Un’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE IL MODERNISTA-APOSTATA DI TORNO: “INEFFABILIS DEUS”

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Ancora una volta la Santa Madre Chiesa Cattolica, Maestra dei cuori e dei popoli, ci offre la gioia di inebriarci della parola di Dio espressa dalla voce del Vicario di Cristo, Sapienza, Via di salvezza, e Verità incarnata. In questo giorno meraviglioso, nel quale commossi ed esultanti festeggiamo la nostra Mamma celeste, vogliamo solo gustare e meditare le parole di S. S. Pio IX, che tutto esprimono circa l’immensa portata salvifica della Concezione Immacolata della Vergine Maria, Madre di Dio.

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ENCICLICA

“INEFFABILIS DEUS”

DEL SOMMO PONTEFICE PIO IX

“SULL’IMMACOLATA CONCEZIONE DI MARIA SANTISSIMA”

AI VENERABILI FRATELLI, PATRIARCHI,PRIMATI, ARCIVESCOVI, VESCOVI E AGLI ALTRI ORDINARI AVENTI CON L’APOSTOLICA SEDE, PACE E COMUNIONE

PIO PP. IX, SERVO DEI SERVI DI DIO

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VENERABILI FRATELLI, SALUTE E APOSTOLICA BENEDIZIONE

Dio ineffabile, le vie del quale sono la misericordia e la verità; Dio, la cui volontà è onnipotente e la cui sapienza abbraccia con forza il primo e l’ultimo confine dell’universo e regge ogni cosa con dolcezza, previde fin da tutta l’eternità la tristissima rovina dell’intero genere umano, che sarebbe derivata dal peccato di Adamo. Avendo quindi deciso, in un disegno misterioso nascosto dai secoli, di portare a compimento l’opera primitiva della sua bontà, con un mistero ancora più profondo – l’incarnazione del Verbo – affinché l’uomo (indotto al peccato dalla perfida malizia del diavolo) non andasse perduto, in contrasto con il suo proposito d’amore, e affinché venisse recuperato felicemente ciò che sarebbe caduto con il primo Adamo, fin dall’inizio e prima dei secoli scelse e dispose che al Figlio suo Unigenito fosse assicurata una Madre dalla quale Egli, fatto carne, sarebbe nato nella felice pienezza dei tempi. E tale Madre circondò di tanto amore, preferendoLa a tutte le creature, da compiacersi in Lei sola con un atto di esclusiva benevolenza. Per questo, attingendo dal tesoro della divinità, La ricolmò – assai più di tutti gli spiriti angelici e di tutti i santi – dell’abbondanza di tutti i doni celesti in modo tanto straordinario, perché Ella, sempre libera da ogni macchia di peccato, tutta bella e perfetta, mostrasse quella perfezione di innocenza e di santità da non poterne concepire una maggiore dopo Dio, e che nessuno, all’infuori di Dio, può abbracciare con la propria mente. Era certo sommamente opportuno che una Madre degna di tanto onore rilucesse perennemente adorna degli splendori della più perfetta santità e, completamente immune anche dalla stessa macchia del peccato originale, riportasse il pieno trionfo sull’antico serpente. Dio Padre dispose di dare a Lei il suo unico Figlio, generato dal suo seno uguale a Sé, e che ama come Se stesso, in modo tale che fosse, per natura, Figlio unico e comune di Dio Padre e della Vergine; lo stesso Figlio scelse di farne la sua vera Madre, e lo Spirito Santo volle e operò perché da Lei fosse concepito e generato Colui dal quale Egli stesso procede. – La Chiesa Cattolica che – da sempre ammaestrata dallo Spirito Santo – è il basilare fondamento della verità, considerando come dottrina rivelata da Dio, compresa nel deposito della celeste rivelazione, questa innocenza originale dell’augusta Vergine unitamente alla sua mirabile santità, in perfetta armonia con l’eccelsa dignità di Madre di Dio, non ha mai cessato di presentarLa, proporLa e sostenerLa con molteplici argomentazioni e con atti solenni sempre più frequenti. Proprio la Chiesa, non avendo esitato a proporre la Concezione della stessa Vergine al pubblico culto e alla venerazione dei fedeli, ha offerto un’inequivocabile conferma che questa dottrina, presente fin dai tempi più antichi, era intimamente radicata nel cuore dei fedeli e veniva mirabilmente diffusa dall’impegno e dallo zelo dei Vescovi nel mondo cattolico. Con questo atto significativo mise in evidenza che la Concezione della Vergine doveva essere venerata in modo singolare, straordinario e di gran lunga superiore a quello degli altri uomini: pienamente santo, dal momento che la Chiesa celebra solamente le feste dei Santi. Per questo essa era solita inserire negli uffici ecclesiastici e nella sacra Liturgia, riferendole anche alle origini della Vergine, le stesse identiche parole impiegate dalla Sacra Scrittura per parlare della Sapienza increata e per descriverne le origini eterne, perché entrambe erano state preordinate nell’unico e identico decreto dell’Incarnazione della Divina Sapienza. Sebbene tutte queste cose, condivise quasi ovunque dai fedeli, dimostrino con quanta cura la stessa Chiesa Romana, madre e maestra di tutte le Chiese, abbia seguito la dottrina dell’Immacolata Concezione della Vergine, tuttavia meritano di essere elencati, uno per uno, gli atti più importanti della Chiesa in questa materia, perché assai grandi sono la sua dignità e la sua autorità, quali si addicono ad una simile Chiesa: è lei il centro della verità cattolica e dell’unità; in lei sola fu custodita fedelmente la religione; da lei tutte le altre Chiese devono attingere la tradizione della fede. Dunque, questa stessa Chiesa Romana ritenne che non potesse esserci niente di più meritevole che affermare, tutelare, propagandare e difendere, con ogni più eloquente mezzo, l’Immacolata Concezione della Vergine, il suo culto e la sua dottrina. Tutto questo è testimoniato e messo in evidenza, in modo assolutamente inequivocabile, da innumerevoli e straordinari, atti dei Romani Pontefici Nostri Predecessori, ai quali, nella persona del Principe degli Apostoli, fu affidato, per volere divino, dallo stesso Cristo Signore il supremo compito e il potere di pascere gli agnelli e le pecore, di confermare nella fede i fratelli, di reggere e governare tutta la Chiesa. – I Nostri Predecessori infatti si vantarono grandemente, avvalendosi della loro autorità Apostolica, di avere istituito nella Chiesa Romana la festa della Concezione con Ufficio e Messa proprii, per mezzo dei quali veniva affermato, con la massima chiarezza, il privilegio dell’immunità dalla macchia originale; di aver rafforzato, circondato di ogni onore, promosso e accresciuto con ogni mezzo il culto già stabilito, sia con la concessione di Indulgenze, sia accordando alle città, alle province e ai regni la facoltà di scegliere come Patrona la Madre di Dio sotto il titolo dell’Immacolata Concezione, sia con l’approvazione di Confraternite, di Congregazioni e di Famiglie religiose, costituite per onorare l’Immacolata Concezione, sia con il tributare lodi alla pietà di coloro che avevano eretto monasteri, ospizi, altari e templi dedicati all’Immacolata Concezione, oppure si erano impegnati, con un solenne giuramento, a difendere strenuamente l’Immacolata Concezione della Madre di Dio. Provarono anche l’immensa gioia di decretare che la festa della Concezione dovesse essere considerata da tutta la Chiesa, con la stessa dignità e importanza della Natività; inoltre, che fosse celebrata ovunque come solennità insignita di ottava e da tutti santificata come festa di precetto, e che ogni anno si tenesse nella Nostra Patriarcale Basilica Liberiana una Cappella Papale nel giorno santo dell’Immacolata Concezione. – Spinti dal desiderio di rafforzare, ogni giorno di più, nell’animo dei fedeli questa dottrina dell’Immacolata Concezione della Madre di Dio e di stimolare la loro pietà al culto e alla venerazione della Vergine concepita senza peccato originale, furono lietissimi di concedere la facoltà che venisse pronunciata ad alta voce la Concezione Immacolata della Vergine nelle Litanie Lauretane e nello stesso Prefazio della Messa, affinché i dettami della fede trovassero conferma nelle norme della preghiera. Noi quindi, seguendo le orme di Predecessori così illustri, non solo abbiamo approvato e accolto tutto ciò che è stato da loro deciso con tanta devozione e con tanta saggezza, ma, memori di ciò che aveva disposto Sisto IV, abbiamo confermato, con la Nostra autorità, l’Ufficio proprio dell’Immacolata Concezione e, con sensi di profonda gioia, ne abbiamo concesso l’uso a tutta la Chiesa. – Ma poiché tutto ciò che si riferisce al culto è strettamente connesso con il suo oggetto e non può rimanere stabile e duraturo se questo oggetto è incerto e non ben definito, i Romani Pontefici Nostri Predecessori, mentre impiegavano tutta la loro sollecitudine per accrescere il culto della Concezione, si preoccuparono anche di chiarirne e di inculcarne con ogni mezzo l’oggetto e la dottrina. Insegnarono infatti, in modo chiaro ed inequivocabile, che si celebrasse la festa della Concezione della Vergine e respinsero quindi, come falsa e assolutamente contraria al pensiero della Chiesa, l’opinione di coloro che ritenevano ed affermavano che da parte della Chiesa non si onorava la Concezione ma la santificazione di Maria. – Né ritennero che si potesse procedere con minore decisione contro coloro che, al fine di sminuire la dottrina sull’Immacolata Concezione della Vergine, avendo escogitato una distinzione fra il primo istante e il secondo momento della Concezione, affermavano che si celebrava sì la Concezione, ma non quella del primo iniziale momento. – Gli stessi Nostri Predecessori stimarono loro preciso dovere difendere e sostenere, con tutto l’impegno, sia la festa della Concezione della Beatissima Vergine, sia la Concezione dal suo primo istante come vero oggetto del culto. Di qui le parole assolutamente decisive, con le quali Alessandro VII, Nostro Predecessore, mise in evidenza il vero pensiero della Chiesa. Egli si espresse in questi termini: “È sicuramente di antica data la particolare devozione verso la Beatissima Madre, la Vergine Maria, da parte dei fedeli: infatti erano convinti che la sua anima – fin dal primo istante della sua creazione e della sua infusione nel corpo – fosse stata preservata immune dalla macchia del peccato originale per una speciale grazia e per un singolare privilegio di Dio, in previsione dei meriti di Gesù Cristo, Figlio suo e Redentore del genere umano. Animati da tale persuasione, circondavano di onore e celebravano la festa della Concezione con un rito solenne” [ALEXANDER VII, Const. Sollicitudo omnium Ecclesiarum, 8 decembris 1661] . – E fu proprio impegno primario dei Nostri Predecessori custodire con ogni cura, zelo e sforzo, perfettamente integra la dottrina dell’Immacolata Concezione della Madre di Dio. Infatti non solo non tollerarono mai che la stessa dottrina venisse in qualche modo biasimata e travisata da chicchessia, ma, spingendosi ben oltre, asserirono, con chiare e reiterate dichiarazioni, che la dottrina, con la quale professiamo l’Immacolata Concezione della Vergine, era e doveva essere considerata a pieno titolo assolutamente conforme al culto della Chiesa; era antica e quasi universalmente riconosciuta, tale da essere fatta propria dalla Chiesa Romana, con l’intento di assecondarla e custodirla, e del tutto degna di aver parte nella stessa Sacra Liturgia e nelle preghiere più solenni. – Non contenti di ciò, affinché la dottrina dell’Immacolato Concepimento della Vergine si mantenesse integra, vietarono, con la più grande severità, che ogni opinione contraria a questa dottrina potesse essere sostenuta sia in pubblico che in privato e la vollero colpita a morte. A queste ripetute e chiarissime dichiarazioni, perché non risultassero vane, aggiunsero delle sanzioni. Tutto questo è stato riassunto dal Nostro venerato Predecessore Alessandro VII con le seguenti parole: “Considerando che la Santa Chiesa Romana celebra solennemente la festa della Concezione dell’Intemerata e sempre Vergine Maria, e che, al riguardo, ha un tempo composto un Ufficio proprio e specifico in ossequio alla pia, devota e lodevole disposizione emanata dal Nostro Predecessore Sisto IV; volendo Noi pure favorire, sull’esempio dei Romani Pontefici Nostri Predecessori, questa lodevole e pia devozione, questa festa e questo culto, prestato conformemente a quella direttiva e che dalla sua istituzione non ha subito, nella Chiesa Romana, alcun mutamento; volendo anche salvaguardare questa particolare forma di pietà e di devozione nel rendere onore e nel celebrare la Beatissima Vergine preservata dal peccato originale con un atto preventivo della grazia dello Spirito Santo; desiderando inoltre conservare nel gregge di Cristo l’unità dello spirito nel vincolo della pace, dopo aver placato i motivi di scontro e le dispute e aver rimosso gli scandali; accogliendo le istanze e le suppliche a Noi rivolte dai Vescovi sopra ricordati, unitamente ai Capitoli delle loro Chiese, dal Re Filippo e dai suoi Regni; rinnoviamo le Costituzioni e i Decreti emanati dai Romani Pontefici Nostri Predecessori, soprattutto da Sisto IV, da Paolo V e da Gregorio XV, per avvalorare l’affermazione intesa a sostenere che l’anima della Beata Vergine Maria, nella sua creazione e nell’infusione nel corpo, ebbe il dono della grazia dello Spirito Santo e fu preservata dal peccato originale; per favorire la festa e il culto della stessa Concezione della Vergine Madre di Dio, in linea con la pia proposizione suesposta, decretiamo che tali Costituzioni e Decreti siano osservati, sotto pena d’incorrere nelle censure e nelle altre sanzioni previste nelle Costituzioni stesse. “Decretiamo che quanti ardiranno interpretare le Costituzioni e i Decreti citati in modo da vanificare il favore reso, per mezzo loro, alla sunnominata affermazione, alla festa e al culto prestato nel rispetto della stessa; avranno osato mettere in discussione questa affermazione, questa festa e questo culto, o prendere posizione contro di essa in qualunque modo, direttamente o indirettamente, ricorrendo a qualsivoglia pretesto, sia pure con l’intento di esaminarne la sua definibilità e di spiegare e di interpretare, al riguardo, la Sacra Scrittura, i Santi Padri, e i Dottori; o ancora farsi forti di ogni altro possibile pretesto od occasione e poter quindi esprimere, dichiarare, trattare, disputare a voce e per iscritto, precisando, affermando e adducendo qualche argomentazione contro di essa, senza portarla a compimento; dissertare infine contro di essa in qualsiasi altro modo, addirittura fuori dell’immaginabile; [decretiamo] che siano privati anche della facoltà di predicare, di leggere, di insegnare e di dissertare in pubblico; di aver voce attiva e passiva in ogni tipo di elezioni, senza bisogno di alcuna dichiarazione. Incorreranno dunque, ipso facto, nella pena della perpetua interdizione di predicare, di leggere, di insegnare e di dissertare in pubblico.“Da queste pene essi potranno essere assolti o dispensati solamente da Noi o dai Romani Pontefici Nostri Successori. Intendiamo anche sottoporli, ed effettivamente con la presente li sottoponiamo, ad altre pene da infliggere a Nostro insindacabile giudizio e dei Romani Pontefici Nostri Successori, mentre rinnoviamo le Costituzioni e i Decreti di Paolo V e di Gregorio XV sopra ricordati. “Dichiariamo inaccettabili, e le sottoponiamo alle pene e alle censure contenute nell’Indice dei libri proibiti, le pubblicazioni nelle quali vengono messi in dubbio quella affermazione, la festa e il culto approvato; viene scritto, o vi si possa leggere, alcunché di contrario a ciò che è stato sopra riportato; trovino spazio discorsi, prediche, trattati, dissertazioni che ne avversano il contenuto. Ordiniamo e decretiamo che siffatti libri siano, ipso facto, da considerare espressamente proibiti, senza attendere una specifica dichiarazione”. D’altra parte tutti sanno con quanto zelo questa dottrina dell’Immacolata Concezione della Vergine Madre di Dio sia stata tramandata, sostenuta e difesa dalle più illustri Famiglie religiose, dalle più celebri Accademie teologiche e dai Dottori più versati nella scienza delle cose divine. Tutti parimenti conoscono quanto siano stati solleciti i Vescovi nel sostenere in pubblico, anche nelle assemblee ecclesiastiche, che la santissima Vergine Maria, Madre di Dio, in previsione dei meriti del Redentore Gesù Cristo, non fu mai soggetta al peccato ma, del tutto preservata dalla colpa originale, fu redenta in una maniera più sublime.A tutto ciò si aggiunge il fatto, decisamente assai rilevante e del massimo peso, che lo stesso concilio di Trento, quando promulgò il decreto dogmatico sul peccato originale, nel quale, sulla scorta delle testimonianze della Sacra Scrittura, dei Santi Padri e dei più autorevoli Concili, stabilì e definì che tutti gli uomini nascono affetti dal peccato originale, dichiarò tuttavia solennemente che non era sua intenzione comprendere in quel decreto, e nell’ambito di una definizione così generale, la Beata ed Immacolata Vergine Maria Madre di Dio. Con tale dichiarazione infatti i Padri Tridentini indicarono con sufficiente chiarezza, tenendo conto della situazione del tempo, che la Beatissima Vergine fu esente dalla colpa originale. Indicarono perciò apertamente che dalle divine Scritture, dalla tradizione, dall’autorità dei Padri, niente poteva essere desunto che fosse in contrasto con questa prerogativa della Vergine.Per la verità, illustri monumenti di veneranda antichità della Chiesa orientale ed occidentale testimoniano con assoluta certezza che questa dottrina dell’Immacolata Concezione della Beatissima Vergine, che, giorno dopo giorno, è stata magnificamente illustrata, proclamata e confermata dall’autorevolissimo sentimento, dal magistero, dallo zelo, dalla scienza e dalla saggezza della Chiesa e si è diffusa in modo tanto prodigioso presso tutti i popoli e le nazioni del mondo cattolico, è da sempre esistita nella Chiesa stessa come ricevuta dagli antenati e contraddistinta dalle caratteristiche della dottrina rivelata. Infatti la Chiesa di Cristo, fedele custode e garante dei dogmi a lei affidati, non ha mai apportato modifiche ad essi, non vi ha tolto o aggiunto alcunché, ma trattando con ogni cura, in modo accorto e sapiente, le dottrine del passato per scoprire quelle che si sono formate nei primi tempi e che la fede dei Padri ha seminato, si preoccupa di limare e di affinare quegli antichi dogmi della Divina Rivelazione, perché ne ricevano chiarezza, evidenza e precisione, ma conservino la loro pienezza, la loro integrità e la loro specificità e si sviluppino soltanto nella loro propria natura, cioè nell’ambito del dogma, mantenendo inalterati il concetto e il significato. In verità, i Padri e gli scrittori ecclesiastici, ammaestrati dalle parole divine – nei libri elaborati con cura per spiegare la Scrittura, per difendere i dogmi e per istruire i fedeli – non trovarono niente di più meritevole di attenzione del celebrare ed esaltare, nei modi più diversi ed ammirevoli, l’eccelsa santità, la dignità e l’immunità della Vergine da ogni macchia di peccato e la sua vittoria sul terribile nemico del genere umano. Per tale motivo, mentre commentavano le parole con le quali Dio, fin dalle origini del mondo, annunciando i rimedi della sua misericordia approntati per la rigenerazione degli uomini, rintuzzò l’audacia del serpente ingannatore e rialzò mirabilmente le speranze del genere umano: “Porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua e la sua stirpe“, essi insegnarono che con questa divina profezia fu chiaramente e apertamente indicato il misericordioso Redentore del genere umano, cioè il Figliuolo Unigenito di Dio, Gesù Cristo; fu anche designata la sua beatissima Madre, la Vergine Maria, e, nello stesso tempo, fu nettamente espressa l’inimicizia dell’uno e dell’altra contro il demonio. Ne conseguì che, come Cristo, mediatore fra Dio e gli uomini, assunta la natura umana, annientò il decreto di condanna esistente contro di noi, inchiodandolo da trionfatore sulla Croce, così la santissima Vergine, unita con Lui da un legame strettissimo ed indissolubile, poté esprimere, con Lui e per mezzo di Lui, un’eterna inimicizia contro il velenoso serpente e, riportando nei suoi confronti una nettissima vittoria, gli schiacciò la testa con il suo piede immacolato. Di questo nobile e singolare trionfo della Vergine, della sua straordinaria innocenza, purezza e santità, della sua immunità da ogni macchia di peccato, della sua ineffabile abbondanza di tutte le grazie divine, di tutte le virtù e di tutti i privilegi a Lei donati, gli stessi Padri videro una figura sia nell’Arca di Noè che, voluta per ordine di Dio, scampò del tutto indenne al diluvio universale; sia in quella scala che Giacobbe vide ergersi da terra fino al cielo, e lungo la quale salivano e scendevano gli angeli di Dio e alla cui sommità stava il Signore stesso; sia in quel roveto che Mosè vide nel luogo santo avvolto completamente dalle fiamme e, pur immerso in un fuoco crepitante, non si consumava né pativa alcun danno ma continuava ad essere verde e fiorito; sia in quella torre inespugnabile, eretta di fronte al nemico, dalla quale pendono mille scudi e tutte le armature dei forti; sia in quell’orto chiuso che non può essere violato né devastato da alcun assalto insidioso; sia in quella splendente città di Dio che ha le sue fondamenta sui monti santi; sia in quell’eccelso tempio di Dio che, rifulgendo degli splendori divini, è ricolmo della gloria del Signore; sia in tutti gli altri innumerevoli segni dello stesso genere che, secondo il pensiero dei Padri, preannunciavano cose straordinarie sulla dignità della Madre di Dio, sulla sua illibata innocenza e sulla sua santità, mai soggetta ad alcuna macchia. Per descrivere debitamente quest’insieme di doni celesti e l’innocenza originale della Vergine dalla quale è nato Gesù, i Padri ricorsero alle parole dei Profeti ed esaltarono questa divina, santa Vergine, come una pura colomba, come una Santa Gerusalemme, come un eccelso trono di Dio, come un’arca della santificazione, come la casa che l’eterna Sapienza si è edificata, come quella Regina straordinaria che, ricolma di delizie e appoggiata al suo Diletto, uscì dalla bocca dell’Altissimo assolutamente perfetta e bella, carissima a Dio e mai contaminata da alcuna macchia di peccato. – Siccome poi gli stessi Padri e gli scrittori ecclesiastici erano pienamente convinti che l’Angelo Gabriele, nel dare alla beatissima Vergine l’annuncio dell’altissima dignità di Madre di Dio, l’aveva chiamata, in nome e per comando di Dio stesso, piena di grazia, insegnarono che con questo singolare e solenne saluto, mai udito prima di allora, si proclamava che la Madre di Dio era la sede di tutte le grazie divine, era ornata di tutti i carismi dello Spirito Santo, anzi era un tesoro quasi infinito e un abisso inesauribile di quegli stessi doni divini, a tal punto che, non essendo mai stata soggetta a maledizione ma partecipe, insieme con il suo Figlio, di eterna benedizione, meritò di essere chiamata da Elisabetta, mossa dallo Spirito di Dio: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo seno“. Da tutto ciò derivò il loro concorde e ben documentato pensiero che, in forza di tutti questi doni divini, la gloriosissima Vergine, per la quale “grandi cose ha fatto colui che è potente“, rifulse di tale pienezza di grazia e di tale innocenza da diventare l’ineffabile miracolo di Dio, anzi il culmine di tutti i miracoli e quindi degna Madre di Dio, la più vicina a Dio, nella misura in cui ciò è possibile ad una creatura, superiore a tutte le lodi angeliche ed umane. Per questo motivo, con l’intento di dimostrare l’innocenza e la giustizia originale della Madre di Dio, i Padri non solo la paragonarono spessissimo ad Eva ancora vergine, innocente, non corrotta e non ancora caduta nei lacci delle mortali insidie del serpente ingannatore, ma La anteposero a lei con una meravigliosa varietà di parole e di espressioni. Eva infatti, avendo dato ascolto disgraziatamente al serpente, decadde dall’innocenza originale e divenne sua schiava, mentre la beatissima Vergine accrebbe continuamente il primitivo dono e, senza mai ascoltare il serpente, con la forza ricevuta da Dio ne annientò la violenza e il potere. Perciò non si stancarono mai di proclamarLa giglio tra le spine; terra assolutamente inviolata, verginale, illibata, immacolata, sempre benedetta e libera da ogni contagio di peccato, dalla quale è stato formato il nuovo Adamo; giardino delle delizie piantato da Dio stesso, senza difetti, splendido, abbondantemente ornato di innocenza e di immortalità e protetto da tutte le insidie del velenoso serpente; legno immarcescibile che il tarlo del peccato mai poté intaccare; fonte sempre limpida e segnata dalla potenza dello Spirito Santo; tempio esclusivo di Dio; tesoro di immortalità; unica e sola figlia, non della morte, ma della vita; germoglio di grazia e non d’ira che, per uno speciale intervento della provvidenza divina, è spuntato, sempre verde e ammantato di fiori, da una radice corrotta e contaminata. Ma come se tutte queste espressioni non bastassero, pur essendo straordinarie, i Padri formularono specifiche e stringenti argomentazioni per affermare che, parlando del peccato, non poteva in alcun modo essere chiamata in causa la santa Vergine Maria, perché a Lei era stata elargita la grazia in misura superiore per vincere ogni specie di peccato. Asserirono quindi che la gloriosissima Vergine fu la riparatrice dei progenitori, la fonte della vita per i posteri. Scelta e preparata dall’Altissimo da tutta l’eternità e da Lui preannunciata quando disse al serpente: “Porrò inimicizia fra te e la donna“, schiacciò veramente la testa di quel velenoso serpente. Sostennero dunque che la beatissima Vergine fu, per grazia, immune da ogni macchia di peccato ed esente da qualsivoglia contaminazione del corpo, dell’anima e della mente. Unita in un intimo rapporto e congiunta da un eterno patto di alleanza con Dio, non fu mai preda delle tenebre, ma fruì di una luce perenne e risultò degnissima dimora di Cristo, non per le qualità del corpo, ma per lo stato originale di grazia. – Parlando della Concezione della Vergine, i Padri aggiunsero espressioni assai significative, con le quali attestarono che la natura cedette il passo alla grazia e si trovò incapace a svolgere il suo compito. Non poteva infatti accadere che la Vergine Madre di Dio potesse essere concepita da Anna, prima che la grazia sortisse il suo effetto. Così doveva essere concepita la primogenita, dalla quale doveva poi essere concepito il Primogenito di ogni creatura. Proclamarono che la carne della Vergine, derivata da Adamo, non ne contrasse le macchie, e che la beatissima Vergine fu quindi il tabernacolo creato da Dio stesso, formato dallo Spirito Santo, capolavoro di autentica porpora, al quale diede ornamento quel nuovo Beseleel ricamandolo variamente in oro. Fu a buon diritto esaltata come il primo vero capolavoro di Dio: sfuggita ai dardi infuocati del maligno, entrò nel mondo, bella per natura e assolutamente estranea al peccato nella sua Concezione Immacolata, come l’aurora che spande tutt’intorno la sua luce. Non era infatti conveniente che quel vaso di elezione fosse colpito dal comune disonore, perché assai diverso da tutti gli altri, di cui condivide la natura ma non la colpa. Al contrario era assolutamente conveniente che come l’Unigenito aveva in cielo un Padre, che i Cherubini esaltano tre volte santo, avesse sulla terra una Madre mai priva dello splendore della santità. Proprio questa dottrina era a tal punto radicata nella mente e nell’animo degli antenati, che divenne abituale l’uso di uno speciale e straordinario linguaggio. Lo impiegarono spessissimo per chiamare la Madre di Dio Immacolata, del tutto Immacolata; innocente, anzi innocentissima; illibata nel modo più eccelso; santa e assolutamente estranea al peccato; tutta pura, tutta intemerata, anzi l’esemplare della purezza e dell’innocenza; più bella della bellezza; più leggiadra della grazia; più santa della santità; la sola santa, purissima nell’anima e nel corpo, che si spinse oltre la purezza e la verginità; la sola che diventò, senza riserve, la dimora di tutte le grazie dello Spirito Santo, e che si innalzò al di sopra di tutti, con l’eccezione di Dio: per natura, più bella, più graziosa e più santa degli stessi Cherubini e Serafini e di tutte le schiere degli Angeli. Nessun linguaggio, né del cielo né della terra, può bastare per tesserne le lodi. Nessuno ignora che la celebrazione di Lei fu, con tutta naturalezza, introdotta nelle memorie della santa Liturgia e negli Uffici ecclesiastici. Tutti li pervade e li domina per larghi tratti. La Madre di Dio vi è invocata ed esaltata come incorrotta colomba di bellezza, rosa sempre fresca. Essendo purissima sotto ogni aspetto, eternamente immacolata e beata, viene celebrata come l’innocenza stessa, che non fu mai violata, e come la nuova Eva che ha generato l’Emmanuele. – Non vi è dunque niente di straordinario se i Pastori della Chiesa e i popoli fedeli si sono compiaciuti, ogni giorno di più, di professare con tanta pietà, con tanta devozione e con tanto amore la dottrina dell’Immacolata Concezione della Vergine Madre di Dio, che, a giudizio dei Padri, è stata inserita nella Sacra Scrittura, è stata trasmessa dalle loro numerose e importantissime testimonianze, è stata manifestata e celebrata con tanti insigni monumenti del venerando tempo antico, è stata proposta e confermata dal più alto e autorevole magistero della Chiesa. Pastori e popolo niente ebbero di più dolce e di più caro che onorare, venerare, invocare ed esaltare ovunque, con tutto l’ardore del cuore, la Vergine Madre di Dio concepita senza peccato originale. Per questo già dai tempi antichi i Vescovi, gli uomini di Chiesa, gli Ordini regolari, gli stessi Imperatori e Re chiesero, con insistenza, che questa Sede Apostolica definisse l’Immacolata Concezione della Madre di Dio come dogma della fede cattolica. Queste richieste sono state nuovamente ripetute nei tempi più recenti, specialmente al Nostro Predecessore Gregorio XVI di felice memoria, e sono state rivolte anche a Noi dai Vescovi, dal Clero secolare, da Famiglie religiose, da Sovrani e da popoli fedeli. Poiché dunque, con straordinaria gioia del Nostro cuore, avevamo piena conoscenza di tutto ciò e ne comprendevamo l’importanza, non appena siamo stati innalzati, sebbene immeritevoli, per un misterioso disegno della divina Provvidenza, a questa sublime Cattedra di Pietro, ed assumemmo il governo di tutta la Chiesa, abbiamo ritenuto che non ci fosse niente di più importante, sorretti anche dalla profonda devozione, pietà e amore nutriti fin dalla fanciullezza per la santissima Vergine Maria Madre di Dio, del portare a compimento tutto ciò che poteva ancora essere nelle aspettative della Chiesa, per accrescere il tributo di onore alla beatissima Vergine e per metterne ancora più in luce le prerogative. Volendo tuttavia procedere con grande prudenza, abbiamo costituito una speciale Congregazione di Nostri Venerabili Fratelli, Cardinali di Santa Romana Chiesa, illustri per la pietà, per la competenza e per la conoscenza delle cose divine; abbiamo pure scelto uomini del Clero secolare e regolare, particolarmente versati nelle discipline teologiche, perché esaminassero con ogni cura tutto ciò che riguarda l’Immacolata Concezione della Vergine e presentassero a Noi le loro conclusioni. Quantunque già dalle istanze, da Noi ricevute per patrocinare l’eventuale definizione dell’Immacolata Concezione della Vergine, risultasse chiaro il pensiero di molti Vescovi, tuttavia abbiamo inviato ai Venerabili Fratelli Vescovi di tutto il mondo cattolico una Lettera Enciclica, scritta a Gaeta il 2 febbraio 1849, perché, dopo aver rivolto preghiere a Dio, Ci comunicassero per iscritto quali fossero la pietà e la devozione dei loro fedeli nei confronti dell’Immacolata Concezione della Madre di Dio e, soprattutto, quale fosse il loro personale pensiero sulla proposta di questa definizione e quali fossero i loro auspici, al fine di poter esprimere il Nostro decisivo giudizio nel modo più autorevole possibile. Non è certo stata di poco peso la consolazione che abbiamo provato, quando Ci pervennero le risposte di quei Venerabili Fratelli. Infatti nelle loro lettere, pervase da incredibile compiacimento, gioia ed entusiasmo, Ci confermarono nuovamente, non solo la straordinaria pietà e i sentimenti che essi stessi, il loro Clero e il popolo fedele nutrivano verso l’Immacolata Concezione della Beatissima Vergine, ma Ci supplicarono anche, con voto pressoché unanime, che l’Immacolata Concezione della Vergine venisse definita con un atto decisivo del Nostro ufficio e della Nostra autorità. Nel frattempo abbiamo gustato una gioia non certo minore, quando i Nostri Venerabili Fratelli Cardinali di Santa Romana Chiesa, della speciale Congregazione sopra ricordata, e i citati teologi da Noi scelti come esperti, dopo aver proceduto con tutta l’attenzione ad un impegnativo e meticoloso esame della questione, Ci chiesero con insistenza la definizione dell’Immacolata Concezione della Madre di Dio. – Dopo queste premesse, seguendo le prestigiose orme dei Nostri Predecessori, desiderando procedere nel rispetto delle norme canoniche, abbiamo tenuto un Concistoro, nel quale abbiamo parlato ai Nostri Venerabili Fratelli, Cardinali di Santa Romana Chiesa, e, con la più grande consolazione del Nostro animo, li abbiamo uditi rivolgerci l’insistente richiesta perché decidessimo di emanare la definizione dogmatica dell’Immacolata Concezione della Vergine Madre di Dio. Essendo quindi fermamente convinti nel Signore che fossero maturati i tempi per definire l’Immacolata Concezione della santissima Vergine Maria Madre di Dio, che la Sacra Scrittura, la veneranda Tradizione, il costante sentimento della Chiesa, il singolare consenso dei Vescovi e dei fedeli, gli atti memorabili e le Costituzioni dei Nostri Predecessori mirabilmente illustrano e spiegano; dopo aver soppesato con cura ogni cosa e aver innalzato a Dio incessanti e fervide preghiere; ritenemmo che non si potesse più in alcun modo indugiare a ratificare e a definire, con il Nostro supremo giudizio, l’Immacolata Concezione della Vergine, e così soddisfare le sacrosante richieste del mondo cattolico, appagare la Nostra devozione verso la santissima Vergine e, nello stesso tempo, glorificare sempre più in Lei il suo Figlio Unigenito, il Signore Nostro Gesù Cristo, perché ogni tributo di onore reso alla Madre ridonda sul Figlio. – Perciò, dopo aver presentato senza interruzione, nell’umiltà e nel digiuno, le Nostre personali preghiere e quelle pubbliche della Chiesa, a Dio Padre per mezzo del suo Figlio, perché si degnasse di dirigere e di confermare la Nostra mente con la virtù dello Spirito Santo; dopo aver implorato l’assistenza dell’intera Corte celeste e dopo aver invocato con gemiti lo Spirito Paraclito; per sua divina ispirazione, ad onore della santa, ed indivisibile Trinità, a decoro e ornamento della Vergine Madre di Dio, ad esaltazione della Fede cattolica e ad incremento della Religione cristiana, con l’autorità di Nostro Signore Gesù Cristo, dei Santi Apostoli Pietro e Paolo e Nostra, dichiariamo, affermiamo e definiamo rivelata da Dio la dottrina che sostiene che la beatissima Vergine Maria fu preservata, per particolare grazia e privilegio di Dio onnipotente, in previsione dei meriti di Gesù Cristo Salvatore del genere umano, immune da ogni macchia di peccato originale fin dal primo istante del suo concepimento, e ciò deve pertanto essere oggetto di fede certo ed immutabile per tutti i fedeli. Se qualcuno dunque avrà la presunzione di pensare diversamente da quanto è stato da Noi definito (Dio non voglia!), sappia con certezza di aver pronunciato la propria condanna, di aver subito il naufragio nella fede, di essersi separato dall’unità della Chiesa, e, se avrà osato rendere pubblico, a parole o per iscritto o in qualunque altro modo, ciò che pensa, sappia di essere incorso, ipso facto, nelle pene comminate dal Diritto. – La Nostra bocca è veramente piena di gioia e la Nostra lingua di esultanza. Innalziamo dunque a Gesù Cristo Signore Nostro i più umili e sentiti ringraziamenti perché, pur non avendone i meriti, Ci ha concesso, per una grazia particolare, di offrire e di decretare questo onore e questo tributo di gloria alla sua santissima Madre. Fondiamo senz’altro le nostre attese su un fatto di sicura speranza e di pieno convincimento. La stessa beatissima Vergine che, tutta bella e immacolata, schiacciò la testa velenosa del crudelissimo serpente e recò al mondo la salvezza; la Vergine, che è gloria dei Profeti e degli Apostoli, onore dei Martiri, gioia e corona di tutti i Santi, sicurissimo rifugio e fedelissimo aiuto di chiunque è in pericolo, potentissima mediatrice e avvocata di tutto il mondo presso il suo Unigenito Figlio, fulgido e straordinario ornamento della santa Chiesa, incrollabile presidio che ha sempre schiacciato le eresie, ha liberato le genti e i popoli fedeli da ogni sorta di disgrazie e ha sottratto Noi stessi ai numerosi pericoli che Ci sovrastavano, voglia, con il suo efficacissimo patrocinio, portare aiuto alla santa Madre, la Chiesa Cattolica, perché, rimosse tutte le difficoltà, sconfitti tutti gli errori, essa possa, ogni giorno di più, prosperare e fiorire presso tutti i popoli e in tutti i luoghi, “dall’uno all’altro mare, e dal fiume fino agli estremi confini della terra“, e possa godere pienamente della pace, della tranquillità e della libertà. Voglia inoltre intercedere perché i colpevoli ottengano il perdono, gli ammalati il rimedio, i pusillanimi la forza, gli afflitti la consolazione, i pericolanti l’aiuto, e tutti gli erranti, rimossa la caligine della mente, possano far ritorno alla via della verità e della giustizia, e si faccia un solo ovile e un solo pastore.Ascoltino queste Nostre parole tutti i carissimi figli della Chiesa Cattolica e, con un ancor più convinto desiderio di pietà, di devozione e di amore, continuino ad onorare, ad invocare e a supplicare la beatissima Vergine Maria, Madre di Dio, concepita senza peccato originale, e si rifugino, con piena fiducia, presso questa dolcissima Madre di misericordia e di grazia in ogni momento di pericolo, di difficoltà, di bisogno e di trepidazione. Sotto la sua guida, la sua protezione, la sua benevolenza, il suo patrocinio, non vi può essere motivo né di paura, né di disperazione, perché, nutrendo per noi un profondo sentimento materno e avendo a cuore la nostra salvezza, abbraccia con il suo amore tutto il genere umano.Essendo stata costituita dal Signore Regina del Cielo e della terra, e innalzata al di sopra di tutti i Cori degli Angeli e delle schiere dei Santi, sta alla destra del suo Figlio Unigenito, Signore Nostro Gesù Cristo e intercede con tutta l’efficacia delle sue materne preghiere: ottiene ciò che chiede e non può restare inascoltata. Da ultimo, perché questa Nostra definizione dell’Immacolata Concezione della beatissima Vergine Maria possa essere portata a conoscenza di tutta la Chiesa, decidiamo che la presente Nostra Lettera Apostolica resti a perenne ricordo, e ordiniamo che a tutte le trascrizioni, o copie, anche stampate, sottoscritte per mano di qualche pubblico notaio e munita del sigillo di persona costituita in dignità ecclesiastica, si presti la stessa fede che si presterebbe alla presente se fosse esibita o mostrata.Nessuno pertanto si permetta di violare il contenuto di questa Nostra dichiarazione, proclamazione e definizione, o abbia l’ardire temerario di avversarlo e di trasgredirlo. Se qualcuno, poi, osasse tentarlo, sappia che incorrerà nello sdegno di Dio onnipotente e dei suoi beati Apostoli Pietro e Paolo.pio-ix-tiara

Dato a Roma, presso San Pietro, nell’anno dell’Incarnazione del Signore 1854, il giorno 8 dicembre, nell’annonono del Nostro Pontificato.

PIO PP. IX

 

J.-J. GAUME: La profanazione della DOMENICA [lett. III]

J.J. Gaume

LA PROFANAZIONE DELLA DOMENICA,

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LETTERA III.

ROVINA DELLA RELIGIONE (seguito).

9 aprile,

I.

Signore e caro amico,

Voi mi perdonerete, io spero, d’avere nella precedente mia lettera lasciato scorrere un po’troppo la mia penna, del che v’arreco due scuse: d’una parte mi sembrò che le ultime considerazioni che vi sommisi, assai troppo presentemente poste in oblio, erano di natura a penetrare l’anima d’un gran rispetto pel riposo sacro del settimo giorno, d’altra parte la conversazione scritta o parlata gode, a’ miei occhi, dell’avventuroso privilegio d’essere un pochetto vaga, non ho voluto spogliarnela. Se quest’è un fallo, mi terrò in guardia e nulla tramanderò per esser breve. Io continuo:

II.

Nessun precetto più fortemente sanzionato di quello del riposo ebdomadario. L’importanza d’una legge si riconosce dalla severità delle pene e dalla grandezza delle ricompense, per le quali il legislatore ne assicura l’esecuzione. Considerata sotto questo riguardo, è incontrovertibile, che la legge del riposo ebdomadario occupa il primo luogo fra le divine leggi, anzi negli stessi codici delle nazioni cristiane. – Se questo fatto abbisogna di prove, i vostri lumi nella legislazione, signor rappresentante, vi mettono in istato di dedurle voi assai meglio, che non valga io a farlo. Perciò, a lutto altro che a voi spettano le seguenti circostanziate particolari osservazioncelle. – Il riposo sacro del settimo giorno né è un semplice consiglio, libero ad ognuno l’osservare, o no; né un comandamento senz’importanza che sia a piacimento di ciascheduno di violare per minimi pretesti; né che qualunque possa di sua propria privata autorità dispensarsene. Esso è un precetto capitale: pena di morte contra chi oserà a questo contravvenire. Israele stava accampato al mezzo del deserto. Un giorno di sabato s’imbattono certuni ne’ contorni dell’accampamento in un uomo cogliente alcune legnerella: viene costui da Mosè tradotto. Il santo legislatore, denominato dalla Scrittura fra gli uomini mitissimo, non ardisce addossarsi l’esecuzione della legge in tutta la severità d’ essa; si porta a consultare il Signore. Niuna grazia, risponda gli il Dio d’ Israele; che sia egli lapidato: e fu sepolto sotto una violenta pioggia di sassi [Num. XV, 52]. – Ad imitazione di quest’esempio venuto da sì alto, tutti i popoli davvero cristiani ebbero leggi terribili contro a1 profanatori delle domeniche. L’ammenda, la flagellazione, la degradazione, la perpetua servitù, sono le punizioni inflitte tanto dagl’imperatori romani dell’Oriente e dell’Occidente, quanto dai più grandi monarchi d’Europa [Instit. du dimanche, par M. Perennes page 84 e segg.]. Coleste sono particolari osservazioncelle.

III.

Se il crimine diventa nazionale, minacce tremende seguite da spaventose calamità ricorderanno alle società colpevoli la santità di questa legge fondamentale. « Va, o profeta, dice il Signore, a Geremia, fermati in sulla porta della città, per cui passano i figliuoli ed i re d’Israel, e loro annuncia: Eccovi quello che dice il Signore: Volete voi salvare vostri beni e vostra vita? Non portate pesi né trasportatene nel giorno di sabato; non mettete in mostra in giorno di sabato le mercanzie di vostre case, ed astenetevi d’ogni opera servile: Santificate il giorno di sabato secondo quanto prescrissi io ai vostri padri. Se voi non ubbidirete, io darò fuoco alle porte di vostra città; esso divorerà le magioni di Gerosolima, e nonostante i vostri sforzi, voi non perverrete a spegnerlo » [Jer., XVII, 19-27]. – Giuda fu sordo alla voce del profeta. Nabucodonosorre ebbe il mandato d’eseguire le minacce dell’Onnipotente, e di vendicar la legge sacra del riposo ebdomadario: si sa di qual maniera se ne sia disimpegnato. Saccheggiata, rovinata , trascinata in schiavitù, conculcata dagli infedeli per aver violato il sabato del Signore , la nazione giudaica non se ne emenda. Ritornata dalla cattività, ella ricommette la colpa che cagionò tutti i suoi disastri. « E vidi io allora, continua uno de suoi condottieri, Israeliti, che premevano col piedi torcolari in giorno di sabato; altri portavano dei fardelli, altri che trasportavano in sur de’ somari vini ed uve, fichi, e mercanzie d’ogni sorta, ed altri che le introducevano in Gerusalemme. Ed i Tiri parimente vi concorrevano, e vendevano in giorno di sabato a1 figliuoli di Giuda e di Sion oggetti di vari generi. Ne feci io i più severi rimproveri ai capi della città, e loro dissi: qual è adunque il peccato, che voi commettete? Come!, voi profanale il giorno di sabato! È forse che i padri nostri, non si resero colpevoli del medesimo misfatto? ed avete voi dimenticato purtroppo essere per questo appunto, che il nostro Dio versò sopra di noi e della città tutti i mali, i quali abbiamo sofferto? E volete voi riaccendere la collera del Signore violando il giorno sacro del riposo! » [Esdr. XII, 15-20]. – Le minacce e le punizioni non sono sufficienti al sovrano legislatore. L’osservanza del settimo giorno è infra tutti gli atti di sottomissione per parte del mortale, quello di cui egli si mostra il più geloso. Pertanto, onde rassicurare l’adempimento di siffatta legge, presentagli un novello motivo nelle magnifiche ricompense, con le quali coronerà la fedeltà di lui. « Se voi ascoltate la mia voce, replica Egli, e che non profaniate voi il giorno di sabbato né pel negozio, né pel lavoro, i principi ed i re passeranno per le porte di Gerusalemme; trarranno in essa d’ogni contrada colle mani piene di offerte, e questa prosperità sarà eterna » [Jer., XVII, 24-26]. – Alla prosperità materiale aggiunge Egli l’allegrezza, la gloria e la potenza della nazione. « Se voi v’astenete, riconferma esso, di viaggiare nel giorno di sabato, e di fare la vostra volontà nel giorno a me consacrato; se voi lo riguardate come un riposo delizioso, come il giorno santo e glorioso del Signore, nel quale voi Gli renderete l’omaggio a Lui dovuto, allora troverete voi la vostra gioia nel Signore; io vi innalzerò sovra tutto ciò che havvi di più elevato in sulla terra » [Is., LVIII, 13-14]. Nulla è più facile che il moltiplicare le scritturali testimonianze, nelle quali sono contenute sotto differenti forme le medesime promesse e le medesime minacce.

IV.

Iddio si è cangiato Egli? Per essere stato trasferito alla domenica il riposo del settimo giorno è esso meno sacro? Perchè trasricchi Egli i cristiani di benefizj più grandi di quelli dei Giudei? Il Padrone sovrano esige Egli meno di gratitudine, e la decima che si riserbò Egli sui giorni del mortale, deve essa essere a Lui pagata con inferiore fedeltà? – Il figliuolo del Calvario è Egli meno obbligato alla perfezione che lo schiavo del Sinai, e i1 riposo settenario cessò esso d’essere la condizione indispensabile della cultura dell’anima? Se non havvi che una sola maniera da risolvere queste questioni, ne conseguita che l’importanza estrema del sabato sotto la legge di Mosè , la domenica la conserva sotto il Vangelo. Ora, noi l’abbiamo veduto, siffatta importanza è tale, che punto non v’è nel codice divino precetto più antico, più universale, più sovente replicato, più fortemente sanzionato, per conseguenza fondamentale, che il precetto della santificazione del settimo giorno. Se la Religione dunque vuol dire alleanza, o società del mortale con Dio, vincolo il quale unisce l’uomo a Dio, è evidente che la profanazione francese della domenica, cioè la violazione pubblica, generale, permanente della condizione essenziale di questa alleanza, è la rovina stessa del contratto divino. Tra gli uomini, forse che una convenzione non è rotta allorquando una delle parli ne viola, anche una sola volta, le condizioni fondamentali? Che ne succederebbe poi, se, come nel caso presente, la violazione fosse abituale? Per cotesto primo titolo, la profanazione della domenica pertanto è la rovina della Religione.

V .

Questo non basta, quella gode di cotesto miserando privilegio per un secondo titolo assai più marcato. In effetti, signore e caro amico, voi non troverete in tutto il codice divino precetto, la cui violazione trascini altresì cotanto infallibilmente la rovina d’ogni altro. Sapete voi, qual fu presso ciascun popolo, per quanto alto rimontare si possa negli annali del mondo, il grido di guerra di tutti gli uomini, l’orgoglio de’quali intraprese di detronare l’Ente Supremo? L’Ateismo? No. Il Deismo? Neppure. La voluttà? Nemmeno; sebbene la distruzione del giorno della Preghiera! In su tutti i loro stendardi, rimiro io scritto ciò che David vi leggeva di già tre mila anni fa : « Scancelliamo i giorni di festa d’Iddio dai calendarj di tutta la terra) (Quiescere faciamus omnes dies festos Dei a terra. (Ps. LXXV). Qui più che altrove si verifica il detto del conte de Maistre: « il male ha un istinto infallibile: esso non percuote sempre forte, ma continuamente esso percuote giusto ». Sopprimete la domenica, o ciò che ritorna allo stesso, fate che sia questa giornalmente profanata presso d’un popolo, e prestamente voi non avrete più né conoscenza, né pratica della Religione, né frequenza de’Sacramenti, né culto esteriore. L’esperienza è stata fatta; le conseguenze ne sono evidentissime per ognuno. Se abbisognasse allegarne la ragione, io direi che nessuno può asserire sé conoscere la Religione, per aver sovra questa scienza insieme sì profonda, e varia le nozioni imperfette ricevute nella fanciullezza. Arrogerei che tali nozioni, necessariamente assai incompiute, sovente leggermente udite, più ordinariamente mal comprese, vengono tostamente obliale fra il rumore del laboraloio, fra la dissipazione del collegio, al contatto d’una società come la nostra, le cui abitudini, le preoccupazioni, le massime troppo sono adattissime ad oscurar le idee cristiane, e ad estinguere perfino i sentimenti della Fede. Se adunque, uscito d’infanzia, l’uomo, chiunque sia, non viene più ad ascoltare i documenti della Religione, smarrisce egli celermente assai più di quello non si possa pensare l’esile somella delle religiose conoscenze che aveva acquistate. – Quanto spesso non ho io sentito de’ vecchioni impacciati nel rispondere alle questioni le più elementari del catechismo, affermare pubblicamente: « una volta lo sapevo io pure; ma ora l’ho me ne sono dimenticato!» Quante altre volte non ho veduto io degli adulti e dei giovanotti da sedici a diciotto anni, o muti sulle cose che avevano imparate all’epoca della prima comunione loro, o miseri sino al ridicolo nelle loro risposte avventate? Ora, colla profanazione della domenica, niuna istruzione religiosa. I templi, i mezzi, o la volontà mancheranno; quest’è un fatto cotanto lampante, quanto il sole. – Ma supponiamo, che non si pongano in dimenticanza i ricevuti insegnamenti elementari, supponiamo altresì che questi insegnamenti siano compiuti. Nulla ostante la profanazione della domenica non diventa essa punto meno la rovina della religione, la quale non può più esercitare alcuna importante influenza. Di fatto, si converrà facilmente che non basta il conoscere speculativamente le condizioni del divino patto, bisogna meditarle, rimeditarle replicatamente, o, come dice l’istesso legislatore, legarle al suo braccio, e porle in sul suo cuore, affinché divengano esse la regola costante della condotta. – Questo difetto di meditazione delle verità della religione è la cagione di tutti i mali del mondo [“Desolatione desolata est omnis terra, quia nullus est qui recogitet corde”. (Jer., XII, 11)]. Qui ancora, colla profanazione della domenica, dassi niuna seria meditazione di queste salutari verità. Chi dunque le rnediterà fra la settimana? L’operaio, il bracciante, costretto a guadagnarsi il suo pane col sudore della sua fronte? Ma non ne ha spazio. L’uomo d’ una casta più distinta? Ma l’opportunità eziandio a lui manca; non ne viene egli distratto da suoi affari, da’ suoi piaceri, da suoi giornali? E poi, gli si doni pure il tempo, n’è egli volonteroso ? In tesi generale, mai no. Per lui, non meno che per l’uomo dello stento, la profanazione della domenica è dunque la rovina della religione. Queste considerazioni deortatorie acquistano una novella forza, se riflettasi, che l’osservanza del riposo settenario diventa più che una condizione fondamentale della società del mortale con Dio. – Essa è in qualche maniera questa società stessa. La parola formale dell’Altissimo protegge la mia asserzione: « Il sabato, dice egli, è il mio patto co’ figliuoli d’Israel, e il segno eterno di questo patto » [“Pactum est sempiternum inter me, et filios Israel signumque perpetuum” . (Esod. XXI, 16, 17, etc.)]. Ciò che era, sotto simile rapporto, il sabato nell’antica alleanza, trovasi la domenica sotto la nuova legge. Donde originò questa locuzione cotanto profondamente vera dei primi persecutori della Chiesa ai nostri padri nella fede, diretta: « lo non t’interrogo punto se tu sei cristiano, ricerco da te io, se ne hai tu osservato la domenica ». La fedeltà sopra questo precetto dispensava d’ogni altra questione. Tanto egli è vero, al giudizio stesso del semplice buon senso, che la santificazione della domenica è la base della religione, e che la profanazione della domenica diventane la rovina, cioè che la religione sussiste, o no, secondo che la domenica viene, o no santificata.

VI

Inoltriamoci. La profanazione della domenica è ancora la rovina della religione, perché, essa è una rivolta aperta contra Dio, ed una professione pubblica d’ateismo. Questo, lo confesso io, mi spaventa assai più del socialismo, da cui veniamo minacciati. Quale spettacolo, signore, e caro amico, presenta ciascuna settimana la nostra infelice patria! Ogni otto giorni la Francia si mette in pubblica insurrezione contro all’Esser supremo! Ogni otto giorni costei getta all’Onnipotente un’insolente disfida! Quando dall’alto delle nostre vetuste cattedrali le campane invitano alla preghiera, la folla rimane immobile, e il tempio deserto. I clamori della contrada, il rotamento de’ carri, 1’agitazione del commercio, il ripercotimento de’ martelli, l’esposizione delle mercanzie continua come nella vigilia. L’insulto non è ancora abbastanza oltraggioso. Nei paesi cristiani, dalla vigilia si preparano per la domenica i fedeli con disposizioni d’ordine e di proprietà nelle case e nelle contrade; e se la festa è solenne con digiuni, purificazioni o pubbliche orazioni. Nella più parte di nostre città francesi [ed in quelle italiane e dell’Europa, un tempo cristiana, oggi –ndr.-] il sacrilego fa parodia di queste cose sì sante! Il lunedì diventa la domenica dell’oscenità e dell’empietà; esso ha i suoi primi vespri, allorquando appunto l’ora solenne del gran sacrifizio è passata, e che così la profanazione della domenica è consumata, il movimento esteriore s’allenta, i magazzini a poco a poco si chiudono. Una folla gremita, lasciati i panni dimessi ed adusati ferialmente, indossa vestimenta pulite e pompose, e si riversa per tutte le vie. – Dove sen vanno questi uomini, queste donne, questi fanciulli, liberi ornai di loro occupazioni? Volgono questi, senza dubbio, i loro passi verso il tempio; quivi si portano per ristorare con un riposo doppiamente salutare le forze del loro corpo e la salute dell’anima loro. No, figliuoli prodighi non conoscono più la magione del padre loro! Dove si dirigono essi dunque? Domandatelo alle barriere, ai teatri, alle taverne, ai luoghi di prostituzione: Per essi, le tavole de’ bagordi hanno rimpiazzato la santa mensa; i canti osceni sono i loro sacri inni. Il teatro è il loro tempio; i balli e gli spettacoli tengono loro luogo d’istruzione e di preghiera. – La notte stessa non pone fine all’immenso scandalo. À quest’ora calamitosa l’innocenza incontra più sovente la seduzione; misteri d’iniquità si compiono nell’ombra. L’indomani ripigliansi i proprj lavori col corpo estenuato dalle intemperanze della veglia, collo spirito affaticato dalla dissipazione, e dagl’intrighi, col cuore corrotto, coll’anima straziata da rimorsi, e la settimana ricomincia con la maledizione dell’Ente supremo. – Così, per un disordine, il quale grida vendetta dal cielo, il santo giorno è il giorno il più profanato della settimana. – L’oltraggio può egli mai salire più alto? Sì, che lo può. Tutti i profanatori della domenica sono ben lungi dal ritornar al lavoro il lunedì. La maggior parte consacra questo giorno all’oziosaggine ed alle turpitudini: questa è la domenica della crapula, e la fanno. Ma perché cotesto giorno a preferenza d’ un altro? Come mai non vedere in simile scelta, io non so, un certo satanico istinto, che vuole per siffatto avvicinamento rendere insultante il disprezzo di Dio e della sua legge? – Io ve lo ripeto, questo disordine mi spaventa più del socialismo.

VII.

Allo spavento s’aggiugne l’onta, che mi copre di vergogna. Qual esempio noi diamo al mondo intero! Che devono pensare di noi gli stranieri che vengono in Francia, e che veggono la nostra scandalosa profanazione del giorno sacro? Io non parlo solamente de’ cattolici, de’ quali noi offendiamo profondamente il sentimento religioso, e cui noi umiliamo crudelmente pel disprezzo d’una religione che è eziandio la loro; parlo io de’ protestanti. Passate nell’eretica Inghilterra, la metropoli dell’attività e del commercio. Vi vedrete voi un solo metro di stoffa messo in vendita avanti un solo magazzino? No, neppure uno, sono almeno essi poi i magazzini aperti? No; appena quei dei commestibili, e ciò in fino a mezzo giorno soltanto; e ciò senza niuno apparato di mostra: anzi ciò è una sola semplice tolleranza. Le vetture vi circolano esse come nelle nostre città, facendo tremolare le invetriate di nostre chiese, intorbidando incessantemente la calma della preghiera, e rendendo impossibile ogni raccoglimento? No; i carri di trasporto punto non vi circolano; le sole carrozze de’particolari si mostrano, ed in picciolissimo numero, alle ore del servizio religioso. Le usine, queste immense usine, che hanno da fornire dei prodotti all’universo intiero, sono esse in azione? No. Nella Scozia stessa le strade ferrate obliano la loro divorante attività: l’interesse, il piacere, tutto s’arresta rispettosamente dinanzi la sacra legge. Le poste stesse, che trasportano dalle quattro parti del mondo, e vi devono recare lettere e così numerose, e così premurose, e così importanti sotto ogni riguardo, queste poste fanno esse il loro servizio? No. Né a Londra, né in Iscozia, neppure una lettera ne viene distribuita, ovvero ne parte alla domenica. Havvene un’unica distribuzione nelle altre ville del regno. -Ma questo tempo, ch’essa toglie al lavoro, l’Inghilterra io dona forse, come noi, ai teatri, alle biscazze? No. Giammai si trova un teatro aperto la domenica; giammai una bettola durante l’ora degli uffizj. La medesima severità vi regna negli Stati Uniti d’America. – Che ne risulta di cotesto umiliante contrasto? Questo, che la nostra scandalosa violazione della legge sacra al riposo ebdomadario, cotanto religiosamente osservata in ogni luogo illuminato dal sole, induce lutti i popoli a diffidare di noi, ed a tenerci in vilissima disistima. In Europa, cotesta spacciatamente ci condanna per decaduti dalle nazioni incivilite, ed in Àfrica ci butta al rango dei cani. Dire, che somigliante disprezzo sia l’effetto d’un pregiudizio , è difenderci con un’ingiuria. Agli occhi di tutti i popoli, la violazione pubblica, abituale, generale del sacro riposo è una periodica insurrezione contro del medesimo Dio. – Ora, l’orrore che inspira al genere umano la rivolta d’un popolo contro all’Altissimo, non fu no giammai l’effetto d’un pregiudizio. Incapaci a pretenderlo, ciò sarebbe aggiungere la scipitaggine all’ingiuria, e raccogliere per soprappiù la derisione dell’intero universo, legittimo salario della burbanza e della procacia.

VIlI.

Cotesto disprezzo è altrettanto meglio dimostrato, quanto che la nostra profanazione della domenica non è solamente un’insurrezione contra l’Onnipotente, ma una pubblica professione d’ateismo. Tale è il suo più vero e il suo più odioso carattere. La religione, voi lo sapete, è il vincolo che unisce a Dio, non soltanto l’uomo individuale, ma eziandio l’uomo collettivo, che si chiama popolo. – Questo vincolo non esiste mica per un popolo, a meno che egli non si manifesti per certi atti pubblici adempiuti in comune, per mezzo de’ quali questo popolo testimoni la sua fede, come popolo, e la sua dipendenza a riguardo della divinità; ogni nazione, la quale non esercita un pubblico culto, obbligatorio per la nazione, fa pubblica professione d’ateismo. I membri di cotesta nazione possono aver individualmente una religione; ma la nazione per se stessa non ne ha: essa è atea come nazione. Ecco quello che credettero, compresero, quello che credono, comprendono ancora tutti i popoli del globo. Cristiani, Giudei, Maomettani, Pagani, tutti, un solo eccettuato: il popolo di Francia! [Ed oggi, grazie al modernismo e al luciferino ecumenismo, la situazione descritta così lucidamente da mons. Gaume, coinvolge anche l’Italia, la Spagna, la Polonia, l’Irlanda, gli Stati Uniti, etc. etc. –ndr.-]. Ora, questi atti di pubblico culto, adempiuti in comune, ed obbligatori per la nazione, esigono, di tutto rigore, un tempo, un giorno fisso , lìbero d’ogni lavoro, onde il popolo intero possa radunarsi nei suoi templi, e dimostrare per orazioni e sacrifici solenni il sacro vincolo, il quale lo stringe a Dio. Ecco ancora ciò che comprendono tutte le nazioni della terra. Cosi non trovasene una sola, la quale non abbia il suo giorno di riposo e di culto pubblico. Pei cristiani questo è la domenica, pei giudei il sabato, pei musulmani il venerdì, pegli idolatri di Ormulz e di Goa il lunedì, pei negri della Guinea il martedì, pei mongoli il giovedì; presso certe nazioni, depositarie meno fedeli delle primitiva legge del riposo settenario, come i chinesi, i cocincinesi, i giapponesi, trovasi il principio dell’anno, parecchie novelle lune, ed anche il 15 e il 28 di ciascun mese, consacrato al culto solenne della divinità [V. Lamoire, Le Vayer, tom . XU, epit. l1, p. 32]. – Dunque qualunque popolo privo dei giorni legalmente riserbati al culto nazionale è un popolo non decorato del nome di religioso infra gli altri popoli: egli non è né cristiano, né giudeo, né maomettano, né pagano; esso è qualche cosa di mostruoso: desso è ateo.

IX.

Profanazione della domenica vuol dire rovina della religione; tale è, signore, e caro amico, la proposizione che aveva io a stabilire nelle mie prime lettere: mi sembra essermi sgravato del compito. Avanti di finire, voglio richiamare, per un istante, la vostra attenzione sopra queste due parole: rovina della religione! Considerata sotto questo primo rapporto, si comprende bene tutta la gravità della questione, la quale ci occupa, o se voi amate meglio, l’inesprimibile gravità del disordine che noi combattiamo. Alla presenza di ciò, che si passa in Europa, e più ancora nell’apprensione di quello che ci minaccia, è forse d’uopo ridire la necessità assoluta della religione, la colpevole clemenza di coloro che la distruggono? Chi dice mina della religione, dice: rottura del vincolo che unisce il mortale a Dio, negazione di Dio, negazione della Provvidenza, negazione dell’autorità, negazione della società, negazione della famiglia, negazione della prosperità, negazione della moralità degli alti umani. – Chi dice rovina della religione, dice: anarchia nelle intelligenze, anarchia nei cuori, anarchia nei fatti, dubbi, tenebre, angosce, sensualità, egoismo, orgoglio, rivolta, febbre dell’oro, febbre della voluttà, sprigionamento compiuto di tutte queste belve furiose denominate passioni, e l’immondo covile delle quali è il cuore di ciascun mortale. Chi dice rovina della religione, dice: potere senza diritto, istituzioni senza fondamento, autorità senza rispetto, società senza difesa, privazioni senza indennizzazioni, sacrifici senza ricompense, dolori senza consolazioni, demenza, disperazione, suicidio, rivoluzioni, saccheggi, dispotismo, subbisso, barbarie, caos. Chi dice rovina della religione, dice, in una parola, degradazione dell’uomo sino al livello del bruto, ed al disotto. Gradite, ecc.

Precetto dell’astinenza e del digiuno.

 Precetto dell’astinenza e del digiuno.

[Er. Ione O.F.M. Capp. – Compendio di teologia morale – Marietti ed. – p. 320-327]

digiuno-e-astinenza

I . Giorni di astinenza e di digiuno.

I ° Giorni di sola astinenza (o di magro) sono tutti i venerdì (can. 1252, § 1).

Giorni di digiuno e di astinenza insieme sono: il mercoledì delle Ceneri, tutti i venerdì e sabati di quaresima, i giorni delle Quattro Tempora, le Vigilie di Natale, di Pentecoste, dell’Immacolata Concezione di Maria (can. 1252, § 2, AAS, XLIX , 1957 p. 638). Alla sera della vigilia di Natale, secondo una consuetudine generale, è permesso il doppio di quanto è lecito negli altri giorni di digiuno (jejunium gaudiosum). – Nel rito ambrosiano la quaresima inizia dalla prima Domenica dopo le Ceneri. Con l’abolizione della vigilia di Ognissanti è tolto pure l’obbligo dell’astinenza e del digiuno in tal giorno (Ephem. Lit. LXXI, p. 54).

Giorni di solo digiuno sono tutti i giorni di quaresima (can. 1252, § 3). Con Decreto della S. C. del Concilio del 28 gennaio 1949 (AAS, XLI, 1949, p. 32-33) venne stabilito che fino a nuova disposizione tutti i fedeli di rito latino, anche appartenenti ad Ordini e Congregazioni religiose, osservino l’astinenza in tutti i venerdì; l’astinenza e il digiuno, invece, il mercoledì delle Ceneri, il Venerdì Santo, la Vigilia dell’Assunta (successivamente trasferita alla vigilia dell’Immacolata Concezione di Maria), e la vigilia di Natale, permettendo anche l’uso delle uova e dei latticini ovunque, tanto a mezzogiorno che alla sera.

Indulti pontifici. – La Chiesa, secondo lo spirito del suo Maestro, sa e vuole adattare le sue leggi alle varie condizioni sociali e individuali di fervore, di salute, di località e di climi diversi. Attraverso i tempi la disciplina del digiuno fu molto rigida, ma fu sempre opportunamente contemperata alle varie esigenze; anche prima del Codice si aveva una disciplina piuttosto stretta. Ma per renderla osservabile, da secoli s’era andato introducendo l’uso su vasta scala di « indulti » e di « privilegi » in materia, con la proseguente dispensa almeno parziale dalla legge o la permissione di cibi che per diritto comune erano esclusi. Basta pensare alla « Bulla Crociata » e agli indulti ampi concessi per le regioni fredde (nordiche). Come vedremo subito, il Codice temperò molto la disciplina dell’astinenza e del digiuno; ciò nonostante l’uso degli indulti continua. – Ma mentre in altre regioni gli indulti sono di solito generali e magari nazionali, in ITALIA ciascun vescovo deve pensare per la propria diocesi a chiedere annualmente od ogni cinque anni l’indulto. Il tenore di questi indulti varia da diocesi a diocesi; perciò ciascuno deve stare alle consuetudini, alle prescrizioni ed alle dichiarazioni dei singoli vescovi. Dopo il Codice, in generale i vescovi in caso di salute pubblica precaria chiedono di volta in volta la dispensa dalla legge; e dove le condizioni lo consiglino, chiedono l’indulto di poter usare al mattino e alla sera, nei giorni d’astinenza, uova e latticini. – In SVIZZERA per indulto: a) sono giorni obbligatori di astinenza tutti i venerdì dell’anno; — sono giorni di astinenza e di digiuno insieme, il mercoledì delle Ceneri, tutti i venerdì di Quaresima, i venerdì delle Quattro Tempora, le vigilie di Pentecoste, dell’ Immacolata Concezione di Maria e di Natale. — Non vi sono giorni di solo digiuno.

II. Oggetto del precetto dell’astinenza e del digiuno.

I ° Il precetto del digiuno permette soltanto una refezione completa una volta al giorno; non vieta che si abbia a prendere qualche «frustulum» o piccolo spuntino la mattina e una refezioncella la sera. In materia si devono osservare circa la qualità e la quantità i 1odevoli usi locali (can. 1251, § 1). – Il digiuno importa pure l’astinenza alla colazioncina e alla refezioncella, salvi gli indulti particolari e le consuetudini locali. Pertanto nei giorni di solo digiuno al pranzo è lecito mangiare ogni qualità di cibo; ma per la colazioncina e la refezioncella le consuetudini diocesane e spesso locali fissano la qualità. In generale, sono leciti i latticini e le uova; in poche diocesi invece i latticini e le uova sono vietati o permessi solo per indulto. Alcuni vescovi anzi esigono per es. nel giorno delle Ceneri e il Venerdì Santo lo « stretto olio ». Pertanto ciascuno veda le consuetudini e prescrizioni diocesane. — Chi per qualsiasi motivo non è obbligato al digiuno, può lecitamente mangiare nei giorni di solo digiuno carne e ogni cibo tanto quanto desidera. — Non è più vietato mangiare contemporaneamente cibi di carne e di pesce nel medesimo pasto; similmente mutare la refezioncella serotina con il pranzo o pasto principale (can. 1251, § 2). Per motivo giusto è pure lecito scambiare la colazioncina del mattino con la refezioncella della sera. – È lecita una interruzione del pasto principale senza motivo quando non dura oltre mezz’ora; in caso di maggiore interruzione si commette peccato veniale; — se l’interruzione oltrepassa l’ora, anche peccato mortale. Per un motivo proporzionatamente grave (per es. il dovere di soccorrere un moribondo) è lecito interrompere il pasto principale anche più ore. — Nel determinare la quantità che uno può lecitamente prendere alla colazioncina e alla refezioncella, si deve tener conto della costituzione corporale, della qualità del lavoro, della durata del digiuno e della rigidità della regione. In generale si può dire che a ciascuno è lecito prendere quel tanto che è necessario per preservare la sua salute da notevole danno e per assolvere convenientemente il proprio dovere. Può darsi, perciò, che qualcuno si trovi in tali condizioni da essere praticamente scusato dall’osservare il digiuno. Nel tempo che intercorre fra i tre pasti citati, non è lecito prendere nessun nutrimento, bensì bevande che non nutrono (per es. acqua, vino, birra, ecc.; non brodo, cioccolata, latte, e simili). Affinché la bevanda non faccia male, è lecito mangiare insieme qualche cosetta. – Se alcuno, avvertitamente o inavvertitamente, in un giorno di digiuno prende due volte un pasto intero, gli diviene impossibile digiunare in detto giorno; quindi gli è lecito mangiare a sazietà altre volte.

Il precetto dell’astinenza vieta l’uso della carne e del brodo di carne; non delle uova, del latte e di qualsiasi condimento, anche se di grasso animale (can. 1250). – Tuttavia è proibita soltanto la carne degli animali mammiferi e dei volatili (animali di sangue caldo); come pure il loro lardo, il sangue, il midollo delle ossa, il cervello, il cuore, il fegato ecc. — È permessa, invece, la carne e derivati degli animali di sangue freddo: pesci, rane, tartarughe, lumache, conchiglie, ostriche, gamberi ecc. — Quando di alcuni animali si disputa, si può stare al giudizio corrente dei fedeli e alla consuetudine dei luoghi. – Come condimento è lecito usare i grassi animali (lardo, strutto) fusi, non solo per preparare i cibi, ma anche per spalmarne il pane. È lecito l’uso della « pancetta » come condimento, non come companatico. Sono permessi i residui di lardo o grasso fuso (ciccioli o siccioli), che rimangono nel condimento. — Leciti sono pure: il burro artificiale (margarina), il brodo « Maggi » e certi estratti di carne, che non hanno più il sapore di carne o di brodo di carne (gelatina, pepsina, peptoni). — Non sono permessi, invece, i dadi da minestra « Liebig » e simili, i quali realmente sono composti in buona parte di carne di animali proibiti. – Chi in un giorno di astinenza ha mangiato, anche inavvertitamente di grasso, è ancora obbligato a osservare il magro in detto giorno, trattandosi di obbligazione negativa.

III. Soggetti del precetto dell’astinenza e del digiuno.- I° Tutti coloro che hanno compiuto il 21° anno di età e non ancora iniziato il 60° sono obbligati a digiunare (Can.1254 § 2).

Gravità dell’obbligazione. I precetti del digiuno e dell’astinenza per sé obbligano sub gravi. Ammettono però parvità di materia, quando si trasgrediscono in quantità insignificante. Chi in giorno di digiuno fuori dei pasti mangia ancora 6o gr. di pane, non commette certamente peccato grave; con 120 gr. abbiamo materia grave, tanto se presi in una volta sola, quanto in diverse riprese. — Così non pecca mortalmente chi in giorno di astinenza mangia 20 gr. di carne; pecca mortalmente, invece, se ne mangia 60 gr.Tuttavia le piccole trasgressioni ripetute del precetto dell’astinenza non si assommano a formare materia grave, a meno che si abbia già avuta l’intenzione fin dall’inizio di prenderne una grande quantità.

Cessazione dell’obbligo. — I° Disposizione del diritto comune. Tanto il precetto dell’astinenza quanto quello del digiuno cessano nelle domeniche e nei giorni festivi di precetto. Si eccettuano i giorni festivi che cadono in quaresima (festa di S. Giuseppe, 19 marzo), nei quali rimangono in vigore i due precetti. Le vigilie non vengono anticipate (can. 1252, § 4). Secondo il decreto del 16 nov. 1955, l’astinenza e il digiuno, prescritti per il tempo di Quaresima, cessano non più al mezzogiorno, ma alla mezzanotte del Sabato Santo (AAS, XLVII, 1955, p. 841). – Perciò, fuori di quaresima, per diritto comune, i giorni di digiuno e di astinenza (per es. la vigilia di Natale), che cadono in domenica, non si anticipano. – In SVIZZERA il precetto dell’astinenza e del digiuno del venerdì cessa, sottinteso fuori di quaresima, se i n detto giorno si celebra in un luogo determinato una festa di uso locale solennizzata da tutti. — I n ITALIA non esiste tale privilegio; eventualmente può provvedere il vescovo con la dispensa.

2° Dispensa.

a) Generale.

La S. Sede può dispensare tutti i luoghi, le singole diocesi, ecc.; e realmente durante i l periodo bellico e postbellico ha concesso amplissime dispense; in casi di epidemie o di condizioni precarie di salute diffuse, ad istanza del vescovo, dispensa intere diocesi. — In merito a indulti generali e abituali cfr. supra. – Per l’ITALIA non si danno altri indulti generali. – In SVIZZERA: — è permesso l’uso della carne tutto l’anno, escluso il Venerdì Santo, « a tutti coloro i quali, trovandosi, per motivi giusti e gravi, lontani dalla propria economia domestica, prendono i pasti o in comune, o all’albergo, o in una pensione ». I n pratica sono: chi si trova in viaggio, i militari, i poveri che vivono d’elemosina, le persone di servizio, gli operai, quanti per qualche tempo vivono in casa altrui, impossibilitati a scegliere il cibo, data la condizione di ospiti; i boscaioli, i ferrovieri, ecc., che non mangiano nè prendono il vitto a casa propria, le persone che vanno sui mercati fuori di paese e che mangiano sul posto; i venditori ambulanti . — In ITALIA tali categorie possono ritenersi qualche volta scusate dall’osservanza. — Sono considerati dispensati dall’obbligo del digiuno e dell’astinenza coloro che fanno parte delle Forze Armate Italiane e le persone che convivono negli stabilimenti militari e prendono i pasti in comune. L’Ordinariato Militare, però, inculca l’osservanza dell’astinenza almeno in alcune ricorrenze più importanti, come per es. nel mercoledì delle Ceneri, nel Venerdì Santo ecc.

b) Dal precetto dell’astinenza e del digiuno, supposta la causa ragionevole, i parroci possono dispensare nei singoli casi tanto i singoli fedeli quanto le singole famiglie (ma non tutta la parrocchia cumulativamente ad modum unius). Eguale potestà hanno i superiori di un istituto religioso clericale esente riguardo ai religiosi professi, ai novizi, ai domestici, ospiti, ecc., i quali si trovano in convento giorno e notte: (can. 1245).

I Confessori per sé non hanno nessuna facoltà, fuori di quella di dichiarare la cessazione della legge. In molte diocesi, però, essi pure (sovente anche in foro extra sacramentale) godono di facoltà speciali. — I parroci e i predetti superiori possono dispensare anche se stessi (cfr. can. 201 § 3); ma ciò non può essere fatto dai confessori, quando la facoltà di dispensare solo in foro sacramentale.

3° Cause scusanti.

a) Dal digiuno per causa di impossibilità fisica o morale sono scusati:

a) Gli ammalati, i convalescenti, le persone malaticce, i sofferenti eccessivamente di nervi, quanti digiunando soffrono forti emicranie o non riescono a riposare; le donne nel tempo mestruo se dovessero soffrire; i poveri o quelli che non hanno spesso neppure quel tanto necessario per sfamarsi; quanti devono sostenere mestieri pesanti, come i contadini durante i lavori, i fabbri ferrai, i cavapietre, i fonditori, i minatori, i muratori, i facchini, ecc., supposto che lavorino di fatto la maggior parte del giorno. Costoro inoltre sono scusati anche se per un giorno o due non compiono lavori pesanti. Similmente i professori, gli insegnanti, i predicatori, i confessori, gli studenti, i giudici, i medici, gli avvocati, ecc., quando digiunando non potessero convenientemente disimpegnare i loro doveri professionali; — coloro che fanno un viaggio faticoso a piedi o in carretto per necessità. Chi viaggia in ferrovia può d’ordinario essere scusato soltanto per il motivo che non può avere cibo sufficiente nel tempo dei pasti. — Non è però lecito addossarsi lavori pesanti con la intenzione di rendersi con ciò impossibile il digiuno. – Siccome la legge del digiuno importa l’astinenza dai cibi grasso alla colazioncina e alla refezioncella, quanti si trovano nella impossibilità di osservare l’astinenza, sono scusati pure dalla legge del digiuno.

b) Dalla legge dell’astinenza sono scusati:

Gli ammalati, i convalescenti, le donne gravide, quando l’uso della carne è loro necessario. Alcuni autori permettono alle donne gravide uno o due bocconi di carne, quando ne sentono grande voglia. Anche alle donne allattanti può essere talvolta necessario l’uso della carne. Gli operai che attendono a lavori particolarmente difficili, specialmente a quelli che tolgono l’appetito, per es. i lavori ai forni o in fonderia, nelle miniere. I poteri che non possono avere altri cibi sufficienti; le spose, i figli, le persone di servizio, quando il capo di famiglia non permette nessun’altra vivanda. Però le persone di servizio in tal caso, potendo, dovrebbero cercarsi un altro padrone; salvo che non prevedano di andare incontro a pericoli morali maggiori. — Chi viene invitato a un pranzo, in cui prevede di dover mangiare di grasso, per sé non può accettare l’invito; gli può essere lecito, se con ragione può temere che non accettandolo, ne avrà danno rilevante o causerà forti attriti ed offenderà gravemente gli altri. Lo stesso deve dirsi di chi in un convito si vede inaspettatamente servire vivande vietate. — Essendo stati per errore preparati cibi di grasso in giorno di magro, non si possono mangiare se è facile apparecchiare altri cibi esuriali e conservare i cibi di grasso senza prave scapito per il giorno seguente. Se però si tratta soltanto di una piccola quantità di carne, che non è affatto proibita sub gravi, la circostanza che tali cibi sono stati preparerai inavvertitamente, scusa già per se stessa dal peccato veniale. Se il capo di famiglia o altro membro è scusato o dispensato dall’astinenza, per sé non lo sono gli altri familiari, a meno che sia moralmente impossibile preparare due pasti differenti; in tale supposizione tutta la famiglia sarà scusata dall’astinenza. —

Nota.

Per diritto di consuetudine permangono vietati i divertimenti pubblici durante l’Avvento e la Quaresima (cfr. n. 46). Nel determinare la gravità della mancanza si deve tener presente il tempo (per es. i primi giorni dell’Avvento, il giorno delle Ceneri, il Venerdì Santo), la qualità dei divertimenti, il giudizio che ne danno i fedeli di sano sentimento religioso, l’eventuale scandalo, i vari luoghi (città o paesi agricoli), le disposizioni dei vescovi.

AL SACRO ED IMMACOLATO CUORE DI MARIA

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AL SACRO ED IMMACOLATO CUORE DI MARIA:

PER LA CONVERSIONE DEI PECCATORI.

[da il Manuale di Filotea del sac. G. Riva, XXX ediz., Milano 1888]

Questa festa fu istituita in conseguenza delle grazie d’ogni maniera, e specialmente delle tante strepitose conversioni dei peccatori più indurati, appena si fece ricorso a Maria Immacolata, o si fece devoto uso della Medaglia che la rappresenta, e che fino dal 1830, cominciò a denominarsi miracolosa. Dove esiste la relativa Confraternita, unita colla Arciconfraternita di santa Maria delle Vittorie in Parigi [attualmente riaperta da S. S. GREGORIO XVIII -ndr.-], oltre la solennissima universal festa dell’Immacolata Concezione di Maria l’otto dicembre, si celebra pure nella Domenica avanti la settuagesima, o riparazione dei tanti scandali e disordini del carnevale, una festa speciale in onore del sacro Immacolato suo Cuore, facendovi precedere una devota Novena in cui si recitano le seguenti Orazioni, che possono usarsi in ogni tempo per ottenere le conversione o dei peccatori in genere, o di qualcheduno in particolare.

I – O Cuor Immacolato di Maria, irradiato sempre dal sole di Giustizia, Gesù, vibrate un raggio di vostra luce divina nel cuore di quegli infelici che vivono immersi nelle tenebre del peccato, e scoprite loro l’enormità delle loro colpe, e la via di uscire con sicurezza e senza dilazione. Ave.

II – O Cuor Immacolato di Maria, dolce rifugio dei poveri peccatori, deh, quanti di essi per la vostra intercessione, già provano i salutevoli strazii di quei rimorsi che sono i primi frutti di quella divina grazia di cui voi siete la Madre. Ah, cara Madre, compite l’opera che avete incominciato, e riduceteli fiduciosi e dolenti al vostro Figlio Gesù. Ave.

III – O Cuore Immacolato di Maria, Cuore, ahi, trafitto in mille volte dall’acutissima spada del peccato! Deh, per pietà, ottenete a quegli sgraziati che hanno di bel nuovo crocifisso il vostro divin Figlio, un dolore profondo delle loro colpe, e la grazia di non peccare mai più. Ave.

.IV – O Cuore Immacolato di Maria, più candido della neve, più splendente del sole, deh, vi commuova lo stato lacrimevole di quegli infelici che gridano all’impotenza d’uscire da quella schiavitù in cui sono stretti stretti dalle loro basse e ree passioni. Ah, cara Madre, voi che siete la Vergine Potente per eccellenza, spezzate voi quelle catene per le quali il demonio tenta di trascinarli all’eterna rovina. Ave.

.V – O Cuore Immacolato di Maria, che per i miseri peccatori avete tanto patito con Gesù là sul Calvario, esposto agli scherni di quella plebe sfrenata, Voi che conoscete quanto timido e fiacco sia lo spirito dell’uomo, deh, ajutate gli infelici traviati a vincere gli umani rispetti, e disprezzar le beffe e le derisioni degli ostinati libertini, onde possano stringersi al vostro Cuore materno per non separarsene mai più. Ave.

VI – O Cuore Immacolato di Maria, il più tenero e compassionevole per noi, che deste a Gesù quel sangue che egli tutto versò sulla croce per lavare d’ogni colpa le anime nostre, deh, lavate anche Voi le anime di tutti i peccatori in questo bagno salutare, aiutandoli ad accostarsi al sacramento della Penitenza col cuore penetrato dal più profondo dolore delle loro colpe. Ave.

VII – O Cuore Immacolato di Maria, tempio della Divinità, tabernacolo del divin Verbo, trono luminoso di gloria, santuario di tutte le grazie, deh, fate che dalle anime di tutti i cristiani spariscano le nere macchie del peccato, e splendente rifulga d’ogni più bella luce il soave raggio della grazia, onde così sian fatti degni di ricevere il vostro figlio Gesù. Ave.

VIII – O Cuore immacolato di Maria, sorgente di ogni grazia, albergo delle più elette virtù, deh, fate che nelle anime ravvedute risplendano le cristiane virtù della Fede, della Speranza, della carità e della Religione; perché così ornate di tanta bellezza, vengano loro da Voi aperto un giorno le beate porte del Paradiso. Ave.

IX – O Cuore immacolato di Maria, speranza dei fedeli, delizia del cielo, le passate infedeltà fanno tremare quei benedetti che già risorsero alla grazia. O Regina del Cielo e della terra, o caro Rifugio dei peccatori, deh! continuate ancora il vostro ministero di misericordia e d’amore, col non lasciarli dipartire da Voi mai più. Voi siate la Madre della santa perseveranza. Deh, fate loro adunque da Madre: correggeteli, castigateli, ma teneteli sempre nel vostro cuore santissimo ed immacolato! Ave, Gloria.

Orazione

Per il sacro Cuor di Maria

Deus, qui beatæ Mariæ semper virginis Cor Sanctisissimum spiritualibus gratiæ donis cumulasti, et ad immagine divini Cordis Filii tui Jesu Christi charitate et misericordia plenum osse voluisti, concede: ut qui hujus duicissimi Cordis memoriam agimus, fideli virtutum ipsius imitatone, Christum in nobis exprimere valeamus. Qui tecum vivit etc.

Per la Conversione dei Peccatori.

Deus, misericors et clemens, exaudi preces quas pro fratribus pereuntibus, gementes in conspectu tuo, effundimus; ut converse ab errore viæ suæ, liberentur a morte, ut ubi abundavit delictum superabundet et gratia.

Altra per la Conversione dei Peccatori

Deus, cui proprium est misereri semper et parcere, suscipe deprecationem nostram; et omnes famulos tuos, quos delictorum catena constringit, miseratio tuæ pietatis clementer absolvat. Per Dominum etc.

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ORAZIONE A MARIA IMMACOLATA.

O gloriosa trionfatrice dell’infernal serpente, che con occhio di speciale predilezione riguardate tutti coloro che devotamente vi ossequiano nel più onorifico fra tutti i misteri, il vostro immacolato Concepimento, volgete i vostri occhi misericordiosi sopra di noi che Vi veneriamo colla fronte per terra per sì adorabile prerogativa, che non fu, e non sarà mai concessa ad altra creatura, voi siete propriamente quella femmina singolare in cui dalla pianta dei piedi infino al sommo de capo non si trova macchia veruna: voi quel Fonte sigillato le cui acque non furono mai intorbidate dal minimo moto men santo; voi quell’Orto sempre chiuso in cui nessun uomo nemico poté mai seminare la zizzania; voi quella mistica Porta per cui non passò mai altri che Dio, affine di rendervi sempre più grande col farvi sua Genitrice nel tempo e arbitra tra i suoi tesori nell’eternità. Deh! per quella fedeltà inalterabile con cui corrispondeste mai sempre a tutti i doni del cielo; per quella pietà veramente celeste con cui appié della croce, dopo averci col sacrificio inestimabile del vostro divino Unigenito rigenerati alla grazia, ci adottaste in vostri figliuoli per quell’illimitato notere onde vi ha rivestito nel cielo Chi volle esservi suddito sopra la terra, otteneteci, ve ne preghiamo, di non contristar mai col peccato il vostro amabilissimo cuore e quello del vostro Gesù, che furono per noi già trafitti dalla spada mistica del dolore, di corrisponder sempre fedelmente alle sue ed alle vostre misericordie, e di perseverare così bene nell’adempimento de’ vostri voleri, da assicurarci per tutti i secoli la partecipazione della vostra grazia di continuo dispensate a tutto il mondo, così ci metton in cuore la consolante speranza d’essere sempre favoriti dalla vostra speciale assistenza, mentre noi di tutto cuore protestiamo che ci faremo sempre un dovere d i amarVi qual nostra Madre, di ossequiarVi qual nostra Regina, d’invocarVi qual nostra Avvocata, e di imitarVi a tutto potere siccome nostro Esemplare. La grazia che vi domandiamo non può essere più conforme ai vostri desiderj; siateci dunque cortese del sospirato esaudimento.

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE IL MODERNISTA APOSTATA DI TORNO: TAMETSI FUTURA

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S. S. LEONE XIII

Diceva qualcuno, che tutto ciò che procura piacere: o è proibito, o fa male alla salute, o è peccato. Si sbagliava di grosso … c’è un piacere che non incorre in queste censure, è lo studio del Magistero della Chiesa. Un esempio lampante ci viene offerto da questa Enciclica che oggi proponiamo all’attenzione del lettore, “Tametsi futura” di S. S. Leone XIII, un nettare di pura dottrina cattolica, così lontano dal letame modernista delle elucubrazioni demenziali edulcorate dalla demagogia populista che copre il veleno gnostico-satanico di recenti allucinati documenti spacciati spudoratamente come cattolici da false e sacrileghe pseudo-autorità. Qui, ancora una volta si ricorda opportunamente che per accedere alla vita eterna sono indispensabili due condizioni imprescindibili: la Fede in Gesù, Cristo, e l’appartenenza alla Chiesa Cattolica, quella “vera” … Una, Santa, Cattolica ed Apostolica. Eccone un passaggio chiave: “ … quindi chiunque presume di giungere alla salvezza al di fuori della Chiesa percorre una via sbagliata, e si sforza invano …”. E questo vale non solo per la salvezza dell’anima, ma pure per la sopravvivenza ed il benessere dei popoli, che dipendono ugualmente dal “vero”: “… dunque, se si cerca il vero, l’umana ragione obbedisca anzitutto a Gesù Cristo e sicura riposi nel suo Magistero poiché per bocca di Cristo è la Verità stessa che parla”. Perché un popolo possa prosperare e vivere felice serenamente e liberarsi dei vari Barabba che lo opprimono, non serve che si affidi a scarabocchi su pezzi di carta con matite cancellabili, ma le piena accettazione della Regalità di Cristo! – Un colpo duro va pure, con senso profetico illuminato, ai falsi cristiani odierni e ai falsi prelati chi li guidano [… ciechi alla guida di ciechi] poiché: “… si propongono un cristianesimo secondo i loro gusti”, e che invece di parlare solo dei “diritti dell’uomo” … “si parli loro anche dei diritti di Dio”. Ma non roviniamo il piacere della lettura e dello studio, si sappia solo che questo piacere: 1) fa bene al corpo e all’anima, 2) non è proibito, se non dai giudeo-massoni, dagli atei neo-pagani, dai modernisti, e 3) non è peccato, anzi serve a prevenirlo e a combatterlo. Ci si abbeveri allora del nettare di Dio, alla fonte della vera Sapienza e della Verità! “Tametsi futura prospicientibus, vacuo a sollecitudine animo

 

Leone XIII

Tametsi futura

“De Jesu Christo redemptore”

[Gesù Cristo Redentore]

Lettera Enciclica

1 novembre 1900

Sebbene non sia possibile guardare all’avvenire con l’animo scevro da inquietudine, e diano anzi non poco a temere le molte e inveterate cause di mali di ordine privato e pubblico, tuttavia per divino favore, questi ultimi anni secolo sembra abbiano emesso qualche raggio di speranza e di conforto, perché non si deve credere che non conferisca al bene comune la rinascente cura degli interessi dell’anima, il ravvivarsi della fede e della cristiana pietà; e che tali virtù vadano effettivamente rinverdendo e riprendendo vigore presso molti, appare da segni assai manifesti. Anche in mezzo alle lusinghe del mondo e nonostante gli ostacoli che la pietà trova intorno a sé da ogni lato, ecco che, ad un solo cenno del Papa, convengono da ogni parte a Roma, alle soglie dei santi Apostoli, folte schiere: cittadini e forestieri uniti adempiono pubblicamente le pratiche religiose, e fidenti nell’indulgenza offerta dalla Chiesa, ricercano più diligentemente i mezzi di salvezza eterna. E non è inoltre commovente questa pietà particolarmente fervida, come da tutti si può vedere, verso il Salvatore del genere umano? Senza dubbio sarà giudicato degno dei migliori tempi cristiani questo fervore, che dall’alba al tramonto infiamma migliaia di anime, in consonanza di volontà e pensiero, ad acclamare ed esaltare il Nome e le glorie di Gesù Cristo. E piaccia al cielo che queste fiamme erompenti di rinnovato fervore della Religione avita divampino in un vasto incendio, e che l’edificante esempio di molti attragga tutti gli altri. Il ritorno completo della società allo spirito cristiano e alle antiche virtù non è forse il maggior bisogno dei tempi moderni? Vi sono altri, troppi, che tengono chiuse le orecchie e non vogliono udire l’ammonimento di questo risveglio religioso, Ma, “se conoscessero il dono di Dio”, se pensassero, che non vi è disgrazia più grande che l’aver abbandonalo il Salvatore del mondo, e l’aver deviato dai costumi e dagli insegnamenti cristiani, certo si scuoterebbero anch’essi e si affretterebbero tornando sui loro passi, ad evitare una sicura rovina. – Orbene, custodire e dilatare sulla terra il regno del Figlio di Dio, e adoperarsi con tutte le forze per condurre a salvezza l’umanità mediante la partecipazione ai benefici divini, è compito della Chiesa, compito così grande e così proprio di lei, che a questo principalmente è ordinata tutta la sua autorità e il suo potere. A tale scopo Ci sembra di aver fino ad oggi indirizzate le maggiori cure possibili nell’arduo e travagliato esercizio del sommo pontificato; e quanto a voi, venerabili fratelli, è certo che Ci secondano in questo, di continuo, le sollecitudini del vostro zelo vigile e operoso. Ma dobbiamo, Noi e voi, data la condizione dei tempi, sforzarci di fare di più, e specialmente ora, che ce ne offre l’opportunità l’anno santo, diffondere più largamente la conoscenza e l’amore di Gesù Cristo, ammaestrando, persuadendo, esortando. Possa la nostra voce essere ascoltata, non tanto, diciamo, da coloro che sono soliti porgere docile orecchio agli insegnamenti cristiani, quanto da tutti gli altri, immensamente infelici, che conservano il nome di cristiani, ma conducono una vita senza fede, senza amore per Cristo. Di questi soprattutto Noi sentiamo compassione; questi singolarmente vorremmo che riflettessero a quello che fanno, e a ciò che li attende, se non si ravvedono. – Non aver mai, in alcun modo, conosciuto Gesù Cristo è somma infelicità, tuttavia non è perfidia né ingratitudine: ma ripudiarLo o dimenticarLo dopo averLo conosciuto, questo è un delitto tanto spaventoso e insano da sembrare appena credibile possa avverarsi in un uomo. Cristo infatti è il principio e l’origine di tutti i beni: e come non era possibile riscattare il genere umano senza l’opera benefica di Lui così non è possibile conservarlo nel bene senza il concorso della sua grazia: “Non c’è in nessun altro salvezza, E non c’è altro nome sotto il cielo dato agli uomini in virtù del quale possiamo salvarci” (At IV,12). – Quale sia la vita umana dove manca Gesù, “virtù di Dio e sapienza di Dio”, quali siano i costumi, a quale disperato termine si arrivi, non ce lo mostrano abbastanza col loro esempio i popoli privi della luce cristiana? Basta richiamare un poco alla mente l’Immagine, che di loro ha tratteggiata Paolo (cf. Rm I): cecità d’intelletto, peccati contro natura, mostruose forme di superstizioni e libidini, perché ognuno si senta subito ripieno di compassione e insieme di orrore. – Le cose che qui ricordiamo sono conosciute da tutti, ma non da tutti meditate e considerate. Non sarebbe altrimenti così grande il numero degli sviati dalla superbia o dei rattrappiti dall’indolenza, se più universalmente si coltivasse la memoria dei divini benefici e si meditasse più spesso da dove Cristo ha tratto l’uomo e fin dove lo ha innalzato, Diseredata ed esule già da lunghi secoli, l’umanità precipitava in perdizione ogni giorno, immersa in quei spaventosi guai e in altri mali causati dal peccato dei progenitori, e nessuna potenza umana avrebbe potuto sanarli, dopo comparve Cristo Signore, il Liberatore inviato dal cielo, Dio medesimo Lo aveva promesso fin dal principio del mondo, come Colui che avrebbe un giorno vinto e domato il “serpente”; per questo alla sua venuta erano rivolte le ansiose brame dei secoli che seguirono. I vaticini dei profeti avevano per lungo tempo e chiaramente predetto che in Lui era riposta ogni speranza; ed anzi le vane vicende di un popolo eletto, le sue imprese, le istituzioni, le leggi, le cerimonie, i sacrifici avevano con precisione e chiarezza preannunciato che in Lui il genere umano avrebbe trovato piena e intera salvezza, in Lui che era predetto sacerdote e insieme vittima espiatoria, restauratore della libertà umana, principe della pace, maestro di tutte le genti, fondatore di un regno che non avrebbe mai avuto fine. Sotto questi titoli, immagini e vaticini, vari nella forma, ma concordi nell’oggetto, era designato unicamente Colui, che, per l’eccessiva sua carità con cui ci amò, si sarebbe un giorno immolato per la nostra salvezza, Infatti, quando giunse il tempo da Dio prestabilito, l’unigenito Figlio di Dio, fatto uomo, soddisfece, per gli uomini, col proprio sangue, in maniera sovrabbondante, la maestà offesa del Padre, e fece così proprietà sua il genere umano riscattato a così alto prezzo, “Non a prezzo di cose corruttibili, oro o argento, siete stati riscattati;… ma col sangue prezioso di Cristo, come di agnello immacolato e senza difetto” (1Pt I, 18-19). E così fece nuovamente suoi, con pieno diritto, per averli veramente e propriamente redenti, tutti gli uomini che già erano soggetti alla sua potestà e al suo impero, poiché Egli è di tutti Creatore e Conservatore. “Non appartenete a voi stessi; infatti siete stati comprati a caro prezzo” (1Cor VI, 19-20). Per questo tutte le cose sono state instaurate da Dio in Cristo. “Il mistero della sua volontà, secondo il disegno che si era proposto e da eseguire nella pienezza dei tempi, di ricapitolare in Cristo tutte le cose” (Ef I, 9-10), Non appena Gesù ebbe tolto il chirografo del decreto della nostra condanna, affiggendolo alla croce, subito si placò l’ira divina; furono sciolti i vincoli dell’antica schiavitù all’umanità confusa ed errante, Dio fu riconciliato, restituita la grazia, riaperto l’adito all’eterna beatitudine, conferito il diritto e offerti i mezzi per conseguirla. Allora, come risvegliato da un lungo e mortale letargo, l’uomo scorse il lume della verità desiderata per tanti secoli e invano cercata; allora conobbe, principalmente, di essere nato per destini molto più alti e molto più degni di quanto non siano le cose sensibili, fragili e caduche, alle quali fino allora aveva indirizzato unicamente i suoi pensieri e i suoi desideri; e riconobbe che questo è il carattere costitutivo della vita umana, questa la legge suprema, e che il fine a cui tutto deve essere indirizzato è in questa direzione, perché da Dio usciti, a Dio dobbiamo un giorno ritornare. Suscitata da questo principio e fondamento, si ridestò la coscienza della dignità umana; i cuori accolsero il sentimento della fratellanza comune, e, come naturale conseguenza, doveri e diritti furono in parte perfezionati, in parte rinnovati e nello stesso tempo si ebbe un fiorire di tali virtù, quali nessuna delle antiche filosofie avrebbe potuto immaginare. Per questo presero altro indirizzo i pensieri, le azioni e i costumi; una volta diffusa l’ampia conoscenza del Redentore, una volta immessa nelle intime vene della società la virtù di lui, vincitrice dell’ignoranza e degli antichi vizi, ne seguì quel capovolgimento di cose che diede vita alla civiltà cristiana e trasformò completamente la faccia della terra. – A tali ricordi, venerabili fratelli, si sente nell’animo una immensa consolazione, e insieme un vivo senso di dover rendere grazie con tutta l’anima, per quanto ci è possibile, al divino Salvatore. Siamo lontani dalle origini e dai primordi della redenzione, ma che importa se è perenne la sua efficacia e imperituri e perpetui ne rimangono i benefici? Colui che una volta operò la salvezza dell’umana natura perduta per il peccato, è lo stesso che la salva e la salverà in eterno: “Diede se stesso in redenzione per tutti” (1Tm II, 6), “Tutti saranno vivificati in Cristo” (1Cor XV, 22), “E il suo regno non avrà mai fine” (Lc I, 33). Dunque, secondo l’eterno consiglio di Dio, in Cristo Gesù è posta la salvezza sia degli individui sia di tutta l’umanità. Quelli che Lo abbandonano corrono, per ciò stesso, alla propria rovina con cieco furore, e nello stesso tempo, per quanto sta da loro fanno sì che l’umanità, flagellata da immane tempesta, ripiombi in quell’abisso di mali e di calamità da cui il Redentore l’aveva pietosamente tolta. – Tutti quelli che si mettono fuori della diritta via vagano alla cieca e si allontanano dalla meta desiderata. Similmente se si rigetta la luce pura e sincera del vero, sottentrano perniciosi errori e inevitabilmente le tenebre oscureranno la mente e il cuore intristisce. Infatti che speranza di sanità può restare a chi abbandona il Principio e la Fonte della vita? Ora la via, la verità e la vita è soltanto Cristo: “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv XI,6); così che, abbandonato Cristo, vengono a mancare quei tre principi necessari per ogni salvezza. – È forse necessario dimostrare ciò che l’esperienza continuamente prova, e che ognuno, anche quando si trova nell’abbondanza di beni terreni, sente profondamente dentro di sé, e cioè che non vi è nulla all’infuori di Dio che possa assolutamente e totalmente appagare il desiderio umano? Fine dell’uomo è Dio e tutto questo tempo che si trascorre sulla terra non è che una specie di pellegrinaggio. Ma Cristo è la nostra “via”, perché in questo viaggio mortale così difficile e pieno di pericoli, non possiamo in alcun modo giungere al sommo e ultimo bene, Dio, senza l’opera e la guida di Cristo, “Nessuno viene al Padre, se non per me” (Gv XIV, 6), Che cosa significa questo? Significa che, principalmente e prima di tutto, non si può andare al Padre se non mediante la grazia di Gesù, la quale tuttavia resterebbe nell’uomo infruttuosa, se si trascurasse l’osservanza dei precetti e delle leggi di Lui, Come era conveniente, Gesù Cristo, operata la redenzione, pose a custodia e tutela del genere umano la sua legge, perché, da essa governati, gli uomini potessero convertirsi da una vita non buona e sicuri rivolgersi verso il loro Dio. “Andate e ammaestrate tutte le genti;… insegnando loro a osservare tutte le cose che vi ho comandate…” (Mt XXVIII, 19-20). “Osservate i miei comandamenti” (Gv XIV, 5), Da ciò bisogna dedurre che, nella professione cristiana, l’atto fondamentale e necessario è sottomettersi con docilità ai precetti di Gesù Cristo, e a Lui, quale Padrone e Re supremo, assoggettare devotamente in tutto la volontà, cosa grande questa e che esige spesso sacrificio non lieve, duro sforzo e costanza. Poiché, quantunque la natura umana sia stata risanata dall’opera benefica del Redentore, rimane tuttavia in ciascuno di noi come una qualche malattia, una infermità, una tendenza al male. Cupidigie diverse trascinano 1’uomo ora in una direzione ora in un altra, e le attrattive delle cose sensibili facilmente piegano la volontà, e ci portano a fare quello che piace, non quello che Cristo comanda. Ma è indispensabile resistere e combattere con tutte le forze le passioni, “in ossequio a Cristo” (2Cor X, 5); le passioni, se non obbediscono alla ragione, prendono il sopravvento, e sviando tutto l’uomo dalla sottomissione a Cristo, lo rendono loro schiavo, “Gli uomini corrotti di mente e guasti nella fede non possono liberarsi dalla schiavitù, … sono anzi schiavi di tre passioni: la voluttà, la superbia, il mettersi in mostra“. E in questa lotta bisogna che ognuno sia disposto ad accettare volentieri sofferenze e fatiche per amore di Cristo. È difficile respingere cose tanto allettanti e attraenti; è duro e penoso disprezzare ciò che è considerato bene del corpo e ricchezza, e fare ciò per volontà e comando di Cristo Signore; ma, pazienza e fortezza sono assolutamente necessarie al cristiano che voglia vivere in conformità alla sua professione. Abbiamo forse dimenticato di quale corpo e di quale Capo siamo membra? Colui che ci comanda di rinnegare noi stessi è quello stesso che, propostosi il gaudio, sopportò la croce. E da quella disposizione d’animo, cui abbiamo accennato, dipende la dignità medesima della natura umana. Poiché comandare a se stesso, far sì che la parte inferiore di noi obbedisca alla superiore, non è viltà di un animo fiacco, ma piuttosto. come anche i saggi dell’antichità non di rado compresero, è virtù generosa, mirabilmente conforme alla ragione e in sommo grado degna dell’uomo. – Del resto sopportare e patire molto è condizione umana. L’uomo non può distruggere la volontà del suo divino Creatore, il Quale volle che restassero perpetue le conseguenze della prima colpa; similmente non può costruirsi una vita completamente scevra da ogni dolore e piena di ogni felicità, è quindi ragionevole non ripromettersi quaggiù la fine del dolore, ma piuttosto fortificare l’animo a sopportare il dolore, il quale appunto ci insegna a sperare, con certezza di avere i beni supremi. Cristo infatti non ha promesso la beatitudine eterna del cielo alle ricchezze o alla vita comoda, ne agli onori e alla potenza, bensì alla pazienza e alle lacrime, all’amore della giustizia e alla purezza del cuore. Di qui facilmente appare che cosa si debba sperare dall’orrore e dalla superbia di coloro che, disprezzata la sovranità del Redentore, pongono l’uomo al di sopra di tutte le cose, e vogliono il regno assoluto e universale della natura umana; sebbene in pratica poi non possano conseguire questo regno, anzi neppure sappiano ben definire in che cosa esso consista. Il regno di Gesù Cristo prende forma e consistenza dalla divina carità: l’amore santo e ordinato ne è fondamento e compendio. Da questo necessariamente scaturiscono i seguenti principi; bisogna fare bene il proprio dovere, non bisogna fare nessun torto al prossimo, bisogna stimare le cose terrene come inferiori a quelle celesti, bisogna amare Dio sopra tutte le cose. Ben diverso è quel dominio dell’uomo, che apertamente respinge Cristo o che trascura di conoscerLo, si fonda tutto sull’egoismo, che non conosce la carità, né lo spirito di sacrificio. Secondo l’insegnamento di Gesù è anche lecito all’uomo imperare, ma lo deve egli fare alla sola condizione possibile, ossia prima di tutto deve servire lui a Dio, e deve attingere dalla legge di Dio le norme e la guida della propria vita. – Quando diciamo legge di Cristo non intendiamo solo i precetti naturali, o solo quelli che gli antichi ricevettero da Dio, precetti che Gesù Cristo completò col dichiararli, interpretarli e sancirli, ma intendiamo anche tutto il resto della sua dottrina, e tutte espressamente le cose da Lui istituite. Di esse la principale, senza dubbio, è la Chiesa: che vi è infatti fra ciò che Cristo ha istituito, che essa non abbracci, che non contenga pienamente? Certo Egli volle che, mediante il ministero della Chiesa da Lui stesso così mirabilmente costituita, fosse perpetuata la missione affidatagli dal Padre. E avendola fatta depositarla di tutti i mezzi di salvezza per l’uomo, dispose solennemente che gli uomini a Lei prestassero obbedienza come a Lui stesso, e da Lei si lasciassero sempre condurre come da guida sicura, “Chi ascolta voi, ascolta me, e chi disprezza voi, disprezza me” (Lc X, 16), Per cui solo nella Chiesa bisogna cercare la legge di Cristo; infatti via dell’uomo è Cristo, e ugualmente lo è la Chiesa: egli per sé e per propria natura, essa per ufficio affidatole e per comunicazione di poteri. Quindi chiunque presume di giungere alla salvezza al di fuori della Chiesa percorre una via sbagliata, e si sforza invano. – Né molto dissimile dal destino degli individui è quello degli stati; anche questi corrono verso la loro perdizione se si allontanano dalla “via”, “il Figlio di Dio, Creatore e Redentore dell’umana natura, è Re, è padrone di tutta la terra ed ha suprema potestà sugli uomini, sia presi singolarmente, sia raccolti in civile società. “Diede a lui potestà, onore, e regno e tutti i popoli, tribù e lingue lo serviranno” (Dn VII,14). “Io poi sono stato da lui costituito re… Io ti darò in eredità le genti, in tuo dominio gli ultimi confini del mondo” (Sal II,6.8), Dunque anche nel convivere umano e nella civile società deve imperare la legge di Cristo, così che non solo nella vita privata, ma anche in quella pubblica essa sia guida e maestra. Or poiché questo è il decreto di Dio, e nessuno può impunemente trasgredirlo mal si provvede alla cosa pubblica se le cristiane istituzioni non si tengano nel conto dovuto. Allontanandosi da Gesù rimane abbandonata a se stessa ragione umana, privata dell’aiuto più valido e del lume più prezioso; e allora con tutta facilità si perde di vista il fine stesso stabilito da Dio nell’istituire il consorzio civile: e questo fine consiste formalmente nell’aiutare i cittadini a conseguire il benessere naturale; ma in un modo che si armonizzi del tutto col conseguimento di quel sommo, perfettissimo e sempiterno bene, che trascende tutti gli ordini della natura, Perdere di vista tali idee conduce fuori strada sia i reggitori sia i sudditi, per difetto d’indirizzo sicuro e di un sicuro punto d’appoggio. Se lacrimevole causa di sventure è il fuorviare dal retto sentiero, lo è similmente l’abbandono della verità. Ora la prima, assoluta ed essenziale verità è Cristo, poiché è Verbo di Dio, consustanziale e coeterno al Padre, una cosa stessa col Padre. “Io sono la via e, la verità”. Dunque, se si cerca il vero, l’umana ragione obbedisca anzitutto su Gesù Cristo e sicura riposi nel suo magistero poiché per bocca di Cristo è la verità stessa che parla. – Innumerevoli sono le materie in cui l’ingegno umano può liberamente spaziare investigando e contemplare come in fertilissimo campo, e campo proprio, e questo è non solo consentito, ma espressamente voluto dalla natura. E invece cosa illecita e contraria alla natura, non voler contenere la mente dentro i suoi confini, e, abbandonata la necessaria moderazione, deprezzare l’autorità di Cristo che insegna. Quella dottrina dalla quale dipende la salvezza di tutti noi, quasi tutta tratta di Dio e delle cose che specialmente riguardano la divinità: essa non è prodotto di umana sapienza, ma il Figlio di Dio l’attinse e la ricevette tutta dal suo stesso Padre; “Le parole che hai dato a me le ho date a loro” (Gv XVII, 8), E questo necessariamente comprende molte cose, che non ripugnano alla ragione, il che non può essere in alcun modo, ma delle quali non possiamo raggiungere la profondità con la nostra ragione, come non possiamo con essa comprendere la divina essenza. Ma se vi sono tante cose oscure e dalla natura stessa avvolte nell’arcano, che non possono essere spiegate dall’uomo, ma delle quali tuttavia nessuno sano di mente oserebbe dubitare, è certo uno strano abuso di libertà negare poi l’esistenza di altre cose molto superiori alla natura, solo perché non é possibile comprenderne l’intima essenza. Rifiutare i dogmi equivale a rigettare completamente tutta la religione cristiana. E’ doveroso invece piegare la mente con umiltà e senza riserva “in ossequio a Cristo”, fino al punto che essa stia sottomessa al suo divino impero; “Assoggettiamo ogni intelletto all’obbedienza di Cristo” (2Cor X, 5). Tale è l’ossequio che Cristo esige; e lo esige con pieno diritto; egli infatti è Dio e perciò ha somma potestà sulla volontà dell’uomo come sulla sua intelligenza, Ma sottomettendo la propria intelligenza a Cristo Signore l’uomo non agisce servilmente, bensì in modo convenientissimo sia alla ragione, sia alla sua originale dignità. Infatti non assoggetta la propria volontà ad un uomo qualsiasi, ma al suo Creatore, Signore di tutte le cose, Dio, cui è sottomesso per legge di natura, e non si lega alle opinioni di un maestro umano, ma all’eterna e immutabile Verità, In tal modo egli raggiunge il bene naturale dell’intelletto e consegue insieme la libertà. Infatti la verità, che procede dal magistero di Cristo, pone apertamente in luce l’essenza e il valore di ogni cosa, per cui l’uomo illuminato da questa conoscenza, se darà ascolto alla Verità conosciuta, non dovrà soggiacere alle cose, ma le cose a lui saranno soggette, né la sua ragione soggiacerà alla passione, bensì la passione sarà regolata dalla ragione, e l’uomo, liberato dalla più grande schiavitù dell’errore e del peccato, sarà confermato nella più preziosa libertà: “Conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi” (Gv VIII,32). – E’ chiaro quindi che coloro che ricusano l’impero di Cristo, con pervicace volontà si ribellano a Dio. Emancipatisi dalla divina potestà, non saranno per questo più indipendenti, poiché cadranno sotto qualche potestà umana, eleggendosi, come suole accadere, qualche loro simile, che ascolteranno, obbediranno e seguiranno come loro maestro. Inoltre costoro, impedendo alla loro mente di comunicare con le cose divine, restringono il campo dello scibile, e vengono a trovarsi anche meno preparati a progredire nelle scienze puramente naturali, perché vi sono nella natura molte cose, alla cui comprensione e chiarificazione giova assai la luce della dottrina rivelata. E non raramente, a castigo della loro superbia, Dio permette che costoro non discernano il vero, così che sono puniti nel campo stesso del loro peccato. Per l’uno e l’altro motivo, spesso si vedono uomini di grande ingegno e di non comune erudizione, perdersi, anche nello studio stesso della natura, in assurdità inaudite, che non hanno precedenti. – Sia dunque chiaro, che chi fa professione di vita cristiana deve sottomettere la sua intelligenza totalmente e pienamente alla divina autorità. E se in questa sottomissione della ragione all’autorità si mortifica e si reprime quell’amor proprio che è così forte in noi, proprio da ciò si deve dedurre la necessità assoluta per ogni cristiano di mortificare non solo la volontà, ma anche l’intelletto. E vorremmo che ciò ricordassero coloro che si propongono un cristianesimo secondo i loro gusti, governato, nell’ordine intellettivo e nell’ordine pratico, da leggi più miti e maggiormente indulgenti alla natura umana, così da imporle nessuna o poche mortificazioni. Essi non comprendono abbastanza l’esigenza della fede e dei precetti cristiani; non vedono come da ogni parte ci si presenti la “Croce”, esempio di vita e vessillo perpetuo di tutti coloro che vogliono essere, non soltanto di nome, ma nella realtà e con le opere, seguaci di Cristo. – Dio solo è la vita. Tutti gli altri esseri sono partecipi della vita, ma non sono la “vita”, Da tutta l’eternità, invece, e per sua propria natura, Cristo è la vita, allo stesso modo che è verità, perché è Dio da Dio. Da Lui, come da primo e augustissimo Principio, fluì nel mondo Ogni vita e fluirà perpetuamente, Tutto ciò che esiste, esiste per Lui; tutto ciò che vive, vive per Lui, perché “tutte le cose” per mezzo del Verbo “sono state fatte, e senza di Lui nulla fu fatto di ciò che è stato fatto” (Giov. I). Questo quanto alla vita naturale. Ma abbiamo sopra accennato ad una vita assai migliore e infinitamente più preziosa, generata dall’opera benefica di Cristo stesso, ossia la “Vita della Grazia”, il cui fine beatissimo è la “Vita di gloria”, alla quale debbono essere ordinati pensieri e azioni. In ciò consiste tutta la forza della dottrina e delle leggi cristiane, che “morti al peccato, viviamo per la giustizia“, cioè per la virtù e la santità e in ciò consiste la vita morale degli uomini con la sicura speranza della beatitudine eterna. Ma la giustizia, veramente e propriamente in un modo efficace per la salute, di nient’altro si alimenta se non della fede cristiana: “Il giusto vive di fede” (Gal III,11), “Senza la fede è impossibile piacere a Dio” (Eb XI, 6). Ecco perché Gesù Cristo Autore, Padre e sostegno della fede, è pure Colui che conserva e alimenta in noi la vita morale, e questo fa soprattutto mediante il ministero della Chiesa, Ad essa, infatti, con benigno e provvidentissimo consiglio, ha affidato l’amministrazione di quei mezzi, che generano la vita di cui noi parliamo, generata la conservano, e la rinnovano qualora si sia estinta. Perciò, se si separa la morale dalla fede divina, viene ad essere distrutta in radice la forza che genera e conserva le virtù salutari, Quelli che vogliono formare ad onestà i costumi mediante i dettami della sola ragione, spogliano l’uomo della sua massima dignità e, con sua grande perdita, dalla vita soprannaturale lo retrocedono alla vita puramente naturale, Con la retta ragione l’uomo può bensì conoscere e praticare molti precetti naturali, ma anche se li conoscesse tutti e tutti li praticasse senza alcuna imperfezione per tutta la vita – cosa del resto impossibile senza la Grazia del Redentore – invano spererebbe di salvarsi eternamente, se non ha la fede. “Chi non rimane in me sarà gettato via come tralcio e seccherà e, raccolto, sarà gettato nel fuoco a bruciare” (Gv XV,6), “Chi non avrà creduto sarà condannato” (Mc XVI, 16). E poi, quanto valga e quali frutti produca questa onestà noncurante della fede, ne abbiamo troppe prove sotto gli occhi. Come mai nonostante il tanto impegno di stabilire e accrescere la pubblica prosperità ogni giorno più soffrono gli stati in punti di capitale importanza e appaiono come infermi? Si asserisce, è vero, che la società civile basta a se stessa; che è capace di fiorire egregiamente senza il concorso delle istituzioni cristiane, e con le sole proprie forze conseguire il proprio fine. Quindi negli ordini amministrativi si vuole laicizzare tutto; nella disciplina civile e nella vita pubblica dei popoli si vede dileguare a mano a mano le vestigia della Religione dei padri. Ma non si riflette abbastanza dove conducano questi principi. Poiché, tolta di mezzo l’idea della sovranità di Dio giudice e retributore del bene e del male, è inevitabile che perdano la loro più valida autorità le leggi, e che venga meno la giustizia; eppure sono questi i due più necessari e saldi legami della società civile. Similmente, estinta la speranza e l’attesa dei beni eterni, s’accende necessariamente nei cuori la sete irrefrenabile dei beni terreni, e ciascuno cercherà, con tutte le sue forze, di accaparrarne quanto più può. Quindi gare, invidie, odii; poi biechi propositi: aspirare all’abolizione di ogni potere, minacciare ovunque folli rovine. Non tranquillità fuori, non sicurezza dentro, sconvolta da delitti la convivenza civile. – In tanto contrasto di passioni e tra sì gravi pericoli, non c’è via di mezzo: o aspettarsi le peggiori catastrofi, o cercare senza indugio un valido rimedio. Reprimere i delinquenti, ingentilire i1 costume delle plebi, e in ogni modo prevenire i mali mediante provvide leggi, è cosa buona e necessaria; ma non sta tutto qui. Più in alto bisogna cercare il risanamento dei popoli: conviene chiamare in soccorso una forza superiore a quella umana, la quale tocchi direttamente le anime e, rigenerandole alla coscienza del dovere, le renda migliori, vogliamo dire quella forza medesima che da ben più disperate condizioni trasse altra volta in salvo la famiglia umana. Fate sì che in grembo al civile consorzio rifiorisca lo spirito cristiano, dategli agio di svilupparsi libero da ostacoli, e il civile consorzio ne sarà ristorato. Taceranno le lotte di classe, e il rispetto reciproco sarà garanzia a ciascuna dei propri diritti. Se ascoltano Cristo, osserveranno pure il loro dovere sia i ricchi sia i poveri; quelli comprenderanno che debbono cercare la salute nella giustizia e nella carità, questi nella temperanza e nella moderazione. Perfetto sarà l’ordinamento della società domestica, quando sia governata dal salutare timore di Dio, suo legislatore supremo. E per lo stesso motivo parleranno forte al cuore dei popoli quei precetti morali, inculcati pur dalla natura: rispettare i poteri legittimi, obbedire alle leggi, non ordire sedizioni né partecipare a cospirazioni settarie. E così, dove regna sovrana la legge di Cristo, vige inalterato l’ordine stabilito dalla divina provvidenza donde germogliano incolumità e benessere. È questo dunque il grido della comune salvezza: ritorni la universale comunanza civile, e anche ognuno in particolare, là donde conveniva non allontanarsi mai, a Colui, cioè, che è via e verità e vita, Bisogna reintegrare nel suo dominio Cristo Signore, e far si che quella vita, di cui Egli è fonte, rifluisca ad irrigare copiosamente e rinsanguare tutte le parti dell’organismo sociale, i dettati delle leggi, le istituzioni nazionali, le università, la famiglia e il diritto matrimoniale, le corti dei grandi, 1e officine degli operai. E si ponga ben mente che da ciò sommamente dipende quella civiltà delle nazioni che con tanto ardore si cerca, poiché essa si alimenta e matura non tanto di quelle cose che s’attengono alla materia, come le comodità della vita e l’abbondanza dei beni terreni, ma piuttosto di quelle, che sono proprie dell’anima, i lodevoli costumi e il culto della virtù. – Molti sono lontani da Gesù Cristo per ignoranza, più che per cattiva volontà; molti sono infatti coloro che si dedicano a studiare l’uomo, a studiare il mondo, ma pochissimi sono coloro che cercano di conoscere il Figlio di Dio. Prima di tutto, dunque, si vinca l’ignoranza con la conoscenza, così che non si ripudi né si disprezzi Uno che non si conosce. Noi scongiuriamo tutti i cristiani, quanti e dovunque sono, di fare il possibile per conoscere il loro Redentore, quale veramente Egli è. Quando avranno fissato in Lui con sincerità e senza preconcetti lo sguardo, subito vedranno chiaro, che non può esservi nulla più salutare della sua legge, né più divino della sua dottrina. Per raggiungere questo scopo riuscirà particolarmente efficace l’autorità e l’opera vostra, venerabili fratelli, come pure lo zelo e la sollecitudine di tutto il Clero. Ritenete come parte essenziale del vostro ufficio, scolpire nelle menti dei popoli il concetto vero, la nitida immagine di Gesù Cristo, e far bene conoscere la sua carità, i suoi benefici, i suoi insegnamenti con gli scritti, con la parola, nelle scuole elementari e nelle superiori, nella predicazione, ovunque se ne presenti l’occasione. Molto si è parlato alle folle circa quelli che sono definiti “i diritti dell’uomo”; si parli loro anche dei diritti di Dio. Che questo sia il tempo propizio per fare ciò, ne è prova l’amore del bene ridestatosi in molti, come dicemmo, e, specialmente questa pietà verso il Redentore, manifestatasi in tante forme: pietà che, quale auspicio di tempi migliori, stiamo per consegnare in eredità, se piace a Dio, al secolo che sta per sorgere. Ma poiché si tratta di cosa che possiamo sperare soltanto dalla grazia divina, congiunti nello zelo comune e nella preghiera, supplichiamo Dio Onnipotente che voglia piegarsi a misericordia. Non permetta che periscano coloro, che Egli stesso ha liberato, con l’effusione del suo Sangue, Guardi propizio a questo secolo che, è vero, molto peccò, ma molto anche sofferse in espiazione dei suoi errori; e, abbracciando amorosamente gli uomini di ogni nazione e di ogni stirpe, si ricordi della sua parola: “E io, quando sarò innalzato da terra, trarrò tutto a me” (Gv XII, 32). – Quale auspicio dei divini favori, e come espressione della Nostra paterna benevolenza, a voi, venerabili fratelli, al Clero e al popolo vostro, di tutto cuore, impartiamo nel Signore l’Apostolica Benedizione.

Roma, presso San Pietro, il 1° novembre 1900, anno XXIII del Nostro pontificato.

Omelia della Domenica II di AVVENTO

Omelia della DOMENICA II DELL’AVVENTO

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. I -1851-]

(Vangelo sec. S. Matteo XI, 2-10)

ipocrisia-di-scribi-e-farisei

Miracoli di Gesù Cristo.

E perché il Battista stretto in catene nel castello di Macheronte manda due de’ suoi discepoli a interrogar Gesù Cristo, s’Egli era o no il Messia aspettato da tutte le genti? Ben Lo conobbe con lume profetico fin dal ventre materno, e in riva al Giordano, e nella carcere istessa ove gli arrivò la fama de’ suoi prodigi. Or perché spedisce ambasciata a chiedere quel che non ignorava? Ecco il perché: voleva che i suoi discepoli conoscessero Gesù per il promesso Salvatore del mondo, come egli il conosceva. E per qual mezzo? Per mezzo de’ miracoli che avrebbe operato in loro presenza. Infatti giunti al suo cospetto i due inviati, “andate, disse loro, e riferite a Giovanni ciò che udiste e vedeste con gii occhi vostri: ai ciechi s’è data la vista, ai zoppi libero e retto il passo, ai lebbrosi la mondezza, ai sordi l’udito”. Ammirate, uditori, l’eccellente maniera di rispondere più coll’opere, che colle parole. I miracoli adunque da Cristo operati son quelli che danno a conoscere la sua Persona, la sua divinità; e ciechi son quelli, e ciechi di pura malizia, che di tali prodigi o negano l’evidenza, o non ne ravvisano l’autore. Contro di questi ciechi è diretta la presente spiegazione, per illuminarli, se fia possibile, o piuttosto per aggiungere lume a voi, miei fedeli carissimi, che siete figli della luce per ferma cristiana credenza. Di grazia non perdete una parola di quanto son per dirvi colla solita discreta brevità. – V’è sempre stata nel mondo, e volesse Iddio che non vi fosse tutt’ora, una certa razza di gente perversa, che non vuol vedere, che non vuol intendere, per non esser astretta a lasciar il male ed ad operare il bene. Lo disse sin da’suoi tempi il reale Profeta, “noluit intellìgere, ut bene ageret” (Ps. XXXV, 3). Tali erano né più né meno i Farisei, questi uomini superbi, che il divin Redentore chiamava ciechi, e guide di ciechi, “cæci et duces cæcorum” (Matth. XV, 14), vedevano i miracoli di Gesù Cristo, e pur non volevano vederli; li vedevano operati alla vista del pubblico, alla loro presenza, sotto degli occhi propri in modo da non poterli per alcun verso negare, (e qui è da notarsi, uditori, tratto mirabile d’altissima provvidenza, che niun de’ nemici di Cristo abbia mai negato infatti, l’opere sue prodigiose, non gli Ebrei, non i Gentili, non i profani scrittori), li vedevano, dissi, i caparbi Farisei, e non volendo vederli, a tutt’altra cagione ne attribuivano la virtù, che alla sua Persona, molto meno alla sua Divinità. Dicevano pertanto: “Come può costui per divina virtù far miracoli, se non osserva la legge di Mosè, se non santifica il sabato, se opera contro il precetto di Dio?” – “E voi, Gesù rispondeva, che vi vantate osservatori della legge Mosaica, non portate nel giorno festivo del sabato ad abbeverare i vostri giumenti? e se il vostro somaro cade per via, non vi affaticate a sollevarlo da terra? S’io poi senz’uso di braccia, senz’altra fatica raddrizzo gli storpi, illumino i ciechi, do l’udito ai sordi, la favella ai muti, la sanità agl’infermi, sono da voi incolpato violatore del giorno santo, e del precetto di Dio e di Mosè?” – Queste divine risposte chiudevano la bocca agli accusatori maligni per poi aprirla a nuove imposture. “Tu, dicevano, fra le altre opere meravigliose discacci i demoni dai corpi ossessi, è vero, ma li discacci in nome di Beelzebù principe de’ demoni”. – “Ma come? rispondeva il mansueto Signore, se i maligni spiriti, da me sforzati ad uscire dai corpi invasati, si lagnano ch’io son venuto a tormentarli, che su di loro esercito un troppo rigoroso potere, e confessano ch’Io son il Cristo promesso? E poi, un regno diviso in contrari partiti sarà desolato e distrutto. Come dunque potrà sussistere il regno di satana principe dei demoni, se egli e i suoi satelliti sono tra loro in divisione ed in contrasto? Quest’opere mie sono finalmente a vantaggio dell’uomo, tanto pel corpo quanto per lo spirito, e glorificano il mio Padre celeste, ripugna dunque ch’Io mi valga d’un nome nemico dell’uomo, e nemico di Dio”. – “Seguite ad ascoltarmi, soggiungeva il Divino Maestro, o abitatori di Gerusalemme, o popoli della Palestina. L’opere che in nome del Padre mio io vo facendo a benefizio di tutti voi vi danno di me la più autentica testimonianza, e provano la verità delle mie parole, ch’Io sono il Figliuolo di Dio, ch’Io e il mio Padre siamo due quanto alle Persone, ed un solo Dio riguardo all’essenza, “Ego et Pater unum sumus” (Io. X, 30). Non credete alle mie parole? credete ai fatti, credete all’opere, e se opere non fo degne di Dio mio Padre, non mi prestate fede”: “Si non facio opera Patris mei, nolite credere” (ib. 37). Se poi da me son fatte, “si autem facio”, e non potete ignorarle, credetemi, “operibus credite”. Son pur opere mie i ciechi illuminati, i zoppi raddrizzati: e per me i muti hanno acquistato la favella e i sordi l’udito: dalla forza di mie parole son mondati i lebbrosi, sono prosciolti gli energumeni, son risanati d’ogni genere infermi: al mio volere obbediscono il mare e i venti: le febbri, i malori, i demoni e la morte, che ha restituiti i cadaveri d’una stesa sul letto, d’un altro condotto alla tomba, d’altro già fracido e fetente, da quattro giorni sepolto. Di questi miracoli son testimoni i vostri occhi, sugli occhi vostri son tuttavia i risanati, i prosciolti, i risuscitati. Voi non osate, né potete negarli. Sentite or dunque; i miracoli sono i caratteri, sono i sigilli della divina onnipotenza. Iddio non lascia, né può lasciare in mano a veruno i suoi sigilli per testificare la menzogna, per autorizzare l’impostura; dunque quanto insegna, quanto di sé asserisce l’Operatore di tali miracoli, è una incontrastabile verità, verità da Dio confermata, da Dio suggellata, verità che quel che vi parla sotto l’umana forma è il Figlio di Dio, il Verbo eterno, un Dio fatto uomo, un Uomo-Dio. – A queste prove convincentissime che risolvono i Farisei, gli Scribi, i capi del Sinedrio? Credono i prodigi, non credono alle parole; credono i miracoli, non ne ammettono le conseguenze. – “Che facciamo noi, s’interrogano intanto a vicenda, radunati a concilio presso il Pontefice Caifa, che facciamo noi? Quest’uomo, questo Nazareno fa molti e grandi prodigi,” … “Quid facimus, quia hic homo multa sìgna facit” (Io. XI, 47)? Ecco chiara e manifesta la confessione della verità de’ miracoli di Gesù Cristo. “Homo hic multa signa fæcit”, e di questa confessione quale si fu il risultato? Eccolo: “cogitaverunt ut interficerent eum”. Decisero a voti concordi di toglierLo dal mondo. Possibile tanta nequizia, e tanto accecamento? Così fu. La loro malizia li rese ciechi, e indurì i loro cuori, “excæcavit oculos eorum, et indurexit cor eorum” (Io. XI, 40). – E forse che a’ giorni nostri non succede altrettanto? Noi abbiamo innanzi agli occhi molti e stupendi miracoli, e pure … i miracoli, voi m’interrompete, dopo quei di Gesù Cristo eran frequenti nella Chiesa nascente, perché necessari, dice il Magno Gregorio (Hom. 29 in Ev.), come ad una tenera pianta è necessario un frequente inaffiamento; ora però che la Chiesa è come un albero alto, cresciuto, che stende i suoi rami dall’uno all’altro confine dell’universo, non v’ è più necessità di miracoli, sono al presente assai rari, e non mai ne abbiamo veduto. E pure, io ripeto, molti e stupendi miracoli vi stanno dinanzi, se volete distinguerli. Mirate quel santo Crocifìsso, quell’altare, queste sacre immagini, questa Chiesa, son questi autentici monumenti, testimoni parlanti de’ miracoli operati da Gesù Cristo, dagli Apostoli e da’ loro successori nella propagazione della cattolica fede. I nostri maggiori, i nostri antichi padri erano ciechi adoratori d’idoli falsi e insensati: regnava in queste nostre contrade la pagana superstizione. Chi alle statue di Giove, di Saturno, di Venere, di Mercurio, e di tanti altri creduti, adorati qual Dei, ha sostituita la croce, il crocefisso, le immagini di Maria e de’ Santi? Non la forza dell’armi, non l’allettamento de’ sensi, non qualunque altra passione o violenza, ma l’intima persuasione della verità: e questa verità con qual mezzi è penetrata nella mente e nel cuore di gente idolatra? Coi miracoli, miei cari, coi miracoli; imperciocché al dilemma del grand’Agostino conviene ridursi: o il mondo dalla cieca superstiziosa idolatria si è convertito alla fede di Cristo per via di miracoli, o senza miracoli. Se per via di miracoli, dunque è fuor di questione la loro realtà. Se senza miracoli ha il mondo abbandonato il paganesimo, una setta, un culto tutto a seconda dell’umane passioni, ed ha infranto i simulacri di quei numi protettori dei vizi, e dei viziosi, Giove degli adulteri, Venere degl’impudichi, Mercurio dei ladri, Bacco degli ubriachi, ed ha invece abbracciato una legge, legge evangelica, che umilia lo spirito, che impone al cuore, che proibisce non solo ogni opera malvagia, ma d’esse il desiderio, l’affetto e la volontaria compiacenza; egli è questo il maggiore di tutti i miracoli. Miracolo che tutt’ora sussiste, e questa Chiesa, e quel fonte battesimale, e questi altari, e quella croce ne sono gli effetti e le prove, anzi il miracolo stesso, ed altrettanti miracoli.Ed in vero, quando il divino Redentore risuscitò Lazzaro quatriduano fu un miracolo stupendissimo, e ne restarono sorprese e tocche sensibilmente le molte astanti qualificate persone, venute da Gerusalemme a far visita di condoglianza alle sue sorelle Marta e Maddalena; e se tale fu nel primo istante, nel primo giorno che questo avvenne, fu sempre tale il secondo, il terzo giorno, e tutti quegli anni che durò la vita di Lazzaro; laonde si poteva dir Lazzaro un miracolo vivente, un continuo miracolo. Per simile modo quel santo Crocifisso, che adoriamo, è un miracolo permanente che ci rammemora il massimo de’ prodigi, un mondo convertito, un mondo fatto adoratore d’un Uomo-Dio confitto in Croce; ed una Croce, conchiude sant’Agostino, pria patibolo infame di empì malfattori, passata dal luogo de’ supplizi all’onor degli altari e degli incensi, e collocata in fronte ai re, agl’imperatori, “a locis suppliciorum ad frontes ìmperatorum” (Enar. in ps. XXXVIII, 2). – Prodigi son questi che durano pur tuttavia, e dureranno sino alla consumazione dei secoli; e i secoli che sono decorsi dalla loro origine non scemano punto la loro realtà, la provano anzi e più la confermano. Chi dunque non vorrà riconoscerli? I simili ai Farisei, i ciechi di malizia, che gli hanno per abitudine sotto lo sguardo materiale, ma applicar non vogliono l’intelletto a comprenderne l’evidenza e la forza; e nella volontaria loro cecità si fanno un vanto di sparger dubbi, ed affettar talento e bello spirito, con tacciarli di pregiudizi superstiziosi. Non vi sorprenda, o fedeli, la loro arditezza. Hanno i meschini in ciò il loro interesse. Gli Ebrei avevano risoluto d’uccidere Gesù Cristo operatore di miracoli, per timore di perdere il grado e l’autorità che avevano sul popolo, “tollent nostrum locum et gentem” (Io. XI, 48). I miscredenti temono perdere la quiete dell’animo, la pace del cuore, che si lusingano trovare ne’ piaceri del senso. E siccome fede e peccato non si comportano, ed altronde non vogliono desistere dal peccare, perciò la fede diventa loro nemica; nemica che turba le loro coscienze, che amareggia i loro piaceri colle terribili verità che presenta dopo una morte certa. Oh Dio! un giudizio a rigor di pura giustizia, un giudice inesorabile, un Dio punitore degli empì, un supplizio eterno sono oggetti fastidiosi e funesti, sono nubi oscure minaccianti fulmini e tempeste, che gli empì pensano dissipare con una negativa, la quale sebbene non li assicuri, almeno li palpa, e li anima a lusingarsi che non esista quel che ricusano vedere, ed hanno interesse a non credere. Poveri ciechi! preghiamo per essi, e se per nostra sventura fossimo colpiti ancor noi da una eguale cecità, deh portiamoci ai pie’ di Gesù luce del mondo, e col cieco di Gerico, e col penitente Profeta preghiamolo di cuore, che dissipi le nostre tenebre, e ci conceda la vista dell’anima, “Domine ut videam. Deus meus, illumine tenebras meas” (Luc. XVIII, 41; Ps. XVII, 29), Signore, le nostre passioni ci han tolto ogni lume di ragione e di fede, confessiamo la nostra cecità, ed il conoscerla e il contestarla è già un principio di luce che viene da Voi. Deh! dunque compite le vostre misericordie, comandate che in noi sia fatta la luce, “fiat lux”, luce che ci faccia conoscere l’eterne verità, che indirizzi i nostri passi nella via dei vostri precetti, nella strada della salute. Sarà questo forse il maggiore dei vostri miracoli, quanto più di quella della corporale cecità, è eccellente e preziosa la guarigione della cecità dello spirito.

J.-J. GAUME: La profanazione della DOMENICA [lett. II]

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 LETTERA II.- LA PROFANAZIONE DELLA DOMENICA:
ROVINA DELLA RELIGIONE.

6 aprile.
§ I.

Signore e caro amico, la sull’istante mi si arreca la vostra lettera: rispondo io a ciò ch’essa contiene, con quell’ordine da voi osservato. « Io ho paura, tu hai paura, colui ha paura, noi abbiamo paura, voi avete paura, coloro hanno paura; tale è, mi dite voi, la continua cantilena che udite. » Voi mi domandate il mio avviso intorno a questa opinione, e se dirittamente vi diportate, seguitandola. Davvero, amico mio, il mondo ha ragione di temere; anzi vi soggiungerò, che non teme egli ancora abbastanza: o piuttosto malamente teme, in questo senso ch’esso non teme ciò che dovrebbe temere. Conforme a suo padre, suo avo e suo bisavolo, il secolo XIX s’incaponì a seminar vento: deve esso dunque attendersi a raccoglier la tempesta. E quale tempesta, gran Dio! – Sì, lo ripeto, il mondo ha ragione di temere. Ma s’inganna esso portando il suo timore sopra le seconde cagioni, invece di portarlo in sulla prima cagione. Come i tifoni che sconvolgono l’oceano, o come le cavallette che umiliarono il potente Egitto, i barbari, i quali minacciano l’Europa, non sono che agenti subalterni dell’Arbitro supremo. Egli solo ha potere d’intimare ad essi: infìno là andrete voi, ma non più lontano. Ecco Colui, che bisogna temere, e sopratutto temere. Disgraziatamente, ecco Colui, che il mondo non teme. Non m’esprimo abbastanza chiaramente: ecco Colui, che il mondo continua a bravare pel provano dispregio de’suoi paterni avvertimenti, per la negazione stessa di sua esistenza. Di simile guisa umilissimamente procedono il castigo, e l’infortunio de’ popoli materialisti, che perdono la coscienza delle leggi vitali della società. Cotesto accecamento fu ognora il
precursore della rovina [“Terrìbili, et ei qui aufert spiritum principum, terribili apud reges terrae.” (Ps. 75.)]

§ II.

Voi aggiungete, che gl’impegni contenuti nella mia ultima lettera vi sembran difficoltosi, e che la dimostrazione di mia tesi sarà un vero sforzo d’ingegno. Senza partecipare io al vostro sentimento intorno a questo, imprendo a disimpegnare la mia parola. Da bel principio, deggio esprimervi il rammarico di non avere io in questa corrispondenza a richiamar la vostra attenzione, che sopra rovine; ma ne converrete voi non addivenire ciò per mia colpa. Ai nostri giorni, dove affissare mai gli sguardi senza abbattersi in rovine? La faccia della terra n’è coperta: rovine morali, rovine intellettuali, rovine materiali, rovine sociali, rovine domestiche. Nè so io, se dall’origine del mondo si vide un subbisso così generale di tutte le opere umane. Una cosa consolerà voi e me, studiando questo lugubre spettacolo: questa è il pensiero, che noi non percorriamo lutti codesti monumenti della divina giustizia se non per riconoscere le cagioni della catastrofe, ed altamente segnalarle a coloro, i quali prevenirne possono il ritorno.

§ III.

Insomma, voi desiderale assapere qual è, nella lingua religiosa, il preciso senso di queste parole: “Profanazione della Domenica”. – Veramente, egli è pure di questa maniera, che fa di mestieri incominciare. In buona e diritta filosofia, la primiera regola d’ogni discussione, è di definire i motti che s’impiegano. – In su questo proposito, vorreste voi, signor rappresentante, pregar qualcheduno de’ vostri più celebri colleghi di praticare tale principio elementare, almeno una volta durante lutto lo spazio del loro mandato? Se inaspettatamente la retorica vi perde qualche’ cosa, sicurissimamente la verità vi guadagnerà, e l’intelligenza de’ leggitori se ne troverà notabilmente sollevata. – Noi denominiamo santa una cosa, la quale sia esclusivamente consacrata al culto di Dio. Il farla servire ad usi ordinari è profanarla, o secondo il rigore dell’etimologia, gettarla fuori del tempio. Per esprimer la violazione della domenica colla parola di profanazione, bisogna dunque che la domenica sia una cosa santa: certamente egli è cosi. L’Autore de’ nostri giorni ne preleva uno sopra sette; questo è una decima, un canone di suo dominio sovrano, ed inalienabile: questo giorno, lo fa Egli suo. Ordinazione formale di consacrarlo tutto intero al riposo dell’anima, al lavoro morale, alla preghiera, alla riconoscenza, all’adorazione; divieto non meno rigoroso di darlo al corporale lavoro, all’oziosaggine, alle voluttà mondane. Perciò lavorare, vendere, comperare, ecc., è un profanare la domenica; impiegarla in esercizi religiosi è santificarla. – Con una saviezza uguale alla sua divina autorità, la Chiesa determina un atto speciale, il quale, pena grave colpa, deve essere religiosamente adempiuto: ho nominato io l’assistenza all’augusto sacrificio della Messa. Anche in punto di vista sociale, qual vantaggioso precetto non è quello! Qual lezione d’uguaglianza e di fraternità in siffatta riunione de’ ricchi e poveri, de’ padroni e servitori sotto gli occhi del comun Padre, per udirsi rammemorare i proprj doveri, e riprendere dei proprj falli! Qual principio di verace libertà, cioè d’emancipazione delle cattive inclinazioni, nell’assistenza religiosa e periodicamente obbligatoria, all’immolazione d’un Dio per le creature. Ma tralasciate simili considerazioni, prendo a trattare il soggetto di mia lettera:
Profanazione della Domenica, vuol dire rovina della Religione.

§ IV.

Seguendo la bella definizione di S. Agostino, fondata in sulla natura stessa della cosa e sui termini formali della Scrittura, Religione significa alleanza o società del mortale con Dio, un vincolo che unisce l’uomo a Dio. Ciascuna alleanza suppone degli accordi reciproci infra le parti contrattanti, voglio dire certe condizioni fondamentali delle quali la violazione cagiona la rottura del contratto: somigliantemente succede por rapporto alla Religione. Debbesi ora esaminare, se la santificazione del settimo giorno sia una condizione fondamentale di codesta divina società talmente che la violazione di questo precetto produca la dissoluzione dell’alleanza. Dirovvi io in prima, non per ammaestrarvi, che nella Religione tutto è fondamentale. Ogni cosa venendo da Dio istesso è ugualmente rispettabile, e deve essere ugualmente rispettata. Nulladimeno, se, come già ho goduto dell’onore d’indicarlo, una distinzione qualunque poteva esser fatta, direi volentieri, che il riposo del settimo, giorno è la base medesima dell’augusta alleanza del mortale con Dio; dal che manifestamente conseguita, che la profanazione della domenica pubblica, generale, abituale, per quanto presentemente veggiamo noi nella maggior parte di nostre ville e campagne, la rovina diventa della Religione. Avrei una folla di ragioni per provarlo ; me ne sto contento di tre: – 1. In tutto il codice divino, voi non trovale precetto più antico, più universale, più soventemente replicalo, più fortemente sanzionato, per conseguenza più essenziale; – 2. voi non ne trovale altro, la cui violazione trascini cotanto infallibilmente lei rovina di tutti gli altri; – 3. Voi non ne trovate altro, la cui violazione porti allo stesso grado il carattere dell’ingiustizia e della rivolta, ed addivenga per lo medesimo titolo una pubblica professione d’ateismo. – Qual bisogno imperiamo di altre ragioni per stabilire, che il riposo sacro del settimo giorno è una condizione fondamentale dell’alleanza del mortale con Dio? –

§ V.

Primieramente, niun precetto è più antico. È un legge che data dall’origine de1 tempi, una legge che sopravvisse a tutte le catastrofi, le quali sconvolsero l’universo, a tutte le trasmigrazioni le quali in mille frazioni suddivisero la primitiva famiglia; una legge che disconosce l’istitutore umano; una legge che è il fondamento della religione universale, è il cardine del mondo, Questa legge si è la divisione del tempo in sette giorni col riposo obbligatorio del settimo. Perciò, allorquando dalla sommità del Sinai, il Creatore intima le sue volontà al popolo d’israello, non dicegli punto: Santifica il giorno del sabato, ma ricordati di santificare il giorno del sabato. Questo precetto non è novello, i tuoi avi lo conobbero, rimonta esso all’origine de’ tempi [“Deus a mundi exordio hoc primo sabbatì die, illum sanciiftcavìt id est actu festum instituit, colique voluit ab Adamo eiusque posteria sacro olio et cultu Dei, maxime recolendo beneficium creationis suæ, totiusque mundi, illo die completæ. Unde patet sabbatum fuisse fcstum institutum et sancitum primitus…. ab origine mundi” – a Ribera, Philo, Cafharinus, etc. (Cornelius a Lapide) in Gen, XI, 5.)]. «Lavorerai tu per sei giorni, in cui tu farai tulle le opere tue; ma il settimo, egli è ìl sabato del Signore tuo Iddio. In questo giorno tu non farai alcun lavoro, né tu, né i figliuoli tuoi, né la tua figliuola, né il tuo servitore, nè la tua serva, né la tua bestia da soma, né lo straniero che sarà in sul tuo territorio. Imperocché il Signore fece il cielo e la terra, e il mare in sei giorni con tutto quello che contengono, ed egli si riposò nel settimo giorno; questa è la ragione per cui il Signore benedì al giorno del sabato, e lo santificò». [Exod., XX, 8,-11].

§ VI.

Niun precetto è più universale. L’obbligazione di consacrare esclusivamente al servizio di Dio un giorno sopra sette, come ho detto io, sopravvisse a tutte le vicissitudini de’ tempi, e trapassò dall’antica alla novella legge. Per determinazione sovrana della Chiesa, l’adempimento n’è fissalo alla domenica. Il fatto n’è assolutamente perentorio. La legge della preghiera e del riposo settenario domina l’orbe intero. Sarebbe agevole pompeggiare per erudizione, e giustificare la mia frase per venti pagine di testi greci, latini, arabi, ecc. Qui i filosofi, gl’istorici, i poeti, gli oratori dell’ antichità, i savj, i protestanti ed i cattolici, i viaggiatori moderni, i missionarj i più istruiti, replicano tutti concordi la sentenza d’un illustre padre della Chiesa, San Teofilo. Verso la metà del secondo secolo, questo dotto Vescovo d’Àntiochia scriveva al suo amico Àntolico, che « Tutti i popoli della terra conoscevano il settimo giorno» [“Ac de die etiam septimo loquuti sunt (poetae, scriptores, philosophi), cuìus nom en omnes homines usurpant, sed plerique quam vim habent, ignorant. Quod enim apud Hebræos sabbatum dicitur, graece redditur hebdomas, quae quidem apud omne humanum genus appellatur”. (Ad Antolyc., lib. II, n. 42.)] – Sviluppando non è guari questo pensiero, lo stimabile Autore della Domenica aggiunge: « La verità, d’un giorno riservato a Dio è imperitura, come la conoscenza istessa dell’Essere supremo. Si può ancora decifrarne i primitivi caratteri, non ostante i sopraccarichi dell’errore; e scontrasi dovunque, infino ad un certo punto, la divisione settenaria, l’osservanza di un dì sopra sette, e la santificazione d’esso pel riposo e pel culto » (M. le Courtier, p. 31).

§ VII.

Niun precetto più sovente ripetuto. Ricordati tu di santificare il giorno di sabato. Se voi prestate l’orecchio ai divini oracoli, tale è l’intimazione che voi sentite replicarsi continuatamente dal Paradiso terrestre al Sinai, dal Sinai al Calvario, dal Calvario ai quattro angoli della terra. Gli eco de’ secoli futuri non cesseranno di ridirlo sino alle soglie dell’eternità, dove comincerà il riposo assoluto del quale è immagine il sabato. Inspirato da Dio, Mosè l’ingiunge sino a dodici volte al popolo d’Israello. Gli autori sacri che succedonsi avanti e dopo la cattività di Babilonia insistono tutti con forza particolare in seguir adempimento di questo precetto; Isaia, Geremia, Ezechiello, Osea, Amos, i maggiori ed i minori profeti, sembrano prendere essenzialmente per oggetto di loro missione l’annunciare i beni ed i mali, che sono la conseguenza dell’osservamento, o del profanamento del giorno d’iddio. Volete voi, mio caro amico, procurarvi il vantaggio di ritrovare senza pena le eloquenti loro parole? Acquistate un libro quasi ad ognuno sconosciuto degli ecclesiastici in fuori: esso si denomina la Concordanza. Un esemplare dovrebbe ornare la biblioteca di ciaschedun rappresentante del popolo. Presentemente, se volessersi ascoltare tutte le voci, le quali da diciotto secoli si sono innalzate in Oriente ed in Occidente per reclamare, raccomandare, ordinare la santificazione della Domenica, bisognerebbe rinchiudersi durante delle intere settimane in una delle nostre biblioteche nazionali, e compulsare tutte le opere de’ Padri, dopo S. Giustino e Tertulliano fino a S. Bernardo; i codici e le costituzioni degl’imperatori romani, dopo Costantino fino a Giustiniano ed in qua; i capitolari e le carte di tutti i re d’Europa, dopo Carlomagno fino a Luigi XVIII; bisognerebbe percorrere eziandio insieme i regolamenti sì saggi, sì formali e sì varj delle comunità, delle corporazioni degli artigiani ed operai; da ultimo, bisognerebbe leggere le immense collezioni de’ Concilj, delle Encicliche e Bolle pontificie; la raccolta non meno immensa dei sermoni e mandamenti dei Vescovi, con obbligo di arrestarsi presso ad ogni pagina, per ascoltare i gravi insegnamenti, i quali si danno ai parlicolari ed alle nazioni in su di questo punto fondamentale.

§ VIII.

Havvi altra voce riunente il doppio vantaggio di non esser meno eloquente, ed esser facilissima ad intendersi: questa è la voce del firmamento. Voi lo sapete, i cieli sono de’ predicatori (Coeli enarrant … Ps. XVIII); e se mi permettete di dirlo, sono predicatori speciosi della brevità del tempo e del riposo settenario. À questo titolo sono creati pel nostro secolo, nel quale gli uomini vivono come se dovessero giammai morire, nel quale lavorano come se non dovessero giammai riposarsi. Con tale sublime filosofia dante ragione di lutto, e senza la quale non si può render ragione di nulla, la Scrittura Sacra a noi dice, che il Creatore « fece il sole , la luna e le stelle per marcare i tempi, le stagioni, i giorni e le annate » [“Fiant luminaria in firmamento coeli, et dividant diem ac noctem , et sint in slgna, et tempora, et dies et annos”. (Gen. I, 11., Ps. CXXXV)]. – Il cielo adunque è un magnifico orologio in su la cui mostra azzurra miro io due lancette luminose, le quali passeggiando sopra ore tracciate per dei rubini indicano i giorni, le settimane, i mesi e le annate. Comparendo e disparendo alternativamente dall’orizzonte, il sole marca la divisione de’ giorni, composti di tenebre e luce. Credere che codeste successione cosi rapida e regolare non abbia altra mete che il determinare materialmente la misura degl’istanti formanti nostra vita, sarebbe uno scerpellone: più alto poggia del Creatore il pensiero. Se le creature fatte sono per l’uomo, l’uomo è fatto per Dio. Ciascuna di esse è incaricata di ridire a lui a sua maniera: a Vedendo me ogni giorno cominciare e finire per ricominciare ancora, io a voi insegno tre misterj: il mistero della vite, essa è breve; il mistero della morte, essa non è eterna; il mistero della risurrezione, essa è altrettanto certa quanto la vita e la morte ». Ecco quello che a noi dice col suo diurno movimento l’eloquente astro che c’illumina. Esso ci dice ancora che il cominciamento e la fine sono due ore solenni: che così il cominciamento. e la fine di ciascun giorno debbono essere marcati per l’adorazione. Che questo linguaggio sia vero, che sia stato compreso, la prova dimostrasi nella costumanza costante presso tutti i popoli, e sopratutto nella Chiesa Cattolica, di pregare sera e mattina. Per sue diverse fasi, la luna marca le settimane. Consumati sette giorni, si vede essa arrivare ad una regolare metà; terminato un novello settenario, il suo disco diventa pieno; trapassati altri sette giorni, scemò d’una perfetta metà. Finalmente, dopo vent’otto dì all’intorno di comparsa, quella disparisce per rinnovellarsi ben tostamente. Codesta luna che si mostra in travaglio di crescimento e di decresci mento durante sei giornate consecutive, poi, che si riposa in una forma fissa ciascun settimo dì, può essa compiere meglio l’intenzione del Creatore, ed indicare più chiaramente al mortale i sei giorni di lavoro e il settimo di riposo? Che tale realmente sia l’ammaestramento, il quale è incaricata essa di donarci, è sufficiente, per esserne perfettamente certi, di ricordarsi delle parole di già citate del sapiente Vescovo d’Antiochia, che tutti i popoli della terra conoscessero il settimo giorno; e d’intendere colui che formò la regina delle notti: « La luna, presso tutti i popoli e per tutte sue fasi (dice il Creatore istesso), marca i tempi e forma i mesi; ma inserve essa per anco ad indicare i giorni festivi; essa n’è il segnale. Questo magnifico araldo dell’armata del firmamento intona in mezzo degli astri le lodi dell’Altissimo nei giorni, ne’ quali a questo deve benedire il mortale » [“Et luna in omnibus in tempore suo, ostensio temporis, et si gnum AEvi. A luna signum diei festi…., Vas castrorum in excelsis, in firmamento coeli resplendens gloriose” – Eccles. XLIII, 6-9; V. Le Commentaire de Corn. a Lapid.]. – Si vede, dietro questa grandiosa pittura, la luna è il corifeo di Dio, incaricato di dare il segnale, la misura e il tono agli esercizi religiosi dell’uomo; di modo che i mortali ne’ santi giorni altro non fanno che ripigliare in coro i cantici, i quali il cielo ha intonato.

§ IX.

Permettetemi, signore e caro amico, notarvi di passaggio, che il testo sacro presenta a mie riflessioni un mistero, a cui non aveva da prima badato. L’istoria profana ci apprende che presso i differenti popoli dell’antichità eranvi giorni fasti e giorni nefasti Le nazioni pagane dunque credevano alla naturale differenza de’giorni. Questa opinione era ai miei occhi un pregiudizio, una superstizione di più: e gratìfìcavane io liberalmente gli Egiziani, i Greci ed i Romani. Una riparazione è loro dovuta: cotesta credenza è fondata. Il Padre de’ giorni che viene d’indicarci siffatto mistero, chiaramente ce lo rivela : « Quale è la ragione (dice egli), per cui un giorno prevale in sull’altro, poiché tutti i dìi dell’annata, misurali e rischiarati dallo stesso sole, sembrano della medesima natura e della medesima condizione? Questa distinzione non è novana ed arbitraria. E la sapienza del Signore che separò, riserbò certi giorni e istabilì cotale misteriosa differenza. Iddio dispose i tempi nella sua saviezza; prese certi dì ed innalzolli all’onore de’ giorni solenni e sacri, e lasciò gli altri nel rango ordinario, il quale non serve che a riempiere le settimane ed i mesi » [“Quare dies diem superat, et iterum lux lucem, e f annua annum a sole? A Domini scientia separati sunt…. et immutavit tempora, et dies festos ipsorum, et in illis dies festos celebraverunt ad horam, et ex ipsis exaltavit cl magnificavìt Deus, et ex ipsis posuit ìn numerum dierum”. (Eccles. XXXIII, 7-10 V. Corn. a Lapid.). Quale novella e sublime immagine ci presenta qui il testo sacro! Vedete voi il Padrone Sovrano prendere d’una mano una porzione di nostra vita, ad essa benedire, santificarla e riservarla come decima e come omaggio; e dell’altra mano rigettare il più gran numero dei nostri giorni nel cerchio monotono de mesi e degli anni, non altro merito loro assegnando di quello in fuori di compiere la santificazione di nostra esistenza, per la pratica giornaliera delle virtù e dei doveri. – La quotidiana adorazione della mattina e della sera, il riposo sacro del settimo giorno, sono eloquentemente predicati dal sole e dalla luna, questi due infaticabili araldi dell’Eterno: ma non è abbastanza. Costellazioni appellate volgarmente segni dello zodiaco, cioè de’ gruppi di stelle, o per parlare più rettamente , dei segni celesti, compaiono ogni sera dalla parte del cielo opposta all’occaso del sole. Ciascuna a suo giro mostrasi in sull’orizzonte durante un’intera lunazione. Quando la dodicesima è disparata, la primiera ritorna; e voi veduto avete a passare sovra la volta del firmamento, come in sur una mobile mostra d’oriuolo, ciascuno de’ dodici mesi dell’anno, e l’anno istesso, del quale divengono le parti integrali. Questo rinnovellamento de’mesi e degli anni diventa eziandio un monumento sacro, ed il predicatore dun rinnovellamento morale. Pertanto, appo tutti i popoli, il cominciamento dell’anno e le nuove lune furono giorni di festa. Egli è dunque vero: grazia al corso perfettamente regolare del sole, della luna e delle stelle, il grande orologio de’ cieli suona ciascun giorno, ciascheduna settimana, ciascun mese, ciascun anno, l’ora del raccoglimento, della preghiera e del sacro riposo. ÀI suono di questa ora solenne, tutte le nazioni dell’orbe fino al presente caddero ginocchione per adorare e benedire. Come mai qualificare la condotta degli uomini, la condotta d’un popolo intero, che non rispettano più i giorni santi, non apprezzano questa magnifica armonia, e sconvolgono tutto il, piano divino? È questo, una stupidità? È questo malizia? È questo l’uno e l’altro? Lascione a voi la decisione. — Aggradite, ecc.

CALENDARIO LITURGICO CATTOLICO DI DICEMBRE

Dicembre è il mese la Chiesa dedica alla Immacolata Concezione

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La definizione di Immacolata Concezione

… Perciò, dopo aver presentato senza interruzione, nell’umiltà e nel digiuno, le Nostre personali preghiere e quelle pubbliche della Chiesa, a Dio Padre per mezzo del suo Figlio, perché si degnasse di dirigere e di confermare la Nostra mente con la virtù dello Spirito Santo; dopo aver implorato l’assistenza dell’intera Corte celeste e dopo aver invocato con gemiti lo Spirito Paraclito; per sua divina ispirazione, ad onore della santa, ed indivisibile Trinità, a decoro e ornamento della Vergine Madre di Dio, ad esaltazione della Fede cattolica e ad incremento della Religione cristiana, con l’autorità di Nostro Signore Gesù Cristo, dei Santi Apostoli Pietro e Paolo e Nostra, dichiariamo, affermiamo e definiamo rivelata da Dio la dottrina che sostiene che la beatissima Vergine Maria fu preservata, per particolare grazia e privilegio di Dio onnipotente, in previsione dei meriti di Gesù Cristo Salvatore del genere umano, immune da ogni macchia di peccato originale fin dal primo istante del suo concepimento, e ciò deve pertanto essere oggetto di fede certo ed immutabile per tutti i fedeli. Se qualcuno dunque avrà la presunzione di pensare diversamente da quanto è stato da Noi definito (Dio non voglia!), sappia con certezza di aver pronunciato la propria condanna, di aver subito il naufragio nella fede, di essersi separato dall’unità della Chiesa, e, se avrà osato rendere pubblico, a parole o per iscritto o in qualunque altro modo, ciò che pensa, sappia di essere incorso, ipso facto, nelle pene comminate dal Diritto”.

pio IX

[da: ENCICLICA “INEFFABILIS DEUS” DEL SOMMO PONTEFICE PIO IX “SULL’IMMACOLATA CONCEZIONE DI MARIA SANTISSIMA]

Qui di seguito elencati sono le feste che cadono in questo mese:

2 dicembre: PRIMO VENERDI / Commemorazione di S. Bibiana Vergine e Martire.

3 dicembre: PRIMO SABATO / S. Francesco Saverio Confessore, Grande doppio.

4 dicembre: II Domenica di Avvento, doppio della I Classe. 

5 dicembre: Commemorazione di San Sabba Abate.

6 dicembre: Nicola Vescovo e Confessore, doppio.

7 dicembre: S. Ambrogio Vescovo, Confessore e Dottore della Chiesa, doppio.

8 dicembre: Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria, doppio della I Classe.

10 dicembre: Commemorazione di San Melchiade Papa e Martire.

11 dicembre: III Domenica di Avvento, doppio della I Classe.

13 dicembre: Santa Lucia Vergine e Martire, Doppio.

14 dicembre: EMBER MERCOLEDI (digiuno e astinenza parziale)

16 dicembre: EMBER VENERDI (digiuno e l’astinenza completa). Commemorazione di S. Eusebio Vescovo e Martire.

dicembre: EMBER SABATO (digiuno e astinenza parziale) / ‘O’ gli inni solenni (dicembre 17-23 dicembre)

18 dicembre: IV Domenica di Avvento, doppio della I Classe. (Calendari regionali di Spagna, Irlanda ecc .: Attesa della Beata Vergine Maria conosciuto anche come “Madonna di ‘O'”)

21 dicembre: San Tommaso Apostolo, doppio della Classe II.

24 dicembre: Vigilia della Natività di nostro Signore Gesù Cristo.

25 dicembre: Natale del Signore nostro Gesù Cristo, doppio della I classe con ottava; Commemorazione di Sant’Anastasia Martire alla 2°. Messa di Natale.

26 dicembre: S. Stefano Protomartire, doppio della classe II;  Commemorazione della ottava della Natività.

27 dicembre: San Giovanni apostolo ed evangelista, doppio della classe II ;   Commemorazione della ottava della Natività.

28 dicembre: I Santi Innocenti, doppio della classe II; Commemorazione della ottava della Natività.

29 dicembre: San Tommaso Vescovo e Martire, doppio;  Commemorazione della ottava della Natività.

30 dicembre: Del giorno VI all’interno dell’ottava della Natività, Doppio.

31 dicembre: San Silvestro I Papa e Confessore, doppio; Commemorazione della ottava della Natività.

 

 

INCREDULITA’

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INCREDULITA’

[da: E. Barbier –  I tesori di Cornelio Alapide – Sei ed. Torino 1930]

.1. Cause dell’incredulità. — 2. Effetti dell’incredulità: 1° l’accecamento; 2° l’indurimento; 3° la corruzione del cuore; 4° gli increduli sono abbandonati da Dio e giudicati fin da questa vita; 5° la morte da reprobo. — 3. Castighi dell’incredulità. — 4. Grande è il numero degli increduli. — 5. Rimedi contro l’incredulità.

1. Cause dell’incredulità. — S. Giovanni ci ha svelato fino dai suoi tempi le cause — e sono le stesse anche oggidì — per cui tanta parte di mondo, anche battezzato, è incredula. « Gesù, il Verbo di Dio, è la luce vera che illumina ogni uomo che viene in questo mondo, dice l’apostolo; Egli era nel mondo ed il mondo è stato fatto per mezzo di lui, ma il mondo non lo conobbe » (Ioann. I, 9-10). Il mondo si è rifiutato e tuttavia si rifiuta di accogliere, conoscere e ascoltare Gesù Cristo. Ecco in una parola e, diremo, in germe, le cause tutte dell’incredulità e antica e moderna. – Gesù Cristo poi, oltre al confermare con la sua autorità la sentenza dell’apostolo, ci ha posti su le tracce per scoprire le ragioni di questo trattamento a lui fatto dal mondo, in varie occorrenze nelle quali ebbe a folgorare l’incredulità de’ suoi contemporanei e connazionali. « Voi siete increduli, diceva loro, perché non siete del numero delle mie pecorelle. Queste odono la mia voce ed io le conosco ed essi mi tengono dietro » (Ioann. X, 26-27). Quasi che loro apertamente dicesse: Voi non siete credenti, non siete de’ miei, perché non mi volete conoscere; e vi rifiutate di conoscermi, perché non volete seguirmi. Questo poi vi pare la più dura e insopportabile e impossibile cosa del mondo, perché attaccati, come ostriche allo scoglio, al vostro orgoglio, alla vostra invidia, al vostro odio, alla vostra avarizia, alla vostra gelosia, alla vostra lascivia, amate meglio chiudere volontariamente gli occhi su le mie opere, turarvi le orecchie alle mie parole, anziché vedervi obbligati a cessare da quei vizi che tanto amate. – « Sapete voi, diceva ad essi un’altra volta, perché non intendete il mio linguaggio? È perché non potete sopportare i miei avvisi. Ah! voi siete figli del diavolo e volete adempire i desideri del padre vostro » (Ioann. VIII, 43-44). « Quei disgraziati, osserva S. Agostino, non potevano intendere, perché se avessero inteso e creduto, si sarebbero dovuti correggere ed emendare »; ma questo appunto essi non volevano fare, secondo quel detto dei Salmi: « Non volle intendere per timore di dover fare il bene » (Psalm. XXXV, 3). – « Io sono la via, la verità e la vita », disse anche il divin Redentore (Ioann. XIV, 6). « Io sono la luce del mondo; chi viene dietro di me, non cammina nelle tenebre, ma godrà la luce della vita » (Ioann. VIII, 12). Ora molti non vogliono seguire Gesù Cristo, Lo rinnegano nei loro affetti e nelle orazioni; non vi è dunque in essi né via, né verità, né luce; perciò che meraviglia se l’incredulità s’impossessa del loro spirito e del loro cuore? – Oggidì, come ai tempi di Gesù Cristo, l’incredulo vuol essere e rimanere incredulo… Stringete pur loro i panni addosso con vigorosi argomenti, con luminosi tatti, non verrete mai a capo di nulla. È proprio il caso di ripetere con Gesù Cristo: «Venne Giovanni che non mangiava e non beveva ed essi lo chiamarono un indemoniato; venne il Figliuolo dell’uomo che mangia e beve ed essi Lo accusano come ghiottone, amico dei pubblicani e dei peccatori » (Matth. XI, 18-19). Si persevera nell’incredulità volgendo tutto a male, incolpando ora la legge, ora la religione, ora quelli che sono mandati per istruire e illuminare. Si nega quello che si ignora, si dimentica quello che si è imparato; si mette in canzone quel po’ di bene che viene talora, senza volerlo, alla memoria. Poveri disgraziati! Ad essi si adattano quelle minacce del Salvatore: « Guai a te, Corozain! Guai a te, Cafarnao! perché se in Tiro ed in Sidone Io avessi operato i prodigi che ho fatto in voi, esse già si sarebbero convertite e avrebbero fatto penitenza nella cenere e nel cilicio. Perciò vi do parola che meno severa punizione toccherà a Tiro e a Sidone, che non a voi, nel giorno del giudizio » (Matth. XXI-22).

2. Effetti dell’incredulità: 1° l’accecamento. — Il primo effetto dell’incredulità è l’accecamento spirituale. Come i ciechi non vedono nemmeno la luce del sole, così gli increduli non vedono né Dio, né i loro doveri, né l’infelice stato della loro anima. Ciò non di meno la luce di Dio splende in mezzo alle tenebre stesse dell’incredulità, per mezzo della luce della ragione…, della voce delle creature animate, intelligenti e brute…, della legge antica…, della legge nuova…, dei dottori…, dei predicatori…, dei miracoli…, dei monumenti…, della Chiesa…, delle sante ispirazioni…, dei rimorsi…, della bellezza della virtù…, delle laidezze del vizio…, delle vite dei santi…, ecc. – O increduli, volete voi vedere e conoscere? credete. La luce non sta e non può stare con le tenebre; ora essendo l’incredulità fitta tenebra, come ci vedrete voi, rimanendo in essa? Solo Gesù Cristo, e nessun altro fuori di lui, è la vera luce, la luce increata. — Luce per la sua dottrina, luce per la sua grazia la quale illumina più chiaramente l’anima che non il sole la terra; luce per la verità del suo essere, del suo spirito, delle sue parole, delle sue opere; luce universale che rischiara ogni persona che viene su questa terra, per quanto è in sé, e tanto quanto basta perché il cieco incredulo sia senza scusa. Se gl’increduli non sono illuminati, la colpa è tutta loro; essi non sentono e non intendono nulla, ma è forse Iddio l’autore di questa terribile disgrazia? No: essi medesimi ne sono la causa, perché non vogliono né vedere, né udire, né comprendere. – La condizione degli increduli odierni è, rispetto a Gesù Cristo ed alla religione, quella medesima in cui erano e rimasero gli Ebrei. Ora furono essi e sono innocenti di questa loro incredulità? No, ma furono e sono colpevolissimi; infatti è fuori di ogni dubbio che potevano e dovevano chiaramente conoscere e assolutamente credere che Gesù era il Messia: l° per i suoi miracoli, facendoli esso a questo scopo… 2° Egli ha fatto tutti i miracoli predetti dai profeti… 3° Benché parecchi profeti e molti santi abbiano fatto dei miracoli, nessuno però uguagliò in numero ed in rilevanza quelli di Gesù Cristo. Inoltre i profeti e i santi non facevano miracoli per virtù loro propria, ma per l’invocazione e la virtù di Dio; mentre Gesù li faceva in nome e virtù e autorità propria, per quel potere che a lui competeva come a Signore di tutte le cose. I suoi miracoli erano pubblici, evidenti, strepitosi, numerosissimi; per operarli, gli bastava una parola, un cenno; ne operava dappertutto ed in ogni genere. Questa potenza assoluta, questa virtù perpetua appartengono esclusivamente a Gesù Cristo, non meno che la sua divina morale… Dunque i Giudei dovevano riconoscerlo. La loro incredulità è pertanto un enorme delitto e un delitto d’accecamento tutto volontario ed ostinato. E non è questa la condotta degli increduli di tutti i tempi? Non hanno essi da rimproverarsi il medesimo volontario accecamento? – I Giudei potevano e dovevano sapere e credere che Gesù era il Messia promesso, perché tutto quello che era stato predetto del Messia, si vedeva realmente adempito in Gesù. Io sono il Messia vaticinato, aveva egli tutta ragione di dire; io fo tutto quello che di lui fu predetto, dunque io sono il Messia. Sono il Messia, per il compiersi in me di tutte le Scritture; sono il Messia per la mia dottrina, la mia morale, la mia vita, le mie opere, i miei miracoli, la voce del mio Padre, la conversione dei gentili, ecc. Io provo la mia divinità, la mia missione; consultate le Scritture ed esse vi renderanno testimonianza di me (Ioann. V, 39). Quello che diceva Gesù, lo ripeteva S. Pietro, predicando che di lui fanno testimonianza tutti quanti i profeti (Ad. X, 43); lo ripeteva S. Paolo, asserendo che Gesù è il fine, il termine, il compimento, lo scopo di tutta quanta la legge (Rom. X, 4). – Chiunque legge e medita la sacra Scrittura, trova Gesù Cristo dappertutto, chiaramente e velatamente sotto le ombre e le figure; resta dunque che chi si ostina a non credere, sia o ignorante o uomo di mala fede. « E perché, scrive l’Apostolo, non hanno voluto ricevere l’amore della verità per essere salvi, Dio li abbandonerà alla potenza dell’errore; sicché credano alla menzogna; affinché siano condannati tutti coloro che non credettero alla verità e si acquietarono all’iniquità»  (II Thess. II, 10-11). Accade ancora degli increduli quello che di loro già notava il Salmista: «Essi vanno dicendo a se medesimi: Il Signore non ci vede e non saprà quello che noi facciamo» (Psalm. XCIII, 7); e su questo errore dormono tranquilli per tutta la vita. – « Le tenebre non hanno compreso la luce » (Ioann. I, 5), dice il Vangelo. Per l’incredulo tutto è tenebre e notte, Gesù Cristo, la rivelazione, la Chiesa, i sacramenti, la legge, il dogma, il culto, la morale, la preghiera, il giudizio, il paradiso, l’inferno, la santità, la sapienza, la virtù, la grazia, la salute, ecc. Qui si adattano quelle parole di Seneca : « A che illuderci? non è fuori di noi il male che ci rode, ma è dentro di noi, nelle nostre viscere; docilmente guariamo, perché non sappiamo di essere malati ». Perciò l’incredulità è follia a un tempo e malattia quasi incurabile; come il pazzo vede e giudica ben altrimenti dell’uomo assennato e sempre dà in fallo, così fa l’incredulo rispetto al credente. E’ questo, appunto il rimprovero che Gesù Cristo fece ai discepoli di Emmaus: « O stolti, voi che andate così a rilento nel credere a quello che dissero i profeti! » (Luc. XXIV, 25). – Ateniesi, disse S. Paolo, io mi sono abbattuto, passando per questa vostra città, in un altare su cui sta scritto: «Al Dio ignoto» (Ad. XVII, 23). Ciechi increduli, non meritate anche voi il medesimo rimprovero? Non è forse Dio una cosa a voi affatto sconosciuta? Ve ne date pensiero? Ma come conoscerete Iddio, mentre respingete volontariamente la fede?…- L’indurimento. — L’incredulo pensa e parla come Faraone : « Chi è il Signore, perché io deva ascoltarne la voce? Io non conosco alcun Signore » (Exod. V, 2). Ma ricordino gl’increduli che quanto più Faraone chiudeva gli occhi, tanto più s’indurava il suo cuore. Per gl’increduli che cercano di mascherare la loro incredulità con l’istruzione, dicendosi pronti a credere quando fossero persuasi con argomenti irrefutabili, si adatta quella risposta che diede Abramo al ricco dannato il quale lo pregava di mandare Lazzaro ad avvertire i suoi fratelli affinché mutassero vita, che cioè se non credevano a Mosè e ai profeti, non avrebbero nemmeno creduto ad un morto venuto dall’altro mondo (Luc. XVI, 29-31). L’incredulo che si acceca volontariamente, necessariamente s’indurisce. – Chi è l’indurito? chiede S. Bernardo, e risponde: l’indurito è colui il cui cuore non si commuove per nulla, che non si sente attratto dalla virtù, che non si lascia scuotere dalle preghiere, che si ride delle minacce, che resiste sotto i castighi, che dimentica i benefizi, che si burla dei pericoli, che non teme né Dio né gli uomini. Questo è il vero carattere dell’uomo indurito (Lib. 1 de Consider.). Ed è questo, soggiungiamo noi, il vero ritratto dell’incredulo. – La corruzione del cuore. — Questo terzo frutto dell’incredulità, così fu descritto dal Salmista: «Disse l’insensato in cuor suo: Dio non esiste. Ma ecco che questi tali si sono corrotti e divenuti abbominevoli nei loro affetti; non si trova più tra loro nemmeno uno che faccia il bene… Tutti si sono gittati fuori di strada e caddero in dissoluzione; la loro gola è un sepolcro spalancato, con la loro lingua ingannano, dalle labbra schizzano veleno di vipere. La loro bocca è piena di maledizione e di fiele, i loro piedi corrono allo spargimento del sangue. Nelle loro vie è afflizione e calamità, non conoscono la strada della pace, non è dinanzi ai loro occhi il timor di Dio » (Psalm. XIII, 1-3). – L’incredulo ben può dire di se stesso: «Le mie piaghe si sono incancrenite a cagione de’ miei traviamenti » (Psalm. XXXVII, 5). Gli increduli sono corrotti e carichi di delitti e sono increduli appunto perché carichi di peccati e di corruzione. La corruzione dello spirito e del cuore genera la incredulità e l’incredulità accresce la corruzione della mente e del cuore… Mondate, o increduli, il vostro cuore dall’impurità, cacciate dal vostro spirito la bestemmia e voi cesserete d essere increduli, avrete la fede… – Gli increduli sono abbandonati da Dio e giudicati fin da questa vita. « I rami, cioè i Giudei, furono recisi a cagione della loro incredulità » dice S. Paolo (Rom. XI, 20). Per la loro incredulità cessarono di essere il popolo di Dio; sono divenuti pagani; Dio li ha rigettati e maledetti… Così ugualmente tratta gli animi increduli quel Dio che vuole che si creda in lui, che si ami e si adori… Gli increduli corrono la sorte dei reprobi, con questa differenza, che i reprobi sono essi costretti ad allontanarsi da Dio, gli increduli costringono Dio ad allontanarsi da loro. Ed essere abbandonato da Dio è la somma delle disgrazie… – Del resto, l’incredulo non ha da aspettare la sua sentenza in fin di vita; egli è già giudicato mentre ancora vive, poiché è chiarissima e perentoria la parola di Gesù Cristo: « Chi disprezza me, e non dà orecchio alle mie parole, ha chi lo giudica: anzi egli non credendo è già giudicato » (Ioann. XII, 18) (Ioann. IlI, 18). E quello che qui Gesù Cristo dice di se stesso, lo aveva già detto Dio, nell’antica legge, di ogni uomo che parlasse in suo nome: « Chi non vorrà intendere quello che il mio profeta parlerà in vece mia mi troverà pronto a vendicarlo » (Deut. XVIII, 19). – La morte da reprobo. — L’incredulo vive da reprobo; ora come non morirà tale, senza un grande miracolo della grazia, miracolo che Dio non è tenuto a dare, anzi, per quanto si ricava dalla Scrittura, si protesta di non dare? – Nel Deuteronomio infatti leggiamo: « Chi si insuperbisce e non vuole ubbidire al comando del sacerdote, morrà » (XVII, 12). E ai Giudei Gesù diceva: «Se voi non crederete in me, morrete nei vostri peccati » (Ioann. VIII, 24). «Quale sarà, domanda S. Pietro, la sorte di quelli che non vogliono credere al Vangelo di Dio? Se appena il giusto troverà salvezza, che cosa toccherà all’empio ed all’incredulo » (I Petr. IV, 17-18).

3. Castighi dell’incredulità. — Dio ha in ogni tempo puniti gli increduli: Noè, nei cento anni che impiegò a fabbricare l’arca, non cessò mai di ammonire il mondo del castigo terribilissimo di un diluvio universale che stava per sommergerlo; gli uomini lo canzonano, rimangono increduli e il diluvio si avvera. – Chi travolse nella rovina di Sodoma coloro che Lot cercava di salvare? l’incredulità di quei cittadini che s’imaginavano ch’egli celiasse (Gen. XIX, 14). E le piaghe di Egitto non furono causate dall’incredulità? Perché Faraone annegò con seicento mila Egiziani nel Mar Rosso? perché furono increduli alla parola divina annunziata da Mosè. – Portatevi nel deserto e là vi dirà il Salmista, che tutta la nazione ebrea corse pericolo di totale sterminio, in punizione di non aver creduto alla parola del Signore, di non aver dato ascolto alla sua voce (Psalm. CV. 25-26). « L’ira di Dio piombò sopra di essi e prostrò il fiore d’Israele, perché non avevano prestato fede alle sue meraviglie » (Psalm. LXXVII, 30-32). – Zaccaria esita a credere quello che gli annunzia Dio e in pena della sua incredulità perde la favella (Luc. I, 20). Simili ai padri loro, gli Ebrei contemporanei di Gesù Cristo non vollero ascoltare le sue chiamate: ma la distruzione di Gerosolima, le inaudite calamità cui sottostette la nazione giudea e la sua dispersione tra le genti, mostrano il frutto della loro incredulità. « Quando gli increduli, esclama la Sapienza, dichiararono, o Signore, di non volervi conoscere, si aggravò sopra di loro il peso del vostro braccio, furono inondati da nuove acque, flagellati da grandini, battuti da tempeste, consumati dal fuoco »  (Sap. XVI, 16).  – Qual è stata la fine degli increduli in tutti i secoli? La loro morte somiglia alla loro vita; vivono senza fede, muoiono nell’incredulità… Gli increduli sono nemici di Dio e degli uomini. I loro fatti, i loro scritti, la lor vita, la loro morte, il loro nome sono esecrati dal cielo e dalla terra…

4. Grande è il numero degli increduli. — Già da’ suoi tempi si lagnava Isaia che molti non porgevano orecchio alle parole dei profeti e vivevano da increduli(Isai. LIII, 1). E a lui fa eco, dopo vari secoli, S. Paolo, lamentando che non tutti obbediscono al Vangelo (Rom. X, 16); prenunziando che sarebbe venuto un giorno, in cui gli uomini non avrebbero più dato ascolto all’annunzio della sana dottrina; ma deprezzando la verità, si sarebbero volti alle favole (II Tim. IV, 3-4). Questo vuol dire che in tutti i tempi vi sarebbero stati degli increduli, allora e oggi e sempre.

« Quando verrà il Figliuolo dell’uomo, stimate voi che troverà molti credenti sulla terra?», diceva il Salvatore (Luc. XVIII, 8). Ora se venisse oggidì, quanti increduli vi troverebbe!… Infatti non vivono forse da increduli tutti coloro che abbandonano la legge di Dio, la religione, i sacramenti? Invano diranno che credono, poiché la fede senza le opere, è morta, risponde loro S. Giacomo (II, 26). Come sono poche e rare le virtù cristiane, perché la fede manca. – « Chi è incredulo, opera sempre infedelmente », dice Isaia — (Isai. XXI, 2). Ora un gran numero di persone si regolano male, vivono infedeli a Dio, alla sua legge, alla coscienza; ecco altrettanti increduli. Se poi è incredulo chi non ha un anima retta, come dice Abacuc (Habac. II, 4), quanti non somigliano all’incredulo in questo punto!

5. Rimedi contro l’incredulità. — 1) – Bisogna spesso rivolgere a Dio questa preghiera del profeta: «Illuminate, o Signore, le mie tenebre, rischiarate i miei occhi, affinché non mi addormenti un giorno nella morte; perché il mio nemico non dica: l’ho soverchiato e vinto» (Psalm. XVII, 28) (Psalm. XII, 4-5). – 2) – Avere gran timore di perseverare nell’incredulità. « Se oggi udite la voce del Signore, grida il Salmista, non indurite i vostri cuori » (Psalm. XCIV). Pensate alla misericordia di Dio, che vi cerca e vi trae non ostante l’incredulità vostra; udite che vi dice per bocca d’Isaia: « Io sto tutto il giorno con le braccia tese per istringere al mio seno un popolo incredulo che cammina per una strada non buona » ( Isai. LXV, 2). Principalmente su la croce questo gran Dio stese le braccia per stringersi al petto il mondo intero… 3) – Bisogna fuggire gli increduli: è questo l’avviso di S. Paolo: « Se qualcheduno fa il riottoso alla nostra parola, non abbiate seco lui alleanza veruna » (II Thess. III, 14). 4) – Obbedite per prima cosa alla legge naturale, alla voce della coscienza, poi schivate il peccato e voi crederete senza pena…

 

J.-J. GAUME: La profanazione della DOMENICA [prefazione e lett. 1]

Iniziamo la pubblicazione di una opera piccola, ma importantissima, di Mons. Gaume, quanto mai attualissima per noi “presunti” o “veri” cattolici: “la profanazione della Domenica”. Oltre alle abitudini dell’epoca [lo scritto è del 1850], la profanazione della Domenica, è moda corrente favorita dalla falsa gerarchia conciliare: i presunti cattolici, anticipando abitualmente la frequentazione “fugace” della Messa domenicale [ma tanto è una Messa falsa e blasfema! … dirà giustamente qualcuno], hanno ampia possibilità di andare al mare, in campagna o in montagna d’estate, alle gite fuori porta, ai centri commerciali, allo shopping compulsivo, agli spettacoli teatrali e cinematografici, alle manifestazioni sportive, culinarie, c.d. artistiche e culturali, ai musei gratuiti la domenica, ai raduni politici e alle manifestazioni sindacali, ai programmi televisivi o alla navigazione internet, oltre a balere, discoteche, ludoteche … ce n’è per tutti i gusti, signori … entrate, accorrete, venghino lor signori,  venghino … di santificare le feste non c’è bisogno, tanto poi ci pensa la misericordia …! Ci torna alla mente una celebre frase di S. Alfonso M. de Liguori, nelle sue Meditazioni. “… e cantando e ballando, i cristiani se ne vanno all’inferno …!”. Leggiamola possibilmente con attenzione, onde trarne un frutto spirituale. [nota redaz.]

LA

PROFANAZIONE

DELLA DOMENICA

ED ESTREMI MALI CHE COTESTA CAGIONA ALL’UMANITA’

OPERA

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DELLABBATE GAUME

Vic. GEN. DI NEVERS, DOTT. IN TEOLOGIA

TRADOTTA DAL FRANCESE DA DOMENICO CERRI CANONICO ON. E PROFESSORE EMERITO DI TEOLOGIA E DIRITTO CANONICO.

TORINO, 1853. – – Via della Zecca n. 23, casa Birago.

 

Niente è più alto a materializzare un popolo, quanto la profanazione della Domenica. – Un popolo materializzato è un popolo morto.

Ill.mo Sig.r Conte CESARE DI CASTAGNETTO SENATORE DEL REGNO

La traduzione dell’eccellente opera francese la profanazione della domenica, che ho io eseguita, dietro l’onorevole invito d’autorevoli personaggi, alla tranquilla ombra dell’amenissimo Castello di Castagnetto di V. S. Ill.ma, non meglio che a Lei posso io dedicare, non tanto pelle preelette virtù di Lei, di cui fecero già chiaro cenno classici giornali francesi ed italiani, egregi scrittori, e l’istesso Supremo Gerarca, Pio IX; quanto per quella ardente premura, con la quale Ella santifica le Domeniche e Feste da render Sé legge, esempio, specchio e luce alla Lei nobile Famiglia, ed alle persone tutte da Lei dipendenti, e di Lei ammiratrici: premura Santa che la spinge infino a generosi e pii Sacrifizj, acciocché i Lei soggetti non vengano privi dei mezzi per santificarle. Per quanto debole sia la mia non serva penna ad innarrar le Lodi di Lei, non pertanto la delicata modestia di V. S. Ill.ma se ne risente, quindi m’impongo silenzio, protestandomi con perfetta osservanza, inalterabile devozione ed altissima stima,

D . V. S. Ill.ma, D.mo, Obbl.mo, Oss.mo Servitore Can. Domenico Cerri.

Torino, il 15 dicembre 1852

PREFAZIONE DEL TRADUTTORE

Invitati noi a porger mano alla traduzione in lingua italiana di questa eccellente operetta, stampatasi in francese per la prima volta in Parigi nel 1850, abbiamo opinato non esser disutile cosa, se le premettiamo in prima alcune brevi nozioni tolte dai più gravi scrittori intorno all’origine del giorno di Domenica, e delle principali feste celebratisi infra l’anno, acciocché sia compiuto in sua concisione questo trattatello. – Il giorno di Domenica adunque, primo dì festivo appresso i Cristiani, venne da’ santi Apostoli instituito invece del sabato dagli stessi primordi della Chiesa, a perpetua memoria della risurrezione di Gesù Cristo in tale giorno avvenuta. – I quali primordi propriamente deggionsi attribuire al giorno di Pentecoste: poiché allora, compiuti i Misteri di nostra redenzione, il sacrosanto Vangelo fu promulgato pubblicamente. Dopo questo giorno poi, permutati i giorni festivi giudaici ne’ nostri, egli è indubitato, che il primo giorno, il quale loro siasi presentato, non altro fosse che il Domenico: imperocché né il giorno di Natale, o di Pasqua, de’ quali la remotissima origine muoverebbe qualche dubbio, poterono occorrere, se non frapposto lo spazio di alcuni mesi, come saviamente osserva il venerabile Cardinale Bellarmino [Lib. 5, De Sanctis, c. II]. Del giorno di domenica fa menzione l’Apocalisse [I , 10], gli Alti Apostolici [XX, 7], S. Paolo [I. Cor., XVI, 2], come dirittamente dimostrano nel citato luogo Bellarmino ed Asorio [P. 2, Instit. Mor., I. I, c. 2, q. 1,2], allegando molti testimoni de’ Padri contra dei Centuriatori Magdeburgesi. Di questo giorno si fa cenno eziandio nel libro oliavo delle Costituzioni Apostoliche di S. Clemente [Cap. 55, version. Turriani], e nel canone 65 dogli Apostoli, e nell’epistola di S. Ignazio martire a’ Magnesiani, dove il giorno Domenico chiamasi re e principe de giorni; come anche nella lettera del medesimo a’ Filippesi; così pure nell’apologia di Tertulliano, cap. 46, ed in altri innumerevoli monumenti de’più antichi Dottori. – L’annua solennità del giorno del Natale di Gesù Cristo ebbe per istitutori gli Apostoli beati, come scrisse Asorio; e Bellarmino (L. 3, De’ Santi, c. 15) riporta molti Padri in confermazione di questo, de’ quali ci basta il solo S. Clemente romano nelle Costituzioni Apostoliche. Il giorno festivo dell’Epifania pur anche alle Apostoliche Costituzioni deve attribuirsi, secondo quello riferito viene da Epifanio nel Compendio della Fede verso il fine, ed Asorio al luogo citato. – L’annua celebrazione della Pasqua,ossia della risurrezione di Gesù Cristo fu ordinala dagli Apostoli, ci assicurano S. Clemente, S. Agostino ed Àsorio come si può vedere presso il Bellarmino. La stessa cosa hassi da dire della vigilia di Pasqua, delle altre vigilie, e delle quattro tempora poi si leggano Terlulliano, Eusebio, S. Leone M., Bellarmino, ed il Baronio. – Essa è altresì apostolica tradizione appresso Clemente e Bellarmino, che la Domenica in Albis, cioè l’ottava di Pasqua avesse l’istesso principio. La festività dell’Ascensione di Gesù Cristo anch’essa riconosce gli Apostoli per autori, come insegnano Clemente, Agostino, Asorio e Bellarmino. Il dì solenne e sacro di Pentecoste parimente secondo le Costituzioni degli Apostoli, ad essi deve ascriversi. – Di questo giorno fanno eziandio parola S. Ireneo nella sua orazione di Pasqua, citata da S. Giustino martire, Tertulliano e S. Basilio. Che anzi stimiamo, seguendo autorevolissimi scrittori, probabilissima la dottrina di S. Epifanio, il quale riferisce quello che della Pentecoste fu scritto negli Atti Apostolici e nella lettera di S. Paolo (1 Cor, XVI, 9) alla Pentecoste della Chiesa Cristiana, che afferma essere derivata dalla tradizione e dall’instituzione apostolica, benché a certuni paia forse potersi riportare alla Pentecoste de1 Giudei, quello che nel suddetto libro inspirato di somigliante giorno si dice. – La festa della Purificazione della Beatissima Vergine Maria è anch’essa antichissima, come chiaramente dimostra Bellarmino dallo orazioni recitate nel suddetto giorno da’ più vetusti Padri. E certamente esso è talmente antico, che giudicò Asorio essere cotesta solennità stata instituita o dagli Apostoli, o indubitatamente dai primi discepoli degli Apostoli. – I giorni poi consacrati alla celebrazione degli Apostoli vennero essi fissati dai discepoli di questi appena che loro succedettero, come ci ammaestrano Àsorio e Bellarmino e con dirittura: imperocché S. Clemente impose ai fedeli di osservare le feste de’Martiri, e nominatamente di santo Stefano. Da quello impertanto, che abbiamo detto de’ giorni festivi, sia di Nostro Signore Gesù Cristo, sia de’Santi, è manifesto, che sono da riprendersi o di brutto svarione, o di maliziosa dissimulazione i Centuriatori Magdeburgesi (1), a quali non basta ’l negare, che gli Apostoli abbiano statuito certi giorni festivi, ma per somma impudenza aggiungono ancora, che nei primi secoli della Chiesa non si legga essersi emanati decreti per regolare e fissare de’ giorni festivi, di Pasqua in fuori. – Santa Chiesa poi, sempre mai condotta da quella indefettibile sapienza, di cui fece ognora bella mostra, essa pure infino da’primi secoli instituì alcune solennità, ed approvonne certe altre: instituì ella alcune solennità per così contrapporre alle feste piene di lussuria, di brutalità e di scandali dei Pagani, la santità de’ nostri sacrosanti Misteri, per allontanare da codeste immoralità i Fedeli, e tenerli in orazione ed edificazione, col qual mezzo ella venne a guadagnare ne’ suoi figliuoli, che li conservava puri e virtuosi; nel paganesimo, che, rapito della virtù de’Cristiani, n’abbracciava la legge loro. Approvò poi ancora Santa Chiesa certe altre solennità che dai varii regni del mondo cattolico tra, i popoli a lei si rivolgevano, pregandola con istanza ad elevare al grado di festa certi giorni, e come tali, per sua autorità, dichiararli; le storie sono ripiene di simili petizioni devote, le quali i Romani Pontefici, dopo maturo esame, od esaudivano o rigettavano, secondo che giudicavano più conveniente pella Religione e pei popoli. E coloro che acremente impugnano le feste ed avventano in sulle adorabili guance di Chiesa Santa le più vili calunnie ed oltraggiose, perciò, se avessero letto la storia ecclesiastica, s’ adonterebbero di loro ignoranza grossa grossa, o di loro mala fede empia empia; ma se non la leggono questa istoria, o se la leggono, lo fanno non per altro che per attingervi le obiezioni orpellando e svisando la verità onde sedurre i credenti! Assaissimo sarebbevi a dire intorno a siffatto argomento, ma la mole del libro nol permettendo, ci limitiamo solo a quello della Santificazione della Domenica, né possiamo meglio sotto ogni riguardo trattarlo, che riproducendo la sovra accennata Opera, e presentandola tradotta; coloro che la leggeranno, non potranno almeno d’altamente commendare la potenza e dirittura somma dell’ingegno dell’autore sullodato nel condurre il suo tema, ed inorridiranno all’aspetto dei mali che stanno per rovinare d’ogni parte sopra de’profanatori del santo giorno della Domenica. 

LA PROFANAZIONE DELLA DOMENICA

considerata per rapporto alla Religione, alla società, alla famiglia, alla libertà, al benessere, alla dignità umana ed alla sanità.

LETTERA I

RAGIONE E DISEGNO DI QUESTA CORRISPONDENZA.

Nevers, 5 aprile 1830

I

Signore, e caro amico [Queste lettere sono indirizzate al signor M. N. membro dell’Assemblea legislativa – ndr.-], per corrispondere io a’ vostri desideri vi mando le considerazioni, le quali mi dettò la rapida disamina della grande questione, divenuta da bella pezza l’oggetto de1 vostri profondi studi. Certamente niente n’è più degno delle meditazioni. d’un personaggio veramente politico: la legge sacra del riposo ebdomadario essendo il fondamento della Religione, diventa la salvaguardia degli Stati. Pertanto avete voi mille volte ragione di dire che, se ne’ nostri giorni d’aberrazione, qualche cosa avesse diritto di stupefarci, questa è infallibilmente l’oblio generale, in cui si lascia un punto di somigliante importanza. Senz’altro preambolo, m’accingo alla mia prefazione. Io la giudico necessaria; ma rassicuratevi, eh’essa non sarà lunga.

II

Voi sapete, che (specialmente) cinque immortali testimonianze appoggiano lutti i cattolici dogmi: la parola di Dio, la quale li rivela; il sangue de’ martiri, il quale li conferma; l’odio de’ perversi, il quale li oppugna; l’amore de’ buoni, il quale li propugna; la felicità, la quale quelli apportano. Tale è, ne’ tempi ordinarj, la vittoriosa dimostrazione della fede. – Nulla ostante avvengono epoche di vertigine, in cui il mortale, strascinato dall’orgoglio, tiranneggiato dai sensi, non solamente chiude gli occhi per nulla vedere e le orecchie per nulla ascoltare, ma anzi indaga ogni via affine di oscurar la verità, che lo ristucca. Per questi giorni infausti Iddio riserva, in favore di sua opera, un’ultima testimonianza. – Quest’ultimo argomento somigliantemente alla folgore, la quale discinde le dense nubi, i cui vasti fianchi intercettano i raggi del sole, cosi dissipa esso tutte le tenebre stese in sulle intelligenze. La verità è mostrata all’uomo, com’essa a lui si mostrò dalla vetta del Sinai tra lo splendore dei lampi, e il rombo del tuono; o come sopra il Calvario, nello spavento dell’umanità, e nel conquasso di tutta la natura. Quest’ultimo argomento della Previdenza sono le Rivoluzioni. – Dietro questi formidabili uragani, il suolo, messo sossopra e profondamente socchiuso, lascia vedere apertamente le basi recondite delle umane società. Si scorgono allora quelle delle grandi assise, il cui scuotimento ha determinalo la catastrofe; si scopre la mina che giunse a coglierle; si comprende quello che avrebbe dovuto adoperarsi per sventarla, ciò che è di mestieri fare per prevenire reiterati colpevoli attacchi.

III

Da tre secoli la Provvidenza ai popoli d’Europa dona questa suprema dimostrazione. Neppure un solo de’ nostri dogmi, la cui sociale necessità non sia oggi provata per una catastrofe. — La società è un fatto divino; il simbolo con tutti i suoi articoli, il Decalogo con tutti i suoi comandamenti, senza niuno eccettuarne, sono le condizioni vitali delle incivilite nazioni. Ecco quello che ripetono montagne di rovine coacervate sovra il suolo da mezzanotte a mezzogiorno. Ecco altresì, e sono felice di confermarlo, quello che un vago istinto comincia à far presentire agli uomini non ha guari i più indifferenti, per non dire i più ostili alla rivelazione. – Ritornarvi, o morire, e questo senza ritardo: la è il punto attuale della questione nell’intera Europa. – Il facile scioglimento di questa verità troppo lontano mi trarrebbe. Lo scopo di nostra corrispondenza è di richiamare l’attenzione su d’una sola di quelle leggi cristiane, la quale somigliantemente è dimostrata per catastrofi. Anzi oserei pronunciare che qui la dimostrazione diventa più compiuta e rilevante. Difatti, se, parlando della necessità delle leggi e delle cattoliche verità, si potesse ammettere di più o di meno, sarebbe manifesto che questa legge, sopra le altre, rendesi indispensabile alla società: ho nominato la legge della santificazione delle domeniche.

IV

Io sono, come voi, talmente convinto della calamitosa influenza della violazione del riposo ebdomadario, che non posso trattenermi dall’esprimere novellamente il mio doloroso stupore del profondo oblio, in cui è restata questa essenziale causa della malattia, la quale ci strugge. Durante questi ultimi anni, una lunga e nobile lotta venne sostenuta dai cattolici di tutta Europa in favore della libertà della Chiesa, e dai cattolici di Francia in favore della libertà particolare dell’insegnamento. La questione è vitale per vero. L’educazione è l’imperio; imperocché, l’educazione è l’uomo. Chi fra noi nol comprese? – Ma se l’educazione religiosa è necessaria per formare figliuoli cristiani, non dimentichiamo noi mai che la santificazione delle domeniche sola può rassicurare la perseveranza dell’uomo. Che all’uscire delle scuole cattoliche, le giovani generazioni entrino in un mondo indifferente ed anticristiano, esse non tarderanno niente, siatene certo, a divenire esse stesse indifferenti ed anticristiane. Ora, qualunque nazione, la quale non rispetti il giorno sacro del riposo e della preghiera, è una nazione indifferente ed anticristiana, il contatto di cui è contagioso per le generazioni nascenti; da cotale punto, ogni speranza di salvezza sparisce: la società si condanna di per se stessa ad una inevitabile rovina.

V

Del rimanente, qualsiasi illusione è ormai impossibile. Sovrasta a noi la più grande catastrofe della storia. Non attendiamo pertanto nostro salvamento, né dalla parola umana, né dai grossi battaglioni. – Se vogliamo noi esser noi i nostri stessi salvatori, noi nulla salveremo, neanche un misero avanzo di codesti beni materiali, a cui noi tutti gli altri sacrificato abbiamo. Iddio solo, operando nella pienezza di sua misericordia, può ritirarci dall’abisso, dove noi già precipitiamo. Ma chi può commuovere in nostro favore il suo paterno cuore? Una cosa sola: il ritornare a Lui. Collocati in una situazione meno grave della nostra, i popoli ammalati non conobbero mai altra via di salvezza: Ninive è un tipo immortale, un tipo eccitativo. Chi sa, che non sia per rammemorarci vivamente l’esempio della penitente città, che la Provvidenza divina manda a noi i suoi giganteschi monumenti? Ma d’onde ricomincerà il ritorno a Dio, se non per lo pentimento? Qual sarà il primo atto sociale di questo pentimento, se non l’adempimento d’un dovere che conduca alla pratica di tutti gli altri? Vale a dire, la santificazione delle domeniche, senza la quale, noi assai spacciatamente vedremo, che ogni ritorno sociale al Cristianesimo è impossibile ed illusorio.

VI

Egli è più vero, che non si pensi, e sopratutto, che non si dica: La Francia [ed oramai tutta l’Europa un tempo cattolica -ndr.-] perisce per cagione della profanazione della domenica. Nulla ostante le ammonizioni d’ogni sorta, le quali ad essa vengono prodigate, consumerà ella la sua rovina?…. Iddio solo conosceva questo ridottabile mistero. A noi, che l’ignoriamo; nostro dovere è di combattere con vivissima energia, e sino allo stremo in favore di questa società agonizzante. Disimpegnandoci di sì fatta responsabilità, gli sforzi, cui noi tentiamo, se degnasi Dio benedirli, otterranno per risulta mento di strappare l’ammalato da morte, o attutire, a riguardo di parecchi, la terribile scossa degli avvenimenti, che l’universo intero paventa. – Acciocché si dimostri la verità nel suo pieno splendore, né si lasci scusa all’ignoranza, né pretesto all’indifferenza, né sotterfugio alla malevolenza, io esamino la questione capitale della santificazione della domenica sopra lutti i suoi aspetti; in altre parole, io la presento in tutti i suoi punti di contatto con gl’interessi dell’uomo e della società. Così, oso dire a tutti, ricchi e poveri, padroni ed operai, compratori e venditori, abitanti di città, ed abitanti di campagna: se voi volete scongiurare i flagelli sospesi sui vostri capi, e sfuggire dalla barbarie, la quale vi soggioga, il più stringente dei vostri doveri è di far cessare, infra voi, la scandalosa e calamitosa profanazione della domenica. Sì, voi lo dovete, e dal giorno, in cui voi lo vorrete, voi lo potrete.

1-. Voi lo dovete, se tenete ancora anzi che no alla religione de’ padri vostri, la quale insomma è l’unica sorgente degli avvantaggi temporali, cui voi esclusivamente pregiate. Per verità, la profanazione della domenica è la rovina della religione.

2. Se voi non tenete più alla vostra religione, lo dovete ancora, se tenete all’umana società, la quale protegge vostra fortuna, vostra libertà, vostra vita. Per verità, la profanazione della domenica è la rovina della società.

3. Se voi non tenete più alla società, lo dovete ancora, se tenete alla famiglia, l’unico bene comune che di presente ci rimane. Per verità, la profanazione della domenica è la rovina della famiglia.

4. Se voi non tenete più alla famiglia, lo dovete ancora, se tenete alla libertà, verso della quale voi professate un culto cotanto ardente. Per certo, la profanazione della domenica è la rovina della libertà.

5. Se voi non tenete più alla libertà, lo dovete ancora, se tenete al vostro benessere, a questo benessere, oggetto di tutti i vostri travagli. Per verità, la profanazione della domenica è la rovina del benessere.

6. Se voi non tenete più al vostro benessere, lo dovete ancora, se lenete alla vostra dignità d’uomo, a questa dignità, di cui voi vi mostrate cosi geloso. In vero, la profanazione della domenica è la rovina della dignità umana.

Se voi non tenete più alla vostra dignità d’uomo, lo dovete ancora, se tenete alla vostra sanità, ed alla sanità di coloro i quali vi sono cari. Per verità, la profanazione della domenica è la rovina della sanità.

La profanazione della domenica vuole adunque dire:

— Rovina della religione; — rovina della società; — rovina della famiglia; — rovina della libertà; — rovina del benessere; — rovina della dignità umana; — rovina della sanità.

Ciascuna di queste rovine sarà il soggetto d’una o di parecchie lettere, secondo l’importanza dello scioglimento. Come voi desiderate, signore e caro amico, la nostra corrispondenza finirà per l’indicazione de’ mezzi da rimediare immediatamente al male. Dico immediatamente; imperocché di questi mezzi ognuno può valersi, e farsi applicazione con uguale securanza e facilità. La lunghezza di questa lettera non mi permette d’intraprenderne ora la discussione: lo farò fra breve. Gradite, ecc. [Continua …]