SAN RAFFAELE – 24 OTTOBRE

SAN RAFFAELE, ARCANGELO

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[Dom Guéranger. L’anno liturgico, vol. II]

La vicinanza della grande solennità che farà convergere sopra di noi gli splendori del cielo, ispira alla Chiesa un raccoglimento profondo. Salvo l’omaggio che intende rendere ai gloriosi Apostoli Simone e Giuda, poche feste di rito semplice romano rompono il silenzio degli ultimi giorni di ottobre e conviene che le nostre anime si uniformino alle disposizioni della Chiesa. Tuttavia, non ci sottrarremo ad esse, se ricorderemo brevemente l’Arcangelo che la Chiesa oggi solennizza.

Ministero di san Raffaele.

L’ufficio che adempiono verso di noi gli spiriti celesti è espresso in modo mirabile nelle scene graziose, che rivestono di toccante bellezza la storia di Tobia. Ricordando i buoni uffici della guida e dell’amico, che chiama fratello Azaria, Tobiolo dice al padre: « Come ricompenseremo i suoi benefici? Mi ha guidato e ricondotto sano e salvo, ha ricuperato egli stesso il denaro che Gabelo ci doveva, devo a lui se ho incontrata la sposa che mi era destinata e ne ha cacciato il demonio, riempiendo di gioia i suoi genitori, mi ha liberato dal pesce, che stava per inghiottirmi e a te ha fatto vedere finalmente la luce del cielo: siamo stati da lui colmati di benefici » (Tob. XII, 2-3). Padre e figlio, desiderano mostrare nel modo possibile a uomini la gratitudine a chi tanto l’aveva meritata. L’Angelo si fa conoscere e orienta tutta la loro riconoscenza al supremo benefattore. « Benedite il Dio del cielo e glorificatelo sopra tutto ciò che ha vita, perché egli ha fatto splendere sopra di voi la sua misericordia. Quando voi pregavate in lacrime e seppellivate i morti io presentavo al Signore le vostre preghiere e siccome eravate graditi a Dio era necessario che foste provati dalla tentazione. Ora il Signore mi ha mandato per guarirvi e liberare dal demonio la sposa di vostro figlio. Io sono l’Angelo Raffaele, uno dei sette che stiamo davanti al Signore. Pace a voi, non temete e lodate Dio » (ibid. XII, 4-22).

Confidenza.

Ricordiamo anche noi i benefici del cielo, perché, con la certezza di Tobia, che vedeva con i suoi occhi l’Arcangelo Raffaele, noi sappiamo dalla fede che l’angelo del Signore segue i nostri passi dalla culla alla tomba. Abbiamo per lui lo stesso confidente abbandono e il cammino della vita, più seminato di pericoli che il cammino nel paese dei Medi, sarà per noi sicuro e gli incontri che faremo saranno felici, perché preparati dal Signore e la sua benedizione, splendore anticipato della patria, si diffonderà sopra di noi e sui nostri cari. Prendiamo dal Breviaro Ambrosiano un inno in onore dell’Arcangelo radioso: Raffaele, guida divina, ricevi con bontà l’inno sacro che le nostre voci supplichevoli e gioiose ti dedicano. Dirigi il nostro cammino verso la salvezza, sostieni i nostri passi, perché non andiamo vagando senza meta, avendo perduto il sentiero del cielo. Guarda a noi dal cielo e riempi le nostre anime dello splendore brillante che discende dal Padre santo dei lumi. Restituisci ai malati la salute, fa’ cessare la notte dei ciechi e guarendo i loro corpi, riconforta i loro cuori. Tu, che stai davanti al sommo Giudice, scusaci per i nostri delitti; placa l’ira vendicatrice dell’Onnipotente, tu cui noi affidiamo le nostre preghiere. Tu, che sostenesti il gran combattimento, confondi il nostro superbo nemico e, per vincere lo spirito di rivolta, donaci forza, aumenta in noi la grazia. Sia gloria a Dio Padre e al suo unico Figlio con Io Spirito Paraclito e ora e sempre. Così sia.

INNO

Cristo, decoro dei santi Angeli,

creatore e redentore del genere umano,

danne di salire alle beate sedi

dei celesti abitatori.

L’Angelo, medico della nostra salute,

Raffaele, ci assista dal cielo, così che

guarisca tutti gli infermi, e nei passi incerti

della vita ci diriga.

La Vergine, regina della pace e Madre della luce,

e il sacro coro degli Angeli

ci assistano sempre, e con essi la splendida

corte del cielo.

Ce lo conceda la Divinità beata,

il Padre, il Figlio e lo Spirito

Santo, la cui gloria risplende

per tutto il mondo.

Amen.

Dal libro di Tobia [Tob XII: 1-22]

Tobia chiamò a sé suo figlio, e gli disse: Che possiamo dare a quest’uomo santo, che è venuto con te? E Tobiolo rispose e disse a suo padre: Padre, qual ricompensa gli daremo? qual cosa può essere proporzionata ai suoi benefizi? Egli m’ha condotto e rimenato sano, egli stesso ha riscosso il denaro da Gabelo, egli m’ha fatto aver moglie, e ha tenuto lungi da lei il demonio, ha consolato i suoi genitori, ha salvato me stesso dall’esser divorato dal pesce, a te pure ha dato di rivedere la luce del cielo, e per lui siamo stati ricolmi d’ogni bene. Che potremo dargli che sia proporzionato a tutto questo? Ma ti prego, padre mio, di supplicarlo, se mai si degnasse di prendersi la metà di tutto ciò ch’è stato portato. E il padre e il figlio chiamatolo e tiratolo in disparte, cominciarono a pregarlo che si degnasse di accettare la metà di tutto quello che avevano portato. Allora egli disse loro in segreto: Benedite il Dio del cielo, e glorificatelo dinanzi a tutti i viventi, perché ha usato con voi la sua misericordia. Perché è bene di tener nascosto il segreto del re: ma è cosa lodevole rivelare e manifestare le opere di Dio. Buona cosa è l’orazione unita al digiuno, e l’elemosina è meglio che metter da parte tesori d’oro: perché l’elemosina libera dalla morte, ed è essa che cancella i peccati, e fa trovare la misericordia e la vita eterna. Quelli invece che commettono il peccato e l’iniquità, sono nemici dell’anima propria. Pertanto vi manifesto la verità, e non vi terrò più nascosto questo mistero. Quando tu pregavi con lacrime e seppellivi i morti, e, lasciando il tuo pranzo, nascondevi di giorno i morti in casa tua, e di notte li seppellivi, io presentai al Signore la tua orazione. E siccome tu eri accetto a Dio, fu necessario che la tentazione ti provasse. E adesso il Signore m’ha mandato a guarirti, e a liberare dal demonio Sara moglie del tuo figlio. Perché io sono l’Angelo Raffaele, uno dei sette, che stiamo dinanzi al Signore. Udite tali cose, si conturbarono, e caddero tremanti colla faccia per terra. E l’Angelo disse loro: La pace sia con voi, non temete. Se infatti sono stato con voi, è stato per volere di Dio: beneditelo e lodatelo. A voi sembrava veramente ch’io mangiassi e bevessi, ma io mi servo di un cibo invisibile, e d’una bevanda, che non può esser vista dagli uomini. Ora è tempo che ritorni a colui, che mi ha mandato: or voi benedite Dio, e raccontate tutte le sue meraviglie. E detto ciò, disparve dagli occhi loro, ed essi non poterono più vederlo. Allora prostrati per tre ore colla faccia per terra, benedissero Dio, quindi, rialzatisi, raccontarono tutte le sue meraviglie.

Sermone di san Bonaventura Vescovo

Sui Santi Angeli Sermone 5, sulla fine

Raffaele significa medicina di Dio. E dobbiamo notare che si può essere liberati dal male mediante tre benefici, che Raffaele ci accorda quando ci guarisce. Dapprima Raffaele, il medico (celeste), ci libera dall’infermità dello spirito, inducendoci al dolore della contrizione; onde Raffaele disse a Tobia Appena sarai entrato in casa tua, ungi gli occhi di lui col fiele. Così fece, e ci vide. Perché non poté far ciò Raffaele stesso? Perché l’Angelo non dà la compunzione, ma mostra solo la via. Per il fiele s’intende dunque l’amarezza della contrizione, che guarisce gli occhi interni della mente, secondo il Salmo: «Egli guarisce i contriti di cuore»(Ps. CXLIII,3). Questa contrizione è un ottimo collirio. Nel capo secondo dei Giudei si dice che l’Angelo salì al luogo di quelli che piangevano, e disse al popolo: «Io vi trassi dal paese d’Egitto, feci per voi tali e tanti benefizi; e tutto il popolo pianse, onde quel luogo fu chiamato il luogo dei piangenti» (Jud. II,1 et 5). Carissimi gli Angeli tutto dì ci parlano dei benefizi di Dio, e ce li richiamano alla mente, dicendoci: Chi è che t’ha creato, che t’ha redento? Che hai fatto, chi hai offeso? Se ripensi a questo, non troverai altro rimedio che piangere. In secondo luogo Raffaele ci libera dalla schiavitù del diavolo, penetrandoci della memoria della passione di Cristo; in figura di che è detto nel capo sesto di Tobia: Se metterai un pezzetto di quel cuore sui carboni accesi, il suo fumo scaccerà qualunque specie di demoni. Infatti nel capo ottavo di Tobia si dice, che Tobia mise un pezzetto di esso cuore sui carboni, e Raffaele confinò il demonio nel deserto dell’alto Egitto. Che significa ciò? Non avrebbe potuto Raffaele confinare il demonio, se non si fosse posto quel cuore sui carboni? Era forse il cuore del pesce che dava tanto potere all’Angelo? No certo! Esso non avrebbe potuto nulla, se li non ci fosse stato un mistero. Infatti con ciò ci si fa intendere che non c’è nulla oggi che ci liberi dal potere del diavolo come la Passione di Cristo, la quale procedé dal suo cuore, come da una radice, cioè dalla carità. Il cuore Infatti è la sorgente d’ogni nostro calore vitale. Se dunque metti il Cuore di Cristo, cioè la passione che soffrì, la cui radice è la carità, sorgente del suo ardore, sui carboni, cioè sulla memoria infiammata, subito il demonio sarà allontanato in modo da non poterti più nuocere. In terzo luogo ci libera dalla pena di trovarci in opposizione con Dio, pena che abbiamo incorso offendendo questo Dio, e ciò inducendoci a pregare con insistenza; e a questo si riferisce quel che disse l’Angelo Raffaele a Tobia nel capo dodicesimo: «Quando pregavi piangendo, anche io offrivo la tua preghiera al Signore» (Tob. XII,13). Gli Angeli ci riconciliano con Dio, per quanto possono. I nostri accusatori davanti a Dio sono i demoni. Gli Angeli poi ci scusano, allorché offrono le nostre preghiere, che c’inducono a fare con devozione, com’è nel capo ottavo dell’Apocalisse: «Sali il fumo degli aromi nel cospetto del Signore dalla mano dell’Angelo» (Apoc. VIII,4). Questi profumi che si consumano soavemente, sono le preghiere dei Santi. Vuoi placare Dio che hai offeso? Prega con devozione. Essi offrono a Dio la tua preghiera per riconciliarti con Dio. In san Luca si dice che Cristo, preso da spasimo, pregava intensamente, e che gli apparve un Angelo del Signore a confortarlo (Luc. 3,43). Ora tutto ciò avvenne per noi, perché egli non abbisognava del conforto di lui, ma per mostrarci ch’essi assistono volentieri quelli che pregano con devozione, e volontieri li aiutano e confortano, e ne offrono a Dio le preghiere. – Papa Benedetto XV estese a tutta la Chiesa la festa di san Raffaele Arcangelo.

Omelia di san Giovanni Crisostomo

Omelia 36, ovvero 35, su Giovanni, n. 1

Che maniera è questa di guarire? che mistero c’è sotto? Perché queste cose non furono scritte senza una ragione; ma ci descrivono quasi in figura e in immagine il futuro, affinché, avvenendo improvvisamente qualche cosa di straordinario, non vacillasse in qualche modo la fede di molti uditori. Cos’è dunque questa descrizione? Essa predice il battesimo che doveva conferirsi in seguito, pieno di virtù e d’una grazia immensa, il battesimo che doveva lavare tutti i peccati, e rendere i morti alla vita. Questo battesimo dunque è figurato nella piscina e in molti altri simboli, Per esso il Signore diede dapprima l’acqua, che lava le macchie del corpo, e anche le macchie non reali, ma riputate tali, provenienti dai funerali, dalla lebbra e simili; e nell’antica legge bisognava, in molte circostanze, purificarsi coll’acqua. – Ma torniamo al nostro soggetto. La Provvidenza ha dunque voluto, come abbiam detto, che l’acqua servisse a togliere prima le macchie del corpo, poi le diverse infermità. E Dio per avvicinarci di più alla grazia del battesimo, non solo toglie le macchie, ma guarisce altresì le malattie. Difatti le immagini che toccano più da vicino la verità, sia nel battesimo, sia nella passione, sia in altri soggetti, sono più chiare di quelle date anticamente. E come i satelliti che sono vicini al re, sono più elevati in dignità di quelli che ne sono distanti; così è avvenuto delle figure. L’Angelo del Signore dunque scendendo agitava l’acqua, e le infondeva una virtù curativa, affinché i Giudei comprendessero che il Signore degli Angeli poteva con più forte ragione guarire tutti i mali dell’anima. Ma, come qui non era la semplice acqua che guariva (altrimenti l’avrebbe fatto sempre) ma operava ciò sotto l’azione dell’Angelo; così pure in noi non è semplicemente l’acqua che opera, ma, dopo aver ricevuto la grazia dello Spirito, allora solo cancella tutti i peccati. – «Intorno a questa piscina giaceva una gran moltitudine d’infermi, ciechi, zoppi, paralitici in attesa del moto dell’acqua» (Joann. 5,3). Ma allora la stessa infermità era sovente di ostacolo a che, chi lo volesse, fosse guarito; ora invece ognuno può avvicinarsi alla piscina spirituale. Dacché non è più un Angelo a muover l’acqua, ma è il Signore degli Angeli che opera tutto. Né possiamo dire: Quando arrivo io, un altro s’è già buttato prima di me. Perché, venisse pure tutto il mondo, la grazia non si consuma per questo, né vien meno la sua efficacia o azione, ma rimane sempre la stessa. E come i raggi del sole ci illuminano ogni giorno, né si consumano, né, servendo a molti, perdono alcunché della loro luce; così, anzi molto meno, si diminuisce l’operazione dello Spirito per la moltitudine di coloro su cui si esercita. Ciò poi avvenne, affinché quelli í quali sapevano che l’acqua guariva le malattie del corpo, e s’erano familiarizzati con questo spettacolo, credessero più facilmente che anche i mali dell’anima possono guarirsi.

ALL’ARCANGELO S. RAFFAELE

I. Nobilissimo Arcangelo San Raffaele, che dalla Siria alla Media accompagnaste sempre fedele il giovanetto Tobia, degnatevi di accompagnare anche me’ miserabile peccatore nel pericoloso viaggio che ora sto facendo dal tempo all’eternità. Gloria.

II. Sapientissimo Arcangelo S. Raffaele, che camminando presso il fiume Tigri, preservaste il giovane Tobia dal pericolo della morte, insegnandogli la maniera d’impadronirsi di quel pesce che lo minacciava, preservate anche l’anima mia dagli assalti di quel mostro che dappertutto mi circonda per divorarmi. Gloria.

III. Amorosissimo Arcangelo S. Raffaele, che arrivato nella Media col giovane Tobia, andaste voi stesso nella città di Rages per riscuotere da Gabelo la nota somma di cui era debitore, siate, vi prego, mediatore dell’anima mia presso il Signore affine di ottenermi la total remissione degli enormi debiti da me contratti colla sua tremenda giustizia. Gloria.

IV. Potentissimo Arcangelo S. Raffaele che liberaste la buona Sara dall’immondo Asmodeo, costringendolo a far ritorno ne’ suoi abissi, liberate anche l’anima mia dall’avarizia, dalla superbia, dalla collera, dalla libidine, dalla gola, dall’accidia e da tutte le altre passioni, che, a guisa di demoni, la tiranneggiano continuamente, e fate che, liberata una volta, non abbia mai più a ritornar sotto l’ignominioso lor giogo. Gloria.

V. Benignissimo Arcangelo S. Raffaele, che procuraste alla buona Sara una compita felicità, maritandola con Tobia dopo di averla prodigiosamente liberata dalla schiavitù del demonio, fate che anche l’anima mia, tolta alla tirannia delle passioni, si unisca come una sposa al suo Gesù con vincoli indissolubili di una fede sempre viva e di una carità sempre ardente. Gloria.

VI. Pietosissimo Arcangelo S. Raffaele, che con prodigio affatto nuovo, ridonaste al cieco Tobia il prezioso dono della vista, liberate, vi prego, l’anima mia dalla cecità che l’affligge e la disonora, affinché conoscendo le cose nel loro vero aspetto, non mi lasci mai ingannare dalle apparenze, ma cammini sempre sicuro nella via dei divini comandamenti. Gloria.

VII. Liberalissimo Arcangelo S. Raffaele, che, dopo aver ricolmato di benefici e di ricchezze la casa di Tobia, generosamente rifiutaste tutti i tesori a voi offerti in attestato di riconoscenza, ottenetemi, vi prego, un totale distacco dalle cose della terra, affinché rivolga tutti i miei sforzi all’acquisizione dei beni eterni e inestimabili del paradiso. Gloria.

VIII. Umilissimo Arcangelo S. Raffaele, che ricusaste di ricevere gli omaggi d’adorazione a voi prestati dalla riconoscente famiglia del buon Tobia, ottenetemi dal Signore un grande amore all’umiltà, affinché fuggendo tutti gli onori e le distinzioni del mondo riponga tutta la mia gloria nel vivere una vita nascosta in Gesù Cristo. Gloria.

IX. Perfettissimo Arcangelo S. Raffaele, che state sempre innanzi al trono dell’Altissimo a lodarlo, a benedirlo, a glorificarlo, a servirlo, fate che anch’io non perda mai di vista la divina presenza, affinché i miei pensieri, le mie parole, le mie opere sien sempre dirette alla sua gloria ed alla mia santificazione. Gloria.

OREMUS

Deus, qui Beatum Raphaelem Areangelum Tobiae, famulo tuo comitem dedisti in via, concede nobis famulis tuis, ut ejusdem semper protegamur custodia et muniamur ausilio. Per Dominum, etc.

GIACULATORIA.

Fate ch’io seguavi — sempre fedele,

Mio caro Arcangelo — San Raffaele.

PREGHIERA A S. Raffaele, Arcangelo.

Glorioso Arcangelo, S. Raffaele, grande principe della corte celeste, illustre per le tue doti di saggezza  e la grazia, guida dei viaggio per terra e per mare, consolatore dello sfortunato e rifugio dei peccatori ti prego di aiutarmi in tutti i miei bisogni e in tutte le prove di questa vita, come tu hai una volta assistito il giovane Tobia nel suo cammino. E dal momento che tu sei il  “Medico di Dio”, umilmente ti prego di guarire la mia anima delle sue numerose infermità ed il mio corpo dei mali che l’affliggono, se questo favore è per il mio maggior bene. Ti chiedo, in particolare, per la tua purezza angelica, che io possa divenire tempio vivo dello Spirito Santo. Amen.

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Sua Santità, Leone XIII., da un rescritto della S. Congreg. delle Indulgenze del 21 giugno 1890, concede ai fedeli che recitano la preghiera di cui sopra, un’indulgenza di cento giorni, una volta al giorno.

(Fonte:. “La Raccolta”, 1903, Imprimatur, p 368)

J.-J. GAUME: IL SEGNO DELLA CROCE [lett. 9-11]

Il segno della Croce:

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LETTERA NONA.

4 dicembre.

Del segno della croce presso i pagani ti parlerò in questa mia lettera, e per tutto correre il filo tradizionale, che rannoda la Sinagoga alla Chiesa, desidero dirti una parola del segno della croce de’ primi cristiani. Tu già sai ch’eglino lo facessero di continuo, ma tu ignori, io credo, che per non interromperlo, pregando rendevano se stessi segno di croce. Per fermo che i tuoi compagni l’ignorano. – Quanto Mose, Sansone, David, gl’Israeliti facevano ad intervallo, i nostri padri facevano di continuo, e tu ne vedi la ragione. Amalec, i Filistei, Eliodoro erano de’ nemici che passavano, ma il Colosso romano non deponeva mai le armi, tra lui ed i padri nostri s’era ingaggiata una lotta sanguinolente, e senza tregua. In tali circostanze ciascun di loro era un Mosè sul monte, e non per un giorno solo, ma per tre secoli tennero le braccia distese verso il cielo, per ottenere la vittoria ai martiri discesi nell’arena, e la conversione dei loro persecutori. – Del loro pensiero e della maniera di loro preghiera, lasciamo che parli un testimone oculare. « Noi preghiamo, dice Tertulliano, con gli occhi rivolti al cielo, e con le mani distese, comeché innocenti; a capo nudo, non avendo di che arrossirci; senza ammonitore, perché preghiamo col cuore. In siffatto modo noi imploriamo per gl’imperatori lunga vita, regno felice, sicurtà nella regia, armate valorose, sudditi Virtuosi, il mondo tranquillo, un Senato fedele, a dir breve, quanto l’uomo e Cesare desidera » [ Apolog. c. XXX]. – Cosi pregavano in Oriente ed Occidente gli uomini e le donne, le vergini e le matrone, i giovani ed i vecchi, i senatori, i fedeli d’ogni condizione. Questo misterioso atteggiamento era da essi usato non solo nelle striassi, nel fondo delle catacombe, raccomandando gli altrui interessi; ma altresì quando erano trascinati negli antiteatri, dove dovevano combattere per se stessi al cospetto d’immenso popolo trattosi a vedere i grandi atleti del martirio. – Immagina, se il puoi, mio caro, uno spettacolo più tenero di quello che Eusebio ci racconta. La persecuzione diocleziana con violenza procedeva nella Bitinia, e conduce in un sol giorno nell’anfiteatro un gran numero di cristiani dannati alle bestie. Per quanto snaturati fossero gli spettatori, un fremito di compassione corse loro per le vene a vista della moltitudine di teneri fanciulli, di delicate avvenenti donzelle, di cadenti vegliardi, che, con gli occhi al cielo elevati, con le braccia distese, impavidi procedevano nel mezzo delle tigri, e degli affamati leoni. Il timore che posseder doveva i condannati, padroneggiava l’animo de’ giudici e degli spettatori! [Euseb. Hist. Eccl. lib. VIII, c. 5]. – Siffatta attitudine de’ martiri non era eccezionale. Lasciamo la parola allo stesso storiografo, che, come testimone oculare non v’ha altri, che meriti maggior fede. « Voi avreste veduto, cosi egli, un giovane non ancora giunto a’ venti anni, libero da’ ceppi, star tranquillo in piede nel mezzo dell’anfiteatro con le braccia distese in forma di croce, il suo cuore più che il suo sguardo levato e fisso al cielo, essere circondato da orsi e leopardi il cui furore spirava la morte. Ma che! Questi terribili animali sul punto di dilaniargli le carni, da una potenza sovrumana hanno le bocche serrate, e spaventati si danno alla fuga. » (Ibid. C VII]. – L’Occidente ti presenta uno spettacolo ancor più tenero per la delicatezza della vittima. Nel mezzo della gran Roma giammai una moltitudine uguale aveva gremito gli scalini del circo. L’eroina è una giovinetta sui tredici anni, la bella Agnese condannata al fuoco. « Vedila, è santo Ambrogio che il racconta, dessa monta coraggiosa il rogo, e distende le sue mani verso il Cristo, per elevare tra le fiamme istesse il vittorioso stendardo del Signore! Con le braccia distese attraverso le fiamme, cosi prega: O Signore, cui ogni adorazione, santo timore ed onore è dovuto, vi adoro! O Padre Eterno del nostro Signore Gesù Cristo, vi benedico! È per la grazia del Figliuol vostro, ch’io son libera dalle mani degli nomini impuri, e senza sozzura alcuna ho scansate le immondizie di satana. Benedetto siate deh! altresì, perché la rugiada dello Spirito Santo estingue le fiamme divoratrici che mi circondano: queste si dividono, e gli ardori del mio rogo minacciano quelli che lo attizzano » [Lib. 1, De Virginib. “Tendere Christo inter ignes manus, atque ipsis sacrilegis focis trophaeum Domini signare victoris”]. – Tal’era la forma eloquente del segno della croce in uso fra i cristiani della primitiva Chiesa, i Mosè della novella alleanza, e tu puoi ancora averne una prova nelle pitture delle catacombe. Questa forma del segno trionfale durò lungo tempo fra i cattolici, ed io l’ho vista, son trent’anni, presso qualche popolazione cattolica d’Alemagna. Ma se questa s’è perduta tra i fedeli, la Chiesa l’ha religiosamente conservata. I dugento mila preti che ciascun giorno ascendono all’altare, su tutti i punti del globo, sono gli anelli visibili della catena tradizionale, che da noi si estende sino alle catacombe, e da queste al Calvario, di dove arrivano al monte Rafidim, e di là si perdono nella notte de’ tempi. – Arriviamo a’ pagani. Questi ancora hanno fatto il segno della croce, nelle loro preghiere, ed a ragione l’hanno creduto di una forza misteriosa, di grande importanza. Domanda ai tuoi camerata l’etimologia della voce adorare. Eglino non avranno pena alcuna a dirtela, che, se questa voce fosse una creazione della Chiesa potresti dispensarti dal domandargliela; ma poiché è una voce del latino del secolo d’oro, secondo l’espressione di collegio, bacellieri, com’ eglino sono, devono saperlo. – Ora decomponendo la voce adorare, questa, secondo tutti gli etimologisti vuol dire, portar la mano alla bocca e baciarla “manum ad os admovere”. Tale era la maniera con che i pagani adoravano i loro dei. Le prove sono abbondanti. « Quando noi adoriamo, dice Plinio, noi portiamo la mano destra alla bocca e la baciamo; quindi descrivendo un cerchio giriamo intorno il nostro corpo » [Plin. Hist. nat. lib. XXVIII –In adorando dextram ad osculum referimus, totumque corpus circumagimus. — Noi ci rivolgiamo intorno a noi medesimi — Che significa questo genere di adorazione ? Colportare la mano alla bocca, l’uomo fa omaggio della sua persona alla divinità; col rivolgersi sopra se stesso, imita il movimento degli astri, e fa alla divinità omaggio del mondo intero, di cui i corpi celesti sono la più nobile porzione. – Questa maniera di adorare fa parte del sabeismo o dell’ adorazione degli astri, forma d’idolatria che risale alla più alta antichità. Per mezzo dei Pitagorici essa era venuta a Numa, che prescriveva questo rivolgimento : eircumage te cum Deos adoras. « Si dice, aggiunge Plutarco, che questa è una rappresentazione del giro che fa il cielo col suo movimento (Vita di Numa, capo XII). Questa pratica profondamente misteriosa e r a molto diffusa in America prima della scoperta; ed è ancora oggidì in uso presso i Dervis giratori dell’Oriente]. – E Minuzio Felice : « Cecilio com’ebbe visto la statua di Serapide portò la mano alla bocca e baciolla, secondo l’uso del volgo superstizioso » [“Caecilius simulacro Serapidis denotato, ut vulgus superstitiosus solet, manum ori admovens, osculum labiis pressit (Minut Felice in Octav.). – Apuleo dice : « Emiliano sino al presente non ha pregato alcun Dio, né ha usato a tempio alcuno. Se passa dinanzi un luogo sacro crede delitto portar la mano alla bocca per adorare » [“Nulli Deo ad hoc aevi supplicavit; nullum templum frequentavi!; si fanum aliquod praetereat, nefas habel adorandi gratia, manum labris admovere”. (Apul. Àpol.. I, vers. fin.)]. – Ma perchè mai questo gesto esprimeva il culto supremo, l’adorazione? Eccolo in due parole. L’uomo è l’immagine di Dio, e Dio è nel suo Verbo, per lo mezzo del Quale ha tutto fatto. Portar la mano sulla bocca è comprimere la parola,, è, in certa maniera, annientarsi. Farlo come i pagani per onorar satana, era dichiararsene suddito, vassallo e schiavo, riconoscerlo per Dio. Tu sai qual delitto enorme questo sia. – Per questo Giobbe facendo la sua difesa diceva: « Quando ho visto il sole brillare con tutti i suoi raggi, e la luna avanzarsi abbellita dalla luce, il mio cuore nel suo segreto ne gioiva, e mai ho baciata la mano, perchè sarebbe la maggiore delle iniquità, e la negazione dell’Altissimo: iniquitas maxima et negatio contro Deum altimmum » [Si vidi solem, cum ralgeret, etlunamincedentem dare; et laetatum est in abscondito cor meum, et osculatus sum manum meam ore meo ; quia est iniquitas maxima, et negatio contra Deum Altissimum”: Job, cap. XXXII, v. 86, e sequ.]. – Questo gesto misterioso era siffattamente un segno d’idolatria, che Dio parlando degl’Israeliti rimasti fedeli, diceva: « Conserverò in Israele sette mila uomini, che non hanno piegato il ginocchio dinanzi a Baal, ed ogni bocca, che non l’ha adorato, baciando la mano » [“Derelinquam mini in Israel septem millia virorum, quorum genua non sunt incurvata ante Baal, et omne os, quod non adoravit eum oseulans manus”:III Reg. cap. XIX, v. 18]. – Vedi questo pagano, col ginocchio a terra, ed il capo chino avanti i suoi idoli? Vedi ch’egli passa il pollice della destra sotto il dito indice e lo riposa sul medio in maniera da formarne una croce; quindi bacia questa croce mormorando qualche parola in onore de’ suoi cari dei? Fa tu stesso un tale gesto, e vedrai che il segno della croce non potrebbe meglio essere rappresentato. Che tale fosse il bacio di adorazione, fra molti altri pagani, Apuleone ne fa fede: “Una moltitudine di cittadini e stranieri, dic’egli, era accorsa per la fama dell’ eccelso spettacolo. Fuor di sé alla vista della incomparabile bellezza, baciavano la destra di cui il pollice riposava sul dito indice, e la onoravano con religiose preghiere quasi fosse la stessa divinità » [Metamorph. VI]. – Siffatta maniera del segno della croce è si reale ed espressiva, che presentemente è comune presso molli cristiani in tutti i paesi. Ma questa non era la sola maniera con che era eseguito presso i pagani, poiché, i più pii, lo facevano crociando le mani sul petto. Noi troviamo questa maniera usitata in una delle circostanze la più solenne, e nello stesso tempo la più misteriosa della loro vita pubblica. Lascio la tua curiosità nell’aspettativa sino a domani. 

LETTERA DECIMA

5 dicembre.

Uscendo di collegio dopo dieci anni di stadio di latino e di greco, non conosciamo neppure la prima parola dell’antichità pagana; l’educazione ci mostra la superficie delle corti, e mai il fondo. Quello che ha luogo in Francia si osserva presso tutti i nostri vicini, e n’ho ben ragione di dirlo. Di che segue, che il fatto di che devo parlarti sarà per molti una strana novella: eccolo. – Quando un’ armata romana assediava una qualche città, la prima operazione, che eseguiva il generale, fosse questi un Camillo, un Fabio, un Metello, un Cesare o Scipione, non era di scavar fossati, o di elevar linee di circonvallazione, ma d’invocare gli dei difensori della città, perché passassero nel proprio campo. La formula dell’invocazione è troppo lunga per una lettera, tu potrai leggerla in Macrobio. – Ora profferendola il generale faceva per ben due volte il segno della croce. La prima come Mosè, come i primi cristiani, come al presente il prete all’altare, con le mani distese verso il cielo invocava Giove. Quindi fiducioso per l’efficacia della sua preghiera, crociava devotamenle le mani sui petto [“Cum Jovem dicit, manus ad coelum tollit: cum votum recipere dicit, manibus pectus tangit.” (Macrob. Saturnal, lib. III, cap. 2]. – Ecco due forme della croce incontestabili, universali e perfettamente regolari. Se questo fatto degno di considerazione è generalmente ignorato, ecco un’altro che 1’è un poco meno. L’uso di pregare con le braccia in croce era comune fra i pagani dell’Occidente e dell’Oriente. Su questo punto non v’ha alcuna differenza fra noi ed i giudei. Rileggi i tuoi classici. Tito Livio ti dirà: In ginocchio elevavano le loro mani supplicanti verso il cielo, e verso gli dei [“Nixae genibus supinas manus ad coelum ac Déos tendentes, – lib. XXXVI] .– Dionigi d’AIicarnasso: Bruto conoscendo la sventura e la morte di Lucrezia, elevò le mani al cielo, invocò Giove con tutti gli dei [“Brutus, ut cognovit casum et necem Lucretiae, protensis ad coelum manibus: Jupiter, inquit, diique omnes etc”. – Antiquit, lib. IV]. E Virgilio: Il padre Anchise sulla riva invoca i grandi dei, con le mani distese [“At pater Anchises, passis de littore palmis, Numina magna vocat – AEneid. lib. III]. – Ed Ateneo: Dario avendo inteso come Alessandro trattasse le sue figlie prigioniere, protese le mani verso il sole, e pregò, che se egli regnare più non dovesse, il regno fosse dato ad Alessandro. Ed in fine, Apuleo dichiara formalmente che tale maniera di pregare non era eccezionale, o come qualche giovane potrebbe qualificarla, una eccentricità, ma un permanente costume è « L’attitudine di quelli che pregano, egli scrive, è di elevare le mani verso il cielo » [“Cum boc Darius cognovisset, manus ad Solem extendens precatus est, ut vel ipse imperaret, vel Alexander”: üb. XIII, C 87]. – Un istinto che appellerei tradizionale, altrimenti non avrebbe nome, loro insegnava il valore di questo ségno misterioso. Poterlo fare negli estremi momenti del viver loro, era per essi sicuro argomento di salute. Se la morte mi sorprende nel mezzo delle mie occupazioni, mi sarà sufficiente poter levare le mani al cielo, [“Habitus orantium sie est, ut manibus extensis ad coe-lum precemur”: Lib. de Mundo vers. for.], diceva Arieno. E qui è da osservare, ed attendi bene ch’egli non dice: Se posso piegare il mio ginocchio, o battere il petto, o prostrare nella polvere la fronte, ma: Se posso stendere le mie braccia, ed elevarle verso il cielo. Perché ciò? Domandalo a’ tuoi compagni. E domanda ancora perché gli Egiziani avevano la croce ne’ tempi, e pregavano dinanzi questo segno reputandolo nunzio di futura prosperità? Ai tempi di Teodosio, dicono gl’istorici greci Socrate e Sòzomeno, quando erano distrutti i tempi degli dei, quello di Serapide in Egitto si trovò pieno di pietre su cui era scolpita la croce. Il che faceva dire a’ neofiti che fra Cristo e Serapide v’era qualche cosa di simile. Questi storici aggiungono che presso di loro la croce simboleggiava il secolo futuro [“Theodosio magno regnante, eum fana gentilium diruerentur; inventae sunt in Serapidis templo hierogiyphicae litterae habentes crucis formam, quas videntes illi, qui ex Gentilibus Christo crediderant, alebant significare crucem, apud peritos hieroglyphicarum notarum, vitam venturam. (Socrat. lib. V, c. 11. — Sozom. lib VII, c. 15]. – Presso i Romani, questo istinto si era tradotto in fatto, di che dubiterei, se non avessi sott’occhio una medaglia, che me ne da una prova materiale. Conoscendo eglino la forza del segno della croce, di che parlo, né volendo restare come Mosè, ed i primi cristiani con le braccia distese lungo tutto il tempo di loro preghiere, che cosa fecero? Immaginarono una dea cui era commesso d’intercedere continuamente per la repubblica; e la rappresentarono nella postura di Mosè sul Monte, per la qual cosa in Roma, nel mezzo del Forum olitorium, dove sono al presente i ruderi del teatro Mercello, si elevò la statua della dea detta: Pietas Publica. Dessa era rappresentata in piedi con le braccia distese da far croce col corpo, come Mosè, o come i primi cristiani delle catacombe, avendo a sinistra un’altare su cui bruciava l’incenso simbolo della preghiera [GRETZER, De Cruce, p. 33. — Porcellini, art. Pietas etc.].Sul conio del valore impetratorio e latreutico del segno della croce, l’Oriente del Nord era d’accordo con l’Occidente, i Cinési co’ Romani. Il crederesti tu? L’imperatore Hien-Suen sì antico da essere pressoché favoloso, aveva come Platone presentito il mistero della croce. Per onorare l’Altissimo, questo antico imperatore congiungeva due pezzi di legno uno dritto e l’altro trasverso [Discours prelim. du CHOU-KING del P. PRIMARB. cap. ix,, p. xcii]. – Dalle quali cose seguita, che de’ sette modi onde la croce può esser fatta, i pagani ne conoscevano tre, da essi eseguiti religiosamente e nelle importanti contingenze. – Benissimo, mi dici, ma sapevano eglino quel che facessero? Non era un segno puramente arbitrario, di nessun significato, e da che nulla è da dedurre? – Che i pagani avessero inteso come noi il segno della croce, non è mia pretensione affermarlo; poiché presso di loro questo segno era come le figure presso gli Ebrei. – Presso questi le figure avevano un significato reale, un grande valore più o meno misterioso a seconda de’ tempi, de’ luoghi e delle persone. Tu devi conoscere le lettere scritte con inchiostro simpatico. Queste tuttoché siano reali, pure sono pressoché inapparenti, ma l’azione del fuoco le rende in un subito visibili. Così e non altrimenti è del segno della croce de’ pagani. Quando fu irradiato dalla luce evangelica questo segno chiaro oscuro, divenne intelligibile a tutti, si scoperse, parlò, come le figure dell’Antico Testamento. – Credere che il segno della croce presso i pagani fosse un segno arbitrario è tale una supposizione che di per sé svanisce, poiché tutto ciò ch’è universale non è arbitrario, ed il segno della croce è universale più che ogni altra cosa. Noi tocchiamo, mio caro Federico, uno de’ più profondi misteri dell’ordine morale. – Non dimenticare lo scopo che mi son proposto, devo dimostrare, che la croce è un tesoro che ci arricchisce. Per essere arricchito è mestieri che l’uomo dimandi; che Dio lo esaudisca, e che all’uopo l’uomo sia caro a Dio. Non v’ha di più caro a Dio che il suo Figlio e quelli, che a questo si assomigliano. Ora il Figlio di Dio è un segno di croce vivente, e vivendo eternamente segno di croce, di poi 1’origine del mondo, Agnus occisus ab origine mundi, è il gran Crocifisso, e questo gran Crocifisso è il nuovo Adamo, il tipo del genere umano. Per tornar caro a Dio è forza che l’uomo si assomigli al suo divino modello, è mestieri ch’egli sia un Crocifisso, un segno di croce vivente. È questo il suo destino sulla terra come quello del Verbo. Povero, in tale attitudine deve presentarsi a Dio dimandandogli soccorso. La Provvidenza non ha voluto lasciargli ignorare questa condizione necessaria pel successo della sua preghiera. Come l’uomo non ha perduto la memoria della sua caduta, e la speranza della redenzione, così egli non ha perduto la conoscenza dello strumento redentore. Quindi la esistenza della conoscenza e della pratica, sotto una od altra forma, del segno della croce nelle preghiere, di poi l’origine dei secoli sino a noi. – Dio non solo ha commesso nel cuore dell’ uomo l’istinto del Segno della croce, ma ha voluto che nel mondo materiale tutto fosse fatto secondo questo segno, per ricordare all’uomo ancora per Io mezzo degli occhi corporali la necessità di questo segno salutare, ed il ministero sovrano che esercita nel mondo morale. Difatti, tutto quaggiù ne riproduce l’immagine. Ascolta quelli che hanno occhi per vedere! È degno di grandissima considerazione, dice Gretzer, che di poi la origine del mondo Dio ha voluto la Croce fosse presente agli occhi umani, ed all’uopo ha di maniera disposte le cose, che l’uomo nulla potesse fare senza l’intervento del segno della croce » [“Illud consideratione dignissimum est, quod Deus figuram crucis ab initio semper in hominum oculis versari voluit, namque ita instituit, ut homo propemodum nihil agere posset; sine interveniente crucis specie. De Cruce, lib. 1]. Gretzer è il centesimo eco della filosofia tradizionale; ascoltane altri. « Quanto v’ ha nel mondo è messo in opera secondo questo segno. L’uccello che attraversa gli spazi del cielo, e l’uomo sia che egli nuoti, o preghi non può agire che secondo questo segno. Per tentare la fortuna, e cercare le ricchezze fino negli estremi confini del mondo, l’uomo ha bisogno di una nave. Questa non può solcare le onde senza alberi, e questi di braccia a croce, senza che, impossibile tornerebbe darle una direzione. L’agricoltore domanda alla terra il suo cibo, e quello de’ ricchi, e de’ re? ad ottenerlo adopera l’aratro, che col vomero rappresenta una croce » [S. Maxim. Taurin, ap. S. Ambr. t. III, ser. 56, etc.]. Se il segno della croce è mezzo all’uomo per agire sulla natura fisica, l’è altresì per comunicare con i suoi simili. Nelle battaglie non è la vista degli stendardi, che anima i combattenti? Che ci mostrino le cantabra e i sipario, de’ Romani, che non eran che degli stendardi a forma di croce. – Gli uni e gli, altri erano delle lance dorate sormontate da un legno orizzontale, di dove pendeva un velo d’oro, o di porpora. Le aquile colle ali distese al sommo delle lance e delle altre insegne militari ricordano invariabilmente il segno della croce; i monumenti delle vittorie, ed i trofei formano la croce. La religione de’ Romani tutta guerriera, adora gli stendardi, giura per essi, e li preferisce ai suoi dei, e questi stendardi sono delle croci: “omnes illi imaginum suggestas insignes monilia crucium sunt (2). [Tertull. Apolog. XVI]. Di modo che, quando Costantino volle perpetuare nel vessillo imperiale, la memoria della vittoria avuta per la croce, vi aggiunse solo il monogramma di Cristo [EUSEB. lib. IX. Histor. 9.]. – L’uomo si distingue dalla bestia perché cammina ritto su i piedi, e può distendere trasversalmente le braccia ; e l’uomo in piedi con le braccia distese è la croce. Per lo che c’è imposto pregare in tale attitudine, affinché le nostre membra proclamino la passione del Signore, e quando ciascuno a sua maniera con lo spirito e col corpo confessa Gesù in croce, è sicuro che la nostra preghiera è esaudita. Il cielo istesso ò disposto a questa forma. Qual cosa mai rappresentano i quattro punti cardinali, se non le quattro braccia della croce e la universalità di sua virtù salutare? La creazione tutta intera ha l’impronta della croce. Platone stesso non ha forse scrìtto che la potenza più vicina al primo Dio, s’è esteta tul mondo in forma di croce? [“Ideo elevatis manibus orare praeeipimur, ut ipso quoque membrorum gettu passionem Domini fate amor. Tum enim citius nostra esauditur oratio, cum Christum, quern mens loquitur, etiam corpus imitatur. (S. Maxim. Taurin. Apud S. Ambros. tom. Ill, Serm.36. — S. Hier, in Marc. XI. — Tertull. Apol XYI.— Origen. Hom. Till in divers.). – Dalle cose dette segue la risposta da Minuzio Felice indirizzata ai pagani, che rimproveravano a’ cristiani di fare il segno della croce. « E che, forse la croce non è da per tutto, diceva loro? Le vostre insegne, i vostri stendardi, le bandiere e i trofei, che cosa sono, se non la croce? Non pregate voi come noi a braccia distese? ed in tale attitudine non pronunziate voi delle formule che proclamano un solo Dio? Non vi assomigliate voi allora a’ cristiani adoratori di un Dio unico, e che hanno il coraggio di confessare la loro fede nel mezzo delle torture dispiegando le braccia in forma di croce? Tra noi ed il vostro popolo qual differenza vi corre, quando con le braccia distese esclama: Gran Dio, Dio vero, se Dio lo vuole? È questo il linguaggio naturale del pagano, o la preghiera del cristiano. Quindi o il segno della croce è il fondamento della ragione naturale, o desso serve di base alla vostra religione istessa! [“Ita signo crucis aut ratio naturalis innititur, aut vestra religio formatur”. Minut. Felix in Octavio.]. – Perché adunque, soggiungono altri apologisti, lo perseguitate voi? Ed io altresì, mio caro Federico, potrei domandare a’ moderni pagani: Perché lo perseguitate questo segno? Perché ne avete onta? Perché siete larghi in lanciar sarcasmi contro i coraggiosi che lo fanno? La risposta è a capello quella che veniva data in altri tempi. « satana che scimmia Dio in tutto, si era impossessato di questo segno, e lo faceva eseguire ai pagani per proprio conto. Il perfido! Egli era contento di vedere che gli uomini usano, per adorarlo e perdersi, il segno destinato alla adorazione del vero Dio, e salvare il genere umano. » – Riguardo ai cristiani era tutt’altra cosa. Per essi questo segno esercitava il suo vero ministero, comeché mezzo da onorare il vero Dio, e precipuamente il Verbo incarnato, oggetto dell’odio di satana cui il Cristo strappava l’uomo per salvarlo. E se pel cristiano siffatto segno diveniva oggetto di scherno, era per lui un delitto degno della morte. – D’onde procede che gl’iniqui di tutti i secoli mostrano de’ sentimenti contraddittori, d’amore e di odio, di rispetto e di scherno per questo segno adorabile? Da satana stesso, risponde Tertulliano. « Spirito di menzogna, agogna ad alterare la verità e le cose sante a profitto della idolatria. Cosi egli battezza i suoi adepti assicurandoli che quest’acqua li purificherà da ogni colpa, e di questa maniera inizia al culto di Mitra. Segna la fronte de’ suoi soldati, celebra l’oblazione del pane, promette la risurrezione, e la corona guadagnata con la spada. Che altro dirò? Egli ha un Sommo Pontefice cui interdice le seconde nozze, ha le sue vergini, e i suoi continenti. Se noi esaminassimo per minuto le superstizioni stabilite da Numa, gl’impieghi sacerdotali, le insegne, i privilegi, l’ordine e le parti de’ sacrifizi, gli utensili, i vasi da sacrificio, gli oggetti per le espiazioni e le preghiere, non troveremmo noi che il demonio, scimiando Mosè, ha tutto ciò stabilito? Dopo l’Evangelio la contraffazione si è continuata ». [“A diabolo scilicet, cujus sunt partes intervertendi veritatem, qui ipsas quoque res sacramentorum divinorum ad idolorum mysteria aemulatur etc.” (TERTULL. de praescript.)]. – satana s’è spinto più oltre! Conoscendo tutta la potenza della croce ha voluto appropriarsela interamente, e sostituirsi al Dio crocifisso per averne gli onori. « Questo implacabile nemico del genere umano risaputo, per lo mezzo degli oracoli profetici, dice Firmico Materno, ha reso strumento d’iniquità il segno che arrecar do-veva la salvezza al mondo. Che cosa sono le corna di che si gloria ? Strazio di quelle che l’inspirato profeta ha nominato, e che, o satana, credi adattare alla tua orribile figura. Come puoi tu trovarvi la tua gloria, ed il tuo ornamento? Queste corna non sono altro che il segno venerabile della croce » (2). [De error, prof. Relig. t. XXII]. Cosi la fronte armata di questo sacro segno lo fa fremere di bile, e non trova supplizio, per crudele che sia, per punirlo d’aver portato l’immagine del Verbo incarnato; epperò, mio caro, egli ha fatto pessimo strazio de’ nostri padri e delle madri nostre, de’ fratelli e sorelle martiri di tutti i tempi e di tutti i luoghi. Ora ha fatto loro scuoiare la fronte, e sulle denudate ossa imprimere ignominiosi caratteri; ora pendere in forma di croce, e stirarli con corde e batterli con nervi di bue da far sconoscere in essi la figura umana (1). (1) [GRETZER De Cruce lib. IV, c. 32, pag. 688]. – Grande insegnamento! L’odio di Satana per la croce sia per noi norma della fiducia e dell’amore che dobbiamo a questo segno; domani vedrai che desso ha altri titoli ancora per questo duplice sentimento.

LETTERA UNDECIMA.

6 dicembre.

II segno della Croce è un tesoro che ci arricchisce: é questa una delle ragioni di sua esistenza. Ci arricchisce, perché desso è una eccellente preghiera. Ecco, mio caro amico, tu non l’hai dimenticato, il punto di dottrina che stabiliamo in questo momento. – La prova è a metà già svolta; che dessa toglie la sua evidenza dall’antichità, universalità, e perpetuità del segno adorando. Nel mezzo dell’universale naufragio in che il mondo, idolatrandosi, lascia perire tante rivelazioni primitive, si vede sfuggire alla devastazione quella del segno della Croce. Questo fatto ben chiaro e ragionevole per lo spirito cristiano, che riflette, ma forse per te e per gran numero di uomini incomprensibile, di quali verità è rivelatore? Desso afferma e rivela quanto sia utile all’uomo questo segno; avvegnaché ne mostra tutta la efficacia sul cuor di Dio. Dai ragionamenti passiamo ai fatti! Il segno della croce è una preghiera, una preghiera potente, una preghiera universale! – È una preghiera. Che cosa è l’uomo che prega? È un uomo che confessa dinanzi a Dio la sua indigenza, indigenza intellettuale, morale, materiale. È il povero alla porta del ricco. Ora il povero domanda con la voce, ma più eloquentemente col magro e smorto viso, con le infermità, i cenci e l’attitudine, come pregava sulla croce l’adorabile Povero del Calvario! In questo stato il Figlio di Dio, più che in altro mai era l’oggetto delle compiacenze infinite del Padre, ed Egli stesso ci dice, che questa preghiera più eloquente, per l’azione che per la parola, fu la leva che innalzò tutto a lui [“Cum exaltatus fuero a terra, omnia traham ad meipsum. Joan. XII, 32 Humiliavit semetipsum etc. propter quod et Deus exaltavit illum etc.” (Ad Philip. II, 8)]. – Che cosa fa l’uomo facendo il segno della croce, sia con la mano, che con le braccia? Egli imprime sovra se stesso l’immagine del divino Povero; s’identifica con Lui, è Giacobbe che si copre delle vestimenta di Esaù per ottenere la paterna benedizione. In questa attitudine, espressione di fede, di umiltà e di oblazione, che cosa dic’egli? Egli dice: Vedete in me il vostro Cristo, “respice in faciem Christi tui”. Preghiera è questa più eloquente di tutte le parole : dessa ascende, dice santo Agostino, ed il soccorso discende: ascendit deprecatiti et descendit Dei miseratio. [August. Serm. 226 De temp.]. – Tal’è il segno della Croce, non parla e dice tutto; eloquente silenzio della croce! È una preghiera potente. Quando l’agente dell’autorità, un delegato di polizia, un sindaco, un gendarme, mette la mano sul delinquente, gli dice: In nome della legge vi arresto. In questa parola “in nome”, il colpevole vede l’autorità della sua patria, la forza armata, i giudici, il re stesso, e preso da paura e riverenza, si lascia arrestare. Quando l’uomo trovasi in un pericolo, in preda alla sofferenza ed alle infermità, e pronunzia queste parole solenni, in nome del Padre etc, e, pronunziandole, fa il segno redentore del mondo, e trionfatore dell’inferno, il male non può opporre resistenza alcuna. L’uomo non ha forse eseguite tutte le condizioni necessarie al successo? Dio non è, in certo modo, obbligato d’intervenire, e di glorificare il suo nome e la potenza del suo Cristo? Ecco ragione che dell’efficacia particolare del segno della Croce, né la Chiesa, né i secoli cristiani hanno dubitato; e teologi venuti in gran fama di profondo sapere insegnano, che la croce opera per virtù propria indipendentemente dalle disposizioni di colui, che la esegue. Ne danno varie ragioni; io non ne citerò che due. La prima è l’uso incessantemente ripetuto del segno della croce. Se non producesse, dicono, i suoi effetti di per sé stesso, i cristiani non avrebbero ragione facendone si frequente uso. Perché usarne se un movimento dell’anima bastasse ad ottenere e realizzare quanto sperano ottenere e realizzare col segno della croce? [“Dicimus signum sanctissimae crucis producere suos effectus “ex opere operato”. (Gretzer loc. cit. lib. IV, c 6», p. 703) – Ita etiam doctissimi quique tbeologi sentiunt, ut Gregorius de Valentia, Franciscus Suarez, Bellarminus, Tyraeus,etalii. ibid. – “Et certe nisi ex opere operato crux effectus suos ederet, non esset cur iam sedulo a fidelibus usurparetur; quia bono animi motu et actu omne illud perflcere seque certo possent, quod adhibito crucis signáculo peragunt et sese peracturos sperant”. – Ibid.]. – La seconda riposa su de’ fatti celebri nella storia, e di tale una autenticità da non poter di essi in verun modo dubitare. Il primo è quello di Giuliano Apostata. Quando ruppe a Dio la sua fede, com’è inevitabile, divenne adoratore di satana. Per conoscere l’avvenire, mandò per tutti gli uomini, che in Grecia erano in rapporto con i cattivi spiriti. Un evocatore si presenta, e promettegli piena soddisfazione. Eccoli in un tempio d’idoli: si eseguono le evocazioni, e detto fatto, l’imperatore è circondato di demoni, il cui aspetto gli mette paura. Per sentimento di timore, e senza alcuna riflessione si segna, ed eccoti i demoni disparire. Il mago ne lo rimprovera, e ricomincia le sue evocazioni. Di nuovo le istesse apparizioni. Giuliano si segna nuovamente, e gli spiriti dispariscono. Questo fatto è riferito da San Gregorio di Nazianzo, da Teodoreto ed altri Padri [“Ad crucem confugit, eaque se adversus terrores consignat, eumque quem persequabatur in auxilium adsciscit. Valuit signaculum, caedunt doemones, pelluntur timores. Quid deinde? Reviviscit malum, rursus ad audaciam redit; rursus aggreditur; rursus iidem terrores urgent, sursus obiecto signáculo daemones conquiescunt, perplexusque haeret discipulus.” (S. Gregor. Nazianz. Orat. I contra Julian.)]. – Il secondo è più noto nell’Occidente. La conoscenza di esso noi la dobbiamo al Pontefice San Gregorio, che siffattamente ce ne parla. « Quanto narro non può essere che certo, avvegnaché quanti sono gli abitanti di Fondi ne sono testimoni » [“Nec res est dubia quam narro, quia paene tanti in ea testes sunt, quanti et eiusdem loci habitatores existant.” (S. Greg. Dial. lib. III, c. 72)]. Un Giudeo dalla Campania si conduceva a Roma per la via Appia. Annottatosi verso Fondi, né potendo trovare ove passar la notte, si cacciò in un diruto tempio di Apollo. Quest’antica dimora di demoni gl’inspirava paura; però, tuttavolta non fosse cristiano, si munì del segno della croce. Ma che! era già scorsa la metà della notte, ed il timore non gli consentiva dormire, quando una moltitudine di demoni entrò nel tempio, e pareva vi si recassero a rendere omaggio al loro capo, assiso nel fondo del tempio. Questi domandava a ciascun di loro quel tanto che avesse fatto per indurre le anime a peccare, e ciascuno gli discopriva le male arti all’uopo usate. Nel mezzo di tali racconti, uno si avanza per narrare come avesse saputo tentare il vescovo della città. Fino al presente, diceva, tutto a vuoto: ma ieri, verso sera ho potuto instigarlo a dare un piccolo colpo sulla spalla della santa donna, che ha in cura l’azienda di lui. Continua, gli rispose l’antico inimico del genere umano, continua e compisci l’opera cominciata; da sì grande vittoria ti verrà eccezionale compenso. – A siffatto spettacolo il Giudeo respirava a pena: a farlo morir di paura, il presidente dell’infernale convegno ordinò che si prendessero indagini sul temerario, che ardiva rifuggiarsi nel suo tempio. La folla degli spiriti si avvicina curiosa al Giudeo, e vedendolo segnato della croce esclama: Malore! malore! un vaso vuoto e segnato. “Vae, Vae! vas vacuum et signatum”. E cosi detto disparvero! Parimente il Giudeo si affrettò di sortire dal tempio, e si portò alla Chiesa, dimora del vescovo, e gli narrò come sapesse del colpo dato il giorno innanzi, e lo scopo che il demonio si proponesse. Il vescovo sorpreso il più che immaginar si possa, commiato la santa donna ed inibì ad ogni femmina entrare nella sua dimora; sacrò a Sant’Andrea il vecchio tempio di Apollo, ed il Giudeo si rese cristiano. [S. Ambr. Dial. lib. III, cap. 7]. – Citiamo un’altro fatto. Le storie di Niceforo ci raccontano come Maurizio Cosro, secondo re di Persia inviasse a Costantinopoli de’ Persiani in ambasciata, i quali avevano nella fronte il segno della croce. L’imperatore domandò loro perché portassero quel segno, cui non credevano. “Questo che vedi, risposero, è segno di un benefizio in altri tempi ricevuto; poiché la peste disertava il nostro paese, ed alcuni cristiani ci consigliarono di segnarci siffattamente come preservativo contro del male. E didatti noi lo credemmo, ed eccoci salvi nel mezzo di migliaia di famiglie distrutte dalla peste [Hist. lib. XVIII, c. 20]. – A questi fatti naturalmente si unisce la riflessione del gran vescovo d’Ippona, che pare decisiva in favore dell’insegnamento cattolico. « Non è da meravigliare, dice egli, se il segno della Croce abbia gran potere quando è eseguito dai buoni cristiani; poiché dessa è potente ancora quando è messa in uso da quelli che non credono, e ciò solo in onore del gran Re » [“Nec mirum quod haec signa valent, cum a bonis christianis adhibentur, quando etiam cum usurpantur extranei, qui omnino suum nomen ad istam militiam non dederunt, propter honorem tamen excellentissimi Imperatoris valent”. (S. August. Lib. 83. De quaest. 19]. – Ma per restare fra i limiti dell’ortodossia, è da aggiungere, che il segno della croce non opera da sé puramente e semplicemente, ma secondo che è utile alla, nostra salute, o a quella degli altri, come di altre pratiche ha luogo, a mo’ d’esempio, gli esorcismi, a cui nessuna promessa divina assicura un effetto infallibile, e senza condizione alcuna. Aggiungasi ancora che la pietà di colui che fa il segno della Croce contribuisce alla efficacia di esso. II segno della Croce è una invocazione tacita di Gesù crocifisso, epperò la efficacia si proporziona al fervore con cui è invocato. Di maniera, che la invocazione del cuore, o della bocca è tanto più propria ad ottenere il suo effetto, quanto il fedele è più virtuoso e caro a Dio [Gretzer, ubi supra]. – È una preghiera universale. In un senso il segno della croce può dire come il Salvatore istesso: “Ogni potere mi è stato dato nel Cielo e nella terra”. Qui ancora più che altrove è da ragionare con i fatti, i quali sono sì numerosi da tornar solo difficile la scelta di essi. Tutti e ciascuno di essi, a sua maniera, proclama, da una parte la fede de’ nostri avi, e dall’altra l’impero del segno della Croce sul mondo visibile ed invisibile, e come desso provveda a’ bisogni dell’anima e del corpo. – Per l’anima l’uomo ha bisogno di lumi, ed il segno della croce li ottiene. S. Porfirio, vescovo di Gaza, deve disputare con una femmina manichea. Per dissipare con la chiarezza del ragionamento le tenebre in che era inviluppata la infelice, fa il segno della croce, e la luce brilla in questa intelligenza traviata. – Giuliano, il sofista coronato provoca a disputa Cesario fratello di san Gregorio di Nazianzo. Il generoso atleta scende nell’arena munito del segno della Croce, ed appone ad un nemico peritissimo nell’arte della guerra, e della dialettica lo stendardo del Verbo, e lo spirito di menzogna si trovò arreticato nella propria rete [S. Greg. Nazianz. In laud. Caesar]. – San Cirillo di Gerusalemme, sì potente in opere ed in parole, comanda si ricorra a questo segno tutte le volte che si debbono combattere i pagani, ed egli afferma che saranno ridotti al silenzio [“Accipe arma contra adversarios hujus crucis; cum enim de Domino cruceque contra infideles quaestio tibi erit, prius statue manu tua Signum, et obmutescet contradicens”. (S. Cyrill. Hieros. Catech. IUI]. – Nell’ordine temporale non meno che nell’ordine spirituale i lumi divini sono necessari all’uomo: il segno della croce li ottiene. Per la qual cosa gi’imperatori di Oriente, successori di Costantino, costumarono, parlando al Senato di cominciare dal segno della croce [“…Ipse coronatus solium conscendit avitum, Àtque crucis faciens signum venerabile sedit. Erectaque manu, cuncto presente Senatu, Ore pio haec orans, ait .… (Coripp. de laud. Justin Junior.)]. – Come di già vedemmo, San Luigi innanzi discutesse in consiglio gli affari del regno, si conformava a questa religiosa ed antica pratica. – Se al pari de’ principi, i più grandi che abbiano governato il mondo, i re e gl’imperatori del secolo decimonono ricorressero a questo segno, pensi che gli affari anserebbero si male? Per me son convinto, come della mia esistenza, che andrebbero molto meglio. I governi nostri contemporanei hanno minor bisogno di lumi, che quelli d’altri tempi? Hanno essi la pretensione di trovarli altrove che in Colui che n’è la sorgente, “lux mundi”? Conoscono eglino un mezzo più efficace del segno della Croce per invocarlo con successo? Tutti i secoli non depongono per la sua efficacia con ogni maniera di testimonianze? La Chiesa, che dovrebbe essere loro oracolo non rifinisce dal proclamarlo. V’ha un concilio, un conclave, un’assemblea religiosa che non cominci dal segno della croce? Fedeli ereditieri della tradizione, i preti cattolici parlano essi dall’alto della cattedra senza armarsi di questo segno? Con ciò eseguiscono la prescrizione degli antichi Padri : « Fate il segno della croce, scrive san Cirillo di Gerusalemme e voi parlerete. “Fac hoc signum, et loqueris”Catech. illuminat. IV]. – Quanto dissi de’ re, è da dire di quelli cui è commesso l’insegnamento altrui. Il Verbo incarnato, non è forse il Signore di tutte le scienze, il professore de’ professori, il maestro de’ maestri? Se il segno della Croce presiedesse all’insegnamento moderno, a’ libri che si stampano, credi tu che sarebbero inondati di errori, di sofismi, d’idee false, di sistemi incoerenti, il cui effetto certo è di far discendere il mondo moderno nelle tenebre intellettuali, dalle quali il Cristianesimo l’aveva tratto? Per l’anima l’uomo ha bisogno di forza: il segno della Croce n’è sorgente feconda. Guarda i tuoi illustri avi, i martiri. A chi questi domandano il coraggio pel trionfo nelle loro battaglie? Alla croce! Generali, centurioni, soldati, magistrati, senatori, patrizi o plebei, giovani e vecchi, matrone e candide vergini, tutti domandano scendere nell’arena, muniti di questa invincibile armatura, “insuperabilis christianorum armatura”. – Vieni, te ne mostrerò qualcuno. A Cesarea il generoso martire che cammina al supplizio è il centurione Gordio. Lo vedi? calmo ed in sé raccolto, egli arma della croce la sua fronte [S. Basil. Orat, in S. Gord.). – Qual è questa città dell’Armenia assisa nel mezzo delle nevi, e sulle sponde del lago di ghiaccio? È Sebaste. Eccoti verso sera quaranta uomini fra i ceppi, e nudi trasportati nel mezzo del lago condannati a passarvi la notte. Chi sono? Quaranta veterani dell’armata di Licinio. Una forza sovraumana è loro altrettanto più necessaria per resistere, che sulla riva son disposti de’ bagni caldi per quelli che rinunziassero alla fede. Fanno il segno della croce, ed una morte eroica corona il loro coraggio [“Isti autem in uno crucifixi signáculo Christum in se quasi legis loco ómnibus praseripserunt… crucem signífera figura in mente gestabant.” (S. Ephrem, Encom. in 40 SS. Martyr.). – Abbiamo di già veduta Agnese segno di croce vivente nel mezzo delle fiamme. Ecco altre vergini nate all’epoca d’oro de’ martiri. La prima è Tecla d’illustre prosapia e più illustre ancora per la fede. I carnefici padroni di essa la conducono al rogo, e dessa coraggiosa l’ascende, e fatto il segno della Croce tranquilla resta nel mezzo delle fiamme, ma una pioggia caduta a torrenti estingue le fiamme senza che un capello solo della giovane eroina venisse bruciato [“Capta ab apparitoribus, ut in focuru jactaretur, sponte pyram ascendit, et signo crucis facto, virili animo inter medias flammas stetit, subitoque lauta inundatione pluviarum, ignis extinctus est, et beata virgo illaesa, virtute superna erigitur.” (Ado, in Martyrol. 23 Sept]. – La seconda è Eufemia non meno celebre della prima. Il giudice la condanna alla ruota ed in un batter d’occhio il fatale strumento è allestito, per ricevere le delicate membra della giovane vergine. Questa si segna, e tutta sola s’avanza contro la spaventevole macchina armata di punte di ferro, la guarda senza neppure impallidire, ed al suo sguardo lo strumento va in pezzi e schegge [“Postquam autem ipso; machina; dicto citius fuerunt construcue et martyr in eas erat conjicenda, validis continuo in se paratis armis, nempe divina crucis figura, et ea signata adversus rotas processit nullam quidem vultu ostendens tristitiam, etc.” (Apud Sur., t. v, et Baron. Martirol. 16 sept.]. – Guarda ancora: noi siamo in uno de’ pretori romani che spesso rosseggiò del sangue de’ nostri padri, e fu testimone delle sublimi loro risposte, e della eroica costanza di essi. La persecuzione di Decio è nel suo bollore, e tu conosci questo sanguinario imperatore, che Lattanzio chiama esecrabile animale, execrabile animal Decus. Una folla di cristiani è dinanzi al giudice incolpata dall’accusatore di mille delitti. I cristiani sono condannati avanti il giudizio, ed eglino sel sanno. Che cosa fanno? elevano gli occhi al cielo, fanno il segno della Croce e rivoltisi al proconsole, gli dicono: Vedrai non esser noi uomini timidi, e di nessun coraggio [“Oculis in coelum sublatis, cum se Coristi signáculo muniissent, dixerunt: scias te non incidisse in viros pusilli et abjecti animi”. ,’Apud Sur., 13 april.]. – Se volessi continuar siffatta storia dovrei fare defilare d’inanzi agli occhi tuoi tutta 1’armata de’ martiri non v’ha un solo valoroso soldato del Crocifisso, che non abbia innalzato lo stendardo del suo Re. Basti nominarne alcuni: san Giuliano, san Ponziano, i santi Costante e Crescenzio, santo Isidoro, san Nazario, san Celso, san Massimo, santo Alessandro, santa Sofia con le sue tre figlie, san Paolo e santa Giuliana, san Cipriano e san Giustino. Questi di tutti i paesi e di tutte le condizioni rendono testimonianza al costume de’ martiri di armarsi del segno della forza avanti entrassero in battaglia sia con gli uomini, che con le bestie e gli elementi. – V’ha ancor di più: temendo che il peso delle catene impedisse loro di formare il segno della croce, eglino pregavano i loro fratelli, i preti, loro padri spirituali di armarli del segno della vittoria. Corobo, convertito alla fede dal martire Eleuterio, corre nell’anfiteatro per ottenere la corona di martire: « Prega, per me, dice al suo padre in Gesù Cristo, ed armami col segno della Croce, con che armasti Felice il condottiere dell’ esercito » [“Ora pro me, et me arma bis armis nempe Christi signaculo, quibus ducem exercitus munivisti Felicem” Apud Sur. 18 aprile]. Gliceria, nobile figlia di un padre per tre volte console, è messa nel fondo di una oscura prigione. Vedendosi alle prese con l’inimico, la prima cosa che opera è di pregare il prete Filocrate onde le segni la fronte col segno della croce. Filocrate esegue i suoi desideri dicendole : “Il segno di Cristo compisca i tuoi voti” [“Signa me Christi signo. Ad haec Philocrates preabyter: Signum, inquit, Christi vota tua compleat. (Ibid., t . III, et Baron., t. II.) – Di fatti la giovane eroina discende nell’anfiteatro, e sul punto di raccogliere la palma della vittoria, rivolta a’ cristiani confusi tra la folla degli spettatori, cosi dice loro: Fratelli, sorelle, figli e padri, e voi che potete essermi madre, vedete, e considerate, quale sia l’imperatore, di cui abbiamo il carattere, e quale sia il segno che onora la nostra fronte! [“Fratres, sórores, filii, patres, et quaecumque matris loco mihi estis, videte et vobis cávete, ac diligenter animadvertite. qualis est Imperator ille, cujus characterem habemus, et cnuli forma i n fronte signati sumus. Ibid. – Tu lo vedi; tutti i martiri hanno cercata la loro forza nel segno della croce. Avrebbero eglino cercato un sostegno nel niente ? E questo grande Imperatore, per cui morivano, li avrebbe lasciati in siffatta incurabile illusione ? Se qualcuno lo crede, ne apporti le prove.

Omelia della Domenica XXIII dopo Pentecoste

Omelia della Domenica XXIII dopo Pentecoste

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. III -1851-]

(Vangelo sec. S. Matteo IX, 18-26)

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Pietà.

La pietà, dice l’Apostolo, per ogni cosa per ogni modo è utile e vantaggiosa , “pietas ad omnia utilis” (Ad Rom. XIII, 17). Quest’eccellente virtù, prosegue lo stesso, contiene in sé una sicura promessa d’ogni bene per la vita presente e per la futura, “promissionem habens vitae, quae mens est futurae”. Il Vangelo di questa domenica in due esempi ce ne dà la più autentica prova. Ad un Principe della Sinagoga era morta l’unica figlia; privo d’ ogni umano rimedio s’accosta a Gesù e, “Signore, Gli dice nella più umile e rispettosa maniera, la mia figlia non vive più ma se voi vi degnate venire a porre la vostra mano sopra la stessa, io son sicuro che tornerà in vita”. Sorge il pietoso Salvatore, e lo segue accompagnato da’ suoi discepoli. Facendo strada, ecco una donna da dodici anni languente per un ostinato flusso di sangue, che tra sé va dicendo:se mi riesce toccargli soltanto l’orlo della sua veste, io son sanata.” Così avvenne: toccò la fimbria della sua veste, e guarì sull’istante. Giunto poi Gesù alla casa del Principe, che tutta era in lutto e mestizia, “non è morta, dice Egli, questa fanciulla, ella dorme”. Certi di sua morte gli astanti, presero a scherno le sue parole. Indi entrato nella camera della defunta, la prende per mano, e viva e sana la rende ai suoi genitori. Ecco quanto fu giovevole por quel Principe e per l’emorroissa quella pietà che li fe’ ricorrere al Salvatore. “Pietas ad omnia utilis”… Di questa pietà, da cui, al dir di S. Agostino, derivano tutte le pratiche d’un retto vivere, “pietas, unde omnia recte vivendi ducuntur officia” (Ep. 25), io vengo a parlarvi; potrei mostrarvi di quanto vantaggio sia alla vita umana, alla vita civile, alla vita sociale, alla vita spirituale, alla vita eterna; ma per adattarmi alle strettezze del tempo , e non abusarmi della vostra sofferenza, ve ne darò un piccolo saggio, onde allettati dall’utilità che apporta, vi risolviate abbracciare cosi bella virtù. – Agli occhi del mondo, agli amatori del secolo suol comparire la cristiana pietà in aspetto d’un mostro, che divora i suoi seguaci. A disinganno di costoro, ed a nostra istruzione, eccovi un ritratto dì questa virtù, madre d’ogni retto operare, in quel che avvenne al giovane Tobia (Tob. VI). Giunto questi alle sponde del Tigri, mentre sta lavandosi i piedi, ecco venirgli incontro a bocca spalancata un pesce enorme. Ohimè, Signore, grida spaventato Tobia, aita, m’inghiotte. L’Arcangelo Raffaele sotto le sembianze d’Azaria gli fa cuore, e, prendilo, gli dice, per una branca e trascinalo in sull’asciutto. Ubbidisce Tobia, e trattolo in sull’arena, lo vede, dopo alquanto dibattersi, palpitante a’ suoi piedi. “Dov’è, Tobia, il tuo spavento”? dovette dirgli l’Arcangelo, “tu non sai quanto sia per giovarti quel che tanto ti sbigottì. Sventralo orsù, e metti da parte il fiele: sarà questo l’opportuno rimedio a guarire la cecità del tuo buon genitore: fa altrettanto del fégato e del cuore; una porzione di questi posta sopra accesi carboni ha virtù di scacciare il demonio, e lo scaccerà infatti da Sara tua futura sposa: l’altre parti condite con sale ci serviranno per nutrimento nel nostro viaggio”. Tanto disse l’Angelo a Tobia, lo stesso io dico a voi riguardò alla pietà, alla vita devota. Sembra questa un mostro che divori per le apparenti e mal supposte difficoltà ed asprezze, che v’apprendono i mondani, ma non è così. Appigliatevi alla pietà soda e vera, ad un tenore di cristiana e costante devozione, e una dolce esperienza vi farà conoscere quanto sian vani i timori di chi si lascia sedurre dall’apparenza, vedrete in pratica di quanti beni vi sarà apportatrice. Essa v’aprirà gli occhi a conoscere la vanità delle cose terrene e la grandezza dell’eterne, vi scoprirà la bellezza della virtù e la deformità del vizio, la preziosità dell’anima, l’importanza dell’eterna salute, passerete come il vecchio Tobia dalle tenebre di cecità alla luce d’un nuovo giorno. Essa scaccerà da voi il demonio tentatore, vi farà schivar i suoi lacci, ributtar lo sue suggestioni, vincere i suoi assalti. Essa in fine sarà per voi una sorgente di benedizioni, un mezzo ond’essere provveduti di temporale sostentamento nel viaggio di questa vita mortale. Ve n’assicura, in più luoghi lo Spirito Santo: per chi teme Dio non v’è da temer povertà, “non est inopia timentibus eum” (Ps. XXXIII, 10-11): a chi cerca il Signore non verranno mai meno i sussidi d’ogni bene terreno, “inquirentes Dominum non minueniur omni bono”. Noi vediamo infatti nella divina Storia, che Iddio ha sempre avuta una cura tutta singolare di quei che camminano nelle vie della giustizia e della pietà, o si tratti di liberarli da generali castighi, o di versar sopra di essi le più generose beneficenze. – Se parliam de’ flagelli, la divina giustizia sommerge il mondo tutto nell’acqua di un universale diluvio: vuol salvare una famiglia per conservare l’umana specie. Si salva la famiglia d’un malvagio? No, voi lo sapete, bensì la famiglia del giusto, Noè e tre suoi figli colle rispettive consorti. La sempre giusta ira di Dio fa piover fuoco sulle infami città di Sodoma e di Gomorra. Si vuol liberare dall’incendio fatale un’altra famiglia; sarà quella d’un impudico o quella di un casto? Ognun lo sa, vien liberato Lot colle due sue figlie, perché nella comune corruzione si è mantenuto incorrotto. Se poi si tratti di spandere le sue larghe beneficenze, mirate di grazia su chi il buon Dio le diffonde; sopra i tanto rinomati Patriarchi Abramo, Isacco, Giacobbe, Giuseppe, tutti personaggi santissimi, e nel tempo stesso doviziosissimi, abbondanti d’ogni sorta di armenti, di possessioni, di servi, d’oro, d’argento, e di ogni bene più desiderabile. E giacché di Giuseppe si è fatta menzione, vi prego a condurvi col pensiero là in Egitto nella casa di Putifar a dargli un consiglio. Egli è nel fior dell’età giovanile, chi sa che non ne abbisogni. Si trova questi in terra straniera, in casa altrui, in qualità di schiavo. La sua padrona di esso invaghita gli ha chiesto più volte corrispondenza in amore. Accostatevi al suo orecchio, o politici, voi che sul fondamento della nequizia sperate innalzar la vostra fortuna. “E possibile (par di sentirvi) possibile in te tanta ritrosia? Si vede bene che sei semplice ed inesperto: la tua sorte è fatta se tu sai profittarne. La padrona che t’ama è ricca e potente, se tu la disgusti per uno sciocco tuo scrupolo, tu sei perduto, tu non sai quanto sia da temersi quell’odio che comincia dall’amore; tu non sai che non v’è ira che possa somigliarsi all’ira della donna. Giuseppe non sa di tanta politica, ei teme Dio, ei non v’ascolta, lascia nelle mani dell’ impudica padrona la sopravvesta, e fugge dicendo, “come posso far tanto male e tanta offesa al mio Dio”? Oh! questa volta, voi ripigliate, la pietà non l’indovina. Giuseppe calunniato come tentatore vien posto in ferri, condannato ad un’oscura prigione. La pietà non l’indovina? Aspettate in grazia, ed ammirate i tratti stupendi di quell’altissima provvidenza che protegge i suoi cari. Faraone fa sogni misteriosi, nessun si trova capace a interpretarli, dal fondo della sua carcere si chiama Giuseppe, spiega i sogni, provvede i popoli, salva l’Egitto, ed eccolo innalzato al primo grado del regno, eccolo assiso sopra cocchio reale, acclamato per le contrade di Menfi e di tutto l’impero Salvatore del mondo. Che dite ora, Signori miei? Avrebbe potuto Giuseppe sperar dal peccato un tanto innalzamento? Sarebbe ora egli tanto celebre nella divina storia, tanto a Dio accetto, e quel che il tutto importa eternamente beato? – E pure, voi replicate, più dell’uomo pio è sovente prosperato il malvagio. Chi fa fortuna al mondo? L’usuraio nascosto, il ladro civile, lo spergiuro sfacciato, il prepotente impunibile, il litigante animoso, il superbo fortunato. È vero, sono alle volte prosperati i malvagi, ma per l’ordinario non è durevole la loro prosperità. Io fui giovane, diceva il Reale Profeta, ed ora son vecchio, “iunior fui, etenim senui”, ed ho veduto l’empio esaltato come i cedri del Libano, “vidi impium superexaltatum sicut cedros Libani” (Ps. XXXVI), … fatti alcuni passi son ritornato per rivederlo, non v’era più, “transiti, et ecce non erat”, e ne ho potuto distinguere il luogo , ov’era piantato, “quaesivi eum, et non est inventus locus eius”. Per lo contrario non ho veduto mai l’uomo giusto abbandonato, né i figliuoli andar alla cerca del pane. “Et non vidi justum derelictum, nec semen eius quaerens panem”. – Inoltre gli iniqui sono talvolta felicitati, non già perchè son tali, molto meno per difetto di provvidenza, ma perché Iddio premia in ossi l’atto, o l’abito di qualche naturale virtù. Il sentimento è di S. Agostino, che porta in esempio la Romana Repubblica, da Dio prosperala con tante vittorie fino ad estendere col valor della sue armi dall’oriente all’occidente il suo dominio.A tanta gloria innalzò Iddio quegli antichi eroi con lauta estensione d’impero, perché di lor natura erano sobri, temperanti, fedeli nelle promesse, zelatori della giustizia, umani coi popoli soggiogati. Queste virtù naturali non potevano avere né merito, né premio di vita eterna, perché opere morte di gente idolatra: ond’è che Dio, a Cui piace l’ombra eziandìo della virtù, li ricompensò con beni terreni, con onori mondani, con felicità temporali. – Applicate questa dottrina al caso nostro. Non v’è, come è da credere, al mondo uomo così scellerato che in vita sua non pratichi, o praticato non abbia qualche atto naturalmente buono, come sarebbe soccorrere un miserabile, proteggere un oppresso, assistere un infermo, impedir l’altrui danno, amar la verità, praticar la giustizia.Questi atti naturalmente virtuosi, fatti da chi è in disgrazia di Dio, non son certo meritevoli d’eterno premio, son ombre, sono immagini, son cortecce di virtù, quali Iddio, autore anche d’ogni naturale onestà, non vuol lasciare senza proporzionata ricompensa.A farvi meglio comprendere quest’importante verità, e adattarmi alla capacità di tutti, fatevi tornare a mente ciò che avrete più volte veduto. Allorché un omicida, un assassino vien condannato a morte, tutta la città è in movimento. Vanno a confortarlo in carcere sacerdoti, religiosi, e i più distinti signori, lo provvedono di cibi scelti, di vini preziosi, di squisiti liquori. Nell’uscir poi della sua prigione per andar al patibolo, se lo tolgono in mezzo, l’accompagnano con carità, con tutto rispetto, come personaggio di merito singolare. Ditemi ora, gli fanno queste attenzioni perché è un assassino, perché ha tolta la vita a tanti suoi simili? Non già, e voi lo sapete, così lo trattano, perché loro prossimo e fratello in Gesù Cristo. Laonde come uomo, come prossimo, some fratello riceve tante finezze, e come omicida, come sanguinario, assassino si sospende ad un infame patibolo. – Dite lo stesso degli empi prosperati; come uomini, come ragionevoli creature, che in atto o in abito han praticata qualche naturale virtù, sono da Dio rimuneratore trattali bene nel breve corso di questa vita; come malvagi poi, e come rei saranno dallo stesso Dio, giusto punitore dell’empio e dell’empietà, condannati all’eterno supplizio. Tanto avvenne precisamente al ricco Epulone: ebbe la sua mercede in questa terra, e poi il suo castigo nell’eternità, “recepisti bona in vita tua” (Luc. XVI), gli disse Abramo dal luogo del suo riposo, ove aspettava la risurrezione del Salvatore: “recepisti”, dunque aveva qualche merito nell’ordine di natura, “recepisti bona”, e furono vestir di bisso, o di porpora, seder quotidianamente a lauto banchetto; dopo ciò, perché stato crudele verso il povero Lazzaro, fu sepolto nell’abisso infernale, “mortuus est dives et sepultus est in inferno”. – Dal fin qui detto, discende questo consolanti argomento. Se il nostro buon Dio tanto ama la virtù fino a premiarne la sola apparenza nella persona dei suoi nemici, quanto più largamente ricompenserà la virtù vera, la soda pietà nella persona dei suoi eletti? Così è, così sarà: “beato l’uomo che teme il Signore”, dice il Re Salmista (Ps. I), sarà come un albero piantato in riva a fresca sorgente, che a sua stagione s’arricchirà di frutti, e in tutte l’opere sue sarà prosperato; non così gli empi, non così; ma saranno come polvere, che il vento sbalza da terra, e disperde per l’aria. Camminiamo dunque, fratelli carissimi, nelle vie della giustizia, della devozione vera, della pietà cristiana, e scenderà copiosa sopra di noi la benedizione dell’Altissimo, benedizione foriera di quella ch’Egli comparte ai beati nel suo eterno regno, ove Dio ci conduca.

IL SIGNORE DIO DELL’UNIVERSO E’ sATANA (secondo i fratelli massoni).

IL SIGNORE DIO DELL’UNIVERSO E’ sATANA (secondo i fratelli massoni).

[Ebbene, ti faccio dono di alcuni della sinagoga di satana – di quelli che si dicono Giudei, ma mentiscono perché non lo sono” – Ap. III,9]

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Dal libro di Domenico Margiotta, ex 33° della franco-massoneria ed esponente italiano insigne di questa ignobile associazione a delinquere, “Le Palladisme”, -culte de satan-lucifer dans les triangles maçonniques- estrapoliamo il passo in cui viene riportato il testo di una lettera dai contenuti deliranti di un allucinato 33:. I. Senigagliese. Proponiamo il testo, anche se ributtante per la comune intelligenza umana, per il solo fatto di far comprendere quali “alte e nobili ideologie” circolavano e circolano tuttora nelle retro logge massoniche, frequentate da finanzieri, politici, affaristi e da tempo da falsi prelati di “alto bordo”. Tra questi il celebre Buan 1365/75, Annibale Bugnini, incaricato con altri sei “fratelli” protestanti, compagni di merenda e di loggia, della stesura del testo della blasfema “messa” del “novus ordo”. Così è chiara l’intenzione del nostro insigne liturgista, il massone Buan, per l’appunto, quando ha deciso, con l’approvazione del sommo marrano G.B. Montini, prossimo “santo/dannato” della sinagoga di satana, di imperniare il rito sul “dio, signore dell’universo”, che ancora oggi, tanti poveri ingannati (ma colpevolmente ignoranti), osannano nelle chiese nelle quali un tempo si celebrava la Messa Cattolica, Sacrificio di Cristo, Agnello senza macchia, offerto alla “Sancta Trinitas”. Oggi il Sacrificio viene offerto al “dio, signore dell’universo”, al quale si tributano pure gloria ed onori al “Sanctus”, o meglio al “santo, santo, santo, il Signore dio dell’universo”.

Bugnini

Ecco come il grande prestigiatore Buan 1365/75, d’intesa con il “Patriarca della Massoneria universale”, capo degli “Illuminati di Baviera” del tempo, ha trasformato l’opera divina del Santo Sacrificio della Messa, in un rito abominevole, “l’abominio della desolazione”, durante il quale si omaggia il baphomet-lucifero, al quale si offre il Sacrificio redentivo del Cristo, … per fortuna quasi sempre invalidamente, perché gli officianti, tranne qualche residuo ottuagenario, sono oramai tutti falsamente consacrati. Capisco che la lettura del testo proposto sia raccapricciante, nauseante, ma turiamoci il naso per vedere fino a che punto i nemici di Cristo hanno lavorato nell’ombra per portare anime al loro padre-padrone, che, nella sua “misericordia” infinita [come da satanico giubileo], li attende tutti con sé negli inferi!

“Le PALLADISME, culte de satan-lucifer dans les triangles Maçonniques”- Grenoble. 1895 – Pag. 43-46.

“Il reame della menzogna e dell’orgoglio esiste anche ai nostri giorni come esisteva quando il Figlio dell’uomo venne sulla terra sprofondata nell’errore, per predicare la fraternità universale, stabilire il reame della giustizia e della verità, abolire la schiavitù e spandere dappertutto la luce della libertà.

L’angelo decaduto che odiava l’umanità rigenerata, non potendo più ricevere il suo culto infame in pieno giorno, si è retratto oggi nelle retro-logge. Il culto che si rende a satana, rappresentato dal Baphomet, nelle retro logge, è vergognoso. I profani non possono formarsi un’idea ben netta del ruolo satanico giocato nella società dalla franco-massoneria, la quale era conosciuta nell’antichità pagana sotto il nome di Gnosi. Simon mago, che viveva a Sebaste ai tempi degli Apostoli, è il fondatore di questa religione occulta, divinizzante il principe delle tenebre, religione che è praticata, in pieno XIX secolo nei grandi triangoli luciferini, da una falange di forsennati, presieduti oggi dal celebre ladro Adriano Lemmi. [in precedenza da A. Pike coadiuvato dall’eroe del risorgimento italiano, G. Mazzini ndr.-]. – La stella fiammante che si vede nei templi massonici, porta al centro la lettera “G”.

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Si fa credere agli iniziati che essa sia la prima lettera della parola inglese Good (Dio); ma ai veri eletti, ai Kadoschs (30°) si spiega che la vera parola è “Gnosi”. La franco-massoneria è dunque la discendente diretta della “Gnosi”; ed Albert Pike, il primo pontefice luciferino, predecessore del giudaizzato che troneggia vergognosamente nel palazzo di Paolo V, non ha fatto mistero nell’affermare che lo gnosticismo è l’anima ed il midollo della franco-massoneria. La gnosi era la religione di satana; la franco-massoneria è dunque il culto di satana.

E infine, affinché nessuno possa credere che io abbia un partito preso contro la setta infernale nella quale disgraziatamente ho trascorso, come un cieco, molto tempo, cederò la parola al F:. Ignazio Sinigagliesi 33°:., antico presidente della prima federazione massonica di Palermo, che in uno dei suoi discorsi in seno al Triangolo satanico della valle dell’Oreto, si esprimeva così:

“Satana è il vero Dio! Satana, che i preti hanno vinto con l’astuzia, con la calunnia e l’inganno, è il creatore dell’opera dell’eguaglianza, della civilizzazione e del progresso! Ora, che cos’è Satana per voi, signori della terra? Che cos’è Satana per il Signore dei Cieli, che la vostra immaginazione ha inventato a vostra immagine e somiglianza! A vostra somiglianza! Cos’è il Signore dei Cieli? Un dualista che ha creato dei privilegi e delle preferenze, mentre l’unica sorgente produceva evidentemente l’eguaglianza dell’essere. Cos’è Satana? Un monolista che, ricercando tutto nella materia come opera della creazione, e ritrovando l’essenza nella materia, si dichiara per la materia e non trova né distinzione di gradi, né differenza di origine … Satana è il vero dio! Gloria dunque a Satana, sovrano della materia! … Cos’è dunque il Signore dei Cieli, se non il Dio dei pigri, dei fannulloni e dei vagabondi che immaginano lo spirito e si saziano di materia; che vivono di idee e consumano la realtà? Non c’è spirito senza materia, essi sono identificati l’uno con l’altro, ebbene, il Signore dei Cieli è il Dio del niente, mentre Satana, al contrario, è il Dio dell’Universo!

Il Dio dell’Universo, perché egli comprende in un solo essere spirito e materia, l’uno non potendo sussistere senza l’altro solo questi, per noi, deve essere il Dio che governa entrambi, e questi è Satana! … il Signore dei Cieli è colui che non da nulla e prende tutto! Colui che dice che tutto gli appartiene, perché è lui che ha creato tutto, e che tutto deve tornare a lui. Ma quello che il Signore dei Cieli afferma con tanto orgoglio è vero? Se il concorso di Satana non lo avesse aiutato in questa occorrenza, avrebbe mai potuto creare tutte le cose? Se la materia non era congiunta allo spirito, su cosa avrebbe fondato il diritto di proprietà? Se la luce non fosse sposata alle tenebre, e viceversa, da dove sarebbe venuto il giorno e la notte? Se l’architetto non avesse avuto l’artigiano per aiutarlo nella costruzione, si sarebbe edificato l’edificio? – E perché Abele sarebbe morto e Caino sarebbe vissuto, se entrambi avevano contribuito all’opera della creazione? È Abele che morì, perché egli offriva in olocausto al Signore ciò che la natura produceva da se stessa, ed in cui l’arte del fabbro non aveva nulla a che fare. Caino, al contrario, conservava la vita, perché era capace di popolare la terra e di stupire per la sagacia del suo spirito e del suo braccio. Ma Caino si maritò e creò, aiutato dalla sua compagna, e fu nel contempo architetto ed operaio. È l’intelligenza ed il lavoro che formeranno l’opera della creazione! … – Satana e Caino non rappresentano dunque che lo stesso simbolo. E se essi sono gli artigiani che da soli potevano creare senza il soccorso del Dio dei Cieli, qual è il maestro del Signore dei Cieli o di Satana e Caino? Il Signore dei Cieli diverrebbe un accessorio. Egli non avrebbe fatto altro che migliorare l’opera della creazione; perché questa esisteva da se stessa, e non avrebbe avuto altro diritto se non quello di reclamare un salario o una ricompensa, e non di usurpare l’impero assoluto. Per questo motivo, due dovrebbero essere gli dei degni di venerazione e di rispetto: il Signore dei Cieli che, per la sua intelligenza, ha contribuito al perfezionamento dell’opera di Satana, ma Satana restava l’inventore dell’opera. Perché se un solo Dio deve avere tutti gli onori per se stesso, il Dio più autentico è Satana, la cui opera può sussistere senza il soccorso detto Signore dei Cieli. Gloria dunque a Satana, l’artigiano, il Dio. Il Signore dei Cieli è un usurpatore! – Lui che viveva nell’ozio dell’estasi dello spirito e dell’intelligenza, non avendo nulla da fare, complottò per la rovina e la distruzione del compagno”.

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Albert Pike, insieme all’infame Mazzini, fondatore del culto luciferino del Palladismo, massoneria di grado superiore.

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È questa una delle questioni più importati ancora oggi dibattute con gravità nelle retro logge, ove si abbeverano di illuminata “saggezza” tanti governanti, presidenti, monarchi, finanzieri, imprenditori, generali, scienziati, artisti, letterati, giornalisti, opinions leaders, premi Nobel, etc. etc. … ah dimenticavo, … tanti prelati, patriarchi, “finti” cardinali “et ultra”, mufti, etc. etc. Ecco in quali mani siamo finiti dal momento che … non vogliamo che Costui regni su di noi”, e … non Questi, ma Barabba”. Che Iddio Onnipotente, … quello vero, naturalmente, ci salvi da questa generazione perversa, e la Vergine Maria, quanto prima, trionfi con il suo Cuore Immacolato …

“Et tu, Domine, deridebis eos; ad nihilum deduces omnes gentes” [Ps. LVIII-9]

 

E. Barbier: i tesori di Cornelio Alapide: PROVE

[Da: E. Barbier – “I tesori di Cornelio Alapide”, vol. III, 3° ed. SEI, Torino 1930]

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PROVE

  1. Che cosa sono le prove e loro necessità. — 2. Le prove ci vengono da Dio. — 3. In qual modo Dio ci provi, e perché. — 4. Buon indizio è per un cristiano l’essere messo alla prova. — 5. Dio non abbandona l’uomo soggetto alle prove. — 6. Le prove fanno conoscere quello che siamo. — 7. Le prove sono spesso grandi e sempre molteplici. — 8. Vantaggi delle prove. — 9. Gesù Cristo e i Santi, modelli nelle prove. — 10. Le prove sono un eccellente rimedio. — 11. Le prove sono la porta del cielo. — 12. Disgraziati quelli che non hanno prove.

.1. Che cosa sono le prove e loro necessità. — Il vocabolo prova si presta a molti significati. Mettere alla prova, vuol dire 1° riguardare; 2° indagare, scrutinare; 3° discernere; 4° appurare e sceverare quello che è puro da quello che non lo è; 5° giudicare; 6° scegliere e ricompensare, rigettare e punire. – « I giorni sono cattivi » dice il grande Apostolo (Eph. V, 16). I giorni di questa vita sono miserabili, pieni di prove penose, di tentazioni, di pericoli. Perciò Gesù Cristo dice in S. Matteo: « Basta a ciascun giorno il suo male » (VI, 34), che vuol dire: basta a ciascun giorno la propria afflizione e miseria. I giorni sono cattivi, cioè incerti, mobili, brevi, pieni di cure, di distrazioni, d’insidie, di nemici. Senza prove e senza tentazioni, dice il Crisostomo, non vi è corona; senza combattimento non si dà vittoria; senza patimento non si ottiene perdono. Non c’è inverno senza estate. Il grano seminato su la terra ha bisogno della pioggia, del freddo, del caldo per macerarsi e per cambiarsi in spiga alla primavera (Homil. IV, de divit. et paup.). La cera deve provare l’azione del fuoco per ricevere l’impronta del sigillo, e così pure, l’uomo, perché sia segnato con l’impronta della grazia celeste e della divinità, ha bisogno delle prove, del lavoro, delle infermità, delle tentazioni, ecc… Quello che è lordo di terra, di ruggine, di scoria, d’immondizie, richiede il fuoco per essere purificato, nettato, brunito…

  1. Le prove ci vengono da Dio. — S. Agostino insegna che le prove le quali ci affliggono, non vengono né dagli uomini né dal demonio, ma da Dio che si serve degli uomini o dei demoni per castigarci o purificarci, come adoperò Satana per provare Giobbe. Dio flagella i suoi figli per disciplinarli e correggerli; flagella i riprovati affinché siano puniti ad esempio degli altri (In Psalm. XXI). « Io vi porrò un freno, dice il Signore per bocca di Isaia, affinché non andiate perduti » (XLVIII, 9). Questo freno sono le prove; esse sono dunque un regalo di Dio, e partono dalla sua benevolenza per noi, sono un frutto della sua beneficenza che vuole domare, arrestare e sterpare le malvagie e pericolose nostre tendenze. È al contrario segno evidente della collera di Dio se nessun freno Egli mette alle perverse inclinazioni dell’uomo, se lo lascia scapricciare e scapestrare a talento, come cavallo indomito, non frenato da morso, non guidato da briglia. – Le avversità sono spesso, per parte di Dio, dono assai più prezioso che le prosperità, e riescono molto più salutari; inoltre, l’amore che si porta a Dio molto più puro si mostra in mezzo alle strettezze che non fra l’abbondanza. Dio è assai più perfettamente amato su la croce e nelle afflizioni, che tra le consolazioni e le delizie. Nelle prove l’amore carnale e sensuale non trova da amare nulla di quello che ama nelle delizie. Perciò quando si ama Dio su la croce, lo si ama di un amore spirituale e puro, perché non si ama altro che Dio solo. Dalla croce e dal puro amor di Dio su la croce, noi impariamo ad estendere questo medesimo amore tutto puro e celeste alle cose terrene, alle ricchezze, ai piaceri; alle prosperità di ogni sorta, affinché non amiamo in esse che Dio solo. Perciò S. Gregorio Nazianzeno diceva: Io do lode e ringraziamento a Dio non meno nelle ambasce che nelle allegrezze, perché tengo per fermo che Dio, suprema ragione, opera per noi a nostro vantaggio.
  2. In qual modo Dio ci provi, e perché. — « Voi ci avete provati, o Signore, esclama il Profeta, ci avete saggiati col fuoco come si saggia l’argento » (Psalm. LXV, 10); e altra volta: « Signore, io porto il peso della vostra collera, il mio cuore è nell’affanno. I flutti dell’ira vostra mi passarono sopra, i vostri terrori mi accasciarono; si riversarono su di me come torrente straripato, e m’investirono » (Psalm. LXXXVII, 16-18). E il Savio dice: «Li ha provati come oro nel crogiuolo, li ha ricevuti come vittime in olocausto; risplenderanno nel giorno in cui li visiterà; brilleranno come fiamma appresasi ad arido canneto » (Sap. IlI, 6-7). Ci narra il Genesi che Iddio volendo far prova di Abramo, gli disse: « Prendi l’unico tuo figlio che tanto ami, Isacco, e va nella terra della visione, e là l’offrirai in olocausto sopra uno dei monti che t’indicherò » (Gen. XXII, 1-2). « Come il fornello prova l’argento e il crogiuolo saggia l’oro, così il Signore prova i cuori », leggiamo nei Proverbi (XVII, 3). –  Il Signore prova i cuori degli uomini esaminandoli… 1° per mezzo della sua legge e dei suoi precetti, per mezzo dei dottori e dei predicatori…; 2° per mezzo delle tribolazioni; 3° con le tentazioni. Ma perché provarci in tante maniere? Perché ci ama, risponde egli medesimo nell’Apocalisse: (Apoc. IIII, 19): « Quelli che io amo, questi riprendo e castigo»; perché correggendoli e castigandoli li affina e purifica in modo che in loro non resta più nessuna macchia di peccato. Questo vuole indicare il Salmista con quel verso: « Avete provato il mio cuore, o Signore, e visitato durante la notte; mi avete fatto passare per il fuoco della tribolazione, e non fu più trovato in me peccato » (Psalm. XVI, 3). «Indugiando Iddio a mostrarcisi, osserva S. Agostino, dilata e ingrandisce il nostro desiderio, crescendo il desiderio ingrandisce e dilata l’animo, e lo rende maggiormente capace a riceverlo ». – Gesù Cristo mette alla prova i suoi: 1° per aumentare i loro meriti…; 2° per mantenerli bassi…; 3° per dare loro un mezzo da espiare i peccati…; 4° per fare luogo ad una più solenne manifestazione dell’azione di Dio; come chiaramente si scorge in Lazzaro, nei Martiri, negli Apostoli, nella Chiesa, ecc. “Io mi alzai frettolosa per aprire al mio diletto, diceva la Sposa dei Cantici; ma quando ebbi aperta la porta, egli era già passato e avviato per altro sentiero; corsi al luogo donde aveva udito partire la sua voce, ma più non c’era; l’ho chiamato, ma non rispose; l’ho cercato, ma non l’ho trovato” (Cant. V, 5-6). Così fa Iddio con i suoi servi ed amici per eccitarli a desiderarlo e cercarlo. Inoltre egli li cimenta con prove e persecuzioni diverse, per innalzarli all’onore della virtù e della gloria… Egli mortifica e vivifica (1 Reg. II, 6); percuote per emendare. « Tutta la severità di Dio, scrive Sant’Ambrogio, ha per iscopo di punire le colpe de’ suoi con le tribolazioni, di conservare la loro anima, di distruggere i loro vizi, di fomentare nel loro cuore le virtù più elette ». La prova è per il cristiano come la tempesta per il pilota, la lotta per l’atleta, il combattimento per il soldato. – Nulla accade al fedele senza che Dio lo permetta o voglia; e la sua volontà consiste nel correggerlo de’ suoi difetti, nel rinvigorirlo nella virtù e nella pazienza, per accrescerne la corona in cielo. È questa la ragione per cui permise che il giusto Abele fosse ucciso dall’empio fratello; provò Abramo ordinandogli di sacrificare il figlio Isacco; provò Giuseppe, permettendo che fosse venduto dai fratelli; provò Mosè ed il popolo d’Israele, lasciandoli opprimere dalla tirannia di Faraone; provò Davide abbandonandolo all’odio di Sanile; provò la casta Susanna, permettendo che fosse esposta alle nere calunnie dei due vecchioni; che Geremia fosse imprigionato; che Daniele fosse gettato nella fossa dei leoni. Assennatissime sono pertanto le parole rivolte da Giuditta ai seniori di Betulia, per incoraggiarli a continuare la resistenza contro l’assedio degli Assiri: I padri nostri, disse ella, furono soggettati alla tentazione come ad una prova, affinché si vedesse se era sincero il culto loro verso Dio. Si rammenti il popolo del modo con cui il padre nostro Abramo fu provato con molte tribolazioni e divenne l’amico di Dio; così Isacco, Giacobbe, Mosè e quanti furono cari a Dio, si mostrarono fedeli in mezzo a molte tribolazioni: al contrario, tutti quelli che non hanno ricevuto le prove nel timor di Dio e si mostrarono impazienti e mormoratori contro il Signore, caddero sotto la spada dell’Angelo sterminatore e perirono morsi dai serpenti. Non c’impazientiamo dunque per i mali che soffriamo; ma considerando che questi tormenti sono da meno dei nostri misfatti, e che siamo puniti come servi, crediamo che Dio vuol emendarci, non perderci (Iudith. VIII, 21-27). Ah sì. Dio ci manda delle prove, 1° per ammollire la nostra volontà ribelle, abbattere il nostro orgoglio, e sforzarci a sottometterci a Lui; 2° per punirci delle nostre trasgressioni; 3° per distruggere in noi il vecchio Adamo; 4° per condurci alla pazienza; 5° per renderci simili a Gesù Crocifisso. –  «In mezzo alla tribolazione, dice il Signore per bocca di Osea, si affretteranno di venire a me. Venite e ritorniamo al Signore; Egli ci ha feriti ed Egli ci guarirà, ci ha percossi ma ci curerà, ci renderà alla vita, ci risusciterà, e noi vivremo nella sua presenza » (Osea. VI, 1-3). S. Agostino commentando queste parole di Osea, dice: « Ecco la voce del Signore: Io percuoterò e sanerò: recide la purulenta enfiagione dei nostri misfatti e guarisce il bruciore della ferita. Così fanno i medici: aprono, tagliano, bruciano e sanano; si armano per ferire, portano il ferro e vengono per guarire ». Le prove sono come frecce lanciate dalla mano divina, per richiamare a Dio ed alla loro salvezza gli uomini che fuggono e corrono alla loro rovina. Agitati, trapassati, umiliati, atterrati da queste frecce salutari, essi depongono il loro orgoglio, riconoscono le loro colpe e dimandano col cuore pentito perdono al Signore; e il Signore li risparmia; loro perdona a cagione delle loro suppliche, e se li stringe al cuore con la tenerezza di una madre: come appunto dice il Salmista in quel versetto : « Le tue saette, o Signore, mi si piantarono nelle carni per ogni lato, la tua mano si è aggravata sopra di me » (Psalm. XXXVII, 3). Perciò S. Agostino vede in Dio un utile e caritatevole medico il quale si serve delle prove, come di prezioso ed efficace rimedio, a guarirci dei nostri vizi. « Posto sotto l’azione del rimedio, tu sei bruciato e tagliato, dice questo santo Dottore, tu mandi lamenti e grida, ma il medico non si conforma al tuo volere, e fa quello che la tua sanità richiede. Bevi quell’amaro calice, che tu medesimo ti sei manipolato; bevilo affinché tu viva ». – Le prove c’insegnano a distaccarci dal nulla del mondo e ad attaccarci ai soli veri beni; ci aprono, secondo la frase di S. Gregorio, le orecchie del cuore che la prosperità di questa terra bene spesso introna e assorda. S. Gerolamo osserva che Dio toglie non di rado ai peccati il loro diletto e ne priva i peccatori, affinché non avendo voluto conoscere Iddio nella prosperità, lo conoscano nell’infortunio, e avendo fatto cattivo uso delle ricchezze, ritornino alla virtù per mezzo della povertà, cioè siano in certo modo costretti, a ritornarvi. S. Agostino poi vede un gran tratto della misericordia divina, quando Dio permette che noi siamo provati dalla tribolazione; esercitando la fede col differire il soccorso, non si rifiuta dal venirci in aiuto, ma pone in movimento il desiderio (Serra. XXXVII, de Verb Doni.).
  3. Buon indizio è per un cristiano l’essere messo alla prova. — Le prove non abbattono e non opprimono se non coloro che non sanno sostenerle. I più valenti soldati vengono scelti per le congiunture in cui vi è più bisogno di energia, di coraggio, d’eroismo; vengono designati per le imprese importanti e decisive; e cosi pure Iddio elegge, per inviarli alle più gagliarde prove, quelli che più ama; esempio ne sono: Mosè, Giobbe, Tobia, gli Apostoli, i Martiri, i Santi più celebri in ogni stato e professione. 1° Sappiano i cristiani, e siano intimamente convinti che le prove sono un segnale non della collera di Dio, ma del suo amore, perché mostrano l’elezione e la figliazione divina. Questo c’insegna Iddio per bocca di Zaccaria: « Io li farò passare per il fuoco e li porrò al cimento come si pone l’argento e l’oro; e allora essi invocheranno il mio nome, ed Io esaudirò la loro preghiera. Io dirò: questo è il mio popolo; ed essi esclameranno: il Signore è nostro Dio» (Zach. XIII, 9), e per bocca di S. Giovanni con quelle parole: « Io riprendo e castigo quelli che amo » (Apoc. III, 19). Questo disse l’Angelo a Tobia divenuto cieco: « Perché tu eri accetto a Dio, bisognò che fossi provato con la tentazione » (Tob. XII, 13). Questo ripete S. Paolo scrivendo agli Ebrei : « Il Signore castiga coloro che ama, e percuote tutti quelli che riceve per suoi figli. Nei castighi tenetevi fermi e di buon animo. Dio vi tratta da figli: e dov’è il figlio che non sia corretto dal padre? Che se voi siete fuori del castigo cui tutti i figli vanno soggetti, mostrate di essere frutti di adulterio, non figli legittimi. E poi, non abbiamo noi forse avuto per educatori i padri nostri secondo la carne, e non li abbiamo noi avuti in riverenza? a ben più forte ragione dunque dobbiamo obbedire e riverire il Padre degli spiriti, se vogliamo vivere. Quei primi ci castigarono per qualche tempo, come loro talentava, ma questo ci castiga secondo che è utile, affinché partecipiamo alla sua santità. Ogni castigo pare, al presente, un motivo di tristezza e non di gioia; ma in seguito, produce a quelli che lo sopportano, frutto di giustizia pieno di pace » (Hebr. XII, 6-11). – 2° Intendano e si persuadano i cristiani, che le prove per se stesse, non che ferire e nuocere, purificano e perfezionano coloro ai quali avvengono. « La fornace cuoce e indura le stoviglie, dice l’Ecclesiastico, e la prova della tribolazione tempra e raffina l’uomo giusto » (Eccli. XXVII, 6). Le prove sono, dice S. Agostino, un rimedio che porta salute, non una sentenza che porta condanna (Sent. CCIV). S. Giovanni Crisostomo, parlando di Giuseppe il quale sopportò generosamente e vittoriosamente ogni genere di prove, fa rilevare che quaggiù Iddio non suole liberare dalle prove e dai pericoli le persone più virtuose, ma dimostra in esse la sua potenza, perciocchè le prove riescono per loro un’occasione di alta gioia e di grande merito, secondo quel detto del Salmista: «Signore, nelle tribolazioni voi mi avete fatto grandeggiare » (Psalm IV, 2 — Homil. de Cince). Questo ci apre il senso di quelle parole di S. Gregorio Papa: « Non appena la luce divina batte sul cuore umano, tosto il demonio vi solleva tempeste, non mai provate per l’innanzi da quel cuore, finché giaceva nelle tenebre ». Tanto meno dobbiamo mormorare contro le prove, quanto più siamo assicurati che esse sono un pegno dell’amore paterno di Dio. L’avversità è un segno certo, è una caparra immancabile della divina elezione, e per essa l’anima è fidanzata a Gesù Cristo, per unirsi a Lui in divino connubio. Bisogna dunque conchiudere che le prove sono piuttosto da invidiare e da desiderare, anziché da fuggire. I vasi dello stovigliaio, ricevuto che hanno la forma voluta e designata, non direbbero essi, se fossero capaci di pensiero, di desiderio, e di parola, che il padrone li metta nella fornace a cuocere e diventare solidi? Così i giusti, corretti dalla grazia di Dio, desiderano che il fuoco delle prove bruci e consumi quello che vi è in loro di impuro, che li consolidi e perfezioni nella virtù.
  4. Dio non abbandona l’uomo soggetto alle prove. — « Iddio, leggiamo nella Sapienza, non abbandona il giusto; lo scampa alle insidie dei peccatori, e discende con lui nel pozzo delle tribolazioni; lo toglie dalle mani di quelli che l’opprimono, non gli si leva dal fianco quando è in catene; entra nell’anima del suo servo; gli paga il prezzo dei suoi lavori, lo guida per una via miracolosa, gli fornisce immancabilmente tetto e lume » (Sap. X, 13-17). Quando il popolo di Dio, schiavo in Egitto, fu oppresso di lavoro da Faraone, Dio inviò Mosè a liberarlo. Il soccorso di Dio allora più si mostra, quando più abbondano le traversie. « Il Signore, dice S. Pietro, sa liberare i giusti dalle prove » (lI Petr. II, 9). E infatti, ecco Noè, scampato dalle acque del diluvio; Lot, dal fuoco di Sodoma; Abramo, dai mali esempi dei Cananei; Giacobbe, dall’ira di Esaù; Giuseppe, dalle mani dei suoi fratelli e dal carcere; Mosè e gli Ebrei, dal furore di Faraone, dalle onde del Mar Rosso, dalla fame e dalla sete; Davide, dalla lancia di Saulle; Susanna, dalle calunnie dei vecchioni; Daniele, dai denti dei leoni; i tre giovani, dalle fiamme della fornace; Mardocheo, dal capestro di Amano; Giuditta, dal potere di Oloferne; il giovine Tobia, dall’assalto del demonio; Giuda Maccabeo, dalle armi di Antioco; Elia, dalla rabbia di Gezabele; S. Pietro, dal carcere e dalle catene. Più le prove sono terribili, e più Dio ci sta vicino. Questa verità già proclamava il Salmista in quel versetto : « Gravi tribolazioni stanno riservate per i giusti, ma il Signore li libererà da tutte » (Psalm. XXXIII, 20). Perciò il Signore ci dice: « Invocatemi, nel giorno della tribolazione ed io vi libererò, e voi mi onorerete » (Psalm. LXIX, 15). « Chi griderà a me Io l’ascolterò; sarò con lui nelle sue tribolazioni, lo salverò e lo rivestirò di gloria » (Psalm. XC, 15).
  5. Le prove, fanno conoscere quello che siamo. — Vi sono due occasioni nella vita, nelle quali ogni uomo vede chiaramente che cosa vi è nel cuore umano; e queste sono l’occasione di operare in segreto ed il momento delle prove. Molti sono cattivi interiormente, e buoni all’esterno; ora fate che venga il caso in cui possano peccare, senza timore di essere scoperti, e allora la corruzione e la malizia loro dà fuori e si palesa all’aperto. Così pure nel tempo della prosperità riesce difficile discernere i cattivi dai buoni, ma, posti al fuoco delle prove, l’oro splende e la paglia fuma. Allora i cattivi s’istizziscono, si ribellano, mormorano, bestemmiano; i buoni, all’opposto, si sottomettono, si rassegnano, pregano, praticano la pazienza e la dolcezza. Al primo genere di prove accenna il Salmista con la frase: Mi avete visitato durante la notte, cioè quando aveva l’occasione di peccare in segreto; al secondo con quell’altra: Mi avete fatto passare per il fuoco della tribolazione, per una prova scottante. Ed avendo egli saputo vincere nell’uno e nell’altro caso, aggiunge (Psalm. XVI, 3). Chiunque nei sopraddetti due casi sa conservare, come il re Profeta, l’anima e la virtù sua, può dire con lui: « Nessuna iniquità si trova in me ». Nel crogiuolo, dice S. Agostino, l’oro si purifica, la paglia è bruciata (In Psalm. LXI). Il pilota, dice Seneca, si fa conoscere nella tempesta, ed il soldato nella zuffa (Lib. de Provv.).
  6. Le prove sono spesso grandi e sempre molteplici. — Il santo e famoso patriarca Abramo dieci volte, e sempre fortemente, fu provato da Dio: 1° Dio gli intima che abbandoni patria, parenti e amici, e vada come straniero in terra sconosciuta. 2° Al tempo di una carestia, gli ordina di andare in Egitto. 3° Faraone gli toglie la moglie, la quale è esposta a perdere la castità, mentr’esso corre rischio di perdere la vita. 4° È costretto a separarsi da Loth, suo nipote carissimo, a cagione delle risse scoppiate fra i loro servi. 5° È obbligato ad ingaggiare una zuffa ostinata e pericolosa per liberare Loth caduto prigioniero. 6° Stimolato da Sara, si vede spinto a dover cacciare di casa sua Agar ch’egli aveva sposato, e che già stava in procinto di renderlo padre di un figlio. 7° Già avanzato negli anni, è costretto a sottoporsi alla circoncisione. 8° Il re Abimelec gli ruba Sara sua moglie. 9° È obbligato una seconda volta da Sara, per ordine del Signore, di bandire Agar con suo figlio, Ismaele. 10° Dio gli comanda d’immolare il figlio suo Isacco. E siccome quest’ultima prova fu la più tremenda, solamente questa Mosè chiama col nome di tentazione, “Udite quest’ordine doloroso, ciascuna delle cui parole è al cuore di Abramo un colpo di spada, una crudele prova. Prendi, Abramo, l’unigenito tuo, l’amore del tuo cuore, e va ad immolarlo su quel monte che sarò per indicarti” (Gen. XXII, 2). 1° Prendi non uno sconosciuto, uno straniero, ma tuo figlio; 2° tuo figlio unico; 3° tuo figlio che tanto teneramente ami, e tanto devi amare; 4° il tuo figlio Isacco, cioè la tua gioia; 5° tu l’offrirai; il Signore non gli dice: tu lo farai immolare per mano straniera, ma l’immolerai tu medesimo con le tue proprie mani. E a tale ingiunzione, Abramo poteva pure rispondere: dove sono, o Signore, le vostre promesse? ma egli non muove labbro; 6° l’offrirai in olocausto, affinché nessuna parte del suo corpo rimanga presso di te, suo padre; ma il tuo Isacco tutt’intero sia ridotto in cenere e scompaia; 7° prendilo subito, senza indugio; non ti si concede ritardo nell’esecuzione. – La madre dei Maccabei imita Abramo. E quanti altri santi uomini ed eroiche donne non furono sottoposti a uguali prove! Quando mai noi fummo posti a così crudeli strette? Eppure osiamo lamentarci!
  7. Vantaggi delle prove. — « Noi non siamo passati per il fuoco e per l’acqua, dice il Profeta, e voi, o Signore, ci avete condotti in luogo di refrigerio » (Psalm. LXV, 12). « Io ho trovato dappertutto tribolazioni e dolori; perciò ho invocato il nome del Signore » (Psalm. CXIV, 3). « Signore, voi mi avete provato e conosciuto » (Psalm. CXXXVIII, 1). Le tribolazioni, le prove, le croci, fanno a pro delle anime fedeli quello che il fuoco fa all’oro, la lima al ferro, il vaglio al grano. – Sottoposto S. Paolo a dure prove e a terribili tentazioni, scongiura il Signore che lo liberi. Ma avendogli il Signore risposto: Ti basta, o Paolo, la mia grazia; perché la forza nella debolezza si perfeziona, l’Apostolo soggiunge : « Volentieri mi glorierò adunque delle mie infermità, affinché in me dimori la forza di Cristo. Perciò mi compiaccio e gioisco nelle mie debolezze, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle ambasce per Cristo; perché quando appaio debole, allora sono forte » (II Cor. XII, 9-10). – Chi meglio di Gesù conosceva quello che tornava più vantaggioso all’uomo? Or bene, sapete voi in che cosa egli posò i più grandi beni e vantaggi dell’uomo? Andate a meditare il sublime suo sermone del monte, e vedrete che Egli li fa consistere in otto prove le quali chiamò beatitudini, appunto per le grandi utilità che da esse derivano… Le prove sono avvertimenti che hanno lo scopo di conservarci nella grazia e nella virtù, di preservarci dal peccato e dall’inferno, di assicurarci l’eterna salute.  « L’oro e l’argento sono saggiati al fuoco, dice il Savio, e le anime  care a Dio passano per la fornace dell’umiliazione » (Eccli. II, 5). Come il fuoco non nuoce all’oro, ma gli è vantaggioso, perché lo prova, lo purifica, lo forbisce e lo rende più lucente, così il crogiuolo delle prove, delle umiliazioni, delle afflizioni, mette al cimento colui che le sopporta, lo purifica, lo perfeziona, lo illustra, lo rende accetto a Dio e degno di lui… S. Bernardo mette in rilievo che tre cose propone Gesù Cristo, l’Angelo del gran consiglio, all’anima ragionevole fatta ad imagine della Trinità Santissima: e sono la servitù, l’annientamento, le spine. La servitù, nell’abnegazione di se stesso; l’annientamento, nel portare la croce; le spine, nell’imitazione di Gesù Cristo; e gliele propone affinché l’anima, dallo stato di una triplice felicità decaduta, si rialzi dalla sua triplice miseria per mezzo dell’obbedienza e dell’umiltà nell’afflizione. Poiché essa era caduta di per se stessa dalla società degli Angeli e dalla visione di Dio, cioè dalla libertà, dalla dignità, dalla beatitudine. Ascolti dunque il consiglio che le è dato, affinché rinunziando a se stessa, cioè alla propria volontà, ricuperi la sua libertà; portando la sua croce, cioè crocifiggendo la propria carne con le concupiscenze sue, ritorni, per il bene della continenza, nella società degli Angeli; seguendo Gesù Cristo, cioè imitando la sua passione, ritrovi la visione della sua chiarezza; poiché se noi patiamo con Lui, regneremo anche con Lui (Serm, in Cant.). Non si poteva meglio che con queste parole mostrare l’intima ragione e la molteplice utilità delle prove. – Le prove sono la verga di Dio; esse fanno di noi un frumento degno dell’aia del Signore, sceverandoci dalla paglia… Dice S. Agostino: « Nella fornace la paglia brucia, l’oro si purga; quella si converte in cenere, questo si spoglia della scoria. La fornace figura il mondo; l’oro, i giusti; il fuoco, le prove, le tribolazioni, le avversità; il fornaciaio, Iddio. Io faccio quello che vuole il fornaciaio, e dov’egli mi colloca, io rimango. È mio dovere il sopportare tutto pazientemente, Egli sa come purgarmi. Bruci pure la paglia per incendiarmi e consumarmi, io mi adatto; essa viene ridotta in cenere, ed io resto purgato di ogni bruttura. Nessun servo di Gesù Cristo va esente da prove; se tu t’immagini di poterne fare senza, non hai ancora cominciato ad essere cristiano. Le prove interiori ed esteriori preparano la glorificazione del peccatore; sforzano il riluttante, istruiscono l’ignorante, proteggono il debole, stimolano il tiepido, custodiscono quello che corre e iniziano a quella morte che è il cominciamento della vita eterna ». – Beato l’uomo che è provato da Dio! Non rigettiamo dunque le prove alle quali ci sottopone, perché egli ferisce e risana, percuote e salva… Questo ci assicurano i suoi inspirati; Dio ha moltiplicato sopra di loro le prove, le infermità, le croci, diceva già il Salmista, e dopo queste essi avanzano a grandi passi per il buon cammino (Psalm, XV, 4). Le acque, dice Giona, mi assalirono così impetuose ed alte, che mi cacciarono fino alle porte della morte; l’abisso mi ha ingoiato, l’oceano mi seppellì ne’ suoi gorghi. Quando l’anima mia fu tutta concentrata in me, io mi ricordai di Voi, o Signore, e la mia preghiera fu esaudita; voi avete parlato al pesce, ed esso mi ha rigettato sul lido (Ion. II, 6, 8-11). « I sapienti del popolo, dice Daniele, cadranno sotto il fendente delle spade, tra le fiamme ed in prigione. E cadranno, affinché siano rinnovati e scelti e purificati » (Dan. XI, 33, 35). Il profeta Malachia raffigura Iddio al fuoco che divora, all’erba dei gualchierai; e lo presenta come seduto al fornello dove purga i figli di Levi, come si purifica l’oro e l’argento nel crogiuolo (III, 2). – In mezzo alle prove, bisogna mantenere sempre l’anima tranquilla, essendo certo che il soccorso divino arriva quando manca ogni aiuto umano… Inoltre la virtù messa al cimento ingigantisce, dice S. Leone (Serm.). Perciò quel detto del Dottore di Chiaravalle: « Più siete provati, e più vi arricchite » (In Sentent.). Il medesimo Santo poi osserva ancora, che dalle tribolazioni ricaviamo tre principali beni: l’esercizio, affinché la virtù non si intiepidisca per l’accidia e la noncuranza; il patimento, affinché la forza della nostra costanza sia esempio ed incoraggiamento degli altri; la ricompensa, affinché il peso della gloria aumenti in ragione della gravità delle prove (Sentent.). Assennatissime pertanto e sempre da ricordare sono quelle parole di Giuditta : « Non inquietiamoci per i mali che soffriamo, ma considerando che questi mali sono molto più lievi di quelli che meriterebbonsi i nostri peccati, e che noi siamo castigati come servi, teniamo per certo che Dio vuole correggerci, non perderci » (Iudith. VIII, 26-27). – « Per quelli che amano Dio, tutto riesce a bene », dice il grande Apostolo (Rom. VIII, 28). Il cristiano non deve mai dimenticare un istante queste parole. Nella povertà, nelle malattie, nelle persecuzioni, nelle calunnie, nei naufragi, negli incendi, negli smarrimenti, nell’esilio, nella morte, ricordi che ogni cosa torna a vantaggio di chi ama Dio. In ogni genere di prove, il vero cristiano deve dire a se stesso: Io sono certo che nulla può succedermi di penoso, di disgustoso, di amaro, di crudo, che non sia anticipatamente regolato secondo l’ordine paterno della Provvidenza. Io sono sicuro che né gli uomini, né i demoni, né le creature tutte potranno giammai provarmi oltre quello che Dio vuole, che ha preveduto, ed oltre il potere ch’Egli ha loro concesso, perché tutto volga a mio vantaggio. Qualunque prova dunque piaccia a Dio mandarmi, io l’accetto, non mi vi rifiuto, non indietreggio; perché altra cosa io non voglio fuori della santa volontà di Dio; deh! si compia essa pienamente in me ed in tutte le creature. Non cade infatti un capello dalla nostra testa senza il volere di Dio. Sottomettermi ad esso in tutte le prove, le avversità, le afflizioni, i dolori, le croci, è mio sommo vantaggio; è il vero mezzo di tesoreggiare per l’eternità e di essere felice in questa vita…
  8. Gesù Cristo e i Santi, modelli nelle prove. — Ogni vero cristiano deve bere il calice delle prove; gli è necessario tracannarlo, se vuole guarire e vivere. E perché nessuno dica: Non posso bere, non mi regge l’animo d’appressarvi le labbra, non lo berrò, Gesù Cristo, pieno di sanità, Gesù Cristo, l’innocenza e la santità in persona, l’ha sorbito egli il primo, fino alla feccia; sì, l’ha bevuto, affinché noi, miseri infermi, coperti di ferite e di piaghe, carichi di peccati, oppressi dai debiti, lo beviamo per guarire, cancellare i peccati, ricuperare l’innocenza, pagare i debiti, assicurarci il cielo, dove nulla di macchiato può entrare. Quale amarezza vi è in questo calice delle prove, che Gesù prima di noi non l’abbia assaggiata? Si tratta torse di disprezzi e d’ingiustizie? Egli ne fu abbeverato quando, cacciati i demoni dagli ossessi, sentì dirsi da’ suoi nemici: Nel nome di Belzebù costui mette in fuga i diavoli: sono amari i patimenti, i dolori? Egli fu legato, flagellato, incoronato di spine, inchiodato su la croce. È amara la morte? Ci mette ribrezzo il genere di morte che ci minaccia? Eccolo rendere l’ultimo flato in mezzo a due ladroni, sopra una croce, il supplizio più ignominioso che fosse in uso a quei tempi… Sia dunque Gesù Cristo nostro modello in tutti i generi di prove. – Anche i Santi ci offrono modelli da imitare nelle prove; e senza fare parola di altri, Tobia e Giobbe furono, sono e saranno in ogni tempo due esempi chiarissimi e due lucidissimi specchi di pazienza per tutti i ciechi, gli afflitti, i disgraziati, i poveri, i perseguitati. Di Tobia la Sacra Scrittura dice che si mantenne saldo nel timore di Dio, rendendo grazie al Signore tutti i giorni della sua vita (Tob. II, 14). Vi è qui un atto eroico di pazienza: è questo lo stato di un uomo santo e perfetto che nulla curandosi di tutte le cose terrene, aiuti od ostacoli, tiene lo spirito in cielo, e gusta anticipatamente la felicità celeste… Così pure Giobbe, oppresso da afflizioni di ogni genere e di ogni lato, esclamava: « Dio mi ha dato dei beni, Dio me li ha tolti; accadde come piacque al Signore; sia benedetto il suo nome »  (Iob. I, 21)… In mezzo alle più dure prove, che ammirabili modelli non ci presentano i patriarchi, i profeti, gli apostoli, i martiri, i confessori, le vergini, i missionari, i santi di tutte le età, di tutti i sessi, di tutti i tempi, di tutti i luoghi, di tutte le condizioni! – Singolari e meravigliose sono certamente le vie, le maniere, e le ragioni secondo le quali Dio conduce i suoi eletti per il deserto di questa vita. A traverso le prove, le insidie, i pericoli, i nemici, le angustie, i travagli, le tentazioni, le persecuzioni, le croci, il martirio egli li guida alla terra promessa, li introduce nella terra dei viventi.
  9. Le prove sono un eccellente rimedio. — Vi sono delle ferite che invece di nuocere alla sanità, ne sono anzi efficacissimo rimedio: questo fanno nell’ordine spirituale le prove. Da S. Giovanni Crisostomo vengono paragonate al ferro dell’aratro; perché con esse noi apriamo e solchiamo il terreno del nostro cuore, affinché se vi si tengono abbarbicate erbe cattive, rovi e spine, siano interamente schiantate, e noi diventiamo terreno diligentemente coltivato, atto a ricevere il seme della grazia e della virtù (Homil. de Cruce). – Ma che cosa dobbiamo fare per profittare delle prove? Bisogna imitare la pazienza di Giobbe e con lui ripetere: Il Signore mi ha dato ogni mio avere, il Signore è padrone di ritoglierselo; è avvenuto come piacque al Signore; sia benedetto il nome di Dio! (Iob. I, 21). Bisogna imitare Tobia il quale diceva: « Io vi benedico, o Signore Dio d’Israele, perché mi avete castigato e salvato » (Tob. XI, 17). Figlio mio, dice il Signore per bocca del Savio, quando tu ti consacri al servizio di Dio, sta nella giustizia e nel timore, e prepara l’anima tua alla prova. Umilia il tuo spirito e attendi con pazienza. Sopporta gli indugi di Dio. Accetta tutto quello che ti succede e rimani in pace nel tuo dolore. Affidati a Dio ed egli ti libererà; conserva il suo timore e in esso invecchia (Eccli. II, 1-4, 6). – Chi desidera di piacere a Dio e diventare suo erede per la fede, per essere chiamato figlio di Dio, deve anzitutto, dice S. Efrem, armarsi di longanime pazienza per prevenire le tribolazioni, le angustie, le strettezze, le malattie, i patimenti, gli affronti, le ingiurie, le tentazioni, i demoni, e poter sopportare tutte queste prove (Tract. de Patientia). « Quando l’anima si attacca fortemente a Dio, nota S. Gregorio Papa, cosicché altro non vegga fuori che Lui in tutte le cose, ogni amarezza si cambia per lei in dolcezza; ogni afflizione le è riposo ». Il più cospicuo vantaggio che, a parere del Crisostomo, uno può ricavare dalle prove, quello che ne aumenta infinitamente il merito e la ricompensa, è di rendere grazie a Dio (Homil. de Cruce).
  10. Le prove sono la porta del cielo. — Le prove pazientemente sopportate sono la porta del paradiso, e vi ci introducono. Questo ci insegna la Sacra Scrittura con quel testo : « Non bisognava forse che il Cristo patisse tutte queste pene (la sua passione), e così entrasse nella sua gloria? » (Luc. XXIV, 26), e con quell’altro chiarissimo che si legge negli Atti Apostolici: « Bisogna che per mezzo a molte tribolazioni noi entriamo nel regno di Dio » (XIV, 21). Ora se bisognò che Gesù Cristo soffrisse, sostenesse ogni genere di prove, e entrasse alla gloria per la via dei patimenti e della croce, non ci ha Egli, con questo, chiaramente indicato che se non si dà altra strada che metta al cielo, questa però vi mette sicuramente, e che chiunque la calca è certo di entrarvi? Le prosperità e la felicità di questa vita sono, al contrario, la porta dell’inferno. Perciò vediamo Dio concederle bene spesso ai tristi ed agli empi, e negarle ai buoni… – « Chiunque adora voi, o Signore, diceva Tobia, è sicuro che se sostiene prove in vita sua, sarà coronato; se è afflitto, sarà liberato; se percosso, otterrà misericordia » (Tob. III, 21). « Coloro che hanno seminato nel pianto, mieteranno nella gioia, dice il Salmista. Essi andavano e piangevano spargendo la loro semenza; ritorneranno lieti e giubilanti portando in mano i loro covoni » (Psalm, CXXV, 5-6).
  11. Disgraziati quelli che non hanno prove. — Vivere senza prove, è un vivere per l’inferno… Sappiano quelli i quali rifiutano le prove loro mandate da Dio, che in essi non è l’impronta di Dio, ma quella del demonio, e che saranno infelici e in questa e nell’altra vita. Infatti è chiara la parola dello Spirito Santo: « Coloro che non hanno ricevuto le prove nel timor del Signore, ma dimostrarono la loro impazienza e mormorarono contro Dio, furono abbandonati alla spada dell’Angelo sterminatore » (Iudith. VIII, 24-25)… Non accettare le prove con cui Dio ci cimenta, è un resistere a Dio; ora non è questo colpa gravissima e terribile disgrazia?- Forse che le prove bussano meno alla porta di chi si rifiuta di accoglierle? Oibò: molte volte anzi vi si affollano in maggior numero e più gravi… Si perde il merito che dovrebbero procurare… Si cambiano in peccato… Invece di essere principio di ricompensa, diventano principio di castighi… Il mondo tutto è un vasto fornello in cui sono gettati gli uomini. Là il giusto rassomiglia all’oro, l’empio alla paglia. Per mezzo del medesimo fuoco, il giusto è purificato, santificato; l’empio è divorato, consumato, condannato. E Dio, osserva S. Agostino, è nell’uno e nell’altro caso lodato; in quello per la ricompensa, in questo per il castigo; nel primo per la sua misericordia, nel secondo per la sua giustizia (De civit. Dei).

 

J.-J. GAUME: IL SEGNO DELLA CROCE [lett. 5-8]

J.-J. Gaume: IL SEGNO DELLA CROCE [lett. 5-8]

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LETTERA QUINTA.

30 novembre.

Ho detto, mio caro Federico, che il segno della croce è un segno che nobilita, perché quanto è divino, nobilita. Questa sola ragione basterebbe; ma nondimeno continuandomi dico, che questo segno ci nobilita comecchè desso è il segno del fiorе della umanità. V’hanno mai pensato i compagni tuoi? Chi non si segna, ed ancor più, chi ha onta di questo segno, resta misto e confuso con i pagani, i musulmani, i giudei, gli eretici, i cattivi cattolici, infine con le bestie; è quanto dire, con la feccia della creazione. Che ne pensi tu? Non dobbiamo andare superbi di un segno che ci distingue sì nobilmente da tutti quelli che non lo hanno? – Il figlio ascrive a gran ventura essere membro di una famiglia veneranda per l’antichità sua, illustre per le gesta, rispettabile per le virtù, potente per le ricchezze. Egli pensa parimente del suo blasone. Lo fa scolpire in pietra, in marmo, in argento, in oro, in agata, ed in rubini; lo pone sulla sua abitazione, lo fa modellare su la mobilia, designare sul vasellame, e su i pannolini, lo fa incidere sul suo suggello, dipingere sulla sua carrozza, orna di esso i fornimenti de’ suoi cavalli, vorrebbe scolpirlo sulla propria fronte. Se tu ne togli la vanità, egli ha ragione. La sua condotta proclama altamente la legge per eminenza sociale, la solidarietà. La gloria degli avi, è gloria de’ figli, è un patrimonio di famiglia. – Come cattolico, il segno della croce è mio stemma. Esso dice a me ed a tutti la nobiltà della mia schiatta, la sua antichità, le sue gesta, le glorie e le virtù sue. Come non andarne superbo? Io rinunzierei al sangue illustre, che mi corre per le vene! Indegno di avere un gran nome, rigetterei vigliaccamente la legge della solidarietà gettando nel fango le mie insegne gentilizie, ed al vento la ricca eredità degli avi miei. – Gli uomini sono lieti di appartenere ad una grande nazione aristocratica. Lo Spagnuolo d’essere Spagnuolo, l’Inglese d’essere Inglese, ed il Francese d’essere Francese, l’Italiano di essere Italiano, come tutte le altre grandi nazioni. Dimmi, amico mio, qual è la nazione più grande, e la più aristocratica del globo? V’ha una nazione che tutte vinca in antichità, che conti fra i suoi membri un numero, che avanzi quello delle nazioni testé nominate? Una nazione che per i suoi lumi brilli come il sole nel firmamento; che essenzialmente espansiva, a prezzo di proprio sangue abbia sottratto il genere umano alla barbarie, e gli dia modo da non ricadérvi, e che la storia ed il mappamondo ne facciano fede? Una nazione che veda e sola, nel mezzo de’ suoi figli, quanto l’uomo ha conosciuto di meglio in fatto di genio e di virtù, di scienza e di coraggio, legioni intere di dottori, di vergini, di martiri, di oratori, filosofi, artisti, i grandi legislatori, i buoni re, i guerrieri illustri di tutte le parti del mondo; una nazione altrettanto più aristocratica, che tutte le altre da essa debbono ripetere la loro superiorità? Checché si dica, e checché si faccia, la storia ha nominato la grande NAZIONE CATTOLICA. IO le appartengo: il segno della croce è il suo stemma: potrei averne onta? – Dio stesso ha voluto mostrare con strepitosi miracoli, quanto sia in onore agli occhi suoi la persona ed il membro che fa il segno della croce. Santa Èdita figlia di Edgaro re d’Inghilterra sin dalla infanzia fu tenerissima del segno della croce. Questa giovane principessa, uno de’ più belli fiori olezzanti verginità, che abbia ornato l’antica isola dei santi, nulla operava senza che innanzi segnasse In fronte ed il petto dello stemma de’ cattolici. A sfogo di sua devozione fece edificare una chiesa in onore di S. Dionisio, e pregò S. Dunstan arcivescovo di Canterbury per la solenne dedicazione. Il santo consenti volentieri, e nelle diverse conversazioni che tenne seco lei, ammirò che la giovane principessa, come i primi cristiani si segnava frequentemente col pollice la fronte. Tale divozione tornò si cara al santo, ch’egli fe’ voti a Dio perché benedicesse questo pollice, e Io preservasse dalla corruzione della tomba. La preghiera fu esaudita. Quinci a poco tempo la vergine moriva al 23° anno dell’età sua ed apparsa al santo gli disse: disumate il mio corpo, desso è incorrotto, eccetto le parti di che feci mal uso nella leggerezza della mia infanzia. Queste parti erano gli occhi, i piedi e le mani, eccetto il pollice con che faceva in vita il segno della croce. – Al punto di vista dell’onore gli avi nostri avevano eglino torto di fare si soventemente il segno della croce? E noi; abbiamo noi ragione di non più farlo? Ah! ch’eglino avevano ben altrimenti da noi la coscienza di loro nobiltà, ed il sentimento della dignità loro. Così ripetendosi di continuo nobiltà obbliga, non mi meraviglio che abbiano formato una società unica negli annali del mondo per l’eroismo di sue virtù: fra poco l’intenderai. – II primo sentimento, che il segno della croce sviluppa in noi nobilitandoci agli occhi nostri istessi, è il rispetto di noi medesimi. Il rispetto di noi medesimi! io dico, caro amico, una grande parola. Volgo Io sguardo all’intorno, e vedo un secolo, un mondo, una gioventù che non rifinisce di parlare di dignità umana, di emancipazione, di libertà. Queste parole vuote di senso, o che uno ne raccolgono cattivo, rende il secolo, il mondo, la gioventù insofferente d’ogni maniera di governo ed impaziente del giogo d’ogni autorità divina, civile e paterna, corre all’impazzata dicendo a quanti incontra: Rispettami! – Benissimo; ma se vuoi essere rispettato, comincia tu a rispettar te stesso. Il rispetto degli altri a nostro riguardo, è in ragione di quello che noi stessi abbiamo per noi. La crudeltà, l’ipocrisia, il sensualismo, il vizio orpellato, nascosto, ricco, coronato, possono inspirare timore, ma ottenere rispetto giammai. Ora l’uomo attuale giovane o vecchio che sia, che non si segna dello stemma cattolico si rispetta? Facciamo un saggio di autopsia. – La parte più nobile dell’uomo è l’anima, e di questa la facoltà, che vince in dignità le altre, è l’intelligenza. Vaso prezioso, formato dalla mano di Dio a raccogliere la verità, e solo la verità, di modo, che quanto non è verità la rende immonda e profana. L’uomo attuale rispetta la intelligenza, le lascia libero il cammino alla verità? Egli non ha che disgusto per le sorgenti pure, dond’essa deriva; oracoli divini, sermoni, libri ascetici o di filosofia cristiana lo appenano ed annoiano. – Se tu discendi al fondo di queste intelligenze battezzate, ti crederai in un bazar. Tu vi ritroverai un rimescolio d’ignoranze, di baje, di frivolezze, pregiudizii, menzogne, errori, dubbi, obbiezioni, negazioni, empietà, inezie. Tristo spettacolo che mi ricorda lo struzzo morto ultimamente a Lione. Tu sai che l’autopsia del suo stomaco rivelò l’esistenza di un vero arsenale di pezzi di ferro, di legno, di corde ecc. Ecco di che nutre la sua intelligenza l’uomo, che non fa più il segno della croce: ecco com’egl la rispetta! Ed il suo cuore? Dispensami, caro Federico, dal rivelartene le ignominie. I moti suoi in vece d’essere ascendenti, sono discendenti, non si eleva spaziandosi a volo di aquila, ma si striscia sulla terra; non si nutre, come l’ape, del profumo dei fiori, ma, qual mosca schifosa, fa suo pasto ogni maniera di lordura. Non v’ ha violazione di legge che lo spaventi, né immondizia che eviti. Tu puoi bene convincertene, che la bocca parlando per la pienezza del cuore, la sua gola è spiraglio di sepolcro in putrefazione. Ed il suo corpo? Giovane che trovi indegno di te fare il segno della croce, tu credi essere un grande spirito, ma tu fai pietà! Ti credi indipendente, e sei schiavo; tu non vuoi onorarti facendo quanto fa il fiore della umanità, e per giusto castigo, tu fai quanto esegue il rifiuto della umana famiglia. La tua mano non segna la fronte del segno divino, ed essa toccherà quanto non dovrebbe mai toccare. Tu non vuoi ornare del segno protettore i tuoi occhi, le labbra ed il petto, ed i tuoi occhi s’insozzeranno guardando quanto non dovrebbero guardare, le tue labbra mute ciarliere, loquace» muti, come dice un gran genio [S. Aug. Medit. XXXV, 2], diranno quanto non dovrebbero dire, e diranno quello che dovrebbero tacere; il tuo petto, profano altare, brucerà di un fuoco, il cui solo nome fa onta. È questa la tua storia intima; potrai negarla, ma cancellarla giammai. Dessa è scritta su questa carta con inchiostro, ma è letta in tutte le parti del tuo essere, scrittavi con sanguigni caratteri di colpa, in sanguine peccati. – E la sua vita! L’uomo che non fa più il segno della croce, perde la stima della sua vita. Egli la vilipende, ne fa spreco, e mai la prende sul serio. Fare della notte giorno, e del giorno notte; poco lavoro e molto sonno, cibi delicati, senza nulla negare al gusto; consumarsi pel tempo, senza alcuna considerazione per l’eternità, ciò è a dire, tessere della tela di ragno, fare de’ castelli di carta, prender mosche, in usa parola: usar della vita come padrone, non è prenderla al serio. Prender la vita al serio è fare di essa l’uso voluto da Colui che ce l’ha confidata, e che ce ne domanderà conto non in confuso, ma dettagliatamente; non ad anni, ma per minuto. – Quando il disprezzatore del segno divino, che doveva nobilitarlo inspirandogli sentimenti di rispetto per l’anima ed il corpo suo, è stanco della iniquità e delle inezie, che cosa farà egli? Soventemente egli rigetta la vita come un peso insopportabile. Considerandosi qual bestia priva di timore e di speranza oltre la tomba, si uccide. – Qui, mio caro, come potrò io tutta esprimerti la pena dell’animo mio? Quanto diceva l’Apostolo delle meraviglie del cielo, che l’occhio non ha visto, né l’orecchio sentito, né lo spirito concepito nulla di simile, è mestieri dirlo al presente gemendo, arrossendo e tremando. No, in nessuna epoca, sotto nessun clima, nel mezzo di nessun popolo, ancorché pagano ed antropofago, l’occhio non ha visto, l’orecchio non ha sentito, lo spirito non ha concepito quello che noi vediamo, intendiamo e tocchiamo con mano; qual cosa? Il suicidio. Il suicidio è su di una scala senza paragone nell’istoria. In Francia solamente cento mila suicidi nel corso degli ultimi trentanni. Cento mila! ed il numero va sempre più crescendo – Ora, io son sicuro, benché senza prova, che di questi cento mila, novanta nove mila avevano perduto l’uso di fare il segno della croce seriamente, sovente, e con ogni religione. Credi ciò come tredicesimo articolo del simbolo. A domani.

 

LETTERA SESTA.

Il 1 dicembre.

Segno divino, distintivo del fiore della umanità, stemma del cattolico: tal è, mio caro Federico, il segno della croce considerato sotto il primo punto di vista. Se è vero che nobiltà obbliga, io non conosco, per inspirare all’uomo il sentimento della sua dignità ed il rispetto di se stesso, un mezzo più semplice, più facile, e più efficace del segno della croce, fatto soventemente, attentamente e religiosamente. Questa è una delle ragioni di sua esistenza. Questo segno, dice un Padre [“Magna haecest custodia, quae propter pauperes gratis datur sine labore propter infirmos, cum a Deo sit haec gratia, Signum fidelium et timor daemonum. Neque propterea quod est gratuitum, contemnas hoc signaculum; sed ideo magis venerare benefactorem”. S. Cyril. Hier. Catech. XIII], è custodia potentissima, gratuita pe’ poveri, facile pei deboli. Benefizio divino e spavento di satana, a vece di disprezzarlo perché gratuito, aumenti in te la riconoscenza. Io aggiungo, che l’eloquenza della croce eguaglia la sua potenza. Qual cosa insegna dessa all’uomo? Vediamolo. Ignoranti, il segno della croce è un libro, che e istruisce. Creazione, Redenzione, Glorificazione! Tutta la scienza teologica, filosofica, sociale, politica, isterica, divina ed umana, è raccolta in queste tre parole. Scienza del passato, scienza del presente e dell’avvenire, tutta è in esse e per esse, lume del mondo, base dell’intelligenza umana! Supponi un istante che il genere u-mano dimentichi queste tre parole, o che ne sconosca il vero senso: qual cosa mai diverrebbe? Agglomerazione di atomi che si muovono nel vuoto senza direzione e senza scopo; cieco nato senza guida e senza bastone; mistero inesplicabile a se stesso; infelice senza consolazione; un forzato senza speranza. Ecco l’uomo e la società! – Creazione, Redenzione, Glorificazione: queste tre parole sono più necessarie alla umanità che il pane che lo vive, e l’aria che desso respira. Sono necessarie a tutti, a ciascuno ora, e sempre. Esse sole allietano la vita e tutte le vite, l’azione e tutte le azioni, la parola e tutte le parole, il pensiero ed ogni pensiero, la gioia e tutte le gioie, la tristezza e tutte le tristezze, il sentimento ed ogni sentimento. – Ciò posto, la semplice ragione insegna che Dio doveva per se stesso stabilire un mezzo facile, universale, permanente, per dare a tutti questa conoscenza fondamentale, e darla non una sola volta, ma rinnovarla di continuo come rinnova l’aria, che respiriamo. – A qual dottore sarà commesso siffatto insegnamento? A S. Paolo, Santo Agostino, e S. Tommaso ? Forse ai geni d’Oriente, e d’Occidente? No. Questi dottori parlano un linguaggio, che tutti non comprendono, è mestieri di un dottore che parli una lingua intelligibile a tutti, al selvaggio dell’Oriente, ed al civilizzato della vecchia Europa. – Chi sarà dunque il mio dottore? Tu l’hai nominato, è il segno della croce. Esso, e lui solo raccoglie in se le condizioni esatte. Esso non muore, è da per tutto, la sua lingua è universale. Un solo instante richiede per insegnare la lezione, ed un momento solo basta a tutti per apprenderla. In prova di quanto dico, permetti ch’io ti disveli un mistero. Il Verbo incarnato, che Isaia chiama a ragione il Precettore del genere umano, aveva risoluto di morire per noi. V’erano molti generi di morte: la lapidazione, la decapitazione, precipitato da luogo eminente, l’acqua, il fuoco, e che so io? Fra tutte queste specie di morti perché ha egli scelto la croce? – Un profondo teologo ha risposto da molti secoli. Una delle ragioni perché la divina ed infinita saggezza scelse la croce, è per fermo, che un leggero movimento di mano basta a segnar su di noi lo strumento del divino supplizio; segno luminoso e potente, che c’insegna quanto è da sapere, e in che troviamo valida difesa contro i nostri avversari (1). il) [“Noluit Dominus lapidari, aut gladio truncari, quod videlicet nos semper nobiscum lapides aut ferrum forre non possumus, quibus defendamur. Elegit vero crucem, quae levi manus motu exprimitur, et contra inimici versutias munimur”. (Aicuin, De divin. off. c. XVIII)]. – Ecco il segno della croce stabilito catechista del genere umano. Ma è egli vero che desso soddisfi, com’è dovere, a tale uffizio, tu mi domandi, e ch’esso ripeta a segno le tre grandi parole: Creazione, Redenzione, Glorificazione? Non solo le ripete, ma le esplica con tale autorità, profondità e chiarezza da essere tutto cosa sua. – Con autorità, divina nella sua origine, è organo di Dio stesso. Con profondità e chiarezza: siine tu stesso giudice. Quando tu porti la mano dalla tua fronte al petto dicendo “in nome”, il segno della croce t’insegna l’indivisibile unità dell’essenza divina. Per solo questa parola, sii tu un fanciullo, od una semplice femmina, tu sei più sapiente che tutti i filosofi del Paganesimo. Qual progresso in un solo istante! – Dicendo “del Padre” un nuovo ed immenso raggio di luce è immerso nell’intelligenza tua. Il segno della croce ti apprende la esistenza di un Essere, Padre di tutti i padri, Principio eterno dell’essere da cui traggono la loro origine tutte le creature celesti e terrestri, visibili ed invisibili. A questa parola si dissipano per te le nebbie, che lungo venti secoli nascosero agli occhi del mondo pagano l’origine delle cose. – Tu continui dicendo: “e del figlio”, ed il segno della croce continua ad ammaestrarti. Ti dice che il Padre de’ padri ha un Figlio simile a sé. E facendoti portar la mano sul petto quando tu pronunzi il suo nome t’insegna che questo Figlio eterno del Padre s’è reso Figlio dell’uomo nel seno di una Vergine, per riscattare il mondo. L’uomo è dunque scaduto dall’altezza di uno stato migliore. Una novella luce questa parola apporta alla tua intelligenza! La coesistenza del bene e del male, il terribile dualismo che sperimenti in te stesso, questa riunione di nobili istinti e d’inclinazioni abbiette, d’azioni sublimi e di atti ignobili, la necessità della lotta, la possibilità ed i mezzi della riabilitazione: tutti questi misteri la cui profondità straziava la filosofia pagana, non sono più ravvolti fra tenebre per te. – Tu finisci dicendo: “e dello Spirito Santo”. Questa parola compie l’insegnamento della croce. Per essa tu sai che v’ha un Dio, Unità di essenza e Trinità di Persone: tu formi un’idea giusta dell’Essere per eccellenza, dell’Essere completo che non sarebbe tale se non fosse uno e trino. Se la prima Persona è necessariamente potenza, la seconda dev’essere sapienza e la terza amore. Questo amore essenzialmente benefico compisce l’opera del Padre che crea, e quella del Figlio che riscatta; Esso santifica l’uomo e lo conduce alla gloria. – Per la direzione della vita delle nazioni e dell’individuo, per i re come per i sudditi, qual luminoso insegnamento! Se Aristotele, Platone, Cicerone, tutti gli antichi pensatori, filosofi, legislatori e moralisti, fatigati dallo studio e stanchi di dubbi insolubili avessero risaputo la esistenza di un Maestro, che insegnasse con la profondità e chiarezza della Croce, avrebbero corso l’intero mondo per vederlo, stimandosi felici di passare la vita ad intenderne l’insegnamento. – Pronunziando il nome dello Spirito Santo tu compisci la Croce, e con ciò tu non solo conosci il Redentore, ma ancora lo strumento della redenzione. Di siffatto modo, nel mentre che desso inonda lo spirito di vivida luce, apre nel cuore una inesauribile fonte di amore, di che parleremo altrove. Ma attendendo, dimmi se torna possibile insegnare con minor numero di voci, e con simile eloquenza, e con lingua sì accessibile i tre grandi dogmi, Creazione, Redenzione, Glorificazione, ippomoclio del mondo morale, e principio generatore della umana intelligenza? Essere creato, essere riscattato, essere destinato alla gloria , ecco quello che sei, o uomo ! – Che cosa ne pensi tu, caro amico, è far della teologia questo? Ma se la teologia è la scienza di Dio, dell’uomo e del mondo; se la filosofia, conoscenza ragionata di Dio, dell’uomo, del mondo è figlia della teologia; se dalla teologia e dalla filosofia derivano tutte le scienze, la politica, la morale, l’istoria, ne segue, che il segno della Croce è il dottore più sapiente e meno verboso che abbia mai insegnato. – Vuoi tu sapere quale sia il posto, che questo segno venerando ha nel mondo? Te lo dirò domani.

 

SETTIMA LETTERA.

3 dicembre.

Caro Amico

Quelli che fanno del segno della croce un oggetto di disdegno e disprezzo, non sospettano neppure il ministero che da esso si esercita nel mondo. Eglino appartengono alla categoria degli esseri, sì numerosa di presente, che non sospetta nulla, perché non conosce nulla. Liscia per un istante il tuo seggio da giudice, dammi la tua mano, ed uniti facciamo un piccolo viaggio nel mondo antico e moderno. – Visitiamo innanzi la brillante antichità, prima che l’umanità sapesse segnarsi, e pellegrini dalla verità percorriamo l’Oriente e l’Occidente. Menfi, Atene, Roma queste tre grandi centri di lume ci chiamano alla scuola de’ saggi. Quali cose dicono questi illustri maestri sui punti che più è imposto conoscere? Il mondo è eterno, o è creato? se è stato creato, è perché? l’autore della natura è corporeo, o spirituale? è desso eterno, libero, indipendente? È uno solo, o sono molti? Risposta: espressioni imperfette, incertezze, contraddizioni. – Che cosa è il bene, e che cosa è il male? Donde vengono essi? come si trova nel mondo e nell’uomo? V’ha un rimedio pel male, o è irreparabile? Qual n’è il rimedio? chi lo possiede? come ottenerlo? come applicarlo? – Risposta: vane parole, incertezze, contraddizioni manifeste. Che cosa ò l’uomo? ha egli un’anima, e qual n’è la natura? È fuoco, è un soffio, è uno spirito, una materia aeriforme? Quest’anima è destinata a perire col corpo, o gli sopravvive? Se gli sopravvive, qual n’è la destinazione? Qual è lo scopo della sua esistenza? A tutte queste questioni ed a mille altre, qual’è la profonda, e filosofica risposta? vane parole, incertezze, contraddizioni manifeste! Ahi! Pretesi grandi uomini, e grandi popoli impotenti a dire la prima parola di risposta a queste grandi questioni, voi non siete che de’ grandi ignoranti! Che c’importa che voi sappiate formar de’ sistemi, sottilizzar sofismi, inondare di vostra facondia le scuole, i senati e gli areopaghi: condurre de’ carri nel Circo, fabbricare città, dare delle battaglie, conquistare delle Provincie, rendere la terra ed il mare tributari alle vostre concupiscenze? Quando voi ignorate chi voi siate, donde venite, e dove andate, voi non siete, per parlarvi come uno de’ vostri, che un’essere più o meno grasso dell’armento di Epicuro, Epicuri de grege porci.– Ecco il mondo avanti il segno della croce! questo eloquente segno apparso, queste vergognose tenebre si son dissipate. Il genere umano, letterato ed ignorante che fosse, ha appreso la scienza di se stesso, del mondo, di Dio, e ripetendola di continuo l’ha impressa nel fondo dell’ anima di modo, da non più dimenticarla. – Checché se ne dica, [mercé l’uso di questo segno della croce in tutte le classi della società, sia nelle città che nelle campagne, il mondo cattolico de’ primi secoli e del medio evo, conservò in un grado sconosciuto innanzi e dopo lui la scienza divina, madre di tutte le altre, e lume della vita. Né poteva essere altrimenti; che se nel corso di quarant’anni, un uomo si ripete seriamente dieci volte al giorno un errore qualunque, egli finirà coll’esserne completamente imbevuto, e si identificherà con esso. Perché non sarà Io stesso per la verità? – Desideri tu la contro prova di quanto dico? Continuiamo il nostro viaggio e passiamo nel mondo moderno. Desso ha abbandonato il segno della croce. Di poi quel fatale momento, esso non ha a’ suoi fianchi l’ammonitore, che gli ripeta a ciascun momento i tre dogmi necessari alla sua vita morale; esso li dimentica, o per lui è un come non fossero. Or vedi qual sia divenuta la sua scienza. Come del mondo di altri tempi tu ascolti le vergognose sue vane parole sui principi i più elementari della religione, sul diritto, sulla famiglia e sulle proprietà. Qual fondo di vanità alimenta le sue conversazioni! Di che mai sono pieni i suoi libri di politica e filosofia? alla luce di quali fiaccole cammina la sua vita pubblica e privata? I giornali! di questi nuovi padri della Chiesa, qual’ è il tuo pensiero? In quel torrente di parole, con che inondano ogni giorno la società, qual sana idea potrai tu ritrovare sul conto di Dio, dell’uomo e del mondo? – Qual cosa mai conosce questo mondo moderno, questo secolo di lumi, che ignora come si faccia il segno della croce? Esso conosce, né più né meno di quello, che i pagani suoi maestri e modelli conoscevano. Desso conosce ed adora il dio “Me”, il dio Commercio, il dio Cotone, il dio Scudo, il dio Ventre, Deus venter. Esso conosce ed adora la Dea Industria, la Dea Vapore, la Dea Elettricità. Per soddisfare alle sue cupidigie, conosce ed adora la scienza della materia, la chimica, la fisica, la meccanica, la dinamica, i sali, le essenze, le quintessenze, i solfati, i nitrati, i carbonati. Ecco i suoi dei, il suo culto, la sua teologia, la filosofia, la politica, la morale, la sua vita! Un altro passo nel progresso e sarà scienziato alla maniera de’ contemporanei di Noè, destinati a morire pel diluvio. [Matth. XXIV, 37, 38, 39. – Luc. XVII, 38. – Gen. VI.12]. – Per quelli tutta la scienza era riposta nel conoscere ed adorare gli dei moderni; a bere, a mangiare, a fabbricare, vendere e comprare, maritare e maritarsi. L’uomo aveva concentrato la sua vita nella materia, egli stesso era divenuto carne; e com’essa ignorante e lordo. – Quale di tutte queste tendenze manca al mondo moderno? La sua scienza benché meno avanzata di quella de’ giganti non ne ha forse la natura? Non sapendo, né facendo più il segno della croce si materializza; ed in virtù della legge di gravitazione morale, cade necessariamente nello stesso stato in che trovavasi il genere umano innanzi che apprendesse saper fare il segno della croce! – “Ignoranti, il segno della croce è un libro, che c’istruisce”. A questo nuovo punto di vista, tu puoi giudicare se i nostri padri avevano torto facendolo continuamente. Che l’ignoranza contemporanea, grandemente da deplorare, debba essere attribuita, in gran parte, all’abbandono di questo segno, tu ne sarai fra poco senza manco convinto. – Che cosa è l’ignoranza? L’ignoranza è l’indigenza dello spirito. In fatto di religione, dessa importa soventemente l’indigenza del cuore, per difetto di forza a praticare la virtù, ed evitare il male. Perché questa debolezza? l’uomo trascura i mezzi capaci di ottenergli la grazia, o di renderla efficace, fra i quali primeggia, come più ‘comune, più pronto e facile, la preghiera. E fra tutte le preghiere la più facile, la più pronta e la più comune, ed altresì, può essere la più efficace, è il segno della Croce. Ecco un nuovo studio per te, e per i primi cristiani, una nuova giustificazione. – “Poveri, il segno della Croce è un tesoro, che ci arrichisce”. Povero è colui che ciascun giorno passando di porta in porta accatta il suo pane: Creso era un povero, Cesare un povero, Alessandro un povero, gl’imperatori ed i re, le imperatrici e le regine sono de’ poveri mendicanti, e mendicanti coronati, ma sempre mendicanti e non altro. Chi è l’uomo, per quanto ricco si supponga, che non debba ciascun giorno alla porta del gran Padre di famiglia dire: Dateci il nostro pane quotidiano? Il più possente de’ monarchi può formare un granello di frumento? – Vita fisica e morale, mezzi di conservazione per l’una e per l’altra, l’uomo ha tutto ricevuto, quid habes quod non accepisti? – Nulla egli possiede di proprio, neppure un capello del suo capo, e quanto egli ha ricevuto, non l’ha ricevuto una sola volta per sempre. La sua indigenza è continua in tutti i giorni, in tutte le ore, in tutti i minuti secondi. Se Dio cessasse di tutto donargli egli perirebbe all’istante. Di che segue, mio caro Federico, una legge del mondo morale, a che per fermo, i tuoi compagni non hanno giammai riflettuto: dico la legge della preghiera. – I popoli pagani d’altri tempi, gli idolatri ed i selvaggi dei nostri, hanno, più o meno, perduto il patrimonio delle verità tradizionali, ma nessuno ha perduto la conoscenza della legge della preghiera. Sotto di una, od altra forma, il genere umano di poi ch’egli è apparso sul globo, l’ha invariabilmente osservato. L’istinto della conservazione, più forte che tutte le passioni, e più eloquente che i sofismi, gli ha appreso che da questa invariabile fedeltà dipenderebbe la sua esistenza. Non s’è-ingannato! Il giorno in cui una preghiera umana o angelica non si elevasse verso Dio, ogni rapporto tra la creatura ed il Creatore, tra il ricco e il povero, cesserebbe il corso della vita, sarebbe all’istante medesimo sospeso. – Non è questo il profondo mistero che il verbo incarnato ha rivelato al mondo, dicendo: È mestiere sempre pregare, e non desistere dalla preghiera: “Opportet semper orare et nunquam deficere?” – Osserva quanto v’ha d’imperativo in queste parole. Il legislatore non invita, ma comanda, e siffatto comando è necessità, assoluto, “oportet”, nè ammette intermittenza alcuna né di giorno né di notte, per l’osservanza della legge oportet semper. Fino a che innanzi a Dio il genere umano è un povero, la legge della preghiera non sarà modificata, nè sospesa, e come ché il genere umano sarà sempre un povero, la legge della preghiera conserverà il suo impero fino agli ultimi giorni del mondo: et nunquam deficere. Il mondo fisico stesso è stato organizzato in vista dell’osservanza continua di questa legge conservatrice del mondo morale, che il passaggio successivo del sole d’un emisfero all’altro tiene la metà del genere umano svegliato per pregare. – Ora una delle preghiere la più potente è il segno della Croce, per comune sentir dell’intero genere umano. Egli lo ha creduto, perché lo ha appreso, e non ha potuto apprenderlo che da Dio, da cui tutto ha appreso. Ho detto il genere umano tutto intiero a disegno. I tuoi compagni può essere che credano che il segno della Croce cominciato col cristianesimo, o per lo meno, che l’uso ne sia stato circoscritto presso il popolo ebreo ed il popolo cattolico. La mia prima lettera ti farà avvisato della confidenza, che la loro opinione merita.

 

LETTERA OTTAVA.

3 dicembre.

Mio caro Federico

Il tuo orecchio, come quello di ben molti altri, farà lo zufolo alla prima frase di questa mia lettera. “Il segno della croce rimonta all’origine del mondo”. Esso è stato eseguito da tutti i popoli, ancorché pagani, nelle solenni preghiere, e nelle contingenze, in che era da ottenere una qualche grazia decisiva. Innanzi tratto è da osservare, che questa proposizione non contraddice a quanto abbiamo detto nella precedente lettera; avvegnacché ieri fu parola del segno della croce nella sua forma completa, e perfettamente compresa, com’ è in uso da poi il Cristianesimo; oggi 1’è della forma elementare, benché reale, e più o meno misteriosa per quelli, che ne usavano avanti la predicazione del Vangelo. Uno schiarimento ti sembra necessario; ed eccolo. – Il segno della croce è si naturale all’uomo, che presso tutti i popoli, in tutte le religioni, ed in tutte le epoche, non s’è messo egli in rapporto con Dio per lo mezzo della preghiera senza eseguirlo. Hai tu conoscenza di un qualche popolo che pregasse con le braccia pendenti? Per me, lo ignoro; solo conosco che i pagani, gli ebrei, ed i cattolici, hanno pregato facendo questo segno della croce. V’hanno sette modi di fare questo segno. Le braccia distese: l’intero nomo diviene segno di croce. Le mani congiunte, e le dita commesse insieme; ecco cinque segni di croce. – Le mani applicate l’una contro l’altra, ed un pollice sovrapposto all’altro, nuovo segno di croce. Le mani congiunte innanzi al petto, formano un altro segno di croce. Le braccia al petto conserte ti presentano di nuovo la croce. Il dito pollice della mano destra passando sotto l’indice e posandosi sul medio forma un altro segno di croce, limitatissimo, come fra poco vedremo. – In fine, la mano destra passando dal mezzo della fronte al petto e da questo alle spalle, lo rappresenta più esplicitamente, come tu a pezza conosci. – Sotto l’una o l’altra di queste forme, il segno della croce è stato conosciuto e praticato dappertutto e sempre, nelle circostanze solenni con una conoscenza più o meno chiara della sua efficacia. – Giacobbe è sul punto di morire. Dodici figli, futuri patriarchi di dodici grandi tribù, lo circondano. Il santo patriarca, per divina inspirazione predice a ciascun di loro quanto ad essi accadrebbe nel seguito de’ secoli. Alla vista di Efraim e di Manasse, i due figli di Giuseppe, il vecchio è commosso ed implora sopra di loro tutte le divine benedizioni (Genes. XLVII, 13. seq.]. – Ad ottenerle qual cosa mai fa egli? Incrocia le braccia, dice la scrittura, e poggia la mano sinistra sul capo del figlio che aveva a destra, e la mano destra su quello, che aveva a sinistra. Ecco il segno della croce, sorgente eterna di benedizioni! – La tradizione non s’è ingannata; Giacobbe era la figura del Messia. In questo momento solenne, parole ed azioni, tutto nel patriarca doveva essere profetico. Giacobbe, dice san Giovanni Damasceno, incrocia le mani per benedire i figli di Giuseppe, forma il segno della croce, nulla v’ha di più evidente. [“Jacob, alternates cancellatisque manibus, filios Joseph benedicens, signum Crucis manifestissime scripsit”. (De fide orthod. lib. I, c. 18)]. – Fin da’ tempi apostolici, Tertulliano constata lo stesso fatto, e dalla stessa interpretazione. «L’antico Testamento, dic’egli, ci mostra Giacobbe che benedice i figli di Giuseppe con la mano sinistra sul capo di quello che aveva a destra, e la destra sulla testa di chi era a sinistra. In questa posizione, esse formavano la croce ed annunziavano le benedizioni di che il Crocifisso sarebbe inesauribile fonte » [“Sed est hoc quoque de veteri Sacramento, quo nepotes suos ex Joseph, Ephraim et Manasse, Jacob, impositis capitibus et intermutatis manibus, benedixerit; et quidem ita transversim obliquatis in se, ut Christum deformantes, jam tunc protenderet benedictionem in Cristum futuram” (De Baptism)].Sormontiamo i tempi della cattività in Egitto ed arriviamo a Mose. Nel mezzo del deserto gli Ebrei si trovano di rincontro ad Achimalec, che alla testa di fortissima oste sbarra loro la via, ed una battaglia decisiva è inevitabile. Che farà Mose? A vece di restare nel piano e dar coraggio ai combattenti d’Israele col gesto e con la voce, egli ascende il monte, che resta a cavaliere del campo di battaglia, e durante la zuffa che fa egli il legislatore inspirato da Dio? Il segno della croce; non altro che questo segno, lungo tutto il tempo dell’azione, non leggendosi che abbia pronunziato parola alcuna. Egli tiene le mani aperte e le braccia distese verso il cielo, facendo di se un segno di croce, Dio lo vede in tale atteggiamento e la vittoria è riportata (1). (Exod. XVII, 10]. – Non credere che vana supposizione sia questa. Ascolta quanto ne dicono i Padri. “Amalec, esclama san Giovanni Damasceno, sono queste mani distese in croce, che ti hanno vinto!” [“Manus Crucis extensae Amalech repulerunt”. (De Fide Ortodox. lib. IV, c. 12.)]. – Ed il gran Tertulliano: «Perchè… Mosè, quando Giosuè combatte Amalec, fa quanto mai ha fatto, cioè, pregare in piedi e con le braccia distese? In circostanza sì decisiva era da pregare, per rendere più efficace la sua preghiera, in ginocchio, battendosi il petto, e con la fronte prostrata nella polvere. Niente di tutto questo: e perchè? La battaglia, contro Amalec prefigurava la guerra del Verbo incarnato contro Satana, ed il segno della croce, col quale questi riporterebbe la vittoria » [“Jam vero Moyses quid utique nunc tantum, cum Jesus adversus Amalech praeliabatur, expansis manibus orat residens, quando in rebus tam altonitis, magia utique genibus depositis, et manibus caedentibus pectus, et facie numi volutami, orationem commendare debuisset; nisi quia illic, ubi nomen Domini dimicabat, dimicaturae quandoque adversus diabolum crucis quoque erat habitus necessarius, per quam Jesus victoriam esset relaturus?” (Contra Marcion. lib. III]. Ed il filosofo martire san Giustino, che arriva fino agli apostoli: « Mosè sul monte fino al tramonto del sole, con le braccia distese sostenute da Ur e da Aronne, che cosa è mai, se non il segno della croce » [“Moyses expansis manibus in colle ad vesperam usque permansi!, cum manus ejus susteiitarentur, quod sane ìiullam nisi crucis figuram exhibebat”. (Dialog, cum Tryph. n. III.). – Insensibili ai miracoli di paterno amore, di che erano oggetto gli Ebrei pronunziavano male voci contro Mosè, e contro Dio. Dalle parole passano ai fatti, ed irrompono a rivolta ostinata. Ma la pena è pronta, e con i medesimi caratteri della colpa. De’serpenti, rettili spaventevoli, il cui veleno brucia qual fuoco, si gettano sui colpevoli facendone strazio con i loro morsi, e coprono il campo di morti e di morenti. Alla preghiera di Mosè Dio si placa; per mettere in fuga i serpenti, e guarire gl’innumerevoli infermi, qual mezzo indica Egli? Delle preghiere? no. Dei digiuni? nemmeno. Un altare, o una colonna di espiazione? nulla di tutto questo. Comanda si faccia un segno di croce permanente e visibile a tutti, segno che ciascun infermo farà col desiderio guardandola, e tale sarà la potenza di questo segno, che un solo sguardo restituirà la perduta sanità. Il significato di questo segno divinamente comandato non è oscuro, poiché il vero segno della Croce, il segno della Croce vivente per tutta l’eternità, N. Signore stesso ha rivelato al genere umano che il segno del deserto era sua immagine. « Come Mose elevò nel mezzo del deserto il serpente, così è mestieri che il Figlio dell’uomo sia elevato, affinché chiunque crede in lui non perisca, ed abbia vita eterna” [Joan. III, 15]. – Se i limiti di una lettera lo permettessero, noi percorreremmo insieme gli annali del popolo figurativo, e vedresti, mio caro, che in tutte le importanti occasioni, che sono pervenute a nostra notizia, esso fece ricorso al segno della croce. Lascia che io ten citi qualcuna. Nei sacrifizii il sacerdote, secondo il rito prescritto, elevava l’ostia, e la trasportava dall’oriente all’occidente, come ci dicono gli stessi Ebrei, e con ciò formava una figura della croce, e con un movimento simile il gran sacerdote ed i semplici sacerdoti benedicevano il popolo dopo i sacrifizii [Duguet. Traitt. de la croix de N. S. c. VIII]. – Dalla chiesa giudaica, questo segno è passato nella chiesa cristiana. I primi fedeli ammiratori dell’antico modo di benedire con la figura della croce, ed ammaestrati dagli apostoli del misterioso significato di questo segno lo hanno continuato accompagnandolo con le parole che lo spiegano. – Le abominazioni di Gerusalemme erano giunte al loro colmo, quando Dio mostrò al profeta Ezechiele il personaggio misterioso, che doveva attraversare la città e segnare del T la fronte de’ gementi sulla iniquità della colpevole capitale [Ezecb. IX, 4]. – Ai fianchi di esso camminavano sei individui muniti di armi micidiali con ordine di massacrare quanti non trovassero marcati del segno salutare. Come non vedervi una figura del segno della croce, ch’è fatto sulla nostra fronte? I Padri della Chiesa l’intendono a questa maniera, e fra gli altri, Tertulliano e S. Girolamo. Come, questi dicono, il segno del T impresso sulla fronte di quelli che gemevano sulla iniquità di questa città, li protesse contro gli angeli sterminatori; così il segno della croce, di che l’uomo segna la sua fronte, è certo argomento ch’egli non sarà la vittima di satana, né degli altri nemici del suo bene, s’egli geme sinceramente sulle abominazioni che questo segno combatte [Tertull. adv. Marc. 1, III , c. 22 – Hier, in Exech. c. X]. – I Filistei hanno ridotto Israele alla più umiliante delle servitù. Sansone comincia a liberarla, ma sventuratamente il forte d’Israele è sorpreso, incatenato, privato della vista degli occhi, ed i Filistei si servono di lui come di trastullo nelle loro feste. Sansone medita la vendetta, e con un sol colpo vuole schiacciare migliaia di nemici, e la Provvidenza ha siffattamente disposto, che il suo disegno col segno della croce venga eseguito. Posto fra due colonne, sostegno dell’edilizio, dice S.Agostino, il forte d’Israele distende le sue braccia in forma di croce, ed in tale atteggiamento fortissimo, scuote le colonne, le abbatte, e schiaccia i nemici suoi, e come il Crocifisso, di che era figura, muore sepolto nel suo trionfo [“Jam hic imaginem crucis attendite: expansas enim manas ad duas columnas, quasi ad duo signa crucis extendit; sed adversarios suos interemptos oppressit, et illius passio interferito facta est persequentium” (Serm. 107. de lemp).] – David pieno di amarezze è ridotto agli estremi, che possa patire un re! Un figlio parricida, i sudditi in rivolta, un trono vacillante, la vecchia età che si avanza, lo appenano tanto, ch’egli n’è prostrato. Qual cosa fa il monarca inspirato per lenire la forza del dolor suo? Prega. Ma come? Facendo il segno della croce (2). (2) [“Expandi manus meas ad te”. (Ps. LXXXIII, CXLII, etc. etc.]. – Salomone compisce il tempio di Gesusalemme, ed il magnifico edilizio è consacrato con pompa degna di un tale sovrano; resta solo attirare le benedizioni divine sulla nuova casa del Dio d’Israele, ed ottenerne i favori per quelli, che vi pregheranno, Salomone all’uopo prega il Signore ed in atteggiamento di croce. “In piedi, dinanzi l’altare del Signore, dice il sacro testo, al cospetto di tutto il popolo d’Israele, distende le mani verso il cielo, e dice: Signore, Dio d’Israele, non v’ha un Dio simile a voi ne’ cieli e sulla terra. Guardate la preghiera del vostro servo. I vostri occhi guardino questa casa notte e dì, onde le preci del vostro servo, e del vostro popolo sieno esaudite” [“Stetit autem Salomon ante altare Domini in conspectu ecclesiae Israel, et expandit manus suas in eoelum, et ait: Domine Deus Israel, non est similis tui, Deus in ccelo desuper,et super terram deorsum réspice ad orationem servi tui, et ad preces ejus ut sint oculi aperti super domum hanc nocte et die, ut exaudías deprecationem servi tui, et populi tui Israel” III Reg. VIII, 22, 23, 28, 2», 30). – Credere che i soli patriarchi, i giudici, i veggenti d’Israele conoscessero il segno della croce, e lo praticassero sarebbe un ingannarsi; tutto il popolo lo conosceva e ne’ pubblici pericoli religiosamente ne usava. Sennacherib marcia di vittoria in vittoria, la maggior parte della Palestina è soggiogata, Gerusalemme è minacciata. Vedi tu quel che questo popolo, uomini, femmine e fanciulli, operano per respingere l’inimico? Come Mosè si rendono immagine della croce; eglino invocano il Signore delle misericordie, e distese le mani, le innalzano verso il cielo, ed il Signore li esaudì [“Et invocaverunt Dominum misericordem , et expandentes manus suas, extulerunt ad Coelum et sanctus Dominus Deus audivit cito vocem ipsorum”. [Eccli. XLVIII, 22].- Ma un altro pericolo li minaccia. Eliodoro s’avanza seguito dall’esercito per saccheggiare il tesoro del tempio, di già ha passato la soglia, un’istante ed il sacrilegio sarà compiuto. I Sacerdoti prostesi sul suolo innanzi all’altare del Signore pregavano; ma nulla arresta il sacrilego spogliatore: il popolo invoca a suo soccorso l’arma tradizionale, prega facendo il segno della croce : tu sai il resto. (II Macab. III, 20]. – Se non è da porre in dubbio che pregare con le braccia distese è un formare la figura dalla croce, tu vedi chiaro ed aperto, che, da’ tempi i più remoti, i giudei hanno conosciuto e praticato il segno della croce, per un istinto più o meno misterioso della sua onnipotenza. – Domani noi vedremo se i pagani erano meno istruiti.

 

 

18 GIUGNO 1968 -7-

–18 giugno 1968

mitra1

-7-

     Riprendiamo con una certa tensione il nostro esame circa la totalmente invalida e blasfema consacrazione vescovile la cui “forma” è contenuta nel pontificalis romani del 1968, forma progettata, redatta e confezionata ad arte dai trio massonico-modernista BBM [Botte, Buan 1365/75, Montini], esame che ci ha messo a conoscenza di cose sconvolgenti e scrupolosamente celate da chi “sa”, cose che descrivono una realtà totalmente artefatta ed ingannevole. A riguardo degli attuali falsi-vescovi vaticano-secondisti (compreso quello “sedicente” di Roma), è bene rileggere le parole, oggi tragicamente attuali, contenute in una lettera famosa che reca le firme delle più belle ed appropriate penne del Cattolicesimo, ossia di trentatre vescovi, tra i più insigni dell’epoca della peste giudaico-ariana abbattutasi sulla Cristianità, tra i quali Melezio di Antiochia, primo presidente del Concilio Ecumenico di Costantinopoli, di S. Gregorio Nazianzeno, grande Padre della Chiesa, che presiedette il suddetto Concilio Ecumenico alla morte di Melezio, San Basilio, anch’esso Padre della Chiesa, S. Giovanni Crisostomo, ed altre personalità insigni per fama e santità. La lettera famosa riporta quanto segue: “… si getta lo scompiglio nei dogmi della religione, si confondono le leggi della Chiesa. L’ambizione di coloro che non temono il Signore li spinge a scavalcare le autorità e ad attribuirsi l’Episcopato quale premio alla più sfacciata empietà, di modo ché colui che proferisce le più gravi bestemmie viene ritenuto il più adatto per reggere il popolo come Vescovo. È scomparsa la serietà episcopale. Mancano pastori che pascolino con coscienza il gregge del Signore. I beni dei poveri sono costantemente impiegati dagli ambiziosi per proprio tornaconto e regalati senza riguardo. Il fedele compimento dei canoni si è oscurato (….) Per tutto questo gli increduli ridono, i deboli vacillano nella fede, la fede stessa è dubbiosa, l’ignoranza si distende sulle anime, quindi assumono aspetto credibile coloro che insozzano la divina parola con loro malizia, visto anche che la bocca dei più osserva il silenzio” [opere di S. Giovanni Crisostomo. Bibliot. di Autori Cristiani. La Editorial Catolica S. A., introd. Pag. 7 -grassetto e sottolineatura redaz.-]. Nulla è cambiato oggi rispetto alla quella tragica situazione, anzi oggi è ancora peggio, perché abbiamo da un lato 1°- finti vescovi non-consacrati dell’ecumenico-modernismo, setta oggi padrona illegittima nella Chiesa; dall’altro altrettanto 2° – finti non-vescovi mai consacrati, a cominciare dal cavaliere kadosh A. Lienart, massone 30° già quattro anni prima della sua sacrilega ed invalida consacrazione, invalida poiché un Sacramento non può operare in uno scomunicato “latae sententiae” od imprimere il sigillo del sacerdozio pieno in uno che grida alzando un pugnale al cielo: “Adonay nokem” [Adonai vendetta], nei brindisi inneggianti a lucifero delle agapi massoniche. (Inutile e falso dire che anche Giuda fosse stato costituito Vescovo da Gesù-Cristo, malgrado le sue intenzioni nefaste, ma il Salvatore ha lasciato fare, perché sapeva già a quale fine il reprobo traditore andasse incontro … da li a poco). Invalida quindi la sua consacrazione, invalide tutte quelle da lui operate e quelle operate dai suoi falsi consacrati, a cominciare dal “santo” “Marcello” Giuda-Lefebvre, ben consapevole della cosa, e che oltretutto poi, senza alcun mandato, contravvenendo a tutte le regole ed ai Canoni della Chiesa, ed in dispregio a qualunque autorità, anche alle false, ha sacrilegamente ed invalidamente “fatto finta” di consacrare, con cognizione di causa, altri poveri disgraziati peggiori di lui, destinati anch’essi alla fine di Giuda, che continuano il turpe ed infame costume di perdizione delle anime incaute. Delle pittoresche balorde consacrazioni di mons. Thuc, ai limiti della patologia psichiatrica, che in preda ad enfasi misticheggianti, ha consacrato cani e p…., senza mandato apostolico e giurisdizione, avallando scismatici ed eretici movimenti sedevacantisti pseudo-tradizionalisti, non è neppure il caso di accennare. E qui non abbiamo Santi come il Crisostomo, Basilio, Gregorio Nazianzeno. Ci resta solo la Santissima Vergine e la potentissima arma del Rosario… Ella ce l’ha promesso … “Ma alla fine il mio Cuore Immacolato trionferà!!!” [Messaggio di Fatima]. Ricordiamo pure come il grande autore cattolico francese Dom Guéranger (quando in Francia c’erano ancora sacerdoti cattolici! … bei tempi …) nelle “Instituzioni Liturgiche”, presenta in 12 punti fondamentali la «Marcia dei pretesi riformatori del cristianesimo» : – Egli dimostra che l’eresiarca antiliturgista odia la Tradizione, rimpiazza le formule liturgiche con i testi della Scrittura Santa per interpretarli a suo modo, introduce delle formule «perfide», rivendica i diritti dell’antichità di cui si fa beffe cambiandone il rito, sopprime tutto ciò che esprime i misteri della fede cattolica, rivendica l’uso della lingua volgare, sopprime le génuflessioni ed altri atti di pietà della liturgia cattolica, odia la Potenza papale, organizza la distruzione dell’episcopato, rigetta l’autorità di Roma per gettarsi nelle braccia del principe temporale. Alla luce delle considerazioni di dom Guéranger, della cui retta dottrina c’è da essere assolutamente certi, siamo quindi alla presenza di eresie antiliturgiste, e del maggiore eresiarca antiliturgista mai comparso sulla faccia della terra: G. B. Montini, il marrano sedicente Paolo VI, “giustamente” in procinto di canonizzazione, “santo” della attuale “sinagoga di satana” [si legga: “dannato” della chiesa Cattolica] che oggi domina la Sede di Pietro ed i Sacri palazzi dell’urbe e dell’orbe così come da visione “purtroppo” profetica del Santo Padre S. S. Leone XIII ! – Ma torniamo al nostro argomento, facendo un po’ di riepilogo. Ci pare di aver capito, nella nostra grossolana ignoranza, che il rito Romano, soppresso il 18 giugno del 1968, è un rito antico, invariabile nella sua forma essenziale da più di 17 secoli, ed infatti tutti i Vescovi cattolici di rito latino (tra i quali Santi straordinari, tipo S. Francesco di Sales o S. Alfonso Maria de’ Liguori, tanto per citarne qualcuno), sono stati consacrati con questo rito. Che cosa ha questo nuovo Rito che non va? Ecco la risposta pronta: “ Il rito di Pontificalis Romani è stato creato nel 1968 e non è MAI stato utilizzato nella Chiesa. Nessun Vescovo cattolico è mai stato consacrato in questo rito. Questo rito non possiede gli «elementi necessari», secondo la teologia sacramentale. (v. San Tommaso): Esso è INTRINSECAMENTE invalido. Questo non è un rito cattolico!!! A tal proposito cerchiamo, prima di un riepilogo dettagliato sulla questione, di comprendere meglio cosa si intendesse, nel numero precedente, accennando all’“eletto manicheo”, che sarebbe in realtà l’unico titolo che il rito, o meglio questa “pantomima”, spacciata per consacrazione vescovile, conferirebbe! Gli “eletti” manichei, o “perfetti”, costituivano, nell’ambito del Manicheismo, una “religione” di carattere gnostico che annoverava influssi disparati derivanti da tradizioni giudaiche, iraniane, ed afro-orientali, in un “minestrone” ecumenico comprendente elementi di buddismo, cristianesimo, zoroastrismo, tradizioni iraniche, giudaismo talmudico e paganesimo variegato, il tutto ben cementato dalla cosmogonia e teogonia gnostica, in un sistema codificato secondo presunte “rivelazioni” spirituali di un “paracleto”, il presunto “spirito gemello” di Mani (da cui Manicheismo, definire compiutamente il quale richiederebbe tempo e spazio), nobile personaggio vissuto nel III secolo d.C. in Persia: gli “eletti”, erano un gruppo ristretto di religiosi osservanti rigorose norme morali e comportamentali, che libererebbero le “fiammelle” divine imprigionate nei corpi materiali creati da un “demiurgo” malefico, il Dio dei Cristiani [sempre la stessa “solfa” gnostica]: agli eletti si contrapponevano gli “auditores” che erano i collaboratori degli eletti, verso i quali avevano doveri servili (elemosine), che non li avrebbero però liberati dalla materia, continuando così essi, poverini, ad essere obbligati a trasmigrare in corpi diversi (metempsicosi gnostica!). L’obiettivo inconfessato della sceneggiata della “falsa” consacrazione cattolica vescovile, non è altro quindi che la blasfema “istituzione” di eletti manichei (vescovi della chiesa gnostica) nell’ambito della dottrina gnostica, “gnosticismo” del quale è infarcito il talmudismo “spurio” giudaico, al quale si “abbeverava”, per tradizione familiare, l’apostata Montini. – Proseguiamo allora con il riepilogo succinto di quanto abbiamo cercato di esporre in questa serie di scritti dedicati alle “false consacrazioni vescovili” iniziate il 18 giugno del 1968. I fatti e gli argomenti precedentemente riportati hanno dimostrato quanto segue, per il rito di consacrazione episcopale promulgato dal falso Papa, l’antipapa Giovan Battista Montini, sedicente Paolo VI, il 18 giugno 1968 a Roma, nel Pontificalis Romani: 1) Questo rito non è antico, ma è stato creato nel maggio 1968 da diversi materiali. 2) Questo rito rivendica una origine oggi contestata dagli specialisti (veri) della questione 3) Questo rito non riproduce affatto quello della pretesa (*) “Tradizione apostolica” attribuita ad Ippolito. 4) Questo rito non è, e non lo è mai stato, praticato in Oriente, presso i copti ed i siriaci occidentali. 5) Questo rito si rivela, dall’inchiesta, non essere null’altro che una “costruzione” puramente umana di Dom Botte. 6) Questo rito possiede una “forma” essenziale insufficiente. 7) Questo rito non esprime l’intenzione di conferire il potere di ordinare dei sacerdoti cattolici. 8) Questo rito subisce le condanne che Leone XIII infallibilmente indirizzò (in “Apostolicae curae”) ai riti anglicani simili in tutto al rito montiniano. 9) Questo rito nega la Santa Trinità. 10) Questo rito nega l’unione ipostatica delle due nature nella Persona di N.S. Gesù Cristo. 11) Questo rito nega la “spirazione” dello Spirito dal Figlio, nega cioè il “Filioque”. 12) Questo rito veicola una concezione kabbalista e gnostica dello Spirito-Santo. 13) Questo rito rilancia, nel 1968, l’attacco contro lo Spirito-Santo sviluppato mezzo secolo prima dal rabbino di Livorno, Elia Benamozegh (1828-1900). 14) Questo rito serve a creare, in modo sacrilego e blasfemo, gli “eletti” Manichei, e quindi vescovi gnostici!

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Un falso Papa, l’antipapa Montini

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Un Papa vero, S.S. Leone XIII

   Ne risulta da ciò che precede, così come dai testi infallibili di Leone XIII, di Pio XII e del Magistero tutto della Chiesa di sempre, che è assolutamente IMPOSSIBILE considerare un rito tale come INTRINSECAMENTE VALIDO e capace di consacrare dei veri Vescovi cattolici, veri successori degli Apostoli di Nostro Signore Gesù-Cristo. In tal modo quindi, come da copione scritto nelle retro logge giudaico-massoniche, e recitato dai pupazzi della “quinta colonna” ecclesiastica infiltrata, si è cercato di distruggere l’Apostolicità della Chiesa Cattolica Romana, almeno spiritualmente, lasciando poi che si distruggesse materialmente, con opportune guerre inventate per i più futili motivi, anche l’Apostolicità delle chiese orientali greco-Cattoliche, ad esempio in Ucraina, Libano, Siria, Egitto, etc., che non hanno modificato il loro rito antichissimo, così come la Messa di S. Basilio e S. Giovanni Crisostomo. L’Apostolicità è unicamente solo conservata nella Chiesa d’occidente, la Cattolica Romana, dalla Gerarchia in esilio, che da Gregorio XVII, Cardinal Siri, Papa “impedito”, in poi è rimasta l’unico filo conduttore che da San Pietro in poi giunge ai nostri giorni e continuerà la serie ininterrotta dei Papi, come da Magistero cattolico, e da promessa del divin Salvatore Gesù-Cristo. A Lui sia onore e gloria, a Lui che vive e regna, con il Padre e lo Spirito Santo, per tutti secoli dei secoli. Cristo regni!

Le conseguenze dell’introduzione del rito invalido della consacrazione episcopale sulla Chiesa conciliare!

Chiesa conciliare               Chiesa conciliare                      Chiesa conciliare

         1968                                          1988                                                 1999          ●  ● ● ● ●                                 ●●●●                                               ●●●●    ● ● ● ● ●                                       ●●                                                  ●●

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1968                 →                             1999

Dal 1968 al 1999 è avvenuta la sparizione del sacerdozio ed episcopato cattolico romano. (… in apparenza nella falsa chiesa modernista dell’uomo, ma il Signore non è stato inoperoso, la gerarchia continua nbella Chiesa cattolica eclissata e portata dall’aquila nel deserto – Apoc. XII. )

  • = vescovi

= preti

= pseudo vescovi

= pseudo preti

Quale che sia il rito utilizzato per l’ordinazione sacerdotale da uno pseudo-vescovo, anche con tonsura clericale, esso non può ordinare un vero prete.

18 GIUGNO 1968 -1-

Domande e risposte sulla salvezza

Domande e risposte sulla salvezza

di Padre Michael Muller, C.SS.R.

[Nota di redazione: Padre Michael Muller è stato uno dei teologi più letti del 19° secolo. Padre Muller ha presentato sempre le sue opere a due teologi redentoristi ed ai suoi superiori religiosi prima della pubblicazione, quindi siamo sicuri della solidità dottrinale dei suoi insegnamenti. In questo articolo, pubblicato nel 1875, c’è uno delle migliori trattazioni della verità dottrinale secondo la quale il Signore ha fondato una sola vera Chiesa, la cattolica, al di fuori della quale non c’è salvezza!]

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.1. – Tutti ammettono che la Chiesa cattolica sia la prima e la più antica chiesa, e, di conseguenza, che essa sia la Chiesa fondata da Gesù Cristo?

R.- Che la Chiesa cattolica sia la prima e la più antica, e di conseguenza sia la Chiesa fondata da Gesù Cristo, è e deve essere ammesso da tutti, perché è un fatto chiaramente dimostrato dalla Scrittura e dalla storia.

.2 – Chi sono coloro che testimoniano questo dato?

R – Lo testimoniano li Ebrei ed i Gentili, ed anche i protestanti lo riconoscono, perché, se infatti chiediamo loro perché essi stessi si chiamano protestanti, rispondono: “Perché noi protestiamo contro la Chiesa cattolica.”

.3 – Qual è la conseguenza di questa risposta?

R.- Che la Chiesa cattolica è più antica del Protestantesimo, altrimenti non avrebbero potuto protestare contro di Essa.

.4 – Se andiamo ancora più indietro e chiediamo alla Chiesa greca come e perché essa esista, quale sarà la risposta? –

– La Chiesa greca deve rispondere: “Abbiamo iniziato a separarci dalla Chiesa cattolica nel IX secolo.

.5 Qual ne è allora la conseguenza? –

R.- Che la Chiesa Cattolica esisteva già ottocento anni prima che nascesse la Chiesa greca, e di conseguenza, Essa è più antica della Chiesa greca.

.6 Risalendo ai giorni degli stessi Apostoli, che cosa riscontriamo nel modo in cui sono sorte le sette religiose? –

R- Se andiamo indietro ai giorni degli stessi Apostoli, troviamo che ogni setta si è separata sempre dalla Chiesa Cattolica, e quindi vediamo calvinisti, metodisti Kilhamiti, quaccheri, metodisti, riformati metodisti, metodisti tedeschi, metodisti Wesleyani, Battisti, Battisti riformati, Battisti Hardshell, Battisti Softshell, battisti Gallon, Anabattisti, Mennoniti, Milleriti, Universalisti, congregazionalisti, presbiteriani, mormoni, epicopali, cristiani perfezionisti, ecc, ecc, ecc.

.7 Dio non è  sempre lo stesso, qualunque religione professi una persona?

R- Se fosse sempre lo stesso Dio per qualunque religione professi una persona, Dio non avrebbe proibito, nel primo comandamento, di adorarLo in modo diverso dalla vera religione. E Cristo ha solennemente dichiarato: “Colui che non vuole ascoltare la Chiesa, sia per te come un pagano ed un pubblicano.” (Matteo XVIII:17).

.8 Chi, poi, sarà salvato? –

R. – Gesù-Cristo ha solennemente dichiarato che saranno salvati solo quelli che hanno fatto la volontà di Dio sulla terra, come spiegato, non mediante l’interpretazione privata, ma secondo l’insegnamento infallibile della Chiesa Cattolica Romana; “Non colui, afferma Cristo, che dice, Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli; ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli: questi entrerà nel regno dei cieli “. (S. Matt. VII:21) La volontà del Padre celeste è che tutti gli uomini ascoltino e credano in suo Figlio, Gesù Cristo. “Questi è il mio Figlio diletto. Ascoltatelo!”(S. Luca IX,35). – Ora Gesù Cristo ha detto ai suoi Apostoli e per essi a tutti i loro legittimi successori: “Chi ascolta voi ascolta me, e chi disprezza voi, disprezza me, e chi disprezza me, disprezza il Padre celeste, che mi ha mandato”. (S. Luca X: 16) Quindi tutti coloro che non ascoltano Gesù Cristo che parla loro attraverso San Pietro e gli Apostoli nei loro Successori legittimi, disprezzano Dio Padre. Non facendo la sua volontà, il cielo non sarà mai loro parte.

.9  Tutti coloro che desiderano essere salvati, devono quindi morire uniti alla Chiesa cattolica? –

R. – Tutti coloro che desiderano essere salvati, devono morire uniti alla Chiesa Cattolica. Fuori di Essa non c’è salvezza, perché solo Essa insegna ciò che Gesù Cristo richiede a tutti per essere salvati, e perché solo ad Essa Cristo ha lasciato i mezzi per ottenere tutte le grazie necessarie alla salvezza. Ecco perché Gesù disse ai Suoi apostoli e a tutti i loro legittimi successori: “Andate e ammaestrate tutte le nazioni: insegnando loro ad osservare tutte le cose che vi ho comandato. Chi non crede a tutte queste cose sarà condannato. “(S. Matteo XXVIII: 20, S. Marco XVI:16). Il nostro Divino Salvatore dice: “Nessuno può venire al Padre se non per mezzo di me.” (S. Giovanni XIV: 6) Se poi vogliamo entrare in Paradiso, dobbiamo essere uniti a Cristo, al suo [mistico] Corpo, che è la Chiesa, come dice san Paolo. Pertanto, al di fuori della Chiesa non c’è salvezza. Ancora una volta, Gesù Cristo dice: “Chi non ascolta la Chiesa, sia considerato come un pagano e un pubblicano” (S. Mt XVIII:17), cioè un grande peccatore.  Pertanto, al di fuori della Chiesa non c’è salvezza. – La Sacra Scrittura dice: “Il Signore ogni giorno aggiungeva alla Chiesa coloro che dovevano essere salvati.” (Atti II:47) Perciò gli Apostoli hanno creduto e le Sacre Scritture insegnano che “non c’è salvezza fuori dalla Chiesa”.

.10 Cosa dicevano Sant’Agostino e gli altri vescovi dell’Africa, al Concilio di Zirta, nel 412, della salvezza di coloro che muoiono al di fuori della Chiesa cattolica romana?

R. Essi hanno detto che “chiunque è separato dalla Chiesa cattolica, quantunque la sua vita possa essere giudicata lodevole, per il solo motivo che è separato dalla unione con Cristo, non la vita, bensì l’ira di Dio dimora su di lui. “(S. Giovanni III:36).

.11 Che cosa dice san Cipriano circa la salvezza di coloro che muoiono al di fuori della Chiesa cattolica romana? –

R. – San Cipriano dice: “Chi non ha la Chiesa per sua madre non può avere Dio per Padre”. E con lui i Padri della Chiesa in generale dicono che: “come tutti quelli che non erano nell’arca di Noè perirono nelle acque del diluvio, così periranno tutti coloro che sono fuori della vera Chiesa “.

.12. Chi sono coloro che si trovano fuori dall’ambito della Chiesa cattolica romana?

R. – Fuori dal limite della Chiesa Cattolica romana, sono tutti i non battezzati e tutte le persone scomunicate, tutti gli apostati, i non credenti, e gli eretici.

Infedeli ed apostati

.13 Come facciamo a sapere che le persone non battezzate non vengono salvate?

R. – Che le persone non battezzate non vengano salvate, lo sappiamo da Cristo che ha detto: “Se uno non nasce da acqua e Spirito Santo, non può entrare nel regno di Dio” (S. Giovanni III: 5). Dio non può unire Se stesso a tali anime in cielo a causa del peccato originale da cui sono contaminati.

.14 Come facciamo a sapere che le persone giustamente scomunicate, che non sono disposte a fare ciò che è loro richiesto prima di essere assolte, non vengono salvate?

R. – Le persone giustamente scomunicate, che non sono disposte a fare ciò che è richiesto loro per essere assolte, non vengono salvate, perché il peccato di grande scandalo, per il quale erano come delle membra morte, le ha espulse dalla comunione della Chiesa, e le esclude dal Regno del Paradiso.

.15 Quali cattolici sono scomunicati? –

R. – Sono scomunicati tutti quei cattolici membri di società segrete che sono state scomunicate [condannate] dalla Chiesa, come la Massoneria ed altre società affiliate ad essa sotto vari nomi.

.16 Perché diversi Papi hanno solennemente scomunicato tutti gli aderenti alla massoneria? –

R. – Tutti i massoni sono stati solennemente scomunicati da vari Papi a causa dell’oggetto principale e dello spirito della Massoneria, che vuole ristabilire il Paganesimo o la Chiesa di satana in tutto il mondo: a) Con sconvolgimento dei governi per avocare a sé il potere di governare e di fare leggi empie per i sudditi; b) Cercando di rovesciare la Chiesa cattolica che insegna e mantiene i diritti e le leggi di Dio e della società civile; c) Diffondendo i principi immorali ed empi attraverso la stampa infedele ed altri mezzi satanici; d) Stabilendo scuole pubbliche per l’educazione dei giovani all’infedeltà.

.17 È noto a tutti i massoni questo oggetto principale e lo spirito che li anima?

R. – Questo oggetto satanico e lo spirito della massoneria è noto solo ai membri dei più alti gradi della stessa. Ma sono sufficientemente noti a tutti le opere ed gli argomenti dei massoni, e quindi tutti i membri, anche dei gradi più bassi, sono colpevoli delle nefandezze di questa società satanica.

.18 Come facciamo a sapere che gli apostati non vengono salvati? –

R.- Gli apostati dalla fede cattolica non vengono salvati, perché allontanarsi dalla fede è un gran peccato che fa perdere il regno dei cieli.

.19 Ci sono molti tipi di infedeli o di non credenti? –

R.- Ci sono tre tipi di infedeli o non credenti: (a) Coloro che sono colpevoli del peccato di infedeltà; (b) coloro che non sono colpevoli del peccato di infedeltà, ma commettere altri grandi peccati; (c) coloro che non sono colpevoli del peccato di infedeltà, ma vivono in base ai dettami della loro coscienza.

20. Quali tipi di infedeli sono colpevoli del peccato di infedeltà?

R. – 1) Sono colpevoli tutte quelle persone che, non battezzate, non abbracciano la vera religione, anche se le verità di essa siano stata fatte loro sufficientemente conoscere, così come per molti dei Giudei dei quali Nostro Signore ha detto che non avevano alcuna scusa per i loro peccati, perché Egli stesso aveva parlato loro. – 2) Sono colpevoli tutte quelle persone che, non battezzate, e che hanno ricevuto la luce sufficiente per conoscere la verità, o almeno per capire il pericolo della loro posizione e che avevano l’obbligo di svolgere indagini diligenti per accertarsene e abbracciare la verità, hanno trascurato di farlo. – 3) Sono colpevoli del peccato di infedeltà tutti coloro che volontariamente negano la verità e ostinatamente vi resistono. – “Dobbiamo ricordare e condannare ancora una volta che l’errore più pernicioso che sia stato fatto proprio da molti cattolici è quello di essere del parere che: le persone che vivono in errore e non hanno la vera fede e sono quindi separate dall’unità cattolica, possano ottenere ugualmente la vita eterna. Ora questa opinione è la più contraria alla fede cattolica, come è evidente dalle semplici parole di Nostro Signore, (S. Mt XVIII:17; S. Mc XVI,16; S. Lc X:16; S. Giovanni III:18), come anche dalle parole di San Paolo (2 Tim II:11) e di San Pietro (2 Pietro II: 1) per cui “intrattenere opinioni contrarie a quelle della fede cattolica significa essere empio”. –

pio IX

S. S. Papa Pio IX

.21 Perché gli infedeli “positivi” non vengono salvati?

R. – Gli infedeli positivi non vengono salvati perché, “l’infedeltà positiva, essendo un’ostinazione volontaria, è una palese contraddizione, in quanto il disprezzo pubblico della rivelazione divina e dei precetti del Vangelo, costituisce uno dei peccati più gravi al cospetto di Dio e della Sua Santa Chiesa, come dice san Tommaso d’Aquino.

.22 Perché è enorme la gravità del peccato di infedeltà?

R. – Il peccato mortale è una deviazione dalla virtù e dalla legge divina. Il peccato più grave, quindi, è quello che separa l’uomo da Dio più di ogni altro. Ora, il peccato come l’infedeltà positiva provoca una grande separazione da Dio. Quando l’intelletto è in errore e abbandona la conoscenza di Dio, la volontà lo segue ed aumenta la malizia nella misura in cui l’intelletto si allontana dal sentiero della verità, della giustizia e della carità. Ogni passo che un uomo fa nel buio dell’infedeltà, aumenta la distanza che lo separa da Dio. Un ritorno da quel percorso pericoloso è molto difficile, perché quando l’intelletto è in errore e la volontà è piena di malizia e depravazione, tutti i legami in grado di unire l’uomo a Dio sono distrutti. – Se tali uomini muoiono con questa disposizione di spirito, sono infallibilmente perduti, dice san Tommaso. “Senza la fede è impossibile piacere a Dio.” (Eb. XI: 6).

.23 Chi sono gli infedeli non colpevoli del peccato di infedeltà, ma che commetteno altri gravi peccati?

R. – Coloro che non sono colpevoli del peccato di infedeltà, ma commettono altri peccati gravi, sono tutte quelle persone non battezzate che non hanno mai avuto l’occasione di conoscere la vera religione, o di prendere coscienza dell’obbligo di cercarla ed abbracciarla, e vivono secondo i dettami della loro coscienza.

.24 Questa classe di infedeli andrà persa?

R. – Questa classe di infedeli sarà persa, non a causa della loro infedeltà, che non era il loro peccato, ma a causa di altri gravi peccati che hanno commesso contro la loro coscienza. “Perché coloro che hanno peccato senza la legge”, dice san Paolo, “periranno senza la legge.” (Romani II:12).

.25 Saranno persi quegli infedeli che non sono colpevoli del peccato di infedeltà e vivono secondo la loro coscienza?

R. – Di questi infedeli che non sono colpevoli del peccato di infedeltà e sono fedeli nell’obbedire alla voce della loro coscienza, San Tommaso d’Aquino dice: “Se qualcuno è stato portato nel deserto o tra i bruti, e se ha seguito la legge della natura nel desiderare ciò che è buono, e nell’evitare ciò che è malvagio, dobbiamo certamente credere che Dio, con un’ispirazione interiore, gli abbia rivelato quello che deve credere, o abbia mandato qualcuno a predicargli la fede, così come mandò Pietro a Cornelio. ”

 L’eresia

.26 Qual è il significato della parola “eretico”?

R. – La parola “eretico” deriva dal greco e significa “un selettore”, “colui che sceglie”

.27 Che cos’è un eretico?

R. – Un eretico è un qualsiasi battezzato, che professa il cristianesimo, e che sceglie da sé cosa credere e cosa non credere a suo piacimento, in opposizione ostinata ad alcuna particolare verità che egli sa essere insegnata dalla Chiesa Cattolica come verità rivelata da Dio.

.28. Quali sono le cose che ci fanno ritenere che una persona si sia resa colpevole del peccato di eresia?

R. -Per ritenere una persona colpevole del peccato di eresia, sono necessarie tre cose: a) Egli deve essere battezzato e professare il cristianesimo; Questo lo distingue da un Ebreo e da un idolatra; – b) Deve rifiutare di credere una verità rivelata da Dio ed insegnata dalla Chiesa come rivelata. – c) Deve ostinatamente aderire all’errore, preferendo il proprio giudizio privato, in materia di fede e di morale, all’insegnamento infallibile della Chiesa Cattolica.

.29. Quanti tipi di eretici (o protestanti) ci sono?

R. – Ci sono essenzialmente tre tipi di eretici: – a) Coloro che sono colpevoli del peccato di eresia; – b) Coloro che non sono colpevoli del peccato di eresia, ma commettono altri gravi peccati; – c) Coloro che non sono colpevoli del peccato di eresia e che vivono secondo i dettami della loro coscienza.

.30. Chi sono quindi i colpevoli del peccato di eresia?

R. – Del peccato di eresia sono colpevoli: -a) Tutte quelle persone battezzate, che professano il Cristianesimo ed ostinatamente rifiutano una verità rivelata da Dio ed insegnata dalla Chiesa come così rivelata; – .b) Coloro che abbracciano un parere contrario alla fede, mantenendola ostinatamente, e rifiutano di sottomettersi all’autorità della Chiesa cattolica; -c) coloro che dubitano volontariamente della verità di un articolo di fede, e con tale dubbio intenzionale mettono in dubbio la conoscenza e la verità di Dio: questo è l’essere colpevole di eresia- .d) Chi riconosce la Chiesa Cattolica essere l’unica vera Chiesa, ma non abbraccia la sua fede; – e) Coloro che potevano conoscere la Chiesa, se l’avessero candidamente ricercata, ma che, attraverso l’indifferenza ed altri motivi colpevoli, hanno omesso di farlo; – f) Chi, come gli anglicani, pensano che si avvicinano molto alla Chiesa cattolica, perché le loro preghiere e le cerimonie sono simili a molte preghiere e cerimonie della Chiesa cattolica, e perché il loro credo è il Credo apostolico. Questi sono eretici in linea di principio, perché: “La vera personalità che professa eresie”, dice san Tommaso d’Aquino, “consiste nella mancanza di sottomissione all’autorità dell’insegnamento divino che è il Capo della Chiesa.”

.32. Perché si perdono i veri eretici?

R. I veri eretici si perdono perché rifiutando il divino Maestro – la Chiesa Cattolica – essi rifiutano tutti gli insegnamenti divini, commettendo così uno dei più grandi peccati. Ecco perché il Papa Pio IX ha parlato del protestantesimo in tutte le sue forme come “della grande rivolta contro Dio”, essendo esso un tentativo di sostituire un essere umano all’autorità divina, ed una dichiarazione di indipendenza della creatura dal Creatore. Per questo motivo la Sacra Scrittura condanna l’eresia con la massima fermezza. “Dopo una o due ammonizioni sta’ lontano da chi è fazioso, ben sapendo che è gente ormai fuori strada e che continua a peccare condannandosi da se stessa. E ancora dice: “Orbene, se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia anàtema! L’abbiamo già detto e ora lo ripeto: se qualcuno vi predica un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anàtema “. (Gal I: 8,9). – “Rifiutare, anche un solo articolo di fede insegnato dalla Chiesa”, dice san Tommaso d’Aquino, “è sufficiente a distruggere la fede, come un solo peccato mortale è sufficiente a distruggere la Carità”.La virtù della fede non consiste semplicemente nell’adesione alla Sacra Scrittura e riverirla come Parola di Dio; essa consiste principalmente nel sottoporre il nostro intelletto e la volontà all’autorità divina della vera Chiesa incaricata da Gesù Cristo di esporla.”Non crederei alle Sacre Scritture”, dice S. Agostino, “se non fosse per l’autorità divina della Chiesa”. Colui, pertanto, che disprezza e respinge questa autorità, non può avere la vera fede. Se ammette qualche verità soprannaturale, queste sono delle semplici opinioni, delle verità che dipendono dal suo giudizio privato. – E poiché la fede divina è l’inizio della salvezza, il fondamento e la fonte della giustificazione che si trova solo nella vera Chiesa, è chiaro che non c’è salvezza per tutto il tempo che si è eretici.

L’eresia nega ogni fede

.33. Gli eretici hanno fede in Gesù Cristo?

R. – Tommaso d’Aquino dice: “E ‘assurdo per un eretico dire di credere in Gesù Cristo. Credere in una persona significa dare il nostro pieno consenso alla sua parola e a tutto ciò che insegna. Vera fede, dunque, è la fede assoluta in Gesù Cristo e in tutto ciò che Egli ha insegnato. Quindi, chi non aderisce a tutto ciò che Gesù Cristo ha prescritto per la nostra salvezza, non possiede la dottrina di Gesù Cristo e della sua Chiesa, così come fanno i pagani, gli ebrei e i turchi” – “Egli è “, dice Gesù Cristo “, un pagano e un pubblicano”; e quindi sarà condannato all’inferno.

.34. Si dimostri come i protestanti non abbiano fede assoluta in Cristo.

– Gesù Cristo dice: “Ascoltate la Chiesa”. – “No”, dicono Lutero e tutti i protestanti, “non ascoltate la Chiesa; protestate contro di Essa con tutte le forze.” (S. Matteo XVIII:17) – Gesù Cristo dice: “Se qualcuno non ascolta la Chiesa, si consideri come un pagano e un pubblicano.” – “No”, dice il protestantesimo, “se qualcuno non ascolta la Chiesa, si consideri un apostolo, un ambasciatore di Dio. “(S. Matteo XVIII:17) ; Cristo dice: “Le porte dell’inferno non prevarranno contro la mia Chiesa”.- “No”, dice il protestantesimo.-  ‘Questo è falso, le porte dell’inferno hanno prevalso contro la Chiesa per più di mille anni ed oltre.” (S. Matteo XVI:18). – Gesù Cristo ha dichiarato San Pietro e ogni successore di San Pietro – il Papa – essere suo Vicario in terra. “No”, dice il protestantesimo, “il Papa è anti-Cristo”. (S. Matteo 16:18) – Gesù Cristo dice: “Il mio giogo è dolce e il mio carico leggero”. (S. Matt XI:30). “No”, hanno detto Lutero e Calvino, “è impossibile osservare i comandamenti.” Gesù Cristo dice: “Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti”. (S. Matt XIX:17). – “No”, hanno detto Lutero e Calvino, “la sola fede, senza le buone opere, è sufficiente per entrare nella vita eterna.” -Gesù Cristo dice: “Se non fate penitenza, tutti similmente perirete” (S. Luca XIII: 3) – “No”, hanno detto Lutero e Calvino, “il digiuno e le altre opere di penitenza non sono necessarie in soddisfazione del peccato.” – Gesù Cristo dice: “Questo è il mio corpo”. – “No”, ha detto Calvino, “questa è solo la figura del corpo di Cristo; diventerà il suo Corpo non appena si riceve “(1 Cor XI, 23-26) – Gesù Cristo dice: “Io vi dico che chiunque manda via sua moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio; e colui che sposerà la donna ripudiata, commette adulterio “(Mt XIX: 9)”. – No, “dicono Lutero e tutti i protestanti ad un uomo sposato,” puoi ripudiare tua moglie, ottenere il divorzio, e sposarne un’altra.” – Gesù Cristo dice ad ogni uomo:. “Non rubare” – “No”, ha detto Lutero ai principi secolari, “Vi do il diritto di appropriarvi delle proprietà della Chiesa cattolica romana” (Mt XIX,18).

.35. Gli eretici parlano anche di Spirito Santo e degli Apostoli?

R. – Sì, loro lo fanno. Lo Spirito Santo dice nella Sacra Scrittura: ” L’uomo non conosce né l’amore né l’odio; davanti a lui tutto è vanità. ” (Eccles. IX: 1) “Chi può dire: Il mio cuore è pulito, io sono puro dal peccato?” (Pr XX, 9) e: ” attendete alla vostra salvezza con timore e tremore (Filip II:12) “No”, hanno detto Lutero e Calvino, “ma chi crede in Gesù Cristo, è in stato di grazia.” – San Paolo dice: “se avessi tutta la fede, in modo da poter trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla.” (1 Cor. XIII: 2) – “No”, hanno detto Lutero e Calvino, “la sola fede è sufficienti per salvarci.” – San Pietro dice che nelle Lettere di san Paolo ci sono molte cose “difficili da capire, che ignoranti e instabili le travisano, come anche le altre Scritture, per loro propria perdizione.” (2 Pt. III,16) – “No, hanno detto Lutero e Calvino, “le Scritture sono molto semplici e facili da essere capite “. – San Giacomo dice: “C’è qualcuno malato fra voi? – Lasciate che vengano i sacerdoti della Chiesa e preghino su di lui, dopo averlo unto con olio, nel nome del Signore.” (S. Giac. V, versetto 14) – ” No “, hanno detto Lutero e Calvino,” questa è un cerimonia vana e inutile. ”

.36. Ora, pensi che Dio Padre farà entrare in cielo coloro che contraddicono in tal modo suo Figlio Gesù Cristo, lo Spirito Santo, e gli Apostoli?

R. – No, Egli lascerà che loro abbiano la loro parte con Lucifero all’inferno, che per primo si ribellò contro Cristo, e che è il padre dei bugiardi.

.37. Può un cristiano essere salvato, dopo aver lasciato la vera Chiesa di Cristo, la Santa Chiesa Cattolica?

R. No, perché la Chiesa di Cristo è il regno di Dio sulla terra, e chi lascia quel regno, si esclude dal regno di Cristo in cielo. (1 Tim 3:15; Matt 18:17) (1 Tm III,15; Mt XVIII:17).

38. I protestanti lasciarono la vera Chiesa di Cristo?

R. – I protestanti hanno lasciato la vera Chiesa di Cristo nei loro fondatori, che hanno lasciato la Chiesa cattolica sia per orgoglio, sia per la passione della lussuria e della cupidigia.

39. What will be the punishment of those who willfully rebel against the Holy Catholic Church38. Quale sarà la punizione di coloro che volontariamente si ribellano alla Santa Chiesa Cattolica?

R. Coloro che si ribellano volontariamente alla Santa Chiesa Cattolica, finiranno come Lucifero e gli altri angeli ribelli, saranno cioè gettati nelle fiamme eterne dell’inferno. “Chi non ascolta la Chiesa”, dice Cristo, “sia per te come un pagano e un pubblicano”. (S. Matt. XVIII:17).

.40. Ma se un protestante dovesse dire: “Non ho nulla a che fare con Lutero o Calvino o Enrico VIII o John Knox, io attingo dalla Bibbia,” cosa gli risponderesti?

R. In questo caso, si adottano e passano i principi e lo spirito degli autori delle eresie, e si cambia la Parola scritta da Dio nella parola dell’uomo, perché si interpreta la Sacra Scrittura alla nostra privata maniera, dandole quel significato che si sceglie di dare, e quindi, invece di credere alla parola di Dio, si crede piuttosto alla propria interpretazione personale di essa, che non diventa pertanto altro che la parola dell’uomo. Quindi, Sant’Agostino dice: “Voi che credete quel vi piace, e rifiutate quel che volete, credete a voi stessi ed alla vostra fantasia, piuttosto che al Vangelo”.

L’ignoranza non-colpevole

.41. Quali protestanti non sono colpevoli del peccato di eresia, ma commettono altri grandi peccati?

R. – Coloro che sono protestanti, senza colpa loro e che non hanno mai avuto l’opportunità di miglior conoscenza, non sono colpevoli del peccato di eresia; ma se vivono secondo i dettami della loro coscienza, essi saranno persi, non a causa della loro eresia, che per loro non era peccato, ma a causa di altri gravi peccati commessi.

42. Saranno salvati quegli eretici che non sono colpevoli del peccato di eresia, ma sono fedeli nel vivere secondo i dettami della loro coscienza? L’ignoranza non-colpevole della vera religione, scusa un pagano dal peccato di infedeltà, e un protestante dal peccato di eresia.Ma tale ignoranza non è mai stata un mezzo di salvezza.Dal fatto che una persona che vive secondo i dettami della sua coscienza, e che non può peccare contro la vera religione a causa della ignorante di essa, molti hanno tratto la falsa conclusione che tale persona è salvata, o, in altre parole, è in stato di grazia santificante, rendendo così inutile ogni mezzo di salvezza o di giustificazione. Se non vogliamo sinceramente fare grandi errori nello spiegare la grande verità rivelata, “Fuori della Chiesa non c’è salvezza”, dobbiamo ricordare:a) che per ottenere la salvezza ci sono quattro grandi verità, che tutti devono conoscere e credere per essere salvati; b)che non si può andare in Paradiso a meno che non ci si trovi in uno stato di grazia santificante; c) che, al fine di ricevere la grazia santificante, l’anima deve essere preparata dalla fede divina, dalla Speranza e Carità, da un vero dolore per il peccato con il fermo proposito di fare tutto ciò che Dio chiede all’anima di credere e di fare, al fine di essere salvati; d) che questa preparazione dell’anima non può essere operata dall’ignoranza non– E se tale ignoranza non può disporre l’anima a ricevere la grazia della giustificazione, tanto meno essa può dare questa grazia all’anima. L’ignoranza non-colpevole non è mai stata un mezzo di grazia o di salvezza, nemmeno per le persone che ignorando la colpa, vivono secondo la loro coscienza. Ma per questa classe di persone ignoranti diciamo, con San Tommaso d’Aquino, che Dio nella sua misericordia porterà queste anime alla conoscenza delle verità necessarie alla salvezza, anche inviando loro un Angelo, se necessario, per istruirli, piuttosto che lasciare che essi muoiano senza colpa loro. Se accettano questa grazia, verranno salvati come cattolici.

 Altre domande

43. Ma non è una dottrina molto caritatevole il dire che nessuno possa essere salvato fuori della Chiesa?

R. Al contrario, si tratta di un atto di carità molto grande l’affermare a gran forza, che fuori della Chiesa Cattolica non c’è salvezza possibile;  Gesù Cristo ed i suoi Apostoli hanno insegnato questa dottrina con un linguaggio molto semplice: chi cerca sinceramente la verità è felice di sentirla e abbracciarla, al fine di essere salvato.

.44. Ma non è detto nella Sacra Scrittura: “Chi teme Dio, ed opera la giustizia, è accettabile a Lui?”

R. – Ma chi non crede a tutte le verità che Dio ha rivelato, ma crede o rifiuta ciò che vuole, non teme Dio e non può abbracciare la giustizia. “Chi crede nel Figlio di Dio, ha questa testimonianza in sé. Chi non crede a Dio, fa di Lui un bugiardo, perché non crede alla testimonianza che Dio ha reso a suo Figlio”, dice san Giovanni (1 S. Giovanni V, 10); e per questo motivo, viene condannato all’inferno.

.45. Ma non ci sono molti che perderebbero l’affetto dei loro amici, le loro case confortevoli, i loro beni temporali, le prospettive nel mondo degli affari, qualora diventino cattolici? Non li scuserebbe Gesù Cristo, in tali circostanze, per non voler diventare cattolici?

R. Per quanto riguarda l’affetto di amici, Gesù Cristo ha solennemente dichiarato: “Chi ama il padre o la madre più di me, non è degno di me; e chi ama il figlio o la figlia più di me, non è degno di me “(S. Matteo X, 37). E per quanto riguarda la perdita di guadagno temporale, Egli ha così risposto: “Che giova all’uomo se guadagna tutto il mondo e poi perde la sua anima? “(S. Mc VIII,36).

.46. Ma non sarebbe sufficiente essere cattolico solo di cuore, senza professare pubblicamente la propria religione?

R. No, perché Gesù Cristo ha solennemente dichiarato che, “Chi si vergognerà di me e delle mie parole, il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui quando Egli verrà nella sua maestà, e quella di suo Padre, e degli Angeli santi . “(S. Luca IX,26). 46. But might not such a one safely put off being received into the Church till the hour of deat

.47. Ma potrebbe un tale così tranquillamente rimandare all’ora della morte l’essere ricevuto nella Chiesa?

R.- Rimandare l’entrata nella Chiesa Cattolica fino all’ora della morte è abusare della misericordia di Dio, ed esporsi al pericolo di perdere la luce e la grazia della fede, e morire da reprobo.

.48. Che altro trattiene molti dal diventare cattolici?

R. -Molti sanno bene che, se diventano cattolici, devono condurre una vita onesta ed essere sobri, puri, controllare le loro passioni peccaminose, e questo non hanno proprio voglia di farlo. “Gli uomini preferiscono le tenebre alla luce”, dice Gesù-Cristo, “perché le loro opere sono il male.” Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire!

.49. Cosa comporta il fatto che la salvezza possa essere trovata solo nella Chiesa cattolica romana?

R. – Ne consegue che è cosa molto empia per chiunque, il pensare ed il dire che poco importa ciò che un uomo crede, a condizione che sia un uomo onesto.

.50. Che risposta si può dare ad un uomo che parla così?

R. – Ad un uomo che dice: “poco importa quello che un uomo crede, a condizione che egli sia un uomo onesto”, vorrei chiedere se crede o non che la sua onestà e la giustizia siano così grandi, al di sopra di quella degli scribi e dei farisei nel Vangelo. Essi erano perseveranti nella preghiera, pagavano le decime secondo la legge, davano generose elemosine, digiunavano due volte alla settimana, e facevano il giro del mare e della terra per ottenere un convertito e portarlo alla conoscenza del vero Dio.

.51. Cosa dice Gesù Cristo di questa giustizia dei farisei?

R. Egli dice: “se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli”. (S. Matt 5,20).

.52. Era, quindi, la giustizia dei farisei molto difettosa agli occhi di Dio?

R. – La loro giustizia era tutta nel mostrarsi e nell’ostentare esternamente. Facevano opere buone solo per essere lodati ed ammirati dagli uomii. Erano ipocriti, volgari, nascondevano i loro grandi vizi sotto la bella apparenza dell’amore per Dio, la carità ai poveri, e la severità per se stessi. La loro devozione consisteva in atti esteriori, e disprezzavano tutti quelli che non vivevano come facevano loro. Erano rigorosi nelle osservanze religiose delle tradizioni umane, ma non si facevano scrupolo nel violare i Comandamenti di Dio.

53. Che cosa dobbiamo dunque pensare di quelli che dicono: «Poco importa ciò che un uomo crede, purché egli sia onesto?”

R. – Di quelli che dicono questo, pensiamo che la loro onestà esteriore, come quella dei Farisei, possa essere sufficiente a tenerli fuori dal carcere, ma non dall’inferno.

18 GIUGNO 1968 -6-

18 giugno 1968-

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   Eccoci ancora a parlare di una cosa gravissima, della quale pochi sono a conoscenza, e chi sa si guarda ovviamente bene dal farne parola, e cioè della INVALIDITA’ formale e materiale della consacrazione vescovile del “Pontificalis Romani”, che sta producendo nei fatti l’estinzione dell’ Ordine sacerdotale cattolico e di conseguenza di tutti i Sacramenti: quella che oggi appare essere la Chiesa Cattolica, è costituita in realtà da un esercito di “zombi” spirituali, da “finti” e presunti sacerdoti e vescovi che stanno lentamente ma inesorabilmente soppiantando i pochi veri “residui” vescovi e sacerdoti, oramai solo ultraottantenni, e cioè i Vescovi ordinati con il “rito Cattolico” di sempre contenuto nel Magistero irreformabile ed eterno, o i sacerdoti ordinati da “veri” Vescovi a loro volta ordinati prima del fatidico 18 giugno 1968. Questa volta discorreremo addirittura delle ERESIE contenute nella formula del rito del “Pontificalis Romani”!! Effettivamente costateremo nella “forma” essenziale: 1) un‘eresia monofisita, 2) un’eresia anti-filioque, 3) un’eresia anti-Trinitaria, tali da configurare una forma essenziale “kabbalista e gnostica” (la Gnosi in generale, e quella talmudica-cabbalista in particolare, è propriamente la “teologia” di lucifero), e creare quindi un “eletto manicheo”. Una forma quindi, che non solo rende invalida ed illecita ogni presunta consacrazione, ma ne inverte i valori spirituali, consacrando cioè un “servo di lucifero”. E allora ci chiediamo: ma se è così come sembra, e come ci accingiamo a dimostrare, cosa pensare del prossimo “santo” G.B. Montini, Paolo VI? Possiamo affermare, con piglio categorico, sicuro e senza … peli sulla lingua: “il prossimo “dannato” sodomita della “sinagoga di satana”, infiltrata fraudolentemente nella Chiesa Cattolica, è da ritenersi come il più grande eresiarca della storia di tutti i tempi, al cui confronto Lutero, Calvino, Fozio, Ario, Krenmer, Soncino e compagnia cantando, sono dilettanti di serie Z, di ultima categoria!”.

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gli eretici dilettanti e…

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… Il più grande eresiarca di tutti i tempi!

C’è chi ha attaccato la Chiesa dal tetto, chi dalle mura esterne, chi dal portone e dalle finestre, ma Montini “la ruspa” L’ha praticamente rasa al suolo (si fieri potest), scardinandone i pilastri portanti: la Santa Messa, la Consacrazione vescovile, la tonsura abolita e quindi sacerdozio cattolico abolito, con la conseguente invalidità di tutti i Sacramenti! Ma torniamo alla invalida ed illecita consacrazione, alla blasfema formula di ispirazione copto-etiopica, come dimostrato in precedenza: «Et nunc effunde super hunc electum eam virtutem, quæ a te est, Spiritum principalem, quem dedisti dilecto Filio Tuo Jesu Christo» [Pontificalis Romani, 1968 (forma essenziale)]. Qui è palese l’affermazione dell’eresia monofisita, l’eresia dei monofisiti etiopici [che negano cioè la natura divina di Cristo]. Questi due righi citati infatti si ritrovano tal quali nel loro rito abissino di consacrazione episcopale. Questa eresia consiste nel considerare che il Cristo abbia bisogno di ricevere dal Padre lo Spirito-Santo per divenire ’Figlio di Dio’, e per poter comunicare a sua volta, lo Spirito-Santo ai suoi Apostoli. Il Figlio riceve lo Spirito ad un dato momento (al battesimo secondo gli Etiopi), cosa quindi che nega la natura del “Fiat” della Santissima Vergine Maria, “Fiat” che permette nello stesso momento la sua verginale Concezione, realizzando così il Mistero centrale della Fede Cattolica: l’Incarnazione di Nostro Signore Gesù-Cristo, vero uomo e vero Dio per mezzo dello Spirito-Santo). Quindi: negazione totale della verità cattolica dell’Incarnazione del Verbo! Ma nella “forma essenziale” c’è anche spazio per l’eresia anti-Filioque [l’eresia di Fozio e dei sedicenti “Ortodossi”, che negano il procedere dello Spirito-Santo dal Padre “e” dal Figlio]. In questa forma infatti si afferma l’eresia anti-Filioque etiopica, secondo la quale “Non è più il Figlio che spira, con il Padre, lo Spirito-Santo (cf. il “Filioque” del Simbolo di Nicea), ma è il Figlio che riceve dal Padre lo Spirito-Santo. Si tratta di una inversione (secondo un tipico costume satanico), delle relazioni nella Santa Trinità tra il Figlio e lo Spirito-Santo. Incredibile! Pensare che al Credo della Messa “di sempre” la Chiesa ci faceva cantare a proposito dello Spirito-Santo «qui ex Patre Filioque procedit»! Questa formula esprime la fede della Chiesa nello Spirito Santo come terza Persona della Santa Trinità. Lo Spirito-Santo procede dal Padre e dal Figlio come da un solo Principio e possiede, con il Padre ed il Figlio, gli stessi attributi di onnipotenza, di eternità, di santità; Esso è uguale al Padre ed al Figlio a causa della divinità che è Loro propria. L’utilizzazione del termine Puer Jesus Christus nella “forma”, in Ippolito, «modello» del rito della consacrazione dei vescovi riformato da Montini (il sedicente marrano Paolo VI), è rimpiazzato da: “dilectus Filius” = tuo Figlio diletto, Gesù Cristo. Malgrado tutto, questa correzione indica ancora e sempre una inferiorità del Figlio poiché il Cristo è designato anche, come nei Greci scismatici, come canale transitorio dello Spirito-Santo. Manca dunque allo Spirito-Santo la relazione essenziale in seno alla Santa Trinità come Persona emanante dal Padre e dal Figlio dall’eternità. Un errore grossolano, fondamentale, che rende, una volta di più, la forma dell’ordinazione intrinsecamente inoperante e dunque invalida! Ed anche se la rettitudine della fede del Vescovo consacrante fosse certa, questa non potrebbe “sopperire” né correggerebbe la forma e l’intenzione che è normalmente veicolata dal rito. Ma non è ancora finita: la “forma” inventata da B. Botte per Bugnini, su richiesta di Montini, proclama anche una eresia anti-Trinitaria! Ed infatti il «Signore» che è: Dio, il Padre; il Figlio Gesù-Cristo, consustanziale al Padre; e «lo Spirito che fa i capi (!?!) e che Tu hai dato al tuo Figlio diletto, Gesù-Cristo» non costituiscono affatto una designazione teologicamente corretta delle tre Persone divine nell’unità della sostanza e distinte per le loro Relazioni proprie! Qui il discorso è sottile e non alla portata di ogni mente non abituata (e dove sono più oramai?) al “tomismo” (la teologia di S. Tommaso), ma è palese il voler rinnegare la formulazione di San Tommaso quando dice: Pater et Filius et Spiritus Sanctus dicuntur “unum” et non unus. (Quodl. 6,1+2) [si dicono un “unico” e non uno]. Di conseguenza la nuova formula di consacrazione episcopale è egualmente invalida a causa di questa eresia antitrinitaria. Ma c’è ancora dell’altro: questa “forma” sembra a ragione, provenire addirittura da un sistema gnostico e kabbalista! Riportiamo ancora la formula: «Et nunc effunde super hunc electum eam virtutem, quæ a te est, Spiritum principalem, quem dedisti dilecto Filio Tuo Jesu Christo » Con la modifica di “Spiritus principalis” in “Spiritum principalem”: cioè un genitivo che diviene un accusativo, l’essere dello Spirito è assimilato ad una qualità (forza), lo Spirito diviene cioè una sorta d’ “energia”, e non più una “Persona”. Questo concetto eretico deriva da un sistema “gnostico” (il discorso sui concetti della “gnosi spuria” e kabbalista, richiederebbe un’opera monumentale). La messa in equivalenza mediante un accusativo, proprio della “fabbricazione” di Dom Botte (“originalità” luciferina che non si ritrova né presso gli etiopi, né nella sinossi della ’Tradizione apostolica’ e neppure nelle Costituzioni apostoliche), tra la “forza” (virtus) che viene dal Padre e lo Spiritus principalis, fa nuovamente assimilare la Persona dello Spirito-Santo ad una semplice “qualità” proveniente da Dio, ma senza essere Dio. Questo è nuovamente un negare lo Spirito-Santo come Persona divina e quindi la sua consustanzialità divina. Ma addirittura in certe traduzioni “diocesane” lo Spirito vi appare con una minuscola, ed egualmente il ’Figlio’ vi appare con una minuscola: “Signore, spandi su Colui che tu hai scelto la tua forza, lo spirito sovrano che tu hai dato a tuo figlio”. Facendo il legame di questi elementi con la concezione kabbalista di Elia Benamozegh, si arriva alla riduzione dello Spirito e del Figlio a due “eoni” inviati da Dio, ma che non sono Dio, bensì degli “éoni” [coppia di entità che Dio manderebbe ogni tanto per illuminare gli uomini], come nel sistema dell’eretico gnostico Valentino, o delle forze semplici, “virtù” o energie spirituali. Questo riduce la Santa Trinità ad un concetto puramente simbolico, espressione di un sistema gnostico sotto le apparenze monoteiste (monoteismo appunto del “signore dell’universo”: lucifero, cosa di cui ci ha informato il sig. Margiotta, massone ex 33° del palladismo di Pike e Mazzini). Questo lascia trasparire la profonda conoscenza che il “marrano” Patriarca della massoneria universale dell’epoca, Montini [la cui famiglia materna era giudaica] aveva della kabbala e della gnosi spuria che egli ha travasato nel Cattolicesimo facendola apparire “cristiana” agli “ignari” fiduciosi della sua (finta) infallibilità! A chi ne volesse sapere di più, si consiglia : “Dell’Origine dei Dogmi Cristiani”, di Elia Bénamozegh. Cap. III. Caratteri dello Spirito-Santo, pag. 271, e, sempre dello stesso rabbino, gli: Atti del convegno di Livorno (settembre 2000) Alessandro Guetta (ed.), Edizioni Thalassa de Paz, Milano, coop srl. – Dicembre 2001 Via Maddalena, 1 – 20122 Milano. Quindi la SS. Trinità è intesa seconda la “gnosi spuria”: « Non è più la Trinità di persone nell’unità della sostanza, ma è l’Infinito, l’Assoluto, l’Eternità, l’Immensità incomprensibile, inintelligibile, vuota e senza alcuna forma, l’“ensof” in cui le tre persone non sono più che delle emanazioni temporali (…). Secondo il paganesimo, l’Essere primordiale, che è nello stesso tempo il Non-essere, si differenzia e si rivela solamente dopo un certo tempo, facendo emanare dal suo vuoto interiore le tre divinità che i pagani hanno adorato. Così si elimina la S.S. Trinità in vista della religione noachide. E qui il discorso si allargherebbe a dismisura esulando dalle intenzioni di questo scritto. Ricordiamo solo che la negazione dell’eternità della Trinità divina è la negazione della creazione “ex nihilo”, è la negazione della differenza essenziale tra Dio e l’universo; è l’abbassamento del Creatore al livello della sua creatura o la deificazione della creatura, in particolare dell’uomo.» In verità questa è stata sempre la costante del “falso” pontificato di Montini: sostituire l’uomo a Dio, sostituire alla Redenzione di Gesù-Cristo, la redenzione gnostico-cabalista della triplice e blasfema trinità massonica. Oltre a queste chiare eresie e l’intento noachide, la “forma” montiniana, nasconde un’ulteriore intenzione “occulta”, quella di designare un « Eletto » manicheo, aggiungendo l’espressione: “super hunc Electum”. “Electus” ha due sensi (cristiani) secondo il Gaffiot (termine electus) • scelto da Dio per la salvezza: VULG. Luc. XVIII,7 • scelto per ricevere il battesimo: AMBR. Hel. 10, 34. Poi il Gaffiot aggiunge un ultimo senso: • membro d’élite della setta dei manichei, [eretici gnostici, seguaci di Mani]: MINUC. 11,6. Ora, essendo gnostica la natura del sistema dal quale deriva questa formula, questo è il vero senso, e cioè l’intenzione del rito d’ordinazione episcopale di Paolo VI è un rito che conferisce dei poteri ad un eletto manicheo! A questo punto abbiamo bisogno di respirare aria pura, non ne possiamo più di tutti questi inganni! Certo, non vorremmo ritrovarci nei panni “infuocati” di un vescovo (falsamente) consacrato dopo il 1968, cioè un “eletto manicheo” anti-Cristo! Alla prossima per ricapitolare il tutto!

Omelia della Domenica XXII dopo Pentecoste

Omelia della Domenica XXII dopo Pentecoste

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. III -1851-]

(Vangelo sec. S. Matteo XXII, 15-21)

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Restituzione.

“Rendete a Cesare ciò ch’è di Cesare, ed a Dio ciò che è di Dio”. E’ questa la saggia, la divina risposta colla quale Cristo Signore confuse la malizia de’ Farisei. Si presentarono questi innanzi a Lui con meditata idea di perderLo in forza delle sue stesse parole, e così si fecero ad interrogarLo: “Maestro, noi sappiamo quanto siete veritiero, Voi non avete umani rispetti, non siete accettator di persone: diteci dunque: è lecito pagare a Cesare il tributo?” Se Gesù rispondeva di no, urtava gravemente con Cesare; se di sì, tiravasi addosso l’odio dei più zelanti della Sinagoga che, come popolo sotto l’immediato dominio di Dio, pretendevano non esser soggetti a tributo verso la secolare potestà. Gesù Cristo, che scopre la trama, “Mostratemi, dice, la moneta destinata a tributo”. “Al vederla: “di chi è quest’impronta?” soggiunge. Rispondono: “di Cesare”. “Rendete, adunque, conchiude, quel che è di Cesare a Cesare, e a Dio quel che è di Dio”. – “Reddite ergo quae sunt Caesaris Caesari, et quae sunt Dei Deo”. Un’opportuna riflessione è da farsi su queste parole del divin Redentore: perché nel suo rispondere antepone Cesare a Dio? Perché non disse piuttosto; rendete a Dio quel che è di Dio, e a Cesare quel che è di Cesare? Ecco, se mal non mi avviso il perché: Iddio non accetterà giammai l’omaggio che a Lui dobbiamo, se da noi non vengano prima adempiuti i nostri doveri col prossimo. Fra questi doveri i principali sono quel di giustizia, ed un fra questi de’ più essenziali è la restituzione dell’altrui roba. Di questa restituzione sono a tenervi ragionamento, e passo senza più a dimostrarvi due impossibilità in questo genere. Impossibilità di salvarsi per chi non restituisce, sarà la prima; impossibilità ordinariamente parlando di restituire, sarà la seconda. La prima è assoluta, la seconda è morale. Uditemi attentamente.

I . Che sia assolutamente impossibile il salvarsi per chi non restituisce la roba altrui è cosa definita nelle divine Scritture. Annovera l’apostolo quei che non entreranno al possesso del Regno dei Cieli, e fra questi i ladri, “neque fures Regnum Dei possidebunt” (1 Cor. VI, 10). Ora un ingiusto ritentore dell’altrui roba è un vero ladro, e per conseguenza è escluso dal Regno dei cieli. – In un sol caso ha eccezione questa saldissima regola; allora quando l’iniquo usurpatore dell’altrui sostanze si trovi in istato di stretta impotenza. Se costui abbia animo disposto e volontà decisa di restituire potendo, e in questa disposizione lo colga la morte, egli si salverà, come appunto si salvò il buon ladro, che nella fiducia in Gesù Crocifisso, e nella contrizione del suo cuore ebbe o espressa, o implicita volontà di risarcire, se avesse potuto, i danni delle sue ruberie. Fuor di questo unico caso, per chi non restituisce non v’è salvezza:Non remittitur peccatum, nisi restituatur ablatum” (S. Agost.). – Ragioniamo per maggior chiarezza su questo proposito. Il suo voler restituire è lo stesso che chiudersi la porta del cielo. Quali sono i mezzi più validi ad entrar in cielo? Scegliamone alcuni de’ principali, vale a dire, la preghiera, la limosina, la confessione sacramentale. Or tutti questi mezzi per se stessi efficacissimi son resi inutili da chi far non vuole la debita restituzione. Inutile la preghiera. Servi del Signore, alzate pure le vostre mani in mezzo al Santuario, dice il Re Salmista (Ps. CXXXIII), e sarete benedetti dal Fattore del cielo e della terra. Tutto l’opposto a chi tiene fra le mani la roba d’altri. Con che coraggio, dice a costoro Iddìo sdegnato, stendete a me le vostre mani supplichevoli, e al tempo stesso grondanti di umano sangue? Toglietevi dinanzi al mio cospetto, Io non vi ascolto: “manus enim vestrae sanguine plenae sunt” (Is. I, 15), sangue di vedove spogliate, sangue di assassinati pupilli, sangue di poveri oppressi, sangue d’operai non soddisfatti, sangue di creditori traditi. Se seguiterete a pregarmi con queste mani piene di sangue, ben lontano dall’esaudirvi, non vi degnerò neppure d’uno sguardo: “avertam oculos meos a vobis, non exaudiam”. – Inutile la limosina. Ha tanta virtù e tanta forza la limosina, che giunge a liberarci dalla morte, non dalla temporal morte, ma dalla morte spirituale ed eterna: “elemosyna a morte liberat” (Tob. XII, 9); poiché da questa doppia morte ci preserva, se siam vivi alla grazia, e se siamo morti pel grave peccato è efficace a muovere il cuor di Dio ad accordarci quelle grazie che ci faccian rivivere, che ci conducano a vera penitenza, che ci portino all’eterna vita. Tutto ciò corre assai bene per tutta sorta di peccatori, ma non per quelli che ingiustamente ritengono la roba altrui. “A questi, dice il Signore, onora Iddio con dar in limosina quel che è tuo, ma non già quello che ad altri appartiene”: “Honora Dominum de tua substantia(Prov. III, 9). Quel tanto che dai in limosina non è tuo; dallo a chi tu devi per titolo di rigorosa giustizia. Mi piace la limosina, ma più mi piace l’adempimento del mio dovere. La limosina alcuna volta è atto spontaneo di liberale elezione: la restituzione è sempre atto indispensabile di rigorosa giustizia. – Inutile infine la confessione. O voi, accostandovi al tribunale di Penitenza, manifestate l’obbligo che vi corre di restituire, o no. Se lo tacete, vi aggravate di un enorme sacrilegio; se lo confessate, il sacro ministro non può astenervi, se voi potendo non restituite. Il confessore in questo Sacramento ha la potestà o immediata o delegata d’assolvervi da ogni peccato, da ogni eresia, da ogni scomunica: ha la facoltà di sciogliervi da qualunque voto; così che se aveste a Dio promessa qualunque somma di denaro da distribuirsi ai poveri, o da applicarsi alla Chiesa, egli del tutto può dispensarvi da questo voto, o commutarlo in altra obbligazione; ma trattandosi d’obbligo di restituire, egli ha le mani legate, non può sciogliervi, non può disobbligarvi per alcun modo dalla medesima somma, bisogna restituire. – Dirò di più: Dio, Dio stesso, sebbene abbia di tutte le cose il supremo universale dominio, e possa trasferire da uno in altro il dominio d’ogni cosa, come già usò cogli Ebrei nell’uscir dall’ Egitto; pure di legge ordinaria e secondo la presente provvidenza non può dispensarvi da quella obbligazione, ch’Egli stesso v’impose; perché all’uso della sua padronanza si oppone la sua fedeltà e la veracità delle sue divine parole; onde convien conchiudere: o restituire, o dannarsi.

II. Dall’assoluta impossibilità di’ salvarsi senza la restituzione, passiamo a vedere l’impossibilità morale di restituire. Per morale impossibilità s’intende una somma difficoltà. A dimostrarvela notiamo una viva espressione del real Salmista. “Alcuni, dice egli (come sono i ladri, gli usurai, i prepotenti) si mangiano viva la povera gente, in guisa che divorano il pane: “Devorant plebem meam sicut escam panis” (Ps. XIII, 4). Il pane, o altro qualunque cibo, dalla mano portato alla bocca, e dalla bocca allo stomaco in forza del natural calore, si cangia in sangue, che si dirama in tutte le parti del corpo. Andate ora a cavar dalle vene quel cibo tramutato in sangue. Non altrimenti la roba tolta per furto o per usura, o posseduta di mala fede, si consuma in uso proprio, si confonde colle proprie sostanze, e passata così come in sangue e sostanza della persona e della famiglia, difficilmente si può estrarre, acciò ritorni alle mani del suo padrone. – Vediamolo in pratica. “So che devo restituire, dice colui, ma non già se restituendo io venga a decader dal mio stato”. Vi rispondono i Teologi: “se al vostro stato presente siete asceso per vie torte, per scale false, per frodi, per ingiustizie, voi siete tenuto a restituire anche col vostro decadimento. Come! siete innalzato sulle altrui rovine, e pretendete star sempre in alto calpestando le stesse rovine? No, no, dovete discender giù, la vostra altezza non è legittima, il vostro stato è affatto simile a quello di un assassino arricchito dell’altrui spoglie, ed è eguale in quello e in voi la necessità di restituire. – Se poi prima dei vostri latrocini eravate in possesso d’uno stato giustamente acquistato, consultate gli stessi Teologi, e vi diranno concordemente che se volete salvarvi conviene restringervi, bisogna con prudente risparmio e con studiosa economia troncare le spese superflue, giuochi, pompe, mode, cacce, conviti, splendidi trattamenti non sono più per voi finché con questa doverosa parsimonia non abbiate saldato i conti, e i debiti che avete col prossimo; poiché i vostri creditori, e tutti i da voi danneggi hanno diritto a tutto ciò che non è necessario al vostro onesto e discreto sostentamento. Ma qui sta appunto la difficoltà in adattarsi ad un restringimento economico per mettere da parte il superfluo al proprio stato, e restituire così il mal tolto, e riparare i cagionati danni. Eppure è indispensabile questa misura per chi si vuol salvare. Fingete che nei giorni del diluvio, quando Noè assegnava nell’arca il suo posto ad ogni specie d’animali, il leone, avvezzo ad aggirarsi per selve e per foreste, avesse rifiutato restringersi in una buca, e l’aquila, solita a spaziare nei vasti seni dell’aria, avesse ricusato racchiudersi in una gabbia, l’uno e l’altra sarebbero periti in quell’acque mortifere. È questa una figura di quel che a voi accadrà non restringendovi nel vostro trattamento, onde il superfluo vi porga un mezzo alla tanto necessaria restituzione. – “Io poi, dice un altro, voglio restituire, ma al presente non posso, restituirò alla prima raccolta”. Viene la raccolta, si toccan danari; ma questi abbisognano per farsi un abito, questi altri per coltivare quel terreno, per far un acquisto vantaggioso, e per cento altri bisogni in famiglia, e si ripete: per ora non posso. E così di tempo in tempo, di anno in anno si differisce, si prolunga or con uno, or con altro pretesto, e col dire restituirò, si palpa la coscienza, si fa tacere il rimorso, o si addormenta per modo che riduce tante anime al punto di morte col carico d’una restituzione non fatta, e per lo più impossibile a farsi. Di due obbligati alla restituzione fanno menzione le divine Scritture. Uno è Zaccheo, l’altro Antioco. Zaccheo pubblicano, visitato dal Salvatore e convertito davvero, dice a Gesù Cristo: “se qualcuno è stato da me defraudato, io restituisco sul momento”, – “si quid aliquem defraudati, reddo quadruplum(Luc. XIX, 8). Non dice, renderò, darò, restituirò, dice “reddo, restituisco subito, quel che dice lo manda ad effetto. Antioco per l’opposto, che aveva rubati i sacri vasi al tempio, promette che li renderà moltiplicati, ma queste promesse se le porta il vento (Macc. IX). Non si legge che desse alcun ordine o in voce o in iscritto, che si riparasse quel sacrilego spogliamento: si contentò abbondare di parole e di promesse, ma questa restituzione di lingua non bastò a salvarlo dalle mani dell’Onnipotente, non poté lo scellerato ottenere misericordia dal Signore. L’ottenne Zaccheo usuraio, e l’ottenne in tanta ampiezza, che egli e l’intera sua casa furono da Dio benedetti e salvati. Il perché già l’abbiamo veduto, perché pronto restituì sull’istante: “reddo quadruplum”. Si potrebbe qui domandare: “E perché Zaccheo restituì quattro volte tanto della roba tolta?” Ecco: Zaccheo da molti anni esercitava l’usura. In tanto tempo chi poteva calcolare i danni da lui cagionati a tante persone, a tante famiglie? Il danno primo della roba tolta, e l’ingiusta ritenzione della medesima, porta per l’ordinario dannosissime conseguenze, e perciò Zaccheo ravveduto volle restituire il quadruplo, “reddo guadruplum”. A queste conseguenze pochi fanno riflessione. Riflettete voi, se mai foste nel caso. Nel tempo che ingiustamente tenete roba o danaro del vostro prossimo, egli non può far uso del fatto suo: quel danaro, che sta in vostre mani, si potrebbe metterlo à traffico, potrebbe con quello coltivare la sua terra, ristorare la sua fabbrica, pagar i suoi debiti, comperare il necessario a prezzo più mite; e voi con restituire il puro capitale credete avere pienamente soddisfatto? Inganno, miei cari, inganno! Ma che dico, restituire il puro capitale? Con tanti danni cagionati per vostra colpa vi lusingate appagare la vostra sinderesi, soddisfare il prossimo, placar Dio, con dire e tornare a dire: restituirò. Oh “restituirò” infelice e seduttore, oh restituzione immaginaria, quant’anima porti all’impenitenza finale, all’eterna dannazione! – Deh per carità, fedeli amatissimi, rendete possibile almen per voi questa restituzione, che per gli altri è moralmente impossibile, attese le fallaci scuse, e i mendicati pretesti, coi quali l’uomo tenace studia ingannarsi, e perdersi per un fatale attacco alla roba, e per un più fatale accecamento differire la restituzione ad un incerto futuro. ”Reddite, dunque, se v’è cara la vostra salute, ve ne scongiuro colle parole dell’Apostolo, rendete a ciascuno, e senza dilazione, quel che di giustizia gli dovete”: “Reddite ergo omnibus debita” (Ad Tim. 1, IV,8). “Reddite”, vi ripeto colle parole di Gesù Cristo nell’odierno Vangelo, “Reddite ergo quae sunt Caesaris Caesari, et quae sunt Dei Deo”.