“L’uomo saggio costruisce la sua casa sulla roccia”

“L’uomo saggio costruisce la sua casa sulla roccia” –

[una meditazione di Fr. UK, sacerdote di S. S. Gregorio XVIII]

 Conosciamo tutti dal Vangelo di San Matteo questo importante insegnamento di Nostro Signore Gesù Cristo che parla di due uomini, un uomo saggio ed un uomo stolto, che incarnano due tipologie di persone. – Possiamo cominciare da qui: “Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci. Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dalle spine, o fichi dai rovi? Così, ogni albero buono produce buoni frutti, e l’albero cattivo produce frutti cattivi. Un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni. Ogni albero che non produce frutti buoni, viene tagliato e gettato nel fuoco. Perciò dai loro frutti li conoscerete”(Matteo VII, 15-20). – E continuiamo: – “Ognuno, pertanto, che ascolta queste mie parole, e le mette in pratica, sarà paragonato ad un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia (qui aedificavit domum suam supra petram), Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, e i venti soffiarono e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia (fundata enim erat eccellente petram); e chiunque ascolta queste mie parole, e non le mette in pratica, sarà simile ad un uomo stolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia, cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde, e grande fu la sua rovina “(Matteo VII: 24-27). – Chi è un uomo saggio e perché egli è saggio? – Un uomo saggio è colui che ascolta le parole di Nostro Signore, e ha costruito la sua casa sulla roccia. – Chi è invece un uomo stolto e perché è stolto? – Un uomo stolto è colui che ascolta le parole di Nostro Signore, ma ha costruito la sua casa sulla sabbia. – E ora vedremo che cosa significhi: 1) ascoltare le parole di nostro Signore e costruire una casa sulla roccia, ed 2) ascoltare le parole di nostro Signore e costruire una casa sulla sabbia. – Vediamo quello che il Signore ha detto, appena prima di questo. – Egli ha detto che molte persone pensavano di aver fatto (in foro esterno) cose buone: hanno detto al Signore che hanno pregato per Lui, hanno profetizzato nel suo Nome, scacciato i demoni nel suo Nome, e fatto molti miracoli nel suo Nome. Ma comunque, il Signore disse loro che non li conosceva, e dovevano andar via da Lui, perché erano operatori di iniquità: “Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa volontà del Padre mio che è nei cieli: questi entrerà nel regno dei cieli! Molti mi diranno in quel giorno: “Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demòni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome” … ma Io dichiarerò loro: non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi che operate iniquità “(Matteo VII: 21-23). – Nel contesto di questo insegnamento di Nostro Signore, possiamo vedere chi sia l’uomo saggio e lo stolto, visto che le cose sembrano simili tra loro. Ma c’è una differenza essenziale tra di loro. – La differenza è che quelle persone che costruiscono le loro case sulla roccia sono sagge Omnis ergo qui audit verba mea hæc, et facit ea, assimilabitur viro sapienti, qui ædificavit domum suam supra petram”. (Matteo VII,24), ma l’altro tipo di persone, coloro che costruiscono le loro case sulla sabbia, sono stolte: “et omnis, qui audivit verba mea hæc, et non facit ea, similis erit viro stulto, qui ædificavit domum suam super arenam” (Matteo VII:26 ). – Perché il Signore dice che l’uomo saggio è colui che ha costruito la sua casa sulla roccia? – Perché l’uomo che ha ascoltato le parole di Dio, infatti, e si è sottomesso alla volontà di Dio, ed ha costruito la sua casa (la vita) sulla roccia (fondamento) che Dio ha comandato, poiché Dio stesso ha costruito la sua casa sulla roccia, che è Pietro: “E io ti dico: tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa” (Et ego dico tibi, quia Tu es Petrus, et super-hanc petram aedificabo ecclesiam meam, et portæ inferi non prævalebunt adversus eam) (Matteo XVI:18). – San Pietro, per volontà del Signore, è stato scelto per essere la roccia della Chiesa di Dio, di modo che un uomo che ha costruito la sua casa (la vita) su questa pietra, è un uomo saggio … “un albero buono produce frutti buoni ed entrerà nel regno dei cieli “. – Ma, al contrario, un uomo che non ha costruito la sua casa (la sua vita) su questa pietra (basamento), come Dio ha comandato, è uno stolto, perché ha costruito la sua casa sulla sabbia. E non importa quante volte queste persone abbiano detto: “Signore, Signore”, o “profetizzato”, o “scacciato i demoni, e abbiano fatto molti “miracoli” … questi uomini sono operatori di iniquità, e Dio non li conosce, sono falsi profeti, essi sono l’albero cattivo che produce frutti cattivi, e questo è il motivo per cui Dio manderà quegli uomini stolti direttamente “nel fuoco”! – Così, in questo semplicissimo insegnamento, possiamo vedere le dirette conseguenze del lavoro di un uomo saggio e del lavoro di un uomo stolto: 1) ogni uomo, che ha costruito la sua casa su San Pietro, parte integrante della Casa di Dio, quest’uomo con la sua casa (la vita) appartiene al regno dei cieli! 2) La casa che ogni uomo ha costruito sulla sabbia, è parte integrante della casa del Diavolo, ed un uomo del genere non appartiene al regno dei cieli, poiché lui con la sua casa “è caduto, e grande è stata la sua rovina.” – In conclusione, si vede dal Vangelo di Nostro Signore, che Egli dice a tutti … Egli vuole che tutti entrino nel regno dei cieli, che è già iniziato sulla terra. Il Regno dei Cieli in terra è la Chiesa di Gesù Cristo, che Egli ha costruito su San Pietro e tutti i successori di San Pietro … “e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa”. – Il 26 ottobre del 1958 è stato eletto il vero successore di San Pietro, che ha scelto il nome di Gregorio XVII, e dopo di lui, il 3 maggio 1991 è stato eletto un nuovo Pontefice che ha scelto il nome di Gregorio XVIII (il 262° successore di San Pietro). Il primo è stato in una prigione e il secondo è in esilio. E infatti il primo è stato la vera roccia, ed il secondo è la vera roccia. – Sia lodato Dio per la sua roccia, su cui tutti hanno ancora la possibilità di costruire una casa, e quindi diventare un “uomo saggio”. – Sii un uomo saggio!

23 gennaio 2016

J.-J. GAUME: La profanazione della DOMENICA [lett. X e XI]

LETTERA X.

LA PROFANAZIONE DELLA DOMENICA:

ROVINA DELLA SANITÀ  (1)

3 giugno.

Signore e caro amico,

I.

Gli empi hanno viscere di bronzo [Viscera autem impiorum crudelta”. (Prov. XII, 10]. Verificato per lutti i fatti dell’istoria, e per le particolarità circostanziate contenute nella mia ultima epistola, questo motto delle nostre divine scritture, va ad esserlo abbondantissimamente per le considerazioni che oggi io vi presento. Gli empi, i quali introdussero infra noi la profanazione della domenica, come pur troppo i loro continuatori in questa opera d’iniquità, strapparono al popolo i soli beni che egli possedeva. Non contenti di avergli tolto la sua religione, i suoi godimenti di famiglia, la sua libertà, il suo benessere, il sentimento della sua dignità, gli vogliono ancora strappare l’ultimo conforto che gli rimane: la sanità. La fortuna dell’artigiano è la sua sanità. Ora la profanazione della domenica ne diventa la rovina. Da un canto, l’uomo non può del continuo operare, essendo di necessità che si riposi; dall’altro, non può riposarsi che nella domenica alla chiesa, od il lunedì alla taverna. Deggio io in prima di tutto stabilire la mia proposizione; e quindi ricercherò quali sono le conseguenze igieniche di questo doppio riposo.

II.

Da principio, l’uomo non può incessantemente lavorare. L’arco ognora teso ben tosto perde l’elasticità sua. Parimenti quell’uomo, che volesse continuamente lavorare, non lavorerebbe lunga pezza. Le infermità precoci, l’affievolimento degli organi e le malattie d’ogni specie non tarderebbero guari a vendicare la natura oltraggiata nelle sue leggi, e a condannare ad una feria forzata il temerario che avrà disdegnato d’accordarsi il riposo comandato dal Creatore. Il riposo è adunque una legge pel mortale: siccome questi non può vivere senza mangiare, cosi pure viver non può senza riposare. – Volentieri, o mal volentieri, è necessario che ciascuna sera egli ubbidisca a questo bisogno imperioso, di cui niuna scoperta, niun sistema, niun progresso valse infino al presente a renderlo padrone. – Ma siffatto riposo di ciascun giorno basta esso per confortare in una giusta misura le forze del mortale, e conservarlo lungamente in un’età di vigore e di sanità? Domandiamone la risposta non ai teologi ed ai padri della Chiesa, ma ai filosofi i meno sospetti, ai medici i più esperimentati, ai fisiologisti i più abili tanto in Francia che altrove. Ecco in sulle prime un filosofo contro a cui hanno nulla da obbiettare coloro, i quali noi combattiamo: « Che debbesi mai pensare, domanda Rousseau , di coloro che vogliono torre al popolo le sue feste, come altrettante distrazioni, che lo allontanano dal lavoro? Cotesta massima è barbara e falsa. Tanto peggio se il popolo non abbia spazio che per guadagnar il suo pane; fa d’uopo ancora che ne ritenga per mangiarlo con gioia; senza di che egli non raccorrà grande pezza. Iddio giusto e benefattore, il quale esige che si occupi, vuole altresì che si ricrei. La natura a lui impone ugualmente l’esercizio e il riposo, il piacere e la pena. L’avversione al lavoro aggrava più l’infelice, che l’istesso lavoro. Volete voi rendere un popolo attivo e laborioso? Date a lui delle feste…. De’ giorni così consumati infonderanno lena agli altri » .- Secondo Rousseau, il riposo ebdomadario di un sol giorno non bastando, fa di mestieri per entro regolati intervalli, d’avere un riposo più compiuto. « Havvene neressità, soggiunge Cabanis, ne’ laboratori chiusi; sopratutto in quelli nei quali l’aria si rinnova con difficoltà. Quivi, le forze muscolari ratto ratto diminuiscono, la riproduzione del calore animale languisce, e gli uomini di complessione la più robusta contraggono il temperamento mobile e capriccioso delle femmine. Lungi dall’influenza di questa aria salubre, e di questa viva luce, di cui si fruisce sotto la vòlta del cielo, il corpo languisce in qualche maniera, come una pianta priva dell’aria, e del giorno; il sistema nervoso può degenerare in torpore, e troppo sovente, non ne esce, che per irregolari eccitamenti. – « Non se ne abbisogna di meno, aggiunge un giudizioso osservatore, nei laboratori più coperti, dove si raduna un gran novero di operai. L’esercizio istesso della loro professione e la loro agglomerazione non tarda troppo ad infettar l’aria…. l’atmosfera si trova presto presto piena e zeppa d’acido carbonico, di miasmi mortiferi, di polvere e di molecole metalliche, cose tutte, le quali introducono negli organi polmonari degli agenti di distruzione più o meno rapida. Così, quasi per tutto dove esistono manifatture, fabbriche ed altre case d’industria di qualunque genere siasi, che esigano il concorso d’una grande quantità di braccia, si produce tosto una specie di degenerazione, la quale si manifesta prontamente presso gl’individui. » Facce pallide, le quali conservano un’espressione dura e spiacevole, costituzione diafana negli uomini, fisionomia bacata e dolorosa nelle femmine, bamboli, che portano dal loro entrare nella vita le marche, indelebili della maledizione che sembra pesare in sur gli autori de’ loro giorni; sono l’affliggente spettacolo che presentano comunemente queste riunioni di operai. Se, per nutricare le famiglie loro, dovettero eglino curvarsi durante tutta la settimana sovra il mestiere o i banchi loro, nella domenica almeno possa ciascun di essi rimettersi dalle tollerate fatiche e ringagliardire le forze, colle quali sia in grado di riprendere l’opera con una novella energia». « Esso è necessario agli uomini, i quali affaticano al di fuori e portano il peso del giorno. Di questi stando gli uni esposti al sole, alla pioggia, al vento ed a tutte le intemperie delle stagioni, lavorano la terra, e depongono nel seno d’essa, colla semenza che fruttificherà, una porzione della forza e vita loro. Gli altri tagliano con lunghi sforzi le foreste e le rupi, quelli si seppelliscono nelle viscere della terra, ed avventurano l’esistenza loro nel seno dei vapori letali, cui occultano le profondità del globo, esposti alle frane ed a mille accidenti d’ogni specie. Chi non capisce quanto tutte queste persone di professioni così travagliose abbisognino d’un riposo riparatore? » Esso è necessario agii uomini di gabinetto il lavoro dei quali agisce più che ogni altro mai d’una maniera dannosa sovra la sanità. Esso è necessario particolarmente eziandio al commerciante seduto al suo banco, ed a coloro cui egli associa alla sua solitudine. Per poco che si rifletta circa il prodigioso raddoppiamento d’attività, necessitato per lo sviluppo dell’industria, per l’accrescimento rapido delle relazioni commerciali, per l’estensione delle operazioni giornaliere de’ diversi stabilimenti di negozio, si resta persuaso che una giornata periodica di riposo è divenuta più necessaria che giammai. Dal tempo de’ nostri padri, le case istesse le più modeste, nelle quali vendevansi degli oggetti necessari di consumazione, avevano in tutti i dì certe ore di requie, durante le quali il mercatante rinchiudevasi per liberamente mangiare, e per abbandonarsi alcuni istanti ad un assoluto riposo. Chiunque fossesi presentato per comperare, l’avrebbero invitato gentilmente a ritornare in un altro momento.» Presentemente, non vi ha più respiro. – Il mercatante e ’l suo commesso trangugiano frettolosi i loro pasti senza interrompere le operazioni, i calcoli loro, ed in alcune città le fatiche del commerciante sono ancora aumentate per veglie soventemente protratte, donde viene quella caterva di malattie, le quali riempiono le pagine delle fisiologie medicinali. Lungi impertanto, che il giorno di festa sia divenuto meno vantaggioso per codesta classe di persone, debbesi riconoscere al contrario, che per esse bisognerebbe inventarlo, se non esistesse; imperciocché egli è forse a queste stesse che i suoi benefizj sono maggiormente proficui » [Perennès, Institulion du dimanche, p. 112. Àn. IV. — La Prof, , ecc].

III.

Egli è adunque evidentissimo, che il riposo ordinario di ciascun giorno non basta punto all’uomo; la sua sanità esige di tanto in tanto un riposo compiuto. Tale è la conclusione della scienza, e noi vedremo in breve che tale è pur anco quella dell’esperienza. Io dico male; imperocché di già la nostra esperienza personale non ci lascia alcun dubbio sovra di siffatto soggetto. Ma a quali intervalli debbe rivenire questo riposo per esser veramente riconfortatore? Se i giorni che voi feriate, son troppo frequenti, la ristrettezza, l’affanno della mancanza di lavoro, e le conseguenze funeste ch’essa ingenera, alterano la vostra instituzione. Se intervalli troppo grandi li separano, l’inconveniente della fatica eccedentemente prolungata sussiste, e il riposo incompiuto non inanimirà che a metà lo smarrimento delle forze. Trovansi soltanto due mezzi per risolvere questo importante problema, la rivelazione e l’osservazione. Ora il Signore, che creò l’ uomo, e ne misurò le forze, a lui intimò: “Tu ti riposerai il settimo giorno”. E qualunque siasi scienza, qualunque siasi filosofia s’inchinò mutola avanti la legge del Signore. S’attentarono esperimenti con grande schiamazzo per sostituirle delle leggi umane, e queste effimere leggi sono divenute oggetto di derisione e disprezzo. Tu ti riposerai nel settimo dì, qualunque sia la natura delle tue occupazioni, e ciò sotto pena di più grave pericolo per la tua sanità ed anche per la tua vita: tale è eziandio la conclusione a cui conduce l’osservazione profonda delle leggi fisiologiche del mortale. Prestiamo l’orecchio intorno a ciò ad un celebre medico protestante, il dottore Farr. In un rapporto indirizzato al Parlamento, egli s’esprime cosi: «L’osservanza della domenica deve essere annoverata non solamente infra i doveri religiosi, ma anche tra i doveri naturali, se la conservazione della propria vita è un dovere, e se uno è colpevole di suicidio distruggendola prematuramente. Io non parlo qui che come medico, e senza occuparmi in niuna maniera della questione teologica [Archives du Chist., 1835, p. -183 et seg.]. – Perciò, a meno d’accusare l’Altissimo istesso d’imprevidenza, la rivelazione di menzogna, l’osservazione la più coscienziosa di vaneggiamento, od i nostri esperimenti personali d’illusione, fa di mestieri riconoscere due cose: la prima che il riposo è necessario all’ uomo; la seconda che il riposo ordinario di ciascun giorno non basta, e che abbisogna dargli un riposo più compiuto, un giorno sovra sette. – Argomento questo che trionfa ormai d’ogni contrario insegnamento. – Potrebbesi obbiettare l’esempio dei Cinesi e degl’Indiani, i quali non rispettano il riposo del settimo dì. Io rispondo: 1° che questi popoli nulladimeno in differenti stagioni hanno dei giorni di riposo, come al principiar del novello anno, che celebrano per otto e dodici giorni di solennità; al piccolo novello anno, cioè a metà, dell’annata, ed anche al rinnovellamento della luna; 2° che in conseguenza delle loro preoccupazioni esclusivamente matèrialiste, essi sono snervati: la mollezza, la poltroneria formano il carattere loro; l’immoralità è presso de’ medesimi al suo stremo; la miseria in permanenza; le malattie epidemiche vi sono più terribili e più frequenti; 3° che a cagione della diversità del clima, e dell’abitudine, che gli obbligano a protrarre assai più, che noi il riposo quotidiano, è possibile che il riposo regolare del settimo dì loro sia meno necessario. Ma in Europa, colla nostra attività indefessa, e colla nostra vocazione intellettuale, si comprende ugualmente l’indispensabile necessità d’un riposo regolare.

LETTERA. XI.

LA PROFANAZIONE DELLA DOMENICA

ROVINA DELLA SANITÀ ( Seguito ).

10 giugno.

I.

Signore e caro amico, Quello che mi scrivete voi nella vostra risposta dell’incredulità di certi uomini intorno al fatto di Rimini, non debbe punto istupirvi, eppure tiene del prodigioso. Ecco per verità degli uomini che si vantano per ispiriti forti, per ispiriti superiori, per ispiriti estesi, e che lo credono ancora più di quello che lo dicono; degli uomini che, in ciascun giorno, ammettono, in sulla fede di due o tre de’ loro simili, degli aneddoti, de’falli, delle dottrine, delle quali mille altri pretendono aver ben molte ottime ragioni di dubitar, e che le ammettono come parola di Vangelo, come base di governo, come regola infallibile di condotta. E codesti stessi uomini, senza solida ragione, negano un fatto strepitoso, ripetuto cento fiale durante quindici giorni in presenza di miriadi di testimonj, sani di corpo e di mente, e che l’attestano come potrebbero attestare l’esistenza di sé. Ecco un’ostinazione, che certo ha del prodigioso, ma la pretendenza loro ne ha assai di più. Non vogliono eglino ammettere il miracolo di Rimini, e pretendono farne ammettere un altro, avanti il quale allibiscono tutti quelli che giammai si operarono, quell’istesso compresovi della creazione del mondo: questo è il miracolo dell’occhibagliolo in sessanta mila persone, durante quindici giorni 11! – In fallo di miracoli, voi vedete che l’incredulità vi largheggia alla grossa. Per me, tutto cattolico, che io mi sono, vi confesso che la mia fede non è punto abbastanza robusta per ingojare m simile smargiassone; e se non si può essere incredulo che a cotal prezzo, io vi rinuncio. – Voi mi richiedete del motivo di siffatta negazione la più ridicola; scrutato non già lo spirito, ma i1 cuore di codesti signori, e voi lo troverete. In un ripostiglio il più recondito di codesto povero cuore si rannicchia una ragione di non credervi, e questa ragione è un interesse: allora tutto a voi sarà spiegato. Lasciatevi voi sorprendere il dito per entro l’imboccatura de’ denti di certe macchine, e tutto il vostro corpo sarà costretto a passare fra mezzo de’ cilindri: Ammettere un miracolo, un solo, è lasciarsi cogliere dai denti del Cattolicismo. Ora, siate sicuro, che non ammetteranno questo miracolo, fosse ben anche questo la risurrezione d’un morto; poiché, a niun conto assolutamente vogliono essi lasciarsi guadagnare dal Cattolicismo, opponendovisi il loro interesse. – Se ne dubitate, io faccio con voi una scommessa. Supponiamo che domani l’assemblea legislativa decreti, che chiunque, in sul territorio della Repubblica francese, crederà che due e due fanno quattro, sarà obbligalo, sotto pena di morte, di confessarsi: non sono io peritoso di porre pegno che dopodomani si troveranno cinquanta giornali, e cinquantamila uomini, che avranno provato, per cinquanta ragioni, migliori le une delle altre, che due e due non fanno punto quattro; che ciò non è dimostrato; che essi non possono crederlo ; eh’essi non lo credettero mai. Ecco l’uomo! Egli è sempre il cuore che nuoce alla testa di lui.

II.

Lagnatevi unicamente con voi, se vi piace, signor Rappresentante, della mia digressione: è la vostra lettera che mi vi sospinse. Del resto, io non credo d’essermi troppo allontanato dal mio soggetto, conciossiachè abbia ancora odiernamente degli increduli a convincere. Ora, dopo avere istabilito 1’assoluta necessità del riposo settenario per la sanità, tratto la seconda parte della mia proposizione, e pronuncio che i1 mortale non può riposarsi che nella domenica – alla chiesa o nel lunedì alla biscazza. – Sostenendo che l’uomo non può riposarsi che nella domenica o nel lunedì, voi comprendete che non parlo d’un potere assoluto. Io so perfettamente ch’è libero all’uomo di scegliere, per suo riposo, il giorno a lui piacevole, ma io ragiono dietro un fatto costante, e passato in abitudine. Ora, questo fatto, che ciascun vede coi suoi occhi, è che in realtà il lavoro non vien sospeso, che nella domenica, o nel lunedì. Tale è la potenza di simile abitudine, che l’industriale, il negoziante, il lavorante, non

potrebbero senza eccitar la sorpresa generale, e concitarsi degli sberteggiamenti d’ogni natura, prendere il mercoledì, od il giovedì, per esempio, per darsi al riposo. – Fa d’uopo’ adunque eleggere infra la domenica e il lunedì, infra il riposo della chiesa, e i1 riposo delle biscazze. Disaminiamo quale dei due ò veramente ravvivante, veramente igienico.

III.

« Se si avverte, continua il dottore inglese di già citato. che la religione produce la pace dell’anima, la confidenza in Dio, i sentimenti interiori del benessere, non si tarderà a convincersi che essa è una fonte di vigore per lo spirito, e per l’intermedio dello spirito un principio di forze pel corpo. Il santo riposo della domenica infonde nel corpo un novello germe di vita. L’esercizio laborioso del corpo e dello spirito, ugualmente che la dissipazione delle sensuali voluttà, sono i nemici del mortale tanto, quanto una profanazione del sabbato, frattanto che le gioie della quiete nella famiglia, gioie unite agli studj ed ai doveri che impone il giorno del Signore, tendono a prolungar la vita umana. Quest’è la sola e perfetta scienza, la quale rende il presente più certo, ed assicura la felicità avvenire. » Egli è vero, che 1’ecclesiastico ed il medico debbono operare nella domenica pel vantaggio dèlla comunità; ma io ho riguardalo come essenziale alla mia conservazione di restringere il mio lavoro della domenica allo stretto necessario. Io ho osservato sovente la morte precoce de’ medici, i quali s’occuparono continuamente: e ciò sopratutto è visibile ne’ paesi caldi-. Quanto agli ecclesiastici, io loro consigliai di riposarsi in un altro dì della settimana. Ne conobbi parecchi che sono morti per cagione de’ loro lavori durante questi giorni, perché non avevano di seguito abbracciato un equivalente riposo. Conobbi pur anco de’ personaggi parlamentari che sidistrussero la sanità per aver negligentato questa economia della vita. Al postutto, all’uomo abbisogna che il suo corpo goda di requie un giorno sopra sette, e che il suo spirito si abbandoni ad un cangiamento d’idee, che conduce il giorno instituito per una ineffabile sapienza » [Archivi. du Christ., \ 835, 168]. – Di questa guisa , un’avventurosa diversione a’pensieri, i quali durante tutta la settimana occuparono lo spirito, ed affaticarono gli organi, la calma dell’anima, la tranquillità del cuore, la preghiera, la conversazione con se stesso e con Dio, la pompa delle cerimonie, la gravità e l’unzione della santa parola, il silenzio che regna dovunque, le gioie della famiglia, le rimembranze degli avi, di cui si visitò la tomba, l’aspirazione del1’essere tutto intero verso il cielo; tutte queste cose collocano l’uomo come in un nuovo mondo, lo fanno respirare in una atmosfera più pura, e sono meravigliosamente proprie a riposare insieme e i1 corpo e l’anima. Senza essere fisiologista, nè medico, si capisce senza pena quanto un somigliante riposo sia igienico e riparatore.

IV.

Tal è il riposo della domenica. N’è altrettanto di quello del lunedì? Evidentemente no: poiché il riposo del lunedì non è punto il riposo dell’anima e del corpo, il riposo del lunedì, esso è il riposo nella dissolutezza, atteso che cotesto è il riposo alle taverne. Lungi d’essere ravvivificatore, cotesto riposo è più letale che il lavoro. Crederassi forse, che l’eccesso nel nutrimento e nella bevanda; che l’uso esagerato de’ spiritosi liquori; che le veglie prolungale nell’orgia; che le passioni infiammate per lo vino, pei canti o pei discorsi osceni; che gli impeti di collera, le querele, le risse; che i rivoltamenti di tutte le abitudini d’ordine e dì sobrietà siano mezzi buoni ed igienici, capaci di supplire equivalentemente al salutare riposo della domenica, e perfettamente proprj a ristorare le forze sfinite, a rinfrancare il temperamento, e a conservare la sanità? Proporre la questione egli è risolverla. – Accordo io che la profanazione della domenica e i1 riposo funesto delle bettole, che n’è l’ordinaria sequela, non trascinino subitamente alla malattia od alla morte. Tuttavia tenete per certo che le invita 1’una e 1’altra. Non si burla punto impunemente di Dio: tanto di Dio autore delle leggi morali, le quali regolano le condizioni della vita dell’anima, quanto di Dio, autore delle leggi fisiche, le quali presiedono alla conservazione della vita, e della sanità del corpo. L’intemperanza del lavoro, come quella della mensa, è la violazione della prima legge igienica, che l’Onnipotente abbia dato al mortale, e l’intemperanza ne fa perire troppo più che non la spada. – Interrogate l’esperienza. Sovra chi principalmente si scagliano le malattie contagiose? Per chi si riserbano le febbri endemiche? In quali classi, tra quali persone il sudor maligno, e il cholera menarono di recente maggiore strage? Dovunque vi si ripeterà ch’è infra le classi lavoratrici e gli uomini, che la profanazione della domenica predisposto aveva a questi terribili flagelli, corrodendo la costituzione loro per un lavoro eccessivo, e sospingendoli all’intemperanza ed all’irregolarità nelle abitazioni di vivere; tale è la regola. Si contano tremila anni dacché il Creatore e’ i1 medico dell’uomo a questo predisse, che il cholera sarà la punizione dell’intemperanza, cio è del disprezzo delle leggi igieniche stabilite dalla Provvidenza, e tra queste leggi igieniche, noi lo provammo, quella che primeggia, è la legge del riposo ebdomadario [“Vigilia, cholera et tortura viro infrunito in multis escis erit infirmitas, et aviditas appropinquabit usque ad colera”. (Eccl. XXXI, 23; XXXVII, 53]. Quali rivelazioni spaventevoli, la scienza non avrebbe essa mai a farci in prova di ciò ch e io propongo, se essa volesse scrutinare, colla fiaccola della fede alla mano, le prime radici del suicidio, della follia , codeste epidemie morali, le quali si estendono al pari d’una schifosa lebbra in sur i popoli moderni! Né voi, né io, signore, ne dubitiamo, e niuno può dubitare: un ampio, un amplissimo posto è qui occupato per la violazione della legge igienica del riposo sacro. – Quello che io posso dire, è che secondo la testimonianza di accreditati medici, sopra cento casi di follia, novantadue deggiono essere attribuiti all’eccesso delle passioni, principalmente dell’orgoglio e della voluttà. Ma dove s’esaltano sopratutto le passioni delle classi lavoratrici, che formano i due terzi della Francia? Dove si riscaldano le teste ai ragionari anarchici, eccitatori dell’orgoglio; dove si scialacqua con disorbitanza il vino, padre della lussuria? Non è egli mai alle taverne? E chi mai le riempie? Non è essa forse in prima di tutto la profanazione della domenica? Quello che aggiungere posso ancora, si è che i Consigli di revisione constatano la degenerazione rapida della specie nei paesi, dove la domenica è abitualmente profanata, a tal segno che, in su cento giovanotti, se ne trovano appena venti che siano atti al servizio. – Quello che ultimamente posso io aggiungere, quantunque voi lo sappiate meglio di me, si è che le municipalità dei grandi centri d’industria reclamarono energicamente, ed a più riprese le misure le più urgenti per ottenere il riposo della domenica, e regolare le condizioni del lavorio che logora le popolazioni. A convincervi della trista situazione in cui queste trovansi, vi bastino questi pochi esempi. – Nel 1837 la Senna inferiore dovendo fornire un’contingente di 1,609 uomini, fu d’uopo riformarne 2,044. Così avvenne in Proporzione alle cillà di Rouen, Mulhouse, Elbeuf e Nimes. «Àl rapporto di ufficiali esperimentali, la costituzione de’ nostri soldati è, in generale, delle più deboli. Ne risulta una grande perdita d’effettivo lorquando si entra in campagna; e codesta conseguenza fu talmente rimarcata, che molti scrittori militari attribuirono allo stato fisico della nostra armata i disastri che nel 1813, e 1814 percossero la Francia.Sovra 300,000 coscritti, un terzo riparava all’ospedale nei due o tre primi mesi di campagna; imperocché questi poveri giovani, sì prodi in sul campo di battaglia, non avendo più la forza di portare le loro armi nelle marce forzate, o di bravare le intemperie delle scolte, soccombevano alla nostalgia, al tifo ed a tutte quelle infermità epidemiche che avevano riempiuto Dresda e Mayence nel 1813 e Parigi, nel 1814, di vaste e gloriose tombe » [Influence des fabriques etc.].

V.

Sarebbemi agevole il moltiplicare questi racconti affliggenti; ma essendo stati altrove registrati, io ne prescindo [Histoire de la Société domestique, t. II , ch. 8 e 9]. È impertanto sodamente stabilito che la legge della santificazione della domenica è una legge eminentemente igienica; e che per essa l’Eterno protegge la sanità dell’uomo contra un doppio pericolo: l’egoismo del padrone che vorrebbe esigere un lavoro mortifero, e l’ardore inconsiderato dell’operaio, pel lavoro, come gli eccessi di un funesto riposo. – Il mortale non volle tenerne conto, e tutta l’economia della sua esistenza venne intorbidata. Religione, società, famiglia, libertà, benessere, dignità, sanità, ricco patrimonio che formava la felicità de’ suoi avi, e che dovea far la sua, tutto cade in rovina, e codeste rovine, ch’egli non dimentica, sono umanamente irreparabili. Ancora un poco, e se non s’affretta di ricoverarsi sotto la legge, la quale sola garantisce tutti i beni, perirà corpo ed anima nelle convulsioni della più orrenda anarchia che giammai abbia spaventato il mondo, e niuno ne lo compiangerà. – Al contrario, tutti coloro i quali intenderanno questi gridi di dolore, scuoteranno il capo, e diranno: quest’è la sorte che a lui spetta; gli avvertimenti a lui non mancarono; volle egli correre al supplizio, sen corra adunque al supplizio; alla morte, che sen vada alla morte; alla miseria ed alla schiavitù, che sen vada alla miseria ed alla schiavitù [“Qui ad mortem ad mortem, et qui ad gladium ad gladium, et qui ad famem ad famem, et qui ad captivitatem ad captivitatem.” (Jerem ., XV, 2]. – Popolo sfortunato! abbi adunque infine pietà di te stesso: riconosci l’e rrore fatale del quale tu sei la vittima. Traviato per un sentimento funesto d’indipendenza, tu scuotesti il giogo di tuo padre; e come il prodigo del Vangelo, tu sei sdrucciolato in un’ignominiosa schiavitù. Tu ricercasti la gloria, ed hai trovato l’onta. « Povero popolo! quando mai aprirai tu gli occhi? Uomini di travaglio, servitori, operai, artigiani, immensa famiglia de’ lavoranti, sì diletta alla Chiesa, quando riconoscerete voi che siete burlati, e tratti in perdizione? Sì, si predicò a voi in nome della libertà il disprezzo della domenica. Eh! non sentite che il giogo si è aggravato in sugli omeri vostri, e che l’egoismo vi tratta ora con un’ alterigia insultante? Si fece al cospetto vostro una grande pompa delle perdite che vi cagiona il riposo religioso. Eh! Non vedete che esiste per voi un riposo più rovinoso e più umiliante, quello della taverna, e quello dell’infermità, necessaria conseguenza della dissolutezza o d’un lavoro smodato? Cristiani, riconoscete la vostra dignità; e, per comprenderla, venite in ciascheduna domenica a far corona a questa sacra tribuna, dove il sacerdote di Gesù Cristo vi ridirà la vostra origine tutta celeste, il prezzo della vostra redenzione, ch’è il sangue d’un Dio, il vostro sublime destino, ch’è la possessione d’una felicità senza fine e misura » [Mandement de monseigneur l’Évéque de Beauvais, 1844]. – A questi paterni avvertimenti dati ai popoli, aggiugnerò qualche consiglio a’ mandatarj de’ medesimi. Gradite, ecc.

 

CONVERSIONE DI SAN PAOLO

25 GENNAIO

CONVERSIONE DI SAN PAOLO

Uno dei più gloriosi trionfi della grazia divina è senza dubbio la Conversione di S. Paolo, di cui la Chiesa oggi celebra una festa in particolare. S. Paolo era giudeo della tribù di Beniamino. Fu circonciso l’ottavo giorno dopo la sua nascita, ed ebbeil nome di Saulo. Apparteneva come il padre alla setta dei farisei; setta la più rigorosa, ma nello stesso tempo la più depravante. – I suoi genitori lo mandarono per tempo a Gerusalemme, alla scuola di Gamaliele, celebre dottore in legge. Sotto questa sapiente guida Saulo si abituò alla più esatta osservanza della legge Mosaica. Questo zelo fu quello appunto che fece di Saulo un bestemmiatore e il persecutore più terribile dei seguaci di Gesù. Ecco noi lo vediamo nella lapidazione di Stefano custodire le vesti dei lapidatori non potendo far altro per mancanza dell’età prescritta; egli stesso però lapidava nel suo cuore non solo Stefano, ma tutti i cristiani, avendo in mente una sola cosa: sradicare dalle fondamenta la Chiesa di Dio e propagare in tutto il mondo il giudaismo. – Con questo zelo quindi non vi è niente da stupire se fu uno di più crudeli, anzi il più terribile ministro nella persecuzione che si eccitò contro i cristiani di Gerusalemme. Saulo fu il promotore e capo di questa persecuzione e ben presto fece scomparire i cristiani che colà si trovavano o imprigionandoli o bandendoli; ma non ancora pago di ciò chiese lettere autorizzative al Sommo Sacerdote per poter far strage anche dei cristiani rifugiatisi in Damasco. Qui però il Signore l’attendeva; qui la grazia divina doveva mostrare la sua potenza. – Eccolo pertanto sulla via di Damasco, scortato da buona mano di arcieri, tutto spirante furore e vendetta. – Ma d’improvviso una fulgida luce l’abbaglia e l’acceca; una forza misteriosa lo balza da cavallo ed ode una voce celestiale: « Saulo, Saulo! perchè mi perseguiti? » — E chi sei tu? risponde Saulo, meravigliato e spaventato ad un tempo. Ed il Signore a lui: — Io sono quel Gesù che tu perseguiti. — E che vuoi ch’io faccia, o Signore? chiede Saulo interamente mutato dalla grazia. — Va in Damasco, gli rispose il Signore benignamente, colà ti mostrerò la mia volontà. – Saulo si alza, ed essendo cieco si fa condurre a Damasco, dove rimane per tre giorni in rigoroso digiuno e in continua orazione. Al terzo giorno Anania, capo della Chiesa Damascena per rivelazione di Dio si porta nel luogo dove si trovava Saulo, lo battezza, cangiandogli il nome di Saulo in Paolo. – Da quel momento in Paolo non regna più il primitivo naturale: la grazia di Dio incomincia la sua opera santificatrice per formare il vaso di elezione, l’apostolo delle genti. – Paolo docile ai voleri di Dio tanto crebbe nell’amore di Gesù che arrivò a dire: e chi mi separerà dalla carità del mio Gesù? forse la persecuzione? la fame? i sacrifici o la morte? Ah, no, né vita né morte, né presente, né futuro saranno capaci di separarmi da quel Gesù per cui vivo, per cui lavoro e col quale sono crocifisso. – Egli sarà la mia corona perché non sono già io che vivo, ma è Gesù che vive in me.

PRATICA. — Iddio permette nella Chiesa le persecuzioni affinché potata la sua vigna, produca poi frutti più abbondanti. (S. Agostino).

PREGHIERA. — Dio, che con la predicazione del beato Apostolo Paolo hai istruito il mondo universo; deh! fa, che mentre oggi veneriamo la sua conversione, per i suoi esempi veniamo a te. Così sia.

CONVERSIONE DI SAN PAOLO 

[Dom Guéranger: l’Anno liturgico, vol. I]

Abbiamo visto la Gentilità, rappresentata ai piedi dell’Emmanuele dai Re Magi, offrire i suoi mistici doni e ricevere in cambio i doni preziosi della fede, della speranza e della carità. La messe dei popoli è ormai matura; è tempo che il mietitore vi ponga la falce. Ma chi sarà questo operaio di Dio? Gli Apostoli di Cristo non hanno ancora lasciata la Giudea. Tutti hanno la missione di annunciare la salvezza fino agli estremi confini del mondo, ma nessuno fra loro ha ancora ricevuto il carattere speciale di Apostolo dei Gentili. Pietro, l’Apostolo della Circoncisione, è destinato particolarmente, al pari di Cristo, alle pecore smarrite della casa d’Israele (Mt. XV, 24). Tuttavia siccome è il capo e il fondamento, spetta a lui aprire la porta della Chiesa ai Gentili, e lo fa solennemente, conferendo il Battesimo al centurione romano Cornelio. – Intanto la Chiesa si prepara: il sangue del Martire Stefano e la sua ultima preghiera otterranno un nuovo Apostolo: l’Apostolo delle Genti. Saulo, cittadino di Tarso, non ha visto Cristo nella sua vita mortale e soltanto Cristo può fare un Apostolo. Dall’alto dei cieli dove regna impassibile e glorificato. Gesù chiamerà Saulo alla sua scuola, come chiamò negli anni della sua predicazione a seguire i suoi passi e ad ascoltare la sua dottrina i pescatori del lago di Genezareth. Il Figlio di Dio rapirà Paolo infino al terzo cielo, e gli rivelerà tutti i suoi misteri; e quando Saulo avrà avuto modo, come egli narra, di vedere Pietro (Gal. 1, 18) e di paragonare con il suo il proprio Vangelo, potrà dire :« Io non sono meno apostolo degli altri Apostoli ». – È appunto nel giorno della Conversione di Saulo che ha inizio questa grande opera. È oggi che risuona quella voce che spezza i cedri del Libano (Sal. XXVIII, 5), e la cui immensa forza fa del Giudeo persecutore innanzitutto un cristiano, nell’attesa di farne un Apostolo. Questa meravigliosa trasformazione era stata vaticinata da Giacobbe allorché sul letto di morte svelava l’avvenire di ciascuno dei suoi figli, nelle tribù che dovevano uscire da essi. Giuda ebbe i più alti onori: dalla sua stirpe regale doveva nascere il Redentore, l’atteso delle genti. Beniamino fu annunciato a sua volta sotto caratteristiche più umili, ma pure gloriose: sarà l’avo di Paolo, e Paolo l’Apostolo delle genti. Il santo vegliardo aveva detto : « Beniamino é un lupo rapace: al mattino si prende la preda; ma alla sera distribuisce il bottino » (Gen. XLIX, 27). Colui che nell’ardore della sua adolescenza si scaglia come un lupo spirante minaccia e strage all’inseguimento delle pecore di Cristo, non é forse – come dice sant’Agostino (Disc. 278) – Saulo sulla via di Damasco, portatore ed esecutore degli ordini dei pontefici del Tempio e tutto ricoperto del sangue di Stefano che egli ha lapidato con le mani di coloro ai quali custodiva le vesti? Colui che, alla sera, non rapisce più le spoglie del giusto, ma con mano caritatevole e pacifica distribuisce agli affamati il cibo vivificante, non é forse Paolo, Apostolo di Gesù Cristo, bruciante d’amore per i suoi fratelli, e che si fa tutto a tutti, fino a desiderare di essere anatema per essi? – Questa é la forza vittoriosa dell’Emmanuele, forza sempre crescente e alla quale nulla può resistere. Se egli vuole come primo omaggio la visita dei pastori, li fa chiamare dai suoi angeli le cui dolci note sono bastate per condurre quei cuori semplici alla mangiatoia dove giace sotto poveri panni la speranza d’Israele. Se desidera l’omaggio dei principi della Gentilità, fa spuntare in cielo una stella simbolica, la cui apparizione, aiutata dall’intimo moto dello Spirito Santo, fa decidere quegli uomini a venire dal lontano Oriente a deporre ai piedi d’un bambino i loro doni e i loro cuori. – Quando è giunto il momento di formare il Collegio Apostolico, cammina sulle rive del mar di Tiberiade, e basta la sola parola: Seguitemi, per legare a lui gli uomini che ha scelti. In mezzo alle umiliazioni della sua Passione, un suo sguardo cambia il cuore del discepolo infedele. Oggi, dall’alto dei Cieli, compiuti tutti i misteri, volendo mostrare che Egli solo è maestro dell’Apostolato e che la sua alleanza con i Gentili è consumata, si manifesta a quel Fariseo che vorrebbe distruggere la Chiesa; spezza quel cuore di Giudeo e crea con la sua grazia un nuovo cuore d’Apostolo, un vaso di elezione, quel Paolo che dirà d’ora in poi : « Vivo, ma non son già io, bensì Cristo che vive in me» (Gal. II, 20). – Ma era giusto che la commemorazione di quel grande evento venisse a porsi non lontano dal giorno in cui la Chiesa celebra il trionfo del Protomartire. Paolo è la conquista di Stefano. Se l’anniversario del suo martirio s’incontra in un altro periodo dell’anno (29 giugno), non poteva fare a meno di apparire accanto alla culla dell’Emmanuele, come il più splendido trofeo del Protomartire; i Magi esigevano anche il conquistatore della Gentilità di cui formavano le primizie. – Infine, per completare la corte del nostro grande Re, era giusto che si elevassero ai lati della mangiatoia le due potenti colonne della Chiesa, l’Apostolo dei Giudei e l’Apostolo dei Gentili: Pietro con le chiavi e Paolo con la spada. Betlemme ci sembra allora ancor più l’immagine della Chiesa, e le ricchezze della liturgia in questa stagione ci appaiono più belle che mai. – Noi ti rendiamo grazie, o Gesù, perché hai oggi abbattuto il tuo nemico con la tua potenza, e l’hai risollevato con la tua misericordia. Tu sei veramente il Dio forte, e meriti che ogni creatura celebri le tue vittorie. Come son meravigliosi i tuoi piani per la salvezza del mondo! Tu associ gli uomini all’opera della predicazione della tua parola e alla dispensa dei tuoi misteri; e per rendere Paolo degno di tale onore, usi tutte le risorse della grazia. Ti compiaci di fare dell’assassino di Stefano un Apostolo, perché il tuo potere si mostri a tutti gli occhi, il tuo amore per le anime appaia nella sua più gratuita generosità, e sovrabbondi la grazia dove abbondò il peccato. Visitaci spesso, o Emmanuele, con questa grazia che cambia i cuori, perché noi desideriamo la vita in larga misura, ma sentiamo che il suo principio è così spesso sul punto di sfuggirci. Convertici come hai convertito l’Apostolo e assistici quindi, poiché senza di Te noi non possiamo far nulla. Previenici, seguici, accompagnaci, non lasciarci mai, e come ci hai dato il principio, così assicuraci la perseveranza sino alla fine. Concedici di riconoscere, con timore ed amore, quel dono della grazia che nessuna creatura potrebbe meritare, e al quale tuttavia una volontà creata può fare ostacolo. Noi siamo prigionieri: solo Tu possiedi lo strumento con l’aiuto del quale possiamo infrangere le nostre catene. Tu lo poni nelle nostre mani, dicendoci di usarlo: sicché la nostra liberazione è opera tua e non nostra, e la nostra prigionia, se continua, si deve attribuire soltanto alla nostra negligenza e alla nostra viltà. Dacci, o Signore, questa grazia; e degnati di ricevere la promessa di associarvi umilmente la nostra cooperazione. – Aiutaci, o san Paolo, a corrispondere ai disegni della misericordia di Dio su di noi; fa’ che siamo soggiogati dalla dolcezza di Gesù. Non udiamo la sua voce, la sua luce non colpisce i nostri occhi, ma leva il suo lamento perché troppo spesso Lo perseguitiamo. – Ispira ai nostri cuori la tua preghiera: « Signore, che vuoi che io faccia ? ». Ci risponderà di essere semplici e bambini come Lui, di riconoscere il suo amore, di finirla con il peccato, di combattere le cattive inclinazioni, di progredire nella santità seguendo i suoi esempi. Tu hai detto, o Apostolo: « Chi non ama nostro Signore Gesù Cristo sia anatema! ». Faccelo conoscere sempre più, perché Lo amiamo, e questi dolci misteri non diventino, per la nostra ingratitudine, la causa della nostra riprovazione. – Vaso di elezione, converti i peccatori che non pensano a Dio. Sulla terra tu ti sei prodigato interamente per la salvezza delle anime; nel cielo dove ora regni, continua il tuo ministero, e chiedi al Signore, per coloro che perseguitano Gesù nelle sue membra quelle grazie che vincono i più ribelli. Apostolo dei Gentili, volgi gli occhi su tanti popoli che giacciono ancora nell’ombra della morte. Un giorno tu eri combattuto fra due ardenti desideri: quello di essere con Gesù Cristo, e quello di restare sulla terra per lavorare alla salvezza dei popoli. Ora, tu sei per sempre con il Salvatore che hai predicato: non dimenticare quelli che ancora non Lo conoscono. – Suscita uomini apostolici per continuare la tua opera. Rendi fecondi i loro sudori e il loro sangue. Veglia sulla Sede di Pietro, tuo fratello e tuo capo; sostieni l’autorità della Chiesa di Roma che ha ereditato i tuoi poteri, e che ti considera come la sua seconda colonna. Rivendicala dovunque è misconosciuta; distruggi gli scismi e le eresie; riempi tutti i pastori del tuo spirito, affinché sul tuo esempio non cerchino se stessi, ma unicamente e sempre gli interessi di Gesù Cristo.

Hymnus
Egregie Doctor, Paule, mores instrue,

Et nostra tecum pectora in caelum trahe:
Velata dum meridiem cernat fides,
Et solis instar sola regnet caritas.

Sit Trinitati sempiterna gloria,
Honor, potestas, atque jubilatio,
In unitate, quae gubernat omnia,
Per universa aeternitatis saecula.
Amen.

[Egregio Dottore Paolo, ammaestraci,
e attira dietro a te i nostri cuori nel cielo:
e finché la fede ci fa vedere la piena luce solo attraverso un velo,
sovrana regni, qual sole, la carità fra noi.

Alla Trinità sia sempiterna gloria,
onore, potenza e giubilo,
la quale, nella sua unità, governa ogni cosa
per tutti i secoli eterni.
Amen.]

I SACRAMENTALI

SACRAMENTALI

[Enciclopedia Cattolica, C. d. V. 1953 – vol X , col 1555-1558]

Sono cose o azioni, di cui Chiesa, imitando in qualche modo i Sacramenti, si serve per raggiungere, in virtù della sua impetrazione, effetti soprattutto spirituali (CIC, can. 1144). – Il termine, come sostantivo, non si trova nell’uso teologico prima del sec. XII. Fino allora, ciò che ora si designa come sacramentale (s.), era indicato dal termine sacramento, usato per significare qualunque rito sensibile, che avesse rapporto con realtà spirituali e soprannaturali. Nel sec. XII gli scolastici incominciarono a distinguere fra Sacramenta salutis (Ugo di S. Vittore), o necessitatis (Algero di Liegi), o maiora (Abelardo), cioè quelli che oggi si chiamano Sacramenti in senso stretto, e i sacramenta ministratoria, veneratoria, preparatoria; sacramenta minora, sacramenta dignitatis, cioè le semplici cerimonie e pratiche religiose compiute sia durante, sia fuori dell’amministrazione dei Sacramenti.

I . NATURA DEI s. – Come i Sacramenti, i s. consistono in qualche cosa di sensibile, sono dotati di una efficacia superiore a quella delle opere buone dei privati, e infine ottengono effetti spirituali. A differenza, però, dei Sacramenti, non sembra si richieda che il rito sensibile significhi l’effetto a cui è ordinato; sotto questo aspetto, perciò, nulla vieta che si pongano fra i s. l’invocazione del nome di Gesù e le opere di misericordia. – Inoltre, l’efficacia dei Sacramenti è ex opere operato, derivante dai meriti di Gesù Cristo, mentre i s. ottengono 1 loro effetti per l’efficacia impetratoria della Chiesa. I Sacramenti inoltre producono la Grazia santificante, non così i s.; finalmente quelli sono d’istituzione divina, questi di istituzione ecclesiastica. – Dalla definizione del CIC risulta anche i l rapporto che i s. hanno con le cerimonie in genere. Con queste si intendono tutte le azioni che si riferiscono al culto pubblico. Perciò, dal numero delle cerimonie vengono esclusi gli atti di culto privato, e in esse viene sottolineato il valore di omaggio reso a Dio, prescindendo dalla efficacia pratica in ordine agli effetti spirituali. Invece i s. sono cose o azioni, di uso pubblico o privato, che posseggono una efficacia pratica, in quanto la Chiesa vi ha aannesso la sua impetrazione per ottenere particolari effetti.

ENUMERAZIONE DEI s. – I teologi antichi li raggrupparono in sei classi, designate dal noto verso: « Orans, tinctus, edens, confessus, dans, benedicens ». Orans: allude alla orazione domenicale e alle altre preghiere della Chiesa, specialmente pubbliche; tinctus, indica l’aspersione con l’acqua benedetta e le unzioni sacre: edens la manducazione dei cibi benedetti; confessus, la recita del Confiteor e altri atti di umiliazione; dans, l’elemosina e in genere le opere di misericordia; benedicens, le molteplici benedizioni impartite su persone e cose. Seguendo le indicazioni del CIC, gli autori moderni enumerano i s. secondo un altro criterio. Prima distinguono fra cose ed azioni, poi dividono le cose in benedette, consacrare, esorcizzate, e le azioni in benedizioni, consacrazioni ed esorcismi. Va precisato (cf. E. Doronzo, De Sacramentis in genere, Milwaukee 1947, p. 544) che le benedizioni e le consacrazioni non verificano esattamente i l concetto fissato dal CIC quando implicano soltanto une separazione delle cose dall’uso profano e pertanto una certa santità legale, ma quando importano pure l’impetrazione di qualche effetto spirituale. Gli esorcismi rientrano nella definizione del CIC solo in quanto l’espulsione o la repressione del demonio è oggetto di impetrazione della Chiesa, non in quanto dalla Chiesa è operata con l’esercizio di quel potere di comando sui demoni che Cristo le conferì. Quelle stesse opere buone a cui la Chiesa ha annesso l’acquisto di indulgenze per i vivi, non verificano la definizione del CIC, per la ragione che il beneficio dell’indulgenza ai vivi non è effetto dell’impetrazione della Chiesa, ma dalla Chiesa è conferito con l’esercizio di quel potere di giurisdizione, per il quale fu costituita depositaria dei meriti e delle soddisfazioni di Cristo e dei santi. – Precisato questo, si può affermare che la divisione moderna è più scientifica, perché fondata sulle diverse specie di impetrazione, nota essenziale del s.; è inoltre esauriente, perché tutti i s. possono farsi rientrare nei vari membri della medesima; infatti, o l’impetrazione è legata all’uso di una cosa permanente (s.-cose) o consiste in un’azione transitoria (s.-azione). Inoltre, l’impetrazione o riguarda beni positivi (benedizioni o consacrazioni, o riguarda l’allontanamento dei mali (esorcismi). La differenza fra consacrazioni e benedizioni consiste nel fatto che le consacrazioni hanno sempre per effetto di separare in modo stabile un oggetto o una persona dall’uso profano (pertanto in esse le unzioni accompagnano le parole), nelle benedizioni, invece, si usano solo le parole e soltanto le benedizioni costitutive, a differenze di quelle semplicemente invocative, comportano una separazione stabile dall’uso profano.

III. EFFICACIA DEI s. – La questione presenta due aspetti: quale sia la natura di tale efficacia, ossia il modo secondo cui operano i s., e quali siano in particolare gli effetti ottenuti. – I s. si possono considerare anzitutto cerimonie, e come tali posseggono, di loro natura la virtù di suscitare nell’animo conoscenze e sentimenti religiosi. – Inoltre, come atti buoni, hanno un valore meritorio per chi li compie. Finalmente, sono dotati di una speciale efficacia in quanto informati dalla impetrazione della Chiesa. È appunto questa l’efficacia propria dei s., la cui natura è precisata dai seguenti rilievi: a) i s. non sono strumenti di cui Dio si serva per santificare le anime, ma azioni con le quali la Chiesa sollecita da Dio il conferimento di Grazie; b) l’efficacia dei s.. in quanto deriva dall’impetrazione della Chiesa, non dipende, come da causa, dalle disposizioni morali del ministro o del soggetto. Pertanto si dice che i s. non agiscono « ex opere operantis ministri vel subiecti », e in ciò convengono con i Sacramenti; da essi però differiscono perché l’efficacia di questi è « ex opere operato ». Si può porre la questione se, oltre a questa efficacia, fondata sull’intercessione della Chiesa, i s. non ne posseggano un’altra « ex opere operato». Il CIC non ne fa menzione. Parecchi autori (p. es., Michel) l’affermano a proposito di quei s. che hanno per effetto di dedicare cose o persone al servizio divino; infatti, il rito esterno, obiettivamente preso e compiuto secondo le norme prescritte, quando il soggetto non oppone impedimento, produce l’effetto di consacrare la cosa o la persona al servizio divino. Altrettanto si può affermare di quei s. a cui la Chiesa ha annesso una qualche indulgenza. Questi effetti non sono dovuti alla intercessione e ai meriti né del ministro o del soggetto, né della Chiesa, ma alla semplice posizione del rito esterno, il quale, tuttavia, possiede tale virtù per istituzione della Chiesa. Si può pertanto ritenere che alcuni s. producono l’effetto della deputazione al culto divino o della remissione della pena temporale « ex opere operato, vi institutionis ipsius Ecclesiae ». Però non si deve dimenticare che, stando alla definizione del CIC, la deputazione al culto divino e l’indulgenza concessa ai viventi non rientrano negli effetti specifici dei s., perché non si conseguono per impetrazione della Chiesa; c) va osservato, infine, che posto il rito, secondo le norme prescritte, ne consegue infallibilmente l’impetrazione della Chiesa, ma il conseguimento degli effetti impetrati è condizionato a tutti i requisiti da cui dipende l’efficacia della preghiera in genere. – Nel caso, trattandosi di una impetrazione fatta dalla Chiesa, sposa di Cristo, le condizioni da parte del soggetto che prega si verificano sempre; ma potrebbero mancare i requisiti da parte della cosa impetrata o della persona, per la quale si prega.

2) Il CIC parla in genere di effetti specialmente spirituali. La maggior parte degli autori li distribuisce nelle seguenti categorie: a) grazie attuali che eccitano a compiere atti di fede, di speranza, di carità, di penitenza, ecc.; b) allontanamento o repressione del demonio; c) beni temporali, come la salute, il tempo buono, ecc. sempre però nella misura in cui conducono alla salvezza eterna e rientrano nel piano della Provvidenza ordinaria di Dio. – Incertezze e divergenze esistono fra gli autori riguardo alla questione se ed in qual senso l’efficacia dei s. si estenda alla Grazia santificante, alla remissione dei peccati veniali e della pena temporale. Sembra evidente che la questione proposta si debba risolvere nei termini seguenti: a) come ogni preghiera, così anche quella ecclesiastica incorporata nei s., può avere per oggetto qualunque beneficio, quindi anche la conversione dei peccatori, il conferimento o la conservazione della Grazia santificante, il perdono dei peccati mortali e veniali, la remissione della pena temporale; b) qualora si chieda se questi benefici, dalla Chiesa intesi, possano essere direttamente conferiti da Dio, in modo che il conferimento consegua immediatamente nell’ordine della realtà l’impetrazione della Chiesa, si deve rispondere che, secondo il comune parere dei teologi, l’infusione della Grazia santificante e quindi anche il perdono dei peccati mortali non si possono conseguire che per la via dei Sacramenti « ex opere operato » e per quella della carità perfetta o delle opere meritorie « ex opere operantis… ». Quando, perciò, si chiede al Signore la santificazione delle anime, direttamente si ottengono solo le Grazie attuali che dispongono l’individuo all’uso dei Sacramenti o al compimento di quelle opere buone a cui Dio ha connesso la santificazione. Pertanto, l’infusione della Grazia santificante e il perdono dei peccati mortali non possono costituire un effetto immediato dei s. Riguardo ai peccati veniali, per la loro analogia con le colpe gravi, si deve pensare che i s. non ottengono immediatamente il perdono di essi, ma che direttamente ottengono solo quelle Grazie che sono particolarmente indicate a suscitare sentimenti di penitenza, con cui vengono cancellati i peccati veniali. – La questione intorno alla remissione della pena temporale, può riassumersi in tre punti: a) la Chiesa ha il potere di istituire s. che abbiano l’efficacia di condonare immediatamente la pena temporale; b) anzi, un simile s. esiste di fatto, a vantaggio delle anime purganti, ed è tutta la liturgia dei defunti. Pertanto, se le preghiere della Chiesa possono ottenere immediatamente la remissione della pena temporale per i defunti, non si vede perché non la possano ottenere anche per i viventi; e) ma è probabile che non esista nessun s. ordinato a questo scopo specifico riguardo ai viventi.

L’ISTITUZIONE DEI S. – Che la Chiesa, ed essa sola, abbia i l potere di istituire i s., risulta dalla sua prassi costante, dalla decisione del CIC (can. 1145) e dalla natura stessa delle cose. E evidente, infatti, che il potere sacerdotale di santificazione di cui essa è dotata comporta anche il diritto e il dovere, come di regolare il culto in genere così anche di istituire riti e cerimonie con valore impetratorio. È altrettanto evidente che un rito avente il valore di esprimere i voti e le aspirazioni della Chiesa non possa provenire che da essa. Nella tradizione ecclesiastica, mentre si trova inculcato, con insistenza, il principio che la Chiesa non può mutare la sostanza dei Sacramenti perché di origine divina, si è sempre riconosciuto, e dal Concilio di Trento definito, che la Chiesa può mutare a piacimento le cerimonie del culto; il CIC esplicitamente attribuisce alla S. Sede il diritto di istituire nuovi s. e di mutare, abrogare, autenticamente interpretare quelli vecchi (can. 1145); ciò equivale ad ammettere che tutti i s. sono d’istituzione ecclesiastica.

AMMINISTRAZIONE DEI S. – 1) Il rito esterno. – ci si deve attenere scrupolosamente alle norme liturgiche (can. 1148 §1); le benedizioni e le consacrazioni sono invalide se non si usa la formula prescritta (ibid. § 2). In genere i s. vanno trattati con riverenza; in particolare, poi, le cose consacrate o benedette, con benedizione costitutiva, non possono essere volte ad uso profano o diverso dal loro, nemmeno se si trovano in possesso di persone private (can. 1150); così, p. es., non è lecito servirsi dell’acqua benedetta per dissetarsi. 2) Il ministro. – Fissato il principio generale che legittimo ministro è soltanto il chierico, il quale ne abbia ricevuto il potere e non sia impedito di esercitarlo dalla competente autorità (can. 1146), il CIC scende ai casi particolari. Per le consacrazioni, ministro valido è solo i l vescovo e chi ne ha l’autorizzazione per diritto (come i cardinali) o per indulto apostolico (can. 1147 § 1). Le benedizioni che non siano riservate al romano pontefice, o ai vescovi, o ad altri possono essere date da qualunque sacerdote (ibid. § 2); ma anche le benedizioni riservate, quando sono impartite da un semplice sacerdote senza la necessaria autorizzazione, restano valide sebbene illecite, a meno che la S. Sede, promulgandone la riserva, non abbia deciso diversamente (ibid. § 3). I diaconi e i lettori possono dare validamente e lecitamente soltanto le benedizioni che a loro sono espressamente concesse dal diritto (ibid. § 4). Per gli esorcismi v. la voce relativa. 3) Il soggetto. – Le benedizioni devono essere impartite dapprima ai cattolici, per ottenere loro il lume della fede o, con esso, la salute del corpo (can. 1149). Gli esorcismi possono essere fatti anche sui non cattolici e sugli scomunicati (can. 1152).

[Antonio Gaboardi].

Necessità della Chiesa. Note della “vera” Chiesa Cattolica

Necessità della Chiesa. Note della “vera” Chiesa Cattolica

[da: J.–J. Gaume “Catechismo di perseveranza”, vol II, Torino Tipografia G. Speirani e figli- 1881 – imprim.]

[DELLA NOSTRA UNIONE CON IL SIGNOR NOSTRO, NUOVO ADAMO, PER MEZZO DELLA FEDE]

Prosegue il nono articolo del Simbolo. — Necessità della Chiesa. — Visibilità ed infallibilità della Chiesa. — Note della Chiesa. — Unità. — Santità. — Apostolicità. — Cattolicità — Verità della Chiesa Romana – Primo vantaggio della Chiesa. – Comunione dei Santi. – Scomunica.

Dio vuole che tutti gli uomini giungano a salvezza; essi non vi possono giungere che mediante Gesù Cristo, vale a dire, colla cognizione e coll’esercizio della vera Religione, di cui Gesù Cristo è l’anima e il fondatore; ma Gesù Cristo e la vera Religione non si trovano che nella vera Chiesa, ed è quivi soltanto ch’Egli insegna, spande le sue grazie, comunica il suo spirito: dunque è evidente, che di necessità esiste una vera Chiesa, la qual cosa ne dimostrano di pieno accordo la fede e la ragione.

I . Necessità della Chiesa. Nostro Signore solennemente promise di stabilire una Chiesa, colla quale Egli sarebbe stato sempre sino alla fine dei secoli; esso ha ingiunto di riguardare come pagani e pubblicani tutti coloro che ricusassero di ascoltare questa Chiesa; egli è morto per stabilirla e per comunicarle quella santità, di cui essa doveva essere l’unico canale sino al finire del mondo: dunque se non vuolsi sostenere l’orribile bestemmia, che il Figlio di Dio ne ha ingannati, non stabilendo punto, ovvero non stabilendo che per un tempo limitato quella Chiesa, che aveva promesso di stabilire e di stabilire per sempre, minacciandoci l’inferno se non ascoltiamo sua Chiesa, che non ha esistito o che non esiste più; sarà forza ammettere l’esistenza e l’esistenza perpetua d’una sola e vera Chiesa. La ragione, d’accordo coi dettati della fede, ne suggerisce che siccome il Signor Nostro non doveva restar per sempre visibile sulla terra, così Ei dovea provvedere alla perpetuità della sua Religione. Ciò posto non era assai a tant’uopo lasciarci un codice scritto di leggi: un libro, e specialmente un corpo di leggi abbisogna di interpretazione; è dunque evidente che il Signor Nostro dovè stabilire un’autorità, o a parlar propriamente, una Chiesa cui incombesse l’ufficio di spiegare autenticamente la sua Religione, e di farla praticare. Perciò, se non si vuol negare al Figlio di Dio quel tanto di buon senso, che pur concedesi all’ultimo fra gli uomini, è giuocoforza ammettere ch’Esso ha stabilito una vera Chiesa per conservare intatto il deposito di sua dottrina.

Visibilità bèlla Chiesa. Questa vera Chiesa deve in ogni tempo esser visibile, primieramente per la ragione poc’anzi riferita, vale a dire, che Iddio vuole la salute di tutti gli uomini, e la salute non è possibile che nel grembo della Chiesa; donde si deduce per logica necessità che la Chiesa in tutte le occasioni e in tutte le età dev’essere visibile, affinché tutti possano discernerla e divenire suoi membri. In secondo luogo perché Iddio ha dichiarato apertamente ch’ella sarebbe visibile a tutti i popoli. Per organo dei Profeti, Egli la paragona ad una città immensa, edificata sulla vetta di alta montagna, esposta agli sguardi di tutte le nazioni, rifulgente di tutta la luce della verità, di modo che tutte le tribù della terra potranno camminare dietro la sua luce, come camminano allo splendor del sole. Finalmente, perché essendo la Chiesa una società d’ uomini, riuniti per l’esteriore professione di una medesima fede, per la partecipazione ai medesimi Sacramenti e alle stesse cerimonie pubbliche impossibile altresì che non sia visibile. Cosi la pensarono tutti i Padri ; così la pensa ancora il più volgare buon senso.

III. Infallibilità della Chiesa. La vera Chiesa debb’essere infallibile. Intendesi per infallibilità il privilegio di non potersi ingannare, né ingannare gli altri nell’ammaestrarli. La prova che la vera Chiesa è infallibile e ch’ella non può altrimenti essere, è la più agevole di ogni altra. Quattro domande metteranno tale verità in piena evidenza. .1° Nostro Signor Gesù Cristo è egli infallibile? Niuno certo oserebbe dubitarne. 2° Ha egli potuto comunicare la sua infallibilità a quelli che ha. inviato per insegnare agli uomini? Niuno può muoverne dubbio, attesoché, essendo Dio, egli può tutto. 3° Ha egli comunicato la sua infallibilità a’suoi Apostoli, ed ai loro successori? Senza fatto, perocché ha loro detto: « Andate, insegnate, io sarò con voi sino alla fine dei secoli ». 4° Doveva Esso comunicare la propria infallibilità a’ suoi Apostoli, e loro successori? Sì , lo doveva, poiché senza di ciò non avremmo avuto alcun mezzo per conoscere con certezza la vera Religione. Eppure Iddio vuole che da noi si conosca con certezza la vera Religione, dappoiché vuole, sotto pena della dannazione, che noi la pratichiamo, e che siamo pronti a morire, piuttostochè revocare in dubbio alcuna delle verità ch’essa insegna: la vera Chiesa è dunque infallibile. Se ella nol fosse, è facile vedere quali mostruose conseguenze converrebbe ammettere. 1° Non esisterebbe mezzo alcuno per conoscere la vera Religione. A guisa di fanciulli noi piegheremmo ad ogni vento di dottrina, e invano perciò sarebbe venuto Gesù Cristo sulla terra per insegnare agli uomini la via del Cielo: ed i nostri fratelli separati ce ne offrono un esempio irrefragabile. Presso di loro non v’ha più nulla di certo: quante teste altrettante dottrine: prova manifesta che la Bibbia sola non basta. La Bibbia è un libro che vuol essere spiegato, e spiegato da un’autorità infallibile per divenire una regola obbligatoria di fede e di condotta. II° Il Signor Nostro stesso, orribile a dirsi!, sarebbe al di sotto di un onest’ uomo, atteso ché non avrebbe mantenuto la sua parola: dopo aver promesso di parlar sempre per organo degli Apostoli e dei loro successori, non ne farebbe nulla, lasciandoli spacciar delle prette menzogne. III° Gesù Cristo sarebbe il più barbaro e il più ingiusto di tutti i tiranni; Egli ne avrebbe intimato, sotto minaccia dell’inferno, di ascoltare degli uomini, che potrebbero trascinarci nell’errore e guidarne al precipizio. Vedasi adunque quante bestemmie debbano sostenere, e quali spaventose conseguenze siano costretti ad ammettere coloro che ardiscono di negare l’infallibilità della Chiesa.

Deh! noi almeno, docil gregge dell’ovile divino, seguiamo fedelmente i nostri Pastori; ed oggi, più che mai, professiamo verso di loro la più perfetta sottomissione. Crediamo ciò ch’essi credono, approviamo ciò che approvano, rigettiamo ciò che rigettano, condanniamo ciò che condannano. Figli della Chiesa, diciamo come i Padri nostri: «Tutto quello che noi sappiamo si è, che dobbiam credere alla Chiesa, e morire ben anco per la sua fede; ma noi non sappiamo disputare ». Allontanandosi da questo canone, gli eretici naufragarono nella fede; indocili a tali avvertimenti una moltitudine di spiriti presuntuosi credettero capaci di discutere intorno alle verità della Religione, e, anteponendo il proprio giudizio a quello dei primi pastori della Chiesa , per seguire il loro spirito privato, caddero miseramente in quel precipizio che si erano da se medesimi scavato.

Note della vera Chiesa. Rimane adesso a conoscere la vera Chiesa. Ora, per discernerla dalle false Chiese, non basta che ella sia visibile, poiché molte altre società religiose lo sono egualmente; non basta ch’ella sia infallibile, dappoiché l’infallibilità è una prerogativa che le altre sette si appropriano esse pure, ovvero l’attribuiscono ad ognuno de’suoi membri. Cosa è dunque necessario? È uopo che la vera Chiesa, la legittima sposa dell’Uomo-Dio, mostri sulla sua fronte contrassegni così splendidi, caratteri sì perfettamente inimitabili, che a nessun’altra setta sia dato contraffarli od arrogarseli. Ora queste note non possono essere che quelle della stessa verità, e se ne annoverano quattro principali: 1° L’Unità; II° la Santità; III° l’apostolicità; IV° la Cattolicità.

L’UNITÀ. L’unità è il carattere essenziale della verità, imperocché Iddio è uno, e la verità è Iddio rivelato all’uomo. Il Salvatore ha pregato perché la sua Chiesa fosse una; egli l’ha rappresentata sotto l’immagine di un ovile governato da un solo pastore, d’una casa in cui dimora un solo capo, d’un corpo i cui membri sono tutti perfettamente uniti. Perciò la vera Chiesa debb’essere una; una nella sua fede, una nelle sue leggi, una nelle sue speranze, una nel suo Capo.

LA SANTITÀ. La santità è il carattere essenziale, la perfezione per eccellenza di Dio; la qual santità in Dio esclude l’idea medesima del male e dell’errore. La vera Chiesa deve adunque esser santa; santa nelle sue massime, nei suoi dogmi, nei suoi Sacramenti, ne’suoi precetti; santa nello scopo che si propone di ottenere, santa nei suoi membri; di santità resa visibile dai miracoli, affinché tutti, così dotti come ignoranti, possano riconoscerla. Tale si è la Chiesa che Gesù Cristo volle ottenere colla sua morte: Cristo, dice S. Paolo, amò la Chiesa, e diede per lei se stesso, alfine di santificarla e renderla vestita di gloria, senza macchia, e senza grinza e … farla santa e immacolata [Ephes. V, 25-27].

L’APOSTOLICITÀ. Discendere dagli Apostoli, ed essere stata da loro predicata, ecco il carattere della verità; imperciocché in essi confidò il Salvatore tutte le verità, che’Egli stesso aveva attinte nel seno del Padre suo, verità che svolgevano, raffermavano e completavano tutte quelle che Iddio aveva rivelate fin dalla creazione del mondo [Giov. XV, 15] . Ad essi Egli commise l’ufficio di annunziarle per tutta la terra: la vera Chiesa deve adunque partire dagli Apostoli, e risalire fino agli Apostoli.

LA CATTOLICITÀ. La verità è una e la stessa in tutti i tempi e in tutti i luoghi; ciò ch’è vero in Europa non può esser falso in Asia; ciò ch’è vero oggi non poteva esser falso ieri. Si arroge che essendo tutti gli uomini fatti per la verità, ella dev’essere accessibile a tutti, e trovarsi dovunque si trovano degli uomini. Dunque la vera Chiesa, che sola possiede la verità, deve abbracciare tutti i tempi, tutti i luoghi, tutte le verità insegnate dal Signor Nostro G. C. Tali sono le note che deve necessariamente avere la vera Chiesa; queste sono indispensabili affinché tutti possano riconoscerla; ma con queste altresì è impossibile di non riconoscerla e di non discernerla da tutte le altre società.

Verità della Chiesa Romana. Percorrete adesso il giro del mondo, studiate tutte le società religiose che esistono presso i differenti popoli, cercate quella che fra tutte vi presenterà questi quattro caratteri; essa, essa sola è la vera Chiesa. Ora questo viaggio è stato fatto, non una volta sola, ma sì bene migliaia di volte; non da un uomo, ma da milioni di uomini, e sempre ha offerto il seguente risultato: i quattro caratteri della vera Chiesa convengono alla Chiesa Romana, e non convengono che a lei sola.

L’unità. La Chiesa Romana è una nella fede e nel suo ministero. E primieramente una nella sua fede. Supponiamo che si potesse evocare dalle tombe in un’ora medesima un Cattolico di ciascuno dei diciotto secoli che ci hanno preceduto, un Cattolico di Oriente, uno dell’Occidente, uno dell’Asia, l’altro dell’Europa; e che noi dimandassimo a tutti questi Fedeli che vissero senza conoscersi, senza vedersi, morti gli uni cento anni fa, altri mille, altri mille e cinquecento, altri mille ottocento: Qual è la vostra fede? Ognuno per parte sua reciterebbe lo stesso Simbolo, il Simbolo che noi recitiamo tutti i giorni, e che si recita egualmente ai quattro angoli della terra. Quest’accordo così perfetto, questa perpetua unità rapiva già d’ammirazione i primi Padri della Chiesa, e già essi adoperavano un tale argomento per dimostrarti agl’eretici ch’erano nell’errore. « Sebbene sparsa per tutta la terra, diceva S. Ireneo, la Chiesa conserva la fede apostolica con estremo zelo, e come se abitasse una sola e medesima casa; ella crede della stessa maniera, come se tutti i suoi membri non avessero che uno stesso spirito ed uno stesso cuore, e con mirabile accordo ella professa ed insegna la stessa fede, come se avesse una sola bocca. I linguaggi sono bensì diversi fra loro, ma la fede è una dappertutto. Le Chiese di Germania, delle Gallie, dell’Oriente, dell’Egitto non pensano, non insegnano colla minima varietà ». Quanto non dobbiamo andare alteri di professare la fede degli Apostoli, dei Martiri, dei più grand’ingegni che il mondo abbia giammai conosciuto! Quale consolazione! Quale malleveria! Ma questo vanto non è proprio delle società separate dalla Chiesa; in esse, variazioni ognora rinascenti, contraddizioni senza numero. Le professioni di fede succedonsi senza interruzione, le sètte particolari si moltiplicano come foglie sugli alberi. Nella sola città di Londra e nei suoi dintorni si contano oggigiorno cento nove religioni diverse. La stessa divisione si riscontra in Alemagna, nella Svizzera, in America, in tutti i paesi sedicenti Evangelici. E lo sminuzzamento è giunto a tale, che un ministro protestante diceva non ha molto, ch’egli era in grado di scrivere sull’unghia del pollice tutto quello ch’era obbietto di comune credenza fra i riformati. – Il Protestantismo non è dunque la vera Chiesa, poiché non serba unità di dottrina; e lo stesso deve dirsi del Maomettismo, del Giudaismo, e di tutte le altre società religiose che si spartiscono il mondo. – La Chiesa cattolica è una nel suo ministero e ne’ suoi Sacramenti, vale a dire, che tutti i suoi figli, soggetti alla stessa autorità, sono uniti mediante la partecipazione ai medesimi Sacramenti, al medesimo Sacrificio, alle stesse preghiere, allo stesso culto. Discorrete le regioni tutte del mondo, interrogate i Cattolici che le abitano, e dovunque voi troverete su questo punto l’accordo più perfetto. Allo scopo di mantenere questa divina unità il Signor Nostro Gesù Cristo istituì un ministero sparso per tutte le parti della sua Chiesa, ma dappertutto altresì animato da un solo spirito, cui spetta di predicare ed insegnare la fede, di amministrare i Sacramenti, celebrare i santi riti, a dir breve governare e pascere tutto il gregge; e tale ministero fu da Lui distinto in diversi ordini, che formano perciò una gerarchia. In tutti i luoghi abitati, città, borgate ed altro, volle che vi fosse un Ministro di ordine subalterno; ed in ogni provincia un Ministro di ordine superiore, che dicesi Vescovo, al quale sono sottomessi i Pastori inferiori, e che comunica coi Vescovi degli altri paesi. Tutti i Vescovi sono in rapporto di sommissione col sovrano Pontefice, capo supremo della Chiesa. Rivestito di un primato d’onore, egli è collocato su tutti gli altri, all’oggetto di essere da tutti ravvisato come il centro di unità a cui fan capo tutte le Chiese della terra; rivestito di un primato di giurisdizione, egli può colla sua autorità separare gli erranti dall’ unità, o ricondarvi i traviati. In tal guisa questo ministero forma fra tutti i Cattolici sparsi sulla tersi un magnifico legame d’unione: tutti essendo riuniti ai loro Pastori, e questi fra loro col Pastore dei Pastori, necessariamente ancora sono tutti gli uni agli altri congiunti. – Nulla di somigliante nelle sètte separate! Non subordinazione generale fra i loro ministri; non altro centro d’unità tranne il potere temporale che li tien stretti sotto il suo freno; a tal che la gerarchia, la quale nella Chiesa cattolica finisce nel Papa, Vicario del Signor Nostro Gesù Cristo, termina nei paesi protestanti nella persona di un re, e talvolta in una regina, ignari della scienza divina, e pur non ostante arbitri supremi della Chiesa di Dio e della coscienza umana. Più disuniti fra loro di quello che lo siano colla Chiesa, si accusano, si diffamano, si condannano; sempre fra loro in guerra, non sono uniti che coll’odio comune contro la vera Chiesa perchè tutti li colpisce dello stesso a anatema. Quindi nessuna unità di culto;gli uni ammettono due sacramenti, gli tre: gli uni hanno un culto senza simbolo, gli altri un culto diverso; sicché il protestante, uscito da quell’angolo della terra ove regna la setta a cui appartiene, è straniero al resto del mondo!

2° La Santità. La Chiesa Romana è santa nei suoi dogmi, santa nella sua morale, ne’ suoi Sacramenti, nel suo culto; ond’è che si può sfidare l’avversario il più accanito, purché imparziale, a ritrovare nella sua magnifica costituzione un iota che non sia eminentemente adatto a rischiarare la mente, a purificare il cuore, e sollevare 1’uomo a Dio. Niuna setta, vuoi antica, vuoi moderna, può vantare questo primo genere di santità, perché tutte hanno adulato, e carezzano ancora ignobilmente dal loro lato accessibile qualcuna delle tre grandi passioni umane: l’orgoglio, l’ambizione, la voluttà. La Chiesa Romana è santa nel suo Capo che è Gesù Cristo; santa ne’ suoi fondatori che sono gli Apostoli; ma santo non fu mai verun fondatore di eresie. Troppo è noto qual fosse nei primi secoli la santità di Ario, di Manete e degli altri eresiarchi. Chi furono nei tempi moderni i corifei dei protestantismo? Lutero, Calvino, Zuinglio, tre ecclesiastici apostati, ed i tre uomini più scandalosamente impudichi del secolo sedicesimo. E si potrà credere che Iddio abbia scelto cotali uomini per riformare la sua Chiesa? Santa è la Chiesa cattolica in un gran numero di Papi e di Vescovi; santa finalmente in buon numero di Fedeli. Basta gettare uno sguardo su d’un martirologio, o su d’un calendario per vedere quanto grande sia la schiera dei Santi che si sono formati nella Chiesa, anche dopo gli ultimi secoli. E fuori ancora di quelle innumerevoli legioni di Santi, che risvegliano la generale ammirazione per l’eroiche loro virtù, ed ai quali i popoli non hanno potuto ricusare omaggi solenni, esiste una moltitudine assai più grande ancora di coloro che si santificarono colla pratica di virtù oscure celate agli occhi degli uomini! La santità dei figli della Chiesa è vera, dappoichè Iddio ha operato splendidissimi miracoli affine di manifestarla. Ora i miracoli operati dai Santi ebbero luogo in tutti i secoli, e succedono tuttavia al dì d’oggi nella sola Chiesa cattolica. Le sètte separate non possono dunque addurre la condotta regolare dei loro seguaci come una prova della santità di loro dottrina; avvegnaché Iddio non ha giammai confermato con alcun miracolo le loro virtù; mentre i Protestanti medesimi confessano la verità dei miracoli operati dai Santi della Chiesa cattolica, e segnatamente da S. Francesco Saverio. Per altro, affinché la Chiesa Romana sia santa, e madre dei Santi; affinché ell’abbia diritto di presentare la propria santità come un carattere di sua verità, non è necessario che tutti i suoi membri siano santi. Il Signor Nostro Gesù Cristo ha paragonato la sua Chiesa ad una rete in cui si trovano pesci buoni e cattivi; ad un’ aja in cui la paglia è mescolata al grano: laonde basta che tutti i membri della Chiesa siano stati santi, e tutti realmente lo furono nel giorno del loro battesimo; e che buon numero d’essi abbiano perseverato nella loro santità, e che Iddio abbia manifestata la loro santità coi miracoli.

La Cattolicità. La Chiesa Romana è cattolica per triplice cattolicità: primieramente per cattolicità di dottrina. Essendo essa l’erede di tutte le verità rivelate, la Chiesa Romana uniformandosi al comando del divino suo Maestro, insegna senza distinzione, senza eccezione, senza aggiunte, senza diminuzione tutto quello che il Signor Nostro degnossi di rivelarle. Ella non si fa lecito, alla guisa degli eretici, di portare una mano sacrilega sulle Scritture, e scegliere a capriccio fra le verità a lei affidate in deposito, accettando le une, rifiutando le altre; no, ella riceve, conserva ed insegna con uguale zelo tutti i dogmi e tutti i precetti del suo Sposo divino. Ad onta di tutti gli sforzi, gli eretici antichi e moderni -, aventi per ausiliari i filosofi e gli empi, non hanno mai potuto provare che la Chiesa cattolica abbia mutato, accresciuto, diminuito, e molto meno inventato una sola delle verità che propone da credere all’universo: i Padri apostolici parlavano come i Sacerdoti de’nostri giorni. – In secondo luogo cattolicità di tempo. Rivelate ai primi Padri nostri, trasmesse dai Patriarchi, sviluppate sotto 1’antica Legge, completate mediante 1’Evangelo, confidate agli Apostoli dallo stesso Uomo-Dio, propagate per mezzo loro in tutte le parti dell’universo, trasmesse fino a noi per costante tradizione, le verità insegnate dalla Chiesa Romana risalgono fino ai primi giorni del mondo, e saranno col ministero di lei annunziate a tutte le future generazioni, sino alla consumazione dei secoli. Il suo Simbolo è il Simbolo del genere umano, nel significato, che tutto ciò che presso qualsiasi nazione riscontrasi di vero gli appartiene, come il ramo appartiene all’albero, le membra al corpo, i raggi al sole. – Da ultimo cattolicità di luoghi. Scorrete l’universo, visitate le quattro o cinque parti del mondo; passate dalla Cina alle nordiche spiagge dell’America, dall’Africa alle regioni settentrionali dell’Europa, e dappertutto ritroverete dei Cattolici. Per ammirabile disposizione di sua Previdenza, Iddio volle che così fosse, affinché ad ogni ora del giorno e della notte risuonasse sulle labbra di qualche persona il Simbolo cattolico. Questa recitazione non è interrotta più di quanto sia il Sacrificio dei nostri altari, mercé cui il sangue divino non ha cessato un solo istante nel corso di diciotto secoli di scorrere su qualche punto del globo. Allorché la notte ricopre de’suoi veli una parte della terra, e i l Sacerdote discende dall’altare, cesssando eziandio il Fedele di ripetere il Simbolo, ecco nascere il giorno per un altro emisfero, il Sacerdote salire all’altare, e i nostri fratelli Cattolici ripetere la professione di nostra fede: e così avverrà sempre con successione invariabile sino alla fine dei tempi. Ma voi non ritroverete dovunque degli eretici, o dei membri di una società separata. Cattolicità di luoghi! – La Chiesa Romana a guisa del sole scorre l’orizzonte dell’universo; la sua luce si levò successivamente sulle diverse contrade del globo: l’eresia non mai. Cattolicità di luoghi! La Chiesa Romana è la più numerosa di tutte le società separatamente considerate. Il Maomettismo, 1’Idolatria, il Protestantismo, si dividono in una infinità di sètte, ciascuna delle quali è ben lontana dall’avere tanta copia di partigiani, quanti Fedeli conta la Chiesa cattolica. – Cattolicità di luoghi! Essere una come Dio è uno; essere dovunque come Iddio è dappertutto senza cessare di essere uno; tale si è la Chiesa Romana. L’unità nell’universalità stessa, ecco il carattere splendidissimo che la distingue e che si chiama Cattolicità. « Siccome non esiste che un solo Episcopato, scriveva, sono ornai diciassette secoli San Cipriano, così non trovasi che una sola Chiesa la quale abbraccia la vasta moltitudine dei membri che la compongono. A quel modo che un’indicibile quantità di raggi si veggon partire dal sole, sebben non v’abbia che un solo centro di luce; e infiniti rami sorgono sopra un sol tronco d’albero, il quale tutti li sostiene, immobilmente fisso colle sue radici al suolo; a quella guisa che da una stessa sorgente escono più rivi che risalgono alla comune origine, sebben diversi fra di loro per la copia delle acque che ne ricevono; cosi pure si stendono i Fedeli per tutta la terra, tale è l’immagine della Chiesa cattolica. La luce divina che la penetra co’ suoi raggi abbraccia il mondo intero, viene da un centro unico che diffonde i suoi chiarori in ogni luogo, senzaché sia lesa l’unità di principio: la sua fecondità inesauribile propaga i suoi talli per tutta la terra; spande lontano abbondevol dovizia delle sue acque; per ogni dove è lo stesso principio, la stessa origine, la stessa madre, che palesa la propria virtù mediante il numero de’ suoi figli ».

L’Apostolicità. La Chiesa Romana è apostolica, vale a dire, che risale agli Apostoli; eglino sono i suoi maestri, i suoi fondatori. Si distinguono due sorta di apostolicità: apostolicità di dottrina, e apostolicità di ministero. La Chiesa Romana è apostolica nella sua dottrina, vale a dire, che crede ed insegna, e ha sempre creduto ed insegnato la dottrina che ricevè degli Apostoli. Risalite d’età in età sino al giorno in cui il Figlio di Dio disse ai dodici Missionari evangelici: Andate, insegnate a tutte le nazioni; voi troverete la stessa istruzione, la stessa credenza, lo stesso Simbolo che noi recitiamo; voi l’udirete echeggiare nelle vaste basiliche di Nicea e di Costantinopoli; ne intenderete gli accenti sotto le vòlte illuminate delle catacombe: colà si amministrò lo stesso Battesimo, la stessa Eucaristia, gli stessi Sacramenti: colà si credè nel medesimo Dio, nel medesimo Gesù Cristo suo Figlio: colà si sperò lo stesso Cielo, si temette lo stesso inferno. – Questa venerabile antichità, questa non mai interrotta successione è l’eterna vergogna degli eretici. Per convincerli di errore basta chieder loro : Che cosa si credeva quando voi siete nati? Non sorse mai eresia che non trovasse la Chiesa cattolica in attuale possesso della dottrina contraria alla vostra: è questo un fatto pubblico, costante, universale, senza eccezione. Così la decisione è agevole; non resta a vedersi se non che qual fede fiorisse quando son comparsi gli eretici ; in qual fede fossero essi medesimi stati allevati nel grembo della Chiesa, ed a pronunziare su questo solo fatto, che non è dubbioso o nascosto, la loro condanna. O nostri fratelli! O voi che vi siete separati dall’unità cattolica, voi non avete adunque il carattere essenziale della vera dottrina, vale a dire, l’apostolicità. Qual è la vostra antichità? Forse quella di trecent’anni? No, v’ingannate; voi non avete che l’antichità della vostra opinione. Ieri voi la scriveste sulla carta, oggi stesso, questa mattina, voi l’avete mutata: ecco la vostra antichità! – La Chiesa Romana è apostolica nel suo ministero; e questo fatto, evidente come l’esistenza del sole, è la prova più palpabile ch’essa è la vera Chiesa. Il Signor Nostro disse a San Pietro: Tu sei Pietro, e su questa pietra io edificherò la mia Chiesa. Per trovare la vera Chiesa basta dunque cercare quale fra esse risale fino a Gesù Cristo, e di cui San Pietro è il fondamento. Ora, niuna setta antica o moderna può arrogarsi questo glorioso privilegio, niuna ascende fino ai giorni del Salvatore, niuna ha San Pietro per fondamento. – La sola Chiesa Romana, e le Chiese uscite dal suo seno possono additare l’ordine e la successione dei loro Vescovi sino agli Apostoli, oppure fino ad uno degli uomini apostolici che furono dagli Apostoli inviati; e per tal modo le Chiese veramente apostoliche autenticano la legittimità di loro origine. Cominciando dal nostro Santo Padre, Papa Pio IX felicemente regnante, si risale per successione non interrotta di 258 Papi tino a San Pietro fondatore della Romana Chiesa: giunti a San Pietro noi siamo a Gesù Cristo; e così delle altre Chiese cattoliche. Tutte ad un modo ci additano alla loro testa un Apostolo, o un inviato degli Apostoli, che le ha fondate, e che incomincia la catena della tradizione. Dalle Chiese primitive hanno le altre attinto la sana dottrina, e l’attingono tuttavia a misura che si formano. Perciò a buon diritto anche le nuove sono annoverate fra le Chiese cattoliche di cui elleno sono figlie; tutte quindi sono apostoliche, e tutte insieme non formano che una sola e medesima Chiesa. Il Sommo Pontefice ed i Vescovi sono adunque i successori degli Apostoli; e da essi hanno avuto l’origine e l’autorità di predicare la dottrina di Gesù Cristo. – Ma altrettanto non può dirsi degli eretici; avvegnaché 1’Evangelo sia stato in principio predicato ne’ loro paesi dagli Apostoli, o dagli uomini apostolici, non per questo essi possono appropriarsi l’apostolicità; separandosi dalla Chiesa Romana essi hanno rotto la catena dell’apostolica successione. Nissuno li ha inviati; da se medesimi si son fatti apostoli delle nazioni. « Chi siete voi? può dire la Chiesa a tutti questi novatori, ed ai Protestanti per esempio; da qual tempo e d’onde siete voi venuti? Dove eravate prima del secolo sedicesimo? Or sono quattrocent’anni, nissuno parlava di voi, non eravate conosciuti nemmeno di nome. Che fate voi in casa mia, mentre non siete de’ miei? A che titolo, o Lutero, abbatti le mie foreste? Chi ti diede facoltà, o Calvino, di deviare i miei canali? Con qual diritto, o Zuinglio, sconvolgi i miei confini? Come osate voi pensare e vivere quivi a vostro talento? Questi sono i miei averi; io ne sono da lungo tempo in possesso: sono essi mia proprietà; io nasco dagli antichi possessori, e provo la mia discendenza con autentici documenti. Io sono l’erede degli Apostoli, e ne godo il retaggio secondo le disposizioni del loro testamento, e conforme al giuramento che ho prestato. – Quanto a voi, essi vi hanno disconosciuti e diseredati come stranieri, come nemici. – Ma perché siete voi stranieri e nemici degli Apostoli? Bramate saperlo? Perch’essi non vi hanno inviato; perché la dottrina che ciascuno di voi ha inventato od adottato a capriccio, è direttamente opposta alla dottrina degli Apostoli ». – Per le quali cose la Chiesa Romana e una, santa, cattolica, apostolica; ella sola porta scolpiti in fronte i caratteri della vera Chiesa; ella sola adunque, ad esclusione di tutte le altre, è la vera sposa di Gesù Cristo, la colonna e il fondamento della verità. – Ma esiste ancora un’altra nota della vera Chiesa, ed è il fatto pronunziato dal Salvatore medesimo, allorché disse: E sarete in odio a tutti per causa del nome mio. Cercate adunque fra tutte le società religiose quella che è esposta all’odio di tutte le altre, all’odio del mondo intero, e voi avrete la vera sposa dell’ Uomo-Dio; voi la ravvisate alla corona di spine che porta perpetuamente infissa sul suo capo. Ma questa corona dolorosa nessuna setta l’ha portata, nessuna desidera di portarla; è un diadema che orna la fronte della sola Chiesa Romana. O Cattolici, miei fratelli che tremate talvolta allo scroscio spaventoso di un mondo che si sconquassa e va in rovina, invece di turbarvi, pensate piuttosto che le tempeste, le quali assalgono oggidì la Chiesa , sono ammirabilmente acconcie a corroborare la vostra fede. Che cosa provano queste novelle persecuzioni che succedono a tante altre che precedettero, se non che la Chiesa Romana, madre nostra, non ha cessato di essere la sposa fedele del Dio del Calvario? Sin tanto che il diadema delle tribolazioni splenderà sull’augusta sua fronte, ella, siatene certi, non avrà fatto né col mondo, né col vizio, né coll’errore veruna adultera alleanza. Più sarà viva la persecuzione, più vivo ancora sarà lo splendore della sua inviolabile fedeltà, più ella sarà degna della vostra fiducia e del vostro amore. – Il nono articolo del Simbolo finisce con questa frase: Io credo la comunione dei Santi. Queste parole, siccome spiegazione di quello che precede, non formano un articolo particolare, ma sono tuttavia di un’importanza grandissima: perciocché da una parte fanno conoscere la Chiesa nella sua vita intima; e dall’altra esprimono il primo dei quattro grandi vantaggi che la Chiesa ne procura. – Pronunziando le parole, io credo la comunione dei Santi, la nostra lingua proclama altamente la più magnifica fraternità che possa idearsi, il comunismo più bello, il solo vero, il solo possibile, il solo desiderabile; professando noi per tal modo di credere con una sicurezza pari alla nostra felicità all’esistenza ed alla bontà infinita di Dio: 1° Che tutti i membri della Chiesa, tanto quelli che godono nel Cielo, come quelli che sono viatori sulla terra, e quelli che sono nel Purgatorio, sono uniti fra di loro colle tre Persone della Santissima Trinità con vincolo intimo, efficace e permanente; 2° Che questa unione non consiste unicamente nella comunione di fede, di speranza, di carità; ma eziandio nella partecipazione ai medesimi Sacramenti, mediante i quali il Signor Nostro Gesù Cristo, il iSanto dei Santi, diffonde i meriti della sua passione e della sua vita su tutti i membri della Chiesa che degnamente li ricevono; e questa fraterna unione ha la sua origine nel Battesimo, per cui nasciamo figli di Dio, ed è alimentata e conservata specialmente dalla santa Eucaristia, atteso ché il cibarsi dello stesso pane e dello stesso vino fa di noi tutti un corpo stesso; 3° Che per virtù di tale unione tutti i beni spirituali della Chiesa sono comuni fra i Fedeli, siccome le sostanze di una famiglia fra i figli; in guisa che le grazie interiori e i doni esteriori che ciascuno riceve, le buone opere che ciascuno mette in pratica giovano meravigliosamente a tutto il corpo e ad ogni membro della Chiesa. Che per virtù di tale uniorie tutti i Fedeli della terra hanno tra di loro tutte le grazie ad essi concesse, tutte le buone opere da loro esercitate, siccome ad esempio 1′ assistenza al santo Sacrificio della Messa, le confessioni, le comunioni, le meditazioni, le pie letture, le limosine, le mortificazioni, le preghiere, giovano, in una certa misura, a tutti quelli che si trovano in istato di grazia. E diciamo in una certa misura, imperocché i frutti delle buone opere non possono tutti comunicarsi. – Ora, le buone opere del giusto producono tre effetti: il merito, la soddisfazione, l’impetrazione. Il merito è l’effetto delle buone opere, in quanto che producono un accrescimento di grazia, e un diritto nel Cielo ad un grado maggiore di gloria. Il merito è personale a chi fa l’opera buona, né può essere comunicato agli altri. Esso inoltre non si può acquistare che dall’uomo viatore e in istato di grazia; perocché solo in colui che è in possesso della grazia può essa venire aumentata; gli abitatori del Cielo e quelli del Purgatorio non possono più meritare, quantunque siano in istato di grazia. – La soddisfazione è l’effetto delle opere buone in quanto che ottengono la remissione delle pene temporali dovute al peccato. Soltanto 1 uomo sulla terra ed in istato di grazia può soddisfare: i Santi più non abbisognano di soddisfazione; e le anime purganti, a parlare propriamente, non soddisfanno: sarebbe più esatto il dire ch’esse soddissoffrono. Gli uomini in istato di peccato mortale non possono più soddisfare, attesoché non è lor dato di ottenere la remissione della pena dovuta al peccato, prima di aver ottenuto la remissione del peccato medesimo. La soddisfazione non può adunque loro essere applicata, ma bensì può esserlo alle anime giuste in istato di grazia e alle anime del Purgatorio. – E questo si fa coll’offrire la soddisfazione, ossia il merito satisfattorio delle buone opere a scarico di colui del quale si desidera diminuire il debito contratto pel peccato. – L’impetrazione è l’effetto delle buone opere in quanto che ottengono da Dio speciali favori. A rigore i soli giusti possono impetrare, perché i soli giusti hanno qualche diritto ad essere esauditi; atteso ché egli è convenevole e conforme alla ragione che Iddio, giusta le sue promesse, faccia la volontà di que’ suoi servi fedeli, i quali da parte loro si studiano di compire quella del loro padrone. Perciò che riguarda i peccatori, sebbene Iddio abbia dichiarato di non ascoltarli, essi possono tuttavia ottenere con impetrazione meno rigorosa; vale a dire, che dietro movimenti imperfetti di fede e di speranza si dispongono alla grazia e all’amicizia di Dio, e gli domandano qualche favore. La loro impetrazione non ha altro fondamento che l’infinita misericordia di Dio. – Questo terzo effetto delle opere buone, cioè l’impetrazione, si può comunicare non solo a tutti membri della Chiesa, giusti e peccatori, ma può estendersi ancora a tutti coloro che non sono in modo alcuno i membri della Chiesa, quali sarebbero gli infedeli, i giudei, gli eretici, gli scismatici, gli scomunicati; imperciocché si può domandare la loro conversione, ed esercitarsi in opere buone, affine di ottenerla. – Ma quale diversità, qui potreste richiedere, corre adunque sotto questo rapporto fra i Fedeli e gl ‘Infedeli? La diversità in ciò consiste, che questi ultimi rimangono privi delle preghiere pubbliche della Chiesa, eccettuato il Venerdì santo, e che non profittano delle buone opere private, se non in quanto si fanno espressamente per loro; laddove i Fedeli si vantaggiano delle pubbliche preci, e traggono aiuto naturalmente dalle buone opere particolari di tutti i membri della Chiesa, anche quando non si abbia espressa intenzione di applicarle a loro; e la ragione si è questa, che tutti i Fedeli sono membri viventi di un medesimo corpo. Cosi, per servirmi di un paragone, allorché la bocca mangia e lo stomaco digerisce, tutte le altre membra ne risentono sollievo; ed egualmente allorché un giusto compie un’opera buona, tutti gli altri giusti ne sono confortati. – Noi abbiam detto un’opera buona, perciocché tutte quelle che ne hanno l’apparenza, non sono tali realmente. Difatti si distinguono tre sorta di opere : le opere vive, che sono quelle dell’uomo in stato di grazia, e sono profittevoli a tutti i membri vivi della Chiesa. Le opere morte, e sono quelle dell’uomo in stato di peccato mortale, e che non servono né a soddisfare né a meritare, ma solamente ad ottenere da Dio che usi misericordia, e converta a penitenza colui che le fa. Finalmente le opere mortificate, vale a dire, quelle che furono fatte in stato di grazia, ma il cui merito è coperto e come estinto per effetto del peccato mortale che le ha seguite: esse rivivono allorquando colui che le ha fatte ritorna nello stato di grazia. Per render complete le spiegazioni precedenti, noi aggiungeremo che il Signor Nostro, cella sua qualità di Capo, distribuisce il frutto prezioso delle buone opere ai diversi membri vivi del corpo mistico, in proporzione dei loro bisogni e dei loro meriti. Rispetto ai peccatori, essi appartengono ancora alla Chiesa per mezzo della lede e della speranza; ma privi come sono della carità, rimangono membri morti, né partecipano a’ suoi beni spirituali, se non nel senso, che Iddìo, avendo riguardo alle preghiere dei giusti, accorda talvolta ai peccatori la grazia di conversione, oppure sospende le punizioni che si sono meritate! 5° Noi professiamo che in virtù dell’unione, cui i Fedeli della terra hanno coi Santi del Cielo, i primi ottengono da Dio, ad intercessione dei secondi, molte grazie per se medesimi e per gli altri Fedeli, allorché l’invocano, li onorano e si studiano d’imitarli; 6° Che in virtù dell’unione che i Santi della terra e del Cielo hanno coi Santi del Purgatorio, queste anime tormentate trovano sollievo nelle preghiere, nelle elemosine, nelle indulgenze, e nel Sacrificio augustissimo dell’Altare, offerto nell’intenzione di giovare alle medesime. Un’ ammirabile similitudine adoperata dallo Spirito Santo medesimo ci offre la idea la più magnifica e la più commovente di questa unione fra loro di tutti i membri della Chiesa, e fa conoscere ad un tempo persino ai fanciulli medesimi tale intera comunicazione di beni fra i Fedeli: la similitudine è tratta dal corpo umano. Nel corpo umano v’hanno molte membra, e non formano nullameno che un solo corpo. Non tutte per altro hanno la stessa funzione, ciascuno ha la sua: il piede cammina, l’occhio vede, l’orecchio ode; ciò non ostante queste operazioni particolari non si riferiscono direttamente all’utile del membro che le compie, ma sì bene all’armonia ed al vantaggio universale del corpo e di tutte le altre membra; onde a prò di tutto il corpo il piede cammina, l’occhio vede, l’orecchio ode. Egualmente nel corpo della Chiesa havvi molti membri. I Fedeli che vivono sulla terra , le Anime del Purgatorio, i Santi del Cielo, i Cattolici dell’Europa, quelli dell’Asia, dell’Africa, dell’America, dell’Oceania; quelli, in una parola, di tutte le parti del mondo, e siano quanto esser si vogliano remote, sono membri della Chiesa, e non formano che un solo e medesimo corpo. Tutti però non hanno la stessa funzione: gli uni sono Vescovi, gli altri Sacerdoti, Religiosi o Religiose; taluni sono Dottori, Predicatori, Consolatori; altri padroni, altri servi; ciascuno ha il suo stato e le sue incombenze, che tutte son rivolte al bene generale del corpo e di tutti i membri. Perciò è che a vantaggio di tutta la Chiesa il Sacerdote predica ed amministra i Sacramenti, il Dottore insegna la Religiosa prega e consacra se stessa al soccorso de’ suoi fratelli , ed i semplici Fedeli adempiono quegli obblighi cui piacque alla Provvidenza di imporre alla loro condizione particolare. – Nel corpo umano le membra sono talmente unite, che non sì tosto una d’esse, anche la più debole e la meno importante, viene a provare una sensazione di piacere o di dolore, subito le altre tutte risenton gli effetti di questo piacere o di questo dolore, a motivo dell’unione e della simpatia che la natura ha posto fra di loro. – Similmente nel corpo della Chiesa, approfittando noi dei beni accordati a ciascuno dei nostri fratelli, dobbiam pure partecipare ai dolori che li affliggono, rallegrarci con quelli che si rallegrano, piangere con quei che piangono. Sarebbe mai possibile che l’unione stabilita tra di noi dalla grazia fosse meno efficace, nel renderci sensibili i dolori ed i gaudii altrui, che la naturale simpatia per far sentire a tutte le membra del corpo il piacere od il dolore di cui è affetto ciascuno di loro? Nel corpo umano v’ha un capo che regge tutte le membra ed influisce su ciascuno di esse mediante le emanazioni che trasmette; un cuore da cui parte il sangue, e dov’esso ritorna per purificarsi, riscaldarsi e ripartire di nuovo; ed oltracciò il corpo è animato, vivificato da un’anima che gli comunica il movimento, la bellezza, la forza. Così pure nel corpo della Chiesa v’ha un Capo, il Signor Nostro Gesù Cristo, il quale regge tutti i membri, ed influisce sopra ciascuno colle sue grazie; un cuore che è la santa Eucaristia, donde parte l’amore, ed ove ritorna per purificarsi, accendersi e ripartire di nuovo; finalmente un’anima, che è lo Spirito Santo, il quale si diffonde per tutte le parti di questo corpo meraviglioso, e gli conferisce la beltà, la forza, la vita; la vita di grazia sulla terra, la vita di gloria nell’eternità. Alla vista di questo corpo magnifico , non possono risvegliarsi nell’anima nostra che tre sentimenti: un sentimento d’ineffabile gratitudine per farne parte; un sentimento di profondo timore di esserne resecato, o di non diventare che membro morto; un sentimento di tenera ed attiva compassione per gl’infedeli, gli eretici, gli scismatici, e per tutti coloro che non ci appartengono. A compiere la spiegazione del nono articolo del Simbolo cattolico più non resta che di esporre la ragione e i l significato dell’ultima parola, la comunione dei Santi. – Tutti i membri della Chiesa son detti santi; primieramente perché la santità è lo scopo della nostra vocazione alla fede, e l’obbligo strettissimo che ne fu imposto a tutti col Battesimo; in secondo luogo perché meravigliosa comunione sovra descritta; in terzo luogo perché i peccatori stessi rinvengono nella medesima potenti mezzi di santificazione; finalmente perché questa comunione dei Santi della terra ne conduce all’eterna e generale comunione dei Santi, degli Angeli, e di Dio medesimo nel Cielo. Guai dunque a coloro che si fanno scacciare da questa società, fuori della quale non si dà salute! La Chiesa fa suo mal grado; ma essa può farlo, essendo investita dell’ autorità di scomunicare. Nulla di meglio stabilito, che la legittimità di questo formidabile potere: gli Apostoli lo hanno adoperato; i Concili, i sommi Pontefici ed i Vescovi seguirono il loro esempio nel corso dei secoli, tutte le volte che lo credettero necessario « Forsechè il padre di famiglia non ha il diritto di metter fuori di casa il figlio scandaloso e ribelle? Forsechè il pastore non ha diritto di cacciare dall’ovile la pecora indocile e scabbiosa? I giudici ed i magistrati non scacciano forse tutto giorno dalla società i malandrini pericolosi ed ostinati? Perchè adunque la Chiesa, che è la società la più perfetta, non dovrebbe godere di egual diritto? Tranne la sentenza del Signor Nostro Gesù Cristo nel dì del finale giudizi nulla deve ispirarci timor più grande della scomunica. Coloro che ne rimangono colpiti trovansi privi di tutti i beni spirituali che sono nella Chiesa; non possono ritornare fra le sue braccia materne, se dopo aver fatto la loro sottomissione, data soddisfazione a quelli che hanno offeso, spogliato, ed ottenuta l’assoluzione dal Superiore che ha podestà di concederla; e se per loro sventura muoiono senza essersi riconciliati colla Chiesa, restano privi dell’ecclesiastica sepoltura, e di tutti i suffragi della Chiesa in sollievo dei trapassati. Spessissimo ancora si è veduto la scomunica produrre effetti sensibili sui colpevoli, quindi nei secoli di fede, i re, i potenti cuii popoli non hanno temuto nulla quanto questo folgore spirituale. Lo stesso Napoleone, che ostentava di sprezzare il fulmine che l’aveva percosso, erane per altro palesemente tormentato; rivolta ancora il suo esasperamento non conosceva misura. Negl’impeti del suo dispetto andava esclamando: Finalmente crede forse il Papa che la sua scomunica farà cadere le armi dal braccio de’miei soldati? Ora tutto il mondo sa che dall’epoca della comunica la stella di Napoleone cominciò ad impallidire, e che la sua vita divenne una serie continua di disastri. Di più gl’istorici della campagna di Russia, narrando la tremenda catastrofe, dicono tutti in precisi termini : Le armi cadevano dalle mani dei soldati. I filosofi non mancheranno di dire che fu il gelo e non la scomunica che faceva cader le armi di mano ai soldati. Ottimamente; ma il freddo chi lo aveva mandato? Chi fatto scendere il termometro a grado sì micidiale? Foste voi forse, o filosofi? Ovvero Colui che impera agli elementi con autorità più dispotico di quella di Napoleone alla grande armata? Quel Dio che tien soggetti gli elementi, è quegli stesso che disse alla Chiesa ed al Papa: Colui che disprezza voi, disprezza me medesimo: io stritolerò come vetro colui che ardirà resistermi. Né rivoluzioni, né civilizzazione, né possanza alcuna può togliergli o circoscrivere il suo potere. – Noi parleremo dei vantaggi che il nono articolo del Simbolo cattolico arreca alla società, allorquando spiegheremo i comandamenti della Chiesa.

Preghiera.

“O mio Dio, che siete tutto amore, io vi ringrazio di avermi reso partecipe di tutti i beni spirituali di vostra santa Chiesa; non vogliate giammai permettere ch’io meriti d’esserne privato. Mi propongo di amar Dio sopra tutte le cose e il prossimo come me stesso per amor di Dio, e in prova di questo amore, io amerò la Chiesa come un figlio ama la propria madre”.

Messa della Domenica III dopo Epifania

Introitus Ps XCVI:7-8

Adoráte Deum, omnes Angeli ejus: audívit, et lætáta est Sion: et exsultavérunt fíliæ Judae.

[Adorate Dio, voi tutti Angeli suoi: Sion ha udito e se ne è rallegrata: ed hanno esultato le figlie di Giuda]. Ps XCVI:1

Dóminus regnávit, exsúltet terra: læténtur ínsulæ multæ.

[Il Signore regna, esulti la terra: si rallegrino le molte genti].

Orémus. Omnípotens sempitérne Deus, infirmitatem nostram propítius réspice: atque, ad protegéndum nos, déxteram tuæ majestátis exténde. [Onnipotente e sempiterno Iddio, volgi pietoso lo sguardo alla nostra debolezza, e a nostra protezione stendi il braccio della tua potenza] – Per Dominum nostrum Jesum Christum …

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános.

Rom XII:16-21

Fratres: Nolíte esse prudéntes apud vosmetípsos: nulli malum pro malo reddéntes: providéntes bona non tantum coram Deo, sed étiam coram ómnibus homínibus. Si fíeri potest, quod ex vobis est, cum ómnibus homínibus pacem habéntes: Non vosmetípsos defendéntes, caríssimi, sed date locum iræ. Scriptum est enim: Mihi vindícta: ego retríbuam, dicit Dóminus. Sed si esuríerit inimícus tuus, ciba illum: si sitit, potum da illi: hoc enim fáciens, carbónes ignis cóngeres super caput ejus. Noli vinci a malo, sed vince in bono malum. [Fratelli: Non vogliate essere sapienti ai vostri occhi: non rendete male per male: abbiate cura di fare bene non solo agli occhi di Dio, ma anche davanti agli uomini. Se è possibile, per quanto sta da voi, siate in pace con tutti: non difendete voi stessi, carissimi, ma date luogo all’ira. Sta scritto infatti: Mia è la vendetta: io farò ragione, dice il Signore. Se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare, se ha sete, dagli da bere: poiché, così facendo, radunerai carboni ardenti sopra la sua testa. Non voler esser vinto dal male, ma vinci il male col bene.]

Deo gratias.

Graduale Ps CI:16-17 Timébunt gentes nomen tuum, Dómine, et omnes reges terræ glóriam tuam.[Le genti temeranno il tuo nome, o Signore: tutti i re della terra la tua gloria]. V. Quóniam ædificávit Dóminus Sion, et vidébitur in majestáte sua. Allelúja, allelúja. [Poiché il Signore ha edificato Sion: e si è mostrato nella sua potenza. Allelúia, allelúia].

Ps XCVI:1 Dóminus regnávit, exsúltet terra: læténtur ínsulæ multæ. Allelúja. [Il Signore regna, esulti la terra: si rallegrino le molte genti. Alleluja.].

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthaeum.

Gloria tibi, Domine!

Matt VIII:1-13

In illo témpore: Cum descendísset Jesus de monte, secútæ sunt eum turbæ multæ: et ecce, leprósus véniens adorábat eum, dicens: Dómine, si vis, potes me mundáre. Et exténdens Jesus manum, tétigit eum, dicens: Volo. Mundáre. Et conféstim mundáta est lepra ejus. Et ait illi Jesus: Vide, némini díxeris: sed vade, osténde te sacerdóti, et offer munus, quod præcépit Móyses, in testimónium illis. Cum autem introísset Caphárnaum, accéssit ad eum centúrio, rogans eum et dicens: Dómine, puer meus jacet in domo paralýticus, et male torquetur. Et ait illi Jesus: Ego véniam, et curábo eum. Et respóndens centúrio, ait: Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur puer meus. Nam et ego homo sum sub potestáte constitútus, habens sub me mílites, et dico huic: Vade, et vadit; et alii: Veni, et venit; et servo meo: Fac hoc, et facit. Audiens autem Jesus, mirátus est, et sequéntibus se dixit: Amen, dico vobis, non inveni tantam fidem in Israël. Dico autem vobis, quod multi ab Oriénte et Occidénte vénient, et recúmbent cum Abraham et Isaac et Jacob in regno coelórum: fílii autem regni ejiciéntur in ténebras exterióres: ibi erit fletus et stridor déntium. Et dixit Jesus centurióni: Vade et, sicut credidísti, fiat tibi. Et sanátus est puer in illa hora. [In quel tempo: Essendo Gesù disceso dal monte, lo seguirono molte turbe: ed ecco un lebbroso che, accostatosi, lo adorava, dicendo: Signore, se vuoi, puoi mondarmi. Gesù, stesa la mano, lo toccò, dicendo: Lo voglio. Sii Mondato. E tosto la sua lebbra fu guarita. E Gesù gli disse: Guarda di non dirlo ad alcuno: ma va, mòstrati ai sacerdoti, e offri quanto prescritto da Mosè, onde serva a loro di testimonianza. Entrato poi in Cafàrnao, andò a trovarlo un centurione, raccomandandosi e dicendo: Signore, il mio servo giace in casa, paralitico, ed è malamente tormentato. E Gesù gli rispose: Verrò, e lo guarirò. E il centurione disse: Signore, non son degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ solo una parola e il mio servo sarà guarito. Perché anch’io, sebbene soggetto ad altri, ho sotto di me dei soldati, e dico a uno: Va, ed egli va; e all’altro: Vieni, ed egli viene; e al mio servo: Fai questo, ed egli lo fa. Gesù, udite queste parole, ne restò ammirato, e a coloro che lo seguivano, disse: Non ho trovato fede così grande in Israele. Vi dico perciò che molti verranno da Oriente e da Occidente e siederanno con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, ma i figli del regno saranno gettati nelle tenebre esteriori: ove sarà pianto e stridore di denti. Allora Gesù disse al centurione: Va, e ti sia fatto come hai creduto. E in quel momento il servo fu guarito.]

Laus tibi, Christe!

Omelia della Domenica III dopo l’Epifania

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. I -1851-]

(Vangelo sec. S. Matteo VIII, 1-13)

Volontà di salvarsi

Un povero lebbroso andava in cerca di Gesù Nazzareno, spinto dal desiderio di ricuperare la perduta sanità. Quando opportunamente lo vede discendere dal declive d’un monte, seguitato da numerosa turba, e fattosi a Lui incontro, proteso a terra profondamente L’adora. Indi alzato il capo, le mani e la voce, “Signore, Gli dice, se Voi volete, io son guarito, il potere non manca: basta un atto di vostra volontà; “Domine, si vis, potus me mundare”. In vista di tanta umiliazione, di tanta fede, stende la mano il pietoso Signore, e “tu, gli risponde, mi chiedi se voglio mondarti, e ciò è appunto che voglio. Orsù resta mondo”, “volo mundare”. E così avvenne sull’istante. “Vattene, soggiunse poi, presentati al sacerdote, ed offerisci al Tempio quel che da Dio vien prescritto nella legge di Mose”. Fin qui un tratto dell’odierno Vangelo, in cui due cose naturalmente si presentano alla nostra riflessione; cioè la volontà del lebbroso in cercar la sua guarigione, e in procurarsela co’ modi più moventi ed efficaci, e la volontà dei divin Redentore, manifestata con quell’imperioso “volo”, e compiuta coll’istantaneo prodigioso risanamento di quell’infelice. Da ciò dobbiamo apprendere, uditori miei, che per conseguire la nostra eterna salvezza, sono necessarie due volontà: quella di Dio, e la nostra. Quella di Dio è sempre pronta, la nostra sovente manca. Sono questi i due riflessi, che meritano tutta la nostra applicazione. La volontà di Dio è sempre disposta e pronta a salvarci. Dio vuole che tutti si salvino, “vult omnes homines salvos fieri” (ad Tim. II, 4). Di questa sua volontà ci ha Egli dato prove? Infinite! Noi eravamo per l’originale peccato figli d’ira, vasi di riprovazione, e secondo la frase di S. Agostino, una “massa dannata”. Dio Padre, mosso a pietà di noi, diede il proprio Figlio riparatore dei nostri mali, e vittima de’ nostri falli; ed Egli discese dal cielo per liberarci dalle catene del peccato, e dalla schiavitù del demonio. “Propter nos homines, et propter nostram salutem descendit de coelis” (Symb. Nic.). Osservate pertanto quel Dio fatto uomo nella capanna di Bettelemme, quelle lacrime che sparge sono sparse per lavarci dalla lebbra immonda delle nostre colpe; quel sangue che versa fin da’ primi giorni nella sua circoncisione, è il balsamo per le nostre ferite. – OsservateLo in Gerusalemme nella Galilea, nella Palestina, ove ammaestra i discepoli, istruisce i popoli, catechizza le turbe, e ovunque sparge colla sua predicazione i semi dell’Evangelica sua dottrina, e cogli stupendi prodigi i lampi della divinità, che in Lui si asconde. E tutto ciò a fine di farsi conoscere per nostro liberatore, maestro e guida; onde seguendo le sue pedate, arriviamo per istrada sicura all’esenta salute. OsservateLo finalmente nell’orto dei suoi languori sudante sangue, nel pretorio da ogni parte grondante sangue, sul Calvario dalle piaghe e dal cuor trafitto versante sangue fino all’ultima stilla, e poi dite, di questo suo sangue Gesù Cristo ha formato un bagno salutare per lavarci dalla macchia dell’originale peccato; ed a riparo dell’innocenza perduta ha aperto un altro bagno dello stesso suo sangue nel Sacramento della penitenza, Battesimo secondo, seconda tavola dopo il naufragio. Che vi pare di queste prove? doveva forse far di più per dimostrarci la volontà che ha della nostra salvezza? – Poco forse vi muovono le indicate prove, perché universali, estese a tutto il genere umano? Seguite ad ascoltarmi. Siete voi nel numero degl’innocenti, o de’ penitenti, o de’ peccatori? Se siete innocente, ditemi: “chi vi conservò illibata la candida stola della battesimale innocenza?” Chi vi ha liberato da’ tanti pericoli del mondo e della carne? È Dio, che vi fe’ sortire un’anima buona, un’indole inclinata al bene, un’ottima educazione cristiana; è desso che colle sante ispirazioni, coi lumi della sua fede, cogli aiuti della sua grazia regolò i vostri passi, i vostri affetti, le vostre azioni. Desso è che vi ha tenuto lontano da tante occasioni nelle quali avrebbe fatto naufragio la vostra innocenza. Desso è finalmente che, in mezzo ai lacci e agli scandali d’un secolo così pervertito, vi ha difeso come un giglio fra le spine, come Lot fra le abominazioni di Sodoma: dunque Dio vi vuol salvo! Siete penitente? Or bene chi fu il primo a richiamarvi dalla via di perdizione? chi v’ispirò di tornare a’ suoi piedi? chi vi die’ forza a risolvervi? Chi vi die’ grazia di vomitare il veleno de’ vostri peccati a pie’ del confessore? Chi medicò le vostre ferite? Gesù, Samaritano pietoso, col vino della sua sapienza, coll’olio della sua misericordia! Ei vi accolse al suo seno come un altro fìgliuol prodigo, vi diede un bacio di pace, e vi rivestì della stola prima, cioè della grazia santificante. Dunque Dio vi vuol salvo! Se poi siete peccatore non ancor ravveduto, ditemi da chi vengono quelle interne voci che vi chiamano a penitenza? Da chi sono eccitati i rimorsi, che v ‘inquietano nelle vegliate notti, che vi amareggiano ne’ tediosi giorni, che vi avvelenano gli stessi vostri piaceri, che vi fan toccar con mano che il peccato non può farvi contento? Dalla divina misericordia partono questi colpi, la quale vi vola d’intorno, come provò S. Agostino, e vi assedia, e amaramente vi affligge con tetre apprensioni, con nere malinconie massime in quel tempo che una sventura vi attrista, che una febbre vi crucia, un dolor vi tormenta, una grave infermità vi minaccia di morte vicina. Son questi finissimi tratti della bontà di un Dio, che non vi perde di vista, che tutta adopera i mezzi per farvi uscire dal vostro misero stato e vi molesta per consolarvi, e vi ferisce per risanarvi, perché in fine sazio e mal contento del mondo, del peccato e di voi stesso, cerchiate in Lui la pace che non avete, la felicità che aver non potete, se non in Lui. Dunque Dio vi vuol salvo! A finirla, siete una pecorella innocente? È Gesù buon pastore, che vi custodì nel suo gregge. Siete pecorella ritornata da’ vostri traviamenti? È Gesù buon pastore che sugli omeri suoi vi riportò all’ovile. Siete pecora ancora errante? È Gesù buon pastore, che vi tien dietro, e vi chiama a sé, perché non andiate in bocca al lupo infernale. Dunque, ripetiamolo ancor una volta: Dio vi vuol salvo!

II. “S’è così, ripigliate voi, noi abbiamo in pugno la nostra salvezza. Dio ci vuol salvi, noi vogliamo salvarci, e chi è quello stolto che non voglia salvarsi? dunque la nostra salvezza sarà sicura”. Sicura sarà se avrete una volontà decisa, efficace, operante. Una volontà astratta, superificiale, oziosa non vi salverà. Siccome vi sono delle monete legittime, e delle false, così v’è una volontà vera, ed una fallace. Come faremo a distinguerle facilmente. L’oro si conosce alla prova del fuoco, la volontà si distingue alla prova del fatto. Perché Iddio ha una vera volontà di salvarci, abbiamo veduto poc’anzi quanto abbia fatto, e quanto fa continuamente per noi. Veniamo dunque all’opere, se ci preme la nostra salute. Voi pertanto, anime innocenti, allontanatevi da’ pericoli del tristo mondo, adempite i doveri del vostro stato, frequentate le Chiese e i Sacramenti, regolatevi colle massime della fede, fortificatevi colle incessanti preghiere, perseverate nel bene e vi salverete! Voi penitenti cristiani, piangete i vostri trascorsi, ed il vostro pianto vi accompagni fino all’ultimo de’ vostri respiri, fuggite le occasioni pericolose, soddisfate la divina giustizia colle opere di penitenza, mortificate i vostri sensi, raffrenate le vostre passioni, la mutazione del vostro cuore si manifesti col cambiamento de’ vostri costumi, perseverate nell’intrapresa via di penitenza, e vi salverete. Voi peccatori, fratelli miei cari, ancor macchiati da colpa, ancor coperti di lebbra, imitate il lebbroso del presente Vangelo, gettatevi a’ piedi di Gesù, portatevi a’ pie del sacerdote, tuffatevi nel bagno formato dal sangue dell’immacolato Agnello di Dio nella sacramental confessione, e sarete guariti, e Dio vi salverà. Non vi sentite acconci di farlo? dunque non volete salvarvi! Costantino imperatore, carico di schifosa lebbra, consultò per liberarsene i più valenti medici del suo impero, ed essi gli consigliarono un bagno di sangue di fanciulli lattanti, in cui dovesse immèrgersi, e ricuperare la pristina salute. Questo crudel consiglio, questo crudelissimo bagno, non ebbe effetto; poiché gli apparì S. Pietro, gli propose un bagno migliore nel santo Battesimo, ove acquistò la salute dell’anima e del corpo. Fingete però che si fosse eseguito, immaginatelo presente. Che orrore! Chi può soffrir la vista di quel sangue innocente, caldo, fumante? “Spogliati barbaro imperatore”. Che mi spogli? l’aria fredda, la stagione cruda, non mi sento per ora, più tosto … ah disumano, ah mostro di crudeltà! dunque per così poco tu rendi inutile il dolor di tante madri, il sangue di tanti bambini? Deh cessiamo dalle invettive in un supposto accidente, rivolgiamole contro di noi in un fatto vero. Gesù Cristo ha dato tutto il suo sangue, ne ha formato un mistico bagno nel Sacramento di penitenza per darci vita e salute, e noi per non spogliarci di un abito cattivo, per risparmiare un incomodo, rifiutiamo un tanto e così necessario rimedio? Dunque non vogliamo salvarci! – Se il Signore ci comandasse aspre, difficili cose pure per la salute eterna converrebbe eseguirle. Quanto si soffre per la salute del corpo? Rigorose diete, amare bevande, tagli di membra, dolori di spasimo; e per l’anima si ricusa un rimedio così consolante, qual è chiedere a Dio perdono col cuor contrito, e scoprire le proprie piaghe a chi tiene il suo luogo? “Se il Profeta Eliseo (dissero i cortigiani al loro principe Naaman Siro), se Eliseo per guarirvi dalla lebbra v’avesse ordinato una cura lunga, ardua, penosa, dovreste intraprenderla; ma una cosa sì agevole,qual è il lavarsi nel fiume Giordano, perché non praticarla?” Si arrese il principe al saggio consiglio, e doppiamente fu risanato, nel corpo cioè e nello spirito. Un esito egualmente felice dobbiamo sperare dal Sacramento della penitenza. Più dell’acque del Giordano è salubre il sangue dei Redentore. – Lavati così nei fonti del Salvatore, ecco quel che far ci resta, fedeli amatissimi, apprendetelo dalla bocca di Gesù Cristo. Un certo giovane Gli domandò che far doveva per conseguire la vita eterna, “si vis, gli rispose, ad vitam ingredi, serva mandata” (Matth. XIX, 17). Ponderate bene queste divine parole : “si vis”, se tu vuoi entrare nell’eterna vita, osserva i comandamenti; se tu vuoi, e veramente vuoi, tu mi darai prove del tuo volere coll’osservanza de’ divini precetti. – Altrettanto ripete a ciascun di noi. Volete salvarvi? ecco la necessaria condizione, osservate la legge di Dio! Ma se invece bestemmiate il suo santo Nome, se non santificate le feste, se per santificarle vi contentate d’una Messa sentita in piedi, cogli occhi in giro, colla mente altrove, se usurpate la roba d’altri, se non restituite, se odiate il prossimo, se gli togliete la fama, se non lasciate il giuoco, il ridotto, la scandalosa amicizia, non state a dire che volete salvarvi, perché direte bugia, perché smentite col fatto quel che pronunziate colla lingua. La strada non passa. Quel Dio, dice S, Agostino, che ha creato voi senza di voi, non vuol salvare voi senza di voi. “Qui creavit te sine te, non salvabit te sine te”. Iddio per crearvi non ha avuto bisogno di voi, vi ha tratto dal nulla, con un sol atto di sua volontà; ma per salvarvi, e assolutaménte vuole, che alla sua volontà sia unita la vostra, con eseguire in tutto la sua santissima volontà. Non vi sentite, non volete farlo? Dunque non volete salvarvi, non vi salverete! – Concludiamo, e mi sia permesso servirmi d’un detto tratto dalla storia non sacra. Ne’ passati secoli, e nella nostra Europa eravi forte guerra tra due possenti monarchi; e com’è costume di tutti i tempi, tra i novellisti e geniali si teneva diverso partito, e la futura vittoria chi la voleva per l’uno, chi per l’altro sovrano. Interrogato su di ciò un principe neutrale, qual di quei due credeva sarebbe il vincitore, rispose: “vincerà quegli a cui presterò la mia spada”. Cristiani amatissimi, tra Dio e il demonio, a nostro modo d’intendere, passa una forte guerra contro dell’anima nostra. Iddio la vuole per sé, e come abbiam veduto, ne ha dato i più evidenti contrassegni, il demonio la vuol sua, e fa tutti i suoi sforzi. Chi la vincerà? senza alcun dubbio colui la vincerà, al quale presteremo la nostra spada, a cui uniremo la nostra volontà. – Se unita la volontà nostra è con quella del demonio, volendo persistere nel peccato, noi siam perduti. Sarà unita a quella di Dio colla fedele osservanza della sua santa legge? Noi sarem salvi!

Credo ….

Offertorium

Orémus Ps CXVII:16; CXVII:17 Déxtera Dómini fecit virtutem, déxtera Dómini exaltávit me: non móriar, sed vivam, et narrábo ópera Dómini. [La destra del Signore ha fatto prodigi, la destra del Signore mi ha esaltato: non morirò, ma vivrò e narrerò le opere del Signore.]

Secreta Hæc hóstia, Dómine, quaesumus, emúndet nostra delícta: et, ad sacrifícium celebrándum, subditórum tibi córpora mentésque sanctíficet. [Quest’ostia, o Signore, Te ne preghiamo, ci mondi dai nostri delitti e, santificando i corpi e le ànime dei tuoi servi, li disponga alla celebrazione del sacrificio.]

Communio Luc IV:22

Mirabántur omnes de his, quæ procedébant de ore Dei. [Si meravigliavano tutti delle parole che uscivano dalla bocca di Dio.]

Postcommunio

Orémus. Quos tantis, Dómine, largíris uti mystériis: quaesumus; ut efféctibus nos eórum veráciter aptáre dignéris. [O Signore, che ci concedi di partecipare a tanto mistero, dégnati, Te ne preghiamo, di renderci atti a riceverne realmente gli effetti.]

Mons. G. DE SEGUR : LA MESSA (3)

LA MESSA

[Mgr. G. De Ségur – da: “Le opere” vol. VIII, 1869]

(3)

XXXIV

Piccolo colpo d’occhio sull’insieme delle cerimonie della Messa.

Dopo aver spiegato nel dettaglio le cerimonie della Messa, non sarà inutile fermarci un istante, come dei viaggiatori che vengono dal percorrere un bel paesaggio e che, prima di lasciarlo, si girano un istante a contemplarlo ed ammirarne l’insieme. – Nel loro insieme, in effetti, le cerimonie della Messa, quando se ne conosce il significato, espongono e, per così dire, srotolano agli occhi dei cristiani tutto il grande dramma del Cristianesimo, il passato, il presente e l’avvenire della santa Chiesa. La Chiesa, in effetti, è iniziata con la Creazione, con gli Angeli e con il primo uomo; e dalle origini essa ha avuto come unico Capo, per Signore sovrano, per luce e per DIO, Colui che doveva incarnarsi nella pienezza dei tempi, e che è il solo vero DIO vivente ed eterno, con il Padre e lo Spirito-Santo. Sulla terra, la Chiesa si è ingrandita e ha camminato con i secoli, lottando contro il peccato e contro i peccatori, contro il demonio e contro il mondo. In questo combattimento essa è sempre stata assistita dai santi Angeli. Prima dell’Avvento di GESÙ-CRISTO, suo divino Capo e suo Salvatore, la Chiesa è stata dapprima patriarcale, poi mosaica, vale a dire, diretta e governata prima dai santi Patriarchi, padri della grande famiglia umana, che DIO aveva incaricato di conservare le vere tradizioni rivelate ad Adamo, poi, governata e diretta dalla legge di Mosè, dal sacerdote giudeo, ugualmente incaricato dal buon DIO di conservare sulla terra, in mezzo alle tante follie del paganesimo, la vera religione e la fede nel DIO Redentore. Questo Redentore DIO fatto uomo, apparve nella pienezza dei tempi e nacque dalla Vergine Maria. Per trentatre anni nei quali di degnò di dimorare sulla terra, soffrì, implorò e pregò per noi, poveri peccatori; Egli completò ciò che dalle origini aveva rivelato al mondo, Egli, il Verbo eterno, il Maestro legittimo ed il Salvatore del mondo, infine volle morire, sacrificarsi per noi, alfine di lavare i nostri peccati nel suo sangue. DIO Onnipotente resuscitò nel giorno di Pasqua, tre giorni dopo la sua morte, e risalì in cielo alla presenza di più di cinquecento discepoli. Prima di lasciare la terra, Egli aveva ripudiato la Chiesa giudaica, che simile ad una sposa infedele, non aveva voluto riconoscerLo né camminare al suo seguito. Al suo posto Egli costituì la Chiesa Cristiana o Cattolica, la quale deve durare fino alla fine del mondo, fino al ritorno glorioso e trionfale di GESÙ-CRISTO, lottando sempre contro il demonio ed il mondo, nemico implacabile di GESÙ-CRISTO. – Alla sua seconda venuta, GESÙ-CRISTO verrà come trionfatore del demonio e del mondo, sulla terra innanzitutto, poi nei cieli e per sempre. Egli resusciterà tutti gli eletti, tutti i suoi membri viventi, che regneranno e trionferanno eternamente con Lui e con i suoi Angeli. Tale è l’insieme del Cristianesimo, di cui GESÙ-CRISTO è il Capo, il centro, la vita. Tale è pure il senso generale delle cerimonie della santa Messa. Al centro appare, con la Consacrazione e l’Elevazione GESÙ-CRISTO stesso, GESÙ-CRISTO in Persona, rinnovando sull’altare, col ministero del Prete, l’oblazione o offerta del sacrificio che ha riscattato il mondo. All’inizio, come abbiamo visto, sono simbolizzate la fede, la speranza e le adorazioni dei santi Angeli dapprima, poi dei Patriarchi e dei fedeli dell’antica Legge, così come il passaggio dall’antica Alleanza alla nuova Alleanza. Gli antichi sacrifici sono figurati e richiamati dall’oblazione del pane e del vino. Le cerimonie e le preghiere che, dopo il Prefazio fino al Pater, circondano, per così dire la Consacrazione, esprimono l’unione intima della Chiesa militante, sofferente e trionfante, intorno a GESÙ-CRISTO ed in GESÙ-CRISTO. Infine le cerimonie finali, la Comunione, la Benedizione solenne che chiude la Messa, simbolizzano e richiamano alla nostra speranza il secondo Avvento di Nostro Signore, la nostra gloriosa resurrezione, la nostra unione eterna con il buon DIO. I ceri accesi dall’inizio fino alla fine della Messa, rappresentano l’assistenza permanente dei buoni Angeli che adorano ed amano GESÙ-CRISTO nel cielo, mentre noi Lo serviamo, Lo adoriamo e Lo amiamo sulla terra. Un pio fedele che non dimentichi queste cose, trova così nell’assistere alla Messa un mezzo semplicissimo e potentissimo per ritemprarsi incessantemente nei grandi pensieri della fede, e per nutrire solidamente le sue speranze eterne, così come la sua riconoscenza, la sua pietà, il suo amore verso GESÙ-CRISTO, suo Salvatore.

XXXV

Il canto e i cantori.

La grande Messa è fatta per essere cantata, non solo dal Prete e dai cantori, ma inoltre da tutti gli astanti. Si, alla Messa Solenne, tutti dovrebbero cantare, uomini, donne, bambini; tutti coloro che possono cantare, dovrebbero cantare. – Io dico: cantare, non urlare. Nella maggior parte delle chiese, si sentono cantare solo i cantori, valenti senza dubbio a supplire alla quantità con la qualità,; essi gridano tanto quanto possono, guastando tutto l’effetto degli Uffici divini. Quando si canta così forte, non si è più maestri della propria voce; si stona, ognuno tira dalla sua parte; i bambini del coro prevalgono sul tutto, gridano, strillano senza motivo e a sproposito; e quando un oficleide o un “serpentone” viene a sostenere questo canto, si produce una cacofonia impossibile; non si può più pregare, non si può più cantare. I cantori non cantano per se stessi, ma per tutti gli astanti. Essi non stanno là, al leggio, se non per sostenere le voci dei fedeli, per dar loro la tonalità, per dirigere, non per rimpiazzare il canto dell’assemblea. Altre volte questa funzione era ordinata tra le funzioni sacre ed ecclesiastiche; i laici non avevano il diritto di stare al leggio; e le regole del canto liturgico erano molto severe e molto rigorosamente osservate. Tutto era segnato, previsto in anticipo, e non si permetteva a nessuno di cantare secondo la propria fantasia, di cambiare le arie. Da un secolo, queste sante regole, eccellenti sotto tutti gli aspetti, sono misconosciute in molte chiese, con grande pregiudizio degli Uffici divini e della pietà dei fedeli. Il compito del cantore era allora molto considerato, perché era realmente molto religioso e molto rispettabile. I nostri stessi monarchi si sono onorati di cantare al leggio. Era questa ad esempio un’abitudine del grande ed immortale Carlo Magno. – L’uso di far portare ai cantori le sottane e la cotta ecclesiastica viene dalla dignità del chierico di cui essi erano tutti rivestiti un tempo. Essi non dovevano portare né la manica stretta, che è un distintivo del prelato, né la cappa, che è un indumento sacro, riservato al celebrante. L’usurpazione della cappa da parte dei cantori è un abuso moderno, che non si trova che in Francia e nelle sole provincie in cui era stata abbandonata la liturgia romana. Ogni cristiano, fin dall’infanzia dovrebbe apprendere, e di conseguenza cantare, il Kyrie, il Gloria, il Credo, Il Sanctus, l’Agnus Dei, cioè la parte dei canti della Messa che si ripetono spesso ed anche abitualmente; aiutati da buoni cantori, questa non sarebbe una cosa molto difficile; e diventando così parte attiva all’Ufficio divino, non sarebbero più esposti, come molto spesso accade, ad annoiarsi o a trovarli molto lunghi. Bisogna abituarsi a rispondere, non solo esattamente, ma anche piamente gli Amen della Messa, principalmente dopo le orazioni chiamate Collette, che precedono l’Epistola, e dopo le orazioni che seguono la Comunione. Bisogna pure abituarsi a rispondere ai saluti che il Celebrante dà ai suoi fratelli, a nome di Nostro-Signore, dall’alto dell’altare, e cantare di buon cuore “E cum Spiritu tuo”, scambiato i “Dominus vobiscum”, dei quali abbiamo spiegato il senso. – Non occorre borbottare, ancor meno cantare per accompagnare il Prete nelle preghiere che questi deve cantare da solo. Ci sono buoni fedeli, soprattutto pie donne che, per devozione, accompagnano a mezza voce il Celebrante che canta il Prefatio ed il Pater. Una volta, in una chiesa di villaggio, questi accompagnamenti erano così accentuati, che il Prete ritenne di dover interrompere un momento: le buone donne continuarono sacerdotalmente la loro aria, e ci vollero alcuni istanti per rendersi conto di essere ridicole. Ci sono dei canti che variano a seconda delle feste, e che i fedeli non possono conoscere a memoria: … tali sono gli Introiti, i Graduali, gli Offertori e le Comunioni. Li eseguono solo i cantori. – Quando si canta in Chiesa, non bisogna cantare né troppo forte né troppo piano, ma dolcemente e piamente; perché questi canti sono innanzitutto delle preghiere. Bisogna poi pregare insieme, seguire esattamente i cantori, senza andare più veloci o più lenti. Quanto ai cantori ed ai bambini del coro, essi devono regolarsi sul maestro cantore: è lui che dà il tono e la misura. Mio DIO! Come sarebbero belli, edificanti e toccanti i nostro Uffici, e come sarebbe interessante prenderne parte, se si osservassero queste regole così semplici!

XXXVI

Il servente Messa.

Il servente di Messa è così chiamato perché serve il Prete all’altare. Egli ha l’onore di rappresentare gli Angeli ed i fedeli; gli Angeli che assistono GESÙ-CRISTO, il Prete invisibile e celeste; i fedeli che assistono al Santo Sacrificio e, con essi, tutta la Chiesa. Così il servente Messa, chiunque esso sia deve assolvere con molto rispetto e pietà la sua santa funzione. Ci sono persone che sottovalutano questa funzione di servente Messa; la fede invece fornisce altri pensieri, e spesso uomini venerabili per la loro età o per eminenti virtù, o per la loro sapienza, o posizione sociale, si sono fatti ed ancora oggi ritengono un vero onore il servire la santa Messa. Il venerabile Mgr. De Mazenod, anziano Vescovo di Marsiglia, non badando alla sua dignità ed ai suoi canuti capelli, in caso di bisogno, non ricusava affatto il servir Messa al più umile dei suoi Preti; io ricordo la profonda impressione che suscitava in ognuno, il vedere questo vegliardo rispondere alla Messa con la semplicità di un bambino. Benché non sia obbligatorio, è certamente più rispettoso servire Messa in sottana e cotta. Non si avrebbe la giusta venerazione nel girare intorno all’altare al cospetto del Santo-Sacrificio. Sarebbe sconveniente che il servente Messa fosse in disordine, malconcio, con le mani sudice, etc. etc. Egli non deve portare berretto, né nero, né soprattutto rosso: il berretto rosso è un segno della dignità di Cardinale, e non dei bambini del coro. Ecco alcune regole generali che deve osservare il servente Messa. Egli deve essere in ginocchio tutto il tempo della Messa, salvo durante il Vangelo e nei momenti in cui, per adempiere il suo ufficio, deve andare e venire. Egli deve mettersi in ginocchio non sul gradino dell’altare, ma sulla lastra; a meno che non abbia un libro o un rosario, egli deve tener le mani giunte davanti al petto, col pollice destro sul pollice sinistro, a forma di croce, come il Prete. Si mette dritto, modesto, attento, non osserva quel che succede in chiesa, e non gira la testa al minimo brusio come è d’uso nel novanta per cento dei piccoli chierici. Egli è posizionato sempre dal lato opposto al Messale. Questa regola non ha eccezione, benché mai correttamente osservata passando davanti al Crocifisso o a maggior ragione davanti al tabernacolo, bisogna fare la genuflessione religiosamente e posatamente. La genuflessione è un atto di adorazione; essa deve dunque farsi in spirito di fede, e non per routine né alla leggera. Per fare bene la genuflessione, bisogna che il ginocchio destro tocchi terra vicino al piede sinistro, che le mani restino giunte davanti al petto, che il corpo resti dritto, così come pure la testa. Il servente Messa deve rispondere con voce dolce ed uguale, pronunciando bene ogni parola, senza proferire in latino mnemonicamente come un bambino, ma aspettando per rispondere che il Prete abbia terminato. Il latino di certi serventi Messa è favoloso. Ci sono due momenti della Messa in cui il servente manca più ordinariamente alla regola: è all’inizio del Kyrie, che egli recita tutto di getto, nel momento stesso in cui dovrebbe alternare con lui le nove invocazioni. Poi al Confiteor che precede la Comunione dei fedeli: il servente non deve cominciare a recitarlo se non dopo che il Prete, avendo comunicato sotto le due specie, depone il calice vuoto sull’altare. Se il servente comunica, egli deve, per quanto possibile, comunicare per primo, soprattutto se ha sottana e cotta. È il servente Messa che ha il compito di mantenere la campanella e di suonarla. Qui ancora ci sono diverse eccentricità, delle abitudini affatto proibite dalla legge liturgica. Secondo la regola obbligatoria si deve suonare; 1° al Sanctus, tre colpi; 2° all’elevazione dell’Ostia, tre colpi; il primo quando il Prete fa la genuflessione per adorare la santa Ostia; la seconda quando La eleva per farla adorare al popolo; la terza quando fa la genuflessione dopo averLa riposta sull’altare. Lo stesso per l’elevazione del Calice, tre volte, seguito da un piccolo tintinnio, per indicare che la Consacrazione è completamente terminata. È d’uso e permesso, principalmente nelle grandi chiese, di suonare una terza volta alla comunione del Prete, per prevenire i fedeli che volessero comunicare. Questa terza suoneria non è obbligatoria, non è stata autorizzata da Roma se non da qualche anno. Si suona ordinariamente un colpo al primo Domine, non sum dignus; due, al secondo, tre al terzo. Oltre a questi due, o se volete tre scampanellii, è proibito far sentire il campanello durante la celebrazione del Santo Sacrificio. È proibito soprattutto scrosciare, come si fa generalmente; è proibito suonare qualche istante prima della Consacrazione; suonare a quella che si chiama la piccola Consacrazione, immediatamente prima del Pater, infine, suonare al terzo “Domine, non sum dignus” dei fedeli ed alla benedizione che termina la Messa. – Tutto ciò, lo ripeto, è proibito, e non deve essere fatto; gli usi contrari sono degli abusi che bisogna accantonare e rimpiazzare con l’osservanza esatta della legge. Il servente Messa non deve posare nulla sulla tovaglia dell’altare, innanzitutto per rispetto, e poi per misura di proprietà. Presentando le ampolle al Prete, egli deve preliminarmente baciarle religiosamente, e presentarle sempre con la mano destra, tenendola più in basso, affinché la mano del Prete sia costantemente al di sopra della sua. Giungendo dalla credenza all’altare, e partendo dall’altare per tornare alla credenza, egli saluta il Crocifisso ed il Prete inclinandosi leggermente. Riponendo le ampolle ed il piattino sul ripiano della credenza, egli avrà cura di non far rumore, ed in generale di compiere il suo ministero piacevolmente, attivamente e con una esattezza religiosa. Al Sanctus, dopo aver suonato, accende il cero dell’Elevazione, di cui abbiamo parlato sopra e che si potrebbe chiamare il cero della Presenza reale. Egli non lo spegne se non dopo la Comunione del Prete e dei fedeli, quando il Santo-Sacramento non è più sull’altare, e quando la porta del Tabernacolo è chiusa. Se il cero non è posto molto in alto, e se si può fare comodamente, egli lo porta rispettosamente con la mano destra davanti al Prete mentre questi da la santa Comunione ai fedeli. – L’uso del cero dell’Elevazione è sfortunatamente caduto in disuso in molte chiese. Nonostante ciò è indicato nella rubrica del Messale, ed è certamente più opportuno osservare questa rubrica. Se in seguito a qualche incidente, o per tutt’altra ragione, il Prete non ha servente la Messa e non ci sono che donne, egli potrebbe celebrar Messa mettendo alla sua portata vicino all’altare, il vino e l’acqua; una donna potrebbe rispondere dal suo posto e suonare, senza entrare tuttavia nel coro.

XXXVII

L’obbligo di assistere alla Messa

C’è l’obbligo, sotto pena di peccato grave, di assistere alla Messa la domenica e nei giorni di festa, per questo motivo dette Feste d’obbligo. In Francia il Papa Pio VII ha ridotto a quattro il numero di queste feste di precetto: Natale, l’Ascensione, l’Assunzione e Ognissanti. Le grandi feste che cadono sempre di Domenica, come Pasqua e Pentecoste, si confondono con la Domenica; le altre feste, come l’Epifania, la festa del Sacro Cuore, la SS. Trinità, San Pietro e l’Immacolata Concezione, sono rinviate alla Domenica seguente, invece di essere festa nel giorno stesso. – C’è dunque l’obbligo di assistere alla Messa per cinquantasei volte; le cinquantadue Domeniche dell’anno, e le quattro grandi feste riservate. – Quest’obbligo è imposto ai fedeli sotto pena di peccato grave. Essa è l’anima della santificazione della Domenica e delle feste, così come di tutto il culto pubblico che la Chiesa rende a DIO. Tutti i suoi figli, che non siano legittimamente impediti, sono obbligati a riunirsi almeno una volta alla settimana, la Domenica, a pregare insieme ai piedi degli altari, ringraziare, ed implorare insieme la misericordia divina per i meriti del Sacrificio di GESÙ-CRISTO. E poiché è alla Messa che GESÙ-CRISTO, il divin Capo della Religione e della preghiera, discende in mezzo agli uomini, alfine di unirsi ad essi e di riunirli a Lui, è ai piedi dell’altare, è intorno a GESÙ-CRISTO ed al Prete che celebra il Sacrificio di GESÙ-CRISTO, che la Chiesa convoca tutti i suoi figli la Domenica ed i giorni di festa. – Poiché questo obbligo è molto serio, essendo un obbligo e non un consiglio, occorre, per potersene dispensare, essere impedito da gravi ragioni. Così si è dispensati dall’assistere alla Messa quando si è malati; quando si è convalescenti o il medico vi si oppone, quando si è talmente infermi che non lo si possa fare senza danno, o almeno senza una vera imprudenza; quando si è obbligati a sorvegliare un malato o dei bambini, quando si è a sua volta costretti a sorvegliare la casa; quando si è impediti da un importante ufficio di carità che non è rimandabile (ad esempio spegnere un incendio, estrarre qualcuno dall’acqua, etc.); quando materialmente si è impediti dall’andare in chiesa, come ordinariamente succede ai militari in campagna, ai marinai imbarcati, e troppo spesso ai poveri soldati lasciati in caserma o comandati dalle riviste; così come succede ad un gran numero di apprendisti ed operai che padroni indifferenti od empi privano della sacra libertà della coscienza; ed altri casi simili. L’età è anche un legittimo motivo di dispensa. I bambini che non hanno ancora l’età della ragione non sono obbligati in coscienza ad andare alla Messa; si fa bene a svegliarli alla buonora, e dar loro le buone abitudini cattoliche, ma alla fine questo non è un obbligo. Così pure l’estrema senilità è un caso di dispensa; essa è considerata una grave infermità. Quando anche, nei casi estremi, si è autorizzati a lavorare la Domenica (ad esempio per salvare un raccolto), non si è però dispensati dall’assistere alla Messa: c’è l’obbligo di servire il buon Dio prima di ogni considerazione puramente temporale. È lo stesso per lo studio delle scienze, delle lettere, delle arti. Benché possa essere legittimo di Domenica, questo studio è dominato dalla legge della Chiesa, dalla grande legge della santificazione della Domenica e delle feste. Se ne siamo convinti, è la fede che manca. Se lo si crede seriamente, profondamente, si fa come nei paesi di fede, ove quasi nessuno manca mai alla Messa, non lavora la Domenica e non diserta gli Uffici della Chiesa. I selvaggi battezzati sono più cristiani di tutti i francesi che conosciamo. Ultimamente, un Vescovo missionario, attraversava Parigi accompagnato da un giovane selvaggio battezzato della profonda Oceania. Era una Domenica. Il giovane cristiano, meravigliato dal vedere i negozi aperti, le vetture in movimento, dice al Vescovo: “Padre, ci sono dunque ancora i pagani in Francia?- No, figli mio, risponde il missionario, ma ci sono dei francesi che di cristiano hanno solo il nome. – “Certo! replica l’oceanide, perché nelle nostre isole solo gli infedeli possono lavorare la Domenica, e non sempre, perché rispettano la fede dei Cristiani!” – Nei paesi di missioni, dove i preti sono rari, accade spesso che per ascoltare la Messa, i poveri selvaggi si impongono delle fatiche straordinarie, viaggiano tutta la notte, e fanno fino a sette, otto o anche dieci leghe a piedi. Qual onta per noi Cristiani d’Europa! Essi non lo fanno, non sanno quel che sanno questi poveri selvaggi; e noi siamo ridotti ad apprendere da loro che c’è un obbligo vero, un obbligo grave di santificare il giorno del Signore e di assistere alla Messa, almeno la Domenica e nei giorni di festa.

XXXVIII

Cosa occorre fare per soddisfare a questo obbligo

Per soddisfare all’obbligo di ascoltare la Messa, bisogna sforzarsi di ascoltarla per intera: dall’inizio alla fine; e per essere ben sicuri di giungere in tempo, bisogna abituarsi ad arrivare un po’ prima dell’ora di inizio; così ci si raccoglie, ci si prepara onde ben comprendere la Messa. Se per negligenza, si arriva a Messa iniziata, si commetterebbe peccato; peccato veniale, è vero, ma peccato realmente. Io parlo qui, ovviamente della Messa obbligatoria della Domenica e delle feste. Se si giunge alla Messa dopo il Vangelo, non si soddisferebbe probabilmente al precetto; e quando anche si resterebbe fino al termine, non si sarebbe ascoltata la Messa propriamente parlando. Se questo avviene per negligenza e volontariamente, ci si renderebbe colpevoli di peccato grave. Se il ritardo fosse involontario, bisognerebbe ascoltare della Messa tutto ciò che ancora rimarrebbe da ascoltare, alfine di avvicinarsi il più possibile alla legge. Comunque, se si trattasse di una Messa solenne e si arrivasse a tempo per ascoltare la lettura che il Prete fa col canto del Vangelo del giorno, è probabile che questo sarebbe sufficiente di rigore. È però certo che non si soddisfa al precetto quando non si sia giunti almeno all’Offertorio, che è l’inizio dei preparativi immediati del Santo-Sacrificio. – Non si deve lasciare la chiesa prima che la Messa sia finita, e prima che il Prete sia disceso dall’altare. Bisogna pure abituarsi a fare una piccola azione di grazie di qualche minuto. Se comunque, un giorno di gran festa, la Comunione dei fedeli dovesse durare molto tempo, e ci si ricordi di qualche dovere impellente, si potrebbe probabilmente, senza peccare pur venialmente, chiedere a nostro Signore la sua benedizione, senza attendere la fine della cerimonia. Ma occorre guardarsi bene dall’abusare di questo comportamento! I veri cristiani sanno organizzarsi in modo da conciliare tutti i loro doveri, e mettere sempre in testa i loro doveri religiosi. Non si dovrebbe mai ascoltare la Messa se, per stanchezza o per lasciarsi andare, ci si potesse assopire nei momenti più importanti della Messa e per un tempo congruo. È un’onta per il cristiano dormire mentre il suo DIO si degna di scendere per lui sull’altare; e mentre i suoi fratelli pregano a suo fianco con fervore. – Egualmente non si sarebbe ascoltata la Messa, se ci si fosse messi a chiacchierare per buona parte del tempo; se ci si fosse per lungo tempo volontariamente distratti. Quanto alle piccole inopportune distrazioni, alle quali è tanto difficile sfuggire quando si prega, esse non impediscono, grazie a DIO, di aver compiuto il precetto. Non si soddisfa al precetto facendo durante la Messa delle letture estranee alla preghiera propriamente detta. Così non si sarebbe ascoltata la Messa se ci si fosse accontentati di leggere qualche passaggio della santa Scrittura, della vita di un Santo, di un libro di istruzione religiosa, come l’Introduction di San Francesco di Sales, come qualche bel sermone di Bossuet o di Bourdaloue, o come una conferenza del p. Lacordaire, ancor meno un libro di scienze o di storia. In una parola, bisogna che questo non sia un libro estraneo all’adorazione, alla preghiera. Alla Messa bisogna pregare, adorare, ringraziare il buon DIO, chiedere perdono per i propri peccati. Meglio si fa questo, meglio si ascolta la Messa!

XXXIX

Diversi modi di ben ascoltare la Messa.

Per ascoltare bene le Messa, occorre innanzitutto avere un cuore cristiano, un’anima raccolta e desiderosa di ben pregare; nulla potrebbe supplire a questa disposizione spirituale, che è come l’anima di tutti i metodi che stiamo per esporre. È soprattutto davanti agli altari di GESÙ-CRISTO che ci si deve ricordare dell’oracolo divino: “Questo popolo mi onora da levita, ma il suo cuore è lontano da me”. Per meglio ascoltare la Messa, occorre che il nostro cuore, che la nostra volontà siano rivolte al buon DIO. Il metodo più semplice, più cattolico ed ordinariamente il più fruttuoso di assistere alla Messa, è seguirne tutte le preghiere in un libro da Messa. Questo metodo ci unisce naturalmente al Prete ed al suo Sacrificio. Per coloro che conoscono il latino, vale cento volte di più seguire le preghiere della Messa nella lingua stessa della Chiesa; talmente il latino è più bello, più grande, più profondo del vernacolare. Se non si sanno ben coordinare insieme le preghiere dell’Ordinario della Messa, che sono sempre le stesse, con le preghiere speciali, che variano a seconda delle feste, bisogna impararle; è molto semplice, e la prima persona pia a cui si chiederà, avrà molto piacere nel dare in cinque minuti questa piccola lezione di pietà liturgica. Una volta che si sa questo, non lo si dimenticherà più. In capo a due o tre mesi, si saprà a memoria l’Ordinario della Messa; queste belle preghiere che risalgono ai secoli dei martiri ed anche degli Apostoli, ci divengono familiari, come il Pater, e ci forniscono un mezzo perfetto per restare ben applicati al buon DIO durante il Santo Sacrificio. Questo metodo ha inoltre il vantaggio inestimabile di farci percorrere ogni anno con la Chiesa tutta la serie dei misteri e delle feste cattoliche, ed aumentare incessantemente in noi la conoscenza delle cose sante con il vero spirito cattolico. E poi non si prega forse meglio quando si sa precisamente ciò che occorre onorare, festeggiare, domandare con la Chiesa? Altrimenti si rischia di rimanere nel vago e pregare senza molto frutto. Comunque non è necessario, per seguire bene la Messa, diventare un parrocchiano completo, e recitare le stesse preghiere del Prete, sia in latino che in volgare. Ci sono diverse specie di libri da Messa, e dal momento che sono cattolici ed autorizzati dal Vescovo, possono tutti essere molto utili, ed ogni fedele può scegliere quello che meglio gli conviene. Ma in generale si può dire che nulla fissa meglio l’attenzione ed aiuti meglio a seguire la Messa, che un buon libro da Messa, religiosamente letto e seguito (come libro da Messa per eccellenza, oso raccomandare al lettore l’Anno liturgico di dom Guéranger. È un’opera unica nel suo genere, ed una delle più utili che si possa mettere tra le mani dei fedeli). – Ci sono delle persone più pie, più abituate alla preghiera, che preferiscono durante la Messa, adorare e pregare a memoria, senza il soccorso esterno di un libro; o almeno che se ne servono per qualche momento per attingervi un pensiero di fede, una buona parola di pietà e di meditazione. Nulla di meglio di questo metodo per ascoltare la Messa; ma non sarebbe consigliabile ad un gran numero di persone. Coloro che lo praticano farebbero bene a ripassare per così dire, uno dopo l’altro, i quattro grandi fini del Sacrificio della Messa, che abbiamo indicato all’inizio, e che sono: 1° l’adorazione, 2° l’azione di grazie, 3° la supplica o domanda, e 4° la propiziazione o espiazione del peccato. Essi faranno ugualmente bene a non perdere di vista lo spirito del mistero o della festa del giorno. Un altro metodo molto pio di seguire la Messa, consiste nel richiamare alla memoria i differenti dettagli della Passione di Nostro-Signore applicandoli alle principali cerimonie che si vedono sull’altare. Eccellenti piccoli libretti sono stati composti per questo scopo; ed essendo, in ogni pagina, illustrati con immagini che rappresentano le scene della Passione, hanno un fascino in particolare per i fanciulli e le persone poco istruite. Infine, l’ultimo metodo che indicheremo qui e che si indirizza soprattutto alle persone che non sanno molto, o non possono leggere, consiste nel recitare il rosario. Nella prima decina ci si unisce alla Santissima Vergine, agli Angeli ai Santi ed al Celebrante, per adorare il buon DIO ed il suo Figlio unico Nostro Signore; alla seconda decina, ci si riunisce ancora, per ringraziare DIO per tutte le sue grazie e la sua bontà; alla terza, sempre in unione con la Santissima Vergine, con la Chiesa celeste e con il Prete, si domandano a Nostro Signore, per se stessi e per gli altri, i beni dell’anima e del corpo; si recita poi la quarta decina in espiazione dei propri peccati e per ottenerne il perdono; si recita la quinta ed ultima decina infine, sia per le povere anime del purgatorio, sia per il nostro Santo Padre, il Papa ed i bisogni generali della Chiesa, sia per questa o quella intenzione particolare che ci è stata raccomandata o che maggiormente si tiene a cuore. Ma bisogna aver cura di fermarsi qualche istante tra ogni decina, per formulare bene la propria intenzione, e ravvivare la propria attenzione. Tutti questi metodi sono molto buoni in se stessi: ciascuno può scegliere secondo le proprie attitudini, gusti ed attrattiva.

XL

Come bisogna comportarsi alla Messa, ed in generale del buon comportamento in chiesa.

 La tenuta esteriore alla Messa non è meno importante delle disposizioni interiori: l’uomo è composto dall’anima e dal corpo; e così come l’anima esercita sul corpo una influenza considerevole sul corpo, pure il corpo esercita un’azione diretta e molto importante sull’anima, sui suoi movimenti e le sue disposizioni. In chiesa, ed in particolare alla Messa, bisogna quindi occuparsi della tenuta esteriore. – Salvo che durante il Vangelo ed il Credo, si dovrebbe restare in ginocchio durante tutta le Messa. Io non dico che lo si debba fare, né che faccia male chi non lo fa; io dico che si dovrebbe fare, che cioè sarebbe meglio, che sarebbe più rispettoso, più perfetto. Nei paesi in cui le tradizioni cattoliche si sono conservate con più energia e più profondità, non si sa cosa significhi sedersi durante la Messa, anche durante la Messa solenne; si è in ginocchio fin dall’inizio e così si resta. I bambini stessi, abituati dai loro primi anni a queste robuste abitudini, restano in ginocchio per tutto il tempo, come i grandi. Bisogna provare almeno a restare in ginocchio dall’inizio della Messa fino al Vangelo, e dal Sanctus fin dopo la Comunione o anche fino all’ultimo Vangelo: nelle Messe basse, si tratta di non più di due o tre minuti. La benedizione finale della Messa deve sempre essere ricevuta in ginocchio, non in piedi, ed ancor meno seduti. I Preti stessi devono riceverla in ginocchio; i prelati la ricevono in piedi e leggermente inclinati. Spesso si vedono delle persone inginocchiate fino ad allora alzarsi in occasione dell’ultimo Vangelo, e ricevere in piedi questa santa benedizione; questo è contro la regola! Si sia seduti o in piedi, bisognerebbe mettersi in ginocchio, ed alzarsi solo dopo la benedizione. Ma, in ginocchio, in piedi o seduti, bisogna assolutamente che la nostra tenuta alla Messa sia irreprensibile, che respiri ed ispiri raccoglimento, e che sia improntata da rispetto religioso del quale la nostra anima deve essere tutta penetrata. Non si saprebbe insistere mai troppo su questo punto, non solo per se stessi, ma anche per il bon esempio e l’edificazione dei fedeli. Nulla edifica quanto una tenuta modesta e raccolta in chiesa; e nulla di meno edificante che la sciatteria e la trascuranza in presenza dei santi altari. Vi sono delle persone che si comportano in tal fatta per tutta la Messa, che li si scambierebbe volentieri per degli empi: essi però non lo sono; ma sono semplicemente dei cristiani molli, lassi o leggeri. Ce ne sono di alcuni che entrando in chiesa, non si danno pena di fare un segno di croce, o lo fanno così male che sarebbe meglio astenersene; essi non fanno la genuflessione davanti al Santo Sacramento; guardano da ogni parte, ed hanno visto tutto, notato tutto prima di pensare che essi sono davanti a DIO. Essi restano seduti durante quasi tutta la Messa, spesso con le gambe incrociate, con atteggiamento che un uomo di elevata condizione, non permetterebbe mai in buona compagnia. Appena il Prete sale sull’altare, essi sono già seduti. Il Vangelo non è ancora terminato, essi sono nuovamente seduti. Al Sanctus la campanella che annunzia l’avvicinarsi del grande e solenne rito della Consacrazione, li lascia ancor seduti, sempre seduti. È appena se la suoneria dei pigri, questa piccolo scampanio apocrifo ed illecito che non si dovrebbe fare davanti all’Elevazione, è sufficiente a scuoterli; e mentre l’ultimo scampanellio dell’Elevazione ancora risuona, essi si sentono in dovere di sedersi di nuovo coraggiosamente, piamente. Al momento della Comunione essi non si alzano mai. Il loro grande compito sembra quello di essere seduti: abitudini di fede. Senza giungere a questo, ci sono cristiani comunque ancora molti apatici, e che dovrebbero tenere in chiesa un contegno più religioso. Io segnalerei soprattutto le gambe incrociate, gli sguardi erranti, l’aria disattenta ed annoiata, le inutili parole, l’inesattezza nell’osservare le regole che osservano tutti i veri fedeli. Nella chiesa e alla Messa, bisogna pure evitare, per quanto è possibile, le attitudini singolari, eccentriche. Ci sono persone solidamente pie che non vegliano molto e che, per questa particolarità si prestano a far ridere. Essi stessi non sarebbero che poco male, ma le persone poco religiose identificano questi ridicoli con la pietà stessa e, nuovi farisei, prendono l’occasione per beffarsi della Religione. – Così si vedono talvolta in chiesa delle persone che pregano con gli occhi al cielo, con aria estatica; a volte, piuttosto che inginocchiarsi, si mettono in preghiera con la testa più bassa della nuca, e la nuca più bassa delle spalle; si direbbe quasi che si sentono male o che cadano in deliquio. Altri emettono sospiri e lanciano parole infiammate, ed altre singolarità di questo tipo. Io lo ripeto, l’intenzione è lodevole; ma l’esibizione è veramente ridicola. Se ci si accorge di una di queste manie, bisogna cercare di riformarla, costi quel che costi. Si tratta dell’onore della pietà. Notiamo infine che nella chiesa, soprattutto nei movimenti più solenni della pubblica preghiera, non bisogna chiacchierare, non bisogna muoversi con fracasso, tossire né soffiare i muchi fragorosamente. Per rispetto alla chiesa non bisogna sputare a terra. In una parola bisogna comportarsi quanto meglio possibile, vegliare su di sé, sapersi preoccupare per il buon DIO; e con modestia veramente cristiana, contribuire da parte propria alla generale edificazione. Dopo la Messa, uscendo, non bisogna vociare così come quando si è in chiesa. Il silenzio è davanti al buon DIO, una delle forme più elementari di rispetto.

XLI

Le tre classi di persone che ascoltano la Messa in modo deplorevole

Ci sono le giraffe, i montoni ed i buoi. Le “giraffe” sono ordinariamente di classe elevata. Sono le persone che, sapendo forse molte cose, o forse anche non sapendo molte cose, disdegnano di portare un libro alla Messa, o non osano; santificano la loro Domenica con una povera, piccola Messa bassa, la più breve possibile; non si mettono in ginocchio, se non forse appena all’Elevazione, e più spesso sono su un solo ginocchio piuttosto che su due; guardano a destra, a sinistra, dietro, poco davanti, e meno ancora che verso l’altare; pregano poco o affetto; chiacchierano volentieri; ridono con il vicino, la vicina; sottolineano le toilettes; e se ne vanno mentre il Prete recita l’ultimo Vangelo, così piamente come per l’innanzi. I “montoni” sono quella moltitudine di brava gente che hanno ancora delle buone abitudini religiose; che vanno quasi sempre a Messa la Domenica, che “fanno grosso modo il loro dovere”, come essi dicono … che non comprendono granché al di fuori dell’arare, se sono contadini; … oltre al lavoro del loro mestiere, se sono operai; … oltre al loro quotidiano, alle loro pentole, al cucire, al lavoro ai ferri, se sono donne, che fanno grossolanamente e approssimativamente quel che dice il loro curato; e che in somma sono delle buone bestie o delle bestie bonarie. Questi non ascoltano la Messa impertinentemente e sdegnosamente, come i primi. Essi dormono volentieri durante la predica al pulpito, assumono la loro presa di tabacco all’Elevazione, si stancano di restare in ginocchio, o se vi restano non sanno il perché, e non pensano a granché. Essi danno al buon DIO ciò che essi possono. Quando dico che essi ascoltano la Messa in maniera deplorevole, io non voglio dire che non soddisfino al precetto, perché essi fanno quel che possono; ciò che io dico e che non ha bisogno di prove, è che queste povere persone non hanno veramente di cristiano se non il nome; essi sono estranei allo spirito del Cristianesimo, e che una parrocchia che non avesse altri parrocchiani, sarebbe una parrocchia morta, lamentevole, impossibile. – Infine i “buoi”, terza categoria di quelli che ascoltano miserevolmente la Messa. Questi sono le persone, purtroppo sempre più numerose nella nostra società scristianizzata, che sono piuttosto pagani che cristiani. A forza di indifferenza e di oblio di DIO, a forza di progressi all’indietro, essi sono giunti ad una sorta di cretinismo nell’ordine delle cose religiose. Hanno essi fede? Non se ne sa veramente niente. Essi vengono alla Messa solo in occasioni particolari, o per routine consolidata non riflessiva. Essi ci vanno a Natale, a causa della vigilia; vi vanno a Pasqua, perché il giorno di Pasqua è il giorno di Pasqua; ci vanno talvolta a qualche altra grande festa, ai matrimoni o ai funerali. Essi stanno in chiesa come dei selvaggi, come dei bruti. Non si interessano di ciò che accade sull’altare né di ciò che è la Messa; essi vedono le cerimonie sacre della Chiesa come delle usanze alle quali bisogna conformarsi per fare come tutti. In chiesa sono assolutamente come in un paese straniero, li si vede dalla loro figura, dalla loro aria, dal loro comportamento, talvolta anche dalle loro parole. È una cosa straziante e, a meno di un miracolo, senza rimedio.

XLII

Con quali intenzioni si può ascoltare la santa Messa e farla celebrare.

Le numerose intenzioni, con le quali si può legittimamente ascoltare o far dire Messa, si possono dividere in due grandi categorie;: le intenzioni spirituali e le intenzioni temporali. Le intenzioni spirituali sono quelle che riguardano la gloria di DIO, gli interessi della Religione, la salvezza e la santificazione delle anime. Esse sono indubbiamente le più elevate, le più cristiane; e non si finirà mai di invitare i fedeli a far celebrare la Messa, o semplicemente ad ascoltarla, dal momento che hanno nel cuore un pensiero del genere. Il sangue di GESÙ-CRISTO ha una voce più eloquente di tutti i nostri sforzi personali; e alla Messa, questo sangue divino ci viene dato perché lo applichiamo secondo le nostre particolari intenzioni. Così non vi è nulla di più eccellente che far dire o ascoltare Messa per adorare nostro Signore, a nome di tutti coloro che dovrebbero adorarLo e non Lo adorano; per ringraziare il buon DIO per una grazia ottenuta; per espiare e riparare tanto alle blasfemie che ai peccati della nostra natura che gridano vendetta al cielo; per riparare in particolare i sacrilegi; per ottenere la perseveranza e la salvezza di un parente, di un amico, di una persona a noi cara, per ottenere la conversione di questo o quel povero peccatore; per ottenere la grazia di fare una buona prima Comunione, la grazia di una vocazione, la grazia di una buona morte, o qualche grazia spirituale. Niente di più eccellente, niente di più gradito a Dio che far dire o ascoltare la Messa in onore del Sacro-Cuore di GESÙ e per ottenere il suo amore; in onore della Santissima ed Immacolata Vergine, e delle sue celesti intenzioni infinitamente sante; in onore di un Santo, di un Martire, per ottenere più speciale protezione e ricevere un poco del suo spirito; per il Papa, la salvezza ed il trionfo della Santa-Sede; per alleviare e liberare le povere anime del Purgatorio, in particolare questa o quella. Tutte le intenzioni spirituali, dal momento che sono conformi alla fede ed allo spirito della Chiesa, sono graditissime al buon DIO, e le affidiamo fortemente alla Vittima divina dei nostri altari, al buon GESÙ, nostro Maestro e nostro Mediatore presso il Padre celeste. – Quanto alle intenzioni temporali, non sono certamente meno importanti; ma se esse sono giuste e ragionevoli, ci viene perfettamente permesso e facciamo molto bene nel raccomandarle alla misericordia divine per mezzo del potentissimo Sacrificio della Messa. – Così, si può benissimo, senza mancare il minimo rispetto dovuto al sangue di GESÙ-CRISTO, far dire o ascoltare una Messa, per ottenere la guarigione da una infermità, da una malattia, per un interesse legittimo di fortuna; per ottenere la vincita di un processo che si ritiene giusto, il successo di un’operazione commerciale o industriale, la felice riuscita di un matrimonio, la benedizione di un viaggio, la riuscita di un esame, un’impresa militare; per ottenere la pioggia o il bel tempo, un tempo favorevole per una traversata o una festa; perché un flagello risparmi le mandrie, ed altri interessi temporali evidentemente legittimi. – Del resto non c’è da preoccuparsi troppo di questa legittimità relativamente all’applicazione della Messa; non è forse il Prete là per risolvere al bisogno, tutte le nostre difficoltà? Ma non lo dimentichiamo: benché pure, legittime possano essere le intenzioni esclusivamente temporali, bisogna sempre subordinarle al compimento della santa volontà di DIO ed a ciò che Nostro-Signore sa essere il meglio per noi. Egli sa ciò che noi ignoriamo; e molto spesso noi esprimiamo questa o tal altra domanda corporale che crediamo volerGli indirizzare come se, come Lui, conoscessimo l’avvenire. Non si ricorre mai abbastanza alla santa Messa. Mentre nei Paesi di fede, i Preti non riescono a soddisfare le Messe che si domandano loro, sia per i vivi che per i morti, negli altri Paesi, là dove la fede è morente ed i cuori rinsecchiti, non si ricorre più per così dire al sangue redentivo del Figlio di DIO, e questa indifferenza è una delle principali cause della degradazione più profonda di queste disgraziate contrade. Ma dappertutto qui ci sono dei cristiani negligenti che fanno passare mesi, anni interi, senza pensare a far dire una Messa per i loro poveri morti. Egoisti e insensibili, li lasciano languire senza fine nelle terribili pene espiative del Purgatorio. Un po’ di tempo fa un contadino pregava il suo curato di dirgli una Messa. “È per la vostra povera moglie deceduta l’altro giorno, vero?” gli domandava il Prete. “No, signor curato, rispose l’altro con un sangue freddo incredibile, non è per la mia povera moglie, ma per la nostra vacca che è malata”.

XLIII

Perché si deve dare al Prete un’offerta nel richiedergli una Messa.

Nostro Signore GESÙ-CRISTO, incaricando i suoi Apostoli di predicare il Vangelo a tutti i popoli, di salvare e santificare le anime, di amministrare i Sacramenti e di presiedere al culto divino, ha comandato loro di lasciar tutto per adempiere a questo grande ministero. A causa di questo, il Preti cattolici, che continuano sulla terra la missione dei santi Apostoli, non hanno il diritto, quando anche ne avessero il tempo, di dedicarsi al commercio o all’agricoltura, e la Chiesa vuole che “essi vivano dell’altare”, secondo la stessa parola del Vangelo. “Vivere dell’altare”, significa trovare nel ministero ecclesiastico le risorse sufficienti per vivere, e per vivere convenientemente. Di conseguenza, la Chiesa ha ordinato fin dalle origini, anche dai tempi degli Apostoli, che i fedeli, in cambio dei beni spirituali ed eterni che dispensano loro i Preti, provvedessero ai loro bisogni donando loro, sotto una forma o un’altra, una certa parte dei loro beni temporali. È nello stesso tempo giustizia, riconoscenza e carità. Ora da questi principi cristiani, abbiamo quel che si chiamano “diritti dei Preti”. Il diritto è l’insieme delle elemosine, dei doni che i cristiani depongono tra le mani dei loro Preti, in occasione di questo o tale servizio religioso che essi reclamano dal loro ministero. Tutto questo è regolato nei dettagli in ogni diocesi dall’autorità del Vescovo; ma dappertutto, la celebrazione della Messa richiede, da parte dei fedeli che la richiedono, una modesta retribuzione, che si chiama l’onorario della Messa. L’onorario di una Messa è generalmente fissato a un franco, o ad un franco e cinquanta centesimi, o due franchi. – Non è la Messa che si paga uno o due franchi. Il sangue divino di GESÙ-CRISTO non è una mercanzia; se si volesse pagarlo, il cielo e la terra non sarebbero sufficienti. Ciò che si paga non è l’impegno del Prete, perché egli non vende le sue preghiere, né la sua carità. Il suo divino ministero non si vende e non si compra. Ciò che si da al Prete, quando gli si corrisponde l’onorario della Messa, è il tributo alla pietà cristiana; è il tributo filiale dei fedeli, compiendo così verso i loro padri spirituali il precetto evangelico, apostolico e cattolico. Questo non significa che se si è tanto poveri non si potrebbe far celebrare una Messa per un parente defunto, ad esempio, o per qualche altra intenzione importante. Non c’è Prete che rifiuterebbe questa opera di carità ad un povero che glielo domandasse. Ma anche celebrando questa Messa senza onorario, il Prete conserverebbe il diritto di esigerlo; egli non può abbandonare questo diritto, di cui la Chiesa stessa ha posto la legge. Le Messe cantate ed i servizi funebri richiedono un onorario più o meno elevato, a sempre regolato dall’autorità del Vescovo, che concilia nel contempo i bisogni dei Preti e gli interessi dei fedeli nella sua diocesi. Queste Messe solenni e questi servizi richiedono diverse spese accessorie, e non si creda quindi che tutto quel che si da al curato sia solo per lui. Malgrado la casuale, la maggioranza dei ostri Preti, sono poveri. Essi non se ne lamentano, ma sarebbe doppiamente ingiusto imputar loro una ricchezza e soprattutto un’avidità che essi non hanno affatto, per grazia di DIO!

 

XLIV

Risposte ad alcune difficoltà pratiche riguardo alla Messa

“Se non si potesse entrare in Chiesa, sia a causa della folla, sia per altre ragioni, si sarebbe ascoltata la Messa?”- Si, senza alcun dubbio, dal momento che si prega però come se ci si trovasse nella chiesa. All’impossibile non è tenuto nessuno. “È necessario vedere il Prete e l’altare?” – No, dal momento che ci si unisce all’intenzione del Santo-Sacrificio: questo solo è sufficiente: la presenza morale. “E se si abitasse vicino alla chiesa? Se dalla propria finestra si potesse ascoltare la campanella, o intravedere l’altare, si soddisferebbe al precetto della Chiesa?” – Qualcuno risponde affermativamente. Il sentimento opposto sembra però più certo; ed è in questo senso che a Roma, il Cardinale-Vicario ha risolto la questione. E la ragione è che, per assistere realmente alla Messa, è necessario che vi sia almeno la presenza morale; ora nel caso presente, sembra che non vi sia presenza morale. Si verrebbe alla Messa ma non vi si assisterebbe. La Messa si dice in chiesa, e bisogna andare in chiesa per ascoltarla. Bisogna andare in chiesa per contribuire al culto pubblico dovuto al Signore, e dare l’un l’altro l’edificazione che noi tutti dobbiamo. – “Se, in un giorno obbligatorio, ci si confessi durante la Messa, si soddisferebbe al precetto?” – No, è il caso di dire che non si possono fare due cose in una volta; “e si potrebbe almeno far penitenza durante la Messa?” – Si, senza alcun dubbio, a meno che questa penitenza non consista nel fare qualcosa di incompatibile con l’assistenza propriamente detta al Santo-Sacrificio, come sarebbe ad esempio l’esercizio della Via Crucis davanti ad ogni Stazione. “Se, durante la celebrazione della Messa, si fosse obbligati a lasciare momentaneamente la chiesa, per motivo di salute, ad esempio, si sarebbe soddisfatto al precetto?” – Dipende; si, se l’assenza è solo di pochi minuti e non comprende il momento sacro della Consacrazione, che è il cuore del Santo-Sacrificio; no, se l’assenza si prolunga fino a coinvolgere la parte più importante della Messa. In questo ultimo caso, si dovrebbe, se possibile, ascoltare un’altra Messa, almeno in parte, e se non ve ne fossero, non si sarebbe commesso un peccato: ove non c’è volontà colpevole, non ci sarebbe evidentemente peccato. “La Domenica ed i giorni di festa si è obbligati ad assistere alla Messa nella propria parrocchia?” – No, il Papa Benedetto XIV lo ha formalmente dichiarato. Non si è giammai obbligati ad assistere alla Messa nella propria parrocchia. Comunque, quando si può scegliere, è certamente preferibile e più cattolico recarsi alla propria parrocchia. La Chiesa invita i fedeli ad assistere alla Messa parrocchiale, ma non lo comanda; essa consiglia, non ordina; esorta, senza ricorrere a minacce. La chiesa parrocchiale è la nostra chiesa; essa è il luogo ufficiale dove tutti i parrocchiani sono chiamati, dalla Chiesa stessa, ad adorare il buon DIO, a cantare le sue lodi, a ricevere i Sacramenti. Là si trova il proprio pastore, è là che siamo diventati cristiani, là facciamo la nostra Pasqua, là ci si sposa, vi si compiono tutti i grandi atti della nostra vita cristiana, là infine saranno un giorno portati i nostri resti mortali per ricevere l’ultima benedizione della Chiesa. Ogni parrocchia forma come una famiglia religiosa, la chiesa parrocchiale ne è naturalmente il centro, il luogo di riunione, la casa familiare. Per tutti questi motivi, sarebbe meglio ascoltare la Messa nella propria parrocchia; ma questo non è obbligatorio, e soddisfa al precetto ascoltarla anche altrove. “Dove vi sono più Messe, bisogna, la Domenica, ascoltare la Messa solenne parrocchiale?” – Quando si può, questo è infinitamente meglio; ma non è necessario. Sarebbe meglio perché la Messa solenne parrocchiale è celebrata in particolare da tutti i parrocchiani, ed ottiene loro delle grazie tutte particolari. In più vi si ascoltano le preghiere e le raccomandazioni dal pulpito, l’annuncio delle feste, dei digiuni, di tutto ciò che riguarda la coscienza e la pietà dei fedeli. Andare la domenica alla Messa solenne parrocchiale, ben pregare in essa, cantare le lodi di DIO, è certamente il miglior consiglio che possa essere dato alle famiglie cristiane. – Ci sono persone che credono che sia d’obbligo, anche sotto pena di peccato mortale, l’assistere alla Messa solenne parrocchiale almeno una volta al mese. È un errore; e noi lo ripetiamo, malgrado i vantaggi incontestabili che presenta questa Messa, noi non vi siamo in coscienza obbligati. “Si compirebbe il precetto se in una Domenica o giorno di festa, si assiste alla metà di una Messa, a partire dal Sanctus, per esempio, fino alla fine, e si ascoltasse poi la prima parte di un’altra Messa fino al Sanctus?” – Sì, premettendo che queste due Messe non siano separaste da un gran lasso di tempo e atteso che si assista, come qui si suppone, alla Consacrazione ed alla Comunione dello stesso celebrante. Ma questo si può fare in caso di necessità, perché più rispettoso, regolare, sarebbe ascoltare la seconda Messa per intero. – Si sarebbe assistito in questo caso, alla Messa per intero, perché in fondo, nella Chiesa c’è un unico Sacrificio ogni Prete dice la Messa e, nel caso presente, uno dietro l’altro, offrono in fondo lo stesso Sacrificio. E così il fedele ha assistito “alla” Messa, benché non abbia assistito ad “una” Messa. – È necessario che le Messe che si fanno celebrare per i morti, siano dette in nero?” – Per nulla al mondo! Non è il colore degli ornamenti che fa il valore e l’applicazione della Messa; è l’intenzione del prete che applica i meriti infiniti di Nostro-Signore. Non si possono dire ogni giorno delle Messe “in nero”: così le Domeniche ed i giorni di gran festa, ed in generale le feste che la Chiesa celebra con quello che chiama il “rito doppio”, il prete non ha il diritto di usare i paramenti neri, a meno che non si tratti di un funerale. Ma, lo ripeto, il colore del paramento non conta niente. “Che succederebbe se, per involontaria dimenticanza, un Prete non celebrasse una Messa di cui si è impegnato?” – Nella sua misericordia, il buon DIO vi supplirebbe senza dubbio, perché Egli è buono e giusto, ma non bisogna dissimulare, rimpiazzando la Messa omessa, e se vi fosse negligenza, il Prete avrebbe a risponderne davanti a DIO. Quando se ne accorge egli sarebbe tenuto in coscienza a riparare alla sua dimenticanza il più prontamente possibile. Quanto alle intenzioni che non sono state supplite, è uno dei numerosi accidenti che genera sovente l’infermità umana e di cui nessuno è veramente responsabile in coscienza. È come quando si perde del denaro senza colpa, o quando si lascia cadere qualche oggetto prezioso che si perde; o come quando una madre o una nutrice si lascia scappare dalle braccia e cadere a terra un bambino che si fa male, o altri accidenti del genere. Questi sono incidenti, non colpe. Si cerca di ripararli come si può, e finché si può; “Quando si è fatta celebrare una Messa per questa o quella anima del Purgatorio, si è sicuri che essa sia stata liberata?” – No, la potenza spirituale della Chiesa non si estende sulle anime del Purgatorio se non in maniera indiretta e generale, come mezzo di suffragio, di preghiera. La Chiesa non può quaggiù pregare e supplire per le anime del Purgatorio; al Signore soltanto appartiene il potere di liberarli direttamente ed individualmente. Quando facciamo dire una Messa per questo o quel defunto, noi offriamo al buon DIO i meriti infiniti ed il sangue di suo Figlio, e Gli chiediamo di degnarsi di applicarli per questa anima; certamente ce n’è di più per liberare non solo quest’anima, ma anche tutte le altre, così una Messa, o anche molte Messe non liberano questa o quell’altra anima dal Purgatorio, e si potrebbe concludere che ciò sia una impotenza del Santo-Sacrificio. Il sangue di Nostro-Signore è onnipotente; ma non è sempre applicato come noi comandiamo. Noi siamo sicuri che la Messa offerta dalle nostre cure sia applicata a sollievo delle anime del Purgatorio, ma non siamo mai sicuri che questa venga applicata in particolare per l’anima per cui preghiamo e facciamo pregare. La giustizia di DIO ha delle esigenze che noi sulla terra non conosciamo. Ecco perché non bisogna mai cessare di pregare per i nostri cari defunti, di guadagnare per essi quante più indulgenze possibili, e far celebrare Messe per loro sollievo e la loro liberazione. “Una Messa cantata è più efficace di una Messa bassa?” – Essa è più solenne, ma non è più efficace. Una Messa cantata attira ordinariamente più gente, fa pregare per un tempo più lungo i fedeli; e come annunciato in precedenza, tutti sanno con quale intenzione particolare sia applicata, e quindi si prega più specialmente con questa intenzione. “Perché si fa celebrare la Messa in onore della Santa-Vergine e dei Santi? Essi non hanno bisogno di niente, perché sono in Paradiso”. – Così non si dice la Messa per essi. La Chiesa della terra è in comunione molto intima con la Chiesa del cielo; e siccome è molto semplice che la Santa Vergine e i Santi ci proteggono, ci assistono e ci fanno sentire il potere di cui godono in cielo; e pertanto è del tutto naturale che noi che li amiamo, offriamo i meriti infiniti del Sangue del Salvatore per ringraziare il buon DIO della loro gloria e della loro beatitudine eterna. Il Sangue di GESÙ-CRISTO è a nostra disposizione quaggiù per mezzo della Messa, e noi siamo felici di aumentare, offrendolo, la potenza delle azioni di grazie che la Santa Vergine ed i Santi offrono a Dio nel cielo. La Santa Messa è un presente divino e veramente infinito che possiamo fare e che dobbiamo fare con amore alla buona Vergine, agli Angeli ed ai Santi. – Ci sarebbero ancora tante piccole difficoltà pratiche da chiarire riguardanti la Messa; per la risoluzione rimando al curato o al Confessore, che sarà ben lieto di dare le necessarie spiegazioni.

XLV

Assistere spesso alla Messa è sovranamente utile.

San Francesco di Sales diceva che “la Messa è il sole degli esercizi di pietà”. È in effetti l’esercizio di pietà per eccellenza. Se un cristiano non può consacrare che una mezz’ora al giorno alla preghiera ed al servizio di Dio, non farebbe nulla di più utile per la gloria di Nostro-Signore, per la salvezza della propria anima e per il bene generale della Chiesa che consacrarla ad ascoltare piamente la Messa. Alla Messa, in effetti, egli viene ad adorare il Re del cielo sul suo trono della terra, che è l’altare. Egli viene ad unirsi alla Chiesa stessa, rappresentata dal Prete, alla Chiesa santissima e carissima a Dio; ed è con essa, e mediante la sua voce che adora, che egli ringrazia, domanda, prega, supplica, ottiene misericordia. Se egli comprende un po’ le auguste cerimonie della Messa, egli mette in memoria con naturalezza i grandi misteri della fede, e soprattutto il sovrano mistero dell’amore incomprensibile di DIO per lui; egli ama facilmente quel che non dimentica; e pratica facilmente ciò che ama. L’esperienza mostra, in effetti, che è raro assistere tutti i giorni, o molto spesso, alla Messa, e non sentirsi attirato a comunicarsi, a comunicarsi spesso; ciò che costituisce la Grazia delle grazie. La Messa, e GESÙ-CRISTO, l’Ostia vivente della Messa, dovrebbe essere l’appuntamento quotidiano di tutti i fedeli. Abbiamo delle pene (e tutti ne hanno)? Andiamo a GESÙ! Abbiamo da chiedere una grazia al buon DIO? Andiamo alla Messa e domandiamo! Vogliamo espiare una colpa ed ottenere misericordia per noi o per un altro? Andiamo alla Messa, ricorriamo a GESÙ-CRISTO! Abbiamo l’intenzione di ringraziare degnamente la bontà divina per qualche grande beneficio? Andiamo alla Messa. La Messa è un mezzo divino, supremo, messo a nostra disposizione dal buon DIO, per supplire alle nostre miserie. Più ne usiamo, più il buon DIO ci benedice e ci ama, perché Lo serviamo soprattutto secondo il suo cuore. Un giorno, Santa Teresa, sentendosi oppressa dal peso delle grazie che riceveva, esclamò in una sorta di angoscia: “mio DIO, mio DIO! Cosa posso io fare, misera creatura, per riconoscere degnamente la vostra misericordia?” E subito una voce celeste le diceva distintamente: “Ascolta una Messa!”. È ben raro che quando lo si voglia veramente, non si possa assistere tutte le mattine alla Messa, o pressappoco. Ci si sveglia all’ora migliore; si organizzano i piccoli affari di conseguenza, e senza rumore, senza strepiti, senza imporsi grandi sacrifici, ci si procura ogni mattino questa grazia inestimabile. – Nei paesi di fede, si trovano mezzi per andare spesso a Messa; ed il lavoro, lungi dal risentirne, diventa ben più fecondo, benedetto com’è dal buon DIO. Due operai della stessa professione vivevano l’uno vicino all’altro, l’uno cristiano, l’altro indifferente. Il primo si organizzava in modo da cominciare tutte le sue giornate con la Messa; l’altro per lavorare e guadagnare di più, non ci andava mai, neppure la Domenica. Entrambi erano dei buoni operai, entrambi sposati; l’operaio cristiano aveva quattro figli, l’altro uno solo. Ciononostante gli affari del primo andavano molto meglio di quelli del suo compagno. “Com’è possibile questo? … gli domandò un giorno costui. Tu hai più spese di me, io lavoro tutto il giorno e più a lungo di te, e malgrado ciò tu vivi contento ed io sono sempre in affanno! – Il mio segreto è molto semplice, gli rispose l’altro gaiamente. – Se tu vuoi, te lo mostrerò. – In tutta fede non te lo negherò!” – “Dov’è il tuo segreto?” Vieni domattina da me presto, ed io ti porterò là dove ottengo i miei benefici”. La mattina successiva, egli conduce tranquillamente il suo amico in chiesa ad ascoltare la Messa; al termine, egli gli raccomanda di tornarsene al lavoro, così come faceva lui stesso. “Soltanto, aggiunse, vieni domattina, qui, alla stessa ora.” Il giorno seguente avvenne come nel giorno precedente. E tra i due non ci furono commenti. Il terzo giorno l’amico si spazientì. “tu ti stai prendendo gioco di me? Se io volessi andare a Messa, non avrei bisogno di te per andarci, potrei andarci anche da solo. Io volevo sapere come fai tu per guadagnare più denaro di me; tu mi avevi promesso di mostrarmi il tuo segreto, e non mi hai detto ancora una parola. – Il mio segreto? Riprese l’operaio cristiano; ma non è null’altro di quanto ti ho appena mostrato. Io comincio tutte le mie giornate ai piedi del buon DIO; mi comunico ogni settimana; porto gioia e pace a casa, ed il buon DIO fa il resto. Non ha forse Egli detto: “Cercate innanzitutto il regno di DIO e la sua giustizia, e tutto il resto vi sarà dato in aggiunta?” oh! Che una giornata cominci piamente ai piedi degli altari, accompagnata dalla benedizione di GESÙ-Ostia, è indubbiamente cristiano, puro, casto, fecondo di meriti, fruttuoso per il tempo e per l’eternità! Quante belle e buone provviste di pazienza, di forza, di rassegnazione vengono a generarsi là, all’inizio del giorno, per le anime affaticate, spesso schiacciate dai pesi delle prove! Il santo altare è sulla terra la fonte celeste dalla quale scorrono le acque viventi della grazia, della pace, della gioia, della devozione, del puro benessere. Beato colui che conosce e che ama il cammino della Chiesa! È il cammino dell’onore, la sola vera felicità, il cammino della Chiesa è nello stesso tempo il cammino della felicità sulla terra ed il cammino della felicità eterna nei cieli.

8 settembre 1869, festa della Natività della Santa-Vergine. [Fine]

 

Mons. G. DE SEGUR : LA MESSA (2)

LA MESSA

[Mgr. G. De Ségur – da: Le opere vol. VIII, 1869]

-2-

Messa 1

XVIII

Significato dei paramenti sacerdotali con i quali il Prete dice la Messa.

Per dir Messa il Prete si riveste, sopra la sottana di sei ornamenti sacri: l’amitto, il camice, o alba, il cordone, il manipolo, la stola e la casula. Tutti questi ornamenti devono essere benedetti dal Vescovo, tanto è grande la santità del Sacrificio della Messa! – L’amitto è un velo di lino bianco che il Prete poggia prima sulla testa e che ribatte poi sul collo. Esso esprime la purezza tutta celeste dei pensieri che devono occupare da soli la mente mentre celebra la Messa, e la perfezione della sua fede alla presenza dei divini misteri. Questa fede è per lui come il “casco della salvezza”, che lo premunisce contro tutti gli attacchi del demonio. – Il camice, o alba bianca, che copre il Prete interamente, significa la santità e l’innocenza divina di GESÙ-CRISTO, di cui il Prete deve essere come tutto avvolto. San Giovanni Crisostomo chiama Nostro-Signore “la grande tunica dei Preti”. – Il cordone bianco, di cui il Prete si cinge i fianchi sopra l’alba, esprime innanzitutto la castità perfetta indispensabile ai ministri di GESÙ-CRISTO; poi il carattere di viaggiatori del Prete e dei fedeli nel laborioso cammino della vita. Il manipolo era un tempo un panno posto sul braccio sinistro del Prete, e pure del Diacono e del Subdiacono che assistevano il Prete all’altare; questo panno era destinato ad asciugare le loro lacrime. Esso si è poi trasformato pian piano in un paramento sacro che ricorda loro che devono necessariamente versare lacrime di amore e di penitenza alla vista della misericordia infinita del loro Salvatore velato ed annientato sui nostri altari. Non si porta il manipolo se non alla Messa, perché la Messa è per eccellenza il mistero dell’amore del buon DIO, il mistero di tenerezza e di misericordia che deve rivestire il cuore dei ministri di GESÙ-CRISTO. La stola è una sorta di sciarpa che esprime l’onore e la potenza del sacerdozio di GESÙ-CRISTO, di cui il Prete è rivestito col Sacramento dell’Ordine, e che gli dà il potere di presiedere le assemblee dei fedeli. Infine la casula [o pianeta], che in altri tempi era più ampia e copriva il Prete interamente, significa la gloria del Prete eterno secondo l’ordine di Melchisedech; la gloria di GESÙ-CRISTO, Sacerdote dei Sacerdote, che, mediante il mistero visibile ed esteriore dei suoi Preti, offre incessantemente sulla terra, in mezzo alla sua Chiesa militante, lo stesso Sacrificio di adorazione, di lode, di amore, di azione di grazie, che Egli offre alla Maestà divina con tutti i suoi Angeli e tutti i suoi Santi nel cielo. Il colore della casula e degli altri paramenti sacerdotali è sempre simile al colore dei parati dell’altare. Come abbiamo visto già, questo colore ricorda al Prete ed ai fedeli il mistero particolare della festa del giorno, il Santo o la Santa del giorno in onore del quali il Sacrificio è offerto. In effetti, benché il Sacrificio della Messa sia sempre ed unicamente offerto al buon DIO, che solo è adorabile ed adorato dalla Chiesa, può nondimeno essere legittimamente celebrato in onore dei Beati, come azione di grazie per la loro santità e la loro eterna beatitudine.

XIX

Il segno della croce che dà inizio alla Messa, e che si rinnova spesso durante il Sacrificio.

Il segno della croce dà inizio alla Messa e si rinnova cinquanta volte nel corso di questo Santissimo Sacrificio. Oltre che nella Chiesa, si da sempre la benedizione con questo segno augusto, e quindi è del tutto naturale che compaia frequentemente durante la Messa, che non è altra cosa, come abbiamo visto in precedenza, se non il Sacrificio stesso della croce sotto una forma mistica, vale a dire misteriosa e sacramentale. È per ricordare al Prete ed ai fedeli questa unità, questa identità del Sacrificio cruento della Croce e del Sacrificio incruento dell’altare, che la Chiesa ordina a tutti di segnarsi con un gran Segno di Croce nel momento stesso in cui inizia la Messa. – Bisogna sempre fare il Segno della Croce con molta religione, rispetto, fede, pietà; bisogna farlo gravemente e pensando a ciò che si fa: stesa la mano destra, dal centro della fronte fino a metà del petto; poi dalla spalla sinistra alla spalla destra, senza diminuirne le dimensioni, di modo che i quattro segmenti della croce siano pressappoco uguali. Niente è più edificante di un bel segno di Croce così formato gravemente e religiosamente. Il P. de Ravignan, di santa e dolce memoria, predicava innanzitutto, davanti all’immenso auditorio di Notre-Dame di Parigi, col solo modo in cui faceva il segno della Croce cominciando le sue celebri conferenze. Un ministro protestante che era venuto ad ascoltarlo per curiosità, avendo visto il santo religioso segnarsi secondo la sua abitudine, si voltò verso il suo vicino e non poté trattenersi dal dire: « Il suo sermone è già predicato, egli non ha bisogno di parlare ancora per convincere il suo uditorio ». Il segno della Croce riassume e, di conseguenza, richiama il Cristianesimo: esso richiama il mistero della Santa Trinità, il mistero dell’Incarnazione e quello della Redenzione; il mistero dell’unità della Chiesa, della quale è il segno; il mistero della Grazia e della Salvezza eterna che ci viene per i meriti di GESÙ-CRISTO crocifisso; esso richiama tutte le virtù che formano la vita cristiana: l’umiltà, la povertà, la castità, l’obbedienza, significata dai quattro segmenti della croce: la carità, l’amore, significate dal centro della croce, incontro dei quattro segmenti. Come facciamo noi il segno della Croce? Esaminiamoci su questo punto, e, se è il caso, riformiamoci, principalmente alla Messa e durante gli Uffici della Chiesa. Vi sono persone che fanno il segno della Croce come se stessero spolverando lo stomaco, o cacciando via le mosche!

XX

Cosa rappresenta il Prete ai piedi dell’altare.

Il prete comincia sempre la Messa in basso all’altare, egli vi sale solo dopo alcune preghiere e cerimonie che esprimono la penitenza e l’umiliazione. Egli recita un bel salmo, poi il Confiteor, che è la confessione, la pubblica accusa dei propri peccati in generale; il servente fa altrettanto, ed il Celebrante non sale fino all’altare se non dopo essersi umiliato e purificato con la contrizione. Il Confiteor, quando è detto con pietà, ha la virtù di cacciare tutti i nostri peccati veniali. È uno dei sacramentali della Chiesa. Così umiliato e pentito ai piedi dell’altare, confuso per così dire con il popolo, il Prete rappresenta Nostro-Signore, che per salvare il mondo e rendere così a DIO suo Padre la gloria che il peccato gli aveva sottratto, si è umiliato, annientato per trentatré anni sulla terra, confuso con i peccatori. Sull’altare, nella santa Eucaristia, Egli va ad offrire, mediante il ministero del Prete, lo stesso Sacrificio che ha già, una volta per tutte, salvato il mondo sul Calvario. Ecco perché la Messa inizia non sui gradini dell’altare innalzato al di sopra della terra, ma ai piedi dell’altare stesso, a terra, a livello del popolo. Il Prete salendo all’altare e restandovi fino al termine della Messa, è GESÙ-CRISTO, Prete e Vittima celeste, che offre alla gloria di DIO nel cielo in mezzo agli Angeli, il Sacrificio di adorazione, di amore e di propiziazione che la sua Chiesa offre sulla terra nell’Eucaristia. Così il Prete all’altare deve essere un uomo tutto celeste, piuttosto un Angelo che un uomo. Per meglio dire, deve essere un altro GESÙ-CRISTO, tutto pieno di Spirito-Santo, tutto posseduto da GESÙ, il Prete eterno, tutto bruciante d’amore, illuminato dagli splendori divini della fede.

XXI

Cosa significano l’Introito, il Kyrie ed il Gloria.

L’Introito è una piccola preghiera che comincia sempre la Messa e che richiama il mistero o la festa che si celebra in quel giorno, così come lo spirito ed i sentimenti nei quali bisogna entrare. – Il Kyrie è una preghiera composta da nove invocazioni alle tre Persone adorabili della Trinità. “Kyrie eleison, Christe eleison”, sono delle parole greche scritte in latino. In effetti l’uso del Kyrie ci viene dall’Oriente, dalla Grecia, da dove gli Apostoli lo hanno portato. Nella basilica di Saint-Denis, vicino Parigi, secondo un uso immemorabile, si celebra in greco la Grande Messa solenne del Santo Dionigi, Apostolo dei Galli. San Dionigi era greco di nascita. Egli era stato convertito da San Paolo, che lo aveva costituito primo Vescovo di Atene; da lì era poi venuto a Roma, e da Roma era stato inviato per evangelizzare la Gallia. Primo Vescovo di Parigi, aveva gloriosamente coronato la sua missione con il martirio. In ricordo di questa origine apostolica, la Messa di San Dionigi si cantava dunque in greco. Una buona donna che aveva assistito a questo bell’Ufficio ne era tornata tutta stupefatta: « Quelli hanno detto tutto in greco, diceva con spirito puerile, tutto, tutto, …. eccetto il Kyrie ».   Quanto al Gloria, o Inno angelico, esso è una magnifica preghiera, le cui parole iniziali sono state cantate nel cielo dagli Angeli stessi, alla presenza dei pastori di Bethleem e che è stato composto, si dice, nel quarto secolo, da Sant’Ilario, Vescovo di Poitiers. Il Kyrie ed il Gloria esprimono ciò che abbiamo detto più in alto, parlando dei ceri, cioè: – che i Santi Angeli si uniscono alla Chiesa della terra nella celebrazione del Santo-Sacrificio; – che il Prete all’altare è piuttosto nel cielo che sulla terra, e – che, con i nove cori degli Angeli, adora, loda, benedice, prega il Padre, il Figlio e lo Spirito-Santo. Le nove invocazioni del Kyrie corrispondono ai nove Cori angelici; i primi tre si indirizzano a DIO Padre; i tre successivi a DIO Figlio, GESÙ-CRISTO, nostro Salvatore, i tre ultimi, allo Santo Spirito, vero DIO vivente con il Padre ed il Figlio. – Durante queste preghiere angeliche dell’inizio della Messa, i fedeli, non meno del Prete, devono adorare e pregare il buon DIO con sentimenti tutti celesti; e durante tutta la Messa, essi devono restare in questa unione interiore con gli Angeli, alfine di rendere più degnamente i loro omaggi religiosi a Nostro-Signore GESÙ-CRISTO, Sacerdote e Vittima, DIO del cielo e della terra, Signore degli Angeli e degli uomini. Quale grande cosa la Messa! Essa è più celeste che terrestre, più divina che umana. Con quale profonda devozione bisogna dunque assistervi! Non si dice sempre il Gloria alla Messa: salvo i giorni in cui c’è la festa di qualche Santo, lo si omette in tutto l’Avvento, e dopo la Sessuagesima fino alla fine della Quaresima, così come in tutti i giorni di digiuno e di penitenza. Non lo si dice neppure alle Messe da Requiem, cioè alle Messe dei defunti. Tutte le volte che si deve omettere il Gloria, si rimpiazza l’“Ite Missa est” della fine della Messa, con il “Benedicamus Domino”, ed alle Messe dei morti con il “Requiescat in pace”.

XXII

I “DOMINUS VOBISCUM”.

Durante la Messa, il Prete saluta il popolo fedele con questa parola semplice e maestosa, ispirata ai Patriarchi: “Dominus vobiscum”, vale a dire “Che il Signore sia con voi”! Ed il servente Messa, a nome del popolo intero, gli risponde: « Et cum spiritu tuo », cioè: “e con il tuo spirito”. Nostro Signore effonde lo Spirito-Santo sulla sua Chiesa per unirla a Sé, comunicandole la sua vita, la sua santità, le sue virtù. Egli effonde su di Essa i sette doni dello Spirito-Santo, il dono del Timore, che dà ai Cristiani l’orrore del peccato ed un grande zelo per la santità, il dono della pietà, che dà loro un tenero e filiale amore per DIO, loro Padre celeste, e per la Vergine Maria, loro Madre, ed un amore fraterno per il prossimo; il dono di scienza, che insegna loro a vedere DIO e il suo Cristo attraverso i misteri della natura; il dono di fortezza, che conferisce loro la potenza soprannaturale di vincere il demonio, il mondo, la carne; il dono del consiglio, che fa loro discernere infallibilmente le ispirazioni del buon DIO dalle suggestioni del demonio, e che procura loro una prudenza, una saggezza divina; il dono dell’intelletto, che li illumina sopranaturalmente circa il grande ed universale mistero del Verbo incarnato, principio e fine di ogni cosa, infine il dono della saggezza, o piuttosto della sapienza, che conferisce loro il gusto delle cose divine, l’amore intimo di Nostro-Signore e che li unisce perfettamente a questo adorabile Maestro. Vivendo nei suoi Preti, Nostro-Signore continua a rischiarare ed a santificare con essi la sua Chiesa, il Prete che la celebra, o per meglio dire, GESÙ-CRISTO che la celebra attraverso il Prete e nel Prete effonde sette volte lo Spirito-Santo sui fedeli con i sette “Dominus vobiscum”. Questo augurio di santità, i fedeli lo rinviano piamente al Prete che lo dona loro, come una specchio che riceve un raggio di luce e che lo riflette subito, conservandolo pur tuttavia. Alla Messa, il Prete ed i fedeli, non hanno che un cuor solo ed un’anima sola; GESÙ-CRISTO vive in tutti ed in ciascuno, e dona senza misura il suo Spirito e la sua grazia a tutti quelli il cui cuore è ben disposto. Bisogna ricevere e restituire questi benefici saluti del Prete con rispetto e con riconoscenza. Il Prete, dicendo al popolo i Dominus vobiscum, apre le braccia per mostrare che la grazia che augura loro, viene dal Cuore adorabile di GESÙ, santuario dello Spirito-Santo.

XXII

LE ORAZIONI, L’EPISTOLA ed IL VANGELO.

Dopo il Gloria, il Prete si porta al corno dell’altare che corrisponde alla sinistra del Crocifisso, e alla destra dell’assistente; e là, con le due mani tese e le braccia aperte, egli recita o canta le Orazioni; poi egli legge l’Epistola tratta sia dall’Antico che dal Nuovo Testamento; dopo recita una piccola preghiera chiamata “Graduale”, cioè preghiera del cammino, della processione. È in effetti durante il graduale che il diacono, alla Gran Messa, si prepara al canto del Vangelo, e va in processione al luogo ove adempiere a questa santa funzione. Dopo il Graduale, il Prete lascia il lato di sinistra dell’altare per passare a quello di destra. All’altare, la destra come la sinistra si calcola sempre dal Crocifisso. La sinistra, si chiama anche il lato dell’Epistola, la destra, il lato del Vangelo. È là in effetti che, rivolto a metà verso il popolo, mani giunte, il Prete legge il santo Vangelo; quando ha finito, lo bacia con rispetto e torna al centro dell’altare. – Durante il Vangelo, tutti sono in piedi. – Dicendo il Prete le Orazioni dal lato ove ha iniziato la Messa, recitandovi l’Epistola, rappresenta Nostro-Signore GESÙ-CRISTO, Figlio eterno di DIO, Re e Signore degli Angeli, di Adamo, dei Patriarchi e dei Profeti; e dall’origine del mondo, oggetto della loro adorazione, della loro fede, della loro speranza e del loro amore. Era Lui, infatti, e non il Padre e lo Spirito-Santo che, sotto una forma umana, appariva ad Adamo ed ai Santi della Legge antica. Egli li riempiva del suo Spirito, e pregava in essi e con essi. Questo significa il Prete che prega solennemente dal lato dell’Introito e dell’Epistola dal lato dell’antica Alleanza. Ma poiché una nuova Alleanza evangelica, la Legge della grazia, doveva succedere a questa prima Alleanza, alla Legge del timore, il Prete, rappresentando sempre il Prete eterno, GESÙ-CRISTO, passa dal lato sinistro al lato destro; dal lato dell’Epistola al lato del Vangelo, quindi dalla antica Legge al lato della Legge nuova. E siccome la fine dell’antica Alleanza è stata demarcata dall’inizio della nuova, per mezo della crocifissione del Figlio di DIO, il Prete, passando da un lato all’altro dell’altare, si arresta davanti al Crocifisso, alza gli occhi verso di Lui, si inchina profondamente per ricordare l’annientamento della divina Vittima del Calvario. Il Prete, e con lui tutti i fedeli tracciano con il pollice della mano destra un segno di croce sulla loro fronte, poi un altro sulle loro labbra, poi un terzo sul loro cuore, prima di iniziare la lettura del Vangelo; prima per purificare e santificare il loro spirito, le parole ed il cuore; poi, per mostrare che essi non arrossiscono del Vangelo: che essi credono a tutti i misteri e a tutte le parole di GESÙ-CRISTO! Che essi sono pronti a confessarlo con la bocca, e che hanno GESÙ-CRISTO nel cuore. – Una volta, tutti i cavalieri, a questo punto della Messa, estraevano la loro spada dal fodero e la tenevano in mano per tutto il tempo del Vangelo; mostrando così che essi erano soggetti e cavalieri del Grande Re GESÙ, pronti a difendere i suoi diritti, il suo onore e la sua Chiesa anche a costo della propria vita. Essi non la riponevano che alla fine del Credo, e dopo averla brandita nell’aria, in segno di coraggio. Che bella usanza! Quanto era nobile! Quanto cristiano! Haimé! Dove sono più questi bei tempi di fede?

XXIV

Il CREDO.

Il Credo, o simbolo della fede, si recita nei giorni di grande festa e durante le ottave, le domeniche, i giorni di festa degli Apostoli e dei Santi Dottori. Si dovrebbe restare in piedi durante tutto il Credo, così come durante il Vangelo. Il Prete lo recita al centro dell’altare, con le mani giunte, di fronte al Crocifisso. Quando arriva a queste parole: “et homo factus est” fa la genuflessione sempre davanti al Crocifisso. Alla fine del Credo, traccia su di sé un grande segno di Croce. In effetti la fede in GESÙ-CRISTO, DIO fatto uomo, Redentore del mondo, riassume e fa risplendere tutti gli altri misteri del Credo. Credere in GESÙ-CRISTO è credere in un solo Dio vivente e vero; è credere al Padre ed al Figlio e allo Spirito Santo; è credere al mistero dell’Incarnazione, al mistero della Redenzione che si sono operati nella Persona stessa di GESÙ-CRISTO; è credere ai misteri della Chiesa, vale a dire al regno nello stesso tempo celeste e terrestre di GESÙ-CRISTO quaggiù; infine credere alla remissione dei peccati, alla resurrezione della carne, alla vita eterna che GESÙ-CRISTO ci ha meritato con il sacrificio della Croce, reso perpetuamente presente sui nostri altari sotto forma incruenta. E dicendo il Credo con il Prete, occorre ringraziare Nostro Signore per averci fatti cristiani, e domandarGli il dono di una fede viva, purissima ed infrangibile. Nel cielo verremo a scoprire le grandi realtà alle quali oggi crediamo senza vederle. Solo vedranno coloro che avranno creduto: gli altri saranno ripagati della loro infedeltà con le tenebre eterne.

XXV

L’OFFERTORIO, e ciò che segue fino al PREFAZIO

Dopo il Credo inizia la preparazione immediata del Santo-Sacrificio. Il Prete dice dapprima una breve preghiera, chiamata Offertorio, cioè preghiera dell’offerta, simile alla preghiera dell’Introito, e più tardi a quelle della Comunione. Lo scopo di queste tre preghiere è di ravvivare nel cuore del Padre e di tutti gli astanti il ricordo della festa o del mistero del giorno. Poi il celebrante offre e benedice il pane o l’ostia che sarà mutato ben presto nel Corpo adorabile di Nostro-Signore, e quindi il vino che sarà cambiato nel suo Sangue. Egli mescola al puro vino, nel calice, una o due gocce di acqua per significare: innanzitutto l’umanità santa di GESÙ unita alla sua divinità, e formando con essa una sola Persona divina, Vittima del sacrificio della Croce e dell’altare; poi l’unione della Chiesa di tutti i fedeli con GESÙ, la Vittima santa; infine l’acqua ed il sangue che colarono dal costato aperto del Salvatore crocifisso, quando, qualche ora dopo la sua morte, un soldato di Pilato gli trafisse il cuore. Alcune volte all’Offertorio i fedeli portano al Prete le sacre offerte, cioè: del pane, del vino, dell’olio, della cera, delle elemosine. Aiutato dai diaconi e dagli altri ministri, il Prete conserva il pane ed il vino necessari per il Santo Sacrificio, e mette da parte il resto delle offerte, le quali serviranno per la sussistenza del clero, per la manutenzione delle chiese, o per il sollievo dei poveri. Il Prete si lava le mani prima di continuare la Santa Messa; più che conveniente, questa è una cosa necessaria. Oggi che gli usi sono cambiati, la Chiesa ha conservato il lavaggio delle mani, non solo come pio ricordo dell’antichità, ma ancora per ricordare al Prete la purezza assoluta con la quale deve toccare le cose sante e celebrare l’adorabile mistero dell’altare. Per l’ultima volta prima dell’Elevazione, il Prete si gira verso il popolo e lo invita a raddoppiare il fervore ed il raccoglimento nella preghiera, man mano che si avvicina il momento della Consacrazione. Nel nome di GESÙ-CRISTO, egli augura ai suoi fratelli la grazia di una preghiera perfetta dicendo loro queste brevi parole, semplici ma espressive: « Orate fratres! Pregate fratelli miei »! e comincia egli stesso a mettere in pratica questa esortazione a questa grazia, recitando sommessamente, intimamente unito a GESÙ, agli Angeli ed ai Beati, la preghiera chiamata “Secreta”. Egli poi la conclude ad alta voce, come per far partecipare la Chiesa della terra alla preghiera del Prete celeste e della Chiesa del cielo, e dice la grande parola dell’eternità: «Per omnia sæcula sæculorum, per tutti i secoli dei secoli ». la Chiesa della terra ascolta questa voce ed unendosi in effetti alla preghiera segreta, tutta divina, di GESÙ e della corte celeste, risponde. “Amen”, così sia: la parola Amen ha questi due sensi. Nello stesso tempo è una supplica ed un’affermazione. Bisogna sempre rispondere gli Amen della Messa con grande fede, invece di dirli per abitudine o alla leggera, come spesso purtroppo succede.

XXVI

IL PREFAZIO ed il SANCTUS.

La parola “prefatio” vuol dire “ciò che si dice prima”; il Prefazio è in effetti una preghiera solenne, più angelica che umana, e tutti gli Angeli, gli Arcangeli, i Cherubini, i Serafini sono pubblicamente chiamati e convocati dal ministro della Chiesa a venirgli in aiuto ed aiutarci tutti ad adorare degnamente GESÙ nell’Eucaristia, e con GESÙ, ad adorare degnamente la Santissima Trinità, il solo vero DIO vivente, il DIO del cielo e della terra. Alla Messa solenne, il Prete canta il Prefazio su di un ritmo incomparabilmente bello, che la Chiesa ha mutuato dall’antichità greca ed ebraica. Io non penso che l’orecchio umano possa ascoltare un canto più grandioso, più puro, più toccante, più divino di quello del Prefazio, quando il Prete lo canta bene. Egli conclude il Prefazio congiungendo le mani, inchinandosi profondamente, e recitando a nome della Chiesa della terra, con la Chiesa del Cielo, il Sanctus, le cui parole sono tratte in parte dal Profeta Isaia, ed in parte dal santo Vangelo. L’inizio del Sanctus è il grido di amore ed adorazione dei Serafini, prosternati nel cielo davanti al Signore; la fine è il saluto, l’Osanna trionfale con il quale lo stesso Signore incarnato è stato acclamato già in Israele, nel giorno del suo ingresso a Gerusalemme. È Lui, Lui stesso, è GESÙ, il Figlio di DIO fatto uomo, il Re degli Angeli ed il Re di Israele, che in un istante sta per scendere dal cielo in terra e apparire in mezzo alla sua Gerusalemme quaggiù, in mezzo al nuovo Israele, sotto i veli dell’Eucaristia!

XXVII

Cosa rappresentano le mani di stese del Prete.

Durante il Prefazio e durante le preghiere del Canone [Canone è una parola greca che significa Regola. Si chiama così questa parte della Messa perché essa è una regola immutabile di preghiere che non cambia in nessuna festa, e che risale ai secoli apostolici] il Prete tiene le braccia aperte ed estese, girate l’una verso l’altra. La Chiesa fa pregare il Celebrante così durante le Orazioni, durante il Prefazio ed il Canone della Messa, e durante il Pater, per ricordare che il sacrificio dell’altare è lo stesso di quello del Calvario, e che dall’inizio fino alla fine del mondo, la vera preghiera gradita a DIO è stata fatta e si fa e si farà in unione a GESÙ crocifisso, per GESÙ-CRISTO, ed in GESÙ-CRISTO. Queste due mani consacrate dal Vescovo nel giorno dell’Ordinazione rappresentano i due grandi Arcangeli, san Michele e San Gabriele, che il Profeta Isaia vedeva in adorazione davanti al Signore; che Mosè aveva comandato di raffigurare nel Santo dei Santi, in adorazione davanti al Propiziatorio dell’Arca dell’Alleanza; che la Chiesa simbolizza sull’altare, durante il Santo-Sacrificio, con i due ceri accesi a destra ed a sinistra del Crocifisso, come abbiamo visto. Esse rappresentano ancora le suppliche unite della Chiesa degli Angeli e della Chiesa degli uomini, che entrambe adorano e pregano GESÙ, il DIO dell’altare. Infine esse rappresentano l’Antico ed il Nuovo Testamento, gli eletti dell’antica Alleanza e quelli della Alleanza nuova, offerenti a DIO le loro lodi e le loro preghiere per mezzo dello stesso GESÙ-CRISTO, Mediatore dell’una e dell’altra. O come le mani dei nostri Preti sono sante e sacre! Nei paese di fede, è d’uso baciarle religiosamente, nelle strade, alla passeggiata, dappertutto ove si incontri un Prete. A Roma, ho visto spesso dei fanciulli lasciare i loro giochi per venire a baciare la mano di un Prete che passava. Nel Tirolo, ho visto dei buoni operai lasciare per un momento i loro aratri a riposo scorgendo un Prete, accorrendo verso di lui per chiedere la sua benedizione, baciare la sua mano e tornare felici al lavoro. Durante le prime orazioni della Messa, le due mani stese del Prete, rappresentano più particolarmente i due Testamenti, adorando GESÙ-CRISTO, il DIO dei Patriarchi e dei Profeti, e così la Chiesa degli Angeli, unita alla Chiesa patriarcale e mosaica per rendere al vero DIO, sempre per GESÙ-CRISTO, gli omaggi che Gli sono dovuti. Durante il Vangelo e durante il Credo, le due mani del Prete sono giunte, esse rappresentano gli Angeli e gli uomini, l’antica Alleanza e la nuova, unite in un’unica fede, ed in uno stesso amore verso GESÙ-CRISTO, il DIO del Vangelo, il DIO dell’Eucaristia.

XXVIII

Il CANONE della Messa e la CONSACRAZIONE.

Al partire dal Sanctus, tutti devono essere in ginocchio, nel raccoglimento più profondo e nell’attesa delle venuta di Nostro Signore GESÙ-CRISTO sull’altare mediante la Consacrazione. Il silenzio più religioso deve regnare in tutta la chiesa. – Al “Sanctus” il servente Messa accende un cero vicino a lui su di un candelabro o fissato al muro, dal lato dell’Epistola. Questo cero illuminato esprime, da un lato, la fede viva ed ardente dei fedeli alla presenza reale del Signore nell’Eucarestia; e dall’altro GESÙ-CRISTO stesso, resuscitato e glorificato, luce del mondo, presente sull’altare. Questo cero si spegne dopo la Comunione dei fedeli; e durante la Comunione il servente lo tiene in mano, precedendo il Prete e accompagnando con onore il Santissimo Sacramento. Le preghiere del Canone datano dai tempi primitivi della Chiesa. Prima di consacrare, il Prete fa memoria di tutta la Chiesa militante, del Sovrano Pontefice, del Vescovo della diocesi, di tutti i cristiani, ed in particolare degli astanti, e di coloro che si sono raccomandati più specialmente alle sue preghiere. Poi egli convoca ed invoca tutta la Chiesa trionfante, la Santissima Vergine, San Pietro, tutti gli Apostoli, tutti i Martiri, tutti i Santi; perché il Re del cielo sta per scendere nelle sue mani. Egli benedice, santifica a più riprese il pane ed il vino, che stanno per essere consacrati e, completate tutte le preparazioni, egli si inchina, e GESÙ consacra per lui, con lui ed in lui, prima il pane nel suo Corpo, poi il vino nel suo Sangue. Durante ogni consacrazione, il Prete fa la genuflessione e adora il suo Dio; Lo eleva sopra la sua testa, poi Lo fa vedere ed adorare da tutti gli astanti, e dopo averLo depositato sull’altare, Lo adora di nuovo facendo la genuflessione. – La Consacrazione o Elevazione è il momentp più solenne, il più divino della Messa. È come il centro del Santo-Sacrificio, con la Consacrazione il Figlio di DIO e della Santa Vergine, l’Adorabile, il dolce Salvatore, si rende veramente e realmente presente sui nostri altari, sotto le apparenze del pane e del vino. L’Ostia consacrata sembra essere pane, ma essa in realtà è il Corpo vivente di GESÙ-CRISTO; Corpo celeste e deificato, resuscitato e tutto divino, che i nostri occhi terrestri non possono vedere, ma che vedremo faccia a faccia nella gloria del cielo, quando, resuscitati a nostra volta, saremo nel cielo con il nostro divino Capo. Con il Corpo di GESÙ, sono presenti nell’Ostia santa il suo Sangue, la sua anima, la sua divinità. Nel calice, il vino consacrato “sembra” essere del vino, ma questa non è che semplice apparenza e, in realtà, è il Sangue adorabile di GESÙ-CRISTO. Con il suo Sangue, c’è il suo corpo, la sua anima, la sua divinità, inseparabili l’una dalle altre. E non è solo GESÙ, la seconda Persona della Trinità, che è presente la sull’altare; con Lui c’è DIO il Padre, e DIO lo Spirito Santo, la Trinità tutta intera; perché il Padre e lo Spirito Santo, sono inseparabili dal Figlio. E così l’Eucaristia è veramente e realmente il buon DIO presente sull’altare; è GESÙ-CRISTO, corporalmente presente sotto le apparenze del pane e del vino, è il Signore, centro vivente del cielo, in cui abita corporalmente la pienezza della divinità. Tutti gli Angeli sono in adorazione attorno all’Eucaristia; tutti gli uomini dovrebbero esservi ugualmente ed anche essi dovrebbero, se possibile, esservi con zelo ancora maggiore, perché è per essi e non per gli Angeli che il Signore del cielo si è reso così sacramentalmente presente sulla terra. GESÙ non è presente sulla terra se non con il Santo-Sacramento e di conseguenza, con il santissimo Sacrificio della Messa. – Così l’altare ed il tabernacolo sono il luogo di appuntamento di tutte le anime pie. La Messa è la più divina di tutte le cose divine che esistono quaggiù. È il cielo che si abbassa, discendendo interamente sulla terra; è per eccellenza l’atto dell’amore e della misericordia di DIO verso gli uomini, è il centro di tutta la Religione; e questa piccola ostia, che sembra essere così poca cosa, è il collegamento vivente della terra con i cieli; il punto di congiunzione della Chiesa militante con la Chiesa trionfante; è GESÙ in mezzo a noi; è DIO con noi!!

XXIX

Dalla CONSACRAZIONE fino alla COMMUNIONE

 Dopo la Consacrazione, bisogna restare in adorazione, senza muoversi e, potendo, in ginocchio fino alla Comunione. In quel momento, gran DIO! Resteremo inginocchiati: Lui è là! È un vero inconveniente sedersi dopo la Consacrazione, quando non si è infermi né malati. Questo denota a colpo sicuro, una fede ben poco viva ed una religione superficiale. Dopo la Consacrazione e fino al Pater, il Prete continua, nel celeste segreto dell’altare, le preghiere del Canone, piene di ineffabili misteri. Egli traccia a più riprese sulla santa Ostia e sul Calice, dei segni di Croce; queste non sono delle benedizioni (perché non si benedice Colui che è l’autore ed il principio di ogni benedizione); questi sono dei segni destinati ad esprimere innanzitutto l’unione di GESÙ-CRISTO con tutti gli eletti, che sono suoi membri; poi l’unione che esiste tra la prima e la seconda venuta di questo divino Salvatore. Nella prima venuta, GESÙ è disceso dal cielo sulla terra per soffrire ed offrirsi in Sacrificio. Resuscitato, Egli è risalito al cielo, da dove tornerà pieno di gloria a giudicare i vivi ed i morti, cioè gli eletti ed i riprovati. Questo ritorno glorioso, è quello che si chiama la seconda venuta di GESÙ-CRISTO. Ma poiché Egli ci ama con infinita tenerezza, non ci abbandona sulla terra, lungo i secoli che separano la prima e la seconda venuta: è principalmente con l’istituzione del Sacrificio e del Sacramento dell’Eucaristia, con la Messa e con la Comunione, che Egli viene a noi e dimora con noi durante il nostro pellegrinaggio. Prima di dire ad alta voce il Pater, il Prete fa memoria della Chiesa sofferente, cioè delle anime del Purgatorio, e supplica il Padre celeste in nome di GESÙ-CRISTO, suo Figlio, presente sull’altare, di alleviare e liberare queste povere anime riscattate dalla Vittima divina. Egli fa questa preghiera in nome della Chiesa trionfante, di modo che, davanti alla Santissima Trinità e davanti a GESÙ, si trova il rappresentante della Chiesa tutta intera, trionfante, militante e sofferente. Il Pater, con le preghiere e le cerimonie che seguono, si riconduce alla seconda venuta di GESÙ-CRISTO, ed a questo grande trionfo al quale tutti partecipiamo se abbiamo la fortuna di vivere e morire nella grazia del buon Dio. In effetti, membri viventi di GESÙ-CRISTO, noi resusciteremo tutti nel momento in cui il Figlio di DIO apparirà in mezzo agli uomini, discendendo, come lo annuncia Egli stesso, “sulle nubi del cielo con tutti i suoi Angeli”. Con Lui noi giudicheremo i riprovati ed i demoni, e regneremo per sempre. Questa seconda venuta di GESÙ-CRISTO avrà luogo alla fine della sesta età del mondo: è per questo che il Prete, che ha tenuto le braccia aperte e le mani alzate durante le sei prime domande del Pater, le abbassa sull’altare dopo la sesta, e lascia dire al servente, che parla in nome di tutto il popolo fedele: “Sed libera nos a malo” [ma liberaci dal male]. In effetti noi non saremo liberati assolutamente e totalmente dal male, cioè dal demonio, dal peccato, dalla sofferenza e dalla morte, che per la seconda venuta del nostro Salvatore. Ora noi combattiamo il male; ma noi non siamo liberati. “Beato e santo, grida l’Apostolo S. Giovanni, colui che avrà parte a questo futuro regno di DIO!

XXX

La Comunione.

Nostro Signore, in qualità di DIO vivente, deve e vuole avere degli altari viventi, dei tabernacoli viventi. Ecco perché, disceso sull’altare per la consacrazione, Egli vuole che dapprima il suo Prete, poi i fedeli, comunichino, vale a dire, ricevano nel loro corpo e nel loro cuore, il Sacramento adorabile dell’Eucaristia. Per il Prete che celebra la Messa, la Comunione è assolutamente obbligatoria. Per i fedeli, è consigliata. Il Concilio di Trento « … desidererebbe (parole testuali) che tutte le volte che assistono alla Messa i fedeli vi comunicassero sacramentalmente, e non solo spiritualmente, alfine di raccogliere più abbondantemente i frutti di questo Santissimo Sacrificio. » – Quando si è in uno stato di grazia e si è ben preparati, e quando il confessore lo approva, si dovrebbe comunicare tutte le volte che si assiste alla santa Messa. Questo è più perfetto, più cristiano, più umile, in una parola è meglio comunicare alla Messa che non comunicarvi; quando si comunica con fede e con sincera buona volontà, non ci si comunica mai troppo spesso, e sempre la comunione è di profitto all’anima. Prima di ricevere il buon DIO, il Prete si batte il petto e ripete a voce alta, per tre volte, il grido di umiltà e di fiducia: « Domine, non sum dignus! Signore, io non sono degno che voi entriate in me; ma dite solo una parola e la mia anima sarà guarita. » Quando il Prete si è comunicato egli stesso sotto la specie del pane e sotto la specie del vino, il servente, a nome di tutti i fedeli che vogliono comunicare a loro volta, recita ad alta voce il Confiteor. Qui, come all’inizio della Messa, questo bell’atto di confessione ha come scopo di cancellare anche i minimi peccati veniali che potrebbero ancora offuscare la purezza dei comunicanti. Il Prete, a metà girato verso di loro, dà l’assoluzione generale dei loro peccati. Questa non è l’assoluzione sacramentale, che sola ha la virtù di cancellare i peccati mortali; è semplicemente una preghiera ed una benedizione che cancellano i peccati veniali. Poi il Prete prende e presenta la Santissima Ostia, ripetendo a nome di tutti il triplice « Domine, non sum dignus, » che egli aveva detto per se stesso, prima di comunicare. Egli discende i gradini dell’altare, preceduto dal servente che porta rispettosamente il cero dell’Elevazione; e facendo un segno di croce con il Santo Sacramento, depone l’Ostia adorabile sulla lingua del comunicante. Egli dice ad ogni fedele, dandogli il suo DIO: «Che il corpo di Nostro-Signore GESÙ-CRISTO custodisca la tua anima per la vita eterna! Così sia. » Quale parola divina! E qual bel mistero! È il corpo di GESÙ che custodisce le nostre anime; è il corpo resuscitato, glorificato, immortale, il Corpo celeste e deificato del Salvatore che preserva le nostre povere anime dalla corruzione del mondo, ed in particolare dalle influenze cattive del nostro corpo terrestre, mortale e corrotto. Oltre le disposizioni dello spirito e del cuore, che ciascuno sa, bisogna essere accorti a ben tenersi alla tavola di comunione; quando il Prete si avvicina, bisogna tenere la testa dritta, avere gli occhi abbassati, aprire la bocca mediocremente, né troppo, né troppo poco, portare un po’ in avanti la lingua poggiandola sul labbro inferiore, perché il Prete vi possa posare facilmente l’Ostia santa, e non ritirare la lingua se non dopo che l’Ostia sia ben poggiata. Vi sono alcuni che tengono la testa abbassata, di modo che il Prete non vede cosa fa; altri aprono appena la bocca; altri non sporgono la lingua; altri l’avanzano talmente che essa pende sul mento, come una bandiera. C’è chi muove la testa con compunzione, a destra, a sinistra; chi risponde “Amen”, nel momento in cui il Prete li comunica; chi si ritira precipitosamente, prima che la santa Ostia sia posata sulla lingua, etc. … tutto questo è molto sconveniente; e di più è molto pericoloso; la maggior parte degli incidenti che si verificano alla santa tavola, vengono dalla mal destrezza o dall’incuria di coloro che si comunicano. Non bisogna del resto scandalizzarsi né rattristarsi oltre misura se disgraziatamente un’Ostia o una particola cade sulla tovaglia della comunione, oppure a terra. Nostro Signore non è offeso né disonorato in alcun modo per un incidente di questo genere, dal momento che esso non deriva da negligenza; nell’Eucarestia, il Corpo celeste di Nostro-Signore è assolutamente al riparo da ogni sporcizia, così come è al riparo da ogni sofferenza e da ogni alterazione. È il segno sensibile della sua presenza, è il Sacramento che solo è suscettibile di incidenti o di profanazione; di modo che, quando non c’è cattiva intenzione, non c’è alcun peccato, né mortale né veniale, negli incidenti di cui parliamo; e, cosa ben consolante, gli empi che profanano il Santo-Sacramento, hanno un bel fare, essi non possono raggiungere Nostro-Signore, e non fanno male se non alla loro anima malvagia. Dopo aver dato la Comunione ai fedeli, il Prete sempre preceduto dal servente con il cero, risale sull’altare e deposita l’adorabile Eucaristia nel Tabernacolo, che egli richiude a chiave. Benché sia forse più regolare comunicare durante la Messa, come stiamo dicendo, è perfettamente permesso, e talvolta anche preferibile, comunicare fuori dalla Messa, o immediatamente dopo la Messa, o prima, oppure senza Messa. La Comunione è in effetti indipendente dal Santo-Sacrificio, come il frutto, una volta colto è indipendente dall’albero che lo ha prodotto. L’albero che produce il frutto divino dell’Eucaristia, è il santo Sacrificio della Messa, il quale produce il Sacramento. La Chiesa conserva il frutto divino nel ciborio e nel Tabernacolo, da dove essa estrae ogni qual volta i suoi figli le chiedono il loro nutrimento. È talmente permesso e legittimo comunicare fuori dalla Messa, anche quando si può ascoltare la Messa, che la Chiesa ci obbliga, a noi altri Preti, a dare la Comunione a tutti coloro che ce la chiedono e quando essi ce la chiedono, a meno che non si sia impediti da una grave ragione e ci obbliga sotto pena di peccato. È in effetti nostro dovere facilitare, per quel che possiamo, l’accesso dei Sacramenti a tutti i fedeli, poveri, ricchi, operai, servitori, fanciulli. Il Prete è il servo delle anime e, se è anche nello stesso tempo loro padre, non ne è il loro padrone!

XXXI

Dopo la COMUNIONE fino al termine della Messa.

Dopo la Comunione, il Prete toglie, dapprima con un po’ di vino, poi con un po’ d’acqua e vino, le particelle del Santo-Sacramento che avrebbero potuto attaccarsi alle parte interne del calice o alle sue dita. È ciò che si chiamano le “abluzioni”. Dopo aver asciugato, messo in ordine e ricoperto il calice, si dirige al lato dell’Epistola, là dove ha iniziato la Messa; egli recita, con le mani giunte come all’introito, la piccola reghiera chiamata Communio; dopo aver salutato gli astanti, dal centro dell’altare, con il “Dominus vobiscum” recita, sempre dal lato dell’Introito, l’orazione o le orazioni dette Postcommunio. Di seguito chiude il libro, torna al centro dell’altare, saluta un’ultima volta e congeda l’assemblea dicendo: “Ite, Missa est”: andate, la Messa è finita”. Infine egli da un’ultima benedizione e recita l’ultimo Vangelo. Dopo ciò, ridiscende dall’altare, si inchina davanti al Crocifisso o fa la genuflessione davanti al Santo-Sacramento chiuso nel Tabernacolo, e rientra nella sagrestia, preceduto dal servente. Là dismette i vestimenti sacerdotali e fa religiosamente la sua azione di grazie. I fedeli che hanno comunicato la fanno da parte loro. L’azione di grazie deve durare almeno dieci minuti o un quarto d’ora, essere non troppo lunga, né troppo raccolta, né troppo fervente. Così come il Prete recitando l’introito all’inizio della Messa rappresentava GESÙ-CRISTO, Figlio eterno di DIO, completando del suo spirito di religione gli Angeli, Adamo ed i primi Patriarchi, dall’origine del mondo; allo stesso modo al Communio e Postcommunio, il Prete rappresenta GESÙ-CRISTO, Re di gloria, trionfante con tutti i suoi eletti, dopo la sua seconda venuta, regnante pacificamente con essi su ogni creatura. Le mani riunite del Prete, al Communio, significano l’unione dell’antico popolo di DIO, convertito alla fede cristiana dopo tanti secoli di ostinazione, con il nuove Israele, vale a dire la Chiesa cattolica. Non vi sarà allora che « un solo gregge ed un solo Pastore ». Durante le Orazioni le mani stese del Celebrante rappresentano l’ammirabile unione dell’adorazione e della preghiera degli Angeli e degli uomini in questo momento di gloria, di pace, di felicità, di trionfo universale: i demoni ed i riprovati saranno cacciati fuori: « foras », come dice il Vangelo; ogni creatura sarà sottomessa a GESÙ-CRISTO, sulla terra come in cielo, GESÙ e MARIA regneranno, come è giusto e legittimo, sulla intera creazione; la Chiesa, cioè la società dei figli di DIO, il regno universale di GESÙ e di MARIA, comprenderà tutti gli Angeli, tutti gli uomini, tutte le creature fedeli e sante; « e Dio sarà tutto in tutti, » come è predetto nella Scrittura. La benedizione finale della Messa significa la fine dei tempi e la benedizione eterna che il Re del Cielo, GESÙ-CRISTO, darà a tutti i beati, in nome del Padre, del Figlio e dello Spirito-Santo, quando li introdurrà per sempre nella santissima Eternità. L’ultimo Vangelo, il Vangelo di San Giovanni, è come un inno di adorazione, di azione di grazie e di fede viva in GESÙ-CRISTO, il Verbo fatto carne, vero DIO e vero uomo, Prete eterno e vittima divina del grande sacrificio che il Padre viene a celebrare sotto i veli eucaristici. Non è che dopo questo ultimo Vangelo che i ceri della Messa devono essere spenti.

XXXII

Qualche cerimonia propria alla Messa Solenne.

La Messa solenne, o Messa cantata, viene celebrata da un sacerdote, assistito ordinariamente da due ministri inferiori, il Diacono ed il Sotto-Diacono. C’è in effetti nel Sacerdozio cattolico una gerarchia, i cui quattro gradi più elevati sono il sotto-diaconato, il diaconato, il sacerdozio, e l’episcopato. Dal punto di vista della Santa Messa, l’episcopato dà il potere di consacrare ai Preti, ministri dell’Eucaristia; il sacerdozio, di celebrare il Santo-Sacrificio; il diaconato di assistere il Prete all’altare, di toccare i vasi sacri che contengono l’Eucaristia e di dare la Comunione, in caso di necessità; il sub-diaconato di assistere il Prete ed il Diacono all’altare e toccare i vasi sacri quando non contengono il Santo Sacramento. Al posto della casula, il Diacono è rivestito, all’altare, di un ornamento chiamato “dalmatica”, ed il sub-diacono di un ornamento della stessa forma, ma che dovrebbe essere un po’ meno ampio, e che si chiama “tunica”. Alla Messa solenne, il Diacono canta solennemente il Vangelo e rappresenta la nuova Alleanza, la Legge della grazia: il Sub-diacono che legge solennemente le profezie, rappresenta l’antica Alleanza, inferiore alla Legge di grazia. Il Prete, tra il Diacono ed il Sub-diacono, raffigura Nostro-Signore GESÙ-CRISTO, DIO e Salvatore dell’una e dell’altra Alleanza. Per il canto del Vangelo, il Sub-diacono tiene il libro santo, aperto ed appoggiato sul suo petto, come un pulpito vivente. Il Diacono può leggerlo, perché la nuova Alleanza conosce GESÙ-CRISTO ed è iniziata ai suoi adorabili misteri; ma il Sub-Diacono, simile all’altica Alleanza, non fa che presentare alla nuova Alleanza, alla Chiesa cristiana, questo Cristo che essa ha avuto la sventura di non conoscere, donandolo al mondo. Durante il canto del Vangelo, il Prete è in piedi all’altare, rivolto verso il libro sacro. In effetti GESÙ-CRISTO, Re dei cieli, rappresentato dal Celebrante, è Colui che già durante la sua vita mortale ed umiliata, ha detto, ha fatto tutto ciò che contiene il santo Vangelo. Dopo il Credo, il Sub-Diacono presenta al Diacono il pane ed il vino, materia del Sacrificio; come l’antica Alleanza ha fornito alla nuova Alleanza il corpo ed il sangue che il Figlio di DIO si è degnato di unire dapprima e poi immolare sulla Croce, per riscattarci. E come l’antico popolo di DIO, dopo aver compiuto questo grande mistero, ha rinnegato GESÙ-CRISTO, e non Lo riconobbe suo Salvatore; così il Sotto-Diacono, che lo raffigura, discende dall’altare dopo avere dato al Diacono il pane ed il vino, e resta fino al Pater ai piedi dell’altare, avvolto da un velo e tenendo la patena davanti agli occhi, simbolo suggestivo dell’accecamento dei Giudei. Verso la fine dei tempi, all’approssimarsi dell’anticristo, i giudei si convertiranno; quello che era stato il popolo di DIO lo ridiventerà, entrerà nella Chiesa, diventerà cattolico: per questo motivo, il Sotto-Diacono risale sull’altare verso la fine del Pater, prende nuovamente posto con il Diacono a lato del Celebrante, cioè GESÙ-CRISTO, e partecipa alfine, con il Diacono, alle benedizioni ed alle glorie dell’altare. Nella Messa solenne ove non c’è il Diacono ed il Sotto-Diacono, cosa che succede quasi sempre nelle zone di campagna, il Prete canta sull’altare l’Epistola ed il Vangelo.

 

XXXIII

Le incensazioni ed il loro significato.

Nella Messa solenne, ci sono quattro incensazioni. È una bella cerimonia che consiste nel far bruciare incenso benedetto sui carboni ardenti dell’incensiere, ed ad avviluppare col fumo odoroso di questo incenso, sia l’altare, sia i ministri dell’altare, sia gli stessi fedeli. Ci sono qui tre grandi e bellissimi misteri. L’incensiere, pieno di fuoco, raffigura la santa umanità del Figlio di DIO, tutta piena del fuoco dello Spirito Santo. L’incenso con il suo bel vapore bianco che sempre sale, raffigura la preghiera e le adorazioni della Chiesa che, unite alla preghiera divina di GESÙ-CRISTO salgono fino al trono di DIO. La prima incensazione ha luogo prima dell’introito, quando il Prete è salito sull’altare. Il Celebrante incensa dapprima tre volte il Crocifisso, in segno di adorazione; questa adorazione si rivolge alla Santissima Trinità e a Nostro Signore GESÙ-CRISTO, DIO fatto uomo; poi egli incensa dodici volte ogni lato dell’altare, a nome di tutti i fedeli della Legge antica, rappresentata dai dodici Patriarchi, ed in nome della nuova Legge, rappresentata dai dodici Apostoli. Poi il Prete stesso è incensato, come rappresentante GESÙ-CRISTO, il Sacerdote sovrano ed il Pontefice eterno della Chiesa. Questa grande incensazione, che precede immediatamente l’introito, ha lo stesso carattere angelico del Kyrie, il Gloria e tutto ciò che accade sull’altare in questi inizi della Messa: l’incenso della preghiera dei fedeli dell’antico e del nuovo Testamento sale al cielo ed arriva fino al Signore, scortata, per così dire, vivificata e come portata dai santi Angeli. La seconda incensazione ha luogo al Vangelo. Il Prete incensa tre volte il libro dei Vangeli prima di cantare il Vangelo del giorno; e dopo averlo cantato, egli riceve a sua volta l’incensazione. Questo incenso di adorazione è offerto non al libro, ma a Colui di cui il libro parla e che parla nel libro; non all’uomo, ma a GESÙ-CRISTO, Sacerdote dei Sacerdoti, di cui il Celebrante prende il posto sull’altare. La terza incensazione ha luogo immediatamente dopo l’offerta del pane e del vino. Essa è simile alla grande incensazione dell’inizio della Messa, ed ha lo stesso significato; solo il Celebrante comincia ad incensare ciò che vi è di più degno, e cioè il pane ed il vino che devono essere cambiati nel Corpo e nel Sangue di GESÙ-CRISTO. Questo incenso esprime le adorazioni degli eletti e dei Santi dell’antica Legge, che in anticipo riconoscevano ed adoravano la Vittima divina della salvezza GESÙ-CRISTO, rappresentata dalle vittime e dai sacrifici tutti materiali della Legge patriarcale e mosaica. Dopo l’incensazione del Prete, ha luogo l’incensazione dei ministri dell’altare, del clero ed infine del popolo fedele; non è affatto agli uomini, lo ripetiamo, che si offre l’incenso sacro; è a Nostro Signore, che è Sacerdote nei Sacerdoti, e Santo nei Santi. Per la sua santa grazia, Egli vive ed abita nelle nostre anime battezzate, che Gli sono intimamente unite, come i rami sono uniti al tronco. È Lui, è GESÙ che la Chiesa incensa nei Sacerdoti e nei fedeli. Per ricevere l’incenso, bisogna alzarsi rispettosamente, e rendere il saluto al chierico che ce lo porta. – Infine, la quarta incensazione si fa al momento dell’Elevazione, e simbolizza la fede viva, le adorazioni profonde di tutto il popolo cristiano in presenza del suo DIO velato nell’Eucaristia. [continua…]

 

Mons. G. DE SEGUR : LA MESSA (1)

Iniziamo la pubblicazione di un prezioso volumetto di mgr. De Ségur che già nel secolo XVIII avvertiva la necessità di educare i fedeli alla Santa Messa, fedeli evidentemente già distratti, abitudinari e non più memori del significato delle azioni e delle preghiere alle quali assistevano senza averne una vera comprensione. Oggi la Messa di sempre, oscurata dalla setta modernista del N.O., rischia la totale cancellazione dalla memoria dei fedeli della “chiesa dell’uomo”, convinti di partecipare ad una funzione che altro non è se non un’offerta al “dio dell’universo”, il baphomet massonico sostituito alla Santissima Trinità dal rito montiniano di ispirazione rosa+croce. Da sottolineare ancora che tale parodia viene officiata da preti mai consacrati, prima perché non tonsurati, poi perché ordinati da falsi vescovi a loro volta mai-consacrati da una formula blasfema che, oltre ad essere teologicamente ridicola, contiene delle gravissime eresie: monofisita, antitrinitaria e anti-filioque. La Messa di sempre, quella fissata da S Pio V, anche se “saltuariamente” ripristinata, è officiata da non-preti modernisti, così come da non-preti viene sacrilegamente officiata da gruppi scismatici sedicenti-tradizionalisti! Con la pubblicazione di questo opuscolo, provvisto di tutti gli imprimatur e i “nihil obstat” del caso, ci ripromettiamo di far conoscere soprattutto alle nuove generazioni la realtà della Santa Messa di rito latino, il vero capolavoro che l’umanità abbia mai prodotto in simbiosi con il “soprannaturale”! Questo tesoro nessuno ce lo potrà mai rubare, perché di natura divina, onde siamo certi che esso sarà ripristinato completamente nelle sue meraviglie angeliche quando questa funesta eclissi sarà passata e la Chiesa Cattolica, l’unica vera Chiesa fondata da Cristo, e l’unica nella quale c’è salvezza, oscurata da un obbrobrioso mostro “conciliare”, ritroverà il suo splendore che irradierà a tutte le genti. Ed allora per non farci cogliere impreparati ed essere pronti nel momento in cui, una volta eliminato l’abominio della desolazione nelle nostre chiese, sarà ripristinato il Sacrificio eterno, studiamoci questa santa, piccola, preziosa opera!

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LA MESSA

[Mgr. G. De Ségur – da: “Le opere” vol. VIII, 1869]

-I-

A chi si rivolge questo opuscolo?

Un po’ a tutti, ma soprattutto a coloro per i quali il catechismo è solo un pallido ricordo. È veramente doloroso, dopo più di diciotto secoli di Cristianesimo, essere obbligati a spiegare ai Cristiano ciò che è la Messa. Ci siamo così ridotti grazie ai progressi dei lumi “del basso” che hanno quasi spento la luce “dall’alto”. A misura che si insegna alle persone ciò di cui essi potrebbero essere perfettamente ignari, essi dimenticano sempre più ciò di cui nessuno quaggiù dovrebbe obliare, sotto pena di diventare malvagio e perverso. Come il demonio si burla di noi, ingannandoci con il suo bel progresso, con la sua famosa scienza, con tutte le grandi parole di ci egli affabula le sue menzogne! In quelli che si è convenuto chiamare “i tempi dell’ignoranza”, tutto sapevano cosa fosse la Messa; oggi anche tra la brava gente, quanti sono coloro che lo sanno un po’ rettamente? Quanti forse, sarebbero capaci di dire come questo padrone calzolaio di Parigi che voleva fa lavorare tutte le mattine dei giorni di festa i suoi poveri apprendisti: “Ah! Ah! Voi sarete liberi di andare alla Messa di sera, invece che a quella del mattino. Tanto è uguale, l’una vale l’altra”. Egli scambiava i Vespri con la Messa. Un altro dello stesso calibro, diceva: “ … che alla Messa di sera, è più bello che alla Messa del mattino, perché vi si vede il sole”. Questo disgraziato credeva che al “saluto” (che egli chiamava la Messa della sera), noi adoriamo l’ostensorio. Ma non sono soltanto le persone senza educazione che non sanno cosa sia la Messa, e che vi parlano seriosamente della “Messa della sera”: un colonnello rispondeva ad un sacerdote che reclamava, a favore dei soldati del reggimento, la prima, la più sacra di tutte le libertà, quella della coscienza: “È vero che passando in rassegna la domenica a mezzogiorno, io impedisco loro di andare al mattino alla Messa; ma essi sono tutti liberi dopo una o due ore, e se vogliono possono assistere alla Messa delle tre”… – Per molte persone, ogni cerimonia religiosa, qualunque essa sia, è la Messa. Credo di aver raccontato altrove ciò che mi riferiva un testimone oculare, in occasione della benedizione solenne data da un Vescovo alla locomotiva che doveva inaugurare un tratto di ferrovia dell’ovest. Due o tre buoni industriali, felici ed entusiasti dicevano tra loro: “questo ci fa molto piacere, è da tanto tempo che non assistiamo ad una Messa”! Questa ignoranza è all’ordine del giorno. Essa è fortunatamente meno grossolana in coloro che vanno ogni tanto in chiesa, ma è sufficiente vedere come si comporta la maggior parte dei cittadini battezzati che assistono alle Messe di matrimonio, alle Messe dei funerali, ed anche alle Messe ordinarie della domenica, per convincersi che essi non comprendano nemmeno una parola di quello che avviene davanti a loro. – Li si vedono là senza religione, senza rispetto, senza preghiera, senza libro; gli uni chiacchieranti, sorridenti, occupati a guardare le donne e le loro toilettes, che non si inchinano neppure all’Elevazione, scambiando evidentemente la chiesa per una succursale del municipio o del caffè; gli altri, con le braccia penzoloni, la bocca aperta, con arie stupite che farebbero ridere se non ispirassero pietà. Io chiedo: è un ritratto di fantasia? Chi non è stato centinaia di volte testimone di queste cose? Infine tra i cristiani praticanti, tra coloro che non hanno dimenticato il sentiero della chiesa, io credo che ci sia un buon numero che non sappiano che in modo confuso ed insufficiente ciò che è la santa Messa, perché e come dobbiamo tutti assistervi, cosa significano le cerimonie che il prete compie sull’altare, e quale prezioso vantaggio si trae dall’assistere alla Messa. È per questo gran numero di cristiani onesti ma poco istruiti, che io cerco di riassumere qui ciò che la Chiesa ci insegna a riguardo del santo Sacrificio della Messa. Forse questo piccolo lavoro potrà essere di qualche utilità ai buoni preti, ai catechisti e ai genitori cristiani che comprendo l’importanza, oggi più grande che mai, di dare ai figli una istruzione religiosa solida, ben ragionata”.

II

Cos’è la Messa.

La parola Messa è la traduzione italiana di una vecchia parola latina, Missa, molto in uso nell’antichità per significare un’assemblea pubblica, una riunione qualunque di inviati, di deputati. Missus vuol dire in effetti “inviato”. Ancora oggi talvolta si chiama “messa”, la riunione giornaliera degli ufficiali di una guarnigione. – Questa locuzione è stata anche, si dice, l’occasione di una avventura singolare ; una dama molto pia e molto ricca concepì l’idea di dare sua figlia in moglie ad un luogotenente dotato di ogni tipo di virtù, ma non aveva un centesimo; ella gli aveva sentito dire pubblicamente, senza alcun rispetto umano, « che egli andava tutti i giorni alla “messa” ». l’affare si concluse; le parti interessate convennero reciprocamente; e quando la buona madre si accorse del quiproquo, era troppo tardi per rompere. Fortunatamente il giovane pretendente, pur non avendo la devozione alla Messa del buon DIO, bensì a quella degli ufficiali,, era in fondo un uomo molto onesto e non aspettava che una buona occasione per diventare un buon cristiano. – La Messa è per eccellenza l’assemblea religiosa dei cristiani, essa li riunisce tutti, le fonde tutti ai piedi dell’altare, ove il Figlio eterno di DIO fatto uomo GESÙ-CRISTO, il Signore, il Re ed il Redentore del mondo, si rende presente, benché velato, sotto le apparenze del pane e del vino. La Messa è il sacrificio incruento di GESÙ-CRISTO, che rende nuovamente presente, tra le mani dei preti, il sacrificio divino, l’immolazione santa che già una volta per tutte, ha salvato il mondo sul Calvario. È per questo che si dice “sacrificio della Messa, o anche semplicemente: il Santo-Sacrificio.

III

La Messa è il medesimo Sacrificio del Calvario.

Il Sacrificio di GESÙ-CRISTO è il grande atto, l’atto essenzialmente religioso, sacerdotale e divino, con il quale il Figlio di DIO fatto uomo si è offerto da Se stesso al suo Padre celeste, come vittima di adorazione, di azione di grazie, di misericordia e di perdono, per il mondo intero. Questo sacrificio, questo atto sacro, fu la vita intera di Nostro Signore, con tutte le sue sofferenze, le sue privazioni, le sue lacrime, le sue preghiere, le sue adorazioni e soprattutto con la sua Passione dolorosa, con la sua sanguinosa immolazione sul Calvario. Questo sacrificio è cominciato nel seno di MARIA, dal primo momento dell’incarnazione del Figlio di DIO; ed è stato consumato sulla Croce; o per meglio dire, è stata consumato e completato solo nel giorno dell’Ascensione quando la Vittima resuscitata e trionfante è entrata per sempre nella gloria dei cieli. L’oblazione, l’immolazione di GESÙ-CRISTO è resa interamente presente sui nostri altari, ogni volta che il prete celebra la Messa. Che cos’è, in effetti, il sacrificio di GESÙ-CRISTO, se non GESÙ-CRISTO stesso che si sacrifica, si offre a DIO, suo Padre, come Vittima di adorazione, di azioni di grazie, di preghiera ed espiazione, come noi stiamo per dire? Ora alla Messa, GESÙ-CRISTO si rende realmente e personalmente presente sull’altare sotto i veli sacramentali del pane e del vino, la Messa è evidentemente il sacrificio di GESÙ-CRISTO, reso nuovamente presente a tutte le generazioni cristiane attraverso tutti i secoli e fino alla fine del mondo. È per ricordare incessantemente questa grande verità al Prete ed agli Assistenti, che la Chiesa pone un crocifisso sull’altare ove si celebra la Messa, e vieta assolutamente che la Messa sia celebrata senza questa immagine di GESÙ crocifisso. – Così il santo Concilio di Trento ha dichiarato contro i protestanti che « la Messa è realmente e veramente un sacrificio ». La sola differenza che passa tra il Sacrificio del Calvario e quello dei nostri altari, è che il primo è stato offerto in forma cruenta, mentre il secondo si offre sotto una forma incruenta e mistica, cioè misteriosa , al di sopra della ragione e dei sensi. La Messa è dunque veramente un sacrificio, lo stesso Sacrificio del Calvario.

IV

La differenza tra il Santo Sacrificio e il Santo Sacramento

Il Sacrificio della Messa non è la stessa cosa del Santo-Sacramento; il Sacramento è al santo Sacrificio ciò che il frutto è all’albero. Non c’è frutto senza albero, ma quando il frutto è prodotto e raccolto, esiste perfettamente esso solo, indipendentemente dall’albero che lo ha prodotto. Così è la Messa in rapporto al Santo-Sacramento. La Messa, il sacrificio dell’Eucaristia, è un atto della Chiesa; mentre il sacramento dell’Eucaristia, frutto di questo sacrificio, frutto di questo atto è, nelle mani della Chiesa, come i frutti che noi disponiamo presso i nostri fruttivendoli, al fine di nutrircene nella misura dei nostri bisogni. Ciò che fa che il Santo Sacramento non sia il sacrificio di GESÙ-CRISTO, benché contenga realmente e personalmente la Vittima divina della mangiatoia e del Calvario, è che, poiché per essenza il sacrificio è un atto, esso è un atto transitorio, come è stato già il sacrificio cruento del Salvatore, come i germogli dei frutti sull’albero. La Messa al contrario è il Sacrificio di GESÙ-CRISTO, perché essa è l’atto che produce e che rende presente sulla terra GESÙ-CRISTO, con tutti i misteri della sua santa vita, e specialmente con la sua immolazione al Calvario. Il Santo Sacramento, che è il Pane della vita ed il nutrimento spirituale dei Cristiani, può compararsi al pane materiale di cui si nutre il nostro corpo: per l’uno come per l’altro, c’è un atto, un lavoro che produce il pane; e poi c’è il pane, frutto di questo lavoro. Per il pane materiale, c’è il lavoro del fornaio, che impasta la farina, le dà la sua forma e con la cottura ne fa il pane che noi mangiamo: per il Pane spirituale c’è il lavoro, l’atto del Prete che offre, che benedice, poi che consacra sull’altare il pane ed il vino in Corpo e Sangue di GESÙ-CRISTO, producendo così il Santo Sacramento che è nutrimento delle nostre anime mediante la comunione. Questo sacro lavoro del Prete è precisamente il sacrificio dell’Eucaristia, il sacrificio della Messa. È l’atto più grande, più divino che la Chiesa faccia quaggiù; così come il Santo Sacramento è ciò che vi è di più divino, di più grande, di più celeste nella Chiesa.

V

In cosa consiste specialmente il Sacrificio nella Messa

In questo atto che la Chiesa chiama “Consacrazione”, in questo solo atto. La consacrazione è come il cuore, come il punto centrale della Messa. Tutto ciò che precede la consacrazione non è che la preparazione a questo atto adorabile e divino; tutto ciò che segue ne è il complemento e l’azione di grazie. La consacrazione è l’atto per mezzo del quale il Prete consacra il pane ed il vino nel Corpo e Sangue di Nostro Signore GESÙ-CRISTO, cambiando, per effetto dell’onnipotenza divina, la sostanza del pane nella sostanza del Corpo vivente e glorificato di Nostro Signore, e la sostanza del vino nella sostanza egualmente vivente, divina, adorabile, del Sangue dello stesso Signore. E così, dopo la consacrazione sull’altare non c’è più né pane né vino, ma unicamente e realmente il Corpo ed il Sangue di GESÙ-CRISTO: c’è GESÙ-CRISTO tutto intero, GESÙ-CRISTO vivente e celeste, velato ai nostri sguardi sotto le specie o apparenze del pane e del vino: queste sono delle semplici apparenze, destinate a nascondere il Re del cielo ai nostri sguardi terrestri, incapaci di sostenere quaggiù lo splendore della sua Maestà. La consacrazione è così l’atto con il quale GESÙ, Vittima di salvezza, si rende presente sulla terra in mezzo alla sua Chiesa militante; e tutte le volte che il Prete consacra, egli offre di nuovo questa divina Vittima per la gloria di Dio, e per la salvezza del mondo. – Dunque è nell’atto della consacrazione e solo in questo atto che consiste il sacrificio; e tutto questo insieme di cerimonie sacre, che si chiama Messa, sarebbe, senza la consacrazione, come un corpo senza anima.

VI

Il sacrificio della Messa ci rappresenta tutti i misteri dolorosi e gaudiosi di GESÙ-CRISTO

Non c’è che un solo Signore GESÙ: il GESÙ del cielo è il neonato che piangeva e soffriva il freddo nella greppia di Bethlem, tra le braccia di Maria e di Giuseppe; è il GESÙ bambino di Nazareth; è il GESÙ del Vangelo, con tutti i suoi miracoli, le sue fatiche, le sue divine virtù, le sue pene, le sue lacrime; è il GESÙ del Cenacolo, dell’Agonia, della Flagellazione, del Pretorio, del Calvario; il GESÙ del Sepolcro e della Resurrezione, il GESÙ degli uomini e degli Angeli. Ora, nella Messa, questo Signore adorabile, apparendo in persona in mezzo a noi, sotto il velo del Santo-Sacramento, si trova là, davanti a noi, con tutti i suoi misteri riuniti, e con ciascuno di essi in particolare. È assolutamente vero il dire, ad esempio, nel giorno di Natale, alla Messa di mezzanotte: “Ecco il Santo Bambino-GESÙ, il Dio della mangiatoia. Io adoro qui, nell’Eucarestiam lo stesso Bambino- Dio che adoravano già a Bethlem, in forma umana, Maria e Giuseppe, i pastori ed i magi”. In quaresima alla Messa, noi possiamo ugualmente dire, in tutta verità: “Ecco, sull’altare, il Penitente universale del mondo, il buono e misericordioso GESÙ che, per amore nostro, ha voluto digiunare quaranta giorni nel deserto, umiliarsi ed espiare i nostri peccati con la sua penitenza”. Ogni qualvolta che alla Messa leggiamo il Vangelo, noi possiamo dire: “Ecco sull’altare, Colui che ha detto tutte queste sante parole, che ha fatto tutti questi bei miracoli, che ha perdonato a questi poveri peccatori, alla Maddalena, a Zaccheo, alla donna adultera; ecco GESÙ dei bambini e dei poveri; il GESÙ di Lazzaro del cieco nato, della vedova di Naim. Oh! Quanto è buono essere vicino a Lui!”. Il Giovedì-Santo l’Ostia della Messa, il GESÙ dell’altare, è il GESÙ del Cenacolo, che è là, davanti a noi e per noi, come era già nel Cenacolo davanti ai suoi Apostoli e per essi. Egli si da a noi, come si è dato ad essi; Egli ci dice ciò che diceva ad essi; Egli ci ama come amava loro. L’Atto divino della consacrazione lo rende di nuovo presente con i misteri del Cenacolo. È lo stesso per la Crocifissione e la morte del nostro Redentore. Ogni giorno, a Messa, nel momento in cui il Prete eleva la santa Ostia ed il Calice consacrato, ciascuno di noi può dirsi: “Qui io adoro il GESÙ della Passione, Colui che per me, per causa mia, miserabile peccatore, ha sudato sangue nella grotta dell’Agonia, è stato tradito da Giuda, è stato coperto di sputi ed oltraggi, è stato sballottato, rinnegato, condannato a morte! Questa Ostia è il mio Salvatore flagellato, coronato di spine, caricato della Croce con tutti i miei peccati, con tutti i peccati del mondo; è il GESÙ crocifisso, sospeso alla Croce sanguinante, spirante, morto! Io sono là, davanti al suo altare, come S. Giovanni, come Maddalena erano davanti all’altare insanguinato della Croce. Io non Lo vedo con gli occhi del corpo, ma l’infallibile fede me lo rivela; io so che Egli è là, che è Lui, Lui stesso; io so che Egli mi guarda, che Egli mi ama, e che Egli mi benedice”! e così di seguito, di tutti i misteri della Vittima divina: della sua Resurrezione e della sua Ascensione, dei suoi trionfi e della sua gloria celeste. Sull’Altare, tra le mani consacrate dei suoi Preti, Egli si rappresenta a noi con tutto ciò che ha, soprattutto con il suo dolce amore, con il suo sacro Cuore squarciato, che Egli ci mostra dicendoci: “Venite a me, voi tutti affaticati ed oppressi, ed Io vi ristorerò”. Nei giorni dell’Incarnazione e della Resurrezione, il Figlio di DIO, con il suo Sacrificio cruento, ha fatto scendere, nella sua Persona, il cielo sulla terra, per portarci la vita e la felicità del cielo. Ogni giono, alla Messa, nell’Eucaristia e mediante il suo Sacrificio incruento, GESÙ rinnova o piuttosto perpetua questo ineffabile beneficio, di cui gli Angeli stessi non possono concepire la grandezza. È dunque vero il dire che il Sacrificio della Messa, donandoci GESÙ, ci rende presenti tutti i Misteri della sua vita, della sua Passione e della sua morte. Adorando GESÙ-CRISTO e soprattutto recevendoLo nella Comunione, noi prendiamo parte alla grazia che scorre da ciascuno dei Misteri: come gli uccellini prendono la loro parte dalle acque rinfrescanti, tutte le volte che essi vi si avvicinano, che vi si bagnano e affondano in esse il loro becco.

VII

La Messa è il centro di tutto il culto di Dio.

La Messa è il centro di tutto il culto di DIO, perché essa è il Sacrificio di GESÙ-CRISTO, perché essa dà veramente e realmente GESÙ-CRISTO alla terra, e perché GESÙ-CRISTO è Lui stesso il Capo ed il centro della vera religione. Il buon Dio ha creato il cielo e la terra in vista del Figlio suo unico GESÙ-CRISTO, che nel mezzo dei tempi, doveva incarnarsi, vale a dire farsi uomo, unendo un’anima ed un corpo alla sua Persona divina, eterna, onnipotente. La religione, le sola e vera religione, è il culto di adorazione e di preghiera che GESÙ, l’Uomo-DIO, rende alla Maestà divina, prima nel suo nome, poi a nome di tutte le creature. Tra le creature ce ne sono di quelli che credono in GESÙ-CRISTO, che sperano in Lui, che Lo amano, che Lo servono, e che si uniscono a Lui: sono essi solo che possiedono e praticano la vera religione, e sono essi che rendono a DIO, con GESÙ-CRISTO e per GESÙ-CRISTO, il culto puro e santo che DIO attende dalle sue creature. Gli altri sono fuori dalla vera religione e di conseguenza fuori dal vero culto divino. La Chiesa è incaricata da GESÙ-CRISTO di predicare a tutti gli uomini la vera Religione, di farla praticare e di far rendere al buon DIO il vero culto; ora è principalmente alla Messa e per mezzo della Messa che la Chiesa rende a DIO questo culto perfetto, unendoci a GESÙ-CRISTO per adorare e pregare DIO, per renderGli grazie dei suoi benefici e per implorare le sue misericordie. La santa Messa riassume tutte le adorazioni e tutti gli omaggi religiosi che GESÙ, l’Uomo-DIO, ha reso a DIO suo Padre durante la vita mortale, e che Egli rende eternamente nei cieli. A questa religione di GESÙ, a questo Sacrificio veramente divino, a questo culto perfetto si uniscono, nel cielo, la Santissima Vergine, tutti i Serafini, tutti i Cherubini, tutti gli Arcangeli, tutti gli Angeli, tutti i Santi; nel Purgatorio le anime sante che sperano, che amano ed espiano; sulla terra tutti i veri figli di DIO e della Chiesa, tutti i veri cristiani, tutti coloro che non dimenticano di essere creati per conoscere, servire ed amare il buon DIO, e con questo mezzo arrivare alla vita eterna. GESÙ-CRISTO, il Re del cielo, la Vittima del Calvario, l’Ostia dell’altare, è la sorgente di tutta la religione degli Angeli e degli uomini; Egli è alla religione ed al culto divino, ciò che è il sole ai raggi di luce, ciò che è, nel nostro corpo, il cuore che spande il sangue e la vita in tette le membra. Dunque, la Messa è veramente il centro di tutto il culto divino e della sola vera Religione.

VIII

Chi ha istituito la Messa

 È quasi inutile dirlo: è Nostro-Signore GESÙ-CRISTO stesso. Solo Lui in effetti, poteva istituire, nella sua Chiesa, un Sacrificio che sotto la forma del pane e del vino, contenesse realmente il suo Corpo ed il suo Sangue, e rendesse presente a tutta la terra la sua Persona adorabile ed il Sacrificio cruento che Egli consumò per noi sulla Croce. È nel Cenacolo, il Giovedì-Santo, immediatamente prima della sua Passione, che il divino Redentore instituì solennemente il Sacrificio ed il Sacramento dell’Eucaristia. Ognuno sa come Egli prese del pane senza lievito (come facciamo ancora sull’altare), lo benedisse e lo consacrò nel proprio Corpo, con queste divine parole: “Prendetene e mangiatene tutti, perché questo è il mio Corpo”. Poi quando gli Apostoli ebbero tutti comunicati sotto la specie del pane, il Signore prese un calice, cioè una coppa, la riempì di vino, la benedisse e la consacrò nel suo vero Sangue, dicendo. “Prendete e bevetene tutti, perché è il calice del mio Sangue della nuova ed eterna Alleanza”. E dopo che gli Apostoli ebbero comunicato sotto la specie del vino, GESÙ diede loro il potere ed il comandamento di fare essi stessi ciò che stava facendo davanti a loro, cioè di consacrare il pane ed il vino nel suo Corpo e nel suo Sangue adorabile, e di celebrare così, nel suo nome sulla terra, quando Egli sarebbe tornato in cielo, il Santissimo Mistero dell’Eucaristia, “E voi, disse loro, tutte le volte che farete queste cose, le farete in memoria di me”; voi lo farete in ricordo di tutti i miei misteri che Io riassumo, raccolgo, per così dire in questo mistero dei misteri. Voi lo farete in memoria del mio amore per voi, ed è là soprattutto che riceverete incessantemente nei vostri cuori e nei cuori di tutti i vostri fratelli, l’amore che voi dovete a me, vostro amico celeste, vostro fratello divino, vostro Dio-Salvatore, vostra vittima e vostra salvezza. GESÙ-CRISTO è così il primo che abbia offerto il santo Sacrificio della Messa, il sacrificio di salvezza, sotto forma incruenta e permanente, nel momento stesso in cui si apprestava ad offrire questo stesso Sacrificio in modo cruento e transitorio.

IX

Non è facile provare che sono stati i curati ad inventare la Messa

 Un buon curato, che io conosco che è intelligente ed istruito, zelante nell’esercizio del suo santo ministero, stava da qualche mese lottando in maniera molto penosa contro le predicazioni di un pastore protestante, più o meno evangelico, che si era venuto a stabilire nella sua parrocchia. Questo uomo distribuisce a piene mani il denaro delle Società bibliche e attirava così, attorno a sé un certo numero di “anime pure”. Il sindaco e l’aggiunto, l’uno oste, l’altro speziale, entrambi assidui lettori del “Secolo” e di conseguenza “illuminati”, trovavano i ragionamenti del ministro “di stringenti verità”, e ne facevano dappertutto gli elogi. Sfortunatamente per lui, al nuovo apostolo, uscendo un giorno dalle generalità, sfuggì il dire che la Messa non era altro che “un’invenzione dei curati”, e che la domenica seguente, egli avrebbe affrontato la questione a fondo, provando come la cosa sia chiara come due e due fan quattro, dicendo il nome dell’inventore della Messa. Questa gran novità fece il giro della parrocchia, e la sera stessa il curato ne fu informato. L’occasione era troppo ghiotta; egli non voleva lasciarsela sfuggire, e pertanto scrisse al ministro protestante per chiedergli una pubblica conferenza, nel giorno e nell’ora a lui più gradita, alla quale egli convenisse, davanti a dodici testimoni, scelti tra i notabili del distretto; lo invitava così a tener fede alla sua promessa e di citare il nome dell’inventore della Messa, aggiungendo che se la cosa era ben debitamente provata, egli si impegnava sull’onore, a versare seduta stante, cento franchi nuovi di zecca. Fece quindi consegnare nelle sue mani la sfida, davanti a due testimoni; poi ebbe cura di far circolare immediatamente in tutto il paese una copia del documento. Tutto il borgo era in fermento, si parteggiava per l’uno o per l’altro. L’oste e lo speziale non manifestavano alcun dubbio sull’esito della faccenda: evidentemente il curato sarebbe stato battuto. L’indomani entrambi andarono a trovare il ministro, per sapere il suo giorno e l’ora. Rimasero molto stupiti di vedere come questa conferenza lo irritasse. Cercò vanamente di eluderla, ma alla fine fissò il giorno. Ci si riunì presso il sindaco, un certo giovedì, alle due. Il curato giunse per primo con i suoi sei testimoni, in testa ai quali c’era il sindaco ed il suo aggiunto. Il ministro era pallido. Quando fu tutto pronto, il curato prese la parola: « Signore, dice al ministro, domenica scorsa voi avete detto, si o no ? …, che la Messa era un’invenzione dei preti!- Si, signore, e lo ripeto. – Voi avete promesso di farci conoscere l’inventore della Messa e che avreste provato la cosa così chiaramente che nessuno avrebbe avuto nulla da obiettare? – si, signore, replicò l’altro, con tono un po’meno fermo. – Ebbene, io, signore, riprese il curato, forte della verità che possiedo e che conosco, io vi ho sfidato, e vi sfido ancora davanti a questi signori, nel provare ciò che avete osare proferire, di provare quel che non è. E mostrando con le dita la banconota: « questi cento franchi sono vostri, aggiunse, se riuscirete a convincerci. Parlate, noi vi ascoltiamo ». tra un profondo silenzio, il ministro prese la parola. Cominciò a scagliarsi, prima freddamente, poi impietosamente, contro le superstizioni clericali, contro l’intolleranza della Chiesa cattolica. Il curato lasciò per un po’ di tempo che scaricasse il suo cuore evangelico; ma nondimeno non si vedeva come la cosa si definisse. Signore, gli disse allora interrompendolo dolcemente, la questione posta non è questa, mi rivolgo a questi signori. Il problema è sapere chi ha inventato la Messa, in quale secolo ed in quale paese vivesse l’inventore. – ecco, ci sto arrivando, replicò vivamente il ministro un po’ piccato. » E si mise a parlare con veemenza contro la presenza reale, contro la preghiera per i morti, contro il culto della Santa Vergine, contro … « Ma signore, disse di nuovo il curato, non è questo che noi vogliamo sapere qui. Voi dovete dirci, chi ha inventato la Messa, e dopo averlo detto, voi dovete provarlo chiaro come il giorno. Sono già tre quarti d’ora che vi ascoltiamo e voi non avete nemmeno sfiorato la questione. Signori, non siete anche voi dello stesso avviso? » aggiunse rivolto ai dodici testimoni. Di buon o mal grado, tutti furono obbligati a convenirne. Il bravo pastore era visibilmente contrariato. Si piegò e volle aprire dei grossi libri che aveva portato; « Scusatemi, signore, gli disse tranquillamente il curato, è il nome dell’inventore della Messa che cercate la dentro? Se non c’è, non vale la pena aprire i vostri libri. Noi vogliamo un dato positivo. Diteci chi è il Papa, o vescovo, o il curato che ha inventato la Messa, dove e quando? Se voi non ce lo dite, io dichiaro apertamente qui, e domenica prossima lo dichiarerò pubblicamente dall’alto del pulpito, che voi non siete che un impostore, che il vostro insegnamento non è altro che inganno e menzogna, e che un uomo onesto non può essere uno dei vostri ». il sindaco stesso ed il suo vice, poi tutti gli altri si misero dalla sua parte e dissero al ministro, l’uno, che bisognava mantenere la parola; l’altro che evidentemente non aveva ancora provato nulla, e che l’osservazione del curato era giusta; un terzo gli domandò se per caso non si fosse burlato di loro. « Il nome dell’inventore! Il nome dell’inventore! » gli gridavano tutti. La posizione diveniva impossibile. Lo sfortunato predicatore si alzò, lamentandosi che lo si insultava, che in tali condizioni non poteva continuare la conferenza. Egli disse che i preti erano degli ipocriti, che egli non credeva ad una parola di quel che essi insegnavano; e raccogliendo i suoi libri, prese la via della porta. Fu accompagnato dai fischi di tutto l’uditorio, ivi compreso l’oste e lo speziale, ed il buon curato, rimettendo i cento franchi nel suo borsello, profittò della circostanza per mostrare a tutti i danni che si producevano nell’accordare la fiducia al primo venuto, soprattutto in materia di religione. In un batter d’occhio l’esito della conferenza fu noto in tutta la parrocchia, e la sera, alcuni burloni andarono a fare un po’ di baccano sotto le finestre del sapiente ministro. Ma non fu tutto. Durante la notte si fece sapere al signor curato, che il bravo ministro stava preparando i suoi bagagli, e che parte dei suoi mobili erano giò caricati. Un abitante scherzoso del luogo, non volle che questo degno uomo se ne andasse senza trombe e grancasse: si arrampicò sul campanile e si mise a suonare la campana con tutte le sue forze. Ben presto tutti furono in piedi, il curato e gli altri. Ci si informò e si vide la vettura del traslocante. E chi era mai? Il ministro che si dava a gambe con sua moglie e il suo santo vangelo, con la sua paccottiglia di bibbie e del figli. Per illuminargli il cammino, si accesero le torce e lo si accompagnò Solo i preti hanno il potere di dire la Messa, come i magistrati solo hanno il potere di esercitare la giustizia. Il potere di giudicare viene ai magistrati non dal loro talento o dalla loro scienza, o anche dalla loro virtù, ma unicamente dalla loro designazione a giudice dall’autorità sovrana. Allo stesso modo, il potere di dire Messa viene ai preti, come il loro sacerdozio da qualcosa di ben più solenne ancora di una semplice nomina, dall’ordinazione, cioè dalla consacrazione sacerdotale che conferisce loro la Chiesa per mezzo delle mani del Vescovo. Questa ordinazione o consacrazione è un Sacramento istituito da Nostro Signore GESÙ-CRISTO e conferito da Lui stesso ai suoi dodici Apostoli, nel Cenacolo, dopo l’istituzione dell’Eucarestia. GESÙ-CRISTO è il sacerdote eterno, ed è come Sacerdote che ha voluto celebrare il Santo Sacrificio nel Cenacolo; Egli era là nello stesso tempo Sacerdote e Vittima del Sacrificio. Egli comunicò in seguito il suo sacerdozio e di conseguenza il potere di consacrare l’Eucaristia, di offrire il Santo Sacrificio. A San Pietro ed agli altri Apostoli, che furono così i primi sacerdoti della Chiesa Cattolica Gesù in più li fece Vescovi, e diede loro il potere di consacrare a loro volta o, come si dice, di ordinare i preti. Egli diede loro una potenza più grande ancora facendoli Apostoli, e dando loro come tali il potere di costituire, ovunque volessero, i Vescovi e le Chiese. Da questo tempo, fino ai nostri giorni, i Vescovi cattolici ordinano ogni anno un certo numero di preti per il servizio della Chiesa e per la santificazione del popolo cristiano; essi conferiscono loro il Sacramento dell’ordine e non altrimenti, il potere divino di celebrare la Messa. Questo potere è affatto indipendente dalle qualità e dalle virtù di coloro che lo ricevono. Il più gran sapiente, il più gran santo del mondo, se non ha ricevuto il sacramento dell’ordine, non può dire la Messa, così come non può validamente amministrare la giustizia. E al contrario, dal momento che un uomo è ordinato prete, ha il potere di consacrare sull’altare il Corpo ed il Sangue del Salvatore, anche se non avesse Scienza, spirito e virtù. Alla Messa l’uomo sparisce dinanzi al prete. I poveri pastori protestanti immaginano che essi, come i preti, siano ministri di GESÙ-CRISTO; ce ne sono alcuni che lo credono in buona fede. Io ne ho conosciuto uno che era al proposito nella miglior fede del mondo. Egli era venuto a trovarmi per discutere di religione con me; perché, egli diceva, io vorrei provare prima di morire la solidità delle mie convinzioni religiose. Da venti anni io sono ministro del santo Vangelo … – Ministro del santo Vangelo? Gli domando; e voi lo credete realmente? – ma certamente! Rimase un po’ sorpreso. – E chi vi ha fatto ministro del santo Vangelo?- Eh! Ma l’imposizione delle mani. – delle mani di chi? – Dalle mani degli anziani. – quali anziani? – gli anziani del nostro concistoro. – E chi ha dato agli anziani del vostro concistoro il potere di imporre le mani ad un uomo e di farne un ministro di GESÙ-CRISTO? – Sono gli anziani prima di loro che hanno loro imposto le mani e li hanno fatti ministri. – E agli anziani degli anziani chi ha dato il potere divino per far questo? Questo risale da concistoro a concistoro, da ministro a ministro. – e fin dove? – Eh! Fino a Lutero. – Ma Lutero aveva questo potere? Chi glielo aveva dato? – Egli era prete, mi dice in modo infantile, questo povero uomo. – prete cattolico, si: ministro della Chiesa cattolica, si. Ma supponendo che egli abbia potuto trasmettere i suoi poteri, voi siete dunque ministro della Chiesa cattolica? Voi siete questo, oppure non siete niente. « Caro signore, ma Lutero non vi ha potuto dare né i suoi poteri, né il suo carattere sacerdotale, né la missione divina che aveva ricevuto dalla Chiesa. I preti non hanno il potere di imporre le mani e di fare dei preti; questi sono i Vescovi, e solo i Vescovi che hanno ricevuto da Nostro Signore GESÙ-CRISTO, nella persona degli Apostoli, questa potenza e questa fecondità divina. Al di fuori dal Sacramento dell’ordine, che danno i Vescovi, e che voi non avete ricevuto, vero? … non ci sono preti, non c’è ministro di GESÙ-CRISTO, non ci sono ministri del santo Vangelo, pastori di anime. Gli anziani non hanno potuto darvi ciò che essi non avevano; e quando anche tutti i ministri del mondo, Lutero e Calvino in testa, vi imponessero le mani ed anche i piedi per ventiquattro ore di seguito, senza bere né mangiare, voi non sareste avanzato di un palmo rispetto a prima. Se il mio portiere vi imponesse le mani, questo farebbe di voi un ministri di DIO? Tutte le mani di tutti i vostri anziani non hanno più potenza in questo, che le mani del primo venuto. Mio caro signore, lo salutai tendendogli la mano, sapete voi cosa siete? Un bravo uomo e nulla più. » Egli in effetti lo era, io ho avuto con lui diverse cordiali conversazioni; oi lo misi in contatto con cattolici eminenti per sapienza e pietà; il risultato di tutto ciò fu la completa disillusione del buon uomo, ma la sua risoluzione di tornare nel seno della Chiesa cattolica con i suoi due figli fa frenata dal subire ogni tipo di minacce e di persecuzioni nelle Cevennes, ove tornò, da parte degli otto ministri, suoi confratelli, cugini e vicini; la moglie quasi gli strappava gli occhi e giunse perfino a sottrargli i due figli più giovani, ed il povero perseguitato non poté che realizzare la sua conversione se non sul letto di morte, nel 1859. Io lo ripeto, solo il prete legittimamente ordinato dal vescovo, è ministro di GESÙ-CRISTO, ed in questa qualità ha il potere di celebrare il santo sacrificio della Messa. I cattivi preti, i preti scomunicati o interdetti dai loro vescovi, conservano il potere di dire la Messa, consacrano realmente l’Eucaristia, ma commettono un peccato mortale ed un orribile sacrilegio.

XI

Le diverse forme che riveste la celebrazione del Santo-Sacrificio della Messa

 La Chiesa non ha che un solo Sacrificio, così come essa non ha che una sola fede, una religione, un DIO solo. Ma questo Sacrificio unico si celebra sotto diverse forme, alfine di rendere più sensibile a tutti lo scopo speciale per il quale esso viene offerto. Questa diversità di forme non altera l’unità del sacrificio; non più che il cambio di costume non toglie nulla all’unità della sua persona. Che un re rivesa l’uniforme militare per comandare la sua armata, che egli prenda la corona, lo scettro ed il mantello per presiedere una grande assemblea pubblica, che egli vestito come tutti all’interno del suo palazzo, in fondo è sempre lo stesso uomo.: è il Re. Così è la Messa; che sia detta a voce bassa, o cantata; che sia solenne o meno; che il prete indossi paramenti bianchi o rossi, violetti o neri, è sempre la Messa, lo stesso ed unico Sacrificio di GESÙ-CRISTO. Innanzitutto c’è la Messa bassa e la grande Messa. La Messa bassa è quella in cui il prete non fa che leggere e recitare le preghiere, la Grande Messa è quella in cui una parte delle preghiere sono cantate con più o mano solennità, sia dal solo prete, che dai cantori o dal popolo. Ordinariamente alla Grande Messa, il Prete è assistito da un Diacono e da un Sotto-Diacono, che cantano l’uno il Vangelo, l’altro l’Epistola; alla Messa bassa al contrario, il Prete è solo all’altare ela Messa non è servita che da un fedele, chierico o laico, uomo o ragazzo. La Messa, sia bassa che cantata, si celebra con i paramenti di colore bianco in tutte le feste di Nostro Signore, salvo quella della Passione; alle feste del Santo-Sacramento; a tutte le feste della Santa-Vergine, senza eccezioni; ad Ognissanti, ed in tutte le feste dei Santi e delle Sante che non sono martiri; infine in tutto il Tempo pasquale, a meno che non sopravvenga una festa di un martire. Ci si serve dei paramenti rossi alle Messe della Pentecoste e dello Spirito-Santo, e alle feste dei Martiti; dei paramenti violetto durante tutto l’Avvento, dalla domenica di Settuagesima fino al termine della Quaresima e tutti i giorni di digiuno, a meno che non si celebri una festa in bianco o in rosso. Ci si serve di paramenti verdi tutte le domeniche e tutti i giorni in cui non vi sia una festa speciale, dall’Epifania alla Settuagesima, e dopo la Pentecoste fino all’Avvento. Infine il Prete si riveste di paramenti neri il Venerdì Santo e in tutte le Messe per un morto e nei funerali. Il bianco è il colore della gioia, dell’innocenza, del trionfo e della gloria; è dunque il colore del Bambino Gesù, della Resurrezione e del cielo; è il colore del Santo-Sacramento, della Vergine e dei Santi. Il rosso è il colore del fuoco e del sangue, del fervore dell’amore e dell’ardore del martirio. Il violetto è il colore della penitenza, in verde quello della speranza; il nero quello della morte e della tomba. Con questa diversità, la Chiesa aiuta il popolo fedele ad entrare più facilmente nello spirito dei misteri e delle feste in onore delle quali si celebra la santa Messa.

XII

Ciò che un ministro protestante è capace di dedurre da tutto questo!

 Uno dei più illustri, gloriosamente di nome Napoléon Roussel, aveva osservato con il colpo d’occhio di Aquila, queste diverse forme sotto le quali si presenta la celebrazione della Messa cattolica. Egli non aveva esitato un istante;  egli aveva visto, proclamato a tutti che da noi la Messa si dice ora in bianco, ora in rosso, ora in nero. Non si poteva negare, egli lo aveva visto con i propri occhi, con i suoi occhi di ministro; ed egli aveva visto pure ben altre cose! Da tutto quanto aveva visto, questo Napoléon concludeva: dunque la Messa cattolica non è lo stesso di quanto aveva fatto GESÙ-CRISTO al cenacolo, “vedete bene, egli diceva gravemente: « al Cenacolo  GESÙ-CRISTO fa la Cena, ed aveva dodici Apostoli con Lui, alla Messa cattolica il prete è solo con un servente (io non invento, queste non sono le parole testuali, e non ho il libro del ministro sotto mano, ma garantisco l’esattezza rigorosa del senso). Al Cenacolo, il Cristo fa la cena con i suoi abiti ordinari; alla Messa, il Prete è rivestito da paramenti straordinari, al Cenacolo, il Cristo si serve della lingua volgare, alla Messa il Prete parla una lingua sconosciuta /al sapiente pastore). Al Cenacolo il Cristo fa una sola cena: i Preti cattolici hanno una quantità di Messe; la Messa bianca, la Messa rossa, la Messa nera, la Messa bassa, la Messa cantata. Al cenacolo il Cristo aveva lunghi capelli da nazareno, fluenti sulle spalle; i Preti cattolici hanno i capelli corti, ed anche una parte della testa rasata a tondo. E noi potremmo, aggiungeva Napoléon con fare serio, noi potremmo spingere ben più in là questo paragone decisivo. » Che ne dite, lettore? È possibile, io vi domando, spingere fino a questo punto l’inizio del ragionamento? Si possono prendere, come differenze reali, delle circostanze accidentali assai insignificanti, fuor di questione? A questo riguardo quindi, per essere ortodossi, bisognerebbe parlare la lingua siro-caldea che parlava Nostro Signore, avere i capelli del suo stesso taglio e colore, essere della stessa taglia, essere vestito come ai suoi tempi a Gerusalemme, non dire la Messa se non nel cenacolo, sul monte Sion, ed avere sempre a disposizione i dodici Apostoli, Giuda compreso. Ecco fin dove può giungere l’ignoranza, l’aberrazione dei nemici della fede. Di cose così semplici, si fanno dei mostri; essi non comprendono nulla delle istituzioni della Chiesa, e senza batter ciglio, attaccano i nostri santi misteri con argomenti impossibili. Qual differenza gran DIO!, tra la saggezza sì ragionevole, sì profonda e dolce della Chiesa, e le stupidaggini di coloro che blasfemano la sua dottrina!

XIII

Quanto sante e venerabili sono le cerimonie della Messa

Più una cosa, più una persona è grande, e più è naturale circondarla di rispetto e di onori. Quando un Sovrano onora della sua visita una città o un castello, si mette in opera tutto per offrire al re un’accoglienza degna di lui; non c’è niente di troppo bello, non si risparmia nulla. Ci si può allora meravigliare che i santi Apostoli ed i primi Sovrani-Pontefici regolando il culto divino abbiano circondato di cerimonie tanto auguste questa divina visita che il Re del cielo si degna di fare ogni giorno alla terra, per mezzo della Consacrazione Eucaristica? Le cerimonie che precedono la Consacrazione, sono come la preparazione del Prete e del fedele all’arrivo del grande Re GESÙ. Quando appare questo Re celeste, tutti si prosternano ed adorano in silenzio. Le altre cerimonie, quelle che seguono la Consacrazione e concludono la Messa, preparano il Prete ed i cristiani a ricevere, con le Comunione, l’adorabile Visitatore, ed a ringraziarLo del suo amore misericordioso. È molto importante comprendere, almeno grossolanamente, il senso delle cerimonie della Messa; altrimenti, ci si espone ad assistere agli Uffici divini come una bestia curiosa, e sse si viene a parlarne, si dicono delle enormità, che sono in fondo delle vere blasfemie. – all’inizio della spedizione in Crimea, il cappellano del vascello-ammiraglio, si presentò un sabato sera nella cabina dell’ammiraglio per prendere i suoi ordini circa la Messa militare dell’indomani. L’ammiraglio era circondato da tutto il suo stato maggiore e fumava, in compagnia di un alto personaggio, celebre più per il cinismo della sua empietà che per le sue imprese militari. Il cappellano era un bravo uomo, tutto tondo e franco. « Ammiraglio, egli dice, io non so se domani potremo avere la Messa a bordo: è tutto ingombrato ». L’ammiraglio esitava, quando l’alto personaggio prese bruscamente la parola. « Io non comprendo la Messa, dice con un insolente disdegno. La predica protestante, alla buon’ora! Ma la vostra Messa non è che un cumulo di confusione: non si capisce nulla! Il prete va a destra, va a sinistra, gesticola: costui non ha il senso comune! » Un momento di silenzio accoglie questo sfogo impertinente. Il cappellano, senza lasciarsi intimidire, guarda il suo interlocutore nel bianco degli occhi, e gli dice tranquillamente: « signore, quando si giunge così in alto come voi, non è per dire sciocchezze. » E dopo aver salutato l’ammiraglio, andò a preparare tutto. Sembrava che tutti gli ufficiali ridessero sotto i baffi, e non certamente per il cappellano. È dunque molto utile comprendere quel che significano le cerimonie della Messa. Il Concilio di Trento ci dichiara che, tra le cose sante, nulla è sacro come « queste benedizioni piene di misteri, che gli Apostoli stessi hanno istituito e lasciato alla Chiesa. » Queste cerimonie, queste benedizioni che circondano, per così dire, il mistero dell’Eucaristia, come la nube del Thabor circondava GESÙ trasfigurato, non sono venerabili solo per la loro origine, ma lo sono ancora per le sante cose che esse significano. Le cerimonie della Messa hanno per oggetto di ricordare e riassumere, attorno alla Persona di GESÙ eucaristico, tutto l’insieme del magnifico ed universale mistero di questo divino Salvatore. Così i Preti e tutti coloro che li assistono all’altare, devono rispettarli infinitamente ed osservarli religiosamente. Bisogna osservarli alla lettera con molta fede, religione ed amore, e fare tutto ciò che prescrive la Chiesa, come questo è prescritto, senza nulla eliminare, senza aggiungere nulla.

 

XIV

Cosa significa l’altare sul quale si celebra la Messa

L’altare rappresenta Nostro Signore, Re della gloria, e centro immutabile della Religione degli Angeli e degli uomini. – L’altare deve essere di pietra. Se esso è di legno o bronzo, o anche d’oro o d’argento, occorrerebbe che almeno in punto ove si offre il Sacrificio sia di pietra: questa pietra si chiama Pietra d’altare. L’altare (o pietra d’altare, che è la stessa cosa), è consacrato dal Vescovo, che lo segna con cinque croci, in onore delle cinque piaghe di GESÙ-CRISTO, che conserva eternamente nel suo corpo glorificato; questa consacrazione si fa con il Crisma santo, che è il più sacro degli oli santi. Dopo la Consacrazione , il Vescovo brucia un grano d’incenso puro in ciascuna delle croci incise nella pietra. – Così consacrato l’altare significa Nostro-Signore, al di fuori del Quale il Padre celeste non gradisce alcun omaggio religioso, alcuna adorazione, alcun sacrificio. GESÙ-CRISTO è, come detto, il centro ed il fondamento vivente della sola vera religione, la quale è cominciata con gli Angeli ed Adamo, dall’origine del mondo, e durerà nel cielo per tutta l’eternità. GESÙ è la pietra vivente, la pietra divinamente consacrata, la pietra angolare che sostiene tutto l’edificio della religione degli Angeli e degli uomini; ed è per questo che è assolutamente vietato celebrare la Messa al di fuori di una pietra d’altare consacrata. Alfine di rappresentare ancora meglio il senso nascosto e mistico dell’altare, la Chiesa vuole, almeno per l’altare principale delle nostre chiese, che esso sia elevato di tre gradini al di sopra del pavimento del santuario. Questi tre gradini elevati simbolizzano GESÙ-CRISTO elevato al di sopra di tutti i Santi e di tutti gli Angeli, e la sommità vivente dei cieli, la fonte di tutta la beatitudine celeste. Dall’alto del cielo, essa è pure per noi la fonte della grazia, ed è per questo che durante la Messa, il Prete, a più riprese, bacia l’altare, indicando che egli ripone in GESÙ-CRISTO la grazia e la benedizione di cui ha bisogno e che diffonde sugli astanti, in nome del divino Salvatore. L’altare significa dunque GESÙ-CRISTO, fondamento divino della Religione e del Sacrificio. Ognuno può concludere che da qui è la santità dei nostri altari, e perché è proibito non solo utilizzarli per uso profano, ma di non posarvi nulla di estraneo al culto divino. – Il santo abate Olier, uno degli uomini che hanno circondato di maggior rispetto il Santo Sacrificio ed il Santo Sacramento, era a questo riguardo di una severità straordinaria; un giovane chierico del seminario di San Sulpizio, di cui Olier era il Superiore, era stato scelto da lui per servir Messa, a causa della sua grande pietà. Un giorno, il pio giovane posò per distrazione il suo berretto sul cono d’altare. M. Olier lo riprese severamente, come una mancanza di rispetto, e per otto giorni gli tolse l’onore di servir Messa. Non si potrebbe essere tanto delicato in ciò che concerne le testimonianze della fede e dell’adorazione riguardo al Santo Sacramento e di tutto ciò che ha rapporto col Santo Sacramento. Nulla è trascurabile in tale materia. Gi aiutanti, i sacrestani ed i ragazzi del coro devono fare particolare attenzione a ciò che stiamo per dire. Spesso la loro sbadataggine attorno all’altare, giunge fino a veri inconvenienti. Essi posano sull’altare penne, fazzoletti, etc. io ho visto una volta un tale che per raggiungere un candelabro, era saltato all’improvviso sull’altare e vi si era messo in piedi, alla presenza di tutti i fedeli!

 

XV

Ciò che raffigurano le tovaglie e gli ornamenti dell’altare.

Si proibisce la Messa quando non ci sono tre tovaglie bianche di filo o di lino sull’altare; queste tovaglie che devono essere sempre tenute in uno stato perfetto, coprono interamente prima la parte superiore dell’altare, poi il lato destro e sinistro. La tovaglia superiore deve pendere dai due lati fino a giù. La parte anteriore dell’altare deve essere ugualmente coperto da un parato o drappo dello stesso colore degli ornamenti dei quali si servirà il Prete per celebrare la Messa: se la Messa si dice col bianco, il parato deve essere bianco; se la Messa si dice in rosso, o in nero, etc., la il parato sarà rosso, nero, etc. queste tre tovaglie e questi parati richiamano alla pietà dei fedeli un bellissimo mistero: cioè l’unione degli Angeli e dei Santi a Nostro Signore GESÙ-CRISTO nella gloria del Paradiso. Le tre tovaglie di lino bianco che coprono l’altare significano i tre ordini o gerarchie celesti dei santi Angeli che adorano, benedicono e glorificano incessantemente GESÙ-CRISTO, loro Signore e loro DIO, loro Maestro e loro Creatore. Ed anche le tre tovaglie coprono tre volte la parte superiore dell’altare; allo stesso modo, nella gloria del cielo, le tre grandi gerarchie angeliche formano nove cori, che rendono tutti a GESÙ-CRISTO tutti i doveri di una religione perfetta. I parati che coprono al davanti l’altare rappresentano non più gli Angeli, ma i Santi, in particolare il Santo o la Santa di cui si fa memoria nella Messa che si celebra. Nella gloria del suo bel Paradiso, Nostro-Signore è in mezzo ai suoi Angeli ed ai suoi Santi, come il sole in mezzo ai suoi raggi splendenti. Così GESÙ brilla e risplende nei suoi Serafini, Serafini, Troni, Dominazioni, Virtù, Potenze e Principati, Arcangeli ed Angeli che sono tutti suoi ministri e servitori; Egli brilla e risplende in tutti i suoi Santi, nei suoi Patriarchi, nei suoi Profeti, nei suoi Apostoli, Martiri, Vergini, in una parola, in tutti i suoi eletti. Tutti essi sono inseparabili da Lui, ed Egli è inseparabile da loro: lodarli ed onorarli è lodare, onorare GESÙ-CRISTO; ed il sacrificio di adorazione, di azione di grazie, di preghiera e di espiazione che viene ad essere offerto dal Prete sulla terra, sarà accompagnato nel cielo dalle adorazioni e dalle adorazioni di tutti i beati. È per esprimere queste grandi cose che la Chiesa ordina le tovaglie ed i paramenti di cui parliamo.

XVI

I ceri, ed il loro bel significato.

I ceri accesi sull’altare durante la Messa, a destra ed a sinistra del Crocifisso esprimono ancora i santi Angeli e l’unione intima della Chiesa del cielo con la Chiesa della terra nella celebrazione del Santo Sacrificio. La luce è una creatura misteriosa e meravigliosa, destinata a rappresentare nell’ordine materiale e terrestre ciò che è GESÙ-CRISTO nell’ordine spirituale e terrestre. Nostro Signore è in effetti “la Luce vera che illumina ogni uomo venuto in questo mondo”, come dice il Vangelo di San Giovanni; Egli è la “Luce del mondo”. Gli Angeli ed anche i Santi sono, come sempre diciamo, i raggi viventi di questa Luce vivente: essi « sono luce nel Signore » ; essi sono delle luci illuminate dalla divina, eterna Luce: tutta la loro santità, in effetti, tutta la loro gloria non viene loro dal Figlio di DIO? Anche gli Angeli sono spesso chiamati dai Santi Dottori « delle luci celesti, delle stelle, degli astri viventi », etc. per questo motivo, la Chiesa ha ordinato fin dalle origini, che non si celebrasse Messa senza luce; e dopo i primi secoli, è stato ordinato che queste luci fossero delle candele di cera. Il cero è in effetti, una sostanza purissima, raccolta dalle api nel calice dei fiori più balsamici; la purezza di questa sostanza produce una fiamma molto luminosa e molto tranquilla, una luce pura che si eleva dritta verso il cielo e sembra volersi slanciarsene. Brillando così sulla punte delle candele, a destra ed a sinistra del Crocifisso, davanti al Prete e davanti ai fedeli, le sacre luci della Messa significano la Chiesa del cielo che si unisce alla Chiesa della terra, gli Angeli che si uniscono agli uomini per adorare GESÙ-CRISTO, Vittima del Santo Sacrificio. – Il Beato Francesco de Posadas, dell’ordine di San Domenico, vedeva spesso gli Angeli e gli Arcangeli assisterlo all’altare: essi erano là, mantenendo dei ceri illuminati, e alla Elevazione, sostenevano le braccia del Beato. San Francesco di Assisi vide molto spesso le moltitudini degli Angeli che circondavano l’altare. GESÙ-CRISTO è in effetti il loro DIO, come il nostro, il loro Creatore, come il nostro Creatore, il loro Signore, la loro Luce, la loro Vita eterna, come Egli è la nostra vita, il nostro Signore, la nostra Luce, il nostro Amore. I raggi di GESÙ-CRISTO, in cielo, sono gli Angeli ed i Beati: i suoi raggi sulla terra sono i cristiani, i fedeli, ed in particolare i Preti. – Ecco perché è assolutamente proibito dire Messa senza luci, senza ceri illuminati sull’altare. – Ecco perché i sagrestani, gli aiutanti o i ragazzi del coro, incaricati di accendere i ceri, non devono cominciare indifferentemente da un lato o dall’altro come è loro più comodo: alfine di ricordarsi e ricordare agli astanti che la luce e la Santità degli Angeli vengono da GESÙ-CRISTO, che solo è la Luce eterna ed il Santo dei santi, essi devono, accendendo i ceri, partire dal Crocifisso e cominciare dal cero più vicino al lato destro del Crocifisso, per passare poi al secondo ed al terzo; poi tornando in mezzo all’altare e salutando il Crocifisso, devono seguire lo stesso ordine per gli altri tre ceri. Per spegnerli, alla fine della Messa, essi devono seguire l’ordine inverso. È alla lampada del Santo-Sacramento, che deve bruciare giorno e notte senza interruzione, che si deve prendere la luce per accendere i ceri. E la ragione di questa regola liturgica è molto bella: la luce che brilla davanti al Tabernacolo ricorda al Prete ed ai fedeli che là, nella Santa Eucaristia, è presente Colui che è la Luce del mondo, la Luce di vita, la Luce degli Angeli e delle anime. GESÙ-CRISTO è òa fonte unica della luce celeste che illumina il Paradiso e che, sulla terra, insegna agli uomini a conoscere il vero DIO: alla luce della lampada che simbolizza GESÙ-CRISTO, si deve dunque attingere la luce dei ceri che simboleggiano gli Angeli e gli eletti nella gloria. Se le persone di chiesa conoscessero bene ed osservassero religiosamente questi minimi dettagli del culto divino, esse troverebbero nelle loro funzioni una fonte inesauribile di significato pratico, e non si abituerebbero, come spesso succede, a trattare le cose sante, come volgarmente si dice, sottogamba. Ordinariamente, nulla edifica meno della grossolana familiarità che induce la gente di chiesa ad assolvere le loro funzioni intorno ai santi altari.

XVII

Il numero dei ceri dell’altare.

Alle Messe basse, ci devono essere due ceri illuminati sull’altare, uno a destra l’altro a sinistra del Crocifisso. – Alle Messe basse celebrate da un Vescovo, ce ne devono essere quattro, almeno nei giorni di festa: due a destra e due a sinistra. Alle Messe solenni celebrate da un singolo Prete, ce ne devono essere sei, né più né meno; tre a destra e tre a sinistra. Infine nelle Messe solenni pontificali, celebrate cioè solennemente da un Vescovo, ce ne vogliono sette: tre a destra, tre a sinistra e il settimo dietro al Crocifisso il più vicino possibile ad esso. Niente di tutto questo è arbitrario, ed eccone il motivo. – bisogna sapere che a capo di tutti gli Angeli, similmente ad un capo d’armata, ci sono sette Angeli principali, che « presenziano davanti al trono di DIO », come uno di loro diceva al santo uomo Tobia: « io sono l’Angelo Raffaele, uno dei sette che stiamo davanti al Signore ». la Scrittura santa ci fornisce il nome di tre di loro: l’Arcangelo Michele, l’Arcangelo Gabriele e l’Arcangelo Raffaele. Ora sono precisamente questi santi Grandi Serafini, questi sette principi della milizia celeste che sono rappresentati dai sette ceri della più solenne di tutte le Messe, cioè la Grande Messa Pontificale. Il settimo cero che fa un tutt’uno con il Crocifisso esprime il futuro trionfo di GESÙ-CRISTO, quando, alla settima età del mondo [secondo le tradizioni più antiche, la durata del mondo deve dividersi, come la durata della settimana, in sette grandi epoche, delle quali sei dedicate al lavoro, e la settima al riposo e al trionfo ], ridiscenderà dal cielo in terra, pieno di gloria e di maestà. Alla Gran Messa del singolo Prete, i sei ceri illuminati rappresentano lo stesso mistero; ma il Crocifisso, che si mostra senza luce, ricorda soprattutto che il Sacrificio dell’Eucaristia è il Sacrificio della Chiesa militante, cioè della Chiesa che combatte e che soffre con il suo divino Capo; che con la gloria e la pazienza conquista la gloria eterna. In questo combattimento gli Angeli del cielo l’assistono costantemente, e durante le sei età che devono trascorrere dopo la creazione dell’uomo fino alla seconda venuta dell’Uomo-DIO, gli Angeli aiutano i loro fratelli della terra a rendere al Figlio di DIO, Creatore e Signore di tutte le cose, il culto di adorazione, di azione di grazie e di preghiere che Gli è dovuto. I sei ceri della Grande Messa ricordano così alla nostra pietà ed al nostro amore i sei Angeli che aiutano a glorificare quaggiù GESÙ-CRISTO. Alla Messa bassa del Vescovo, i quattro ceri significano i quattro principali di questi grandi spiriti, che in nome di tutti gli altri adorano GESÙ-CRISTO, in unione con il Vescovo celebrante e con tutta la Chiesa della terra. Il Profeta Ezechiele lo aveva già visto nella celebre visione, circondante il Figlio dell’uomo e tutto scintillante di luce. Infine i due ceri della Messa bassa ordinaria significano e rappresentano più particolarmente il santo Arcangelo Michele ed il santo Arcangelo Gabriele, i due principali di tutta la Corte angelica, che in nome di tutti i loro beati fratelli, aiutano il Prete ed i fedeli a rendere al Signore GESÙ i loro omaggi d’amore, di fede viva e di perfetta adorazione. Sono i due Arcangeli che Isaia, rapito in spirito, scorse in cielo, in adorazione davanti a Nostro-Signore, ripetendo con amore: « Santo, Santo, Santo è il Signore, DIO degli eserciti! ». – Il cero illuminato alla destra del Crocifisso rappresenta più specificatamente l’Arcangelo Michele, l’Angelo dell’onnipotenza, il primo Ministro di GESÙ-CRISTO, Dio Creatore. Il cero a sinistra, posto dal lato del cuore di GESÙ crocifisso e glorificato, rappresenta in particolare l’Arcangelo Gabriele, l’Angelo dell’Incarnazione e della Redenzione, il ministro di Dio-Salvatore, della grazia, dell’amore, della misericordia. Ecco ciò che significa il numero variato dei ceri e dei lumi dell’altare durante la Messa. Così è proibito cambiare; non si deve, col pretesto di rendere l’illuminazione più solenne, aggiungere al numero dei ceri prescritti dalla Liturgia, cioè dalla regola del culto pubblico. Si possono, al di fuori dell’altare, tenere altri ceri, o semplici candele; ma sull’altare bisogna attenersi al numero fissato dalla Chiesa, non si deve pertanto eliminare nemmeno uno dei ceri prescritti, né per economia né per qualsiasi altro motivo. Occorre controllare che la cera delle candele sia bella, pura, candida, ed il tutto accuratamente osservato. I sacrestani sono avvisati! [Continua ...]

 

CATTEDRA DI SAN PIETRO A ROMA

18 GENNAIO

CATTEDRA DI SAN PIETRO A ROMA (1)

[Dom Guéranger, l’Anno liturgico – vol.I]

(1) [Nel III secolo si venerava in un cimitero di Roma un trofeo – cattedra di tufo o di legno – del ministero di San Pietro in quel luogo. Più tardi si venerò nel battistero di Damaso in Vaticano la sella gestatoria “apostolicae confessionis”. Sotto il nome di Natale Petrl de Cathedra era celebrata una festa il 22 febbraio; ma, a causa della quaresima, le chiese della Gallia presero l’abitudine di celebrarla il 18 gennaio. Le due usanze si svilupparono in modo parallelo; poi, finalmente, si perdette l’unità primitiva del loro signiifcato e si ebbero due feste della Cattedra di San Pietro, la prima attribuita a Roma – quella del 18 gennaio -, la seconda attribuita a un’altra sede – In definitiva a quella d’Antiochia – il 22 febbraio. – La Cattedra di San Pietro è ora conservata nell’abside della basilica vaticana, racchiusa in un grande reliquiario; nemmeno il Papa si può sedere, come usavano i Pontefici dei primi quindici secoli, sulla Cathedra Apostolica (Schuster, Liber Sacram.)].

cattedra

L’Arcangelo aveva annunciato a Maria che il Figlio che sarebbe nato da lei sarebbe stato Re, e che il suo Regno non avrebbe avuto mai fine. I Magi guidati dalla Stella vennero dal lontano Oriente a cercare questo Re in Betlemme. Ma ci voleva una capitale per il nuovo Impero; e poiché il Re che doveva stabilirvi il suo trono doveva anche, secondo i consigli eterni, risalire presto al cielo, era necessario che il carattere visibile della sua regalità risiedesse in un uomo che fosse, fino alla fine dei secoli, il suo Vicario. – Per questa gloriosa reggenza, l’Emmanuele scelse Simone, cambiandone il nome in quello di Pietro e dichiarando espressamente che tutta la Chiesa sarebbe stata basata su quell’uomo, come su una roccia incrollabile. E siccome Pietro doveva anch’egli terminare con la croce la sua vita mortale, Cristo s’impegnava a dargli dei successori nei quali sarebbero sempre stati rappresentati Pietro e la sua autorità.

Regalità del Vicario di Cristo.

Ma quale sarà il segno distintivo di questa successione nell’uomo privilegiato sul quale deve essere edificata la Chiesa sino alla fine dei tempi? Fra tanti Vescovi, chi è il continuatore di Pietro? Il Principe degli Apostoli ha fondato e governato parecchie Chiese; ma una sola, quella di Roma, è stata irrorata del suo sangue; una sola, quella di Roma, custodisce la sua tomba; il Vescovo di Roma è dunque il successore di Pietro, e perciò stesso, il Vicario di Cristo. – Di lui, e non d’un altro, è detto: Su te costruirò la mia Chiesa. E ancora: Ti darò le chiavi del Regno dei cieli. E inoltre: “Ho pregato per te, perché non venga meno la tua fede; …conferma i tuoi fratelli”. – E infine: “Pasci i miei agnelli; pasci le mie pecorelle”. – L’eresia protestante l’aveva compreso tanto bene che per lungo tempo si sforzò di avanzare dubbi sul soggiorno di san Pietro a Roma, credendo giustamente di distruggere, con questo ritrovato, l’autorità del Pontefice Romano, e la nozione stessa d’un capo nella Chiesa. La scienza storica ha fatto giustizia di quella puerile obiezione; e da lungo tempo studiosi della Riforma sono concordi con i cattolici sul terreno dei fatti, e non contestano più nessuno dei punti della storia meglio definita dalla critica. – Fu in parte per opporre l’autorità della Liturgia a quella strana pretesa dei Riformatori, che Paolo IV, nel 1558, fssò al 18 gennaio l’antica festa della Cattedra di san Pietro a Roma. Da lunghi secoli, la Chiesa non celebrava il mistero del Pontificato del Principe degli Apostoli se non il 22 febbraio. D’ora in poi quest’ultimo giorno è stato assegnato al ricordo della Cattedra d’Antiochia, la prima ad essere occupata dall’Apostolo. – Oggi dunque, la Regalità dell’Èmmanuele brilla in tutto il suo splendore; e i figli della Chiesa si rallegrano nel sentirsi tutti fratelli e concittadini d’uno stesso Impero, celebrando la gloria della Capitale che è comune a tutti. Allorché, guardando attorno a sé, vedono tante sette divise e sprovviste di tutte le condizioni della continuità perché manca ad esse un centro, rendono grazie al Figlio di Dio per aver provveduto alla conservazione della sua Chiesa e della sua Verità, con l’istituzione di un capo visibile nel quale Pietro continua per sempre, come lo stesso Cristo in Pietro. Gli uomini non sono più pecore senza pastore; la parola detta al principio si perpetua, senza interruzione, attraverso i tempi; la prima missione non è mai sospesa e, per il Pontefice Romano, la fine dei tempi si ricollega all’origine delle cose. « Quale consolazione per i figli di Dio – esclama Bossuet nel Discorso sulla Storia universale – ma quale convinzione della verità, quando vedono che da Innocenzo XI, che occupa oggi (1681) degnamente la prima Sede della Chiesa, si risale senza interruzione fino a san Pietro, costituito da Gesù Cristo come Principe degli Apostoli! ».

Primato della sede di Roma.

Pietro, entrando in Roma, viene dunque a compiere e amplificare i destini di questa città sovrana, recandole un impero ancora più esteso di quello che essa possiede. È un Impero che non si costituirà con la forza, come il primo: da superba dominatrice delle genti che fu, Roma, per mezzo della carità, diventa Madre dei popoli. – Ma, per quanto pacifico, il suo Impero non sarà meno durevole. Ascoltiamo san Leone Magno, in uno dei suoi più magnifici Sermoni (Serm. 82), narrare, con tutta la nobiltà del suo linguaggio, l’ingresso oscuro eppure così decisivo, del Pescatore di Genezareth nella capitale del paganesimo: « Il Dio buono, giusto e onnipotente, che non ha mai negato la sua misericordia al genere umano e che con l’abbondanza dei suoi benefici, ha dato a tutti i mortali i mezzi per giungere alla conoscenza del suo Nome, nei segreti consigli del suo immenso amore ha avuto pietà del volontario accecamento degli uomini e della malizia che li sprofondava nella degradazione, e ha inviato il suo Verbo, che è a Lui uguale e coeterno. Ora, questo Verbo, fattosi carne, ha unito così strettamente la natura divina con quella umana, che l’umiliazione della prima fino alla nostra abiezione è diventata per noi il principio della più sublime elevazione.» Ma, per spargere nel mondo intero gli effetti di quel beneficio, la Provvidenza ha preparato l’Impero romano, e ne ha esteso così lontano i confini, da fargli abbracciare nella sua cerchia tutte le genti. – Era infatti una cosa utilissima per il compimento dell’opera progettata che i diversi regni formassero la confederazione d’un unico Impero, affinché la predicazione generale giungesse più presto all’orecchio dei popoli, raccolti com’erano già sotto il regime d’una sola città. » Questa città, disprezzando il divino Autore dei suoi destini, s’era fatta schiava degli errori di tutti i popoli, nel tempo stesso in cui li teneva quasi tutti sotto le sue leggi, e credeva ancora di possedere una grande religione, perché non respingeva nessuna menzogna; ma più fortemente era tenuta legata dal diavolo e più meravigliosamente fu riscattata da Cristo. » Infatti, quando i dodici Apostoli, dopo aver ricevuto con lo Spirito Santo il dono di parlare tutte le lingue, si furono distribuite le varie parti della terra, ed ebbero preso possesso di quel mondo a cui dovevano predicare il Vangelo, il beato Pietro, Principe dell’Ordine Apostolico, ricevette in eredità la roccaforte dell’Impero romano, affinché la Luce della verità che era manifestata per la salvezza di tutte le genti, si diffondesse più efficacemente, irradiando al centro di questo Impero sul mondo intero. » Quale nazione, infatti, non contava numerosi rappresentanti in quella città? Quali popoli avrebbero mai potuto ignorare ciò che Roma aveva loro insegnato? Qui dovevano essere battute le opinioni della filosofia; qui sarebbero state distrutte la vanità della sapienza terrena; qui sarebbe stato confuso il culto dei demoni e distrutta infine l’empietà di tutti i sacrifici, in quello stesso luogo in cui una stuta superstizione aveva radunato tutto ciò che i diversi errori avevano potuto produrre. » Non temi tu dunque, o beato Apostolo Pietro, di venire solo in questa città? Paolo Apostolo il compagno della tua gloria, è ancora intento a fondare altre Chiese; e tu ti immergi in questa foresta popolata di bestie feroci, avanzi su questo oceano il cui fondo è pieno di tempeste, con più coraggio di quando camminasti sulle acque. Non hai timore di Roma, la dominatrice del mondo, tu che nella casa di Caifa avevi tremato alla voce d’un servo del sacerdote. – Il tribunale di Pilato o la crudeltà dei Giudei erano forse più temibili della potenza di Claudio o della ferocia di Nerone? No; ma la forza del tuo amore vinceva il timore, e non avevi paura di quelli che t’eri impegnato di amare. Senza dubbio avevi già avuto il sentimento di quell’intrepida carità il giorno in cui la professione del tuo amore verso il Signore fu sanzionata dal mistero della triplice domanda. Cosicché non si richiese altro alla tua anima se non che, per pascere le pecore di Colui che amavi, il tuo cuore effondesse per esse la sostanza di cui era ripieno. » La tua fiducia, è vero, doveva aumentare al ricordo dei numerosi miracoli che avevi operati, dei preziosi doni della grazia che avevi ricevuti, e delle esperienze molteplici della virtù che risiedeva in te. Tu avevi già ammaestrato i Giudei che avevano creduto alla tua parola; avevi fondato la Chiesa d’Antiochia, dove ebbe i suoi inizi la dignità del nome Cristiano ; avevi sottomesso alle leggi della predicazione evangelica il Ponto, la Galazia, la Cappadocia, l’Asia e la Bitinia; e allora, certo del progresso della tua opera e della durata della tua vita, venisti ad innalzare sulle mura di Roma il trofeo della croce di Cristo, proprio là dove i consigli divini avevano predisposto per te l’onore della potenza sovrana e la gloria del martirio » (P. L. voi. 54, c. 423-425). – L’avvenire del genere umano mediante la Chiesa è dunque fissato a Roma, e i destini di questa città sono per sempre comuni con quelli del sommo Pontefice. Diversi per razza, per lingua, per interessi, noi tutti, figli della Chiesa, siamo Romani nell’ordine della religione; questo titolo ci unisce mediante Pietro a Gesù Cristo, e forma il legame della grande fraternità dei popoli e degli individui cattolici.

Gloria della Roma cristiana.

Gesù Cristo per mezzo di Pietro e Pietro per mezzo del suo successore ci reggono nell’ordine del governo spirituale. Ogni pastore la cui autorità non emana dalla Sede di Roma, è un estraneo, un intruso. – Così pure nell’ordine della credenza Gesù Cristo per mezzo di Pietro e Pietro per mezzo del suo successore ci impartiscono la dottrina divina e ci insegnano a distinguere la verità dall’errore. – Qualunque simbolo di fede, qualunque giudizio dottrinale, qualunque insegnamento contrario al Simbolo, ai giudizi e agli insegnamenti della Sede di Roma, viene dall’uomo e non da Dio, e dev’essere respinto con orrore ed anatema. Nella festa della Cattedra di san Pietro in Antiochia, parleremo della Sede Apostolica, come unica fonte del potere di governo nella Chiesa. Oggi, onoriamo la Cattedra romana come l’origine e la regola della nostra fede. Prendiamo ancora qui le eloquenti parole di san Leone (Serm. 4) e interroghiamolo sui titoli di Pietro all’infallibilità dell’insegnamento. Impareremo da questo grande Dottore a misurare la forza delle parole che Cristo pronunciò perché fossero il principale motivo della nostra adesione per tutta la durata dei secoli. – « Il Verbo fatto carne era venuto ad abitare in mezzo a noi, e Cristo si era consacrato interamente alla riparazione del genere umano. Non c’era nulla che non fosse regolato dalla sua sapienza, o che fosse superiore al suo potere. Gli elementi gli obbedivano, e gli Spiriti angelici erano ai suoi ordini; il mistero della salvezza degli uomini non poteva non giungere ad effetto, poiché, era lo stesso Dio, nella sua Unità e nella sua Trinità, che si degnava di occuparsene. Tuttavia in questo mondo, solo Pietro è scelto per essere preposto alla vocazione di tutte le genti, a tutti gli Apostoli, a tutti i Padri della Chiesa. Nel popolo di Dio, vi saranno parecchi sacerdoti e parecchi pastori; ma Pietro reggerà, con un potere che gli è proprio, tutti quelli che Cristo stesso governa in una maniera ancora più elevata. Quale grande e meravigliosa partecipazione del suo potere Dio si è degnato di dare a quest’uomo, fratelli diletti! Se ha voluto che vi fosse qualcosa di comune fra lui e gli altri pastori, l’ha fatto a condizione di dare a questi, per mezzo di Pietro tutto ciò che non voleva loro rifiutare. » Il Signore chiede a tutti gli Apostoli quale idea gli uomini abbiano di lui. Gli Apostoli sono concordi, finche si tratta di esporre le diverse opinioni dell’ignoranza umana. Ma quando Cristo giunge a chiedere ai suoi discepoli quello che pensano essi stessi, il primo a confessare il Signore è colui che è anche il primo nella dignità apostolica. – È lui che dice : Tu sei il Cristo, Figlio del Dio vivo. Gli risponde Gesù: Beato te, O Simone, figlio di Giona, poiché né la carne né il sangue ti hanno rivelato queste cose, ma il Padre mio che è nei cieli. – Cioè: Sì, tu sei beato, poiché il Padre mio ti ha ammaestrato; i pensieri della terra non ti hanno indotto in errore, ma ti ha illuminato l’ispirazione del cielo. Non già la carne e il sangue, ma Colui stesso del quale Io sono il Figlio unigenito, mi ha rivelato a te. Ed Io, aggiunge, ti dico: Come il Padre mio ti ha svelato la mia divinità, Io a mia volta ti farò conoscere la tua grandezza. Poiché tu sei Pietro, cioè, come Io sono la Pietra incrollabile, la Pietra angolare che unisce i due muri, il Fondamento tanto essenziale che non se ne potrebbe costituire un altro, così tu pure sei Pietro, poiché sei basato sulla mia solidità, e le cose che sono proprie a me per la potenza che in me risiede sono comuni anche a te per la partecipazione che io te ne faccio. E su questa pietra fonderò la mia Chiesa; e le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa. Sulla solidità di questa pietra, io fonderò il tempio eterno; e la mia Chiesa, il cui fastigio salirà fino al cielo, s’innalzerà sulla fermezza di questa fede. » Alla vigilia della sua Passione, che doveva essere una prova per la costanza dei discepoli, il Signore disse quest’altre parole: “Simone, Simone, satana ha chiesto di macinarti come il frumento; ma Io ho pregato per te, perché non venga meno la tua fede. Quando poi sarai convertito, conferma i tuoi fratelli. Il pericolo della tentazione era comune a tutti gli Apostoli; tutti avevano bisogno dell’aiuto della protezione divina, poiché il diavolo aveva proposto di agitarli tutti e di annientarli. Tuttavia il Signore prende una cura speciale per il solo Pietro; le sue preghiere sono per la fede di Pietro, come se la salvezza degli altri fosse già sicura, per il fatto stesso che non verrà abbattuto l’animo del loro Principe. È dunque su Pietro che si baserà il coraggio di tutti e l’aiuto della grazia divina sarà disposto affinché la solidità che Cristo attribuisce a Pietro sia attraverso Pietro conferita agli Apostoli» (P. L. voi. 54, c. 149-152).

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L’infallibilità del Vicario di Cristo.

In un altro discorso (Serm. 3), l’eloquente Dottore ci fa vedere come Pietro vive ed insegna sempre nella Cattedra Romana. « La disposizione data da Colui che è la Verità stessa, permane dunque sempre, e il beato Pietro, conservando la solidità che ha ricevuta, non ha mai abbandonato il timone della Chiesa. Perché è tale il posto dato a lui al disopra di tutti gli altri, che, quando è chiamato Pietro, quando è proclamato Fondamento, quando è costituito Portinaio del Regno dei cieli, quando è nominato Arbitro per legare e sciogliere con una forza tale nei suoi giudizi che questi vengono ratificati anche in cielo, noi siamo in grado di conoscere, attraverso il mistero di così sublimi titoli, il legame che lo univa a Cristo. Ora egli compie con maggior pienezza e potenza la missione che gli è stata affidata; e tutte le parti del suo ufficio e del suo incarico le esercita in Colui e con Colui dal quale è stato glorificato. » Se dunque, su questa Cattedra, facciamo qualcosa di buono, se decretiamo qualcosa di giusto, se le nostre preghiere quotidiane ottengono qualche grazia dalla misericordia di Dio, è per effetto delle opere e dei meriti di colui che vive nella sua sede e vi agisce con la sua autorità. Egli ce lo ha meritato, fratelli diletti, con la confessione che, ispirata al suo cuore di Apostolo da Dio Padre, ha superato tutte le incertezze delle opinioni umane, ed ha meritato di ricevere la fermezza della Pietra che nessun assalto potrebbe scuotere. – Ogni giorno in tutta la Chiesa, è Pietro che dice: Tu sei il Cristo, Figlio del Dio vivo, e ogni lingua che confessa il Signore è guidata dal magistero di quella voce. E questa fede che vince il diavolo, e spezza i legami di coloro che egli tiene prigionieri. È essa che introduce in cielo i fedeli quando escono da questo mondo; e le porte dell’inferno non possono prevalere contro di essa. La forza divina che la garantisce, infatti, è tale che mai la perversità eretica l’ha potuta corrompere, né la perfidia pagana sopraffarla » (P. L. voL 54, c. 146). Così parla san Leone. « Non si dica dunque, esclama Bossuet nel suo Sermone sull’Unità della Chiesa, non si dica e non si pensi che questo ministero di san Pietro finisce con lui: ciò che deve servire di sostegno ad una Chiesa eterna, non può mai aver fine. Pietro vivrà nei suoi successori, Pietro parlerà sempre nella sua Cattedra: è quanto dicono i Padri ed è quanto confermano seicentotrenta Vescovi nel Concilio di Calcedonia ». E ancora: « Così la Chiesa Romana è sempre Vergine, la fede Romana è sempre la fede della Chiesa; si crede sempre quello che si è creduto, la stessa voce risuona dappertutto, e Pietro rimane, nei suoi successori, il fondamento dei fedeli. – È Gesù Cristo che l’ha detto; e il cielo e la terra passeranno, ma la sua parola non passerà ».

Pietro continuato nei suoi successori.

Tutti i secoli cristiani hanno professato questa dottrina dell’infallibilità del Romano Pontefice che guida la Chiesa dall’alto della Cattedra Apostolica. La si trova insegnata espressamente negli scritti dei santi Padri, e i Concili ecumenici di Lione e di Firenze si sono pronunciati, nei loro atti, in un modo abbastanza chiaro per non lasciare alcun dubbio ai cristiani di buona fede. Tuttavia, lo spirito di errore, con l’aiuto di sofismi contraddittori e presentando sotto falsa luce alcuni fatti isolati e mal compresi, tentò, per troppo tempo, di far cambiare idea ai fedeli d’un paese devoto del resto alla sede di Pietro. L’influenza politica fu la prima causa di quella triste scissione, che l’orgoglio di scuola rese troppo durevole. L’unico risultato ottenuto fu quello di indebolire il principio di autorità nelle regioni in cui essa regnò, e di perpetuarvi la setta giansenista, i cui errori erano stati condannati dalla Sede Apostolica. Gli eretici ripetevano, dopo l’Assemblea di Parigi del 1682, che i giudizi che avevano messo al bando le loro dottrine non erano neanch’essi irrefutabili. Lo Spirito Santo che anima la Chiesa ha infine estirpato quel funesto errore. Nel Concilio Vaticano ha dettato la sentenza solenne la quale dichiara che d’ora in poi chiunque si rifiutasse di riconoscere come infallibili i decreti emessi solennemente dal Pontefice romano in materia di fede e di morale cessa per ciò stesso di far parte della Chiesa Cattolica. Invano l’inferno ha tentato di ostacolare gli atti dell’augusta assemblea, e se il Concilio di Calcedonia aveva esclamato: «Pietro ha parlato per bocca di Leone»; se il terzo Concilio di Costantinopoli aveva ripetuto : « Pietro ha parlato per bocca di Agatone »; il Concilio Vaticano ha proclamato: « Pietro ha parlato e parlerà sempre per bocca del Romano Pontefice ». – Pieni di riconoscenza per il Dio di verità che si è degnato di elevare e garantire da ogni errore la Cattedra romana, ascolteremo con umiltà di spirito e di cuore gli insegnamenti che ne emanano. Riconosceremo l’azione divina nella fedeltà con cui questa Cattedra immortale ha saputo custodire la verità senza macchia per diciannove secoli, mentre le Sedi di Gerusalemme, d’Antiochia, d’Alessandria e di Costantinopoli hanno potuto appena custodirla per qualche centinaia di anni, e sono diventate l’una dopo l’altra le cattedre di pestilenza di cui parla il Profeta.

La Fede della Chiesa.

In questi giorni consacrati ad onorare l’Incarnazione del Figlio di Dio e la sua nascita dal seno d’una Vergine, richiamiamo alla nostra mente che dobbiamo alla Sede di Pietro la conservazione di quei dogmi che costituiscono il fondamento di tutta la nostra Religione. Non soltanto Roma ce li ha insegnati per mezzo degli Apostoli ai quali affidò la missione di predicare la fede nelle Gallie; ma quando le tenebre dell’eresia tentarono di gettare la loro ombra su così sublimi misteri, fu ancora Roma che assicurò il trionfo della verità con la sua suprema decisione. A Efeso, dove si trattava, condannando Nestorio, di stabilire che la natura divina e la natura umana in Cristo non formano che una sola ed unica persona e che di conseguenza Maria è veramente Madre di Dio; a Calcedonia, dove la Chiesa doveva proclamare contro Eutiche la distinzione delle due nature nel Verbo incarnato. Dio e uomo, i Padri dei due Concili ecumenici dichiararono che non facevano altro che seguire nella loro decisione la dottrina trasmessa loro dalle lettere della Sede Apostolica. – Questo è dunque il privilegio di Roma, di provvedere mediante la fede agli interessi della vita futura, come provvedé con le armi, per lunghi secoli, agli interessi della vita presente, nel mondo allora conosciuto. Amiamo ed onoriamo questa città Madre e Maestra, nostra patria comune, e con cuore fedele celebriamo oggi la sua gloria. Noi siamo dunque fondati su Gesù Cristo nella nostra fede e nelle nostre speranze, o Principe degli Apostoli, poiché siamo fondati su te che sei la Pietra che egli ha posta. Siamo dunque le pecore del gregge di Gesù Cristo, poiché obbediamo a te come a nostro pastore. – Seguendo te, o Pietro, siamo dunque certi di entrare nel Regno dei cieli, poiché tu ne possiedi le chiavi. Quando ci gloriamo di essere le tue membra, o nostro Capo, possiamo considerarci come le membra di Gesù Cristo stesso, poiché il Capo invisibile della Chiesa non riconosce altre membra se non obbediamo ai suoi ordini, è la tua fede, o Pietro, che noi professiamo, sono i tuoi comandi che noi seguiamo; poiché se Cristo insegna e governa in te, tu insegni e governi nel Pontefice Romano. Siano dunque rese grazie all’Emmanuele che non ha voluto lasciarci orfani, ma prima di tornare in cielo si è degnato di assicurarci, fino alla consumazione dei secoli, un Padre e un Pastore. La vigilia della sua Passione, volendo amarci sino alla fine, ci lasciò il suo corpo per cibo e il suo sangue per bevanda. Dopo la sua gloriosa Resurrezione, sul punto di salire alla destra del Padre, mentre gli Apostoli erano riuniti intorno a lui, costituì la sua Chiesa come un immenso gregge, e disse a Pietro: Pasci le mie pecore, pasci i miei agnelli. – In tal modo, o Cristo, assicuravi la perpetuità di quella Chiesa; costituivi nel suo seno l’unità, la sola che potesse conservarla e difenderla dai nemici esterni ed interni. Gloria a te, o divino architetto, che hai fondato sulla Pietra solida il tuo immortale edificio! Hanno imperversato i venti, si sono scatenate le bufere, l’hanno percossa rabbiosamente i marosi, ma la casa é rimasta in piedi, poiché era fondata sulla roccia (Mt. VII, 25). – O Roma, in questo giorno in cui tutta la Chiesa proclama la tua gloria e si rallegra di essere fondata sulla tua Pietra, ricevi le nuove promesse del nostro amore, i nuovi giuramenti della nostra fedeltà. – Tu sarai sempre la nostra Madre e la nostra Maestra, la nostra guida e la nostra speranza. La tua fede sarà per sempre la nostra, poiché chiunque non é con te, non è neanche con Gesù Cristo. In te tutti gli uomini sono fratelli, e non sei per noi una città straniera, né il tuo Pontefice un sovrano straniero. Noi viviamo per te della vita del cuore e dell’intelligenza; e tu ci prepari ad abitare un giorno quell’altra città di cui sei l’immagine, la città celeste di cui costituisci l’ingresso. – Benedici, o Principe degli Apostoli, le pecore affidate alla tua custodia, ma ricordati, di quelle che sono sventuratamente uscite dall’ovile. Lontano da te, popoli interi che tu avevi nobilitati e civilizzati per mezzo dei tuoi successori, languiscono e non sentono ancora l’infelicità di essere lontani dal Pastore. Lo scisma raffredda e corrompe gli uni; l’eresia divora gli altri. Senza Cristo visibile nel suo Vicario, il Cristianesimo diventa sterile e a poco a poco svanisce. Le audaci dottrine che tendono a diminuire l’insieme dei doni che il Signore ha elargiti a colui che deve farne le veci fino al giorno dell’eternità, hanno per troppo tempo inaridito i cuori di quelli che le professavano; troppo spesso esse li hanno portati a sostituire il culto di Cesare al servizio di Pietro. Guarisci tutti questi mali, o Pastore supremo! – Accelera il ritorno delle genti separate; affretta la caduta dell’eresia del xvi secolo; apri le braccia alla tua figlia, la Chiesa d’Inghilterra, e che essa rifiorisca come negli antichi giorni. Scuoti sempre più la Germania e i regni del Nord, e che tutti quei popoli si accorgano che non vi è più salvezza per la fede se non all’ombra della tua Cattedra. Rovescia il mostruoso colosso del Settentrione, che pesa insieme sull’Europa e sull’Asia, e scardina dovunque la vera religione del tuo Maestro. Richiama l’Oriente alla sua antica fedeltà, e che esso riveda dopo così lunga eclisse, le sue Sedi Patriarcali risorgere nell’unità della sottomissione all’unica Sede Apostolica. – E infine mantieni noi che, per divina misericordia e per effetto della tua paterna tenerezza, siamo rimasti fedeli, nella fede Romana, nell’obbedienza al tuo successore. Istruiscici nei misteri che ti sono affidati; rivelaci ciò che il Padre celeste ha rivelato a te stesso. Mostraci Gesù, tuo Maestro; guidaci alla sua culla, affinché dietro il tuo esempio, e senza essere scandalizzati dai suoi abbassamenti, abbiamo la fortuna di dirgli come te: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente!

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Questo è pertanto un giorno straordinario di preghiera per il nostro Santo Padre in esilio, S. S. Gregorio XVIII, eletto dopo Gregorio XVII, cardinal Siri, unico e legittimo successore di Pietro, al quale dobbiamo tutto il nostro amore ed il supporto spirituale che la sua difficile situazione richiede. Per noi cattolici romani, questo è un obbligo di primaria importanza e fondamentale nell’economia della nostra salvezza perché, come Dom Guèranger ricordava, l’accesso al regno dei cieli passa necessariamente attraverso l’adesione fedele ed obbediente a Pietro, che solo ne permette l’ingresso, perché solo a lui il Cristo-Dio ha dato le chiavi che aprono le porte del Regno della eterna felicità. È Pietro che ci introdurrà nel Regno dei cieli! Beato sia Pietro, il Principe degli Apostoli.