SAN MARTINO I PAPA E MARTIRE

martin_i

SAN MARTINO I PAPA E MARTIRE

12 NOVEMBRE.

[da: I Santi per ogni giorno dell’anno, Soc. S. Paolo, 1933 –imprim.-]

Certamente la vita di questo martire del dovere, il quale con ammirabile eroismo bevette fino all’ultima stilla il calice delle continue amarezze perla difesa della Chiesa, dovette apparir grande ai suoi contemporanei! Martino nacque a Todi nell’Umbria e studiò a Roma, ove si rese celebre pel suo sapere non meno che per le sue rare doti e virtù. Era appena stato consacrato Sacerdote quando Papa Teodoro lo mandò come suo nunzio a Costantinopoli per tentare il richiamo dei Monoteliti all’unità della Fede. Ma morto pochi anni dopo il Papa (649), Martino fu richiamato a Roma a succedergli. Si portò egli sulla Sede Apostolica col dolore di aver lasciato l’Oriente in preda alle eresie ed alle più gravi ribellioni. Onde, per prima cosa, convocò un Concilio Lateranense, dove espose al venerando consesso le tristi situazioni e condannò gli eresiarchi principali: il Patriarca Sergio, Paolo e Pirro assieme all’editto dell’Imperatore Costante che tollerava i disordini, e per di più mandò un suo Vicario a Costantinopoli. – I monoteliti anziché sottomettersi, s’accesero maggiormente di rabbia e tosto inviarono a Roma l’esarca Olimpio, con disegno di uccidere il Pontefice, o almeno di impadronirsi della sua persona. – Non avendo, per palese miracolo, potuto consumare la loro congiura, ricorsero a mezzi ancor più diabolici, aggravando il S. Pontefice di mostruose calunnie presso l’Imperatore, il quale, già infetto di eresia, fu spinto ad assecondare i loro empi disegni. – Spedì tosto una seconda armata e parte colla violenza, parte colla calunnia, mentre che Vescovi e Clero gridavano: « Noi vivremo e morremo con lui », i nuovi giudei riuscirono a legarlo, e nella stessa notte 8 Giugno del 654, imbarcarlo per Costantinopoli. – Colà giunto, dopo lungo e dolorosissimo viaggio fra privazioni e crudeli trattamenti, il S. Pontefice provò con irrefragabili ragioni la sua innocenza; ma indarno. – Costante tentò costringerlo a sottoscrivere gli editti già da lui stesso solennemente condannati, ma il Papa disprezzando la minacce, l’esilio e la morte stessa, rispose: « Non possumus ». Allora fu dai magistrati vilmente spogliato delle insegne pontificie, incatenato ed esposto all’infamia per le vie della città, mentre i fedeli gemevano e struggevansi in lacrime. Fu così messo in prigione per alcuni mesi, finché il 10 marzo del 655 venne deportato definitivamente in Crimea, per attendervi l’esecuzione della sentenza. – Di là il S. Pontefice scriveva: « Vivo fra le angosce dell’esilio, spogliato di tutto, lontano dalla mia Sede; sostento il fragile mio corpo di duro pane, ma nulla più mi curo delle terrene cose. Prego continuamente Iddio che per intercessione dei SS. Pietro e Paolo, tutti rimangano nella vera fede. Confido nella divina misericordia che chiuderà presto la mia mortai carriera… ». Il Signore esaudì la preghiera del S. Pontefice e morì martire del dovere per la difesa della giustizia e della verità il 16 settembre del 655, dopo 6 anni di dolorosissimo pontificato. Il suo corpo, venne sepolto provvisoriamente in una cappella della B. Vergine, e poco dopo trasferito a Roma, presso la Basilica di S. Martino di Tours.

PRATICA. — Le sofferenze di questa vita, sopportate con pazienza, sono aumento di merito per la vita eterna. Preghiamo per quelli che sono più perseguitati e tribolati.

PREGHIERA. — Dio, che ci allieti ogni anno con la solennità del tuo beato Martino Papa e Martire; concedi, propizio che mentre ne celebriamo il natalizio, ci rallegriamo ancora della sua protezione. Così sia.

 #    #    #

Anche noi, come il Sommo Pontefice Martino I, gridiamo quest’oggi: “NON POSSUMUS”: accettare gli insulti alla Chiesa di Cristo, gli obbrobri del novus ordo, l’ipocrisia di tanti falsi e blasfemi prelati, la fede svuotata di tutti i contenuti soprannaturali, l’usurpazione della Cattedra di Pietro e delle diocesi, la cancellazione del Sacrificio della Croce offerto al Padre per i nostri peccati e la sua sostituzione con il falso rito offerto a lucifero, il massonico signore dell’universo, la forzata spinta finale a precipitare nel lago di fuoco di tantissime anime che Cristo ha riscattato dalla eterna morte a prezzo del suo sangue. No, “non possumus”, ed in questa situazione di esilio della vera Gerarchia cattolica e del Santo Padre GREGORIO XVIII, come già fu per il suo predecessore, Gregorio XVII card. Siri, analoga a quella di S. Martino I, i cattolici si uniscano in un solo coro, come coloro che sostenevano a suo tempo il Papa esiliato: « Noi vivremo e morremo con lui »! Intanto preghiamo anche per gli apostati adepti del novus ordo, perché ritornino alla vera fede cattolica, ed innalzino alla Santissima Trinità il canto del salmo LXIII: l’ “Exaudi, Deus” … con il finale “laetabitur justus in Domino”!

Psalmus LXIII

Exáudi, Deus, oratiónem meam cum déprecor: * a timóre inimíci éripe ánimam meam. – Protexísti me a convéntu malignántium: * a multitúdine operántium iniquitátem.  – Quia exacuérunt ut gládium linguas suas: * intendérunt arcum rem amáram, ut sagíttent in occúltis immaculátum. – Súbito sagittábunt eum, et non timébunt: * firmavérunt sibi sermónem nequam.  – Narravérunt ut abscónderent láqueos: * dixérunt: Quis vidébit eos?  – Scrutáti sunt iniquitátes: * defecérunt scrutántes scrutínio. –  Accédet homo ad cor altum: * et exaltábitur Deus.  – Sagíttæ parvulórum factæ sunt plagæ eórum: * et infirmátæ sunt contra eos linguæ eórum. – Conturbáti sunt omnes qui vidébant eos: * et tímuit omnis homo. –  Et annuntiavérunt ópera Dei, * et facta ejus intellexérunt. – Lætábitur justus in Dómino, et sperábit in eo, * et laudabúntur omnes recti corde.
[Esaudisci, o Dio, la mia preghiera, quando t’invoco; * dal timore del nemico libera l’anima mia. – Tu mi hai protetto dalla cospirazione dei maligni: * dalla moltitudine di quelli che operano l’iniquità. – Perché affilarono come spade le loro lingue: * tesero il loro arco, amara cosa, per saettare nell’oscurità l’innocente. – Lo saetteranno all’improvviso, e non temeranno: * si sono confermati nel perverso disegno. – Presero consiglio per nascondere i loro lacci; e dissero: * Chi li scoprirà? – Escogitarono iniquità; * gli indagatori vennero meno nelle ricerche. – L’uomo scenderà nel fondo del suo cuore: * ma Dio sarà esaltato. – Le ferite, che essi fanno, sono frecce di fanciulli: * e le loro lingue sono rimaste senza forza, voltatesi a loro danno. – Tutti quelli che li vedevano furono turbati, * ed ogni uomo fu preso da timore. – E annunziarono le opere di Dio, * e compresero le cose da lui fatte. – Il giusto si rallegrerà nel Signore, e spererà in lui; * e tutti i retti di cuore saranno lodati.]

J.-J. GAUME: IL SEGNO DELLA CROCE [lett. 15-17]

Gaume-282x300

[J.-J. Gaume: Il segno della croce, lett. 15-17]

LETTERA DECIMAQUINTA.

10 dicembre.

Se tu mostrerai l’ultima mia lettera ai tuoi compagni, è ben facile, mio caro, ch’eglino ti dicano : Se il segno della croce è si potente, come vi si scrive, perché non opera più quello che ha fatto? A siffatta questione v’hanno varie risposte. La è di S. Agostino la prima. Parlando de’ miracoli il santo fa una giustissima osservazione. I miracoli raccontati da libri santi hanno una grande pubblicità; tutti, che leggono le scritture, o le sentono, ne hanno contezza, e doveva essere a questo modo, perché sono le prove della fede. Al presente ancora v’hanno de’miracoli fatti in nome del Signore per lo mezzo de’ Sacramenti, e delle preghiere indirizzate a’ Santi, ma non hanno la stessa notorietà, si conoscono là solamente dove accadono, e se la città è grande, restano ancora ignoti ad un buon numero di abitanti, ed alle fiate, un piccolissimo numero di cittadini ne ha contezza. E quando questi miracoli sono raccontati ad altri, scemano nella certezza, non essendo tale l’autorità che li racconta, che li si ammettano senza difficoltà, tuttavolta siano dei cristiani, che ad altri cristiani li raccontino (De Civ. Dei, lib. XVII, c. 8). In prova di che il santo racconta varii miracoli, di che egli era stato testimone, de’ quali, qualcuno operato dal segno della croce. Il perché, dalla ignoranza che i tuoi compagni, o altri, possano avere de’ miracoli, che hanno luogo presentemente, non è da negare la esistenza di essi. – A questa prima risposta è da aggiungere un’altra. Dessa è di un gran dottore, il Papa S. Gregorio (Hom. XXIX in Evang. post init.).. Distinguendo egli gli antichi da’ moderni tempi, dice : “I miracoli al cominciar della Chiesa furono necessari; per essi la fede doveva stabilirsi. Quando affidiamo alla terra una pianta dobbiamo innaffiarla, perché prenda radici, e quando ne siamo certi noi desistiamo dal farlo, ed ecco ragione perché l’Apostolo dica: Il dono della lingua è vero segno non per i fedeli, ma per gl’infedeli » (Homil. XXIX in Evang). La coltura morale si assomiglia alla fisica. Di presente che il cristianesimo ha preso radici nelle viscere del mondo, nella coscienza umana, i miracoli non sono più necessari a quella maniera che lo erano al principio della divina piantagione. Da poi che il mondo crede, diceva S. Agostino, sono scorsi quindici secoli; colui, che per credere domandasse ancora miracoli, sarebbe egli stesso un prodigio, che nel mezzo di un mondo che crede, è solo a miscredere (S. Aug. ubi supra). – Ma dato ancora, ciò, che non ammettiamo, che il segno della croce non operi più miracoli, non mostra forse il suo potere sovraumano a ciascuna ora del giorno e della notte, ed in tutti i luoghi della terra? Se tu supponi cento milioni di tentazioni in un giorno, abbi per fermo, che tre quarti di esse sono dissipate dal segno della croce: chi non ne ha fatto l’esperimento? Sii di ciò sicuro; e, ricordando che quanto da te vien fatto, è ripetuto dagli altri, tu potrai valutare la potenza permanente, ed universale del segno liberatore. – Concedo ancora di più, ed ammetto che il segno della croce non riesca sempre a scacciare gì’ immondi pensieri, a dissipare gl’incanti seduttori, a ritener l’anima sul pendio della colpa ; ma di chi n’ è la colpa? Non n’è forse la poca fede dei cristiani? Non è forse da dire della inefficacia di questo segno, quanto a ragione dicesi della inutilità della comunione per un gran numero? Il difetto non è da porre in quel che si riceve, ma nelle disposizioni di chi lo mangia: defectus non in cibo est, sed in edentis dispositione? Per guarire una tale mancanza di fede, che impoverisce e rovina i «cristiani, ho intrapreso questa nostra corrispondenza, e continuando svolgerò un nuovo titolo , che il segno della croce ha alla fiducia de’ cristiani del secolo decimonono. – Soldati, il segno della croce è un’arma, che dissipa l’inimico! Sono già tremila anni che Giobbe definì la vita una lotta continua: “Militia est vita hominis super terram”. I secoli sono scorsi, le generazioni hanno succeduto ad altre generazioni, gl’imperi han dato luogo ad altri imperi; venti volte l’umanità s’è rinnovata, e la definizione di Giobbe è sempre vera. La vita è una lotta! Lotta continua per te, come per me, per i tuoi compagni, per tutti gli uomini. Lotta, il cui cominciamento è alla culla per finire alla tomba; lotta, che dura in lutti gl’istanti della notte e del giorno, sia che l’infermità ci appeni, o che la sanità ci conforti. Lotta decisiva, che dalla vittoria, o dalla disfatta dipende non la fortuna, o la sanità, non i temporali vantaggi sì grandemente da noi stimali, ma ben altro, che a dismisura tutte queste passeggere cose avanza; poiché, è da essa che una eternità felice, o una eternità di pene trae la origine sua! Ecco, mio caro amico, la condizione dell’uomo sulla terra: noi non possiamo mutarla. Chi sono i nemici dell’uomo? Ahimè! e chi può ignorarli di nome e per attacchi sofferti? Il demonio, la carne, il mondo; sono tre formidabili potenze, che agognano la nostra perdita. Non ho in pensiero farti un corso completo d’ascetismo, epperò parlerotti della sola prima. – Come è certo che v’ha un Dio, è certo che v’hanno dei demoni. « Se non v’è satana, non c’è Dio », diceva Voltaire; ed a ragione. Se non v’è satana, non v’è colpa; se non v’è colpa, non v’ha redenzione; se non redenzione, non esiste cristianesimo; se non v’ha cristianesimo, tutto è falso: il genere umano è pazzo, e Dio non esiste! – Ora i demoni sono degli angeli prevaricatori, i quali per intelligenza, forza, ed agilità sorpassano l’uomo, e sono per numero incalcolabili. Fino all’estremo giudizio soggiornano nell’inferno, e nell’atmosfera, che ci circonda, dove invidiosi dei figli di Adamo chiamati alla felicità da essi perduta, si studiano con ogni mezzo di arreticarci. Fomentano in noi le passioni; ci creano d’intorno de’ pericoli, oscurano in noi l’occhio della fede, travolgono il senso morale, soffocano i rimorsi, ci rendono complici di loro rivolta per averci compagni de’ loro supplizi. Tutte queste verità, lo ripeto, sono certe al pari della esistenza di Dio. Tiranni dell’uomo per lo peccato, i demonii lo sono di tutte le creature sottoposte all’uomo; vinto il re, il suo regno appartiene al vincitore. Sparsi in tutte le parti del creato, ed in ciascuna creatura, le penetrano con le loro maligne influenze. Tra i limiti del potere, che loro da Dio viene accordato, essi ne formano strumento a disfogare il loro odio contro l’uomo, contro la sua anima ed il corpo. È questo ancora un dogma di fede universale. Che cosa mai conosce chi ciò ignora? Niente. Chi ne dubita? meno che niente. Quegli che lo miscrede non merita d’essere fra gli uomini ragionevoli. – Esistendo la lotta, ed essendo l’uomo tale qual’egli è, potrai tu concepire che la saggezza divina abbia lasciato il genere umano senza difesa? Come non comprendere il contrario con la stessa evidenza, che due e due fanno quattro, che, per equilibrare la lotta, Dio ha dovuto dare all’uomo un’arma potente, universale, alla portata di tutti? Qual è quest’arma? Interroghiamo tutti i secoli, ed in principal modo i cristiani, questi con grido unanime risponderanno: È il segno della croce! L’uso costante da essi fattone ribadisce la loro risposta. Questo punto di vista illumina la storia di questo segno adorabile, ne mostra la ragione, giustifica altamente la condotta «de’ primi cristiani, e condanna parimenti la nostra. – Nulla è a pezza più certo dell’essere il segno della croce arma di precisione contro satana e suoi angeli. Dimmi: quando è da provare la forza di un cannone, di una carabina, o di qualsiasi arma nuovamente formata, in qual maniera si procede? Non si aggiusta mica alla cieca fede all’inventore, ma l’autorità forma una commissione, che alla presenza di giudici competenti fa saggio di essa, e dietro ripetute esperienze porta giudizio sul merito dello strumento guerresco al suo esame commesso. Non sia altrimenti per lo segno della croce. Ma ricorda solo, che questo segno divino non è testé formato; desso è di vecchia data, e vecchissima, ma non rugginosa, né indebolita, né fuori servizio. Il giuri poi dell’esame è formato da lungo tempo, e non lascia nulla a desiderare. Desso è composto di uomini competenti dell’Oriente e dell’Occidente; uomini della specialità, che da lungo tempo conoscono 1’arma in questione, ed il mestiere delle armi non solo in teoria, ma altresì praticamente. Ecco il tribunale, ascoltane il giudizio. – Crede egli alla potenza del segno della croce, ed alla forza di quest’arma divina contro i demoni, un giudice che siffattamente parla? « Non ti colga uscir da casa tua senza fare il segno della croce; desso sarà per te bastone ed armatura inespugnabile: né uomo, né demonio oserà attaccarti, al vederti ricoperto di siffatta armatura, ed essa insegnerà a te stesso dover essere un soldato sollecito alla pugna contro satana, e guerreggiare per la corona di giustizia. Ignori forse l’operato dalla croce? La morte è stata vinta, il peccato distrutto, satana detronizzato, l’universo tornato a nuova vita; e dubiterai tu della potenza sua? ». Vi crede questo secondo giudice, che in questi termini si esprime : « Il segno della croce è l’armatura invincibile de’ cristiani. Soldato di Cristo, una tale armatura non ti abbandoni giammai né di giorno, né di notte, in nessun tempo, ed in nessun luogo. Sia che tu dorma o vegli, che viaggi o riposi, che tu mangi o beva, che attraversi i mari od i fiumi, sii tu sempre coperto di questa corazza. Orna pure e proteggi le tue membra con questo segno vincitore, nulla ti potrà nuocere; non v’ha difesa simile ad esso per potere. A vista di questo segno le infernali potenze spaventate, tremano, e prendono la fuga » [“Armemur insuperabili bac christianorum armatura hac te lorica circumtege, membraque tua omnia salutari signo extorna atque circumsepi, et non accèdent ad te mala Sunt enim vehementer contraria talis inimici. Hoc signo conspecto adversariae potestates conterritae, trementesque recedunt”. (S. Epbrem, De Panoplia et de poenitentia, apud Gretzer. p. 580, 581, et 642)]. – Vi crede, questo terzo giudice, che indirizza a’cristiani, e a sé stesso il seguente discorso: Facciamo arditamente il segno della croce. Quando i demoni lo vedono, si ricordano del Crocifisso, prendono la fuga e ne lasciano tranquilli” [“Hoc signum ostendamus audacter: quando enim demone crucem viderint, recordantur Crucifixi effugat daemones, déclinant, recedunt”. -S Cyril. Hierosol. Cathec. XIII)]. E questo quarto? « Innalziamo sulle nostre fronti l’immortale stendardo; la sua vista fa tremare i demonii, che non temono i campidogli dorati, ed hanno paura della croce » [“Immortale vexillum portemus in frontibus nostris, quod, eum daemones viderint, contremiscent; qui aurata capitolia non timent, crucem timent.” ( Origen., homil. VII in divers. Evangel locis)].Così giudica l’Oriente per l’organo de’ suoi illustri uomini S. Grisostomo, S. Efrem, S. Cirillo di Gerusalemme, ed Origine, cui sarebbe facile aggiungere altri nomi meritevoli di eguale rispetto. – Ascoltiamo l’Occidente. S. Agostino diceva ai catecumeni: « Col simbolo, e con la croce è da muovere alla battaglia contro l’inimico. Il cristiano rivestito di queste armi trionferà senza pena alcuna del suo antico e superbo tiranno. La croce basta a fare svanire tutte le macchinazioni degli spiriti delle tenebre » [“Noverint cum symboli sacramento, et crucis vexillo ei debere occurri, ut lalibus armis indutus, facile vincat christianus, de cuius oppressione male antea triumpbarverat nequissimus.” ( S. August. Lib. de symbol., c. 1)]. – Ed il suo illustre contemporaneo S. Girolamo: « Il segno della croce è scudo, che ci difende contro le infiammate frecce di satana » [“Scutum fidei in quo ignitae diaboli extinguuntur sagittae”-S.Hieron. Ep. XVIII ad Eustoch.]. Ed altrove: « Fate frequentemente il segno della croce sulla vostra fronte, onde non lasciar alcuna presa allo sterminatore dell’Egitto » [“Crebro signáculo crucis munias frontem tuam, ne exterminator Aegypti in te locum reperiat” – (Idem, Ep.XCVII ad Demetriad.)]. E Lattanzio: « Perchè si conosca tutta la potenza del segno della croce, è da considerare quanto di esso s’impauri satana. Scongiurato nel nome di Cristo, questo segno lo scaccia dai posseduti da lui. Non v’ha da meravigliarne; quando il figlio di Dio era sulla terra, con una parola sola metteva in fuga satana, tornando il riposo e la sanità alle vittime di lui: ora i suoi discepoli scacciano gli stessi spiriti immondi in nome del loro Maestro, e col segno della sua passione » [“…Ita nunc si’ctatores eius ensdeni spirtus inquinatos, de hominibus et nomine magistri sui et signo passionis exciudunt”. – (Lactant. lib. IV, c. 27)]. – L’Oriente e l’Occidente hanno parlato. I giudici i più competenti, che immaginar si possa, hanno dichiarato il segno della croce arma, ed arma di precisione contro satana. Innumerevoli esperienze servono di base al loro giudizio, che ne’ primi secoli della Chiesa avevano luogo tutto giorno al cospetto de’ cristiani e pagani su tutta la terra. Ed erano sì convincenti, da dire, il grande Atanasio, testimone oculare, senza temere di essere smentito: « Per lo segno della croce tutti gli artifizii della magia sono impotenti, gl’idoli abbandonati. Per esso la voluttà per quanto sbrigliata sia e brutale, è moderata, le anime invilite ed infangate in essa sono rilevate dalla terra ed indirizzate al cielo. In altri tempi il demonio ad ingannare l’uomo prendeva diverse forme, e tenendosi sul margine de’ fiumi, ne’ boschi e sui monti sorprendeva con i suoi prestigi gli uomini insensati: ma, di poi la venuta del Verbo questi artifizii sono impotenti; avvignacene il segno della croce discopre tutte le sataniche furberie. Se alcuno volesse farne sperimento, basterebbe solo condursi nel mezzo de’ prestigi satanici, degli oracoli ingannatori, de’ miracoli della magia, e fatto quivi il segno della croce, invocando il nome del Signore, vedrebbe che per paura di questo sacro segno i demoni fuggono, gli oracoli si ammutoliscono, e le malefiche arti tornano impotenti » “. . . Signo crucis omnia magica compescuntur, veneficia inefficacia flunt, idola universa relinquuntur”. (S. Athan. Lib. de Incarnat. Verbi)]. – Io voglio citarti qualcuna di queste esperienze. Il precettore del figlio di Costantino, Lattanzio, che sapeva delle cose della corte imperiale più che ogni altro il potesse, raccontò: « Lungo il soggiorno di Oriente, l’imperatore Massimino, curiosissimo di sapere i segreti dell’avvenire, immolava un giorno delle vittime per sapere, per lo mezzo delle loro viscere, le cose future. Qualcuna delle sue guardie cristiane fece il segno immortale, immortale signum, e tosto i demoni si salvono, il sacrificio nulla predice ». Se, a vista di questo segno, satana è costretto abbandonare i proprii tempi, come potrà restare negli altri luoghi? Ascoltiamo uno de’ più gravi dottori dell’Oriente, ed illustre storico, S. Gregorio Nisseno, che scrivendo di S. Gregorio il Taumaturgo, chiamato il Mose dell’Armenia, cosi racconta: « Troade, diacono di Gregorio, arriva sul far della sera a Neocesarea stanco da un lungo viaggio, e per ristorare le sue forze crede utile bagnarsi, epperò egli si conduce ai bagni pubblici. Questo luogo era infestato da un demonio omicida, che ammazzava quanti ardissero entrarvi dopo il tramonto del sole, ed era questa la ragione, perché le porte si tenevano chiuse la notte. – Il diacono domanda che gli si disserrassero le porte; ma il custode a dissuaderlo diceva: In fede mia, chiunque ardisce entrare in quest’ora, non ne sorte sano, ma sì mal concio per battiture da non reggersi sui piedi. La notte il demonio scorazza in questo luogo, e ben molti hanno pagato la loro curiosità temeraria con grida di dolore, e con la morte. Il diacono sprezzava tutti questi racconti, ed insisteva per aver libera l’entrata. Più non reggendo a tante inchieste il custode, per salvare la propria vita, e soddisfare al volere del diacono, trovò questo mezzo: concede la chiave, e prende la fuga. Il diacono entra, e tosto che fu tutto solo, nella prima sala depone le vestimenta. Ad un tratto, d’ogni dove sorgono oggetti di spavento, ed orrore. Spettri d’ogni maniera, a metà fuoco e fumo, sotto forma or di bestie or di uomo, fischiano al suo orecchio, gli sbuffano in faccia il loro alito, e lo circondano come in un cerchio da non poter oltrepassare. Il diacono non si smarrisce; fa il segno della croce, invoca il nome di Dio, ed incolume traversa la prima sala. Entra quella del bagno: quivi spettacolo più orrendo gli si para dinanzi, a sorprenderlo, e mettergli paura. Trema la terra, le mura scricchiolano, il suolo si apre, e lascia vedere nel fondo una fornace, le cui faville ascendono sino al volto del diacono. Egli ricorre all’arma del segno della croce e del nome del Signore, e tutto dispare. Preso il bagno si affretta a sortire; ma un demonio gli sbarra il passaggio, e tiene la porta serrata. Le porte si disserrano da per sè, e la resistenza satanica è vinta dal segno della croce. Tosto che il diacono ebbe guadagnata l’uscita, un demonio con voce umana, humana voce, gli disse : Non voler punto attribuire a tuo potere lo aver scampata la morte, ma al potere di Colui, che invocasti. Il diacono Troade divenne oggetto di ammirazione non solo pel custode dei bagni, ma ancora per tutti, che seppero non avervi perduta la vita. [Vita di S. Greg. Inter opera Nysseni]. – Quanto leggi non è un fatto isolato, mio caro, ma è parte di un vasto insieme di fatti simili, confermali da mille testimoni, e che si riproducono oggidì presso i popoli idolatri. Lasciamo che parli Lattanzio. « Quando i pagani, egli scrive, sacrificano a’ loro dei, se qualcuno degli astanti fa il segno della croce, il sacrifizio non riesce, ed il consultato oracolo non dà responsi. Questa l’è una delle cause, che mossero gli imperatori a perseguitare i cristiani. Alcuni de’ nostri avi li accompagnavano ai sacrifizi, facevano il segno della croce ed i demoni messi in fuga non potevano produrre nelle viscere delle vittime i segni indicatori. Quando gli auspici si addavano di una tal cosa, aizzati da satana, cui erano venduti, non trasandavano di menar lamento, per la presenza di profani. I principi sdegnati perseguitarono a morte il cristianesimo, perché impediva loro d’insozzarsi con sacrilegi, di che si ebbero la meritata pena » [“Cum enim quidam nostrorum, sacrificantibus dominis assistèrent, imposito frontibus signo, deos eorum fugaverunt ne possent, in visceribus hostiarum futura depingere”. ( Lact. lib. X, c. 21)]. La mia prossima lettera ti conterà qualche altro fatto.

LETTERA DECIMASESTA.

11 dicembre.

La potenza del segno della croce deve estendersi al pari di quella di satana, mio caro Federico. L’usurpatore infernale si è impossessato di tutte le parti della creazione, ed il proprietario legittimo ha dovuto cacciarnelo, e dare a chi aveva il diritto di possederle un mezzo onde mettere in fuga un tale usurpatore. Epperò il segno della croce ha, non solamente il potere d’impedire a satana il parlare, ma l’obbliga ad abbandonare le cose ed i corpi che padroneggia. — In conferma di tale verità apportiamo qualche fatto scelto fra mille. – Regnava l’imperatore Antonino, e questo Cesare filosofo rompeva a crudelissima persecuzione contro i fedeli. Roma era gremita d’idoli, ed ai piedi di essi erano trascinati i nostri avi per forzarli ad offrire l’incenso. Una delle eroiche nostre sorelle Gligeria, è condotta alla presenza del governatore della imperiale città. « Vediamo, questi le dice, prendi questa fiaccola e sacrifica a Giove. – No, risponde la vergine cristiana, io sacrifico all’eterno Dio, e non m’è però mestieri avere il fumo delle fiaccole: fa’ che siano estinte, perché il mio sacrificio torni a lui più gradito. Il governatore il comanda, e le fiaccole sono spente. Allora la nobile e casta vergine eleva gli occhi al cielo, stende la mano verso il popolo, e cosi ella gli parla:”. Così detto fa il segno della croce ed esclama: Dio onnipossente, che siete onorato da’ vostri servi colla croce di G. C. mandate deh! in pezzi questo demonio fatto dalla mano dell’uomo. Tosto ch’ella ebbe così pregato Dio, un fulmine cade, e la statua di Giove è abbattuta ». [Baron. Tom. II]. – Simile cosa leggiamo nella persona di San Procopio. Condotto innanzi agli idoli, il glorioso atleta vi resta in piedi, e rivolgesi verso l’Oriente, e forma il segno venerando su tutto il suo corpo; quindi alzando gli occhi e le mani verso il cielo dice « Signor Gesù Cristo! » Nello stesso tempo fa contro la statua un segno di croce, che accompagna con queste parole « Simulacri immondi, io vi dico, temete il nome del mio Dio, fondetevi in acqua e spargetevi sul suolo di questo tempio ». Detto, fatto. [“Vobis, inquit, dico immundis simulacris, timete Dei mei nomen, et in aquam resoluta, in hoc tempio dispergimini : quod factum est” (Surius in die 8 octob.)]. – Costretto Satana, a vista del segno della croce, ad abbandonare i luoghi da lui abitati, per la virtù dello stesso segno è obbligato di lasciare i corpi degl’infelici di che erasi impossessato. Qui ancora i falli abbondano, confermati da testimoni degnissimi di fede. – Ed eccoti innanzi ogni altro S. Gregorio, uno de’ più gloriosi pontefici che abbiano governata la Chiesa cattolica, che ci racconta un fatto ch’ebbe luogo nella patria sua. « A tempo de’ Goti, scriv’egli, il re Totila venne in Narni, piccola città a poche miglia da Roma, essendone vescovo Cassio. Il santo Vescovo credette condursi all’incontro del principe. Il continuo piangere aveva arrossito gli occhi ed il volto del Santo di modo, che Totila, nulla sapendone, lo attribuì ad intemperante uso di vino, epperò mostrò profondo disprezzo per l’uomo di Dio. Ma l’Onnipossente volle mostrare quanto grande fosse colui, che veniva fatto segno al disprezzo del sovrano; epperò nella pianura di Marni alla presenza di tutta l’armata un demonio s’impossessa dello scudiere del re, e ne fa acerbissimo strazio. Lo conducono a Cassio alla presenza del re, ed il santo fatto il segno della croce, il demonio è scacciato. Da quel momento il disprezzo di Totila si rimutò in stima, conoscendo a fondo colui che uvea vilipeso giudicando dalle sole apparenze » (1). [“Vir Domini, oratione facta, signo Crucis expulit”. Dialog. lib. III, cap. 6]. – Ascolta questo altro fatto ammirato dalla patria tua. Nella Prussia in un certo luogo chiamato Velsenberg, viveva un uomo ricco e potente a nome Ethelbert, che era posseduto da un demonio; il perché era uopo assicurarsene con ferri e catene. Molti lo visitavano nei suoi dolori, ed un giorno in presenza di alquanti pagani, e de’ sacerdoti degl’idoli, il demonio gridò: “Se il servo di Dio vivo, Swirbert, vescovo de’cristiani non viene, io non partirò da questo corpo”. E perché il demonio non cessava dal ripetere la stessa cosa, gl’idolatri confusi si ritirarono, non sapendo che fare: ma dopo molte esitazioni, si decisero di andar pel Santo, e trovatolo lo pregarono con ogni instanza perché sì rendesse presso l’ossesso. Swirbert apostolo della Frisia, e di una parte dell’Alemagna, come devi sapere, consentì, e tosto che il santo mosse verso l’ossesso, questi digrignava i denti, e metteva grida orribili; ma come il Santo si avvicinava all’abitazione lo sventurato ammansiva, e restò in fine tranquillo nel suo letto, quasi fosse dolcemente addormentato. Il Santo guardatolo, dice a’ suoi compagni di mettersi a pregare, ed egli medesimo prega il Signore perché si degni scacciare il demonio dal corpo di quello infelice per la gloria del suo Nome, e per la conversione degl’increduli. Finita la preghiera, si alza e fa il segno della croce sull’ossesso, dicendo: « In nome di nostro Signore Gesù Cristo, ti comando, spirito immondo, di uscire da questa creatura di Dio, affinché essa conosca Colui ch’è vero suo Creatore. Lo spirito maligno al momento stesso sorte lasciando un fetore terribile » [“Signavit daemoniacum signo salutiferae crucis, dicens : In nomine Domini nostri Jesu Christi praecipio Ubi, immunde spiritus, ut exeas ab hao Dei creatura, ut agnoscat suum veruni Creatorem. Statimque cum foetore spiritus malignus exiit. (Marcellin. in vit. S. Sirirbert., c. XX)]. L’infermo gongolando di gioia, cade ai piedi del Santo e domanda il Battesimo, che gli fu accordato. – Ecco, caro Federico, quanto accadeva nella Prussia quando usciva dalla barbarie. Là come dappertutto, a colpi di miracoli il Vangelo s’è fatto accettare, ed il segno della croce n’è stato lo strumento ordinario. Qual è oggi la religione de’ Prussiani? È quella de’ loro primi Apostoli? Quella che insegna a fare il segno della croce? – I protestanti dicono che un uomo onesto non deve mutare religione, ed eglino affermano di amare quanti, che conservano la religione de’ padri loro; ma, per me, amo più ancora quelli che conservano la religione degli avi. – A questo proposito, tu conosci quanto raccontasi del celebre conte di Stolberg, di questo amabile e dotto uomo, una delle glorie della vostra Alemagna, che aveva abiurato il protestantesimo: Il re di Prussia ne rimase sì dolente da ritirargli la sua grazia, ma dopo alcuni anni, avendo bisogno di consiglio, mandò per lui. Come il conte fu alla presenza del re, questi gli disse: « Non posso dissimularvi, signor conte, che ho poca stima per un uomo, che muta religione. Ed il conte di rimando: Ecco perché, Sire, disprezzo profondamente Lutero ». – Che il segno della croce sia arma universale e potente a cacciar dal corpo degli ossessi satana, è chiaro per gli esorcismi della Chiesa. Se tu dai uno sguardo al Rituale romano, tu avrai la prova di quanto dico. Ora gli esorcismi con le loro insufflazioni ed il segno della croce rimontano alla culla del cristianesimo. Tutti i Padri dell’Oriente e dell’Occidente, che hanno parlato del Battesimo ne fanno menzione. In luogo di tutti ascolta S. Gregorio il Grande. « Quando il catecumeno si presenta per essere esorcizzato, il prete gli soffia in volto affinché, il demonio scacciato, sia libera l’entrata a Gesù Cristo nostro Dio. Dopo gli fa il segno della croce sulla fronte dicendo: Ti segno colla croce di Nostro Signore Gesù Cristo. E sul petto dicendo : Pongo nel tuo petto il segno della croce di Nostro Signore Gesù Cristo » [“Cum ad exoreizandum ducitur, prinio a Sacerdote exsuffletur in faciem ejus, ut, fugato diabolo, Christo Deo nostro pateat introitus. Et tunc in fronte crux Christi agatur, dicendo, etc.”. (S. Greg. Sacramentar.)]. Come qui li vedi descritti, gli esorcismi hanno traversato i secoli, e di presente, essi sono ancora in uso su tutti i punti del globo, ove trovasi un prete cattolico, ed una creatura umana da sottrarre all’impero di Satana. [Una parola su gli esorcismi non è fuori proposito, poiché la dottrina cattolica sul conto di essi è attaccata con la riproduzione de’ vecchi pregiudizi protestanti. Lo scongiura, latinamente exorcismus, è obbligare qualcuno per la divina autorità ad operare una qualche cosa, o a desistere da qualche azione, invocando all’uopo il divino Nome. Questa invocazione del divino Nome è esplicita, se Dio è nominato, o implicita se s’interpongono i santi, ed i loro meriti, o le cose sacre. Può essere pubblico o privato l’esorcismo, è pubblico se dal ministro della Chiesa, e secondo i riti da essa prescritti è eseguito; privato, se da semplici fedeli, e con quei mezzi che loro detta la divozione [Morini De Sacram. Poenit. lib. 6 , cap. 1]. – Secondo san Tommaso (Summa 2. 2. q. 30, art.) può eseguirsi pregando per modum deprecationis, o comandando per modum compulsioni: il primo con i superiori, eccetto satana, il secondo con gl’inferiori. Può farsi infine, come lo stesso dottore insegna, sopra le persone e le cose irragionevoli [S. Th. X, ibid. art. 3. I protestanti fra le altre superstizioni de’ romanisti annoverano gii esorcismi, affermando essere cosa ridicola esorcizzare le cose inanimate, che non possono né sentire né intendere gli esorcismi, e che non esiste l’ordine degli esorcisti. Quanto i nostri fratelli dissidenti asseriscono, in secondo luogo è perfettamente gratuito. La Chiesa cristiana non può essere da meno della Sinagoga. Questa aveva i suoi esorcisti, ed esorcismi, come si rileva da Giuseppe (Antichità etc. lib. 8, cap. ); da quanto disse Cristo: Matth. XII, 27. “Si ego in Belzebub ejicio daemonia, filii Vestri in quo ejiciunt”?; ed altresì dagli Atti apostolici, cap. XIII, 14. Perlocbè gli apostoli ricevevano da Cristo virtù e potere sopra i demoni, Luc. IX, 1, ben distinto dallo stesso potere che come grazia gratis data avevano e possono avere i fedeli: Marc. XVII, V. Gli Apostoli, o la Chiesa erede del loro potere, potevano stabilire che siffatta virtù ricevuta da Cristo contro satana, fosse esercitata da un ceto a ciò destinato perché meglio venisse eseguito. Che un tale ordine sia stato sempre nella Chiesa, possono i protestanti ricavarlo da Tertulliano ad Scapulam, cap. 4, e De praescript. cap. 41. Eusebio Histor. Uh. 6, cap. 43. Cipriano epist. 45. Che non sia ridicolo esorcizzare le cose inanimate, è chiaro dal non aver noi il pensiero di far sentire la nostra voce a chi non intende nè sente, come eglino credono. La Chiesa, cattolica crede alla provvidenza divina, ed all’azione di Dio, che mette in moto tutto il mondo materiale per premiare o punire l’uomo. Essa crede altresì che i demoni possono, secondo l’economia della stessa divina provvidenza, usare a nostro danno delle cose materiali. La Chiesa per questa credenza esorcizza le cose materiali con esorcismo deprecativo, indirizzando a Dio preghiera, che placatosi, queste cose materiali cessino dall’arrecar male all’uomo. Parimente pel potere ricevuto da Cristo contro satana, lo esorcizza obbligandolo ad abbandonare le cose materiali di che usa a nostro danno. La stranezza è in noi, o in chi pensa che v’abbiano 200 milioni di uomini che pensano parlare ai turbini, agl’insetti che divorano i campi? ] – Ma i demoni dimorano non solo ne’ tempi e nelle statue dove riscuotono onori divini, nè solamente nei corpi degli infelici, ch’eglino tormentano, ma sono dappertutto, e l’aria n’è piena. Nemici infaticabili ci attaccano di continuo direttamente, o indirettamente per lo mezzo delle creature. Diretti o indiretti, aperti o nascosti, i loro attacchi diventano inutili innanzi al segno della croce. Il Signore, dice Arnobio, ha formato le nostre dita alla pugna, affinché quando siamo attaccati dai nostri nemici visibili ed invisibili, noi ne usassimo a formare sulla nostra fronte il segno trionfale della croce [“Docuit dígitos nostras ad bellum, ut dum bellum sive visibilium, sive invisibilium senserimus hostium, nos digitis armemus frontem triumpho crucis” -Arnolb in Ps. CXVIII]. – Fra le mille eroine del cristianesimo, che, fior di beltà e di purezza, maneggiavano quest’arma, quando l’iniquità de’ persecutori le condannava a perdere il candore del giglio di che erano tenerissime, è da annoverare Giustina da Nicomedia. Questa, nata di nobilissima schiatta, quanto bellissima altrettanto ricca, sprezzatrice era del mondo e tipo di cristiana modestia. Queste virtù non la salvarono dall’inspirare ad un giovane pagano cocentissimo amore. L’idolatro giovane a nome Aglaida, per ottenere il cuore di Giustina usò offerte, promesse, preghiere, ma queste inutili tornavano; poiché lo sposo della vergine cristiana era il crocifisso Signore, e da esso non valevano argomenti umani a separarla. Aglaida disperato fa ricorso a Cipriano, venuto in gran fama di mago nella città; ma, questi acceso di eguale amore per Giustina, usò a proprio conto delle sue malie. Tutto l’inferno mosse al soccorso di lui. I demoni i più violenti furono sbrigliati contro la casta e pura vergine di Nicomedia; ma Giustina moltiplicava le preghiere, le mortificazioni, e tutta in Dio raccolta, vigilante, nel forte della battaglia si segnava col segno salutare, ed i demoni vinti e scornati prendevano la fuga. Con tale arma Giustina, non solo salvò la sua virtù, ma ebbe ancora la gloria di guadagnare Cipriano, che fu martire, e divenne una delle più gloriose conquiste del segno trionfatore [Vita 26 settembre]. – Antonio, il grande atleta del deserto, maneggiò parimenti quest’arma vittoriosa in tutta la sua vita, che fu continua pugna contro satana, e con essa vinceva il nemico, che, nel forte della pugna, prendeva tutte le forme. Lasciamo parlare il degno storico di un tal uomo. « Alcune vòlte, dice santo Atanasio, tale un fracasso orrendo facevasi sentire, che la caverna di Antonio tutta ne tremava, e dalle squarciate pareti si precipitavano in folla i demoni, che prendendo le forme di bestie la riempivano di serpenti, di leoni, di tori, di lupi, d’aspidi, di dragoni, scorpioni, orsi e leopardi, e ciascuno dava grida alla maniera della bestia di che aveva presa la figura. Il leone ruggiva, e mostravasi di volerlo addentare, il toro muggendo lo minacciava con le corna, il serpe faceva sentire il suo sibilo, il lupo mostrava le zanne, il leopardo colla variopinta pelle mostrava tutta l’astuzia dello spirito infernale; tutti presentavano figure spaventose a vedere, e mettevano voci orribili a sentire. « Antonio, or battuto or ferito, sentiva vivissimi dolori nel corpo, ma l’animo contemplativo restava imperturbabile. Tuttavolta le ferite gli strappassero delle grida di dolore, pure sempre ad un modo parlava a’ suoi nemici burlandosi di loro : « Se voi aveste della forza, diceva Antonio, uno solo di voi basterebbe ad uccidermi; ma, poiché la potenza del mio Dio vi snerva, voi venite in folla per farmi paura ». Ed aggiungeva: « Se voi avete qualche potere, se Dio m’ha abbandonalo a voi, eccomi, divoratemi; ma se nulla potete, perché tanti sforzi inutili? Il segno della croce e la confidenza in Dio sono per noi fortezza inespugnabile » [“Signum enim crucis et fides ad Dominum inexpugnabilis nobis murus est” – De vit. S. Anton.]. Allora i demoni digrignavano i denti, facevano mille minacce ad Antonio, ma vedendo che i loro attacchi a null’altro riuscivano che a farsi beffare, lo lasciavano per tornare a nuovi assalti. Il coraggioso parlare che Antonio, per la fede, faceva a’ demoni, lo ripeteva a’ filosofi pagani: « Quale utilità dal disputare? diceva il patriarca del deserto a questi eterni indagatori di verità. Noi pronunziamo il nome del Crocifisso, e tutti i demoni che voi adorate come dei arrossiscono. Al primo segno della croce, eglino abbandonano gli ossessi. Vedete: dove sono gli oracoli bugiardi? ove gl’ incanti degli Egiziani? Tutto è stato distrutto da che il nome di Gesù Crocifisso ha rimbombato nel mondo ». Quindi avendo fatto venire degli ossessi, continuando cosi diceva ai suoi interlocutori: « Coi vostri sillogismi, o con qualsiasi incanto liberate queste povere vittime da quelli, che voi chiamate dei; ma se non lo potete, confessatevi vinti. Ricorrete al segno della croce, e l’umiltà di vostra fede sarà seguita da un miracolo di potenza ». A queste parole, egli invoca il nome di Gesù, fa il segno della croce sulla fronte degli ossessi, ed i demoni fuggono alla presenza de’ filosofi confusi ». (Ibid.) – I fatti dello stesso genere sono numerosi quasi come le pagine dell’istoria. Tu li conosci, io passo oltre. – Agli attacchi diretti e palesi, i demoni aggiungono gl’indiretti e nascosti, non meno pericolosi de’ primi, e più frequenti. Ve n’hanno di due sorta: gli uni interiori, e gli altri esteriori. I primi sono le tentazioni propriamente dette. Ti ho già detto che la croce è l’arma vittoriosa, che le dissipa, e dicendolo mi rendo eco della tradizione universale, e della esperienza giornaliera. «Quando voi fate il segno della croce, ricordate quello che esso significa e voi ammansirete la collera, e tutti i movimenti disordinati dell’animo », diceva il Crisostomo [“Cum signaris, tibi in mentem veniat totum crucis argumentum, ac tum iram omnesque a ratione adversos animi impetus extinseris. (S. Joan Chrys. Ve adorat, pret. Crucis n. 3)]: ed Origene aggiunge: «È tale la potenza del segno della croce, che se la si tiene innanzi agli occhi, e nel cuore, non v’ha concupiscenza, né voluttà, né furore che le possa resistere: alla sua presenza tutto l’esercito della carne e del peccato è sconfitto » [“Est enim tanta vis crucis Christi, ut nulla concupiscentia, nulla libido, nnllus furor, nulla superare possit invidia. Sed continuo ad ejus praesentiam totus peccati et carnis fugatur exercitus”. (Origen. Comment, in Epint. ad Roman., lib. VI, n. 1]. – I secondi attacchi vengono dal di fuori. Nessuna creatura sfugge alle maligne influenze di Satana, e di tutte egli fa strumento della sua collera implacabile contro l’uomo. Te l’ho già mostrato, è un articolo della credenza del genere umano. Quale arma Dio ci ha dato, poiché Egli doveva darcene una, per liberarci da tali influenze, e liberandocene preservare la nostra anima ed il nostro corpo dalle funeste insidie di colui, ch’è chiamato, con ragione, il grande omicida, “Homicida ab initio”? Tutte le generazioni si levano dal fondo de’ sepolcri, per dirmi: È il segno della croce! Tutti i cattolici viventi nelle cinque parti del mondo, uniscono la loro voce a quella dei loro antenati e ripetono: È il segno della croce! Scudo impenetrabile, torre fortissima, arma speciale contro il demonio, arma universale del pari potente contro i nemici visibili ed invisibili, arma facile per i deboli, gratuita per i poveri: è questa la definizione, che i morti ed i vivi ci danno del segno adorabile. – Quindi due grandi verità: la soggezione di tutte le creature al demonio, e la potenza del segno liberatore a liberarle da essa, ed impedir loro di non nuocerci. Da queste due verità profondamente sentite, sempre antiche e sempre nuove, sortono due fatti logici. Il primo, l’uso degli esorcismi nella Chiesa cattolica; il secondo, l’uso incessante del segno della croce presso i primitivi cristiani. Che cosa in fatti significa l’esorcismo? La credenza, che ha la Chiesa intorno al dominio, che satana esercita sulla creatura. Qual è l’effetto degli esorcismi? Il liberare le creature da questa servitù. Ora, siccome non v’ha creatura che non sia esorcizzata dalla Chiesa, ne segue, che ai suoi occhi l’universo in tutte le sue parti è un gran schiavo, un grande ossesso [Questa espressione dell’autore potrà sembrare esagerata; però crediamo aggiungere qualche parola di S. Agostino, che le dà tutta la verosimiglianza. Il santo dottore per ispiegare come i maghi possano, per lo mezzo di Satana, operare delle cose straordinarie, afferma che a ciascuna cosa visibile presiede uno spirito, il quale agisce in esse come in parte disgiunta dall’universo ; cioè con azione particolare che non può alterare le leggi generali: e come in parte che entra nell’ordine cosmico, e sottosta all’azione universale, e forma parte delle leggi, che reggono l’universo fisico. Per quest’azione che ha Satana negli esseri particolari produce delle cose straordinarie, sottostando sempre all’azione della provvidenza divina, che regge tutto il cosmo. Unaquaeque res visibilis in hoc mundo habet potestatem angelicam sibi praepositam, sicut aliquot locis divina Scriptum testatur, de qua re cui praeposita est, aliter quasi privato agit, aliter tanquam publice agere cogitur. Potentior est enim parte universitas ; quoniam illud quodibi privatim agii, tantum agere sinitur quantum lex universitalis sinit. De diversis quaest. 83, quaest. LXXIX, n. 1. (Nota del Trad.)], una grande macchina da guerra continuamente contro noi elevata. Ed a sua volta che cosa era il continuo uso del segno della croce presso i cristiani? Un esorcismo continuato. Se, con la Chiesa cattolica e col genere umano, si ammette che il demonio agogna asservire tutte le creature, ed usare di tutte esse a veicolo delle sue maligne influenze; che a ciascun’ora, in ogni momento, e per ogni azione l’uomo può entrare in contatto con esse, qual cosa mai è più ragionevole dell’ uso costante di un’arma cotanto necessaria? Per le quali cose, il frequente uso di questo segno presso i nostri avi, mostra la loro profonda filosofia. Eglino conoscevano a fondo, ed in tutta la sua distesa la legge del mondo morale, il dualismo; comprendevano che, l’attacco essendo universale e continuo, era mestieri, per conservare l’equilibrio, che la difesa fosse universale e del pari continuata [Per intendere come Satana usi di tutti gli elementi della natura per apportar del male alla umana famiglia, e sfogare contro essa l’invidia di che è pieno, è da leggere l’eccellente opera, approvata dall’ accademia di Francia, e scritta da una delle sue principali glorie, Monsieur de Mirville. In essa si troverà svolta con scienza ed erudizione questa parte dell’arte satanica: l’opera ha per titolo: Des Esprits ctc. Esortiamo, ancora per lo stesso fine, alla lettura dell’altra eccellente opera di M.r de Mouseaux La Magie au XIX siede. (Nota del Trad.)]. Di nuovo, che di più logico? Eglino facevano il segno della croce sopra ciascuno de’ loro sensi. Vuoi intenderne il perchè? I sensi sono le porte dell’anima, servono da intermedi tra essa e le creature. Quando essi sono segnati della croce, le creature non possono entrare in comunicazione con l’animo, che per lo mezzo de’ mediatori santificati, dove perdono le loro funeste influenze. Ma questo non bastava per i nostri padri. Eglino facevano l’adorabile segno su tutti gli oggetti di loro uso, e per quanto loro fosse possibile, su tutte le parti della creazione. Le case, i mobili, le porte, le fontane, i limiti de’campi, le colonne degli edifici, le navi, i ponti, le medaglie, le bandiere, i cimieri, gli scudi, gli anelli: in tutto era impresso 1’adorando segno. Impediti dalle occupazioni e dalle distanze dei luoghi di ripeterlo continuamente ed in ogni dove, lo immobilizzavano scolpendolo e dipingendolo sul prospetto di tutte le creature, fra le quali passavano la loro vita. Parafulmine e monumento di vittoria, tale era allora il segno augusto. Parafulmine divino, atto ad allontanare i principi dell’aria con la loro incalcolabile malizia, ben altrimenti dalle barre di ferro, che sormontano i nostri edifici per scaricare le nubi pregne di elettricismo. Monumento di vittoria che accenna alla vittoria del Verbo incarnato riportata sul re di questo mondo, come le colonne dal vincitore elevate sul campo di battaglia servono da monumento commemorativo della sconfitta dal nemico sofferta. – Dalle alture di Costantinopoli contempliamo con san Giovanni Crisostomo il mondo smaltato di questi parafulmini, e da questi monumenti di vittorie, « Più preziosa dell’universo, dice l’eloquente patriarca, la croce brilla sul diadema degl’imperatori. Dappertutto dessa si presenta al mio sguardo, e la trovo presso i re, e presso i sudditi, presso le donne e gli uomini; con essa si ornano le vergini e quelle che menarono marito, gli schiavi ed i liberi. Tutti la segnano sulla miglior parte del loro corpo, la fronte, dov’essa risplende come una colonna di gloria. – Dessa è alla sacra mensa; nelle ordinazioni dei preti non manca, ed alla cena mistica del Salvatore io la rimiro: dessa è scolpita in tutti i punti dell’orizzonte, sormonta le case, si eleva nelle pubbliche piazze, nei luoghi abitati e nei diserti, lungo le strade, sulle montagne, nei boschi, sulle colline, sul mare al sommo delle navi, nelle isole; dessa è sulle finestre e su le porte, al collo de’cristiani, sui letti e gli abiti, sui libri e sulle armi; ne’ festini, sui vasi di oro e di argento, sulle pietre preziose, nelle pitture degli appartamenti. – La si forma sugli animali infermi, su gli ossessi, nella guerra e nella pace, il giorno e la notte, nelle riunioni da sollazzo e di penitenza. Appartiene a chiunque cerca essere protetto da questo segno adorabile. Che v’ha da recar meraviglia? Il segno della croce è il simbolo della nostra emancipazione dalla schiavitù, il monumento della libertà del mondo, ricordo della mansuetudine del Signore. Quando tu lo esegui ricorda il prezzo sborsato pel tuo riscatto, e tu non sarai schiavo di nessuno. Eseguilo, non solo col tuo dito, ma più ancora con la tua fede. Se tu in tal modo lo farai sulla tua fronte, nessuno spirito potrà resistere alla tua presenza; egli vede il coltello da che è stato piagato, e la spada che l’ha ferito a morte. Se alla vista de’ luoghi del patibolo noi siamo presi da orrore; immagina quel che debba soffrire Satana ed i suoi angeli, a vista dell’arme con che il Verbo eterno ha abbattuta la potenza, ed ha troncato il capo al dragone » [Quod Christus sit Deus opp. t. 1, p. 698, edit. Paris; et in Math., homil. 54, t. VII, p. 610, et in c. Ill ad Philip.]. Dimani le riflessioni che fa sorgere in mente questo spettacolo sublime, sì eloquentemente descritto.

LETTERA DECIMASETTIMA.

 12 dicembre.

Arma universale ed invincibile per l’uomo, parafulmine per le creature, simbolo di libertà pel mondo e monumento di vittoria pel Verbo Redentore: tale fu, mio caro Federico, il segno della croce agli occhi dei primi cristiani. Da questa convinzione procedeva l’uso ch’eglino ne facevano, i sentimenti, che loro inspirava, il magnifico e piacevole spettacolo, a cui testé assistemmo. – Conservammo noi la fede de’ padri nostri? Per i cristiani del secolo decimonono qual cosa mai è il segno della croce? come usano di esso a pro di sé stessi e delle creature? I sentimenti di fede, di confidenza, di rispetto, di fiducia e di amore, che loro inspira, sono vivi e reali? Il maggior numero di quelli, che fanno un tale segno non lo eseguono forse ignorando quel che operano, e senza attribuirgli valore alcuno, ed importanza? Quanti non lo eseguono affatto? Quanti credono ricevere onta dall’eseguirlo? Quanti ancora non son presi da sdegno al vederlo? E per fermo, eglino l’hanno tolto dalle loro case e da’ loro appartamenti, cassato dalla loro mobilia, ed inutilmente lo si cercherebbe nelle pubbliche piazze, nelle passeggiate delle città, lungo le vie e nei parchi; poiché l’han fatto disparire da tutti i luoghi, dove i padri nostri l’avevano innalzato. Eglino, nuovi iconoclasti del secolo XIX, hanno spezzate le croci! – Qual cosa mai è questa, ed a quale avvenire accennano siffatti sintomi? Vuoi saperlo? Rimonta al principio illuminatore della storia. Due principi oppositi si disputano il dominio del mondo, Io spirito del bene e lo spirito del male (1). Tutto che si opera è, o per inspirazione divina, o per inspirazione satanica. L’institu-zione del segno della croce, l’uso continuo di esso, la fiducia che inspira, la potente virtù attribuitagli, è una inspirazione divina o satanica ? È o l’una, o l’altra. – Se è una inspirazione satanica, il fiore della umanità, che sola fa questo segno, è da poi oltre diciotto secoli incurabilmente cieca, mentre che il rifiuto della umana compagnia, che sprezza la croce, avrebbe ogni lume: è un dire, che i miopi, i loschi e i ciechi del tutto vedano più di colui, che ha due buoni occhi. Credi possibile che l’orgoglio possa tanto impazzire da affermare simile paradosso, e che vi sia tale una incredulità, e di sì robusti polsi da sostenerlo? – Ma se il segno della croce praticato, ripetuto, caro, considerato come arma invincibile, universale, permanente, necessaria alla umanità contro satana, le sue tentazioni e i suoi angeli, è una inspirazione divina, che vuoi che io pensi di un mondo, che non comprende più un tal segno, che più non lo esegue, che si vergogna di esso, che più non lo saluta, che lo vuole scomparso dalla vista degli occhi suoi, e dal cospetto del sole? A meno che la natura umana non si sia del tutto immutata, e che il dualismo non sia che una chimera; a meno che satana non abbia abbandonata la pugna; a meno che le creature non abbiano cessato di essere i veicoli delle sue funeste influenze: il cristiano d’oggidì sprezzatore del segno della croce non è, che un rampollo degenere di una nobile razza. Desso è un razionalista insensato che non comprende più la lotta, né le condizioni di essa; il secolo decimonono è un soldato presuntuoso, che, spezzate le armi, e deposta ogni armatura, si getta alla cieca nel mezzo delle spade e delle lance nemiche, con braccia legate, e a petto nudo; la società moderna, una città, sommersa nel sensualismo de’ baccanali, smantellata, circondata d’innumerevoli inimici, che agognano a farne ruina e passare a fil di spada la guarnigione. – Farne una ruina Ma non è questa già fatta? Ruina di credenze, ruina di costumi, ruina dell’autorità, ruina della tradizione, ruina del timor di Dio e della coscienza, ruina della virtù, della probità, della mortificazione, dell’ubbidienza, dello spirito di sacrificio, di rassegnazione e di speranza: dappertutto, ruine cominciate, o ruine compite. Nella vita pubblica e nella privata, nelle città e nelle borgate, nei governanti e nei governati, nell’ordine delle idee e nel dominio de’ fatti, quanto di perfettamente cattolico resta incolume, ed intero? – Ma in tutto ciò nulla v’ha, caro Federico, che ci debba meravigliare. Togli il segno della croce e tutto si spiega. Meno v’ha di croci nel mondo, più v’ha di satana. La croce è il parafulmine del mondo; toglilo, e la folgore cade a schiacciare e bruciare. Il segno della croce accenna al dominio del vincitore, n’è trofeo: spezzarlo è un far rivivere l’antico tiranno, e preparargli il ritorno. – Ascolta quanto scriveva, or sono diciassette secoli, uno degli uomini, che abbiano intesa tutta la misteriosa potenza di questo segno, dico il martire, il più illustre fra i martiri, Ignazio di Antiochia. Contempla questo vescovo dai bianchi capelli, carico di catene, che attraversa seicento leghe per condursi a farsi dilaniare da’ leoni al cospetto della gran Roma. Vedilo; è calmo quasi fosse sull’altare, ilare, come se andasse ad una festa, e dà, lungo il cammino, istruzioni ed incoraggiamenti alle chiese dell’Asia accorse a salutarlo. Questi nella sua ammirabile lettera ai cristiani di Filippi, scrive: « II principe di questo mondo mena gran festa, quando qualcuno rinnega la croce. Esso conosce esser la croce, che gli apporta la morte, perché dessa è l’arma distruggitrice di sua potenza. La vista di essa gli mette orrore, il suo nome lo spaventa. Innanzi questa venisse fatta, nulla trasandò perché la si formasse, ed a siffatta opera egli spinse i figli della incredulità, Giuda, i Farisei, i Sadducei, i vecchi, i giovani, i sacerdoti: ma tosto che la vide sul punto d’essere compita si turba. Immette rimorsi nell’animo del traditore, gli presenta la corda, lo spinge a strangolarsi; spaventa con segni la moglie di Pilato, ed usa ogni sforzo ad impedire che venisse compiuta la croce, non perché avesse rimorso, che se ne avesse non sarebbe del tutto cattivo; ma perché presentiva la sua disfatta. Né s’ingannava: la croce è il principio della sua condanna, di sua morte, e della sua perdita ». [“Prìnceps mundi hujus gaudet, cum quis rrueem ipsius negavit, cognoscit enìm crucis confessionem, suum esse ipsius exitium. id enim trophaeum est contra ipsius potentiam; quod ubi vlderit, horret, et audiens timet, et ante’iuam fa-bricaretur crux, studebat ut fabriraretur, et operabatur in Juda…. cum autem paranda esset crux, tumultuabatur, etpoe-nitentiam immisit proditori…. Crux enim Cbristi prima fuit condemnationis, mortis et perditionis causa”. (Ignatius AI. Ep. ad Philip., ep. VIII (Nota del Trad.).] – Ecco due insegnamenti: orrore e timore di satana alla vista della croce e del segno di essa; gioia di lui nell’assenza dell’ una e dell’altro. Vede egli un’ anima, un paese senza la croce vi entra senza paura, e vi dimora tranquillo. Come inevitabilmente al cader del sole le tenebre succedono alla luce, cosi del pari desso ristabilisce il suo impero al disparir della croce. Il mondo attuale n’è sensibile prova. Non parlo del diluvio di negazioni, empietà, bestemmie inaudite che inondano il mondo, ma, che cosa mai sono, per chi non si soddisfa di sole parole, i milioni di tavole giranti e parlanti, gli spiriti battenti o familiari, le apparizioni, le evocazioni, questi oracoli e consultazioni medicali, le comunicazioni con i pretesi morti, che, ad un tratto, hanno invaso il vecchio ed il nuovo mondo (1 ). Son forse queste cose nuove? No: l’umanità le ha già viste. Ma quando? Quando il segno della croce non proteggeva il mondo, quando Satana era dio e Re delle società! Di presente siffatte cose col ricomparire con proporzioni ignote di poi il vecchio paganesimo, quale avvertenza ne danno? se non che il segno liberatore cessando di proteggere il mondo, Satana lo invade di nuovo. – Tu il vedi, caro amico, sono ben poco intelligenti quelli che abbandonano il segno della croce. Siano eglino oggetto di nostra compassione e non d’imitazione! Fra tutte le circostanze in cui è da separarsi da loro, ve n’ha una in che lo si deve inevitabilmente. Per noi, come per i nostri padri, il segno della croce avanti e dopo il pranzo dev’esser cosa sacra; poiché come tale lo comandano la ragione, l’onore, la libertà. – La ragione. Se interroghi i tuoi compagni dimandando loro perché non facciano il segno della croce innanzi prendano il cibo, ciascuno ti dirà: Non voglio singolarizzarmi operando altrimenti degli altri. Non voglio ch’io sia segnato a dito, e che altri si burli di me, per la osservanza di una pratica inutile, ed ormai fuori moda. – Non vogliono singolarizzarsi! Per loro onore, stimo credere, che non intendano la forza di siffatta espressione. Singolarizzarsi, è un dire, isolarsi, non operare come tutti gli altri. In siffatto senso si può ben essere singolare senza taccia di ridicolo; anzi, v’hanno delle circostanze ch’è mestieri esserlo ad isfuggire la colpa. – Nel mezzo di un manicomio, l’uomo ragionevole che opera assennatamente; in un paese di ladri, l’uomo onesto, che rispetta l’altrui, sono de’ singolari: son dessi ridicoli? – Nel senso in che è presa dai tuoi compagni, singolarizzarsi vuol dire isolarsi, operando con maniere, che, movendo al riso, si oppongono agli usi ammessi e ci rendono ridicoli. Resta però vedere se, fare siffatto segno innanzi e dopo il pranzo sia un singolarizzarsi in maniera ridicola. Per fermo, ti diranno, perché è un operare altrimenti dagli altri. Ma v’hanno altri ed altri. V’hanno alcuni, che fanno il segno della croce, e ve n’hanno altri ancora che non lo eseguono. Di siffatto modo facendolo o non facendolo noi non ci singolarizziamo, noi siamo sempre con altri. Siam noi ridicoli? Per rispondere a tale domanda è da osservare chi siano quelli, che fanno un tal segno, e chi quelli, che lo trasandano. – Quelli che lo praticano sono tu, io, la tua onorevole famiglia, la mia, né siam soli; prima di noi e con noi ve n’hanno ben altri ancora. V’hanno tutti i veri e coraggiosi cattolici dell’Oriente e dell’Occidente da poi diciotto secoli, i quali, come vedemmo, sono il fiore della umanità, e con siffatta compagnia si diviene si poco ridicolo, ch’è un esserlo al sommo, non appartenendo ad essa. Se ne eccettui quelli che vivono di parole, e che con esse vorrebbero tutto pagare, la proposizione è indegna di esser discussa. – Nulla v’ha di più certo dell’aver con tutto studio il fiore della umanità eseguito il segno della croce, avanti e dopo il pranzo. I Padri de’ quali, ho testé apportate le sublimi testimonianze, Tertulliano, S. Cirillo, S. Efrem, S. Crisostomo, non lasciano alcun dubbio sulla universalità di questa religiosa usanza, presso tutti i cristiani della primitiva Chiesa. Ma lascia che io ne aggiunga qualche altro. Quando si siede a mensa, dice il grande Atanasio, e si spezza il pane, lo si benedice per tre volte col segno della croce, e si rendono le grazie » [“Cum in mensa sederis, coeperisque frangere panem, ipso ter consignato signo crucis, gratias age”. – De Viginet., n. 13]. – La benedizione della mensa col segno della croce non era solamente in uso presso le famiglie nella vita civile, ma l’era altresì negli eserciti, nella vita del campo. S. Gregorio di Nazianzo racconta, a questo proposito, un fatto venuto in gran fama. – Giuliano, l’Apostata, gratificava l’esercito con istraordinaria distribuzione di viveri e di danaro. Dallato al principe v’era un braciere acceso, e tutti i soldati vi gettavano un granello d’incenso. I soldati cristiani imitarono i commilitoni pagani, nulla sapendo che in ciò vi fosse idolatria. Compiuta la distribuzione, tutti in uno raccolti desinavano in onore del principe. Sul cominciar della mensa, fu presentata la coppa ad un soldato cristiano, e questi, secondo l’usato, la benedisse. Tosto una voce si levò a dirgli: Quello che fai ripugna a quanto testé operasti. Che feci? Hai tu dimenticato l’incenso ed il braciere? Ignori che idolatrasti, che rinnegasti la tua fede? – Com’ebbe ciò inteso, levossi il guerriero e con lui i compagni d’arme, e tutti gemendo e strappandosi i capelli, a grandi grida, si dichiararono cristiani, e protestarono contro l’inganno loro fatto dall’imperatore, e domandarono nuove prove per confessare la propria credenza. L’apostata fattili arrestare e legare li condannò a morire, e dispose venissero condotti al luogo del supplizio: ma, a non far de’ martiri, accordò loro la vita rilegandoli nelle più lontane frontiere dell’impero [Orat. 1, contra Julian., Theodoret. Hist., lib. Ill, c. 16]. – Quando un prete trovavasi in un convito, a lui apparteneva l’onore di fare il segno della croce sugli alimenti [Ruinart. Actes du martyrs de saint Theodole]. – La benedizione della mensa era in tanta stima di cosa santa, che al nono secolo i Bulgari convertiti alla fede domandavano al Papa Nicolò I, se il semplice laico potesse supplire al prete in tale funzione. Per fermo, rispose il Pontefice; avvegnaché, a tutti è commesso preservare, col segno della croce, quanto gli appartiene, dalle insidie del demonio, e trionfare di tutti i suoi attacchi per lo nome di nostro Signore [“Nam omnibus datum est, ut et omnia nostra hoc signo debeamus ab insidiis munire diaboli, et ab ejus omnibus impugnationibus in Christi nomine triumphare. (Resp. ad consult. Bulgar.)]. – I tempi successivi han visto perpetuarsi presso tutti i veri cattolici dell’Oriente e dell’Occidente l’uso del segno della croce prima e dopo il pranzo, e tu sai come sussista ancora di presente. Noi conosciamo quelli che fanno il segno della croce, e gli altri che non lo fanno; è da vedere a chi i tuoi compagni diano la preferenza. I pagani non lo fanno, ed i giudei nemmeno, i maomettani neppure, gli atei e i cattivi cattolici neanche, i cattolici ignoranti o schiavi del rispetto umano parimente lo trasandano. Ecco quelli che non fanno il segno della croce, e che beffano quanti sono teneri di sì pia usanza. Da qual lato è la singolarità ridicola? Nella prossima lettera il resto della obbiezione.

La CHIESA CATTOLICA condanna e vieta espressamente la CREMAZIONE .

g-squadra-compasso-2

L’obbrobrio della cremazione viene oggi fatto passare come pratica approvata dalla Chiesa Cattolica. Innanzitutto, ciò che viene sbandierato dai media di regime massonico, non è di fede cattolica, ma di fede marrano-modernista appannaggio della falsa chiesa conciliare, o meglio del tempio masso-liberista, sinagoga di satana. Ma poiché molti non sanno, non capiscono, o non voglio capire, ci intratteniamo con questo scritto, sull’ennesimo abominio modernista anticattolico, quindi ulteriore via per finire dritti nel fuoco eterno preparato per gli angeli ribelli e per coloro che lottano contro Cristo e la sua Chiesa [anche se inconsapevolmente … colpevolemente però!]. Per chiarire le idee a tanti inebetiti allocchi colpevolmente ignoranti, ricorriamo, come al solito, alla Enciclopedia Cattolica, l’ultima opera cattolica edita in Vaticano nel 1950 [oggi uno dei centri “direzionali” della Massoneria mondiale], coll. 838-841 del vol. IV, voce: CREMAZIONE., redatta addirittura da mons. Pietro Palazzini, quando ancora era nella Chiesa Cattolica, prima di essere nominato  non-Cardinale della falsa chiesa del novus ordo, dall’anti-Papa Montini [i cui atti sono quindi tutti invalidi, comprese le nomine cardinalizie].

CREMAZIONE

[Enciclop. Cattolica, C. d. V. 1950]

La voce crem. (dal lat. Crematici = abbruciamento) è stata riservata dall’uso all’atto dell’abbruciamento del cadavere umano. Il quale atto, com’è praticato oggi nei nostri paesi, è una combustione del cadavere pronta, completa e secondo la tecnica scientifica, mentre presso i popoli meno civili è un incinerimento più o meno completo con speciale cerimoniale religioso, com’era presso gli antichi. Secondo una simbologia, piuttosto convenzionale, l’incinerimento sembra voler significare che i corpi sono per sempre risoluti e dispersi, mentre il rito contrario dell’inumazione accompagna l’idea della morte equiparata a sonno, ed esprime con più aderenza la fede cristiana nella finale risurrezione. Ciò come espressione simbolica, non come realtà. In via assoluta infatti la crem. non è contraria a nessuna verità naturale o rivelata; molto meno è tale da costituire un ostacolo all’onnipotenza di Dio per la resurrezione dei corpi. E neppure può dirsi che leda in qualche modo i diritti della persona umana. Il cadavere non è più persona e quindi non è più per sé ed in sé essenzialmente inviolabile. Di fatto però la crem. è ripugnante alla disciplina della Chiesa fin dai suoi primi inizi, contraria agli squisiti sensi di pietà cristiana verso i defunti; mentre il rito contrario, l’inumazione, per unanime, ininterrotto, tradizionale insegnamento, è assurto ad una aderente significazione dell’immortalità dell’anima, della fede nella risurrezione della carne; ad un richiamo palese di avvenimenti ed insegnamenti biblici, già operanti nella tradizione giudaica, come dell’idea del corposeme ( Cor. XV, 36-44), della terra madre (Ger. III, 19; Iob. I, 2 1 ; Eccli. XL, 1), della morte-riposo e sonno (Dan. XII, 2 ; Io. XI, 11-39). Un pagano del II sec. diceva dei cristiani « execrantur rogos, et damnant ignium sepulturas » (Minucio Felice, Octavius, cap. 11: PL 3, 267). E ne faceva noto anche il motivo: la fede nella risurrezione della carne. Non si tratta dunque di una semplice consuetudine, contraria ai roghi, ma di una esecrazione, di una condanna fatta per principio religioso e così aperta da essere nota anche ai pagani. I quali, appunto per fare insulto alle convinzioni cristiane, non raramente si accanivano contro le martoriate spoglie dei martiri, incinerendole (Eusebio, Hist. eccl., V, capp. 1 e 2, PG 20, 433). – I cristiani si ritenevano gravemente ingiuriati per lo scempio fatto ai cadaveri dei loro fratelli e gli apologisti protestavano, pur facendo capire di non aver nulla a temere per la resurrezione. – Sono state tuttavia rinvenute in cimiteri cristiani urne cinerarie c resti combusti; ma il luogo di invenzione, spesso sotto cimiteri pagani, e le iscrizioni, nessuna delle quali finora è stata riscontrata cristiana, ci autorizzino senz’altro a ritenere che le dette urne cinerarie provengano per frane dai soprastanti monumenti funerari pagani (cf. O. Marucchi, Manuale di archeologia cristiana, Roma 1933. P- 201). – Materialismo, superstizione, incongruenze ridicole, tutto concorreva ad alienare l’animo dei cristiani dalla crem., oltre gli inutili maltrattamenti, a cui era sottoposto il cadavere. La consuetudine cristiana dell’inumazione, già in uso tra gli Ebrei, prende piede anche nel mondo pagano contro la pratica del rogo, proporzionalmente al diffondersi della fede cristiana e si estende ad ogni qualità di persone, anche le più alte, che avessero abbracciato il cristianesimo. I convertiti al cristianesimo, anche se di nobile casato, al fasto del rogo preferivano i loculi cimiteriali cristiani, mentre la liturgia della Chiesa si orientava tutta al rito dell’inumazione, riecheggiando gli alti significati che la tradizione ha dato alla deposizione del cadavere sotterra. – Con la vittoria della Chiesa tra la fine del IV e l’inizio del V sec, cessa la crem. nell’Impero romano. – La stessa rarità o quasi assenza della documentazione canonica in materia, è indice della assenza di abusi. Le testimonianze indirette dei concili, che legiferano in materia funeraria ci documentano la consuetudine universale di inumare i cadaveri (C. 28, C. XIII , q. 2 ). – Anche fuori dell’Impero romano i roghi sono scomparsi generalmente in ogni paese, ove è penetrato il cristianesimo. – I Sassoni renitenti ad abbandonare la crem., ne sono pressati da un capitolare di Carlo Magno del 789 (ed. Boretius, I , 69). Prima di loro avevano abbandonato la crem. i Turingi e dopo gli Scandinavi, i Norvegesi, gli Svedesi, i Danesi (1205) ed i Prussiani (1245). – Dopo il mille una strana usanza funebre si era andata diffondendo in Europa, che in qualche maniera aveva punti di contatto con la crem. Si scarnificavano artificialmente i cadaveri, previa cottura, perché più facilmente le ossa ripulite potessero essere trasferite da un luogo ad altro. Simile trattamento fu applicato al figlio dell’imperatore Conrado, all’arcivescovo di Colonia, Rainaldo (1162), a Federico I , il Barbarossa (1167) e ad alcuni suoi dignitari, a S. Luigi IX di Francia (1270) a Teobaldo, re di Navarra, Isabella d’Aragona, Filippo IV di Francia, e ad altri (Aimoino, De gestis Francorum, V, Parigi 1514, cap. 55). Una decretale di Bonifacio VIII (1299) colpisce di scomunica « latae sententiae », riservata alla S. Sede, i.mandanti e gli esecutori di tale operazione; privando insieme il corpo, così trattato, di sepoltura ecclesiastica (c. 1, De sepulturis, III, 6, in « Extravag. Comm.). La decretale nel suo testo e contesto è anche una condanna implicita della crem. – La condanna ottenne i l suo effetto, perché per secoli non si hanno più tracce di nuovi abusi. Sarà l’atteggiamento decisamente anticristiano dei cremazionisti odierni e dei loro sodalizi pro-crem. che susciterà per un fatto, in sé non strettamente legato con la dottrina, l’avversione dei credenti e le esplicite condanne della Chiesa. – Le origini del moderno movimento per la crem. si vogliono ricollegare con la Rivoluzione del sec. XVIII. Vi fu infatti un progetto di legge al Consiglio dei Cinquecento (11 nov. 1797), per ottenere che fosse resa facoltativa la crem., ma la cosa fu respinta. I tentativi saranno però ripresi più tardi nei vari Stati europei e con un certo successo. La massoneria ha molte responsabilità al riguardo. Pur non potendosi, per insufficenza di prove, imputarle la genesi di tale movimento, è certo che lo ha favorito in tutti i modi per spirito soprattutto anticlericale, curando di dargli quel carattere di indipendenza e di spirito di libertà di pensiero, di svincolamento da tradizioni religiose che è stata la causa principale delle condanne della Chiesa. Il vero lancio dell’idea cremazionista si ebbe in Italia nel 1857 ad opera di Ferdinando Coletti, un medico che fu seguito da vari colleghi; e nel 1867 formava oggetto di una proposta parlamentare non ammessa però alla lettura, ad iniziativa dell’on. Salvatore Morella celebre divorzista. Ma le proposte ripetute ebbero successo col decreto del 1874, il cui art. 67 permette la crem. come cosa, tuttavia eccezionale: da cosa eccezionale, grazie alla propaganda ed alle pressioni di una trentina di società cremazioniste, sorte nel frattempo, passava ad essere facoltativa con decreto del 1892. – Dopo il suo quarto d’ora di fortuna nel secolo scorso la c. è oggi in regresso in Italia. [Oggi le logge massoniche del Vaticano post-conciliare, in combutta con le logge a prevalenza giudaica, l’hanno riportata in auge – ndr. -]. Negli altri paesi gli inizi della campagna cremazionista si ebbero pure nel secolo scorso, e quasi dappertutto risulta il carattere storicamente antireligioso della crem. La crem. trovò traccia anche nelle altre legislazioni: fu ammessa in Francia (1887), in Belgio (1932), nella Spagna rossa (1932), nel Portogallo (1910), i n Danimarca (1892), in Cecoslovacchia (1919), in Inghilterra (1904), Finlandia (1926), Austria (1922), in molti degli Stati dell’America del nord, nell’Argentina (1886) ecc. All’avanguardia della prassi cremazionista sta forse la Svezia seguita dalla Norvegia, Svizzera (dove la legge in proposito è cantonale) e Germania. La Chiesa protestante si è mostrata in proposito molto conciliante, avversa invece la chiesa ortodossa e più di tutte la Chiesa cattolica. Ma non già per partito preso. -Difatti proprio in questo secolo la Chiesa dava prova di tolleranza in materia con i neofiti dell’India, permettendo ai suoi ministri di rimanere passivi, pur senza approvare, di fronte a casi di crem. di cadaveri di cristiani, promossa da parenti pagani per ragioni di prestigio di casta. E ciò per non porre ostacoli alla loro conversione (Collectanea S. Congr. de Propaganda Fide, n. 1626-27 sett. 1884). Intransigente invece si mostrò per opposte ragioni di fronte ai cremazionisti dei paesi cattolici nei quali era evidente il proposito di scristianizzare. Nel I° documento che è della S. Congregazione del S. Uffizio in data 19 maggio 1886 la Chiesa condanna la crem. come un detestabile abuso, proibisce di destinare per testamento o convenzione con le società di crem., o comunque, il proprio cadavere alla crem. o di far cremare quello degli altri; proibisce di appartenere a società cremazioniste, che, se affiliate alla massoneria, soggiacciono alle pene ecclesiastiche comminate contro quest’ultima (Acta Sanctae Sedis 19 [1886], p. 46). Il 15 dic. dello stesso anno usciva un altro decreto della medesima Congregazione, che interdiceva ai sacerdoti l’accesso al forno crematorio per compiervi i riti sacri, pur permettendoli, nella, casa del defunto o in Chiesa, qualora la c. avesse luogo per volontà dei superstiti. Che, se la c. avviene per destinazione del defunto, mantenuta fino alla morte, egli è privato della sepoltura ecclesiastica.Sorgevano in seguito a questi decreti molte questioni morali relative ai Sacramenti, ai suffragi ed alla cooperazione; questioni che venivano affrontate nel decreto del S. Uffizio del 27 luglio 1892. Con questo si interdiceva di amministrare i Sacramenti ai fedeli che senza essere massoni, avevano optato per la crem. e non volevano ritrattarla anche in seguito ad ammonizione; e si proibiva di applicare per loro pubblicamente la Messa in caso di decesso; si dichiarava illecita, pena l’interdizione dei Sacramenti, la cooperazione alla crem., fatta con l’animo da trasgredire il precetto ecclesiastico, pur tollerandosi la cooperazione materiale, qualora venisse tolto dalle cerimonie per la c. qualsiasi segno di aderenza alla setta massonica o di ostilità alla Chiesa (Collectanea S. Congr. De Propaganda Fide, n. 1808).Coerente a questi principi sulla cooperazione è l’istruzione del S. Uffizio del 3 ag. 1897, con cui rispondendosi alla superiora delle suore « a Matre Dolorosa », si tollerava, se eseguito dietro ordine espresso del medico, l’incenerimento di membra amputate, pur raccomandandosi, se possibile, la sepoltura in luogo benedetto (Acta Sanctae Sedis, 30 [1897] p. 630). Il codice di diritto canonico ritiene i principi e le istruzioni dei predetti decreti, ed alla loro luce vanno interpretati i canoni relativi. Il can. 1203 § 1 prescrive il seppellimento dei cadaveri, riprova la crem. e dichiara irrita la volontà del defunto, che avesse lasciato mandato in qualsiasi maniera per la crem. del suo cadavere, interdicendo la cooperazione alla crem. stessa a norma del decreto del 1892. È questa irritazione della volontà del defunto l’unico elemento nuovo della legislazione canonica. – La pena per chi, in qualunque modo, abbia dato disposizione che venga cremato il proprio cadavere, e non l’abbia ritrattata, è a norma del can. 2291 n. 5 e 1240 § 1 e 5, la privazione della sepoltura ecclesiastica, e quindi, a norma del can. 1204, dell’accompagnamento alla Chiesa, delle esequie e della deposizione in luogo sacro.- Conseguentemente il defunto sarà privato di qualunque messa esequiale, anche anniversaria (can. 1241). – La privazione della sepoltura ecclesiastica rimane in vigore come pena, anche se la crem. di fatto non sia eseguita, qualora risulti che il defunto abbia perseverato fino alla morte nel suo proposito di crem. Qualora sia dubbia questa volontà la sepoltura ecclesiastica non viene interdetta. Cosi non viene proibita, se la crem. è eseguita contro la ritrattazione dell’autore o senz’altro contro qualsiasi precedente volontà del defunto; ma occorre allora prevenire lo scandalo, il che potrà ottenersi anche rendendo pubblica la vera volontà del defunto, e occorre ancora seppellire le ceneri, a modo di inumazione di cadavere. L’accompagnamento di un cadavere al forno crematorio può riguardarsi non come un atto di religione, ma come un dovere di civili onoranze e sotto questo aspetto, anche se ci fosse il ministro acattolico, a norma del can. 1258 § 2 sarà lecito. Se negata la sepoltura ecclesiastica, si è chiamato un ministro acattolico, chi lo ha fatto è sospetto di eresia e non può essere ammesso ai Sacramenti, se non dopo aver riparato lo scandalo (risposta del S. Uffizio al vescovo di Linz, 25 febbr. 1926; AAS, 18 [1926], p. 282). – Le società di crem. sono certamente proibite, ma non sub censura a meno che non siano affiliazioni della massoneria. Anche gli acattolici, a norma del c. 12, sono tenuti ad osservare le leggi della Chiesa sulla crem. – Nel giugno del 1926 un’istruzione del S. Uffizio gettava l’allarme su una ripresa della crem., richiamando quasi letteralmente i decreti del 1886 e ribadendo ancora una volta la dottrina della Chiesa. È opportuno però rilevare, a scanso di equivoci, che nel campo puramente disciplinare e rituale: se le circostanze lo richiedessero, la Chiesa potrebbe, senza contraddirsi, cambiare disposizioni. E anche oggi non trova nulla a ridire, qualora la crem. sia richiesta in circostanze straordinarie, come guerra, epidemie ecc. per una certa e grave ragione di bene pubblico, come non trovò nulla a ridire in passato contro la pena di morte, applicata per crem. – Oltre i motivi religiosi, contro la crem., sta un grave argomento di indole sociale, tratto dalla medicina legale, che ha tra i suoi oggetti di studio, il cadavere umano, anche per qualche tempo dopo il suo seppellimento, in seguito ad una morte, che possa apparire violenta o delittuosa. Ora la crem. distrugge con il cadavere una delle eventuali prove del delitto; è dunque anche socialmente pericolosa per una maggiore sicurezza data al delitto.

BIBL.: B. Biondelli, La c. dei cadaveri umani esaminata nella sua ragione morale, religiosa e politica, Milano 1874; J . Matteucci, La crem. dei cadaveri, combattuta nei suoi rapporti storici, chimici, e religiosi, Bologna 1875; A. Guidini, La crem. dei cadaveri nei rapporti igienici e morali, Milano 1875; A. Cadet, Hygiène, inumation, crémation ou incénération des corps, Parigi 1878; A. Rota, È ammissibile la crem. dei cadaveri? Scritti contro la crem., Venezia 1882; A. Chollet, La crémation, in Revue des sciences ecclésiastiques, 54 (1886), pp. 981 sgg. ; A. Besi, Inumazione e c. dei cadaveri, Padova 1886; E. Valton, s. v., in DThC, III, coll. 2310-23; J . Besson, Incinération, in DAFC, II, coll. 628-44; H. Leclercq, Incinération, in DACL, VII, coll. 502-508; E. P. Regatillo, Crematio cadaverum, in Sal Terrae, 17 (1928), pp. 706-13; C. S . , De crematione corporis humani, in Periodica de re mor. can. lit., 18 (1929), pp. 62-82; E. Voosen, De inhumatione, in Collationes Namurcenses, 26 (1932), pp. 349-62; V. Dalpiaz, De cadaverum crematione, in Apollinaris, 17 (1934), pp. 246-54; F. Abba, La crem, Torino 1936; N . lung, Crémation, in DDC, IV coli. 757-62; E. Righi-Lambertini, De vetita cadaverum crematione…, Venegono inf. 1948. –

Pietro Palazzini

MEDICINA . – A favore della crem. sono portati, dai fautori, argomenti d’indole storica, tecnica, igienica, sociale, politica e religiosa. In particolare: 1) L’aggravarsi del problema della sistemazione dei cadaveri nelle sempre più vaste necropoli annesse alle città, crescenti per il fenomeno dell’urbanesimo: così, p. es., mentre nel 1870 il cimitero del Verano a Roma occupava un superfice di 15 ettari, attualmente le aree cimiteriali complessive della città (Verano, Flaminio) e del suburbio coprono ca. 100 ettari. 2) La difficoltà pratica di sistemare il camposanto in condizioni di ubicazione e orientazione tali da riuscire veramente non dannoso alla falda idrica sotterranea per le infiltrazioni nel sottosuolo o in rapporto alla direzione delle correnti atmosferiche dominanti, destinate a convogliare in direzione opposta all’abitato le esalazioni miasmatiche. Quantunque i competenti abbiano chiaramente dimostrato che un cimitero impiantato con tutte le regole dell’igiene non porta alcun danno al vicino abitato, bisogna riconoscere che praticamente non è facile risolvere il problema in maniera soddisfacente e son ben pochi i cimiteri non criticabili dal punto di vista igienico. Però, sia le ragioni addotte dal punto di vista dell’ingombro spaziale sia quelle d’indole igienica, se possono apparire a prima vista di notevole importanza, praticamente si rivelano non preoccupanti. Gli stessi cimiteri hanno una loro vita relativamente breve; pochi anni, al massimo una diecina, compiono nei morti quell’incenerimento che la fiamma produrrebbe in pochi istanti; la vita prepotentemente avanza e mentre la storia mostra che molte città sorsero e molti nuovi fertili campi furono conquistati dall’aratro, dove già i nostri avi trovarono pietosa sepoltura, non ha mai parlato di necropoli che soffocarono o inghiottirono città di viventi. Dal punto di vista igienico è dimostrato l’ottimo potere filtrante esercitato dalla terra sui germi patogeni più pericolosi (vaiolo, colera, tifo, ecc.); è dato d’osservazione che, ogni qualvolta scoppia un’epidemia, le fonti del contagio e della diffusione partono dai vivi e non dai morti; che non si assiste mai a risvegli di vecchie epidemie quando, nel periodo di sviluppo urbanistico del sec. XIX, i vecchi cimiteri furono travolti dal sorgere e dal dilatarsi dei nuovi abitati.

BIBL.: Documentation catholique, 23 (1930, 1), coli. 1363-1406; L . Maccone, Storia documentata della c. presso i popoli antichi e moderni, con speciale riferimento all’igiene, Bergamo 1931; E. Righi-Lambertini, Crem. o inumazione?, in La scuola cattolica, 1946, II , p. 132 sgg.; n i , p. 205 sgg.; 1947, 1, p. 28 sgg. Giuseppe de Ninno.

 #    #    #

Da questo scritto dell’Enciclopedia Cattolica si evince chiaramente che la cremazione è una pratica considerata abominio dalla Chiesa Cattolica, e pertanto proibita, tranne in caso di pubbliche calamità, con pene canoniche come si legge appunto nel Codice Canonico. Giova qui ricordare ai soliti “finti tonti”, gli ignobili e sacrileghi novatori del “conciliabolo roncallo-montiniano”, che il Codex Juris Canon. Pio-Benedettino del 1917 è parte integrante del Magistero della Chiesa Cattolica, quindi irreformabile ed eterno, essendo parte della Lettera Enciclica di S.S. Benedetto XV PROVIDENTISSIMA MATER – Pentecoste del 1917- [BOLLA che promulga il codex juris canonicus “… cui intendiamo attribuire validità perpetua, « promulghiamo il presente Codice, così come è stato redatto, e decretiamo e comandiamo che esso abbia d’ora in poi forza di legge per tutta la Chiesa », e lo affidiamo alla vostra salvaguardia e vigilanza.]. Codici successivi, promulgati da invalide pseudo-autorità [come gli apostati marrani antipapi del Novus Ordo], sono assolutamente invalidi, sacrileghi e blasfemi, parto distocico di lucifero. Pensare quindi semplicemente di essere cremato, costituisce peccato mortale degno del fuoco eterno; la cremazione impedisce addirittura la sepoltura ecclesiastica o in edifici sacri, indice quindi di estromissione dalla Chiesa cattolica, e pertanto sigillo sicuro di dannazione eterna. E chi afferma il contrario, anche se carnevalescamente addobbato con talare di colore porpora, rossa, nera o addirittura bianca, è un eretico, come tale estromesso dalla comunione della Chiesa Cattolica, quindi candidato certo all’eterna cremazione!

 

Permettetemi di portarvi alla Casa di mio Padre…!

laterano

L’Arcibasilica Papale del Santissimo Salvatore

Basilica di San Giovanni in Laterano – Roma

L’Arcibasilica Papale del Santissimo Salvatore, comunemente nota come Arcibasilica di San Giovanni in Laterano. La basilica di San Giovanni in Laterano, o Basilica Lateranense, è la Chiesa Cattedrale della diocesi di Roma e la Sede ecclesiastica ufficiale del Vescovo di Roma, che è il Papa – Gregorio XVIII.

   Queste parole sono utilizzate in riferimento all’Arcibasilica Papale, ed anche se il vero Papa attualmente non è assiso nella sua sede ecclesiastica ufficiale, che è appunto questa Arcibasilica, si suppone che formalmente sia seduto su di essa, che è il suo trono legittimo, defraudato da impostori!

Guarda, Signore, la mia miseria, perché il nemico ne trionfa”. L’avversario ha steso la mano su tutte le sue cose più preziose; essa infatti ha visto i pagani penetrare nel suo santuario, coloro ai quali avevi proibito di entrare nella tua assemblea”. [Lam. I: 9-10]

Essa è la più antica ed è al primo posto tra le quattro basiliche papali o basiliche maggiori di Roma (che possiedono la Cattedra del vescovo di Roma).

La Cattedrale del Papa, L’Arcibasilica di San Giovanni in Laterano, è denominata la “Chiesa madre” di tutte le chiese non solo nella città di Roma, ma in tutto il mondo.

La grande scritta sulla parte anteriore principale dell’Arcibasilica, riporta: ‘Clemens XII Pont Max Anno V Christo Salvatori In Hon. SS Ioan Bapt et Evang., una sintetica iscrizione latina che significa “Papa Clemente XII, nel quinto anno del suo Regno, dedica quest’edificio a Cristo Redentore, in onore di San Giovanni Battista e San Giovanni Evangelista”; Questo perché le cattedrali di tutti i Patriarchi sono dedicate a Cristo Salvatore; la co-dedica a San Giovanni Battista e San Giovanni Evangelista, è stata aggiunta secoli più tardi… Come Cattedrale del vescovo di Roma, si propongono pure altre chiese nella Chiesa cattolica, tra cui Basilica di San Pietro. Per questo motivo, a differenza di tutte le altre basiliche romane, essa detiene il titolo di Arcibasilica.

La dedicazione ufficiale

La dedicazione ufficiale della Basilica e l’adiacente Palazzo del Laterano fu presieduta nel 324 da papa Silvestro I, che dichiarava entrambi gli edifici essere “Domus Dei” o “Casa di Dio”. Al suo interno, è stato disposto il Trono papale, rendendola Cattedrale del vescovo di Roma. Nella riflessione della definizione della basilica al primato nel mondo come “Chiesa madre”, le parole: ‘ Sacrosancta Lateranensis ecclesia omnium urbis et orbis ecclesiarum mater et caput’ (che significa “Sacrosanta Chiesa in Laterano, la madre e il capo di tutte le chiese della città e del mondo”), sono incise nella parete frontale tra le porte dell’ingresso principale. Il Palazzo del Laterano e la Basilica sono stati consacrati due volte. Papa Sergio III li ha dedicati a San Giovanni Battista nel x secolo in onore del Battistero appena consacrato della Basilica. Papa Lucio II ha dedicato il Palazzo del Laterano e la basilica anche a San Giovanni Evangelista nel XII secolo. Pertanto, S. Giovanni Battista e San Giovanni Evangelista sono considerati come co-patroni della Cattedrale, essendone Cristo il Salvatore stesso il patrono principale, come indica l’iscrizione all’ingresso della Basilica, secondo tradizione nelle cattedrali patriarcali (che sono dedicate tutte a Cristo stesso).

Preghiamo Dio che il vero Vescovo di Roma, il Santo Padre – Papa GREGORIO XVIII , possa occupare come un tempo, il trono, il suo legittimo trono Santo (che i ladri hanno usurpato).

Hymnus

Caelestis urbs Jerusalem,

Beata pacis visio,

Quae celsa de viventibus

Saxis ad astra tolleris,

Sponsaeque ritu cingeris

Mille angelorum millibus.

O sorte nupta prospera,

Dotata Patris gloria,

Respersa Sponsi gratia,

Regina formosissima,

Christo jugata principi,

Caeli corusca civitas.

Hic margaritis emicant,

Patentque cunctis ostia:

Virtute namque praevia

Mortalis illuc ducitur,

Amore Christi percitus

Tormenta quisquis sustinet.

Scalpri salubris ictibus,

Et tunsione plurima,

Fabri polita malleo

Hanc saxa molem construunt,

Aptisque juncta nexibus

Locantur in fastigio.

Decus Parenti debitum

Sit usquequaque Altissimo,

Natoque Patris unico,

Et inclyto Paraclito,

Cui laus, potestas, gloria

Aeterna sit per saecula.

Amen.

[Inno: Celeste città di Gerusalemme, beata visione di pace, eccelsa, fatta di vive pietre, tu t’innalzi agli astri, incoronata come sposa da mille e mille Angeli! O sposa fedelissima, dotata della gloria del Padre, ricolma della grazia dello Sposo, regina bellissima, unita a Cristo principe, fulgente città del cielo. Di gemme brillano e a tutti sono aperte le sue porte, perché per la virtù dei meriti vi giunge ogni mortale, che per amore di Cristo sostiene tormenti. Le pietre che formano questa mole, son tagliate a colpi di salutare scalpello, e levigate assiduamente col martello, e, bellamente unite insieme, ne adornano il fastigio. * Da ogni parte sia reso l’onore dovuto al Padre Altissimo, al Figlio suo unigenito e all’inclito Paraclito, al quale siano resi lode, potere e gloria per tutti i secoli. Amen.]

sgiovannilaterano

DEDICAZIONE ARCIBASILICA SS. SALVATORE

9 NOVEMBRE.

Fino dall’antichità più remota si solevano consacrare a Dio con particolare solennità i luoghi destinati al culto divino. E’ un fatto questo che troviamo verificato nella storia di tutti i popoli, ma specialmente in quella del popolo d’Israele. Tutti infatti sanno quale fosse la magnificenza e la ricchezza del Tempio di Gerusalemme, e con quale pompa il Re Salomone lo abbia fatto consacrare a Dio. – Anche la Chiesa di Cristo ebbe fin dai suoi inizi i luoghi dedicati al culto: ai tempi dalla predicazione apostolica non erano che camere separate nelle case dei fedeli; in seguito si ebbero vere chiese. Durante le persecuzioni tutte queste chiese furono distrutte ed i cristiani costretti a ritirarsi nelle catacombe. Quando l’Imperatore Costantino il Grande, dopo la vittoria riportata su Massenzio, diede piene libertà ai seguaci del Vangelo (313), questi non risparmiarono fatiche e spese per edificare al Signore templi sontuosi, e numerose e grandiose furono le chiese che vennero fabbricate in quei tempi. Lo stesso imperatore ne diede l’esempio facendo costruire sul Monte Celio a Roma, in luogo dell’antico Palazzo Laterano una magnifica Basilica che fece dedicare al SS. Salvatore. In essa fu edificata una cappella dedicata e S. Giovanni Battista che serviva di Battistero, donde il nome di S. Giovanni in Laterano dato dai cristiani a quella chiesa. Il Pontefice S. Silvestro la consacrò solennemente il giorno 9 novembre e stabilì che le cerimonie da lui seguite in quella circostanza, fossero quelle con cui i cattolici avrebbero dovuto in seguito consacrare i loro templi. – La Basilica del Santissimo Salvatore sia per la sua magnificenza, sia per l’abituale residenza che in essa facevano anticamente i Sommi Pontefici, fu sempre dai cristiani considerata come la principale, la madre e la signora di tutte le chiese del mondo, e perciò, sola fra tutte, viene anche designata col titolo di Arcibasilica. Fin dai tempi di S. Leone Magno la officiava una collegiata di canonici regolari; oggi ai canonici regolari furono sostituiti canonici secolari col titolo di prelati. -Sebbene il Pontefice S. Silvestro, avesse ordinato che gli altari nelle chiese dovessero essere di pietra, tuttavia noi troviamo in questa basilica un altare di legno. Ciò non deve far meraviglia poiché dai tempi da S. Pietro a S. Silvestro, i cristiani solevano celebrare il Santo Sacrificio su altari portatili di legno. L’altare inoltre che fu collocato nella Basilica Lateranense era quello che aveva ordinariamente servito ai Sommi Pontefici nella celebrazione dei Divini Misteri, e correva tradizione che sul medesimo avesse celebrato lo stesso Principe degli Apostoli S. Pietro. Per questo venne posto in quella chiesa e fu nel medesimo tempo ordinato che nessuno, all’infuori del Papa, potesse su di esso celebrare il Santo Sacrificio. La Basilica del Santissimo Salvatore, più volte distrutta durante il percorso dei secoli, fu sempre con sollecitudine ricostruita, e l’ultima sua riedificazione avvenne sotto il Pontificato di Benedetto XIII, che la riconsacrò l’anno 1724. Fu in quest’occasione che venne stabilita ed estesa a tutta la cristianità la festa che oggi celebriamo.

FRUTTO. — Diportiamoci con sommo rispetto nella Casa del Signore, ricordando le parole del Divin Maestro: « La mia casa è casa d’orazione ».

PREGHIERA. — O Dio, che annualmente rinnovi il giorno della consacrazione di questo santo tempio, e per la virtù dei sacri misteri ci conservi incolumi, ascolta la preghiera del tuo popolo, e chiunque entrerà in questo tempio per domandarti favori, si rallegri nel vedere attuati i suoi desideri. Così sia.

 

 

IL MISTERO D’INIQUITA’

IL MISTERO D’INIQUITA’

[p. E. André: La Sainte Église capp. XXII-XXIII]

Cap. XXII

     Dal tempo di san Paolo, alcuni cristiani di Tessalonica, sulla fede di pretese visioni, si erano persuasi che la fine del mondo fosse prossima; e per questo non lavoravano più per vivere, come se queste preoccupazioni fossero ormai superflue. L’apostolo scrisse loro una lettera molto severa, per disilluderli: dice loro che la fine del mondo non è prossima, che sarà preceduta da segni premonitori, in particolare dall’apparizione di un uomo molto cattivo e crudele persecutore della Chiesa, che chiama l’uomo di peccato. Fa allusione ad alcuni insegnamenti che aveva dato loro a viva voce sugli ultimi tempi del mondo, e aggiunge queste parole enigmatiche: “Sapete ciò che impedisce che quest’empio si riveli, cosa che farà nel tempo stabilito. Poiché il mistero d’iniquità già opera nel mondo: che colui che ora lo trattiene, sia tolto di mezzo. Allora sarà rivelato quest’empio, che il Signore Gesù ucciderà con il soffio della sua bocca” (2 Tes II,6-9). Non pretendiamo cercare ciò che l’apostolo intende per questo ostacolo provvidenziale che impedisce la manifestazione dell’uomo di peccato, dell’Anticristo; vogliamo solamente studiare ciò che può essere il mistero d’iniquità a cui fa allusione. – Vi è nel mondo un mistero d’iniquità: questo mistero fa il suo cammino occulto nell’umanità decaduta; poiché è un mistero, cioè un’opera che si trama segretamente. Qual è questo mistero? Esisteva già dai tempi dell’apostolo; cercava di svilupparsi parallelamente all’estensione del regno di Dio. L’apostolo penetrava queste trame infernali, e le denunciava ai fedeli. Lo ripetiamo: qual è questo mistero?- Abbiamo percorso le molteplici forme di errore che circondano e combattono la verità di Dio: una tra queste sarà questo mistero d’iniquità che cerchiamo di scoprire? – Il giudaismo non è il mistero d’iniquità di cui parla l’apostolo: poiché è buono in se stesso, e non è divenuto cattivo che per la sua opposizione alla fede cristiana. È dunque l’idolatria? L’idolatria è un’empietà manifesta: ma, dai tempi dell’apostolo, scompariva di fronte al cristianesimo come la neve si scioglie ai raggi del sole. Il fondo dell’idolatria, è l’ignoranza; non comporta quel dispiegamento di malizia, né quel carattere misterioso che l’apostolo ci segnala. San Paolo avrebbe voluto parlare di alcuni tentativi sordi di eresia e di scisma, che si sarebbero prodotti in mezzo ai primi fedeli? Non lo pensiamo. L’eresia che è una negazione parziale della fede, lo scisma che è una rottura dell’unità, sono, se si vuole, dei misteri d’iniquità: non sono “il” mistero d’iniquità propriamente detto, nel quale bisogna intendere una negazione totale della verità, un’opposizione radicale ad ogni bene, ad ogni pace. – Non abbiamo difficoltà a dire che il maomettismo è fuori questione, poiché l’apostolo parla di un male che esisteva dai suoi tempi e che si tramava sotto i suoi occhi. Avrebbe voluto designare, con un’espressione forte, i cattivi costumi di certi cristiani, che sono per la Chiesa una così dura prova? Evidentemente no. Un cristiano depravato, che comunque conserva la fede, non è precisamente un mostro d’iniquità; è sovente un uomo debole e ignorante. È forse più colpevole di un uomo nato nell’eresia; e tuttavia, secondo la testimonianza di Sant’Agostino, è più facilmente convertibile. La pula interna, dice questo Padre, è più facilmente cambiata in frumento, che la pula esterna. – Quanto al potere secolare, non è ad alcun titolo un mistero d’iniquità: l’apostolo, per primo, lo dichiara buono, utile, onorabile. Se diviene cattivo e nocivo, ciò non tiene per nulla alla sua essenza.- Riassumendo, l’apostolo ha voluto parlare di un male occulto ben diversamente pericoloso rispetto a tutte le forme di errore che abbiamo percorso. Ha voluto designare non so quale virus inoculato nelle vene dell’umanità decaduta, che la lavora, nel quale sono condensati tutti i veleni dell’inferno. Questo male segreto e violento si lega nel suo spirito all’apparizione dell’uomo di peccato, del nemico personale di Gesù Cristo, dell’Anticristo. La manifestazione di costui sarà l’irruzione completa di questo male che avrà covato durante secoli.

***

   Il diavolo dominava nel mondo prima della venuta di Nostro Signore; dominava apertamente e pubblicamente. Quando il Salvatore è apparso, sentì crollare il suo impero. Come quelle bestie selvagge che, all’avvicinarsi del giorno, rientrano nelle loro tane, dovette lasciare il pieno giorno e ritirarsi nel segreto delle conventicole. Sant’Agostino, a cui non è sfuggito nulla, ne faceva la sottolineatura; ci descriveva certi uomini orgogliosi e immondi, che praticavano in segreto riti sacrileghi, sommersi da una curiosità cieca e senza fine. Erano gli stessi che San Paolo aveva visto, quando parlava del mistero d’iniquità che si tramava di nascosto; ne traccia il ritratto nella seconda lettera a Timoteo (2 Tm III); San Giuda e San Pietro ce li descrivono ugualmente. Il grido reiterato di questi apostoli ci fa a sufficienza comprendere la vastità del pericolo: ci sembra vedere la chioccia evangelica battere le ali, richiamando i suoi piccoli perché, sopra di loro, plana lo sparviero. Vediamo che gli apostoli ebbero sovente a che fare con dei maghi: erano gli uomini del diavolo, gli operai del mistero d’iniquità. Il famoso Simone, antagonista di san Pietro, era il corifeo della loro setta infernale. Le sette gnostiche raccolsero questo lievito d’empietà forzata, di malizia tenebrosa. Si concentrò nel Manicheismo, nel quale vediamo le pratiche più immonde allearsi agli errori più grossolani, nel quale si entrava per gradi, grazie a delle iniziazioni successive: cosa che suppone un affinamento della scelleratezza, un vero mistero d’iniquità. –   San Leone Magno che, dopo Sant’Agostino, seguiva con i suoi occhi queste operazioni tenebrose, faceva un’immensa differenza tra il manicheismo e una eresia; per lui il manicheismo era la cloaca di tutti i vizi e di tutti gli errori, era il male (Sermone 16). Questo male orribile non scomparve, come diverse eresie; sembrò continuare per un tempo in quell’Oriente che gli diede i natali. Poi penetrò in Occidente attraverso infiltrazioni segrete. Pietro il Venerabile lo segnala in Pierre de Bruys; San Bernardo lo combatte con dei miracoli; ma resta indistruttibile. Nel XII e XIII secolo, fa irruzione nel sud della Francia e nel nord d’Italia. Gli Albigesi non erano che un ritorno di manicheismo; quanto ai settari italiani, si chiamavano sfacciatamente manichei. –  Più tardi i Templari fecero, ahimè! delle loro dimore santificate dalle benedizioni della Chiesa, dei ripari d’empietà e di abominazioni. Il resto di questi infelici cavalieri fuggirono in Scozia dove continuarono principalmente le loro macchinazioni infernali. Segnaliamo questa filiazione di errori mostruosi, questa propagazione del mistero d’iniquità, prendendo dal buon libro del Padre Deschamps, ed anche da eccellenti articoli, sfortunatamente interrotti, pubblicati su La Croix mensile da Mons. Dutartre. Da allora, un grande e valente vescovo [mgr. Fava] ha indicato i Sociniani come i padri della massoneria contemporanea; questi settari hanno sicuramente una grande affinità con i nostri massoni, nel carattere delle loro negazioni naturaliste e radicali; tuttavia noi non vediamo in loro che un canale della trasmissione delle vecchie sozzure del vecchio mondo; il punto di partenza è ben più indietro. Ci sembra che la massoneria è, alla lettera, la cloaca di tutte le corruzioni dell’umanità; nei riti che impiega, si trova la traccia di tutte le sue origini; vi è per esempio una cerimonia che è esattamente il bema dei manichei, o festa commemorativa della morte di Mani. Come spiegare quest’identità se non con la trasmissione degli errori che noi abbiamo descritta? Comunque sia, è certo che l’azione delle società segrete si mostra in tutte le insurrezioni moderne contro l’autorità della Chiesa; e sono loro che hanno fatto la Ri-voluzione francese, essenzialmente satanica. A questo proposito, menzioniamo un fatto almeno curioso. Nel XV secolo, Pierre d’Ally, cardinale e vescovo di Cambrai, da certi calcoli astronomici, fissava al 1789 la data dell’apparizione dell’Anticristo. [Citiamo Dom Mabillon, nella sua edizione delle opere di San Bernardo. A riguardo di un predicazione di San Norberto, riportata nella sua lettera 45, il sapiente riporta tutte le opinioni e predizioni riguardanti l’Anticristo. Ecco le sue parole a riguardo di Pierre d’Ailly: Petrus de Alliaco, cardinalis et episcopus Cameracensis, ex astronimicis indiciis et observationibus, predixit Antichristus anno Domini 1789 exoriturum]. –  È certo che in quel giorno l’anticristianesimo prese corpo e spaventò il mondo. Oggi, ciascuno sa l’opera delle società segrete. Cercano dappertutto di impadronirsi dei poteri pubblici, e sferrano contro la Chiesa una guerra ipocrita e perfida, una guerra a morte. Lavorano ad abbracciarla in un insieme di leggi sacrileghe; e contano in un dato momento di soffocarla. – Tutte le misure sono prese, diceva un giorno il principe N… a Mons. M…; se la Chiesa vi sfugge, io mi converto, poiché è divina. – Principe, preparate il vostro atto di fede, rispose tranquillamente il vescovo. Da quando il nostro Santo Padre il Papa Leone XIII ha denunciato la massoneria in una recente enciclica [Humanum genus, 1884], con così tanta gravità, forza, e moderazione in questa stessa forza, nessun credente negherà più che non sia essa il mistero d’iniquità. 

Capitolo XXIII

I Due Campi

g-squadra-compasso-2

      Le società segrete preparano alla Chiesa una suprema prova, un supremo combattimento, un supremo trionfo. Esse sono l’opera per eccellenza dello spirito delle tenebre e del male. Sono l’antagonista irreconciliabile della Chiesa, regno di pace e di luce. Nemiche di ogni bene, cercano di realizzare il male allo stato puro; così la loro ultima parola è il nichilismo. – La Chiesa e la massoneria sono dunque i due poli opposti: se ci si permette di improntare queste parole alla scienza, diremo che la Chiesa è il polo positivo, e la massoneria il polo negativo. Tra essi fluttuano le società, nelle quali a fianco del male vi sono dei resti del bene: li abbiamo enumerati, sono il giudaismo, l’idolatria, il maomettismo, le eresie e gli scismi. Ora ecco il fenomeno che si produce. Queste società intermediarie si disgregano sotto l’azione opposta dei due poli contrari: una parte dei loro elementi ritorna al bene completo e alla Chiesa; il resto, terminando di corrompersi, passa alla massoneria, che è la negazione assoluta.-  Quando la disgregazione sarà consumata, non resteranno più al mondo che le due potenze: ci sarà allora la lotta, lotta ad oltranza, lotta che terminerà, grazie ad un intervento personale di Nostro Signore, con una vittoria della sua Chiesa. E sarà la fine dei tempi.

***

   Ora, è incontestabile che la separazione del mondo in due campi ben definiti si opera rapidamente. Percorriamo, per convincercene, le diverse società religiose o piuttosto le false religioni. – Il giudaismo è oggi in uno stato caratteristico. La scomparsa della politica cristiana gli ha lasciato prendere nel mondo una preponderanza ben degna di attirare l’attenzione degli animi seri. La politica cristiana, ispirandosi al dato della fede, si comportava in rapporto al giudaismo, come Dio si comportava in rapporto a Caino. Da un lato lo escludeva dai diritti civili e politici, sapendo bene che il suo odio deicida non ha abdicato; e dall’altra, sapendo che dovrà un giorno convertirsi e compiere grandi cose per Dio e il suo Cristo, lo proteggeva e non permetteva che si cercasse di annientarlo. I Giudei restavano dunque confinati nei loro ghetti, rendendo testimonianza a loro modo al Salvatore che hanno crocifisso; ma né politicamente, né socialmente, potevano mischiarsi al popolo cristiano. –  Oggi tutto è cambiato. La rivoluzione ha dato loro spazio nel grande giorno. Ha loro conferito i diritti civili e politici. Da quel momento i Giudei, che l’attaccamento di Dio ha dotato di un genio superiore a quello degli altri popoli, hanno preso facilmente la superiorità sui cristiani degenerati e apostati. Si sono sparsi dappertutto; e in questo momento tengono il mondo legato ai loro fili, con l’alta finanza e con la direzione del giornalismo che si sono accaparrata. Ora, non è meno certo che tengano in mano i fili delle società segrete. Vi è, pare, una loggia misteriosa, esclusivamente composta da Giudei, che è il centro di tutte le ramificazioni tenebrose della massoneria; ed è là, come in un sinedrio d’inferno, che matura il piano di guerra contro la Chiesa, che si preparano i colpi che le sono inferti. E, mentre il giudaismo forma il nocciolo dell’anticristianesimo, si produce tra i Giudei una contro-corrente che porta delle conversioni in una proporzione incredibile fino ai nostri giorni. Questi Giudei convertiti diventano ardenti proseliti; si ricordano tra loro il venerabile Libermann di cui si spera la beatificazione prossima, il padre Hermann, i fratelli Ratisbonne e i fratelli Lémann.- Gli scismi e le eresie subiscono ugualmente una crisi, e volgono visibilmente al loro declino come forme di società religiose. Il razionalismo ha toccato questi separati, e li ha messi in condizione di rientrare nella Chiesa o di perdere completamente la fede. Il protestantesimo non è più che una catapecchia aperta a tutti i venti; scricchiola da tutte le parti; quelli che si credevano al sicuro si salvano alla bell’e meglio, e molti si rifugiano nella Chiesa come nella casa costruita sulla roccia. Ogni giorno si segnalano delle conversioni numerose; ed è così che l’America e l’Inghilterra passano al cattolicesimo a vista d’occhio. C’è da sottolineare, d’altronde, che la fine delle eresie è meno impregnata di malizia che l’inizio. I figli degli eretici non ereditano necessariamente le negazioni dei loro padri, a almeno la loro repulsione ostinata per la verità. Sono cristiani, essendo battezzati; possono vivere lungo tempo nella fede e nella buona fede; per l’inclinazione del loro battesimo, sono portati ad abbracciare la verità che viene loro presentata. Infine Dio tiene questi popoli separati con dei legami segreti, che in un dato momento li attirano alla Chiesa. Diamo qualche esempio: La Chiesa anglicana ha sempre conservato, nella sua separazione da Roma, un culto estremo per l’antichità e per la scienza ecclesiastica. Bossuet sottolineava questo segno, e scriveva nel libro VII delle sue Variations: “Una nazione così sapiente non resterà tanto tempo in questo abbaglio. Il rispetto che essa conserva per i Padri, e le sue continue curiose ricerche sull’antichità la riporteranno alla dottrina dei primi secoli. Non posso credere ch’essa persista nell’astio che ha concepito contro la cattedra di Pietro dalla quale ha ricevuto il cristianesimo.” Ciò che prediceva Bossuet duecento anni fa si realizza oggi. Si leggano le lettere del padre Faber, la Storia della mia conversione del Card. Newman, il Trattato dello Spirito Santo del Card. Manning, e ci si convincerà che è stato il loro rispettoso amore per l’antichità a ricondurre questi grandi uomini all’abbraccio della Chiesa vera, dove innumerevoli anime le hanno seguite. Per quanto riguarda la Chiesa greca, vi è un altro motivo di speranza. Questi poveri scismatici hanno per la Santa Vergine un amore che potrebbe far arrossire molti cattolici; ed è questo culto ardente che sarà per essi la via della vita, il cammino del ritorno. In questo momento, dei grandi scuotimenti si producono nella Chiesa orientale; il riavvicinamento a Roma s’accentua di più in più. Quanto alla Chiesa russa, l’aurora ahimè! Non è ancora per lei. E tuttavia il vasto impero dei tartari è sottomesso, per il lavoro segreto del nichilismo, all’eventualità di una rivoluzione terribile, i cui termini potrebbero ben essere un ritorno collettivo al cattolicesimo. Si hanno dei dati certissimi, dai quali Alessandro I è morto cattolico; e sarebbe sufficiente la conversione dello zar per trascinare quella del popolo. [Queste previsioni purtroppo non hanno avuto luogo – ndr. -] Riassumendo, tutte le comunioni separate da Roma, minate dalla massoneria, attaccate frontalmente dal razionalismo, non possono tenere a lungo sul terreno della separazione; occorre e occorrerà che i loro adepti che vogliono conservare la fede rientrino nell’imprendibile fortezza che è la Chiesa Cattolica. – I maomettani non possono essere confusi con i cristiani dissidenti; racchiudono un fondo di anticristianesimo che li rende irriducibili e inconvertibili. Tuttavia, quale sorprendente sintomo si produce a Costantinopoli? Dei Turchi vengono a pregare Nostra Signora di Lourdes dai benedettini di Féri-Kéui e sono guariti; le nostre suore di carità sono trattate con venerazione da questi infedeli; la processione del Corpus Domini attraversa le strade solennemente. Evidentemente, il fanatismo turco è ben crollato. E se i mussulmani in massa resistono alla fede, non possiamo sperare che almeno alcuni l’accetteranno? D’altronde il mondo mussulmano attraversa un periodo critico. L’egemonia turca è contestata. Vi sono dei sordi tentativi di rivolta che giungeranno a rendere l’autonomia ai paesi curvati sotto la dominazione del sultano. Allora che accadrà? Non si realizzerà la predizione di Joseph de Maistre che annuncia un “Te Deum” a Santa Sofia prima della fine del secolo? – Resta l’idolatria. È un fatto generalmente rimarcato, che gli infedeli ricevono i nostri missionari con una benevolenza semplice e sincera; ma si trova tra di loro una setta che diventa il covo della resistenza al Vangelo. E questa setta è una vera massoneria. I missionari l’hanno segnalata nei punti più opposti del globo. Ascoltiamoli. “In Cina, dice M. Pourias (Annales di novembre 1882), questi massoni si chiamano Kiang-Fou; terrorizzano il paese con delle bande armate, commettono ogni sorta di eccessi possibili, e sono i nemici dei missionari.” Nel cuore dell’Africa, scrive il Padre Lutz (Annales di luglio 1883), si chiamano Simos. Di aspetto sornione e feroce, i denti limati a punta, sono tra loro legati da terribili giuramenti; fanno subire ai loro iniziati delle prove che sono rivoltanti torture; hanno delle riunioni notturne, dove non temono di mangiare carne umana, e entrano in comunione col diavolo; il loro odio per i missionari è istintivo e irreconciliabile. Il missionario aggiunge: “Questa associazione è la massoneria africana. Un lavoro da fare, per i missionari, sarà quello di comparare le diverse società segrete del mondo civilizzato e non civilizzato, di far emergere l’analogia impressionante che esiste tra esse, e di là provare ch’esse hanno lo stesso fondatore e lo stesso capo. Se vi è una differenza, non è che nella forma. Il diavolo, ad imitazione di Dio, si fa tutto a tutti, Dio per salvare le anime, lui per dannarle. In Europa, prende l’aria di un gentiluomo; in Africa, dove può agire liberamente, si mostra qual è, selvaggio e brutale.” – Così, è avverato il fatto che l’idolatria posa la sua principale resistenza alla fede nell’arsenale delle società segrete. Esse sono dunque il nemico, il nemico capitale, e presto l’unico nemico.

   ***

   Questa è in effetti la conclusione che emerge da questo sguardo sul mondo. Il giudaismo tiene le fila e organizza le ramificazioni della massoneria. Gli scismi e le eresie, con le loro parziali negazioni, sono superati dalla negazione totale che è la parola d’ordine delle sette, e non possono più mantenere la loro attitudine ambigua tra la fede e la incredulità consumata. Il maomettismo è minacciato di soccombere in un cataclisma. L’idolatria, impotente a resistere in pieno giorno contro le luci del Vangelo, si ritira nelle caverne delle società segrete. Tutti questi occupano il mondo intero, e costituiscono una sorta di cattolicità del male opposta alla cattolicità del bene. All’inverso delle eresie, degli scismi, del maomettismo stesso, il cui veleno perde ogni giorno la sua forza, queste società segrete non cessano di crescere in malizia come in audacia infernale: si avverte che si appropriano di tutta l’iniquità del mondo, e preparano così l’apparizione mostruosa di colui che San Paolo chiama: l’uomo di peccato.

Scomunica e censura: nota da meditare attentamente!

Scomunica [da: Enciclopedia cattolica]

Il CIC definisce la scomunica (sc.) [2257, par.1]: “la censura che esclude il punito dalla comunione dei fedeli e che produce gli effetti elencati nei canoni seguenti” (cann. 2258 – 67). Ma la separazione dello scomunicato dalla comunione dei fedeli è più un ricordo del passato che una realtà effettiva: il vescovo scomunicato, ad es., continua ad essere il capo della propria diocesi con tutti i diritti inerenti.

Scomunica: Effetti. – Neppure è esatto che la scomunica produce effetti inseparabili e che essi vengono elencati nei cann. 2258-67. Gli effetti della scomunica sono molteplici e vengono sanciti in numerosi canoni, che non fanno parte del diritto penale. Essi poi sono più o meno gravi, secondo che la scomunica sia semplicemente incorsa, divenga notoria, sia inflitta o dichiarata con sentenza o decreto penale; gravissimi se lo scomunicato viene dichiarato « vitando ». A qualsiasi scomunicato è vietato di: a) ricevere i Sacramenti; b) fare e amministrare i Sacramenti e i sacramentali; c) assistere agli Uffici divini; d) porre gli atti legittimi ecclesiastici, di cui al can. 2256, n. 2°; e) esercitare le funzioni inerenti ad un ufficio o incarico ecclesiastico;) usufruire di un privilegio ecclesiastico; g) eleggere, presentare, nominare; h) conseguire dignità, uffici, benefici, pensioni ed incarichi nella Chiesa;

1) porre atti di giurisdizione ecclesiastica. Egli non partecipa delle indulgenze, suffragi e preghiere pubbliche della Chiesa. Se viola la censura, ponendo un atto di ordine, riservato ai chierici in sacris, diviene irregolare (can. 985, n. 70 ) . Se poi persiste per un anno intero nella contumacia, è sospetto di eresia (can. 2340 §1), a tutti gli effetti di legge. Se il fedele è notoriamente incorso nella s. non può lecitamente fungere da padrino nel Battesimo (can. 766, n. 20) e nella Cresima (can. 796, n. 30 combinato col can. 766, n. 2°); inoltre non può essere scusato dall’osservanza della censura per evitare l’infamia (can. 2232 §1, ultimo comma ) , né assolto dal semplice confessore, nei casi urgenti, dalla censura, se riservata, a norma del can. 2254 §1, primo comma; infine gli deve essere impedita l’assistenza attiva agli Uffici divini (can. 2259 § 2, ultimo comma) . Se poi è stato scomunicato o dichiarato tale con sentenza o precetto penale non può lecitamente ricevere neppure i sacramentali (can. 2260 §1, secondo comma); validamente fungere da padrino nel Battesimo o nella Cresima, essere nominato arbitro ( can. 1931, primo comma) , esercitare il diritto di elettorato attivo, presentazione o designazione, porre atti di giurisdizione (can. 2264, secondo comma), ottenere una grazia pontificia, se nel rescritto non viene fatta menzione della s.: perde la capacità di conseguire dignità, uffici, benefici ed incarichi nelle Chiese, di ottenere pensioni ecclesiastiche (can. 2265 § 1, 2° combinato col § 2 ), e di acquistare il diritto di patronato (can. 1453 § 1, ultimo comma ). Inoltre egli rimane privato dei frutti della dignità, uffici, benefici, pensioni ed incarichi, se ne abbia precedentemente conseguito qualcuno (can. 2266). Personalmente può stare in giudizio solo per impugnare la giustizia o la legittimità della s. inflittagli; per mezzo di un procuratore per scongiurare un pericolo che sovrasti al bene della sua anima; nel resto è privo della capacità processuale (can. 1654,§ 1) . Se muore, senza aver dato segni di penitenza, gli deve essere negata la sepoltura ecclesiastica (can. 1240 § 1, 2°) con tutte le conseguenze di legge (can. 1241). E se, nonostante tale divieto, egli viene seppellito nel luogo sacro, questo rimane profanato (can. 1172 §1, 4° e 1207). Allo scomunicato « vitando » infine, cioè a colui che sia stato dichiarato tale in una sentenza o decreto di condanna, pronunciati dalla S. Sede e pubblicati nelle forme stabilite dalla legge, e al reo di ingiuria reale sulla persona del Sommo Pontefice (can. 2258 § 2), deve essere impedito di assistere alla sacre funzioni, e se riesce impossibile allontanarlo, queste ordinariamente non possono aver luogo o essere continuate (can. 2259, § 2, I comma). – Egli rimane privato non solo dei frutti, ma delle stesse dignità, benefici, uffici o incarichi ecclesiastici (can. 2266, ultimo comma) . È permesso aver relazioni con lui nelle cose di ordine temporale solo ai genitori, al coniuge, ai figli, ai dipendenti e a coloro che abbiano un giusto motivo di farlo (can. 2267). Gravi pene sono comminate ai suoi correi, complici, e ai chierici, che lo ammettono alle sacre funzioni (can. 2338 § 2) .

2 . Comparazioni con le altre censure. — È facile cogliere le profonde differenze tra la scomunica e le altre censure: l’interdetto e la sospensione. La prima esclude il punito dalla comunione dei fedeli, sia pure nei limiti indicati di sopra; il secondo invece vieta soltanto alcuni atti della comunione, i quali sono diversi a seconda della specie dell’interdetto; la sospensione poi, i cui effetti sono separabili e quasi sempre separati, proibisce soltanto l’esercizio della potestà ecclesiastica, inerente all’ufficio o beneficio. Inoltre la s. è sempre censura, mentre l’interdetto e la sospensione possono essere anche pena vendicativa (v .). Infine la s. può colpire soltanto le persone fisiche, pertanto se viene inflitta ad un corpo morale soltanto i singoli colpevoli sono tenuti a sottostare ad essa. Invece la sospensione può colpire sia una persona fisica che morale collegiale e l’interdetto anche un luogo (can. 2255 § p. 2) .

  1. Riserva e assoluzione della scomunicaNel CIC sono comminate 37 scomuniche, di esse sono riservate alla S. Sede 4 “specialissimo modo”, 11 “speciali modo”, 11 simpliciter, all’Ordinario 6 e 5 non sono riservate. – Le prime colpiscono i seguenti gravissimi delitti: 1) profanazione delle Sacre Specie (can. 2320); 2) ingiuria reale sulla persona del Sommo Pontefice (can. 2343 § 1°); 3) assoluzione del complice nel peccato d’impudicizia semplice o qualificata (can. 2367); 4) violazione diretta del sigillo sacramentale (can. 2369 § 1, comma 1). Le seconde ordinariamente sono comminate ai rei di delitti contro la fede o che comunque fanno presumere la mancanza di fede nel colpevole, e in specie dei seguenti: 1) apostasia, eresia e scisma (can. 2314); 2) edizione, difesa, ritenzione e lettura dei libri che propugnano l’apostasia o lo scisma (can. 2318 §1); 3) simulazione della celebrazione della S. Messa e dell’amministrazione del sacramento della Penitenza da parte di uno che non sia sacerdote (can. 2322, n. 1°); 4) ricorso al concilio universale avverso leggi, decreti e ordini del Sommo Pontefice [in “Execrabilis” –ndr.-] (can. 2332 ); 5) ricorso al potere secolare per impedire l’emanazione, la promulgazione o l’esecuzione di atti della S. Sede o dei suoi legati (can. 2333); 6) emanazione di leggi, ordini o decreti lesivi della libertà o dei diritti della Chiesa; l’impedire, facendo ricorso al potere secolare, l’esercizio della giurisdizione ecclesiastica (can. 2334); 7) il convenire davanti ad un giudice laico un cardinale, un legato della S. Sede, un ufficiale maggiore della Curia Romana (assessori, segretari, sottosegretari o sostituti delle SS. Congregazioni ed altri prelati ad essi equiparati) per atti del loro ufficio, e il proprio Ordinario (can. 2341,1 comma); 8) ingiuria reale sulla persona di un cardinale o di un legato del Sommo Pontefice (can. 2343 § 2, 1°); 9) usurpazione o detenzione di beni o di diritti della Chiesa Romana (can. 2345); 10) contraffazione o alterazione di lettere, decreti o rescritti della S. Sede ed uso doloso di essi (can. 2360 § 1 ) ; 11) calunniosa denunzia ai superiori di un confessore per sollecitazione (can. 2363).

Le simpliciter riservate colpiscono i seguenti delitti: 1) traffico sacrilego delle indulgenze (can. 2327); 2) iscrizioni alla massoneria o ad associazioni affini [es. Rotary e Lion etc. –ndr.- ) (can. 2335); 3) assoluzione, data con dolo senza la necessaria facoltà, di una scomunica riservata specialissimo o speciali modo alla S. Sede (can. 2338 § 1) ; 4) correità o complicità in un delitto per cui uno viene dichiarato scomunicato « vitando », sua ammissione a prendere parte agli uffici divini o comunicazione in divinis con lui, consapevole e spontanea da parte di un chierico (can. 2338 § 2) ; 5) il convenire davanti ad un giudice laico un vescovo che non sia il proprio Ordinario, un abate o prelato nullius, o un superiore generale di un istituto religioso di diritto pontificio (can. 2341, comma 11); 6 ) violazione della clausura delle monache o dei regolari e illegittima uscita delle prime dal monastero (can. 2342, nn. 1 °, 2 °, 30); 7) usurpazione o distrazione di beni ecclesiastici (can. 2346) ; 8) duello (c a n. 2351 § 1); 9) Matrimonio attentato da chierici in sacris (vescovi, sacerdoti, diaconi, suddiaconi), e da regolari o monache che abbiano emesso la professione solenne (can. 2388 § 1); 10) simonia circa gli uffici, i benefici e le dignità ecclesiastici (can. 2392, n. 1°); 11) sottrazione, distruzione, occultamento o alterazione di un documento appartenente alla Curia vescovile (can. 2405). – Sono riservate all’Ordinario le scomuniche comminate contro i seguenti delitti: 1) celebrazione del matrimonio misto davanti ad un ministro acattolico, patto concluso nell’unirsi in matrimonio di educare la prole fuori della Chiesa, di far battezzare i figli da ministri a cattolici, e di educarli nella religione acattolica (can. 2319, nn. 1°- 4°); 2) fabbricazione, vendita, distribuzione ed esposizione alla pubblica venerazione di false reliquie (can. 2326); 3) ingiuria reale sulla persona di un chierico o di un religioso, non costituito in una delle dignità, di cui ai §§ 1-3. Certo ci vuole un po’ di pazienza per districarsi tra i canoni, ma chi vuole vedere, ne ha abbastanza per farsi un’idea chiara di censure e scomuniche.

– Ecco che allora i sedicenti “tradizionalisti” scismatici, eretici gallicani e sedevacantisti, rientrano nella categoria « riservate “speciali modo”», sia per scisma ed eresia, [p. 1], sia [p. 3] per “simulazione della celebrazione della S. Messa e dell’amministrazione del sacramento della Penitenza da parte di uno che non sia sacerdote [come i non-preti lefebvriani e sedevacantisti, che non hanno alcun mandato canonico, non sono mai stati ordinati validamente da “non-vescovi” senza giurisdizione e senza mandato pontificio], i non-fedeli scismatici perché partecipanti ad un falso culto! Per i modernisti ecumenisti della “chiesa dell’uomo, ugualmente c’è scomunica per eresia manifesta o anche apostasia, e per il punto 4), che scomunica tutti gli aderenti al falso concilio c.d. Vaticano II secondo la bolla “Execrabilis”. Tutti coloro che rientrano in queste categorie di scomunicati, sono formalmente fuori dalla Chiesa Cattolica, e per salvarsi in eterno hanno bisogno in assoluto della rimozione delle censure, cosa che, tranne che in “articulo mortis”, può essere ottenuto solo dal Santo Padre (Gregorio XVIII) o da un suo delegato. Questi sono i canoni e le leggi della Chiesa cattolica, piaccia o meno. Chi vuole salvare l’anima in eterno deve attenersi scrupolosamente ad essi, entrare o rientrare ad ogni costo nella Chiesa Cattolica, l’unica vera Chiesa di Cristo, nella quale solo c’è salvezza.

sant_atanasio

Haec est fides catholica, quam nisi quisque fideliter firmiterque crediderit, salvus esse non poterit” – “ Quam nisi quisque integram inviolatamque servaverit, absque dubio in æternum peribit”. [Symbol. di S. Atanasio] e per chi fa finta di non conoscere il latino: “Questa è la fede cattolica, e non potrà essere salvo se non colui che l’abbraccerà fedelmente e fermamente” – “colui che non la conserva integra ed inviolata, perirà senza dubbio in eterno”.

Ragazzi, svegliatevi prima che giunga il Padrone della casa, altrimenti sarete buttati fuori al buio e li … sarà pianto e stridor di denti!

Enciclica MIRARI VOS: una boccata di Cattolicesimo puro.

Il Magistero della Chiesa è l’unica fonte di verità per questi nostri funesti tempi di spirituale sovversione. I falsi pastori attuali, hanno abiurato ed apostatato vergognosamente professando dottrine e novità deliranti, dal conciliabolo detto Vaticano II in poi, con perdite innumerevoli di anime, sprofondate così nel fuoco eterno della perdizione. Oggi che si respira tanfo abominevole di eresia come il gas di scarico del traffico cittadino dell’ora di punta, e proprio nei templi una volta popolati da Ministri cattolici, abbiamo bisogno di respirare aria pura di montagna, spiritualmente parlando. L’unico contenitore di questa aria pura spirituale, salutare “bombola” di ossigeno con maschera antigas, oltre alla Scrittura divina correttamente interpretata dai Padri della Chiesa, è il Sacro Magistero dei Sommi Pontefici e dei XX Concili ecumenici radunati sotto la guida di un Papa vero e legittimo. Tra gli scritti magisteriali abbiamo tratto dal tesoro della Chiesa, una “perla” di inestimabile valore per l’anima di un cristiano e per la salvezza eterna, la lettera Enciclica “Mirari vos” di S. S. Gregorio XVI, Mauro Cappellari, del 15 agosto dell’anno 1832. Rileggendola si vede come l’attuale ideologia modernista è esattamente agli antipodi del contenuto dell’enciclica, il che fa capire chiaramente come sul trono di Pietro ci sia il vicario del “truffaldino menzognero”, il servo del “cornuto”. Quel che stupisce è la totale ignoranza dei sedicenti cattolici-modernisti di ogni livello, realizzando così le profezie di Isaia: “Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre, che cambiano l’amaro in dolce e il dolce in amaro”[Is. V, 20] e … “Ascoltate pure, ma senza comprendere, osservate pure, ma senza conoscere. Rendi insensibile il cuore di questo popolo, fallo duro d’orecchio e acceca i suoi occhi e non veda con gli occhi né oda con gli orecchi né comprenda con il cuore né si converta in modo da esser guarito”[Is. VI, 9-10] – Siamo proprio giunti nel tempo in cui … “… il Signore ha versato su di voi uno spirito di torpore, ha chiuso i vostri occhi, ha velato i vostri capi” [Is. XXIX-10]. E allora si rallegri la nostra anima alla lettura della parola del Vicario di Cristo, essa che è PAROLA DI DIO infallibile ed irreformabile. – Tra le idiozie ed i deliri modernisti attualmente sbandierati, si condanna apertamente e senza appello l’indifferentismo, la libertà di coscienza, la libertà di stampare ogni bestialità, il libero pensiero senza controllo del tasso alcoolemico, la libertà di culti eretici, falsi, idolatri e pagani, il disprezzo delle cose sacre, l’autorità della Chiesa contestata, il mutamento della dottrina eterna, l’aggiornamento alle esigenze attuali, la perversione matrimoniale, la salvezza fuori dalla Chiesa cattolica, … ma d’altra parte oggi la religione è gestita da non-vescovi, non-preti, non-papi, mai validamente consacrati o eletti, da burattini senza sigillo sacerdotale nell’anima … cosa potremmo mai aspettarci? Solo il castigo oramai incombente ci potrà liberare da questi servi di beliaal. Intanto, tra una prece e l’altra, godiamoci questa ventata di aria pura, una boccata di santo Cattolicesimo. Buona lettura.

ENCICLICA

”MIRARI VOS”

DI S. S. GREGORIO XVI

gregorio_xvi

AI VENERABILI FRATELLI, PATRIARCHI, PRIMATI, ARCIVESCOVI, VESCOVI E AGLI ALTRI ORDINARI AVENTI CON L’APOSTOLICA SEDE PACE E COMUNIONE

GREGORIO PP. XVI SERVO DEI SERVI DI DIO

VENERABILI FRATELLI, SALUTE E APOSTOLICA BENEDIZIONE

Non riteniamo che voi vi meravigliate perché, da quando è stato imposto alla Nostra pochezza l’incarico del governo di tutta la Chiesa, non vi abbiamo ancora indirizzato Nostre lettere, secondo la consuetudine introdotta fin dai primi tempi e come la benevolenza Nostra verso di voi avrebbe richiesto. Era questo per la verità uno dei Nostri più vivi desideri: dilatare senza indugio sopra di voi il Nostro cuore, e parlarvi in comunione di spirito con quella voce con la quale nella persona del Beato Pietro fu divinamente ingiunto a Noi di confermare i fratelli (Lc XXII,32). Ma voi ben sapete per quale procella di mali e di calamità fin dai primi momenti del Nostro Pontificato fummo d’improvviso balzati in un mare così tempestoso, che se la destra del Signore non avesse testimoniato la propria virtù, avreste dovuto per la più perversa cospirazione degli empi compiangere il Nostro fatale sommergimento. L’animo rifugge dal rinnovare con l’amara esposizione di tanti infortuni il dolore vivissimo che ne provammo; e piuttosto Ci piace innalzare riconoscenti benedizioni al Padre di ogni consolazione, il quale con la dispersione dei ribelli Ci trasse dall’imminente pericolo e sedata la furiosa tempesta Ci fece respirare. Noi Ci proponemmo immediatamente di comunicarvi le Nostre idee relative al risanamento delle piaghe di Israele: ma la grave mole di cure che sopraggiunse per conciliare il ristabilimento dell’ordine pubblico pose un ostacolo alla realizzazione del Nostro proposito. – Un nuovo motivo per tenerci silenziosi giunse dalla insolenza dei faziosi, che tentarono di alzare nuovamente il vessillo della fellonia. Vero è che, vedendo Noi che la lunga impunità e la costante Nostra benigna indulgenza, anziché ammansire, alimentavano piuttosto lo sfrenato furore dei ribelli, dovemmo infine, sebbene con acerbissimo dispiacere, ricorrere alle armi spirituali (1Cor IV, 21) per frenare tanta loro pervicacia, valendoci dell’autorità conferitaci a tal fine da Dio: ma da questo appunto potete agevolmente comprendere quanto più laboriosa e pressante sia resa la Nostra quotidiana sollecitudine. – Ma giunti finalmente, secondo il costume dei Predecessori, a prendere nella Nostra Basilica Lateranense quel possesso che per le citate ragioni avevamo dovuto differire, troncato ogni indugio Ci rivolgiamo sollecitamente a voi, Venerabili Fratelli, e quale testimonianza della Nostra volontà vi indirizziamo questa Lettera fra l’esultanza di questo giorno lietissimo, in cui festeggiamo il trionfo della Vergine Assunta in Cielo, onde Ella, che fra le più dolorose calamità Noi sperimentammo sempre Avvocata e Liberatrice, tale pure Ci assista propizia nello scrivere a voi, e con la sua celeste ispirazione fecondi la Nostra mente di quei consigli che siano sommamente salutari per il gregge cristiano. – Dolenti invero, e col cuore sopraffatto dall’amarezza, veniamo a voi, Venerabili Fratelli, che, atteso il vostro zelo ed il vostro attaccamento alla Religione, ben sappiamo essere sommamente angustiati per l’acerbità dei tempi in cui essa versa miseramente, poiché davvero potremmo dire che questa è l’ora delle tenebre per vagliare come grano i figli di elezione (Lc 22,53). A ragione si può ripetere con Isaia: “Pianse, e la terra avvelenata dai suoi abitanti scomparve, perché avevano mutato il diritto, avevano rotto il patto sempiterno” (Is XXIV,5). – Venerabili Fratelli, diciamo cose che voi pure avete di continuo sotto i vostri occhi e che deploriamo perciò con pianto comune. Superba tripudia la disonestà, insolente è la scienza, licenziosa la sfrontatezza. – Viene disprezzata la santità delle cose sacre: e l’augusta maestà del culto divino, che pur tanto possiede di forza e di necessità sul cuore umano, viene indegnamente contaminata da uomini ribaldi, riprovata, messa a ludibrio. Quindi si stravolge e perverte la sana dottrina, ed errori d’ogni genere si disseminano audacemente. Non leggi sacre, non diritti, non istituzioni, non discipline, anche le più sante, sono al sicuro di fronte all’ardire di costoro, che solo eruttano malvagità dalla sozza loro bocca. Bersaglio di incessanti, durissime vessazioni è fatta questa Nostra Romana Sede del Beatissimo Pietro, nella quale Gesù Cristo stabilì la base della Chiesa; i vincoli dell’unità di giorno in giorno maggiormente s’indeboliscono e si sciolgono. La divina autorità della Chiesa viene contestata e, calpestati i suoi diritti, si vuole assoggettarla a ragioni terrene; con suprema ingiustizia si vuole renderla odiosa ai popoli e ridurla ad ignominiosa servitù. Intanto s’infrange l’obbedienza dovuta ai Vescovi, e viene conculcata la loro autorità. Le Accademie e le Scuole echeggiano orribilmente di mostruose novità di opinioni, con le quali non più segretamente e per vie sotterranee si attacca la Fede cattolica, ma scopertamente e sotto gli occhi di tutti le si muove un’orribile e nefanda guerra. Infatti, corrotti gli animi dei giovani allievi per gl’insegnamenti viziosi e per i pravi esempi dei Precettori, si sono dilatati ampiamente il guasto della Religione ed il funestassimo pervertimento dei costumi. Scosso per tal maniera il freno della santissima Religione, che è la sola sopra cui si reggono saldi i Regni e si mantengono ferme la forza e l’autorità di ogni dominazione, si vedono aumentare la sovversione dell’ordine pubblico, la decadenza dei Principati e il disfacimento di ogni legittima potestà. Ma una congerie così enorme di disavventure si deve in particolare attribuire alla cospirazione di quelle Società nelle quali sembra essersi raccolto, come in sozza sentina, quanto v’ha di sacrilego, di abominevole e di empio nelle eresie e nelle sette più scellerate. – Queste cose, Venerabili Fratelli, ed altre forse più gravi che al presente sarebbe troppo lungo annoverare e che voi ben conoscete Ci addolorano, di un dolore tanto più acerbo e continuo in quanto, posti sulla cattedra del Principe degli Apostoli, Ci sentiamo obbligati a tormentarci più di ogni altro dallo zelo per tutta la Casa di Dio. Ma scorgendoci collocati in una sede ove non basta piangere soltanto queste innumerabili sciagure, ma occorre compiere ogni sforzo per procurarne l’estirpamento, ricorriamo a tal fine al sussidio della vostra Fede, ed eccitiamo la vostra sollecitudine per la salvezza del gregge cattolico, Venerabili Fratelli, la cui specchiata virtù, religione, prudenza ed assiduità Ci danno coraggio, ed in mezzo all’afflizione che Ci cagionano circostanze così disastrose, dolcemente Ci confortano e consolano. – È Nostro obbligo, infatti, alzare la voce e tentare ogni prova, perché né il cinghiale della selva devasti la vigna, né i lupi rapaci piombino a fare strage del gregge. A Noi spetta guidare le pecore soltanto a quei pascoli che siano per esse salubri, e scevri d’ogni anche lieve sospetto d’essere dannosi. Dio non voglia, o carissimi, che mentre premono tanti mali e tanti pericoli sovrastano, manchino al proprio ufficio i Pastori che, colpiti da sbigottimento, trascurino le pecore o, deposta la cura del gregge, si abbandonino all’ozio ed alla pigrizia. Trattiamo anzi, perciò, nell’unità dello spirito la comune causa Nostra, o per meglio dire la causa di Dio, e contro i comuni nemici si abbiano per la salute di tutto il popolo la medesima vigilanza in tutti e il medesimo impegno. – Ciò poi adempirete felicemente se, come esige la ragione del vostro incarico, attenderete indefessamente a voi stessi e alla dottrina, richiamando spesso al pensiero che “la Chiesa Universale riceve l’urto di ogni novità” ( S. Celstino Papa, Ep. 21 ad Episc. Galline) e che, secondo il parere del Pontefice Sant’Agatone, “delle cose che furono regolarmente definite, nessuna dovessi diminuire, nessuna mutare, nessuna aggiungere, ma tali esse debbono essere custodite intatte nelle parole e nei significati” (S. Agatone papa, Ep. ad Imp.). Integra rimarrà così la fermezza di quella unità che ha il proprio fondamento e si esprime in questa Cattedra di Pietro, donde appunto derivano su tutte le Chiese i diritti della veneranda comunione e dove tutte “possono rinvenire muro di difesa e sicurezza, porto protetto dai flutti e tesoro d’innumerevoli beni” (S. Innocenzo Papa, Ep. II). A rintuzzare pertanto la temerità di coloro i quali adoperano tutti i mezzi o per abbattere i diritti di questa Santa Sede, o per sciogliere il rapporto delle Chiese con la stessa (rapporto in forza del quale esse hanno fermezza, solidità e vigore), inculcate il massimo impegno di fedeltà e di venerazione sincera verso la stessa Sede, facendo chiaramente intendere con San Cipriano che “falsamente confida di essere nella Chiesa chi abbandona la Cattedra di Pietro, sopra la quale è fondata la Chiesa” (San Cipriano, De unitate Ecclesiae). – A tale obiettivo debbono perciò tendere i vostri travagli, le vostre cure sollecite e l’assidua vostra vigilanza, affinché gelosamente sia custodito il santo deposito della Fede in mezzo all’infernale cospirazione degli empi, che con Nostro estremo cordoglio vediamo intenta a derubarlo e a perderlo. Si ricordino tutti che il giudizio intorno alla sana dottrina da insegnare ai popoli, non meno che il governo ed il giurisdizionale reggimento della Chiesa sono presso il Romano Pontefice, “a cui fu conferita da Gesù Cristo la piena potestà di pascere, reggere e governare la Chiesa universale” (Conc. Flor., sess. 25) come dichiararono solennemente i Padri del Concilio di Firenze . È poi obbligo di ogni Vescovo tenersi fedelissimamente attaccato alla cattedra di Pietro, custodire santamente e scrupolosamente il deposito della Fede, e pascere il gregge di Dio affidatogli. I Sacerdoti debbono stare soggetti ai Vescovi i quali, avverte San Girolamo [S. Girolamo, Ep. 2 ad Nepot. a. I, 24], devono essere considerati dagli stessi come “padri della loro anima“: né si dimentichino mai che anche dagli antichi Canoni è loro vietato d’intraprendere azione alcuna nel sacro Ministero, e di assumersi l’ufficio d’insegnare e di predicare “senza il consenso del Vescovo a cui il popolo fu affidato ed al quale si domanderà conto delle anime“(Ex can. ap. 38). Infine si tenga presente quale regola certa e sicura che tutti coloro che osassero macchinare qualche cosa contro questo ordine così stabilito perturberebbero lo stato della Chiesa. – Sarebbe poi cosa troppo nefanda ed assolutamente aliena da quell’affetto di venerazione con cui si debbono rispettare le leggi della Chiesa, il lasciarsi trasportare da forsennata mania di opinare a capriccio, permettendo a qualcuno di disapprovare, o di accusare come contraria a certi principi di diritto di natura, o di dire manchevole e imperfetta e dipendente dalla civile autorità quella sacra disciplina che la Chiesa fissò per l’esercizio del culto divino, per la direzione dei costumi, per la prescrizione dei suoi diritti, e per il gerarchico regolamento dei suoi Ministri. – Essendo inoltre massima irrefragabile, per valerci delle parole dei Padri Tridentini, che “la Chiesa fu erudita da Gesù Cristo e dai suoi Apostoli, e che viene ammaestrata dallo Spirito Santo, il quale di giorno in giorno le suggerisce ogni verità“, appare chiaramente assurdo ed oltremodo ingiurioso per la Chiesa proporsi una certa “restaurazione e rigenerazione“, come necessaria per provvedere alla sua salvezza ed al suo incremento, quasi che la si potesse ritenere soggetta a difetto, o ad oscuramento o ad altri inconvenienti di simil genere: tutte macchinazioni e trame dirette dai novatori al malaugurato loro fine di gettare le “fondamenta di un recente umano stabilimento” onde avvenga quello che era tanto condannato da San Cipriano, “che la Chiesa divenisse cosa umana” (S. Cipriano, Ep. 52), quando, al contrario, è cosa tutta divina. Ma coloro che vanno meditando siffatti disegni considerino che per testimonianza di San Leone, al solo Romano Pontefice “è affidata la disciplina dei Canoni” e che a lui solo appartiene, e non a privato uomo chicchessia, i1 definire sulle regole “delle paterne sanzioni“, e, come scrive San Gelasio [S. Gelasio, papa, Ep. ad Episcopum Lucaniae] “bilanciare in tal maniera i decreti dei Canoni e commisurare in tal modo i precetti dei Predecessori: dopo diligenti riflessioni si dia un conveniente temperamento a quelle cose che la necessità dei tempi richiede di dover moderare prudentemente per il bene delle Chiese“. – E qui vogliamo eccitare sempre più la vostra costanza a favore della Religione, affinché vi opponiate all’immonda congiura contro il celibato clericale: congiura che, come sapete, si accende ogni dì più estesamente, unendo ai tentativi dei più sciagurati filosofi dell’età nostra anche alcuni dello stesso ceto ecclesiastico: di persone che, dimentiche della loro dignità e del loro ministero, trascinate dal lusinghiero torrente delle voluttà, proruppero in tale eccesso di licenziosa impudenza che non ristettero dal presentare in più luoghi pubbliche reiterate domande ai Governi, onde venisse abrogato ed annientato questo santissimo punto di disciplina. Ma troppo C’incresce di trattenervi lungamente sopra questi turpi attentati, e piuttosto con fiducia incarichiamo la religione vostra affinché impieghiate ogni vostro zelo per mantenere sempre, secondo quanto prescritto dai Sacri Canoni, intatta, custodita, ferma e difesa una legge di tanto rilievo, contro la quale da ogni parte si scagliano gli strali degli impudichi. Inoltre, l’onorando matrimonio dei Cristiani esige le Nostre comuni premure affinché in esso, chiamato da San Paolo “Sacramento grande in Cristo e nella Chiesa” (Eb 13,4), nulla s’introduca o si tenti introdurre di meno onesto che sia contrario alla sua santità o leda l’indissolubilità del suo vincolo. Vi aveva già raccomandato insistentemente questo nelle sue lettere il Nostro Predecessore Pio VIII di felice memoria: ma continuano a moltiplicarsi tuttavia contro di esso gli attentati dell’empietà. È perciò necessario istruire accuratamente i popoli che il matrimonio, una volta legittimamente contratto, non può più sciogliersi, e che Dio ha ingiunto ai coniugati una perpetua unione di vita ed un tal legame che solo con la morte può rompersi. Rammentando che il matrimonio si annovera fra le cose sacre, e che per questo è soggetto alla Chiesa, essi abbiano di continuo presenti le leggi da questa stabilite in materia, e quelle adempiano santamente ed esattamente come prescrizioni, dalla cui osservanza fedele dipendono la forza, la validità e la giustizia del medesimo. Si astenga ognuno dal commettere per qualsivoglia motivo atti che siano contrari alle canoniche disposizioni e ai decreti dei Concilii che lo riguardano, ben conoscendosi che esito in felicissimo sogliono avere quei matrimoni che o contro la disciplina della Chiesa o senza che sia stata implorata prima la benedizione del Cielo, o per solo bollore di cieca passione vengono celebrati senza che gli sposi si prendano alcun pensiero della santità del Sacramento e dei misteri che vi si nascondono. Veniamo ora ad un’altra sorgente trabocchevole dei mali, da cui piangiamo afflitta presentemente la Chiesa: vogliamo dire l’indifferentismo, ossia quella perversa opinione che per fraudolenta opera degl’increduli si dilatò in ogni parte, e secondo la quale si possa in qualunque professione di Fede conseguire l’eterna salvezza dell’anima se i costumi si conformano alla norma del retto e dell’onesto. Ma a voi non sarà malagevole cosa allontanare dai popoli affidati alla vostra cura un errore così pestilenziale intorno ad una cosa chiara ed evidentissima, senza contrasto. Poiché è affermato dall’Apostolo che esiste “un solo Iddio, una sola Fede, un solo Battesimo” (Ef IV,5), temano coloro i quali sognano che veleggiando sotto bandiera di qualunque Religione possa egualmente approdarsi al porto dell’eterna felicità, e considerino che per testimonianza dello stesso Salvatore “essi sono contro Cristo, perché non sono con Cristo” (Lc XI, 23), e che sventuratamente disperdono solo perché con lui non raccolgono; quindi “senza dubbio periranno in eterno se non tengono la Fede cattolica, e questa non conservino intera ed inviolata” (Symbol. S. Athanasii). – Ascoltino San Girolamo il quale – trovandosi la Chiesa divisa in tre parti a causa dello scisma – racconta che, tenace come egli era del santo proposito, quando qualcuno cercava di attirarlo al suo partito, egli rispondeva costantemente ad alta voce: “Chi sta unito alla Cattedra di Pietro, quegli è mio” (S. Girolamo, Ep. 58). A torto poi qualcuno, fra coloro che alla Chiesa non sono congiunti, oserebbe trarre ragione di tranquillizzante lusinga per essere anche lui rigenerato nell’acqua di salute; poiché gli risponderebbe opportunamente Sant’Agostino: “Anche il ramoscello reciso dalla vite ha la stessa forma, ma che gli giova la forma se non vive della radice?“(S. Agostino, Salmo contro part. Donat.). – Da questa corrottissima sorgente dell’indifferentismo scaturisce quell’assurda ed erronea sentenza, o piuttosto delirio, che si debba ammettere e garantire a ciascuno la libertà di coscienza: errore velenosissimo, a cui apre il sentiero quella piena e smodata libertà di opinione che va sempre aumentando a danno della Chiesa e dello Stato, non mancando chi osa vantare con impudenza sfrontata provenire da siffatta licenza qualche vantaggio alla Religione. “Ma qual morte peggiore può darsi all’anima della libertà dell’errore?” esclamava Sant’Agostino (Ep. 166). Tolto infatti ogni freno che tenga nelle vie della verità gli uomini già diretti al precipizio per la natura inclinata al male, potremmo dire con verità essersi aperto il “pozzo d’abisso” (Ap IX, 3), dal quale San Giovanni vide salire tal fumo che il sole ne rimase oscurato, uscendone locuste innumerabili a devastare la terra. Conseguentemente si determina il cambiamento degli spiriti, la depravazione della gioventù, il disprezzo nel popolo delle cose sacre e delle leggi più sante: in una parola, la peste della società più di ogni altra esiziale, mentre l’esperienza di tutti i secoli, fin dalla più remota antichità, dimostra luminosamente che città fiorentissime per opulenza, potere e gloria per questo solo disordine, cioè per una eccessiva libertà di opinioni, per la licenza delle conventicole, per la smania di novità andarono infelicemente in rovina. – A questo fine è diretta quella pessima, né mai abbastanza esecrata ed aborrita “libertà della stampa” nel divulgare scritti di qualunque genere; libertà che taluni osano invocare e promuovere con tanto clamore. – Inorridiamo, Venerabili Fratelli, nell’osservare quale stravaganza di dottrine ci opprime o, piuttosto, quale portentosa mostruosità di errori si spargono e disseminano per ogni dove con quella sterminata moltitudine di libri, di opuscoli e di scritti, piccoli certamente di mole, ma grandissimi per malizia, dai quali vediamo con le lacrime agli occhi uscire la maledizione ad inondare tutta la faccia della terra. Eppure(ahi, doloroso riflesso!) vi sono taluni che giungono alla sfrontatezza di asserire con insultante protervia che questo inondamento di errori è più che abbondantemente compensato da qualche opera che in mezzo a tanta tempesta di pravità si mette in luce per difesa della Religione e della verità. Nefanda cosa è certamente, e da ogni legge riprovata, compiere a bella posta un male certo e più grave, perché vi è lusinga di poterne trarre qualche bene. Ma potrà mai dirsi da chi sia sano di mente che si debba liberamente ed in pubblico spargere, vendere, trasportare, anzi tracannare ancora il veleno, perché esiste un certo rimedio, usando il quale avviene che qualcuno scampa alla morte? – Ma assai ben diverso fu il sistema adoperato dalla Chiesa per sterminare la peste dei libri cattivi fin dall’età degli Apostoli, i quali, come leggiamo, hanno consegnato alle fiamme pubblicamente grande quantità di tali libri (At XIX,19). Basti leggere le disposizioni date a tale proposito nel Concilio Lateranense V, e la Costituzione che pubblicò Leone X di felice memoria, Nostro Predecessore, appunto perché “quella stampa che fu salutarmente scoperta per l’aumento della Fede e per la propagazione delle buone arti, non venisse rivolta a fini contrari e recasse danno e pregiudizio alla salute dei fedeli di Cristo” (Act. Conc. Lateran. V, sess. X). Ciò stette parimenti a cuore dei Padri Tridentini al punto che per applicare opportuno rimedio ad un inconveniente così dannoso, emisero quell’utilissimo decreto sulla formazione dell’Indice dei libri nei quali fossero contenute malsane dottrine (Conc. Trid., sess. 18 e 25). Clemente XIII, Nostro Predecessore di felice memoria, nella sua enciclica sulla proscrizione dei libri nocivi afferma che “si deve lottare accanitamente, come richiede la circostanza stessa, con tutte le forze, al fine di estirpare la mortifera peste dei libri; non potrà infatti essere eliminata la materia dell’errore fino a quando gli elementi impuri di pravità non periscano bruciati” (Christianae reipublicae, 25 novembre 1766). Pertanto, per tale costante sollecitudine con la quale in tutti i tempi questa Sede Apostolica si adoperò sempre di condannare i libri pravi e sospetti, e di strapparli di mano ai fedeli, si rende assai palese quanto falsa, temeraria ed oltraggiosa alla stessa Sede Apostolica, nonché foriera di sommi mali per il popolo cristiano sia la dottrina di coloro i quali non solo rigettano come grave ed eccessivamente onerosa la censura dei libri, ma giungono a tal punto di malignità che la dichiarano perfino aborrente dai principi del retto diritto e osano negare alla Chiesa l’autorità di ordinarla e di eseguirla. – Avendo poi rilevato da parecchi scritti che circolano fra le mani di tutti propagarsi certe dottrine tendenti a far crollare la fedeltà e la sommissione dovuta ai Principi, e ad accendere ovunque le torce della guerra, vi esortiamo ad essere sommamente guardinghi, affinché i popoli, a seguito di tale seduzione, non si lascino miseramente rimuovere dal diritto sentiero. Riflettano tutti che, secondo l’ammonimento dell’Apostolo, “non vi è potere se non da Dio, e le cose che sono furono ordinate da Dio. Perciò chi resiste al potere, resiste all’ordinamento di Dio, e coloro che resistono si procurano da se stessi la condanna” (Rm 3,2). Il divino e l’umano diritto gridano contro coloro i quali, con infamissime trame e con macchinazioni di ostilità e di sedizioni impiegano i loro sforzi nel mancare di fede ai Principi, ed a cacciarli dal trono. – Fu appunto per non contaminarsi di tanto obbrobrioso delitto che gli antichi Cristiani, pur nel bollore delle persecuzioni, sempre bene meritarono degl’Imperatori e della salvezza dell’Impero, adoperandosi con fedeltà nell’adempiere esattamente e prontamente quanto veniva loro comandato che non fosse contrario alla Religione: impegnandosi con costanza ed anche con il sangue abbondantemente sparso in battaglie per essi. “I soldati cristiani – afferma Sant’Agostino – servirono l’Imperatore infedele; quando si toccava la causa di Cristo, non conoscevano che Colui che è nei Cieli. Distinguevano il Signore eterno dal Signore temporale, tuttavia proprio per il Signore eterno ubbidivano quali sudditi anche al Signore terreno” (Salmo CXXIV, n. 7). Tali argomenti aveva sotto gli occhi l’invitto martire San Maurizio, capo della Legione Tebana, allorché – come riferisce Sant’Eucherio – così rispose all’Imperatore: “Imperatore, noi siamo tuoi soldati, però siamo al tempo stesso servi di Dio, e lo confessiamo liberamente… Eppure, neanche questa stessa dura necessità di serbare la vita ci spinge alla ribellione: ecco, abbiamo le armi, eppure non facciamo resistenza, perché reputiamo sorte migliore il morire che l’uccidere” (S. Eucherio, apud Ruinart, Act. SS. MM. de SS. Maurit. et Soc., n. 4). Tale fedeltà degli antichi Cristiani verso i loro Principi risplende anche più luminosa se si riflette con Tertulliano che a quei tempi “non mancava ai Cristiani gran numero di armi e di armati se avessero voluto farla da nemici dichiarati. Siamo usciti da poco all’esterno, egli dice agli Imperatori, e già abbiamo riempito ogni vostro luogo, le città, le isole, i castelli, i municipi, le adunanze, gli accampamenti stessi, le tribù, le curie, il palazzo, il senato, il foro… A qual guerra non saremmo stati idonei e pronti, quando pure fossimo inferiori di numero, noi che ci lasciamo trucidare tanto volonterosamente, se dalla nostra disciplina non fosse permesso più il lasciarsi uccidere che l’uccidere? Se tanta moltitudine di persone, quale noi siamo, allontanandosi da voi, si fosse rifugiata in qualche remotissimo angolo dell’orbe, avrebbe certamente recato vergogna alla vostra potenza la perdita di tanti cittadini, quali che fossero; anzi l’avrebbe punita con lo stesso abbandono. Senza dubbio vi sareste sbigottiti di fronte a tale solitudine… e avreste cercato a chi poter comandare: vi sarebbero rimasti più nemici che cittadini, mentre ora avete minor numero di nemici, tenuto conto della moltitudine dei Cristiani” (Tertulliano, Apologet., cap. 37). – Esempi così luminosi d’inalterabile sommissione ai Principi, che necessariamente derivavano dai santissimi precetti della Religione Cristiana, condannano altamente la detestabile insolenza e slealtà di coloro che, accesi dall’insana e sfrenata brama di una libertà senza ritegno, sono totalmente rivolti a manomettere, anzi a svellere qualunque diritto del Principato, onde poscia recare ai popoli, sotto colore di libertà, il più duro servaggio. A questo scopo per verità cospirarono gli scellerati deliri e i disegni dei Valdesi, dei Beguardi, dei Wiclefiti e di altri simili figli di Belial, che furono l’ignominia e la feccia dell’uman genere, meritamente perciò tante volte colpiti dagli anatemi di questa Sede Apostolica. Né certamente per altro motivo codesti pensatori moderni sviluppano le loro forze, se non perché possano menar festa e trionfo con Lutero, e compiacersi con lui di “essere liberi da tutti“, disposti perciò decisamente ad accingersi a qualunque più riprovevole impresa per giungere con più facilità e speditezza a conseguire l’intento. Né più lieti successi potremmo presagire per la Religione ed il Principato dai voti di coloro che vorrebbero vedere separata la Chiesa dal Regno, e troncata la mutua concordia dell’Impero col Sacerdozio. È troppo chiaro che dagli amatori d’una impudentissima libertà si teme quella concordia che fu sempre fausta e salutare al governo sacro e civile. Ma a tante e così amare cause che Ci tengono solleciti e nel comune pericolo Ci crucciano con dolore singolare, si unirono certe associazioni e determinate aggregazioni nelle quali, fatta lega con gente d’ogni religione, anche falsa e di estraneo culto, si predica libertà d’ogni genere, si suscitano turbolenze contro il sacro e il civile potere, e si conculca ogni più veneranda autorità, sotto lo specioso pretesto di pietà e di attaccamento alla religione, ma con mira in fatto di promuovere ovunque novità e sedizioni. Queste cose, Venerabili Fratelli, con animo dolentissimo, ma pieni di fiducia in Colui che comanda ai venti e porta la tranquillità, vi abbiamo scritto affinché, impugnato lo scudo della Fede, seguitiate animosi a combattere le battaglie del Signore. A voi sopra ogni altro compete stare qual muro saldo di fronte ad ogni superba potenza che si voglia alzare contro la scienza di Dio. Da voi si brandisca la spada dello Spirito, che è la parola di Dio, e siano da voi provveduti di pane coloro che hanno fame di giustizia. Chiamati ad essere coltivatori industriosi nella vigna del Signore, occupatevi di questo solo, e a questo solo volgete le comuni vostre fatiche: cioè che ogni radice di amarezza sia divelta dal campo a voi assegnato e, spento ogni seme vizioso, cresca in esso, abbondante e rigogliosa, la messe delle virtù. Abbracciando con paterno affetto coloro che si applicano agli studi filosofici, e più ancora alle sacre discipline, inculcate loro premurosamente che si guardino dal fidarsi delle sole forze del proprio ingegno per non lasciare il sentiero della verità e prendere imprudentemente quello degli empi. Si ricordino che Dio “è il duce della sapienza e il perfezionatore dei sapienti” (Sap VII,15), e che non può mai avvenire che senza Dio conosciamo Dio, il quale per mezzo del Verbo insegna agli uomini a conoscere Dio (S. Ireneo, lib. 14, cap. 10). È proprio del superbo, o piuttosto dello stolto, il volere pesare sulle umane bilance i misteri della Fede, che superano ogni nostra possibilità, e fidare sulla ragione della nostra mente, che per la condizione stessa della umana natura è troppo fiacca e malata. – Per il resto, i Nostri carissimi figli in Cristo, i Principi, assecondino questi comuni voti – per il bene della Chiesa e dello Stato – con il loro aiuto e con quell’autorità che devono considerare conferita loro non solo per il governo delle cose terrene, ma in modo speciale per sostenere la Chiesa. – Riflettano diligentemente su quanto deve essere fatto per la tranquillità dei loro Imperi e per la salvezza della Chiesa; si persuadano anzi che devono avere più a cuore la causa della Fede che quella del Regno, come ripetiamo con il Pontefice San Leone: “Al loro diadema per mano del Signore si aggiunga anche la corona della Fede“. Posti quasi come padri e tutori dei popoli, procureranno a questi quiete e tranquillità vera, costante e doviziosa, particolarmente se si adopreranno a far fiorire tra essi la Religione e la pietà verso Dio, il quale porta scritto nel femore: “Re dei Re, e Signore dei Signori“. – Ma per impetrare successi così prosperi e felici, solleviamo supplichevoli gli sguardi e le mani verso la Santissima Vergine Maria, la quale sola vinse tutte le eresie, ed è la massima Nostra fiducia, anzi la ragione tutta della Nostra speranza. Ella, la grande Avvocata, col suo patrocinio, in mezzo a tanti bisogni del gregge cristiano, implori benigna un esito fortunatissimo a favore dei Nostri propositi, sforzi ed azioni. – Tanto con umile preghiera domandiamo ancora al Principe degli Apostoli San Pietro e al suo Co-Apostolo San Paolo, affinché rimaniate tutti saldi come solido muro, e non si ponga altro fondamento diverso da quello che fu già posto. Animati da questa serena speranza, confidiamo che l’Autore e il Perfezionatore della Fede Gesù Cristo consolerà finalmente noi tutti nelle tribolazioni che troppo ci tengono bersagliati. Intanto, foriera ed auspice del celeste soccorso, a voi, Venerabili Fratelli, e a tutte le pecore affidate alla vostra cura impartiamo affettuosamente l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso Santa Maria Maggiore, il 15 agosto, giorno solenne dell’Assunzione della Beata Vergine Maria,

dell’anno 1832, anno secondo del Nostro Pontificato.

GREGORIO PP. XVI

Omelia della Domenica V dopo Epifania (rec.)

Omelia della Domenica V dopo l’Epifania

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. I -1851-]

(Vangelo sec. S. Matteo XIII, 24-30)

zizzania

Zizzania e Frumento.

 “Non avete voi seminato (così al proprio padrone i suoi servi agricoltori) non avete seminato nel vostro campo il buon frumento? Come dunque è spuntata insieme con esso la mala zizzania”? – “Volete che sull’istante ci conduciamo ad estirparla?”- “No, rispose il padrone, perché essendo ancor tenere le pianticelle del grano, sradicherete colla zizzania il buon frumento. Lasciate pur crescere l’uno e l’altra sino alla maturità, e darò allora i miei ordini ai mietitori. Farò che, separata dal grano quest’erba malvagia, stretta in fascetti sia gettata al fuoco, e il buon frumento sia portato e custodito nel mio granaio”. Fin qui la parabola del corrente Evangelo. Uditene la facile interpretazione. Quel padrone, padre di famiglia, è il nostro Padre celeste; il campo, in cui è seminato il grano e la zizzania, è la santa Chiesa, che nel suo seno accoglie buoni e cattivi, discoli e ubbidienti figliuoli. Questa mescolanza però non è durevole. Verrà il tempo della messe, e la morte con falce inesorabile troncherà grano e zizzania. Si farà prima al tribunale di Cristo giudice, poscia nel giorno estremo la gran separazione. Saran divisi i petulanti capretti dalle innocenti pecorelle, l’eletto frumento dalla maledetta zizzania, gli eletti da’ reprobi. Verranno questi da’ demoni gettati ad ardere nel fuoco eterno, e quelli portati dagli angeli nel regno dei cieli. Fedeli miei, qual sarà la nostra sorte? Possiamo argomentarlo fin da ora: Siam noi zizzania? aspettiamoci il fuoco. Siam frumento? Il cielo sarà la nostra mansione. A chi più vi assomigliate? Acciò possiate meglio comprenderlo, vi esporrò da prima le naturali qualità della zizzania, che applicheremo a noi in senso morale; v’indicherò dappoi le naturali proprietà del frumento che applicheremo a noi altresì nel senso stesso. Da questo confronto potrete conoscere qual sarà per essere la vostra eterna sorte.

I . Sulla scorta di S. Basilio ( S. Basil. In 5 Hom. Ex.), e degl’indagatori della natura, osserviamo le qualità della zizzania. È questa un’erba malvagia, che nasce in pessimo terreno, e talvolta in mezzo al frumento, erba che poco s’innalza di terra. Si assomigliano a questa coloro che sempre intenti alla terra coi pensieri, coi desideri, e cogli affetti del cuore, altro non hanno in mira, che il lucro, l’interesse, e gli acquisti dei beni terreni. Uomini creati pel cielo non pensano, anzi, al dir del re Profeta, hanno stabilito di non pensare che alla terra, e nella terra fissar gli occhi, fissar le radici di una dominante passione, “Oculos suos statuerunt declinare in terram(Ps. XVI). A costoro io direi, se mi ascoltassero, miei cari, disinganniamoci; il nostro fine non son le cose che passano col tempo. Siam fatti pel cielo; lassù, dice l’Apostolo, dobbiamo innalzare la mente e il cuore, “quæ sursum sunt sopite, non quæ super terram” (Ad. Col. III). Da questa terra ci staccherà la morte, e quanto più, le radici delle nostre affezioni alla terra saranno tenaci e profonde, tanto più il taglio riuscirà doloroso, e incontreremo la mala sorte della rea zizzania. – S’insinua inoltre quest’erba maligna fra le radici dell’ancor tenera biada, e dove la rende sterile, dove la fa perire. Figura più espressiva delle scandalose persone non vi è di questa. Gesù Cristo infatti, dice il Crisostomo, chiamò tutti gli scandali e tutti gli scandalosi col nome di zizzania. “Omnia scandala et eos qui faciunt iniquitatem zizaniorum nomine significasse intelligitur(in Cat. Aurea D. Th.). La zizzania, di cui parla l’odierno Vangelo, fu sparsa dì notte da un uomo nemico, “inimiciis homo hoc fecit”. Questi, secondo i sacri espositori, è il demonio, che per mano degli uomini sparge nel mondo la scandalosa zizzania. Il demonio, dice S. Agostino, ha i suoi apostoli: son questi gli scandalosi, che coi laidi discorsi, col vestir immodesto, colle oscene pitture, colle invereconde poesie, coi libri ereticali, colle massime all’Evangelio contrarie fan perire l’innocenza, corrompono i buoni costumi, e danno morte a tante anime incaute. Che possono aspettarsi gl’iniqui seminatori di questa diabolica zizzania, se non il fuoco? – La zizzania in fine produce frutti così cattivi, che se per incuria misti col frumento vanno sotto la macina, e ridotti in farina restano mescolati col pane, cagionano a chi lo mangia vertigini, capogiri, e ubriaca rendono la persona; onde quel frutto, presso varie nazioni, si appella con nome significante quel brutto effetto. Oh, a quanti in questo secolo pervertito gira il capo circa le verità della fede! Finché vissero da buoni cristiani, finché, mantennero una retta coscienza ed una onesta condotta, non furono soggetti a capogiri intorno ai dogmi della santa religione; sana era la mente, perché sano era il cuore. Ma dopo aver mangiata la velenosa zizzania in quell’eretico autore, in quel poeta lascivo, in quella pratica disonesta, in quella rea amicizia, lo stomaco si è alterato, il cuore si é corrotto, e son saliti al cerebro vapori rivoltosi, ed hanno invasato l’intelletto dubbi, incertezze rispetto all’eterne verità. Che avviene poi di ognun di costoro? Le ree sue passioni, trovandosi senza freno, l’assalgono, gli tolgono l’uso della retta ragione; ond’egli ebro, insensato più non conosce sé stesso, e nel furor della sua ebbrezza, rompe il freno della coscienza, squarcia il velo di ogni naturale onestà, scuote il giogo della legge umana e divina, e per lui Dio più non esiste. “Dixit insipiens in corde suo, non est Deus(Ps. XIII, 1). O povera umanità presa da un’ubriachezza di nuova foggia! “Paupercula et ebria, non a vino” (Isai. LI, 21). Ma l’esito di questa ebbriosa smania sarà simile a quella di un povero uomo plebeo, che agitato dal vino uscito di senno, si gloria, si vanta, si crede ricco, potente, animoso, e digerito il vino si trova debole, infermo, avvilito, e riconosce ridotta ad uno stato peggiore la propria miseria. Durino pur quanto la vita i deliri dell’iniqua zizzania, alla fine stretta in fasci, a fasci sarà gettata “ad comburendum”. – Date ora, fratelli carissimi, un interiore sguardo a voi stessi, ed osservate se fra voi e le pessime qualità della descritta zizzania, trovaste mai qualche confronto. Se fosse così, deh per carità, cangiate vita, cangiate costume. A questo fine, dicono i S. Agostino e Tommaso, ( In catena aurea) il padrone evangelico non volle che così subito si estirpasse la zizzania del campo, per significarci che Iddio pietoso pazientemente aspetta che quei peccatori, che sono zizzania, possano coll’aiuto della grazia, per vera penitenza, trasformarsi in grano eletto.

  1. II. Passate ora a vedere, secondo l’evangelica allegoria, se piuttosto, come mi giova sperare, siete simili al buon frumento. Vien questo gettato sul campo, e sepolto sotterra, ove mercé la pioggia, e il calore del sole si schiude, si sviluppa, e vi muore per rinascere moltiplicato in biondeggianti spighe. Ecco il tipo di un buon cristiano. Egli nel suo battesimo, secondo la frase di S. Paolo (Rom. VI, 4), fu sepolto con Cristo, per poi risorgere con Cristo; ma prima deve morire di sua mistica morte colla rinunzia al mondo, al demonio, e alla carne. Né crediate esser questa una mia applicazione ingegnosa. È Gesù Cristo che precisamente lo afferma nel suo santo Vangelo colla similitudine del frumento, “nisi granum frumenti , dice egli, cadens in terram mortuum fuerit, ipsum solum manet(Ion. XII, 24). Se come un granello di frumento in seno” alla terra l’uomo cristiano non muore, resterà sterile, e non potrà rinascere a vita migliore. Ma come una tal morte va intesa? Udite: sono in noi tutte le passioni, e tutte pel peccato d’origine, al male inclinate, la superbia, l’avarizia, la lussuria, l’invidia, la gola, l’iracondia, l’accidia, e come tante fiere stanno chiuse nel nostro cuore, come in un serraglio. Il tenere in freno queste bestie feroci cogli aiuti della ragione e della fede, il correggerle, il mortificarle, è come dar loro la morte: ucciderle non è possibile, ma si possono e si debbono, coll’impero della volontà, assistita dalla grazia, soffocare in guisa che non arrivino ad offendere né coi denti, né cogli artigli. L’uomo infame vive, ma pure è morto alla vita civile. Del pari vive sono le nostre passioni, ma se si raffrenano i loro moti, se s’impediscono i loro sfoghi, han vita, ma perché senz’azione, si possono dir morte,come morte al mondo si appellano le religiose persone, che pei voti solenni non han più beni propri, non più libertà di stato, non più elezione di volontà. È questa la mistica morte. Ma perché più facile in noi si renda, conviene anche dar morte agli strumenti dei quali si servono le malnate nostre passioni. I sensi del corpo son le armi, son gli incentivi delle nostre passioni, e di queste non si vinceranno gli assalti, se non si spuntano quest’armi, se non si estinguono quest’incentivi. Mortificazione dunque dei sensi in tutto ciò ch’è contrario alla legge di Dio e della Chiesa: custodia d’occhi, che non trascorrano in oggetti pericolosi; freno alla lingua, che non prorompa in maldicenze, in imprecazioni, in bestemmie; freno alla gola, che osservi la temperanza e i comandati digiuni; in somma, mortificazione della carne per vivere secondo lo spirito, come inculca l’Apostolo. Ma questo spirito conviene che muoia anch’esso nell’uso delle sue facoltà, Deve morir l’intelletto coll’umile sottomissione in credere tutto ciò che Dio ha rivelato, la memoria colla dimenticanza delle ricevute offese, la volontà con la perfetta rassegnazione a quella di Dio in ogni cosa. Ecco la mistica necessaria morte, di cui parla il Redentore in quella sua grande e meravigliosa sentenza, così chiamata da S. Agostino: “Qui amat animam suam perdet eam(Ion. XII, 23). Chi ama l’anima sua, e vuol salvarla, la faccia morire a tutte le disordinate sue voglie. Il martire S. Ignazio, discepolo di S. Giovanni Evangelista, Vescovo d’Antiochia, da Traiano condannato alle bestie nell’anfiteatro romano, mandò lettera ai fedeli di Roma, che n’attendevano l’arrivo, e: “figliuoli miei, scriveva, io son frumento di Cristo, sarò stritolalo dai denti delle fiere come dalla mola, per esser fatto pane mondo, accettevole agli occhi suoi. “Frumentum Christi sum, dentibus bestiarum molar, ut panis mundus veniar(Hieron. De Script. Eccl.). Questa é ben altra morte; Iddio nelle circostanze presenti non l’esige da noi; ma nell’ordine dell’attuale provvidenza, non può dispensarci dalla morte de’ nostri sensi, delle nostre potenze, delle nostre passioni, come veniva dicendo. – Il frumento inoltre giunto a maturità va sotto le verghe, e a colpi sonori si sguscia, e si divide dalla sua paglia. Veniamo al senso morale. Se voi, sotto i pubblici o privati flagelli, che vengono dalla mano di Dio, o per castigo o per prova, abbassate il capo, e con pazienza e rassegnazione dite con Giobbe, “sit nomen Domini benedictum”; buon segno, voi siete grano eletto. Ma se voi sotto la sferza delle tribolazioni, delle quali abbonda questa valle di pianto, se nelle malattie, nelle disgrazie, nelle persecuzioni, come un rospo sotto il flagello, raddoppiate il veleno, prorompete in maledizioni, vomitate bestemmie, ve la prendete contro Dio, contro gli uomini, come autori dei vostri guai, mentre non ne son che gli strumenti, ohimè, voi non siete buon grano. Mirate un S. Paolo, e salutarmente confondetevi, udite questo grande Apostolo delle genti: “Io, dice egli, sono stato per ben tre volte battuto con verghe, ed una volta sepolto sotto una tempesta di pietre per amor di Gesù Cristo, e a gloria del suo santo nome: “Ter virgis cæsus sum, semel lapidatus sum pro Christi nomine(2 ad Cor. XI, 25). – Gesù stesso, dice S. Agostino, era un grano di frumento sottoposto ai flagelli de’ perfidi Giudei, “erat granum mortificandum infidelitater judeorum(Tract. 51 in Ioan.). A questi esempi, che dice la nostra delicatezza, che aborre ogni sorta di mortificazione, e che né pure nelle tribolazioni, che scansar non si possono, sa fare della necessità virtù? Finalmente il frumento, per purgarlo dall’inutile paglia, posto nel vaglio vien agitato, ed esposto allo spirar del vento, che via portando la paglia dispersa, lo lascia cader sull’aia purgato e mondo. Le morale applicazione su questo punto ce la somministra Gesù Cristo con quel che disse a S. Pietro ed agli Apostoli: “Ecce Satanas expetivit vos, ut cribraret sicut triticum”(Luc. XXII, 31). Ha concepito il demonio l’iniqua idea di ventilarvi come frumento nel vaglio. Così avvenne; gli Apostoli, i cristiani in ogni tempo sono stati dal demonio, e dai seguaci di lui, agitati nel vaglio delle persecuzioni, ed esposti al vento delle false dottrine; ma si son mantenuti saldi nella fede, e sani nel costume. Seguite l’esempio. Il nemico non dorme; non cedete ai suoi assalti, state fermi ai venti delle tentazioni, degli scandali e degli errori, e come grano purgato, farete certa la vostra elezione e salvezza. – Da queste due pitture della zizzania e del frumento potrete conoscere a quale più vi assomigliate. Se nella zizzania riscontrate il vostro ritratto, ohimè! il fuoco vi aspetta; se nel frumento, consolatevi, avete un gran segno della beata vostra predestinazione.

 

J.-J. GAUME: IL SEGNO DELLA CROCE [lett. 12-14]

Gaume-282x300

LETTERA DECIMASECONDA.

7 dicembre.

Mio caro Federico

Il segno della croce nulla ha perduto della sua forza, e della sua necessità. È vero: i tiranni sono morti, e gli anfiteatri cadono in rovina, il segno della croce ha trionfato degli uni e degli altri; ma se i secondi non più si levano dalle loro ruine, i primi, di tanto in tanto, sortono dalle loro tombe. La razza de’ Neroni non sarà giammai estinta, e la più terribile deve ancora venire! – Con un furore antico, quelli, che sono apparsi di poi i Cesari, hanno decimato i cristiani; quest’altra razza parimente immortale, è razza consacrata alla morte, come dice Tertulliano, “expeditum morti genus”. Quanto hanno fatto ieri in occidente, e quello che fanno oggi in oriente, potranno farlo domani daportutto dove comandano. Avviso a’ combattenti: nessuno dimentichi ove trovasi la sorgente della forza! Attendendo, ricorda, caro amico, che la pace ancora ha i suoi martiri, “habet et pax martyres suos”. Qual è l’uomo che non ha uno, o più Neroni? V’ha un giorno della sua vita ragionevole, e ancora un’ora, in cui egli non debba vegliare, o combattere? Che dico? venti volte al giorno degli oggetti seducenti si presentano ai suoi sguardi, de’ pensieri non buoni importunano il suo spirito, i sensi in rivolta solleticano il suo cuore a vili tradimenti. Oh! che egli ha bisogno di forza! Dove la troverà? Nel segno della croce. – La testimonianza de’ secoli, l’esperienza de’ veterani e de’ coscritti della virtù, attestano oggi, come ieri, il sovrano potere del segno divino, per dissipare gl’incanti seduttori, scacciare i pravi pensieri e reprimere i movimenti della concupiscenza. Ascolta il poeta de’ martiri, Prudenzio, che conobbe ad un tempo i dettagli dei loro trionfi ed il segreto delle loro vittorie. « Quando all’invito del sonno tu cerchi il casto letto, segna della croce la tua fronte ed il tuo cuore. La croce ti preserverà d’ogni peccato: le potenze infernali fuggono al suo cospetto; l’anima santificata per essa, non sa vacillare »“…. Fac cum vocante somno Castum petis cubile, Frontem locumque cordis Crucis figura signet; Crux pellet omne crimen, Fugiunt crucem tenebra;. Tali dicata signo Mens fluctuare nescit”. Àpud S. Greg. Turón, lib. I Miracul c. 106. Ascolta ancora il capo della eterna battaglia. I grandi genii e gran santi peritissimi dell’arte della guerra spirituale, che si chiama ascetismo, tutti non hanno che una sola voce per esortare i soldati cristiani all’uso del segno della croce. « Senti il tuo cuore infiammarsi? dice san Giovanni Grisostomo: fa il segno della croce sul petto, e all’istante istesso la collera si dissiperà al pari del fumo» [“Si succendi cor tuum senseris, pectus continuo signaculo crucis signato, et ira illieo tamquam pulvis dissipabitur”. (S. Joan. Chris. Rom.il. 88 in Matth.]. – E sant’Agostino: « Amalec vostro nemico, cerca di sbarrarvi la strada e d’impedirvi l’Avanzare? Fate il segno della croce, sarà vinto » [“Si adversarius Amalecita iter intercludere atque impedire conabitur, pro reverentissima extensione brachiorum e-jusdem crucis indicio superetur.” (S. August. Homil, 20, lib. 50, Bomil.J. ]. Ed il gran servo di Dio, Marco, che predice all’imperatore Leone l’ora della morte. « Per propria esperienza conosco come siffatto segno dissipi le interne guerre, e produca la sanità dell’anima. Immediatamente dopo il segno della croce la grazia opera: tutto si calma » [“Statini post Signum crucis gratia sic operatur : sedat omnia membra pariter et ror.” (Biblioth. PP. toni. V.)]. – San Massimo di Torino: «Dal segno della croce noi dobbiamo attendere la guarigione delle nostre ferite. Se il veleno dell’avarizia si sparge nelle nostre vene, facciamo il segno della croce, ed il veleno sarà cacciato. Se lo scorpione della voluttà ci punge, facciamo ricorso allo stesso mezzo, e noi guariremo. Se gl’immondi pensieri della terra cercano insozzarci, facciamo il segno della croce, e noi vivremo vita divina » [Apud S. Ambros. Serm. 55]. -San Bernardo : « chi è l’uomo si padrone de’suoi pensieri da non averne d’impuri? Ma son da reprimere i loro attacchi, e tosto, per vincere l’inimico là dov’egli sperava 4rionfare. L’infallibile mezzo per riuscirvi è fare il segno della croce » [De passione Dom. c. XIX, ti. 65]. – San Pier Damiano : « Se per caso sperimentate che un pensiero non buono sorga nel vostro spirito, operate col pollice il segno della croce, e siate certi che tosto svanirà » [“Cum pravam tibimet cogitationem esse persenseris, e x – tento police protinus, cor tuum signare festines, certus etc (Institut. Monast.)]. – Il pio Teberlh: “Niente v’ha di più efficace, che il segno della croce, per dissipare le tentazioni per quanto siano disonorevoli” [“Signo crucis nihil efflcacius ad turpes effugandas tentationes”. (lib. viar. Domin. c. XXI)]. – Riassumiamo tutte queste testimonianze: « Qualsiasi la tentazione, che ci appéna, conchiude san Gregorio di Tours, noi dobbiamo respingerla. Epperò fate, non vigliaccamente ma con coraggio il segno della croce o sulla vostra fronte, o sul vostro petto » [“Viriliter et non tepide Signum vel fronti, vel pectori salutare superponas”. (S. Greg. Tur. ubi supra)]. – Se fosse mestieri confermare con la storia quanto tu leggi, mille fatti lo confermerebbero. Un solo basti. È la rivelazione di che fu favorito un santo monaco a nome Patroclo, con la quale Iddio gli manifestò la potenza sovrana di questo segno contro le tentazioni. – Un di il demonio trasformandosi in angelo di luce si mostrò al venerabile abate, e con parole d’ogni maniera di astuzia gli consigliava lasciare la solitudine e tornare al mondo. L’uomo di Dio sentendosi correre per le vene come un fuoco, si prostese sul suolo e pregò il Signore, perché eseguita fosse la sua volontà. La preghiera è accolta. Un angelo gli appare, e siffattamente gli parla: “Se tu vuoi conoscere il mondo, ascendi questa colonna e tu saprai quel che si sia. Rapito in estasi il pio solitario crede avere dinanzi a sé una colonna di prodigiosa altezza, e l’ascende. Dal sommo di essa vede omicidi, furti, massacri, fornifìcazioni e tutti i delitti del mondo. Ah! esclama, Signore non permettete che io torni in un luogo di tante abominazioni. E l’angelo a lui: Cessa adunque dal desiderare il mondo, per non perire con lui; invece corri nel tuo oratorio, prega il Signore che ti dia con che sostenerti nel mezzo delle prove del tuo pellegrinaggio. Detto, fatto: trovò un segno di croce scolpito in un mattone, e tosto comprese il dono di Dio, e che questo segno è inespugnabile fortezza contro le tentazioni [Greg. Turon, Vita Patr., c. 9]. – Un martire della guerra, o un martire della pace: ecco l’uomo lungo il corso della vita. Ed alla morte che cosa è egli? Vedi questo infermo in preda al dolore ed abbandonato dal mondo, circondato da’ soli parenti ed amici impotenti a soccorrerlo? Per lo passato il tempo che fugge; per l’avvenire, l’eternità che si avanza, in cui sentasi trascinato, senza che alcuna potenza umana possa ritardare il momento della partenza, e addolcire le agonie del viaggio. – Questo malato, sei tu, mio caro, sono io, è ogni uomo ricco o povero che sia, suddito o monarca. Se lungo le guerre della vita noi abbiamo bisogno di lume, di forza, di consolazione e di speranza, dimmi, se un tal bisogno non cresce di mille tanti nelle lotte decisive della morte? E bene, il segno della croce opera tutto ciò. Per questa nuova considerazione desso fu caro ai nostri avi, e dev’esserlo ancora a noi. Come i martiri andando all’ultima battaglia non mancavano di fortificarsi col segno della croce, cosi i veri cristiani de’ secoli passati facevano ricorso a questo medesimo segno, per addolcire i dolori e santificare la loro morte: citiamo qualche esempio. – Parlando della sua diletta sorella, santa Macrina, ch’egli stesso assisté negli estremi momenti della vita, san Gregorio Nisseno cosi si esprime: « Ella diceva: Signore, per mettere in fuga l’inimico, e proteggere la loro vita, voi avete dato a quelli, che vi temono, il segno della croce. E pronunziando tali parole ella formava il segno adorabile sopra i suoi occhi, le labbra ed il cuore » [Vita di santa Macrina]. – I primi cristiani alcune volte a vece di fare il segno della croce con la mano sul punto di morire, lo facevano distendendo le braccia, e ciò appellavano il sacrifizio della sera, “sacrifìcium vespertinum”. A questo modo di fare il segno della croce Arnobio applica le parole del Salmista: L’elevazione delle mani è il mio sacrifizio della sera. Egli dice, che tale sia il nostro sacrifizio della sera, voglio dire della sera della vita, quando tutta la nostra attenzione è da porre ad elevare le nostre mani in croce, per consolarci nel Signore, nel momento, che corriamo a lui [“Tunc enim in sacrificio vespertino sumus. Ibi est tota nostra cogitationis ponenda intentio, ut levantes manus nostras, in signo crucis, dum ad Dominum pergimus, gratulemur in Christo Jesu”. (In Ps. CXL)]. – In pari attitudine morì Paolo il patriarca del deserto, come lo trovò Antonio [“Introgressus speluncam, vidit gcnibus complicatis, e recta cervice, extensisque in altum manibus, corpus exanime” (S. Hieron. De Vita S. Pauli).] – Né altrimenti san Pacomio: « Essendo sul punto di morire, scrive lo scrittore della sua vita, egli si armò del segno della croce, vide con grande gioia un angelo di luce venire a lui, e rese la sua santa anima a Dio » [Vita di S. Pacomio. c. 53]. – Della stessa maniera morì santo Ambrogio. « L’ultimo giorno di sua vita, scrive il prete Paolino,’ da poi circa l’undecima ora, fino a che egli rese l’anima, pregò con le mani distese in croce » [“Eodem tempore quo migravit ad Dominum, ab hora circiter undecima diei, usque ad illam horam qua emisit spiritum expansis manibus in modum crucis, oravit. – Paulin. in Vit. S. Ambr.]. – Da Milano passiamo a Costantinopoli. Ecco un altro Vescovo che muore. Santo Eutichio, dice il suo istoriografo, fu preso da violenta febbre verso la metà della notte, e restò per ben sette giorni in tale stato, non cessando di pregare e di fortificarsi col segno della croce [“Vehementi febre circa mediam noctem correptus e s t: atque ita mansit septem dies, assidue precibus incumbens. Seque signo crucis muniens”. (Apud Sur. 2. Jul.)]. – Compiamo il nostro viaggio in Francia ed assistiamo alla morte di qualche nostro re. Arrestiamoci ad Aix-la-Chapelle per vedervi morire il grande imperatore: L’indomani giunto, dice un Vescovo testimone oculare, Carlo Magno sapendo quel che dovesse fare distese la destra e come poté, si segnò la fronte, il petto e tutto il corpo [“Incrastinum vero, luce adveniente, sciens quod facturus erat, extensa manu dextra, virtute, qua poterat, signum sánelas crucis fronti impressit, et super pectus et omne corpus consignavit”. (Thegan. De Gestis. Ludov. Imper.)]. Tale doveva essere la morte di questo grande uomo. E suo figlio Luigi il Pio, disposti gli affari, ordinò che si recitasse presso di lui l’uffizio della notte, e che sul suo petto si mettesse una reliquia della croce, e lungo questo tempo, come le forze glielo permettevano, egli faceva il segno della croce sulla fronte e sul petto, e quando era stanco pregava il fratello di continuare [“His peractis et dictis, præcepit ut ante se celebrarentur vigilia? nocturnas, et tigno sanctae crucis pectus munirete; et quamdiu manu propria tarn frontem quara pectus eodem si gnáculo insignibat. Si quando lassabatur per manus fratris sui natu id fieri poscebat”. (Apud Gretzer, lib. IV, c. 26, p. 618)]. – Veniamo ad uno de’ suoi più degni successori, il buon re Roberto. Negli ultimi giorni di sua vita, egli non rifiniva dall’implorare il soccorso de’ santi del cielo col gesto e con la voce; si fortificava col segno della croce sulla fronte, su gli occhi, sulle narici e le labbra, sulla gola e gli orecchi, in memoria della Incarnazione, della Natività, della Passione, Risurrezione, dell’Ascensione del Signore, e della venuta dello Spirito Santo. Una tale consuetudine era stata conservata da questo principe in tutta la sua vita, e giammai trasandò d’aver con lui dell’acqua benedetta [“Dei sanctis in auxilium suum venire, voce, signis inde sinenter orabat, muniens se semper in fronte et in oculis, naribus et labiis, gutture et auribus, per signum sanctæ crucis, memoria Dominica; incarnationis, nativitatis, passionis, resurrectionis et ascensionis et Spirltus Sancti. Habuit hoc ex more in vita; cui nunquam defuit volúntate aqua benedicta”. (Helgald. in Epitom. vit. Robert)]. – Citiamo ancora Luigi il Grosso. Vedendosi presso a morte, fece stendere un tappeto sulla terra, e sopra di esso spargere della cenere in forma di croce, e fattosi deporre da’ suoi uffiziali su di questo letto di morte, che gli ricordava quello del re del Calvario, il virtuoso monarca non cessò di fare il segno della croce fino all’ultimo respiro [“Elevata aliquantulum manu omnes benedixit, rogavitque adstantes episcopo! ut sanctissimis suis manibus cum crucis signo communirent”. Aipud Sur. 25 maii]. Per finire, morire come un Dio v’ha forse qualche cosa che disonori? Quel che disonora è morire senza comprendere la morte, morire con la insensibilità delle bestie. – Tu hai visto i martiri pregare i loro fratelli di segnarli del segno della croce innanzi morissero, se da per sé non lo potessero eseguire; ora i nostri avi facevano del pari morendo di morte naturale. Oltre l’esempio di Luigi Debonnaire che tu hai letto; voglio ricordartene qualche altro de’ primi secoli, dessi mostrano la continuazione della tradizione. – San Zenobio, amicissimo di santo Ambrogio, sul punto di terminar la sua vita con una morte preziosa, elevò le mani e fece il segno della croce su quanti Io circondavano; quindi pregò i vescovi di fare sopra di lui con le mani consacrate il segno della forza, della speranza e della salute [S. Elig. De rectitud. catech. etc. inter opp. S. August. tom. VI]. – Dal letto di un prete passiamo al talamo di un semplice fedele. Una giovane con rispettoso affetto assiste la tenera ed illustre madre. Oggi quasi tutti usano prestare a’ loro più cari infermi delle cure materiali, si farebbero coscienza di trasandare la minima prescrizione del medico, ma l’assistenza cristiana? Le prescrizioni del divin medico, e della Chiesa nostra madre? qual è la loro sollecitudine a compierle? I nostri avi più intelligenti e migliori di noi a queste cure univano quelle dell’anima. A Bethelemme l’illustre figlia de’ Fabii muore. Presso del letto è Eustachio, degna figlia di tal madre. Che cosa fa quest’angelo di tenerezza ? « Dessa non cessa, dice san Girolamo, dal fare il segno della croce sulle labbra e sul petto di sua madre, studiando di addolcire le sue sofferenze con l’impressione del segno consolatore » [“Eustochium Paulæ matris os stomachumque signabat, et matris dolorem crucis impressione nitebatur lenire”. – S. Hier. in Epitaph. Paulae]. – Tu il vedi: nella vita ed alla morte il segno della croce era presso i nostri avi il mezzo costantemente usato per ottenere a sé ed agli altri lume, forza, rassegnazione, coraggio e speranza. Il segno della croce è dunque gran cosa! esclamava un testimone di questi ammirabili effetti: “Magna res signum crucis” [Apud Sur. 10 Aug.]! Domani noi vedremo la sua efficacia in un nuovo ordine di cose.

LETTERA DECIMATERZA.

8 dicembre.

Povero nell’ordine spirituale l’uomo non l’è meno nell’ordine temporale : il suo corpo e l’anima non vivono che di accatto. Fra i beni necessarii al corpo ve n’hanno due, mio caro, che voglio ricordarti : la sanità, e la sicurezza. Il segno della croce ci procura con efficacia l’una e l’altra. – La sanità. Il Verbo eterno è la vita vivente e vivificante. L’evangelo parlandoci di Lui quando viveva nel mezzo degli uomini ci dice una parola quanto semplice, altrettanto sublime : Una virtù emanava da lui che guariva tutte le infermità; “virtus de illo exibat et sanabat omnes”. L’istoria c’insegna che questa parola può intendersi a cappello del segno della croce. – Che i primi cristiani si servissero del segno della croce a guarire le malattie, nulla v’ha di meglio dimostrato. San Cirillo e san Giovanni Crisostomo, uno patriarca di Gerusalemme e l’altro di Costantinopoli, affermano con ogni asseveranza, che il segno della croce continuava a guarire le infermità e i morsi delle bestie feroci al loro tempo, come all’epoca de’ loro maggiori [“Hoc Signum ad hodiernum diem curat morbos”. (Cateeh. XIII; S. Cris., hom. 54, in Math.]. – Veniamo alle prove: Tutti i sensi dell’uomo sono soggetti a delle infermità. Cominciamo dal più nobile, la vista. Se invece d’impallidire di continuo su gli autori pagani i giovani leggessero gli atti de’ martiri, troverebbero in quelli di san Lorenzo il gran miracolo, che ancora celebra la Chiesa, qui per signum crucis coecos illuminavit. L’illustre arcidiacono di Roma era entrato in una casa di un cristiano, dove trovavasi il cieco Crescenzio. Questi distruggendosi in lagrime si gettò ai suoi piedi dicendo: “Mettete la vostra mano sugli occhi miei, perché io veda”. Il beato Lorenzo profondamente commosso gli risponde: “Il nostro signore Gesù, che ha aperti gli occhi al cieco, ti doni la vista”. E si dicendo, fa il segno della croce su gli occhi di Crescenzio, che tosto vide la luce ed il beato Lorenzo [Vita del santo scritta da S. Oven vesc. di Raven, c. XXIX]. – Il dotto Teodoreto ci racconta quanto segue della propria madre: « Mia madre aveva tale una infermità negli occhi, che inutilmente la medicina aveva posto in uso tutti i suoi mezzi contro di essa. Tutti i vecchi volumi ed autori interrogati, nessuno dava mezzo a guarirne. In tale stato noi eravamo, quando un’amica venne a vedere mia madre, e le parlò d’un certo santo uomo per nome Pietro, e contolle d’un miracolo da esso operato. Ella diceva: La moglie del Governatore d’Oriente era affetta dallo stesso male: si diresse a Pietro dimorante a Pergamo, « questi la guarì pregando per lei, e facendo sopra di essa il segno della croce. Mia madre non perde un istante; corre per l’uomo di Dio, si getta ai suoi piedi e lo prega della guarigione. E questi a lei: “Io non sono che un povero peccatore, io non ho punto presso Dio il potere che voi credete”. Mia madre raddoppia le preghiere, e lagrimando protesta che non partirebbe se non guarita. Dio, riprese Pietro, è il medico di questi mali; egli esaudisce quelli che credono. Desso vi esaudirà non per i miei meriti, ma per la vostra fede. Se questa è in voi vera, sincera, pura e senza esitazione, trasandate medici e medicine, ed accettate il rimedio che Dio vi offre. Si dicendo, distese la mano su l’occhio, e fattovi il segno della croce il male disparve » [“Haec cum dixisset, manum imposuit oculo, et salutane crucis signo facto, morbum expuiit”. [Hist. ss. Patr. in Petr.]. – De’ fatti men lontani da noi ti mostreranno che questo segno attraversando i secoli non ha mai cessato di essere il migliore degli oculisti. S. Eloi vescovo di Noyon, passando uno de’ ponti di Parigi, guarì un cieco, che invece di chiedergli un soccorso, lo pregò che lo segnasse su gli occhi col segno della croce [Mabillon, Vita del santo, torn. 11]. – Uri simile miracolo leggesi nella vita di S. Frobert abate di un monastero presso Trojes nella Champagne. Era ancora fanciulletto, quando la madre cieca da più anni lo prese sulle sue ginocchia, e carezzatolo lo pregò di fare il segno della croce sopra i suoi occhi. Sulle prime il giovane santo si ricusò; ma, dietro le instanze materne, invocò il santo nome del Signore, fece il segno della croce richiesta, ed al momento la madre riebbe la vista [Atti di S. Seb.] – Il Mabillon nella vita di S. Bernardo cita oltre trenta ciechi di ogni età e condizione, che in Francia, Italia ed Alemagna furono guariti, alla presenza de’ re e de’ principi, col mezzo del segno della croce [Mabillon ubi supra]. – Dalla vista passiamo all’ udito. Come N. S. il segno della croce rende l’udito a’ sordi, e la loquela ai muti. Eccoci in Roma e nel palazzo del Prefetto: un giovane e brillante ufficiale è innanzi a noi, per nome Sebastiano. Questo nome illustre è ignoto nei collegi. Tu apprenderai ai tuoi compagni che S. Sebastiano comandava la prima coorte pretoriana al tempo di Diocleziano, che, alla moderna vuol dire, colonnello di un reggimento della guardia imperiale. Dotato di eloquenza pari al suo coraggio, egli usava i doni di Dio ad animare i martiri, che ogni giorno venivano tradotti al pretorio. In uno fra questi, Zoe femmina del prefetto ebbe la ventura di ascoltare uno di questi discorsi. Tuttavolta pagana, fu si commossa, che gittossi in ginocchio, e, comeché muta da poi sei anni, col gesto faceva intendere di voler essere cristiana. Fu intesa. Un segno di croce sulle labbra le diede la parola, di che, il primo uso che fece, fu in dimandare il battesimo [“Signavit eum Pater… et continuo dolor et omnisque tumor ascessi” (Mabillon vita lib. VI, c. 5, n. 17] – Tu dirai loro altresì, che con lo stesso mezzo l’immortale abate di Chiaravalle, san Bernardo, ha guarito un numero immenso di sordi e muti. A Cotogna una giovinetta sorda e muta; a Bourlemont un fanciullo sordo e muto dalla natività; a Bile un sordo; a Metz un sordo al cospetto di una folla immensa; a Costanza, a Spira, a Maastricht de’ sordi e de’ muti; a Troyes una giovinetta zoppa e muta alla presenza de’ vescovi Geoffrai di Langres, e di Enrico di Troyes. In fine, a Chiaravalle un fanciullo sordo-muto, che attendeva da quindici giorni il suo ritorno [“Ut signum sancte crucis expressit, confestim omnis vigor per membra diffunditur. (Vita cap. XLVI)].Mentre il Santo soggiornava a Spira, dove operava molte miracolose guarigioni, arrivò Anselmo vescovo di Havelsperg, cui una infermità di gola rendeva pressoché impossibile l’inghiottire ed il parlare. Voi dovreste guarirmi, disse questi a S. Bernardo. E S. Bernardo piacevolmente a lui: “Se voi aveste la fede di queste buone femmine, io potrei, può essere, operar su di voi in pari modo”. – “Se la mia fede non basta, riprese il Vescovo, mi guarisca la vostra”. Allora il Santo lo toccò facendo su di lui il segno della croce, ed all’instante istesso l’enfiagione ed il dolore sparirono [ Fleury, Hist. Eccl., lib. XXIV, n. 28.]. – II tatto è il senso sparso in tutto il corpo, epperò presenta agli attacchi delle infermità maggior presa. Come allontanare tutti i mali, gli uni più dolorosi degli altri, a cui è esposto? Per quanto numerosi siano, consola il pensiero che nessuno di essi sfugge alla potenza salutare del segno della croce, che, con la sua virtù, ricorda quella di colui, che guariva ogni maniera d’infermità ira gli uomini, “omnem languorem in populo”. – Uno de’ vescovi venuto in gran fama di santità, che abbia governato la diocesi di Parigi, è S. Germano. Questi conducevasi un giorno a render visita ad Ilario vescovo di Poitiers, suo degno collega. Sul suo passaggio due uomini gli presentarono, con pena, una donna muta e priva dell’uso delle gambe. Tosto che il Santo ebbe fatto il segno della croce sopra di essa, dessa ricuperò la favella e le gambe di modo, che dopo tre giorni si condusse a render grazie al suo benefattore [“Mox multa eius membra cruce consignât, et ille se sentit incolumis.” Vit., lib. IV]. – Un miracolo simile fu operato da S. Eutimio, il grande arcivescovo di Palestina. Terabone, figlio del governatore de’ Seraceni nell’Arabia, fin dalla fanciullezza aveva perduto per paralisi la metà del corpo; com’ebbe inteso parlare della virtù del santo Abate, si fece condurre presso di lui in compagnia del padre e della madre, con numeroso seguito di barbari. Il Santo lo segnò con la croce, e tosto guarì. Siffatta guarigione produsse la conversione de’ suoi genitori non solo, ma ancora de’ Saraceni compagni di viaggio, e spettatori del miracolo [Vit., lib. IV., c. 41, Vita, lib. II]. – Gran tempo dopo questo miracolo, che aveva rallegrato l’Oriente, un simile fu operato da San Vincenzo Ferreri a Nantes in Francia, nella persona di un uomo paralitico da 18 anni, che gli fu presentato perché lo benedicesse. Non ho oro, nè argento, disse il Santo all’infermo, ma pregherò il Signore perché ti conceda la sanità dell’anima, e del corpo. Come ebbe detto tali parole fece il segno della croce sulle membra dell’infermo. Il paralitico guarisce, si alza, e rende grazie a Dio ed al suo benefattore, torna a casa sua, senza più nulla risentire del passato malore! [Mabillon ubi supra, Lib. IV, c. 6, n. 33]. – È tale alcuna volta la forza del dolore da far perdere il bene dell’intelletto e la sanità dell’anima a’ poveri figli di Adamo; ma il segno della croce spinge la sua forza in queste nuove trincee del male. Edmer, istoriografo di S. Anselmo Arcivescovo di Cantorberi racconta, che questo Santo andando a Cluni, guarì col segno della croce una femmina affetta di follia, e furiosa. S. Bernardo operò lo stesso a Sechigen, e a Cologna. In quest’ultima città gli fu presentata una femmina frenetica per la morte del marito, che usava delle sue esaltate forze contro sé stessa di modo, da doverle assicurare le braccia con catene. Il Santo ebbe pietà di lei; fece il segno della croce sopra di essa, e tosto tranquilla rivenne all’uso della ragione. – Il Verbo Redentore, che il Vangelo mostra, come il medico di febbri ostinate, ha comunicato al segno della croce la virtù di operare simile prodigio. S. Prix Vescovo di Clermont nell’Alvernia, essendo venuto nel Monastero di Dorange, vi trovò l’abate Amarin infermo di pessima febbre, di maniera, ch’eragli impossibile camminare e prendere cibo. Il santo Vescovo ricorse all’arma sua ordinaria e pagò il suo scotto con un miracolo, risanando col segno della croce siffattamente l’infermo, che andò perfettamente guarito della infermità sua [“Cura vexilluiu crucis super ægrum fecisset, protinus, fugata febre, sanatus aeger surrexit” Vite de’ SS. 25 Jan.]. – Dello stesso potere è dotato contro una malattia più difficile a guarire ; l’epilessia. Nella vita di S. Malachia, Arcivescovo di Armagli, morto a Chiaravalle, S. Bernardo dice : « Inanzi partisse per Roma, dove si conduceva per ricevere il pallio da Eugenio III, il santo Arcivescovo guarì un epilettico col segno della croce». E S. Bernardo istesso operò simile prodigio nella persona di una giovinetta della Champagna a Troyes [“Signavit eam statimque locuta est”: Mabillon, ubi supra, c. XIV, n . 47. – Secondo l’esempio da me datovi, guarite i lebbrosi, aveva detto N. S. I Discepoli raccolsero questa parola, la cui virtù divina è passata nel segno della croce. La fama di Francesco Saverio era sparsa in tutte le Indie, e dessa faceva accorrere presso il Santo i lebbrosi da tutti i luoghi, per ottenere la guarigione tante volte inutilmente sperata. Uno fra questi, non osando di comparire in pubblico, pregò il Santo di condursi presso di lui. Il Saverio non poté soddisfarlo, ed in sua vece commise ad un compagno una tal visita, dicendogli di domandare per tre volte all’infermo se crederebbe al Vangelo, ove venisse guarito, e che dopo tale promessa lo segnasse per tre volte col segno della croce. Tutto fu eseguito come il Santo avea detto, ed il lebbroso guarì [Vita, lib. V, p. 347]. – Innanzi procedere più oltre, credo esser mestieri, mio caro, il ricordarti una osservazione di S. Giovanni Crisostomo, da aver presente ragionando dell’azione del segno della croce, sia nella guarigione delle malattie, che per l’allontanamento de’ tristi accidenti. Se alcuna volta i mali non sono guariti e le calamità allontanate, tutta volta il segno della croce convenevolmente sia eseguito, non è difetto di potere del segno, ma perché questi mali ci sono utili prove [“Morbis imperans terribile est hoc nomen, et si non abigerit morbum, non hinc est quod infirmimi sit hoc nomen, sed quod utilis est morbus”. Ad Coloss. II, homil IX]. – V’ha una infermità non meno crudele della lebbra, ma più comune: il cancro. Ma questa come tutte le altre infermità umane non resiste alla potente azione della croce. Ascolta quanto narra S. Agostino testimone oculare. « A Cartagine una nobilissima donna per nome Innocenza aveva nel petto un canchero stimato da’ medici incurabile. – Il medico nulla le aveva nascosto del suo stato, ed Innocenza, posta in Dio ogni sua fiducia, da lui solo attendeva la guarigione. Una notte, verso la Pasqua, è avvertita in sogno di condursi al battistero nel luogo delle donne, e di far fare dalla prima catecumena che trovasse, il segno della croce sul membro infermo, ubbidisce, ed è guarita. Il medico meravigliato trovandola risanata, volle saperne il come. La donna tutto gli narrò. Il medico con grande indifferenza, il che faceva temere alla donna dicesse qualche parola contro N. S., disse: Io mi attendeva qualche cosa straordinaria. E vedendola inquieta, soggiunse: “Che v’ha di meraviglioso che Gesù Cristo abbia guarito un cancro; Egli che ha dato la vita ad un morto dopo quattro interi giorni!” [“Quid grande fuit Christus sanare cancrum, qui quatriduannui mortuum suscitavit.” Aug. de Civ.Dei, lib. XXII, c. 8]. – A tutte queste infermità naturali spesso si congiungono gli attacchi delle bestie feroci e velenose, per togliere all’uomo la sanità e la vita. Contro esse gran rimedio è il segno della croce. Il santo anacoreta Tolasce, scrive Teodoreto, viaggiando fra le tenebre della notte, calpestò una vipera. Il rettile furioso lo morde nella pianta del piede. Il Santo s’inclina, porta la destra sulla ferita, e la vipera gliela morde, come altresì la sinistra accorsa al soccorso della destra. La bestia di tutto ciò non contenta, lo addentò per circa dieci volte, e poi si cacciò nella sua tana, lasciando la vittima in preda ad intollerabili dolori. In siffatto stato il servo di Dio crede non dover far ricorso a medicine. Per guarire le ferite si contentò impiegare i mezzi della fede: il segno della croce, la preghiera, e l’invocazione del santo nome di Dio ([“Sed neque tunc passus est uti arte medica, sed vulneribus adhibuit sola fidei medicamenta, crucisque signaculum, et orationem, et Dei invocationem.” (Tbecdoret. in Thalass).]. Padrone della vita, N. S. , lo è ancora della morte. – Questo impero sovrano si trova nel segno della croce. Ecco quanto leggesi nella vita di S. Domenico. Predicava il Santo in Roma: una dama, per nome Guttadona, devotissima di lui, per assistere al suo sermone, aveva lasciato a casa un figlio infermo, al suo ritorno lo trovò morto. Senza dar sfogo al materno dolore, assembra le sue donne e porta il fanciullo a S. Domenico. Lo incontra alla porta del convento di S. Sisto, depone il morto a’ suoi piedi, e disfacendosi in lacrime, gliene domanda la vita. Il Santo commosso s’inginocchia, e dopo breve preghiera fa il segno della croce, prende il fanciullo per la mano e lo rende in vita alla madre pregandola di profondo segreto. Ma che! la buona donna nell’eccesso della gioia pubblicò l’avvenuto miracolo in tutta Roma [Vita di S. Dom., lib. II, c. 3]. – Tu il vedi chiaro, mio caro Federico, io mi son contentato di citare uno o due fatti per ciascuna malattia, che se tutti rapportar si volessero, molti volumi non potrebbero neppure contenerli. S. Agostino, S. Crisostomo, S. Cirillo, S. Efrem, S. Gregorio Nisseno, S. Paolino e cento altri testimoni dell’Oriente e dell’Occidente di tutti i secoli mostrano, con migliaio di fatti, che il segno adorabile di Colui ch’è venuto per guarire ogni infermità, non ha mai cessato dal rendere la vista ai ciechi, l’udito ai sordi, la parola ai muti, la sanità agl’infermi e la vita ai morti. – Ecco l’istoria. È mestieri accettarla come è, o farne in pezzi le pagine e cader nello scetticismo: o farne un’altra più sapiente, più coscienziosa e veridica. Domanda a’ tuoi compagni se hanno polsi da ciò, e quando dessa sarà’ compilata, noi vedremo. A domani.

LETTERA DECIMAQUARTA.

9 dicembre.

Il segno della croce potente a rendere la sanità e la vita, mostra ugual potere, mio caro Federico, contro quanto può comprometterla. Qui ancora i fatti abbondano, ma i limiti di una lettera non mi consentono altro che citarne alcuni. Di poi la rivolta originale, tutti gli elementi sono sottoposti all’influenza di satana, congiurano contro l’uomo, l’aria, il fuoco, l’acqua, e che so io! gli fanno una guerra continua, e soventi volte mortale. A nostra difesa l’arma universale stabilita è il segno della croce! – Il Signore, la cui voce comanda ai venti ed alle tempeste, loro parla per lo mezzo di questo segno. Leggiamo di Niceta Vescovo di Treviri, che viaggiando alla volta della sua diocesi si addormentò sulla nave, che aveva noleggiata. A mezzo del corso levasi furiosa tempesta, che squarciate le vele, messi in pezzi gli alberi, minacciava la nave di certo naufragio. I viaggiatori spaventati lo destano. Ed egli, tranquillo fa il segno della croce sulle onde in furore, e queste placatesi lasciano succedere la calma alla furiosa tempesta (1). (1) [“Excitatus quoque a suis fecit Signum crucis super aquas, et cessavit procella.” (S. Greg. Turon. Dt glor. confes. c. XVII.)]. – È fede cattolica espressa nel Pontificale Romano che satana sia l’autore di molte tempeste, e, nell’aria, dimora di lui e degli angeli suoi, esercita particolare e trista influenza. Soventi volte egli reca di tali uragani per disertare le campagne, e soprattutto per far guai agli uomini da bene, che si studiano distruggere il suo impero. Di questi fenomeni, di fatti, usava per rendere inutile la predicazione di Vincenzo Ferreri. Il Santo, atteso il numero della gente, che d’ogni dove si traeva ai suoi sermoni, non poteva predicare in chiese, che anguste tornavano a contenere tanto popolo, ma su per le piazze, e queste erano sempre gremite di fedeli, ebrei, e maomettani, che per i sermoni di Vincenzo si rendevano cattolici, o se lo erano, divenivano migliori. Satana a distorre tanto bene usava quest’arte. Raccoglieva venti e nubi, suscitava tempeste tali, che il popolo impaurito si cacciava nelle case, e solo restava Vincenzo. La più terribile di tutte le tempeste fu quella suscitata in una borgata di Cotogna. Il Santo, secondo il suo solito dopo la Messa, innanzi deponesse i sacri paramenti, col segno della croce e con l’acqua benedetta, fattosi alla porta della chiesa, costrinse satana a restar tranquillo tutto quel giorno [“Sparsit aquam sacratam, ed deinde crucis expressit Signum; illico tempestas dissipatur…. saepissime…. ortas tempestates crucis signo compescuit. (Vit. lib. III)]. – Come l’aria cosi il fuoco ubbidisce al segno della croce. S. Tiburzio, figlio del Prefetto di Roma, è condannato a bruciar l’incenso ai falsi numi e camminare sul letto di fuoco. Il giovane martire fa il segno della croce, e senza esitare si avanza nel mezzo delle braci, ed in piedi e nudo, « Rinunzia, dice egli al giudice, adesso ai tuoi errori, e riconosci che non v’ha altro vero Dio che il nostro. Metti, se te ne basta l’animo, la tua mano nell’acqua bollente in nome di Giove, e questo che chiami Dio le impedisca di recarti nocumento alcuno. Per me, mi sembra un letto di rose questo che calpesto » [Atti di S. Sebast.]. – Sulpizio Severo racconta, come saputolo da S. Martino istesso, che una notte il fuoco si appiccò alla stanza del santo taumaturgo delle Gallie. Egli si risveglia, e confuso si studia estinguere il fuoco; ma inutili tornarono gli sforzi! Rasserenatosi, non più pensa né a salvarsi, né ad estinguere il fuoco, ma, fiduciando in Dio, fa il segno della croce. Le fiamme si dividono, e piegandosi in arco sul capo di lui, gli lasciano continuare la preghiera [Ep. 1 ad Euseb. Praesbyt.: e Vita di S. Martino, lib. X]. – Lascia che io ti parli di un fatto personale del gran Vescovo. Inimico instancabile dell’idolatria, Martino, aveva abbattuto un tempio d’idoli quanto antico, altrettanto in gran fama, e restava solo un gran pino, che sorgeva d’allato al tempio. Egli volevalo distrutto, comeché oggetto di superstizione; ma i sacerdoti degli idoli ed i pagani vi si opponevano a tutt’uomo. In fine, questi dissero al coraggioso vescovo: “Poiché tu hai tanta fiducia nel tuo Dio, noi abbatteremo l’albero a patto, che tu resti sotto di esso quando cadrà. La condizione fu accettata. Un popolo immenso si assembra e gremisce lo spazio dove l’albero doveva essere abbattuto; alla presenza di esso S. Martino lasciasi legare e mettere su quel punto verso cui l’albero inclinava. Ai compagni del Santo un fremito correva per le vene, che l’albero a metà asciato pendeva su Martino, e fra pochi istanti ne sarebbe schiacciato: ma l’uomo di Dio era tutto tranquillo, ed elevata la mano, fa contro il cadente albero il segno della croce. A questo segno l’albero si erge, e come spinto da violentissimo vento cade dalla parte opposta. Un grido d’ammirazione si eleva, e non v’ha quasi alcuno che non domandi il battesimo! [Ubi supra.]. – Questo avvenimento accaduto nelle Gallie è ripetuto in Italia. Onorato, santo abate, e fondatore di un monastero di Fondi, che raccoglieva 200 monaci, vide minacciata l’opera sua di totale ruina. Un gran monte era a cavaliere del monastero, e dal sommo di esso staccasi tale un macigno, che rotolando giù per la china avrebbe schiacciato e monastero, e frati. Onorato accorre; invoca il santo Nome di Dio, distende la mano destra ed oppone al macigno il segno salvatore. L’enorme massa si arresta, ed immobile si tiene sul pendio del monte sino ai giorni nostri [ S. Greg. (Dial., lib. I. c. 1)]. – Dall’occidente passiamo all’oriente, e noi troveremo che la potenza sovrana di questo segno non è limitata per differenza di latitudine, né di longitudine. Ascolta S. Girolamo. Il terremoto che seguì la morte di Giuliano l’apostata portò il mare fuori i suoi limiti, e quasi Dio avesse minacciato il mondo di un nuovo diluvio, o che l’universo dovesse rientrare nel caos, le navi si trovarono su i monti spintevi dal furore de’ flutti. Gli abitanti d’Epidauro spaventati per le grandi masse di acqua, che cadevano su i monti, e temendo che la patria fosse trasportata da esse, si condussero presso il santo vecchio Ilarione, e presolo, lo condussero alla loro testa quasi ad una battaglia, contro le acque. Giunti alla riva, il santo fece per tre volte il segno della croce sull’arena. A questo segno le acque si gonfiano, ascendono ad una altezza incredibile come irritate dell’ostacolo, che loro opponeva Ilarione; ma, dopo poco tempo, abbonacciate, rientrano nel loro letto senza più sorpassare il sacrato limite. Epidauro e tutta la contrada pubblicano questo miracolo, e le madri lo raccontano a’ figli perché la posterità ne risapesse [“Qui cum tria crucis signa pinxisset in sábulo, manusque contra tenderet, incredibile dictu est in quantam altitudinem intumescens mare ante eum steterit, ac diu fremens et quasi ad obicem indignans, paulatim in scmetipsum relapsum est”. (Tif. S. Hilarión, vers. fin.]. – Eccoti un altro fatto analogo, ma più recente. Mezey istoriografo francese narra che le pioggie del 1106 avevano fatto straripare i fiumi ed i laghi di modo, che le innondazioni producevano un nuovo diluvio. Le sole preghiere e le processioni furono potente rimedio contro questo flagello, e , come fu fatto il segno della croce sulle acque, incontanente entrarono nel loro letto [Ist. di Francia, tom. II, p. 135]. – Se la verga mosaica, figura della croce, ha potuto dividere le acque del Mar Rosso, e tenerle sospese come monti, perché il segno istesso della croce non potrà rientrare le acque nel loro letto? Torniamo all’immortale Tebaide, e lascia che io dica una qualche meraviglia, di che i suoi angelici abitanti furono gli attori, ed il segno della croce strumento. Uno di essi, Giuliano, chiamato Sabas, o il vecchio da’ capelli bianchi, traversando l’arida solitudine, s’imbatte in un enorme dragone. Lo spaventoso animale getta sovra di lui uno sguardo sanguigno, apre l’affamata gola, e si slancia per divorarlo. Il venerabile senza scomporsi rallenta il passo, invoca il nome di Dio, fa il segno della croce: il mostro stramazza morto [“At ego Dei nomen appellans, digitoque trophaeum crucis ostendens, et omnem metum excussi, et belluam extemplo corruentem vidi”. (Theodoret. Relig. hist., c. 2]. – Più lontano, osserva Marciano, solitario della Siria, che rinnova lo stesso prodigio. Egli pregava alla porta della sua stanzuccia quando Eusebio, suo discepolo, gli grida di lontano per avvertirlo che un rettile mostruoso, poggiato sul muro dalla parte d’oriente, è per slanciarsi sopra lui e divorarlo, e però si desse alla fuga. Marciano riprende il discepolo di siffattamente impaurirsi; fa il segno della croce, e soffia contro la spaventevole bestia. Si vide allora l’effetto della parola primitiva: “Metterò una guerra a morte fra la tua razza e la sua”. Il fiato uscito dalla bocca del santo fu come un fuoco, che invase di modo il dragone, che cadde in pezzi come bruciata canna [“Digito crucis signum expressit, et ore insufflans, veteres inimicitias pate fecit ; mox enim draco, spiritu oris, veluti fiamma quadam correptns, exustae instar arundinis, in multas partes dissectus est”. (Ibid. c. 3]. – Sarebbe facile narrare i molteplici fatti che hanno avuto luogo in queste celebri contrade; ma per riunire le meraviglie dello stesso genere percorriamo l’Italia, serbandoci tornare in Oriente. S. Gregorio il grande racconta che S. Amanzio, prete di Tiferno, oggi città di Castello nell’Umbria, aveva tale impero su i serpenti i più temuti e terribili, che queste bestie non potevano restare in sua presenza. Un segno solo di croce faceva morire quanti ne incontrasse, e se per salvarsi si cacciavano in qualche buco, lo chiudeva con lo stesso segno, e la serpe n’ era estratta morta da una potenza invisibile. Era un vero compimento delle parole del Signore: “Uccideranno i serpenti”, [“serpentes tollent”] – [“In quolibet loco, quamvis immanissimae asperitalis ser-pentem repererit, mox ut eum signo crucis signaverit, estingui”. (S. Greg. Dialog., lib. IH, c. 35)]. – Tu sai che N. S. aggiunge immediatamente: « E se » eglino beveranno alcun che di avvelenato, non ne avranno nocumento alcuno, “Et si mortiferum quid biberint, non eis nocebit ». Qualche prova tra mille. La città di Bosra nell’Idumea aveva a vescovo S. Giuliano. Alcuni notabili, in odio della religione, stabilirono avvelenarlo; all’uopo corruppero il servo del vescovo perché apprestasse il veleno al padrone in una coppa. Lo sciagurato ubbidisce. Il santo divinamente sapendo quanto sul conto suo si facesse, depone la tazza, e dice al servo: Va da mia parte presso i principali abitanti, ed invitali a pranzar meco. Egli sapeva essere fra questi i rei. Tutti accettarono l’invito. Allora il santo, che non voleva diffamare nessuno, disse con estrema dolcezza: Poiché volete avvelenare il povero Giuliano, ecco il veleno, io lo beverò. Ciò detto, segnò per tre fiate la coppa, dicendo: “In nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo io bevo questa tazza”. Egli la beve sino all’ultima gocciola, senza averne nocumento alcuno. A sì strano spettacolo gl’inimici gli caddero ai piedi implorando perdono [“Voce mitissima omnibus dixit: si arbitramini humilem Julianum vencno occidere, ecce coram vobis pestiferum calicem bibo: signansque ter digito suo calicem, et dicens: In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti bibo hunc calicem, bibit illuni coram omnibus tot uni, atque illaesus perstitit. Quod illi cum vidissent, prostrati veniam petiere. (Sophron. in Prat. Spirit.)]. – È mestieri essere bacelliere del secolo decimonono per ignorare il fatto seguente. Se v’ha una vita da esser nota a tutti, è per fermo, quella del patriarca de’ monaci di occidente, Benedetto. Nuovo Mosè, a lui ed ai suoi figli l’Europa deve l’esser stata sottratta alla barbarie. Mostrate una landa materiale o morale che dal Benedettino non sia stata dissodata? Un principio civilizzatore che non sia stato coltivato, insegnato e praticato? Dio sa a prezzo di quali sacrifìzii! Quel che sappiamo si è, che satana, vecchio Faraone, non rincula d’innanzi ad alcun mezzo per impedire l’opera liberatrice; epperò come Benedetto si raccoglie nella solitudine, gli si assembrano d’intorno alcuni monaci, indegni di tal nome, supplicando il santo di rendersene direttore. Questi loro impone una regola, e con la parola e 1’esempio cerca accostumarli al giogo della disciplina. Vani sforzi! Gli esempi feriscono l’orgoglio de’ frati, le parole ne provocano la collera e ne accendono l’odio. La risoluzione è presa; il superiore deve morir di veleno: pensato, fatto. Un bicchier di vino avvelenato gli è presentato, perché, secondo il costume, lo benedicesse. Benedetto lo benedice, ma il bicchiere va in mille schegge. Il santo comprese che una coppa di morte gli era presentata, che non poteva reggere al segno della vita [“Extensa manu Benedictas Signum crucis edidit, et vas quod longius tenebatur, eodem signo rupit, sieque confractum est, ac si in illo vase mortis pro cruce lapidem dedisset. Intellexit protinus vir Dei quia potum mortis habuerat, quod portare non potuit Signum vitae”. (S. Greg. Dialog., lib. II, c. 3)]. – Per questi esempi e per mille altri di simil fatta t’è facil cosa comprendere qual potente preghiera sia il segno della croce, quante grazie ne apporti, e come preservi questa nostra fragile esistenza da’ pericoli che la minacciano e circondano. – In Francia, nella Spagna e nell’Italia e credo nelle altre regioni, i cattolici costumano segnarsi al tuono della folgore, e quando lampeggia. Gl’indifferenti se ne burlano, come se i veri cattolici de’ secoli scorsi, che ci precedettero, fossero tutti spiriti da nulla e superstiziose femminucce. Ora ne’ casi indicati ed in tutti i pericoli noi vediamo il segno della croce in uso presso i cristiani dell’oriente e dell’occidente, sino da’ primi tempi della Chiesa. S. Efrem, S. Agostino, S. Gregorio di Tours, mille altri testimoni, l’han visto per noi e l’attestano. « Se il lampo squarcia le nubi, dice il santo Diacono di Edessa, se la folgore scoppia, l’uomo s’impaura, e tutti intimoriti c’inchiniamo verso la terra » [“Si repente fulgur aliquod, vel tonitruum clarius ac vastius contingat, omnem subito sui formidine perterrèt hominem, cunclique horrore perculsi in terram nos inclinamus”. (S. Ephrem. Serra, de Cruc). – Il Santo parla del segno della croce, e benché non lo nomini, è evidente che esso aveva luogo in questa circostanza, poiché non si mancava di farlo ad ogni istante e nelle azioni le più ordinarie]. – S. Angostino parlando di quelli, che usano mondane riunioni, aggiunge: « Se un qualche accidente loro mette paura, tosto formano il segno della croce » (2). (S) [“Si forte aliqua ex causa expavescunt, continuo se signant.” Aug.,lib. 50 homel.: homel. XXI]. – S. Gregorio racconta, come cosa nota a tutti, che sotto l’impressione di un timore ed a vista di qualsiasi pericolo, i cristiani facevano ricorso al segno protettore. Fra mille fatti il seguente ne sia prova [S. Greg. Turon., lib. Il miracul., S. Martini, c. 45]. – Due uomini si conducevano da Ginevra a Losanna. Un uragano violento li sorprende, accompagnato da spessi lampi e tuoni. Uno de’ viaggiatori, secondo l’uso cristiano, fa il segno della croce, e l’altro beffandosene gli dice: Che? scacci le mosche ? Lascia le superstizioni da femminette. Simili anticaglie disonorano la religione, e sono indegne di un uomo illuminato! Non ebbe detto ciò, che un fulmine lo stende morto a’ piedi del compagno. Questi continuò a difendersi col segno salutare; compì il suo viaggio prosperamente, e propalò da per tutto l’accaduto [Tilman.. Collec. de’ Santi, lil. VII, c 58]. – Avviso agli spiriti forti! – Il segno della croce non protegge solamente la umana vita, ma quanto gli appartiene: desso è pegno di sicurezza. Quindi l’uso universale di apporre siffatto segno sulle case, nei campi, su i frutti e gli animali. « I cattolici , dice il grave Stuckius, hanno delle preghiere accompagnate dal segno della croce per ciascuna creatura, per le acque, le foglie, i fiori, l’agnello pasquale, il latte, il miele, il formaggio, il pane, i legumi, le uova, il vino, l’olio ed i vasi a contenerlo. In ciascuna formula di benedizione eglino domandano espressamente che la malefica potenza di satana ne sia allontanata, e pregano Dio per ottenere la sanità dell’anima e del corpo ». II giorno della Risurrezione benedicono il latte, il miele, le vivande, le uova, il pane, quanto si conserva ed è considerato’ come salutare all’anima. Il giorno dell’Ascensione, le erbe, le piante, le radici per loro comunicare una virtù divina. Il giorno di S. Giovanni il vino, considerato, senza tale benedizione, come impuro e male. Il giorno di S. Giovanni i pascoli; ed in quello di S. Marco le messi. E con ciò eseguono il comando di S. Paolo, che impone a’ fedeli di benedire quanto serve alla vita, e renderne grazie a Dio; uso misterioso, di che i Teologi apportano eccellenti ragioni [“Cuius sane rei a theologis, et quidem optimae, gravissima que rationes afferuntur”. Stukius Àntiq convivivi, lib. II, C. 36, p. 430′]. – Queste creature liberate, mercé il segno della croce, dalla influenza di satana, diventano strumento della inesausta bontà del Creatore ». – Leggesi in S. Gregorio di Tours, che una malattia distruggeva siffattamente il bestiame da temerne fin la perdita [“Mox dicto citius, clandestina peste propulsa, pecora liberala sunt”. s. Grog. Turon., lib. Ili Mimati. S. Martin, c. XVIII]. – Nella loro costernazione, alcuni abitanti si condussero alla basilica di S. Martino, presero l’olio che bruciavasi nella lampada, e dell’acqua benedetta; portatisi nelle loro dimore, con essi segnarono le teste delle bestie non ancora affette, e ne diedero a bere a quelle, che non erano ancora perite: tutte furono salve.

[NOTA – Perché i fedeli possano intendere come per le benedizioni siano le cose sottratte all’azione di satana, vogliamo aggiungere a quanto dice l’autore, poche parole sulla “benedizione ecclesiastica”. Innanzi tutto è da avvertire, che benedire, da che è la voce benedizione, può avere un triplice significato. Il primo è dalla parola istessa che significa parlare vantaggiosamente di qualcuno, lodarlo, dirne del bene. Psal. XXXIII. Benedicami Augurare altresì prosperità è il secondo: Super populum tuum benedictio tua. Psal. III. Infine il terzo significa consacrare, santificare una qualche cosa, perché fosse o convenevole materia del sacrifizio o dei sacramenti, o che divenga strumento di salute sia per l’anima, che pel corpo. In quest’ultimo significato, dicesi benedizione ecclesiastica. Questo non è altro che una cerimonia ecclesiastica, con la quale la Chiesa dimanda a Dio del bene per le persone, o le cose. Distinguesi quindi dalla benedizione divina, che è conferire il bene dimandato, e dalla benedizione che ciascuno può dare, come quella de’ genitori e de’ superiori tutti. Questa benedizione ecclesiastica è di due specie, l’una invocativa, l’altra costitutiva. Per la prima si domanda a Dio il bene per la persona o la casa, senza che venga mutata la destinazione, o natura dell’oggetto per cui domandasi. Di siffatta natura è la benedizione episcopale o sacerdotale, ecc. Per la seconda le cose e le persone sono costituite in uno stato permanente di cosa sacra, religiosa, dedicata a Dio siffattamente, da non poter tornare ad uso profano. Gli oggetti e le persone siffattamente benedette possono avere un triplice fine e scopo. Sono dirette a significare e rappresentare qualche cosa di sacro come il cereo pasquale, le immagini, le palme, ecc., o ad esercitare gli uffici di religione, come i vescovi e i preti, i monaci; o a servire di mezzo a benedire, a santificare le cose e le persone, come l’acqua benedetta, gli oli, le vesti sacre. – Per la benedizione constitutiva le cose sono sottratte all’azione di satana; poiché la Chiesa per l’autorità ricevuta contro satana nella persona degli apostoli, impedisce a questo inimico esercitare le sue influenze su quanto da essa è deputato al culto divino; ed ancora perché in alcune benedizioni comincia dagli esorcismi, ed in tutte, usa sempre del segno della croce (l), che ha per suo scopo ed effetto scacciare satana, come santo Agostino: Tract. 118 in loan., et ser. de temp. 181, e san Giovanni Grisostomo, hom. 55 in Malli, insegnano. Istesso effetto è prodotto dalla benedizione invocativa. La preghiera della Chiesa è meritoria ed impetrativa, però il suo ministro pregando Dio in suo nome nella benedizione, affinché sottraesse le persone e le cose all’azione di satana, il Signore, se la sua bontà lo crede espediente per la salute de’ fedeli, ascolta la preghiera della sua sposa: Matth. VII, Luc. II. “Petite et accipietis; omnis qui petit accipit”].

Citiamo un ultimo esempio della potenza protettrice del segno della croce. S. Germano, vescovo di Parigi, si portava ad incontrare le reliquie di. S. Simforiano martire, quando gli abitanti di un villaggio, ch’egli traversava, lo pregarono di aver compassione di una povera vedova, il cui piccolo campo era divorato dagli orsi. “Vieni, gli dicevano, a vedere il povero campo, e le bestie distruggitrici fugiranno per la tua presenza”. Tuttavolta i compagni del santo si opponessero, egli si recò sul campo e lo benedisse col segno della croce. Tosto arrivarono due orsi, ma presi da furore cominciano a combattere fra loro; uno resta ucciso, l’altro gravemente ferito, che in seguito fu morto a colpi di piuoli, e la vedova nulla ebbe più a temere per la sua raccolta [Fortunati, In vita S. Germani.] – L’istoria e piena di simili fatti; ma basti per quest’oggi.

La basilica distrutta

basilica-distrutta

La basilica distrutta

Ha forse un significato simbolico la rovina a Norcia della Basilica di San Benedetto, patrono dell’Europa una volta cristiana? E’ forse il sigillo della Chiesa europea, che oramai ha perso ogni legame con il Cattolicesimo Romano? Il Patrono d’Europa ha voluto segnalare così a tutti noi che il suo patrocinio sull’Europa è decaduto, polverizzato? Roma e tutta l’Europa, come  anticipato da molteplici profezie, sono in piena e conclamata apostasia, guidate da una falsa e blasfema gerarchia che ha insediato la “sinagoga di satana” tra le mura della Chiesa Cattolica. A noi sparuti, superstiti Cattolici che vogliono con ostinazione conservare la fede in Cristo e nella sua vera ed unica Chiesa, in comunione con il Santo Padre Gregorio XVIII, non resta che attendere il ben meritato castigo e, nella penitenza e nella sofferenza, pregare il Cuore Immacolato della Vergine Maria perché abbia di noi pietà ed acceleri il suo trionfo sulle “porte del male”, onde la Chiesa di Cristo, Maestra dei popoli, e UNICA Via della salvezza eterna, possa nuovamente far risplendere nel mondo la luce della verità. La foto è perfetta: della Basilica solo la facciata è rimasta, così come solo la facciata esterna conserva la falsa “chiesa dell’uomo”, l’ecumenista e modernista blasfemo “tempio” postconciliare.