ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE

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ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE

Il senso della festa della Croce

[Dom Guéranger: l’Anno liturgico – vol. II]

« Abbiate in voi, fratelli miei, lo stesso sentimento da cui era animato il Cristo Gesù il quale esistendo nella forma di Dio, non considerò questa sua eguaglianza con Dio come una rapina, ma annichilì se stesso, prendendo la forma di servo e, divenendo simile agli uomini, apparve come semplice uomo. Egli umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce ». Le parole dell’Apostolo, che leggiamo nell’Epistola della Messa, ci danno il senso della festa che oggi celebriamo. I termini schiavo, croce sono, è vero, per noi parole correnti, perché hanno perduto il senso abbietto che avevano nel mondo antico, prima dell’era cristiana e perciò i destinatari della lettera di san Paolo capivano meglio di noi l’orrore della cosa e misuravano meglio di noi quanto Gesù Cristo si era abbassato con l’Incarnazione e la morte sulla Croce.

Il supplizio della Croce.

Non era la croce considerata dagli antichi come « il supplizio più terribile e più infamante » (Cicerone, In Verr. II )? Era allora cosa frequente vedere un ladro o uno schiavo messo in croce e ciò che di questo supplizio indirettamente conosciamo ci permette di valutarne l’atrocità. Il crocifisso moriva con lenta agonia, soffocato per l’asfissia, determinata dalla estensione delle braccia in alto, e torturato da crampi ai nervi irrigiditi.

Il culto della Croce.

Il Cristo ha subito lo spaventevole supplizio per ciascuno di noi; ha offerto al Padre, con un amore infinito il sacrificio del suo corpo disteso sulla Croce. Lo strumento di supplizio, fino allora oggetto di infamia, diventa per i cristiani la gloria e san Paolo non vuole aver gloria che nella croce del Signore, nella quale risiede la nostra salvezza, la nostra vita, la risurrezione, e per la quale siamo stati salvati e liberati (Introito della Messa). Il culto della Croce, strumento della nostra redenzione, si è molto diffuso nella Chiesa: la Croce è adorata e riceve omaggi, che non si concedono ad altre reliquie e le feste della Santa Croce rivestono particolare splendore. È stato già festeggiato il fortunato avvenimento del rinvenimento della Croce il tre maggio, oggi la Chiesa celebra l’Esaltazione della Croce, festa, che ha un’origine complessa ma che la storia ci permetterà di precisare.

Origine della festa.

La data del 14 settembre segna l’anniversario di una dedicazione, che lasciò nella storia ecclesiastica un profondo ricordo. Il 14 settembre del 335 una folla considerevole di curiosi, di pellegrini, di monaci, di clero, di prelati, accorsi da tutte le province dell’Impero, si riunivano a Gerusalemme per la Dedicazione del magnifico santuario restaurato dall’Imperatore Costantino nel luogo stesso dove il Signore aveva sofferto ed era stato sepolto. L’anniversario continuò ad essere celebrato con non minore splendore negli anni seguenti. La pellegrina Eteria, venuta a Gerusalemme, al tramonto del IV secolo, ci riferisce che più di 50 vescovi assistevano ogni anno alle solennità del 14 settembre. La Dedicazione aveva rito pari alla Pasqua e all’Epifania e si protraeva per otto giorni con immenso concorso di pellegrini.

Doppio oggetto della festa.

Altri elementi si aggiunsero in seguito alla festa anniversaria della Dedicazione. Primo fu il ricordo dell’antica festa giudaica dei Tabernacoli, che coronava le fatiche della vendemmia. Si credeva che fosse celebrata il 14 settembre e la festa cristiana della Dedicazione doveva prenderne il posto. Dal secolo IV un altro ricordo, questo prettamente cristiano, si attaccava alla festa del 14 settembre. e cioè il ritrovamento del legno sacro della Croce. Una cerimonia liturgica detta elevazione o esaltazione (hypsosis) della Croce ricordava tutti gli anni la fortunata scoperta. Il luogo in cui la Croce era stata innalzata era considerato centro del mondo e per questo un sacerdote alzava il legno sacro della Croce verso le quattro diverse parti del mondo. I pellegrini, a ricordo della cerimonia, si portavano a casa una minuscola ampolla contenente dell’olio, che era stata posta a contatto del legno della Croce.

Diffusione della festa.

La cerimonia prese un’importanza sempre più grande e avvenne che nel VI secolo il ricordo del rinvenimento della Croce e la Dedicazione avvenuta sul Golgota passarono in secondo piano. – I frammenti del sacro legno furono distribuiti nel mondo e con i frammenti si diffuse nelle Chiese cristiane la cerimonia della Esaltazione. – Costantinopoli adottò la festa nel 612, sotto l’Imperatore Eraclio e Roma l’ebbe nel corso del secolo VII. Sotto Papa Sergio (f 701) al Laterano il 14 settembre si ripeteva l’adorazione della Croce del Venerdì Santo e gli antichi Sacramentari hanno conservata un’orazione ad crucem salutandam in uso in tale cerimonia. Il rito durò poco e scomparve dagli usi romani, ma l’orazione restò nelle raccolte di orazioni private (Ephemerides liturgicae, 1932, p. 33 e 38, n. 16). Ai nostri tempi l’adorazione della Croce il 14 settembre si fa ormai solo nei monasteri e in poche Chiese.

Nuovo splendore della festa.

Un avvenimento venne nel corso dei secoli a rinnovare lo splendore della festa della Esaltazione. Gerusalemme nel 614 era stata occupata dai Persiani e messa a ferro e fuoco. Dopo le vittorie del pio Imperatore Eraclio, la città santa era stata restaurata ed Eraclio aveva ottenuto che fosse restituita la Santa Croce, portata dagli invasori a Ctesifonte. Il 21 marzo del 630, la Croce fu di nuovo eretta nella Chiesa del Santo Sepolcro e si riprese il 14 settembre seguente la cerimonia della Esaltazione.

Carattere nuovo della Festa.

Si resta stupiti nel vedere che la festa, ripristinata con l’antica cerimonia, ha un nuovo carattere di tristezza e di penitenza. Hanno forse contribuito a fare della cerimonia di adorazione un rito di intercessione, nel corso del quale si ripete il Kyrie eleison, le sventure dell’Impero. Il digiuno diventa in quel giorno di rigore, almeno nel mondo monastico. Il carattere di intercessione resta nei testi della nostra liturgia proprii della festa di questo giorno (Gli altri testi sono presi dalla festa del 3 maggio o dalla Settimana Santa). Offertorio e Postcommunio chiedono protezione e soccorso mentre il Vangelo ricorda l’Esaltazione del Figlio dell’uomo sulla Croce, figurata dal serpente di bronzo.Essendo stata l’adorazione della Croce un rito della festa di oggi per molto tempo, riportiamo la preghiera composta da sant’Anselmo per la cerimonia del Venerdì Santo.

Preghiera composta da sant’Anselmo

O Croce Santa, la vista della quale ci ricorda un’altra croce, quella sulla quale Nostro Signore Gesù Cristo ci ha strappati con la sua morte alla morte eterna, nella quale stavamo precipitando miseramente, risuscitandoci alla vita eterna perduta per il peccato, adoro, venero, glorifico in te la Croce che rappresenti e, in essa, il misericordioso Signore. Per essa egli compì la sua opera di misericordia. O amabile Croce, in cui sono salvezza, vita e resurrezione nostra! O legno prezioso per il quale fummo salvati e liberati! O simbolo di cui Dio ci ha segnati! O Croce gloriosa della quale soltanto dobbiamo gloriarci! Come ti lodiamo? Come ti esaltiamo? Con quale cuore ti preghiamo? Con quale gioia ci glorieremo di te? Per te è spogliato l’inferno; è chiuso per tutti coloro che in te sono stati riscattati. Per te i demoni sono terrificati, compressi, vinti, schiacciati. Per te il mondo è rinnovato, abbellito, in virtù della verità che splende e della giustizia che regna in Lui. Per te la natura umana peccatrice è giustificata: era condannata ed è salvata; era schiava del peccato e dell’inferno ed è resa libera; era morta ed è risuscitata. Per te la beata città celeste è restaurata e perfezionata. Per te Dio, Figlio di Dio, volle per noi obbedire al Padre fino alla morte (Fil. 2, 8-9). Per questo Egli, elevato da terra, ebbe un Nome che è al di sopra di ogni nome. Per te Egli ha preparato il suo trono (Sal. IX, 8) e ristabilito il suo regno. Sia su di te e in te la mia gloria, in te e per te la mia vera speranza. Per te siano cancellati i miei peccati, per te la mia anima muoia alla sua vita vecchia e sorga a vita nuova, la vita della giustizia. Fa’, te ne prego, che, avendomi purificato nel battesimo dai peccati nei quali fui concepito e nacqui, tu ancora mi purifichi da quelli che ho contratto dopo la nascita alla seconda vita, e che per te io pervenga ai beni per i quali l’uomo è stato creato per il medesimo Gesù Cristo -Nostro Signore, cui sia benedizione nei secoli.

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Preghiera

[Manuale di Filotea – Milano 1888 impr.]

“Con tutte le forze del mio cuore, vi amo, vi lodo, vi benedico, vi adoro, o vera Cattedra di sapienza, per tutti i popoli della terra, o Arma debellatrice di tutte le infernali potenze, o Strumento stimabile della comun redenzione, santissima Croce di Gesù Cristo. Voi, nobilitata dal sangue dell’Agnello divino, siete divenuta tutt’assieme la speranza dei peccatori, il conforto de’penitenti, la consolazione dei giusti, e il carattere distintivo di tutti i discepoli del vero Dio. I più potenti Re della terra si recano sempre ad onore il farvi ossequio, e, piantandovi in mezzo alle lor corone, vi dichiarano pubblicamente per la loro difesa, per la loro gloria. Deh apprenda io una volta quelle divine lezioni di umiltà, di pazienza, di mansuetudine, di carità, di costanza che ci diede morendo sopra di voi l’Autore di nostra fede, il Consumatore della nostra salvezza! Colla contrizione la più sincera io detesto tutto quel tempo in cui ho ricusato di conformare ai vostri insegnamenti la mia condotta: e colla risoluzione la più ferma, protesto di volere per l’avvenire portarvi con santo coraggio e con edificante allegrezza, mortificando in ogni maniera gli affetti sregolati del mio cuore, i sensi sempre ribelli del mio corpo, e sopportando con pazienza e con gioia, tutte quelle traversie con che l’amoroso mio Salvatore si compiacerà di provarmi, onde, dopo essere stato con Lui compagno degli obbrobri e delle pene che soffrì disteso sulle vostre braccia, possa partecipare con Lui alla beatitudine di quel regno di cui voi siete la chiave.” 3 Pater all’agonia di Gesù.

A S. Elena Imperatrice.

Per la premura che voi aveste di trarre dalle rovine in cui stava nascosta la santa Croce di Gesù-Cristo, e per lo strepitoso miracolo dell’immediato e perfetto risanamento di un moribondo con cui il cielo benedisse i vostri desideri, perché si distinguesse da tutti gli altri il legno della comun redenzione, impetrateci, o incomparabile S. Elena, di non gloriarci mai d’altro che della Croce di Gesù Cristo, e di portare con santa rassegnazione la mistica croce dei patimenti. 3 Gloria.

 

LITANIE DELLA SANTA CROCE.

Voglio amarvi sempre più,

Santa Croce di Gesù.

Fondamento della Chiesa,

Stendardo dei Cristiani,

Redenzione degli uomini,

Venerazione degli Angioli,

Sconfitta dei Demomi,

Speranza dei peccatori,

Conforto dei penitenti,

Allegrezza de’ giusti.

.Magnificenza dei Re,

Vaticinio dei Profeti,

Predicazione degli Apostoli

Fortezza dei Martiri,

Sapienza dei Dottori.

Porto dei naufragati,

Baluardo agli assediati.

Guida dei ciechi.

Sostegno dei deboli,

Sollievo degli afflitti,

Medicina degli infermi,

Risurrezione dei morti

Gaudio dei sacerdoti

Mortificazione dei monaci,

Castità delle vergini,

Concordia dei coniugati,

Custodia dei bamboli,

Istruzione dei giovani,

Direzione degli adulti,

Meta dei vecchi,

Ricchezza dei poveri.

Moderazione dei ricchi,

Nutrimento degli orfani,

Protezione delle vedove.

Luce nelle tenebre,

Consiglio ne’ dubbi,

Difesa ne’ pericoli.

Principio della salute,

Strada della vita.

Distruzione del peccato,

Conservazione della grazia,

Misura della gloria,

Terrore dell’Inferno,

Chiave del Paradiso.

Ad ogni Litania si può ripetere:

Voglio amarvi sempre più – Santa Croce di Gesù.

 

INVOCAZIONE ALLA CROCE DI S. TOMASO D’AQUINO.

Crux mihi cèrta salus,

Crux est quam semper adoro

Crux Domini mecum.

Crux mihi refugium,

[La Croce è la mia salute.

La Croce io sempre adoro

La Croce del Signore è con me

La Croce è il mio rifugio.]

Il S Padre Pio IX, con Rescritto di propria mano, 21 gennaio 1874 concesse Indulgenza di 300 giorni una volta al giorno a chiunque reciterà devotamente e con cuore almeno contrito le suddette preci espresse in forma di Croce dall’Angelico Dottore S Tommaso.

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INNO ALLA SANTA CROCE

Vexilla Regis prodeunt;

Fulget Crucis mysterium,

Qua vita mortem pertulit,

Et mortem vita reddidit.

Vigunt cruenti Numinis

clavi manus vestigia;

Redemptionis gratia,

Hic immolatur hostia.

Post vulneratus impiane

Muerone diro lanceæ,

Ut nos lavaret crimine,

Manavit unda et sanguine.

Impleta sunt quæ concinit

David fideli Carmine,

Dìcendo nationibus.

Regnavit a ligno Deus.

Arbor decora et fulgida,

Ornata Regis purpura,

Electa digno stipite

Tum sancta membra tangere

Beata, cujus brachiis,

Salus pependit saeculi,

Statera facta est corporis,

Tulitque prædam Tartari;

O Crux, Ave, spes unica,

Hoc passionis tempore (1)

Piis adauge gratiam,

reisque dele crimina.

Te, summa cœlis Trinitas,

Collaudet omnis spiritus

Quos, per Crucis mysterium,

Salvas, tuere jugiter. Amen.

(1) Nel tempo pasquale — Paschale quae fers gaudium.

Nella festa dell’Esaltazione — In hoc triumphi gloria.

[Indulgentia quinque annorum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodo quotidie per integrum mensem hymnus pie recitatus fuerit – S. C. Indulg. , 16 Ian. 1886; S. Pæn. Ap., 29 Apr. 1934]

[trad. in versi]

[Del Monarca s’avanza il vessillo

Della Croce rifulge il mistero

Onde a morte distrusse l’impero

Ei che a tutti la vita rendè.

Del divino Paziente le mani

Qui trafissero i chiodi ferali

E a riscatto di tutti i mortali

Qui l’Eterno olocausto si fe’.

Qui da barbara lancia si vide

I1 divin costato trafitto.

E a mondarci del primo delitto

Sangue insiem con acqua verso.

E fu allor che del regio Profeta

Si compiè la famosa parola.

Lorchè disse: Israel ti consola,

Che l’Eterno da un legno regnò.

O dell’ostro regal rivestito,

Arbor santo, fra mille tu solo

Del Signor della terra e del polo

L’almo corpo prescelto a toccar;

La salute del mondo sostennero

Le tue braccia tre volte beate;

E le schiere d’abisso, spogliate,

Di lor preda, si vider tremar;

Salve, o Croce, che l’unica speme,

Sei dell’uom, deh! compine i voti

Per te cresca la grazia ai devoti

E dei rei si cancelli l’error.

Ogni spirto ti lodi.o granTriade,

E di lor che a salvezza tu guidi

Per la Croce deh! muovanti i gridi

E li guarda con occhio d’amor].

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Omelia di san Leone Papa

Sermone 8 sulla Passione del Signore, dopo la metà

Dopo l’esaltazione di Cristo sulla Croce, o dilettissimi, il vostro spirito non si rappresenti soltanto l’immagine che colpì la vista degli empi, ai quali dice Mosè: «La tua vita sarà sospesa dinanzi ai tuoi occhi, e sarai in timore notte e giorno, e non crederai alla tua vita» (Deut. 28,66). Infatti essi davanti al Signore crocifisso non potevano scorgere in lui che il loro delitto, ed avevano non il timore che giustifica mediante la vera fede, ma quello che tortura una coscienza colpevole. Ma la nostra intelligenza, illuminata dallo spirito di verità, abbracci con cuore puro e libero la Croce, la cui gloria risplende in cielo e in terra; e coll’acume interno penetri il mistero che il Signore, parlando della sua prossima passione, annunziò così: «Adesso si fa il giudizio di questo mondo, adesso il principe di questo mondo sarà cacciato fuori. E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutto a me» (Joann. 12,21). – O virtù ammirabile della Croce! o gloria ineffabile della Passione, in cui è e il tribunale del Signore, e il giudizio del mondo, e la potenza del Crocifisso! Sì, o Signore, attirasti tutto a te, allorché, «dopo aver steso tutto il giorno le tue mani a un popolo incredulo e ribelle» (Is. 65,2), l’universo intero comprese che doveva rendere omaggio alla tua maestà. Attirasti, Signore. tutto a te, allorché tutti gli elementi non ebbero che una voce sola per esecrare il misfatto dei Giudei; allorché oscuratisi gli astri del cielo e il giorno cangiatosi in notte, anche la terra fu scossa da scosse insolite, e la creazione intera si rifiutò di servire agli empi. Attirasti, Signore, tutto a te, perché squarciatosi il velo del tempio, il Santo dei santi rigettò gl’indegni pontefici, per mostrare che la figura si trasformava in realtà, la profezia in dichiarazioni manifeste, la legge nel Vangelo. – Attirasti, Signore, tutto a te, affinché la pietà di tutte le nazioni che sono sulla terra celebrasse, come un mistero pieno di realtà e senza alcun velo, quanto era nascosto nel solo tempio della Giudea, sotto l’ombre delle figure. Difatti ora e l’ordine dei leviti è più splendido, e la dignità dei sacerdoti è più grande, e l’unzione che consacra i pontefici contiene maggior santità: perché la tua Croce è la sorgente d’ogni benedizione, il principio d’ogni grazia; essa fa passare i credenti dalla debolezza alla forza, dall’obbrobrio alla gloria, dalla morte alla vita. E adesso che i diversi sacrifici d’animali carnali sono cessati, la sola oblazione del corpo e sangue tuo rimpiazza tutte le diverse vittime che la rappresentavano: ché tu sei il vero «Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo» (Joann. 1,29); e così tutti i misteri si compiono talmente in te, che, come tutte le ostie che ti sono offerte non fanno che un solo sacrificio, così tutte le nazioni della terra non fanno che un solo regno.

 

 

L’AMORE DI DIO

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1.-Vi è un doppio amore. — 2. Necessità d’amare Dio. — 3. Motivi d’amare Dio ricavati da Lui medesimo, ossia dalle infinite sue perfezioni. — 4. Motivi d’amare Dio, ricavati dall’amor suo verso gli uomini. — 5. Amore infinito di Dio nella creazione e nel modo di comunicarsi all’uomo. — 6. Come il Padre ci ha dato prova del suo amore nell’Incarnazione e nella Redenzione di Gesù Cristo. 7. Quanto ci ha amati il Figlio facendosi uomo e morendo per noi. — 8. Eccellenza dell’amor di Dio — 9. L’amore ci fa imitatori di Dio. — 10. L’amore ci unisce a Dio, e ci fa vivere di Gesù Cristo e per Gesù Cristo. — 11. Amare Dio è un amare se stesso. — 12. L’amor di Dio unisce gli uomini tra di loro. — 13. L’amor di Dio rende invincibile. 14. L’amor di Dio scaccia i Demoni. — 15. L’amor di Dio distrugge il peccato. — 16. L’amor di Dio ci fa disprezzare tutto il resto. — 17. L’amor di Dio scaccia la tiepidezza. — 18. L’amor di Dio illumina. — 19. A chi ama Dio ogni cosa si volge in bene. — 20. Dolcezza e felicità d’amare Dio. — 21. A chi ama, tutto è facile e leggero. — 22. L’amor divino racchiude tutti i beni. — 23. Per amare Dio bisogna osservare la sua legge. — 24. Diversi gradi dell’amor divino. — 25. Qualità dell’amor divino. — 26. Rammarico di non aver amato Dio. — 27. Quanto sia disgraziato chi non ama Dio. — 28. Come bisogna amare Dio. — 29. Mezzi di amare Dio.

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1. Vi è un doppio amore. — L’amore dell’uomo verso Dio è di due specie: cioè l’amore di concupiscenza, o imperfetto; e l’amore di pura carità, ossia perfetto. Con l’amore di concupiscenza noi studiamo di piacere a Dio, affinchè ci dia per ricompensa la vita eterna; questo amore è buono, ma piuttosto che un atto di carità si deve chiamare un atto di speranza. L’amore perfetto poi, col quale noi ci adoperiamo di piacere a Dio e fare quello che gli è gradito, consiste nell’amarlo esclusivamente per se stesso, senz’avere di mira la ricompensa; questo amore è propriamente quello che si chiama carità perfetta.

2. Necessità d’amare Dio.  — « Tu amerai il tuo Signore Iddio con tutto il tuo cuore, con tutta l’anima, con tutte le facoltà tue » (Beuter. VI, 5). Questo precetto dava Dio agli Ebrei, e perché fossero ben persuasi dell’alta sua importanza, soggiungeva che scolpissero queste parole dentro il proprio cuore, e le meditassero in casa ed in viaggio, la notte e il giorno, le ripetessero e insegnassero ai figli, le legassero come un ricordo ai polsi e le tenessero scritte innanzi gli occhi; e le scrivessero su le porte della casa (Ib. 7-9). Quest’obbligo ripeteva e inculcava Gesù Cristo nella nuova legge, riportando le medesime parole dell’antica, e avvertiva essere questo il primo ed il più eccellente dei comandamenti (Matth. XXII, 27-28). « Ama, aveva detto anche l’Ecclesiastico, a tutto tuo potere Colui che ti ha creato » (Eccli. VII, 32); ed in altro luogo: « Ama Dio per tutta la tua vita, ed invocalo per la tua salute » (Ib. XIII, 18). Il motivo che ci deve spingere ad amare Dio, è che Dio forma l’anima e la vita dell’anima nostra. Ora non è giusto che l’anima renda a Dio quel che il corpo rende all’anima, e che noi facciamo tutto per amor di Dio? Niente più teme il corpo che d’essere separato dall’anima, niente più deve temere l’anima, che d’essere separata da Dio: quindi l’Apostolo S. Giuda ci fa un obbligo di conservarci nell’amor di Dio (Iud. 21). Il cavallo è nato per correre, ed è questo il suo fine, come il fine dell’uccello è il volare, quel del bue l’arare, quel del cane l’abbaiare, quel del fuoco lo scaldare, quel dell’acqua il dissetare…; l’uomo è nato per amare Dio: questo è il suo ultimo fine. « Quand’io parlassi le lingue degli uomini e degli Angeli scriveva S. Paolo a’ Corinzi, se non ho la carità, sono come un bronzo sonante o un cembalo squillante. E quando avessi la profezia e intendessi tutti i misteri, e tutto lo scibile; e avessi tutta la fede, talmente che trasportassi le montagne, se non ho la carità, sono un niente. E se pure distribuissi in nutrimento ai poveri tutte le mie facoltà, e quando sacrificassi il mio corpo ad essere bruciato, se non ho la carità, nulla mi giova » (1 Cor. XIII, 1-3). Il medesimo Apostolo dice ancora : « La carità di Cristo ci spinge » (II Cor. V, 14). « Gesù Cristo è morto per tutti, affinché quelli che vivono, non vivano più per se stessi, ma per Colui che è morto e risuscitato per loro » (Ib. V, 15). L’amor di Dio è così grande cosa, dice S. Agostino, che a colui che ne è privo, niente giova possedere tutto il resto; e chi ne è fornito, non difetta di nulla. E aggiunge in altro luogo: «Può la fede trovarsi senza la carità, ma non può, senza la carità, essere nè fruttuosa, nè utile ». Udite anche S. Bernardo: « La castità senza la carità è una lampada senz’olio; togliete l’olio e la lucerna, non fa lume; togliete l’amor di Dio e la castità perde il suo pregio ».
« Lo scopo de’ comandamenti è la carità, », dice S. Paolo a Timoteo (I Tim. 1, 5) : e nel precetto dell’amor di Dio tutto si riassume, secondo la parola di Gesù Cristo, la legge e la profezia (Matth. XXII, 40). « O anima mia, esclama S. Agostino, creata a imagine di Dio, riscattata col sangue di Gesù Cristo, sposa della fede, dotata dallo Spirito, ornata di virtù, fatta pari agli Angeli, ama Colui che tanto ti ha amato; pensa a Colui che di te non mai si dimentica; cerca Colui che ti cerca; dònati tutta quanta a Colui che si dona a te tutto intero. Questo gran Dio non si occupa che di te, e tu non occuparti di altri che di Lui; Egli lascia in certo modo ogni cosa per te, e tu ogni altro affare lascia per Lui; Egli è la santità per essenza, e tu sii santa; Egli, è la purità in persona, e tu sii pura… Deh! che il cielo, la terra e tutto quanto in essi è contenuto non cessano un istante dal gridarmi, che ami Voi, mio Dio; e quello che dicono a me, lo predicano senza posa a tutti, affinchè essi siano inescusabili se non V’amano ».

3. Motivi d’amare Dio ricavati da Lui medesimo, ossia dalle infinite sue perfezioni. — Bisogna amare Dio, anzitutto perché Egli è sommamente amabile. Dio è tutto amore, dice S. Giovanni (I Episl. IV, 8); Dio è una fornace ardente che tutto infiamma, predica San Paolo (Hebr. XII, 29); « Che cosa è Dio? soggiunge S. Bernardo; Dio è la volontà onnipotente, la virtù amorosissima, il lume eterno, l’immutabile ragione, la suprema beatitudine ». Dio è l’eternità, la misura, l’ordine, la causa, il fine di tutte le cose. Egli è il principio e il termine di tutte le creature: è il sommo, l’immenso, l’increato bene… Ah! sì! esclama S. Agostino, è povertà e indigenza ogni abbondanza e ogni ricchezza, che non sia il mio Dio. Infinito nella sua essenza, Dio è pur tale nei suoi divini attributi, ed in ciascheduno di essi. Dio ha una santità infinita, una potenza infinita, una sapienza infinita, una misericordia infinita, una scienza infinita, una bontà infinita, e così via di ogni altro attributo. Dio sorpassa all’infinito non solo tutto ciò che esiste, con tutte le sue perfezioni e qualità, ma ancora tutte le cose possibili ed immaginarie; e le sorpassa non di cento, non di mille, non di milioni, di gradi, ma infinitamente al disopra di ogni calcolo. Contemplate finché potete la sapienza, la potenza, la bontà, la bellezza, la ricchezza, ecc…, e spingete coll’immaginazione queste perfezioni all’infinito; quando sarete arrivati a quel punto, sappiate che tutti i vostri pensieri e i vostri calcoli, nè solo i vostri, ma tutti i pensieri e i calcoli di tutti gli uomini e di tutti gli Angeli, non si sono avvicinati e’un passo all’infinità delle perfezioni di Dio: sappiate che tutt’altro che aver raggiunto l’essere divino, voi ve ne trovate tuttavia ad una distanza infinita. Si tacciano, esclama Isaia, tutti gli spiriti, ammutoliscano le lingue e le voci tutte, si velino per riverenza e s’annientino i Cherubini. e i Serafini… perché tutti gli Angeli insieme riuniti, con tutte le loro fiamme d’amore, non sono capaci né d’intendere, né tanto meno di penetrare il più basso grado della vostra gloria, o mio Dio… Esclamiamo anche noi col Salmista: « Grande è il Signore e al di sopra d’ogni lode; la sua grandezza non conosce confini » (Psalm. CXL1V, 3). E col Profeta Baruch: « Dio è grande, eterno, elevato, infinito » (Baruch III, 25).

4. Motivi: d’amare Dio, ricavati dall’amor suo verso gli uomini.  — Bisogna in secondo luogo amare Dio perché Egli ci ha sommamente amati, come già aveva detto il Signore per bocca di Geremia: « Io v’ho amati d’un amore eterno, perciò vi ho a me attirati nella mia misericordia » (Ier. XXXI, 3); e ci ripete S. Giovanni: «Amiamo dunque Iddio, perché Egli ci ha amati per il primo » (I Ioann. IV, 13). Nell’amore infinito che Dio porta all’uomo, noi dobbiamo ammirare : 1° l’amore ch’Egli nutrì per noi da tutta l’eternità, senza che avesse bisogno di noi, perché possiede in se stesso tutte le cose; 2° considerare che non ci ama per qualche necessità, ma affatto liberamente e liberalmente; 3° che Egli ci ama senza utilità veruna a suo riguardo; 4° che Egli ama l’uomo prima che questo abbia la ragione, o qualche merito e dignità che possa cattivarne l’amore; anzi lo ama quando lo vede carico di molti e gravi demeriti per i quali si meriterebbe non amore, ma odio; 5° ch’Egli ha amato anche coloro i quali previde che sarebbero divenuti a Lui ingrati e nemici; 6° questo amore di Dio verso gli uomini non proviene dall’- Ma qual saviezza vi può essere in Dio, ripiglierete voi, nell’amare gli uomini miserabili e peccatori? non è questo per certo un oggetto amabile in se stesso. Ma in Dio, la ragione di amare non proviene, come negli uomini, dall’amabilità dell’oggetto, ma da Dio medesimo. E in vero Dio ci ama per sé, perché è infinitamente buono; perciò vuole spandere sopra di noi la sua liberalità e i suoi benefizi, non ostante l’indegnità nostra. La bontà infinita di Dio è dunque la base e la ragione del suo amore per gli uomini, della comunicazione de’ suoi doni e di se stesso. In Dio vi è una volontà infinita e un desiderio immenso di comunicarsi, i quali nascono dalla perfezione e dalla pienezza infinita della sua essenza, e questa è tale che lo porta a donarsi, e per grandi che siano le sue larghezze, Dio non perde nulla della sua pienezza. Egli è come una sorgente da cui sgorgasse del continuo tant’acqua, quanta se ne attingesse… Dio è per le cose spirituali quello che è il sole per le corporali, dice S. Gregorio Nazianzeno. Come il sole irradia i suoi raggi benefici per ogni parte, per illuminare, scaldare, vivificare, fecondare la natura; così Dio spande sopra tutte le creature, ma specialmente su gli Angeli e su gli uomini, i raggi divini della sua beneficenza, per illuminarli col lume della sua sapienza, scaldarli col fuoco del suo amore, vivificarli con la vita della grazia e della gloria (Distich.), Questa larghezza di benefizi da parte di Dio è immensa e ci apparisce meravigliosa se consideriamo: 1° la maestà di Colui che ama, di Colui che dona; 2° la condizione di coloro ai quali Egli dona, perché se ne osservate la natura, sono uomini e tengono l’ultimo grado tra le intelligenze; se ne considerate le qualità dell’anima, essi sono peccatori, nemici di Dio, orgogliosi, ingrati, carnali, fiacchi nel bene, ardenti nel male; se ne guardate il corpo, sono mortali, acciaccosi, vili, ributtanti e destinati a pasto dei vermi.
5. Amore infinito di Dio nella creazione e nel modo di comunicarsi all’uomo. — Dio poteva lasciarci nel nulla… Creandoci, poteva lasciarci allo stato de’ minerali, de’ vegetali o de’ bruti… Eppure no; ma ci ha creati ragionevoli, fatti a sua immagine, capaci di conoscerlo, di servirlo, d’amarlo… Ci ha creati immortali e destinati all’immortalità beata… Egli si compiace e si diletta di conversare tra gli uomini (Prov. Vili, 31) : 1° perchè si prende specialissima cura di tutti e di ciascuno, vedendo in essi la sua viva immagine e il suggello della divinità; per loro ha creato il mondo e quanto il mondo contiene; 2° perché non ad altri fa parte della sua sapienza se non all’- E notate, prima di tutto, che Dio si comunica agli uomini noni come a servi, a schiavi; ma come a figli chiamati suoi eredi e coeredi di Gesù Cristo. In secondo luogo la sua bontà ha trovato il mezzo di discendere fino al debole, di guarire l’infermo, di raccogliere il derelitto, d’innalzare colui ch’era piccolo, di arricchire abbondantemente il mendico, e di soccorrerci tutti. Dio ha dimostrato d’essere la bontà e l’amore per essenza, scrive S. Bernardo, creando gli spiriti, perché godessero di Lui; dando la vita, per far sentire e comprendere il suo amore; attraendoci, affinché Lo desideriamo; dilatando l’uomo, perché alberghi Dio; giustificandolo, perché meriti la grazia e la gloria; infiammandolo, per portarlo allo zelo; fecondandolo, acciocché produca frutti di vita; dirigendolo verso la giustizia; informandolo alla beneficenza; moderandolo, affinché divenga saggio; fortificandolo, affinché acquisti la virtù; vivificandolo, per consolarlo; illuminan-dolo, perché vegga; conservandolo, per l’immortalità; riempiendolo, per bearlo di felicità; circondandolo, perché abiti in sicurezza (Serm. in Cantic.). In terzo luogo Dio ci si comunica moltissime volte prima che noi pensiamo a Lui, Lo desideriamo, Lo cerchiamo. Così fa in tutte le grazie prevenienti, per eccitarci a sollecitare le grazie conseguenti le quali sono poi anche esse, come osserva S. Ambrogio, sempre più abbondanti di quello che noi abbiamo domandato. Oh sì, quante volte non vi è accaduto di aver chiesto a Dio una grazia speciale, ed Egli ve l’abbia concessa, ma accompagnata da tante altre da voi punto domandate? Il re Ezechia implora soltanto la sanità; Dio gliela concede e vi aggiunge quindici anni di vita, una vittoria miracolosa e la strage di cento ottantacinque mila Assiri (Isai. XXXVIII). Salomone chiede la sapienza; l’ottiene, ed ha per di più ricchezze immense e sfolgorante gloria (III Reg. III). Daniele supplica per la liberazione del popolo schiavo in Babilonia; Dio l’esaudisce e gli fa inoltre la promessa della venuta del Messia, che deve riscattare il mondo intero dalla schiavitù del Demonio (Dan. IX, 14). Davide domanda un figlio e questo figlio è il Messia (lI Reg. VII, 12).

6. Come il Padre ci ha dato prova del suo amore nell’Incarnazione e nella Redenzione di Gesù Cristo.  — « Dio ha talmente amato il mondo, dice S. Giovanni, che ha dato il Figliuol suo Unigenito — (Ioann. IlI, 16). Talmente, cioè ha amato il mondo d’un amore così grande, così eccessivo che non esitò a dargli l’Unigenito Figliuol suo. Non è un re, né un Angelo quegli che tanto ci ha amati il primo e gratuitamente, senza che noi, non solo non abbiamo meritato, ma neppure desiderato così gran dono. Egli ha amato il mondo, suo capitale nemico, il mondo degno dell’eterna riprovazione, e l’ha amato al punto di dargli non uno straniero, non un figlio qualunque adottivo, ma il suo proprio Figlio: e Figlio non scelto fra molti, ma Unigenito. Gliel’ha dato non a prezzo d’oro o d’argento, ma gratuitamente : non gliel’ha dato perché salisse un trono o menasse trionfi, ma perché fosse condannato a morte e crocifisso. Così ha fatto non per proprio vantaggio o per utile del Figliuol suo, ma affinché la morte di quest’unico Figlio renda a noi la vita e ci sollevi a misura delle umiliazioni patite da Gesù Cristo, e dell’annientamento a cui soggiacque, per colmarci di ricchezze, di beni immensi e finalmente d’una gloria eterna. « No, soggiunge ancora l’evangelista S. Giovanni, Dio non ha inviato quaggiù il Figliuol suo, affinché condanni il mondo, ma affinché il mondo sia salvato per mezzo dell’Unigenito di Dio » (Ioann. IlI, 17). Ah! esclama il grande Apostolo in uno slancio d’amore e di riconoscenza, se Dio Padre non ha risparmiato il suo proprio Figlio, e l’ha consegnato alla morte per noi, che cosa non possiamo aspettarci da Lui dopo un tanto dono? (Rom. Vili, 32). Sì, ripiglia l’Apostolo prediletto, « in questo si vide manifesta la grande carità di Dio verso di noi, che ha mandato l’Unigenito suo nel mondo, affinché noi viviamo per Lui » (I Ioann. IV, 9).

7. Quanto ci ha amati il Figlio facendosi uomo e morendo per noi. — Qui si trova la lunghezza, la larghezza, l’altezza, la profondità dell’amor divino; qui dobbiamo esclamare con S. Paolo: — O altitudo! — O mistero impenetrabile del più sublime e del più grande amore! Un Dio si fa uomo (Ioann. I, 14); muore su la croce; ed è il suo amore che lo spinge ad incarnarsi e a morire. O amore!… Dio ci ha amati da tutta l’eternità, ma per questo non gli bisognò che un pensiero; ci ha amati nella creazione, ma gli bastò una parola; nella Redenzione ci ha amati fino a morire per noi. Calcolate la potenza e l’immensità del suo amore dalla sua Incarnazione, dalla vita sua di patimenti e di dolori, dalla sua morte. Il Figlio di Dio ci ha amati del più tenero, del più efficace amore, che non si dimostrò in parole, ma in fatti. Spinto da quest’amore Egli ha volontariamente e liberamente donato non ricchezze terrene a fratelli od amici suoi, ma ha donato se stesso a noi peccatori suoi nemici, per pagare i nostri debiti, espiare i nostri misfatti, distruggere la morte e darci la vita. « La grazia di Nostro Signore ha sovrabbondato », dice S. Paolo (I Tim. I, 14). Ah! diciamo anche noi con Zaccaria: «Benedetto sia il Signore Iddio d’Israele, perché ci ha visitati ed effettuato la liberazione del suo popolo. Ha inalberato lo stendardo della salute, ci ritolse ai nostri nemici, e dalle mani ci strappò di coloro che ci odiavano. Dio, spinto dalla sua misericordia è disceso dall’alto e ci ha visitati » (Luc. I, 67-78).
Gli effetti dell’amor divino a nostro riguardo, amore perfetto ed evidente, sono la sua Incarnazione nel seno d’una Vergine, le sue predicazioni, i suoi viaggi, i suoi travagli, le sue umiliazioni, i suoi miracoli, la sua passione, la sua morte, i suoi Sacramenti, la discesa dello Spirito Santo, la cura tutta speciale Ch’Egli si prende della Chiesa e di ciascun fedele. Sapete, dice Teodoreto, dove sta il più eccelso, il sommo grado della bontà divina, dell’ineffabile misericordia, della immensa clemenza, dell’inenarrabile carità dell’autore e consumatore d’ogni bene? Sta in ciò, che il Creatore e Signore di tutte le cose, il Principe sovrano, il Dio forte, l’Essere immutabile abbia liberato dalla morte e dalla schiavitù del Diavolo quell’atomo, quell’essere soggetto alla morte, corruttibile, ingrato, inutile, che si chiama l’uomo; che gli abbia dato tal libertà, per cui fu assolutamente e completamente affrancato e se lo adottò in figlio; che sia infine divenuto l’amico degli uomini, loro pane, loro vino, loro vita, loro porta, loro via, loro luce, loro risurrezione (In Evang.).
Oh! ben possiamo dire con la Sposa de’ Cantici: «Voce del mio Diletto: ecco ch’Egli viene saltellando pei monti, valicando i colli. Ecco che il mio Diletto mi parla: Sorgi: affrèttati, o mia Diletta, colomba mia, bella mia, e vieni: — Il Diletto mio che si pasce fra i gigli, è tutto a me ed io tutta a Lui » (Cantic. II, 8, 10, 16). – Più si considera l’amore infinito di Gesù Cristo, e più si trasecola per lo stupore. L’oggetto, il motivo dell’amore è il bene, e gli uomini s’inducono ad amare gli uomini perché sono belli, savi, ricchi, delicati, nobili, e veramente buoni. Ora che avete voi, o Salvatore divino, trovato di buono o di bello in noi che abbia potuto guadagnare il vostro amore? Noi poveri, abbietti, mendichi, stolti, miserabili, corrotti, ributtanti? Ah! io ho amato, mi pare di udirvi rispondere, la tua laidezza, per assorbirla e renderla bellezza; ho amato de’ nemici, per farmene degli amici; degli stolti per farne de’ saggi; de’ miseri, per nobilitarli; degli accattoni, per arricchirli; degli infelici, per renderli beati e gloriosi. La grandezza dell’amore dì Gesù Cristo, che vince ogni amore creato, si deduce specialmente da questo, che non si volge su un oggetto amabile, ma lo rende amabile amandolo. Egli ama, per comunicare le sue grazie ai miserabili, chiamarli a parte del suo amore, farne suoi amici, e più ancora che amici, figli ed eredi. Il Verbo eterno, che è la Sapienza del Padre, ha voluto farsi uomo per salvare l’uomo, e insegnargli a parole ed a fatti la vera sapienza: desiderando egli ardentemente di possederci, s’è incarnato, per riposare nelle nostre anime, per dimorarvi come nel suo tempio e tabernacolo; per innestarvi e farvi germogliare le sue virtù, i suoi meriti, il frutto de’ suoi preziosi lavori, acciocché imitandolo meritiamo di vederlo e possederlo. La grandezza dell’amore di Gesù Cristo ha cangiato in miele tutto il fiele delle miserie umane, in delizie tutti i dolori e le croci. Egli s’è addossato tutte le nostre miserie, eccetto il peccato, per colmarci di tutti i suoi beni. L’amore di Gesù Cristo, il quale ha trovato le sue delizie nel dimorare con noi, ha operato questo prodigio di convertire in nostra felicità la fame, la sete, il lavoro, il patimento, il dolore, la morte, e le sofferenze tutte. Studiate i Martiri e ne avrete le prove… Se voi osservate, dice S. Bernardo, venite a conoscere come Gesù Cristo, la gioia per essenza, si rattrista e si conturba; che Egli, nostra salute, soffre; che Egli, forza suprema, è debole; che Egli, nostra vita, muore. E, cosa non meno prodigiosa, la sua tristezza produce la gioia; il suo timore, la forza; la sua passione, la salute; la sua debolezza, il coraggio; la sua morte, la vita. Perciò Gesù Cristo s’è volenteroso e lieto sottoposto alle nostre sciagure, perché la sua felicità divenisse nostra delizia (Serm, in Epiph.). – « Gesù Cristo, soggiunge il Crisologo, è venuto a provare le nostre infermità, per armarci della sua forza; a vestire l’umanità, per parteciparci la divinità; a ricevere gli oltraggi, per renderci degni degli onori; a sopportar le noie, per meritare a noi la pazienza; perché il medico che non compatisce le infermità, non sa guarirle, e chi non sa, essere infermo coll’infermo, non può guarirlo. « O dolcezza, o grazia, o forza dell’amore di Gesù Cristo! esclama San Bernardo; il più grande di tutti gli esseri s’è fatto il più piccolo, l’ultimo di tutti. Chi ha operato meraviglie tali? l’amore di Gesù Cristo, amore non curante della dignità, pieno di misericordia, potente in affezione, efficace in persuasione. Vi è forse qualche cosa di più forte dell’amore, il quale trionfa di Dio medesimo? L’amore trionfa di Dio, per trionfare di noi e sforzarci a ripagare amore con amore, a consacrarci tutti interi all’amore di Cristo, come Gesù Cristo s’è dato tutto quanto al nostro amore ». Per quali ragioni mai Gesù Cristo ama meglio dimorare con gli uomini piuttosto che con gli Angeli? Eccovene due: 1° Egli ha vestito non l’angelica, ma l’umana natura. 2° Siccome la virtù è cosa più ardua e penosa agli uomini, a cagione della loro natura degradata, Esso li fortifica con le sue consolazioni e grazie, li sostiene affinché la pratica della virtù torni loro facile e gradita. Così Egli ha cangiato per S. Pietro e S. Andrea la croce in delizia; S. Lorenzo trovò la sua felicità su la graticola ardente; le frecce portarono refrigerio e dolcezza a S. Sebastiano; tutti i generi di tormenti furono dilettevoli per S. Vincenzo e le stigmate care a S. Francesco d’Assisi, ecc. Qual gioia non ha provato Gesù Cristo ne’ suoi più grandi Santi, in un San Paolo, per es., in un S. Antonio, in una S. Agnese, o Cecilia, o Agata, o Caterina da Siena, o in tanti altri Vergini e Martiri! L’amore di Gesù Cristo per gli uomini l’inebria. E non è forse ebbro d’amore, quando discende dal Cielo nel seno d’una Vergine; quando dal seno di Maria passa a riposare in una greppia, e da questa ascende al Calvario? Non è forse un amore spinto fino all’ebbrezza, quello che gli fa percorrere i borghi ed i villaggi, le città e le capanne per predicare il regno di Dio; soffrire la fame, la sete, il freddo, il caldo, gli insulti, le maledizioni, le derisioni, e le bestemmie per la salvezza degli uomini? E su la croce, non è forse più l’amore che non il dolore quello che lo tormenta? Egli consente di essere creduto un infame, si lascia insultare, spogliare, coprire di piaghe e di sangue, appendere al supplizio de’ ladri come un furfante; incontra finalmente la morte de’ scellerati! Che cosa si può trovare di più forte? L’amore trionfa d’un Dio. Dio è nostro padre, l’umanità di Gesù Cristo è nostra madre; come una madre porta il suo ragazzo nel seno, gli fornisce gli elementi della vita, lo dà alla luce, lo nutrisce, lo leva, lo corica, lo lava, lo diverte, l’istruisce non senza continue e gravi pene, e ne forma un uomo perfetto; così Gesù Cristo, nostra madre, s’è dato, per corso di trentatré anni, a penosi e continui lavori; ha sofferto atroci dolori, principalmente su la croce, e in questa guisa ci ha concepiti, generati alla vita della grazia, allattati, nutriti e allevati. Ecco perché Gesù Cristo nel farsi uomo ha voluto non dover ad altri il suo corpo che ad una madre: perché tutto in Lui fosse viscere materne. Che cosa trovare di più forte? L’amore trionfa di un Dio.
« Avendo Gesù Cristo amato i suoi, dice S. Giovanni, li amò fino alla fine » (Ioann. XIII, 1): e infatti lava loro i piedi, stabilisce il Sacramento eucaristico in cui si dona per nutrimento a’ suoi discepoli prima di morire per essi e per l’universo intero. Contemplate principalmente l’amore di Gesù Cristo su la croce. La croce è la cattedra da cui risuona l’insegnamento della bontà e dell’amore di Gesù Cristo: Ah! voi mi avete amato, ed infinitamente amato, o mio Salvatore; ancorché io vi dessi mille anime e mille vite, che sarebbe mai questo a confronto della vostra vita, ch’è la vita d’un Dio? « Imparate da Gesù ad amare Gesù », esclama S. Bernardino da Siena; « e pensa, soggiunge il Crisostomo, che Egli ti ha dato tutto, nulla per sé riservando »; e San Bernardo dice: « Dònati tutto quanto a Lui, giacché Egli, per salvarti, ha dato tutto quanto se stesso ». « Non ritenete un filo per voi, suggerisce S. Francesco d’Assisi, affinché Gesù Cristo il quale nulla ha riservato per se stesso, vi riceva tutt’interi » (S. Bonaventura, In Vita). Quindi S. Agostino esclamava : « Fate, o Signore, ch’io muoia a me stesso, affinché Voi solo viviate in me ». Ci fu poi tempo in cui questo Dio abbia cessato di amarci? No, mai. « Poveri orfani, Egli disse, state certi ch’io non v’abbandonerò mai, ma verrò a voi » (Ioann. XIV, 18). Non abbandoniamolo dunque mai, neppure noi e diciamo con l’Apostolo: «Chi o che cosa avrà forza da strapparmi dall’amore di Gesù Cristo? Forse le afflizioni, le angosce, la fame, la nudità, i pericoli, le persecuzioni, la spada? Ah no! Né la morte, né la vita, né gli angeli, né i principati, né le potestà, né le cose presenti, né le future, né la violenza, né ciò che v’ha di più alto o di più profondo, né creatura alcuna potrà mai separarmi e farmi rinunziare all’amore di Dio in Gesù Cristo mio Signore » (Rom. VIII, 35-39).

8. Eccellenza dell’amor di Dio. — « Solo l’amore, scrive S. Agostino, fa distinguere i figli di Dio dai figli del Demonio; questo è l’unico segnale al quale si possono riconoscere. Quelli in cui è la carità, son nati da Dio; non viene da Lui chi non lo ama. La carità è la più vera, la più piena e assoluta giustizia ».
Il medesimo S. Agostino chiama l’amor di Dio « la cittadella di tutte le virtù », e con lui fanno a gara a magnificare l’eccellenza della carità gli altri santi Padri. S. Basilio la chiama « radice di tutti i comandamenti ». S. Gregorio Nazianzeno la dice « punto capitale della dottrina cristiana » (Epl. XX), e Tertulliano, « il segreto supremo della fede, il tesoro del nome cristiano » (De patient.). S. Gerolamo la chiama « madre », S. Efrem « colonna di tutte le virtù ». Per S. Prospero la carità è la più potente di tutte le inspirazioni, è invincibile in tutte le cose, è la regola suprema delle buone azioni, la salvaguardia dei costumi, il fine de’ precetti divini, la morte de’ vizi, la vita delle virtù (De vit. Contemp. lib. IlI, c. 13). San Gregorio la proclama «madre e custode di tutti i beni»; S. Bernardo l’esalta come « la madre degli Angeli e degli uomini, la pa-ciera del Cielo e della terra ». Ascoltate ancora il Crisostomo che vi predica: che chi arde di amore per Gesù Cristo, vive come se fosse solo su la terra. Egli non s’inquieta né della gloria, né dell’ignominia. Disprezza le tentazioni, i flagelli, le carceri quasi che soffrisse in un corpo non suo, ma di un altro, o in una carne di diamante. Se la ride de’ piaceri del secolo e non ne prova maggior solletico di quello che ne proverebbe un morto. A quella guisa che le mosche fuggono il fuoco, così le sensazioni della carne e della concupiscenza s’allontanano da chi ha la carità (Hom. LII in Act. Apost). Nell’amor di Dio vi sono tutti i tesori; fuori di quest’amore non vi è nulla. Da lui dipende e in lui consiste la felicità dell’uomo in questo mondo; esso è l’unica via che mette al Cielo: esso fa e farà in eterno la suprema beatitudine degli eletti. « Se voi avete la carità, dice S. Agostino, voi possedete Dio, e quando si possiede Dio, si hanno tutte le ricchezze ». Ed altrove soggiunge che « l’amor di Dio è il colmo della felicità, il sommo grado della gloria e della gioia, che uguaglia tutti i beni » (De Civ. Dei). Desiderate voi, dice S. Anselmo, d’essere re nel Cielo? Amate Dio e voi sarete tutto quello che bramate (Epist.). La carità è la massima tra le virtù; e di quanto l’oro sopravanza gli altri metalli, il sole vince le stelle, i Serafini superano gli Angeli, di tanto la carità è superiore alle altre virtù. Nessuna virtù è là dove non v’è carità, tutte si trovano dove questa si trova; la carità è una regina a cui tutte le altre virtù formano corteo. Essa è l’oro prezioso e purgato col quale si compra il Cielo; è un fuoco celeste che infiamma i cuori; è un sole che rischiara, feconda e vivifica ogni cosa. È una virtù angelica che cangia gli uomini in Serafini. Ne volete di più? Udite. 1° La carità è la guida, la direttrice, la regina delle virtù. 2° È la lor nutrice che le mantiene, le fortifica, le conserva, come scrive S. Lorenzo Giustiniani (Lib. arbitri. vitae). 3° La carità forma d’ognuno di noi altrettanti amici e figli di Dio, suoi eredi, coeredi di Gesù Cristo, templi dello Spirito Santo, 4° È il distintivo tra gli eletti ed i riprovati. 5° È l’anima delle virtù le quali da lei ritraggono il merito loro : ed è perciò che S. Agostino sostiene che solo la carità conduce a Dio (In Psalm.). 6° È il vincolo che intimamente ci lega a Gesù Cristo. « La nostra conformità col Verbo per mezzo della carità, dice S. Bernardo, congiunge a Lui l’anima nostra come sposa a sposo ». 7° È un fuoco inestinguibile che ammollisce il macigno, e squaglia i cuori più duri, perché l’amore sorpassa tutto, trionfando perfino di Dio. La carità comanda all’odio, alla collera, al timore, alla cupidigia, al fascino de’ sensi, ecc. e tutto dirige verso Dio. 8° Come l’aquila fissa la pupilla nel sole, così, afferma S. Agostino, quegli che ha la carità, contempla Dio, e librato su due ali di fuoco, che sono l’amore di Dio e del prossimo, vola alla volta del Signore (De Morib. Manich.). Osservate di grazia quello che la carità opera in S. Paolo: è San Giovanni Crisostomo che ce lo dice. A quel modo che il ferro posto nel fuoco diventa anch’esso fuoco, così Paolo, infiammato d’amore, diventa tutt’amore. Ora colle epistole, ora di viva voce, tal volta con preghiere, tal altra con minacce, qua in persona, là per mezzo dei discepoli, adoperava tutti i mezzi per incoraggiare i fedeli, tener saldi i forti, rialzare i fiacchi e i caduti nel peccato, guarire i feriti, rianimare i tiepidi, ribattere i nemici della fede : eccellente capitano, intrepido soldato, abile medico, egli bastava a tutto. Oh! se i nostri cuori amassero Dio come l’amava Paolo, noi vedremmo meraviglie non mai più udite (Serm. in Laud. Paul.). «L’amore ed il timore di Dio guidano a tutte le opere buone, lasciò detto S. Agostino, come l’amore ed il timore del mondo menano a tutti i peccati ». La carità è cosa tanto preziosa, che vince il prezzo d’ogni altra; per ottenerla dobbiamo impiegarvi tutte le nostre forze, i nostri sudori, la vita medesima… Un’opera eccellentissima fatta senz’amore di Dio, ha poco o niun pregio, ed una ancorché comunissima, un bicchier d’acqua, per es., dato ad un povero, se fatta per spirito di carità, l’ha grandissimo agli occhi di Dio. Dio pesa gli spiriti, dicono i Proverbi (Prov. XVI, 2). Ora il peso dell’anima e del cuore è l’amor di Dio. Quanto più adunque l’anima ama Dio, tanto più ella ha peso nelle bilance di Dio; l’amore le dà il peso ed il valore. Di che cosa è capace l’amor di Dio? Che cosa non merita la carità, sorgente e principio d’ogni merito? Come mai il Signore abbandonerebbe colui che l’ama? Come potrebbe non amarlo egli medesimo?… L’anima fedele e santa si trova, rispetto all’amore divino, in quella condizione in cui trovasi un generoso soldato in mezzo ad una battaglia, o un erudito in mezzo ad una biblioteca, o un medico in mezzo – ad una munitissima farmacia, o un legista armato della legge, o un lavoratore munito d’ogni attrezzo per la coltura de’ campi, o un orefice padrone d’immensa quantità d’oro. L’amore divino è per quest’anima la sua spada, il suo libro, il suo farmaco, il suo codice, il suo campo, la sua ricchezza, la sua arte, il suo lavoro. Per mezzo dell’amore noi ci tuffiamo in Dio, oceano senza sponde, e vi ci troviamo ad agio come il pesce nell’acqua e l’uccello nell’aria. Ah! riceviamo Dio con un cuore infiammato di amore: Dio lo penetri, come i raggi del sole penetrano l’aria; vi si rifletta, come si riflette su tersissimo specchio la fisionomia dell’uomo. « Non il prezzo dell’offerta guarda Iddio, dice Salviano (lib. II, ad Cler.), ma l’animo, ossia l’amore con cui si porge ». « Il vero amore, soggiunge S. Bernardo, non cerca il premio, ma se lo merita; e questo premio è quel Dio medesimo che si ama ». « Signore, datemi che vi ami, diceva S. Ignazio di Loyola, ed io sarò ricco fuori misura » (In Vita).

9. L’amore ci fa imitatori di Dio. — San Paolo scrive agli Efesini: « Siate imitatori di Dio, come figli carissimi » (Eph. V, 1). Ma come mai, o grande Apostolo, una misera creatura, qual è l’uomo, può imitare Dio? Com’è possibile ciò? Eccovi il mezzo: «Camminate nell’amor di Dio» (lb. 2). Dio è tutto amore; dunque colui che ama di tutto cuore, imita Dio. Dio è tutto amore per noi: siamo tutt’amore per Lui, e noi saremo suoi imitatori.

10. L’amore ci unisce a Dio, e ci fa vivere di Gesù Cristo e per Gesù Cristo. — Per mezzo dell’amore noi ci uniamo a Dio così intimamente da formare, in certo modo, una sola cosa con Lui: l’amore ci divinizza. Come il ferro nella fornace si cangia in fuoco pure conservando la sua natura, così chi ama Dio si trasforma in Dio. Per mezzo dell’amore divino si effettua in noi la parola di Gesù Cristo al Padre : « Padre santo, custodisci nel nome tuo quelli che hai a me consegnati; affinché siano una sola cosa come noi… Io sono in essi, e tu in me, affinché siano consumati nell’unità » (Ioann. XVII, 11, 23). Il fine dell’amore, commenta S. Bernardo, è dunque la consumazione, la perfezione, la pace, la gioia nello Spirito Santo, il silenzio nel Cielo (Serm. in Verb. Ev.). L’amore trasforma l’amante nell’amato: l’anima abita più in colui ch’ella ama che nel corpo a cui dà vita. Dio, per mezzo della grazia, si comunica e si dà all’uomo giusto e con questa comunicazione lo innalza fino a sé, se l’unisce, lo divinizza. Sì, noi per mezzo dell’amore, come dice S. Pietro, diventiamo « partecipi della natura divina » (II Pietr. I, 14). L’amore divino trasforma colui ch’esso riempie; lo fa aderire così intimamente a Dio, che forma, diremo, una sola cosa con lui, affinché egli viva, senta, goda della vita, dei sentimenti, della gioia di Dio. Questo appunto provava S. Paolo in se medesimo, quando diceva: Io vivo, però non sono più io, ma è Gesù Cristo che vive in me (Galat. II, 20). Chi ama Dio, si separa interamente da se stesso; passa a Dio e a Dio si congiunge e non pensa, non comprende, non sente altro che Dio vivendo solo di Dio, perché il bene è comunicativo di sua natura e tende ad espandersi; ora, siccome Dio è il bene supremo e per essenza, non può a meno che comunicarsi ed espandersi al più alto grado. La Sposa dei Cantici gustava le dolcezze di tale unione quando esclamava: « Ah! il mio Diletto è tutto a me, ed io son tutta a Lui » (Cantic. II, 16). Io che sono il puro e il perfetto amore, disse un giorno Iddio a S. Geltrude, ti ho scelta per me, e per quanto l’uomo desidera vivere e respirare, io desidero che tu ti unisca a me d’indissolubile legame; io ti ho accolta nel seno della mia paterna bontà, affinché tu ottenga da me tutto ciò che puoi desiderare. La mia vita, la causa della mia vita è Gesù Cristo, esclama San Paolo (Philipp. I, 21); e questo per tre motivi: 1° Gesù Cristo è la causa efficiente della mia vita spirituale, e me la conserva; 2° è il principio della mia vita per i suoi esempi; 3° ne è lo scopo finale. « Io sono, disse Gesù Cristo, la via, la verità, la vita» (Ioann. XIV, 6); e per conseguenza chi ama Gesù Cristo, possiede la via, la verità e la vita, ossia, come spiega Teofilatto, Gesù Cristo è il suo spirito, la sua luce, la sua vita sì naturale che soprannaturale e beata. « Ognuno di noi, scrive S. Agostino, è quale è il suo amore; ami tu la terra? tu sarai terra; ami Dio? sarai Dio » : perciò S. Paolo scriveva ai Galati: « Io sono crocifisso con Gesù Cristo » Gal. II, 19).

11. Amare Dio è un amare se stesso. — È sentenza di S. Agostino, che la città di Dio si fonda, s’innalza, si compie per mezzo dell’amor di Dio, e si mantiene con l’odio verso se stesso; mentre la città del Diavolo comincia con l’amore di se stesso e cresce fino all’odio di Dio. Amare se stesso è un odiarci. Io non so darmi ragione come altri possa amar sè invece di Dio; perché chi non può vivere con la sua forza, certamente muore se ama se stesso; al contrario quando si ama colui che solo dona la vita e si ha in odio se medesimo, allora è un vero amare se stesso. Si deve amare Dio affinché con l’aiuto del suo amore possiamo dimenticare noi medesimi. Amare Dio è un amare se medesimo: è chi preferisce sé a Dio, costui non ama né Dio, né se medesimo. Non si ama poi Dio, se non per Dio e con Dio.

12. L’amor di Dio unisce gli uomini tra di loro. — « Vi sono tante anime e tanti cuori, quanti sono gli uomini; dice S. Agostino; ma quando si congiungono a Dio per l’amore, non hanno più tra tutti che un cuor solo ed un’anima sola ». E tale è il sublime esempio lasciatoci dai primi cristiani. Giacché non possiamo fare nulla per rendere felice Iddio, adoperiamoci almeno con la carità al bene del prossimo che è immagine di Dio : seminiamo tra i nostri fratelli la sapienza, la grazia, il buon esempio e tutti i doni che abbiamo ricevuto da Dio. La limosina spirituale vince in pregio la corporale, e più noi largheggeremo col prossimo, più largamente noi riceveremo da Dio. Quanto più una sorgente emette acqua, tanto più ne riceve; ma se la polla non potesse zampillare fuori, o, riempiuto il bacino, più non avesse uscita, allora ben presto l’acqua si disperderebbe per altri canali, e il fonte disseccherebbe. Così avviene dei predicatori e di coloro che fanno in qualche modo la limosina spirituale, ecc. ; più aiutano il prossimo, e più Dio aiuta loro e li colma di grazie.
S. Paolo che fu martire della carità prima di essere martire della spada, scriveva a quei di Corinto:- « Io muoio ogni giorno per la vostra gloria, o fratelli, che è mia in Cristo Gesù Signor nostro » (1 Cor. XV) « Chi è infedele a Dio, dice S. Agostino, non può essere fedele all’uomo; e la pietà è la salvaguardia dell’amicizia ». L’amor di Dio e l’amor del prossimo non vanno disgiunti; non formano che un comandamento…
13. L’amor di Dio rende invincibile. — Una viva pittura dell’invincibile forza dell’amor divino ci fu lasciata dal grande Apostolo in quelle parole ai Romani — Chi ci strapperà dall’amore di Gesù Cristo? forse l’afflizione, o l’angoscia, o la fame, o la nudità, o i pericoli, o le persecuzioni, o la spada? Ah no! io sono sicuro, certus sum, che né la morte, né la vita, né gli angeli, né i principati, né le potestà né le cose presenti, né le future, né la violenza, né creatura alcuna, sia pure dei Cieli o dell’Inferno non potrà mai staccarci dall’amore di Dio in Gesù Cristo (Rom. VIII, 35-39). Ammaestrata dall’Apostolo, la vergine e martire S. Agata usciva anch’essa in questi accenti : Io sono così ferma ed incrollabile nell’amore del mio Signore Gesù, sono così fermamente risoluta a mantenere saldo il voto di verginità a Lui fatto, che spero, mercé la grazia sua, di veder mancare la luce al sole, il calore al fuoco, la bianchezza alla neve, piuttosto che tentennare nella volontà e nei proponimenti miei (Surio, In Vita). « Niente v’è di così duro, soggiunge S. Agostino, che non ceda al fuoco dell’amor divino (29) ». Sta scritto nei Cantici che « l’amore è forte come la morte; che le molte acque non poterono estinguere la carità, né le fiumane la soverchieranno » (Cantic. Vili, 6-7). Sì, l’amore è forte come la morte; 1° perché come la morte doma tutto, è padrona di tutto, e nessun vivente può evitarne il colpo, così l’amore di Gesù Cristo ha trionfato delle battiture, de’ chiodi, delle spine, dei dolori, della croce, degli affronti, della fame, della sete, delle nudità, in una parola di tutte le avversità e di tutti gli ostacoli. Chi ama Gesù Cristo è pronto a soffrire per Lui ogni cosa. 2° L’amore di Gesù Cristo è forte al pari della morte : poiché quest’amore l’ha vinta, l’ha soggiogata, l’ha uccisa, come dice il profeta Osea: « O morte, io sarò la tua morte » (XIII, 14). 3° L’amore è forte al par della morte : poiché l’amore prova, e risente in sé tutti i mali dell’oggetto amato. Se questo muore, l’amante muore anch’esso d’angoscia.
L’amore è forte come la morte. È impossibile, nota S. Agostino, esprimere in più bello, e splendido, e ricco, e gagliardo modo la potenza dell’amor divino: che cosa infatti resiste alla morte? Si resiste al fuoco, all’acqua, al ferro, al potere, ai re; ma viene la morte, e non importa sotto quale sembianza, e dov’è chi possa tenerle fronte? Essa è padrona di tutto. Ecco perché la potenza dell’amore è paragonata a quella della morte : e infatti l’amor di Dio uccide e distrugge in noi quello che noi siamo, per trasformarci in quello che non siamo. È una morte, la morte cioè del peccato, ma è ad un tempo la risurrezione e la vita. « Come la morte uccide, scrive S. Gregorio, così l’amore della vita eterna ci fa morire alle cose di questo mondo. L’amor di Dio produce sulle passioni dell’anima lo stesso effetto che la morte sul corpo; ci porta, vale a dire, a calpestare ogni terreno affetto: e a defunti di questo genere l’Apostolo diceva: « Voi siete morti, e la vita vostra è nascosta con Gesù Cristo in Dio» (Coloss: III, 3). La carità è forte come la morte, soggiunge S. Ambrogio, perché la carità uccide e fa scomparire tutti i peccati. Si muore a’ vizi, quando si ama il Signore (In Psalm. CXVIII, serm. XV). E poiché la morte non si stanca mai, né mai si riposa finché vi sia vita d’uomo da mietere, il nostro amore anch’esso duri fino a tanto che abbia estirpato in noi le passioni e i vizi tutti quanti. – L’amore è forte al par della morte. Ci fa morire al mondo, al demonio, a noi stessi, per non vivere che di Gesù Cristo; ci fa desiderare la morte e sacrificar la vita : perché chi ama davvero, non risparmia né ricchezze, né figli, né se medesimo. L’amor divino fa vivere l’anima pel tempo e per l’eternità; l’amore del mondo uccide l’anima pel tempo e per l’eternità. L’anima viene dal celeste amore siffattamente innalzata, dice il Crisostomo, che tiene in conto di suprema sua gloria trascinare le catene di Gesù Cristo, ed essere per Lui perseguitata. Ella si spoglia di ogni affetto terreno, come l’oro nel crogiuolo si purga di ogni scoria. Dove l’amor di Dio è grande, si vedono prodigi di coraggio. Purtroppo che queste verità non ci colpiscono, non ci dànno gusto, perché siamo tiepidi e freddi. S. Agostino, parlando della castità di Giuseppe, esprime questo bel pensiero: Chi ama Dio, non può esser vinto dall’amore di una donna: le lusinghe della gioventù non allettano punto un’anima casta, la quale non si arrende nemmeno alla influenza d’un amore appassionato. Giuseppe è grande, perché schiavo rifiuta d’obbedire; amato, rifiuta d’amare; scongiurato, non si piega; afferrato, fugge (De Civ. Dei, CXXIII). L’amor di Dio mi brucia, mi divora, va gridando S. Francesco d’Assisi: io ho risposto all’amore con l’amore: l’amor divino trionfa nel mio cuore dell’amore che l’uomo naturalmente prova per se stesso. Né le tempeste, né le fiamme, né la spada non me lo rapiranno mai. Oh Signore! muoia io d’amore per Voi, giacché Voi siete morto d’amore per me! « Cercate il Signore per mezzo della carità e voi sarete fortificati » dice il Salmista (Psalm. CIV, 4).

14. L’amor di Dio scaccia i Demoni. — A quel modo che vedete le mosche scostarsi dall’acqua bollente e fermarsi su quella tiepida dove depongono semi di vermiciattoli, così i Demoni fuggono da un’anima avvampante d’amor divino, e si stringono attorno alle tiepide e le tempestano, e le trasformano in sentine di corruzione. Il Demonio soffre di più dentro di sé vedendo l’amor divino in un cuore, che patendo il fuoco dell’Inferno. Questo amore è nelle mani del cristiano un’arma con cui egli si difende dalle astuzie del serpente antico, e gli mozza il capo. Con questo amore si trionfa dell’Inferno e delle passioni tutte.
15. L’amor di Dio distrugge il peccato. — Inspirato certamente da quelle parole di Gesù Cristo alla Maddalena: «Le sono rimessi molti peccati, perché ha molto amato » (Luc. VII, 47). S. Agostino proferì questa sentenza che « l’amor di Dio è la morte de’ vizi e la vita delle virtù ». Tutta la ruggine del peccato viene divorata e tolta via dal fuoco dell’amor divino; e più esso avvampa in un cuore, e più il peccato vi sì trova annientato. « Il vostro Dio è un fuoco che consuma », sta detto nel Deuteronomio (Deuter. IV, 24) : « Dio è chiamato fuoco che consuma, commenta qui S. Gregorio, perché rende netta e pura d’ogni peccato l’anima ch’Egli riempie del suo amore ». « Non ombra di malvagità rimane in un cuore che brucia del fuoco della carità », dice S. Cesario d’Arles. L’amor di Dio rende come impeccabile; e in questo senso S. Agostino sentenziava: «Ama, poi fa quello che t’aggrada ». Quegli infatti che ama Dio, non consentirà giammai ad offenderlo, ad oltraggiarlo, a violar la sua legge, ecc…
16. L’amor di Dio ci fa disprezzare tutto il resto. — Ogni cosa mi pare fango, scriveva il grande Apostolo ai Filippesi, se la paragono alla scienza del mio Signore Gesù Cristo, per il cui amore sono determinato a disprezzare ogni cosa, purché giunga a possederlo (Phil. IlI, 8). « La sanità stessa del corpo ha poco pregio, soggiunge S. Gregorio, per quell’anima che è trafitta dalle frecce dell’amore divino ». Può amare il mondo corrotto, colui che ama Dio incorruttibile? Ah! egli esclama piuttosto con S. Francesco : « Come la terra mi compare brutta, se volgo lo sguardo al Cielo ».
17. L’amor di Dio scaccia la tiepidezza.  — « È impossibile, dice San Bonaventura, che l’accidia ed il languore s’impossessino di un’anima che dal desiderio di amare Dio è spinta ad avanzarsi di giorno in giorno per la via della perfezione ». Il cuore di colui che ha la carità, è come un pezzo di cera, che nel fondere prende l’impronta di Dio; mentre il cuore di chi ne è privo, è come il fango che s’indurisce al sole. Eppure è il medesimo calore del sole che opera su la cera e sul fango!
18. L’amor di Dio illumina. — S. Paolo augurava agli Efesini, che Gesù Cristo abitasse in loro, affinché essendo ben radicati e fondati nell’amore fossero in grado di comprendere con tutti i Santi quanta sia l’ampiezza e la larghezza, l’altezza e la profondità dell’edificio di Dio, amore che sopravanza ogni intendimento, affinché ne fossero riempiti seconda tutta la pienezza di Dio. Nessuno è tanto vicino a Dio, quanto colui che l’ama; e quanto più si ama Dio, tanto più gli si è dappresso: ora Dio è la luce delle luci, la luce vera che illumina ogni uomo che viene in questo mondo (Ioann. I, 9). Ah sì! o mio Dio, « coloro che vi amano, risplendono come il sole al suo levarsi » (Iudic. V, 31).
19. A chi ama Dio ogni cosa si volge in bene. — « Noi sappiamo, dice l’Apostolo, che per coloro i quali amano Dio, tutte le cose tornano a bene » (Rom. VIII, 28). L’amor divino rende facile ogni cosa…, dà valore ad ogni benché minima cosa, ai patimenti, alla povertà, ecc.
20. Dolcezza e felicità di amare Dio. — Rallegratevi con Gerusalemme, esclama il profeta Isaia, tripudiate d’allegrezza con lei, voi tutti che l’amate. Voi sarete riempiti delle sue consolazioni, innondati dal torrente delle sue delizie, su voi si rifletterà lo splendore della sua gloria. È parola del Signore, che la pace scenderà sopra di voi come le onde di un fiume e la gloria delle nazioni come le acque d’un torrente. Voi sarete portati tra le braccia e tenuti su le ginocchia come pargoletti. Io vi consolerò come madre che vezzeggia il bimbo (Isai. LXVI, 11-13). Gesù Cristo prodigando alle anime fedeli il delizioso vino del suo amore, le inebria di amore, poiché, come dice S. Dionigi, l’amore perfetto produce l’estasi ed una santa follia (De celest. Hierar.). Niente vi è di più bello, di così dolce, di così attraente come Dio. « Io li trascinerò, dice il Signore, coi legami che seducono gli uomini, coi vincoli dell’amore » (Osea XI, 4). Io me li incatenerò per mezzo dell’amore che dimostrerò loro, di grazie segnalate, della dolcezza e della grazia. Ed è ciò per l’appunto che ha provato S. Agostino dopo la sua conversione. « O come dolce mi seppe in su l’istante vedermi privato delle gioie fallaci, delle vane delizie!, egli diceva, e quello che in su le prime io temevo di perdere, mi riempiva di gioia dopo averlo perduto. Siete Voi, o mio Dio, Voi la vera e suprema soavità, che avete allontanato dalle mie labbra il calice di quelle dolcezze avvelenatrici e Vi siete sostituito ad esse, Voi più dolce di tutti i piaceri del mondo (Confess.) ». Chi non si avvede da queste parole che l’amor divino è un vigoroso dardo con cui Dio trapassa il cuore? Ah! ve ne persuade ancora S. Paolo che esclama infiammato di amore: « Io possiedo ogni cosa, mi trovo nuotare nell’abbondanza; nulla mi manca » (Philipp IV, 18). Ascoltate Origene che mirabilmente commenta quelle parole dei Cantici: « Io sono ferita d’amore» — Vulnerata charitate ego sum. — « Quanto bella, quant’onorevole cosa è ricevere la ferita dell’amore divino! Chi espone il petto ai dardi dell’amore carnale, chi a quelli del’avarizia; ma voi esponetevi ai dardi deliziosi dell’amore divino, poiché Dio è un arciere, e fortunato chi da Lui è ferito ». Ne erano alla prova S. Efrem, quando diceva: « Fermate, o Signore, il torrente delle vostre dolcezze, perché non posso reggere »; e S. Francesco Saverio, il cui grido era questo: «Basta, o Signore, basta »; e l’Apostolo Paolo che diceva in mezzo alle sue tribolazioni: « Strabocchevole è la gioia che m’inonda il petto » (II Cor. VII, 4). – Ogni bene, ogni dovere dell’uomo, tutta la sua felicità, il fine e la perfezione sua consistono nell’amor di Dio. L’amore trasforma l’uomo in Dio. « E ben giusto, o Signore, esclama S. Agostino, che chi cerca la sua felicità altrove, fuori di Voi, Vi perda. Deh! fate che ogni cosa di quaggiù mi riesca amara, affinché Voi solo riusciate dolce all’anima mia, Voi che siete la dolcezza ineffabile e che rendete soave ogni asprezza ».
«Beati coloro che vi amano, o Signore», diceva già Tobia (Tob. XIII, 18). Niente si trova nelle cose umane, al dire di S. Bernardo, che possa appagare una creatura fatta ad immagine di Dio, se non il Dio carità, il quale solo è maggiore di essa. Se io amo qualche oggetto perché è buono, dice S. Anselmo, io devo a molto maggior ragione amare ciò ch’è infinitamente buono. Perché dunque vai tu, o uomo, qua e là cercando beni per la tua anima e per il tuo corpo? Ama il solo bene che è tutto il bene, e questo basta. In Dio solo è il mare di ogni bene; fuori di Lui non scorrono che ruscelletti. L’apice e la perfezione della sapienza, della felicità, della virtù e dell’uomo e dell’Angelo, sta in Dio; sta nell’indirizzare a Lui ogni pensiero, ogni intenzione, ogni opera nostra: sta nell’amarlo in tutte le creature, e amare le creature in Lui. L’anima colpita dai raggi del suo Creatore ed infiammata dal suo amore, l’anima che a Dio si unisce in dolcissimi abbracciamenti, tutto dirige verso di Lui, tutto vede in Lui e Lui solo vede in ogni cosa: con Lui e dopo di Lui sospira e respira dicendo: Tutti i miei respiri e sospiri sono per Voi e in Voi, o mio Dio. Ecco perché, in qualunque luogo ella sia, qualunque cosa ella faccia, sempre mira Colui ch’ella ama ed opera per Colui che l’ama; ella vive, si riposa e muore in Lui per l’amore e la contemplazione. Questa pace, questo riposo, questa gioia, questa felicità provava Geremia allorché diceva: « Si è acceso nelle mie interiora, come un fuoco ardente chiuso nelle mie ossa, ed io svenni, non potendolo sopportare » (Hier. XX, 9). Dio ha messo nel cuore dell’uomo un desiderio dell’infinito, che niuna cosa limitata può saziare. « Per Voi ci avete fatti, o Signore, esclama S. Agostino, ed inquieto sarà il nostro cuore fino a tanto che in Voi non si riposi ». Desiderate voi delle ricchezze? Dio le possiede tutte. Cercate una sorgente d’acqua viva? e qual acqua più pura che l’acqua della sua grazia? sebbene sia vero che Dio prova quaggiù gli eletti con l’aridità perché la felicità costante è riservata in Cielo. La Sposa dei Cantici se ne lagnava con queste parole : « Io mi alzai per aprire al mio Diletto, gli apersi; ma Egli si era sottratto e allontanato. L’ho cercato e non lo trovai; l’ho chiamato e non mi rispose ». Dio ci mette alla prova; assoggettiamoci: le prove sono un pegno d’amore e noi sforzandoci di obbedire alla sua santa volontà, l’ameremo sempre. Niente è tanto dolce e casto, ed insieme ardente, quanto l’amor di Dio : esso consuma le viscere e il cuore: inebria l’anima fino all’oblio di se medesima.
21. A chi ama tutto è facile e leggero. — Da questa dolcezza, da questa felicità di amare Dio, sorge naturale la facilità di amarlo. « Ogni comandamento di Dio pare leggero a chi ama, e dov’è amore, ivi non è fatica », dice S. Agostino; « anzi è soavità e dolcezza », aggiunge S. Bernardo; cosicché « l’amante, ripiglia S. Agostino, non trova niente di difficile, niente d’impossibile ». L’anima amante s’eleva di tratto in tratto alla celeste Gerusalemme, ne percorre l’ambito: visita i Patriarchi ed i Profeti; saluta gli Apostoli; ammira l’esercito dei Martiri e dei Confessori; contempla i cori delle Vergini e di tutti i Santi. O uomini! esclama S. Agostino, che vi logorate a servire l’avarizia, il vostro amore vi crocifìgge, mentre Dio si ama senza fatica. La cupidigia vi impone lavori, pericoli, angherie, stenti, e voi le obbedite : ed a qual fine? per riempire i vostri scrigni e perdere la pace. Più sicuri e più tranquilli voi eravate quando non possedevate ancora nulla che non adesso che avete ammassato ricchezze senza fine. Avete i granai che riboccano, ma il cuore agitato per timore dei ladri : avete incassato dell’oro, ma perduto il sonno. Dio si acquista e si possiede senza fatica, quando si ama. Traeteci, diceva la Sposa dei Cantici, e noi correremo dietro a Voi all’odore dei vostri aromi (Cant. I, 4). Sì, amate, soggiunge il citato Padre, e voi sarete attratti. Né vogliate credere che la violenza fatta all’anima da Dio sia grave e penosa; essa è anzi dolce e soave, è, dirò meglio, la soavità medesima che v’incatena. Non è forse attratta la pecora che ha fame, quando le si mostra dell’erba? Non è sforzata, ma si eccitano i suoi desideri. E voi ancora venite a Gesù Cristo: non vi spaventi la lunghezza del cammino, perché a Cristo si va amando, non navigando. L’amore è, secondo il medesimo Dottore, una leva così potente, che innalza i più gravi pesi, perché l’amore è il contrappeso di tutti i pesi. « Il mio amore è il mio peso; da lui son tratto dovunque mi porto ». La leva dell’anima è la forza dell’amore il quale la solleva al di sopra del mondo e la fa toccare il Cielo, scrive S. Gregorio (Homil. in Ev.); ed a lui fa riscontro S. Bernardo che dice: « La mia fatica dura appena un’ora; durasse pur più lungo tempo, non me ne accorgerei, perché amo ». Gesù Cristo ha superato con la forza del suo amore tutto il peso della sua Passione e della sua croce. L’amore rende facile e leggero quanto v’ha di più spossante e penoso.
22. L’amor divino racchiude tutti i beni.  — Se Dio abita in un’anima fedele per mezzo del suo amore, vi produce i seguenti mirabili effetti : 1° la monda delle terrene cupidigie, affinché non brami e non gusti che le cose celesti. 2° Questo amore volge a Dio tutti i sentimenti, le facoltà, gli atti, le affezioni dell’anima, acciocché non pensi che a Dio, non veda e non cerchi altro che Dio. E che cosa andrebbe cercando al di fuori, se Dio è in lei? Ella s’immerge e si sprofonda in Lui, sorgente d’ogni bene. 3° L’amore spinge l’anima a desiderare di far cose eroiche per Iddio, di soffrire per Lui, e ritrarre in sé Gesù crocifisso. 4° La fa crescere ogni giorno nella grazia. 5° La porta a comunicare a quanti può, e se fosse possibile, al mondo intero, il fuoco di cui ella è accesa. Poiché l’amore, dice S. Bernardo, non è altro se non una gagliarda volontà per il bene; e perciò chi non ha zelo, non ha punto d’amore, conchiude il citato Padre. 6° L’anima per mezzo dell’amore comanda a Dio medesimo; ottiene tutto ciò che domanda, ed acquista una certa quale onnipotenza. 7° Dio se l’unisce, se l’assimila, le fa parte delle sue virtù divine, le comunica i suoi secreti, le rivela lo stato dei cuori, le dà conoscenza di quello che altrove avviene e perfino dell’avvenire, come ai Profeti ed agli Apostoli. 8° Le dona la tranquillità e la serenità, la rischiara, affinché imperterrita, contenta, lieta nelle avversità e nelle prosperità, sempre gioisca nel Signore, Lo lodi e Lo ringrazi cantando col Salmista: «Io benedirò il Signore in ogni istante, su le mie labbra suoneranno del continuo le sue lodi » (Psalm. XXXIII, 1); e con Giobbe: « Il Signore me l’avea dato, il Signore me l’ha tolto; avvenne come a Lui piacque; sia benedetto il suo santo Nome » (Iob. I, 21). Finalmente l’amante di Dio soccombe, come la benedetta Vergine Maria, vinto dal peso dell’amor di Dio. L’arte di amare Dio è l’arte delle arti, dice S. Bernardo; essa fa tendere all’amore tutti i pensieri dello spirito e volge al desiderio dell’eternità tutti i movimenti del cuore. L’uomo che ama Dio, si compiace del suo amore, vi si adagia e se ne bea: ben presto, non potendo più contenere i sentimenti dai quali è rapito, si solleva al di sopra di se medesimo, tocca l’estasi intellettuale, e penetra nel pensiero di Dio per imparare a non preoccuparsi più d’altro che di Lui, a non riposare altrove fuorché in Lui. L’amore di Gesù si ruba tutte le sue affezioni; trascurando e dimenticando se stesso, egli non altro ormai più sente che Gesù e ciò che riguarda Gesù. A questo punto, il suo amore è perfetto; ed in tale stato la povertà non è più per lui che un incomodo; non sente le ingiurie, si ride degli oltraggi, non bada alle perdite, guarda la morte come un guadagno; anzi non crede di morire, perchè sa che passerà dalla morte alla vita eterna (S. Bernardo, De natura divini amoris, c. II). Chi consacra l’amore alle cose terrene, vili, vergognose, diventa simile ad esse; l’anima, al contrario, che ama Dio e che a Lui solo s’attacca, diviene simile agli spiriti, agli Angioli, a Dio medesimo. Allora, dice S. Ambrogio, il Verbo divino la circonda, la rischiara, rinfiamma, la benedice; essa non forma più che una cosa con Lui (Serm. II). L’amor divino scalda, infiamma, fonde il cuore, e lo cangia del tutto: non avete che a dare uno sguardo a S. Paolo… L’amor divino dà refrigerio, lume, conforto all’anima, e le fa desiderare il possesso di Dio; porta ristoro e pace; rende paziente nelle tribolazioni, toglie il timore, insinua la confidenza, assicura la salute. È questo il Paradiso, dove ci è dato di entrare senza che ci partiamo dalla terra. « Chi ascende a Dio per mezzo dell’amore, ci va come portato da agilissime ali », dice S. Agostino.
23. Per amare Dio bisogna osservare la sua legge.  — « Se veramente mi amate, datene prova, dice Gesù Cristo, con l’osservare i miei comandamenti » (Ioann. XIV, 15) : poiché « la prova dell’amore, dice S. Gregorio, sta nella dimostrazione delle opere ». « Chi mi ama, ripete ancora Gesù Cristo, osserverà la mia parola e il Padre mio l’amerà : e noi verremo a lui e in lui faremo dimora » (Ib. XIV, 23). S. Agostino così commenta queste parole: « Il Padre e il Figlio venendo ad abitare in un’anima, le donano il loro amore, e infine le doneranno il Cielo. Essi vengono a noi quando noi andiamo a loro : essi vengono col soccorrerci, con l’illuminarci, con l’arricchirci; noi andiamo a loro con l’obbedire, col guardare, col ricevere ». « Chi non mi ama, dice ancora Gesù Cristo, non tiene conto delle mie parole » (Ib. XIV, 24). E S. Giovanni soggiunge che dimostra di avere carità perfetta colui che custodisce la parola di Dio : (I, II, 5); poiché la carità, dice il medesimo Apostolo, « consiste nel camminare per la via dei divini precetti » (II, 6). Ora il primo dovere della carità è di obbedire agli ordini di Dio, sottomettervisi, e avere confidenza nelle promesse divine. « Quelli che amano Dio, sta scritto nell’Ecclesiastico, si riempiranno della sua legge », vale a dire, la studieranno, la conosceranno, la praticheranno (Eccli. II, 19).
24. Diversi gradi dell’amor divino. — Il Padre Alvarez trattando della contemplazione indica quindici gradi nell’amore divino : 1° intuizione della verità; 2° raccoglimento; 3° silenzio spirituale; 4° riposo; 5° unione; 6° udire il linguaggio di Dio; 7° sonno dello spirito; 8° estasi; 9° rapimento; 10° apparizione corporale di Gesù Cristo; 11° apparizione spirituale di Gesù Cristo, e dei Santi; 12° visione intellettuale di Dio; 13° visione di Dio a traverso le nubi; 14° manifestazione positiva di Dio; 15° visione chiara e intuitiva di Dio, come l’ebbe, al dire di S. Agostino e di altri Dottori, S. Paolo quando fu rapito al terzo Cielo.
25. Qualità dell’amor divino. — L’amor di Dio dev’essere: 1° inseparabile; 2° insaziabile; 3° invincibile; 4° soave; 5° pieno di desideri; 6° anelante a Dio, che procura di raggiungerlo, lo contempla nelle creature ed è impaziente di possederlo; 7° animato dal desiderio di morire, non per noia della vita, ma per essere con Gesù Cristo, e godere di Lui; 8° liberale; 9° intero.
26. Rammarico di non aver amato Dio. — « Troppo tardi io Vi ho amato, o bellezza sempre antica e sempre nuova; ah! troppo tardi Vi ho amato! andava sospirando, col cuore pieno di tristezza, S. Agostino. Deh! fosse scancellato dal numero dei giorni quel tempo in cui non Vi ho amato! Ahi me misero, me infelicissimo se mai cessassi di amarvi; amerei meglio non essere, che essere senza, o fuori di Voi». Facciamo nostri i lamenti e il pianto di Agostino…
27. Quanto sia disgraziato chi non ama Dio. — « Chi non ama il nostro Signor Gesù Cristo, sia anatema », dice S. Paolo (I Cor. XVI, 22). Ossia, come si esprime l’Apostolo S. Giovanni: «Chi non ama Dio, non lo conosce, perché Dio è carità, e rimane nella morte » (Epl. I, IV, 8) : — “Qui non diligit manet in morte” (7, III, 16); e prima di lui già aveva espresso questo sentimento l’autore dei Proverbi in quelle parole : « Chi non ama me, ama la morte » (Prov. VIII, 36). E da essi trasse S. Agostino quella sentenza: « Chi non ama Dio, cessa di vivere ». « Strappate, ci dice il medesimo Dottore, il vostro cuore dall’amore alla creatura per conservarlo al Creatore: poiché, se abbandonate Colui che vi ha creati e vi abbracciate a ciò ch’Egli ha creato, siete adulteri ». Tremino quindi, conchiude S. Gregorio, quelli che non amano Dio e pensino, soggiunge S. Bernardo, che perfino il linguaggio loro è barbaro e straniero. L’amor di Dio verso gli uomini è così grande, che non solamente si presenta a quelli che lo cercano, ma cerca quelli che non lo cercano, va dietro a quei medesimi che lo fuggono, l’odiano, lo perseguitano : esso li invita, li attrae, e dolcemente li trascina. Quanto non sono adunque disgraziati, ingrati, perversi coloro che non si curano d’amare Dio che tanto li ama! Che suprema sventura per loro il disprezzarlo e combatterlo! Eppure, oh! come grande è il numero di quelli che non amano Dio! Quanti possono dire con S. Pietro : « Voi, o Signore, che tutto conoscete, sapete bene quanto io vi ami? » (Ioann. XXI, 17). Chi oserà esclamare col Profeta: «L’anima mia sta attaccata a voi, o Signore?» (Psalm. LXII, 8). Ah! piangiamo la triste sorte di coloro che non amano Dio.
28. Come bisogna amare Dio. — Gesù Cristo c’insegna il modo di amare Dio con quelle parole: «Voi amerete il Signore vostro Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze vostre » (Matth. XII, 37). Con tutto il cuore, cioè voi consacrerete la vostra memoria a ricordarvi i suoi benefizi, ecc. Con tutta l’anima, cioè applicherete la vostra intelligenza a meditare com’Egli è amabile in se stesso, e quanto vi ha amati. Con tutte le forze, cioè con tutta la volontà. Udite S. Agostino : Allorquando Iddio ci dice : Voi amerete di tutto cuore, di tutta l’anima, di tutto lo spirito vostro, Egli non ci permette di dimenticarci di Lui un solo istante e di godere di qualche altra cosa (Homil. ad pop.). Amare Dio importa: 1° dare a Lui il nostro cuore tutt’intero e niente al demonio, né al peccato; 2° avere Dio per scopo di tutte le nostre azioni, di preferirlo a tutto come nostro sommo bene ed unico fine; 3° obbedirLo in tutto e sempre… Tutti quelli che hanno dato il loro cuore a Dio, dice S. Bernardo, si rallegrino e gioiscano nelle pene, nelle ambascie, nelle tribolazioni, nella fame, nella sete, nella nudità, nel disprezzo, tra le beffe, le calunnie, le maledizioni, gli insulti, e le persecuzioni fino alla morte (Serm. in Psalm.).
29. Mezzi di amare Dio. — S. Tommaso indica tre mezzi d’unirsi a Dio con l’amore: ci vuole il coraggio dello spirito, ossia l’energia; una grande severità contro le cupidigie; la bontà verso il prossimo (1a p. 9, art. 13). Un quarto lo troviamo accennato in quelle parole di S. Gregorio: « Se non moriamo al mondo non siamo atti a vivere di amore per Iddio ». Altri mezzi ci suggerisce S. Bernardo e sono: le letture devote, le quali eccitano l’amore divino; la meditazione, la quale lo nutrisce; l’orazione, che lo illumina e lo conforta. – Eccellenti mezzi sono questi per acquistare e mantenere l’amore di Dio in un’anima. Ne volete altri? Eccoveli. Date orecchio alla voce di Dio. « Non ci ardeva il cuore in petto, mentre per istrada ci parlava, e ci svelava le Scritture? » (Luc. XXIV, 32), andavano dicendo i discepoli di Emmaus. « Il mio cuore s’infiamma di amore e sento un fuoco avvamparmi in petto quando io medito », asserisce di sé il Salmista (Psalm. XXXVIII, 3). La purità del cuore è un mezzo adatto di amare Dio. « Il mio Diletto si delizia tra i gigli», diceva la Sposa dei Cantici (Cant. II, 16). Essa ci indica pure come tale, ed efficacissimo a far nascere e mantenere in noi l’amor divino, il desiderio che se ne mostra, in quelle altre sue esclamazioni : « Io vi scongiuro, o figlie di Gerusalemme, d’annunziare al mio Diletto, se Lo incontrate, che io languisco e vengo meno di amore per Lui… oh! chi mi darà ch’io ti trovi e t’abbracci, o mio Diletto? oh! allora nessuno oserà più insultarmi! » (Ib. V, 8) (Ib. VIII, 1). Il timore del Signore è un mezzo sicuro per giungere ad amarlo. Difatti, come osserva S. Basilio, è necessario che il timore preceda per introdurre la pietà, e a lui terrà dietro l’amore; il quale, al dire di S. Agostino, guarisce le ferite che ha fatto il timore, il cui effetto è di spronare. La fede ci porta ad amare Dio. « Al presente, dice S. Agostino, noi amiamo credendo quello che vedremo; poi nel Cielo ameremo vedendo quello che avremo creduto ». Ma se l’anima trova Dio con la fede e la speranza, lo possiede con la carità: se è assente, lo trova col desiderio; se presente, lo ritiene con la gioia: lo scopre e lo conserva con la pazienza: lo possiede con la consolazione. Finalmente si arriva con ogni certezza a Dio perseverando nel cercarlo e nel desiderio di amarlo. « Cercate il Signore, dice il real Profeta, e voi sarete rassodati e forti, ma cercatelo sempre » (Psalm. CIV, 4). « Sì, Iddio va cercato senza fine, sentenzia S. Agostino, perché Egli dev’essere amato senza fine ». Desideriamo noi davvero d’avere la carità? volgiamoci a chiederla allo Spirito Santo che è il Dio-Amore; poiché la carità, al dire di S. Paolo, fu sparsa nei nostri cuori dallo Spirito Santo che ci fu dato (Rom. V, 5).

12 Settembre: IL SANTO NOME DI MARIA

Oggetto della festa.

[D. Guéranger: l’anno liturgico, II vol.]

Qualche giorno dopo la nascita del Salvatore la Chiesa ha consacrato una festa per onorarne il Nome benedetto. Ci insegnava così quanto questo Nome contiene per noi di luce, di forza, di soavità, per incoraggiarci ad invocarlo con fiducia nelle nostre necessità (L’anno Liturgico, 183-187). – Così dopo la festa della Natività della Santissima Vergine, la Chiesa consacra un giorno ad onorare il santo nome di Maria per insegnarci attraverso la Liturgia e l’insegnamento dei santi, tutto quello che questo nome contiene per noi di ricchezze spirituali, perché, come quello di Gesù lo abbiamo sulle labbra e nel cuore.

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Storia della festa.

La festa del santo nome di Maria fu concessa da Roma, nel 1513, ad una diocesi della Spagna, Cuenca. Soppressa da san Pio V, fu ripristinata da Sisto V e poi estesa nel 1671 al Regno di Napoli e a Milano. Il 12 settembre 1683, avendo Giovanni Sobieski coi suoi Polacchi vinto i Turchi che assediavano Vienna e minacciavano la cristianità, S.S. Innocenzo XI, in rendimento di grazie, estese la festa alla Chiesa universale e la fissò alla domenica fra l’Ottava della Natività. Il santo Papa Pio X la riportò al 12 settembre.

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Nome uscito dal cuore di Dio.

Più che il ricordo storico della istituzione della festa, ci interessa il significato del nome benedetto dato alla futura Madre di Dio e nostra. – Il nome presso i Giudei aveva un’importanza grandissima e si soleva imporre con solennità. Sappiamo dalla Scrittura che Dio intervenne qualche volta nella designazione del nome da imporre a qualche suo servo. L’angelo Gabriele previene Zaccaria che suo figlio si chiamerà Giovanni ed egli ancora dice a Giuseppe, spiegandogli l’Incarnazione del Verbo: « Gli porrai nome Gesù ». Si può quindi pensare che Dio in qualche modo sia intervenuto, perché alla Santissima Vergine fosse imposto il nome richiesto dalla sua grandezza e dignità. Gioacchino ed Anna imposero alla loro bambina il nome di Maria che a noi è tanto caro.

Il tuo nome è un olio sparso

1 Santi si sono compiaciuti di paragonare il nome di Maria a quello di Gesù. San Bernardo aveva applicato al Signore il testo della Cantica: « Il tuo nome è un olio sparso » (Cantico dei Cantici, 1, 3), perchè l’olio dà luce, nutrimento e medicina. Anche Riccardo di san Lorenzo dice: « Il nome di Maria è paragonato all’olio, perché, dopo il nome di Gesù, sopra tutti gli altri nomi, rinvigorisce i deboli, intenerisce gli induriti, guarisce i malati, dà luce ai ciechi, dona forza a chi ha perso ogni vigore, lo unge per nuovi combattimenti, spezza la schiavitù del demonio e, come l’olio sorpassa ogni liquore, sorpassa ogni nome » (De Laudibus B. M. V. 1. II, c. 2).

Altre interpretazioni.

Oltre sessantasette interpretazioni diverse sono state date al nome di Maria secondo che fu considerato di origine egiziana, siriaca, ebraica o ancora nome semplice o composto. Non vogliamo trattenerci sulle interpretazioni e scegliamo le quattro principali riferite dagli antichi scrittori. « Il nome di Maria, dice sant’Alberto Magno, ha quattro significati: illuminatrice, stella del mare, mare amaro, signora o padrona» (Comm. su san Luca, 1, 27).

Illuminatrice.

È la Vergine immacolata che l’ombra del peccato non offuscò giammai; è la donna vestita di sole; è « colei la cui vita gloriosa ha illustrato tutte le Chiese » (Liturgia); è infine Colei, che ha dato al mondo la vera luce, la luce di vita.

Stella del mare.

La liturgia la saluta così nell’inno, così poetico e popolare, “Ave maris stella” e ancora nell’Antifona dell’Avvento e del tempo di Natale: “Alma Redemptoris Mater”. Sappiamo che la stella del mare è la stella polare, che è la stella più brillante, più alta e ultima di quelle che formano l’Orsa Minore, vicinissima al polo fino a sembrare immobile e conservare una posizione quasi invariabile per lunghe notti e per questo fatto è di molta utilità per orientarsi sulla carta del cielo e aiuta il navigante a dirigersi, quando non possiede la bussola. – Così Maria, fra le creature, è la più alta in dignità, la più bella, la più vicina a Dio, invariabile nel suo amore e nella sua purezza, è per noi esempio di tutte le virtù, illumina la nostra vita e ci insegna la via per uscire dalle tenebre e giungere a Dio, che è la vera luce.

Mare amaro.

Maria lo è nel senso che, nella sua materna bontà, rende amari per noi i piaceri della terra, che tentano di ingannarci e di farci dimenticare il vero ed unico bene; lo è ancora nel senso che durante la Passione del Figlio il suo cuore fu trapassato dalla spada del dolore. – È mare, perché, come il mare è inesauribile, è inesauribile la bontà e generosità di Maria per tutti i suoi figli. Le gocce d’acqua del mare non possono essere contate se non dalla scienza infinita di Dio e noi possiamo appena sospettare la somma immensa di grazie che Dio ha deposto nell’anima benedetta di Maria, dal momento dell’Immacolato Concepimento alla gloriosa Assunzione in cielo.

Signora o padrona.

Maria è veramente, secondo il titolo datole in Francia, Nostra Signora. Signora vuol dire Regina, Sovrana. Regina è veramente Maria, perché la più santa di tutte le creature, la Madre di Colui, che è Re per titolo di Creazione, Incarnazione e Redenzione; perché, associata al Redentore in tutti i suoi misteri, gli è gloriosamente unita in cielo in corpo e anima e, eternamente beata, intercede continuamente per noi, applicando alle nostre anime i meriti da Lei acquistati davanti a Lui e le grazie delle quali è fatta mediatrice e dispensiera.

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Discorso di san Bernardo.

Preghiamo la Santissima Vergine, perché voglia realizzare per noi i diversi significati, che santi e dottori hanno dato al suo nome benedetto, riportando la conclusione della seconda omelia di san Bernardo sul Vangelo “Missus est”: – « E il nome della Vergine era Maria. Diciamo qualche cosa di questo nome, che significa stella del mare. Si adatta perfettamente alla Madre di Dio, perché come l’astro emette il suo raggio, così la Vergine concepisce suo Figlio e il raggio non diminuisce lo splendore della stella e il Figlio non diminuisce la verginità della Madre. Nobile stella sorta da Giacobbe il cui raggio illumina il mondo, splendente nei cieli, penetra l’abisso, percorre la terra. Riscalda più che i corpi le anime, inaridisce il vizio, feconda la virtù. Sì, Maria è l’astro fulgente e senza uguali che era necessario sul mare immenso, che scintilla di meriti e rischiara coi suoi esempi la nostra vita. » Chiunque tu sia che nel flusso e riflusso del secolo abbia impressione di camminare meno su terra ferma che in mezzo alla tempesta turbinante, non distogliere gli occhi dall’astro splendido, se non vuoi essere inghiottito dall’uragano; se si desta la burrasca delle tentazioni, se si drizzano gli scogli delle tribolazioni, guarda la stella e invoca Maria. Se sei in balìa dei flutti della superbia o dell’ambizione, della calunnia o della gelosia, guarda la stella e invoca Maria. Se collera, avarizia, attrattive della carne, scuotono la nave dell’anima, volgi gli occhi a Maria. Turbato per l’enormità del delitto, vergognoso di te stesso, tremante all’avvicinarsi del terribile giudizio, senti aprirsi sotto i tuoi passi il gorgo della tristezza o l’abisso della disperazione, pensa a Maria. Nei pericoli, nell’angoscia, nel dubbio, pensa a Maria, invoca Maria.» Sia sempre Maria sulle tue labbra, sia sempre nel tuo cuore e vedi di imitarla per assicurarti il suo aiuto. Seguendola non devierai, pregandola non dispererai, pensando a lei tu non potrai smarrirti. Sostenuto da lei non cadrai, protetto da lei non avrai paura, guidato da lei non sentirai stanchezza: chi da lei è aiutato arriva sicuro alla mèta. Sperimenta così in te stesso il bene stabilito in questa parola il nome della Vergine era Maria ».

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VIRTÙ E PREROGATIVE DELLA BEATA VERGINE MARIA

Osserva che la Vergine Maria fu sole sfolgorante nell’annunciazione dell’Angelo, fu arcobaleno splendente nel concepimento del Figlio di Dio, fu rosa e giglio nella nascita di lui. Nel sole ci sono tre prerogative: splendore, candore e calore, che corrispondono alle tre parti del saluto dell’arcangelo Gabriele. La prima: “Ave, piena di grazia”; la seconda: “Non temere”; la terza: “Lo Spirito Santo scenderà su di te”. Quando dice: «Ave, piena di grazia! Il Signore è con te; tu sei benedetta fra le donne» (Le 1,28): ecco lo splendore del sole. E questo può riferirsi anche alle quattro virtù cardinali, ognuna delle quali rifulse in Maria in tre modi. Dalla temperanza le venne la riservatezza nel corpo, la modestia nel parlare, l’umiltà del cuore. Ebbe la prudenza quando tacque nel suo turbamento, quando comprese il significato di ciò che aveva udito, quando rispose a ciò che le veniva proposto.Ebbe la giustizia quando attribuì a ciascuno ciò che gli era dovuto. Si comportò con fermezza di cuore nel suo sposalizio, nella circoncisione del Figlio, nella purificazione stabilita dalla legge. Manifestò la sua compassione a chi soffriva, quando disse: «Non hanno più vino» (Gv II,3). Fu in comunione con i santi, quando perseverava nella preghiera con gli apostoli e le altre donne (cf. At I,14). Per la sua fortezza e grandezza d’animo si assunse l’obbligo della verginità, lo osservò e tenne fede a quell’altissimo impegno. San Bernardo afferma che «le dodici stelle poste sulla corona della donna» (Ap XII,1), della quale parla l’Apocalisse, sono le dodici prerogative della Vergine: quattro del cielo, quattro della carne e quattro del cuore, che scesero su di lei come stelle del firmamento. – Le “prerogative del cielo” furono: la generazione di Maria, il saluto dell’angelo, l’adombrazione dello Spirito Santo, l’ineffabile concepimento del Figlio di Dio. “Le prerogative della carne”: fu la prima di tutte le vergini, fu feconda senza corruzione, gravida senza disagio, partoriente senza dolore. – “Le prerogative del cuore” furono: la pratica dell’umiltà, il culto del pudore, la magnanimità della fede e il martirio spirituale, per il quale una spada trafisse la sua anima (cf. Lc. II,35). Alle prerogative del cielo vanno riferite le parole: «Il Signore è con Te»; alle prerogative della carne, le parole: «Benedetta sei Tu fra le donne»; alle prerogative del cuore, le parole: «Piena di grazia».

Nella festa del Nome di Maria, chi confessato e comunicato assiste alla Messa solenne, per concessione di Innocenzo XI il 17 luglio 1672, confermata da Pio IX il 3 giugno 1836 acquista Ind. Plen. Applicabile ai Defunti. Quest’ultimo poi ha dichiarato che coll’acquisto di tale indulgenza, basta anche la Messa Parrocchiale o Conventuale, celebrala da un prete solo, come avviene in campagna, o fra le Comunità Religiose. – Questa festa, già celebrata in molte parti della Cristianità, fu resa universalmente obbligatoria da Innocenzo XI nel 1683 dopo che nella domenica successiva alla Natività di Maria, fu riportata dai Cristiani, capitanati da Sobieski re di Polonia, ìla più strepitosa vittoria contro i turchi che con spaventevole esercito assediavano Vienna, e di là minacciavano tutta l’Europa.

Preghiera per il Nome di Maria

(da G. Riva, Manuale di Filotea, Milano 1888. – con imprim. -)

 I – A tutta ragione, o Maria, nel significato del vostro nome vi chiamate Padrona, perché, nata dai più illustri personaggi che dominarono la Palestina, voi non vi compiaceste mai d’altro che dell’oscurità e dell’abbandono in cui traeste la maggior parte dei vostri giorni, e del fedele servizio del vostro Dio, a cui vi consacraste irrevocabilmente fino dai vostri primi anni. Deh, impetrate anche a noi questo spirito di umiltà e di fervore, affinché non ci gloriamo mai d’altro che di vivere a vostra imitazione sempre crocifissi con Cristo ond’essere con Cristo glorificati. Ave.

II -Ben vi si addice, o Maria, il glorioso titolo di Illuminata significatoci dal vostro nome, perché, esente da ogni macchia, adorna di ogni virtù fino dal principio della vostra esistenza, foste arricchita di tanti lumi, così nell’ordine della natura, siccome in quello della grazia, da superare i profeti, gli apostoli e tutti gli angeli, ed essere universalmente esaltata per la Sede della Sapienza. Deh! un raggio alieno di tanta luce fate risplendere sopra di noig affinché, dissipate le fitte tenebre della nostra ignoranza, conosciamo con chiarezza il nostro vero bene, e non seguiamo mai altra scorta che quella dei vostri esempi e delle vostre ispirazioni.. Ave.

III. Nelle tempeste che ci minacciano ad ogni istante durante la nostra navigazione in questo mare del mondo, a chi ricorreremo, o Maria, se non al vostro nome che significa “Stella del mare”? per voi si dispersero le eresie, e dalle battaglie più pericolose uscì trionfante la Chiesa. Per voi le persone, le famiglie, gli stati, furono non solo liberati, ma tante volte ancor preservati dalle più gravi calamità, perché i nemici si disperdono, i morti si mettono in fuga, e la morte è costretta a rendere le proprie prede appena si invoca il vostro Nome. Deh! Sia sempre viva la nostra fiducia in una mediazione così potente, affinché in ogni nostro bisogno possiamo sperimentarvi ancor noi per quella che sempre vi dimostraste, il soccorso degli indigenti, la difesa dei perseguitati, la salute degli infermi, la consolazione degli afflitti, il rifugio dei peccatori e la perseveranza dei giusti. Ave, Gloria.

[v. in questo blog anche i “5 salmi sul Nome di Maria”]

La strana sindrome di nonno Basilio 35

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La strana sindrome di nonno Basilio 35-

E rieccoci, caro direttore, sono qui di nuovo per raccontarle come è andata a finire la gita a Pienza, sito Unesco, con i miei nipoti. Eravamo rimasti al tavolo di un locale del centro, nella stupenda piazza intitolata … beh manco a dirlo … a Pio II, con vista del Duomo, dedicato a Santa Maria Assunta, e del pozzo, ove tra uno stuzzichino con il celeberrimo pecorino, ed un bicchiere di Brunello (un goccetto l’ho saggiato anch’io, … eh, caro direttore, quando ci vuole, ci vuole, è un vino che merita, ma non lo faccia sapere alla mia Genoveffa, la prego! … e per questo peccatuccio di gola farò una penitenza, … vediamo, magari starò due giorni a bocca chiusa! …), abbiamo commentato la bolla di Pio II Piccolomini “Execrabilis”, una vera bomba ad orologeria confezionata nel 1459, e che sta esplodendo oggi, bomba che invalida tutti i lavori del Conciliabolo “tradimentino” Vaticano II, riducendolo ad un ammasso di cumuli stercoracei anatemizzati anzitempo ed i cui pseudo e velenosi documenti, eretici e blasfemi, sono da considerarsi solo carta straccia, insieme a tutti i “derivati”: novo ordo missae (la attuale messa del baphomet), il nuovo anticattolico codice canonico, il liber pontificalis (le cui formule sacramentali sono tutte quantomeno dubbie, ed alcune sono sfacciatamente non valide), catechismi blasfemi come lo schizoide CCC ,[il c.d. catechismo della chiesa cattolica (mentre sarebbe meglio leggere “Cavolo, Che Cavolate!), che di cattolico ha solo una pallida parvenza che mal copre lo gnosticismo evidente dell’umanesino luciferino spudoratamente enunciato, contrapposto a centinaia di bolle, encicliche papali, concilii generali e locali … “tutto al macero” sbotta Caterina “… speriamo al più presto!”. Cerco allora a modo mio di fare il punto della situazione e spiegare le implicazioni della bolla ai ragazzi allibiti, i quali sembrano essersi risvegliati da un incubo allucinante, in un’alba nuova, in un’aurora che inizia a chiarire tanti interrogativi angoscianti, e profuma di Chiesa Cattolica “vera” … di sana e santa spiritualità! In questa straordinaria bolla spiccano quattro caratteristiche importanti: 1. la natura vincolante delle decisioni della Chiesa; 2. l’ampia estensione delle persone sulle quali cade la terribile e mortalmente eterna condanna; 3. i requisiti per la rimozione dell’anatema; 4. l’effetto delle leggi della Chiesa sui comitati erroneamente convocati ed utilizzati per allestire concili e conciliaboli. La nozione di “decisione”, utilizzata in Execrabilis e così ben amplificata e riaffermata dal Concilio v-1 nella costituzione dogmatica “Pastor Aeternus”, abbraccia radicalmente: dogma, dottrina, insegnamento e culto. Execrabilis copre non solo le sentenze della Chiesa allora esistenti al tempo di Papa Pio II, ma blocca anche le sentenze dei Papi successivi contro gli attacchi di un Concilio illegale o di un Pontefice illegittimamente usurpante. “Ma questo Papa è stato un vero profeta dei nostri tempi infami, osserva Caterina ammirata, e così viene coinvolto ogni giudizio della Chiesa che riguardi la fede e la morale.”. “Ma allora, osserva Mimmo prontamente, qui sono condannate tutte le soppressioni, innovazioni, modifiche e false dottrine introdotte dal Concilio Vaticano II, tra cui il tentativo di cambiare il pensiero e l’atteggiamento dei cattolici in materia di fede e morale”. “Ma certo, caro Mimmo, questa legge è una difesa contro chi tenta di modificare le passate decisioni della Chiesa contro l’ebraismo rabbinico, il naturalismo, la Massoneria, il comunismo, l’umanesimo, il supernaturalismo, e tutte le porcherie del progressismo agnostico soggettivista della nouvelle théologie. Ma procediamo con ordine: “la successiva notazione riguarda l’ampio coinvolgimento di persone sulle quali ricade la condanna di Execrabilis. Tutti coloro – incluso un eventuale Papa – che violano la legge prevista da Execrabilis, sono ritenuti colpevoli. Allo stesso modo, tutti coloro che tramano e convocano un Concilio illegale… che si insediano in commissioni e progetti agli schemi… anti-cattolici, o che prendono parte nella sua causa contro la Chiesa… o che implementano o promuovano tali Concili con sentenze di rottura, violano tutti l’intento e lo spirito di Execrabilis e automaticamente sono impietosamente cacciati fuori dalla Chiesa perché colpiti da “anatema”, che significa dannazione! “Di conseguenza, interviene Mimmo, allibito, chi ha convocato il Concilio Vaticano II con lo scopo di “adattare” ed eludere le sentenze della Chiesa, chi si è dedicato nel promuovere il Concilio illegale completandone il lavoro, tutti coloro che hanno prodotto i documenti ed acconsentito a vario titolo i lavori del Concilio, si sono posti fuori dalla Chiesa con l’indignazione di Dio sulle loro anime.” .“E sì Mimmo, è proprio così, perché allo stesso modo, scomunicati con l’ira di Dio, sono pure i sacerdoti che hanno lavorato sulle varie commissioni preparatorie ed approntato gli schemi ostili, come pure i prelati, i delegati, i consulenti che hanno partecipato alle attività anti-cattoliche del Concilio Vaticano II in qualsiasi veste, in quanto i loro sforzi costituivano l’adesione, l’appoggio favorente e l’assistenza ai nemici di Cristo, perché sono loro che hanno fatto appello al Concilio Vaticano II. Inoltre allo stesso modo, banditi dalla Chiesa, sono pure tutti i Vescovi diocesani che hanno consentito l’apertura dell’ovile del Salvatore con l’illegale concilio. Tutti coloro che, non costretti o ricattati, hanno firmato i documenti prodotti dalle varie commissioni, gli insegnanti, i capi ed i rettori di facoltà, di seminari, collegi, ed Università che promossero il lavoro di detto Concilio e ne adottano attualmente i decreti, rientrano nelle condanne di Execrabilis, poiché ivi si diffondono le false dottrine dei nemici della Croce in opposizione alle sentenze della Chiesa di Cristo. E così estesa è la copertura dei colpevoli che persino scrittori e testimoni e, in generale, tutti coloro che consapevolmente hanno fornito consigli, aiuto, o favoriscono quelli che hanno fatto appello al Concilio (come ebrei e massoni), sono puniti con la stessa drastica pena. E colpevoli sono tutti coloro che intenzionalmente accettano l’eretico Concilio ed i suoi cattivi frutti: tutti i sacerdoti che, in violazione del loro giuramento di difendere la Chiesa contro l’eresia, abbracciano gli insegnamenti nuovi e strani del Vaticano II, sapendo che si oppongono alle decisioni della Chiesa Cattolica apostolica, sottoscrivendo l’illegale soppressione del Sacrificio della Messa, e tollerando l’anti-cattolico “novus Ordo” che devia dal Catechismo di Trento per insegnare le false dottrine del Vaticano II, o in qualunque altro modo facilitando l’attecchimento dell’esecrabile ed illegale Concilio – sono tutti scomunicati dalla Chiesa Apostolica con l’indignazione di Dio sul loro capo. “Ma cosa c’è ancora da dire allora … tutti all’inferno!”, interviene Mimmo con la solita irruenza! “E sì, sembra proprio così, cari ragazzi, anche perché il terzo notevole aspetto di Execrabilis è la scomunica riservata al Sommo Pontefice” che è l’unico a poter revocare la sentenza di scomunica rimettendo ai colpevoli questo particolare peccato. Questa riserva di assoluzione alla sede Apostolica, naturalmente, presuppone un “legittimo” Pontefice in grado di cancellare il terribile anatema, indicativo di morte certa dell’anima! “Ma allora, esclama Mimmo, dal 1958, se nessun legittimo rappresentante di Cristo occupa la sede del soglio di Pietro? Gli usurpatori, gli uomini che sopprimono il primato e la sovranità della Chiesa di Cristo, che rifiutano il Triregno incoronato e tutto ciò che esso sta a significare, non hanno il potere delle chiavi! Tali impostori possono mai sollevare da una sentenza di scomunica, visto che da se stessi sono scomunicati “ipso facto”? E la scomunica “ipso facto”, non è una cosa astratta, bensì un qualcosa di terribile che imprime un carattere indelebile all’anima, come ci ricorda Pio VI in “Auctorem Fidei”. È come un battesimo “inverso”: il Battesimo imprime un carattere indelebile nell’anima che la dispone all’eterna salvezza, l’anatema “ipso facto” è un sigillo invisibile all’occhio umano che Dio stesso imprime nell’anima che diventa pronta per il fuoco eterno! Ecco come Pio VI condanna infallibilmente la proposizione di chi asserisce che “l’effetto della scomunica è solamente esteriore, perché solo di sua natura esclude dall’esteriore comunicazione della Chiesa“; … Quasi che la scomunica non sia pena spirituale, che lega nel cielo ed obbliga le anime (S. Agostino, Epist. 250, Auxilio Episcopo; Tract. 50 In Johann., n. 12): FALSA, PERNICIOSA, CONDANNATA NELL’ARTICOLO 23 DI LUTERO, PER LO MENO ERRONEA. Questi impostori, nonostante le loro “false elezioni”, con le loro eresie, hanno spinto se stessi fuori dalla Chiesa e pertanto non possono revocare la scomunica, perché colui che è messo fuori della Chiesa non può legittimamente esercitare il potere papale (Vedi p. Saenz, La sede vacante, Veritas, dicembre 1975). Coloro che sono fuori della Chiesa non possono essere all’interno della Chiesa! (principio evidente ed elementare di non contraddizione!). Poiché la sede di Pietro è occupata da tempo da evidenti impostori eretici, autorità fasulle, coloro che sono caduti sotto la scomunica di Execrabilis sono in grande difficoltà perché, come ci dice il Concilio di Trento, “i sacerdoti non hanno alcun potere di assoluzione nei casi riservati alla sede Apostolica eccetto che in punto di morte.” Il Tridentino ci dice pure: “… che l’assoluzione che un sacerdote pronunzia su qualcuno sul quale non ha una giurisdizione normale o delegata, non ha alcun valore …. questo Sinodo conferma essere verissimo – che debba essere di nessun valore quell’assoluzione che il sacerdote pronuncia su colui sul quale non abbia giurisdizione, ordinaria o delegata, poiché la natura e l’indole del giudizio richiede che la sentenza venga pronunziata solo sui sudditi, come vi è stata sempre nella Chiesa di Dio questa persuasione. Cap. VII del Sacramento della penitenza.] Inoltre per un sacerdote che assolva un peccato riservato alla sede Apostolica in punto di morte, è essenziale ci sia un riconoscimento di colpa. È essenziale che il peccatore abiuri ad esempio, nel nostro caso, il Vaticano II; Egli deve pentirsi di aver partecipato al Concilio illegale o di averlo solo promosso, sostenuto o attuato o favorendo coloro che lo hanno convocato ed attuato. Senza pentimento non può esserci nessuna assoluzione del peccato riservato, che rimane così non confessato. In tale stato peccaminoso, impenitente ed insolvente, il peccatore va ad incontrare il suo Creatore … o il suo nemico?!” – “Ragazzi, ma è ora di andare, mangiamo qualcosa, magari un po’ del famoso pecorino locale, quello del palio del cacio fuso, e … senza bere, ma con l’assaggio finale immancabile del panforte senese, ed andiamo verso l’auto”. Così ci siamo messi in vettura per affrontare il viaggio di ritorno oramai all’ora del tramonto in una cornice di colori tenui e sfumati, tra l’arancio, il rosa ed il celeste, con gli ultimi raggi del sole che filtravano tra le vigne verdeggianti. “Ragazzi, dico, vi ringrazio di questa bella gita che mi avete regalato oggi,” – “… ma no, nonno, siamo stati felici noi di non fare sempre le nostre chiazzate con gli amici agitati e vivaci, spesso brilli e rubicondi, e poi … oggi abbiamo saputo tante cose veramente importanti! Grazie, non ce ne scorderemo presto … oh, la polizia, fermiamoci!”. I soliti controlli, patente, libretto, il palloncino … per fortuna tutto in regola! Così, passato il batticuore, ci siamo finalmente incamminati verso casa, ove ci aspettava sull’uscio la cara Genoveffa, che appena fermi, venutaci incontro, esordisce (… del resto non avevo alcun dubbio) “ … vieni Basilio caro, ben tornato, … hai preso le medicine? Ecco, qui ho pure quella della sera!”. Siamo tornati alla solita vita, meno male direttore! La saluto caramente e alla prossima, se Dio vuole.

Omelia della Domenica XVII dopo Pentecoste

Omelia della Domenica XVII dopo Pentecoste

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. II -1851-]

(Vangelo sec. S. Matteo XXII, 34-46)

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Amore di Dio.

“Maestro, quale di tutti i comandamenti della legge è il più grande?!” Fu questa la maliziosa interrogazione che fece a Gesù Cristo un dottor della legge, come ci narra S. Matteo nel sacrosanto Evangelo della corrente Domenica. – La mira di quel dottor Fariseo, al dir di un interprete, era di costringere Gesù ad una dichiarazione della maggioranza di alcun dei precetti riguardanti l’esercizio del divin culto o di altro spettante alle leggi scritte da Mose, per aprirsi strada a questioni. Troncò il maligno suo disegno il Redentore col rispondere: “Ecco il massimo di tutti quanti i precetti: Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuor tuo, con tutta l’anima tua, con tutta la mente tua: “Diliges Dominum Deum tuum ex loto corde tuo, et in tota anima tua, et in tota mente tua”. È questo il primo e massimo comandamento. Egli è il massimo per la sovrana autorità di un Dio che l’ha imposto, è il massimo per quel commercio che passa tra i più nobili movimenti del nostro cuore e il suo principio che è Dio, e il massimo pel suo fine; è ricompensa d’eterna vita per quei che l’osservano. Se desiderate conoscere i modi coi quali deve da noi osservarsi questo grande e massimo comandamento, due sono necessariamente richiesti. Fissateli bene, cristiani amatissimi. Siamo obbligati ad amare Dio con amore di “preferenza”, lo vedremo da prima: siamo obbligali ad amare Dio con amor di “operazione”, lo vedremo dappoi, se mi favorite di benigna attenzione.

I. – La prima indispensabile qualità del nostro amore verso Dio è la “preferenza”. Non siamo già tenuti ad amare Dio con un amor tenero e sensibile. La tenerezza e la sensibilità, onde talvolta cert’anime si sentono dilatare il cuore, e spargono dolci lacrime, non é da Dio comandata. Possono essere naturali effetti di un temperamento sensibile e facile al pianto. – Né pur ci vien imposto di amare Dio con un amore sforzato; ma con amor libero e volontario; onde riflette l’angelico dottor S. Tommaso che Iddio nell’intimarci questo suo precetto non si servì del verbo “Amabis”, ma del verbo “Diliges” per significarci che vuol essere amato con un amore, che seco porta una scelta ultronea, una spontanea elezione. – Non ci vien finalmente comandato con rigor di precetto un amore intenso, fervido e di sfera sublime. Il Signore ebbe riguardo alla nostra fiacchezza e non ci prescrisse il grado di questo amore, ma la sostanza soltanto. E qual è di quest’amor la sostanza? Ecco, la “preferenza”: vale a dire un amore di stima, di prelazione, di apprezzamento. Questi termini che hanno una sola significazione vogliono essere spiegati a favor de’ men colti. Iddio comanda d’esser amato da noi. Ora, siccome Dio è superiore a tutte le creature presenti e possibili, così dev’essere amato da noi sopra le creature tutte, presenti e possibili. E siccome da Dio portano e a Dio sono inferite tutte le cose create, così il nostro amore per le cose create deve da Dio discendere e riferirsi allo stesso Dio. Un cuore, un’anima che abbia questo amore, preferisce Iddio a sé stessa e ad ogni altra creatura: prepondera nel suo affetto più Dio, che qualunque altro bene creato: stima più Dio, che il mondo tutto: apprezza tanto Dio che non soffre che altr’oggetto venga con esso a paragone e competenza; e se l’umana, o diabolica tentazione forma un tal paragone e competenza, il cuore l’abbomina, l’odia, la distrugge e fa che in sé trionfi la stima e l’adesione, al suo Dio. – Dall’esempio e dalle parole dell’Apostolo Paolo meglio comprenderemo la qualità dell’amor di Dio a noi prescritto. Sfidava egli le creature tutte a separarlo, se era ad esse possibile, dalla carità dell’Uomo-Dio, dall’amor di Gesù Cristo. “Quis me separabit a charitate Christi(Ad Rom. VIII, 35)? “Forse la tribolazione, l’angustia, la fame, la nudità, la persecuzione, la spada? Eh no, che né la morte, né la vita, né l’altezza degli onori, né il profondo dell’avvilimento, né creatura alcuna potrà separarmi dalla carità di Dio, dall’amore di Gesù Cristo.” – Non crediate già, uditori, che qui S. Paolo abbia parlato con enfasi di fervore, come Apostolo disceso dal terzo cielo. No, egli qui parla da semplice cristiano, e dice il puro, il preciso a cui è obbligato qualunque privato fedele. Da ciò ne viene che ciascuno di noi è strettamente tenuto ad essere nelle medesime disposizioni di animo e di volontà, nelle quali protestava di essere il gran Dottor delle genti, onde ognun di noi è obbligato a dire in tutta osservanza e realtà: mediante l’aiuto di Dio, che mai non manca, non vi sarà creatura alcuna, che mi entri nel cuore fino ad escluderne Iddio. “Non altitudo”, non le cariche onorevoli e lucrose, se a quelle debbo ascendere per una via d’ingiustizia, o di simonia, o per altra strada obliqua. “Necque profundum”, non l’abbassamento e la depressione; e se da questa potesse togliermi la calunnia, o l’impostura, o la vendetta, io tutto sacrificherò all’Altissimo, e morrò nel profondo dell’abiezione piuttosto che trarmene con mezzi illeciti: non la fame coi suoi malvagi consigli, non la tribolazione coi suoi tentativi, non la persecuzione coi suoi pericoli, non finalmente la spada del tiranno, né qualunque altra creatura avrà forza in me di staccarmi da Dio, di farmi oltrepassare i suoi ordini e trasgredire i suoi comandi. Ecco l’amore solo, fermo, sostanziale di “preferenza”, di stima, che Dio rigorosamente c’impone nel primo precetto; perciocché Dio non sarebbe più Dio, se più di esso Lui, o al par di Lui, si potesse da noi amare lecitamente qualche altra cosa. Ma quest’amore di preferenza sarebbe un amor di semplice disposizione, se fosse disgiunto dall’opere: vi dissi perciò in secondo luogo, che deve essere amor di “operazione”.

II. – Dio, che si appella dall’Evangelista S. Giovanni, carità per essenza, “Deus charitas est” (Joan. IV, 16), si chiama altresì dall’Apostolo, fuoco consumatore, “Deus noster ignis consumens est” (Hebr. XII, 21). – Questo mistico fuoco, di cui Dio arde per noi, soggiunge il nostro divin Salvatore, “son venuto dal cielo a portarlo su questa terra; e qual altro è il mio desiderio, se non che si accenda in tutti i cuori?” “Ignem veni mittere in terram, et quid volo, nisi ut accendatur” (Luc. XII, 49)? – Osservate ora il fuoco, egli è il più attivo di tutti gli elementi. La terra quando produce e quando riposa: l’aria talora è agitata e talora tranquilla: l’acqua ora scorre, ora è stagnante. Solo il fuoco è sempre in moto, sempre agisce; e se cessa di agire, di accendere, di consumare, cessa altresì dall’esistere. Tal è appunto l’amore verso Dio, dice il Magno Gregorio, “operatur magna, si est, si autem renuit operari, amor non est” (Hom. 30 in Evan.). Vi son opere per Dio, per la sua gloria, pel suo servizio? Dunque vi è amore; non vi son opere? … non vi è amore. L’opera, prosegue lo stesso S. Pontefice, è la prova più autentica dell’amore. “Probatio dilectionis exhibitio est operis” (Ibid.). Infatti perché l’Eterno Padre amò il mondo ci diede il Figlio suo Unigenito per Salvatore. “Sic Deus dilexit mundum, ut filium suum Unigenitum daret” (Joan. III, 16). E suo Figlio stesso per dare la maggior prova al mondo di quanto amava il celeste suo Genitore, andiamo, disse ai suoi discepoli, a compiere quel sacrificio, che placherà la sua giustizia, che comproverà la sua gloria, “ut cognoscat mundus quia diligo Patrem … surgite, eamus” (Joan. XIV, 31). Persuasi ora che le opere sono i veridici contrassegni dell’amore, se mi chiedete quali debbano da noi praticarsi, vi risponderà Gesù Cristo nel Vangelo di S. Giovanni: “Se voi amate, dice Egli, fatemelo conoscere coll’osservanza dei miei comandamenti, “si diligitis me, mandata mea servate” (Joan, XIV, 15). Invano vi lusingate di amarmi, se non mi ubbidite. Così è: i comandamenti della natura, del Decalogo, del Vangelo, della Chiesa, de’ legittimi superiori, son tutti comandamenti di Dio. Se da noi sono osservati, possiamo avere una morale certezza, che regna in noi l’amor di Dio, un solo però che venga trasgredito basta ad estinguere questo amore e dar morte all’anima nostra. “Qui non diligit, manet in morte” (Jo. III, 14). – Ad agevolare poi l’osservanza de’ divini precetti è espediente mettere in pratica i mezzi opportuni all’intento. Scelgo fra tanti, quei che ci suggerisce S. Lorenzo Giustiniani, e sono “Libenter de Deo cogitare, libenter Deo dare, libenter pro Deo pati” (Lib. De L. vitae c. 11). Riandiamo i sensi di questo gran Santo, che forse avremo da confonderci. “Libenter de Deo cogitare”. Un cuore che ama ha sempre presente al pensiero l’oggetto amato. Corre questo costume riguardo agli oggetti terreni, non corre per nostra sventura rapporto a Dio. Ditemi in grazia, fedeli amatissimi: il vostro primo pensiero nello svegliarvi lo date a Dio? Fra giorno vi occupate mai della memoria di Dio? Pensate mai che Iddio vi è presente, che è testimonio di ogni vostra azione? Vi tornano a mente i benefizi da Lui ricevuti, le grazie, che ogni dì vi comparte? Oh Dio! Si pensa al negozio, al lucro, alla lite, al divertimento, alla campagna, al lavoro, alla famiglia, insomma a tutto, ma non a Dio. Io già non vi condanno se pensate alla casa, ai figli, ai campi, alle officine, agli affari, e a tanti altri vostri giusti interessi. Possono essere questi pensieri una parte delle obbligazioni del vostro stato. Ma di grazia fra tanti e tanti pensieri non vi potrebbe aver luogo un pensiero per Dio? Possibile che Egli debba essere escluso dalla vostra mente per modo, che in tutto il dì non si trovino in essa neppur alcune reliquie di pensieri per Dio, “reliquiae cogitationum”, giusta la frase del re Profeta! O sconoscenza della creatura dimenticata di quel Dio, in cui vive, in cui si muove, per cui esiste! – In secondo luogo , “libenter Deo dare”. L’amore è liberale. Chi ama Dio dà a Lui volentieri il suo tempo per onorarLo, per supplicarLo. Gli fa di buon grado parte di sue sostanze nella persona dei poveri. Dava più volte al giorno il suo tempo a Dio il Profeta Daniele; dava di sue sostanze ai bisognosi il buon Tobia. I cristiani moderni san fare miglior uso del tempo e delle sostanze? Le ore della notte alla veglia e al riposo: le ore del giorno se le dividono il pranzo, la cena, la conversazione, le visite, il giuoco, il passeggio; e a Dio che resta? … e a Dio che si dà? Una Messa alle Domeniche, chissà come sentita, qualche volta un rosario detto tra il sonno e l’accidia, una predica per curiosità, una confessione all’anno, una comunione alla Pasqua. Caino non è più solo, che a Dio offriva le spighe più smunte del proprio campo. – Ora chi nega a Dio il tempo al suo culto, come gli sarà liberale in sovvenire i suoi poverelli? Il ricco Epulone neghittoso verso Dio, crudele verso Lazzaro ha i suoi successori. Altro che amor di Dio! Finalmente, “libenter pro Deo pati”. Ella è questa una gran prova di amore, patir volentieri per l’oggetto amato. Voi avete in casa quella suocera incontentabile, quella nuora arrogante, quel marito collerico, quella moglie fastidiosa, quel figliuolo che v’inquieta il giorno, che vi disturba la notte, quell’infermo che vi cruccia, quel vicino che vi molesta, e per che non farvi merito colla pazienza, perché non dare a Dio un segno del vostro amore col patir qualche poco per Chi ha tanto patito per voi? – Tanto si soffre per le creature, tanto si stenta pel mondo, e nulla si vuol soffrire per Dio! Deh! non sia più così. Il nostro amore verso Dio sia da qui innanzi amor di “preferenza”, di prelazione, di stima; ed acciò non resti sterile nella pura immaginativa si porti alla pratica, si dimostri colle opere, “non diligamus verbo, neque lingua, sed in opere et veritate” (I Jo. IV). Allora sì che il nostro amore sarà come l’oro fra i metalli, come il sole tra i pianeti, come il fuoco fra gli elementi. Questo mistico fuoco non si estinguerà per morte, passerà anzi ad accrescere la sua fiamma nella celeste sfera, ove si vive di puro amore, e ove Iddio ci conduca.

I FRUTTI DELLO SPIRITO

I FRUTTI DELLO SPIRITO

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[J.-J. Gaume; “Il trattato dello Spirito Santo”: Capp. XXXVII, XXXVIII, XXXIX, Firenze 1887].

Abbiamo spiegato la grazia, le virtù, i doni e le beatitudini. Sotto i nostri occhi è passato tutto il magnifico sistema di elementi deificatori i quali, concatenandosi gli uni con gli altri, conducono l’uomo alla somiglianza col Verbo incarnato. La miniera con tutto ciò non è esaurita. A tante ricchezze si aggiungono altre ricchezze. « Delle buone fatiche, dice la Scrittura, glorioso è il frutto. »  [“Bonorum enim laborum gloriosus est fructus”. Sap., III, 15]. – Quali fatiche più nobili di quelle della nostra deificazione! Quali frutti più deliziosi dei frutti coi quali sono ricompensati! Ciascuna beatitudine o atto beatifico ci avvicina a Dio. Ora, Dio è tutto insieme, perfezione assoluta e felicità suprema. Ne risulta che ad ogni passo che noi facciamo verso Dio, va unito un godimento, cioè che i frutti escono dalle beatitudini, come il frutto esce dall’albero. Completando l’opera della nostra creazione divina, questi nuovi favori dello. Spirito Santo fanno del cristiano il Dio di quaggiù, “terrenus Deus”, e della sua vita terrena un cielo anticipato, conversatio in coelis. Per comprenderlo, basta conoscere la risposta alle tesi seguenti: Che cosa s’intende per frutti dello Spirito Santo? Come sono eglino prodotti? Perché sono essi cosi chiamati? In che cosa differiscono dalle beatitudini? Quale ne è il numero? A che cosa sono opposti? 1° Che s’intende egli per i frutti dello Spirito Santo? Nell’ordine naturale, si chiama frutto il prodotto delle piante e degli alberi. La mela è il frutto del melo; il limone del limone; la fravola del fravolo, così degli altri. – Varii come le piante, più i frutti hanno questo di comune, che racchiudono qualcosa di grato secondo la loro specie, e sono come l’ultimo sforzo della pianta. [“Fruitio et fructus ad idem pertinere videntur, et unum ex altero derivari… Unde a sensibilibus fructibus nomen fruitioms derivatum videtur. Fructus autem sensibilis est id quod ultimimi ex arbore espectatur, et cum quadam sua vitate percipitur”. S. Th., l a, 2ae, q. xi, art. 1, corp. — “Ad nozione fructus sufficit quod sit aliquid babens rationem ultimo et delectabilis”. Id., id., q. 70, art. 2, corp.] – La condizione necessaria per costituire il frutto propriamente detto, è il sapore: per questa ragione le foglie e i fiori non sono chiamati frutti. Il frutto stesso, avanti che sia maturo, non porta il nome di frutto. Per nominarlo vi si aggiunge un epiteto che qualifica la sua imperfezione. Dicesi: frutto acèrbo, frutto verde. La ragione è che esso non ha le qualità essenziali del frutto: il colore, il sapore, la dolcezza, la cui riunione, costituendo la bellezza e la bontà, forma un perfetto prodotto. Allorché l’albero ha dato il suo frutto è finito il suo compito. Ei si riposa e si prepara a produrre nuovi frutti al loro tempo. – Donde quella definizione dell’angelo della scuola: « Si chiama frutto il prodotto della pianta, giunto alla sua perfezione e che contiene una certa dolcezza. » [“Dicitur fructus id quod ex pianta producitur cum ad perfectionem pervenerit et quamdam in se suavitatem habet”. S. Th., l a, 2“ , q. 70, art. 1, corp,]. – Secondo un paragone famigliare al Vangelo, l’uomo è un albero. Le sue azioni sono i suoi frutti. Da ciò quell’altra definizione di san Tommaso: « I frutti sono tutti gli atti virtuosi, nei quali l’uomo si diletta. » [“Sunt enim fructus quaeoumque virtuosa opera in quibus homo delectatur.” Ibid., art. 2, corp.]. – Come quelli delle piante, così i frutti dell’uomo differiscono qualità secondo la natura dell’umore che circola nelle vene di quest’albero vivente. Belli e buoni di una bellezza e di una bontà puramente naturali, se essi sono il prodotto della ragione e delle virtù puramente umane. Belli e buoni di una bellezza e bontà soprannaturale, se sono il prodotto della grazia e delle virtù soprannaturali. – Per meritare il nome di frutto, abbiamo visto che il prodotto delle piante deve essere l’ultimo sforzo della pianta, e racchiudere una certa dolcezza. Queste due condizioni non sono meno necessarie per costituire il frutto spirituale. Prima di tutto, per essere chiamato frutto ogni atto virtuoso, deve essere perfetto nel suo genere, vale a dire l’ultimo sforzo del principio che lo produce. L’atto imperfetto è indegno di questo nome. Cosi, la velleità del bene, gli atti di qualsiasi virtù, debolmente adempiuti o viziati da intenzioni malvagie, non sono più frutti spirituali, ma aborti; i fiori e le foglie non sono frutti naturali. [“…. Fructus hominis id quod homo adipiscitur, non autem omne id quod adipiscitur homo, habet rationem fructus; sed id quod est ultimum et delectationem habens”. S. Th., ut supra]. – Occorre inoltre che l’atto virtuoso racchiuda una certa dolcezza. Qual’è questa dolcezza? È la testimonianza della coscienza, e il contento intimo che provoca il dovere completamente e nobilmente adempito. Senza essere sempre sensibile, non è per questo meno reale. Qui possiamo applicare la parola dell’Apostolo : « Ogni correzione sembra alla verità, nel momento presente, un soggetto non di gioia, ma di tristezza; ma in seguito essa si trasforma per quelli che esercita in frutto delizioso di giustizia. » [Ebrei, XII, 12]. – Divenuta abituale nell’anima, questa dolcezza costituisce il banchetto delizioso del quale parla lo Spirito Santo, che si sostituisce a tutte le gioie e che nessuna gioia può sostituirlo. 2 2 [“Secura mens quasi juge convivium”. Prov., XV , 15]. Donde viene che il dovere, degnamente adempito, procura la gioia? Dall’essere un passo di più verso Dio, nostro ultimo fine e la soavità infinita. – Secondo queste spiegazioni, vediamo che i frutti dello Spirito Santo sono tutte le buone opere degne di questo nome, fatte sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, e nelle quali l’uomo trova la sua gioia . [“Si operatio borniuis procedat ab homine secundum facilitatela suae rationis, sic dicitur esse fructus rationis; si vero procedat ab bornine secundum altiorem virtutem, quae est virtus Spiritus sancti sic dicitur operatio hominis fructus Spiritus sancti, quasi cujusdam divini seminis”. S. T h.,a, 2ae, q. 70, art. 1, corp]. – Questa definizione distingue i frutti dello Spirito Santo dagli atti virtuosi in generale. Infatti, vi sono nell’uomo due principi d’azione: uno naturale, la ragione; l’altro soprannaturale, la grazia. Le buone opere adempite, secondo i lumi della ragione, sono i frutti della ragione. Le buone opere fatte sotto l’impulso della grazia sono i frutti dello Spirito Santo, autore della grazia. Fra gli uni e gli altri, grande è la differenza. I primi sono le opere naturalmente buone, atti di virtù puramente umani, per conseguenza inutili per il cielo, e non procurano che un piacere imperfetto. I secondi posseggono, con tutta la bontà naturale dei primi, una bontà soprannaturale che li rende degni del cielo; imperocché la grazia non distrugge la natura, ma la perfeziona: “Gratia non tollit naturami sed perficit”.2 ° Come si producono i frutti dello Spirito Santo? Questa è una questione puramente teologica. Domandare come lo Spirito Santo produca i suoi frutti nell’uomo, é domandare come l’albero produca i suoi. L’albero produce i suoi frutti con l’innesto, con la. potatura, e secondo la sua specie. Con mezzi analoghi l’uomo, albero miserabile, viziato, rachitinoso, produce dei frutti di una bellezza imperitura e di un sapore delizioso. – Lo Spirito Santo forma il nuovo Adamo, vero albero della vita piantato in mezzo al vero Eden, la santa Chiesa Cattolica. Sopra quest’albero divino sono innestati, mediante il battesimo, i rami del piantone che chiamasi il vecchio Adamo. [Rom., XI, 17-24]. – Nutriti, come di un umore soprannaturale, della grazia dello Spirito Santo che abita nel nostro Signore in tutta la sua pienezza, quegli innesti partecipano della vita dell’albero divino, e producono frutti della stessa natura dei suoi. Così, propriamente parlando, non è l’uomo che gli produce, ma lo stesso Spirito Santo, principio necessario ed eternamente attivo ed eternamente fecondo della vita soprannaturale. Da ciò deriva che sono chiamati, non frutti dell’uomo, ma i frutti dello Spirito Santo. – Ora che abbiamo conosciuto l’innesto, passiamo alla potatura. Nell’ordine materiale, la potatura degli alberi è uno dei mezzi migliori d’ottenere abbondanza e qualità. Cosi è altrettanto nell’ordine morale. « Ogni ramo d’albero fruttifero, il padre mio lo taglierà, diceva Nostro Signore, affinché porti più frutti. » [Joan. XV, 2]. – La vita intera è il tempo della potatura divina. Non l’abbiamo trovata in nessun luogo rappresentata in un modo più vivo come nella celebre visione di santa Perpetua. « Un giorno, scrive questa giovine e inimitabile eroina, mio fratello mi disse: “O sorella mia, chiedi al Signore che ti faccia conoscere in una visione se tu devi soffrire la morte”. – Io risposi piena di fiducia al mio fratello: “Domani tu saprai quel che sarà”. Io chiesi dunque al mio Dio di mandarmi una visione, ed ecco quella che ebbi. « Io vidi una scala tutta d’oro che toccava dalla terra al cielo, ma cosi stretta, che non vi si poteva salire che uno alla volta. I due lati della scala erano tutti bardati di spade taglienti, di spine, di giavellotti, di falci, di pugnali, di larghi ferri di lancia, di modo che chi vi fosse salito con trascuratezza e senza aver sempre la vista volta in alto, non poteva evitare d’essere divorato da tutti questi strumenti lasciandovi una gran parte della sua carne. A piè della scala era uno spaventoso drago che pareva sempre pronto a lanciarsi addosso a quelli che si presentavano per salire. Satura pur nonostante cominciò a salirla: giunto felicemente in cima alla scala, si volse verso di me e disse: Perpetua, io vi aspetto, ma guardatevi dal drago. Io le risposi: non lo temo, e voglio salire in nome del Signore nostro Gesù Cristo. – « Allora il drago, come temendo egli medesimo, voltò dolcemente il capo, ed io avendo alzato il piede per salire, esso mi servì di primo scalino. Essendo giunta alla sommità, mi trovai in un giardino spazioso, in mezzo al quale vidi un uomo di una sorprendente bellezza. Vestito da pastore, i suoi capelli erano bianchi come la neve. Eravi là una mandria di pecore dalle quali traeva latte, ed era circondato da una moltitudine innumerevole di persone vestite di bianco. Egli mi scorse, e, chiamatami per nome, mi disse: “O figlia mia, siate la benvenuta; ed egli mi diè del latte munto d’allora e che era una panna. Io lo ricevetti a mani giunte e lo presi. Tutti quelli che erano ivi presenti risposero: Amen. Mi risvegliai a quel rumore e trovai infatti, che io aveva in bocca un non so che di molto dolce che masticava. Allorché vidi mio fratello, gli raccontai il mio sogno, e concludemmo tutti che noi dovevamo ben presto sopportare il martirio. » Ad. sincer., apud Ruinart, t . I , p . 212, ediz. in -8,1818]. – Una scala d’oro che va dalla terra al cielo, angusta e tutta contornata di strumenti taglienti; quest’è appunto la vita, via del cielo, con le prove più o meno dolorose ma continue, che compiono, rispetto all’uomo, la salutare operazione della potatura, levandogli tutto quel che vi è di esuberante e di cattivo nei suoi pensieri, nei suoi affetti e nelle sue azioni. Gli alberi, quando sono innestati e potati, producono i frutti, e buoni frutti ciascuno secondo la sua specie. – Fermiamoci per un istante a contemplare l’immenso giardino dello Spirito Santo, a contare gli alberi umanamente divini di cui è ricolmo, e a godere della stupenda bellezza dei loro frutti. [“Et flores mei, fructus honoris et gratiae”. Eccl , XXVI, 28]. – Per non parlare che dei tempi posteriori al Messia, noi vediamo l’albero della vita, le cui radici sono profonde nella grotta di Betelem, coprire la terra con la sua ombra. Che cosa sono i suoi innumerevoli rami? Innesti e propaggini divinamente attaccati al suo tronco indistruttibile. Che sono i milioni d’apostoli dei tempi antichi e dei tempi attuali? Tante propaggini divine, cariche di frutta, di grazia e di onore. E le legioni di martiri, i solitari, vergini, santi di ogni età, di ogni condizione e d’ogni paese? propaggini divine, cariche di frutti, di grazia e di onore. – Ciascuna produce dei frutti, secondo la sua specie, frutto di fede, di speranza, di carità, di pietà, di umiltà, di verginità. Tutte insieme li producono, mille e mille volte, sotto tutti i climi, in tutte le stagioni, ad ogni ora, di giorno e di notte, in modo che il giardino dello Spirito Santo non cessa di presentare all’occhio della fede, lo spettacolo di una magnifica campagna nei bei giorni di primavera e d’estate. – Che dico io? Nel giardino divino, cosa sono i prati, i campi, le verzure con la loro infinita varietà di fiori .e di frutti? un’ombra vana. Che cosa è il mondo pagano, antico e moderno con le sue pretese virtù? Una vasta siepe, indegna del nome di giardino. Paragonati ai frutti dello Spirito Santo, che sono i frutti della ragione, i frutti dei sapienti più famosi, i frutti di Aristide, di Socrate, di Platone, di Scipione, di Seneca, i frutti dei sacerdoti dell’Egitto, dei brama dell’India, dei bonzi della China, dei lama del Thibet e dei razionalisti d’Europa? Come prodotti dell’orgoglio, dell’ambizione, del capriccio, questi frutti non sono la maggior parte ché tanti aborti, simili a quelle escrescenze parasite che nascono sulla scorza degli alberi vecchi, tutt’al più produzioni senza sapore e senza utilità reale. – Non sarebbe forse questo il luogo, per voi che leggete questo libro, e per me che lo scrivo, di domandarci: Innesto divino, per grazia del battesimo, quali frutti ho io portati? quali sono quelli che io porto? Grave questione, imperocché è scritto: « Ogni albero che non reca buoni frutti sarà tagliato e gettato sul fuoco.  » [Matth., VII, 19]. – Le mie preghiere vocali, le mie orazioni, le mie confessioni, le mie comunioni, le mie azioni giornaliere che cosa sono? Se fin qui sono stato un albero press’a poco sterile, tanto più lo sarei se avessi avuto la disgrazia d’essere un cattivo albero, uno spineto, un rovo, un cardo; deh fate che io sia da qui innanzi un buon albero, una buona propaggine feconda in frutti di vita, degni dell’amore divino che mi disseta, del sole divino che mi riscalda, del tronco divino su cui io sono innestato, del giardino divino che mi coltiva con le sue mani e che mi annaffia del suo sangue. – Studiando le relazioni profondissime tra 1’uomo e l’albero, abbiamo visto in qual maniera si producono i frutti dello Spirito Santo. Fra questi rapporti, ve ne ha uno di più, che dobbiamo segnalare. L’innesto materiale non produce frutti se non che di una specie sola, mentre quello divino, ha la proprietà, e di più il dovere di produrne simultaneamente di molte specie differenti; imperocché l’umore che lo nutrisce è multiforme. A questo modo l’hanno inteso e praticato tutti i veri cristiani di tutti i tempi. L’esempio del grande sant’Antonio serva loro di regola. Come i figli discoli che introducendosi negli orti spogliano tutti gli alberi dei migliori frutti, cosi il patriarca del deserto si dava alla devota scorreria, cercando in ciascuno dei solitari, la cui numerosa falange popolava le due Tebaidi, le più belle virtù, a fine di imitarle. Nell’uno coglieva il frutto della dolcezza, nell’altro il frutto della pazienza, in questo il frutto dell’orazione, e in quello, il frutto della mortificazione. Cosi dobbiamo far noi, affinché l’arrivo del divino Ortolano ci riconosca per buoni alberi, e come tali, ci trasporti nel giardino eterno dello Spirito Santo. – Perché i frutti dello Spirito Santo sono cosi nominati? La ragione principale è che ciascuna opera completamente buona, procura all’anima un godimento simile a quello che procura al palato il mangiare un frutto squisito. Qual è questo mistero? Rassomigliare a Dio è la fine dell’uomo. Tutti gli atti veramente virtuosi sono tanti scalini che servono ad avvicinarsegli. – Questo approssimarsi continuo lo costituisce in rapporti sempre più intimi con Dio ; e questi stessi rapporti accrescono, perfezionandosi, una soavità maggiore, risultato della vicinanza sempre più prossima a Dio, la soavità per essenza. Tale è la ragione per la quale ad ogni progresso corrisponde una soavità, e per la quale ancora i migliori di tutti portano a giusto titolo il nome di frutti; e di frutti dello Spirito Santo, il quale solo ci aiuta a produrli. – Cosi Dio ci rivela in modo sensibile la nostra rassomiglianza con Lui; Egli ci tratta come si è in qualche modo trattato Lui stesso. Egli vuole che il dio della terra crei le sue opere, come egli stesso crea le sue, e che provi, creando la sua felicità, ciò che Egli medesimo ha provato creando l’universo. Dopo ciascuna delle sue opere, Iddio dice, che era cosa buona: “Et vidit quod esset bonum”. Sette volte Ei ripete la stessa parola. In questa approvazione misteriosa è, in complesso, la testimonianza resa alla perfezione relativa della nuova creatura, e l’espressione della gioia che ha cagionata al suo autore. – Solamente all’ultimo giorno della creazione, e dopo l’ultima mano posta a tutte le sue opere, Iddio modifica le sue espressioni, e pronunzia la parola di soddisfazione suprema e universale. Egli vide che tutte le cose che aveva fatte erano eminentemente buone, dopo di che si riposò. “Vidit Deus cuncta quae fecerat, et erant valde bona et requievit”. Come supremamente buone in se stesse, esse erano l’ultima parola della potenza, della sapienza e della bontà creatrice. Essendo buone nel loro complesso, erano in stato di cantare sino alla fine dei secoli, senza fare mai una stonatura, le glorie del Creatore. – Siccome buone rispetto a Dio, così la loro stessa perfezione Gli procurava un indicibile contento. – Così l’uomo. Dopo ogni buona opera, degnamente compiuta, egli può dire, senza nulla attribuire a se medesimo: Questo è buono: Vidit quod esset bonum; e gusta la soavità particolare del frutto che ha prodotto. Sette volte ei ripete la stessa parola, perché i sette doni dello Spirito Santo sono i principi di tutte le sue opere buone. Come il Creatore, ei non potrà pronunziare la parola di soddisfazione suprema, se non dopo aver colto il suo ultimo frutto, compiendo l’opera della sua deificazione. Allora solamente potrà dire, gettando uno sguardo sull’insieme della sua vita: Io ho compiuto la mia opera, grazie a Dio, ed è buonissima: non mi resta altro che entrare nel riposo dell’eternità: “Vidit cuncta quae fecerat, et erant valde bona, et requievit”. – Il rivelarci uno dei più nobili tratti della nostra rassomiglianza con Dio non è che la prima ragione della soavità, congiunta a ciascuna opera buona. Ve n’è un’altra. Per impedire che Israele rimpianga il grossolano cibo dell’Egitto, per addolcirgli le fatiche del viaggio attraverso le sabbie del deserto, per fortificarlo contro i suoi nemici e dargli un’anticipazione delle delizie della terra promessa, il Signore nella sua bontà paterna gli mandò la manna. Questo cibo celeste aveva tutti i gusti, e soddisfaceva a tutti i bisogni. Israele é 1’immagine del cristiano. Avendo una soavità ad ogni opera buona, Dio ne fa una manna, e che vuole Egli con ciò? – Oggi, come in antico, Egli vuole disgustare l’uomo delle perfide soavità del frutto proibito. Vuole addolcire le profonde amarezze della sua esistenza, e facendogli trovare il piacere nel dovere, incoraggiarlo ai combattimenti della virtù. – Senza queste diverse soavità, chi non verrebbe meno in mezzo al deserto della vita ? Ohi non abbandonerebbe il servizio di un padrone, la cui mano, come dice la Scrittura, non dà a suoi servi che un pane di lacrime e arenoso? Ma con queste soavità, vedete quel che accade. – Ad esse si debbono il coraggio eroico dei penitenti e dei martiri, la santa ebbrezza in mezzo ai tormenti, la rassegnazione nel dolore; l’insensibilità alle attrattive del vizio e il disprezzo costante di tutte le gioie, che possono promettere il demonio, la carne e il mondo. Essendo esse necessarie a tutti, ai peccatori penitenti, non meno che ai giusti affamati, sono attaccate in certe proporzioni, non solamente alle beatitudini o atti beatifici per eccellenza, ma a tutti gli atti virtuosi, degnamente adempiuti. – Adesso noi comprendiamo la ragione per la quale il nome del frutto è dato nel linguaggio divino, alle opere eseguite sotto l’impulso dello Spirito Santifìcatore, e il luogo necessario di queste soavità celesti nel lavoro della nostra deificazione. – 4° In che differiscono i frutti dalle beatitudini? Che questi ne differiscono, la prova sta nella differenza dei nomi, dati alle une e alle altre, e nella enumerazione che ne è fatta. Tutte le cose che sono chiamate con nomi differenti, differiscono tra di loro. Ora, i nomi dei frutti non sono i nomi delle beatitudini. Inoltre il vangelo nomina sette beatitudini, e l’apostolo conta dodici frutti: la differenza diviene sensibile, se si studiano nella loro natura intima. I frutti differiscono dalle beatitudini, come il meno differisce dal più. Per meritare il nome di frutto, basta che un atto virtuoso sia finale e dilettevole; in altri termini, che sia l’ultimo sforzo del principio naturale o soprannaturale da cui emana, e che cagioni all’uomo la soddisfazione risultante dal dovere adempiuto. – Ma per meritare il nome di beatitudine bisogna, che quest’atto sia qualche cosa di perfetto e di eccellente. [“Plus requiritur ad rationem beatitudinis quam ad rationem fructus. Nam ad rationem fructus sufficit quod sit aliquid habens rationem ultimi et delectabilis, Sed ad rationem beatitudinis, ulterius requiritur quod sit aliquid perfectum et excellens”. S. Th., l a, 2ae, q. 70, art. 2, cor.]. – Così, atto virtuoso e soavità neill’atto, è supposta dalla beatitudine. Ella suppone inoltre, come principio dell’ atto, una grazia superiore; come oggetto, una cosa eccellente; come risultato, una soavità più grande. Da queste nozioni risulta: 1° Che tutte le beatitudini, cioè dire come l’abbiamo spiegate, tutti gli atti beatifici compiuti sotto l’influenza dei doni dello Spirito Santo, possono essere appellati frutti: ma non tutti i frutti possono essere chiamati beatitudini. « Difatti, dice san Tommaso, i frutti sono tutte le opere virtuose nelle quali l’uomo si compiace; ma il nome delle beatitudini è riserbato a certe opere perfette che, in ragione stessa della loro perfezione, sono piuttosto attribuite ai doni dello Spirito Santo che alle semplici virtù. » [“Unde omnes beatitudines possunt dici fructus, sed non convertitur. Sunt enim fructus quaecumque virtuosa opera in quibus homo delectatur; sed beatitudines dicuntur solum perfecta opera, quae etiam ratione suae perfectionis magis attribuuntur donis quam virtutibus”. Ibid.]. – 2° Resulta: Che nell’ordine gerarchico le beatitudini sono superiori ai frutti, e il termine più elevato della perfezione del cristiano. Infatti, si possono gustare i frutti all’infuori delle beatitudini, poiché essi entrano nella natura di ogni atto virtuoso; ma non si gustano pienamente se non che nella pratica delle beatitudini che sono gli atti virtuosi per eccellenza. Cosi in un giardino, gli alberi di specie differenti producono dei frutti, ognuno dei quali ha la sua bontà particolare che gli merita il nome di frutto; ma come gli alberi che gli producono, così questi frutti sono tra loro di qualità ineguali. – 3° Resulta: che ricordandosi la definizione delle beatitudini e dei frutti, si coglie perfettamente la differenza che gli distingue. Le beatitudini, o atti beatifici, sono le buone opere prodotte dai doni dello Spirito Santo: Beatitudo est operatio doni. I frutti sono quelle stesse opere compiute con l’ultima perfezione, e che producono la soddisfazione intima dell’anima. “Fructus est aliquid habens rationem ultimi et delectabilis”. – Il seguente capitolo ci farà conoscere il numero di questi frutti divinamente dolci, e il luogo che occupano nel parallelismo, tante volte notato tra l’opera del Verbo incarnato e la contraffazione di satana. – Qual é il numero dei frutti dello Spirito Santo? Questi sono così numerosi e vari quanto i frutti materiali, che affascinano i nostri occhi, e che solleticano tanto graziosamente il nostro gusto. Perché questa immensa varietà di frutti nella natura? Perché la stessa varietà nel giardino spirituale del Verbo incarnato? La ragione è la stessa. Dio ha scritto due grandi libri: il libro della natura e il libro della grazia, o per continuare il paragone, egli ha piantato due magnifici giardini: il giardino della natura e quello della grazia. Il primo per i bisogni e per gli occhi del corpo; il secondo pei bisogni e per gli occhi dell’anima. Se voi domandate perché questi due giardini, l’Apostolo risponde: per far rilucere la sapienza moltiforme di Dio: [“Ut innotescat multiformis sapìentia Dei”. Eph., III 10]. Perché il firmamento con le sue miriadi di stelle, così magnifiche nel loro insieme, così prodigiose per il loro numero, cosi differenti nella loro lucentezza, così regolari nel loro moto? per far risplendere la sapienza multiforme di Dio. Perché la terra con le sue produzioni di una ricchezza che basta a tutto, di una bellezza che esaurisce l’ammirazione, e di una varietà che sfugge a tutti i calcoli? per far brillare la sapienza multiforme di Dio. Perché il mare coi suoi innumerevoli abitanti, i suoi abissi inscandagliabili, le sue leggi tanto invariabili quanto sono misteriose? per far brillare la sapienza multiforme di Dio. Perché infine, questo vasto universo, composto di tanti milioni di creature, nessuna delle quali rassomiglia l’altra? per fare rifulgere agli occhi corporei dell’uomo la sapienza multiforme di Dio: “Ut innotescat multiformis sapientia Dei”. – Tutti gli atti, tutti i movimenti, tutte le produzioni di queste creature del firmamento, della terra e dei mari, sono nell’ordine naturale i frutti dello Spirito Santo; atteso che, come dice san Basilio, tutto ciò che le creature posseggono, esse lo debbono allo Spirito divino. [Liber de Spirit. sanct., p. 65, ediz. nuovis.]. – Ma per quanto sia eloquente per raccontare la multiforme sapienza del Creatore, il mondo materiale non è che un eco, un’ombra, un riflesso. Per ridire questa sapienza in tutta la sua gloria, bisognava un altro mondo, mille volte più regale, più magnifico e più vario: cioè il mondo della grazia. Questo mondo si compone degli Angeli e degli uomini, creature superiori a tutte quelle che noi vediamo, innalzate alla partecipazione della stessa natura di Dio, destinate a partecipare della sua gloria e producente ciascuna, secondo la sua specie, dei frutti di una bellezza incomparabile e di una varietà infinita. Se noi domandiamo perché tanti alberi da frutto in questo nuovo giardino dello Spirito santificante, l’apostolo ci risponde pure: È per far risplendere la sapienza multiforme di Dio: “Ut innotescat multiformis sapientia Dei”. Egli è specialmente, per rivelare l’inesauribile fecondità dell’albero divino sul quale tutti questi alberi sono innestati. Egli è per distinguere da tutti gli alberi avvelenati la vigna sana, piantata dallo stesso Verbo, innaffiata dal suo sangue e vivificata dal suo spirito. Egli è per preparare a tutte le generazioni che si succedono, un cibo sufficiente, imperocché i frutti dell’albero non sono solamente la gloria dell’albero, ma sono l’alimento dei viandanti. Ogni ramo del grande Albero porta i suoi, e ogni viaggiatore può scegliere. Come abbiamo indicato, la storia cita una moltitudine di questi golosi spirituali che se ne andavano, cogliendo su tutti gli alberi, i frutti di loro gusto, dei quali essi si componevano un cibo squisito. Oh la bella preda da fare percorrendo la vita dei santi: “Ut innotescat multiformis sapientia Dei” – Veniamo ora agli atti particolari che la stessa Scrittura designa sotto il nome di frutti dello Spirito Santo. Essi sono in numero di dodici. Perché questo numero e non un altro? Non sono troppi o troppo pochi? Troppi, se è vero che i frutti nascono dalle beatitudini; troppo pochi, se tutti gli atti veramente virtuosi sono frutti dello Spirito Santo; spieghiamo questi misteri. Il numero dodici è un numero sacro, il quale, come abbiamo visto, esprime l’universalità. In questa cifra si trovano dunque compresi tutti i frutti dello Spirito Santo, che si confondono con i dodici nominati dall’Apostolo. Dodici non sono troppi, poiché secondo le anteriori spiegazioni, la stessa beatitudine può produrre parecchi frutti: non sono troppo pochi, poiché il numero dodici esprime l’universalità completa. – Ricordate queste nozioni, quattro cose ci restano a fare: dare l’enumerazione apostolica dei frutti dello Spirito Santo; render ragione di questa enumerazione; spiegare ciascun frutto in particolare; mostrare l’opposizione dei frutti dello Spirito Santo con le opere dello spirito maligno; imperocché sino alla fine si continua la contraffazione satanica del concetto divino. – Enumerazione dei frutti dello Spirito Santo: « Ecco, dice san Paolo nella sua lettera ai Galati, i frutti dello Spirito Santo: la Carità, la Gioia, la Pace, la Pazienza, la Benignità, la Bontà, la Longanimità, la Dolcezza, la Fede, la Modestia, la Continenza, la Castità. » [V, 22, 23]. – Come conciliare questi nomi apostolici, che sono nomi di virtù, con i frutti dello Spirito Santo, che non sono virtù ma atti di virtù? « Per questo, risponde sant’Antonino, basta ricordarsi che è uso prendere il nome delle virtù per gli stessi loro atti. » [“Non obstat quod Apostolus ponit inter fructus nomina virtutum quae sunt habitus, ut patientia et charitas et hujusmodi, cum tamen fructus sint actus”. IV p., tit. V, c. XXI]. – Così di qualcuno che ha reso al suo prossimo un segnalato servizio, diciamo che egli ha fatto una gran carità, oppure la carità. Ne segue da ciò, che la carità e la fede, nominati tra i frutti dello Spirito Santo, non sono le virtù teologali dello stesso nome, ma solamente i loro atti, o la loro applicazione particolare, accompagnati dalla dolcezza che ne é la ricompensa. 33 [“Primus itaque fructus ventris Mariae mentalis dicitur charitas quae hic non importat virtutem, sed actum ejus”. S. Anton., IV p., tit. XV, c. XXVI]. – Ragione di questa numerazione. Ogni frutto viene da una pianta, ogni pianta viene da un seme o da una radice. Lo Spirito Santo è il seme dei frutti che portano il suo nome: e lo Spirito Santo è la stessa carità. Che v’è da meravigliarsi se il suo primo frutto sia la carità? [“Fructus Spiritus sancti, quasi cujusdam divini seminis.” S. Th., l a, 2ae, q. 70, art. 1, corp.]. – « Vedete, dice san Giovanni Crisostomo, quale attenzione nelle parole dell’Apostolo, quale convenienza nella dottrina! Prima di tutto, ei pone la carità, in conseguenza di tutti gli atti che ne derivano; egli fissa la radice, poi ne mostra i frutti; egli stabilisce il fondamento, e istruisce l’edilìzio; comincia dalla sorgente, ed arriva ai ruscelli. 2 »* [De sanct. Pentecoste, homiL 11, n. 8, opp. t. II, p. 560]. – Trattando la stessa questione, san Tommaso aggiunge, che l’ordine e la distinzione dei frutti dello Spirito Santo, si ricava dal modo con cui lo Spirito Santo procede riguardo all’ uomo.  [1a, 2ae, q. 70, art. 3, corp.]. – Ora, lo Spirito Santo procede riguardo a questo, in modo da condurlo a poco a poco alla perfezione ed a fargliene gustare la felicità. Questa felicità, superiore a tutte le altre, l’uomo la gusta, quando è pienamente nell’ordine. Esso è pienamente nell’ ordine allorché vi è: rispetto a ciò che è superiore a sé; riguardo a ciò che è in sé, intorno a sé, e al di sotto di sé. In queste condizioni, l’uomo possiede la pace internamente; la pace al di fuori, la pace confermata da tutte le parti; e la vita, malgrado le sue inevitabili amarezze, è all’anima ciò che il frutto è alla bocca. – I tre primi frutti ordinano il cristiano riguardo a ciò che è al di sopra di sè. [“Ex his dirigitur a Spiritu sancto tota conversatio hominis ut sit virtuosa. Et per prima tria dirigitur quoad eum, qui est supra se. Per seconda tria dirigitur quo ad animum suum, qui est intra se. Per tertia tria dirigitur quoad proximora, qui est juxta se. Per ultima tria quoad corpus suum, quod est infra se”. S. Anton., IV p., tit. V, c. XXI]. – Questi frutti sono: la Carità, la Gioia e la Pace. – La Carità, “Charitas”. È con lei, in lei e per lei che lo Spirito Santo si comunica in noi, poiché egli stesso è carità. Siccome la fiamma tende all’alto, cosi la carità tende a Dio, all’unione con Dio, alla trasformazione in Dio. Dove è il nostro tesoro, ivi é pure il nostro cuore. [“Dicitur autem charitas quasi charitas seu chara unitas, quia facit unionem animae cum Deo”]. Ibid. . La carità non é inerte, come non lo è la fiamma, nulla al contrario di più attivo. Mille esempi lo provano. Uno solo basterà per mostrare in atto, questo primo frutto dello Spirito Santo, e la soavità di cui riempie il cristiano, che ha la felicità di gustarla. – Nella Cina nel 1848 parecchi cristiani arrestati per la fede erano riuniti dinanzi al tribunale: « II mandarino domanda a uno di essi a che cosa serviva la cotta trovata tra gli oggetti confiscati. — Se la indossano per pregare, risponde arditamente il confessore. — Vediamo come fanno. Prendila e prega come se tu fossi nella tua chiesa. Fu presto detto e presto fatto: Ecco che il mio uomo in pieno tribunale si pone a cantare il Pater e il Credo ec. e i mandarini l’ascoltano. — Benissimo, dicono essi — ma sai tu come finora si è trattato quelli che hanno adorato il tuo Dio? — Lo so. — Se tu lo sai, perché sei tu venuto da Su-tchuen per predicare qui questa religione ? — Egli è perché non temo di morire per lei. — Ah tu non hai paura? ebbene calpesta quella croce. — Io non posso. — Se tu non la calpesti ti farò crocifiggere come il tuo Gesù. — Oh ! no, mandarino, sarebbe troppo onore, soggiunse sorridendo il generoso atleta; val meglio farmi morire in altro modo. – « E tosto egli fu sottoposto ad una orribile bastonatura. — Ebbene, ti trovi meglio con questa ? — Non è abbastanza; né la bastonatura, né la crocifissione impediranno che la religione si predichi a Kouciyang. — Che bisogna egli dunque fare perché in avvenire non si venga più dal Su-tchuen a fare qui dei cristiani? — Bisogna che mi si tagli il capo e sia sospeso alle porte della città. I predicatori che lo vedranno non oseranno forse entrarvi né predicare la nostra santa religione. — Impertinente, tu osi così affrontare la mia collera? e la bastonatura ricominciò subito. Quest’uomo ha circa 60 anni! » [Annali, ec., n. 132, p. 360, an. 1850]. – Conservare la tranquillità del suo spirito in faccia ai carnefici, e la giocondità del suo cuore in mezzo alle torture, non è egli questo l’ultimo sforzo della carità, e per conseguenza un frutto delizioso dello Spirito Santo? – La Gioia, “Gaudium”. Ogni cuore si rallegra di essere unito all’oggetto amato. La carità è sempre unita al suo oggetto, che è Dio, secondo il detto di san Giovanni: « Colui che dimora nella carità, dimora in Dio, e Dio in lui. » [I Joan IV, 16]. – La gioia è dunque la prima conseguenza della carità. Come ricompensa della vittoria riportata sulle passioni, essa non è solamente nel fondo dell’anima, come un continuo banchetto; ma brilla ancora sul volto, abbellendone i tratti. Il primo fatto religioso basta per farla risplendere in dimostrazioni tanto più dolci, quanto esse sono più spontanee e più ingenue. – Questo nuovo frutto ci apparisce nel seguente fatto. Nel descrivere un’Ordinazione in mezzo ai negri dell’Africa occidentale, un missionario si esprime in tal modo: « Sino dalla sera che precedé l’ordinazione, si videro arrivare da tutte le parti delle barche di selvaggi. Alle otto si aprì la chiesa e in un istante si empì. Il sig. Warlop ed io, stavamo prostrati dinanzi all’altare, con le nostre tonacelle sul braccio, e con in mano le nostre candele accese. Il sig. Warlop richiamava in modo singolare l’attenzione dei nostri negri. La sua statura piuttosto alta, la sua lunga barba nera che gli ricadeva sul petto, il suo bianco camice, il suo contegno modesto e devoto, ogni cosa gli gettava in una prodigiosa meraviglia. – « Ma fu ben altra cosa quando videro Monsignore vestito de’ suoi paramenti pontificali. Allora, avreste posto sotto i loro occhi l’Africa intera e tutte le meraviglie del mondo, e non sareste riusciti a distrarli. – Il suo paramento d’oro, la sua croce d’oro, la sua mitra d’argento e il suo pastorale tutto d’oro, e soprattutto l’aria angelica che brillava sul suo volto, gli sprofondavano in una ammirazione estatica, dalla quale non sapevano riaversi. Il silenzio il più profondo regnava in tutta l’assemblea; ma appena fu terminata la cerimonia, prorompono in trasporti indescrivibili: Jalla, Jallaì Dio, Dio, Dio solo è Dio, Dio solo è grande, potente, misericordioso, Dio solo è Dio, o prodigio! Iddio è qui. « Si vide soprattutto una donna che era come fuor di sè. Essa gridava; Jalla, Jalla, Jalla! e non finiva più. Essa diceva, di non aver mai contemplato nulla di più bello, e comandava imperiosamente che la si conducesse in cielo e sull’istante. Il giovane Soleymano era in fondo di chiesa, versando calde lacrime. — Io piangeva alquanto, diceva, dipoi la mia testa cominciava a ritornare, e il mio cuore balzava nel mio petto. » [Annali, ec., n. 120, p. 333, an. 1848]. – Poiché la gioia è un frutto dello Spirito Santo, ne risulta che dove lo Spirito Santo non è, non vi è punto gaudio. La gioia dei popoli e degli uomini, separati dallo Spirito Santo, è una tale svenevolezza che fa paura o pietà. [“Illud est verum gaudium quod non de creatura, sed de Creatore concipitur, cujus comparatione omne pulchrum, foedum ; omne dulce, amarum; omne quod delectari potest, molestimi”.S, Anton,, ubi supra]. – La Pace, “Pax”. La perfezione della gioia è la pace. -Perciò la pace è il terzo frutto dello Spirito Santo. Perché è la perfezione della gioia? Perché suppone e garantisce il tranquillo godimento dell’oggetto amato. – Nessuno è felice, se è turbato nella sua felicità, o se l’oggetto delle sue affezioni non basta ai suoi desideri. « O pace, esclama sant’Agostino, dolce nome, ma più dolce cosa! Tutte le creature gridano: La pace, e più forte di tutte le altre, la creatura ragionevole. Ma o quanto la pace si è allontanata da te, o mondo! tu lo vedi, da ogni parte fremono le guerre. Perché? Perché tu non vuoi avere la pace con Dio, ma la guerra pei tuoi peccati. » [De Civ. Dei, lib. XIX]. – La pace dello Spirito Santo sorpassa ogni sentimento noto: “Superat omnem sensum; essa sfavilla nella serenità della fronte, nella limpidezza dello sguardo, nel sangue freddo del coraggio, nella modestia dei movimenti e nella dolcezza e la calma delle parole. Per ben conoscerlo, consideriamo questo nuovo frutto sopra una delle propaggini dell’albero della vita. – « Il Venerdì Santo un gran numero di cristiani cocincinesi si recavano alla chiesa. Un mandarino gli scorse, e si pose a loro seguito con parecchie centinaia di soldati. Giunto al luogo del convegno, egli forma con la sua truppa una siepe irta di picche intorno al popolo fedele. Un soldato, con la spada in mano, si precipita sulla chiesa, si pone sul primo scalino della predella dell’altare, e mettendo la punta della sua spada sul collo del sacerdote celebrante, gli grida: Se tu fiati ti taglio la testa. Senza muoversi, il celebrante volta leggermente il capo dal lato del temerario, lo guarda con un’aria indifferente, e continua il suo uffizio con un sangue freddo, che penetra tutti gli astanti di meraviglia e di devozione. – « Il soldato rimane nello stesso luogo, tenendo sempre la sua spada alzata nella stessa posizione, e il sacerdote legge la passione e le orazioni che seguono senza emozione e senza turbamento. Egli discende per adorare e per fare adorare la croce: il soldato lo segue sempre, con la spada in alto e non lo abbandona un istante. Finita l’adorazione, il mandarino, che durante tutto quel tempo se n’era stato zitto in fondo di chiesa, alza la voce e ordina alla truppa di fare uscire il popolo, e di avvinghiarlo. Quanto ai due preti comanda di tenerli presso l’altare e di recare due canghe. Ma il sacerdote che aveva celebrato, gli disse. — Io non porterò la canga, e tu non hai il diritto di mettermela. — E perchè? — Il re non perseguita. Mostrami l’editto, e non solamente io mi lascerò mettere la canga, ma ancora tagliare il capo, se ciò piace al mandarino. Costui vinto dal sangue freddo e dall’ intrepidezza meravigliosa del sacerdote, prese il partito di ritirarsi. » [Annali, ec., n. 34, p. 413, an, 1833]. La Pazienza, “Patientia”. Quando la pace regnasse nel mondo intero, e che voi aveste dei beni temporali a seconda de’ vostri desideri, se non possedete Dio, mediante la grazia, non avreste né pace né riposo. Ecco perché lo Spirito Santo con i suoi tre principali frutti, stabilisce l’uomo nell’ordine, rapporto a Dio; con i tre secondi lo costituisce nell’ordine riguardo a se stesso; ed il suo quarto frutto è lai pazienza. – Amare Dio, e in esso ciò che bisogna amare: amarlo come deve essere amato, godere pienamente di questo amore, la cui fortezza è la volontà personale; che cosa di più dolce? Ma la vita di quaggiù è un combattimento. Chi impedirà al nemico di penetrare nella nostra anima, di portarvi il turbamento e togliergli la felicità cagionata dal tranquillo possesso del bene? La pazienza. Essa è la sovrana dell’anima: nessun frutto più delizioso. L’anima che se ne ciba, vede cadere a terra contro di lei le tribolazioni, di qualunque natura esse siano, come noi vediamo le onde del mare rompersi contro gli scogli della spiaggia. Ammiriamola nel seguente tratto. – « Io ho battezzato qualche tempo fa, scrive un missionario del Tong-kin, un uomo come ne ho visti pochi, dacché sono qua. Avanti da sua conversione era il terrore del suo villaggio. Avendo egli inteso parlare della nostra santa religione, volle conoscerla a fondo. Egli mi segui qualche tempo, per studiare con più agio. Ebbene, egli lo faceva con un tale ardore che perdeva dei sonni, e spesso non pensava neppure a mangiare. Non tardò ad esser posto a delle prove tali, che io credeva che non avrebbe resistito: imperocché appena si seppe che voleva convertirsi, che tutte le sue conoscenze si rivolsero contro lui con furore. Egli, poco fa cosi fiero, cosi vendicativo, e che sapeva farsi temere da tutti, soffriva ogni cosa con la più grande pazienza. – « Cadde infermo; i suoi figli l’abbandonarono, la sua moglie lo ingiuriava a morte. Approfittando dell’occasione, portò essa via tutto quel che aveva a casa sua, e lo lasciò solo in quella estremità. Io mandai i nostri cristiani a consolarlo e ad aver cura di lui. Temeva pure che il suo fervore non si raffreddasse; ma tenne fermo, né mai mormorò. Edificato da tanto coraggio, io non indugiai ad amministrargli il Battesimo. Modello di tutte le virtù cristiane, egli è divenuto l’apostolo del suo villaggio, dove ha convertito da quindici persone, tra queste, sua moglie, tanto accanita contro la religione, e che io battezzerò probabilmente domani. » [Annali, ec., n. 34, p. 396, an. 1833]. – La Benignità, “Benignitas”. Come il suo nome l’indica, la benignità (bonus ignis) è un suono dolce e benefico, che, mercé dello Spirito Santo, circola nelle vene del cristiano, e che coltiva in lui una disposizione costante all’indulgenza ed all’affabilità. Si può essere paziente senza essere grazioso. Contro le asprezze di carattere, contro le villanie dei modi, o l’aridità di linguaggio, tutte cose che sono di natura da turbare la pace interna, combatte la benignità. Essa arrotonda gli angoli sino al punto da non lasciare nel cristiano che la gentilezza e la grazia, che sono l’incanto della virtù. Di questo nuovo frutto, un saggio fra mille. – « Una vecchia donna aveva gravemente ingiuriato il figlio di un gran capo di Tonga, cattolico come tutta la sua famiglia. Era deciso che la rea riceverebbe in punizione quarantacinque colpi di bastone. Si era contato senza la benignità. La moglie del capo, che è la nostra più fervente neofita, intercedé presso suo marito. — Tu vuoi, disse a lui, castigare questa donna come se tu fossi un infedele; ma prima d’essere battezzato, tu non dicevi cinque o sei volte al giorno: “Perdonateci le nostre offese come noi perdoniamo quelli che ci offendono? « Non mi dire che bisogna pure infliggere una pena proporzionata all’ingiuria. Se Dio ci trattasse come noi meritiamo, che cosa sarebbe di noi? Poiché Egli è così buono da perdonarci le nostre enormi e innumerevoli colpe, non è egli giusto che noi perdoniamo del pari le offese che abbiamo ricevute? Quest’è ciò che ci predicavano i due vecchi domenica passata. Falli venire e tu vedrai ciò che ti diranno. — Fummo infatti chiamati, e ci pronunciammo in favore del perdono. Questa donna che era infedele, tosto si converti.  » [Annali, ec., n. 104, p. 88,- an. 1816]. – La Bontà, “Bonitas”. Quel che il colorito dà al quadro, lo zucchero alla bevanda, il carnato alla mela appiola, tale è la benignità alla bontà. Ma se il colore abbellisce la mela, non è la stessa mela. Qui la mela è la bontà. Effetto dell’unione dell’anima con Dio, bontà infinita, questo nuovo frutto riempie l’anima di soavità, e le fa provare il bisogno di comunicarsi, non solo dando ciò che ha, ma ancora ciò che è. Bisognerebbe raccontare tutta la storia della Chiesa, se si volessero citare minutamente i tratti di bontà, i quali perpetuando gli esempi del Verbo incarnato, mostrano con splendore la potenza dello Spirito Santo nella Chiesa. Secondo la regola che ci siamo prescritti, consulteremo solamente i nostri annali contemporanei. – « Il mandarino Benedetto, morto ultimamente nel regno di Siam, è stato di una grande edificazione per tutta la cristianità. Era cosi buono, che non poteva risolversi a far del male a nessuno, sì che di continuo era occupato a fare del bene a tutti. Un giorno che il re aveva fatto attaccare dei prigionieri laocesi alla bocca di uu cannone, ordinò a Benedetto di dar fuoco alla miccia. Ma egli, da degno cristiano che ha orrore di servire d’istrumento a un atto di barbarie, si teneva in ginocchio dinanzi al suo principe, senza aprir bocca, benché sapesse ch’egli si esponeva alla morte per una tale disubbidienza. Il monarca irritato, lo fece prendere da’ suoi satelliti, ed un altro dette fuoco in sua vece. Quando la collera del re fu passata: — Miserabile, disse egli, io ti perdono; ma perché non hai tu fatto fuoco quando te l’ho ordinato? — Io temeva il peccato. — Voi altri cristiani osservate una regola ben severa. – « Qualche tempo dopo il re innalzò Benedetto al grado di gran mandarino. Gli onori non gli fecero perdere punto la sua bontà. Aveva cosi buon cuore, che avrebbe voluto render servizi a tutti. Cristiani e pagani si rivolgevano a lui da tutte le parti; e quando si trattava di ottener loro qualche favore, a malgrado di un’ernia che lo tormentava di continuo, era di un’attività sorprendente. Più d’una volta vedendo che egli comprava sovente degli schiavi pagani, troppo giovani o troppo vecchi per essergli di nessun soccorso, io gli domandava di quale utilità gli fosse quella gente. — Io li compro, rispondeva, per avere la loro anima; e infatti il maggior numero de! suoi schiavi è stato battezzato. 1 » [Annali, n. 99, p. 120, an. 1845]. – La Longanimità, “Longanimitàs”. In pace nel suo fòro interno per la pazienza, la benignità, la bontà, frutti senza amarezze né acrità, resta al cristiano il godere della stessa pace con ciò che lo circonda, vale a dire col prossimo. Questa felicità gli è recata dai tre frutti dei quali spiegheremo adesso la natura. Se il bene corporale o spirituale che noi facciamo producesse il suo effetto sull’istante e sempre, la bontà basterebbe per tenerci in una pace costante col prossimo: ma non è cosi. Il più delle volte l’esito si fa desiderare. Questa aspettativa, qualche volta ben lunga, può stancare la nostra carità e scoraggiare la nostra speranza. Contro questo pericolo troviamo una difesa nella longanimità. Questo lungo coraggio, “longus animus”, ci fa supporre le dilazioni volute o permesse dalla Provvidenza, e come l’operaio, attendere senza inquietudine la mésse che devono produrre al loro tempo, i benefìzi versati nell’anima altrui. In mille tratti luminosi brilla questo nuovo frutto, nelle mani dei cristiani di tutti i secoli. Vediamolo presentato ai nostri desideri per mezzo di una delle nostre giovani sorelle dell’impero cinese. – « Due cristiani, padre e figlio, avevano apostatato durante l’ultima persecuzione. Divenuti, dopo la loro caduta, oggetto d’orrore per sè medesimi, caddero ben tosto nella disperazione. D’allora in poi non conoscendo più freno, cercarono essi di dimenticare, negli eccessi di ogni genere, la fede che avevano tradita. Il figlio sposò una donna pagana, che aveva per i cristiani un odio dichiarato. – Mirabile consiglio della divina sapienza! Questa donna doveva, per lunghi sforzi, divenire l’istrumento della conversione di suo marito. Questi non aveva potuto cancellare dalla sua memoria tutte le verità della nostra santa religione. I nostri dommi ed i nostri precetti ritornavano sovente nei suoi convegni, e senza che se ne dubitasse, ne ispirava l’amore alla sua compagna. – A poco a poco questo sentimento, aiutato dalla grazia, trionfò cosi bene delle sue antiche prevenzioni, ch’essa stimolò suo marito ad iniziarla senza più indugio, al culto che le aveva fatto conoscere. – « Allora il giovine uomo cominciò a singhiozzare, e confessò per quale debolezza aveva egli rinnegato il Dio dei cristiani. Questa confessione, invece d’indebolire il coraggio della sua sposa, la confermò nella sua pia risoluzione. Essa non cessò di domandare, come colmo di felicità, d’essere annoverata tra i figli del Padrone del cielo. Quantunque questo desiderio fosse la condanna della sua propria condotta, il marito non vi si oppose. – Al contrario per facilitare a sua moglie i mezzi d’istruirsi, l’affidò per qualche tempo a delle vergini cristiane. « Queste l’accolsero come una sorella. Dopo alcuni giorni di pii esercizi, ricevette il battesimo. Essa uscì dal sacro fonte piena di un tal fervore, che elevandosi al di sopra del suo sesso, si fece l’apostolo del suo sposo e di suo suocero. Né opposizioni, né dilazioni, nulla potè scoraggiare il suo eroico apostolato. Al contrario, gli ostacoli non servirono che a mostrare la longanimità del suo coraggio e rendere il suo trionfo più splendido. Ella ebbe la fortuna di ricondurre le due pecore erranti in seno dell’ ovile. Ho visto parecchie volte dipoi, questi tre neofiti, e ho trovato in essi tanto fervore e semplicità, che non si potrebbe troppo esaltare la misericordia di Colui che fa sovrabbondare la grazia dove abbondò il peccato. » [ Annali, ec., n. 105, p. 141, an. 1846]. – La Dolcezza, “Mansuetudo”. Se la longanimità ci ha fatto sopportare per tanto lungo tempo quanto piace a Dio, e alla resistenza del prossimo, le pene e le fatiche che ci vengono dagli altri, la dolcezza ci impedisce di lamentarcene. Colomba senza fiele, agnello senza difesa; ecco ciò che fa del cristiano il frutto di cui parliamo. Come il divino Maestro, così il figlio della dolcezza non rompe la canna mezza rotta; non estingue la miccia che fuma ancora: egli non fa udire la sua voce con rumorosi scoppi; mai rende male per male. Oggi non meno che in antico, lo Spirito Santo non cessa di produrre questo frutto amato da tutti. – « Io arrivo, scrive un missionario di America, e benedico il cielo di ricondurmi in mezzo ai miei cari selvaggi. Ecco la risposta che mi è stata fatta. — Padre, il cambiamento di questa tribù è divenuto il soggetto di tutte le conversazioni del paese. Fino all’inverno passato era una banda d’ubriachi e di ladri, lo scandalo e il terrore di tutto il vicinato. Dopo il loro Battesimo, non sono più gli stessi uomini. Tutti ammirano la loro sobrietà, la onestà, la dolcezza, e soprattutto la loro assiduità alla preghiera, le loro capanne risuonano quasi di continuo di pii cantici. – « È per me un mistero, mi diceva poco fa un vecchio cacciatore canadese, lo spettacolo di questi Indiani, quali sono oggi. Credereste voi che ho visto co’miei propri occhi questi stessi selvaggi nel 1813 e 14, abbandonando al saccheggio ed alle fiamme le abitazioni dei bianchi, prendere i piccoli fanciulli per il piede e romperli il capo contro il muro, o gettarli sulle caldaie bollenti? E ora, alla vista di una nera veste, cadono in ginocchio, baciano la sua mano come quella di un padre: essi fanno arrossire noi medesimi. » [Annali, ec., n. 103, p. 498, an. 1845]. Non meno bello e non meno soave si manifesta il frutto della dolcezza nelle isole dell’Oceania. « Io non credo, scrive uno dei loro apostoli, che vi sia sulla terra una parrocchia la quale, meglio che Futuna, ritragga i costumi della chiesa primitiva. Invece di eccitare i neofiti alle pietà, i nostri confratelli durano-fatica piuttosto a contenerli e a moderare il loro zelo. Come è bello il vedere quei vecchi mangiatori d’uomini, divenuti adesso più mansueti degli agnelli, dedicarsi da se medesimi a pubbliche penitenze, e scongiurare i missionari di non metter limiti alle loro austerità! Chi avrebbe creduto che questi feroci guerrieri, che bevevano nei crani umani, fossero disposti oggi a versare mille volte il loro sangue per Iddio e per i missionari! » [Annali, ec., n. 120, p. 351, an. 1848]. La Fede, “Fides”. La mancanza di dolcezza può turbare la pace col prossimo. Irritarlo è una maniera di ferirlo e anche di nuocergli, essa non é la sola. La mala tede nei contratti, l’infedeltà nelle relazioni sociali n’è una seconda. Mercé il nuovo frutto dello Spirito Santo, il cristiano è lontano da questi atti odiosi. La frode, la menzogna, la doppiezza, il tradimento, gli fanno orrore. – Come espressione adeguata alla verità, la sua parola è santa: ci si può contare. Che nell’adempierla vi abbia per lui vantaggio o svantaggio, tale non è mai la questione; ei l’ha data, e la mantiene. Come questa nobile franchezza è diventata il fondamento del suo carattere, così il suo proprio moto è di supporla negli altri; credere all’inganno gli ripugna. Nonostante in questa bell’anima, la semplicità della colomba lascia intatta la prudenza evangelica del serpente. Eccone una prova. – « Il popolo di Wallis era anticamente furbo, ladro di professione, pirata e antropofago; oggi, la grazia è stata cosi potente da cangiare i loro cuori! La dolcezza forma il suo carattere, la franchezza gli sembra naturale, ed esso ha in orrore il furto. Qui non v’è più bisogno di serrature. Il missionario può lasciare frutti, vino, argento, effetti, sotto la mano degli indigeni, senza tema che essi li tocchino. Popolo felice d’avere cosi ben gustato il dono di Dio! » [Ibid., ec., n. 98, p. 44, an. 1845]. – Quanto alla prudenza, il serpente, secondo l’osservazione di san Giovanni Crisostomo, cerca innanzi tutto di salvare il suo capo; cosi il cristiano sacrifica tutto per salvare la sua fede, cioè dire la parola che egli ha data, a Dio. Due sacerdoti tonchinesi furono arrestati dai persecutori. Il mandarino teneva a provar loro quanto gli rincrescesse d’adempiere verso di loro una missione di rigore. Se la coscienza dei suoi prigionieri avesse potuto prestarsi a qualche accordo, egli gli avrebbe resi con gioia air affezione delle loro greggi. Ei non temeva di parlarne col P. Lac. – « Maestro, gli disse, voi siete ancor giovine; perché volete cosi presto morire? Credetemi, chiudete gli occhi, e passate sul crocifisso, o almeno camminate rasente: o piuttosto, la mia gente vi trascinerà sopra: lasciateli fare e io porterò una sentenza di perdono. Il Padre rispose: — Io non vi acconsentirò giammai; condannatemi piuttosto a essere tagliato a pezzi. Questa coraggiosa e leale risposta gli meritò la palma del martirio.» [Annali, ec., n. 85, p. 414, an. 1842]. – Per conoscere con esperienza tutti i frutti divini, la cui dolcezza e bellezza formano le delizie del cristiano, ne rimangono tre da cogliere. Di quésti parleremo qui di seguito. – Non perdiamo di vista che il frutto è l’atto beatifico il più eminente, e che per questo fa gustare all’anima una soavità, un riposo delizioso che il mondo non conosce, e che è una primizia dell’eterne soavità. Mercé i nove primi frutti, abbiamo visto il cristiano vivente in una dolce pace con Dio, con se stesso e col prossimo. – Per godere d’un assoluto riposo, non gli resta che ordinarsi, riguardo a ciò che è inferiore a sé. Agli ultimi tre frutti, egli dovrà il compimento della sua felicità. La Modestia, “Modestia”. Questo frutto divino è l’ordine in tutto il nostro esteriore. Come raggio di calma interiore, la modestia mantiene i nostri occhi, le nostre labbra, il nostro riso, i nostri movimenti, il nostro abito, tutta la nostra persona, nei giusti limiti tracciati dalla fede. Il Verbo incarnato, che conversa tra gli uomini, che parla, ascolta, opera, diventa lo specchio nel quale si guarda di continuo il discepolo dello Spirito Santo, e il modello infinitamente perfetto di cui si sforza di riprodurre i tratti in se medesimo. Nulla di più amabile di questa divina modestia e nulla di più eloquente. Perciò, l’Apostolo voleva che la modestia dei cristiani fosse evidente come la luce, e conosciuta dal mondo intero. 1 1 [“Modestia vostra nota sit omnibus ho minibus”. Philip., IV, 5]. – Per lui, era uno dei migliori mezzi di invitare gli infedeli alla fede, e i malvagi alla virtù. Mille esempi provano che l’Apostolo aveva ragione. – Tutti conoscono quella di san Francesco d’Assisi. Giunto in una città, il Serafino della terra dice al suo compagno: « O Fratello mio, andiamo a predicare. » Ed essi uscirono insieme, fecero in silenzio il giro della città e rientrarono in convento. « Ma frate Francesco, non mi avete detto che andavamo a predicare? Eccoci tornati senza aver detto una sola parola; dove è il sermone? — È stato fatto, rispose il santo. » Aveva egli ragione, poiché la vista di quei due religiosi così modesti era una predicazione tanto persuasiva, quanto i più bei discorsi. Dopo il .medio evo, la modestia non ha perduto nulla del suo impero. « Le nostre vergini cinesi, scrive un missionario, non hanno altra clausura che la prudenza, né altro velo che la modestia; non ne sono però meno la consolazione della Chiesa, e soggetto d’ammirazione pei pagani. Esse sanno cosi bene ispirare l’amore della santa virtù, che sovente pervengono a suscitare degli emuli e dei modelli nelle file stesse dell’infedeltà. – Eccone un bell’ esempio. Una pagana aveva fatto conoscenza con una di queste vergini cristiane; costei le dipinse la sua felicità con colori cosi vivi, che essa fece nascere nel cuore di quella giovine cinese i sentimenti di una santa invidia. Iddio esaudì i suoi desideri e ben tosto ella fu in grado di ricevere il battesimo. « Essa prese il nome di Maddalena. Era troppa allegrezza per la fortunata neofita; tanto che ne volle far parte a tutta la sua famiglia. Da prima si burlarono di lei: poi si fini per ascoltarla e per arrendersi a tutto ciò che ella desiderò, tanto è potente la grazia secondata dallo zelo il più puro. Padre, madre, fratelli, sorelle e tanti altri ancora, divennero bentosto cristiani. Si contano adesso venti figli di Dio, dove poco fa non v’erano che schiavi del demonio, e questo numero sarà forse raddoppiato di qui a un anno. » [Annali, ec., n. 116, p. 45, an. 1818]. – La Continenza, “Continentia”. Se l’ uomo esteriore è mantenuto nell’ordine mediante la modestia, l’uomo interiore trova un freno nella continenza. Come lo indica il suo nome, questo frutto dello Spirito Santo padroneggia la concupiscenza, sia che essa abbia per oggetto il bere, il mangiare, o il piacere sensuale. Egli lo rende mansueto, combatte contro le sue ribellioni; e malgrado le sue invasioni nel dominio dell’immaginazione e dei sensi, gli impedisce di portare il disordine e la bruttura nel santuario della volontà. Quest’impero sulle inclinazioni grossolane dell’uomo animale, è la gloria esclusiva del cristiano, e il segno manifesto della presenza dello Spirito Santo. Ciò si ammira ad ogni pagina della storia dei popoli, come nella biografia degli uomini cristiani. Apriamo i nostri annali contemporanei, ed ascoltiamo uno dei nostri missionari, perduto nei ghiacci del polo, in mezzo ai più vigorosi antropofagi della terra. – « Fra i selvaggi che io trovai riuniti nel forte d’Albany, uno di quelli che la grazia ha tocchi in un modo quanto efficace altrettanto pronto, era un giovine poligamo. I suoi amici e soprattutto sua madre, che è un modello di virtù, avevano fatti tutti i loro sforzi per impegnarlo a non avere che una sposa, senza potervi riuscire. Erano due giorni che io era ad Albany, quando egli vi arrivò con la sua numerosa famiglia. Appena seppe della mia presenza nel forte, ei ne fu spaventato e volle ripartire. Sua madre durò molta fatica a trattenerlo ma egli evitava il mio incontro, e quando io mi presentai nella sua capanna .per vederlo ei si era nascosto. – Mi fu fatto conoscere dove si era ritirato e andai a trovarlo; .e siccome aveva molto più a cuore la rigenerazione dei suoi figli che il suo divorzio, io cercai di fargli comprendere l’importanza del Battesimo. « Da principio, temendo certamente i miei rimproveri cominciò a tremare. Ma si rassicurò ben tosto, e lo stesso giorno mi portò tutti i suoi figli perché io ne facessi tanti cristiani. Dopo il battesimo mi chiese in un modo commovente dello stesso favore per sé: era qui che io lo attendeva. — Tu non potrai esser battezzato, gli dissi, finché tu avrai due mogli, poiché lo Spirito Santo non lo permette. Se tu continui a violare la sua proibizione, invece di metterti con Lui nella sua grande luce, Egli ti getterà col maligno Monitou nel fuoco dell’abisso. – « Queste parole fecero sull’animo del selvaggio tutto quell’effetto che io poteva attendermi. Con la testa appoggiata sul suo petto, non rispose nulla, e per alcuni minuti parve immerso in uria meditazione profonda. Poi, alzandosi tutto ad un tratto: — Padre, mi disse, quello che tu mi prescrivi è giusto. Poiché il grande Spirito non ha dato che una compagna al primo uomo, io non debbo ritenerne due. Quale vuoi tu che licenzi? — Tu devi ritenere la prima; ma i figli della seconda essendo tuoi, bisogna che tu li educhi e che ti prenda cura della loro madre, come della tua propria sorella. — Grazie, mi disse, e usci subito per andare ad annunziare alla più giovane la sua risoluzione. Questa mostrò una risoluzione pari alla sua, e d’allora in poi non li vidi più insieme fuorché alla cappella, dove gareggiavano di zelo per farsi istruire. » [Annali, ec., n. 141, p. 101, an. 1852]. – La Castità, “Castitas”. Coronamento di tutti gli altri, questo duodecimo frutto fa dell’uomo un angelo in un corpo mortale. La castità è di fronte alla continenza, ciò che è la vittoria dinanzi alla lotta: è come il vincitore dopo il combattimento. Padrona dei suoi sensi interni ed esterni, l’anima casta, l’anima vergine, regna come Salomone, nella pienezza della pace. Presso di lei tutto l’oro del mondo perde il suo splendore. Essa incute rispetto sulla terra, forma la gioia del cielo, e provoca la rabbia dell’inferno. Se per strappare all’umanità questa corona di gloria, non vi sono sforzi che il demonio non adopri, non vi è neppure resistenza eroica ch’egli non incontri. A difendere questo bene più prezioso della vita, brilla il coraggio dei cristiani e soprattutto delle cristiane. Chi non conosce la condotta di tante eroine dei primi secoli? Nobile lignaggio di Vergini martiri, voi vi siete perpetuate fino a noi, e vi perpetuerete sino alla fine dei secoli, dovunque regnerà lo Spirito di santità. – Apriamo per l’ultima volta i nostri Annali contemporanei. « Il soggetto, del quale vi voglio parlare, è molto semplice, poiché non si tratta che di una bambinetta: ma in questa ha rifulso il trionfo della grazia. Sulla fine del 1841, una famiglia cattolica composta di tre persone, lasciava Aleppo per recarsi in Egitto. Dopo aver visitato i luoghi santi e attraversato la Giudea, essa s’internò nel deserto per la stessa strada che aveva anticamente percorsa la Sacra Famiglia, fuggendo dinanzi alla collera d’Erode. Già essa scorgeva da lungi le mura di El-Arich, l’antica Gerara, allorché comparve una banda di soldati albanesi. A questa vista, lo spavento colse i nostri devoti viaggiatori; essi corrono a caso e si sperdono nella solitudine, che non può nasconderli. – La bambinetta fu trovata dai suoi rapitori pallida, tremante, chiamare sua madre che essa non doveva più rivedere; e fu condotta schiava al Cairo, dove la rinchiusero nella casa di un Arnaute. – «L’infelice vi passò i suoi giorni in lacrime; e aveva ragione di spargerne sulla libertà perduta e sulla sua famiglia scannata! Un bene solo le rimaneva: era la sua ingenua fede al Dio degli orfani, e questo tesoro minacciato, lo difendeva con un amore eroico. — Sappi bene, diceva ella spesso al suo padrone, sappi che la tua schiava è cristiana. — Ahimè! egli non lo dimenticava. Ogni giorno, egli fremeva di non avere ancora potuto rompere questa debole canna, che si raddrizzava sempre sotto lo sforzo della sua mano; ricorreva a nuovi inganni, lusingava con le più luccicanti promesse, si abbassava alle supplicazioni per rialzarsi vinto, ma furibondo, e nel suo dispetto tentava nuovi tormenti, altrettanto impotenti quanto le sue preghiere disprezzate, e le sue vane minacce. – « Lacrime e singulti era tutto quello che egli strappava alla povera fanciullina. Invano il turco le diceva: — Come schiava di un mussulmano, tu abbraccerai la religione del tuo padrone, ovvero tu andrai a perire per le sue mani. — Prendi la mia vita, rispose l’eroina, ma lasciami il mio Dio; la giovinetta che ha tutto perduto in questo mondo non acconsentirà a chiudersi il cielo. E la grazia contava un. trionfo di più, ogni volta che l’oppressore assaliva la sua vittima. Come quelle vergini timide dei primi secoli, alle quali fu così spesso dato di domare nell’ arena dei leoni ruggenti, e di vederli incatenati ai loro piedi per incanto divino di una virtù angelica, la cristiana di Aleppo imponeva al turco nella sua propria casa divenuta per lei un anfiteatro. – « Un giorno, che fu il 18 gennaio 1843, la porta della casa, dove la nostra schiava gemeva da due anni, era rimasta socchiusa. Non dubitando che il momento della sua liberazione fosse venuto, essa varcò, senza essere veduta, la soglia della sua prigione e corse a rifugiarsi per caso nell’abitazione vicina. Per fortuna era quella di un armeno cattolico. Alla vista di questa bambinetta che entrava in sua casa tutta spaventata, la ricevette nelle sue braccia, le chiese chi era, donde veniva; e ciò che ella volesse. Ma, tremante e come inseguita da nemici invisibili, non seppe rispondere che con grida strazianti: Salvatemi, compratemi! ” Il buon armeno credé che bisognasse ritirarla per il momento; ed essendo giunto a tranquillizzarla l’interrogò di nuovo e con più successo. Essa gli raccontò tutte le sue disgrazie minutissimamente, poi aggiunse: — Voi non mi restituirete all’assassino della mia famiglia, imperocché questa volta egli eseguirebbe la sua minaccia, e per prezzo della mia fedeltà al nostro Dio, io sarei scannata nella sua casa o venduta ai negri del Sennaar.” – « Non ci volle altro per interessare l’armeno alla sorte dell’ orfanella. Da prima la tenne nascosta per parecchi giorni. Ma temendo di esporsi a qualche affronto, se altri, fuori di lui svelassero il suo segreto, giudicò prudente informare egli stesso l’autorità mussulmana di tutto quel che era avvenuto. – ” Dietro la sua deposizione, il governatore egiziano fece condurre al suo tribunale la fuggitiva e il soldato albanese. Interrogò la giovinetta intorno al suo paese, sui suoi parenti e la sua religione. Essa rispose con molta arditezza ch’era cristiana, nativa d’Aleppo, che era stata rapita con forza nel deserto da soldati albanesi, che in mancanza de’ suoi genitori, essa riconosceva il curato armeno per suo padre. — Fatti mussulmana, gli dissero i turchi, seduti per giudicarla, e tu dividerai la nostra fortuna e i nostri piaceri. — Io sono regina con la mia fede, rispose: tutti i vostri beni non valgono la mia corona. Io soffrirò la morte, piuttosto che rinunziarvi “. – « Tanto coraggio confuse in una stessa ammirazione il tribunale e l’uditorio, i mussulmani come i cristiani. – Fra gli spettatori si trovava un giovine caldeo cattolico che aveva seguitato quel dibattimento col più vivo interesse. Incantato delle virtù di quella giovinetta, rapito dalle sue risposte, e stimandosi fortunato se ponesse farle dimenticare i suoi lunghi patimenti, la chiese per isposa. La sua offerta fu accolta, e il curato di Terra Santa ha benedetto, or sono pochi giorni, quelle nozze fortunate. Tutta la popolazione cattolica del Cairo ha preso parte alla cerimonia, e il mio cuore di padre, troppo spesso abbeverato d’amarezza, si è riposato con una indicibile consolazione su questi due figli cosi degni l’uno dell’altro, per la generosità della loro fede e l’innocenza della loro vita.  » [“Annali, ec., n. 99, p. 89, an. 1845]. – 6° A che cosa si oppongono i frutti dello Spirito Santo? Preso isolatamente, ciascun frutto dello Spirito Santo è un principio di felicità, tutti insieme costituiscono la felicità completa, per quanto è compatibile con la nostra condizione terrena. Così, essi formano l’opposizione adeguata alla disgrazia, qualunque sia il suo nome. Riguardata sotto questo punto di vista, la Chiesa cattolica ci appare come un immenso giardino, i cui alberi, coperti di frutti rendono giocondi tutti i sensi del corpo, riposano tutte le facoltà dell’anima e perpetuano attraverso i secoli, il paradiso terrestre.Tutto ciò è più che bastante per eccitare il furore di satana. Devastare il magnifico giardino dello sposo, sradicare gli alberi, renderli sterili, trasformarli in alberi fruttiferi di morte, fare così l’infelicità temporale ed eterna dell’uomo, è la sua costante occupazione. Fedele alla sua legge di contraffazione universale, egli crea un giardino avvelenato, accanto al divino parterre; in quella stessa guisa che aveva creato la Città del male, accanto alla Città del bene Egli vi pianta gli alberi che ha rapiti, li coltiva, e fa ad essi produrre i suoi frutti. Mostriamone adesso il numero e la qualità. – L’ apostolo san Paolo ne dà la nomenclatura seguente : « Le opere della carne, dice, manifeste a tutti gli occhi, sono: la Fornicazione, l’Impurità, l’Impudicizia, la Lussuria, l’Idolatria, gli Avvelenamenti, le Contese, l’Inimicizie, le Gelosie, le Animosità, le Liti, le Divisioni, le Eresie, l’Invidia, le Uccisioni, l’Ubriachezza, le Gozzoviglie della tavola, e altri delitti simili. » [Gal., V, 19-21]. – Qui si presentano due questioni: che cosa bisogna intendere per la carne, e perché diconsi le opere e non i frutti della carne, mentre noi diciamo i frutti dello Spirito Santo? – La carne significa la concupiscenza, vale a dire l’inclinazione al male che è in noi. Quest’è il veleno o il virus che il serpente infernale ci ha inoculato, allorché morse i nostri primi padri, e che di generazione in generazione passa a tutta la loro posterità. Così la carne, o la concupiscenza è il demonio stesso presente in noi col suo veleno. 2 2 [“Concupiscentia, puta voltintas mala, est daemon nos irapugnatis”. Abbas Pimenius, in vit. Patr., lib. VII, c. XXII. – Si dice la carne per due ragioni; la prima, perché è nella carne o nel sangue che risiede, e per mezzo di essa si trasmette l’amore satanico; la seconda, perché è proprio principalmente delle dissolutezze carnali, il bere, il mangiare, il piacere, il benessere del corpo che ci porta la concupiscenza. Nondimeno essa si comunica pure all’anima in cui produce l’orgoglio, l’ambizione, la curiosità, la scienza vana e altre disposizioni puramente spirituali. – Benché a rigore si possano dire frutti della carne o del demonio, tuttavia san Tommaso spiegando la parola dell’apostolo opera carnis si esprime cosi: « Ciò che esce dall’albero contro la natura dell’albero, non è chiamato frutto, ma corruzione. Ora gli atti virtuosi sono come naturali alla ragione. Di qui viene che le opere delle virtù sono chiamate frutti, non così però le opere dei vizi. » [“Id quod procedit ab arbore contra naturam arboris, non dicitur esse fructus ejus, sed magis corruptio quaedam. Et quia virtutum opera sunt connaturalia rationi, opera vero vitiorum sunt contra rationem, ideo opera virtutum fructus dicuntur, non autem opera vitiorum”. l a, 2ae, q. 70, art. 4, ad 1]. – Comunque sia, le opere della carne, considerate nel loro principio, nel loro insieme e nei loro particolari, sono il contrario dei frutti dello Spirito Santo. – Due potestà combattano nella società, come nell’interno dell’uomo. Tra di .esse esiste una opposizione completa immutabile. [Gal., v, 17]. Lo Spirito Santo disceso dal cielo, suo glorioso soggiorno, attrae l’uomo in alto. satana fa il contrario. Risalendo dall’abisso, sua oscura dimora, attrae 1’uomo in basso. In altri termini lo Spirito Santo prosciogliendo l’uomo dall’amore delle cose terrene, l’eccita ad agire secondo la ragione e la fede. Trascinando l’uomo alla ricerca appassionata dei beni sensibili, satana lo spinge ad agire contro la ragione e contro la fede. Di questi due agenti, l’uno nobilita, l’altro degrada; l’uno santifica, l’altro deturpa e corrompe. – Se nell’ordine fisico il moto in alto é contrario al moto in basso, si vede che le opere della carne sono diametralmente opposte ai frutti dello Spirito Santo. – Tale è l’opposizione generale; ma non è la sola. Tra ciascuna opera della carne e ciascuno dei frutti dello Spirito Santo, vi è una opposizione particolare. – La prima opera della carne, segnalata dall’apostolo, è la fornicazione, “fornicatio”. Quest’atto colpevole è distruttore della carità, che unisce l’uomo a Dio e al prossimo. — Le tre seguenti sono : l’immodestia, l’impudicizia, la lussuria, Immunditia, impudicitia, luxuria. – Questi disordini essendo inseparabili dalla fornicazione, turbano l’essere umano fino nelle sue profondità, e fanno sparire la gioia dal cuore, la serenità dalla fronte e la modestia dai sensi. – La quinta è l’idolatria, idolorum servitus. Ora, l’idolatria è la guerra aperta contro Dio, la guerra sacrilega in ciò che ha di più colpevole. Che cosa vi è di più contrario alla pace, non solamente dell’uomo con Dio, ma altresì degli uomini tra di essi? L’idolatria non è la causa delle lotte più accanite, delle quali la storia abbia conservato memoria? – La sesta, settima, ottava, e nona sono gli avvelenamenti, le inimicizie, le contese, le gelosie, veneficia, inimicitiae, contentiones aemulationes. Vedete quale spaventoso corteggio satana trascina dietro di sè! qual famiglia di vipere getta egli nell’anima della quale s’impadronisce. Tutte queste opere di tenebre sono direttamente opposte ai frutti di pazienza, di benignità, di bontà, di longanimità. Le tre opere della carne che vengono insegnate sono : le collere, le risse, le dissensioni; irae, rixae, dissentiones. È facile il vedere che esse sono opposte alla dolcezza. – Restano le cinque ultime; le sette, le gelosie, gli assassini, le ubriachezze, le gozzoviglie della tavola, sectae, invidae, homicidia, ebrietates, commessationes. – Estinguendo la rettitudine, la buona fede, la lealtà, la fede in tutti i sentimenti, le sette o le eresie uccidono la carità, e scavano un abisso tra gli abitanti di uno stesso luogo, tra i membri di una stessa famiglia. Non è senza ragione che l’Apostolo nomina, dopo 1’eresia, la gelosia e gli omicidi. Questi delitti sono in diretta opposizione con la fede religiosa e sociale, il cui particolare effetto è di unire le intelligenze ed i cuori : “Cor unum et anima una”. Ora, quando la fede s’indebolisce o si estingue, la ragione decade. L’anima perde il suo impero che è infallibilmente sostituito da quello dei sensi. L’uomo cade nella crapula raffinata o grossolana, incivilita o barbara, secondo il centro in cui vive: “Ebrietates, comessationes. Questa é la rovina della continenza. [Vedi S . Th. la, 2ae, q. 70, art. 4, corp.]. – Così si trova completamente devastato il giardino dello Spirito Santo. Del resto, che le opere di morte enumerate dall’Apostolo siano in maggior numero dei frutti di vita, non bisogna meravigliarsene. Da una parte questa superiorità numerica non contraddice in nulla l’opposizione che abbiamo segnalata; essa mostra soltanto che parecchie opere della carne sono opposte a un solo frutto dello Spirito Santo. D’altra parte san Paolo non ha preteso indicare in particolare tutte le opere della carne, molto meno tutti i frutti dello Spirito Santo. « Egli ha solamente voluto, dice sant’Agostino, mostrare la loro opposizione generale, e di qual genere sono le cose che dobbiamo evitare e quelle che dobbiamo fare. 1 »1 [“Apostolus non hoc ita suscìpit ut doceret quot sunt vel opera carnis, vel fructus Spiritus; sed ut ostenderet, in quo genere illa vitanda, illa vero sectanda sint”. S. Aug., in epist. ad Gal., c. VIII]. – Ecco dunque due giardini piantati, uno dallo spirito del bene, l’altro dallo spirito del male. È un nuovo tratto del parallelismo tante volte segnalato tra l’opera divina e l’opera satanica. Qui per conseguenza ritorna, per l’uomo come per la società, l’alternativa inesorabile di. vivere nell’uno o nell’altro di questi due giardini, di mangiare dei loro frutti, e mangiandone di trovare la vita o la morte. Posto tra due padroni, il mondo va forzatamente verso l’uno o verso l’altro. Non potrebbe essere mai troppo insistere su questa legge per la quale non vi è, né vi è stato mai, né mai vi sarà deroga. Agli occhi nostri è il mezzo di rendere palpabile la necessità di tutte le operazioni dello Spirito Santo. – Intendiamolo dunque bene, tutte queste operazioni niuna eccettuata, sono necessarie alla società per il solo fatto ch’esse sono necessarie all’uomo. La fede, la speranza, la carità, prime figlie dello Spirito Santo, sono necessarie alla società, perché senza di esse la società è inevitabilmente abbandonata all’incredulità, alla disperazione, all’odio. La prudenza, la giustizia, la forza, la temperanza, seconde figlie dello Spirito Santo, sono necessarie alla società, perché senza di esse la società è inevitabilmente data in preda all’imprudenza, all’ingiustizia, alla viltà, e all’intemperanza. I sette doni dello Spirito Santo sono necessari alla società, perché senza di essi la società cade sotto l’impero dei sette peccati capitali, il cui insieme forma il dissolvente più energico di tutto 1’ordine sociale. – Le sette beatitudini divine sono necessarie alla società, perché se la società non le pratica, essa pratica inevitabilmente le sette beatitudini sataniche, che realizzano il male sotto tutte le forme. I frutti dello Spirito Santo sono necessari alla società, perché se questa non se ne ciba, si ciba per forza dèi frutti avvelenati di satana, principi di rivoluzioni e di catastrofi. – Il regno dello Spirito Santo, con tutto quel che lo costituisce, è necessario alla felicità del mondo, perché Egli solo lo preserva dal regno dello spirito maligno. Ora il regno di Satana, è il mondo pagano con Nerone per padrone; mentre il regno dello Spirito Santo, è il mondo cattolico diretto dal vicario infallibile del Verbo incarnato. Sotto il primo, il genere umano è un gregge di lupi; sotto il secondo è un ovile. Inesorabile essendo sulla terra l’alternativa, essa non lo è meno al di là della tomba: lo vedremo nel capitolo seguente.

NATIVITÀ’ DELLA BEATA VERGINE MARIA

NATIVITÀ’ DELLA BEATA VERGINE MARIA

[da : Dom. Guéranger, “L’anno liturgico” – vol. II]

Giorno di gioia.

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Esultante di gioia, oggi la Chiesa ci fa dire con ragione: « La tua nascita, o Vergine Madre di Dio, fu per il mondo intero messaggio di consolazione e di gioia, perché da te è sorto il sole di giustizia, Cristo nostro Dio, che ci ha liberati dalla maledizione per darci la benedizione e, vincitore della morte, ci ha assicurato la vita eterna”. (Antif. dei secondi Vespri). La nascita di un bambino porta gioia nella casa ai genitori, che pure ne ignorano l’avvenire e, se la Chiesa il 24 giugno ci dice che quel giorno è un giorno di gioia, perché la nascita del Battista ci fa sperare la nascita di Colui del quale egli viene a preparare la strada, la nascita di Colei che sarà la Madre del Redentore non porterà gioia a tutti coloro che attendono la salvezza e la vita? – Sappiamo dal Vangelo che la nascita del Battista fu motivo di gioia per i suoi genitori, per il villaggio di Ain Karim e per le borgate vicine. Nulla invece sappiamo della nascita di Maria; ma, se tale nascita passò inosservata per molti, se Gerusalemme restò davanti ad essa esteriormente indifferente, sappiamo tuttavia che il giorno di tale nascita resterà un giorno di incomparabile gioia non solo per una città o per un popolo, ma per tutto il mondo e per tutti i secoli.

Gioia del cielo.

È gioia in cielo per la Santissima Trinità; gioia del Padre, che si rallegra per la nascita della sua prediletta, che egli farà partecipe della sua paternità; gioia del Figlio, che contempla la soprannaturale bellezza di Colei che diventerà sua Madre, alla quale egli chiederà in prestito la carne per riscattare il mondo; gioia dello Spirito Santo di cui Maria è il santuario immacolato e la cooperatrice nell’opera della concezione e dell’incarnazione del Verbo. È gioia per gli Angeli: Essi vedono che questa fanciulla è la meraviglia delle meraviglie dell’Onnipotente; in Lei Dio ha spiegato la sua sapienza, la sua potenza, il suo amore più che in tutte le altre creature; Egli ha fatto di Maria lo specchio purissimo in cui si riflettono tutte le sue perfezioni; essi comprendono che Maria, da sola, dà al suo Creatore più onore e più gloria che tutte le loro gerarchie insieme e già la salutano come Regina, gloria dei cieli, ornamento del mondo celeste e del mondo terrestre (Gv. il Geometra, Annunciazione, 37, P. G., 106, c. 845).

Gioia nel limbo.

San Giovanni Damasceno pensa che anche le anime trattenute nel limbo abbiano conosciuto questa nascita felicissima e che Adamo ed Eva, con una gioia mai più provata dopo la loro caduta nel paradiso terrestre, abbiano gridato: « Sii benedetta, o figlia, che il Signore ci promise il giorno della nostra caduta: da noi hai ricevuto un corpo mortale e ci restituisci la veste dell’immortalità. Tu ci richiami alla nostra prima dimora; noi abbiamo chiusa la porta del paradiso e tu restituisci libero il sentiero che porta all’albero della vita » (Dormitio Virginis: P. G. 96, c. 733). Altri scrittori antichi ci presentano i patriarchi e i profeti, che da lontano avevano annunziata e benedetta la venuta di Maria, intenti a salutare il compimento dei loro oracoli divini (Giacomo il Monaco, Natività di Maria: P. G. 1270. 573).

Gioia sulla terra.

Fu anche gioia sulla terra. Senza temerità, possiamo con i santi pensare che Dio diede alle anime « che attendevano allora la redenzione d’Israele (Lc. II, 38) una allegrezza straordinaria, una gioia grave e religiosa, che si insinuò nei loro cuori, e intimamente le convinse, senza spiegare come, che l’ora della salvezza del mondo era ormai prossima. – Ma gioia particolare in questo senso ebbero i felici genitori, i Santi Gioacchino e Anna. Essi contemplarono rapiti la radiosa, piccola bambina, loro donata nella vecchiaia, contro tutte le speranze. Forse essi si chiesero se non era uno degli anelli della linea benedetta dalla quale doveva uscire il Re, che avrebbe ristabilito il trono di Davide e salvato Israele e il loro ringraziamento salì fervido al Signore, che essi sentivano presente nella loro umile casa. « O coppia felice, esclama san Giovanni Damasceno, tutta la creazione ha un debito verso di voi, perché per mezzo vostro ha offerto a Dio il più prezioso dei doni, la Madre ammirabile, che, sola, di Lui era degna. Benedetto il tuo seno, o Anna, perché ha portato Colei che nel suo seno porterà il Verbo eterno, Colui che nulla può contenere e che porterà agli uomini la rigenerazione. O terra da principio infeconda e sterile, dalla quale è sorta una terra dotata di fecondità meravigliosa, che sta per produrre la spiga, che nutrirà tutti gli uomini! Beate le vostre mammelle, perché hanno allattato Colei, che allatterà il Verbo di Dio, nutrice di Colui che nutre il mondo… » (Sulla Natività, P. G. 96, c. 664-668).

Maria causa della nostra gioia.

La nascita di Maria è dunque causa di gioia e la gioia è sentimento che oggi tutto assorbe e tutto penetra. La Chiesa desidera che noi entriamo in questa gioia che straripa e trionfa. Ci invita a questa gioia in tutto l’Ufficio e ci fa cantare, fino dall’invitatorio di Mattutino: « È la nascita di Maria, facciamole festa, adoriamo Cristo, suo figlio, nostro Signore ». E poco dopo ci fa aggiungere: « Celebriamo con tenera devozione la nascita della beata Vergine Maria, perché interceda presso Gesù Cristo. Con allegrezza e tenera devozione, celebriamo la nascita di Maria » (Responsorio del Mattutino). – La Chiesa ci invita alla gioia perché Maria è la Madre della divina grazia e, nel pensiero divino, già la Madre del Verbo incarnato. – Le parole grazia e gioia hanno in greco una stessa radice, vanno sempre a fianco e si richiamano a vicenda: Maria, essendo piena di grazia, è anche piena di gioia per sé e per noi. La Liturgia ci mostra in questa graziosa bambina appena nata la Madre di Gesù, tanto Maria è inseparabile dal Figlio, che è nata solo per Lui, per essere sua Madre e per divenire madre nostra, dandoci la vera vita, la vita della grazia. Tutte le preghiere della Messa acclamano la maternità della Vergine Maria quasi per dire che la Chiesa non può separare la sua nascita da quella dell’Emmanuele.

Il luogo di nascita di Maria.

Dove nacque la Santissima Vergine? Un’antica e costante tradizione indica come luogo di nascita Gerusalemme, là ove è la chiesa di sant’Anna, presso la piscina Probatica. Là « nell’ovile paterno, dice san Giovanni Damasceno, è nata Colei, da cui ha voluto nascere l’Agnello di Dio ». Là più tardi furono sepolti i santi Gioacchino e Anna e le loro tombe furono scoperte dai Padri Bianchi il 18 marzo 1889, presso la grotta della Natività. Là fu costruita nel secolo IX una chiesa e le monache benedettine vi si stabilirono dopo l’arrivo in Palestina dei Crociati e vi restarono fino al secolo XV. Poi una scuola mussulmana sostituì il monastero e, solo in seguito alla guerra di Crimea, il sultano Abd-ul-Medjid donò la chiesa e la piscina probatica alla Francia, che era entrata vittoriosa a Sebastopoli il giorno 8 settembre 1855.

Origine della festa.

La festa della Natività sorse in Oriente. La Vita di Papa Sergio (687-701) la elenca fra le quattro feste della Santa Vergine esistenti a quel tempo e sappiamo inoltre che l’imperatore Maurizio (582-602) ne aveva prescritta la celebrazione con le altre tre dell’Annunciazione, della Purificazione e dell’Assunta. San Bonifacio introdusse la festa in Germania. Una graziosa leggenda attribuisce al vescovo di Angers, Maurilio, l’istituzione della festa e forse veramente egli introdusse nella sua diocesi una festa, per realizzare il desiderio della Vergine, che gli era apparsa nelle praterie del Marillais verso l’anno 430, e di qui il nome di Nostra Signora Angevina o festa dell’Angevina, che ancora le dà, nella regione occidentale, il popolo cristiano. – Chartres da parte sua rivendica al vescovo Fulberto (1028) una parte preponderante nella diffusione della festa in tutta la Francia. Il re Roberto il Pio (o il suo seguito) diede le note ai tre bei Responsori Solem justitiae, Stirps Jesse, Ad nutum Domini, nei quali Fulberto celebra il sorgere della stella misteriosa, che doveva generare il sole, il virgulto sorto dal ceppo di Jesse che doveva portare il fiore divino sul quale riposerà lo Spirito Santo, la onnipotenza che dalla Giudea produce Maria, come una rosa dalle spine. – Nel 1245, durante la terza sessione del primo Concilio di Lione, Innocenzo IV stabilì per tutta la Chiesa l’Ottava della Natività della Beata Vergine Maria, (oggi soppressa) compiendo il voto emesso da lui e dai Cardinali durante la vacanza di diciannove mesi, causata dagli intrighi dell’imperatore Federico II alla morte di Celestino IV e terminata con l’elezione di Sinibaldo Fieschi col nome di Innocenzo. – Nel 1377, il grande Gregorio XI, il Papa, che aveva spezzate le catene di Avignone, completò gli onori resi alla Vergine nascente con l’aggiunta della vigilia alla solennità, ma o perché non espresse al riguardo che un desiderio o per altre cause, le intenzioni del Pontefice non ebbero seguito che per qualche tempo negli anni torbidi, che seguirono la sua morte.

La pace.

Quale frutto di questa festa, imploriamo con la Chiesa (Colletta del giorno) la pace, che nei nostri tempi sventurati pare allontanarsi sempre di più. La Madonna nacque nel secondo dei tre periodi di pace universale segnalati sotto Augusto, il terzo dei quali segnò l’avvento del Principe stesso della pace. – Mentre si chiudeva il tempio di Giano, l’olio misterioso sgorgava dal suolo a Roma nel luogo dove doveva sorgere il primo santuario della Madre di Dio, si moltiplicavano i presagi per il mondo in attesa e il poeta cantava: « Finalmente giunge l’ultima era preannunziata dalla Sibilla, si apre la serie dei secoli nuovi, ecco la Vergine » (Virgilio, Egloga IV). – In Giudea, lo scettro era stato tolto a Giuda, (Gen. 49, 10) ma anche colui, che se ne era impadronito, proseguì la splendida restaurazione, che doveva permettere al secondo Tempio di ricevere fra le sue mura l’Arca santa del nuovo Testamento. – È il mese sabbatico, primo mese dell’anno civile e settimo del ciclo sacro Tisri, in cui comincia il riposo stabilito ad ogni settennio, cioè l’anno santo giubilare (Levit. XXV, 9), il mese più ricco di gioia con la Neomenia solenne, annunziata da suoni di tromba e da canti (ibid. 23; Num. XXIX; Psal. LXXX), la festa dei Tabernacoli e il ricordo della dedicazione del primo Tempio sotto Salomone. – In cielo il sole è uscito dal segno del Leone ed entra in quello della Vergine. Sulla terra due oscuri discendenti di Davide, Gioacchino e Anna, ringraziano Dio, che ha benedetto la loro unione, per molto tempo infeconda.

Il Mistero di Maria.

Maria, dalla quale è nato Gesù: qui è tutto il mistero della Madonna, il titolo costitutivo, come abbiamo veduto, del suo essere di natura e di grazia; come Gesù dovendo nascere da Maria figlia della donna (Gal. IV, 4) e figlia di Dio (Rom. VII, 3-4), era dal principio ragione nascosta della creazione il cui mistero si sarebbe rivelato solo alla pienezza dei tempi (Efes. III, 9). Opera unica questa della quale il profeta, nella sua estasi diceva: Farai conoscere, o Dio, nella pienezza degli anni l’opera tua; verrà il Santo dalla montagna oscura; i poli del mondo si curvano sotto il passo della sua eternità (Abacuc III, 2-6). – La montagna donde deve venire il Santo, l’Eterno, il Dominatore del mondo, quando sarà il tempo, è la Beata Vergine, che l’Altissimo coprirà della sua ombra (Lc. I, 35), e l’altezza della Quale, già alla nascita, sorpassò tutte le altezze del cielo e della terra. I tempi sono dunque compiuti. Dal momento in cui l’eterna Trinità uscì dal suo riposo per creare cielo e terra (Gen. I, 1) tutte le generazioni del cielo e della terra, come dice la scrittura (ibid. II, 4) erano in travaglio dal giorno che dona al Figlio di Dio la Madre attesa. Parallelamente alla linea, che scende da Abramo e da Davide al Messia, tutte le genealogie umane preparavano a Maria la generazione dei figli adottivi che Gesù, figlio di Maria, si sceglierà per fratelli.

Preghiera a Maria Bambina.

Finalmente, o Maria, il mondo ti possiede! La tua nascita gli rivela il segreto del suo destino, il segreto d’amore che lo chiamò dal nulla, perché diventasse l’abitazione di Dio al di sotto dei cieli. Ma qual è dunque il mistero di questa debole umanità, che, inferiore agli Angeli per natura, è tuttavia chiamata a dare loro un Re e una Regina? Il Re l’adorano neonato fra le vostre braccia, la Regina la riveriscono oggi nella culla insieme con gli angeli. Astri del mattino, questi nobili spiriti davano inizio alle manifestazioni dell’Onnipotenza e lodavano l’Altissimo (Giob. 38, 7), ma il loro sguardo non scoprì mai meraviglia pari a quella che li fa ora esultare: Dio, riflesso in modo più puro sotto i veli del corpo fragile di una bambina di un giorno che nella forza e nello splendore dei nove cori; Dio, conquistato egli stesso da tanta debolezza, unita per grazia sua a tanto amore che egli ne fa il suo capolavoro, manifestando in essa suo Figlio. – Regina degli Angeli, tu sei anche nostra Regina, ricevici per manifestare fede e omaggio. In questo giorno in cui il primo slancio della tua anima santissima fu per il Signore, il primo sorriso degli occhi per i genitori che ti misero al mondo; si degni la beata Anna ammetterci a baciare in ginocchio le tue mani benedette, già pronte alle divine larghezze delle quali sono predestinate dispensatrici. E intanto cresci, dolcissima bambina, si irrobustiscano i tuoi piedi, per schiacciare il capo al serpente, prendano forza le tue braccia, per portare il tesoro del mondo; l’angelo e l’uomo, tutta la natura; Dio Padre, Figlio, Spirito Santo, sono in attesa del momento solenne in cui Gabriele potrà spiccare il volo dal cielo per salutarti piena di grazia e portarti il messaggio d’amore.

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s. Agostino

Sermone di sant’Agostino Vescovo

Sermone 18 sui Santi, ch’è il 2 dell’Annunciazione del Signore

Eccoci, dilettissimi, al giorno desiderato della beata e venerabile Maria sempre Vergine; perciò si rallegri e gioisca sommamente la nostra terra illustrata dalla nascita di tale Vergine. Ella infatti è il fiore del campo, da cui è uscito il prezioso giglio delle valli, per la cui maternità si è cambiata la sorte dei nostri progenitori e cancellata la loro colpa. Ella non ha punto subita la maledizione pronunziata contro di Eva, cioè: «Nel dolore darai alla luce i tuoi figli» (Gen. III,16); avendo ella dato alla luce il Signore nella gioia. – Eva pianse, Maria esultò: Eva portò nel seno un frutto di lacrime, Maria di gioia, avendo dato alla luce quella un peccatore e questa un innocente. La madre del genere umano introdusse il castigo nel mondo, la Madre di nostro Signore ha portato la salvezza al mondo. Eva è la sorgente del peccato, Maria la sorgente del merito. Eva ci fu funesta dandoci la morte, Maria ci ha fatto del bene rendendoci la vita. Quella ci ha feriti, questa ci ha guariti. La disobbedienza è stata riparata dall’obbedienza, l’incredulità compensata colla fede. – Maria ora applauda co’ strumenti d’armonia, e le agili dita della vergine madre suonino i cembali. Rispondano i cori festanti, e il doppio concerto della nostra voce s’alterni co’ suoi cantici melodiosi. Udite dunque come cantò la nostra musicista ispirata; ella disse: «Magnifica l’anima mia il Signore: ed esulta il mio spirito in Dio, mia salvezza. Perché ha riguardato alla bassezza della sua ancella: ond’ecco da questo momento mi chiameranno beata tutte le generazioni. Perché grandi cose ha fatto in me colui ch’è potente» (Luc. 1,46). Così dunque il prodigio d’una nuova maternità, ha rimediato alla colpa che ci ha rovinati; e il canto di Maria, ha messo fine ai lamenti di Eva.

Per la NATIVITA’

[G. Riva: Manuale di Filotea, Milano 1888]

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La cui festa fu ordinata da Sergio I nel 688 per ottenere, come ottenne, con l’intercessione di Maria, – 1) di essere liberato dalle inique vessazioni dell’imperatore Giustiniano II, il quale voleva sostenere come ecumenico l Concilio Truliano o Quinisesto, tenuto dai Greci a Costantinopoli, malgrado la costante disapprovazione del Papa, il quale perciò non vi spedì i propri legati, né volle mai approvarne i canoni, – 2) di riconciliare con la Chiesa Romana il Patriarcato di Aquileja in Istria, che si ostinava a non riconoscere come legittimo il V Concilio ecumenico, in cui si erano condannati i tre eretici libri di Teodoreto, di Teodoro e Mopsuesta ed Iba, denominati i Tre Capitoli.

I – Vergine singolarissima, che nascendo a questa vita, la pace annunciaste agli afflitti mortali, ottenete la vera pace ai nostri cuori, alla Chiesa e a tuttp il mondo. Ave.

II – Vergine invitta, che sin dal vostro nascimento cominciaste ad abbattere il regno del demonio, impetrate anche a noi tutti di distruggere in noi le opere sue e di resistergli sempre con viva fede, affinché possa in noi e con noi regnare Gesù Cristo. Ave.

III – Vergine intatta, che nasceste e viveste sempre più pura de’ cieli e degli Angeli, fate che anche noi da qui in avanti conduciamo sempre una vita tutta illibata e propria del cristiano. Ave.

IV – Vergine celestiale, che veniste al mondo, non per essere del mondo, ma per trionfarne compitamente impetrate anche a noi di viverne affatto staccati, conformandoci sempre alle massime del sacrosanto Vangelo. Ave.

V – Vergine gloriosa, che nasceste per essere trionfatrice di tutte le eresie che fossero insorte nel mondo, dissipate con il vostro potere tutti gli errori contrari alla nostra SS. Religione, e viva in noi conservate quella fede che opera per mezzo della carità. Ave.

VI – Vergine Santissima, che non per altro appariste al mondo che per essere speccio tesissimo d’ogni virtù, fate che a voi teniamo sempre rivolti gli occhi nostri per poter imitare le virtuose nostre operazioni, e divenire ancora santi ancora noi. Ave.

VII – Vergine felicissima, cui Dio fece nascere al solo fine di diventare la nostra corredentrice, dando alla luce il comune Riparatore fate che per Esso siamo salvati da ogni male e conseguiamo con sicurezza la nostra eterna salute. Ave, Gloria.

Oremus

Adjuvet nos quaesumus, Domine, sancta Mariae intercessio veneranda; ejus etiam diem quo mundo exorta est annua festivitate celebremus. Per Dominum nostrum, etc.

 

LA QUINTA COLONNA

LA QUINTA COLONNA

[Dalla prefazione a: “Complotto contro la Chiesa” di M. Pinay – EFFEDIEFFE ed.]

 giuda

La “quinta colonna” infiltratasi nel clero

Uno dei motivi della momentanea vittoria della congiura della Sovversione e della contro-Chiesa sulle forze del bene è che queste combattono solo contro i tentacoli della piovra e non contro il suo capo. Per tentacoli intendo il Comunismo e la Massoneria, per capo il Giudaismo anticristiano e l’Occultismo esoterista di matrice cabalistica. – È sorprendente come la “quinta colonna” sia riuscita ad infiltrarsi nella Chiesa sotto o.Giovanni XXIII [si pensi ai de Lubac, Congar, Kùng condannati da Pio XII negli anni Cinquanta e chiamati da Roncalli sin dal 1959/1960 come “periti” al Concilio], – (il falso papa Roncalli, sedicente Giovanni XXIII, usurpante la Cattedra di Pietro “impedita” dell’eletto all’unanimità Cardinal Siri, GREGORIO XVII – n.d.r -) ed a prendere saldamente in mano le redini del Concilio per dirigerlo a proprio piacimento, facendogli proclamare (il tutto invalidamente, perché condannato dalla bolla “Execrabilis” di Pio II e da tutto il Magistero – n.d.r. -) pastoralmente e non dogmaticamente il panteismo, l’unità trascendente di tutte le religioni e il diritto, per l’errore, alla libertà.

MA DA CHI È FORMATA QUESTA COSIDDETTA “QUINTA COLONNA”?

Risponde il Pinay: “Essa è formata anche dai discendenti degli ebrei convertitisi nei secoli al Cristianesimo, che però hanno praticato la Religione di Cristo in forma solo apparente”. Cioè nell’intimo del loro cuore questi falsi convertiti hanno mantenuto la loro fede talmudica ed hanno celebrato i loro riti organizzandosi in sinagoghe e logge segretissime, che hanno funzionato clandestinamente durante i secoli. – Sono interessanti, a questo proposito, le direttive che il Consiglio supremo della diaspora, sito in Gerusalemme, dava agli ebrei di Arles nel 1489: “Carissimi fratelli in Mosè… ci dite che il re di Francia vuole che diventiate cristiani; fatelo… ma mantenete sempre la legge mosaica nel vostro cuore (per mosaica si intenda talmudica, ndr) …fate in modo che i vostri figli divengano chierici e canonici, poiché così rovineranno la Chiesa”. [CECIL ROTH – Storia dei marrani, Serra e Riva, Milano 1991]. – E evidente, quindi, che uno degli sforzi maggiori della contro-chiesa è stato quello di introdurre dei “falsi convertiti” nei seminari, onde, divenuti sacerdoti, potessero scalare tutti i gradini della gerarchia ecclesiastica, fino a salire possibilmente sul Soglio pontificio – come si augurava il famoso personaggio della Carboneria detto Nubius – e far fare così la Rivoluzione agli stessi cattolici attoniti, disorientati, angosciati, impotenti, come di fatto è successo con il Vaticano II. – Il supremo attentato: un “Papa” secondo i bisogni della giudeo-massoneria – «Già nel 1824 il capo “Vendita Suprema” Nubius così scriveva al Volpe: “.. .noi dobbiamo giungere con piccoli mezzi graduati. ..al trionfo dell’idea rivoluzionaria per mezzo di un Papa”… Quello che la setta desiderava non era un Papa frammassone. …Che cosa voleva essa? Lo dicono le Istruzioni: ‘…un Papa secondo i nostri bisogni’» [H. Delassus: il Problema dell’ora presente]. Che cosa significa esattamente l’espressione “un Papa secondo i nostri bisogni”? E semplice: un Papa che non è iscritto alla Massoneria, ma che appartenga alla setta per le idee che ha accolto iniziaticamente nel suo intelletto, e cioè il panteismo, il naturalismo, il razionalismo, il liberalismo, il pluralismo, la tolleranza per principio, il non esclusivismo: in breve il complesso di idee emanate dalla Massoneria. Tale Papa non apparterrebbe per iscrizione al corpo della Massoneria, ma per iniziazione alla sua anima. Infatti, come nella Chiesa di Cristo si distingue il corpo dall’anima, e si sa che uno può appartenere al corpo senza appartenere all’anima e viceversa, così è per la Massoneria: il corpo sono le logge, e vi appartengono coloro che vi sono iscritti, l’anima sono l’iniziazione dottrinale, le idee, il liberalismo e la tolleranza. Tutti coloro che le professano appartengono all’anima della setta. Un Papa siffatto farà sì che il clero cammini sotto la bandiera massonica, credendo di camminare sotto quella del Vicario di Cristo e la setta vedrà così realizzato il suo sogno di fare la Rivoluzione “in cappa e tiara”. – (In realtà le cose andate ben diversamente, perché le sette, sapendo che un vero Papa, Cristo in terra, è guidato dallo Spirito Santo, prima o poi si sarebbe rivoltato contro gli interessi dei mandanti delle sette stesse. Il piano quindi è stato ancor più astutamente modificato, nel senso che si è lasciato eleggere e rieleggere un Papa “vero”, Gregorio XVII, ma esso è stato subito “impedito” nel suo “Ufficio” dai marrani del conclave, cagnolini muti al guinzaglio dei padroni, che hanno così intrufolato al suo posto, invalidamente, una serie di “figli della vedova”, gli ultimi in particolare autentici “marrani”, fantocci, burattini, guidati, senza nulla temere, dai burattinai “che odiano Dio e tutti gli uomini”, cercando di realizzare così indisturbati la demolizione della Chiesa Cattolica (si fieri potest …) – v. in questo blog “Montini, la ruspa nella Chiesa” – n.d.r. -).

Origini della “quinta colonna” e sua azione

Il Giudaismo, che dopo il deicidio (33 d. C), la distruzione di Gerusalemme (70 d. C.) e la dispersione (135 d. C), ha dovuto trasformarsi in setta segreta è quindi antico quasi quanto il Cristianesimo. – “L’ebreo, quando è riuscito ad infiltrarsi nella cittadella del suo nemico, lavora senza posa, ubbidendo agli ordini… delle organizzazioni ebraiche che mirano ad ottenere dal di dentro il dominio sul popolo di cui si prefiggono la conquista”. [H . DELASSUS, Il problema dell’ora presente]. – Il Giudaismo talmudico tenterà quindi, con ogni mezzo di esercitare il controllo sulle organizzazioni religiose nemiche per poi disintegrarle; una volta ottenute le cariche ecclesiastiche, le utilizza per sviluppare i propri piani di dominio universale, come sta accadendo oggi, sotto i nostri occhi, con il nome di Nuovo Ordine Mondiale. – San Paolo stesso ritenne necessario avvisare i vescovi (quelli veri ed oggi anche i falsi, come abbiamo visto più volte, in particolare tra gli scismatici sedevacantisti di nome o di fatto, tutti prodotti velenosi del cavaliere Kadosh Lienart e del suo pupillo e figlioccio spirituale, il non-prete Lefebvre – n.d.r. -) che tra loro sarebbero sorti lupi feroci, che non avrebbero risparmiato il gregge di Cristo, e che tra gli stessi vescovi si sarebbero levati uomini che avrebbero detto cose perverse per fare dei proseliti. – Nostro Signor Gesù Cristo nel Vangelo ci mette in guardia contro i “lupi rapaci vestiti da agnello”, contro i “mercenari” o i ” cattivi pastori” ammonendoci di essere vigilanti e sempre in guardia contro il “pericolo interno” ed avvertendoci che “è necessario che avvengano degli scandali”. – Purtroppo, con il Concilio Vaticano II è stato permesso ai lupi vestiti da agnello di introdursi nell’alto clero e di utilizzare la sua autorità giuridica per schiacciare i difensori della Chiesa, sia chierici che laici. – Non ci si deve meravigliare di questa infiltrazione che Cristo permette nella Chiesa. Il Vangelo, in fondo, ce ne dà un esempio classico, quello di Giuda, uno dei dodici Apostoli, che tradì Cristo per trenta denari. Forse si sbagliò Gesù nello scegliere Giuda? No! Gesù volle darci un esempio ed un ammonimento. Volle farci constatare che il maggior pericolo che corre la Chiesa è quello di essere venduta al nemico per trenta denari dagli alti prelati della Chiesa stessa: infatti altri Giuda sono sorti nel corso bi-millenario della storia della Chiesa ed altri ancora ne sorgeranno. – I fedeli perciò non devono scandalizzarsi se parliamo del complotto contro la Chiesa che ha potuto realizzarsi nel Concilio Vaticano II, negli anni successivi e tuttora in corso, grazie al tradimento dei più alti prelati. La Chiesa, nel passato, è sempre riuscita a vincere il più grave pericolo, quello della “quinta colonna”, grazie ad un clero virtuoso e combattivo e ad un laicato fedelmente sottomesso ad esso. Purtroppo con il Concilio Vaticano II, gli agenti della contro-Chiesa, che San Giovanni chiama la “Sinagoga di satana” (Apoc, II, 9; III, 9) hanno occupato i posti di comando (anche tra i falsi sedicenti “tradizionalisti” – n.d.r. -) ed hanno attuato quella rivoluzione che ha gettato lo scompiglio tra il clero ed il laicato cattolico. È nostro dovere combattere – con l’aiuto di Dio – l’azione dissolutrice della “quinta colonna” che ormai ha invaso la Chiesa di Cristo, e ciò per un misterioso disegno del Redentore il quale, come ha voluto che durante la Passione la sua Umanità soffrisse terribilmente e la sua Divinità fosse completamente nascosta ed eclissata, così ha permesso – dopo duemila anni – che il suo Corpo mistico soffrisse un’analoga e terribile Passione, nella quale il suo elemento divino si eclissasse ed apparisse solo quello umano, totalmente martoriato, quasi irriconoscibile (questo in particolare è quanto accaduto e sta ancora vivendo il Capo della sua Chiesa, S.S. il “Papa in esilio”.

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Di questi marrani della “quinta colonna” il Re-Profeta Davide, in particolare, ci ha dato profeticamente, un’immagine particolarmente nitida e suggestiva: “Die ac nocte circumdabit eam super muros ejus iniquitas; et labor in medio ejus, et injustitia: et non defecit de plateis ejus usura et dolus. Quoniam si inimicus meus maledixisset mihi, sustinuissem utique. Et si is qui oderat me super me magna locutus fuisset, abscondissem me forsitan ab eo. Tu vero homo unanimis, dux meus, et notus meus; qui simul mecum dulces capiebas cibos, in domo Dei ambulavimus cum consensu. Veniat mors super illos, et descendant in infernum viventes: quoniam nequitiae in habitaculis eorum, in medio eorum. Ego autem ad Deum clamavi, et Dominus salvabit me”. [Ps. LIV, 11, 17) – [Giorno e notte si aggirano sulle sue mura, all’interno iniquità, travaglio e insidie e non cessano nelle sue piazze sopruso e inganno. Se mi avesse insultato un nemico, l’avrei sopportato; se fosse insorto contro di me un avversario, da lui mi sarei nascosto. Ma sei tu, mio compagno, mio amico e confidente; ci legava una dolce amicizia, verso la casa di Dio camminavamo in festa. Piombi su di loro la morte, scendano vivi negli inferi; perché il male è nelle loro case, e nel loro cuore. Io invoco Dio e il Signore mi salva.]. – Invochiamo il Signore ed Egli ci salverà, anche perché nel salmo XXXVI ci rassicura ulteriormente col dire: “Observabit peccator justum, et stridebit super eum dentibus suis. Dominus autem irridebit eum, quoniam prospicit quod veniet dies ejus. Gladium evaginaverunt peccatores, intenderunt arcum suum, ut dejiciant pauperem et inopem, ut trucident rectos corde. Gladius eorum intret in corda ipsorum, et arcus eorum confringatur”. – [L’empio trama contro il giusto, contro di lui digrigna i denti. Ma il Signore ride dell’empio, perché vede arrivare il suo giorno. Gli empi sfoderano la spada e tendono l’arco per abbattere il misero e l’indigente, per uccidere chi cammina sulla retta via. La loro spada raggiungerà il loro cuore e i loro archi si spezzeranno. [Ps. XXXVI, 12-15].

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E la Vergine Maria, la Mamma nostra, alla Quale Gesù ci fa affidati dall’alto della Croce, ci consola: “Il mio Cuore Immacolato alla fine trionferà”! Et IPSA conteret caput tuum !

PREGHIERA PER IL SANTO PADRE

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Preghiera per il Santo Padre

Tutti i veri Cattolici sono chiamati ad amare, rispettare ed a pregare per il Santo Padre: questo è un obbligo per il credente, e somma devozione da non trascurare mai nella giornata. Tutte le altre devozioni, per quanto somme ed importanti, sono tali perché garantite dalla persona del Sommo Pontefice, senza il Quale non ci sarebbe neppure Cristianesimo né vera religione, ma solo un vago, amorfo, orgoglioso deismo di stampo gnostico, comunque venga camuffato! Importante è, come sempre, non confondere il Vicario di Cristo dell’attuale “Sede impedita”, scambiandolo magari con il tragico, ridicolo, farsesco servo di lucifero, agente del mondialismo propugnato dai soliti viperidi “nemici di Dio e di tutti gli uomini”. Allora coraggio, la prova non durerà ancora molto: preghiamo con fede, la Vergine ha promesso che “… alla fine il suo Cuore Immacolato trionferà”.

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Et Ipsa conteret capita eorum!

PEL SOMMO PONTEFICE.

[Da manuale di Filotea del Sacerdote milanese Giuseppe Riva, Penitenziere nella Metropolitana di Milano. XXX ediz. Milano 1888].

O Salvatore degli uomini. Autore e Consumatore della nostra fede, Primogenito di tutti gli eletti, Capo e Sposo della Chiesa, Voi che all’Apostolo Pietro e a tutti i suoi Successori avete promessa solennemente l’indefettibile vostra assistenza per guidare gli agnelli e le pecore del vostro ovile ai pascoli deliziosi della salute, e indirizzaste all’ eterno Padre particolare preghiera perché non avesse mai a venir meno la loro fede, riguardate con occhio di parziale benignità l’attuale vostro Vicario, il nostro sommo Pontefice. Vegliate mai sempre alla difesa de’ suoi diritti cosi spirituali come temporali, e umiliate e confondete tutti coloro che tentano in qualunque modo di oscurarne la gloria o menomarne il potere. Sicché tutto il mondo lo riconosca e lo veneri per quel che è realmente, il sommo Vicario di Dio,il Padre dei credenti, il Pastor dei Pastori, il Monarca della Chiesa, il Custode della fede, il Giudice della morale, l’Oracolo infallibile della verità, il Fonte d’ogni giurisdizione, l’Arbitro dei celesti tesori, la Personificazione della Dottrina che sola guida a salute. Accordategli quella copia di grazie che si conviene alla sublimità del suo grado, affinché possa tutto insieme e santificare sé stesso, e reggere secondo le massime della vostra sovrana sapienza tutti i credenti nel vostro nome, con quella pienezza di libertà, con quella assolutezza di indipendenza, con quella interezza di regia territoriale sovranità che la vostra Provvidenza gli ha procurato da tanti secoli, e la vostra onnipotenza gli ha conservato, a dispetto di tutti gli assalti dei più prepotenti nemici, costretti tutti a confessare per propria tristissima esperienza che questa Pietra da Voi piantata è così incrollabile come la Chiesa di cui è fondamento e sostegno, e contro cui non potran mai prevalere tutte le podestà dell’inferno. Pater. Ave. Gloria.

Inno di ringraziamento

detto INNO AMBROSIANO O TE DEUM.

Te Deum laudamus te Dominum confitemur.

Te æternum Patrem omnis terra veneratur.

Tibi omnes Angeli, Tibi coeli et universa potestates.

Tibi Cherubini et Seraphim incessabili voce proclamant:

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dominus Deus Sabaoth.

Pieni sunt coeli et terra majestatis Gloria tua.

Te gloriosus Apostolorum chorus.

Te Prophetarum laudabilis numerus.

Te Martyrum candidatus, laudat exercitus.

Te per orbem terrarum sancta confitetur Ecclesia.

Patrem immensa maiestatis,

Venerandum tuum verum et unicum Filium.

Sanctum quoque Paraclitum Spiritum.

Tu Rex gloriæ Christe.

Tu Patris sempiternus es Filius.

Tu ad liberandum suscepturus

hominem, non horruisti Virginis uterum.

Tu devicto mortis aculeo,

aperuisti credentibus regna coelorum.

Tu ad dexteram Dei sedes in gloria Putris.

Judex crederis esse venturus.

Te ergo, quæsumus, tuis famulis

subveni quos pretioso sanguine redimisti.

Aeterna fac cum Sanctis tuis in gloria numerari.

Salvum fac populum tuum,

Domine, et benedic æreditati tuae.

Et rege eos, et extolle illos usque in aeternum.

Per singulos dies benedicimus te.

Et laudamus nomen tuum

in sæculum, et in sæculum sæculi.

Dignare, Domine, die isto,

sine peccato nos custodire.

Miserere nostri Domine, miserere nostri.

Fiat misericordia tua, Domine,

super nos; quemadmodum speravimus in te.

In te, Domine, speravi; non confundar in æternum.

# # #

Traduz. In versi.

te Deum

Te con lodi, te con cantici

Confessiamo, o gran Signore,

E risponde al labbro il core

Nel lodarti elerno Re.

Non v’ha clima, non v’ha popolo

Che la tua possanza ignori,

Che il tuo nome non adori,

Che non tremi innanzi a Te.

Nel lodarti ognor gareggiano,

Le ruotanti immense sfere,

E degli Angioli le schiere

Colle empiree Podestà.

Cherubini e Serafini

Al tuo trono umili e chini,

Santo, Santo, Santo acclamanti

Dio d’immensa maestà,

Da te scende negli Eserciti

La sconfitta e la vittoria;

Tutto pieno è della tua gloria

Terra, cielo e mar ancor.

De’ Profeti, degli Apostoli,

Ti decanta il gran Senato,

E lo stuolo candidato

De’ tormenti sprezzator.

Dall’Idaspe al mar d’Atlante

Ti confessa la tua Chiesa

Sempre santa, sempre illesa

Nel conflitto più crudel.

In Te, sommo Genitore,

Nel tuo vero unico Figlio,

Nel divino eterno Amore,

Sempre adora il Re del ciel.

Re di gloria tu se’, o Cristo,

Di Dio Padre eterna prole:

Tu per far dell’uom acquisto

Che gemeva in servitù,

Vergin seno non sdegnasti,

E di morte vinto il pungolo,

Ai credenti spalancasti

L’aure porte di lassù.

Tu alla destra di Dio Padre

Glorioso assiso or stai,

E tremendo un dì verrai

L’universo a giudicar.

Deh benigno, deh pietoso,

Odi il prego de’ tuoi servi,

Che col sangue tuo prezioso

Ti degnasti riscattar

Dagli assalti de’ nemici

Tu li guarda e benedici:

Son gli eredi del tuo regno,

Son tuo popolo, o Signor.

Fino all’ultimo respiro,

Tu li reggi, e co’ tuoi Santi

Li congiungi nell’Empiro,

Li perpetua nell’amor.

Non v’ha giorno in nostra vita

Che tue lodi non cantiamo:

E il tuo nome confidiamo

Di lodar per ogni età.

Dal peccato, deh ti degna

Preservarne in questo giorno,

E ognor vegli a noi dintorno

La paterna tua pietà.

La pietà che fu mai sempre

Del cor nostro la speranza,

La pietà che sempre avanza

Ogni voto, ogni desir,

In Te solo, o mio Signore,

Spero adesso, e ognor sperai

Né confusa fia giammai

La mia speme in avvenir.

 

I TRE GIORNI DI OSCURITA’

~ I tre giorni di tenebre ~

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“I tempi sono gravi. Il mondo intero è in subbuglio perché è diventato peggiore che al tempo del diluvio! Tutto è sospeso ad un filo; quando si romperà questo filo, la giustizia di Dio si abbatterà come un fulmine e completerà il suo terribile corso di purificazione.” (Visione profetica di suor Elena Aiello, fondatrice delle “Sorelle minime”, 8 dicembre 1958).

I tre giorni di oscurità

Estratti da Yves Dupont (1922-1979)

L’AZIONE DI DIO

     L’aspetto più spettacolare dell’azione di Dio saranno i tre giorni di buio su tutta la terra. I tre giorni sono stati annunciati da molti mistici, come ad esempio: La Beata Anna-Maria Taigi, Padre Pio, Elisabetta Canori-Mora, Rosa-Colomba Asdente, Palma d’Oria, in Italia; Padre Nectou, in Belgio; S. Ildegarda, in Germania; Pere Lamy, Marie Baourdi, Marie Martel. (Questa lista non è esaustiva; molti altri Santi mistici [come Santa Colomba A.D. 597. -ED] hanno annunciato i Tre giorni.).

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La ven. Maria di Agreda ed altri Cattolici eminenti per santità, hanno da secoli profetizzato il terribile prossimo castigo dei Tre giorni di oscurità; nel corso del quale dalla metà ai tre quarti della popolazione mondiale sarà uccisa dall’ira di Dio.

La Chiesa non ci obbliga a credere a qualsiasi profezia particolare, come questione di fede [de fide], ma siamo portati a credere che le profezie possano realizzarsi anche ai nostri tempi, perché nelle Sacre Scritture ed anche nel Vangelo è scritto: “lo Spirito Santo parlerà a molti negli ultimi giorni”. – Inoltre, quando un’identica profezia è stata fatta da persone ampiamente separate nel tempo e nello spazio, quando questa profezia particolare è stata accompagnata da altre predizioni che si sono già avverate nel passato, e quando la santità dei mistici in questione è stata riconosciuta dalla Chiesa, saremmo davvero sciocchi a non credere che la profezia possa realmente avverarsi. Tale è il caso in merito ai Tre giorni di oscurità. Altrimenti come potremmo spiegare che una contadina analfabeta di Bretagna descriva degli avvenimenti così come li descrive un altro mistico, diciamo, in Germania o in Italia?

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La beata A. M. Taigi…

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… dopo tre giorni di oscurità …

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… San Pietro e San Paolo, dopo essere scesi dal cielo, predicano in tutto il mondo e …

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… designano il nuovo Papa …

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… una gran luce che emana dai loro corpi si depositerà su di un cardinale, cioè su colui che diventerà Papa …

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… la Russia, l’Inghilterra e la Cina, rientreranno nella Chiesa.

I SEGNI PREMONITORI

   Ecco i segni prossimi nel loro probabile ordine di sequenza. Questo, ad essere sinceri, è solo la mia opinione, e potrei sbagliarmi, io stesso infatti non sono un profeta; ma, dopo aver studiato un gran numero di profezie, sembra essere questo l’ordine più probabile:

1) – Farsi beffe delle leggi della Chiesa, l’irriverenza e l’immodestia nella Chiesa, cadere nel semplice atto di presenza nella Chiesa. (Queste tendenze sono state osservate dal 1950, già prima che la vera Chiesa fosse fraudolentemente usurpata nel Conclave del 26 ottobre 1958. -ED)

2) –La mancanza di carità verso il prossimo, l’insensibilità, l’indifferenza, le divisioni, i conflitti, l’empietà, l’orgoglio della conoscenza umana.

3) –La destabilizzazione della vita familiare: l’immoralità, l’adulterio, la perversione della gioventù attraverso i media (ad es. gli omosessuali che danno lezioni nelle scuole), la moda immodesta, le persone interessate solo a mangiare, bere, a ballare e dedite ad altri piaceri.

4) – Tumulti, disprezzo per le autorità, caduta dei governi, confusione in ambienti elevati, corruzione, colpi di stato, guerre civili, rivoluzioni. (I primi quattro segni precursori si sono già verificati o sono in atto, almeno in parte; per noi c’è ancora da vedere la guerra civile e le rivoluzioni in Occidente. Ma la sequenza degli eventi non è rigorosamente cronologica: c’è spazio per qualche sovrapposizione. Così, il 5° segno, il prossimo, sembra pure essere già iniziato).

5) – Inondazioni e siccità, cattivi raccolti, particolari condizioni climatiche, tornado, terremoti, maremoti, carestie, epidemie, malattie sconosciute (ad es. nuovi ceppi di virus).

 L’AVVISO

… sarà dato tra i “segni prossimi” ed i “segni immediati”, e sarà un avvenimento soprannaturale.

Durante il messaggio dell’avviso, molti saranno così spaventati da essere terrorizzarsi e molti desidereranno morire, ma l’avviso stesso sarà completamente innocuo.

L’avviso deve essere considerato come l’ultimo atto della misericordia da Dio, un ultimo appello all’umanità a fare penitenza prima dei tre giorni di oscurità e la distruzione di tre quarti della razza umana. Nel momento in cui diventeranno accettati e “legalizzati” l’omicidio di bambini non ancora nati (l’aborto) ed il peccato di Sodoma e Lesbo, noi dovremmo comprendere che Dio sta per punire l’umanità. – In quel tempo, la guerra e la rivoluzione avrà già causato un forte squilibrio ed il Comunismo sarà vittorioso, ma tutto questo sarà niente in confronto allo sfascio che si produrrà durante i tre giorni.

* È stata rivelato che ci sarà “un avviso”, un avvenimento che precederà immediatamente i 3 giorni di tenebre:

La profetessa Suor Maria di S. Pietro viene menzionata nelle rivelazioni di Marie-Julie Jahenny di La Fraudais, trattando una delle più importanti questioni. A lei è stato rivelato dal cielo la data esatta di un “avvertimento” che accadrà immediatamente prima del “castigo” dei 3 giorni di buio.

Gesù: “… l’avvertimento avverrà in un giorno, già designato, quando ci sarà poco sole, poche stelle e nessuna luce, tanto che non sarà possibile muovere un passo fuori dalle vostre case, rifugio del mio popolo. Questo avverrà quando i giorni cominciano ad allungarsi (a cominciare dal 22 dic.); non sarà dunque nel corso dell’estate, né durante i giorni più lunghi dell’anno (periodo estivo), ma quando le giornate saranno ancora brevi (orario invernale). Non sarà alla fine dell’anno, ma durante i primi mesi (dell’anno), che darò il mio chiaro avvertimento.

Quel giorno di tenebre e fulmini, sarà il primo che Io manderò per convertire l’empio e per vedere se un gran numero di persone tornerà a Me, prima della grande tempesta (castigo) che dopo poco seguirà. L’oscurità con i fulmini di quei giorni, non coprirà tutta la Francia, perché una parte della Bretagna sarà risparmiata. (Tuttavia) l’angolo in cui si trova la terra della Madre mia, la Madre Immacolata (la terra di S. Anna), non sarà coperta dal buio che giungerà fino alla vostra postazione (casa di Marie-Julie)… Tutto il restante sarà nel più terribile spavento. Da una notte alla successiva — un giorno completo —, il tuono non cesserà di rombare. Il fuoco dai fulmini produrrà numerosi danni, anche nelle case chiuse, dove qualcuno vive nel peccato. Figli miei, il primo giorno (di castigo) non toglierà nulla dagli altri tre (il castigo di 3 giorni) già sottolineato e descritto.

Quel giorno è stato rivelato alla mia serva, Catherine (Labouré), nelle apparizioni della mia Beata Madre sotto il titolo di: “Maria concepita senza peccato”. Quel giorno è (anche) registrato e ben sigillato in cinque rotoli dalla Suora di San Pietro di Tours. Quel rotolo rimarrà un segreto fino al giorno in cui una persona di Dio porrà una mano predestinata su ciò che il mondo avrà ignorato, ed anche tra gli abitanti di quel chiostro. (“Profezie di La Fraudais di Marie-Julie Jahenny”, pp. 50-51) – Rileviamo che il libro della mistica bretone, non ha imprimatur nè autorizzazione ecclesiastica, quindi non ci sono garanzie da parte di alcuna Autorità competente!! [v. Costit. Apostol. “Officiorum ac munerum”, di S. S. Leone XIII]

Nota: Il 5 agosto 1850, per ordine di Mgr. Morlot furono nascosti gli scritti di Suor Maria di S. Pietro del Carmelo di Tours. Ora è chiaro che il giorno di cui parla Nostro Signore è “un avvertimento”. Quel giorno è il “primo giorno (del castigo)” che Egli invierà per convertire i peccatori prima della “grande tempesta” (il grande castigo) che seguirà da vicino.” Gesù ha detto che, in quel giorno, Egli avrebbe dato il suo “avviso selezionante”.

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I tre giorni di oscurità

IL SEGNO IMMEDIATO

     Il vento ululerà e ruggirà. Lampi e fulmini di una potenza senza precedenti colpiranno la terra. Tutta la terra tremerà, ed i corpi celesti saranno disturbati (questo sarà l’inizio dei tre giorni). Ogni demone, ogni spirito maligno sarà rilasciato dall’inferno e avrà il permesso di vagare sulla terra.  –  Avranno luogo terrificanti apparizioni. Molti moriranno di puro spavento. Pioverà fuoco dal cielo, tutte le grandi città saranno distrutte, gas velenosi riempiranno l’aria, grida e lamenti saranno ovunque. I miscredenti bruceranno all’aperto similmente all’erba appassita. Tutta la terra sarà afflitta: essa sarà simile ad un enorme cimitero.  –  Appena si noteranno (questi segni), occorrerà correre al chiuso, bloccare tutte le porte e le finestre, tirare giù gli oscuranti, per non vedere, mettere rotoli di carta adesiva sulle prese d’aria, nei pressi di porte e finestre. Non bisogna rispondere alle chiamate provenienti dall’esterno, né guardare le finestre, o si morirà sul posto: “Tenete gli occhi in basso per assicurarvi che non sia possibile visualizzare le finestre assecondando la curiosità; l’ira di Dio è tanto potente, e nessuno deve tentare di sfuggire. Solo le candele di cera daranno luce; nient’altro brucerà, e le candele non si spegneranno una volta accese. Niente le alimenterà nelle case dei fedeli, ma esse non bruceranno nelle case dei “senza Dio”. Occorrerà spruzzare acqua Santa per la casa e soprattutto in prossimità di porte e finestre: i demoni infatti temono l’acqua Santa. Beneditela voi stessi e con essa ungete i cinque organi di senso: occhi, orecchie, naso, bocca, con mani, piedi e fronte. Tenete a disposizione una sufficiente quantità di acqua potabile e, se possibile, anche di cibo (anche se si può vivere senza cibo per tre giorni). Inginocchiatevi e pregate incessantemente con le braccia tese o prostrati sul pavimento. Fate gli atti di contrizione, di fede, speranza e carità. Soprattutto bisogna recitare il Rosario e meditarne i Misteri Dolorosi.  –  Alcune persone, soprattutto bambini, andranno in cielo in anticipo perché sia risparmiato loro l’orrore di questi giorni. Le persone sorprese all’aperto moriranno all’istante. Tre quarti della razza umana sarà sterminata, più uomini che donne. Nessuno sfuggirà al terrore di questi giorni.

La beata Anna-Maria Taigi ha dichiarato, per quanto riguarda questi terribili tre giorni di buio e di castigo:

“Dio manderà due castighi: uno sarà sotto forma di guerre, rivoluzioni e altri mali; essi quindi devono provenire dalla terra. L’altro sarà inviato dal cielo. Deve venire sopra la terra intera un buio intenso della durata di tre giorni e tre notti. Non si vedrà niente, e l’aria sarà carica di miasmi pestiferi che assaliranno principalmente, ma non solo, i nemici della religione. Sarà impossibile utilizzare qualsiasi illuminazione artificiale durante questa oscurità, ad eccezione delle candele di cera benedette. Chi, per curiosità, aprirà la sua finestra per guardare fuori, o lascerà la sua casa, cadrà morto sul posto. Durante questi tre giorni, la gente dovrebbe rimanere nelle proprie case, pregare il Rosario e implorare la pietà di Dio.”

“Tutti i nemici della Chiesa, conosciuti o sconosciuti, periranno sopra tutta la terra durante quel buio universale, con l’eccezione di alcuni che Dio convertirà presto. L’aria sarà infestata da demoni che appariranno sotto ogni sorta di orribili forme.”

Ma, quando tutto sembrerà perduto e senza speranza, ecco che, in un batter d’occhio, la prova sarà finita: sorgerà il sole e brillerà ancora una volta come in primavera sopra una terra purificata.- Alcune nazioni scompariranno completamente, e cambierà il volto della terra. Ci saranno non più “grandi imprese” ed fabbriche enormi che succhiano le anime degli uomini. Si farà rivivere la lavorazione artigianale, e le catene di montaggio saranno sostituite dal banco di lavoro. – Le persone torneranno alla terra, ma il cibo sarà scarso per circa tre anni. Le donne sposate partoriranno molti bambini, e per esse sarà considerata una vergogna il non avere figli, non ci saranno più “donne in carriera” che faranno uso di contraccettivi. Di donne non sposate, ce ne saranno molte, faranno parte di ordini religiosi formando grandi congregazioni di suore all’interno della Chiesa che rinascerà. Le malattie diminuiranno drasticamente, le malattie mentali saranno rare, perché l’uomo rivivrà nel suo ambiente naturale. Sarà un’epoca di fede, di vera fraternità tra vicini di casa, di civile armonia, pace e prosperità. La terra produrrà colture come mai prima. La polizia avrà poco lavoro da svolgere: la criminalità scomparirà quasi completamente. L’onestà e la fiducia reciproca sarà universale. Ci sarà poco lavoro anche per gli avvocati ed i giudici. Tutte le risorse umane che sono attualmente accaparrate dalla malvagità del mondo moderno, saranno liberate e disponibili per la produzione di materie prime utili. Così la prosperità sarà molto grande. Questo meraviglioso periodo durerà probabilmente 30 anni circa. Non appena si vedrà il sole sorgere nuovamente, alla fine dei tre giorni, ci si inginocchierà e si renderà grazie a Dio!

     Una volta avvertiti, diffondete il messaggio, non abbiate paura: sarebbe un’offesa a Dio mostrare mancanza di fiducia nella sua protezione. Coloro che diffondono il messaggio saranno protetti, ma i beffardi, gli scettici e coloro che nasconderanno il messaggio, perché hanno paura, non sfuggiranno al castigo.  

COSA FARE INTANTO

   DIFFONDERE IL MESSAGGIO; Rimanere nello stato di grazia; andare alla Messa (Nota: questo non è possibile per la maggior parte dei veri cattolici durante questa “Eclissi profetizzata (da Nostra signora di La Salette) della Chiesa”. Leggere le informazioni imperative su come adempiere all’obbligo di Messa e Confessioni valide -ED). Si reciti il Rosario ogni giorno. Procuratevi alcune candele di cera d’api e fatele benedire da un vero prete (approvato) con missione dai successori di Papa Gregorio XVII . Non comprate candele bianche ordinarie; non sono fatte di cera d’api. Si preghi per la libertà e l’esultanza della vera Chiesa. Si reciti la preghiera a S. Michele che sua Santità Papa Leone XIII ha composto dopo aver assistito ad una terrificante visione del potere di Satana. Si indossi lo scapolare marrone e la Medaglia Miracolosa. Si faccia penitenza col negare a se stessi alcuni piaceri ed intrattenimenti anche legittimi; molte delle Sante persone che hanno predetto questo castigo, insistono molto su questo punto. Mangiate con parsimonia, frugalità, giusto per sostenere la vita correttamente – pensate al cibo come ad una medicina. Quando i segni prossimi saranno finiti, vale a dire la guerra e la rivoluzione che si conclude con la vittoria del comunismo [il mondialismo del “nuovo ordine” – ndr. -], e quando si vedrà il segno di allerta, occorrerà ricordarsi di preparare il cibo, l’acqua potabile, le coperte e altri generi di prima necessità.

11 - cardinal-manning

“L’apostasia della città di Roma dal Vicario di Cristo e la sua distruzione da parte Anticristo può essere un pensiero così nuovo per molti cattolici, che credo sia bene citare il testo dei teologi di più grande fama. Primo il Malvenda, che scrive espressamente sul tema, riportando il parere di Ribera, Gaspar Melus, Biegas, Suarrez, Bellarmino e Bosius egli dice che: Roma deve apostasare dalla fede, cacciare il Vicario di Cristo e tornare al suo antico paganesimo. … Poi la Chiesa sarà dispersa, guidata nel deserto e sarà come una volta, alle origini, invisibile, nascosta nelle catacombe, nei sotterranei, nelle grotte, in anfratti; per un periodo di tempo deve essere spazzata quasi dalla faccia della terra. Tale è la testimonianza universale dei padri della Chiesa primitiva.-Henry Edward cardinale Manning, La crisi attuale della Santa Sede, 1861, London: Burns e Lambert, pp. 88-90.

12 - ven-elizabeth-canori-mora-prophecy-3-days-darkness

La venerabile Elisabetta Canori-Mora (d. 1825) “S. Pietro, poi ha scelto il nuovo Papa. La Chiesa è stata riorganizzata…”

“… il cielo, coperto di nuvole dense, era così lugubre che era impossibile guardare senza sgomento… il braccio vendicatore di Dio colpirà i malvagi, e nel suo possente potere Egli punirà il loro orgoglio e presunzione. Dio impiegherà le potenze dell’inferno per lo sterminio di tali persone empie ed eretiche che hanno il desiderio di rovesciare la Chiesa e distruggerne le fondamenta. …. Innumerevoli legioni di demoni invaderanno la terra ed eseguiranno gli ordini della Giustizia divinaNiente sulla terra deve essere risparmiato. Dopo questa spaventosa punizione vidi i cieli aprirsi, e San Pietro scendere nuovamente sulla terra; fu rivestito del suo abito Pontificio e circondato da un gran numero di Angeli che cantavano inni in suo onore, e lo proclamavano sovrano della terra. Ho visto anche S. Paolo discendere sulla terra. Al comando di Dio, ha attraversato la terra ed ha incatenato i demoni, portandoli davanti a San Pietro, ed ha comandato loro di tornare all’inferno, lì da dove erano venuti.

“Poi una grande luce apparve sulla terra: era il segno della riconciliazione di Dio con l’uomo. Gli Angeli hanno condotto davanti al trono del Principe degli Apostoli il piccolo gregge che era rimasto fedele a Gesù Cristo. Questi buoni e zelanti cristiani Gli hanno testimoniato il più profondo rispetto, lodando Dio e ringraziando gli Apostoli per averli risparmiati dalla distruzione comune e per aver protetto la Chiesa di Gesù Cristo, non permettendo di essere infettati dalle false massime del mondo. S. Pietro allora ha scelto il nuovo Papa. La Chiesa è stata riorganizzata…” (Profezia della Venerabile Elisabetta Canori-Mora (d. 1825) come registrato nel libro di p. Culleton: “i profeti e il nostro tempo” 1941 A.D. Imprimatur) .

La venerabile Elisabetta Canori-Mora (d. 1825) “S. Pietro, poi ha scelto il nuovo Papa. La Chiesa è stata riorganizzata…”

“… il cielo, coperto di nuvole dense, era così lugubre che era impossibile guardare senza sgomento… il braccio vendicatore di Dio colpirà i malvagi, e nel suo possente potere Egli punirà il loro orgoglio e presunzione. Dio impiegherà le potenze dell’inferno per lo sterminio di tali persone empie ed eretiche che hanno il desiderio di rovesciare la Chiesa e distruggerne le fondamenta. …. Innumerevoli legioni di demoni invaderanno la terra ed eseguiranno gli ordini della Giustizia divinaNiente sulla terra deve essere risparmiato. Dopo questa spaventosa punizione vidi i cieli aprirsi, e San Pietro scendere nuovamente sulla terra; fu rivestito del suo abito Pontificio e circondato da un gran numero di Angeli che cantavano inni in suo onore, e lo proclamavano sovrano della terra. Ho visto anche S. Paolo discendere sulla terra. Al comando di Dio, ha attraversato la terra ed ha incatenato i demoni, portandoli davanti a San Pietro, ed ha comandato loro di tornare all’inferno, lì da dove erano venuti.  –  “Poi una grande luce apparve sulla terra: era il segno della riconciliazione di Dio con l’uomo. Gli Angeli hanno condotto davanti al trono del Principe degli Apostoli il piccolo gregge che era rimasto fedele a Gesù Cristo. Questi buoni e zelanti cristiani Gli hanno testimoniato il più profondo rispetto, lodando Dio e ringraziando gli Apostoli per averli risparmiati dalla distruzione comune e per aver protetto la Chiesa di Gesù Cristo, non permettendo di essere infettati dalle false massime del mondo. S. Pietro allora ha scelto il nuovo Papa. La Chiesa è stata riorganizzata…” (Profezia della Venerabile Elisabetta Canori-Mora (d. 1825) come registrato nel libro di p. Culleton: “i profeti e il nostro tempo” 1941 A.D. Imprimatur)

7 - anna-maria-taigi-5

Stupenda “profezia del Degno pastore (data A.D. 2013) “ Lettura del Beato Tomasuccio de Foligno (XIV sec.) sulla famosa Profezia sulla Gerarchia indifesa ora in esilio.

“Uno al di là delle montagne (un ultramontano) è diventato il Vicario di Cristo. Religiosi e chierici prendono parte a questo cambiamento.-  Fuori dalla vera via, ci saranno solo uomini poco raccomandabili; alzo le spalle poiché la barca di Pietro è in pericolo e non c’è nessuno a prestargli aiuto … lo scismatico deve cadere nel disprezzo dei fedeli italiani … “Per circa dodici anni dopo il millennio gli sono stati sottoposti, ma [quindi a partire dal 2013 A.D.] il manto splendente del potere legittimo deve uscire dall’ombra nella quale veniva tenuto dallo scisma. E cessato il danno di colui [l’antipapa usurpatore] che blocca la porta della salvezza, per il suo scisma ingannevole, e giunto così al termine, il numero dei fedeli si unisce al degno Pastore, ciascuno per districarsi dall’errore e restituisce alla Chiesa la sua bellezza rinnovandola. “

(Profezia del Beato Tomasuccio da Foligno, XIV secolo).