La strana sindrome di nonno Basilio: 20

 

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Egregio direttore, la saluto cordialmente prima di passare a raccontarle quanto è capitato in questi giorni nella mia famiglia, a lei oramai nota in quasi tutti i componenti, viventi e trapassati, antichi e recenti. Tra questi ultimi si è da poco aggiunta, anche se per motivi pratici di collaborazione con mia moglie, oramai “attempata” e con qualche difficoltà nella gestione di una casa oramai per noi troppo grande e di un marito malandato e malfermo, una signora pacioccona, ben piantata fisicamente, proveniente dall’est europeo, di carattere gradevole e dall’accento con cadenze tra lo slavo ed il napoletano, cosa che la rende più simpatica e spesso comica, quasi teatrale: la simpaticissima Ludmilla, nome che tutti noi affettuosamente abbiamo abbreviato in Mila. Ricordo con certezza che era un sabato, giorno in cui mi piace recitare con Caterina, la mia carissima nipote, il “Piccolo Ufficio della Beata Vergine Maria”, ovviamente, manco a dirglielo, nella forma tradizionale in latino. Caterina è molto attenta a questa recita che lei cerca di effettuare ogni giorno da quando ha indossato lo Scapolare del Carmelo impostole solennemente, così come richiesto dalla Santa Vergine a Fatima per resistere “fortes in fide”  nei tempi presenti (che la cara nipotina sostiene essere di diffusa e profonda apostasia … mah?! Ed ecco che Mila, tra una faccenda e l’altra, ascoltandoci immersi nella preghiera, inizia a dire: “ … la venerazione per la Madre di Gesù Maria Santissima è comune alla nostra religione!”. “È vero – rispondo io prontamente – ma allora perché negate i dogmi della Immacolata Concezione e dell’Assunzione proclamati dalla Chiesa Cattolica?”. Ludmilla non si aspettava questa replica, e sorpresa se ne esce con un: “no saccio mo’ dire questo pobblemo”. “… e allora te lo comincio a spiegare –ribatto-: intanto c’è il motivo solito e cioè che, sebbene gli Ortodossi, dai quali provieni, affermino che Maria sia la Tutta Pura, esente dal peccato attuale, si ostinano a negare che Maria nacque priva del peccato originale, e questo ovviamente solo per evitare di fornire punti d’unione con la Teologia cattolica, la quale non è invenzione di nuovi dogmi, cara Mila, cari lettori e caro direttore (come lei ben sa, naturalmente!), ma approfondimento e chiarimento del deposito della Tradizione apostolica”. Poi mi rivolgo a Caterina, interessata alla questione, e riprendo: “Un altro esempio che riprova paradossalmente, nello stesso ambito ortodosso, la verità dei dogmi cattolici, è che loro stessi credono nella Dormizione di Maria Vergine, con successiva Assunzione al Cielo (dogma che la Chiesa Cattolica ha affermato solennemente solo nel 1950 con il “mio” Papa, l’immenso Pio XII – e qui non posso fare a meno di accendermi di sacro fuoco!) e che gli Ortodossi professano da sempre “senza saperlo”. “Ora, come sarebbe possibile l’Assunzione in Cielo del corpo di Maria –osserva argutamente Caterina- se fosse macchiato dal peccato originale?” . “Giusto, ma i sedicenti Ortodossi rispondono a questo quesito con una dottrina sul peccato originale già condannata dalla Chiesa ben prima del Grande Scisma (e che in teoria dunque loro non dovrebbero accogliere, ma lo fanno comunque, commettendo il grave peccato contro lo Spirito Santo: “impugnare la verità conosciuta”… e da loro stessi già accettata in precedenza). Questa dottrina è nota come semipelagianesimo”. In questo frangente giunge pure Mimmo con il suo amico, Yuri. “E adesso da dove è uscito questo .. semipela…coso … come si dice?”. “Cari ragazzi, vi racconto allora l’evento: quando l’eretico Pelagio, nel IV secolo, affermò che la libertà umana sarebbe di per sé in grado di realizzare la salvezza attraverso un’autonoma decisione di accogliere o non accogliere la Grazia e attraverso la capacità di compiere opere buone; la Chiesa prontamente condannò infallibilmente questa eresia, detta, dal nome del suo fondatore, pelagianesimo, nel Concilio di Efeso (431), e sant’Agostino di Ippona (Santo anche per gli orientali!) emerse come la figura cardine in questa lotta antipelagiana. Successivamente, alcuni teologi marsigliesi elaborarono una nuova dottrina, detta semipelagianesimo, per contrastare quello che a loro avviso era una visione troppo rigida sul peccato originale, spregiativamente chiamata “agostinismo” e che vedevano in Tertulliano e sant’Agostino i principali esponenti. Questi teologi semipelagiani diffusero in Oriente la dottrina secondo la quale Adamo ed Eva commisero sì, il peccato originale, ma i loro discendenti ereditarono solo le conseguenze del peccato e non anche la colpa (la Chiesa invece insegna che l’uomo eredita dai progenitori sia la colpa sia le conseguenze, per questo motivo se uno muore senza valido Battesimo cristiano non può accedere nel regno dei cieli, come anche insegna il Vangelo). Questa dottrina semipelagiana fu condannata infallibilmente nel Concilio di Orange nel 529, (quindi ben prima del Grande Scisma, per cui anche gli Ortodossi la dovrebbero rigettare), eppure continuò ad essere insegnata e creduta presso le chiese orientali. Per queste ragioni, gli Ortodossi, e guardo Yuri di sottecchio, oggi insegnano che la Madonna non è definibile come Immacolata Concezione, in quanto tutti gli uomini vengono concepiti “immacolati”, perché non ereditano la colpa originale ma solo le conseguenze del peccato. La Madonna avrebbe mantenuto semplicemente il naturale stato di innocenza per tutta la propria vita, a differenza degli altri uomini, e quindi considerata degna di essere assunta in cielo dopo la Dormizione. Questa è ovviamente un’eresia assurda, grande quanto il Monte Bianco, che impedisce ulteriormente la già compromessa unità con gli scismatici per gravissimi motivi dottrinali…” . Nella discussione si inserisce ancora Mimmo che accenna, affascinato, al concetto di Theosis (letteralmente “divinizzazione”), concetto che da noi in occidente viene interpretato in modo gnostico e fuorviante rispetto alla Theosis ortodossa. Sono costretto ancora a puntualizzare: “Vedi Mimmo, lo stesso concetto da te enunciato è presente nel Cattolicesimo, se non più approfondito addirittura, dato che è in Occidente che questo concetto è nato, per opera di San Cirillo d’Alessandria e di Sant’Agostino di Ippona, due dottori della Chiesa. Ne parla in maniera eminente anche San Tommaso d’Aquino, e ti ricordo che la teologia tomista ha carattere vincolante”… “ … eh sì altro che Rahner e Ratzinger”-sbotta Caterina- (direttore, ma questi mo’ chi sono … da dove spuntano fuori?). “La theosis –riassumo- non è divinizzazione nel senso che l’Uomo deve divenire uguale a Dio. Questa falsa interpretazione è di matrice gnostica, panteistica, emanatistica, professata dalle conventicole filosofeggianti pseudo-filantropiche adoranti il baphomet, oltre che radice del modernismo, già solo per questo chiaramente luciferino [perciò ampiamente condannato, stroncato da tutti i Papi dalla fine del ‘700 in poi], rifacendosi alla falsa promessa del “serpentone” dell’Eden, allorquando disse: “Mangiate dell’albero della vita e sarete come Dio” “Eritis sicut Dei” (mi sembra di risentire la voce dello zio Tommaso nelle sue omelie …). L’uomo sarà divino nel senso che sarà perfetto in sé, ad opera dello Spirito Santo, solo “dopo” il Giudizio Universale, e questo è un concetto base non solo della teologia ortodossa, ma anche di quella cattolica. Chi afferma il contrario lo fa per ignoranza o perché a servizio del “farfariello” (il nemico, come con disprezzo lo chiamava la cara nonna Margherita). Scrive l’Aquinate, l’Angelo della scuola, come appellato ai miei tempi: “L’Unigenito Figlio di Dio, volendo che noi fossimo partecipi della sua divinità, assunse la nostra natura, affinché, fatto uomo, facesse gli uomini dèi” (Opusculum 57 in festo Corporis Christi, ) . Questo logicamente non significa che noi diverremo parte integrante della Trinità o assumeremo gli attributi perfettissimi di Dio. L’uomo è corrotto dal peccato originale, egli è per il momento incline (ma non in maniera inesorabile) al male, tuttavia la sua vera natura è quella di amare Dio e compiere il bene. Dunque in questo senso il termine divinizzazione è da intendere come “restaurazione della natura primigenia dell’uomo”, natura perfetta e non perfettissima (che ha invece solo Dio) … mi rivolgo di colpo a Yuri e gli chiedo: “Ma tu a quale chiesa orientale appartieni?”. “Ma perché quante chiese ci sono?” chiede Mimmo sbalordito. “Le chiese ortodosse sono acefale, non hanno cioè un’unità, ogni singolo vescovo è un capo a sé stante, autonomo nella sua giurisdizione, e le chiese ortodosse rappresentano chiese nazionali, e non si capisce perché si ostinino a proclamarsi cattoliche, cioè universali, visto che nei fatti sono ristrette ad un ambito geografico circoscritto! Ma la divisione (e la confusione, soprattutto!) c’è anche a livello cristologico, ….. Tu forse non sai, Mimmo, che la Chiesa Cattolica dichiarò solennemente nel Concilio di Calcedonia (451) che in Cristo vi sono due nature, quella umana e quella divina, non mescolate e non rappresentando però in Lui due persone distinte. La gran parte delle chiese ortodosse orientali accetta la definizione di Calcedonia sulla natura di Cristo, ma altre si sono divise ulteriormente e sono dette “non-calcedonesi”. Una di queste è la chiesa difisista, detta anche nestoriana, dal fondatore di questa cristologia eretica: Nestorio, che sosteneva che in Gesù Cristo le due nature, umana e divina, formavano due persone distinte e poneva come conseguenza il fatto che la Santa Vergine Maria non fosse Madre di Dio, ma solo dell’Uomo Gesù. Le chiese monofisiste si oppongono alle chiese ariane (ormai scomparse, Deo gratias!). Mentre le seconde proclamavano unicamente la natura umana di Cristo, le prime ne proclamano unicamente la natura divina. Gesù Cristo – dicono loro – non è vero uomo, ma solo vero Dio. Così facendo, accettarono le eresie di matrice gnostica quale il Docetismo e spianarono la strada ad alcune correnti eretiche successive, quale il Catarismo, e in seguito influenzarono uno dei cardini dell’Islam, con  tanto di matrice gnostica:  sia docetisti che catari, infatti, sostenendo unicamente la divinità di Cristo, affermavano anche che Egli non poteva soffrire, né avere un genere sessuale proprio, né morire, e quindi la morte in croce fu solo apparente, né ovviamente avere Maria per Madre, in quanto Gesù è solo vero Dio, essendo generato direttamente dal Padre e Maria fu solo il mezzo per manifestare il Verbo al mondo, ma in alcun modo concorse alla procreazione del Corpo. Le chiese monofisite sostengono che la natura di Cristo è solo una, dovuta al mescolamento di quella umana e quella divina. Divinità e umanità, dunque, in Gesù Cristo sono confuse, non nettamente distinte, come invece sostiene il Concilio di Calcedonia. Costituiscono queste alcune delle chiese ortodossi più influenti, come quella copta, quella etiopica e quella armena. Che guazzabuglio, … Yuri, cerca di tornare alla vera fede, quella proclamata anche dai tuoi antenati!” Ma è giunta l’ora della “pappa” e mettiamo da parte allora i guazzabugli mentali che confondono coloro che credono di essere Cattolici, come Mimmo ed il suo “presunto” parroco, oramai facente parte anche lui, poverino – dice Caterina – della “spelonca latronum” insediata come “sinagoga di satana” nella Chiesa di Cristo, e che cerca la verità nel dialogo con confusi, schizofrenici, dementi e allucinati, atei strampalati e chi più ne ha più ne metta! … ma che vorrà dire direttore?! … Questi non mi fanno capire più nulla, mi aiuti la prego, mi aiuti! … adesso ci mancavano solo le collaboratrici domestiche e gli idraulici dell’est ad alimentare la “bagarre”, ed a confondermi ancor più … “salvum me fac, Domine, non confundar…” ! La saluto caramente. Mi rifarò vivo appena mi riprenderò … Suo, nonno Basilio e famiglia.

Rinnovazione delle Promesse fatte al Battesimo

Rinnovazione delle Promesse fatte al Battesimo

[Da: la via del paradiso, 3^ed. Siena 1823]

Da recitarsi nel giorno anniversario della nostra nascita e nelle maggiori Solennità, particolarmente il dì dell’Epifania del Signore, col simbolo degli Apostoli e con gli Atti Cristiani.

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Ecco o mio DIO, il Figliuol prodigo, il quale, dopo aver fatto nel Sacro Battesimo una professione solenne di rinunziare al demonio, alle sue pompe, alle sue opere, di non vivere più secondo le inclinazioni dell’uomo antico, e di seguire inviolabilmente le massime di Gesù-Cristo per grazia, e fatto tempio vivo del Santo Spirito, ha dissipato questi beni preziosi, ed ha perduto queste gloriose distinzioni per le sue colpe.

Ah! Mio Padre e mio DIO, ho peccato contro di Voi, ho offeso Voi, violando i miei voti con uno spergiuro orribile, e la mia professione cristiana con una vergognosa apostasia. No, non sono più degno d’esser chiamato vostro figliuolo. Ma pure eccomi alla vostra presenza per chiederVi perdono, e per darVi soddisfazioni per tutti i peccati commessi dopo il Battesimo, e perché voglio in avvenire vivere unicamente per Voi: approvo e ratifico tutte le promesse che furono fatte in mio nome nell’atto del mio Battesimo. Rinunzio nuovamente al demonio, vale a dire alle leggi e alle massime corrotte del mondo, di cui egli è il principe. Rinunzio alle sue pompe, cioè al falso splendore degli onori, ed alle lusinghe de’ piaceri. Rinunzio ugualmente alle sue opere, che sono i vizi ed i peccati, e rinunzio generalmente a tutte le inclinazioni del primo uomo.

Protesto e prometto solennemente, quando a Voi piacerà prolungare i miei giorni, di vivere sempre nella pratica ed osservanza delle Sante Regole Evangeliche, e di operare secondo gli esempi e nello spirito di Gesù-Cristo, che è spirito di umiltà, che fugge gli onori, spirito di povertà, che distacca il cuore dall’effetto delle ricchezze; spirito di penitenza, che tiene la carne soggetta colla mortificazione dei sensi.

Mi rammenterò nel breve tempo che ancora mi resta da vivere, che il Sacerdote, nelle sacre cerimonie del mio Battesimo, tre volte soffiò verso di me per discacciarne il demonio, e che il Santo Spirito, il quale è rappresentato da questo soffio, vi subentrò per essere l’anima di tutte le mie azioni, e per farmi vivere della vita di Gesù Cristo.

Mi rammenterò che io sono stato immerso e come sepolto nel sacro Fonte e nelle acque battesimali, per farmi conoscere ch’io debbo essere morto a tutte le inclinazioni del peccato, e ch’io fui sepolto con Gesù Cristo in questo Sacramento, per resuscitare con Lui alla nuova vita della grazia.

Mi rammenterò che quella unzione del Sacro Crisma, la quale mi fu fatta sulla fronte, significa che, essendo io divenuto mediante il Battesimo, membro di un corpo di cui Gesù Cristo è il Capo, spero aver parte all’unzione della sua grazia ed ai lumi del suo Spirito.

Mi rammenterò che mi fu imposta quella sacra fascia che suol darsi in vece della candida veste, la quale davasi nei primi tempi ai novelli battezzati, per far loro comprendere che avevano contratto l’obbligazione di menare una vita senza macchia, come convienesi a quei che hanno l’onore d’essere i pretendenti alla vita eterna, “candidati aeternitatis”.

Finalmente non dimenticherò giammai che mi fu posta in mano una candela accesa per indicare le tre virtù principali, cioè la Fede, la Speranza e la Carità, le quali debbono in me risplendere colle buone opere ed i santi esempi.

Mio DIO, la grazia del mio Battesimo è l’opera vostra. “Domine, opus tuum in medio annorum vivifica illud”. Rinnovatela in me, Ve ne supplico, perché Vi è facile il farlo in ogni età. Riparatene le rovine cagionate da’ miei peccati colla vostra misericordia, e conservatemi a Voi più fedele in avvenire, e perseverante nelle obbligazioni e nei voti contratti al mio Battesimo per i meriti di Gesù Cristo Signore Nostro. Così sia.

La SANTISSIMA TRINITA’

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ss. TRINITA’

[Da: “Sermones” di S. Antonio di Padova]

   In questo brano evangelico viene espressamente proclamata la fede nella Santa Trinità. Dal Padre e dal Figlio viene mandato lo Spirito Santo: queste tre divine Persone sono una sola sostanza e perfette nell’uguaglianza. Unità nell’essenza e pluralità nelle Persone. Il Signore rivela chiaramente l’Unità della divina sostanza e la Trinità delle Persone, quando dice: “Andate e battezzate tutte le genti, nel nome Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” (cf. Mt XXVIII.19). Dice appunto «nel nome», e non «nei nomi», per indicare l’unità della sostanza. E con i tre nomi che aggiunge, indica che sono «Tre Persone».

Nella Trinità è il principio ultimo di tutte le cose, la bellezza perfettissima e la suprema beatitudine. Per «principio ultimo», come dimostra Agostino nella sua opera “La vera religione”, s’intende Dio Padre, dal Quale sono tutte le cose, dal Quale sono il Figlio e lo Spirito Santo. Per «bellezza perfettissima» si intende il Figlio, cioè la verità del Padre, per nulla diverso da Lui; bellezza che con lo stesso Padre e nello stesso Padre adoriamo, che è forma di tutte le cose, da un solo DIO create e a un solo DIO ordinate. Per «suprema beatitudine» e «somma bontà» s’intende lo Spirito Santo, che è dono del Padre e del Figlio; dono che noi dobbiamo adorare e credere immutabile insieme con il Padre e il Figlio.

In riferimento alle cose create, intendiamo la Trinità in una sola sostanza, vale a dire un solo Dio Padre dal Quale proveniamo, un unico Figlio per mezzo del quale esistiamo, e un solo Spirito nel quale viviamo; vale a dire: il principio al Quale ci riferiamo, la forma, il modello al quale tendiamo e la grazia con la quale veniamo riconciliati. E affinché la nostra mente si innalzi alla contemplazione del Creatore, e creda senza ombra di dubbio all’Unità nella Trinità e alla Trinità nell’Unità, consideriamo quale impronta della Trinità ci sia nella mente stessa. Dice Agostino nell’opera “La Trinità: «Benché la mente umana non sia della stessa natura di Dio, dobbiamo tuttavia cercare e trovare la sua immagine – della quale nulla di meglio esiste – in ciò che di meglio c’è nella nostra natura, vale a dire nella mente. La mente si ricorda di se stessa, comprende se stessa e ama se stessa. Se riconosciamo questo, riconosciamo anche la Trinità: non certo DIO, ma l’immagine di DIO. Qui infatti compare una certa trinità: della memoria, dell’intelligenza e dell’amore o della volontà. Queste tre facoltà non sono tre vite, ma una sola vita; né tre menti, ma una sola mente; non tre sostanze, ma una sola sostanza. Memoria vuol dire relazione a qualche cosa; intelligenza e volontà, o amore, indicano pure relazione a qualche cosa; la vita invece è in se stessa e mente e sostanza. Quindi, queste tre facoltà sono una sola cosa, in quanto sono una sola vita, una sola mente e una sola sostanza.

Queste tre facoltà, pur essendo distinte tra loro, sono dette una cosa sola, perché esistono sostanzialmente nello spirito. E la mente stessa è quasi la genitrice, e la sua cognizione è quasi la sua prole. La mente infatti, quando riconosce se stessa, genera la conoscenza di sé ed è essa sola la genitrice della sua conoscenza. Terzo viene l’amore, che procede dalla mente stessa e dalla sua conoscenza, quando la mente, conoscendo se stessa, si ama: non potrebbe infatti amare se stessa se non conoscesse se stessa. E ama anche la prole in cui si compiace cioè la conoscenza di sé: e così l’amore è una specie di legame tra genitrice e prole. Ecco quindi che in queste tre parole – memoria, intelligenza e amore – compare una certa impronta della Trinità. (VI dom. dopo Pasqua)

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   Come il Figlio è dal Padre, e da entrambi è lo Spirito Santo, così l’intelletto è la volontà, e da entrambi la memoria: e senza queste tre facoltà l’anima non può essere completa, perfetta; e per quanto riguarda l’eterna felicità, uno solo di questi doni, senza gli altri non è sufficiente. E come DIO Padre, DIO Figlio e DIO Spirito Santo non sono tre dei ma sono un solo DIO in tre Persone, così anche l’anima intelletto, l’anima volontà e l’anima memoria non sono tre anime, ma un’anima sola, che ha tre potenze, nelle quali presenta in modo meraviglioso l’immagine di DIO. E con queste tre facoltà, in quanto sono le facoltà superiori, ci è comandato di amare il Creatore, affinché ciò che si comprende e si ama, sia anche sempre nella memoria. E per DIO non basta l’intelletto, se all’amore verso di Lui non partecipa anche la volontà; e neppure l’intelletto e la volontà sono sufficienti, se non si aggiunge la memoria, per mezzo della quale DIO è sempre presente a chi Lo intende e Lo ama. E poiché non c’è istante nel quale l’uomo non fruisca o non abbia bisogno della bontà di DIO, così DIO dev’essere sempre presente nella sua memoria. (Dom. XXIII dopo Pent.).

 

(da S. Fulgenzio vesc.):

Per hanc unitatem naturalem totus Pater in Filio, et Spiritu Sancto est, totus Filius in Patre, et Spiritu Sancto est, totus quoque Spiritus Sanctus in Patre, et Filio. Nullus horum extra quemlibet ipsorum est: quia nemo alium aut praecedit aeternitate, aut excedit magnitudine, aut superat potestate: quia nec Filio, nec Spiritu Sancto, quantum ad naturae divinae unitatem pertinet, aut anterior, aut maior Pater est: nec Filii aeternitas, atque immensitas, velut anterior, aut maior, Spiritus Sancti immensitatem aeternitatemque aut praecedere, aut excedere naturaliter potest.

[Per questa unità di natura il Padre è tutto nel Figlio e nello Spirito Santo, il Figlio tutto nel Padre e nello Spirito Santo, e lo Spirito Santo tutto nel Padre e nel Figlio. Nessuno di essi sussiste separatamente fuori degli altri due: perché nessuno precede gli altri nell’eternità, o li supera in grandezza, o li sorpassa in potere: poiché il Padre, per quanto riguarda l’unità della sua natura divina, non è né anteriore né maggiore del Figlio e dello Spirito Santo; né l’eternità o immensità del Figlio può, quasi anteriore o maggiore, per necessità della natura divina precedere o sorpassare l’immensità e l’eternità dello Spirito Santo.]

 

Ecco la vera fede cattolica:

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Symbolum Athanasium

Quicúmque vult salvus esse, * ante ómnia opus est, ut téneat cathólicam fidem: Quam nisi quisque íntegram inviolatámque serváverit, * absque dúbio in ætérnum períbit. Fides autem cathólica hæc est: * ut unum Deum in Trinitáte, et Trinitátem in unitáte venerémur. Neque confundéntes persónas, * neque substántiam separántes. Alia est enim persóna Patris, ália Fílii, * ália Spíritus Sancti: Sed Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti una est divínitas, * æquális glória, coætérna maiéstas. Qualis Pater, talis Fílius, * talis Spíritus Sanctus. Increátus Pater, increátus Fílius, * increátus Spíritus Sanctus. Imménsus Pater, imménsus Fílius, * imménsus Spíritus Sanctus. Ætérnus Pater, ætérnus Fílius, * ætérnus Spíritus Sanctus. Et tamen non tres ætérni, * sed unus ætérnus. Sicut non tres increáti, nec tres imménsi, * sed unus increátus, et unus imménsus. Simíliter omnípotens Pater, omnípotens Fílius, * omnípotens Spíritus Sanctus. Et tamen non tres omnipoténtes, * sed unus omnípotens. Ita Deus Pater, Deus Fílius, * Deus Spíritus Sanctus. Ut tamen non tres Dii, * sed unus est Deus. Ita Dóminus Pater, Dóminus Fílius, * Dóminus Spíritus Sanctus. Et tamen non tres Dómini, * sed unus est Dóminus. Quia, sicut singillátim unamquámque persónam Deum ac Dóminum confitéri christiána veritáte compéllimur: * ita tres Deos aut Dóminos dícere cathólica religióne prohibémur. Pater a nullo est factus: * nec creátus, nec génitus. Fílius a Patre solo est: * non factus, nec creátus, sed génitus. Spíritus Sanctus a Patre et Fílio: * non factus, nec creátus, nec génitus, sed procédens. Unus ergo Pater, non tres Patres: unus Fílius, non tres Fílii: * unus Spíritus Sanctus, non tres Spíritus Sancti. Et in hac Trinitáte nihil prius aut postérius, nihil maius aut minus: * sed totæ tres persónæ coætérnæ sibi sunt et coæquáles. Ita ut per ómnia, sicut iam supra dictum est, * et únitas in Trinitáte, et Trínitas in unitáte veneránda sit. Qui vult ergo salvus esse, * ita de Trinitáte séntiat. Sed necessárium est ad ætérnam salútem, * ut Incarnatiónem quoque Dómini nostri Iesu Christi fidéliter credat. Est ergo fides recta ut credámus et confiteámur, * quia Dóminus noster Iesus Christus, Dei Fílius, Deus et homo est. Deus est ex substántia Patris ante sǽcula génitus: * et homo est ex substántia matris in sǽculo natus. Perféctus Deus, perféctus homo: * ex ánima rationáli et humána carne subsístens. Æquális Patri secúndum divinitátem: * minor Patre secúndum humanitátem. Qui licet Deus sit et homo, * non duo tamen, sed unus est Christus. Unus autem non conversióne divinitátis in carnem, * sed assumptióne humanitátis in Deum. Unus omníno, non confusióne substántiæ, * sed unitáte persónæ. Nam sicut ánima rationális et caro unus est homo: * ita Deus et homo unus est Christus. Qui passus est pro salúte nostra: descéndit ad ínferos: * tértia die resurréxit a mórtuis. Ascéndit ad cælos, sedet ad déxteram Dei Patris omnipoténtis: * inde ventúrus est iudicáre vivos et mórtuos. Ad cuius advéntum omnes hómines resúrgere habent cum corpóribus suis; * et redditúri sunt de factis própriis ratiónem. Et qui bona egérunt, ibunt in vitam ætérnam: * qui vero mala, in ignem ætérnum. Hæc est fides cathólica, * quam nisi quisque fidéliter firmitérque credíderit, salvus esse non póterit. V. Glória Patri, et Fílio, * et Spirítui Sancto. R. Sicut erat in princípio, et nunc, et semper, * et in sǽcula sæculórum. Amen. Ant. Gloria tibi Trinitas * aequalis, una Deitas, et ante omnia saecula, et nunc et in perpetuum.

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La Santa Chiesa Cattolica, l’unica vera Chiesa fondata da Gesù Cristo, nella quale unicamente c’è salvezza eterna, crede, professa, venera ed adora la Santissima Trinità, e non è da considerarsi alla stregua delle false cosiddette “religioni monoteiste”. Il monoteismo ebraico-talmudico, il monoteismo islamico, il monoteismo massonico, il monoteismo deistico filosofico, non hanno che un unico e medesimo principio: il baphomet – prometeo – lucifero, in totale antitesi al Trinitarismo e all’Incarnazione redentiva di Gesù-Cristo, il Quale è presente nel suo Vicario sulla terra: il “Flos Florum” succeduto al “Pastor et Nauta”, Gregorio!

Pertanto il “vero” cattolico proclama con il Re-Profeta: “Benedíctus Dóminus, Deus Israël, qui facit mirabília solus: Et benedíctum nomen maiestátis eius in ætérnum: et replébitur maiestáte eius omnis terra: fiat, fiat.” [Ps. LXXII:20] – “Quóniam hic est Deus, Deus noster in ætérnum et in sǽculum sǽculi: ipse reget nos in sǽcula. Glória Patri, et Fílio, et Spirítui Sancto”. (Ps. XLVII: 13) –  “ Magnus Dóminus, et laudábilis nimis: * terríbilis est super omnes deos. Quóniam omnes dii géntium dæmónia: * Dóminus autem cælos fecit”. (Ps. XCV: 5)

Omelia della Domenica I dopo Pentecoste

Omelia della Domenica I dopo Pentecoste

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. II -1851-]

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-Giudizi temerari-

“Siate imitatori, dice a tutti noi nell’odierno Vangelo il divino Salvatore, siate imitatori della misericordia del vostro Padre celeste, con esser misericordiosi ancor voi”. Per essere tali, astenetevi dal giudicare i vostri fratelli con giudizio e non sarete giudicati, non condannate e non sarete condannati: “Nolite iudicare, et non iudicabimini, nolite condemnare, et non condemnabimini”. Se un cieco guida un altro cieco, cadono ambedue nella fossa. La vostra volontà è una potenza cieca, la sua guida è l’intelletto. L’intelletto che non può conoscere il pensiero, l’intenzione dell’altrui mente, né l’interno del cuore altrui, anch’esso in questa parte è cieco. Se egli dunque si porti a formar sinistro giudizio de’ prossimi suoi, un cieco guiderà l’altro cieco, e cadranno entrambi in colpe di temerari giudizi e d’ingiuste condanne. “Numquid potest caecus caecum ducere? Nonne ambo in foveam cadunt?” E poi con che coraggio scoprite negli occhi altrui una tenua festuca e non vi accorgete della grossa trave che sta negli occhi vostri? Ipocriti, il vostro zelo è una ingiustizia. Togliete prima da’ vostri la trave, e penserete poi a togliere la pagliucola dall’occhio del vostro fratello. Ecco con quali energiche forme si esprime contro i giudizi temerari il nostro legislatore Cristo Gesù. A secondare i suoi divini comandi, i suoi amorevoli avvisi, diretti a preservarci da tanto male, io passo ancor più a dimostrarvi quanto sono fallaci, quanto sono ingiusti i giudizi degli uomini che temerari ardiscono erigersi in giudici degli altri uomini. La grazia di Dio e la vostra attenzione, o signori, renda profittevole la presente spiegazione.

I . “Mendaces filii hominum in stateris”. Bugiardi, dice il re Profeta, sono i figliuoli degli uomini nelle loro bilance. Queste bilance sono i giudizi che l’uomo fa de’ suoi simili. Chi adopra queste bilance non è per l’ordinario la giustizia e la ragione, ma o un genio naturale o una viziosa passione. Il genio è un cristallo che fa vedere tutti gli oggetti tinti dello stesso colore. La passione è un peso che prepondera ad ogni buon senso, è un fumo che offusca la mente, è una benda che toglie la vista. Agli occhi di Gionata Davidde, perché amico, è un oggetto di amore, agli occhi di Saullo, perchè lo teme suo successore nel regno, è un oggetto d’invidia e d’odio mortale. Giuditta, che tutta spirante pompa e bellezza si porta al campo Assiro, desta in Ozia principe di Betulia stima, ammirazione e rispetto: eccita per 1’opposto in Oloferne pensieri e sentimenti oltraggiosi alla di lei onestà. Tanto è vero che la disposizione dell’animo è la molla che agisce sui nostri concetti, e dà movimento ed impulso ai nostri giudizi. Ond’è che dall’altrui genio, e dall’altrui passione dipende il giudizio che si forma in noi. “Ex alienis affectibus iudicamur(D. Anton. Ep.). Così la ragion persuade, così mostra 1′ esperienza. Guidato dunque da queste scorte ingannevoli, non può essere se non fallace il giudizio degli uomini.

Fallaci sono altresì gli umani giudizi, perché per lo più fondati sull’apparenza; perciò Gesù ci proibisce il giudicare secondo l’esteriore aspetto delle cose che si appresentano al nostro sguardo o alla nostra mente, “nolite judicare secundum faciem(Jo. VII, 24). Chi avesse veduto il giovane Giuseppe fuggir dalla stanza della sua padrona, che col di lui mantello fra le mani gridava forte, tacciandolo di tentatore, l’avrebbe creduto colpevole, e si sarebbe ingannato. Chi avesse veduto Abramo alzar la spada in atto di uccidere l’innocente suo figlio, “padre crudele” avrebbe gridato tra sdegno e pietà, padre crudele! … e si sarebbe ingannato. E non si ingannò Eli credendo Anna, madre del Profeta Samuele, ebbra, agitata dal vino, perché pregava con affannoso trasporto e straordinario fervore? E non s’ingannarono gl’isolani di Malta nel riputare S. Paolo uomo malvagio, perseguitato dall’ira di Dio in terra ed in mare, perché appena salvato dal naufragio lo videro morsicato da vipera velenosa? L’apparenza dunque non è regola di buon giudizio, ella anzi è la via dell’inganno. Lo disse anche un gentile, “decipimur specie recti(Horat.).

Se dunque, io dico a voi, l’apparenza è un’ingannatrice, se non vorreste che altri formassero giudizio di voi dalla sola apparenza perché vi fate lecito per leggieri indizi dar corpo all’ombre, ammetter dubbi, fomentar sospetti, precipitar giudizi? Perché un saluto di convenienza, un sorriso d’urbanità stimarlo un segno di turpe amicizia? Perché la nuova veste di quella figlia che sarà frutto de’ suoi lavori, o risparmio del suo sostentamento, la credete regalo di qualche seduttore ? Perché la pallidezza di quell’altra v’ingerisce sospetti ingiuriosi alla sua onestà? Perché coloro che coll’industria e col sudore si avanzano in acquisti ed in possessi, li giudicate ladri od usurai? Se non fate senno, se non cangiate costume, arriverà a voi ciò che si legge de’ Moabiti. Il sole appena alzato all’orizzonte co’ rossicci vapori coloriva l’acque stagnanti nel campo de’ collegati col re d’Israele. Quel rosseggiante riverbero lo credettero sangue uscito dalle ferite de’ loro nemici trucidati tra di loro; perciò ingannati si avvicinano al campo per rapirne le spoglie. Si avvidero dell’errore, ma troppo tardi, onde restarono vittime del proprio inganno, e pagarono col sangue vero un sangue apparente. Giudici per mere apparenze, i vostri giudizi sanguinosi dell’onore, della condotta, della fama de’ vostri fratelli ricadranno sopra di voi. Giudicate? Sarete giudicati. Condannate? sarete condannati!

II. Né solamente sono fallaci gli umani giudizi perché basati sull’apparenza, ma ingiusti, perché mancanti d’autorità. Chi siete voi, v’interroga l’apostolo, che vi arrogate l’autorità di giudicare il vostro fratello? “Tu quis es, qui judicas fratrem tuum?(Ad. Rom. XIV). Siete voi superiori, maestri, padri di famiglia? Se tali siete, dovete credere che quei vostri figli, quei vostri discepoli sieno morigerati, che vostra figlia sia cauta, sia costumata; ma per regola di buon governo invigilate su’ loro andamenti, indagando, informandovi, con chi trattano, con chi si accompagnano, non vi fidate, temete, il cuor sempre vi batta su la loro condotta. Fuor di questo grado di superiorità, che vi autorizza ad ammetter dubbi e ragionevoli sospetti per impedire il male de’ vostri sudditi, non vi è permesso formar giudizi de’ vostri eguali. A Dio soltanto supremo padrone delle sue creature, a Dio scrutatore dei cuori, cui nulla può esser celato, a Dio appartiene il giudicare di noi. Io, dic’Egli, sono il giudice e il testimonio di tutte le vostre azioni. “Ego sum iudex et testis, dicit Dominus” (Sem. XXIX, 23). Ella è dunque un’intollerabile temerità che l’uomo si usurpi quel che a Dio solo compete.

Ingiusti sono altresì i nostri giudizi, perché formati senza cognizione di causa. Sapeva il sommo Iddio il peccato de’ nostri progenitori, ciò non di meno per nostra istruzione istituisce una forma di giudizio. Chiama a sé Adamo, interroga Eva, domanda il perché hanno trasgredito il suo precetto. Più: l’infame delitto di Sodoma, oltre la scandalosa pubblicità ne’ suoi contorni, era, secondo l’espressione del sacro Testo, salito fino al cielo a provocare la divina vendetta; pure, prima di venire alla condanna udite come Dio parlò: “discenderò dall’alto: ed in persona mi porterò sul luogo a vedere e a riconoscere di presenza il corpo di quel nefando misfatto. “Descendam, et videbo utrum clamorem, qui venit ad me, opere compleverint (Gen. XVIII, 21). Aveva forse bisogno il Signore di una informazione locale a foggia umana? Tutto ciò sta così espresso per dare a noi lezione ed avviso; a noi che al primo indizio, ad una semplice ombra, subito fabbrichiamo sospetti e giudizi sul dorso de’ nostri prossimi, e con tutta franchezza si taglia, si decide, si pronunzia prepotente quel ricco, usuraio quel mercante, sedotta quella figlia, infedele quella maritata, ipocrita quel divoto, ingiusto quel giudice, bugiardo quel povero uomo, strega quella povera vecchia.

Eh mio Dio! Sapete donde derivano siffatti giudizi che uccidono la carità e la giustizia? Dal cuore hanno la loro sorgente, e partono dal cuore, “de corde exeunt”, dice Gesù Cristo, “de corde exeunt cogitationes malae” (Matt. XV, 19). Un cuor maligno, un cuore infetto manda queste nere esalazioni alla mente, e i mali pensieri si accordano colle cattive affezioni del cuore. Datemi un cuor retto, in un cuor retto abita la carità, e la carità non ammette pensieri malvagi, charitas non cogitat malum (1 Ad Cor., XIII). Retto, rettissimo era il cuore di S. Giuseppe, e benché avesse sott’occhio la pregnezza della sua sposa, ben lontano dal concepirne sinistra idea, l’ammirava come uno specchio della più illibata onestà, e voleva ritirarsi per lasciarne a Dio il pensiero. Retto era il cuore di Valentiniano imperatore, che al riferir di S. Ambrogio, non sapeva pensar male de’ suoi sudditi, tuttoché delinquenti. Se giovani attribuiva la colpa all’ardor del sangue in quell’inesperta età, se vecchi, alla debolezza della mente, se poveri, alla necessità e alla miseria, se ricchi, alla forza della tentazione. In somma separava sempre l’intenzione dall’azion cattiva, e volea più tosto ingannarsi col pensar bene, che far violenza al suo cuore pensando male. Così è un cuor ben fatto, un cuor innocente sarà la vittima dell’altrui malizia, piuttosto che pensar male dell’altrui condotta.

Tutto l’opposto per chi ha in seno un cuor mal affetto: per la rea sua disposizione vede colla fantasia quel che non si presenta alla vista, tutto interpreta in senso obliquo, studia, macchina sull’altrui conto, esamina, critica parole, azioni, costumi senza eccezion di persone, cerca il nodo nel giunco, e trova il suo gusto in pascersi di dubbi immaginari, idee chimeriche, d’aerei supposti, di temerari sospetti, di sinistri giudizi. Che occupazione pessima è questa mai! Quanto di danno all’anima, quanto d’ingiuria al prossimo, quanto di offesa a Dio!

Miei dilettissimi questi disordini son troppo contrari alla virtù non solo e alla divina legge, ma alla ragione pur anche ed al buon senso. Volete evitarli? Togliete dall’occhio vostro la trave, togliete cioè dal vostro animo la passione, la malignità, l’avversione, l’invidia che fan vedere negli occhi altrui le festuche, e le fan comparire legnami da fabbriche. Non giudicate dall’apparenza. La Maddalena appariva a Simone il lebbroso tuttavia peccatrice, ed era già giustificata e santa. Non giudicate sugli altrui rapporti quasi sempre falsi e calunniosi. Per questi la casta Susanna, creduta colpevole, fu prossima ad essere lapidata, se Dio pel profeta Daniele non avesse difesa la sua innocenza. Non giudicate in modo veruno, perché ignorando l’intenzione dell’operante, non potete avere cognizione di causa, né pur la Chiesa dell’interno. Non giudicate perché non avete autorità; a Dio solo spetta il giudizio, e non a voi. Il giudizio che farete del vostro prossimo formerà il processo del giudizio vostro al tribunale di Cristo giudice. La stessa misura che adopererete per gli altri, sarà quella con cui sarete voi misurati. “Eadem quippe mensura, qua mensi fueritis, remitietur vobis”. Non giudicate, miei cari, e non sarete giudicati, “nolite iudicare et non iudicabimini”: non condannate, e non sarete condannati, “nolite condemnare, et non condemnabimini ”.

Missione dello Spirito Santo.

Missione dello Spirito Santo

[mons. J.J.Gaume: “Trattato dello Spirito Santo”. Firenze-1887-]

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     Per quanto lo permettano le oscurità della presente vita, noi conosciamo lo Spirito Santo in sé medesimo. Esso è la terza Persona della SS. Trinità. Egli è Dio come il Padre ed il Figliuolo. Ei procede dall’uno e dall’altro mediante una sola spirazione e come da un solo e medesimo Principio, senza che per ciò vi sia né posterità, né priorità, né ineguaglianza qualsiasi tra Colui che procede e quelli da’ quali egli procede. Esso è il fondatore e il Re della Città del bene. Sotto i suoi ordini diretti sono poste tutte le schiere angeliche, notte e giorno dappertutto, per proteggere nelle quattro parti del mondo, i fratelli del Verbo incarnato contro gli assalti delle legioni infernali. Amore consustanziale del Padre e del Figliuolo, a Lui si attribuisce per appropriazione di linguaggio, l’opera per eccellenza dell’adorabile Trinità. Qual’è quest’opera? La creazione? No! La Redenzione? No!. Qual’è dunque? La santificazione e la glorificazione; il Padre crea, il Figliuolo riscatta, lo Spirito Santo santifica; il Padre fa degli uomini, il Figliuolo dei Cristiani, lo Spirito Santo dei Santi e dei beati. L’opera dello Spirito Santo è dunque più sublime di quella del Padre e del Figliuolo, poiché essa è il compimento e dell’una e dell’altra. [“Haec est enim voluntas Dei sanctifìcatio vestra”. I Thess., IV, 3.]

Che quest’opera suprema appartenga allo Spirito Santo, la prova è chiara. È Esso che forma Maria, la Madre del Redentore e, nel seno verginale di Maria, il Redentore medesimo. Esso che Lo dirige, che Lo ispira, che Gli dà incarico di fare miracoli e che Lo glorifica: “Ille me glorificabit”. Come prolungamento di quest’opera di universale santificazione, è Esso che forma la Chiesa, Madre del cristiano, e nel seno verginale della Chiesa, lo stesso cristiano, fratello del Verbo incarnato. Esso che lo dirige, che lo ispira, che lo innalza a poco a poco alla santificazione, e dalla santificazione alla gloria. [“Verbum caro factum habuit a Spiritu sancto, qui totum hoc unionis hominis cum Deo opus in Christo peregit, eumque ita sanctificavit, ut illi virtutem dederit omnes homines sanctifìcandi“. In Epist. Ad Rom c. I, 4.]. Questa grande opera, magnifica sintesi di tutte le opere del Padre e del Figliuolo, non poteva rimanere isolata nelle inaccessibili regioni dell’eternità. Che anzi, doveva essa diventare palpabile e compiersi nel tempo. Per compierla, lo Spirito Santo ha dunque avuto una missione. Prima di andare più oltre fa d’uopo spiegare questa parola tanto spesso pronunziata e tanto poco intesa. Allorché essa parla delle divine Persone, la Teologia cattolica intende per missione: “La eterna destinazione di una persona della Trinità al compimento di un opera del tempo: destinazione che le è data dalla Persona da cui essa procede” [“Missio est unius personae a persona ex qua procedit destinatio ad aliquem effectum temporalem”. Vid. S. Th., i p., q. 43, art. 2, ad 2. — Vitass., De Triniti q. 8, art. 5.]. Fin da “ab eterno” era deciso che il Verbo si farebbe uomo e verrebbe nel mondo per salvarlo [“Non enim misit Deus Filium suum in mundum, ut sudice mundum, sed ut salvetur mundus per ipsum”. Joan., III, 17.]: ecco la sua missione. Fin da “ab eterno” era deciso che lo Spirito Santo verrebbe nel mondo per santificarlo: ecco la sua missione!

Parimente nelle Persone divine, vi sono tante missioni divine quante sono processioni. Il Padre non ha missione, perché Egli non procede da nessuno. Il Figliuolo riceve la sua missione dal Padre solo, perché non procede che da Lui. [“Qui misit me Pater“. Joan VIII, 16. — “Misit Deus Filium suum“. Gal., IV, 4.]. Lo Spirito Santo riceve la sua missione dal Padre e dal Figliuolo, perché Egli procede dall’uno e dall’altro. [“Cum autem venerit Paracletus, quem ego mittam vobis a Patre”. Joan., XV, 26].  Ascoltiamo sant’Agostino: « Il Figliuolo, dice, è mandato dal Padre, perché è apparso nella carne, e non il Padre. Vediamo altresì che lo Spirito Santo è stato mandato dal Figliuolo: “Quando Io me n’anderò, Io ve lo manderò”; e dal Padre: Il Padre ve Lo manderà in mio nome. Con ciò, vedesi chiaro che il Padre senza il Figliuolo, né il Figliuolo senza il Padre non ha mandato lo Spirito Santo; ma ha ricevuto la sua missione dall’uno e dall’ altro. Del Padre solo non si legge in nessun luogo che sia stato mandato. E la ragione è che Egli non è né generato, né procedente da nessuno. Infatti, non è né la luce, né il calore che manda il fuoco; ma è il fuoco che manda il calore e la luce. » [Contra Serm. Arian., c. IV, n. 4, opp. t. VIII, p. 964].

Ammiriamo per un po’ la profonda giustezza del divino linguaggio. Allorché egli annunziava lo Spirito Santo ai suoi Apostoli, il Verbo incarnato dice: « Egli mi glorificherà, imperocché Egli prenderà del mio e ve l’annunzierà. Tutto ciò che appartiene a mio Padre è mio. Ecco perché ho detto: Egli prenderà del mio e ve l’annunzierà. » [Joan. XVI, 14, 15]. Non dice, prenderà di me, perché sarebbe dire in qualche maniera, ch’Egli sarebbe il solo principio dello Spirito Santo, e che lo Spirito Santo procede dal Figliuolo, come il Figliuolo procede dal Padre, vale a dire da Lui solo. Ma non è cosi. Per questo Egli dice: Egli piglierà del mio, e non “di me”. Imperocché, ancorché Egli prenda da Lui, non prende di Lui tranne ciò che Egli medesimo ha preso dal Padre. Di guisa che la missione dello Spirito Santo viene insieme e dal Figliuolo e dal Padre, dal quale il Figliuolo stesso ha tutto ricevuto. Del resto, non bisogna credere che la missione implichi una inferiorità qualunque in colui che la riceve, relativamente a colui che la dà. La missione non denota molto meno una inferiorità, quanto la stessa processione di cui è la conseguenza: l’Angelo della scuola dice con ragione: « Nelle persone divine, la missione è senza separazione, senza divisione della natura divina che è una, e la medesima nel Padre e nel Figliuolo e nello Spirito Santo; essa non indica dunque che una semplice distinzione d’origine. » [“Talis missio est sine separatione, sed habet solam distinctionem originis“, I p., q. 48, art. 1, ad 4]. Cosi, per adoperare un paragone imperfetto, il raggio è mandato dal centro, e il fiore dalla pianta, senza esserne separato, e conservando la natura dell’uno e dell’altro. Completiamo queste nozioni fondamentali, aggiungendo che vi sono due sorta di missioni per il Figliuolo e per lo Spirito Santo: una visibile e l’altra invisibile.  Per il Figliuolo, la missione visibile fu l’Incarnazione: per lo Spirito Santo: la sua comparsa al battesimo di Nostro Signore, sul Thabor, e il giorno della Pentecoste.

Per il Figliuolo, la missione invisibile ha luogo tutte le volte che Egli viene, Sapienza infinita, e Luce soprannaturale a comunicarsi all’anima preparata, nella quale abita come nel suo tempio; per lo Spirito Santo, la missione invisibile si rinnova ogni volta che viene, come Amore infinito, Carità soprannaturale, a comunicarsi all’anima ben disposta, nella quale egli abita come in suo santuario. [S. Aug., apud S. 71., i p., q. 48, art. 6, ad 1]. Lo scopo di questa duplice missione è di assimilare l’anima alla Persona divina che gli è inviata: “Similis ei erimus”. Ora, siccome il Figlio, Luce eterna, e lo Spirito Santo, Amore eterno, sono stati mandati per l’intero mondo, così l’intenzione di Dio è di assimilarsi l’umano genere, e assimilandoselo, mediante la verità e la carità, di deificarlo. O uomo! se tu comprendessi il dono di Dio: “Si scires donum Dei!” Cotale missione, nel concetto divino, non è transitoria ma permanente: essa è infatti fino a che l’uomo non vi pone fine col peccato mortale. Essa non arreca soltanto all’anima i lumi del Figliuolo e i doni dello Spirito Santo: ma il Figliuolo e lo Spirito Santo vengono in Persona ad abitare in lei. [“Si quis diligit me…. ad eum veniemus et mansionem apud eum faciemus”. Joan., XIV, 23]. Completare l’opera del Verbo, facendo nei cuori ciò ch’Egli aveva fatto nelle menti, compiere così la trasformazione dell’uomo in Dio: tale è la magnifica missione dello Spirito Santo. In ragione stessa della sua importanza, essa dovette essere l’ultimo termine del concetto divino; per conseguenza l’anima della storia, il motore e la chiave di tutti gli avvenimenti compiuti dall’origine del mondo in poi. Se dunque l’Incarnazione del Verbo ha dovuto essere conosciuta da tutti i popoli; e per ciò, promessa, figurata; predetta, preparata sino dalla nascita dell’uomo, con più forte ragione ha dovuto essere altrettanto della missione dello Spirito Santo, compimento dell’Incarnazione; i fatti confermano il ragionamento.

Spirito Santo

Ora, affinché sia bene inteso che le promesse, le figure, le profezie, le preparazioni di cui andremo disegnando il quadro, si riferiscono alla terza persona della SS. Trinità, e non ad un altro spirito, è bene il ricordare l’insegnamento dei Padri, intorno al significato della parola “Spirito” nella Scrittura. Basti a noi udire sant’Agostino : « Si può, dice egli, domandare se, allorquando la Scrittura dice lo “Spirito di Dio”, senza aggiungere niente, bisogni intendere lo Spirito Santo, la terza Persona della Trinità consustanziale al Padre ed al Figliuolo; per esempio: “Là dove è lo Spirito di Dio, ivi è la libertà”, e altrove: “Iddio ce l’ha rivelato mediante il suo Spirito”; e altresì: “ciò che è nascosto in Dio, nessuno lo sa, fuorché lo Spirito di Dio”. In questi passi, come in moltissimi altri dove nulla è aggiunto, si tratta evidentemente dello Spirito Santo. Il contesto lo fa comprendere abbastanza. Difatti, di chi altri parla la Scrittura quando dice: “Lo stesso Spirito rende testimonianza allo spirito nostro, che noi siamo i figliuoli di Dio”; e: “lo Spirito medesimo, aiuta la nostra infermità, è un solo e medesimo Spirito che opera tutte queste cose distribuendole a ciascuno come gli piace”. In tutti questi luoghi, né la parola Dio, né la parola Santo, è aggiunta alla parola Spirito; e nonostante si parli chiaramente dello Spirito Santo. « Io non so se si potrebbe provare con un esempio solo, autentico, che là dove la Scrittura nomina lo Spirito di Dio senza aggiunta, essa non voglia parlare dello Spirito Santo, ma bensì di un altro spirito buono quantunque creato. Tutti i testi citati per stabilire il contrario sono dubbiosi, ed avrebbero bisogno di chiarimento. » [De divers. Quaest. lib. II. n. 6, p. 187, opp. t. VI, S. Th., I p., q. 74, art. III, ad 4].

Come vedemmo, nei consigli eterni era deciso che due Persone dell’Augusta Trinità discenderebbero visibilmente sulla terra: il Figliuolo per salvare il mondo coi suoi meriti infiniti, lo Spirito Santo per santificarlo con la effusione delle sue grazie. Ma quando un monarca, teneramente amato dal suo popolo, deve visitare le diverse parti del suo regno per seminare dei benefizi, tutti gli spiriti sono preoccupati della sua venuta. La fama lo precede; come pure i corrieri: tutte le strade si aprono dinanzi a lui, e niente è dimenticato per preparargli un ricevimento degno delle speranze ch’egli fa nascere, e dell’entusiasmo che ispira. Non vi è cristiano che non lo sappia: ecco ciò che ha fatto Dio per preparare la venuta del Verbo incarnato. Promesso, figurato, predetto, atteso per quaranta secoli, il Desiderato delle genti, domina maestosamente il mondo antico. Esso è l’anima della Legge e dei Profeti, l’oggetto di tutti i voti, la fine di tutti gli avvenimenti, lo scopo dell’innalzamento e della caduta degli imperi: insomma Egli è l’asse divina intorno a cui gira tutto il governo dell’universo. Questa preparazione, sorprendente per grandezza e per maestà, non era dovuta soltanto alla seconda Persona della SS. Trinità, ma altresì alla TERZA! Eguale al Figliuolo per la dignità di sua natura, superiore in un senso per la sublimità della sua missione, e dovendo come il Figliuolo scendere personalmente sulla terra, lo Spirito Santo doveva, come il Messia, essere preceduto da una lunga sequela di promesse, di figure, di profezie, di preparazioni, per essere non meno del Messia, l’oggetto costante dell’ universale aspettativa: “Desideratus cunctis gentibus”. Questa induzione della fede non inganna punto. La storia ci mostrerà la terza Persona della Trinità, occupante lo stesso posto della seconda, e nel concetto di Dio, e nella speranza del genere umano e nella direzione di tutti gli avvenimenti del mondo antico, per il lungo intervallo di quattromila anni.

L’ESAME DI COSCIENZA

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L’ESAME DI COSCIENZA

[E. Barbier: “I tesori di Cornelio Alapide]

  1. NECESSITÀ DELL’ESAME DI COSCIENZA. — « Osservate, o fratelli, scriveva Paolo, se vi diportate con prudenza » — Videte, fratres, quomodo caute ambuletis (Eph.V, 15). «Esaminatevi, imparate a conoscervi», dice S. Giovanni — “Videte vosmetipsos” ( II, 8 ). « Io veglierò su me stesso, diceva Abacuc, come una sentinella in vedetta, mediterò quello che mi sarà detto, e quello che avrò da rispondere ai rimproveri del Signore » — “Super custodiam meam stabo, et figam gradum super munitionem, et contemplabor ut videam quod dicatur mihi, et quid respondeam ad arguentem me” (II,1). Noi siamo gli economi di Dio, non dimentichiamo dunque che Egli medesimo, figurandosi nel padrone evangelico, ci assicura che chiederà esatto conto al fattore infedele dell’amministrazione dei suoi averi: — “Redde rationem villicationis tuae” (Luc . XVI, 2). Ora chi potrà rendere questo conto se non chi lo rivede di tratto in tratto? Un economo tiene le sue partite assestate, e le conosce a perfezione… Un negoziante ripassa i suoi debiti, le sue perdite, i suoi guadagni. Così dobbiamo fare noi ogni giorno. « Io sono passato, dice Salomone, per il campo dell’indolente, e per la vigna dello stolto, e ho trovato tutto ingombro di ortiche, la cinta era sfasciata, le spine ne coprivano la superficie » — “Per agrum hominis pigri transivi, et per vineam viri stulti; et ecce totum repleverant urticae, et operuerunt superficiem eius spinae, et maceria lapidum destructa erat(Prov. XXIV, 30-31). Ecco la misera condizione a cui si riduce a poco a poco un’anima la quale rifugge dall’entrare in se medesima per esaminarsi seriamente… il loglio sopra il buon grano » — “Cum dormirent homines, venit inimicus eius, et superseminavit zizania in medio tritici” (Matth. XIII, 26 ) . La Scrittura, i santi padri, i maestri di spirito, tutti caldamente raccomandano l’esame di coscienza… È una delle cose più importanti della religione… Nessuna occupazione ce ne deve dispensare… Sono due le principali ragioni che ce ne confermano la necessità: 1) Questo esame è necessario per conoscere i nostri trascorsi e concepirne pentimento. 2) E necessario per non più peccare. Questo esame è tutt’insieme una penitenza ed un rimedio preventivo…
  2. TEMPO E MODO DI FARE L’ESAME DI COSCIENZA. — Tra le Sentenze auree di Pitagora, S. Gerolamo cita la seguente: « Bisogna principalmente mattina e sera, esaminare quel che faremo e quel che abbiamo fatto » (Lib. III, Apol. contra Rufin. c. X ); e il poeta diceva: « Non lasciare che i tuoi occhi si chiudano al sonno, prima che tu abbia esaminato le azioni della giornata ». Nell’opera di Galeno Su la Conoscenza e sui Rimedi delle malattie dell’anima, leggiamo: « Richiamatevi ogni giorno alla mente quello che avete detto e fatto. Spesso lungo il giorno, ma principalmente la sera e la mattina, applicatevi a questo esame». Bonaventura, trattando della purità della vita, raccomanda come mezzo molto acconcio a conservarla, l’esaminare sette volte ogni giorno la propria vita, considerando attentamente e indagando in qual modo abbiamo passato le nostre ore innanzi a Dio (Epist. XXV, memor. 24). Anche S. Doroteo consigliava di osservare alla mattina come fosse trascorsa la notte, e alla sera come si fosse impiegata la giornata, per emendarsi e fare penitenza (Serm. II ). Sant’Ignazio di Loyola costumava esaminarsi in ciascun’ora, paragonando ora con ora, giorno con giorno, settimana con settimana, mese con mese, per vedere in che cosa avesse progredito e in che cosa fosse indietreggiato (In Vita). « Nessuno, diceva S. Bernardo a’ suoi religiosi, vi ama più di voi medesimi, e nemmeno nessuno vi giudicherà più fedelmente di voi medesimi. Fate dunque il mattino una rivista della notte, e stabilite i mezzi più adatti per bene impiegare il giorno che comincia; la sera poi chiedetevi conto del giorno trascorso, e risolvete di passare santamente la notte. Con questo mezzo voi diventerete quasi impeccabili» (Ad fratres de monte Dei). « Entrate nel vostro cuore, dice Ugo da S. Vittore, e scrutatelo con tutta diligenza; considerate donde venite, dove andate, che fate, in qual modo vivete, che cosa perdete, che cosa guadagnate, se progresso o regresso sia il vostro vivere giornaliero, quali pensieri vi occupino, quali affetti vi dominino, da qual parte più frequentemente e più fortemente il nemico vostro vi assalga; e quando voi conoscerete lo stato vostro interiore ed esteriore, non solamente quel che siete, ma quello che dovreste essere, allora da questa conoscenza di voi medesimi v’innalzerete alla contemplazione di Dio». (De Anima, lib. III). Dice ancora S. Bernardo: « Deve anzitutto l’uomo che intende alla sapienza, considerare quello ch’egli è; quello che vi è dentro di lui, e quel che vi è fuori, quel che sopra, quel che contro, quel che prima, e quel che poi. Questa considerazione ben fatta ha per frutto il conoscimento della propria fiacchezza, la carità del prossimo, il disprezzo del mondo, l’amor di Dio. Impari a regnare sopra se medesimo, a regolare la sua vita e i suoi costumi, ad accusare se medesimo al proprio tribunale, a condannarsi sovente, a non rimandarsi mai impunito. Segga la giustizia che condanna; e le si presenti, in atto di rea, la coscienza che accusa e rimorde (De conscient.) ». La stessa cosa consiglia l’Ecclesiastico: « Discuti te stesso, prima di essere chiamato in giudizio, e troverai compatimento innanzi a Dio » — Ante iudicium interroga te ipsum, et in conspectu Dei invenies propitiationem (XVIII, 20). « Esaminiamo e discutiamo le nostre strade », diceva Geremia — “Scrutemus vias nostras et quaeramus” (Lament. III, 40); quindi il re Ezechia esclamava a Dio: « Io ripenserò innanzi a voi tutti i miei anni, nell’amarezza dell’anima mia ». — “Recogitabo tibi omnes annos meos, in amaritudine animae meae” (Isaia XXXVIII, 15). « Innalzi, scrive il Crisostomo, dentro di te il tuo spirito un tribunale, sul quale assiso il tuo pensiero faccia da giudice dell’anima e della coscienza tua; fa venire davanti a te tutte le tue mancanze, chiama a rassegna quel che interiormente hai commesso di male, e ad ogni colpa assegna il dovuto castigo. Di’ teco medesimo frequentissimamente: “Perché ho fatto questa quell’altra cosa? Perché ho osato commettere questa o quella colpa?” Che se la tua coscienza rifugge da quello che fai tu e poi, curiosa, indaga i fatti altrui, dille: Io non ebbi incarico di giudicare gli altri nè ho citato te in giudizio perché tu difendessi gli altri; e richiamala spesso a questo dovere di esaminarsi. Se poi non vuole chiamarsi in colpa e non può difendersi dalle accuse ma ammutolisce, tu battila di santa ragione, come serva altera e viziosa, perché queste busse non la uccideranno, ma la salveranno dalla morte (Homil. XLIII in Matth. ) ». Scrutiamo, dice S. Bernardo, tastiamo e cerchiamo tutti i labirinti, i più reconditi meati, le azioni tutte della nostra vita, i segreti più chiusi della nostra coscienza. Esaminiamo i fatti e le tendenze nostre, e non crediamo di aver fatto profitto nel bene quando avremo scoperto delle colpe, ma bensì quando avremo condannato queste colpe scovate con l’esame. Può dire di non essersi esaminato invano, chi riconosce di aver bisogno di ripetere sovente questo esame. Quando nel cercare abbiamo veduto la necessità di cercare ancora, noi abbiamo cercato bene. E se noi scrutiamo il cuore e la coscienza nostra ogni volta che ne avremo bisogno, noi lo faremo del continuo; perché noi siamo mai liberi di nemici e di ferite» (Serm. LVIII in Cant.). Esaminiamoci con sincerità; esaminiamo sottilmente e a fondo il nostro cuore, e non sarà cosa rara trovarvi appiattata qualche passione, qualche difetto che macchia tutte le nostre azioni, che spiace a Dio, e tien da noi lontani i suoi doni. Schiantate e gettate via questo vizio segreto, questo vizio famigliare se amate la benedizione di Dio, la dolce rugiada dei celesti favori …. Bisogna esaminarsi su ciò che si è fatto, e nel modo con cui si è fatto … Di qual difetto mi sono emendato quest’oggi? a qual peccato ho resistito? sono io migliore? Bisogna fare con se medesimo le parti di testimonio, di accusatore, di giudice, di esecutore… Bisogna non istancarsi nè scoraggiarsi mai, ma perseverare in questo esame, imitando il coltivarore, il giardiniere, il viaggiatore, ecc… Figuriamoci che ogni giorno il Signore dica a noi, come a Geremia: « Io ti ho messo oggi perché schianti e distrugga e perda e dissipi e edifichi e pianti — “Ecce constitui te hodie ut evellas, et destruas, et disperdas, et dissipes, et aedifices, et plantes” (Jerem. I, 10) .
  3. ECCELLENZA DELL’ESAME DI COSCIENZA. — Non c’è cosa più utile, più lodevole, più santa che il penetrare in sé medesimi… Dopo un sottile e diligente esame, le colpe vengono all’aperto e ne segue il pentimento, le lacrime, i proponimenti, il cambiamento di vita …. L’essenziale di un esame di coscienza è che si risolva nel dolore e nel proponimento: ora un esame serio ed assiduo procura l’uno e l’altro. Infatti l’angelo mandato a rassicurare Daniele, gli dice: « Non temere; perché fino dal primo giorno in cui proponesti di mortificarti innanzi a Dio, la tua preghiera fu esaudita, ed io sono venuto » — “Noli metuere, Daniel; quia ex die primo quo posuisti cor tuum ad intelligendum ut te affligeres in conspectu Dei tui exaudita sunt verba tua, et ego veni” ( Dan. X, 12 ) . Quando mai Giuseppe si fece conoscere a’ suoi fratelli, li abbracciò al suo seno, pianse con loro, e li ricolmò di favori? solamente dopo che ebbero narrato schiettamente i loro torti, e palesati i loro salutari rimorsi (Gen. XLIV, 12 ). Così fa Dio con quelli che dopo un severo esame di se stessi si chiamano in colpa. « Il conoscere se stesso è la massima e la più eccellente istruzione, dice Clemente Alessandrino; perché chi conosce se stesso, conosce Dio (Stromat. Lib. I) ». Perciò S. Agostino esclamava: « O Dio, che non cangiate, datemi ch’io conosca voi e conosca me (Soliloq. C. I) ». Iddio, scrive lo stesso santo dottore, verrà, si mostrerà, esaminerà e convincerà quando il mutamento del cuore non sarà più possibile. Io vi porrò in faccia a voi medesimi, dice Iddio. Fate dunque subito voi medesimo quello che più tardi farà Dio. Cessate dal gettarvi dietro le spalle i vostri peccati per non vederli, ma poneteveli sotto gli occhi. Salite al tribunale della vostra mente e siate vostro giudice: il timore vi castighi, la confessione delle vostre miserie si faccia largo attraverso le nubi dell’amor proprio, e gridate al vostro Dio: Io conosco la mia iniquità, e la mia colpa mi sta del continuo innanzi allo sguardo. Mettete dinanzi a voi quello che prima tenevate dietro di voi, per timore che più tardi il divin Giudice non vi ponga Egli medesimo in faccia vostra, e non possiate più sfuggirgli; affinché la sua giustizia non vi abbranchi come leone, senza che nessuno possa scamparvi (in Psalm XLIX ). Ambrogio insegna che la conoscenza di se medesimo devo precedere quella di Dio e che alla conoscenza di Dio non si arriva se non con la conoscenza di se stesso, e per mezzo delle buone opere (Offic. lib. I ). È sentenza di Socrate che « chi non conosce se stesso non è capace né a governar sé, né a reggere gli altri» (Anton. in Meliss.). Ora dove mai l’uomo impara a conoscersi, se non nell’esame di coscienza?… Quindi S. Bernardo dice: « Applicati a conoscere te stesso, poiché sarai molto più buono e più lodevole se conoscerai te stesso che se, ignorando te stesso, tu fossi istruito del corso degli astri, della virtù delle erbe, della natura degli uomini e degli animali, e di tutte le cose celesti e terrestri. Ritorna dunque, e restituisci te a te stesso (De consider.) ». Udite come esclamava S. Francesco d’Assisi: « Chi sei tu, o Signore, e chi sono io? Tu l’abisso dell’essere, del bene, della sapienza, della virtù, della perfezione, della gloria; io il baratro del niente, del male, dell’ignoranza, dei vizi, delle miserie e di ogni abbiezione (In vita) ».
  4.  DUE SORTA DI ESAME. — Vi sono due sorta di esame: il particolare e il generale: quello riguarda un solo punto; questo invece tutto quello che si è pensato, desiderato, fatto od omesso lungo il giorno… L’esame particolare devo mirare principalmente a ciò che più ci sta su l’anima…; alla passione dominante…, alla tentazione che più ci travaglia, alla virtù di cui abbiamo più difetto, ecc.. Caduto il comandante, tutto l’esercito è sgominato; così pure, estirpato il vizio dominante, tutti gli altri vengono facilmente sradicati. Chi va ad uccidere un serpente, non colpisce su tutta la lunghezza del suo corpo, ma mira alla testa perché, schiacciata questa, tutto è finito. Così è delle passioni; colpite il capo, e voi avrete colto e sterminato tutto il rimanente… Davide va di filato a Golia… Quel che preme a un medico è accertarsi della sede della malattia; così quello che più deve importare a voi si è di conoscere dove si annidi la vostra principale malattia. Perché una cattiva erba non cresca, bisogna estirparla dalle radici. L’esame di coscienza molte volte non approda a nulla di buono perché non si volge a indagare e discutere quello che è di maggiore importanza. Intanto però è bene che all’esame particolare si aggiunga il generale.

Preghiera per l’acquisto delle SANTE INDULGENZE

 

INDULGENZE

indulgenze

I S T R U Z I O N I

per l’ acquisto delle Sante Indulgenze.

[da: “La via del Paradiso”, Siena, 1823 –imprimatur.]

Le Indulgenze suppliscono alla debolezza de’ Penitenti, rimettendo loro per l’applicazione dei meriti di Gesù Cristo, e per la intercessione di Maria SS., e dei Santi ciò che manca alla loro penitenza, e perciò assolvono da quella pena, che tratteneva la misericordia di Dio, finché non si fosse pienamente soddisfatto alla sua Giustizia.

Le disposizioni necessarie a lucrare le Indulgenze sono:

1. Una intenzione retta, e pura, cioè: non il desiderio di esimersi dalla penitenza proporzionata ai peccati, ma la brama viva, che i meriti di Gesù Cristo, e la intercessione di Maria SS., e dei Santi suppliscano alla nostra debolezza, e che, avendo per mezzo della Confessione ottenuto il perdono delle colpe, nulla siavi che impedisca il pieno, e più sollecito e più sollecito godimento di DIO.

  1. Si deve essere affatto esente dal peccato, e da qualunque attacco al medesimo, e averne interamente abbandonate le occasioni; altrimenti, qual perdono e quale indulgenza potrebbe aspettarsi da Dio, chi fosse tuttavia disposto a nuovamente offenderLo?
  2.  Bisogna avere una ferma risoluzione di soddisfare a Dio con gli esercizi di penitenza, perché senza questa disposizione la intera penitenza, cioè la Contrizione e la conversione del cuore non possono essere né vere, né sincere.
  3.  Pregare finalmente, come ha ordinato il Sommo Pontefice (quello vero! –n.d.r.) nell’accordare le Indulgenze. E siccome per ordinario suole ingiungere l’obbligo di pregare Dio per l’esaltazione di S. Chiesa, per la estirpazione delle Eresie, e per la pace fra i Principi Cristiani a chi , confessato e comunicato, abbia le suddette necessarie disposizioni, così vi si propongono le seguenti Preghiere, con le quali, devotamente recitate nella Chiesa, o all’ Altare , ov’è l’ Indulgenza, soddisferete alle opere ingiunte da Sua Santità. – Avvertite, che l’Indulgenza plenaria medesima non si può lucrare che una sola volta al giorno.

Così la Sacra Congregazione de’ Riti nel 1717, eccettuata l’Indulgenza del Perdono, che dai primi Vespri del primo Agosto fini ai secondi del seguente giorno si può acquistare due volte in tutte le Chiese dell’Ordine dell’ Ordine di S. Francesco, visitandole replicatamente, e recitando di nuovo le Preci solite, di modo ché una volta si può lucrare per i Vivi , l’altra pe’ Defunti, come nella Dichiarazione della Sacra Congregazione del Concilio nel 1723: Le Indulgenze, che diconsi applicabili anche ai Defunti, non può il Fedele acquistarle per se stesso e per i Defunti, ma o per sé solamente, o per i Defunti. Se nella Città, o nel Paese vi siano in due chiese due diverse indulgenze plenarie applicabili ai vivi e ai morti, se ne potrà applicare una ai defunti, e l’altra a sé medesimo, visitando ambedue le Chiese nel modo prescritto . – Se nella Concessione delle Indulgenze parziali vi sarà, il “Quoties id egerint, toties Indulgentiam, consequantur”, si potranno acquistare tante volte, quante si replicherà l’opera ingiunta, v. gr. alla recita della Giaculatoria: “Sia benedetta la Santa purissima Concezione Immacolata della Vergine Maria” , vi è annessa l’Indulgenza di anni cento ogni volta. Salutando altrui con dire: “lodato Gesù Cristo”, o rispondendo al saluto: “Così sia”, si lucrano ogni volta 25 giorni d’Indulgenza, e così di molte altre. Siate dunque santamente avidi di arricchirvi di questo tesoro spirituale, che supplisce per i meriti di Gesù Cristo alla debolezza della nostra penitenza, con la quale dobbiamo soddisfare alla Giustizia Divina, o in questa vita, o nel Purgatorio. Ma ohimè! quanti ai nostri giorni o nulla sanno d’Indulgenze, o le disprezzano stoltamente, o vilmente le trascurano! Non siate voi nel numero di costoro.

P R E G H I E R A

Per l’acquisto delle Sante Indulgenze.

In Nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti. Amen.

– O Padre Celeste pieno di Carità, eccomi ai vostri piedi ad implorare le vostre misericordie. Io spero di avere ottenuto, in virtù del Sacramento della Penitenza la condonazione delle pene eterne dell’Inferno; ma ohimè! Quanto giustamente io temo, che la debolezza della mia contrizione, e tanti miei difetti non mi rendano tuttavia debitore alla vostra ineffabile Giustizia di molte pene temporali in questa, o nell’altra vita. Ah! Signore, allontanate lo sguardo dai miei demeriti, e mirate i meriti infiniti di Gesù Cristo Figlio vostro diletto, che la Santa Chiesa, Madre pietosa, e indulgente oggi qui distribuisce ai Fedeli. Accettate dunque, o mio Dio, la Vita, la Passione, il Sangue e la Morte del mio Redentore: e con la pienezza della vostra Divina Clemenza assolvetemi da tutte le pene, delle quali son debitore alla vostra divina Giustizia, rendendomi partecipe del tesoro inestimabile della Chiesa, avvalorato da una viva Fede, da una ferma Speranza, e da una Carità ardente per l’amabile mio Crocifisso Gesù, sorgente inesausta di ogni bontà, e di ogni misericordia. Dio di Amore, Dio di maestà ascoltate benigno la voce delle mie miserie; esaudite le mie suppliche, e regnate nell’anima mia con la vostra grazia, acciò regni in eterno con Voi nella vostra gloria. Fatevi conoscere ancora, adorare, e obbedire da tutti i Popoli vostri servi, e figliuoli, come Vi conoscono, Vi adorano, e Vi obbediscono gli Angeli vostri Ministri. Provvedete al necessario nostro mantenimento, perché niente ci distolga dal servirVi, ed amarVi; perdonateci le nostre colpe; sosteneteci col vostro braccio potente contro le insidie, e le tentazioni dei nostri nemici visibili, e invisibili; liberateci insomma per vostra carità da tutti i mali temporali, ed eterni. Tutto ciò Vi domando per le viscere della vostra paterna misericordia, per i meriti di Maria SS., degli Angeli, e de’ Santi tutti del Pradiso, e principalmente per le Sacratissime Piaghe di Gesù Cristo, che riverente adoro con tutto il mio spirito, dicendo:

Adoro, Gesù mio, la Piaga Santissima del vostro piede sinistro, e per quel sangue, che dalla medesima versaste, caldamente vi raccomando la concordia e la pace fra i Principi Cristiani, l’estirpazione dell’Eresie, e della incredulità, il trionfo della S. Cattolica Fede, e la più gloriosa esaltazione della Santa Romana Chiesa. Pater, Ave, Gloria.

Adoro, Gesù mio, la Piaga Santissima del vostro piede destro, e per quel Sangue, che dalla medesima versaste, caldamente Vi raccomando il Sommo Pontefice (Gregorio XVIII–n.d.r. -), i nostri Sovrani, e tutti i Principi ecclesiastici (in esilio – ndr. -), e Secolari, perché possano propagare la vostra Santa Religione, e felicemente e santamente governare i Popoli sottoposti. Vi raccomando ancora tutti gli Ordini Ecclesiastici, perché siano quali Voi li volete, istrumenti abili al nostro ammaestramento e a glorificare il vostro Santissimo Nome. Pater, Ave, Gloria.

Adoro, Gesù mio, la Piaga Santissima della vostra mano sinistra e per quel Sangue che dalla medesima versaste, caldamente Vi raccomando la mia Famiglia, il Padre mio Spirituale, i Parenti, i Benefattori, i Poverelli, gli Amici, i Nemici, gli Afflitti, gl’Infermi, e gli Agonizzanti, perché versiate sopra di loro l’abbondanza delle vostre temporali, e spirituali benedizioni. Pater, Ave, Gloria.

Adoro, Gesù mio, la Piaga Santissima della vostra mano destra, e per quel Sangue, che dalla medesima versaste, caldamente Vi raccomando le Anime Sante del Purgatorio, e in particolare quelle dei miei Parenti, Amici, e Benefattori; quelle, che furono più devote dell’acerbissima vostra Passione, e dei Dolori della Beatissima Vergine Maria; quelle, per le quali ho maggior obbligo di pregarVi, e quelle che sono le più abbandonate, e più bisognevoli di particolari suffragi. Dio mio, una sola goccia del vostro preziosissimo Sangue è bastevole alla soddisfazione dei peccati di mille mondi; versatela dunque pietoso sopra quelle vostre care Spose, perché lavate così da ogni reliquia delle antiche loro colpe, volino a benedirVi, e ringraziarVi in eterno. Pater, Ave, Gloria.

Adoro, Gesù mio, la Piaga Santissima del vostro Costato, e per quel Sangue, e quell’Acqua, che dalla medesima versaste, caldamente Vi raccomando tutto me stesso. In questa Piaga amorosa sarà la mia perpetua abitazione; in questa voglio vivere, e voglio morire, perché in questo dolce asilo di misericordia Voi giudichiate l’Anima mia, sperando fermamente, che non vorrete strapparla dal vostro Cuore paterno per gettarla ad ardere nelle fiamme fra i nemici del vostro Santissimo Nome”. Pater, Ave, Gloria .

V.: Domine, exaudi Orationem meam;

R.: et clamor meus ad te veniat.

Oremus.

Domine Jesu Christe, per quinque illa Vulnera tua, quae tibi in Cruce nostri amor inflixit, tuis famulis subveni, quos pretioso Sanguine redemisti. Qui vivis, et regnas in saecula saeculorum. Amen.

Adoro, Gesù mio, il vostro Capo santissimo con inaudita crudeltà coronato di Spine, e per quel Sangue, che da tante ferite versaste, esaudite, Vi supplico, le pie intenzioni de’ Sommi Pontefici, che hanno accordata, e confermata questa santa Indulgenza a gloria vostra, e per salute spirituale di tutti i fedeli. Così sia.  Pater, Ave, Gloria .

Oremus.

Ecclesie tuae, quaesumus, Domine, preces placatus admitte, ut destructis adversitatibus, et erroribus universis, secura tibi serviat libertate.

Deus omnium Fidelium Pastor et Rector, Famulum tuum Gregorium, quem Pastorem Ecclesie tuae praeesse voluisti, propitius respice; da Ei, quaesumus, verbo et exemplo, quibus praest proficere, ut ad vitam una cum grege sibi credito perveniat sempiternam. Per Christum Dominum nostrum. Amen.

Santo N., o Santa N., di cui si fa oggi gloriosa commemorazione aiutatemi con le vostre efficaci orazioni, e impetratemi la grazia di fare acquisto della S. Indulgenza, per la povera anima mia, (o per le Anime del Purgatorio), e di vivere santamente, e più santamente morire. Amen.

Pater, Ave, e Gloria .

Oremus.

Quaesumus, Domine Deus noster, Sanctorum tuorum praesidia nos adjuvent, quia non desinis propitius intueri, quos talibus auxiliis concesseris adjuvari. Per Christum Dominum nostrum. Amen.

Misereatur nostri, Omnipotens Deus, et dimissis peccatis nostri perducat nos ad vitarm aeternam. Amen.

Indulgentiam, absolutionem et remissionem peccatorum nostrorum tribuat nobis Omnipotens, et misericors Dominus. Amen.

Dominus nos benedicat, ab omni malo defendat, et ad vitam perducat aeternam, et Fidelium animae per misericordiam Dei requiescant in pace. Amen.

   In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti. Amen.

Dopo la preghiera al Santo di cui si celebra la Festività, se prendete l’Indulgenza per l’anima vostra, potrete, quando il tempo ve lo permetta, recitare l’Uffizio della Beatissima Vergine, o le sue Litanie, o i Salmi Penitenziali, ovvero le sole Litanie dei Santi o i Salmi Graduali, o l’Uffizio piccolo della S. Croce, o dello Spirito Santo, o del SS. Sacramento, o della Concezione Immacolata di Maria SS., o almeno gli Atti Cristiani o qualunque altra Orazione di vostro piacimento.

Se acquistate l’Indulgenze per le Anime del Purgatorio, aggiungerete l’Uffizio de’ Morti, o il solo Vespro, o i Salmi “Misere mei Deus”, e “De profundis”, o la Sequenza “Dies irae, dies illa”, o le Sacre Offerte, e gli atti Cristiani, e cosi potrete lusingarvi di ottenere dalla misericordia del Signore tanto maggior frutto, quanto maggiori saranno le vostre disposizioni; poiché, dicono i Padri, che nessuno può esser certo di acquistare le Indulgenze plenarie nella loro totalità e interezza.

Applicate spesso le Indulgenze alle Anime del Purgatorio, se bramate per voi la stessa carità; poiché i Padri medesimi osservano che i Giusti, i quali si purificano in quelle fiamme, possono essere esclusi dalla Giustizia di Dio da qualche specie di suffragio in pena di qualche loro incuria e mancanza.

Processione dello Spirito Santo e la storia del FILIOQUE

Processione dello Spirito Santo e la storia del FILIOQUE

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[Trattato dello Spirito Santo, vol. II, cap. V e VI]

Processione dello Spirito Santo.

La Chiesa Cattolica, come organo infallibile del Verbo fatto carne per istruire l’uman genere, ha sempre creduto che la terza Persona dell’adorabile Trinità, eguale in tutto al Padre ed al Figliuolo, proceda dall’uno e dall’altro. Di questa invariabile credenza le prove abbondano nei quattro Simboli: quello degli Apostoli, di Nicea, di Costantinopoli e di sant’Atanasio, come negli scritti dei Padri greci e latini, primi testimoni dell’Insegnamento apostolico. Secondo la sua etimologia la parola procedere vuol dire passare da un luogo ad un altro. Nel figurato la si adopra per designare l’emanazione o la produzione di una cosa che esce da un’ altra. La Chiesa cattolica intende per processione : l’origine e la produzione eterna di una Persona divina da una altra Persona, o da due altre. Su di che bisogna notare, che allorquando si tratta della Trinità, la parola processione si prende in due sensi. Il primo, in quanto si applica alla produzione del Figliuolo e dello Spirito Santo, imperocché dice che l’uno e l’altro procedono. Il secondo, in quanto si applica alla produzione particolare dello Spirito Santo. Difatti il Figliuolo e lo Spirito Santo formando due Persone distinte, dicesi del Figliuolo che è generato, e dello Spirito Santo semplicemente che procede. Che nel senso teologico della parola vi sia processione in Dio, niente è più chiaramente insegnato dalla Scrittura, dalla tradizione, dalla ragione medesima. Chi non conosce quelle testimonianze dell’antico Testamento? « Il Signore mi ha detto: Tu sei mio Figlio ; sono io che oggi ti ho generato. Io ti ho generato nel mio seno innanzi 1’ aurora. » [Dominus dixit ad me : Filius meus es tu : ego hodie genui te. Ps. II, 7. — Ex utero ante Luciferum genui te. Ps. CIX, 8.] Nel contemplare il Verbo, aggiunge il profeta Michea: « La sua uscita é sin dal principio, sino dai giorni della eternità.» [Egressus ejus ab initio, a diebus aeternitatis. Mìch., v. 2.]. Ora l’idea di generazione, di uscita, di origine, implica necessariamente l’idea di processione.

Il Nuovo Testamento è ancor più esplicito. Nostro Signore, parlando di se stesso dice : « Io procedo da Dio e sono venuto. » Ego ex Deo processi et veni. [Joan., VIII, 42.] Breve e sublime parola con la quale il Verbo incarnato si rivela tutto intero ! Io procedo da Dio : ecco la sua generazione eterna : e Io sono venuto; ecco la sua generazione temporale e la sua missione nel mondo. Con la sua bocca augusta rende la stessa testimonianza allo Spirito Santo. « Quando sarà venuto il Paracleto, vi manderò dal Padre mio, lo Spirito di verità, il quale procede dal Padre. » [Cum autem venerit Paracletus, quem ego mittam vobis a Patre, Spiritum veritatis qui a Patre procedit. Joan., XV, 26.  Il pensiero divino, cosi fedelmente raccolto dalla tradizione, viene formulato nel simbolo di sant’Atanasio che l’esprime con questa inappuntabile precisione: « Il Figliuolo è del solo Padre : né fatto, né creato, ma generato. Lo Spirito Santo, dal Padre e dal Figliuolo; né fatto, né creato, né generato, ma procedente. » [Filius a Patre solo est: non factus, nec creatus, sed genitus. Spixitus sanctus a Patre et Filio : non factus, nec creatus, nec genitus, sed procedens.].

La ragione illuminata dalla fede reca alla sua volta al domma cattolico, il solido appoggio dei suoi ragionamenti. Essa dice : Dio è l’essere perfetto; la fecondità è una perfezione, dunque Iddio la possiede. « Se sono Io, domanda il Signore, che faccio generare gli altri, perché non genererò Io ? Io che dò la generazione agli altri, sarò Io sterile ? » Numquid ego qui alios parere facio, ipse non pariam?…. Si ego qui generationem caeteris tribuo, sterilis ero? Is., LXVIII, 9.].  Per l’organo di san Cirillo di Gerusalemme essa aggiunge: « Dio è perfetto, non solo perché è Dio, ma perché è Padre. Chi nega che Dio sia Padre, toglie la fecondità alla natura divina : l’annienta rifiutandoGli una perfezione essenziale, la fecondità. » [Tract. de Trinit., edit. Migne, t. IX.]. Spiegando questa divina fecondità, san Giovanni Damasceno continua: « La ragione non permette di sostenere che Dio sia privo della fecondità naturale. Ora in Dio, la fecondità, consiste in ciò che di Lui medesimo, vale a dire della sua propria sostanza, possa egli generare del pari secondo la sua natura. » De Fide ortod. lib. I, c. VIII. La distinzione delle Persone divine fornisce alla ragione un’altra prova senza replica. Vi sono in Dio tre Persone distinte, e questo l’abbiamo stabilito. Nelle divine Persone non si vedono che due cose: la natura e il rapporto d’origine o la processione: così nel Padre, la natura divina e la paternità; nel Figliuolo la natura divina e la generazione; nello Spirito Santo, la natura divina e l’a processione. Donde viene questa distinzione? Non appartiene alla natura, poiché è una e la medesima nelle tre Persone; resta dunque che essa venga dalla differente comunicazione di questa natura a ciascuna delle Persone divine. Per conseguenza l’Angelo della scuola, parlando dello Spirito Santo, dice con ragione: « Lo Spirito Santo è personalmente distinto dal Figliuolo, perché l’origine dell’uno è distinta dall’origine dell’altro. Ora la differenza d’origine consiste in questo, che il Figliuolo è solamente dal Padre, mentre lo Spirito Santo è dal Padre e dal Figliuolo. Le processioni non si distinguono altrimenti. » [I p., q. 36, art. 2, ad 7.] – Di qui quella profonda dottrina di san Gregorio Nazianzeno che i Greci appellano il Teologo: « Il Figliuolo non è il Padre, ma ciò che è il Padre; lo Spirito Santo non è il Figliuolo, ma ciò che è il Figliuolo. Questi tre son uno con la divinità; e quest’uno è tre per le proprietà distinte. » [Filius non est Pater…. sed hoc est quod Pater ; neque Spiritus sanctus est Filius…. sed hoc est quod Filius. Tria haec unum divinitate sunt, et unum hoc proprietatibus sunt tria . Orat. XXXVII]. Per spiegare l’unità della natura divina, la quale rimane intera e indivisibile nelle tre Persone perfettamente distinte, ricordiamo un paragone sovente adoperato dai Padri; « Avviene, dicono essi, della natura divina, come della natura umana: questa è una e la medesima in tutti gli uomini; moltiplicandosi, essi non la dividono. Qualunque siasi il numero degli uomini, non vi è altro che una natura umana. Pietro è Pietro e non Paolo; e Paolo non è Pietro. Pur nonostante essi sono indistinti per la loro natura. In tutti due la natura umana è una; ed essi posseggono senza alcuna differenza tutto ciò che costituisce l’unità naturale…. Pietro, Paolo e Timoteo sono tre persone, ma essi non hanno che una sola e medesima natura. «Cosi come non vi sono tre umanità; cioè l’umanità di Pietro, l’umanità di Paolo, l’umanità di Timoteo, non vi sono per conseguenza nemmeno tre divinità, la divinità del Padre, la divinità del Figlio, la divinità dello Spirito Santo. Dunque hi Dio vi è, come nel genere umano, distinzione e molteplicità di persone, ma comunità e unità di natura. » [S. Cyrill. Alexand lib. IX, Comment in Joan.].

La Scrittura, la tradizione, la ragione stessa, il cui unanime accordo ci mostra che vi è processione in Dio, c’insegnano con la stessa certezza, che vi sono due processioni in Dio, e che non ve ne ha che due. Innanzi tutto i sacri libri non ne contano che due. Poi è facile provare che non ve ne ha un numero maggiore. In Dio vi sono altrettante processioni, quante sono le Persone divine che procedono; e in Dio non vi sono che tre Persone. Ma il Padre come la prima, non procede da nessun altra, cosicché due solamente procedono. Inoltre in Dio non vi sono che due facoltà che operano interiormente: “Ad intra, seu immanenter”, come parla la teologia. Queste due facoltà sono l’intelletto e la volontà. Queste facoltà agiscono necessariamente: imperocché Dio non può non conoscersi e non amarsi. Esse agiscono sempre, poiché Dio è l’azione infinita.1 [ Vitass, de Trinit., quaest. V, art. 1 et 2, assert. 3.]. Stabiliti questi dommi, l’insegnamento cattolico aggiunge che lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figliuolo, vale a dire che esce dall’uno e dall’altro non per mezzo di generazione ma per ispirazione. Intorno a queste parole divine udiamo Bossuet: « Lo Spirito Santo, dice il vescovo di Meaux, il quale esce dal Padre e dal Figliuolo, è della stessa sostanza come l’uno e l’altro, un terzo consustanziale e con essi un solo e stesso Dio. Ma perché dunque non è egli Figliuolo, essendo egli per la sua produzione della stessa natura? Dio non l’ha rivelato. Ha detto pero che il Figliuolo era unico, [Joan., I, 1-18.] essendo perfetto, e tutto ciò che è perfetto è unico. Cosi il Figliuolo perfetto di un Padre perfetto, deve essere unico; e se potessero esservi due Figliuoli, la generazione del Figliuolo sarebbe imperfetta. Tutto ciò dunque che verrà dopo non sarà più Figliuolo, né verrà punto per generazione, quantunque della stessa natura. » [Elev. intorno i mist. II serm., Elev. 5.] Qual sarà dunque questa finale produzione di Dio ? È una processione senza nome particolare. Il padre come eternamente intelligente, si conosce eternamente, ed. eternamente produce, conoscendosi tanto il suo Verbo che il suo Figliuolo, eguale a Lui, e come Lui eterno. Il Padre ed il Figliuolo essendo eterni non possono essere senza conoscersi eternamente, né conoscersi senza amarsi di un amore eguale ad essi, infinito, eterno com’essi. Questo amore reciproco e consustanziale, è lo Spirito Santo. Egli procede dunque dal Padre e dal Figliuolo.

Bossuet continua a dire: «Questo è ciò che spiega la ragione mistica e profonda dell’ordine della Trinità. Se il Figliuolo e lo Spirito Santo procedono ugualmente dal Padre, senza nessun rapporto tra essi due, si potrebbe dire subito: Il Padre, lo Spirito Santo ed il Figliuolo, come il Padre, il Figliuolo e lo Spirito Santo. Ora, Gesù Cristo non parla a questo modo. L’ordine delle Persone è inviolabile, perché se il Figliuolo è nominato dopo il Padre perché succede a Lui, lo Spirito Santo viene altresì dal Figliuolo, dopo il Quale è nominato; ed Egli è Spirito del Figliuolo, come il Figliuolo è il Figliuolo del Padre. Quest’ordine non può essere arrovesciato. Noi dunque siam battezzati secondo quest’ordine; e lo Spirito Santo non può non essere nominato il secondo, come il Figliuolo non può essere nominato il primo. « Adoriamo quest’ordine delle tre Persone divine, come pure le mutue relazioni che trovansi tra i tre e che fanno la loro eguaglianza, come la loro distinzione e la loro origine. Il Padre intende sé medesimo, parla a sé medesimo, e genera il suo Figliuolo che è la sua parola. Egli ama questa parola prodotta dal suo seno e che vi conserva. E questa parola, che è nello stesso tempo la sua concezione, il suo pensiero, la sua Immagine intellettuale, eternamente sussistente, e sin da quell’istante suo Figliuolo unico, l’ama altresì come Figlio perfetto, ama un Padre perfetto. Ma che cosa è il loro amore se non è questa terza Persona, il Dio d’amore, il dono comune e reciproco del Padre e del Figliuolo, il loro vincolo, il loro nodo, la loro mutua unione, in cui si termina la fecondità, come le operazioni della Trinità? « Tutto è compiuto, tutto è perfetto, quando Dio è infinitamente espresso nel Figliuolo e infinitamente amato nello Spirito Santo, e che del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo si fa una semplicissima e perfettissima unità. Tutto ritorna al principio, di dove tutto viene radicalmente e primitivamente, che è il Padre con un ordine invariabile : l’unità feconda moltiplicandosi in dualità, per terminarsi in trinità. Di maniera che tutto è uno, e tutto ritorna a un solo e medesimo principio.

Quest’è la dottrina dei santi; la tradizione della Chiesa Cattolica. È la materia della nostra fede; noi lo crediamo. Quest’è il soggetto della nostra speranza e lo vedremo. È anche l’oggetto del nostro amore, poiché amare Dio, è amare in unità il Padre e il Figliuolo e lo Spirito, Santo, è amare la loro uguaglianza ed il loro ordine, amare e non confondere le loro operazioni, le loro eterne comunicazioni, i loro mutui rapporti e tutto quel che gli fa uno facendoli tre: perché il Padre che è uno e principio immutabile d’ unità, si diffonde, si comunica senza dividersi. E questa unione ci è data come il modello della nostra: 0 Padre, che sieno tutti una sola cosa in noi, come tu sei in me, o Padre, ed io in te; che sieno aneli essi una sola cosa in noi. » [Meditaz. sul Vangelo, 25° giorno. — Ut omes unum sint sicut tu Pater in me, et ego in te, ut et ipsi in nobis unum sint. (Giov. c. XVIII, 21.). Tre Persone in un solo Dio, eguali tra loro, ma distinte per il loro rapporto d’origine: il Padre non procedendo da nessuno; il Figliuolo procedente dal Padre per via dell’intelletto, come la parola procede dal pensiero; lo Spirito Santo procedente dal Padre e dal Figliuolo, mediante la volontà e lo scambievole amore; tale è intorno al principale e più profondo de’ nostri misteri, il domma cattolico nella sua più semplice espressione. La Chiesa, per difendere la sua fede contro i novatori, radunata successivamente a Nicea ed a Costantinopoli aveva aggiunto alcune spiegazioni al simbolo degli Apostoli. Eccettuati gli eretici, ai quali queste spiegazioni non permettevano d’ingannare i fedeli, l’Oriente e l’Occidente avevano applaudito a questa savia condotta. Per tutti era evidente che la Chiesa non aveva cangiato nulla alla dottrina, nulla innovato; ma usato del diritto di conservazione e di legittima difesa. Quel che fece essa allora, l’ha fatto sempre, e sempre lo farà, quando saranno attaccati i suoi dommi. Tale non è solamente il suo diritto ma il suo dovere ; poiché tale è l’ordine formale del suo divin fondatore. La dottrina della Chiesa non è sua dottrina: “Mea doctrina non est mea”. Essa non ne è proprietaria, ma depositaria. Le è stato detto : « Conservate ciò che vi è stato affidato e non è stato inventato da voi; ciò che voi avete ricevuto e non immaginato. Non è una cosa di genio ma di dottrina; non è una usurpazione della ragion privata, ma una tradizione pubblica. Essa è venuta verso di voi, nè viene da voi; come voi non ne siete l’autore, cosi voi non avete a suo riguardo fuorché il dovere di custode. « Perciò come guardiana vigile e prudente dei dommi il cui deposito le è stato confidato, essa non vi cambia mai nulla; nulla toglie, né nulla aggiunge. Ciò che è necessario essa non lo elimina, quel che è superfluo non l’ammette. Essa non perde il suo possesso, nè piglia quello d’altri. Piena di rispetto per l’antichità, conserva fedelmente ciò che tiene. Se ella trova delle cose che non hanno ricevuto primitivamente, né la loro forma né il loro compimento, tutta la sua sollecitudine consiste nel dilucidarle e pulirle. Se sono confermate e definite, essa le conserva. Il fissare per iscritto ciò che essa ha ricevuto dagli antenati per tradizione; racchiudere molte cose in poche parole; spesso anche impiegare una parola nuova, non per dare alla fede un senso nuovo, ma per meglio chiarire una verità; ecco ciò che la Chiesa cattolica, obbligata dalle novità degli eretici, ha fatto per i decreti dei Concilii; questo sempre e nulla di più. [Vincent, Lirin., Commonit. civ. med.]. « Con una fedeltà incorruttibile si sdebiterà di questo carico sino alla consumazione dei secoli : e quando verrà l’ultimo giorno, essa consegnerà a Dio, sulla tomba delle cose umane, il deposito di tutte le verità ricevute da Lei nel Cenacolo, e che risalgono per le loro basi, sino alla culla dell’umanità. » [Monsignor Gerbet, Istituzione intorno ai diversi errori del tempo presente, 1860].

 

Storia del “Filioque”.

Constantinople

Il vigilare sul deposito della fede e fissare con le sue decisioni infallibili i punti, in balia degli attacchi della eresia, è il diritto e il dovere della sposa del Verbo incarnato. Un mezzo secolo circa dopo il concilio di Costantinopoli, la Chiesa ebbe un nuovo motivo di fare uso di questo diritto inerente alla sua costituzione. Da una parte i settari di Macedonio eransi già sparsi a gran distanza dalla Tracia, nell’Ellesponto e nella Bitinia: [Socr. hist., lib. II, c. XLV; lib. V, c. VIII.], dall’altra i Vandali ed altri popoli usciti da quelle contrade, avevano portato seco il domma eretico nelle loro migrazioni e specialmente in Ispagna. Ivi i Priscillianisti attaccavano apertamente il domma della Trinità e della divinità dello Spirito Santo.

San Leone Magno occupava allora la cattedra di san Pietro. La notizia di questa eresia e delle stragi ch’ella faceva in Ispagna, gli fu inviata da san Turibio, vescovo d’Astorga. Il sovrano Pontefice gli scrisse di radunare in Concilio tutti i vescovi di Spagna, a fine di condannare l’eresia, e di estirpare ad ogni costo questa nuova zizzania dal campo del Padre di famiglia. San Leone nella sua lettera diceva : « Essi insegnano che nella santa Trinità non vi é che una sola Persona ed una sola cosa, chiamata ora il Padre, ora il Figliuolo, ora lo Spirito Santo; che Colui che genera, non è distinto da quello che è generato, né da Colui che procede dall’ uno e dall’altro. [S. Leo Magn. epist. 93, c. VI. ». Il concilio ebbe luogo a Toledo 1’anno 447. Presieduto dal santo vescovo di Astorga, egli condannò gli eretici. A fine di tagliare il male alla radice, e di mettere l’Occidente al coperto da tutti questi errori, fu deciso di inserire .nel simbolo di Costantinopoli la parola del vicario di Gesù Cristo che definiva sì bene la processione dello Spirito Santo, del Padre e del Figliuolo : “De utroque processit” [Battaglinì, Istor. univ. De’ conc., q. 217, 218.] L’aggiunta della quale si tratta, non era punto una innovazione, ma una spiegazione, simile a quella che il Concilio di Nicea aveva inserito nel simbolo degli Apostoli, ed il Concilio di Costantinopoli in quello di Nicea. San Tommaso osserva con ragione, che essa è d’altronde contenuta virtualmente nel Concilio stesso di Costantinopoli, approvato da tutti gli Orientali- « I greci medesimi, dice egli, capiscono che la processione dello Spirito Santo ha qualche rapporto col Figliuolo. Essi convengono che lo Spirito Santo è lo spirito del Figliuolo, e che esso è del Padre mediante il Figliuolo. Dicesi pure che parecchi accordano che lo Spirito Santo è del Figliuolo e che egli deriva da Lui, ma che non procede: distinzione che sembra fondata sull’ignoranza o sull’orgoglio.

« Di fatti, se vogliamo farvi attenzione, troveremo che la parola Processione, tra tutte quelle che esprimono l’origine di una cosa qualunque, è la più comune. Noi ce ne serviamo per indicare 1’origine di qualunque siasi natura; per esempio che la linea procede dal punto, il raggio dal sole, il fiume dalla sorgente. Tutti questi esempi ed altri ancora, autorizzano a dire con verità, che lo Spirito Santo procede dal Figliuolo…. Cosi questo domma é implicitamente contenuto nel simbolo di Costantinopoli, che insegna che lo Spirito Santo procede dal Padre. Ora ciò che è detto del Padre fa d’uopo necessariamente dirlo del Figliuolo, poiché essi non differiscono in nulla, se non che l’uno è il Figliuolo e l’altro il Padre. » [S. Th., I p., q. 36, art. 3. Cor. — Et De Potent, q. 10, art. 4, ad 13]. D’altronde san Leone scrivendone così nettamente in una lettera dottrinale, che lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figliuolo, non era che l’eco dei vicari di Gesù Cristo suoi predecessori: “Petrus per Leonem locutus est. Al tempo stesso del concilio di Costantinopoli il Papa san Damaso insegnava questa dottrina: « Lo Spirito Santo non è solamente lo spirito del Padre o del Figliuolo, poiché è scritto: Se qualcuno ama il mondo, lo Spirito del Padre non è in luì. E altrove : Se qualcuno non ha lo Spirito di Gesù Cristo, non gli appartiene. Questa nominazione del Padre e del Figliuolo, indica bene che si tratta dello Spirito Santo, del quale lo stesso Figliuolo dice nel Vangelo : Egli procede dal Padre; prenderà del mio e ve Io annunzierà. » [Joan. XV]. Dopo il Concilio di Toledo, tutti i cattolici di Spagna e delle Gallie recitarono il Simbolo di Costantinopoli con l’addizione Filioque. Dalla parte della Santa Sede nessuna opposizione; da quella degli Orientali nessuna reclamazione venne ad opporsi a quest’ usanza. Durava da quattro secoli, allorché Carlomagno rientrò nei suoi stati, dopo di essere stato coronato imperatore a Roma da Papa Leone III.

Ora, aveva egli ottenuto per le chiese del suo vasto impero, l’autorizzazione di cantare alla messa il simbolo di Costantinopoli. I vescovi riuniti ad Aquisgrana nell’807 gli domandarono se si poteva cantarlo in pubblico, come lo si recitava in privato, inserendovi l’addizione, Filioque. Il gran principe rispose che non apparteneva a lui il decidere, e che bisognava consultare il sovrano Pontefice. In conseguenza due vescovi e l’abate di Corbia, deputati del Concilio, si recarono a Roma. Il Papa gli accolse con benevolenza, ma rifiutò nettamente il permesso d’ inserire nel simbolo le quattro sillabe Filioque : « Senza dubbio, disse loro, è un articolo di fede inviolabile che lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figliuolo; ma non si può inserire nel simbolo tutti gli articoli di fede. D’altronde non bisogna modificare neppur di una sillaba i simboli decretati dai concilii ecumenici. » [Bini., ad Synod. Aquisgran., t. IlI, Concil.; Làbbé, t. VII, p. 1198; Bar., an. 809, n. 67.].  Per mostrare che la sua risoluzione era immutabile, il Papa ordinò di incidere subito in greco ed in latino il simbolo di Costantinopoli, senza l’aggiunta del Filioque sopra due scudi d’argento del peso di ottantacinque libbre, e li fece porre nella Basilica di san Pietro a destra e a sinistra della Confessione. [Anast Biblioth. in Leon. III, apud Bar., an. 809, n. 62.]. Diciamolo di volo, questo fatto e quello che riferiremo sono due prove monumentali della incorruttibile fedeltà della Chiesa Romana alle tradizioni del passato. Non solamente rifiuta alle preghiere di Carlo Magno suo benefattore d’inserire nel simbolo di Costantinopoli quattro sillabe che esprimono nettamente un articolo di fede; ma essa medesima non canta alla Messa nessun simbolo. Mentre tutte le sue figlie, le chiese d’Oriente e d’Occidente, fanno risuonare le loro basiliche del simbolo di Costantinopoli, essa si attiene a quello degli Apostoli : tuttavia non lo recita altro che nell’amministrazione del Battesimo, e quando l’uso prescrive la professione di fede. I secoli però camminano e le circostanze mutano coi secoli. La Chiesa romana sempre diretta dallo Spirito Santo, più tardi farà quel che essa ha da prima rifiutato, ugualmente infallibile nelle sue concessioni e nei suoi rifiuti. Finché la processione dello Spirito Santo non è attaccata, essa persevera nelle antiche sue tradizioni. Subito si fanno sentire sordi rumori, come pure verso l’anno 866, ai rumori succedono pubbliche negazioni: le quali hanno per organi in Occidente, il Patriarca d’Aquileja, ed in Oriente Fozio, patriarca intruso di Costantinopoli. Roma, per rispondere ad essi come aveva risposto ad Ario ed a Macedonio, fa inserire nel simbolo di Costantinopoli 1’aggiunta di Filioque. Essa stessa che, durante la Messa, non ha cantato mai alcun simbolo, canta quello di Costantinopoli, cosi spiegato, e ordina di cantarlo dappertutto. D’allora in poi un immenso concerto di voci cattoliche risponde dì e notte alle bestemmie dei novatori. [Bar., au. 883, n. 34.]. La maniera con cui ebbe luogo questa memorabile aggiunta offre un nuovo esempio della sapienza della Santa Sede, e della sua prudente lentezza. Fu convocato a Roma un numeroso Concilio, ove si rappresentò al Sovrano Pontefice che da molto tempo, le Chiese di Spagna, delle Gallie, d’Inghilterra e della Germania erano in libertà di cantare pubblicamente il simbolo di Costantinopoli; che Roma le approvava, ma che nelle attuali circostanze il suo prolungato rifiuto d’inserire l’aggiunta Filioque poteva passare agli occhi dei malevoli per un tacito biasimo, o per un timore di professare altamente la fede: che i nemici della Chiesa non mancherebbero di prevalersene, e quindi far nascere delle divisioni, forse uno scisma; che in ogni caso, quest’era il miglior mezzo di confondere Fozio ed i suoi aderenti. [Bar on., an. 888, n. 87; e an. 447, n. 23.].

Il sovrano Pontefice si arrese a queste ragioni, e l’autorizzazione fu accordata; se ne riporta la data all’anno 883. Pur nonostante, Roma medesima non cominciò a cantare il simbolo che 129 anni più tardi, nel 1014, dietro le istanze dell’imperatore sant’Enrico. Questo gran principe, degno di Carlo Magno, per le sue virtù e i servigi eminenti che aveva resi alla Santa Sede, essendo venuto a Roma per farsi coronare, fu sorpreso a non sentir cantare il Credo alla Messa, e ne chiese il perché. « Ecco, scrive l’abate Bernone, quel che gli fu risposto, presente me : La Chiesa di Roma non è stata mai macchiata di alcuna eresia; ma fedele alla dottrina di san Pietro, resta immutabile nella fede cattolica. Essa dunque non ha bisogno di professare la sua fede; questo è dovere delle chiese, che hanno potuto o che possono alterarla o perderla. ». [Bern. Abbas augen., De rebus ad miss. spectant, apud Baron an. 447, n. 24.]. « Magnifica risposta! Par tuttavia dietro le istanze dell’imperatore, papa Benedetto VIII decise che Roma stessa canterebbe da quind’ innanzi il simbolo che fu quello di Costantinopoli, con l’aggiunta Filioque. » [Baron an. 447, n. 24.]. In qualunque punto di vista noi ci poniamo, si scorge che nulla di più legittimo, né di più regolare vi fu di questa inserzione. Come le spiegazioni del simbolo a Nicea ed a Costantinopoli, cosi questa era richiesta dalle circostanze. È lo stesso vicario di Gesù Cristo che presiede un Concilio e che l’ordina. Infine essa non modifica la fede, ma la spiega. « Nessuno può, scrive un antico autore, prendere occasione d’accusare la santa e grande Chiesa di Roma, madre e maestra di tutte le altre, d’avere scritto, composto e insegnato una fede nuova. Lo spiegare l’antico simbolo in vista di prevenire l’alterazione della fede, non vuol dire né fare, né insegnare, né tramandarne un altro. « Sebbene depositaria dell’autorità sovrana, non rifiuta umiliarsi, rispondendo ciò che il concilio di Calcedonia rispose anticamente ai suoi detrattori, cioè: che mi si accusa ingiustamente. Io non stabilisco una nuova fede, rinnuovo soltanto la memoria dell’antica. Rischiarare un punto oscuro del simbolo, non vuol dire alterarlo. Io ho rinnovata la fede come i Padri dei secoli passati ; ed ho aggiunto ai concilii di Nicea, di Costantinopoli e di Calcedonia: ma non ho nulla insegnato che sia ad essi contrario. Fedele nel camminare sulle loro tracce, ho riscontrato dei punti attaccati, che al tempo loro non erano stati mai discussi. Ciò che non era da tutti bene compreso, ho dovuto schiarirlo con una parola d’interpretazione: questo è ciò che io ho fatto. » [Aeterian., apud Bar., an. 883, n. 38.]. Con tutto ciò i Greci, spinti dallo spirito d’orgoglio, rifiutarono ostinatamente di sottoscrivere l’aggiunta del Filioque. L’ambizioso settario che gli sviava, voleva ad ogni costo separare la chiesa orientale dalla chiesa occidentale; imperocché egli sperava, disconosciuta una volta l’autorità del sovrano Pontefice, farsi proclamare patriarca universale; intanto la morte fece svanire i suoi rei progetti, ma non spense lo spirito di ribellione ch’egli aveva soffiato.

Nel 1054, Michele Cerulario, altro patriarca di Costantinopoli, più audace di Fozio, negò formalmente che lo Spirito Santo procede dal Figliuolo. In una lettera diretta a Giovanni, vescovo di Trani, ardì manifestare la sua eresia, invitandolo a farne parte al sovrano Pontefice. Leone IX vi rispose, siccome si addice al custode della fede, scomunicando l’innovatore. Dal canto suo Cerulario, scomunicò il Papa e con lui tutta la Chiesa latina. La rottura fu completa, ed i Greci caddero nello scisma e nell’eresia. Tale fu, come più sotto vedremo, la fonte di tutte le loro sciagure. La Chiesa latina intanto nulla trascurò per ricondurre la sua sorella alla fede dei suoi padri. Dopo molti secoli d’inutili sforzi, questo ritorno tanto desiderato, si compie nel concilio di Lione nel 1274. Riuniti sotto la presidenza del Papa Gregorio X, i vescovi d’Oriente e d’Occidente espressero la loro fede in questi termini: « Noi facciamo professione di credere fedelmente e con pietà, che lo Spirito Santo procede eternamente dal Padre e dal Figliuolo, non come da due principii, ma come da un principio; non da due spirazioni, ma da una sola spirazione. » [Labbe Conc, , .t. II, p. 967]. La riunione era stata giurata per la tredicesima volta. Sventuratamente essa non fu più durevole delle altre. 2 [Battaglini, Istor ecc., p. 660, n. 11]. – Finalmente, il concilio di Firenze riunì di nuovo i Greci ed i Latini. Per soddisfare i primi, il domma della processione dello Spirito Santo fu, per ordine del Papa di nuovo esaminato; non vi fu mai discussione più profonda, più lunga, né più completa. Sofismi, sotterfugi, negative, semiconcessioni, immenso flusso di parole, avendo i Greci ricorso a tutti i mezzi per difendere il loro errore. Nella diciottesima sessione tenuta il 10 marzo 1439, Giovanni da Montenegro provinciale dei Domenicani di Lombardia, chiuse loro la bocca con un argomento senza replica: « Che cosa intendete voi per processioni?, domandò egli ai Greci. Che volete voi dire, quando affermate che lo Spirito Santo procede dal Padre? — Marco, arcivescovo di Efeso, rispose: Io intendo una produzione per la quale lo Spirito Santo riceve da Lui l’Essere e tutto ciò che egli è propriamente. — Benissimo, riprese il frate predicatore, noi tragghiamo pure questa conclusione : lo Spirito Santo riceve dal Padre l’essere, o ne procede, che è la medesima cosa. Ecco dunque come io ragiono: da chi lo Spirito Santo riceve l’Essere, da quello pure Egli procede. Ora, lo Spirito Santo riceve l’Essere dal Figliuolo, dunque lo Spirito Santo procede dal Figliuolo» secondo il proprio significato della parola processione, come voi stessi l’avete definito. Che lo Spirito Santo riceva Tessere dal Figliuolo, lo possiamo dimostrare con molte testimonianze. « Ma, interruppe Marco d’Efeso, di dove ricavate voi che lo Spirito Santo riceva l’Essere dal Figliuolo? La vostra domanda mi piace, replicò Frate Giovanni; ed io vi risponderò subito: che lo Spirito Santo riceva dal Figliuolo l’Essere, ciò si prova con la testimonianza indiscutibile da voi come da noi, di sant’Epifanio, il quale cosi si esprime: io chiamo Figliuolo quegli che è da Lui, e lo Spirito Santo Colui che solo è dei due. Secondo questa parola di sant’Epifanio, se lo Spirito è dei due, riceve dunque dai due l’Essere. Poiché secondo voi, ricevere l’Essere, o procedere, è la stessa cosa. Sappiamo da sant’Epifanio, ch’Egli riceve il suo Essere dal Padre e dal Figliuolo. » [Mansi, t. XXXI, col. 728. — Rohrhacher, Hist univ. t. XXI, p. 584, seconda ediz.]. L’argomento era tanto migliore, quanto più sant’Epifanio è uno dei Padri greci più antichi, e più venerato degli Orientali.

Finalmente il 6 luglio 1439, giorno dell’ottava degli Apostoli, san Pietro e san Paolo, fu celebrata l’ultima sessione del concilio. Alla presenza dell’augusta assemblea, ed in mezzo agli applausi dei Greci e dei Latini, vi si lesse il decreto d’unione, che cosi comincia : « Si rallegrino i cieli ed esulti la terra! Il muro che divideva la Chiesa d’Oriente e la Chiesa d’Occidente, è stato tolto di mezzo. La pace e la concordia è ristabilita, sulla pietra angolare, Gesù Cristo, il quale di due popoli non ne ha fatto che un solo. Noi definiamo, e vogliamo che tutti credano e professino, che lo Spirito Santo è eternamente dal Padre e dal Figliuolo; ch’egli ha la sua essenza ed il suo essere sussistente insieme al Padre ed ai Figliuolo; ch’Egli procede in eterno dall’uno e dall’altro, come da un solo principio e da una sola spirazione. Inoltre noi definiamo che la spiegazione Filioque é stata legittimamente e con ragione aggiunta al simbolo, per schiarire la verità, e per una necessità allora imminente. » [Defìnìmus explicationem verborum illorum Filioque, veritatis declarandae gratia, et imminente necessitate, licite et rationabiliter, fuisse symbolo appositam, ecc. Apud Labbe, ecc.].

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La gioia della Chiesa non fu di lunga durata; simile all’infedele Samaria, lo scismatico Oriente ricadde il giorno di poi negli errori che aveva abiurati la vigilia: ma la misura era colma. Salmanazar risuscitò in Maometto; e tredici anni solamente dopo il concilio di Firenze, l’impero dei Greci subì la sorte del regno di Israele.

 

I falsi vescovi senza mandato papale

A proposito dei falsi vescovi senza mandato papale, privi di giurisdizione, e dello stato di necessità degli pseudo-tradizionalisti.

Riprendendo l’argomento pretestuoso del cosiddetto “stato di necessità”, ventilato dai settari della sesta “colonnetta” che puntella i marrani usurpanti della “quinta colonna” oramai traballante, proponiamo questo brano di Dom Gueranger a commento del Vangelo di S. Giovanni cap. X, 1-10, al quale si era pure riferito S.S. Pio XII in Principis Apostolorum.

GesùBuonPastore

La fedeltà del vero pastore.

[da: “l’anno liturgico” vol. II, martedì. dopo Pentecoste

[-i grassetti sono redazionali-]

   Proponendo questo brano del vangelo ai neofiti della Pentecoste, la Chiesa voleva premunirli contro un pericolo che poteva presentarsi durante il corso della loro vita. Nel momento in cui siamo, essi sono le pecorelle di Gesù Buon Pastore, e questo divin pastore è rappresentato presso di essi da uomini che egli stesso ha investito della missione di pascere i suoi agnelli. Questi uomini hanno ricevuto da Pietro tale missione, e colui che è con Pietro è con Gesù. Ma spesso è accaduto che nell’ovile si siano introdotti falsi pastori, che il Salvatore qualifica col nome di ladri e di assassini, perché invece di entrare per la porta, hanno scalato il recinto dell’ovile. Ci dice che Egli stesso è la porta dalla quale devono passare coloro che hanno il diritto di pascere le sue pecore. Ogni pastore, per non essere assassino, deve aver ricevuto la missione da Gesù, e questa missione non può venire che da colui che Egli ha stabilito a rappresentarlo fino a che venga lui stesso.

Lo Spirito Santo ha diffuso i suoi doni nelle anime di questi nuovi cristiani; ma le virtù che sono in essi non possono esercitarsi in modo di meritare la vita eterna, che nel seno della vera Chiesa. Se, invece di seguire il pastore legittimo, essi avessero la disgrazia di affidarsi a falsi pastori, tutte quelle virtù diverrebbero sterili.

Essi devono dunque fuggire, quale straniero, colui che non ha ricevuto la sua missione dal solo Maestro che può condurli attraverso i pascoli della vita. Spesso, durante il corso dei secoli, si sono incontrati pastori scismatici; il dovere dei fedeli è di fuggirli, e tutti i figli della Chiesa devono prestare attenzione all’avvertimento che in questo brano dà nostro Signore. La Chiesa che egli ha fondato e che conduce per mezzo dello Spirito, ha il carattere di essere apostolica. La legittimità della missione dei Pastori si manifesta per mezzo della successione; e perché Pietro vive nei suoi successori, il successore di Pietro è la sorgente del potere pastorale. Chi è con Pietro è con Gesù Cristo.

A CHI SI DEVE NEGARE L’ASSOLUZIONE

A CHI SI DEVE NEGARE L’ASSOLUZIONE

confessione

 [Da: I TESORI DI CORNELIO ALAPIDE- vol. 1 S.E.I. Torino – terza ed. 1930]

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I confessori sono tenuti a negare o differire l’assoluzione:

1° a coloro che ignorano i misteri principali della fede, o i comandamenti di Dio e della Chiesa.

2° Ai padri, alle madri, ai padroni, alle padrone che non istruiscono o non fanno istruire o impediscono che s’istruiscano i loro figli, i loro dipendenti, delle cose necessarie alla salute, o che non vigilano la loro condotta.

3° A quelli che esercitano professioni, arti, mestieri cattivi di loro natura, o che non si possono esercitare senza peccato, come quelli d’istrioni, di spiritisti, di scrittori empi od immorali.

4° A chi conserva odio, che rifiuta di perdonare e di riconciliarsi.

5° A chi ha fatto torto o cagionato danno al prossimo, sia nella roba, sia nella fama e non vuole ripararlo secondo il suo potere, né promettere di farlo quando sarà in condizione.

6° A quelli che vivono nell’abito di un peccato mortale, se non si adoperano sinceramente e con ogni potere a svestirsene.

7° A coloro che stanno volontariamente esposti al peccato mortale, se non allontanano l’occasione; come anche a quelli che non vogliono cessare di farsi occasione prossima di peccato.

8° I peccatori pubblici non possono esseri ammessi ai sacramenti sino a tanto che non abbiano riparato, per mezzo di conveniente soddisfazione, lo scandalo dato; una semplice promessa non basta, si richiede una vera riparazione.