesimo e gli altri Sacramenti, celebrano il Santo SACRIFICIO, dirigono il culto divino e le assemblee dei fedeli, perdonano i peccati e fanno in piccolo, in parrocchia, ciò che il Vescovo fa nella diocesi, ciò che il Papa fa nella Chiesa intera. – Con i semplici fedeli, ai quali essi insegnano e che dirigono in nome de loro rispettivi Vescovi, i Preti compongono la Chiesa discente, la quale è infallibile, anch’essa, ma solo nel senso passivo, cioè in quanto aderente alla Chiesa docente. Tale è l’ordine stabilito da GESU’ CRISTO, tale è la semplicissima e potentissima organizzazione della santa CHIESA. Comprendete allora, miei cari lettori, come il Papa faccia tutto nella Chiesa, governi tutto, e come non di meno egli non faccia tutto, tutto da solo. – Uno di questi venerabili successori di San Pietro, il beato Papa Liberio, diede una bella e illuminante risposta all’imperatore Costanzo che, irritato dal suo coraggio apostolico nel difendere la fede, l’aveva citato alla sbarra del suo tribunale. Costanzo si era lasciato sedurre dagli eretici ariani, e proteggeva apertamente la loro fazione contro i Vescovi cattolici. – Il Papa Liberio, incurante delle ire imperiali, veniva a condannare ed a deporre un certo numero di Vescovi ariani, favoriti dal principe: « Chi sei tu dunque per parlare con tanta audacia? – gli domandò Costanzo quando lo interrogò – tu non sei che una parte della Chiesa! – Si, rispose il Santo Pontefice, ma io sono la parte che costituisce il tutto: pars tota »!  – Fedeli di GESU’ CRISTO, noi riceviamo e sempre riceveremo, come sua parola, la parola del suo Vicario, perché il Papa è, attraverso i secoli e fino alla fine dei tempi la “bocca del CRISTO”, come diceva mirabilmente San Giovanni Crisostomo. L’insegnamento del Papa è, di diritto divino, l’insegnamento della pura dottrina cattolica. Egli è la regola vivente ed infallibile della vera fede. Che beatitudine avere così, per guidarci attraverso le tenebre di questo mondo, il fare della vera luce! Quale grazia, quale onore essere CATTOLICO! Perché tante persone blaterano contro il Papa senza nemmeno conoscerlo? Eh mio DIO! Ma è facile da comprendere; è semplicemente perché egli è il rappresentante visibile di Nostro Signore GESU’ CRISTO in mezzo agli uomini, e che la moltitudine di coloro che oltraggiano sia il Vangelo di GESU’ CRISTO che la santità della legge di GESU’ CRISTO, con la paura dei giudizi temibili di GESU’ CRISTO, si trova naturalmente ostile al Vicario di GESU’ CRISTO. – Il Papa ha come nemici giurati tutti gli empi, tutti gli eretici, tutti i franco-massoni, senza contare l’immensa moltitudine dei cattivi cristiani, dei libertini che offusca la Religione, dei lettori dei giornali rivoluzionari di ogni classe e di ogni professione. Egli ancora ha per avversari più o meno dichiarati, più o meno accaniti, tutti i governi le cui costituzioni, leggi e tendenze non sono affatto cattoliche, e di conseguenza sono in opposizione con il regno di Nostro Signore GESU’ CRISTO sulla terra. Ora queste diverse categorie di avversari del Figlio di DIO e della sua Chiesa sono più numerosi che mai, man mano che nel mondo si propagano le libertà deleterie dei figli della rivoluzione. – « Il Papa e la Chiesa sono tuttuno », diceva a ragione San Francesco di Sales, e con altrattanta ragione, si può dire: la Chiesa e GESU’ CRISTO son tuttuno. Il Papa è la personificazione vivente, parlante, agente della Chiesa; e la Chiesa è la personificazione visibile di GESU’ CRISTO e del suo regno in mezzo al mondo. – Come non stupirsi nel vedere i nemici di GESU’ CRISTO attaccare la Chiesa, o almeno vederla di cattivo occhio? E i nemici della Chiesa essere i nemici del Papa, sollevarsi contro il Papa, blaterare contro il Papa, Capo della Chiesa, centro e forza della Chiesa? Quando si vuole uccidere un uomo è alla testa soprattutto che si mira: tutti i nemici di GESU’ CRISTO, che vorrebbero sbarazzarsi della Chiesa, puntano al Papa perché egli è il Capo della Chiesa, il Pastore ed il Dottore della Chiesa, “ pars tota” come diceva energicamente il santo Papa Liberio. La calunnia è l’arma favorita dei nemici della Chiesa e del Papa; è il loro Chassepot (fucile dell’epoca-ndr.-), il loro cannone, la loro mitraglia, che spande da ogni lato gli innumerevoli proiettili di menzogna nei piccoli villaggi, come nelle grandi città: questi sono innanzitutto i cattivi giornali, che sono divenuti la piaga del mondo. Migliaia e migliaia di sfrontati mentitori ripetono tutti i gioni le loro menzogne, le popolarizzano con l’ironia e la caricatura, così che la folla innumerevole degli ignoranti, degli sciocchi e degli storditi finisce per credervi e per considerare verità acquisite, incontestabili, le calunnie più grossoilane, fabbricate a piacere nelle officine del giornalismo; calunnie che si fondano sul nulla, ma che hanno ugualmente l’orribile potere di affievolire la fede nelle anime, e di allontanarle dal rispetto per l’autorità del Sovrano Pontefice, dei Vescovi e del clero. Ai giornalisti anticattolici si aggiungono, per aiutarli alla bisogna, la numerosa folla di istitutori ed istitutrici senza religione che invadono in modo sempre più massivo le nostre scuole primarie, e nei licei, nei collegi, nei pensionati di ogni categoria, i professori di storia, di scienze, di letteratura, che abusano dell’autorità della loro parola per inculcare mille pregiudizi anticattolici nello spirito dei loro allievi; a tal punto che è all’intero insegnamento, e non solo alla storia, che si può applicare oggi la celebre parola del conte de Maistre: « Da trecento anni, la storia è una vasta cospirazione contro la verità ». Si, da molto tempo e particolarmente da un secolo, l’insegnamento pubblico non è che una vasta cospirazione contro la verità, contro la fede, contro la Chiesa. Ed ecco perché c’è tanta gente che scientemente o meno, blatera contro la Chiesa e contro il Papa.

Se non si ama il Papa, non si è veramente cristiani.

Non si tratta qui di un amore naturale, di un amore di pura sensibilità. Si tratta di quest’amore di fede, ben più elevato, ben più potente, con cui noi amiamo il buon DIO e la sua santa volontà. È con questo amore che dobbiamo amare ed amiamo il Papa e la Chiesa. Qui non si tratta della persona del Papa, la quale può essere più o meno amabile e simpatica: no, qui parliamo innanzitutto della santa Autorità del Papa, noi parliamo del Papa in quanto Papa, in quanto “GESU’ CRISTO sulla terra”, come diceva il pastorello della campagna di Roma. In questo senso noi dobbiamo al Papa un amore che si fonde con quello che dobbiamo allo stesso GESU’ CRISTO; o per meglio dire è GESU’ CRISTO, l’autorità di GESU’ CRISTO che noi amiamo e veneriamo nel suo Vicario. È allora evidente che tutti noi dobbiamo, se siamo cristiani, amare il Papa con una fede profonda, con questo grande amore religioso, soprannaturale con il quale amiamo il buon DIO. – Per essere veramente cristiani, veramente discepoli di GESU’ CRISTO, non è sufficiente in effetti essere battezzato, fare preghiere, andare a Messa, confessarsi, comunicarsi, etc. ; bisogna inoltre avere lo spirito di GESU’ CRISTO, cioè avere gli stessi sentimenti di GESU’ CRISTO, amare ciò che Egli ama, rigettare quello che Egli rigetta, e avere con Lui un solo cuore ed una sola anima. Ora, quaggiù, ciò che GESU’ CRISTO ama con un amore sovrano, è il suo Vicario, è il Capo della sua Chiesa, mediante il quale insegna, governa, santifica e salva gli uomini. – Membri di GESU CRISTO, noi dobbiamo amare con Lui, come Lui, per l’amore di Lui, il Nostro Santo Padre il Papa. Cosa c’è di più logico? – Non è sufficiente amare la Chiesa in generale facendo, coscientemente o meno, astrazione dal Papa: sarebbe un inganno di colui che vuole ad ogni costo impedire ai fedeli di amare il Vicario di GESU’ CRISTO e di obbedirgli. « La Chiesa e il Papa, sono un tuttuno » ripetiamolo con san Francesco di Sales; e non si può amare la Chiesa se non amando il Papa, che pienamente la personifica. – Dunque nessuna sottigliezza, nessuna capziosa distinzione tra la Chiesa e il Papa; che una fede semplice e pura curvi le nostre intelligenze ed inclini i nostri cuori davanti all’insegnamento del Capo della Chiesa. DIO ci parla con la sua bocca, obbediamo, ringraziamo, marciamo senza timori. Come abbiamo detto in altra parte, lo spirito cattolico, lo spirito di un vero cristiano si riassume in questa duplice parola: l’amore dell’obbedienza e l’obbedienza dell’amore. È l’estremo opposto dello spirito eretico e del suo parente prossimo, lo spirito liberale.

pio IX

Come in pratica bisogna amare il Papa nei tempi in cui viviamo.

   Noi non viviamo in tempi ordinari: è tutto sottosopra, nelle teste come nelle società, e siccome la questione del Papa racchiude la soluzione di tutte le grandi questioni che agitano e scuotono il mondo in questo secolo, è principalmente su questo punto che bisogna concentrare le simpatie del nostro cuore così come gli sforzi del nostro spirito. – Per amare il Papa come Nostro Signore GESU’ CRISTO vuole che noi l’amiamo, bisogna innanzitutto, mio caro lettore, amarlo sinceramente, dal profondo del cuore, e non solo con le parole; bisogna amarlo efficacemente, essergli realmente sottomessi, non volerlo contrastare come fa una quantità di spiriti otgogliosi, vanitosi, pieni di sé, convinti ridicolmente che essi vedono più chiaramente dello Spirito Santo, e che San Pietro avrebbe molto da guadagnare nel prendere consiglio dalla loro misera saggezza, non essendo più comune nei nostri giorni che questi perversi di spirito, che vengono dall’ignoranza e dallo spirito di indipendenza. Non ci facciamo illusioni a riguardo: esso altera profondamente nelle anime il santo amore della Chiesa e del Papa. La perfezione della sottomissione in un cattolico è la misura della perfezione del suo amore verso il Vicario di GESU’ CRISTO. – In secondo luogo, bisogna che la “nostra bocca parli dell’abbondanza del nostro cuore” secondo il precetto del Vangelo. Se i buoni cattolici parlano ad alta voce e con fermezza, la buona causa trionferà presto. Perché aver paura di dire apertamente ciò che si pensa su un soggetto così grande, sì capitale, sì nobile, sì degno di un vero cristiano? Non è amare veramente il Papa l’aver paura di mostrare di amarlo. Grazie ai nostri assurdi giornali, che parlano di tutto a torto e al contrario, tutto il mondo parla oggi del Papa, giudica i suoi atti, li critica, etc.: sappiamo allora difenderlo, rispondere ai pappagalli e ai ciarloni, e non dimentichiamo che tutti quanti siamo chiamati, nella misura delle nostre possibilità, a sostenere l’onore e la causa del nostro Padre in DIO. Nessun rispetto umano, nessuna falsa prudenza. – In terzo luogo, al fine di dover riempire questo dovere di amore filiale, di amore cattolico, istruiamoci al meglio in ciò che sostiene la causa del Papa. Diffidiamo estremamente dei giornali cattivi propriamente detti (che un gran numero di fedeli si permettono di leggere), così come di quei fogli poco cattolici, o nei quali c’è una certa onestà e moderazione, che non sono spesso che ancor più pericolosi. Durante il suo immortale Pontificato, il grande e santo Papa Pio IX non ha cessato di segnalare questo danno ai cattolici. Si tratta qui di un affare di coscienza, non meno che di buon senso. Quel che è detto per i giornali accade egualmente nelle riviste, nei libri, nelle biblioteche. – In quarto luogo, un cattolico che ama veramente il Papa, prega pere lui con tutto il suo cuore, per lui e tutte le sue intenzioni, per i bisogni della Santa Sede e di questo immenso governo della Chiesa, che abbraccia il mondo intero ed interessa tutti i popoli, tutte le anime. Santa Maria Maddalena de’ Pazzi, superiora del Carmelo di Firenze alla fine del XVI secolo, diceva apostrofando così una delle sue consorelle che aveva dimenticato la preghiera per il Papa: “O la bella serva di GESU’ CRISTO che non pensa al Vicario di GESU’ CRISTO! O la bella sposa di GESU’ CRISTO che si dimentica di pregare per il Vicario di GESU’ CRISTO!” Ai tanti cristiani che non pregano per il Papa si può allora ben dire: “O il bel discepolo di GESU’ CRISTO, che si dimentica di pregare per il Vicario di GESU’ CRISTO! O il bel servo di GESU’ CRISTO che resta indifferente alla causa del Vicario di GESU’ CRISTO”! – Infine, nei cattivi giorni che attraversiamo, il vero amore per il Papa ci obbliga a fare per lui sacrifici pecuniari, proporzionati ai nostri mezzi e a venirgli materialmente in aiuto. Per questo è istituito presso tutte le diocesi la grande, grandissima opera dell’”obolo di San Pietro”, il ricco con una ricca elemosina, il povero, l’operaio, il bambino con il piccolo obolo. Si calcola che se ogni cattolico facesse solo quattro o cinque volte l’anno un’offerta all’ “obolo di San Pietro, il Papa potrebbe far fronte ai problemi di ogni genere che gli si presentano. Tali sono i doveri dei veri cattolici nei riguardi del Papa; ed ecco, caro lettore, come si può testimoniare l’amore che si ha per lui.

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L’amore del Papa, Vicario di GESU’ CRISTO: tale è dunque il primo fiore, la prima rosa che vi offro, e che vi prego di ben conservare. Il suo profumo, è la fede, è l’umile sottomissione della fede. Essa è pura e senza macchia, perché la fede cattolica, apostolica romana, di cui il Papa è il sovrano depositario e dispensatore attraverso i secoli, è immacolata. Piantiamo bene nel nostro cuore e nel nostro spirito questo fiore magnifico, e che un profondo amore per il Vicario di GESU’ CRISTO, sia il primo carattere della nostra vita cristiana e della nostra pietà. Lo si può affermare senza timore: l’amore per il Papa è un segno manifesto di predestinazione.

Questa “perla cattolica” di mons. De Sègur è veramente illuminante, anche ai nostri giorni.  Ma è chiaro, soprattutto nell’obbligo che abbiano di pregare, il saper ben discernere il Vicario di GESU’ CRISTO, oggi “in esilio” con la Chiesa eclissata, dal vicario dell’anticristo usurpante, della sinagoga di satana, “abominio della desolazione” nel Tempio santo. Che non ci accada di marciare sotto lo stendardo dell’anticristo, pensando che sia il vessillo di GESU’ CRISTO! … DIO  non voglia!

 

IL RITORNO DEL PRINCIPE DI QUESTO MONDO

IL RITORNO DEL PRINCIPE DI QUESTO MONDO

[tit. redaz.]

mons. J. – J. Gaume

“Trattato dello Spirito Santo” vol. I -1887

[capp. XXX, XXXI, XXXII]

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   Cacciato di Roma, il Re della Città del male non perdé mai la speranza di rientrarvi; ond’è che, dopo la toccata disfatta, sempre fu visto girare intorno ai ripari dell’eterna Città, affin di sorprenderla e ritornarla sua capitale: Egli sa che il suo nemico è là; il Verbo-Dio, il Verbo-Re, il Verbo incarnato nella persona del suo Vicario. Finché non ne l’avrà spodestato, il suo trionfo è imperfetto; ma come riuscirvi? Roma è per ampio tratto circondata dall’amore, dalla venerazione, dalla possanza della grande Città del bene; triplice baluardo che rende impossibile il semplice appressarvisi. Non potendo fare suoi sperimenti nel centro, Satana li fa alle frontiere. Fu solamente dopo lunghi secoli di lontane pugne ch’egli giunse una prima volta, a far di Roma la capitale della sua immensa città: sovvenutosene in buon punto, ei torna, spinto dal suo instancabile odio, alle lotte che già aveva provate cosi felici. Infatti ei si sforza d’intaccare la Città del bene, corrompere una parte de’cittadini e tirarli alla sua bandiera mediante le eresie, e scismi, e scandali, e i formidabili assalti della mussulmana barbarie. Il suo maneggiarsi indefesso non riesce altrimenti vano; e già parziali vittorie ottenute qui e colà gli preparano la via alla vittoria compiuta; cionondimeno, la Città del bene, fedele alle sue gloriose tradizioni, sorgeva tuttavia, salda sulle sue fondamenta.

Come Adamo ed Èva, ne’ di della beata innocenza, avevano vissuto, ignorandovi il male, cosi l’Europa, contenta della scienza del bene, di cui andava debitrice allo Spirito Santo, viveva estranea alla scienza del paganesimo, alla scienza cioè del male organizzato. Se pigliava qualche cognizione dell’antichità, punto nol faceva per ammirarla o per lodarla, e meno ancora per imitarla e farla rivivere. E se n’ha la prova in ciò che’ v’ha minor differenza tra il di e la notte, che tra la lingua, le arti e le istituzioni del Medio Evo, e la lingua, le arti e le istituzioni del paganesimo. È questo un fatto che perentoriamente risponde a tutte le ragioni di coloro che pretendono il Risorgimento, niente o quasi niente avere cambiato il sistema d’insegnamento della vecchia Europa.

Intanto, il seduttore “serpente”, non scordatosi punto che Eva restò sedotta dalla lusinghiera bellezza del frutto vietato, et aspectu delectàbile, ad un tratto trasformasi in angelo di luce, e si spaccia per il Dio del bello. Fa luccicare agli occhi dell’Europa le ingannevoli bellezze del suo regno; si dice calunniato dai re e da’sacerdoti, e invita l’Europa, qualora voglia uscire dalla schiavitù e dalla barbarie, a dar retta a lui. A queste parole, l’originale veleno, non mai spento, bolle e fermenta con istrana forza nelle vene dell’imprudente Europa. Nel medesimo tempo, Greci, cacciati d’Oriente, in pena dell’ostinata lor ribellione alla Chiesa, sbarcano in Italia: e, fuggiaschi dalla loro patria, s’arrogano la missione di risuscitare le pretese glorie dell’antichità pagana. La gioventù di Europa tutta s’accalca nelle loro scuole: e per dileggio del Cristianesimo, il di della grande seduzione vien segnato nella storia col nome di Risorgimento. Quel di infatti, divise la vita d’ Europa in due: i secoli antecedenti ebbero nome di Medio Eco; i seguenti, si chiamarono i tempi moderni. D’allora in poi si videro fenomeni non mai, più veduti.

Primo fenomeno. Parte dall’Italia un generale grido di riprovazione contro il Medio Evo, e risuona in tutta Europa. Ingiurie, sarcasmi, calunnie, tutti i vituperi che l’odio e il disprezzo, sanno inventare, piovono sul tempo che, come abbiam veduto, lo Spirito Santo regnò con maggior signoria. Teologia, filosofia, arti, poesia, letteratura, istituzioni sociali, la lingua stessa, diventano zotichezza, ignoranza, superstizione, schiavitù, barbarie.

I figliuoli si sono vergognati de’loro padri e ne rigettarono l’eredità. «Eppure che cos’erano infine le antiche credenze, le antiche creazioni, le antiche aristocrazie, le antiche istituzioni, con tutti i difetti che possono aver avuto, siccome avviene d’ogni còsa umana? Erano l’opera de’nostri antenati: era l’intelligenza, era il genio, era la gloria, l’anima, era la vita, era il cuore de’ nostri padri. Bisogna aggiungere: era il Cristianesimo nella vita de’ nostri padri; e il regno dello Spirito Santo sul mondo.

Secondo fenomeno. Al grido frenetico di riprovazione contro il Medio Evo, succede l’acclamazione non meno frenetica e generale della pagana antichità; e il tempo che Satana fu ad un tempo Dio e re del mondo, diventò là più splendida età del genere umano. Nelle repubbliche di Grecia e d’Italia, vituperevolmente prostrate a’piedi di Giove e di Cesare, splendé in tutta la sua luce il sole della civiltà. Filosofia, arti, poesia, eloquenza, virtù pubbliche e private, caratteri d’uomini, istituzioni sociali, lumi, libertà: in esse tutto era grande, eroico, inimitabile. Ritornare alla loro Scuola e ricevere le loro lezioni come oracoli, era per i popoli battezzati, l’unico mezzo’ d’uscire dalla barbarie, e mettersi nella via del progresso.

Terzo fenomeno. Non tarda a farsi vedere un radical mutamento nella vita dell’Europa. Ricollocato in onore, lo spirito dell’antichità, torna ad essere l’anima delmondo, ch’ei forma a sua immagine; è allora comincia un sozzo diluvio di filosofie pagane, di pitture e sculture pagane, di libri pagani, di teatri pagani, di teorie politiche pagane, di denominazioni pagane, di continui panegirici del paganesimo, de’ suoi uomini e delle opere sue. Questo vasto insegnamento s’incarna ne’fatti. Veggonsi le nazioni cristiane a un tratto rompere le grandi linee della nazionale lor civiltà, per ordinare la loro vita su altro disegno; e, gettando via, quasi cencio ignominioso, il reale manto, di cui la Chiesa lor madre le aveva vestite, azziniarsi de’fallaci e sozzi ornamenti del paganesimo greco romano. Quindi venne quella che si chiama “civiltà moderna”; civiltà fittizia, che non è altrimenti il frutto spontaneo nè della nostra religione, né della nostra storia, né della nostra indole nazionale; civiltà a rovescio, la quale, invece di sempre meglio applicare il cristianesimo, alle arti, alla letteratura, alle leggi, alle istituzioni, alla società, le informa dello spirito pagano e ci fa indietreggiare di ben venti secoli; civiltà corrotta e corrompitrice, che, tutto ordinando al materiale benessere, vale a dire in servigio della carne e di tutte le sue cupidigie, riconduce l’Europa, tra le rovine dell’ordine morale, al culto dell’oro ed agli indescrivibili costumi di que’ tempi nefasti, in cui la vita del mondo, schiavo dello spirito infernale, era tutta in due parole; mangiare e divertirsi ; panem et circenses.

Quarto fenomeno. La prima conseguenza de’ fatti surriferiti doveva essere, e fu, il sempre maggiore oblio dello Spirito Santo. La notte e il di non possono stare insieme; quando vien l’una, l’altro sen va. Quanto più Satana avanza, tanto più lo Spirito Santo ritirasi. Dal Cenacolo al Concilio di Firenze l’insegnamento dello Spirito Santo scorreva, qual pieno fiume, sull’ Europa da lui vivificata; spuntato il Risorgimento, veggonsi le onde del fiume ritirarsi, e il grande insegnamento dello Spirito Santo farsi sempre meno esteso. Chiediamolo alla storia ed a nostri occhi medesimi. Viene il Risorgimento; e la guerra contro il Cristianesimo, che da parecchi. secoli, Vera ridotta a parziali combattimenti, ricomincia, con forza, su tutta la linea. Vent’anni prima di Lutero, le stesse basi della Religione erano battute in breccia .dalle macchine greco-romane. Mille volte la lotta dà occasione a speciali trattati, ordinati a difendere, gli uni dopo gli altri, tutti i domini cristiani: dimostrazioni, conferenze, prediche, dissertazioni, apologie di’ ogni forma, compaiono d’anno in anno, quasi direi di mese in mese. L’esistenza di Dio; la divinità di N. S. Gesù Cristo; l’autenticità, l’integrità, l’ispirazione, la verità storica delle Scritture, l’infallibilità della Chiesa; l’immortalità, la libertà, la spiritualità dell’anima ; ogni Sacramento, ogni istituzione, ogni pratica religiosa; in una parola, ogni verità cristiana venne dimostrata ben venti volte colle lucenti sue prove e splendide attinenze colla natura dell’uomo ed i bisogni della società.

E per lo Spirito Santo, niente. Eppure era Lui che si negava, negando le varie manifestazioni del ministero della grazia, di cui Egli è principio ; era Lui che s’impugnava, oppugnando ogni parte della Città del bene, della quale Egli è difensore e re. Infatti, chi mi può nominare una qualche opera grande, composta dopo il Risorgimento, da grande autore, per far conoscere e ricordare alle adorazioni del mondo la terza Persona della SS. Trinità? Noi non abbiamo potuto trovarne pur una né in Italia, né in Allemagna, né in Inghilterra, né nel Belgio, né in Francia. Bisogna confessarlo con nostro dolore: rispetto allo Spirito Santo, l’insegnamento pubblico s’é visibilmente immiserito.

E n’ è prova il mondo attuale: talora almeno si parla di quello che si conosce, di ciò che, in qualunque grado, occupa la nostra mente: la lingua batte dove il dente duole, e spesso s’invoca colui del quale altri si crede aver bisogno. Ma il nome dello Spirito Santo, che posto tiene nel moderno linguaggio? Nel naufragio delle credenze, restarono salvi parecchi nomi;’ Dio, Cristo, la Provvidenza, odonsi di quando in quando suonar sulle labbra dell’oratore, o veggonsi cadere dalla penna dello scrittore. Avviene egli lo stesso dello Spirito Santo? Quando avete voi sentito pronunziare il suo nome? Chi l’invoca da senno? Avete voi memoria di averlo letto Ne’ libri di storia, di scienza, di letteratura, di legislazione, o ne’discorsi ufficiali, da cento e più anni in qua? Or quando il nome sen va, l’idea sparisce ancor essa. Pur troppo, nel mondo presente lo Spirito Santo non conta più. I palazzi, i saloni, le accademie, la politica, l’industria, la filosofia, l’istruzione pubblica, sono vuoti di lui; e’ par ridotto alla condizione di elemento sociale ignoto o vièto. Fra gli stessi cattolici, è egli bene spesso altro che mero oggetto di credenza metafisica? Dov’è il culto speciale, fervente, costante in suo onore? Si davvero; la terza persona della SS. Trinità nell’ordine nominale, é l’ultima nella nostra memoria e ne’ nostri omaggi.

Due volte sole, l’uman genere giacque in questa profonda ignoranza, in questa generale indifferenza. La prima, nel mondo pagano, innanzi la predicazione del Vangelo; la seconda, a’tempi nostri, diciotto secoli dopo lo stabilimento del Cristianesimo. Per gli antichi pagani lo Spirito’ Santo era come se non fosse: il suo nome non si trova in alcuna delle loro lingue. La ragione ne è chiara; nel mondo antico lo Spirito Santo non contava nulla, perché lo Spirito maligno era tutto. Or di che cosa é segno quest’ignoranza e indifferenza del mondo presente rispetto allo Spirito Santo, se non che Satana ricupera il campo perduto e torna a formare la sua Città? Ecco IL VERO MISTERO DEI TEMPI MODERNI. Così è: e chi noi vede né intende, è uomo che non vede né intende il mondo in cui vive.

Quinto fenomeno. Satana rientrato nella Città del bene, comincia dallo scuoterne la base. L’unità di fede, la sociale potenza della Chiesa, il diritto cristiano, la cristiana costituzione della famiglia, erano, siccome abbiamo veduto, le quattro pietre angolari dell’edifizio religioso e sociale de’padri nostri: che diventarono esse? Dov’è, a’ tempi nostri, l’unità di fede? Il simbolo cattolico è fatto in pezzi qual vetro. Metà d’Europa non è più cattolica; l’altra metà l’é a mala pena a mezzo. Dov’è la sociale potenza della Chiesa? dove la sua proprietà? Il suo scettro è una canna, e la madre de’popoli non ha più dove posare il capo.

Dov’è il diritto cristiano? Vituperato, calpestato; è detronizzato dal diritto nuovo, o, a dir meglio, dal diritto antico, dal diritto di Cesare, dal diritto della forza, del capriccio e del tornaconto. Dov’é la cristiana costituzione della famiglia? Il divorzio é tornato ad infettare i codici di Europa; ed altrove regna il concubinato legale sotto il nome di matrimonio civile. La patria potestà scade dovunque; e la famiglia, destituita della sua perpetuità, s’è fatta istituzione passeggera. Or chi è l’autore di queste grandi rovine, che ne suppongono e cagionarono tante altre? È chiaro che, non essendo lo spirito del bene, lo è lo spirito del male.

Eppure, affascinare e distruggere non è che la prima parte della satanica opera; l’usurpatore s’affretta a piantare il suo trono sulle fatte ruine. Chi non resterebbe sgomento al vedere, nel decimonono secolo dell’Era cristiana, il regno del demonio manifestarsi nel centro medesimo della Città del bene, con tutti i contrassegni che aveva nella pagana antichità ? Que’ contrassegni furono, non s’è punto dimenticato, il razionalismo, il sensualismo, il cesarismo, l’odio del Cristianesimo. Or quale di questi contrassegni ci manca?

Il Razionalismo, ossia l’emancipazione della ragione da ogni autorità divina in materia di credenze, può ella essere più completa? L’autorità divina insegna per org’ano della Chiesa; qual si è adesso il governò che l’ascolti? Sotto il nome di libertà di coscienza, le religioni tutte non sono esse forse, politicamente e a parere di molti, egualmente vere, egualmente buone e degne d’egual protezione? Che cos’è questo, se non lo spirito di menzogna che dà, come nell’antica Roma, il diritto di cittadinanza a tutti i culti, e ammette tutti gli dei nel medesimo Pantheon?

E fra i privati stessi, son essi molti che regolino la loro fede secondo la parola della Chiesa? Gli uomini, i libri, i libercoli, i giornali anticristiani, non son essi gli oracoli della moltitudine? E poi la fede si conosce dalle opere come l’albero da’frutti. Or, interrogate i sacerdoti: chiedetelo a ragguagli del mulinale; guardate intorno a voi. E se tanto ancora non basta per dirvi in quale stato si trovi la potenza della fede sul mondo presente e mostrarvi fin dove domina, pigliate in mano un mappamondo, e giudicatene co’vostri occhi!

Il Sensualismo, ossia l’emancipazione della carne da ogni autorità divina in materia di costumi, non cammina egli forse di pari passo col Razionalismo? Eh! che in questa parte il mondo presente corre difilato agli antipodi del Cristianesimo! La vita cristiana venne già definita dal Concilio di Trento, una continua penitenza, perpetua poenitentia; e i nostri tempi che sono? un continuo godere il più largo e con tutti i mezzi che si possa, L’uomo diventa carne. E su questo contrassegno del regno Satanico non occorre dir altro; attesoché è cosa che impaurisce tutti gli animi assennati.

Il Cesarismo, ossia l’emancipazione della società dall’autorità divina in materia governativa, per mezzo del concentramento di tutti i poteri spirituali e temporali nella mano d’un uomo, imperatore e pontefice, dipendente da niun’altro che da sé stesso. Che cosa si ved’égli di questo nuovo contrassegno? mirate; meta dei re d’Europa si sono fatti papi; l’altra metà aspira a farsi. Calpestare le immunità della Chiesa, usurpare i diritti della Chiesa, insultare, spogliare, incatenare la Chiesa, non è forse stata la bell’impresa, direttamente o indirettamente, di tutti governi europei, dal Risorgimento in poi? Non lo è forse tuttavia? Se questo non è il Cesarismo, più non intendiamo il senso delle parole.

L‘odio del Cristianesimo. L’antico paganesimo odiava il cristianesimo d’odio implacabile, universale; di guisa ché di ogni e qualunque mezzo si valeva per insultare, distruggere il suo avversario. L’odiava in Dio, ne’suoi ministri, ne’suoi discepoli, ne’ suoi dommi, nella sua morale, nelle sue pubbliche manifestazioni. Il suo nome era diventato sinonimo di tutti i delitti. A lui si dava la colpa delle pubbliche calamità: il carcere, l’esilio, la morte fra le torture, erano meritato castigo d’una sètta; dica Tacito, rea dell’odio del genere umano. Satana è sempre Satana: il suo odio del cristianesimo è cosi fresco, universale, implacabile adesso come in antico. Egli odia Dio ne’cristiani; da un secolo in qua specialmente, quali bestemmie restano ancora a proferirsi contro il Verbo incarnato? citatemi un solo de’suoi misteri che non sia stato mille volte impugnato, un solo de’ suoi diritti mille volte negato e calpestato.

L’odia ne’suoi ministri. Nel furor della sua rabbia non ha egli detto, che vorrebbe strangolare l’ultimo prete con le budella dell’ultimo reo. E in quanto il potè, non l’ha egli fatto? Havvi egli pur un paese in Europa, dove, dopò il Risorgimento, i vescovi, i preti, i religiosi non siano stati spogliati, cacciati via, inseguiti come belve, oltraggiati, massacrati? Lo stesso Vicario del Figliuolo di Dio, il padre del mondo cristiano, Pietro, almeno Pietro, sarà stato rispettato. Sii guardate come l’hanno trattato nella persona di Pio VI e di Pio VII; guardate come ancora lo trattano nella persona di Pio IX. E che è la moderna Europa se non una famiglia ribellata contro al suo Padre? Non sentesi egli, oggi dì, da nove anni, il grido deicida di milioni di voci: Non vogliamo più ch’egli regni su noi? Assediato da cento scomunicati, il pontificato non è egli diventato un Calvario? Giuda che vende; Caifasso che compra; Erode che schernisce; Pilato codardo, il soldato spogliatore e carnefice, non ricompariscono essi li sulla scena? L’odia ne’suoi discepoli. I veri cattolici sono trattati come i lor Sacerdoti. Tutte le ingiurie fatte da’pagani antichi a’ loro padri, son fatte ad essi da’pagani moderni. Sono tenuti per inetti o per sospetti: vengono esclusi, il più che si può, dalle pubbliche cariche; son detti retrogradi, nemici del progresso, della libertà, delle istituzioni moderne, gente d’un’altra età, che vorrebbe ricondurre il mondo alla schiavitù ed alla barbarie. Sono oppressi nella lor libertà, coll’annullare le donazioni da loro fatte alla Chiesa lor madre, od a’ poveri loro fratelli; col sopprimere le associazioni di carità, cui non si ha onta di mettere al disotto delle società scomunicate. Sono oppressi nel loro diritto di proprietà; si pigliano i loro conventi per farne caserme; le loro chiese, per farne stalle; le loro campane, per farne cannoni; i loro vasi sacri, per farne denaro od oggetti di lusso, in servigio de’loro nemici.

Si può vederne la nomenclatura nel Mamacìti, Antiquitates et Origines christianae, ecc. Questo fatto mostra meglio d’ogni ragionamento, la medesimezza dello Spirito dominatore delle due epoche. Ma questa non è semplice storia, né pura filosofia della storia: è piuttosto, ci si passi la frase, una esatta fotografia del nostro secolo. E si noti ché quando l’autore scriveva queste pagine, molti di questi fatti non erano che cominciati: non ancora Satana, rappresentato dalla massoneria trionfante, aveva posto le sue tende presso al Vaticano, non ancora nella Città stessa del bene si eran potuti innalzare templi eretici, non ancora era stato pronunziato il grido famoso « Il Clericalismo (ossia il Cristianesimo): ecco il nemico! »

Però come satana ispirando Lutero, promosse contro sua volontà, la riforma effettuata dal Concilio di Trento, così ora, in tal modo disponendo Iddio, con l’abuso della vittoria ha attirato gli sguardi di tutto il mondo al Vaticano; i buoni crescono in fervore, la zizzania si separa dal buon grano, e i soldati della Città del bene crescono di animo e di valore. Le vittorie dello Spirito malo non riescono finalmente che a render più gloriosi i trionfi dello Spirito Santo! Sono oppressi nella coscienza, con imporre ad essi lavori vietati: insultando, tuttodì, sotto i loro ocelli tutto quanto è ad essi più caro, più venerando, più adorabile. E acciocché nulla manchi, né al loro martirio, né all’odio, a cui sono fatti segno, in tutta Europa, dopo il Risorgimento, vennero appesi per la gola, arsi vivi, decollati. Ed anche adesso, in Italia, son fucilati; in Polonia, impiccati; in Irlanda, fatti morire di fame. Se Dio non sorge, se ne faranno macelli ; e migliaia di voci grideranno: Loro ben sta! Reus est mortis.

L’odia ne’suoi domini. Da quattro secoli in qua, nella battezzata Europa, si è sciupato, per demolire l’edifiziò della verità’» cristiana, più inchiostro, più carta, più denaro, che forse non ci vorrebbe per convertire il mondo: l’empia guerra non cessò mai. Per non dire de’libri, de’teatri, de’ discorsi anticristiani; che fanno quelli avvelenati fogli che, ogni sera, partono da tutte le capitali d’Europa, per piovere poi, il dì appresso, a guisa di velenose locuste, sulle città e le campagne, e sparger dovunque il disprezzo e fodip della religione, lo scetticismo e l’incredulità?

L’odia nella sua morale. Ridiventato quel ch’era a’ dì della satanica signoria, il mondo presente sembra organizzato per la corruzion de’ costumi : Totus in maligno positus. Se non ve ne son chiaro indizio il dolore e lo sgomento di quanti serbano ancora in petto cuore cristiano, considerate voi stessi. La febbre degli affari; la sete dell’oro e del piacere; l’industria che mette milioni d’anime nella morale impossibilità di adempiere gli essenziali doveri del Cristianesimo; il babilonico lusso, che dà in istranezze sempre peggiori; le mode disoneste; le danze oscene; cinquecentomila caffè o ridotti,1 spalancate voragini in cui 1 Solamente in Francia. vanno a perdersi l’amor del lavoro, il pudore, la sanità, lo spirito di famiglia, il rispetto a sé stesso e ad ogni autorità; in tutte le classi della società, effeminate abitudini, snervatrici degli animi: scandali clamorosi che addomesticano col male e spengono la coscienza; il disprezzo delle leggi ordinate a domare la carne; la profanazione della domenica; la santificazione del lunedi; l’abbandono della preghiera e de’ Sacramenti; che cos’è, dico, che cos’è tutto questo, se non odio della morale cristiana, odio infernale, tendente a soffocare il Cristianesimo nel fango? L’odia nelle sue manifestazioni pubbliche e private. Là, proibisce il suono delle campane e condanna il sacerdote che porti, in pubblico, il suo abito ecclesiastico; costà, abbatte tutte le croci. Qui vieta al Figliuolo di Dio d’uscir da’ suoi templi per ricevere gli omaggi dei suoi figli; e, sotto pena di venir oltraggiato, gli tocca celarsi ben bene quando va a visitarli sul letto del dolore. Tutte cose che avvengono in società che si chiamano cristiane! E avviene ben altro. In segno di vittoria, satana ha ricollocato le sue statue ne’ giardini, su passeggi, sulle piazze delle grandi città, per tutta Europa: e, ficcatosi fin ne’ domestici penetrali delle famiglie, ne ha bandite le immagini del Verbo incarnato e sostituite le sue.

« Non v’è Cristo in casa, esclamava testé un eloquente predicatore; non v’è più Cristo pendente dalla parete; non v’è più Cristo manifestantesi ne’ costumi. E che! voi avete sott’occhio i ritratti de’ vostri grandi uomini; le vostre case s’adornano di statue e quadri profani! Che dico? voi tenete esposti alla vista de’vostri figliuoli ed all’ammirazione della gente di casa gli Amori del paganesimo, le Veneri, gli Apollini dèi paganesimo; si, tutti i vituperi del paganesimo trovano posto nella casa de’cristiani; e, sotto quel tetto che accoglie tanti umani eroi e pagane divinità, non v’ha più un cantuccio per l’immagine di Gesù Cristo, che lo stesso Tiberio non ricusava d’ammettere coi suoi dèi nel Pantheon di Roma. »

Si, è vero, è vero non solo in Francia, dove insegna l’Università, ma vero in Europa dove insegnano gli ordini religiosi, vero molto prima dell’Università e della Rivoluzione francese; nelle case de’ moderni cristiani letterati, Cristo non ha più luogo. Ma ve l’aveva a’ tempi degli ignoranti nostri padri del Medio Evo. Or come ne venne cacciato? Come ha dovuto cedere il posto agli dèi del paganesimo, vale a dire a Satana stesso sotto le molteplici sue forme; “omnes dii gentium daemonia”?

In che tempo s’è ella fatta questa sacrilega sostituzione? Chi ha formate le generazioni che se ne fanno colpevoli? In quali luoghi, e in quali libri hann’esse imparato ad appassionarsi per le cose, per gli uomini, per le idee e le arti del paganesimo? Qual fu lo Spirito che ha dettata la dottrina che produce tal frutti? Lo Spirito del Cenacolo, o quel dell’Olimpo? O l’uno, o l’altro. Havvi infine un ultimo fenomeno che va ogni di più manifestandosi; ed. è il doppio movimento, che mena il mondo presente; movimento d’unificazione materiale, e movimento di dissoluzione morale. Lo Spirito del secolo diciannovesimo spinge con tutte le sue forze alla materiale unificazione de’ popoli; battelli a vapore, strade ferrate, telegrafi elettrici, leghe doganali, trattati di commercio, libero scambio, moltiplicazione delle poste, ribasso di tassa sugli stampati e sulle lettere; non vi è mezzo di comunicazione che non venga accelerato o inventato.

Assorbisce intanto le piccole nazionalità, sopprime la famiglia, il comune, la provincia, la corporazione, ogni specie di franchigia ed autonomia; risuscita gli eserciti permanenti del mondo antico, riedifica le sue grandi capitali, e sul collo dei popoli, fatti liberi dal Cristianesimo, ribadisce le catene della cesarea, cosi detta, centralizzazione. A questo movimento di unificazione materiale corrisponde, fuori del Cattolicismo, un movimento non meno rapido di dissoluzione morale. In materia di dottrine religiose, sociali, politiche, che resta egli più in piedi? Il gran dissolvente d’ogni specie di fede, il Razionalismo, non è egli forse il dio della moltitudine? Dove son esse le convinzioni profonde, le professioni chiare ed aperte, tanto da resistere alle seduzioni dell’interesse, per isfidare le minaccie, o, peggio, la dimenticanza in che vi lascia il governo, per mantenersi immobilmente saldo fra i sofismi dell’empietà e la forza de’cattivi esempi? Qual può essere Punita morale d’un mondo che ha fatto in pezzi il simbolo cattolico, che sta lì a sentire, e sopporta, e lascia passare tutte le negazioni, compresa quella di Dio stesso?  Somigliante spettacolo, solo una volta già ebbe a vedersi; e fu al tempo che il romano impero declinava alla sua rovina. Formata dal continuo assorbimento del debole dal forte, del popolo per via del popolo, l’unità materiale giunse fino al dispotismo d’un solo uomo. Satana aveva raggiunto il suo scopo. Roma era il mondo, e Cesare era Roma; e Cesare era imperatore e sommo sacerdote di Satana. Allora fu che l’uman genere, privo di forza di resistenza perché senza fede, e senz’altro desiderio che di materiali piaceri, “panem et circenses”, altro più non era che un gregge, bastonato, venduto, sgozzato, a volontà del padrone. Eserciti permanenti, grandi capitali, celerità di comunicazioni, centralizzazione universale, unificazione materiale de’popoli, spinta con febbrile ardore; dissoluzione morale, giunta fino allo spezzamento indefinito d’ogni simbolo e d’ogni fede: chi oserebbe sostenere che tale doppio fenomeno non sia precursore della più immane tirannia? Sia forse l’addentellato, dirò cosi, del regno anticristiano, predetto, degli ultimi tempi ? A parer nostro, è Cesare a cavallo, con Lucifero in groppa.

Farsi adorare in luogo del Verbo incarnato; tale fu sempre, e sarà, lo scopo dell’angelo ribelle: egli non ne conosce altri; la storia è pronta a narrare a chiunque voglia sentire, l’esito che n’ebbe negli antichi popoli pagani e fra i moderni idolatri. Dopo aver procurato, mediante il razionalismo, il sensualismo, il cesarismo e l’anticristianesimo, il divorzio dell’uomo da Dio, il più che sia possibile completo, e’ si presenta a riannodare il vincolo da lui spezzato: e certo, attesoché è fondato sulla natura delle cose, tranne un miracolo , l’esito sarà infallibile. Il mondo inferiore, checché si faccia, non può sottrarsi all’influenza del mondo superiore; se rompe fede al Re della Città del bene, cade per forza sotto la signoria del Re della Città del male. 0 Dio, o il diavolo: non si dà via di mezzo.

Il demonio stabilisce, tra l’uomo, suo schiavo e zimbello, e sé stesso, suo seduttore e tiranno, molte comunicazioni dirette e palpabili, che sono una contraffazione permanente delle comunicazioni del Verbo coll’uomo. E’si fa, in mille modi da lui stesso indicati,, adorare per Dio, rispettare da padrone, amare come benefattore, consultare come oracolo, invocare come protettore, chiamare per medico, ricevere come amico, trattar come un essere innocuo. Su questo complesso di fatti permanenti, universali, sta l’idolatria antica e moderna; o piuttosto è l’idolatria stessa. Ora, noi ripetiamo, satana non cambia né invecchia; sarà oggi, domani, sempre quello eh’ era ieri. Perpetua scimmia di Dio, implacabile nemico del Verbo incarnato, egli sempre mirerà a gettarlo giù dal trono, per mettersi al suo posto. Se dunque è lui che il Risorgimento ricondusse trionfante in mezzo all’ Europa cristiana; se i grandi contrassegni de’tempi nostri sono il razionalismo, il sensualismo, il cesarismo e l’anticristianesimo, non vi sarà poi molto da stupire se vedremo anche una volta il demonio sforzarsi di materialmente sostituirsi al vero Dio, ed opporre il sovrannaturale satanico al sovrannaturale divino, finché questi ne resti soppiantato. Per mettere nell’uomo moderno gli stessi sentimenti che già mise nell’antico, e’ ci dee comparire intorniato di tutto il cortèo di consultazioni, d’oracoli, di prestigi, di pratiche misteriose, ond’era composto il suo culto, e assicuratoci suo dominio sull’antichità pagana; vediamo se la storia confermi tale induzione.

Fino al Risorgimento ed alla Riforma, che del Risorgimento fu figliuola primogenita, la duplice autorità delle leggi canoniche e delle leggi civili, seguitava a tenere stretto in catene il padre della menzogna, il vinto del Calvario. Se si vide esercitare la tenebrosa sua arte fra i popoli cristiani del Medio Evo, si fu per mera eccezione, e in piccola misura. Richiamato dal Risorgimento sotto la forma di Dìo del bello, e dalla Riforma sotto il nome di Dio della libertà, e’ripiglia assai presto antica indipendenza del suo procedere. In Italia, in Allemagna, in Francia, risorgenti in gran numero, imitatori de’ letterati di Roma e della Grecia, si danno con passione allo studio ed alla pratica delle scienze occulte.

I principali capi del Protestantismo si vantano de’ loro colloqui con Satana. Tornano a comparire, sotto forme leggermente modificate, tutte le superstizioni dell’antico paganesimo ; consultamene, evocazioni, manifestazioni, oracoli, prestigi, adorazioni, vanno moltiplicandosi in un colle negazioni del Vangelo. Questo culto di Satana invadeva l’Europa con tale celerità, che la Chiesa se n’ebbe a commuovere; e per organo di Sisto V, gran niente al certo, segnalò al mondo sgomentato cotesta epidemia della risorgente idolatria, e la colpì di solenne condanna.

Nella famosa bolla “Coeli et terrae Creator” sono enumerate, come ricomparse al gran sole del Cristianesimo, la maggior parte delle pratiche diaboliche usitate nella pagana antichità, e di cui Porfirio ci ha lasciata la lunga filatessa de’nomi. L’immortale pontefice nomina: l5 astrologia, la geomanzia, la chiromanzia, la negromanzia, i sortilegi, gli auguri, gli auspizi, la divinazione co’dadi, co’grani di frumento, e le fave; i patti col diavolo, coll’intento di saper l’avvenire, o sfogar le passioni; i carmi; gli oracoli o evocazioni degli spiriti, interrogati, e rispondenti; l’oblazione d’incenso, di sacrifizi, di preghiere; le genuflessioni, le prostrazioni, le cerimonie del culto; l’anello e lo specchio magico; i vasi ordinati a fissare gli spiriti e ad ottenerne risposte; le donne simpatiche (noi diciamo sonnambule e magnetizzate), che, messe in relazione col diavolo, ne ottengono il conoscimento di cose occulte, passate o future, l’idromanzia co’ vasi pieni d’acqua, in cui uomini, e più spesso donne, fanno apparire figure che danno oracoli. Bisogna aggiungere la piromanzia, la pedomanzia, l’ornitomanzia, l’oniromanzia, ossia l’oracolismo per mezzo de’ sogni, ed altrettali pratiche, « fetidi avanzi, dice il Pontefice, dell’antica idolatria vinta dalla croce. [“Quas pristinae et antiquatae, ac per crucis victoriam prostratae idolatriae reliquias fetinentes, quibus dam auguriis, auspiciis, similibus siguis et vanis observatiouibus ad futurorum divinationem intendunt. – Constit. “Coeli et terrae, etc.” A.D. 1586]

Notisi di passaggio, che il Vicario di Gesù Cristo segnala la donna come prediletto strumento del demonio. Superfluo rammentare che tal preferenza fatta alla donna, si trova dappertutto nell’antico paganesimo, sì come nella moderna idolatria, nell’Africa, nell’Oceania e altrove. Alle ragioni da noi arrecatene, san Tommaso aggiunge questa: « I demoni rispondono anche più facilmente, chiamati da vergini zittelle, a fine di meglio ingannare, col dar ad intendere con tale lustra, ch’essi amino la purità.» Checché ne sia, le donne lo piglino per salutare avviso, che per esse maggiore è il pericolo. Intenderanno perciò la necessità grande che hanno di star vigilanti, e sovratutto di guardarsi ben bene dal prender parte a veruna pratica sospetta, che potrebbe dare appiglio all’implacabile loro nemico di tirarle al suo servigio.

XIR212502 Pope Sixtus V (1520-90) (oil on canvas) by Italian School, (16th century) oil on canvas Chateau de Versailles, France Lauros / Giraudon Italian, out of copyright

Dalla bolla di Sisto V risultano due fatti. Da un lato, la molteplicità delle pratiche diaboliche; la si direbbe un generale sobbollimento dell’Europa, figlia del Risorgimento, al soffio dello spirito satanico; dall’altro, la durata di questi vituperosi fenomeni. « A malgrado di tutti gli sforzi della Chiesa, soggiunge il Pontefice, non s’è potuto ottenere l’estirpamento di queste superstizioni, di questi delitti, di questi abusi. Dì per dì si viene a conoscere che n’é piena ogni cosa; omnia piena esse. » È dunque un fatto interamente storico, che: un secolo dopo il Risorgimento, le comunicazioni di satana coll’uomo s’erano di bel nuovo fatte, come nell’antico paganesimo, generali, permanenti, indistruttibili, e che la possanza del demonio stendevasi, nella Città del bene, a limiti non conosciuti: omnia piena esse in dies detegantnr. Nè i pontificali divieti punto valsero a fermare il male. Il Bearnese, Loudun, Louviers, il paese del Nord, le Cevennes, il cimitero di san Medardo a Parigi ed altri luoghi, col diventare un dopo l’altro teatro di clamorose manifestazioni, mostravano che Satana restava padrone di larga parte del campo. Per gl’ingegni volgari, questi fenomeni erano ciurmerie e non altro, cose da contare a veglia: e la diabolica loro indole, affermata da qualcheduno, fu ostinatamente negata da tutta la setta degl’increduli. Nel secolo di Voltaire, negaronsi non che quelli, ma tutti gli altri fatti di tale natura. Divinazioni, evocazioni, patti, magia, possessioni, stregonerie, malefizi; si stabilì per principio ch’erano tutti sogni. Questa temeraria negazione della storia universale produsse generale indebolimento della credenza nel demonio, nelle sue pratiche ed influenza. Per non mettersi in contraddizione col Vangelo e la dottrina della Chiesa, i più cattolici dicevano che, per verità, quelle eran cose avvenute ne’tempi antichi, ma ne’ tempi moderni non ce n’era più esempio; « Difatto, soggiungeva la filosofia volteriana, il demonio, mercè il progresso de’lumi, altro non è più che un essere inoperoso e disarmato. Anzi si dà per certo che i più dei fatti a lui imputati dalla santa Scrittura, son mero effetto delle leggi naturali: calunniato a talento dal medio evo, ignorante e credulo, è ridotto oggimai ad essere semplice spauracchio delle vecchiarelle e de’fanciulli.» Cosi faceva molto bene il demonio le sue faccende, e s andava avvicinando allo scopo precipuo de’ suoi sforzi. Qual è ? togliere, dal cuore dell’ uomo la paura di lui; rendersi famigliare, a fine di far disprezzare le dottrine della Chiesa, e gettar via le armi antidiaboliche, di cui ella aveva provveduto i suoi figli. Ci è riuscito? interroghiamone la storia contemporanea.

   Rendersi famigliare. Avviene sotto i nostri occhi un fatto inaudito da’ popoli cristiani: fatto poco notato, ma tale che a noi par degno di essere anzi notato ben bene; attesoché forma uno de’più rilevati contrassegni dei tempi presenti. I secoli passati avevano paura del demonio. Il vero suo nome, il nome di Diavolo, non si pronunzia se non di rado, con certa quale esitazione, ed anche scrupolo. E anche adesso vi sono popolazioni, a grande loro ventura preservate dallo spìrito moderno, che nol pronunziano mai. Volendo parlare di Satana, dicono: la ‘brutta bestia. Tranne quest’eccezione, che va facendosi ogni di più rara, il nome di diavolo corre sulle labbra di tutti. Lo si pronunzia come quello della cosa più indifferente. Se non condisce le’ arguzie; se ne rinforza il giurare; serve di titolo ai libri alla moda, e d’invito alle rappresentazioni teatrali. I mercanti medesimi lo trovano buono per l’insegna delle loro botteghe. Si direbbe che il mezzo di tirare i lettori, o adescar gli avventori, sta nell’uso d’una parola, che faceva orrore a’nostri padri. Ci si permetta, a mo’di termometro di cotesto strano progresso, citare alcuni esempi, i più antichi de’quali non passano di molto un quarto di secolo. Roberto il diavolo – Programma di Roberto il diavolo – Canzone di Roberto il diavolo – Leggenda di Roberto il diavolo- Al più maligno di tutti i diavoli-Al buon diavolo- Al diavolo galante – Al diavolo a quattro – Ai diavoletti – Al diavolo verde – Dio e Diavolo – Angeli e diavoli- Un angelo ed un diavolo – Andate al diavolo – Il diavolo del mondo – Tormenta diavolo – Signor Belzebub – Signor Satanasso – Il diavolo e le elezioni – Il diavolo a scuola – Il diavolo nella pila dell’acqua benedetta- Il diavolo d’argento- Il diavolo dell’epoca- Al diavolo la franchigia-Diavolo o donna.

Il tic-tac del mulino del diavolo – L’ uomo del diavolo – Il diavolo in viaggio -Il diavolo a Parigi – Il diavolo a Lione – Il diavolo in provincia – Il diavolo pei campi- Il diavolo al molino – Il diavolo negli spogliatoi delle signore – Il diavolo ficcato dappertutto – Satana-Satanasso – Il diavolo – I cinquecento diavoli – Il diavolo verde – Il diavolo rosso – I poveri diavoli – I diavoli rosei – Il diavolo giallo-I diavoli neri -Il buon diavoletto – Il diavolo zoppo – Il diavolo a cavallo – Il diavolo medico – Il diavolo amoroso – Il diavolo ingannato -I diavoli di Parigi -I diavoli dei Pirenei – I diavoli dolci.- Frà diavolo – Giovanni diavolo – Confessione di Fra diavolo – Almanacco del diavolo – Gli amori del diavolo – Memorie del diavolo – Memorie di una diavolessa – La scienza del diavolo – 1 secreti del diavolo – Le avventure di un diavoletto – Il secreto del diavolo – Le astuzie del diavolo- La malizia del diavolo – La palude del diavolo – Il cerchio del diavolo-La parte del diavolo – Le pillole del diavolo-La casa del diavolo – Il castello del diavolo- I sette castelli del diavolo – La taverna del diavolo – Il pozzo del diavolo – I nomi del diavolo – Il gatto del diavolo – Il cavallo del diavolo – Il cane del diavolo – La cornamusa del diavolo – Il valletto del diavolo – La cantatrice del diavolo – Il danaro del diavolo I – soldi del diavolo – Il cassettino del diavolo – Lo schiaffo del diavolo – I trastulli del diavolo – Il figlio del diavolo – La figlia del diavolo – L’erede del diavolo – La stella del diavolo – Il viaggio del diavolo – La caccia del diavolo – La ronda del diavolo – 1 tre peccati del diavolo – 1 tre baci del diavolo – La cena del diavolo – Una lacrima del diavolo –L’orecchio del diavolo – La mano del diavolo – La coda del diavolo – Ritratto del diavolo – Fisiologia del diavolo. Ecco, con altri assai, i titoli di opere, di cui il secolo XIX va, da vent’anni in poi, fregiando le colonne del Journal de la libratine française. Ecco le insegne, con ritratto, che grandi e piccoli commercianti mettono sui muri delle nostre città; un nuovo patronato alla moda, sotto cui si pongono gli splendidi magazzini di lusso come le botteguccie de’ mercanti di zolfanelli. Non accade illudersi; questo nuovo fatto ha il suo significato. « La rivoluzione delle cose, dice un vecchio autore, non è punto più grande di quella delle parole. ” La popolarità d’una parola è segno della popolarità dell’idea. La facilità, la leggerezza, l’indifferenza con cui vedesi a’nostri dì adoperato un nome fino allora sempre abborrito, è dunque indizio dell’ imprudente dimestichezza del mondo presente, col suo più pericoloso nemico: sì come é indizio che le nostre idee sono, ma di molto, lontane da quelle de’nostri padri. Con tutto ciò rendersi famigliare non è che il primo grado del favore ambìto da satana: farsi negare, in sé stesso e nelle molteplici sue opere, é il secondo. Farsi rimettere in onore, è il terzo. Farsi rammentar come principe, è il quarto. Farsi adorar come Dio, è il quinto. E seguitiamolo in queste varie fermate del suo cammino, il cui termine finale si é il ristabilimento, sotto una od altra forma, dell’antico paganesimo.

Farsi negare. In altri tempi si credeva nel demonio, qual ci é fatto conoscere dalla rivelazione, e se n’aveva paura. Pei nostri avi, Satana non era altrimenti un essere immaginario, un’allegoria, un mito; ma sì un essere reale e personale come l’anima nostra. Non era altrimenti un essere innocuo, impotente; ma un essere essenzialmente malefico, causa della nostra rovina, sempre in azione dì e notte a tenderci insidie, e fornito di tremenda possanza sull’uomo e sulle creature. Difatti, la prima paura del fanciullo si ‘come l’ultimo terror del vegliardo, era il demonio. Quindi l’uso universale e religiosamente osservato, delle difensive insegnate dalla Chiesa contro le sue insidie e i suoi colpi. Quindi ancora la pena di morte, prescritta in tutti ì codici d’Europa, contro chiunque fosse convinto d’aver avuto commercio con questo nemico del genere umano. Adesso saltano fuori disposizioni affatto contrarie, cosicché è uno sgomento vedere, in mezzo alle genti cristiane, molte persone, la cui credenza nel demonio non é più cattolica. Gli uni l’hanno per un mito, e la sua apparizione nel paradiso terrestre sotto la forma di serpente, per una allegoria; altri, benché ne ammettano l’esistenza personale, ricusano di credere alla sua azione sull’uomo é sul mondo. Havvi di quelli che restringono cotale azione in certi limiti segnati dalla loro ragione; e non vogliono saper altro. Molti ancora non l’accettano che con benefizio d’inventario e, a malgrado di migliaia di testimoni, negano intrepidamente quello che non hanno veduto co’ loro occhi. Eccetto alcuni cattolici d’antica data, niuno v’ha che usi fedelmente le armi fornite dalla Chiesa, per tener lontano il principe delle tenebre. A’ fanciulli non se ne parla più, o se ne parla loro leggermente, e se ne dice quel po’ che ne dà la memoria, e come d’un essere antiquato. L’uomo adulto ed il vecchio, non avendo alcuna paura di lui, sogghignano, se voi manifestate d’averne. Agli occhi della legge, il commercio col demonio, o non ha mai esistito, o non esiste più, o non è un delitto. Quindi, ciò che vediamo oggidì, l’interpretazione razionalista di tutti i fatti diabolici dell’Antico e del Nuovo Testamento, la negazione della storia universale, e il disprezzo della dottrina della Chiesa intorno all’ angelo decaduto. Per ispingere quest’opera eh’è appunto la sua, il demonio si travisa sotto tutte le forme, fa tutti i mestieri, s’affibbia tutti i nomi. Sa darla ad intendere fin nelle manifestazioni medesime, che rivelano con la maggior evidenza, la orrenda sua personalità. Or sotto il nome di fluido nervoso, di fluido magnetico, di fluido spettrico, si spaccia per un agente meramente naturale. Or si chiama seconda vista; e non è che una semplice facoltà dell’anima. Qui, si fa passare per un angelo buono e dà pii consigli. Là è uno spirito arguto, che celia, che sghignazza, che vuol essere trattato come un trastullo o come un vano spauracchio. Altre volte si spaccia per l’anima d’un morto ammirato od amato, e ruba la confidenza. La qual ultima trasformazione, assai più pericolosa delle altre, è altresì la più comune; e si sa che è la base dello Spiritismo.

Qual è, per il padre della menzogna il benefizio di tutte codeste trasformazioni? Quello di eseguire il suo disegno senza patente d’autore; in altri termini, farsi negare. Ed è una grande scaltrezza la sua! Infatti, chiunque nega satana, nega il Cristianesimo. Chiunque snatura satana, snatura il Cristianesimo. Chiunque si burla di satana, si burla della Chiesa, le cui antidiaboliche prescrizioni, altro non riescono più che superstizioni da donnicciuole. Chiunque nega la malefica azione di Satana sull’uomo e sulle creature, accusa il genere umano di pazzia, sessanta volte secolare; e, stracciando una dopo l’altra tutte le pagine della storia, finisce nel dubbio universale. Con tutti i fatti summentovati, satana dice al mondo presente: Non aver paura di me. Vedremo adesso che il mondo presente risponde: No, non ho paura di te!

Farsi riabilitare. La dimestichezza del tempo presente col demonio, e, per conseguenza, la generale diminuzione della paura che deve incutere, è un fatto; ma questo fatto non è altro che il primo grado della satanica invasione: havvene un altro più incomprensibile, non meno vero, la redintegrazione dell’angelo decaduto. Il vero, dice un poeta, può talora non essere verosimile; é proprio il caso d’applicar questo detto al fatto che vogliamo segnalare. In fatti, non è ella cosa in credibilissima che, dopo diciotto secoli di Cristianesimo, nel bel mezzo del regno cristianissimo, si trovino uomini battezzati che si mettano da senno, e con ostinato proposito a rimettere in onore satana, il gran dragone, il grande omicida, l’impenitente autore di ogni male, giustamente fulminato dalla divina giustizia? Eppure bisogna crederla, perché vera. Dopo il Vangelo, il demonio aveva sempre ispirato alle genti cristiane un orrore ed abborrimento universale; e di questo duplice sentimento, erano chiaro segno le forme, gli atteggiamenti, il posto medesimo che artisti e letterati davano, nell’opere loro, all’implacabile nemico di Dio e dell’uomo. Adesso invece di metterlo alla gogna dello scherno e dell’obbrobrio come si merita, lo si lascia da parte, oppur lo si presenta sotto le forme men brutte, e si applaude agli sforzi di chi si prova a rappresentarlo quasi bello, in modo che tali sforzi hanno vanto di progresso sociale. Quella che si chiama la grande critica dà, in questo senso, certe sue sentenze regolatrici dell’opinione. Essa scrive: « Bello come tutte le creature nobili, più infelice che malvagio, il satana del sig. Scheffer, segna l’estremo sforzo dell’arte, per romperla una volta col dualismo, e attribuire il male alla medesima fonte che il bene, al cuore dell’uomo…. Egli ha perduto le sue corna e gli artigli; non ha conservato che le sue ali, sola giunta che ancora lo unisca al mondo sovrannaturale….

Si lasci al Medio Evo, che viveva continuamente in presenza del male, forte, armato, presidiato, di portargli’ quell’ implacabile odio, che l’arte rappresentava con cupa energia. « Noi oggidì siamo tenuti a meno rigore.. Siam biasimati di non esser più severi col male. Ma in realtà l’è questa una delicatezza di coscienza; si è per amore del bene e del bello che noi siamo talvolta sì timidi, sì deboli ne’nostri giudizi morali… Noi esitiamo a pronunziare sentenze esclusive, per tema ch’abbiamo d’avvolgere nella nostra condanna qualche atomo di beltà ». Quale si è questo nuovo obbligo imposto a chi, parla del demonio, di doverlo trattar con riguardo? Onde viene quest’obbligo strano; e che significa egli, imperocché qualche cosa significa? queste sacrileghe moine sono il termometro del progresso.

“Schiacciamo l’infame”, fu la parola d’ordine dello spirito infernale nel secolo passato: ed era nel suo periodo di distruzione.

“Adoriamo Satana”, è la parola d’ordine del medesimo spirito nel tempo presente: ed è nel suo periodo di ricostruzione. La medesima lega che combatteva per distruggere, combatte per edificare. Sulle rovine del Cristianesimo, che, a detta di lei, ha fatto il suo tempo, ella vuole ristabilire il regno, a suo avviso, troppo a lungo calunniato, dell’ angelo decaduto. A tal’uopo, mettono mano a riesaminare il processo di Satana, a farlo sorgere dal suo decadimento, ed a rimetterlo in onore dinanzi al mondo.

Meschinissimo ripetitore de’razionalisti tedeschi, il sig. Renan ha dunque petto di scrivere: « Fra tutti gli esseri già maledetti, per la tolleranza del nostro secolo risorti dal loro anatema, satana è senza alcun dubbio quello che ci ha più guadagnato nel progresso de’lumi e dell’universale incivilimento. Egli s’è raddolcito a poco a poco nel suo lungo viaggio, dalla Persia a noi; egli s’è spogliato di tutta la malvagità d’Arimane. Il Medio Evo, intollerantissimo, lo fece a suo senno brutto, malvagio, torturato e, per colmo di disgrazia, ridicolo.

« Milton finalmente intese il povero calunniato, e cominciò la metamorfosi che l’alta imparzialità del nostro tempo doveva compiere. Un secolo così fecondo come il nostro in ogni guisa di redintegramenti, non poteva mancar di ragioni per iscusare un rivoluzionario sventurato, spinto dal bisogno di metter mano ad arrischiate imprese. E si potrebbero far valere, per attenuar la sua colpa, molte altre ragioni, contro le quali noi non avremmo diritto di esser severi. »

Un de’ maestri del Renan, lo Schelling, va più in là; egli di satana fa addirittura un dio, attesoché Dio doveva avere un antagonista degno di Lui. Il Michelet, nel suo Corso di filosofia della storia, predice il ritorno del regno satanico; e nella Strega e’ si fa suo storico, narrando con amore ì trionfi di satana sovra Cristo. Il Quinet, che vuole soffocare il Cristianesimo nel fango, trova in satana nientemeno che il Principe, che ha dà riunir tutti i cuori. Il Proudhon desidera di sostituire satana; il diletto dell’anima sua, all’inconseguente riformatore che si fe crocifìggere. I Giornali rinomati pigliano la sua difesa e chiedono la sua completa riabilitazione. « Noi crediamo, dice l’Opinion Nationale, che questo Satana, cosi violentemente assalito dagli ultramontani, questo satana, del quale portiamo in fronte il segno, valga più della riputazione che si vorrebbe fargli. Molto a torto lo si dà per fondatore e per protettore del cesarismo, questo satana così calunniato. satana s’incaricherà nel compiere l’opera sua, di provare ai signori vescovi che non vi è bisogno del potere religioso per correggere il cesarismo. » E il “temp” esprime il dispiacere che gli cagiona la parte monotona di satana nel teatro : « È sempre, egli dice, lo stesso mistificatore mistificato. Gli si danno sempre i primi posti per togliergli crudelmente anche gli ultimi, e l’inevitabile voragine col suo zolfo, da lungo tempo scavata dall’industria, riceve sempre allo scioglimento, questo cornuto monarca, col mantello rosso, la cui missione, a quanto pare, è di arrabbiarsi senza riuscita, per la dannazione di alcune povere animuccie di contadini e di contadine. Che un uomo di spirito voglia ben darci una rappresentanza, una incantagione nella quale il diavolo, completamente riabilitato, assisterà nella serenità della sua gloria, alle vane imprese tentate per farlo discendere; sarà lui che nello scioglimento congederà gli angeli e ritirerà loro la direzione delle anime, per affidare ad essi quella dei palloni. Liberato dalle maledizioni secolari, non maledirà nessuno ; riconcilierà pure il Dio nero col Dio bianco, e proclamerà come coronamento della piramide luminosa, la libertà. »

Se questi ed altri non meno empi scrittori avessero, con queste loro enormità, destata una generale riprovazione, potrebbe dirsi che e’ son pazzi ed empi, senz’altro. Ma l’accoglienza fatta a tali inaudite bestemmie; ma il numero de’ lettori e degli encomiatori de’ libri che le contengono, non sono forse tal fatto che dà molto da pensare? Si può egli non vederci un contrassegno de’ tempi nostri ? La pubblicazione di quelle mostruose empietà non ha punto scemata, agli occhi dell’opinion dominante, la gloria de’ Renan, de’ Proudhon e lor simili. Punto non s’è chiusa in faccia loro la porta delle sale né delle accademie. Essi hanno larghe relazioni sociali; si siede a mensa, si conversa con essi, e si trovano amabili. I distributori della nomèa letteraria proclamano ad alta voce il loro ingegno; e le opere loro, tradotte nelle principali lingue, contano, rispetto a’libri cristiani, cento lettori per uno. Tali sono le bestemmie, ignote nella storia, che si stampano a’ tempi che corrono, non solo in Francia, ma anche in Allemagna, e che sono lette nell’antico e nel nuovo mondo. Ciononostante fino a questi ultimi anni, la redintegrazione, l’apologia di Satana non era passata fuori di certi libri ignorati dalla moltitudine. Per spingere avanti l’ opera infernale, restava da infettare il mondo de’ saputelli, gli sfaccendati e le donne. Ed ecco, dopo i filosofi ed i letterati delle accademie, venir fuori i romanzieri ed i comici, che si sono incaricati di renderlo popolare. La è la stessa’ tattica che satana adoperava, or fanno sedici secoli, per conservare il suo’ regno e impedire quello dello Spirito Santo; dopo Celso sofista, comparve Genesio istrione.

Nel 1861 venne fuori un romanzo, nel quale satana, trasformato in bellimbusto, è cosa tutta vaga e leggiadra. Contegno irreprensibile, maniere signorili; parla con eleganza, sorride con garbo, è spiritoso. Fuma, giuoca, danza a maraviglia; non si può dare maggiore amabilità. C’è egli a stupire se l’uomo, sotto tale metamorfosi empia e sacrilega, s’avvezza a guardare in faccia, a stringer la mano al suo eterno nemico? Il terrore che pur testé ispirava passa per vana paura; la malvagità, ond’è accusato, per calunnia nata dall’ignoranza e dalla superstizione. Qual mezzo di propaganda, il romanzo tiene un posto di mezzo tra il libro dotto ed il teatro. Da’ gabinetti di lettura, o dalla casa del rivenditore a minuto, il romanzo entra ne’ saloni del ricco, nella casa del borghese, nella capanna del povero. Coglie più o meno lettori; ma non parla agli occhi e non corrompe se non alla spicciolata.

Altra cosa è il teatro. Il quale col barbaglio delle decorazioni, còlla realtà de’personaggi, coll’arte degli attori s’impadronisce dei sensi tutti, e profondamente v’ imprime quel che vuole insegnare. Inoltre e’piglia addirittura la moltitudine. La commedia ottiene ella favore da venirne in voga? State sicuri che dopo venti rappresentazioni, gli scherzi, i lazzi, le massime, i biasimi, gli elogi eh’ essa contiene, diventeranno purtroppo sentenze in bocca a molte e poi molte persone d’ogni educazione e grado. Ond’è che il vero mezzo di mettere in derisione l’uomo più venerando, o la cosa più sacra, si è di farli comparir su’ teatri; Il demonio l’ha intesa meglio di chiunque. All’uopo di rendere popolare la sua redintegrazione, facendo mettere in derisione i dommi cristiani che concernono lui, s’è reso padrone d’un importante teatro della capitale de’ lumi; e vi fa rappresentare questo, che ora diremo. In una dell’ultime giornate d’agosto del 1861, sulle mima di Parigi vedevasi un cartellone azzurro, con entravi stampato a grandi caratteri : La beltà del diavolo, commedia fantastica in tre atti’. Della quale ecco qui un cenno: ci si presenta dinanzi uno spazzo riccamente decorato; gli è un appartamento dell’inferno; la camera da letto di Monsieur Satan. Vedesi, attraverso le bianche cortine d’un letto voluttuoso, la testa d’un giovane elegante, il quale chiede che lo si venga a vestire. Ed ecco tavole e tavolini coprirsi di cosmetici, di ampolle, di ferri da parrucchiere, portati da certi diavoletti, famigli di satana. Il quale, uscito di letto,, si fa vestire e azziniare; in modo ch’egli stesso s’ammira, e si fa ammirare dagli altri. Ebbro di sua bellezza, .s’impromette di far molto bene i suoi fatti, e annunzia un ballo per la sera. Sei ballerine dell’ Opera cascano, proprio allora, nell’inferno: e al suono de’ musicali strumenti si danza allegramente. satana dà di mano alle ballerine giunte testé e, ballando, si permette con esse certi detti e certi gesti, che però non hanno l’esito ch’ei ne vorrebbe. Infuriatone, domanda a tutti i demoni s’e’non è sempre il re della bellezza: e gli si risponde con qualche esitanza. Allora satana dà affatto ne’lumi e vuol sapere che sia avvenuto della sua bellezza. Un dannato, di professione magnetizzatore, si offre di svelargli 1’arcano. E viene in scena Madama Satan; la quale, magnetizzata, é interrogata, che sia avvenuto della bellezza di suo marito. Madama Satan non risponde, ma s’agita grandemente sulla sua seggiola. Si torna a magnetizzarla, cosicché, carica di fluido, s’addormenta profondamente. Interrogata di nuovo, dice; son io che ho tolta la bellezza a mio marito. — Perché? — Perché ne abusava! — Che ne hai tu fatto ? — L’ho data ad una giovinetta di Normandia, — Di qual villaggio ? (lo nomina.) — Quando gliela hai data? — Quel di medesimo che l’ho tolta a mio marito; quella giovinetta è nata quel dì. satana non chiede altro. Manda pel suo cocchiere, fa allestire la sua vettura alla Daumont e, trasformato in ispettore delle scuole primarie, parte, col dannato magnetizzatore, in cerca della sua bellezza. Giunto nel villaggio, entra nella scuola, esamina le giovinette e ne chiede l’età. Le n’ha otto nate lo stesso dì: quale è quella che possiede la bellezza di satana? Impossibile saperlo. Quel ch’ è certo si è che satana ricupererà la sua bellezza, quando quella giovinetta l’avrà perduta. Per consiglio del magnetizzatore, si decide che si piglieranno tutte otto le giovinette, e le si meneranno a Parigi. Affascinate, innamorate pazze, partono per la capitale in compagnia di satana e del suo pedissequo. La loro virtù non tarda a fare naufragio, nella via di Boemia, della quale si dà una particolareggiata descrizione, discretamente sozza e prolissa. Vituperata l’ultima, torna la sua beltà a Satana che, pavoneggiandosi, ritorna a farsi ammirar nell’inferno, dopo aver promessa fedeltà a sua moglie. Tale si è quest’ignobile farsa, in cui non v’ha né arte, né gusto, né lingua francese, ma, in loro vece, lussuria ed empietà fetente. .satana trasformato in ganimede, fashnonable; l’inferno cambiato in sontuoso albergo, a cui s’arriva colla valigia da viaggio; una casa di tolleranza, dove si beve, si giuoca, si balla, si diserte e se n’esce in calesse in cerca di avventure. Oh! che cosa è mai tale commedia se non un lungo scherno de’ dommi cristiani, una cinica profanazione de’ più tremendi misteri dell’ eternità? Chi è che, dopo aver veduto, applaudito, assorbito questa sacrilega beffa, ancora serbi il menomo orror del demonio,’ il menomo timor dell’inferno? diciamolo pure a nostra vergogna: nel mondo cristiano non s’era veduto mai e poi mai tale scandalo. Eppure v’ha uno scandalo peggiore ancor della sozza commedia, ed è la voga ch’ell’ebbe. Chi crederebbe mai che somigliante mostruosità fosse rappresentata sessantatre volte di seguito? e in uno de’teatri più frequentati di Parigi, il teatro del Palais-Royal! C’è egli più a stupire se, quel medesimo anno, alla presenza d’immensa turba, si è potuto fare e freneticamente applaudire: “un brindisi alla morte del Papa, ed alla salute del diavolo”?

Ecco a che punto ci troviamo nel XIX secolo dell’era cristiana. Per sintomo, noi non conosciamo altra cosa più grave di tale commedia. [certo mons. Gaume sarebbe impallidito trasecolando davanti agli spettacoli blasfemi moderni, pieni di volgarità, bestemmie, sconcezze innominabili, mottetti stercoracei spacciati per artistiche forme di libera di espressione, oramai presenti in modo più o meno velato e spudorato in quasi tutti gli spettacoli teatrali, nonché televisivi, da tutti visibili – bambini compresi – a qualsiasi ora del giorno – n.d.r. -] Cosi la pensa anche un valente scrittore, del quale ci piace allegare questa pagina : « Il demonio, ei dice, aveva sempre avuta finora una sua forma incontrovertibile, una specie di forma classica, che i maestroni in letteratura, fino allo Scribe medesimo, adoperavano a lor senno senza alterarla se non il men che potessero. Il demonio faceva sempre una brutta parte e senza ambagi. Adesso l’ideale del demonio s’è fatto color di rosa. La sua personalità tutta leggiadra sembra l’eroe della canzone di Béranger: « Ella appare, Spirito, Fata o Bea, ma giovane e bella, col sorriso sulle labbra. ». « Per esempio, nella Bellezza del diavolo, non può essere a meno che sua signoria il demonio, non renda tutta cara ed amabile la infernale personalità. Le sue malizie sono benefiche, le sue gherminelle son tratti d’un buon genio della Boemia parigina. Ecco dunque all’ideale cattolico del demonio, ideale stupendamente vero, che esprime o rappresenta il sensualismo al suo più alto grado, l’uomo bestia, opposto un ideale tutto contrario. « La è pure una grande stranezza! che neghino le verità del Cristianesimo coloro, che dalla forza delle cose furono tenuti fuori della loro luce, s’intende: ma osare ammettere, mentre tutto il resto si nega, la personalità infernale, e riconoscerla per glorificarla, redintegrarla, farla amare! gli è un fatto, incomprensibile; incomprensibile e gravissimo, attesoché fa contro una verità tutt’insieme religiosa e razionale, per distruggerla à sangue freddo e senza alcun prò. Qui non è più solo il caso di manifestazione d’amore del sovrannaturale; ma d’occulta influenza dello Spirito del male. »

Farsi chiamar re. Quando il razionalista del secolo XIX non riduce il satana biblico ad un essere meramente immaginario, egli ne fa un essere degno di compassione. Non é altro che un rivoluzionario sventurato; e chi, più o meno, non l’è, a’ tempi nostri? In esso, personificazione vivente del male e della sozzura morale, 1’artista sa trovare un tipo non privo di nobiltà né di bellezza. Il romanziere ve lo trasforma in damerino del Jockey-Club, dalle eleganti maniere. Il comico ve lo rappresenta per l’allegro padrone di casa dell’inferno, e l’inferno per un luogo di diletto, dove si trovano riuniti piaceri d’ ogni sorta. E con tutto ciò il proteggere, scolpare, far bello satana e chiedere, in nome del progrèsso, che gli si dia diritto di cittadinanza nelle cristiane società, non basta altrimenti; si vuole che diventi, come già in altri tempi, principe e Dio del mondo. Ed egli stesso aspira, come a sua ultima mèta, nientemeno che a questa duplice supremazia, cui pretende di riacquistare. Ed invero, la rivoluzione è, a’ tempi che corrono, la più formidabile potenza, e, tranne il caso d’inauditi miracoli, sarà la regina del mondo. E che altro è la rivoluzione se non l’abbassamento di Dio, e l ‘esaltamento di satana? Or bene, la rivoluzione diceva testé, per bocca d’un de’ suoi figli, a’ fratelli sparsi per tutta la terra : « Lucifero è il capo della piramide sociale. E lui il primo operaio, il primo martire, il primo ribelle, il primo rivoluzionario. Noi rivoluzionari; democratici, socialisti, dobbiamo per rispetto e gratitudine portare sulla nostra bandiera, la cara immagine dell’ eroico insorto, che primo osò rivoltarsi contro la tirannide di Dio.1 » [Discorso di un rifugiato di Londra pronunziato alla taverna de’Frammassoni, 1862.]

Dopo aver approvato l’odio di Dio, con iscrivere: Dio è il male; un altro bestemmiatore, ben noto, dà il suo cuore a satana, e l’invoca con tutte le sue forze. Chi dedica la sua penna, gli consacra la sua vita e invita tutta quanta, l’Europa a seguire il suo esempio. « Vieni, dice, vieni, o satana, il calunniato dai sacerdoti e dai re; vieni ch’io t’abbracci e ti stringa al mio seno! È «già gran tempo che ti conosco, e tu conosci me. Le tue opere, o benedetto dell’anima mia, non sempre sono belle né buone; ma esse sole danno un senso all’ universo egl’impediscono d’essere assurdo. che cosa sarebbe, senza te, la giustizia? un istinto. La ragione? una consuetudine. L’uomo? una bestia. Tu solo animi e fecondi il lavoro; tu fai nobile la ricchezza; tu servi di scusa all’autorità: tu metti il suggello alla virtù. Spera, si spera ancora, o proscritto…. » Il resto la nostra mano non osa più trascriverlo. Il Proudhon non è se non un consequenziario. Da quel di che suonò alle orecchie de’ giovani europei il detto, diventato assioma dell’insegnamento pubblico: « Il Cristianesimo è vero, ma non è bello: non è bello né in letteratura, né in poesia, né in eloquenza, né in pittura, né in scultura; per avere il bello, bisogna cercarlo nel paganesimo. È là ancora, è là soltanto, che si trovano le grandi civiltà, i grandi uomini, le forti istituzioni, la vera sapienza e la vera libertà: » da quel dì, dico, satana si mise in cammino per rientrare nel mondo cristiano, e formarvi di nuovo la sua città. E l’imprudente Europa gli faceva un ponte d’oro: vediamo se egli ha saputo valersene.

Qual è il re della moderna Europa, considerata nei generali suoi contrassegni? Re dell’Europa moderna è colui che là governa nell’ordine dell’idee e nell’ordine de’ fatti. Ora, sette grandi fatti intellettuali e materiali, religiosi e sociali costituiscono l’Europa moderna. Il Risorgimento, il Razionalismo, il Protestantismo, il Cesarismo, il Volterianismo, la Rivoluzione francese, e la Rivoluzione, propriamente detta, le danno una sua impronta, le imprimono certe sue tendenze: e colui che le ha prodotte, che le fa durare, che si sforza di applicarle, fin nelle ultime loro conseguenze, questi è il vero re dell’Europa moderna: è egli lo Spirito Santo? E venendo a’ particolari, chi è che forma l’opinione pubblica? Le inaudite bestemmie summentovate sarebbero state impossibili nel Medio Evo; non ne sarebbe pur venuto il pensiero in veruna testa. E se alcuno avesse osato proferirle, l’Europa di Carlo Magno e di san Luigi si sarebbe turate le orecchie per non udirle, e il bestemmiatore avrebbe espiata la sua sacrilega audacia col supplizio. Or come vuole essere chiamato lo Spirito che regge una società, nella quale si può impunemente, pronunziarle, che se ne mostra indifferente, ne ride, le accetta? Forse do Spirito Santo?

Quale Spirito regna sulla stampa in generale, sulle arti, sui teatri, nelle accademie’, sui romanzi, ne’ giornali, sugli scrittori più in voga, di ogni nome e colore, innumerevole turba sparsa per tutta Europa e che semina a piene mani la menzogna e la corruzione, come l’agricoltore sparge il seme nel suo campo? Forse lo Spirito Santo? Qual si è il legislatore che ha fatto mettere ne’ codici dell’Europa moderna il divorzio, distruggitore della famiglia cristiana; il matrimonio civile, concubinato legale; la libertà de’culti, ufficiale diploma dato a tutti i falsificatori della verità, negazione autentica di ogni religion positiva ; sacrilega ironia, in virtù di cui i sudori de’ popoli servono a mantenere in piedi il cattolicismo che afferma, il protestantesimo che nega, il giudaismo che si ride dell’uno e dell’altro? Forse lo Spirito Santo?

   E non vediamo noi autorizzato, sotto i nostri occhi nella Capitale del regno cristianissimo, il pubblico culto di Maometto? Fra tutte le città cristiane, Parigi, anima delle crociate, la città di san Luigi, doveva, pare, essere l’ultima ad avere una moschea : ed è la prima. È egli lo stesso Spirito che regna sulla Parigi del Medio Evo e quella del secolo XIX? Questo fatto, del quale han certo dovuto fremere nelle lor tombe le ossa de’ nostri padri, non segna per altro ancora l’ultimo grado della supremazia che noi andiam qui segnalando : quell’ultimo grado sta nel trionfale cantico che la parigina moschea ispira agli organi dell’opinion pubblica. « Musulmani, e’ dicono, faranno lor vita in Parigi, nella città di Clodoveo e di san Luigi, frammisti a’ nostri soldati e collo stesso ordine e disciplina. Basta questa parola per segnare l’ importanza d’ un fatto che non sarebbe modesto se non in forza del prodigioso cambiamento che si fece nelle nostre idee e ne’ sentimenti da un secolo in poi. Si, è questo uno degli avvenimenti caratteristici della storia dell’ incivilimento Europeo…. Il filosofo medita e ammira. E si pensi un poco alle tante lotte che questo semplice incidente rammenta sostenute contro i pregiudizi di razza, ed alle vittorie ottenute sul fanatismo. » Cosi, ad essere la più religiosa delle cinque parti del mondo, altro più non manca all’ Europa moderna se non i templi de’ Mormoni, i templi di Budda, le pagode di Confucio, i santuari di tutti gli dèi dell’Africa e dell’Oceania. Se non è questo un chiamare al trono il padre della menzogna, e vagheggiare i bei dì dell’antico suo regno, qual più lo sarà? Da ultimo, da chi vuolsi dire ispirata la politica d’un mondo che si dice cristiano, e che spinge con babilonico furore a tutti i materiali piaceri, come se l’uomo si rigenerasse ingrassandolo; che sotto il nome di diritto nuovo, inaugura il diritto della forza: diritto antico, abolito col regno di satana; che sotto le parolone di “progresso” e di “libertà” cela la secolarizzazione delle società e la loro emancipazione sempre maggiore dall’autorità del Cristianesimo; che fa, incoraggia, o lascia fare la guerra al Papa; che lo insulta, lo calunnia, chiede ad alte grida che questo padre universale de’ credenti venga spogliato dell’ ultimo lembo di terra indipendente, in cui possa posare là sua testa ? Forse dallo Spirito Santo fondatore della Chiesa? Addormentatori e addormentati, voi negate l’esistenza del demonio e la sua azione sull’uomo; diteci dunque quale Spirito governi il mondo presente, considerato in generale?

-madonna-di-fatima

[Mons. Gaume certo immaginava che questo fosse solo l’inizio, ma probabilmente non avrebbe mai pensato che il “principe” avrebbe addirittura preso dimora nel Tempio Sacro, come da terzo segreto di Fatima:

“effettivamente satana riuscirà ad introdursi fino alla sommità della Chiesa” !

Cosa dovremo aspettarci ancora?

 

S. Ormisda: La “vera” Santa Sede mantiene sempre la fede Immacolata!

La vera Santa Sede mantiene sempre la fede Immacolata

“La prima cosa necessaria alla salvezza è mantenere la norma della FEDE corretta senza deviare in alcun modo da quello che i Padri hanno stabilito, perché non è possibile mettere da parte le parole di nostro Signore GESU’ CRISTO che ha detto, “tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa!”.

Queste parole sono dimostrate vere dai loro effetti perché, nella Sede Apostolica, la Religione Cattolica è sempre stata conservata Immacolata.

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Estratti dalla  Formula di Ormisda:

una regola di fede composta da Papa San Ormisda nel 484 A.D., che gli scismatici acaciani erano obbligati a firmare, al fine di pervenire in comunione con la Chiesa Cattolica.

“Desiderando di non essere separati in alcun modo da questa speranza e fede, e seguendo in tutto ciò che è stato stabilito dai Padri, anatemizziamo tutti gli eretici….”

“Pertanto, come abbiamo detto prima, seguendo la Sede Apostolica in tutte le cose e predicando le cose da essa stabilite, spero si possa meritare di essere in comunione con voi (con Papa Ormisda) e con quello che predica la Sede Apostolica, ove si costata [risiede] la solidità vera e integrale della Religione cristiana.” (…) “Io considero le sante Chiese di Dio, quella della vecchia Roma e quella della nuova Roma, come una stessa Chiesa, la sede di Pietro apostolo e la sede episcopale di Bisanzio come una stessa sede… Sono in accordo col Papa nella professione della dottrina e anatemizzo tutti coloro che Egli condanna”.

Notiamo questo passaggio nella formula di S. Ormisda:”sono in accordo con la professione del Papa circa la dottrina, e censuro (con la scomunica) tutti coloro che Egli condanna.

     Il nostro Papa Gregorio XVIII, attualmente in esilio, stigmatizza il N.O. (e la FSSPX) nonché le sette della perdizione, cioè le sette sedevacantiste antipapali.

   

« Prima salus est, regulam rectae fidei custodire et a constitutis Patrum nullatenus deviare. Et quia non potest Domini Nostri Jesu Christi praetermitti sententia dicentis: Tu es Petrus et super hanc petram aedificabo ecclesiam meam. Haec quae dicta sunt rerum probantur effectibus, quia in sede apostolica immaculata est semper Catholica conservata religio »

 

 

Pentecoste ebraica e Pentecoste cristiana

Ascensione

Pentecoste ebraica e Pentecoste cristiana

[Dom. P. Gueranger: – L’anno liturgico-vol. II: Tempo pasquale, pag. 261.]

La Pentecoste ebraica.

Già durante il regno delle figure il Signore marcò la gloria futura del cinquantesimo giorno. Israele aveva compiuto, sotto gli auspici dell’Agnello Pasquale, il suo passaggio attraverso le acque del mar Rosso. Sette settimane erano trascorse nel deserto che doveva condurre nella terra promessa, ed il giorno che le seguì, fu quello in cui si suggellò l’alleanza tra Dio e il suo popolo. La Pentecoste (il cinquantesimo giorno) fu segnata dalla promulgazione dei Dieci Comandamenti della Legge divina, e questo grande ricordo restò in Israele, insieme alla commemorazione annuale di tale avvenimento. Ma, come la Pasqua, la Pentecoste era profetica: vi doveva essere una seconda Pentecoste, per tutti i popoli, come vi fu una seconda Pasqua per il riscatto del genere umano. Al Figlio di Dio, vincitore della morte, la Pasqua con tutti i suoi trionfi; allo Spirito Santo la Pentecoste, che Lo vede entrare come legislatore nel mondo, posto ormai sotto la sua legge.

La Pentecoste cristiana.

   Ma quale differenza tra le due Pentecoste! La prima, sulle rocce selvagge dell’Arabia, in mezzo a fulmini e tuoni, ordinando una legge impressa su tavole di pietra; la seconda, a Gerusalemme, sulla quale la maledizione non è ancora piombata, perché, fino ad allora, ella possiede le primizie del nuovo popolo sul quale dovrà esercitarsi l’impero dello Spirito d’amore. In questa seconda Pentecoste, il Cielo non si oscura, non si ode il fragore del fulmine; i cuori degli uomini non sono agghiacciati dallo spavento, come intorno al Sinai. Ma battono sotto l’impressione del pentimento e della riconoscenza. Un fuoco divino si è impadronito di essi, un fuoco che divamperà su tutta la terra. Gesù aveva detto: « Fuoco sono venuto a gettare sulla terra, e che desidero se non che divampi? » (Lc. XII, 49). L’ora è venuta, e Colui che, in Dio, è l’Amore, la fiamma eterna ed increata, discende dal Cielo per adempiere gli intenti misericordiosi dell’Emmanuele. In questo momento, in cui il raccoglimento domina il Cenacolo, Gerusalemme è piena di pellegrini, accorsi da tutte le regioni della gentilità, e qualche cosa di segreto si muove in fondo al cuore degli uomini. Sono Ebrei venuti per la festa di Pasqua e della Pentecoste, da tutti i luoghi dove Israele è andato a costruire le sue Sinagoghe. L’Asia, l’Africa, Roma stessa, hanno fornito il loro contingente. Confusi con Ebrei di razza pura, si scorgono anche dei pagani che un movimento di pietà ha portato ad abbracciare le legge di Mosè e le sue pratiche: li chiamano i Proseliti. Questa popolazione mobile, che dovrà disperdersi fra pochi giorni, e che si è riunita a Gerusalemme per il solo desiderio di compiere la legge, rappresenta, per la diversità delle lingue, la confusione di Babele; ma coloro che la compongono sono meno influenzati dall’orgoglio e dai pregiudizi di quanto lo siano gli abitanti della Giudea. Arrivati solamente ieri, essi non hanno conosciuto e ripudiato il Messia, come questi ultimi, né bestemmiato le sue opere che rendevano testimonianza di Lui. Se hanno gridato davanti a Pilato, insieme agli altri Ebrei, per domandare che il Giusto fosse crocifisso, è stato perché essi furono trascinati dall’ascendente dei sacerdoti e dei magistrati di quella Gerusalemme, verso la quale la loro pietà e la loro docilità alla legge li aveva condotti.