Omelia della DOMENICA IV DELL’AVVENTO

Omelia della DOMENICA IV DELL’AVVENTO

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. I -1851-]

(Vangelo sec. S. Luca III, 1-6)

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Via del Piacere.

L’odierno Evangelio mi porta col veloce pensiero alle sponde del Giordano. Seguitemi, ascoltatori devoti. Ecco innanzi a noi il divin precursore Giovanni, che per comando di Dio predica il battesimo della penitenza per la remissione de’ peccati. Non già che quel battesimo avesse in sé una tale virtù, ma perché era una preparazione per arrivare alla remissione de’ peccati, col partecipare de’ meriti del Redentore. Predica dunque la penitenza il Battista, e la predica quasi più colla presenza, che colla voce, più coll’esempio, che colle parole. Osservatelo pallido nel volto, smunto nelle membra, mezzo coperto di rozze spoglie d’agnelli, e di ruvida pelle di cammello: il suo vitto son le locuste del campo e poco miele della selva, la sua bevanda è l’acqua del fiume o del fonte. Comincia la sua predica intimando alle turbe accorse ad ascoltarlo a preparare la via del Signore, “parate viam Domini”. A questo fine fu mandato il Battista nella Giudea, e a questo stesso oggetto io vengo a voi, miei dilettissimi; e vi dico, se volete per la prossima solennità preparare la via del Signore, acciò Egli venga a voi, abbandonate le strade del mondo, tornate addietro dalle vie del peccato e del seducente piacere. L’uscir da queste lubriche vie, sarà lo stesso che disporre i retti sentieri, pei quali l’aspettato Salvatore del mondo venga a rinascere nel Vostro cuore: “parate”, dunque, “parate viam Domini, rectas facite semitas eius”. Per animarvi in questo salutare intraprendimento, io vi farò vedere in una maniera facile e sensibile, quanto la via del mondano piacere sia ingannevole, e quanto dannosa, tanto per la vita presente, che per la vita futura. Se riesco a disingannarvi, io benedirò il Signore, e voi mi saprete grato del vostro disinganno. Di grazia ascoltatemi attentamente. – La via del piacere, (com’io me la figuro) comincia con una porta grandiosa, alta, magnifica, a modo di superbo arco trionfale. La struttura che la rende stupenda è tutta a colonne, a statue vagamente disposte, e a vasi d’ogni forma la più leggiadra. Sull’architrave sui capitelli stanno alati genietti, e di questi chi sparge fiori, chi suona cetre, chi spiega vesti preziose, chi fa le monete d’oro e d’ argento, e chi sul limitare di questa porta col riso sulle labbra, col cenno grazioso delle mani invita ad entrare i passeggeri. Entriamo dunque, uditori: la porta è bella, la strada sarà migliore. “… Adagio, dite voi, adagio, tanti inviti, tanti allettamenti fan nascere un ragionevole sospetto, che qualche inganno si nasconda sotto così lusinghevoli apparenze”. Ottimamente, questo è pensare e riflettere da uomini prudenti, … facciamo dunque così, vediamo qual sorte hanno incontrata coloro che sono entrati per questa porta, e si sono avviati per questa strada. Si possono questi considerare distinti in due schiere. Molti sono entrati e non sono più usciti, altri non pochi sono tornati indietro. Quei che sono entrati senza più uscire, sono primieramente tutti gli uomini che passeggiavano su questa terra a’ tempi di Noè innanzi il diluvio. Correvano questi velocemente la via del piacere, e del piacere più sordido e più fangoso. “Omnis quippe caro corraperat viam suam” (Gen VI, 12). Gridava intanto Noè dai palchi della sua arca: “… ciechi, insensati, tornate indietro, se proseguite, Iddio sdegnato vi coglierà nel più bello del vostro cammino, sarete fra non molto sommersi in un diluvio di acque micidiali”; ma gl’ingannati, rapiti dal dolce delle impure loro voglie, sordi al loro bene, sordi al loro male, sordi alle divine minacce, conobbero troppo tardi e senza rimedio il proprio errore, e la fallacia della via da essi battuta. – Spingete ora lo sguardo entro quella porta da noi immaginata: vedete voi quella lunga, lunghissima strada, che dall’una e dall’altra parte vi presenta un funesto spettacolo di ventiquattromila Ebrei pendenti da altrettanti patiboli? Mirateli se potete senza orrore, e poi dite: ecco quanto loro costò un brutale piacere, contro il divieto di Dio e di Mosè, con le donne Madianite “Occisi sunt viginti quatuor millia . . . in patiboli” (Num XXV, 9 e 4). E chi son eglino quegl’infelici stesi su quel campo, sparso di tronche membra e di teste recise, inondato di tanto sangue, ancor tiepido, ancor fumante? Poco avanti fra canti e suoni, sazi dalla crapula ed allegri dal vino, menavano danze e carole intorno a un idol d’oro, ed ora trucidati dalle spade levitiche in numero di quasi ventiquattro mila, c’insegnano che l’allontanarsi da Dio, che il piacer della gola, e gli estremi del gaudio e dell’allegria, vanno a finire in lutto ed in sterminio. – Passeggia per questa strada Sansone allettato dalle lusinghe di Dalila, e sebbene da’ propri genitori richiamato ad uscirne, non dà ascolto, persiste nel suo cammino, e i suoi piaceri gli fan perdere la libertà, la vista, la riputazione e la vita. Anche Ammone figlio di Davide entra in questo sentiero, rapito dall’avvenenza dì Tamar, e il sozzo incestuoso piacere gli tira addosso un nembo di pugnalate, mentre sedeva a lauto banchetto. Anche i sordidi vecchioni tentatori della casta Susanna corrono la stessa via; e dopo aver sedotte molte figlie d’Israele, s’incontrano finalmente in questa santa matrona, che eroicamente ributtandoli, coll’esecrazione di lutto il popolo, restano sepolti sotto una tempesta di pietre. Di mille altri potrei mostrarvi lo stesso. Per amor di brevità fermiamoci qui, e ditemi uditori miei, non è egli vero che questa strada è fatale per chi vi entra? Le notizie fin qui son molto cattive. Vediamo se si sono trovati contenti almeno quei che ne uscirono! – Il primo che mi viene avanti egli è un re vestito di ruvido cilizio, con un tozzo di pane alla mano, sparso di cenere, e bagnato di lacrime. Ah, sì, lo ravviso, questi è Davide penitente, che abbandonata la via del piacere, si va protestando che odia e abbomina questa strada d’iniquità: “viam iniquam odio habui(Ps. CXVIII, 128). Un altro mi si presenta. È questi un giovane rabbuffato, pallido, smunto, lacero, mezzo ignudo. Nol conoscete? Egli è il Prodigo, che ritorna da quelle remote contrade che ha corso per qualche tempo affianco delle meretrici “vivendo luxuriose”, ed ora a passo avanzato si conduce a’ piedi del suo buon padre, a pregarlo che voglia ammetterlo per l’ultimo de’ suoi servitori. E questa donna, nobile all’aspetto e al portamento, che si strappa dal crine le gioie e i vani ornamenti, ella è la Maddalena, che pentita de’ suoi traviamenti, corre a lavare di lacrime i piedi al divin Redentore. Una turba immensa, a finirla, sgombra da questa strada, turba di gente d’ogni età, d’ogni sesso e d’ogni clima, ed hanno tutti il pianto sul volto, il digiuno a fianco, il flagello alla mano per vendicare in sé stessi i loro errori nella via seducente dell’iniquità e della perdizione, confessando altamente d’esserne stanchi e pentiti, “lassati sumus in via iniquitatis, et perditionis” (Sap. V, 7). – Che dite ora, miei riveriti ascoltanti? Le notizie da ogni parte son pessime, e senza ricorrere ad antichi esempi, l’esperienza ci fa vedere sovente di queste scene volubili, che dopo una vista dilettevole si cangiano in prospetti di orrore. Voi come più pratici del mondo ne potete narrare a me. Quanti amatori del secolo, gente data al bel tempo, ai giuochi, alle gozzoviglie, agli amori, sono passati dalle delizie alle miserie, da’ piaceri agli affanni, dagli onori all’avvilimento, da uno stato comodo allo spedale, o a morir sulla paglia! – Concedo: la strada del piacere è larga, amena, spaziosa, lo dice il Vangelo, “spatiosa est via”, ma dice altresì che conduce alla perdizione. Or se una via piana, fiorita, deliziosa vi portasse ad un precipizio, avreste voi sì poco senno da incamminarvi per quella? E non sapete ch’è proprio de’ traditori il far precedere le lusinghe, i vezzi, gli allettamenti per riuscire negl’iniqui disegni, ed ingannare gl’incauti ? Caino vuol tradire Abele, e in aria di buon fratello l’invita a diporto, a spaziarsi in un campo. Gioabbo con un saluto, con una carezza al mento di Amasa gli pianta un pugnale nel fianco. Assalonne per vendicarsi d’Ammone l’invita a sontuoso banchetto. Triffone vuol disfarsi del temuto Gionata Maccabeo, e gli offre il comando della sua armata. Giuda tradisce il suo divino Maestro e si serve d’un bacio. In somma quel che gli uomini praticano cogli uccelli, e coi pesci, usano i traditori a sedurre gl’incauti ad ingannar gl’innocenti. – Ma se voi non siete irragionevoli, non sarà una gran pazzia lasciarvi tirar nella rete per un meschino piacere? – Sarà dunque pazzia per voi, giovane mio, l’associarvi con quella brigata di scostumati compagni, che vi traggono al giuoco per spogliarvi, che vi portano alle crapule, ai furti, alle case sospette, alle ree amicizie per non avere il rossore d’esser soli nei bagordi e negli stravizzi, o per voltarne tutta la colpa a voi. – Sarà pazzia per voi lasciarvi tirar dalla gola e imbandire la mensa de’ rubati polli, vendemmiare l’altrui vigna e bere alla salute di chi in coltivarla vi ha speso danari e sudori, per poi temere e tremare per continua paura, di venir ricercato da ministri di giustizia, d’essere scoperto per ladro, ed in pericolo d’infamia, di prigionia e di galera. – E non sarà maggior pazzia per voi, o figlia incauta se vi lasciate adescare dalle dolci lusinghe, dall’amorose parole, da’ seducenti biglietti, dai donativi, dalle promesse anche giurate di matrimonio di quei traditori, che insidiano la vostra onestà, ed han per costume vantarsi della vostra debolezza e della loro riuscita? Non sarete la prima, se vi fidate, se vi arrendete, ad essere abbandonata alla vostra confusione, costretta a ritirarvi per nascondere il vostro fallo, a passare i giorni amari in mesta solitudine, a piangere inutilmente la vostra caduta e la vostra stoltezza, e bestemmiare l’empio traditore, che intrepido giura di non conoscervi, insensibile alle vostre lacrime, insultante alla vostra infamia, infamia che porterete fino alla tomba. – Vedete, miei dilettissimi, che non v’ho parlato sin qui se non di temporali infortuni, i quali sono gli effetti infallibili degli smodati piaceri. Or che diremo quando la fede c’insegna che la via del piacere conduce all’eterna perdizione? Così è, miei cari, conviene disingannarsi. Gli amatori del mondo e de’ fallaci suoi beni, dopo aver gustato per pochi giorni il dolce delle proprie soddisfazioni, vanno, quando non se l’aspettano, a piombare negli abissi infernali. “Ducunt in bonis dies suos, et in punctu ad inferno, descendant” (Iob. XII, 13). Ci descrive con una ingegnosa parabola la cecità e stoltezza di costoro S. Giovanni Damasceno. – Un cert’uomo faceva viaggio in un deserto, quando all’improvviso si vede venir incontro una feroce pantera. Spaventato a questa vista si dà a precipitosa fuga, e nel fuggire agitato e contuso, cade senz’avvedersene dall’orlo d’un precipizio profondissimo: se non che, com’è proprio di chi cade, stender le braccia, fortunatamente si appiglia ad un albero piantato poco sotto il margine del precipizio stesso. Qui si tiene stretto, e va respirando. Osserva però che la pantera non cessa di minacciarlo, e che l’albero, su cui si è salvato dal peso della persona, va declinando al basso, e gli si stacca da terra or l’una, or l’altra radice. Abbassa finalmente lo sguardo, e mira con raccapriccio in fondo del precipizio un enorme dragone, che a bocca spalancata, e artigli aperti sta aspettando la sua caduta. In questa situazione di tanto orrore, in mezzo a tanti oggetti di spavento, leva gli occhi in alto, e osserva in cima di quella pianta un favo di miele, che per l’abbondanza spande su quelle foglie il dolce liquore. A questa vista esulta di giubilo, e allegro e contento non conosce più il suo pericolo, si dimentica della minacciosa pantera, dell’albero che declina, delle radici che si staccano, del dragone che l’attende, e invece, … chi il crederebbe? Col riso in bocca e tutto intento a raccogliere colla punta del dito quelle gocce di miele, le assapora con gusto e se ne pasce con gioia, e si stima felice. La parabola, uditori, vi sorprende? Cesserà la sorpresa in sentirne l’applicazione: l’uomo appena comparso in questa valle di pianto, che si può chiamare un deserto, in qualità di viaggiatore, viene minacciato dalla morte come da rabbiosa pantera. Fugge egli in certo modo l’incontro, ma cade nel comune pericolo di morte, che ad ogn’istante può coglierlo. Si salva egli, diciamo così, sull’albero del proprio corpo. Quest’albero, questo corpo in ogni giorno, in ogni stagione va declinando con il peso degli anni. Si staccano le radici colle infermità, col mancar della vista, col cadere dei denti, col debilitarsi le forze. Intanto al fondo dell’abisso lo sta aspettando il dragone infernale, ed egli in mezzo a tanti pericoli dimentico della morte, della caducità della vita, del baratro su cui sta pendente, e del dragone d’inferno, che per le sue colpe ha diritto, e brama d’attenderlo, s’occupa tutto a raccogliere alcune stille di miele or da questo, or da quel sensuale piacere, e solo intento ad appagare i suoi sensi, a soddisfare le sue voglie, si crede al colmo della contentezza e della felicità. – O uomo miserabile, o cieco e insensato figliuolo di questo secolo! Quel che ora non temi, sarà un giorno il soggetto delle tue lacrime e dell’inutile tuo pentimento. Al termine della strada del piacere, sta il letto della tua morte. Dalla sponda di questo darai un’occhiata alla via che hai corsa; pensa se sarai contento d’averla battuta. Deh! per tuo bene intraprendi in questi sacri giorni la via del Signore; questa è la sola che può condurti all’ eterna salvezza.

NOVENA DI NATALE

Novena liturgica del Santo Natale

[ATTENZIONE, ATTENZIONE!

questa pagina è altamente SCONSIGLIATA ai NEMICI DEL PRESEPE, che avvisiamo pertanto subito consigliando loro: VADE RETRO sATANA!]

[La novena fu composta dal P. Antonio Vacchetta, prete della Missione della Provincia di Torino nel 1720, su ispirazione della Marchesa Mesmes di Marolles]

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Invitatorio e profezie

1. – Regem ventùrum Dominum, – venite adoremus. [Il coro ripete ad ogni antifona: Regem ventùrum, etc.] [1. Venite, adoriamo il Re che sta per venire ed è il Signore].

2. – Jucundàre, filia Sion, – et exùlta satis, filia Jerusalem. – * Ecce Dominus véniet, – et erit in die illa lux magna, – et stillabunt montes dulcedinem, – * et colles fluent lac et mel, – quia veniet Prophéta magnus,  et ipse renovàvit Jerusalem. [2. Gioisci, o Sion, ed esulta, o Gerusalemme! [Ecco: verrà il Signore e in quel giorno vi sarà una grande luce, i monti stilleranno dolcezza e dalle colline scorreranno latte e miele, perché verrà il grande Profeta ed Egli rinnoverà Gerusalemme].

3. – Ecce véniet Deus, – et Homo de domo David sedére in throno, * et vidébitis, – et gaudébit cor vestrum. [3. Ecco verrà Dio che dalla casa di Davide siede sul trono. Voi Lo vedrete e il vostro cuore ne gioirà].

4. Ecce véniet Dóminus, protéctor noster, Sanctus Israel, – coronam regni habens in càpite suo * et dominàbitur a mari usque ad mare, – et a flùmine usque ad términus orbis terràrum. [4. Ecco verrà il Signore, nostro protettore, il Santo d’Israele con la corona regale sul à capo e dominerà da un mare all’altro e dal fiume sino ai confini della terra].

5. Ecce apparébit Dóminus, et non mentiétur: * si moram fécerit, – exspécta eum, * quia véniet et non tardàbit. [5. Ecco apparirà il Signore e non ingannerà! Se tarda, aspettalo; perché verrà e non tarderà].

6. Descéndet Dóminus sicut plùvia in vellus, – oriétur in diébus éjus justitia – et abundàntia pacis, * et adoràbunt eum omnes Reges terra?, – omnes gentes sérvient ei. [6. Il Signore scenderà come pioggia sull’erba; ai giorni suoi fiorirà la giustizia e abbonderà la pace; tutti i re della terra Lo adoreranno* e tutte le genti Lo serviranno].

7. Nascétur nobis pàrvulus, et vocàbitur Deus fortis; * ipse sedébit super thronum David patris sui, – et imperàbit: * cujus potéstas super hùmerum éjus. [7. Ci nascerà un fanciullo e sarà chiamato Dio forte. Siederà sul trono del suo antenato Davide, e regnerà, e avrà su di sé ogni potere].

8. Béthlehem civitas Dei summi, – ex te éxiet Dominator Israel, * et egresses éjus sicut a principio diérum æternitatis, – et magnificàbitur in medio universæ terræ, – et pax erit in terra dum vénerit. [8. Betlemme, città del Dio altissimo, da te uscirà il Dominatore d’Israele, la cui origine risale all’eternità; sarà glorificato in tutto il mondo e quando verrà porterà la pace sulla nostra terra].

La Vigilia di Natale si aggiunge la seguente profezia:

Crastina die delébitur iniquitas terræ – et regnabit super nos Salvator mundi, [9. Domani sarà distrutta l’iniquità sulla terra e su noi regnerà il Salvatore del mondo].

.10 – Prope est iam Dominus – Coro: Venite adoremus.  [10. Il Signore è ormai vicino. R. Venite, adoriamo].

Læténtur cæli

Lætentur cæli, et exsultet terra: * iubilàte montes, laudem

làudem. Erumpant montes jucunditatem, * et colles justitiam.

Quia Dóminus noster veniet * et pàuperum suorum miserébitur.

Rorate, cæli, désuper, et nubes plùant iùstum: *operiatur terra, et gérminet Salvatórem.

Memento nostri, Dómine, * et visita nos in Salutari tuo. Salutari tuo.

Osténde nobis, Dòmine, misericórdiam tuam, * et salutare tuum da nobis.

Emitte Agnum, Dòmine, dominatórem terræ * de petra deserti ad montem filiæ Sion.

Veni ad liberàndum nos, Dòmine, Deus virtùtum, * osténde fàciem tuam, et salvi érimus.

Veni, Dòmine, visitare nos in pace, * ut Lætémur coram te corde perfécto.

Ut cognoscàmus, Dòmine, in terra viam tuam, * in òmnibus géntibus salutare tuum.

Excita, Dòmine, poténtiam tuam, et veni, * ut salvos fàcias nos.

Veni, Dòmine, et noli tardare, * relàxa facinora plebi tuæ.

Utinam dirùmperes cælos, et descénderes: * a fàcie tua montes deflùerent.

Veni, et osténde nobis faciem tuam, Dòmine, * qui sedes super Cherubim.

Gloria Patri… 

[Si rallegrino i cieli esulti la terra; cantate, o monti, giubilando, le lodi di Dio. – Prorompano i monti in grida di allegrezza, cantino i colli la divina Giustizia. – Perché il Signor Nostro verrà, e avrà pietà dei suoi poverelli. – Stillino rugiada i cieli, e le nubi piovano il Giusto; s’apra la terra e germini il Salvatore. – Ricordati di noi, o Signore, e visitaci per mezzo del tuo Salvatore. Mostraci, o Signore la tua misericordia, e dacci il tuo Salvatore. – Manda, o Signore, l’Agnello che regni sulla terra, dalle pietre del deserto al monte Sion. – Vieni a liberarci, Signore, Dio delle virtù; mostraci la tua faccia e saremo salvi. – Vieni a visitarci in pace, per rallegrarci con Te con cuore perfetto. Acciocché conosciamo in terra la tua via, e in tutte le genti il tuo Salvatore. – Si svegli, o Signore la tua potenza e vieni a salvarci. – Vieni, Signore, e non tardare, perdona le colpe del tuo popolo. – Oh, s’aprano i cie1i e scenda il Signore! Al suo cospetto si scioglieranno i monti. – Vieni, e mostraci la tua faccia, o Signore, che siedi sui Cherubini. Gloria al Padre…].

Capitolo (lo recita il celebrante)

Præcursor prò nobis ingréditur Agnus sine maàcula secùndum órdinem Melchisedech, Pontifex factus in ætérnum et in sæculum sæculi. Ipse est Rex iustitiæ, cùjus generàtio non habet finem. R. Deo Gratias.

Inno

[Le due prime strofe sono la la e la 3a dell’inno di Lodi d’Avvento (sec. V), scritto dapprima in poesia tonica e ridotta dalla riforma di Urbano VIII in dimetri giambici. Le altre tre sono la 2a, 3a e 4a dell’Inno di Lodi del Natale di Sedulio (sec. IV-V)].

 

En clara vox redàrguit

obscura quæque, pérsonans:

procul fugéntur somnia:

ab alto Jesus promicat.

En Agnus ad nos mittitur

laxàre gratis débitum:

omnes simul cum lacrimis

precémur ìulgéntiam.

Beatus Auctor sæculi

servile corpus induit:

ut carne carnem liberans,

ne perderet quos cóndidit.

Castæ Paréntis viscera

cæléstis intrat gràtia:

venter puéllæ bàiulat secréta,

quæ non nóverat.

Domus pudici péctoris

templum repènte fit

Dei: intàcta nésciens

virum concépit alvo

Filium.

Deo Patri sit glòria,

eiùsque soli Filio, cum

Spiritu Paràclito in

sæculórum sæcula.

Amen

[Alta fra dense tenebre Voce suonar s’intende; Su, genti, su, destatevi; Gesù dall’alto splende. Da nostre colpe a scioglierci, scende l’Agnel di Dio; Suvvia perdon chiediamogli con cuor pentito e pio. Per noi l’autor de’ secoli veste l’umane spoglie, E fatto uom ci libera dalle tartaree soglie. – Entro le caste viscer di Verginella ignara –

Dall’alto l’ineffabil Mistero si prepara. – Tempio di Dio, Vergine, nel sen concepe un Figlio, Né si scolora o sfrondasi il verginal suo giglio. – Al sommo Iddio gloria. Sia gloria al suo Figliuolo; Sia gloria al Santo Spirito – Sia gloria a Dio che è uno solo.

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Antifone maggiori per i nove giorni

16 Dic. Ecce véniet Rex Dóminus terree, et ipse àuferet iùgum captivitàtis nostree.

[Ecco verrà il Re e Salvatore della terra, e ci libererà dal giogo della nostra schiavitù.]

17 – O Sapiéntia, quæce ex ore Altissimi prodisti attingens a fine usque ad finem, fórtiter, suaviter que dispónens omnia, veni ad docéndum nos viam prudéntiæ.

[O Sapienza, proferita dalla bocca dell’Altissimo, cheabbracci cin la tua potenza l’universo e soavemente disponi ogni cosa, vieni ad insegnarci la via della prudenza]

18 – O Adonài, et Dux domus Israel, qui Móysi igne flammæ rubi apparuisti, et ei in Sina legem dedisti, veni ad rediméndum nos in bràchio exténto.

[O Signore e Guida della casa d’Israele, Tu che apparisti a Mosè nel roveto ardente e gli desti la legge sul monte Sinai, vieni a redimerci dispiegando la tua forza]

19 – O radix Jesse, qui stas in signum populórum super quem continébunt reges os suum, quem gentes deprecabùntur, veni ad liberàndum nos, jam noli tardare.

[O Germoglio di Iesse, posto come segno dei popoli, dinanzi al quale i re ammutolirono, e le nazioni lo invocheranno, vieni a liberarci, non indugiare oltre!]

20 – O Clavis David, et sceptrum domus Israel, qui àperis et nemo clàudit, clàudis, et nemo àperit veni et aduc vinctum de domo carceris, sedentem in ténebris, et umbra mortis.

[O chiave di Savide e scettro della casa di Israele, che apri e nessuno chiude, chiudi e nessuno apre: vieni e togli dal carcere l’incatenato che giace nelle tenebre e nell’ombra di morte.]

21. O Oriens, splendor lucis ætérnæ, et sol iusticiæ, veni, et illumina sedéntes in ténebris et umbra mortis.

[O Oriente, splendore della luce eterna e sole di giustizia, vieni e illumina chi siede nelle tenebre e nell’ombra di morte. ]

22 – O Rex géntium, et desìderàtus eàrum, lapisque angulàris, qui facis utràque unum, veni, et salva hominum, quem de limo formasti.

[O Re delle nazioni e da loro desiderato, pietra angolare che dei due popoli ne fai uno, vieni e salva l’uomo che Tu stesso formasti dal fango.]

23 – O Emmanuel, Rex et Legifer noster, expectation gentium, et Salvator eàrum, veni ad salvàndum nos, Dòmine, Deus noster.

[O Dio-con-noi, Re e legislatore nostro, aspettato dalle nazioni e loro Salvatore, vieni a salvarci, o Signore nostro Dio.]

24. Cum ortus fuerit sol de coelo, vidébitis Regem cum procedéntem a Patre tamquam sponsum de thalamo suo.

[Quando il sole sarà spuntato all’orizzonte, vedrete il Re dei re, che procede dal Padre, come sposo dal suo talamo.]

V. Dóminus vobiscum.

R. Et cum spiritu tuo.

Orèmus

Festina, quæsumus, Domine, ne tardàveris, et auxilium nobis supérnæ virtùtis impénde: ut advéntus tui consolatiónibus sublevéntur, qui, tua pietàte confidunt: Qui vivis et regnas cum Deo Patre in unitàte Spiritus Sancti Deus: per omnia sæcula sæculórum. R. Amen. – [Affrettati, o Signore, non indugiare oltre! Porta dall’alto il soccorso della tua forza affinché la gioia della tua venuta riconforti quanti confidano nella tua bontà. Tu che, Dio, vivi etc.].

“O …”

Gli inni solenni, ‘O’

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Queste Antifone solenni, che esprimono e rappresentano il desiderio ardente dei santi profeti per la venuta di Cristo, e che dovrebbe esprimere il desiderio che abbiamo tutti noi Cristiani che la grazia di Cristo possa nascere in noi, sono iniziati il 17 dicembre, e proseguiranno fino al 23 dicembre;  si recitano quotidianamente prima e dopo il Magnificat, come nelle feste di rango “Doppio”. Ognuno di essi comincia con l’esclamazione “O”, e si conclude con un appello al Messia a presto venire. Man mano che si avvicina il Natale, il grido diventa più pressante.

I chierici nel coro dopo i Vespri pronunciano una forte e prolungata “O”, per esprimere il desiderio dell’universo per la venuta del Redentore.

Queste sono indicate come: le ” Antifone O ” perché ognuna inizia con l’interiezione “O”.  Ogni inno è un nome di Cristo, uno dei suoi attributi menzionati nella Scrittura: essi sono:

17 Dicembre: O Sapientia (O Sapienza)

18 Dicembre: O Adonai (O Adonai)

19 Dicembre: O Radix Jesse (O radice di Jesse)

20 Dicembre: O Clavis David (O Chiave di Davide)

21 Dicembre: O Oriens (O Oriente)

22 Dicembre: O Rex gentium (O Re delle genti)

23 Dicembre: O Emmanuel (O Emmanuel)

 Una curiosa caratteristica di questi inni è che la prima lettera di ogni invocazione può essere presa dal latino per formare un acrostico in senso inverso.  Così le prime lettere di Sapientia, Adonai, Radix, Clavis, Oriens, Rex, e Emmanuel, forniscono le parole latine: ERO CRAS. La frase enuncia quindi la risposta di Cristo stesso all’accorata preghiera della sua Chiesa:

DOMANI CI SARO’“.

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18 dicembre: ATTESA DELLA BEATA VERGINE MARIA

 conosciuta anche come NOSTRA SIGNORA DI ‘O …’

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La festa dell’Attesa della Beata Vergine Maria è una festa cattolica originariamente celebrata in Spagna, per poi essere celebrata in altri paesi cattolici (Irlanda, ecc) – . Anche se non è inserita nel Calendario Romano, questa festa è stata celebrata in quasi tutta la Chiesa latina, a causa della grande aspettativa della Madre di Gesù.

La festa del 18 dicembre è stata comunemente chiamata, anche nei libri liturgici, “S. Maria della “O”, perché in questo giorno i chierici del coro dopo i Vespri emettono un forte e prolungato “O”, per esprimere il desiderio dell’universo per la venuta del Redentore. Questa festa e la sua ottava erano molto popolari in Spagna, dove la gente ancora la chiama “Nuestra Señora de la O“. –  La festa è stata sempre mantenuta in Spagna ed è stata approvato per Toledo nel 1573 da Gregorio XIII come “doppio” maggiore, senza ottava.  La chiesa di Toledo ha il privilegio (approvato il 29 Aprile 1634) di celebrare questa festa, anche quando essa cade nella quarta Domenica di Avvento.

MESSA

Messa.

[da: E. Barbier – “I tesori di Cornelio Alapide” SEI ed. Torino, 1930]

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.1. Significato della parola Messa. — 2. I sacrifici e il loro scopo. — 3. I sacrifici nell’antica legge. — 4. Eccellenza e vantaggi della Messa. — 5. Significato delle vesti sacre. — 6. Come si deve udire la santa Messa.

1.- SIGNIFICATO DELLA PAROLA « MESSA » . Alcuni derivano la parola Messa dal vocabolo ebraico missah; ma è più probabile, secondo S. Agostino, S. Avito di Vienna, S. Isidoro di Siviglia, che derivi dalla parola latina missio, che significa rinvio, licenziamento; perché nell’antica liturgia, dopo le preghiere e le istruzioni che precedono l’oblazione dei sacri doni, si licenziavano dalla chiesa i catecumeni e i penitenti, rimanendo presenti alla celebrazione dei divini misteri i soli fedeli, che erano supposti degni di assistere al santo sacrificio. – La Messa è il Sacrificio della nuova legge, nel quale la Chiesa offre a Dio, per mano del sacerdote, il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo, nascosti sotto le specie del pane e del vino. È di fede che l’oblazione che si fa nella Messa è il Sacrificio del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo, e da ciò bisogna conchiudere in modo sicuro, che la Messa non è solamente un sacramento, ma è veramente anche un sacrificio. E non si offre in tutto il mondo cattolico altro sacrificio fuori di questo.

2.I SACRIFICI E IL LORO SCOPO. Dopo il peccato vi furono sempre e dappertutto dei sacrifici… Abele, Noè, Abramo, Isacco, Giacobbe, Melchisedech, gli Ebrei nell’Egitto e nel deserto, e nella terra promessa, offrirono a Dio dei sacrifici… Non si trova nazione né barbara né civile che non abbia avuto e non abbia i suoi sacrifizi… Essi sono necessari a placare Dio …; a rendergli onore e culto …; ad espiare le colpe degli individui e della società…; ad ottenere grazie…; a ringraziare delle grazie ottenute…

 3. – I SACRIFICI NELL’ANTICA LEGGE. Nell’antica legge vi erano tre specie di sacrifizi: 1° il sacrificio di olocausto, destinato unicamente a lodale e onorare Dio; la vittima vi era interamente consumata e ridotta in cenere, per indicare con ciò che si riconosceva e professava il supremo dominio di Dio su tutte le cose create. 2° Il sacrificio pacifico e salutare, che offri vasi per ottenere la pace, cioè la salute di chi l’offriva o di altra persona, di un individuo in particolare o di una famiglia o della nazione. 3° Il sacrificio di espiazione, che aveva per fine di ottenere il perdono dei peccati e chiama vasi anche sacrificio di propiziazione. – Essendo imperfetta la legge antica, erano imperfetti anche i sacrifici che ne facevano parte: « È impossibile, scriveva S. Paolo agli Ebrei, che il sangue dei tori e dei capri scancelli i peccati » — “Impossibile est sanguine taurorum et hircorum auferri peccata” (Hebr. X, 4) . A placare Dio e santificare gli uomini, ben altro pontefice e altro sacrificio si richiedeva che non fosse il grande sacerdote ed il sacrificio di animali … Si richiedeva un sacrificio veramente degno di Dio, e abbastanza efficace per lavare i peccati… Gli antichi sacrifici non erano altro che la figura del Sacrificio della nuova legge, e intanto erano graditi a Dio in quanto simboleggiavano il sacrificio della croce e dell’altare … E la legge la quale ordinava che le vittime di quei sacrifici fossero affatto senza macchia, da ciò appunto traeva la sua ragione, perché dovevano significare la perfezione di Gesù Cristo divenuta vittima… Ecco la dichiarazione espressa che fece il Signore per bocca di Malachia, ultimo dei profeti, vissuto in tempo vicinissimo alla venuta di Gesù Cristo: « La mia affezione non è per voi, e non accetterò più doni dalla vostra mano. Poiché dall’oriente all’occidente suona grande il mio nome fra le nazioni; in ogni luogo si sacrifica, e viene offerta a me un’oblazione monda » — “Non est mihi voluntas in vobis, et munus non suscipiam de manu vestra”. (Malach. I ,10-11) . È manifesto che il profeta parla del sacrifizio della croce e dell’altare, poiché dopo Gesù Cristo non vi è più altro sacrificio che questo, il quale è in tutta verità offerto in ogni luogo e in tutte le ore dal nascere al calare del sole… Venuto Gesù Cristo su la terra, tutti i sacrifici cessarono, rigettati da Dio, come più non si bada alla figura, quando si possiede la realtà, o si spegne la candela quando arriva la luce del sole. Perciò S. Paolo, togliendo le frasi al Salmista, scriveva agli Ebrei: « Entrando il Figlio nel mondo, disse: “Tu , o Padre, non hai più voluto né ostia, né oblazione, ma hai vestito me di un corpo: ed Io allora vedendo che gli olocausti più non ti erano graditi, ho detto: Ecco che io vengo per fare la tua volontà, o mio Dio. Egli abroga il primo sacrifizio per stabilire il secondo » (Hebr. X, 5-6, 9). Tu non hai voluto;— “hostiam et oblationem noluisti”, — cioè, tu non hai più accettato le vittime offerte, gli olocausti, i sacrifizi che si offrono secondo la legge; ora eccomi qua Io, Io il Messia, il Salvatore, il Redentore, pronto e disposto, o Padre, a fare la tua volontà; per essere immolato prima sul Calvario, poi tutti i giorni su gli altari, a perpetuo ricordo e quotidiana rinnovazione del Sacrificio del Calvario.

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 4. – ECCELLENZA E VANTAGGI DELLA MESSA. Il Sacrificio di Gesù Cristo tiene il luogo di tutti gli altri sacrifici, ed è a loro superiore in dignità ed eccellenza, come il corpo è superiore all’ombra. Perciò i molti sacrifici della legge mosaica tutti disparvero, coi loro ministri, in faccia a quest’uno, per non mai più ricomparire… Gesù solo è nostra vittima e nostro Sacrificio… « Gesù Cristo, dice S. Paolo agli Efesini, si è dato egli medesimo in offerta per noi a Dio, ed in ostia e sacrificio di grato odore » — “Christus tradidit semetipsum prò nobis oblationem et hostiam Deo in odorem suavitatis(Eph. V, 2). Il Sacrificio della messa è un olocausto, perché Gesù Cristo vi è offerto tutto intero a Dio in virtù della consacrazione… È Sacrificio pacifico, che placa la giustizia di Dio, dà la pace agli uomini… È Sacrificio di propiziazione, che ci ottiene il perdono dei nostri peccati… E Sacrificio di ringraziamento, che rende a Dio tutto quello che gli è dovuto; perché qui vi è un Dio che si offre a un Dio. – La Messa è un Sacrificio che di per se stesso ci procura la grazia preveniente, la quale ci eccita alla fede, alla penitenza e a ricevere i sacramenti la cui virtù ci giustifica. A questo proposito dobbiamo notare che appartiene all’azione dei sacramenti il giustificare, e all’azione del Sacrificio il piegare Dio a nostro favore e rendercelo propizio. In quanto Sacrificio dunque, la Messa ci ottiene primieramente la grazia preveniente, poi la remissione della pena dovuta ai peccati ed il perdono delle colpe veniali, ma non toglie né cancella d i per se stessa il peccato mortale, eccetto che colui il quale la celebra, o partecipa al Sacrificio per mezzo della comunione, ignori in buona fede lo stato in cui si trova. In questo caso l’eucaristia gli rimette la colpa mortale e gli conferisce la prima grazia e la giustizia; ma la Messa non opera ciò in quanto è sacrifizio, ma in quanto è sacramento… « Il sacerdote che celebra la messa, dice l’autore dell’Imitazione di Cristo, dà gloria a Dio, letizia agli angeli, sostegno alla Chiesa, aiuto ai vivi, suffragio ai defunti, e rende se medesimo partecipe di tutti i beni [“Quando sacerdos celebrat, Deum honorat, angelos laetificat, Ecclesiam aedificat, vivos adiuvat, defunctis requiem praestat, et sese omnium honorum participem efficit” (Lib. IV, c. V)]. San Giovanni Crisostomo ci assicura che, mentre viene immolato sui nostri altari l’Agnello di Dio, vi assistono venerabondi i serafini, coperto il volto con le loro ali; poi aggiunge che mentre siamo nella presente vita, questo sacrifizio cambia per noi la terra in cielo [“Agnus Dei immolatur, seraphim adstant sex alis faciem tegentia… Dum in hac vita simus, ut terra nobis coelum sit, facit hoc misterium(De Sacerdot., lib. VI)]. La Messa è il ricordo della passione e della morte del Salvatore, come affermò Egli medesimo agli Apostoli, quando disse: «Fate questo in memoria di me » — “Hoc facite in meam commemorationem” (Luc. XXII, 19). – Ma che dico, memoriale della passione del Salvatore? Essa è quel medesimo Sacrifizio che fu offerto su la croce: infatti e sulla croce, e sull’altare una e medesima è la Vittima che viene offerta, uno e medesimo è il Sacerdote che l’offre; sulla croce Gesù Cristo fu Sacrificatore a un tempo e Sacrifizio, lo stesso avviene sull’altare; e sebbene qui sia incruento mentre là fu con spargimento di sangue, ciò nulla toglie a che abbiano tutti e due il medesimo valore e la stessa efficacia… « Era conveniente, osserva S. Paolo, che noi avessimo un Sacerdote, santo, innocente, immacolato, segregato dai peccatori, e più alto dei cieli; un Pontefice che non abbia necessità, come i sacerdoti, di offrire vittime prima per i suoi peccati, poi per quelli del popolo; poiché questo egli fece una volta, immolando se stesso » — “Talis enim decebat ut nobis esset pontifex, sanctus, innocens, impollutus, segregatus a peccatoribus et excelsior coelis factus, qui non habet necessitatem quotidie, quemadmodum sacerdotes, prius prò suis delictis hostias offerre, deinde prò populi; hoc enim fecit semel seipsum offerendo” (Ebr. VII, 26-27). E offerendosi, egli fu esaudito a cagione della sua dignità e della venerazione che gli è dovuta » — “Exauditus est pro sua reverentia” (Id. V, 7). – Dio nei suoi stratagemmi di amore per l’uomo, ha ordinato il sacrificio della Messa in modo, che il pontefice il quale l’offre per riconciliarci con Dio, si unisce a formare una cosa sola con Colui al quale è offerto il Sacrificio, e con quelli per i quali è offerto; affinché questo Sacrificio riesca pienamente accetto a Dio ed efficace, la vittima si trova anch’essa nelle medesime condizioni. Quindi l’apostolo S. Giovanni scrive che « Gesù Cristo è egli medesimo propiziazione per i nostri peccati; né solo per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo » — “Ipse est propitiatio pro peccatis nostris; non prò nostris autem tantum, sed etiam prò totius mundi” ( IOANN. I, II, 2). – La santa Messa basta da sola a dare abbondante soddisfazione a Dio, perché vince infinitamente in pregio tutti i pesi dell’iniquità del mondo. Questo sacrifizio vale assai meglio a placare il Padre, di quanto sia valsa la nostra iniquità a sdegnarlo, secondo la sentenza di S. Paolo: « Dove era abbondato il peccato, sovrabbondò la grazia » — “Ubi abundavit delictum, superabundavit gratia” … (Rom. V, 20). Così grande è il Sacrificio dell’altare, che non può essere offerto ad altri fuorché a Dio solo!… Nella sua bontà infinita, Gesù Cristo ha voluto lasciare alla Chiesa visibile e indefettibile, un sacrificio visibile e permanente. Il sacrifizio della croce fu la prima Messa celebrata in questo mondo… Di che immenso amore ardeva il cuore del Salvatore, se ha voluto perpetuare ogni giorno, fino alla fine del mondo, il Sacrificio del suo corpo e del suo sangue! – Cinque sono i frutti principali che si possono raccogliere dalla santa Messa: 1° un aumento di grazie…: 2° la remissione della pena dovuta al peccato…; 3° un più facile conseguimento di ciò che si domanda…; 4° la professione di atti di fede, di speranza, di carità, di religione…; 5° chi assiste al Sacrificio della Messa, trovandosi in presenza di Gesù Cristo, non vede nessuna sua preghiera rimanere senza effetto. – In tre parti principali si divide la Messa: 1° l’offertorio; 2° la consacrazione; 3° la comunione del sacerdote. – La prima parte, che, va dalla confessione all’offertorio, è la preparazione al santo Sacrificio. Col Confiteor, atto di umiltà e contrizione, ci disponiamo al grande fatto che sta per incominciare. Col Kyrie, invochiamo il soccorso e la misericordia di Dio… Col Gloria, ne cantiamo le lodi, ed inneggiamo in suo onore… L’Oremus, unisce tutti gli astanti a pregare insieme… Col Dominus vobiscum, il sacerdote e i fedeli si augurano a vicenda i doni dello Spirito Santo… L’Epistola, ci fa comunicare coi santi dell’antica legge… Il Graduale, segna la penitenza che faceva il popolo ad esortazione di San Giovanni Battista . . . L’Alleluia, è il grido di gioia del peccatore riconciliato. .. – Il Vangelo, figura della nuova legge, ricorda la dottrina e la morale predicate da Gesù Cristo… Il segno di croce su la fronte, dice che non dobbiamo arrossire della fede; su la bocca, denota che il cristiano dev’essere prudente nelle parole e che deve discorrere frequentemente della croce di Gesù Cristo; sul petto, significa l’amore di cui deve ardere il cuore dell’uomo, per Dio; sul Vangelo, figura che bisogna annunziare e seguire Gesù crocefisso… I lumi che si portano accesi, simboleggiano la luce che il Vangelo ha sparso per il mondo… Ci leviamo in piedi, per dichiararci pronti ad obbedire agli insegnamenti del Salvatore. Segue poi la professione di fede col Credo… Ai catecumeni era solo permesso assistere a questa parte della Messa. – La seconda parte, che è la principale, la più santa, la più divina, e che costituisce propriamente il Sacrificio, parte alla quale assistevano i soli cristiani, va dall’Offertorio al Pater. L’Offertorio, così è chiamato perché allora si fa l’offerta del pane e del vino che devono essere consacrati… L’acqua che si versa nel calice, figura quella che uscì mescolata al sangue, dal costato di Gesù Cristo trafitto in croce… Il vino e l’acqua sono offerti da chi serve alla Messa, per accennare che i fedeli hanno parte nel Sacrificio… – II pane, composto di molti grani di frumento, e il vino, prodotto di molti acini d’uva, rappresentano la Chiesa composta di molte membra tratte dalla massa corrotta degli uomini, affinché siano trasformati in Gesù Cristo e più non abbiano fra tutti che un cuore ed un’anima sola. Sotto altro aspetto si può dire, che siccome il pane ed il vino formano il principale nostro nutrimento, perciò offrendo a Dio questi due prodotti, gli offriamo la nostra vita … Il prete si lava la sommità delle dita, per mostrare quanta purità si richieda per offrire il santo sacrifizio. – All’Orate fratres, il celebrante si raccomanda alle orazioni dei fedeli, affinché il sacrifizio che egli offre in unione con essi, sia ricevuto da Dio; e i fedeli rispondono che essi desiderano che le intenzioni e i voti del sacerdote si compiano… Si arriva al Prefazio, il qual nome indica preludio, preambolo. – Infatti, il prefazio è destinato a preparare gli animi alle orazioni del canone e specialmente dell’elevazione. È un canto di trionfo e di gloria, un invito ad elevarsi fino al cielo, per lodare di concerto con i cori angelici, il Dio dell’universo . . . Il Sanctus viene dal cielo; colà lo impararono e di là lo portarono in terra Isaia e Giovanni Evangelista… La parola “canone”, vuol dire regola… A d esempio di Mose, il prete tiene alzate le mani, per innalzare la terra fino al cielo e per far discendere il cielo su la terra. Nel Memento dei vivi, il sacerdote prega in nome della Chiesa, per tutti i fedeli e specialmente per coloro a cui richiesta offre il Sacrificio, e per quelli che assistono alla Messa… Siamo all’istante meraviglioso e divino della Consacrazione; l’assemblea si prostra a terra alla vista del miracolo dei miracoli . . . Un grande fiat ha luogo, e il RE dei re si trova su l’altare. .. – Il pane e il vino sono divenuti il corpo, il sangue, l’anima e la divinità di Gesù Cristo… I molteplici segni di croce fatti dal sacerdote, hanno lo scopo di ricordarci Gesù su la croce… Le sue genuflessioni indicano l’adorazione che si deve a Dio e il profondo rispetto dovuto all’augusta sua Persona… Il Memento dei morti è un ricordo delle anime purganti, una preghiera indirizzata per loro a Dio, in nome di tutta la Chiesa… Dopo questo si recita la preghiera per eccellenza, il Pater; e da questo punto comincia la terza parte della Messa. – Il sacerdote divide l’ostia sacrosanta, per imitare Gesù Cristo il quale prese del pane, lo spezzò e distribuì a’ suoi apostoli, dicendo: « Prendete e mangiate: questo è il mio corpo ». Poi lascia cadere nel calice una porzioncella dell’ostia, per indicare che la pace la quale egli ha or ora augurato ai fedeli col Pax Domini, è suggellata col sangue medesimo di Gesù Cristo… La mescolanza dell’ostia col sangue di Gesù significa: 1° l’unione di Dio con l’uomo, nell’incarnazione; 2° l’unione di Dio con l’uomo, nella santa comunione; 3° l’unione degli eletti con Dio, nel cielo… Ma per godere di questa pace così preziosa, di quest’unione così cara e gloriosa, bisogna essere mondo di peccato. Ed ecco perché il sacerdote recita l’Agnus Dei ed il Domine non sum dìgnus… Il prete si comunica; i fedeli si dispongono attorno alla sacra mensa… Il rimanente della Messa va nel ringraziare Iddio.

 5. – SIGNIFICATO DELLE VESTI SACRE. Tutto ciò che ha attinenza alla Messa, rappresenta il Sacrifizio adorabile della croce… L’amitto figura il velo che copriva il volto di Gesù Cristo quando era schiaffeggiato… ; il camice, la bianca veste di cui lo fece coprire per ischerno Erode…; il cingolo, le funi, e le catene con cui fu legato nel giardino degli Olivi e flagellato nel Pretorio … ; il manipolo, le ritorte con cui fu legato alla colonna; e si applica al braccio sinistro, più vicino al cuore, quasi per farci notare il grande amore di Gesù Cristo…; la stola, rappresenta i tre legami che lo fermarono su la croce; indica ancora il potere del ministro consacratore…; la pianeta, ricorda lo straccio di porpora di cui fu coperto il Redentore, e la tunica di cui fu spogliato e sopra cui furono messe le sorti … ; la croce che si vede figurata sopra gli abiti sacri, mette continuamente sotto gli occhi del sacerdote e degli assistenti, lo strumento del supplizio del Salvatore… Ogni ornamento dunque rappresenta una circostanza della passione e della morte di Gesù Cristo. Tutto eccita i fedeli a meditare seriamente e a piegare con fervore… Tutto inspira loro confidenza…

 6. – COME SI DEVE UDIRE LA SANTA MESSA. — 1° I fedeli devono procurare di unirsi d’intenzione col celebrante, e per ciò ricordarsi che per tre motivi principali si offre il santo Sacrifizio: 1) in rendimento di grazie per i beni ricevuti …; 2) per dare soddisfazione dei peccati commessi.,.; 3) per implorare gli aiuti e le grazie di cui abbiamo bisogno. – 2° Bisogna offrire se medesimo a Dio insieme con la vittima eucaristica. 3° Durante il santo Sacrificio è cosa utile considerare: 1) chi sia Colui al quale si offre…; 2) Colui che l’offre…; 3) Colui che è offerto…; 4) perché si offre. – 4° Poiché il Sacrificio della Messa è il memoriale dell’amore di Gesù Cristo per gli uomini, e la rappresentazione, o meglio, la rinnovazione incruenta della sua passione e morte, quale occupazione più utile e naturale, che quella di meditare, nel tempo che si offre, sui patimenti e su l’amore del Salvatore? E questo il vero mezzo di udire la messa con profitto. – 5° Bisogna assistere alla santa Messa con quel profondo rispetto interiore ed esteriore, che naturalmente provoca, in chi vi ponga mente, la vista del luogo santo, la presenza di Dio, la compagnia degli Angeli e dei fedeli e finalmente il pensiero del grande mistero che si compie … Chi è penetrato di queste verità, assisterà alla santa Messa con fede, umiltà, compunzione, timore, confidenza, ecc..

J.-J. GAUME: La profanazione della DOMENICA [lett. IV]

 J. J. GAUME: LA PROFANAZIONE DELLA DOMENICA

LETTERA IV.

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LA PROFANAZIONE DELLA DOMENICA,

ROVINA DELLA SOCIETÀ.

I.

Signore, e caro amico,

Con voi, come con ogni altro uomo abituato a riflettere, mi sarebbe sufficiente il detto precedentemente, e la mia intera tesi non ne sarebbe pertanto meno stabilita. Quando è provato che la base d’un edificio è distrutta, non è forse evidente che tutte le parti dell’edifizio sono condannate ad un’inevitabile rovina? Nulladimeno è opportunissimo di maggiormente protenderci, affine di dimostrare ai più ciechi l’influenza diretta, speciale e fatalmente irresistibile della profanazione della domenica sovra tutte le rovine enumerate dal bel principio della nostra corrispondenza. Cosi, come l’ho annunciato, profanazione della domenica vuol dire rovina della società.

II

Per quella cagione stessa, che la profanazione della domenica è la rovina della religione, essa diventa altresì la rovina della società, perché non vi è società senza religione. Ciò per due ragioni fra mille; la prima, perché non può darsi società possibile senza sacrificio dell’interesse privato all’interesse pubblico. La seconda, perché non può esistere società senza autorità. Primieramente, non esiste società possibile senza sacrificio dell’interesse privato all’interesse pubblico. Si prenda qualunque aggregazione di uomini, i quali vogliano vivere insieme, un laboratorio, per esempio: rivolgetevi voi al primo operaio, che vi capiti innanzi, e ditegli: « Il tuo vantaggio privato, la tua volontà personale, i tuoi desideri, i tuoi capricci, le tue inclinazioni sono la regola unica di tue azioni; tu non sei giammai obbligato di farne sacrificio per l’utile altrui.” — Tenete voi lo stesso linguaggio al secondo, al terzo, a tutti; ed aggiungete poi: « Ecco la vostra carta, vivete in società ». Che osservo io? L’ora del lavoro è suonata. Niuno giunge. « Perché sei tu in ritardo? » domandate voi al più diligente. « Perché ciò mi piace; la mia utilità privata è la regola suprema di mia condotta; io sono libero di farne o no il sacrificio. » Ciascuno rende la stessa risposta; gli uni lavorano, gli altri giuocano, e l’indomani il laboratorio è chiuso. Prendo l’armata S assedia una fortezza; il generale designa un reggimento per montarvi all’assalto. Questo resta immobile. « Perché non marciate voi?— Il nostro interesse personale avanti tutto, ed il nostro interesse personale è di vivere. – Non siamo cotanto folli d’andare a coprir de’ nostri cadaveri le fossa della piazza. » – Gli altri reggimenti successivamente ricevono il medesimo ordine; ognuno dà la stessa risposta. Il generale infrange la sua spada, e ratto ratto s’allontana: l’armata non sussiste più. – Finalmente prendo la società stessa. Io vedo un numero infinito di mestieri penosi, poco lucrativi, poco onorati. Ora avviene che un giorno tutti i siffatti mestieri, indettatisi, dicano: « Troppo lungamente noi portammo il peso del lavoro; ad altri la fatica, a noi il riposo ». Tutti s’abbandonano all’oziosaggine. L’aratro, diretto dalle mani intelligenti dell’aratore, non più squarcia il seno della terra; l’incudine non più risuona sotto il martello del fabbro; il legno non più si trasforma in mobili d’ogni specie sotto le dita del1’ebanista; il muratore rinuncia alla sua squadra, e l’ingessatore alla sua cazzuola, a Miei amici, perché non più lavorate voi? » Ciascheduno a suo torno, e Ma che pretendete far voi? — Niente: ci sembra cosa così buona; atteso che il nostro interesse personale sta innanzi tutto: noi non conosciamo altra legge che codesta. – Tutto al più accetteremo noi d’esser rappresentanti del popolo, prefetti, magistrati, generali, ambasciatori, e soprattutto censuari. — Questo è l’ultimo vostro motto? — Voi lo avete pronunciato. » L’indomani intendo io il cannone, che mitraglia i rivoltosi, e loro insegna con argomenti senza replica, che non havvi nessuna società possibile senza sacrificio dell’interesse privato all’interesse pubblico.

III.

Si vede, signore e caro amico, la legge dell’osservanza è la grande legge del1’umanità. Ma il mezzo d’ottener così dall’artigiano, dal soldato, dal cittadino, qualunque sia d’altronde il suo mestiere, l’arte e la professione, il sacrificio costante del suo interesse privato al pubblico interesse, sacrificio che trascina seco talora sino la rovina della sanità e l’effusione del sangue? Non se ne trova che un solo: La religione. Per qual ragione? Perché la religione sola offre nelle sue rimunerazioni eterne una compensazione sufficiente per remunerare tutti i sacrifici come i soli supplizi eterni, di cui ella minaccia i cattivi, sono sufficienti per incatenare le sfrenate passioni, le quali ruggiscono dal fondo del cuore del mortale. Egli è inutile il voler provare con ragionamenti una verità che l’esperienza delle nazioni moderne innalza al di sopra d’ogni contestazione.

IV.

Ebbene! che fa la profanazione della domenica? Più che ogni altra dottrina, più che ogni altro scandalo, essa impedisce fatalmente alla religione l’esercitar sovra il mondo questa influenza vittoriosa e necessaria alla società. Da un canto, egli è evidente che la religione non saprebbe esercitare questa influenza a meno di essere conosciuta e meditata. Ma io provai, che con la profanazione della domenica la religione non sarà mai né conosciuta né meditala. Dall’altro, non è meno evidente che la religione non può aver l’influenza, della quale noi parliamo, se in ciascuna domenica si dà una pubblica smentita agl’insegnamenti di lei intorno alla necessità del sacrificio e dell’ubbidienza, in vista delle ricompense e delle punizioni future. – Ora, che dice alle popolazioni la profanazione pubblica della domenica? « Il cielo è il piacere; l’istrumento del piacere è 1’argento; guadagnare dell’argento ad ogni costo, questa è tutta la religione. – Cosi noi lo crediamo, noi, i favoriti della fortuna, proprietari, negozianti, industriali, noi i veri Santi dell’unico paradiso. – Popolo, attendici all’opera. Per noi nessun giorno di riposo. Noi lavoriamo, e noi facciamo lavorare; noi vendiamo, e facciamo vendere; noi comperiamo, e facciamo comperare nella domenica come negli altri giorni. Fa’ come noi; il tempo è numerato; affrettati. Un giorno perduto infra la settimana ti cagiona ben cinquantadue non lievi disdette per anno. – Ma la religione interdice le opere servili in domenica, sotto pena di perdere il cielo e meritar l’inferno. — Il cielo! l’inferno! sono favolacce di vecchierella per rallegrare od ispaventare i bambini. » Ecco, Signore, quello che predica letteralmente ogni otto giorni sopra tutti i punti della Francia la profanazione della domenica. Ed in qual linguaggio? Nel linguaggio il più popolare ed il più eloquente: il linguaggio dell’esempio. E per chi? Per uomini che s’intitolano conservatori, che si dicono il gran partito dellordine; come se l’ordine non fosse il rispetto delle leggi, e come se la prima legge da rispettarsi non fosse quella ch’è il fondamento di tutte le altre, la legge divina! Se lo spirito d’accecamento e di vertigine è il precursore della caduta delle nazioni, che pensare del nostro avvenire? Ché il culto dell’oro, spinto sino al disprezzo pubblico e nazionale de’ precetti e dogmi del Cristianesimo, tutte le speranze del mortale concentrate in sulla terra, la voluttà presentata come l’oggetto supremo della vita; conoscete voi nulla di più incompatibile collo spirito di sacrificio indispensabile alla società? Nulla che l’assalga più direttamente? Nulla che l’uccida più infallibilmente? Tale è nientedimeno la profanazione della domenica. – Ho sragionato io nel segnalarvela come la rovina della società? Sragiono io aggiungendo che non havvi mezzo più sicuro e più pronto per materializzare una nazione, e trarla ai socialismo? Ponete niente in effetti alle conseguenze, le quali le classi artigiane hanno dedotto da questo scandaloso sermone. Bramose de’ godimenti, ed incapaci di pervenire pel lavoro al paradiso della voluttà, esse hanno pensato: « poiché il cielo e 1’inferno della religione non sono che paroloni, il nostro destino si compie adunque qui basso. Il lavorìo è penoso, è ingrato, il tempo è breve. Mentre che noi sudiamo curvati all’opera, se ne trovano di quelli che si riposano; se la godono frattanto che noi soffriamo. Cosa di più ingiusto, che gli uni siano affatto agiati, e gli altri in pieno disagio? La giustizia è di spartire, spartiamo !!!». – Di somigliante maniera procede la logica de’ popoli. Chi oserà dire, ch’essa non è rigorosa, e negherà cotesta proposizione; se la profanazione della domenica non diventa la madre del socialismo, essa ne diviene la nutrice?

V.

Io ho indicato, in sul principio di mia lettera, una seconda ragione, per cui la profanazione della domenica è la rovina della società, cioè che non havvi società senz’autorità. Egli è troppo evidente, che se in un laboratorio, in una famiglia, in una nazione, ognuno vuole esser padrone, havvi niuna società possibile. È necessaria un’autorità, e dappertutto. Ma che cosa è l’autorità? È il diritto di comandare, il diritto di essere ubbidito. Donde viene al mortale il diritto di comandare? Da se stesso? Mai no; imperocché tutti gli uomini sono uguali per natura. Dalla società? Neppure; perché la società, non essendo che una riunione di persone, non ha per se stessa un maggior diritto di comandare che un solo uomo. Se la radice del diritto si trovasse in essa, la regola del male e del bene somigliantemente vi si ritroverebbe. Farebbe d’uopo ammettere come vero il mostruoso sofisma di Rousseau, e dire, che il popolo è la sola autorità, che non abbisogna punto daver ragione per legittimare i suoi atti. Senza dubbio la società può parlare a nome della forza, ma la forza sola non è essa l’autorità: cotesto è il dispotismo. Da chi proviene adunque l’autorità ed ogni specie d’autorità? Essa discende da Dio, e da Dio solo: Non vi è potestà se non da Dio (Rom. XIII). In questo motto, uno dei più importanti delle nostre divine scritture, è la ragione del diritto. Sì, ogni specie d’ autorità deriva dall’Ente Supremo: autorità sacerdotale, autorità regale, autorità legislativa, autorità giudiziaria, autorità paterna: Non v’è potestà se non da Dio. Sempre che un mortale, qualsiasi il nome suo, sacerdote o re, parlamento, senato, tribunale, padre, guardia campestre, viene a darmi ordini, se non ascolto io nella sua voce quella dell’Altissimo, io mi ribello. Io grido dispotismo, e se costei mi carica di ferri, io non anelo che il momento di sciogliermene, e di romperli in sulla testa di lei. Dunque è cosa d’un’evidenza palpabile, che tutti gli uomini depositari a una autorità qualunque, che tutti i cittadini, a quali l’autorità è tanto necessaria, quanto il pane, non hanno dovere più sacro che di far rispettare, e di rispettare essi medesimi l’autorità di Dio; altrimenti tutte le altre autorità perdono la loro potenza, poiché esse perdono il loro diritto: e, senz’autorità, la società é impossibile.

VI.

Non ammirate voi qui la semplicità delle nostre buone persone, de nostri buoni rappresentanti, de’nostri buoni proprietarj, de1 nostri buoni borghesi, di tutti coloro, i quali infra noi tengono qualche cosa da conservarsi? Voi non v’imbatterete neppure in uno, che non si lamenti intorno allo spirito generale d’insubordinazione, di rivolta, di cupidità, di gelosia e di disprezzo per qualunque autorità; che ci minaccia ciascun giorno, e quasi ad ogni ora del giorno, d’un cataclisma spaventoso: e tutto nell’esprimere le sue doglianze e i suoi sbigottimenti, voi vedete quello stesso buon uomo strisciare colla sua condotta il poco dell’autorità, che a lui rimane, distruggendo al cospetto de’ suoi domestici, de’ suoi figliuoli, de’suoi amici, l’autorità di Dio e della sua Chiesa. Conservatore di nome, come non s’avvede che esso è rivoluzionario di fatto e rivoluzionario de’peggiori? Si può mai perdere talmente il senno di non più comprendere che l’unico mezzo per ottenere il rispetto de’ suoi inferiori, esso è di rispettare egli stesso i suoi superiori?

VII.

Presentemente, signore e caro amico, io a voi domando che cosa è quella profanazione della domenica, pubblica, generale, abituale, come da sessantanni ce ne offerisce ogni otto giorni la Francia lo spettacolo? Non è codesta quel disprezzo pubblico, generale, abituale, nazionale dell’autorità del Creatore, dell’autorità di Dio, in un punto fondamentale, rispettato religiosamente da tutte le nazioni civilizzate? E voi volete che il popolo, al quale si dona ciascuna settimana codesta lezione pubblica di disprezzo insolente per l’autorità dell’Altissimo, fondamento di ciascheduna altra, voi volete che questo popolo ne rispetti niuna? Che direte voi d’un armata, i cui uffiziali d’ogni grado dessero ogni domenica l’esempio di disprezzo per 1’autorità del generale in capo, ricusando palesemente d’ubbidire a’ comandi di lui, operando eglino stessi, e lasciando operare a’ loro soldati positivamente il contrario? Voi direte e con dirittura, che codesta armata precipita nell’anarchia. Voi direte che gli ufficiali, calpestando l’autorità del loro capo, scrollano la propria; voi direte che se nelle giornate di rivolta vengono insultati e infamemente cacciati, costoro non fanno che troppo raccogliere ciò che hanno seminato.

VIII.

Questo ragionamento s’applica perfettissimamente alla profanazione della domenica, e porta questa necessaria conseguenza, cioè: che esponendo in ciascuna settimana al disprezzo delle popolazioni l’autorità dell’Ente Supremo, la profanazione della domenica vi espone tutte le altre, le scuote violentemente tutte nella loro base, e trascina inevitabilmente alla rovina della società, di cui l’autorità è la condizione indispensabile. Tale è l’estremità fatale alla quale noi tocchiamo. – Ai giorni nostri niuna autorità più sussiste, e si venera presso de’ popoli: né autorità pontificale, né autorità reale, né autorità legislativa, né autorità paterna. – Una volta divenuti audaci a portare il martello sopra le fondamenta dell’edificio, questo mondo ha tutto rovesciato e continua a percuotere; e in luogo d’una gerarchia regolare, si vede agitarsi verso d’un brutale livello uno strupo di atomi umani, istigati per un desiderio sfrenato delle voluttà, che niuna possanza umana non può né moderare, né soddisfare. Donde origina codesta anarchia formidabile che spinge l’universo alla barbarie? Dall’adorazione della materia e dal disprezzo dell’autorità? Qual n’è insieme l’eccitatore il più popolare e il segno il più espressivo di codesta adorazione e di cotesto disprezzo? Io non esito neppure un istante a rispondere: esso è la profanazione della domenica; poiché godere e disprezzare, tale è la sua significazione. Tale è similmente, io lo so, la significazione di tutti i discorsi, di tutte le parole, di ogni atto privato, o pubblico contro la legge divina; ma ogni discorso non vien letto, ogni parola non viene intesa, ogni atto privato non vien notato, ogni atto pubblico non è permanente. – Non altrimenti succede della profanazione francese della domenica. Ognuno la ragguarda, ognuno la comprende, e ciò costantemente; stante che in ciascuna settimana essa innalzi la voce, e da una estremità all’altra della Francia, essa gridi all’intero popolo: godi e disprezza! – Questo non è tutto: non solamente la profanazione della domenica discioglie direttamente la società, poiché essa è una rivolta aperta contro l’autorità, ed un premio elargito all’adorazione della materia, ma ancora poiché essa è la cagione d’innumerevoli attacchi contra ogni sorta d’autorità. – L’osteria è la conseguenza inevitabile delle opere servili nella domenica. – Che cosa è l’osteria sotto il punto di vista del rispetto dell’ autorità e della pubblica tranquillità? L’osteria è il conciliabolo in permanenza; non una autorità divina od umana che non vi venga oppugnata, sbertata, satireggiata, gettata nel fango dell’orgia. Ora, si computano in Francia 332,000 osterie. La profanazione della domenica riempie pertanto ciascun lunedì 332,000 conciliaboli in ogni angolo della Repubblica. Con ciò, ditemi voi se un popolo possa governarsi? Senz’aspettare la vostra risposta, io affermo, che non vi è società, la quale resista ad una simile macchina di guerra.

 IX

Perciò io mi domando, se i personaggi aventi dovere di difenderci sappiano dirittamente ciò che per una nazione cristiana significhino questi due motti: rovina della società. Riflettendo all’indifferenza degli uni ed all’inintelligenza degli altri, è permesso dubitarne, e siffatto dubbio non è quello che abbiasi di meno spaventoso nella nostra situazione. Che prometterci d’un ammalato, cui il medico si contenta di compiangere, e del quale ignora o la natura del male, o la natura del rimedio necessario alla guarigione di lui? Or bene! bisogna confessarlo, il male che ci divora sta nelle anime; la sola religione può guarirlo; la profanazione della domenica è la rovina della religione; la rovina della religione è la rovina della società. Dal che, la rovina della società né solamente ci sospinge al paganesimo, ma alla barbarie ci strascina. – Somigliantemente a quella degl’individui, la caduta delle nazioni si misura dall’altezza delle verità e delle grazie, di cui esse abusano; “corruptio optimi pessima, la corruzione dell’ottimo è pessima. Se, per avere abusato de’ lumi della rivelazione primitiva, il mondo antico dovette cadere nell’abbiezione del paganesimo; il mondo attuale, disprezzatore superbo de’ lumi del Vangelo e del sangue del Calvario, deve precipitare più basso che nel paganesimo: egli deve ingolfarsi sin nella barbarie. Di già cotesta barbarie, pure senza esempio nella storia, invade le idee. E necessario che le più grandi intelligenze dell’epoca prendano seriamente la difesa della verità e dei diritti i più elementari d’ogni società. Diritti e verità che furono sempre mai sacri presso i popoli pagani, che lo sono tuttora presso le nazioni barbare, e per anco presso le orde selvatiche. Iddio, la distinzione del bene e del male, la famiglia, la proprietà, l’uomo. Per lo che, quando la barbarie s’impadronisce delle idee, il suo passaggio né costumi e né fatti non è più che una questione de’ tempi. Quando dalla cima delle alte vette, dove si formò, il torrente impetuoso è di già disceso a metà della montagna, siatene sicuro, eccetto un prodigio, esso rapidamente allagherà la pianura. – Ecco quello, che ci minaccia, quello che ci coglierà altrettanto infallibilmente, quanto la notte all’occaso del sole, se non studiamo solleciti d’innalzare il solo riparo capace di prevenire l’estrema catastrofe. Quest’argine è la fede; e quello che deve essere l’applicazione immediata, l’applicazione sociale della fede, egli si è la santificazione della domenica. L’assemblea lo comprende ella? — Gradite, ecc.

 

MERCOLEDÌ’ DELLE QUATTRO TEMPORA

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[Dom Gueranger: l’“Anno liturgico”, vol 1]

La Chiesa pratica in questo giorno il digiuno chiamato delle Quattro Tempora, il quale si estende anche al Venerdì e al Sabato seguenti. Questa osservanza non appartiene punto all’economia dell’Avvento; essendo una delle istituzioni generali dell’Anno Ecclesiastico. Si può annoverare nei numero delle usanze che la Chiesa ha derivate dalla Sinagoga; poiché il profeta Zaccaria parla di digiuno del quarto, del quinto, del settimo e del decimo mese. L’introduzione di tale pratica nella Chiesa cristiana sembra risalire ai tempi apostolici; questa è almeno l’opinione di san Leone, di sant’Isidoro di Siviglia,, di Rabano Mauro e di parecchi altri scrittori dell’antichità cristiana: tuttavia, è da notare che gli Orientali non osservano tale digiuno. – Fin dai primi secoli, le Quattro Tempora sono state fissate, nella Chiesa Romana, alle epoche in cui si osservano ancora attualmente; e se si trovano parecchie testimonianze dei tempi antichi nelle quali si parla di Tre Tempora e non di Quattro, è perché le Tempora di primavera, cadendo sempre nel corso della prima Settimana di Quaresima, non aggiungono nulla alle osservanze della Quarantena già consacrata a un’astinenza e a un digiuno più rigorosi di quelli che si praticano in qualsiasi altro tempo dell’Anno. –

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Le intenzioni del digiuno delle Quattro Tempora sono nella Chiesa le stesse che nella Sinagoga: consacrare cioè, mediante la penitenza, ciascuna delle stagioni dell’anno. Le Tempora dell’Avvento sono conosciute, nell’antichità ecclesiastica, sotto il nome di Digiuno del decimo mese; e san Leone ci riferisce, in uno dei Sermoni che ci ha lasciati su tale giorno e di cui la Chiesa ha posto un frammento nel secondo Notturno della terza Domenica di Avvento, che questo periodo è stato scelto per una manifestazione speciale della penitenza cristiana, poiché, essendo allora terminata la raccolta dei frutti della terra, é giusto che i cristiani mostrino al Signore la loro riconoscenza con un sacrificio di astinenza, rendendosi tanto più degni di accostarsi a Dio, quanto più sapranno dominare l’attrattiva delle creature; «poiché – aggiunge il santo Dottore – il digiuno è sempre stato l’alimento della virtù. Esso è la fonte di pensieri casti, di risoluzioni sapienti, di consigli salutari. Mediante la mortificazione volontaria, la carne muore ai desideri della concupiscenza, lo spirito si rinnova nella virtù. Ma poiché il digiuno non ci basta per acquistare la salvezza delle nostre anime, suppliamo al resto con opere di misericordia verso i poveri. Facciamo servire alla virtù quello che togliamo al piacere; e l’astinenza di colui che digiuna divenga il nutrimento dell’indigente ». – Prendiamo la nostra parte di questi avvertimenti, noi che siamo i figli della santa Chiesa; e poiché viviamo in un’epoca in cui il digiuno dell’Avvento non esiste più [grazie all’impegno delle pseudo-autorità moderniste –ndr.-], impegniamoci con tanto più fervore a soddisfare il precetto delle Tempora, in quanto questi tre giorni a cui va aggiunta la Vigilia di Natale, sono gli unici nei quali la disciplina della Chiesa ci impone in modo preciso, in questa stagione, l’obbligo del digiuno. Rianimiamo in noi, con l’aiuto di queste lievi osservanze, lo zelo dei secoli antichi, ricordandoci sempre che se per la venuta di Gesù Cristo nelle nostre anime é soprattutto necessaria la preparazione interiore, tale preparazione non potrà essere vera in noi, senza manifestarsi all’esterno attraverso le pratiche della religione e della penitenza. – Il digiuno delle Quattro Tempora ha ancora un altro fine oltre quello di consacrare, con un atto di pietà, le diverse stagioni dell’Anno; esso ha un legame intimo con l’Ordinazione dei Ministri della Chiesa, che riceveranno la consacrazione il sabato, e la cui proclamazione aveva luogo un tempo davanti al popolo nella Messa del Mercoledì. Nella Chiesa Romana, l’Ordinazione del mese di Dicembre fu celebre per lungo tempo; e sembra, secondo le antiche Cronache dei Papi, che, salvo casi del tutto eccezionali, il decimo mese sia stato per parecchi secoli il solo in cui si conferivano i sacri Ordini in Roma. I fedeli debbono unirsi alle intenzioni della Chiesa, e presentare a Dio l’offerta dei loro digiuni e delle loro astinenze, con lo scopo di ottenere degni Ministri della Parola e dei Sacramenti, e veri Pastori del popolo cristiano. – Nel Mattutino, oggi la Chiesa non legge nulla del profeta Isaia; si contenta di ricordare il passo del Vangelo di san Luca nel quale é narrata l’Annunciazione della Santa Vergine, e legge quindi un frammento del Commento di sant’Ambrogio su quello stesso passo. – La scelta di questo Vangelo, che è lo stesso della Messa, secondo la usanza di tutto l’anno, ha dato una particolare celebrità al Mercoledì della terza settimana di Avvento. Si può vedere, da antichi Ordinari in uso presso parecchie e insigni Chiese, tanto Cattedrali che Abbaziali, come si trasferissero le feste che cadevano in questo Mercoledì; come non si dicessero in tale giorno in ginocchio le preghiere feriali; come il Vangelo Missus est, cioè quello dell’Annunciazione, fosse cantato nel Mattutino dal Celebrante rivestito da una cappa bianca, con la croce; i ceri e l’incenso, e al suono della campana maggiore; e come, nelle Abbazie, l’Abate dovesse tenere una omelia ai Monaci, allo stesso modo che nelle feste solenni. È appunto a tale usanza che siamo debitori dei quattro magnifici Sermoni di san Bernardo sulle lodi della Santa Vergine, e che sono intitolati: Super Missus est. La Stazione ha luogo a Santa Maria Maggiore, a motivo del Vangelo dell’Annunciazione che, come si è visto, ha fatto per così dire attribuire a questo giorno gli onori d’una vera Festa della Santa Vergine.

MOVIMENTI TRADIZIONALISTI

I movimenti “TRADIZIONALISTI”

… costituiscono una forma ancor più sottile e sofisticata rispetto ai modernisti post-conciliabolo, di liberalismo pseudo-cattolico, eresia che Sarda y Salvany definisce PAGANESIMO con forme e linguaggio cattolico! Proponiamo la lettura del capitolo VII della sua opera “Il Liberismo è peccato” per comprendere in pieno le ragioni dell’autore, cattolico di ferro ed implacabile martello delle eresie liberal-massoniche, cancro del suo tempo, … eresie oggi al loro culmine massimo.

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CAP.7

IN COSA CONSISTE L’ESSENZA O LA RAGIONE INTRINSECA DEL CATTOLICESIMO LIBERALE

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Se si considera l’intima essenziale del liberalismo detto cattolico o, per parlare più volgarmente, del cattolicesimo liberale, si vede che con ogni probabilità essa è dovuta ad una falsa interpretazione dell’ATTO di FEDE. I cattolici liberali, se li si voglia giudicare dalle loro spiegazioni, fanno risiedere tutto il motivo della loro fede non nell’AUTORITA’ DI DIO INFINITAMENTE VERITIERO E INFALLIBILE che si è degnato di rivelarci il solo cammino che ci può condurre alla beatitudine soprannaturale, ma nel “libero apprezzamento del giudizio individuale” stimando questa credenza la migliore d’ogni altra. – Essi non vogliono riconoscere il Magistero della Chiesa come il solo che sia autorizzato da DIO a proporre ai fedeli la dottrina rivelata e a rivelarne il vero significato. Ma al contrario, facendosi giudici della dottrina, essi accettano di essa ciò che a loro pare buono, riservandosi il diritto di credere il contrario, tutte le volte che apparenti ragioni sembreranno dimostrar loro oggi come falso ciò che ieri era loro sembrato vero. –  Per rigettare questa pretesa è sufficiente conoscere la dottrina fondamentale sulla FEDE, esposta su questa materia dal santo CONCILIO VATICANO. Dopotutto i cattolici liberali si definiscono cattolici poiché essi credono fermamente che il cattolicesimo è la vera rivelazione del Figlio di DIO; ma essi si definiscono cattolici-liberali o cattolici-liberi, poiché giudicano che ciò ch’essi credono non possa essere imposto ad alcuno per nessun motivo che sia superiore a quello di una libera scelta dell’interessato. E tutto ciò in tal modo che a loro insaputa il diavolo ha malignamente sostituito in loro il principio naturalista del libero esame al principio soprannaturale della Fede; da qui risulta che immaginandosi di avere la Fede delle Verità cristiane essi non l’hanno affatto, sono solo convinti di averla il che non è esattamente la stessa cosa. – Ne consegue che, secondo loro, ritenendo la loro intelligenza libera di credere o non credere, sia la stessa cosa per le persone di tutto il mondo. Essi non vedono nell’“incredulità” un vizio, un’infermità o un accecamento volontario dell’intendimento e più ancora del cuore, ma un atto lecito, emanante dal foro interiore di ciascuno, padrone dunque, in questo caso, sia di credere che di negare. Il loro orrore di qualsiasi pressione esterna fisica o morale, che prevenga o castighi l’eresia, deriva da questa dottrina e produce in loro l’odio verso qualsiasi legislazione genuinamente cattolica. Di là anche il rispetto profondo con il quale vogliono che si trattino sempre le convinzioni altrui, anche le più nemiche della verità rivelata, poiché per essi, le più erronee sono tanto sacre quanto le più vere, poiché tutte nascono da un medesimo principio altrettanto sacro: la libertà intellettuale. E’ così che si erige a dogma ciò che si chiama tolleranza e che si emana ad uso dei polemisti cattolici un nuovo codice di leggi, che mai conobbero nei tempi passati i grandi polemisti del cattolicesimo. – Essendo la concezione della Fede essenzialmente naturalista, ne deriva che tutto il suo sviluppo successivo nell’individuo e nella società, deve esserlo allo stesso modo. Ne deriva che il giudizio principale e spesso esclusivo che i cattolici-liberali danno della CHIESA verte sui vantaggi culturali e di civilizzazione ch’essa procura ai popoli. Essi dimenticano e non citano mai, per così dire, il suo fine primario e soprannaturale che è la glorificazione di DIO e la salvezza delle anime. Molte apologie cattoliche scritte nella nostra epoca sono intrise di debolezza spirituale a causa di questa falsa concezione. Ciò a tal punto che se, per disgrazia, il Cattolicesimo fosse stato causa di qualche ritardo nel progresso materiale dei popoli, esso non sarebbe più, con buona logica agli occhi di quegli uomini, né una religione vera né una religione da lodarsi. – E notate che se si realizzasse questa ipotesi, ed essa può realizzarsi – dato che la fedeltà a questa stessa religione ha certamente causato la rovina materiale di famiglie e d’individui- la Religione non ne risulterebbe meno eccellente e divina. – Questo criterio (naturalista n. d. t.) è quello che dirige la penna della maggior parte dei giornalisti liberali; s’essi lamentano la demolizione d’una chiesa, non mettono in rilievo che la profanazione dell’arte, se si schierano in favore degli ordini religiosi, essi non fanno valere che i servizi resi dagli stessi alle Lettere; essi non esaltano una suora di carità, se non in considerazione dei servizi umanitari con i quali ella ha addolcito gli orrori della guerra; essi ammirano del culto ciò che è dal punto di vista della sua bellezza esteriore e della sua poesia; se, nella letteratura cattolica, essi rispettano le Sante Scritture è solamente a causa della loro sublime maestà. – Da questo modo di lodare le cose cattoliche solamente per la loro grandezza, la loro bellezza, la loro utilità, la loro eccellenza materiale, ne deriva logicamente che l’errore ha diritto alle stesse lodi allorquando esso ha diritto ai medesimi giudizi, come l’hanno avute in apparenza, in certi momenti diverse, le false religioni. – La stessa Pietà non è potuta sfuggire all’azione perniciosa del Principio Naturalista; esso l’ha pervertita in “pietismo” cioè in una falsificazione della vera Pietà, come vediamo in tante persone che non ricercano nelle pratiche di pietà altro che l’emozione ch’esse possono originare, e questo è un puro sensualismo e niente di più. Così oggi constatiamo che in molte anime, l’ascetismo cristiano, che è la purificazione del cuore mediante la repressione degli appetiti dei sensi, è interamente fiaccato e che il misticismo cristiano, che non è né l’emozione né la consolazione interiore, né alcun’altra di queste dolcezze umane, ma l’unione con DIO mediante l’assoggettamento alla sua santa volontà e all’amore soprannaturale, è completamente sconosciuto. – Per queste ragioni il cattolicesimo di un gran numero di persone, nella nostra epoca è un cattolicesimo liberale o più esattamente un cattolicesimo FALSO. Questo non è Cattolicesimo, ma un semplice Naturalismo, un naturalismo puro; cioè in una parola, se ci è permesso: Paganesimo con il linguaggio e le forme cattoliche.

Provocare la confusione delle idee: vecchio schema del diavolo!

“La confusione delle idee è un vecchio schema del diavolo. Non capire chiaramente e con precisione è generalmente l’origine dell’errore intellettuale. In tempo di scisma ed eresia, alterare e distorcere il senso corretto delle parole è un artificio fecondo di Satana, ed è facile porre insidie per gli orgogliosi intellettuali nei riguardi degli innocenti. Ogni eresia nella Chiesa rende testimonianza al successo di Satana che inganna l’intelletto umano con l’oscuramento e la perversione del significato delle parole. L’arianesimo fu una battaglia di parole ed il suo lungo continuo successo fu dovuto al suo cicaleggio verbale. Il Pelagianesimo ed il giansenismo hanno mostrato le stesse caratteristiche, ed oggi il liberalismo è con le sue astuzia ed oscurità, come una qualsiasi delle precedenti eresie.”

Per non appesantire oltremodo la meditazione del capitolo riportato, ma completare il discorso, aggiungiamo solo un brevissimo paragrafo illuminante dal cap. XII, che in altra sede ci ripromettiamo di pubblicare:

dal Cap. XII:

Il diavolo è un grande maestro in artifizi ed astuzie; la sua più abile manovra consiste nell’introdurre la confusione nelle idee e questo maledetto perderebbe la metà del suo potere sugli uomini, se le idee buone o malvagie ci apparissero quali sono con nettezza e franchezza. Notate, tra l’altro, che chiamare il diavolo: diavolo, non è di moda oggigiorno, senza dubbio perché il liberalismo ci ha dato l’abitudine di trattare “messer” il diavolo con un certo rispetto. Dunque la prima cosa che fa il diavolo in tempi di scisma e di eresia, è di imbrogliare e di cambiare il senso proprio delle parole: mezzo infallibile di falsare ed intorbidare efficacemente la maggior parte delle intelligenze“.

[Salvany: “Il liberalismo è un peccato”, capitolo XII]

I servi di “messer” demonio, in talare nera, rossa o bianca, usano il medesimo stratagemma del loro padrone, anche se si nascondono con un’aureola di santità o si mimetizzano balbettando versetti in latino o officiando Messe sacrileghe senza essere stati mai consacrati. [ndr.]

 

Un’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE IL MODERNISTA-APOSTATA DI TORNO: “MORTALIUM ANIMOS”

Proponiamo oggi la lettura e lo studio di una enciclica “chiave” nella storia della Chiesa del secolo XX, la Mortalium animos, di S. S. Pio XI. Essa fa ben comprendere ai sedicenti cattolici attuali, in realtà modernisti fin nelle midolla, come il “pan-cristianesimo” sia una eresia manifesta, anzi “una bestemmia”, come S. S. la definisce in un passaggio della lettera. Questo per chi avesse ancora dubbi sulla buona fede o sulla cattolicità di certe istituzioni, chiaramente false ed ingannatrici, sia moderniste che finte-tradizionaliste, e quindi fuori dalla Chiesa Cattolica, che non può insegnare, per dogma di fede, falsità, eresie, o avvelenare lo spirito dei fedeli. A chi inneggia ancora alle false autorità che “celebrano” [si fa per dire] in modo sacrilego riti in unione con prelati e “sacerdotesse” di chiese eretiche e scismatiche, diciamo: ragazzi, svegliatevi, non sentite puzza di inganno da miglia di lontananza, o vi si sono completamente otturate le narici? Certo quel che diciamo noi, da privati Cattolici non allineati al modernismo, non conta nulla, ma la dottrina di un “vero” Papa, Vicario di Cristo in terra e voce stessa di Cristo, non può essere infangata, profanata e calpestata senza che sorga almeno un dubbio e ci faccia riflettere, non per motivi ideologici o culturali, ma per il bene della nostra anima che rischia seriamente il fuoco eterno senza nemmeno poterci affidare alle “attenuanti generiche”, vista la chiarezza luminosa [ … o tenebrosa] della situazione attuale. Raccogliamo poi l’ultima raccomandazione del Pontefice, quella di invocare la Vergine Maria, che sola ha distrutto tutte le eresie … certo oggi esse sono infinite e gli eresiarchi sono all’interno della chiesa un tempo cattolica, ma chi, se non Lei può riuscire nell’impresa titanica?

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LETTERA ENCICLICA

MORTALIUM ANIMOS

DI SUA SANTITÀ

PIO XI

AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI, PRIMATI, ARCIVESCOVI, VESCOVI ED AGLI ALTRI ORDINARI LOCALI CHE HANNO PACE E COMUNIONE CON LA SEDE APOSTOLICA

SULLA DIFESA DELLA VERITÀ RIVELATA DA GESÙ

 

Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.

Forse in passato non è mai accaduto che il cuore delle creature umane fosse preso come oggi da un così vivo desiderio di fraternità — nel nome della stessa origine e della stessa natura — al fine di rafforzare ed allargare i rapporti nell’interesse della società umana. Infatti, quantunque le nazioni non godano ancora pienamente i doni della pace, ed anzi in talune località vecchi e nuovi rancori esplodano in sedizioni e lotte civili, né d’altra parte è possibile dirimere le numerosissime controversie che riguardano la tranquillità e la prosperità dei popoli, ove non intervengano l’azione e l’opera concorde di coloro che governano gli Stati e ne reggono e promuovono gli interessi, facilmente si comprende — tanto più che convengono ormai tutti intorno all’unità del genere umano — come siano molti coloro che bramano vedere sempre più unite tra di loro le varie nazioni, a ciò portate da questa fratellanza universale. – Un obiettivo non dissimile cercano di ottenere alcuni per quanto riguarda l’ordinamento della Nuova Legge, promulgata da Cristo Signore. Persuasi che rarissimamente si trovano uomini privi di qualsiasi sentimento religioso, sembrano trarne motivo a sperare che i popoli, per quanto dissenzienti gli uni dagli altri in materia di religione, pure siano per convenire senza difficoltà nella professione di alcune dottrine, come su un comune fondamento di vita spirituale. Perciò sono soliti indire congressi, riunioni, conferenze, con largo intervento di pubblico, ai quali sono invitati promiscuamente tutti a discutere: infedeli di ogni gradazione, cristiani, e persino coloro che miseramente apostatarono da Cristo o che con ostinata pertinacia negano la divinità della sua Persona e della sua missione. Non possono certo ottenere l’approvazione dei cattolici tali tentativi fondati sulla falsa teoria che suppone buone e lodevoli tutte le religioni, in quanto tutte, sebbene in maniera diversa, manifestano e significano egualmente quel sentimento a tutti congenito per il quale ci sentiamo portati a Dio e all’ossequente riconoscimento del suo dominio. Orbene, i seguaci di siffatta teoria, non soltanto sono nell’inganno e nell’errore, ma ripudiano la vera religione depravandone il concetto e svoltano passo passo verso il naturalismo e l’ateismo; donde chiaramente consegue che quanti aderiscono ai fautori di tali teorie e tentativi si allontanano del tutto dalla religione rivelata da Dio. – Ma dove, sotto l’apparenza di bene, si cela più facilmente l’inganno, è quando si tratta di promuovere l’unità fra tutti i cristiani. Non è forse giusto — si va ripetendo — anzi non è forse conforme al dovere che quanti invocano il nome di Cristo si astengano dalle reciproche recriminazioni e si stringano una buona volta con i vincoli della vicendevole carità? E chi oserebbe dire che ama Cristo se non si adopera con tutte le forze ad eseguire il desiderio di Lui, che pregò il Padre perché i suoi discepoli « fossero una cosa sola »? [1]. E lo stesso Gesù Cristo non volle forse che i suoi discepoli si contrassegnassero e si distinguessero dagli altri per questa nota dell’amore vicendevole: « In ciò conosceranno tutti che siete miei discepoli se vi amerete l’un l’altro»? [2]. E volesse il Cielo, soggiungono, che tutti quanti i cristiani fossero « una cosa sola »; sarebbero assai più forti nell’allontanare la peste dell’empietà, la quale, serpeggiando e diffondendosi ogni giorno più, minaccia di travolgere il Vangelo. – Questi ed altri simili argomenti esaltano ed eccitano coloro che si chiamano pancristiani, i quali, anziché restringersi in piccoli e rari gruppi, sono invece cresciuti, per così dire, a schiere compatte, riunendosi in società largamente diffuse, per lo più sotto la direzione di uomini acattolici, pur fra di loro dissenzienti in materia di fede. E intanto si promuove l’impresa con tale operosità, da conciliarsi qua e là numerose adesioni e da cattivarsi perfino l’animo di molti cattolici con l’allettante speranza di riuscire ad un’unione che sembra rispondere ai desideri di Santa Madre Chiesa, alla quale certo nulla sta maggiormente a cuore che il richiamo e il ritorno dei figli erranti al suo grembo. Ma sotto queste insinuanti blandizie di parole si nasconde un errore assai grave che varrebbe a scalzare totalmente i fondamenti della fede cattolica. Pertanto, poiché la coscienza del Nostro Apostolico ufficio ci impone di non permettere che il gregge del Signore venga sedotto da dannose illusioni, richiamiamo, Venerabili Fratelli, il vostro zelo contro così grave pericolo, sicuri come siamo che per mezzo dei vostri scritti e della vostra parola giungeranno più facilmente al popolo (e dal popolo saranno meglio intesi) i princìpi e gli argomenti che siamo per esporre. Così i cattolici sapranno come giudicare e regolarsi di fronte ad iniziative intese a procurare in qualsivoglia maniera l’unione in un corpo solo di quanti si dicono cristiani. – Dio, Fattore dell’Universo, Ci creò perché Lo conoscessimo e Lo servissimo; ne segue che Egli ha pieno diritto di essere da noi servito. Egli avrebbe bensì potuto, per il governo dell’uomo, prescrivere soltanto la pura legge naturale, da Lui scolpitagli nel cuore nella stessa creazione, e con ordinaria sua provvidenza regolare i progressi di questa medesima legge. Invece preferì imporre dei precetti ai quali ubbidissimo e nel corso dei secoli, ossia dalle origini del genere umano alla venuta e alla predicazione di Gesù Cristo, Egli stesso volle insegnare all’uomo i doveri che legano gli esseri ragionevoli al loro Creatore: « Iddio, che molte volte e in diversi modi aveva parlato un tempo ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del figlio » [3]. Dal che consegue non potersi dare vera religione fuori di quella che si fonda sulla parola rivelata da Dio, la quale rivelazione, cominciata da principio e continuata nell’Antico Testamento, fu compiuta poi nel Nuovo dallo stesso Gesù Cristo. Orbene, se Dio ha parlato, e che abbia veramente parlato è storicamente certo, tutti comprendono che è dovere dell’uomo credere assolutamente alla rivelazione di Dio e ubbidire in tutto ai suoi comandi: e appunto perché rettamente l’una cosa e l’altra noi adempissimo, per la gloria divina e la salvezza nostra, l’Unigenito Figlio di Dio fondò sulla terra la sua Chiesa. Quanti perciò si professano cristiani non possono non credere alla istituzione di una Chiesa, e di una Chiesa sola, per opera di Cristo; ma se s’indaga quale essa debba essere secondo la volontà del suo Fondatore, allora non tutti sono consenzienti. Fra essi, infatti, un buon numero nega, per esempio, che la Chiesa di Cristo debba essere visibile, almeno nel senso che debba apparire come un solo corpo di fedeli, concordi in una sola e identica dottrina, sotto un unico magistero e governo, intendendo per Chiesa visibile nient’altro che una Confederazione formata dalle varie comunità cristiane, benché aderiscano chi ad una chi ad altra dottrina, anche se dottrine fra loro opposte. Invece Cristo nostro Signore fondò la sua Chiesa come società perfetta, per sua natura esterna e sensibile, affinché proseguisse nel tempo avvenire l’opera della salvezza del genere umano, sotto la guida di un solo capo [4], con l’insegnamento a viva voce [7], con l’amministrazione dei sacramenti, fonti della grazia celeste [6]; perciò Egli la dichiarò simile ad un regno [7], a una casa [8], ad un ovile [9], ad un gregge [10]. Tale Chiesa così meravigliosamente costituita, morti il suo Fondatore e gli Apostoli, che primi la propagarono, non poteva assolutamente cessare ed estinguersi, poiché ad essa era stato affidato il compito di condurre alla salvezza eterna tutti gli uomini, senza distinzione di tempo e di luogo: « Andate adunque e insegnate a tutte le genti » [11]. Ora, nel continuo adempimento di questo ufficio, potranno forse venir meno alla Chiesa il valore e l’efficacia, se è continuamente assistita dallo stesso Cristo, secondo la solenne promessa: « Ecco, io sono con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo »? [12].- Necessariamente, quindi, non solo la Chiesa di Cristo deve sussistere oggi e in ogni tempo, ma anzi deve sussistere quale fu al tempo apostolico, se non vogliamo dire — il che è assurdo — che Cristo Signore o sia venuto meno al suo intento, o abbia errato quando affermò che le porte dell’inferno non sarebbero mai prevalse contro la Chiesa [13]. – E qui si presenta l’opportunità di chiarire e confutare una falsa opinione, da cui sembra dipenda tutta la presente questione e tragga origine la molteplice azione degli acattolici, operante, come abbiamo detto, alla riunione delle Chiese cristiane. – I fautori di questa iniziativa quasi non finiscono di citare le parole di Cristo: « Che tutti siano una cosa sola … Si farà un solo ovile e un solo pastore » [14], nel senso però che quelle parole esprimano un desiderio e una preghiera di Gesù Cristo ancora inappagati. Essi sostengono infatti che l’unità della fede e del governo — nota distintiva della vera e unica Chiesa di Cristo — non sia quasi mai esistita prima d’ora, e neppure oggi esista; essa può essere sì desiderata e forse in futuro potrebbe anche essere raggiunta mediante la buona volontà dei fedeli, ma rimarrebbe, intanto, un puro ideale. Dicono inoltre che la Chiesa, per sé o di natura sua, è divisa in parti, ossia consta di moltissime chiese o comunità particolari, le quali, separate sinora, pur avendo comuni alcuni punti di dottrina, differiscono tuttavia in altri; a ciascuna competono gli stessi diritti; la Chiesa al più fu unica ed una dall’età apostolica sino ai primi Concili Ecumenici. Quindi soggiungono che, messe totalmente da parte le controversie e le vecchie differenze di opinioni che sino ai giorni nostri tennero divisa la famiglia cristiana, con le rimanenti dottrine si dovrebbe formare e proporre una norma comune di fede, nella cui professione tutti si possano non solo riconoscere, ma sentire fratelli; e che soltanto se unite da un patto universale, le molte chiese o comunità saranno in grado di resistere validamente con frutto ai progressi dell’incredulità. – Così, Venerabili Fratelli, si va dicendo comunemente. Vi sono però taluni che affermano e ammettono che troppo sconsigliatamente il protestantesimo rigettò alcuni punti di fede e qualche rito del culto esterno, certamente accettabili ed utili, che la Chiesa Romana invece conserva. Ma tosto soggiungono che questa stessa Chiesa corruppe l’antico cristianesimo aggiungendo e proponendo a credere parecchie dottrine non solo estranee, ma contrarie al Vangelo, tra le quali annoverano, come principale, quella del Primato di giurisdizione, concesso a Pietro e ai suoi successori nella Sede Romana. Tra costoro ci sono anche alcuni, benché pochi in verità, i quali concedono al Romano Pontefice un primato di onore o una certa giurisdizione e potestà, facendola però derivare non dal diritto divino, ma in certo qual modo dal consenso dei fedeli; altri giungono perfino a volere lo stesso Pontefice a capo di quelle loro, diciamo così, variopinte riunioni. Che se è facile trovare molti acattolici che predicano con belle parole la fraterna comunione in Gesù Cristo, non se ne rinviene uno solo a cui cada in mente di sottomettersi al governo del Vicario di Gesù Cristo o di ubbidire al suo magistero. E intanto affermano di voler ben volentieri trattare con la Chiesa Romana, ma con eguaglianza di diritti, cioè da pari a pari; e certamente se potessero così trattare, lo farebbero con l’intento di giungere a una convenzione la quale permettesse loro di conservare quelle opinioni che li tengono finora vaganti ed erranti fuori dell’unico ovile di Cristo. – A tali condizioni è chiaro che la Sede Apostolica non può in nessun modo partecipare alle loro riunioni e che in nessun modo i cattolici possono aderire o prestare aiuto a siffatti tentativi; se ciò facessero, darebbero autorità ad una falsa religione cristiana, assai lontana dall’unica Chiesa di Cristo. Ma potremo Noi tollerare l’iniquissimo tentativo di vedere trascinata a patteggiamenti la verità, la verità divinamente rivelata? Ché qui appunto si tratta di difendere la verità rivelata. Gesù Cristo inviò per l’intero mondo gli Apostoli a predicare il Vangelo a tutte le nazioni; e perché in nulla avessero ad errare volle che anzitutto essi fossero ammaestrati in ogni verità, dallo Spirito Santo [15]; forse che questa dottrina degli Apostoli venne del tutto a meno o si offuscò talvolta nella Chiesa, diretta e custodita da Dio stesso? E se il nostro Redentore apertamente disse che il suo Vangelo riguardava non solo il periodo apostolico, ma anche le future età, poté forse l’oggetto della fede, col trascorrere del tempo, divenire tanto oscuro e incerto da doversi tollerare oggi opinioni fra loro contrarie? Se ciò fosse vero, si dovrebbe parimenti dire che la discesa dello Spirito Santo sugli Apostoli e la perpetua permanenza nella Chiesa dello stesso Spirito e persino la predicazione di Gesù Cristo da molti secoli hanno perduto ogni efficacia e utilità: affermare ciò sarebbe bestemmia. Inoltre, l’Unigenito Figlio di Dio non solo comandò ai suoi inviati di ammaestrare tutti i popoli, ma anche obbligò tutti gli uomini a prestar fede alle verità che loro fossero annunziate « dai testimoni preordinati da Dio » [16], e al suo precetto aggiunse la sanzione « Chi crederà e sarà battezzato, sarà salvo; ma chi non crederà, sarà condannato » [17]. – Ma questo doppio comando di Cristo, da osservarsi necessariamente, d’insegnare cioè e di credere per avere l’eterna salvezza, neppure si potrebbe comprendere se la Chiesa non proponesse intera e chiara la dottrina evangelica e non fosse immune da ogni pericolo di errore nell’insegnarla. Perciò è lontano dal vero chi ammette sì l’esistenza in terra di un deposito di verità, ma pensa poi che sia da cercarsi con tanto faticoso lavoro, con tanto diuturno studio e dispute, che a mala pena possa bastare la vita di un uomo per trovarlo e goderne; quasi che il benignissimo Iddio avesse parlato per mezzo dei Profeti e del suo Unigenito perché pochi soltanto, e già molto avanzati negli anni, imparassero le verità rivelate, e non per imporre una dottrina morale che dovesse reggere l’uomo in tutto il corso della sua vita. – Potrà sembrare che questi pancristiani, tutti occupati nell’unire le chiese, tendano al fine nobilissimo di fomentare la carità fra tutti i cristiani; ma come mai potrebbe la carità riuscire in danno della fede? Nessuno certamente ignora che lo stesso apostolo della carità, San Giovanni (il quale nel suo Vangelo pare abbia svelato i segreti del Cuore sacratissimo di Gesù che sempre soleva inculcare ai discepoli il nuovo comandamento: « Amatevi l’un l’altro »), ha vietato assolutamente di avere rapporti con coloro i quali non professano intera ed incorrotta la dottrina di Cristo: « Se qualcuno viene da voi e non porta questa dottrina, non ricevetelo in casa e non salutatelo nemmeno » [18]. Quindi, appoggiandosi la carità, come su fondamento, sulla fede integra e sincera, è necessario che i discepoli di Cristo siano principalmente uniti dal vincolo dell’unità della fede. – Come dunque si potrebbe concepire una Confederazione cristiana, i cui membri, anche quando si trattasse dell’oggetto della fede, potessero mantenere ciascuno il proprio modo di pensare e giudicare, benché contrario alle opinioni degli altri? E in che modo, di grazia, uomini che seguono opinioni contrarie potrebbero far parte di una sola ed eguale Confederazione di fedeli? Come, per esempio, chi afferma che la sacra Tradizione è fonte genuina della divina Rivelazione e chi lo nega? Chi tiene per divinamente costituita la gerarchia ecclesiastica, formata di vescovi, sacerdoti e ministri, e chi asserisce che è stata a poco a poco introdotta dalla condizione dei tempi e delle cose? Chi adora Cristo realmente presente nella santissima Eucaristia per quella mirabile conversione del pane e del vino, che viene detta transustanziazione, e chi afferma che il Corpo di Cristo è ivi presente solo per la fede o per il segno e la virtù del Sacramento? Chi riconosce nella stessa Eucaristia la natura di sacrificio e di Sacramento, e chi sostiene che è soltanto una memoria o commemorazione della Cena del Signore? Chi Stima buona e utile la supplice invocazione dei Santi che regnano con Cristo, soprattutto della Vergine Madre di Dio, e la venerazione delle loro immagini, e chi pretende che tale culto sia illecito, perché contrario all’onore « dell’unico mediatore di Dio e degli uomini » [19], Gesù Cristo? Da così grande diversità d’opinioni non sappiamo come si prepari la via per formare l’unità della Chiesa, mentre questa non può sorgere che da un solo magistero, da una sola legge del credere e da una sola fede nei cristiani; sappiamo invece benissimo che da quella diversità è facile il passo alla noncuranza della religione, cioè all’indifferentismo e al cosiddetto modernismo, il quale fa ritenere, da chi ne è miseramente infetto, che la verità dogmatica non è assoluta, ma relativa, cioè proporzionata alle diverse necessità dei tempi e dei luoghi e alle varie tendenze degli spiriti, non essendo essa basata sulla rivelazione immutabile, ma sull’adattabilità della vita. Inoltre in materia di fede, non è lecito ricorrere a quella differenza che si volle introdurre tra articoli fondamentali e non fondamentali, quasi che i primi si debbano da tutti ammettere e i secondi invece siano lasciati liberi all’accettazione dei fedeli. La virtù soprannaturale della fede, avendo per causa formale l’autorità di Dio rivelante, non permette tale distinzione. Sicché tutti i cristiani prestano, per esempio, al dogma della Immacolata Concezione la stessa fede che al mistero dell’Augusta Trinità, e credono all’Incarnazione del Verbo non altrimenti che al magistero infallibile del Romano Pontefice, nel senso, naturalmente, determinato dal Concilio Ecumenico Vaticano. Né per essere state queste verità con solenne decreto della Chiesa definitivamente determinate, quali in un tempo quali in un altro, anche se a noi vicino, sono perciò meno certe e meno credibili? Non le ha tutte rivelate Iddio? Il magistero della Chiesa — che per divina Provvidenza fu stabilito nel mondo affinché le verità rivelate si conservassero sempre incolumi, e facilmente e con sicurezza giungessero a conoscenza degli uomini, — benché quotidianamente si eserciti dal Romano Pontefice e dai Vescovi in comunione con lui, ha però l’ufficio di procedere opportunamente alla definizione di qualche punto con riti e decreti solenni, se accada di doversi opporre più efficacemente agli errori e agli assalti degli eretici, oppure d’imprimere nelle menti dei fedeli punti di sacra dottrina più chiaramente e profondamente spiegati. Però con questo uso straordinario del magistero non si introducono invenzioni né si aggiunge alcunché di nuovo al complesso delle dottrine che, almeno implicitamente, sono contenute nel deposito della Rivelazione divinamente affidato alla Chiesa, ma si dichiarano i punti che a parecchi forse ancora potrebbero sembrare oscuri, o si stabiliscono come materia di fede verità che prima da taluno si reputavano controverse. – Pertanto, Venerabili Fratelli, facilmente si comprende come questa Sede Apostolica non abbia mai permesso ai suoi fedeli d’intervenire ai congressi degli acattolici; infatti non si può altrimenti favorire l’unità dei cristiani che procurando il ritorno dei dissidenti all’unica vera Chiesa di Cristo, dalla quale essi un giorno infelicemente s’allontanarono: a quella sola vera Chiesa di Cristo che a tutti certamente è manifesta e che, per volontà del suo Fondatore, deve restare sempre quale Egli stesso la istituì per la salvezza di tutti. Poiché la mistica Sposa di Cristo nel corso dei secoli non fu mai contaminata né giammai potrà contaminarsi, secondo le parole di Cipriano: «Non può adulterarsi la Sposa di Cristo: è incorrotta e pudica. Conosce una casa sola, custodisce con casto pudore la santità di un solo talamo » [20] Pertanto lo stesso santo Martire a buon diritto grandemente si meravigliava come qualcuno potesse credere « che questa unità la quale procede dalla divina stabilità ed è saldata per mezzo di sacramenti celesti, possa scindersi nella Chiesa e separarsi per dissenso di volontà discordanti » [21]. Essendo il corpo mistico di Cristo, cioè la Chiesa [22] uno, ben connesso [23]; e solidamente collegato, come il suo corpo fisico, sarebbe grande stoltezza dire che il corpo mistico possa essere il risultato di componenti disgiunti e separati. Chiunque perciò non è con esso unito, non è suo membro né comunica con il capo che è Cristo [24]. – Orbene, in quest’unica Chiesa di Cristo nessuno si trova, nessuno vi resta senza riconoscere e accettare, con l’ubbidienza, la suprema autorità di Pietro e dei suoi legittimi successori. E al Vescovo Romano, come a Sommo Pastore delle anime, non ubbidirono forse gli antenati di coloro che sono annebbiati dagli errori di Fozio e dei riformatori? Purtroppo i figli abbandonarono la casa paterna, ma non per questo essa andò in rovina, sostenuta come era dal continuo aiuto di Dio. Ritornino dunque al Padre comune; e questi, dimenticando le ingiurie già scagliate contro la Sede Apostolica, li riceverà con tutto l’affetto del cuore. Che se, come dicono, desiderano unirsi con Noi e con i Nostri, perché non si affrettano ad entrare nella Chiesa, «madre e maestra di tutti i seguaci di Cristo » [25]?Ascoltino le affermazioni di Lattanzio: a « Soltanto … la Chiesa cattolica conserva il culto vero. Essa è la fonte della verità; questo è il domicilio della fede, questo il tempio di Dio; se qualcuno non vi entrerà, o da esso uscirà, resterà lontano dalla speranza della vita e della salvezza. E non conviene cercare d’ingannare se stesso con dispute pertinaci. Qui si tratta della vita e della salvezza: se a ciò non si provvede con diligente cautela, esse saranno perdute e si estingueranno » [26]. Dunque alla Sede Apostolica, collocata in questa città che i Prìncipi degli Apostoli Pietro e Paolo consacrarono con il loro sangue; alla Sede « radice e matrice della Chiesa cattolica » [27], ritornino i figli dissidenti, non già con l’idea e la speranza che la « Chiesa del Dio vivo, colonna e sostegno della verità » [28] faccia getto dell’integrità della fede e tolleri i loro errori, ma per sottomettersi al magistero e al governo di lei. Volesse il cielo che toccasse a Noi quanto sinora non toccò ai nostri predecessori, di poter abbracciare con animo di padre i figli che piangiamo separati da Noi per funesta divisione; oh! se il nostro divin Salvatore « il quale vuole che tutti gli uomini si salvino e giungano alla conoscenza della verità » [29], ascoltando le Nostre ardenti preghiere si degnasse richiamare all’unità della Chiesa tutti gli erranti! Per tale obiettivo, senza dubbio importantissimo, disponiamo e vogliamo che si invochi l’intercessione della Beata Vergine Maria, Madre della divina grazia, debellatrice di tutte le eresie, aiuto dei Cristiani, affinché quanto prima ottenga il sorgere di quel desideratissimo giorno, quando gli uomini udiranno la voce del Suo divin Figlio « conservando l’unità dello Spirito nel vincolo della pace » [30]. Voi ben comprendete, Venerabili Fratelli, quanto desideriamo questo ritorno; e bramiamo che ciò sappiano tutti i figli Nostri, non soltanto i cattolici, ma anche i dissidenti da Noi: i quali, se imploreranno con umile preghiera i lumi celesti, senza dubbio riconosceranno la vera Chiesa di Cristo e in essa finalmente entreranno, uniti con Noi in perfetta carità. Nell’attesa di tale avvenimento, auspice dei divini favori e testimone della paterna nostra benevolenza, a Voi, Venerabili Fratelli, al clero e al popolo vostro impartiamo di tutto cuore l’Apostolica Benedizione.

 Dato a Roma, presso San Pietro, il 6 gennaio, festa della Epifania di N.S. Gesù Cristo, l’anno 1928, sesto del Nostro Pontificato.

PIUS PP. XI

[1] Ioann., XVII, 21.

[2] Ioann., XIII, 35.

[3] Hebr., I, 1 seq.

[4] Matth., XVI, 18 seq.: Luc., XXII, 32; Ioann., XXI, 15-17.

[5] Marc., XVI, 15.

[6] Ioann., III, 5; VI,48-59; XX, 22 seq.; cf. Matth., XVIII, 18; etc.

[7] Matth., XIII

[8] Cf. Matth., XVI, 18.

[9] Ioann., X, 16.

[10] Ioann., XXI, 15-17.

[11] Matth., XXVIII, 19.

[12] Matth., XXVIII, 20.

[13] Matth., XVI, 18.

[14] Ioann., XVII, 21; X, 16.

[15] Ioann., XVI, 13. 1

[16] Act., X, 41.

[17] Marc., XVI, 16.

[18] II Ioann., 10.

[19] Cf. I Tim., II, 5.

[20] De cath. Ecclesiae unitate, 6.

[21] Ibidem.

[22] I Cor., XII, 12.

[23] Eph., IV, 15.

[24] Cf. Eph., V, 30; I, 22.

[25] Conc. Lateran. IV, c. 5.

[26] Divin instit., IV, 30, 11-12.

[27] S. Cypr., Ep. 48 ad Cornelium, 3.

[28] I Tim., 111, 15.

[29] I Tim., II, 4.

[30] Eph., IV, 3.

Omelia della Domenica III di AVVENTO

Omelia della DOMENICA III DELL’AVVENTO

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. I -1851-]

(Vangelo sec. S. Giovanni I, 19-28)

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Superbia.

 Avevano i Giudei concepita una sì alta opinione di Giovanni il Battista per la sua vita irreprensibile, per l’austera penitenza, per la zelante predicazione, che credettero esser egli il Messia da Dio promesso, e da gran tempo da loro aspettato. Spedirono perciò da Gerosolima Sacerdoti e Leviti ad interrogarlo chi egli fosse, e s’era il Cristo tanto desiderato dalla loro nazione. Giovanni non si dimenticò di sé stesso.. Ben lungi dall’arrogarsi un nome sì glorioso, prese anzi motivo da un’interrogazione lusinghiera di vieppiù umiliarsi; “ … ed io, rispose, e ripeté la seconda e la terza volta, io non sono Cristo. Questi vive, ed è in mezzo a voi, e voi nol conoscete; dopo di me si farà manifesto, ed è tanto nella dignità e nella grandezza a me superiore, ch’io neppur son degno di sciogliere i legacci dei suoi calzari!”. “ Chi dunque sei tu? Tornarono a chiedergli, forse Elia, o alcun dei Profeti?” Non sono Elia, rispose, non sono Profeta, ma sono una voce, che va gridando nel deserto: preparate la via del Signore, “ego vox clamantis in deserto; parate viam Domini”. – Fin qui l’odierno Vangelo. Che dite, ascoltatori, di questa umiltà del Precursore di Gesù Cristo, del maggiore fra i Santi? Gl’inviati a far tante interrogazioni erano Farisei, gente gonfia della più fina superbia, dovevan confondersi in sentire l’umile confessioni del Battista. Ma no! Di guarigione difficilissima è un tal vizio; ed oh quanto regna nel mondo, e la virtù a questo opposta oh quanto nel mondo è sconosciuta! Contro di questa superbia è diretta la presente spiegazione, e per ridurre me stesso e voi a sbandirla dal nostro cuore, io passo a dimostrarvi prima il castigo di questa passione detestabile, poscia il rimedio nella virtù della cristiana umiltà …

I. Il castigo della superbia secondo l’ordine stabilito dalla giustizia di Dio, che necessariamente odia i superbi, è comprovato dalla speranza e dalla storia di tutti i secoli, è una vergognosa caduta. Il superbo si può paragonare ad un epilettico. Porta seco quest’infelice una malattia, che o per improvviso sconcerto del Cerebro, o per istraordinaria alterazione de’ nervi, ovunque lo colga, lo getta a terra, senza che possa stendere un braccio a suo riparo, fossa pur egli sull’orlo d’un precipizio. Tal è un superbo. Con questa legge però, dice un gravissimo autore (Scupoli), che quanto egli s’innalza superbamente, tanto miseramente precipita, e l’altezza del suo esaltamento è la precisa misura della profondità della sua caduta. Infallibile è il detto evangelico: “Qui se exàltat, humiliabitur” (Luc. XIV, 11). Né ciò deve far meraviglia, entra; qui il reale Profeta, conciossiachè la superbia un mostro, che ha un sol piede, e perciò non può a lungo contenersi in dritta positura. Immaginate un uomo, che si tenga sopra un piede solo. Con qualche sforzo si terrà diritto per poco d’ora, ma non potrà a lungo durare in quella situazione violenta. Se poi a quest’uomo si accosti una mano che l’urti, un nemico che lo spinga, sarà necessariamente stramazzato a terra. – E questa appunto la più viva. immagine della superbia, onde il citato re Profeta, a Dio rivolto, Signore, diceva, “non veniat mihi pes superibiæ, et manus pcccatorìs non moveat me” (Ps. XXV). E poi soggiunge. “Ibi ceciderunt qui operantur iniquitatem .. expulsi sunt, nec potuerunt stare”. Un’esperienza funesta, prosegue lo stesso reale Salmista, mi mostrò quanto sia certa e inevitabile la caduta de’ superbi. Ben mi ricordo d’un Saul, che sebbene da Dio riprovato, pure, sulle armi fidando e sui suoi armati, fu sconfitto da’ Filistei vincitori, e per disperato rimedio a sottrarsi dai loro insulti, si lasciò cadere sulla punta della sua spada applicata al petto. “Non salvatur Rex per multam virtutem (Ps. XXII, 16). Ben mi rammento del superbissimo Filisteo gigante, dispregiatore delle falangi del popolo di Dio, che. sfidando a singolar tenzone i prodi d’Israele, fu a terra steso pel colpo di un semplice pastorello qual io già fui, “et gigas non salvabitur in multitudine virtutis suæ” (). Ben mi si sveglia l’acerba memoria del mio figlio Assalonne, che per sfrenata ambizione di regnare mi mosse guerra, e in questa abbattuto, mentre sperava salvarsi su veloce destriero, per quel mezzo stesso sospeso pei suoi capèlli ad un ramo perdé la vita, ferito da tre colpi di lancia. “Fallax equus ad salutem in abundantia virtutis suae non salvabitur”:(ib. V. 17). – Un ritratto al naturale d’un gran superbo, e del suo straordinario e obbrobrioso castigo, ci presenta il Profeta Daniele nella persona di Nabucco re di Babilonia. Stava passeggiando costui nella sua reggia tutto gonfio; tutto in compiacenza di sé stesso, “in aula Babilonis deambalabat”; (Dan., IV, 26) e inebriato dalla propria stima si fa a rispondere a chi non l’interroga, a chi neppur è presente, “responditque” (Reg. XXVII). E come avesse intorno la turba de’suoi adulatori, “ … e non è questa, dice egli, quella gran città, quella Babilonia da me edificata? “Et ait: nonne haec est Babilon magna, quam ædificavi?” (Ibid.). Falso; Babilonia fu edificata da Belo, e da lui soltanto ingrandita: bugia manifesta, vizio proprio de superbi millantatori, che alla propria gloria fanno anche servir la menzogna. Indi crescendo la sua pazza alterigia, attribuisce alla forza di sua virtù, e a lustro della sua gloria, quanto vi ha di splendido e di grandioso nella sua reggia e nel suo regno, “in domum regni, in robore fortitudinis meae, et in gloria decoris mei” (Ibid.). Nello stesso, tempo in cui parlando il borioso si pascea di vento, ecco una voce improvvisa discende dal cielo: “a te Nabucco, a te si parla, tu sarai privo di regno, cacciato dalla reggia, e dalla comunanza degli uomini e da strana mania spinto al bosco e alla foresta, abiterai colle fiere, e ti pascerai come bestia irragionevole di fieno e d’erbe selvagge”. “Regnum tuum transibit a te, et ab hominibus eiicient te, et cum bestiis et feris habitatio tua, foenum quasi bos comedes” (Idem). – Fin qui il castigo di questi superbi umiliati è piuttosto nell’ordine delle umane cose, ed è meno a temersi. Quel che deve incutere timore e tremore è lo spirituale castigo, per cui si chiude al superbo il fonte d’ogni grazia celeste. “Deus superbis resistit” (Jacob. IV, 6). Io, dice il Crisostomo, amerei meglio aver tutt’i peccati del mondo coll’umiltà del pubblicano, che le virtù di tutti i santi del cielo con la superbia del fariseo. Con la prima si dileguano tutte le colpe, come neve in faccia al sole: con la seconda si dissipano tutte le virtù, come polvere in faccia al vento. Iddio neppur un istante soffrì nel cielo empireo il superbo Lucifero: la sua superbia da angelo lo fece demonio. Le ruinose cadute degli Eresiarchi s’attribuiscono tutte da S. Girolamo alla superbia. “Haereticorum mater superbia”. Oltre la perdita inestimabile della grazia e dell’eterna salute, permise Iddio a loro perpetua confusione che cadessero nel fango della disonestà, castigo proprio de’ superbi, che avvilisce lo spirito altero fino ad abbassarlo alla condizione de’ bruti. Così l’Anticristo, che sarà il più superbo degli uomini, sarà altresì’, dice il Profeta Daniele, il più immerso nelle carnali immondezze, “erit in concupiscentiis fæminarum” (Dan XI, 37).

II. A tanto male quale rimedio? Gesù Cristo, dice il Pontefice S. Gregorio, medico celeste, ha prescritto a tutt’i vizi l’opportuno rimedio; agli avari la liberalità, ai disonesti la continenza, agl’iracondi la mansuetudine, e l’umiltà ai superbi. Quest’ultima si distingue in umiltà d’intelletto e umiltà del cuore. L’umiltà d’intelletto è una cognizione del proprio essere, secondo i lumi della ragione e della fede. Per acquistarla basta uno sguardo al passato, al presente, e al futuro. “Semper in mente habea”, avviso di S. Bernardo, “quid fuisti? quid es? quid eris?” (in for. Honest. vitae). Uno sguardo al passato. Quid fuisti? Che cosa ero io venti, trenta, cinquanta, cento anni addietro: un nulla. Senza di me esisteva questo gran mondo. Se Dio s’eccettui , io né pur era nel numero delle cose possibili. Era dunque infinitamente più di me un filo d’erba, un atomo di polvere; dappoiché dall’essere al non essere passa un’infinita distanza. Era io dunque un nulla. Così è, così di sé stesso diceva il reale Profeta, “substantia mea tamquam nihilum ante te” (Ps. XXXVIII, 6); e il nulla di che può gloriarsi, di che può insuperbire? Uno sguardo al presente. Quid es? Che cosa è l’uomo se si separi il prezioso dal vile? Cioè quel che è dell’uomo, e quel ch’è di Dio? In quanto al corpo egli è un composto di quattro tra loro contrari elementi, che per la minima alterazione cagionano in noi tante infermità, tante doglie, tanti malori. Egli è, dice S. Bernardo, un vaso pieno di putredine, “vas stercorum”, un letamaio, di cui non può trovarsi il più vile, “vilius sterquilium numquam vidisti”. La putredine, soggiunge il S. Giobbe, è come il padre che lo genera, la madre che lo nutrisce, la sorella che l’accompagna col seguito di vilissimi vermi, Putredini dixi: Pater meus es: mater mea, et soror mea, vermibus”. (Giob. XVII, 14). Gran cose! Entra qui Papa Innocenzo parlando del disprezzo del mondo, gran cosa! Gli alberi producono foglie verdeggianti, fiori odoriferi, gustosi, e l’uomo vili e molesti insetti, putridi umori, flemme stomachevoli, fecce puzzolenti. O vergognosa condizione dell’umana viltà! “O indigna vilitatis humanæ conditio!”( 8 c. 3). In quanto poi allo spirito, è vero essere egli uno spirito nobilissimo, una immagine viva del suo Creatore, ma questa eccellente prerogativa non è sua propria. Ed oh quanto fu deformata dal peccato originale immagine sì bella! Ferita l’anima nelle sue facoltà, leso restò l’intelletto e propenso all’errore, lesa la volontà ed inclinata al male. Immaginate un serraglio di fiere selvagge, che affamate digrignano, ed alzano ruggiti, e poi dite, tal’è il cuore dell’uomo prevaricato, le cui passioni ne fanno crudo governo. Sente ora le spinte dell’iracondia, ora gl’impulsi della concupiscenza, quando l’odio l’infiamma, quando l’agghiaccia l’accidia, la superbia lo gonfia, l’invidia lo strugge, l’avarizia lo dissecca. In questo ammasso di tante disordinate pendenze, di tanti brutali appetiti, di che l’uomo potrà invanire, di che gloriarsi? – Uno sguardo finalmente al futuro. “Quid eris”? Che sarà un giorno di questo grande uomo? Già si sa, la morte lo spoglierà di tutto, lo toglierà per sempre dall’umana società, lo getterà a marcire in un sepolcro, ove divorato da schifosissimi vermi diverrà un nudo scheletro, che si ridurrà poi in tanta “polvere da poter entrare nel concavo di una mano, e con un soffio di bocca disperdersi per l’aria. “Quid superbis”, si può qui giustamente insultare all’umana alterigia, “quid superbis, terra, et cinis?” (Eccles. X, 9). Ma questo non è il tutto. Verrà tempo in che non si saprà se quest’uomo sia mai stato al mondo, perirà la sua memoria, e cadrà il suo nome in dimenticanza totale e perpetua: “oblivione delebitur nomen eius(Eccli. VI,4). Queste serie riflessioni ben ponderate ci portano all’umiltà di cognizione e d’intelletto. Ma ciò non basta. Anche un Filosofo è capace di quest’umile cognizione di se stesso. All’umiltà dell’intelletto fa d’uopo accoppiare l’umiltà del cuore. Gesù Cristo, come riflette il mellifluo dottore, non ebbe né aver poteva l’umiltà di intelletto, poiché quantunque vero uomo e in sembianza di peccatore, come vero ed eterno Figliuol di Dio, conosceva la sua divina eccellenza e l’infinito suo merito; “sciebat se ipsum”. (Serm. 42 in Cant.) Non pertanto per farsi nostro esemplare si è voluto appigliare all’umiltà del cuore, e di questa s’è fatto e proposto nostro maestro, invitandoci ad imitarlo, “discite a me, quìa mitis sum, et humilis corde”. (Matth. XI, 29). In effetti, Egli volle nascere umile e povero in una capanna, visse umile ed abbietto in una bottega, morì umile ed umiliato sopra una croce; e con queste divine lezioni ed eroici esempi d’estrema umiliazione potrà fra i cristiani trovarsi un superbo? Oh Dio! Cristo umile soffre gl’insulti e i disprezzi, e il cristiano superbo disprezza i suoi simili; Cristo umile nasce, vive e muore da vero povero, il cristiano superbo, a costo dell’anima propria e della sua eterna salute, vuol vivere e morire da malvagio ricco; Cristo umile implora perdono per i suoi crocifissori, il cristiano superbo vuol vendicarsi dei suoi nemici. Che strano diabolico contrapposto è mai questo? Un seguace di Gesù Cristo che fa tutto il rovescio di quanto insegnò e praticò Gesù Cristo, come merita il nome di cristiano, come può sperare di regnare un giorno con Cristo chi col fatto è nemico di Cristo? – Non ci lusinghiamo, miei cari. Quanto è necessario il battesimo per tutti i figli d’Adamo; quanto è necessaria la penitenza per i caduti in colpa mortale, tanto è necessaria l’umiltà per entrare nel regno de’ Cieli, “nisi effìciamini sicut parvuli, non intrabitis in regnum cælorum” (Matth. XVIII, 3). Colle stesse formule sta espressa nelle divine Scritture questa triplice necessità. A finirla. Tutt’i Beati del Cielo furono tutti umili, cominciando da Gesù Cristo, e dalla sua santissima Madre: tutti gli abitatori dell’inferno tutti i superbi, cominciando da Lucifero, e da’ suoi seguaci. La superbia è quella che danna, l’umiltà è quella che salva. Vedeste il castigo, udiste il rimedio, la scelta sta in vostra mano.

 

MADONNA DI LORETO

La traslazione della Santa Casa.

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Per la Santa Casa si intende quella piccola casa di Nazaret che fu abitata dalla Beatissima Vergine, insieme al Casto suo sposo S. Giuseppe, che fa distinta dall’Annunciazione fatta a Maria dall’Arcangelo Gabriele, e ove con Maria e Giuseppe, abitò per tanti anni il divin Redentore Gesù. Fin dai primi giorni del Cristianesimo, dessa per opera degli Apostoli fu convertita in una devota cappella, erigendovi un semplice altare con una croce di legno, sopra cui venne dipinta l’immagine del Redentore, e con una statua di cedro rappresentante la Madre di Dio, lavoro dell’evangelista S. Luca. Passata poi la Palestina sotto il dominio dei Mussulmani e trovandosi la Santa Casa esposta alle profanazioni degli infedeli il 10 Maggio 1291, gli Angioli la levaron da Nazaret e la portarono in Schiavonia fra Tersatto e Fiume nell’illirico.Non essendo quivi onorata come si conveniva, gliela levarono da quel luogo, e traversando il mare, la deposero in una selva del territorio di Recanati di cui era padrona una gentildonna detta Loreta, onde prese il nome di Santa Maria di Loreto. Il concorso dei devoti alla portentosa chiesuola venne ben presto disturbato da alcuni malfattori che, nel folto della selva annidaronsi per spogliare e maltrattare i concorrenti. Ond’è che gli Angioli ne la levarono e la portarono sopra un monte dello stesso territorio posseduto da due fratelli. Venuti questi in discordia per la cupidigia di appropriarsi ciascuno di tutte le offerte dei Fedeli, nel giorno 10 dicembre 1294, gli Angioli alzarono un’altra volta la Casa, e la portarono sulla via comune vicina a quel monte ove si trova anche al presente, posata sulla superficie della terra, senza fondamenti, lasciati a Nazaret. La sua forma è quadrangolare, di palmi 40 in lunghezza, 18 in larghezza e di 25 in altezza; presenta l’antico camino o focolare ancor nero, ed ha scavato nel muro un piccolo armadio che serviva di ripostiglio alle poche suppellettili più necessarie alla Sacra Famiglia, delle quali si conserva ancora una scodella di terra, che opera spesso grandi prodigi al sol toccarla, o col solo bevere per mezzo di essa un poco d’acqua.

Un perfetto fac simile di questa santissima Casa, con tutti i relativi ornamenti, fu con grande consolazione di tutti i buoni, costruita nel 1863 in Milano presso l’Ospitale dei Fate-bene-fratelli a S. Vittore in porta Vercellina (ora Magenta). Quanti si recano a visitarla, e sono sempre moltissimi, hanno il contento di poter vagheggiare in Milano quanto dal lato materiale si trova in Loreto. Di sì bell’opera, che può dirsi una nuova gloria della Lombarda Metropoli, si devesi il primo merito ai milanesi Oblatori, che ne somministrarono i mezzi ai sempre benemeriti Religiosi di S. Giovanni di Dio che ne sollecitarono l’effettuamento, dovrà sempre ricordarsi con speciale riconoscenza il pio e dotto milanese Sac. Don Domenico Giardini, Penitenziere nella Metropolitana, il quale assunta la direzione della bella opera, non rispamiò viaggi, cure e fatiche per procurare a quella nuova Santa Casa una imitazione così perfetta d’ogni più piccola sua parte col Santuario Loretano da costituire una specie di identità che fece meravigliare anche il piissimo vescovo di Lodi Monsignor Gaetano Benaglio, che nella gravissima età d’anni 95, ne fece la prima solenne inaugurazione. Ma torniamo a Loreto dove esiste la vera Santa Casa, in cui solo può dirsi con verità: Il divin Verbo, Qui si è fatto carne. Come immenso divenne il concorso a sì insigne Santuario, e innumerabili furono i prodigi che vi si operarono, così in breve tempo vi si costruirono in vicinanza diverse case per alloggio dei pellegrini, vi si stabilirono artefici e negozianti, e abitatori d’ogni condizione e d’ogni stato fino a formare una nuova bella città, e la Santa Casa venne rinchiusa in un vasto e magnifico tempio in cui anche attualmente si celebrano fino a 120 Messe per giorno, e ove i forestieri hanno il comodo di Penitenzieri che confessano in ogni lingua e di assistenti e Canonici che quotidianamente vi praticano le più solenni funzioni. Per tutto questo bisogna dirlo a gloria del vero, i recanatesi vi spiegarono per i primi il più ammirabile zelo. Il famoso Giubileo nel 1300, che portò a Roma centinaia e centinaia di forestieri, portò pure a Loreto un tal numero di devoti, che la fama del gran Santuario eccitò in breve l’ammirazione di tutto il mondo, per cui da ogni parte gli spedirono i doni più vistosi. Martino V concesse a Loreto pubbliche fiere: Nicolò V lo fortificò contro gli assalti dei pirati che spesso tentarono di saccheggiarlo. Pio II vi mandò a voto con un prezioso calice d’oro per implorare la propria guarigione. Il vescovo di Recanati nel 1458 gli fece dono di grandi poderi, e non molto dopo, il cardinale Pietro Barbo, attaccato dalla peste in Ancona, volle esser portato al Santuario di Loreto, dove si mise in orazione, e sorpreso da un placido sonno, si svegliò affatto guarito, e coll’orecchio ancor risuonante dell’avviso avuto in visione, che egli sarebbe Papa, come lo fu infatti nel 1464, e prese il nome di Paolo II, il quale volle si desse mano a surrogare al primo tempio una più ampia e maestosa Basilica, che fu opera di Bramante terminata sotto Giulio II, e da Leone X e Clemente VII, resa più ancora distinta per nuovi ornati. Fra i doni preziosi offerti alla Santa Casa meritano menzione una veste su cui scintillavano circa 4 mila diamanti, mandatavi da una Regina di Spagna; un’Aquila do oro brillante di 150 diamanti, offerta dall’Imperatrice Anna d’Astria; un Angelo d’argento, del peso di 35 libbre, che offriva sopra un cuscino pure d’argento un Regio Bambino d’oro del peso di 24 libbre; voto offerto da Luigi XIII nell’occasione che gli nacque il real successore; che fu poi Luigi XIV. Ah, so a questo divin Santuario non mai venerato abbastanza non possiamo offrire distinti pegni del nostro affetto alla sacra Famiglia che vi abitò, né ci è dato di recarci in persona a visitarlo, non lasciamo almeno stargli la nostra pietà col dirigere a Maria ss. le seguenti orazioni affine di appropriarci quei documenti che Dio intese di dare al mondo colla traslazione della Santa Casa e così assicurarci il conseguimento di quelle grazie che sono più necessarie per arrivare con certezza alla casa eterna della sua gloria.

ALLA MADONNA DI LORETO (10 Dicembre).

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I . Per quel giudizio di severità che voi esercitaste sopra quei popoli che possedevano per i primi la vostra santissima Casa, privandoli con aperto prodigiò di così ricco tesoro, perché rinnegando la vera fede, non ne facevano quel conto che essa si merita, otteneteci, o beatissima Vergine, di viver sempre in maniera da non provocare giammai la vostra collera contro di noi, niente essendovi di più spaventoso della perdita del vostro favore, il quale è confermazione di grazia in questa, assicuramento di gloria nell’altra. Ave.

II. Per quella benignità particolare con cui, a differenza d’ogni altro popolo della terra, voleste arricchire l’Italia dell’inestimabile tesoro della vostra Santissima Casa, e per quei tanti prodigi che accompagnarono il suo trasporto eseguito dagli angioli, dalla Palestina in Dalmazia, poi dalla Dalmazia a Recanati, fissando poscia la propria dimora in quell’amenissimo colle dei recanatesi dintorni che, dal nome della sua prima proprietaria, e dall’abbondanza dei lauri onde fu sempre abbellito, denominassi Loreto, otteneteci, o beatissima Vergine, di essere sempre riconoscenti a tanta vostra predilezione col venerare profondissimamente quei grandi misteri, e col praticare costantemente quelle eminentissime virtù cui voi, in unione del vostro divin Figliuolo, rendeste così santa e così celebre la vostra Casa. Ave.

III . Per quella magnificenza affatto nuova di cui per la pietà dei fedeli, venne rivestita la vostra Casa, cui sempre concorsero ad onorare i facoltosi coi loro doni, i poveri colle loro preghiere, i sacerdoti con i loro uffici, i Pontefici coi loro privilegi, otteneteci o beatissima Vergine, che noi veneriam sempre in spirito quelle sacre mura che furono santificate dal vostro alito, e quel pavimento che fu calcato dai vostri piedi, e di offrir sempre a Voi, come vi offeriamo in questo momento, tutto il nostro cuore con quello spirito di devozione con cui tanti vostri devoti afferirono alla vostra Casa l’oro il più puro e le gemme le più preziose. E come davanti alla vostra ss. Immagini in Loreto ardono continuamente innumerevoli lumi, così arda sempre di santo amore davanti a Voi il nostro cuore, onde dopo avervi venerata nella vostra casa qui in terra, passiamo per la vostra intercessione a partecipare per tutti i secoli alla vostra gloria su in cielo. Ave, Gloria.

The vatican exposed: LA TESI SIRI confermata dai dossier della CIA

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Riportiamo un brevissimo scritto tratto dal libro “The vatican exposed” [money, murder and mafia] di Paul L. Williams giornalista e scrittore Americano, già consulente per diversi anni dell’FBI a conoscenza di varie “magagne”, ben documentate dai rapporti della Cia che, un tempo segreti, sono stati poi desegretati e quindi resi pubblicabili. Tra le vicende più apparentemente “strane” del secolo scorso, il giornalista si è occupato di avvenimenti e vicende poco chiare legate al Vaticano e ad alcuni esponenti della gerarchia ecclesiastica vaticana, il tutto lucidamente sostenuto da documenti inoppugnabili, come i “dossier” appunto del Dipartimento di Stato oggi desegretati e consultabili da chicchessia. In alcune pagine del suo libro, Williams riporta stralci di dossier, peraltro confermati pure da altri autori, dei quali riporta la bibliografia, che riguardano il Conclave del 1958, Conclave nel corso del quale si è consumata la “TRUFFA” più colossale e meglio riuscita [… almeno per il momento] della storia dell’umanità: l’elezione di Papa Gregorio XVII, Cardinal Siri, e la sua sostituzione forzata con un “burattino”, l’antipapa G. Roncalli, sedicente Giovanni XXIII, massone programmato, gestito e manipolato dai pupari del potere giudaico-massonico per la distruzione spirituale dell’umanità, tappa pressoché finale del controllo mondiale della setta al servizio di lucifero. Eccone qui il contenuto, rimandando i più interessati agli approfondimenti, all’intero volume ed ai testi ivi segnalati in bibliografia. Tanto per avvalorare la cosiddetta “Tesi Siri”, contestata nel modo più pittoresco e grottesco possibile dai falsi occupanti i sacri palazzi e dai loro fiancheggiatori, i finti tradizionalisti delle Fraternità non-sacerdotali e dei sedevacantisti di nome o di fatto, che millantano diritti ed uffici usurpati gli uni, ed inesistenti continuità apostoliche gli altri.

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Paul L. Williams.

The vatican exposed [pp. 91-92]

… Pio XII aveva nominato cardinale Giuseppe Siri come suo successore designato (1): Siri era ferocemente anti-comunista, un tradizionalista intransigente in materia di dottrina della Chiesa, ed un burocrate esperto personalmente addestrato nelle complessità delle finanze vaticane da Bernardino Nogara. Inoltre, Siri aveva l’appoggio di un gruppo di cardinali noto come “il Pentagono.” Il gruppo comprendeva i cardinali Canali, Pizzardo, Muscara, Ottaviani, Mimmi, e Spellman. A questo gruppetto si opponeva una formazione composta da un gruppo progressista o anti-Pentagono di cui facevano parte il primate di Polonia Wyszynski, il cardinale indiano Garcia, i cardinali francesi, il cardinale Lercaro, e Roncalli. I progressisti erano preoccupati per l’irrigidimento del regime di Pio XII, per l’accentramento di tutto il potere e l’autorità nella persona del Papa, la mancata volontà di avviare la riforma, e per la crociata anti-comunismo che stava creando un abisso tra l’est e l’ovest. – Nel 1958, [26 ottobre –ndr.-] quando i cardinali furono rinchiusi nella Cappella Sistina per eleggere un nuovo Papa, eventi misteriosi cominciarono a svolgersi. Al terzo scrutinio, Siri, secondo fonti dell’FBI, ottenne i voti necessari e fu eletto come Papa Gregorio XVII. (2) Dal camino della Cappella sbuffò fumo bianco per informare i fedeli che era stato scelto un nuovo Papa. La notizia venne annunciata con gioia alle 18:00 dalla Radio Vaticana. L’annunciatore diceva: “Il fumo è bianco … Non c’è assolutamente alcun dubbio … è stato eletto un Papa.” (3) Furono allertati il Palatino e le guardie svizzere. Questi furono richiamati dalle loro caserme e si ordinò loro di recarsi alla Basilica di San Pietro per l’annuncio del nome del Santo Padre. – Ma il nuovo Papa non compariva … e cominciò così a sorgere la domanda se il fumo fosse bianco o grigio. Per sedare i dubbi, monsignor Santaro, segretario del Conclave dei cardinali, comunicava alla stampa che il fumo era da giudicarsi bianco e che quindi un nuovo Papa era stato eletto. L’attesa continuava. In serata la Radio Vaticana annunciava che i risultati rimanevano … incerti. Il 27 ottobre 1958 lo Houston Post titolava: “I Cardinali non riescono ad eleggere papa al 4° Ballottaggio: “Mix-Up in Smoke Signals”. Questa si è poi dimostrata una false notizia (4). – I rapporti in realtà erano stati veritieri … al quarto scrutinio, secondo fonti dell’Fbi, Siri ancora una volta otteneva i voti necessari per essere eletto Sommo Pontefice. Ma i Cardinali francesi [capitanati dal massone 33° Tisserand –ndr.-] annullarono i risultati, sostenendo che l’elezione avrebbe causato disordini diffusi e l’assassinio di numerosi vescovi di spicco dietro la cortina di ferro. “(5). – I cardinali hanno deciso quindi di eleggere il cardinale Federico Tedischini come “Papa di transizione”, ma Tedischini era troppo malato per accettare l’incarico. Infine, al terzo giorno di ballottaggio, Roncalli ottenne il supporto necessario per diventare “papa” Giovanni XXIII. I cardinali conservatori credevano che Roncalli, all’età di settantotto anni, fosse troppo vecchio per avviare la devastazione all’interno del Vaticano e pensavano potesse servire solo come un ” Papa guardiano ” fino al conclave successivo, ma … si sbagliavano. – Il primo atto di Giovanni XXIII come “papa” fu quello di nominare l’arcivescovo Giovanni Battista Montini, il suo compagno “progressista” che era stato “esiliato” al Nord Italia, “cardinale”. Nominò ventitré altri cardinali aggiuntivi per scongiurare qualsiasi tentativo da parte degli “ultras” (come il nuovo “papa” chiamava la vecchia guardia) per riprendere il controllo del Vaticano. Molti dei nuovi cardinali erano ben noti per i loro sentimenti di sinistra; altri venivano dai paesi del Terzo Mondo. (6) Tornando negli Stati Uniti dal conclave, il cardinale Spellman lo annunciava con disprezzo dicendo del nuovo “papa”: “… egli non è un Papa … ma dovrebbe andare a vendere le banane.” (7)

(1) Cooney: American Pope. New York Times books, 1988

(2) Department of State secret dispatch, “John XXIII”. News of this bizarre event was leakid to forein journalists, including Louis Remy, who later wrote an article intled “The Pope: Could He Be Cardinal Siri?” the article appeared in Sous la banniere 6 (July/August 1986).

(3) The annoncer’s words appeared in the London Tablet, November I, 1958, p. 387.

(4) Houston Post, October 27, 1958, pp. 1 and 7.

(5) Department of State secret file, “Cardinal Siri”, issue date: April 10, 1961, declassified: February 28, 1994.

(6) Manhattan, Murder in the Vatican, p. 37, Richard P. Mc Brien, Lives of the Popes –San Francisco: Harper, 1997, pp. 371-72.

(7) Cardinal Spellman, quoted in Cooney, American Pope, p. 261, New York Times books, 1988

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Dal “papa” che doveva andare a vendere le banane, siamo così passati alla “repubblica vaticana delle banane”! Se non ci fossero risvolti e conseguenze tragiche in tutto ciò per le anime perse per sempre, ci sarebbe dallo sbellicarsi dal ridere! Che Dio ci liberi quanto prima! [-ndr.-]

26 sistine-chapel-white-smoke[Il Papa è stato eletto! … 26-X-1958]