IL FEENEYSMO

S. Alfonso, martello degli eretici

Dopo circa duemila anni, come se non bastassero tutte le bestialità di eretici e settari catalogate in una lunga lista di errori che hanno gangrenato la Chiesa, si è aggiunta alla predetta lista, di recente, una nuova eresia. Nel bel mezzo del XX secolo, durante il pontificato di Pio XII, il prete gesuita Leonard Feeney si è spinto a negare il Battesimo di sangue ed il Battesimo di desiderio. Questo punto della dottrina era per lui una libera interpretazione del dogma: “Fuori dalla Chiesa Cattolica non c’è salvezza”. Così secondo il padre Feeney, solo il Battesimo con acqua permette la salvezza dell’anima. La Chiesa Cattolica ha invece sempre insegnato ed applicato il Battesimo di desiderio e di sangue. Essa ha onorato in diverse occasioni i martiri che non avevano ricevuto il Battesimo con acqua. A titolo di esempio, quando essa ancora catecumena, san Emerenziana morì martirizzata nel IV secolo prima di essere canonizzata dalla Chiesa. Era stato dunque applicato il Battesimo di sangue. – Il Concilio di Trento, come il Catechismo di san Pio X, sono formali su questo dogma di fede. Il Codice di diritto canonico menziona che “il Battesimo è necessario, di fatto o almeno di desiderio, alla salvezza di tutti”. Nella Summa teologica [III, Q 66 art. 11] san Tommaso d’Aquino precisa sul soggetto del Battesimo di desiderio: “supponiamo ora un adulto che desidera il battesimo ed in pericolo di morte, che il prete non voglia battezzarlo senza denaro. Egli deve, se vuole, farsi battezzare da qualcun altro. Se questa possibilità non può realizzarsi, egli non deve assolutamente comprare col denaro il suo Battesimo, ma piuttosto morire senza averlo ricevuto. Il Battesimo di desiderio supplisce per lui al Sacramento che non può ricevere”. Il catechismo di San Pio X riprende la stessa tesi, infatti Papa San Pio X nel Catechismo della Chiesa cattolica scrive [III parte, n.545]: Q. Si può supplire in qualche modo alla mancanza del Battesimo? – R. Alla mancanza del Sacramento del Battesimo può supplire il martirio, che chiamasi Battesimo di sangue, o un atto di perfetto amor di Dio o di contrizione, che sia congiunto al desiderio almeno implicito del Battesimo, e questo si chiama Battesimo di desiderio. – Riferendosi al Concilio di Trento, san Alfonso Maria de’ Liguori scrive nella sua “Teologia morale”: “il Battesimo secondo l’etimologia greca significa abluzione o immersione nell’acqua, si distingue in battesimo di acqua, di fuoco (di desiderio), e di sangue (martirio). Più avanti tratteremo del battesimo di acqua; che molto probabilmente secondo san Tommaso, Salma, il maestro delle sentenze, Soto, Vasquez etc. fu istituito prima della Passione di Nostro Signore Gesù-Cristo, ai tempi in cui fu battezzato da San Giovanni. Ma il Battesimo di fuoco (di desiderio), è una perfetta conversione a Dio mediante la contrizione o l’amore di Dio sopra ogni altro con la voce esplicita o implicita del vero Battesimo d’acqua: questo dunque supplisce la forza, secondo il Concilio di Trento, quanto alla remissione del peccato, ma non quanto all’impressione del carattere, né quanto alla soppressione di tutta la pena del peccato. È detto “di fuoco” perché giunge per impulso dello Spirito-Santo, che è rappresentato da una fiamma.”. – Nel suo Catechismo di Perseveranza, monsignor Gaume è molto chiaro su questa questione: “Si distinguono tre tipi di Battesimo : il Battesimo di acqua, è il Sacramento del Battesimo, il Battesimo di sangue, è il martirio, il Battesimo di fuoco, è il desiderio di ricevere il Battesimo. Il secondo ed il terzo non sono dei sacramenti, ma essi suppliscono al Battesimo quando non è possibile riceverlo”. Una spiegazione simile è data nel “Catéchisme expliqué par monseigneur Cauly”: “Benché così rigorosa sia la legge del Battesimo d’acqua, questo Sacramento può essere supplito, per gli adulti, in due modi. Con la carità perfetta, che si chiama pure Battesimo di fuoco o di desiderio, e con il martirio, che si chiama talvolta il Battesimo di sangue”. Infine l’abate Francesco Spirago nel “Catechismo Cattolico Popolare” conclude: “Quando il Battesimo di acqua è impossibile, esso può essere supplito dal desiderio del Battesimo o dal martirio per Gesù-Cristo. Valentiniano II si era messo in cammino per andare a Milano a ricevere il battesimo, ma fu assassinato lungo la strada, e Sant’Ambrogio disse in questa occasione: “il suo desiderio del Battesimo, lo ha purificato”. Note sono pure le parole di S. Agostino: «Che il martirio qualche volta faccia le veci del Battesimo lo sostiene validamente S. Cipriano prendendo argomento da quel ladro non battezzato a cui fu detto: “Oggi sarai con me nel Paradiso”.[De bapt. contra Donat. 4, 22]. Nel Codice canonico pio-benedettino del 1917, documento accluso e parte integrante dell’enciclica di S. S. Benedetto XV: “Providentissima Mater”, e quindi da considerarsi senza alcun dubbio Magistero infallibile, il canone 1239, nello stabilire a chi debba essere concessa o negata la sepoltura ecclesiastica, afferma: “Non si ammetterà alla sepoltura ecclesiastica chi non è battezzato. .. I catecumeni sono ammessi, se ancora non battezzati senza loro colpa … – Potremmo ancora moltiplicare le fonti che approvano il Battesimo di desiderio e di sangue che suppliscono il Battesimo di acqua. Essi attestano una continuità e non una qualunque novità nell’insegnamento della Chiesa. Comunque il padre Leonard Feeney, che riteneva che Santi canonizzati, Pontefici e Concilii vari, fossero tutti in errore, mentre egli solo, ovviamente, possedeva la verità, rimase irremovibile; persistendo nell’errore questo americano di origine irlandese fu convocato dalla Chiesa romana. Non essendosi presentato alla convocazione, fu scomunicato nel 1953. La tesi del pr. Feeney è oggi ripresa dai fratelli Dimond del C.M.R.I. e della linea Thuc, i cui discepoli si considerano pure sedevacantisti [altra grave eresia]. Oltre il Battesimo del sangue e di desiderio, aderire a questa tesi eretica, significa pure rimettere in questione l’Infallibilità del Magistero della Chiesa, poiché il Concilio di Trento ed il catechismo di san Pio X sono considerati fallibili, così come il Codice canonico del 1917. Secondo questo ragionamento, la Chiesa Cattolica non sarebbe dunque di natura divina [come si vede la Congregazione Feeneysta del CMRI, della quale fanno parte pure dei finti sacrileghi vescovi senza giurisdizione e altrettanto finti sacerdoti senza alcuna missione canonica, quindi sacrileghi e “lupi vestiti da agnelli”, proclama una robusta serie di stravaganti eresie e, pur affermando che “fuori dalla Chiesa Cattolica non c’è salvezza”, si pone lontanissima dall’atrio della Chiesa Cattolica … beata incoerenza, essi sanno bene che fuori dalla Chiesa Cattolica non c’è salvezza, eppure non vi entrano loro, né fanno entrare quegli sventurati che li seguono]. Si realizza la profezia del Principe degli Apostoli: “Ci sono stati anche falsi profeti tra il popolo, come pure ci saranno in mezzo a voi falsi maestri che introdurranno eresie perniciose, rinnegando il Signore che li ha riscattati e attirandosi una pronta rovina. Molti seguiranno le loro dissolutezze e per colpa loro la via della verità sarà coperta di impropèri. Nella loro cupidigia vi sfrutteranno con parole false; ma la loro condanna è già da tempo all’opera e la loro rovina è in agguato. [2 Piet. II, 1-3]

CATTEDRA DI S. PIETRO

22 FEBBRAIO

CATTEDRA DI S. PIETRO IN ANTIOCHIA

Festa della Cattedra di Antiochia.

[Dom Guéranger: l’Anno Liturgico, vol I]

 

Per la seconda volta la santa Chiesa festeggia la cattedra di Pietro; ma oggi, siamo invitati a venerare non più il suo Pontificato in Roma, ma il suo Episcopato ad Antiochia. La permanenza del Principe degli Apostoli in quest’ultima città fu per essa la più grande gloria che conobbe dalla sua fondazione; pertanto, questo periodo occupa un posto tanto rilevante nella vita di S. Pietro da meritare d’essere celebrato dai cristiani.

Cristianesimo ad Antiochia.

Cornelio aveva ricevuto il battesimo a Cesarea dalle mani di Pietro, e l’ingresso di questo Romano nella Chiesa preannunciava il momento in cui il Cristianesimo doveva estendersi oltre la popolazione giudaica. Alcuni discepoli, i cui nomi non ci furono tramandati da Luca, fecero un tentativo di predicazione in Antiochia, ed il successo che ne riportarono indusse gli Apostoli ad inviarvi Barnaba. Giunto questi colà, non tardò ad associarsi un altro giudeo convertito da pochi anni e conosciuto ancora col nome di Saulo, che, più tardi, cambierà il suo nome con quello di Paolo e diventerà oltremodo glorioso in tutta la Chiesa. La parola di questi due uomini apostolici suscitò nuovi proseliti in seno alla gentilità, ed era facileprevedere che ben presto il centro della religione di Cristo non sarebbe stato più Gerusalemme, ma Antiochia. Così il Vangelo passava ai gentili e abbandonava l’ingrata città che non aveva conosciuto il tempo della sua visita (Lc. XIX, 44).

Pietro ad Antiochia.

La voce dell’intera tradizione c’informa che Pietro trasferì la sua residenza in questa terza città dell’Impero romano, quando la fede di Cristo cominciò ad avere quel magnifico sviluppo che abbiamo qui sopra ricordato. Tale mutamento di luogo e lo spostamento della Cattedra primaziale stanno a dimostrare che la Chiesa s’avanzava nei suoi destini e lasciava l’augusta cinta di Sion, per avviarsi verso l’intera umanità. – Sappiamo dal Papa S. Innocenzo I ch’ebbe luogo in Antiochia una riunione degli Apostoli. Ormai il vento dello Spirito Santo spingeva verso la gentilità le sue nubi sotto il cui emblema Isaia raffigura gli Apostoli (Is. LX, 8). S. Innocenzo, alla cui testimonianza si unisce quella di Vigilio, vescovo di Tarso, osserva che si deve riferire al tempo di questa riunione di S. Pietro e degli Apostoli ad Antiochia, quanto S. Luca scrive negli atti, là dove afferma che alle numerose conversioni di gentili, si incominciò a chiamare i discepoli di Cristo con l’appellativo, di Cristiani.

Le tre Cattedre di S. Pietro.

Dunque Antiochia è diventata la sede di Pietro, nella quale egli risiede, e dalla quale partirà per evangelizzare le diverse province dell’Asia; qui farà ritorno per ultimare la fondazione di questa nobile Chiesa. Sembrava che Alessandria, la seconda città dell’impero, volesse rivendicare a sé l’onore della sede del primato, quando piegò la testa sotto il gioco di Cristo. Ma ormai Roma, da tempo predestinata dalla divina Provvidenza a dominare il mondo, ne avrà maggior diritto. Pietro allora si metterà in cammino, portando nella sua persona i destini della Chiesa; si fermerà a Roma, ove morirà e lascerà la sua successione. Nell’ora segnata, si distaccherà da Antiochia e stabilirà vescovo Evodio, suo discepolo. Questi, quale successore di Pietro, sarà Vescovo di Antiochia; ma la sua Chiesa non eredita il primato che Pietro porta con sè. Il principe degli Apostoli designa Marco, suo discepolo, a prender in suo nome possesso di Alessandria; la quale sarà la seconda Chiesa dell’universo e precederà la stessa sede di Antiochia, per volontà di Pietro, che però non ne occupò mai personalmente la sede. Egli è diretto a Roma: ivi finalmente, fisserà la Cattedra sulla quale vivrà, insegnerà e governerà nei suoi successori. – Questa l’origine delle tre grandi Cattedre Patriarcali così venerate anticamente: la prima, Roma, investita della pienezza dei diritti del principe degli Apostoli, che gliele trasmise morendo; la seconda, Alessandria, che deve la sua preminenza alla distinzione di cui volle insignirla Pietro adottandola per sua seconda sede; la terza, Antiochia, sulla quale si assise di persona, allorché, rinunciando a Gerusalemme, volle portare alla Gentilità le grazie dell’adozione. – Se dunque Antiochia cede in superiorità ad Alessandria, quest’ultima le è inferiore rispetto all’onore d’aver posseduta la persona di colui che Cristo aveva investito dell’ufficio di Pastore supremo. E’ dunque giusto che la Chiesa onori Antiochia per aver avuto la gloria d’essere temporaneamente il centro della cristianità: è questo il significato della festa che oggi celebriamo (i).

Doveri verso la Cattedra di S. Pietro.

Le solennità che si riferiscono a S. Pietro devono interessare in modo speciale i figli della Chiesa. La festa del padre è sempre quella dell’intera famiglia, perché da lui viene la vita e l’essere. Se ‘è un solo gregge, è perché esiste un solo Pastore. Onoriamo perciò la divina prerogativa di Pietro, alla quale il Cristianesimo deve la sua conservazione; riconosciamo gli obblighi che abbiamo verso la Sede Apostolica. Il giorno che celebravamo la Cattedra Romana, apprendemmo come viene insegnata, conservata e propagata la Fede dalla Chiesa Madre nella quale risiedono le promesse fatte a Pietro. Onoriamo oggi la Sede Apostolica, quale unica sorgente del legittimo potere, mediante il quale vengono retti e governati i popoli in ordine alla salvezza eterna.

Poteri di Pietro.

Il Salvatore disse a Pietro: « Io ti darò le Chiavi del Regno dei cieli » (Mt. XVI, 19), cioè della Chiesa; ed ancora: « Pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle» (Gv. XXI, 15-17). Pietro dunque è principe, perché le Chiavi, nella Sacra Scrittura, significano il principato; e Pastore, Pastore universale, perché non vi sono in seno al gregge che pecore ed agnelli. Ma ecco che, per divina bontà, in ogni parte incontriamo Pastori: i Vescovi, « posti dallo Spirito Santo a reggere la Chiesa di Dio » (Atti XX, 28), che in suo nome governano le cristianità, e sono anch’essi Pastori. Come mai le Chiavi, che sono eredità di Pietro, si trovano in altre mani, che non sono le sue? La Chiesa cattolica ce ne spiega il mistero nei documenti della sua Tradizione. (1) Facemmo osservare il 18 gennaio che, secondo l’antica tradizione romana, conservata inalterata sino al XVI secolo, oggi si celebrava la festa della Cattedra romana di S. Pietro, senza il menomo cenno di Antiochia, perché ci si limitava a venerare la Cattedra vaticana, simbolo del primato universale di S. Pietro e dei suoi successori. Le Chiese delle Gallie, escludendo qualsiasi solennità in Quaresima, avevano trasferita tale festa al 18 gennaio. Da tre secoli a questa parte, fu la pietà verso il Principe degli Apostoli che suggerì di estendere gli onori dovuti alla sua parola anche alla Cattedra di Antiochia. – Ecco Tertulliano affermare che « il Signore diede le Chiavi a Pietro, e per mezzo suo alla Chiesa » (Scorpiaco, c. 10); S. Ottato di Milevi, aggiungere che, « per il bene dell’unità, Pietro fu preferito agli altri Apostoli, e, solo, ricevette le Chiavi del Regno dei cieli per trasmetterle agli altri » (Contro Parminiano, 1. 8); S. Gregorio Nisseno, dichiarare che « per mezzo di Pietro, Cristo comunicò ai Vescovi le Chiavi della loro celeste prerogativa» (Opp., t. 3); e infine S. Leone Magno, precisare che « il Salvatore diede per mezzo di Pietro agli altri prìncipi della Chiesa tutto ciò che ha creduto opportuno di comunicare » (Nell’anno della sua elevazione al Sommo Pontificato, Discorso 4, P. L., 54, c. 150).

Poteri dei Vescovi.

Quindi l’Episcopato rimarrà sempre sacro, perché si ricollega a Gesù Cristo per mezzo di Pietro e dei suoi successori; ed è ciò che la Tradizione cattolica ha sempre affermato nella maniera più imponente, plaudendo al linguaggio dei Pontefici Romani, che non hanno mai cessato di dichiarare, sin dai primi secoli, che la dignità dei Vescovi era quella di compartecipare alla propria sollecitudine, “in partem sollicitudinis vocatos”. Per tale ragione S. Cipriano non ebbe difficoltà d’affermare che, « volendo il Signore stabilire la dignità episcopale e costituire la sua Chiesa, disse a Pietro: Io ti darò le Chiavi del Regno dei cieli; e da ciò deriva l’istituzione dei Vescovi e la costituzione della Chiesa » (Lettera 33). – La stessa cosa ripete, dopo il vescovo di Cartagine, S. Cesario d’Arles, nelle Gallie, nel V secolo, quando scrive al Papa S. Simmaco: « Poiché l’Episcopato attinge la sua sorgente nella persona del beato Pietro Apostolo, ne consegue necessariamente che tocca a Vostra Santità prescrivere alle diverse Chiese le norme alle quali esse si devono conformare » (Lettera 10). Questa fondamentale dottrina, che S. Leone Magno espresse con tanta autorità ed eloquenza, e che in altre parole è la stessa che abbiamo ora esposta mediante la Tradizione, la vediamo imposta a tutte le Chiese, prima di S. Leone, nelle magnifiche Epistole di S. Innocenzo I arrivate fino a noi. In questo senso egli scrive al concilio di Cartagine che « l’Episcopato ed ogni sua autorità emanano dalla Sede Apostolica » {Ibid. 29) ; al concilio di Milevi che « i Vescovi devono considerare Pietro come la sorgente del loro appellativo e della loro dignità » {Ibid. 30) ; a San Vitricio, Vescovo di Rouen, che « l’Apostolato e l’Episcopato traggono da Pietro la loro origine » (Ibid. 2). – Non abbiamo qui l’intenzione di fare un trattato polemico; il nostro scopo, nel presentare i magnifici titoli della Cattedra di Pietro, non è altro che quello di alimentare nel cuore dei fedeli quella venerazione e devozione da cui devono essere animati verso di lei. Ma è necessario ch’essi conoscano la sorgente dell’autorità spirituale, che nei diversi gradi di gerarchia li regge e li santifica. Tutto passa da Pietro, tutto deriva dal Romano Pontefice, nel quale Pietro si perpetuerà fino alla consumazione dei secoli. Gesù Cristo è il principio dell’Episcopato,lo Spirito Santo stabilisce i Vescovi, ma la missione, l’istituzione che assegna al Pastore il suo gregge ed al gregge il proprio Pastore, Gesù Cristo e lo Spirito Santo le comunicano attraverso il ministero di Pietro e dei suoi successori.

Trasmissione del potere delle Chiavi.

Com’è sacra e divina questa autorità delle Chiavi, che, discendendo dal cielo nel Romano Pontefice, da lui, attraverso i Prelati della Chiesa, scende su tutta la società cristiana ch’egli deve reggere e santificare! Il modo di trasmissione attraverso la Sede Apostolica ha potuto variare secondo i secoli; ma mai alcun potere fu emanato se non dalla Cattedra di Pietro. A principio vi furono tre Cattedre: Roma, Alessandria, Antiochia; tutte e tre, sorgenti dell’istituzione canonica per i Vescovi che le riguardano; ma tutte e tre considerate altrettante Cattedre di Pietro da lui fondate per presiedere, come insegnano S. Leone (Lettera 104 ad Anatolio), S. Gelasio (Concilio Romano, Labbe, t. 4) e S. Gregorio Magno (Lettera ad Eulogio). Ma, delle tre Cattedre, il Pontefice che sedeva sulla prima aveva ricevuto dal cielo la sua istituzione, mentre gli altri due Patriarchi non esercitavano la loro potestà se non perché riconosciuti e confermati da chi era succeduto a Roma sulla Cattedra di Pietro. Più tardi, a queste prime tre, si vollero aggiungere due nuove Sedi: Costantinopoli e Gerusalemme; ma non arrivarono a tale onore, se non col beneplacito del Romano Pontefice. Inoltre, affinché gli uomini non corressero pericolo di confondere le accidentali distinzioni di cui furono ornate quelle diverse Chiese, con la prerogativa della Chiesa Romana, Dio permise che le Sedi d’Alessandria, d’Antiochia, di Costantinopoli e di Gerusalemme fossero contaminate dall’eresia; e che divenute altrettante Cattedre di errore, dal momento che avevano alterata la fede trasmessa loro da Roma con la vita, cessassero di tramandare la legittima missione. Ad una ad una, i nostri padri videro cadere quelle antiche colonne, che la mano paterna di Pietro aveva elevate; ma la loro rovina ancora più solennemente attesta quanto sia solido l’edificio che la mano di Cristo fondò su Pietro. – D’allora, il mistero dell’unità s’è rivelato in una luce più grande; e Roma, avocando a sé i favori riversati sulle Chiese che avevano tradita la Madre comune, apparve con più chiara evidenza l’unico principio del potere pastorale.

Doveri di rispetto e sudditanza.

Spetta dunque a noi, sacerdoti e fedeli, ricercare la sorgente dalla quale i nostri pastori attinsero i poteri, e la mano che trasmise loro le Chiavi. Emana la loro missione dalla Sede Apostolica ? Se è così, essi vengono da parte di Gesù Cristo, che, per mezzo di Pietro, affidò loro la sua autorità, e quindi dobbiamo onorarli ed esser loro soggetti. – Se invece si mostrano a noi senza essere investiti del Mandato del Romano Pontefice, non seguiamoli, ché Cristo non li riconosce. Anche se rivestono il sacro carattere conferito dall’unzione episcopale, non rientrano affatto nell’Ordine Pastorale; e le pecore fedeli se ne devono allontanare.Infatti, il divino Fondatore della Chiesa non si contentò d’assegnarle la visibilità come nota essenziale, perché fosse una Città edificata sul monte (Mt. V, 14) e colpisse chiunque la guardasse; Egli volle pure che il potere divino esercitato dai Pastori derivasse da una visibile sorgente, affinché ogni fedele potesse verificare le attribuzioni di coloro che a lui si presentano a reclamare la propria anima in nome di Gesù Cristo. Il Signore non poteva comportarsi diversamente verso di noi, poiché, dopo tutto, nel giorno del giudizio Egli esigerà che siamo stati membri della sua Chiesa e che abbiamo vissuto, nei suoi rapporti, mediante il ministero dei suoi Pastori legittimi. Onore, perciò, e sottomissione a Cristo nel suo Vicario; onore e sottomissione al Vicario di Cristo nei Pastori che manda.

Elogio.

Gloria a te, o Principe degli Apostoli, sulla Cattedra di Antiochia, dall’alto della quale presiedesti ai destini della Chiesa universale! Come sono splendide le tappe del tuo Apostolato! Gerusalemme, Antiochia, Alessandria nella persona di Marco tuo discepolo, e finalmente Roma nella tua stessa persona; ecco le città che onorasti con la tua augusta Cattedra. Dopo Roma, non vi fu città alcuna che ti ebbe per sì lungo tempo come Antiochia ; è dunque giusto che rendiamo onore a quella Chiesa che, per tuo mezzo fu un tempo madre e maestra delle altre. Ahimè! oggi essa ha perduto la sua bellezza, la fede è scomparsa nel suo seno, e il giogo del Saraceno pesa su di lei. Salvala, o Pietro, e reggila ancora; assoggettala alla Cattedra di Roma, sulla quale ti sei assiso, non per un limitato numero di anni, ma fino alla consumazione dei secoli. Immutabile roccia della Chiesa, le tempeste si sono scatenate contro di te, e più d’una volta abbiamo visto coi nostri occhi la Cattedra immortale essere momentaneamente trasferita lontano da Roma [come pure è attualmente in esilio . ndr. -]. Ci ricordavamo allora della bella espressione di S. Ambrogio: Dov’è Pietro, ivi è la Chiesa, e i nostri cuori non si turbarono; perchè sappiamo che fu per ispirazione divina che Pietro scelse Roma come il luogo dove la sua Cattedra poggerà per sempre. Nessuna volontà umana potrà mai separare ciò che Dio legò; il Vescovo di Roma sarà sempre il Vicario di Gesù Cristo e il Vicario di Gesù Cristo, sebbene esiliato [come è oggi appunto – ndr. – ] dalla sacrilega violenza dei persecutori, rimarrà sempre il Vescovo di Roma.

Preghiera.

Calma le tempeste, o Pietro, affinché i deboli non ne siano scossi; ottieni dal Signore che la residenza del tuo successore non venga mai interrotta nella città che tu eleggesti ed innalzasti a tanti onori. – Se gli abitanti di questa città regina hanno meritato d’essere castigati perché dimentichi di ciò che ti devono, risparmiali per riguardo dell’universo cattolico, e fa’ che la loro fede, come al tempo in cui Paolo tuo fratello indirizzava la sua Epistola, torni ad essere famosa in tutto il mondò (Rom. I, 8).

#    #    #

Rileggendo questo notevole scritto di dom Guéranger si possono chiarire e comprendere meglio tante cose che riguardano i nostri tempi circa l’importanza della figura del Pontefice romano, oggi tanto bistrattata dagli eretici “falsi tradizionalisti” sedevacantisti, e dagli “adepti della setta modernista” guidata dagli antipapi marrani che dal 1958 occupano indegnamente e fraudolentemente la gloriosa Cattedra di Pietro. Soprattutto significativo, e fondamentale per la salvezza dell’anima, è il passaggio ove precisa: “Se invece si mostrano a noi senza essere investiti del Mandato del Romano Pontefice, non seguiamoli, ché Cristo non li riconosce. Ma, come da promessa evangelica e da infallibile Magistero ecclesiastico, il successore di Pietro [quello vero] c’è, anche se non a Roma, e si avvia a compiere [il 3 maggio] il suo 26° anno di Pontificato, uno dei più lunghi della storia della Chiesa, dopo S. Pietro, Pio IX e Gregorio XVII. Lunga vita al nostro Santo Padre, GREGORIO XVIII, con la speranza che possa nuovamente occupare, e quanto prima, la Cattedra usurpata, … o almeno il suo prossimo successore …

Dal Divinum Officium:

I lett. di S. Pietro

Pietro, Apostolo di Gesù Cristo, ai fedeli esuli sparsi per il Ponto, per la Galizia, la Cappadocia, l’Asia e Bitinia, Eletti, secondo la prescienza di Dio Padre, ad essere santificati dallo Spirito, ad essere sudditi di Gesù Cristo, e ad essere aspersi dal suo sangue: Grazia e pace scendano in abbondanza su voi. Benedetto Dio, Padre di nostro Signor Gesù Cristo, che, nella sua grande misericordia, ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo da morte, alla viva speranza di possedere Una eredità incorruttibile, e incontaminata, e immarcescibile, riservata nei cieli per voi che dalla potenza di Dio siete custoditi, mediante la fede per la salvezza, che è pronta a manifestarsi colla fine del tempo. In questo (pensiero) voi esulterete, sia pure che dobbiate essere ora per poco afflitti da diverse prove: affinché la prova della vostra fede molto più preziosa dell’oro (che pur si prova col fuoco) torni a lode, a gloria e ad onore quando si manifesterà Gesù Cristo: che voi amate senza aver veduto: in cui anche adesso credete senza vederlo: e, credendo così, esulterete di gioia ineffabile e beata perché conseguirete il fine della vostra fede, la salvezza delle anime. 10 Salvezza che ricercarono e scrutarono i profeti, che predissero la grazia che voi dovevate ricevere; 11 E siccome essi indagavano il tempo e le circostanze che lo Spirito di Cristo, ch’era in essi, andava rivelando intorno alle sofferenze di Cristo e alle glorie susseguenti, 12 Che prediceva loro, fu ad essi rivelato che non per sé ma per voi essi erano dispensatori delle cose che ora vi sono state annunziate da quelli che vi hanno predicato il Vangelo, mercé lo Spirito Santo mandato dal cielo, e che gli Angeli bramano di contemplare.

Sermone di sant’Agostino Vescovo

Sermone 15 sui Santi

L’istituzione dell’odierna solennità ricevé dai nostri antenati il nome di Cattedra, perché è tradizione che Pietro, principe degli Apostoli, prendesse possesso quest’oggi della sua sede episcopale. I fedeli perciò, con ragione, celebrano l’origine di quella Sede onde l’Apostolo fu investito per la salute delle chiese con quelle parole del Signore: «Tu sei Pietro, e su questa pietra io edificherò la mia Chiesa» (Matth. XVI, 18). – Il Signore dunque ha chiamato Pietro il fondamento della Chiesa: ed è perciò che la Chiesa venera giustamente questo fondamento sul quale poggia tutto l’edificio ecclesiastico. Quindi ben a ragione si dice nel Salmo ch’è stato letto: «Lo esaltino nell’adunanza del popolo, e lo lodino nel consesso dei seniori» (Ps. 106, 32). Benedetto Dio, che prescrive d’esaltare il beato Pietro Apostolo nell’adunanza del fedeli; è giusto infatti che la Chiesa veneri questo fondamento per cui si sale al cielo. – Celebrando dunque quest’oggi l’origine della Cattedra, noi onoriamo il ministero sacerdotale. Le chiese si rendono questo mutuo onore, comprendendo esse che la Chiesa tanto più cresce in dignità, quanto più viene onorato il ministero sacerdotale. Avendo dunque una pia usanza introdotto giustamente nelle chiese questa solennità, mi meraviglio delle grandi proporzioni che ha preso oggi un pernicioso errore tutto pagano, di portare cioè sulle tombe dei defunti dei cibi e del vino, come se le anime, che hanno abbandonato i loro corpi, reclamassero questi cibi propri della carne.

Omelia di san Leone Papa

Sermone 3 nell’anniversario della sua elezione, dopo il principio

Il Signore domanda agli Apostoli, chi dicesse la gente ch’egli sia: e la loro risposta è comune finché essi esprimono l’incertezza dello spirito degli uomini. Ma appena interroga i discepoli sul proprio sentire, il primo in dignità fra gli Apostoli è il primo ancora a confessare il Signore. Ed avendo egli detto: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Matth. 16, 16); Gesù gli rispose: «Beato te, Simone, figlio di Giona, perché non te l’ha rivelato la natura e l’istinto, ma il Padre mio ch’è nei cieli» (Matth. 16, 17). Vale a dire: Perciò tu sei beato, perché te l’ha insegnato il Padre mio; non sei stato ingannato dall’opinione terrena, ma te l’ha dichiarato l’ispirazione celeste: e non la natura e l’istinto mi ti han fatto conoscere, ma colui del quale sono il Figlio unigenito. – «E io, continua, ti dico» (Matth. XVI, 18); cioè: Come il Padre mio ti ha manifestato la mia divinità, così io pure ti faccio conoscere la tua propria eccellenza. Perché tu sei Pietro: cioè: Mentre io sono la pietra inviolabile, la pietra angolare che di due (popoli) ne faccio uno, io il fondamento all’infuori del quale nessuno può porne altro; tuttavia anche tu sei pietra, essendo confermato dalla mia virtù, così che quanto m’appartiene di proprio, quanto al potere, ti sia comune per la mia partecipazione. «E su questa pietra io edificherò la mia Chiesa, e le porte dell’inferno non prevarranno contro di lei» (Matth. 1XVI 18): Su questa fortezza, dice, edificherò un tempio eterno; e la sublimità della mia Chiesa, che deve penetrare il cielo, si eleverà sulla fermezza di questa fede. – Le porte dell’inferno non impediranno mai questa confessione (di Pietro), né la legheranno punto le catene della morte; poiché questa parola è parola di vita. E come essa innalza al cielo i suoi confessori, così ne sommerge nell’inferno i negatori. Perciò dice al beatissimo Pietro: «Ti darò le chiavi del regno dei cieli: e qualunque cosa legherai sulla terra, sarà legata anche nei cieli; e qualunque cosa scioglierai sulla terra, sarà sciolta anche nei cieli» (Matth. 1XVI, 19). Certo, questo potere fu comunicato anche agli altri Apostoli, e questo decreto costitutivo riguarda egualmente tutti i principi della Chiesa; ma confidando questa prerogativa, non senza motivo il Signore s’indirizza a uno solo, benché parli a tutti. Essa è affidata particolarmente a Pietro, perché Pietro è stabilito capo di tutti i pastori della Chiesa. Il privilegio dunque di Pietro sussiste in ogni giudizio portato in virtù della sua legittima autorità. E non c’è eccesso né di severità né di indulgenza, dove non si lega né si scioglie se non ciò che il beato Pietro avrà sciolto o legato.

 

Hymnus

“Beate Pastor, Petre, clemens accipe Voces precantum, criminumque vincula Verbo resolve, cui potestas tradita Aperire terris caelum, apertum claudere. Sit Trinitati sempiterna gloria, Honor, potestas, atque jubilatio, In unitate, quae gubernat omnia, Per universa aeternitatis sæcula. Amen.”

[Beato Pietro Pastore, accogli clemente le voci dei supplicanti, e spezza con una parola le catene dei peccati, tu cui fu dato il potere di aprire il cielo alla terra, e di chiuderlo se aperto. Alla Trinità sia sempiterna gloria, onore, potere e giubilo, la quale nella (sua) unità governa ogni cosa, per tutti i secoli eterni. Amen.]

Hymnus [ai Vespri]

Quodcumque in orbe nexibus revinxeris, Erit revinctum, Petre, in arce siderum: Et quod resolvit hic potestas tradita, Erit solutum caeli in alto vertice; In fine mundi judicabis sæculum. Patri perenne sit per ævum gloria, Tibique laudes concinamus inclytas, Aeterne Nate, sit superne Spiritus, Honor tibi, decusque: sancta jugiter Laudetur omne Trinitas per sæculum. Amen.”

[Tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato, o Pietro, nella rocca celeste: e tutto ciò che scioglierà quaggiù il potere concessoti, sarà sciolto nelle altezze del cielo: alla fine del mondo tu giudicherai il secolo. Al Padre eterno sia perenne gloria; e a te, Figlio eterno, noi cantiamo insigni lodi; a te, Spirito Santo, sia onore e splendore: la santa Trinità sia ognor lodata per tutti i secoli Amen.]

… et super hanc petram ædificabo Ecclesiam meam, et portæ inferi non prævalebunt adversus eam

I PROTESTANTI, “FRATELLI” [di loggia?] DEGLI APOSTATI MODERNISTI

I PROTESTANTI, “FRATELLI” [di loggia?] DEGLI APOSTATI MODERNISTI

Un tempo nemmeno troppo lontano, venivano chiamati eretici e scismatici. Oggi i modernisti li chiamano “fratelli separati”, e dicono che hanno in comune con loro l’eredità spirituale. A pensarci bene è proprio vero, perché questa eredità a ben vedere, è il … satanismo! Ecco qui, brevemente tratteggiati da par suo dall’Abate J. J. Gaume, i figuri che i più accesi tra i modernisti vorrebbero addirittura canonizzare, … d’altra parte che c’è di strano, visto che ne hanno già falsamente canonizzati diversi ancor peggiori di questi! Il bianco burattino ultramodernista del b’nai b’rith è corso già ad osannare, a prostrarsi, a partecipare ai festeggiamenti del V centenario dell’istituzione turpe, blasfema ed apostatica del luteranesimo. Ma si sa, il patrimonio spirituale oramai è il medesimo: il satanismo di matrice massonica!

Protestanti

[J.J- GAUME: Catechismo di Perseveranza, Vol. 3 – Torino tip. G. Speirani e f., 1881]

Noi siamo sul punto di assistere al più grande combattimento che siasi dato alla Chiesa nostra madre dall’Arianesimo in poi; nel corso del sedicesimo secolo sembra che l’inferno abbia schierato tutte le sue forze. Quattro giganteschi settari si presentano con lo stendardo alla mano della rivolta. Non attaccano essi più un domma, un sacramento, una pratica particolare della Religione, ma l’autorità medesima della Chiesa, base del domma e della morale. Il loro grido di guerra sono quelle parole diaboliche che rovinarono la stirpe umana: Spezzate il giogo dell’autorità e diventerete come Dei. E gl’ingrati popoli si credettero abbastanza forti, abbastanza illuminati per bastare a se stessi, e accorsero in folla sotto le bandiere della ribellione, e assalirono con furore quell’antica Chiesa, alla quale erano debitori della educazione, della libertà, de’ costumi, delle leggi, della civiltà, della superiorità e perfino dell’esistenza. – Alcuni abusi veri o supposti servirono di pretesto alla loro defezione: ma non era questa la vera cagione; l’orgoglio umano era intollerante del freno dell’autorità, e si ribellò. Fu questa l’origine del Protestantesimo: lo indica abbastanza lo stesso nome. Il cristianesimo, al suo nascere, aveva dovuto sostenere la ribellione della forza materiale, personificata negli imperatori romani: sei secoli dopo dovette sostenere la ribellione de’ sensi, personificata in Maometto; mille anni dopo ei doveva sostenere la ribellione dell’orgoglio, personificato in Lutero. Quindi l’ambizione, la voluttà, l’orgoglio furono in tutte le epoche i tre nemici del Cristianesimo, e tali saranno eternamente. Or è d’uopo conoscere i campioni dell’orgoglio sedizioso, cioè del protestantismo: son essi ben degni della causa che difendono!

Lutero.

Lutero nacque in Germania nel 1484. Essendo stato un suo compagno ucciso dal fulmine mentre passeggiavano insieme, ei rimase talmente colpito da tale sinistro che si fece Agostiniano. Quivi nel leggere gli scritti dell’eretico Giovanni Hus, concepì un odio implacabile contro la Chiesa Romana; e ardente, impetuoso, orgoglioso esalò ben presto la bile ed il veleno in alcune tesi sostenute nel 1516. Avendo il Pontefice Leone X fatta pubblicare una indulgenza a favore di coloro che contribuivano all’ultimazione della chiesa di san Pietro di Roma, Lutero si levò la maschera e attaccò le indulgenze, poi la libertà dell’uomo, quindi la confessione, in seguito il primato del Papa, e per ultimo i voti monastici. Il Sommo Pontefice condannò i costui errori con Bolla del 1520: ma per risposta il frate apostata la fece ardere pubblicamente a Wittemberga. – Allora egli pubblicò il suo libro Della schiavitù di Babilonia. Dopo aver confessato ch’ei si pente di essere stato sì moderato, ammenda il proprio fallo con tutte le ingiurie che il delirio più avventato può somministrare a un eretico. Egli esorta i principi a scuotere il giogo del Papismo, e abolisce ad un tratto quattro sacramenti. E siccome questi audaci tentativi eccitavano vivi reclami, Lutero, per darsi una sembianza di ragione, prese a giudice la facoltà di teologia di Parigi, di cui aveva sempre venerato la profonda dottrina. La facoltà lo condannò ad una voce, onde il monaco eretico entrò in furore, e vomitò contro di lei le ingiurie le più grossolane. – Contemporaneamente Enrico VIII re d’Inghilterra pubblicò contro di lui un’opera che dedicò al Pontefice Leone X. Quello scritto fruttò al monarca inglese il titolo di « Difensore della fede » che i suoi successori hanno conservato e impresso su le loro monete. Lutero furioso ebbe ricorso alle ingiurie, sua ordinaria risposta. Eccovi un saggio delle leggiadrie e delle lepidezze che uscivano dalla sua penna : « io non so se la follia stessa, egli diceva, può essere così insensata quanto la mente del povero Enrico: oh! quanto volentieri coprirei quella inglese maestà di fango e di sozzure, e ne avrei ben diritto: venite a me, Ser Enrico, ed io v’ammaestrerò 1 ». [“Veniatis, Domine Henrice, ego docebo vos.”]. Al qual proposito Erasmo non ha potuto a meno di osservare, che Lutero avrebbe almeno dovuto parlar latino, e non aggiungere i solecismi alle villanie. Ritirato in un castello, sotto la protezione di Federico, Elettore di Sassonia, l’ardente apostata scriveva tutte le stravaganze che gli passavano per la testa. Fra le altre cose ei disse di avere avuto un colloquio col diavolo, e avergli questo manifestato che se voleva salvarsi doveva abolire tutte le messe non solenni, ed egli infatti scrisse contro le medesime. Tuttavia per Lutero diveniva, a lungo andare, troppo angusto il castello in cui dimorava; quindi percorse la Germania, e per avere più seguaci dispensò i sacerdoti, i monaci e le monache dal voto di castità, e ciò in un’opera, in cui la modestia è offesa in mille maniere. Dopo aver fatto un appello alla impudicizia, ei ne fece uno all’avarizia, e quindi pubblicò nel 1522 un’opera intitolata, Trattato del fisco comune. In essa invitava i regnanti ad impossessarsi delle rendite di tutti i monasteri, abbazie, vescovadi, e in generale di tutti i benefizi ecclesiastici. L’esca del guadagno produsse a Lutero più proseliti che non i suoi scritti; e il suo partito s’impinguò ben presto di quanti vi avevano uomini incontinenti e principi ambiziosi, estendendosi in gran parte della Germania. – Il predicatore del nuovo Vangelo lasciò in quel tempo l’abito agostiniano, e l’anno di poi, cioè 1525, sposò una monaca che aveva fatto uscire dal suo convento; e poco dopo diede al mondo cristiano uno spettacolo anche più strano, permettendo pubblicamente a Filippo, Landgravio di Assia, di prendere due mogli. – L’imperatore Carlo V, dolente di quegli scandalosi eccessi, convocò una Dieta o assemblea di principi Tedeschi a Spira nel 1529. Da essa i Luterani presero il nome di Protestanti per aver protestato contro i l decreto della Dieta, che ordinava dovessero attenersi alla religione della Chiesa cattolica. – Lutero non ne fu che maggiormente irritato. Ogni anno pubblicava un nuovo libello contro il Sommo Pontefice o contro ì principi o i teologi cattolici. Ecco un nuovo saggio del suo stile : ei chiamava Roma la feccia di Sodoma, la prostituta Babilonia; il Papa, uno scellerato che sputava diavoli; i Cardinali, miserabili che bisognava distruggere. « S’io ne avessi il potere, ei diceva, io farei un solo fardello del papa e de’ cardinali per gettarli unitamente in mare; questo bagno li guarirebbe, ve lo giuro, e ne do per mallevadore Gesù Cristo». Parla con la stessa dolcezza de’ teologi cattolici, e le sue più gentili parole sono: bestia, porco, epicureo,ateo, ecc. Co’ suoi stessi seguaci era sdegnoso egualmente che coi cattolici; li minacciava, se continuavano a contraddirlo o ricredersi di quanto egli aveva insegnato: minaccia ben degna dì un apostolo di menzogna! Avendo gli Zuingliani, di cui parleremo tra poco, avuto la disgrazia di offenderlo prorompe: « Il diavolo si è impossessato di loro; sono persone indiavolate, sopraindiavolate, perindiavolate; il loro linguaggio non è che un linguaggio di menzogna, messo in moto a talento di Satana, infuso e soprainfuso del suo veleno infernale ». Finalmente nel suo furore ei scagliava ingiurie a se stesso; diceva di esser pieno di diavoli, di esser satanizzato, soprasatanizzato. È questo forse il linguaggio di un apostolo di verità? – Dacché si fece apostata, la sua vita si consumò in furibonde declamazioni e in dissolutezze. Si conserva tuttavia una Bibbia, in fine della quale si legge una preghiera in versi tedeschi e scritta di mano di Lutero, il cui senso è questo: « Mio Dio, per vostra bontà, provvedeteci di vesti, di cappelli, di cappe e di mantelli, di vitelli ben grassi, di capretti, di bovi, di montoni, di giovenche e di quanto abbisogna per soddifare a’ nostri gusti . . . bever bene e mangiar bene è il vero mezzo di non annoiarsi ». [Cristiano Juncker, Vita Lutheri , pag. 225.] – Questa preghiera, in cui l’indecenza, l’empietà, la lussuria, la gola si contendono la palma, dà una giusta idea del Capo della pretesa Riforma. Egli morì nel 1546, in età di sessantadue anni, per aver troppo mangiato e troppo bevuto com’era suo costume. Monaco apostata e seduttore di una monaca, amico della taverna e della gozzoviglia; buffone empio e lubrico, che per primo pose in fuoco la Chiesa sotto pretesto di riformarla, e che in prova della sua strana missione, che certamente chiedeva miracoli i più luminosi, offerse, come Maometto, i successi della spada, il progresso del libertinaggio, gli eccessi della discordia, della ribellione e della crudeltà, del sacrilegio e della malvagità: ecco qual fu Lutero [Vedi Viaggio d’un Gentiluomo Irlandese in cerca d’una Religione. — Vite di Lutero, di Juncker e di Audin.]

Zuinglio.

Curato di Santa Maria degli Eremiti in Svizzera, poi predicatore a Zurigo, Zuinglio, avendo letto le opere di Lutero, si mise a dommatizzare, il che significa, ch’egli attaccò quanto la Chiesa aveva insegnato e praticato fino allora; cioè le indulgenze, l’autorità pontificia, il sacramento di penitenza, i voti monastici, il celibato de’ preti e l’astinenza dalla carne. Lo strano apostolo, profittando della libertà che predicava agli altri, sposò una ricca vedova; perché il matrimonio fu lo scioglimento ordinario di tutte le commedie de’ Riformatori. La sua dottrina scosse tutta la Svizzera sì pacifica e sì felice fino a quell’epoca; i Cantoni protestanti sorsero in armi contro i cattolici. Zuinglio fu costretto di condurre i suoi seguaci al combattimento, in cui, malgrado la sua predizione, essi perderono la battaglia, ed egli stesso rimase morto nel 1531 [Storia della Riforma nella Svizzera occidentale di Haller].

Calvino.

Questo nuovo corifeo della pretesa Riforma nacque nella diocesi di Noyon nel 1509; e venne provvisto d’un benefizio, quantunque non sia stato mai prete. Pel disordine de’ suoi costumi fu bollato sopra la spalla con un ferro rovente [Vedasi M. Jaques nella sua Teologia]. – Lasciò la patria e dopo aver vagato per diverse città della Francia predicando gli errori di Lutero, ai quali aveva aggiunto le proprie stranezze, si recò a Basilea, ove pubblicò il suo libro dell’Istruzione cristiana. Al paro di Lutero e di Zuinglio ei fa man bassa della dottrina, della morale e del culto nel quale era nato. Non vuol ammettere né culto esteriore, né invocazione dei Santi, né Capo visibile della Chiesa, nè Vescovi, né sacerdoti, né feste né croce, né alcuna di quelle cerimonie sacre, che la Religione riconosce essere tanto utili al culto di Dio, e la filosofia tanto necessarie ad uomini materiali e rozzi, che non s’innalzano per così dire che per mezzo de’ sensi alla contemplazione delle cose spirituali. Dopo diversi viaggi in Svizzera ed in Italia, questo preteso riformatore prese stanza in Ginevra, dove quel desso che non ammetteva Papa nella Chiesa, divenne non già il Papa ma il despota di Ginevra. – La minima obiezione, la più leggiera opposizione che gli venisse fatta, era sempre un’opera di Satana, un delitto meritevole del fuoco. Essendo stato contraddetto dal giovine medico spagnolo Michele Serveto, ei Io fece ardere vivo; ed esortava i suoi discepoli a trattare egualmente tutti quelli che si opponessero ai progressi della propria dottrina. Scriveva a Du Poét, ch’egli chiama Generale della Religione nel Delfinato: « Dà opra costante a purgare il paese da quei cialtroni, che coi loro discorsi persuadono il popolo ad opporsi a noi, screditando la nostra condotta, e vogliono far passare per sogno la nostra credenza. Simili mostri debbono essere soffocati come è avvenuto di Michele Serveto ». – Tale era la mansuetudine di quest’uomo evangelico. – Eccovi un saggio della costui urbanità: Porco, asino, cane, cavallo, toro, ubbriaco, erano i complimenti ch’ei dirigeva à’ suoi avversari. Esortava i propri partigiani ad impossessarsi di tutte le ricchezze de’ Cattolici; « e ciò, diceva egli, per amore di » Dio, affinché possiamo metterci in grado di sostentare il piccolo gregge: senza mèzzi grandi e potenti la buona volontà riuscirebbe inutile ». Orgoglioso, impudico, crudele, Calvino morì disperato e di una malattia vergognosa, che agli occhi stessi de’ suoi discepoli passò per un visibile castigo di Dio [“Calvinus in desperatione finiens vitam obiit turpissimo et medissimo morbo, quem Deus et rebellibus maledictis comminatus est, prius excruciatus et consumptus. Quod ego verissime attestari audeo, qui funestum et tragicum illius exitum et exitium his meis oculis praesens aspexi”. Joan. Haren. Apud- Peti: Cutsemium. Vita di Calvino di Audio.]. – Il tristo suo fine lo colse a Ginevra l’anno 1564.

Enrico VIII

Il quarto riformatore della Religione fu Enrico VIII re d’Inghilterra, che da principio aveva scritto contro Lutero. Finché si mantenne casto, Enrico rimase cattolico; ma volendo soddisfare le sue passioni, pregò papa Clemente VII a sciogliere il suo matrimonio. E siccome quel matrimonio era più che legittimo, il Sommo Pontefice gli rispose che non era in sua facoltà di separare ciò che era stato unito da Dio. Enrico allora ruppe i l freno, ripudiò la moglie e sposò Anna Bolena : onde il Papa lo scomunicò. Per sottrarsi ai fulmini della Chiesa, l’impudico principe si fece dichiarare Protettore e Capo sapremo della Chiesa d’Inghilterra. Divenuto papa, nulla cambiò Enrico alla dottrina; ma ben presto lo scisma conduce all’eresia. – I nuovi errori non potevano non essere bene accolti in un paese tanto disposto alla rivolta. Vivente tuttavia Enrico, il Luteranismo cominciava ad introdursi colà senza sua saputa e suo malgrado. Dopo ch’ei fu morto, Eduardo VI abolì totalmente la religione cattolica. -Più occupato di soddisfare alle proprie passioni che di stabilire la sua Chiesa, Enrico sposò cinque mogli, che ripudiò l’una dopo l’altra, facendole poscia trarre al patibolo. Si narra che vicino a morire esclamasse guardando coloro che circondavano il suo letto: « Amici miei, abbiamo perduto tutto: il regno, la fama, la coscienza e il cielo». Morì l’anno 1547. Se adunque ci facciamo a considerare il Protestantismo, che oggidì per tanti sforzi si cerca d’introdurre tra noi:

Negl’individui che lo hanno stabilito;

noi vediamo aver esso avuto per autori quattro sfacciati libertini, quattro individui, a’ quali nessun uomo onesto vorrebbe somigliare. E siete voi, o mio Dio, Dio di tutta santità, che avreste scelto simili ministri per riformare la Chiesa, la vostra sposa, e insegnare agli uomini la verità e la virtù? Lo creda chi vuole!

Nelle sue cagioni; eccole: l’orgoglio, l’amore delle ricchezze e de’ piaceri sensuali. « Lutero e Calvino, diceva Federico re di Prussia, protestante e filosofo, erano due miserabili ». Non bisogna pensare, soggiunge un altro scrittore, che i settari del sedicesimo secolo fossero vasti intelletti: no, i capi-setta sono come gli ambasciatori, fra’ quali spesso riescono meglio gli spiriti mediocri, purché le condizioni che offrono sieno vantaggiose. La sete de’ beni ecclesiastici fu il principale stimolo della Riforma in Germania; in Francia fu l’amore della novità; in Inghilterra l’amore della dissolutezza.

Nel suo dogma. Il Simbolo de’ Protestanti si riduce ad un solo articolo: Io credo tutto quello che voglio. – Infatti, il principio fondamentale, unico, universale del protestantesimo, si è che ogni individuo deve cercare la propria religione nella Bibbia, né deve ammettere se non ciò che vi trova egli stesso, non già un altro. Il protestantismo dunque dice ai popoli nel presentare loro la Bibbia: «La verità, tutta la verità si contiene in questo libro. Ma che cos’è la verità? Che cos’è il Cristianesimo? Nol so, risponde, e tocca a voi a cercarlo nella Bibbia ». Cercate dunque voi tutti, uomini, donne, fanciulli, dotti e ignoranti, cercate. Ora ditemi: trovate voi nella Bibbia il mistero della Trinità? Vi credete? voi siete cristiano. Non vi credete? voi siete cristiano. Credete voi alla divinità di Gesù Cristo? voi siete cristiano. Non vi credete? Voi siete cristiano. Credete voi alle pene eterne? voi siete cristiano. Non vi credete? voi siete cristiano. Quali che siano le vostre opinioni, tosto che voi pretendete trovarle nella Bibbia, tanto basta, e voi siete cristiano. Tuttavia ciò che voi credete, altri lo negano; ciò che a voi sembra vero, ad altri sembra falso. Chi di voi ha ragione? Inutile il chiederlo; rimanete soltanto tranquilli nella vostra incertezza, e assicuratevi che si può esser buon cristiano senza sapere ciò che bisogna credere per esser cristiano. Tale è, alla lettera, la dottrina del pròtestantismo. Ora, che ne avvenne? Accadde che sorsero tra i protestanti tante religioni quanti individui. L’uno credè trovare nella Bibbia che cinque sono i Sacramenti; l’altro che son quattro; quegli due; questi, nessuno; attalché, vivente ancora Lutero, si contavano già tra i suoi discepoli trentaquattro religioni diverse, che si combattevano, che si denigravano, che si anatematizzavano, unite soltanto nel loro odio contro la vera Chiesa. Da quell’epoca le sètte protestanti si sono moltiplicate all’infinito. Ogni giorno ne sorgono delle nuove: nella sola città di Londra e nelle adiacenze se ne contano più di cento 1[Ecco i nomi delle principali (nomi bizzarri al pari de’ loro principii). Anglicani, Collegiani, Facienti, Lacrimanti, Indifferenti, Moltiplicanti, Impeciatiti, Quaccheri, Schakeri , Giumperi, Groanneri, Metodisti, Weslejani, Wifeldiani, Miilenarj, Adamiti, Razionalisti, Generazionisti, Sontostisti, Anabattisti, Adiaforisti, Enslusiasti, Pneumatici, Brownisti , Interimitii , Monnoniti, Berboriti, Calvinisti, Evangelisti, Labadisti, Luterani, Lutero-Calvinisti, Battisti, Lutero-Battisti, Universali-Battisti, Meinseriani, Sabbatariani, Puritani, Armcniani, Sociniani, Zuingliani, Presbiteriani, Anti-Presbiteriani, Lutero-Zuingliani, Calvino-Zuingliani, Osiandriani, Lutero-Osiandriani, Staneriniani, Sincretiniani, Sinerginiani, Ubiquisteni, Pietisti, Bunakeriani, Versecoriani, Latitudinariani, Cecederiani, Burrignoniani, Camisariani, Glassimiani, Sademaniani, Ercionsiniani, Cameroniani, Filistei, Marescialliani, Hopkinsiniani, Necessariani, Edwariani, Priestliani, Relief-Cecedriani, Burgeriani, Anti-Burgeriani, Bereaniani, Ambrosiani, Moravi, Monasteriani, Antimoniani, Anomeani, Munsteriani, Mamilarj, Clancularj, Grubenarj, Staberi, Baeolarj, Nupwrali, Sanguinarj, Confcssionarj, Unitarj, Trinitarj, Anti-Trinitarj, Convulsionarj, Anti-Convulsionarj, Impeccabili, Apostolici, Spirituali, Taciturni, Demoniaci, Piagnoni, Liberi, Concubinarj, Allegri, Rustici, Vasaj. Pastoricidi, Conformisti, Non-Conformisti , Episcopali, Mistici, Coscienziosi, Socialisti, Puiseisti. In tutto 110 (Estratto dall’opera inglese intitolata: La guida per condurre alla verità e alla felicità, pag. 85). – [Non è ella, questa una pagina curiosa da aggiungere alla Storie delle Variazioni?]; e in ciascuna setta le professioni di fede germogliano come le foglie sugli alberi. « La Religione protestante, così scriveva ultimamente un professore protestante, è totalmente disciolta per la moltiplicità delle confessioni e delle sètte che si sono formate durante e dopo la Riforma… Non solamente l’apparenza esteriore della nostra Chiesa ha subito innumerabili suddivisioni, ma ella è anche disunita e divisa interiormente nelle sue massime e nelle sue opinioni ». [Vette: I Protestanti, 1828.]. Un altro scriveva nel 1835. « La Riforma somiglia nelle sue Chiese separate, e nel suo potere spirituale, ad un verme tagliato in piccolissime parti, che tutte si seguitano a muoversi finché conservano una certa vitalità, ma che perdono finalmente a grado a grado il moto e la facoltà del moto che avevano conservata » [Le Chiede cristiane, 1835]. – Un altro aggiunge : « Se Lutero uscisse oggi dalla tomba, gli sarebbe impossibile riconoscere come suoi e perfino come membri della società da lui instituita, quegli apostoli che nella nostra Chiesa sono attualmente riguardati come suoi successori 3 ». [Reinhard, Discorso sulla Chiesa, 1800]. – E un terzo prosegue così: « La disunione de’ Pastori fa nascere nella mente e nel cuore de’ popoli la più grande confusione. Essi ascoltano, essi leggono, ma non sanno più ove sono, né a chi debbono credere, né chi debbono seguire » [Ludke, Ministro]. – La confusione è tale da far esclamare un protestante in un’opera recente, che ei s’impegnava di scrivere su l’unghia del suo pollice le dottrine credute ancora generalmente tra i protestanti [Harms, Ministro a Kiel]. Finalménte un altro conclude: « A forza di riformare e di protestare, il protestantismo si riduce a una fila di zeri senza unità » [Schmaltz, giureconsulto Prussiano]. – E ci si vorrebbe dare il protestantismo per religione! Meglio è dire che col protestantismo si vorrebbe abbattere ogni ombra di religione! Noi non faremo osservare le perpetue inconseguenze de’ protestanti. Essi ricusano qualunque autorità, e di tradizione in materia di religione; or come sanno essi dunque essere la Bibbia un libro divino? Non è forse per l’autorità della tradizione? Se la tradizione sembra loro infallibile quando dice Che la Bibbia viene da Dio, perché nol sarebbe quando insegna loro tutte le altre verità che rigettano? Quando cesserete voi di avere due pesi e due misure? Quando sarete coerenti a voi stessi? Voi osservate la domenica; ma, di grazia, come sapete voi esser questo il giorno del Signore? Forseché noi sapete per tradizione? Perché dunque avete voi abolito le feste? Perché non osservate l’astinenza in quaresima, nelle vigilie, ne’ venerdì e ne’ sabati secondo la tradizione e l’uso antico della Chiesa? E dove avete voi pure imparato se non nella tradizione, che il battesimo per infusione è valido, al paro di altre pratiche che voi riguardate come sacre?

Nella sua morale. Il decalogo de’ protestanti si riduce ad un solo precetto: Tu praticherai tutto ciò che credi. I protestante può praticare ciò che vuole, cioè, tutto ciò che sembra vero alla sua ragione; può dunque fare tutto ciò che vuole, restando sempre protestante e senza che veruno altro prestante possa nulla rimproverargli. Ciò è quanto abbiamo veduto e quanto vediamo anche oggigiorno. Lutero per parte sua stabilì qual fondamento della sua morale che le opere buone sono inutili e anche nocive alla salute; che l’uomo non è che una semplice macchina senza libertà morale, incapace di virtù e vizi. Calvino dice, che l’uomo, una volta giustificato per mezzo della fede, è certo della sua salute, quand’anche si abbandonasse in seguito a tutti i disordini; e Lutero e Calvino pretendevano trovare queste abominevoli massime chiaramente nella Bibbia! – Gli Anabattisti alla loro volta dicevano. Noi abbiamo trovato nella Bibbia, che per eseguire gli ordini del Cielo, dobbiamo trucidare gli empi e confiscare i loro beni, affine di stabilire un nuovo mondo: e furono infatti veduti con la Bibbia in una mano, una torcia nell’altra e una spada al fianco, bruciare, uccidere, saccheggiare, devastare tutta la Germania. [Vedi le vite di Giovanni di Leida e di Munzer]. – Agli Anabattisti tennero dietro i Familisti, che insegnavano, e sempre a tenore della Bibbia: Che è ben fatto perseverare nel peccato affinché la grazia possa abbondare; in seguito gli Antimoniani i quali apertamente predicarono: Che l’adulterio e l’omicidio ci rendono più santi in terra e più beati in cielo. – Se voi studiate le innumerabili sètte protestanti, troverete non darsi verun precetto di morale che non sia stato negato da qualcuna di loro. Il protestantismo non può, secondo il proprio sistema, dire di alcuna massima morale: A cotesta è necessario d’uniformare la propria condotta; per la ragione ben semplice che non vi è alcun domma del quale ei possa accertare, esser necessario crederlo o soggettarvi la propria ragione. In conclusione, nel modo stesso che il simbolo del protestantismo può ridursi a questo solo articolo: Io credo tutto ciò che mi sembra vero, cosi il suo codice di morale può ristringersi a questo: Io debbo fare tutto ciò che mi sembra buono; Corniola di morale, da cui ogni uomo, qualunque siano le sue passioni, può trarre suo profitto; siccome si accontenterà, qualunque siano i suoi errori, della formula di fede corrispondente.

Nel suo culto. Il culto è l’espressione della fede e della morale; ora, tra i protestanti non vi ha fede, non morale obbligatoria e uniforme; dunque non vi ha né può esservi culto obbligatorio e uniforme. – I1 vuoto della Riforma, per difetto di fede e di amore, si manifesta sensibilmente ne’ suoi templi: essi sono muti, vuoti, squallidi; non vi ha cosa più fredda più melanconica d’un sermone protestante, poiché, dalla continua mobilità delle opinioni emerge la mobilità de’ segni destinati ad esprimerle. Perciò tra i protestanti gli uni riguardano la predica come un atto religioso, gli altri come un atto civile; taluni considerano il battesimo come un rito inutile, tali altri lo stimano necessario. – Ma ecco ciò che sorpassa l’immaginazione. Avendo ultimamente i Luterani e i Calvinisti di Germania formata una riunione, i ministri annunziarono che amministrerebbero la realtà o la figura del corpo di Gesù Cristo nella comunione, secondo la volontà e la credenza di ciascheduno. – Così quando i fedeli si presentavano per ricevere la comunione, i ministri dicevano: Credi tu di ricevere il corpo di Gesù Cristo? si, rispondevano i Luterani: — dunque ricevi il corpo di Gesù Cristo. — Credi tu di ricevere la figura del corpo di Gesù Cristo? sì, rispondevano i Calvinisti: — dunque ricevine la figura. . Che cosa è ciò, se non è sacrilega ciurmerla, ed una pubblica dichiarazione che sull’articolo dell’Eucaristia, come su tutto il resto, e che l’azione più augusta del culto cristiano non è ai suoi occhi che una cerimonia qualunque, di cui nulla più intende? – Vi sarà dunque luogo a meravigliarsi se tanti protestanti mostrano una invincibile ripugnanza per quel culto vuoto di fede? Nullameno quel culto ancor si sostiene; ma come le forme d’un corpo esanime che rimangono ancora qualche tempo dopo che l’anima lo ha abbandonato, e pronte al sopravvenire della putrefazione a dissolversi in polvere.

6° Ne’ suoi effetti. Il protestantismo è la principale cagione di tutte le calamità che hanno oppresso l’Europa da trecento anni [Grozio, famoso protestante, diceva: « Ubicumque invaluere Calvini discipuli, imperia turbavere »]; e lo provano i fatti. Appena ebbero i primi suoi apostoli sparso le loro massime tra il popolo, un vasto incendio divampò in Germania, Svizzera, Francia, Inghilterra, ed una guerra di trent’anni, il sacco di cento mila monasteri, sacri asili della scienza e monumenti della carità de’ nostri avi, la devastazione e lo spogliamene) delle chiese, fiumi di sangue da settentrione a mezzo giorno, delitti inauditi, odii mortali, spergiuri, scandali da fare arrossire la stessa depravazione, furono questi gli effetti immediati del protestantismo! Ed esso sarebbe la verità? « No, dice un famoso empio; la verità non è mai dannosa » [J. J. Rousseau]; ed è questa la miglior prova per noi che il protestantismo non è la verità. – Di questi fatti lacrimevoli la logica inesorabile vien a renderci ragione e a porli a carico eh’ riformatori del secolo decimosesto. Che cos’è infatti il protestantismo agli occhi dell’osservatore imparziale? Un invito energico alle grandi passioni, che nelle diverse epoche della storia hanno sovvertito il mondo! « L’appetito dei beni ecclesiastici, dice un autore non sospetto, fu il principal motore della Riforma in Germania; in Francia fu l’amore di novità: in Inghilterra l’amore impudico». – Che cosa è il protestantismo, se non la deificazione della ragione individuale, e quindi la sanzione del dubbio universale come principio in materia di religione, ed in seguito in tutto il resto? Ora, non vi ha società senza religione, non religione senza credenza; non credenza senza fede, non fede col dritto di dubitare di tutto, vale a dire col protestantismo. Dunque col protestantismo non vi ha religione, e quindi non società, ma rivoluzioni sempre rinascenti e sanguinose catastrofi come ne vediamo nella storia dell’Europa e del mondo da più di tre secoli. – Se pertanto si potè con tutta verità dire di Voltaire, ch’esso non era che un logico del protestantesimo; « Voltaire non ha veduto tutto ciò che ha fatto, ma ha fatto tutto ciò che noi vediamo »; a più forte ragione possiamo dire di Lutero, padre del dubbio: « Lutero non ha veduto tutto il male che ha fatto, ma ha fatto tutto quel male che noi veggiamo ». Andate, ed osservate le nazioni che hanno adottato il protestantismo: da per tutto in presenza dell’orrido caos di opinioni, fra cui sono immerse, e dello spaventevole dubbio che li consuma, la coscienza universale pronunzia contro la Riforma questo tremendo anatema: “Uccidendo la fede, ella ha ucciso il Cristianesimo e la società.” – Lutero, Zuinglio, Calvino, Enrico VIII, voi tutti, che vi arrogaste di proprio capriccio la vostra missione di riformare arbitrariamente la Chiesa, udite quanto avete fatto: Tosto che, rigettando l’autorità cattolica, aveste proclamato l’indipendenza di ciascun individuo in materia di fede, altri riformatori sorsero sotto i vostri occhi stessi per continuare la vostra impresa. Essi riformarono i vostri insegnamenti, come voi riformaste quelli della Chiesa. Voi avevate detto: Noi rigettiamo i tali dommi, perché urtano la nostra ragione; essi hanno detto: Noi rigettiamo tali altri dommi perché la nostra ragione non può ammetterli. Voi avevate domandato loro: Chi siete voi? Ed essi vi hanno domandato alla loro volta: Chi eravate voi per contraddire la Chiesa? A ciò voi non avete potuto rispondere. – Spaventati della stessa opera vostra al suo nascere, ne prevedeste fino d’allora i funesti progressi, scorgeste con terrore nell’avvenire quelle guerre interminabili di opinioni, quella immensa confusione di dottrine, quella graduale distruzione della fede che lasciavate in retaggio alla posterità. Ohimè! i sinistri vostri presentimenti erario ben lungi dall’uguagliare la realtà; voi non avete veduto tutto ciò che avete fatto, ma avete fatto tutto quello che noi vediamo. Appena eravate scesi nel sepolcro, che nuove sètte svegliandosi alla tremenda parola di rivolta che voi avevate proferito, lacerarono i brani della fede da voi risparmiati, e distrussero successivamente tutto il Simbolo della Religione, fino a tanto che finalmente i vostri ultimi discepoli sono giunti al punto di rinnegare la divinità stessa di Gesù Cristo; e questa solenne apostasia che avrebbe strappato alla Riforma un grido d’indignazione, s’ella fosse stata tuttora cristiana, è stata ratificata dallo scandalo del suo silenzio. Allora tutto è stato per lei consumato; l’opera del protestantismo è giunta al suo termine, e nulla più le rimane da riformare nel Cristianesimo, dappoiché finalmente è scesa a riformare lo stesso Dio. Ed ecco qual è la Religione, che oggi per tante vie si tenta propagare![Ma mons. Gaume ha avuto la fortuna di non conoscere la peste nera del modernismo ecumenico dei marrani, somma vergognosa di incredibili ed assurde eresie, alle quali i falsi prelati del post-conciliabolo si sono rapidamente assoggettati senza difficoltà, pur di mantenere le poro prebende, gli onori, le ricchezze e giustificare i vizi impuri che li caratterizzano- ndr.-].

Preghiera.

O mio Dio, che siete tutto amore, io vi ringrazio di averci fatti nascere nel grembo della vera Chiesa ; fateci grazia che la consoliamo con la santità della nostra condotta. Mi propongo di amar Dio sopra tutte le cose, e il prossimo come me stesso per amore di Dio, e in prova di questo amore, io pregherò spesso per la conversione degli eretici [… e dei blasfemi modernisti – ndr. – ].

Un’Enciclica al giorno, toglie il modernista-apostata di torno: SAPIENTIÆ CHRISTIANÆ

Proponiamo una delle più belle e “scuotenti” encicliche di Leone XIII, datata 10. 1. 1890, zeppa di contenuti importantissimi per la fede cattolica, dedicata ai principali doveri del cristiano, doveri che la setta modernista attuale elude accuratamente, protesa demagogicamente solo a soddisfare i bisogni ed i “pruriti” dei suoi adepti che, pur nel peccato, nei sacrilegi, nelle scomuniche, nelle innumerevoli censure, continuano a reputarsi cattolici. Qui abbiamo un elenco di doveri dei cristiani, in particolare nei confronti delle autorità civili che imponessero leggi o costumi contrari alla morale cristiana ed agli insegnamenti religiosi, ricordando l’obbligo che si ha di obbedire a Dio piuttosto che agli uomini, specie se corrotti e guidati da intenti loschi e malvagi … notevole e perentorio è il passaggio che recita: “… però se le leggi dello Stato dovessero essere apertamente in contraddizione con il diritto divino; se dovessero essere ingiuriose verso la Chiesa, o contraddire i doveri della religione o violare l’autorità di Gesù Cristo nella persona del Papa, allora è doveroso resistere ed è colpa [sottolineiamo: colpa!] ubbidire”. C’è inoltre un’aperta condanna del laicismo e della pluralità religiosa, considerata come libertà di propugnare l’errore… figuriamoci poi l’ecumenismo attuale propagato dalla setta modernista-mondialista del “Novus Ordo”, costola attiva del progettato governo mondiale e delle religioni unite sotto l’egida giudeo-massonica. – Eccezionalmente illuminanti sono poi le espressioni sul dovere dei fedeli di conoscere e tutelare la dottrina cristiana, il pericolo dell’inerzia colpevole, l’impegno a professare e divulgare la fede cattolica, [ … ciascun fedele deve propagare agli altri la propria fede, sia per l’istruzione degli altri fedeli, sia per confermarli, o per reprimere gli assalti degli infedeli …],  le modalità di partecipazione alla vita politica senza falsa prudenza e falso zelo, per finire in brillantezza con l’educazione dei giovani, oggi totalmente disattesa e deviata opportunamente con ogni mezzo e da tutte le istituzioni, soprattutto in seno alla famiglia, [i padri … si sforzino di respingere in questo campo ogni intromissione ingiuriosa e rivendichino il diritto di educare come conviene i figli nel costume cristiano], famiglia che è germe della società divina, e richiamando alfine alla gravità dei doveri di ogni cristiano. – Ma non roviniamo queste pagine del Sacro Magistero che, lo ricordiamo a beneficio di coloro che sono oramai protestantizzati e massonizzati da mass media “teleguidati”, nonché da falsi prelati mai validamente ordinati, quindi laici in maschera di carnevale, è la voce del Vicario di Cristo in terra, e quindi è parola vivente di Gesù-Cristo-Dio:

“Sapientiæ Christianæ revocari præcepta, eisque vitam, mores, instituta populorum penitua conformati …”

S. S. Leone XIII

“Sapientiae christianae”

[De præcipuis civium chriastianorum officiis]

Lettera Enciclica

Richiamarsi ai precetti della sapienza cristiana e conformare profondamente ad essi la vita, i costumi e le istituzioni dei popoli è cosa che ogni giorno appare sempre più necessaria. Avendoli messi da parte, ne sono derivati mali così grandi che nessun uomo saggio può sopportare la presente situazione senza una grave preoccupazione, né guardare al futuro senza timore. – Si è realizzato un non comune progresso dei beni che riguardano il corpo e le cose materiali, ma tutta la natura sensibile, il possesso dell’energia e dell’agiatezza, se possono generare comodità e aumentare la dolcezza della vita, non possono soddisfare l’anima che è nata per destini più grandi e più alti. Contemplare Dio e tendere a Lui è la suprema legge della vita degli uomini, i quali, creati a immagine e somiglianza divina, sono fortemente invitati a possedere il loro Creatore. – Ma non si va a Dio con le tendenze e le esigenze del corpo, bensì con la conoscenza e l’affetto che sono atti dell’anima. È Dio, infatti, la prima e suprema verità, e la nostra mente non si pasce che di verità: alla santità perfetta e al sommo bene può aspirare e accedere soltanto la nostra volontà sotto la guida della virtù.- Quanto si dice dei singoli uomini, deve essere riferito anche alla società, sia domestica, sia civile. La natura infatti non ha creato la società perché l’uomo la seguisse come un fine, ma affinché in essa e per essa trovasse gli aiuti adatti alla propria perfezione. Se la società civile persegue unicamente le comodità esteriori e il culto della vita nel lusso e nell’abbondanza; se ignora Dio nella vita amministrativa e non si cura delle leggi morali, essa devìa terribilmente dal suo scopo e da quanto la natura prescrive, e non può essere considerata società e comunità di uomini ma una falsa imitazione e parodia di società. – Quei beni spirituali che – come abbiamo già detto – si ritrovano soprattutto nel culto della vera religione e nella costante osservanza dei precetti cristiani, li vediamo oscurarsi ogni giorno per dimenticanza o per fastidio degli uomini, cosicché quanto più grandi sono i progressi che riguardano la vita corporale, tanto maggiore è il tramonto dei valori che riguardano l’anima. Indizio significativo della diminuita e indebolita fede cristiana si trova nelle stesse ingiurie che vengono rivolte troppo spesso contro il nome cristiano, in piena luce e sotto gli occhi di tutti; in altri tempi, una società rispettosa della religione non l’avrebbe mai tollerato. Per queste cause è incredibile a dirsi quale grande numero di uomini si trovi in pericolo di perdere l’eterna salvezza. Ma le stesse città e gli Stati non possono restarne indenni a lungo, perché crollando gli ordinamenti e i costumi cristiani, inevitabilmente crollano anche le fondamenta della società umana. – Per difendere la pubblica tranquillità e l’ordine resta soltanto la forza: ma anche la forza pubblica diventa molto debole se scompare l’aiuto della religione: risulta più atta a creare schiavitù che obbedienza; raccoglie già in se stessa i semi di gravi disordini. – Il nostro secolo ha provato gravi, memorabili vicende, e non si sa se dobbiamo paventarne altre uguali. Pertanto il momento storico ci ammonisce da che parte bisogna cercare i rimedi, cioè ripristinare in tutte le componenti della vita sociale il modo cristiano di pensare e di agire della vita privata: questo è l’unico sicuro mezzo per eliminare i mali che ci affliggono e impedire i pericoli che ci sovrastano. – A questo, Venerabili Fratelli, è necessario che ci dedichiamo; a questo dobbiamo portare ogni nostro sforzo con il massimo impegno: per questa ragione, sebbene abbiamo già altrove trattato queste cose, quando Ci fu data la possibilità, Ci sembra tuttavia molto utile descrivere i doveri dei cattolici più chiaramente in questa Lettera: questi doveri, se osservati con ogni cura, saranno di grande utilità per la salvezza dei beni sociali. – Incorriamo quasi ogni giorno in grandi contrasti sui massimi problemi: ed è molto difficile non restare vittime di inganni, di errori e di vedere molti perdersi d’animo e soccombere. È nostro dovere, Venerabili Fratelli, ammonire, insegnare, esortare a suo tempo affinché nessuno abbandoni la via della verità. – Non si può dubitare che siamo molti e maggiori i doveri dei cattolici che non di coloro che sono appena consapevoli della loro fede cattolica o ne sono completamente privi. Allorché Cristo, procurata la salvezza al genere umano, comandò agli Apostoli di predicare il Vangelo ad ogni creatura, impose pure questo dovere a tutti gli uomini: che imparassero e credessero alle cose che venivano loro insegnate; a questo dovere è congiunto il raggiungimento dell’eterna salvezza. “Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo: chi non crederà sarà condannato” (Mc XVI,16). Ma l’uomo quando ha abbracciato la fede cristiana – come è suo dovere – deve perciò stesso sottomettersi alla Chiesa come figlio suo, e diventa partecipe di questa grandissima e santissima società, sulla quale spetta esercitare il sommo potere al romano Pontefice, sottoposto al capo invisibile Gesù Cristo. – Ora, pertanto, se siamo obbligati per legge di natura ad amare e difendere particolarmente quella città nella quale siamo nati e cresciuti in questa luce, fino al punto che un buon cittadino non può dubitare di dover dare anche la vita per la patria, è molto più doveroso per i cristiani amare sempre la Chiesa. La Chiesa è infatti la città santa del Dio vivente, nata da Dio stesso e costituita dallo stesso Autore: è pellegrina qui sulla terra, ma sempre intenta a chiamare gli uomini per istruirli e condurli all’eterna felicità del cielo. Pertanto si deve amare la patria dalla quale abbiamo ricevuto il dono di una vita mortale: ma è necessario anteporle nell’amore la Chiesa, alla quale dobbiamo una vita che durerà in perpetuo: perché bisogna anteporre i beni dell’anima a quelli del corpo; i nostri doveri verso Dio sono molto più santi che non quelli verso gli uomini. – D’altra parte, se si vuole giudicare rettamente, l’amore soprannaturale per la Chiesa e l’amore naturale per la patria sono entrambi figli della stessa sempiterna fonte, poiché hanno come causa e autore Dio stesso, dal che consegue che un dovere non può essere in contraddizione con l’altro. Possiamo e dobbiamo dunque amare l’una e l’altra: amare noi stessi; essere benevoli con il prossimo; amare lo Stato e il potere che vi presiede, e nello stesso tempo venerare la Chiesa come nostra madre, e con il massimo amore possibile tendere a Dio. Tuttavia questo ordine di precetti talora viene pervertito, sia per la calamità dei tempi, sia per la cattiva volontà degli uomini. Accadono anche circostanze in cui sembra che lo Stato richieda dai cittadini cose del tutto contrarie a quelle richieste dalla religione ai cristiani, per il fatto che le autorità dello Stato non tengono in nessun conto il potere sacro della Chiesa, oppure la vogliono soggetta a sé. Da qui sorgono il contrasto e l’occasione per mettere alla prova la virtù. Incalzano due poteri, per cui non si può obbedire contemporaneamente a coloro che comandano cose contrarie: “Nessuno può servire a due padroni” (Mt 6,24), per cui se si segue uno, diventa inevitabile lasciare l’altro. Nessuno può dubitare quale dei due sia da anteporre. – È un atto di empietà abbandonare l’ossequio a Dio per soddisfare gli uomini: come pure trasgredire le leggi di Gesù Cristo per obbedire alle autorità dello Stato, o violare i diritti della Chiesa col pretesto di osservare il diritto civile. “È necessario obbedire più a Dio che agli uomini” (At V,29). È ciò che Pietro e gli altri Apostoli risposero alle autorità che imponevano cose ingiuste; è ciò che si deve sempre ripetere senza esitazioni in casi simili. Nessun cittadino, sia in pace sia in guerra, è migliore di un vero cristiano, memore del proprio dovere; ma questi deve essere pronto a sopportare tutto, anche la morte piuttosto che abbandonare la causa di Dio e della Chiesa. Perciò non hanno considerato adeguatamente la forza e la natura delle leggi coloro che riprovano questa decisione nella scelta dei doveri, e affermano che questa è sedizione. Parliamo di cose note al popolo e da Noi altre volte spiegate. La legge non è che un comando della retta ragione, promulgata per il bene comune da colui che ha un legittimo potere. – Ma non c’è nessun vero e legittimo potere se non parte da Dio, sommo sovrano e padrone di tutte le cose, che solo può concedere ad un uomo il potere su altri uomini; e non deve essere ritenuta retta una ragione che dissenta dalla verità e dalla ragione divina: né vi è un vero bene se è contrario al sommo e immutabile bene o che allontani e svii dall’amore a Dio le volontà degli uomini. Sacro è per i cristiani il nome dell’autorità pubblica, nella quale essi riconoscono una certa immagine e un simbolo della maestà divina, persino quando è gestita da persone indegne. Alla legge è dovuto un giusto rispetto, non per la forza o le minacce, ma per la consapevolezza di un dovere: “Dio non ci ha dato uno spirito di timore” (2Tm 1,7). Però se le leggi dello Stato dovessero essere apertamente in contraddizione con il diritto divino; se dovessero essere ingiuriose verso la Chiesa, o contraddire i doveri della religione o violare l’autorità di Gesù Cristo nella persona del Papa, allora è doveroso resistere ed è colpa ubbidire; e questo si collega al disprezzo verso lo Stato, perché si pecca anche contro lo Stato quando si va contro la religione. – Nuovamente si chiarisce quanto sia ingiusta l’accusa di sedizione: infatti, non si ricusa la dovuta obbedienza al capo dello Stato e agli autori delle leggi, ma ci si oppone solamente alla loro volontà in quei precetti che essi non hanno alcun potere di imporre perché vengono emanati offendendo Dio, perciò mancano di giustizia e sono tutto fuorché leggi. – Voi sapete, Venerabili Fratelli, che questa è la stessa dottrina del beato Paolo Apostolo, che dopo aver scritto a Tito che si dovevano ammonire “i cristiani di stare soggetti ai principi e ai governanti e obbedire ai loro ordini”, aggiunse subito che “dovevano essere preparati per ogni opera buona” (Tt 3,1). Dal che appare chiaramente che se le leggi umane dovessero stabilire qualcosa di contrario all’eterna legge di Dio, sarebbe giusto non obbedire. Con simile argomentazione il Principe degli Apostoli rispondeva con forte ed eccelsa nobiltà d’animo a coloro che gli volevano togliere la libertà di predicare il Vangelo: “Se è giusto al cospetto di Dio ascoltare voi piuttosto che Dio, giudicatelo voi stessi: non possiamo infatti non parlare di quelle cose che abbiamo visto e udito” (At 4,19-20). È dunque grande dovere dei cristiani amare le due patrie, quella di natura e l’altra della città celeste, purché sia prevalente l’amore di quest’ultima sulla prima, e non si antepongano mai i diritti umani a quelli divini, e si consideri la città celeste come fonte dalla quale sgorgano tutti gli altri doveri. Il Salvatore del genere umano ha detto di se stesso “Io sono nato per questo, e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza della verità” (Gv 18,37). Come pure “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra, e che cosa voglio se non che si accenda?” (Lc 12,49). Tutta la vita e la libertà del cristiano stanno nella conoscenza di questa verità, che è il massimo della perfezione della mente, e nell’amore a Dio che pure rende perfetta la volontà. E la Chiesa conserva e difende con continuo impegno e vigilanza questo nobilissimo patrimonio – cioè della verità e della carità – affidatole da Gesù Cristo. – Ma non vale la pena parlare qui della guerra accanita e multiforme scatenata contro la Chiesa. Tutto quello che capita alla ragione umana di scoprire con l’investigazione scientifica su realtà finora sconosciute e gelosamente nascoste dalla natura, e di convertire le scoperte in uso per la vita, dà agli uomini l’ardire di sentirsi dei e di poter allontanare dalla vita comune l’autorità di Dio. Ingannati da questo errore, trasferiscono alla natura umana il dominio strappato a Dio, e sostengono che si deve ricercare nella natura il principio e la norma di ogni verità: da essa emanano e ad essa dovrebbero essere ricondotti tutti i doveri religiosi. Pertanto, niente è stato rivelato da Dio: non si deve obbedire alla Chiesa e alla disciplina dei costumi cristiani; la Chiesa non ha nessun potere e nessun diritto di legiferare; anzi, è necessario non lasciare alla Chiesa spazio alcuno nelle istituzioni dello Stato. Esigono, e con ogni sforzo operano per giungere al potere e al governo negli Stati per potere più agevolmente indirizzare le leggi secondo queste dottrine, e creare nuovi costumi fra i popoli. E così si aggredisce ovunque la cattolicità, o apertamente o la si combatte occultamente: permettendo la libertà ad ogni perverso errore, viene spesso limitata e ristretta con molti vincoli la professione della verità cristiana. In questa triste condizione, ciascuno prima di tutto deve rientrare in se stesso per custodire e difendere la fede altamente radicata nell’animo, evitando i pericoli, sempre armato contro le varie insidie dei sofismi. A tutela di questa virtù è molto utile, e consentaneo ai nostri tempi, lo studio diligente, secondo le personali capacità, della dottrina cristiana e di quelle cose che riguardano la religione e che possono essere comprese col lume della ragione, e di esse arricchirsi la mente. E poiché non basta conservare incorrotta la fede nell’anima, ma è necessario aumentarla con assiduo studio, si deve ricorrere a Dio con la reiterata e umile preghiera degli Apostoli: “Aumenta i noi la fede!” (Lc 18,5). Per la verità in questa materia che riguarda la fede cristiana ci sono altri doveri che, se fu sempre importante osservare accuratamente e religiosamente per la salvezza, è più che mai necessario osservare ai nostri tempi.- In tanta pazza confusione di ideologie così vastamente diffuse, è certamente compito della Chiesa assumersi la difesa delle verità e sradicare dagli animi gli errori: questo in ogni tempo e religiosamente, poiché essa deve tutelare l’amore di Dio e la salvezza degli uomini. Ma quando lo richieda la necessità, non solo devono difendere la fede i prelati, ma “ciascun fedele deve propagare agli altri la propria fede, sia per l’istruzione degli altri fedeli, sia per confermarli, o per reprimere gli assalti degli infedeli” . Cedere all’avversario o tacere, mentre dovunque si alza tanto clamore per opprimere la verità, è proprio dell’inetto oppure di chi dubita che sia vero quello che professa. L’uno e l’altro atteggiamento sono ignobili e ingiuriosi a Dio; l’una cosa e l’altra contrastanti con la salvezza individuale e collettiva: sono soltanto giovevoli ai nemici della fede, perché l’arrendevolezza dei buoni aumenta l’audacia dei malvagi. Per questo è ancor più da condannare l’inerzia dei cristiani perché il più delle volte si possono confutare gli errori e le malvagie affermazioni facendolo spesso con poco sforzo; ma farlo sempre occorre un impegno molto più grande. Per ultimo, nessuno è dispensato dall’usare quella forza che è propria dei cristiani, perché con essa si spezzano spesso le macchinazioni e i piani degli avversari. Ci sono poi dei cristiani nati per la disputa: quanto più grande è il loro coraggio, tanto più certa è la vittoria con l’aiuto di Dio. “Confidate: io ho vinto il mondo” (Gv 16,33). E nessuno può opporre l’obiezione che il custode e il garante della Chiesa, Gesù Cristo, non ha bisogno certamente dell’opera degli uomini. Ma non è per mancanza di potenza, bensì per la grandezza della sua bontà che egli vuole che qualcosa si faccia pure da noi per l’opera della salvezza che egli ci ha procurato, e per ottenerne frutti sempre maggiori. – Gl’impegni più importanti di questo dovere sono di professare la dottrina cattolica a viso aperto e con costanza, e di propagarla come ciascuno può. Infatti, come è stato affermato tante volte e con verità, niente è così dannoso per la dottrina cristiana che il non essere conosciuta. Basta da sola a dissipare gli errori quando è appresa rettamente; se la mente con semplicità e non vincolata da falsi pregiudizi la comprende, la ragione dichiara di dovere assentire. Per vero, la virtù della fede è un grande dono della grazia e della bontà divina. Ma i mezzi con i quali si raggiunge la fede non sono generalmente altri che l’ascolto: “Come potranno credere, senza averne sentito parlare? E come potranno sentirne parlare senza uno che lo annunzi?.. La fede dipende dunque dalla predicazione, e la predicazione a sua volta si attua per la parola di Cristo” (Rm IX,14-17). – Poiché dunque la fede è necessaria per la salvezza, ne consegue che si deve assolutamente predicare la parola di Cristo. Certamente il ministero di predicare, cioè di insegnare, per diritto divino spetta a quei maestri che lo “Spirito Santo ha costituito Vescovi per reggere la Chiesa di Cristo” (At XX,28) e specialmente al Pontefice romano, Vicario di Gesù Cristo, messo a capo di tutta la Chiesa con il supremo potere, maestro di quanto si deve credere e praticare. Ma nessuno creda che sia proibito ai privati di dare la propria attività in questo compito, specialmente per coloro ai quali Dio ha dato profondità di ingegno, e il desiderio di rendersi meritevoli per il bene comune. Costoro, quando sia necessario, possono convenientemente assumersi non la parte del dottore della Chiesa, ma quella di trasmettere agli altri ciò che essi hanno appreso, facendo risuonare la voce dei maestri come fossero la loro immagine. L’opera dei privati è apparsa anzi così opportuna e utile ai Padri del Concilio Vaticano da richiederla espressamente. “Per le viscere di Gesù Cristo noi supplichiamo tutti i fedeli, specialmente coloro che sono costituiti in autorità o che hanno il compito d’insegnare, e ordiniamo loro in nome di Dio e del nostro Salvatore affinché impegnino la loro opera e le loro forze nel respingere ed eliminare dalla Santa Chiesa tutti questi errori e nel diffondere la luce della purissima fede” . – Del resto ognuno ricordi che può e deve diffondere la fede cattolica con l’autorità dell’esempio, e predicarla con la costante professione. Fra i doveri che ci uniscono a Dio e alla Chiesa questo più di tutti bisogna ricordare, che cioè ciascuno, con tutte le capacità possibili, lavori per propagare la verità cristiana e per confutare gli errori. – Certamente non potranno compiere utilmente e sufficientemente questi compiti se scenderanno in campo divisi gli uni dagli altri. Gesù Cristo predisse che come Egli stesso per primo dovette sostenere l’offesa e l’avversione degli uomini, certamente anche l’opera da Lui istituita avrebbe incontrato eguale trattamento; in modo che a molti sarebbe stato vietato di giungere alla salvezza da Lui recata con il suo sacrificio. Per questo non volle soltanto avere seguaci della sua dottrina, ma unirli strettamente in una comunità e in un solo corpo, “che è la Chiesa” (Col 1,24), di cui Egli fosse il capo. La vita di Gesù Cristo permea e si diffonde in tutto il corpo nella sua compagine; alimenta e sostiene le singole membra, e così unite e composte le dirige allo stesso fine, anche se l’azione di ciascun membro non è la stessa. Per questa ragione la Chiesa non solo è una società perfetta e molto superiore ad ogni altra società, ma è stato ordinato dal suo Autore che essa debba combattere per la salvezza del genere umano “come esercito schierato sul campo” (Ct VI,9). – Codesto ordinamento e codesta conformazione della società cristiana non possono essere cambiati in nessun modo: a nessuno è lecito vivere secondo il proprio arbitrio, né seguire nella lotta la tattica che gli pare, perché non raccoglie ma disperde chi non raccoglie con Cristo e con la Chiesa, e certamente combattono contro Dio coloro che non combattono con Lui e con la Chiesa. – Prima di tutto, dunque, sono necessarie una piena concordia e uniformità di sentimenti per unire tutti gli animi nell’azione motivata contro i nemici del nome cattolico. A questa stessa unione Paolo Apostolo esortava con grande ardore e con gravi parole i Corinzi: “Pertanto vi scongiuro, fratelli, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo, a dire tutti la stessa cosa, e che non esistano divisioni fra voi: siate uniti nello stesso spirito e nello stesso sentimento” (1Cor 1,10). Facilmente si percepisce la sapienza di questo precetto. Infatti, principio dell’azione è la mente; pertanto non possono essere concordi le volontà né simili le azioni se le menti hanno pensieri diversi. Coloro che seguono soltanto la ragione poco facilmente possono avere, anzi neppur possono avere, una sola dottrina; l’arte di conoscere bene le cose è molto difficile: la nostra mente è inferma per natura e deviata dalla varietà delle opinioni: spesso erra per l’impulso offertole esternamente dalle cose: si aggiungono poi le passioni, che spesso tolgono la facoltà di scorgere il vero o la diminuiscono certamente molto. Per questa ragione nel governo degli Stati si opera spesso per tenere unite con la forza persone che fra loro sono discordi. Ben diversamente avviene fra i cristiani che ricevono dalla Chiesa ciò che bisogna credere: dalla sua autorità e dalla sua guida sanno per certo di attingere alla verità. Poiché dunque una è la Chiesa, uno Gesù Cristo, una deve essere la dottrina di tutti i cristiani in tutto il mondo. “Un solo Signore, una sola fede” (Ef 4,5). “Avendo tutti lo stesso spirito di fede” (2Cor 4,13), ottengono effetti salutari, dai quali derivano spontaneamente in tutti la stessa volontà e lo stesso modo di agire. – Ma, come comanda l’Apostolo Paolo, bisogna che l’unanimità sia perfetta. Poiché la fede cristiana non si basa sulla ragione umana ma sull’autorità della mente divina, noi crediamo che le cose che abbiamo ricevuto da Dio siano “vere non per l’intrinseca verità delle cose viste con il naturale lume della ragione, ma per l’autorità dello stesso Dio rivelante che non può ingannarsi né può ingannare” . Ne consegue che qualunque cosa certamente rivelata da Dio deve essere accettata con pieno ed uguale assenso: negare fede ad una sola di queste, significa rifiutarle tutte. Sovvertono il fondamento stesso della fede coloro che negano che Dio abbia parlato agli uomini, o che dubitano della sua infinita verità e sapienza. Spetta alla Chiesa docente stabilire quali sono le verità divinamente affidate alla Chiesa stessa, alla quale Dio demandò anche la custodia e l’interpretazione della propria parola. Il sommo maestro nella Chiesa è il Pontefice romano. E come la concordia degli animi richiede un perfetto consenso in una stessa fede, così richiede che le volontà siano perfettamente soggette e obbedienti alla Chiesa e al romano Pontefice, come a Dio. L’obbedienza deve essere perfetta perché è richiesta dalla fede stessa, ed ha in comune con la fede che non può essere separata da essa; anzi, se non è assoluta pur avendone tutti gli aspetti le resta soltanto un’apparenza di obbedienza, ma di fatto scompare. La tradizione cristiana attribuisce a tale perfezione tanto valore, che essa è sempre stata ed è ritenuta la nota caratteristica per riconoscere i cattolici. Questa asserzione è mirabilmente spiegata da Tommaso d’Aquino: “L’oggetto formale della fede è la prima verità, come ci viene rivelato nella Sacra Scrittura e nella dottrina della Chiesa, che procede dalla prima verità. Perciò chiunque non aderisce alla dottrina della Chiesa come a regola infallibile e divina che promana dalla verità prima manifestata nelle Sacre Scritture, non ha la proprietà della fede, ma considera le verità della fede in modo diverso dalla fede. È pertanto manifesto che chi aderisce alla dottrina della Chiesa come a regola infallibile, accetta tutto ciò che la Chiesa insegna; invece, se dei suoi insegnamenti egli ritiene quello che vuole e rigetta quello che non vuole, egli non aderisce come norma infallibile alla dottrina della Chiesa, ma unicamente alla propria volontà . Una sola deve essere la fede di tutta la Chiesa secondo le parole dell’Apostolo Paolo (cf. 1Cor 1). Siate unanimi nel parlare, e non vi siano divisioni fra voi: e quest’unanimità non si potrebbe conservare se, sorta una questione intorno alla fede, non venisse decisa da colui che presiede a tutta la Chiesa, in modo che la sua dichiarazione sia accolta fermamente da tutta la Chiesa. Quindi alla sola autorità del Sommo Pontefice spetta approvare una nuova edizione del Simbolo, come pure tutte le altre cose che riguardano la Chiesa” . – Nel determinare i limiti dell’obbedienza nessuno creda di dover obbedire all’autorità dei sacri Pastori, e specialmente del romano Pontefice, solamente in ciò che riguarda il dogma, il cui ostinato ripudio non può essere disgiunto dal peccato di eresia. Anzi, non basta neppure accettare con sincera e ferma approvazione quelle dottrine che, quantunque non definite da un solenne giudizio, vengono tuttavia proposte dalla Chiesa alla credenza dei fedeli come divinamente rivelate al magistero ordinario ed universale, e si devono credere come “di fede cattolica e divina” secondo il decreto del Concilio Vaticano. Ma resta ancora l’obbligo dei cristiani, che devono lasciarsi guidare e governare dal potere e dal consiglio dei Vescovi, e in primo luogo dalla Sede Apostolica. Quanto ciò sia ragionevole è evidente. Infatti, delle verità contenute nella Rivelazione, alcune riguardano Dio, altre l’uomo stesso e le cose necessarie alla salvezza eterna dell’uomo. Ora, questo doppio ordine di verità, cioè quello che si deve credere e quello che si deve operare, appartiene per diritto divino, come abbiamo detto, alla Chiesa e al Sommo Pontefice. Per tali motivi il Pontefice deve poter giudicare con la sua autorità quali siano le cose contenute nella parola di Dio, quali dottrine sono ad esse conformi, e quali no. Allo stesso modo deve indicare ciò che è onesto o turpe; ciò che si deve fare e cosa fuggire per raggiungere la salvezza; altrimenti non sarebbe più il sicuro interprete della parola di Dio, né guida sicura all’uomo nell’agire. – Addentrandoci ancor più profondamente nella natura della Chiesa, vediamo che essa non è una fortuita comunità di cristiani, ma una società costituita con eccellente ordinamento di Dio stesso, con il fine diretto e naturale di portare la pace e la santità nelle anime; e poiché essa sola ha da Dio i mezzi a ciò necessari, ha le sue leggi ben determinate, determinati doveri, e segue nel governo dei popoli cristiani metodi e vie conformi alla sua natura. Ma l’esercizio di questo governo è difficile e con frequenti contrasti. La Chiesa guida popoli sparsi su tutta la terra, differenti per razze e costumi, i quali, vivendo nei singoli Stati secondo le proprie leggi, devono obbedire contemporaneamente al potere civile e a quello ecclesiastico. Questi due doveri sono congiunti nella stessa persona, ma non contrastanti fra loro – come abbiamo detto – e neppure confusi, perché l’uno riguarda la potestà dello Stato, l’altro il bene proprio della Chiesa: ambedue istituiti per il perfezionamento dell’uomo. – Posta questa delimitazione di diritti e di doveri, è evidente che i governanti sono liberi nell’amministrazione dei loro Stati, e questo non certamente con l’ostilità della Chiesa, ma anzi con il suo pieno aiuto, poiché inculcando l’osservanza della pietà religiosa, che è un atto di giustizia verso Dio, essa promuove con ciò stesso l’ossequio verso il principe. Ma con intendimento molto più nobile il potere della Chiesa tende a governare gli uomini tutelando “il regno di Dio e la sua giustizia” (Mt 6,33), dedicandosi totalmente a realizzarlo. Nessuno può dubitare, salva la fede, che alla sola Chiesa sia stato assegnato questo particolare governo delle anime in modo che non è rimasto spazio alcuno alla potestà civile; infatti Gesù Cristo ha affidato le chiavi del regno dei cieli non a Cesare ma a Pietro. Con questa dottrina politico-religiosa sono connesse alcune altre questioni di non lieve importanza, delle quali in questo documento non vogliamo tacere. – La società cristiana dista moltissimo da ogni tipo di governo politico. Anche se ha somiglianza e forma di regno, senza dubbio ha un’origine, una ragion d’essere e una natura molto diversa dai regni terreni. Pertanto è diritto della Chiesa vivere e conservarsi con leggi e istituzioni conformi alla sua natura. Essa, essendo non soltanto una società perfetta, ma superiore a qualunque altra società umana, si rifiuta di seguire, per suo diritto e per il suo fine, le vicende dei partiti e di adeguarsi alle esigenze mutabili della vita civile. Per la stessa ragione, custode del proprio diritto, rispettosissima dell’altrui, afferma che non appartiene alla Chiesa esprimere preferenze sulla forma di governo e con quali istituzioni la società civile dei popoli cristiani debba reggersi: fra le varie forme di governo non ne condanna nessuna, purché siano rispettate la religione e la morale dei costumi. A questo contegno devono essere indirizzati i pensieri e le azioni dei singoli cristiani. Non v’ha dubbio che sia lecita in politica una giusta lotta, naturalmente quando si combatte secondo verità e giustizia, affinché prevalgano quelle opinioni che appaiono più conformi delle altre al bene comune. Ma trascinare la Chiesa a partecipare all’attività di qualche partito, oppure pretendere di averla come aiuto per superare gli avversari è di coloro che vogliono abusare smoderatamente della religione. Al contrario la religione deve essere santa e inviolata per tutti. Nella politica stessa, che non può prescindere dalle leggi morali e dai doveri della religione, si deve precipuamente e sempre cercare ciò che è più conforme al nome cristiano. Se talora appare che questo è in pericolo ad opera degli avversari, allora deve cessare ogni divergenza, e con intendimento concorde degli animi si deve prendere la difesa della religione, che è il massimo bene comune a cui devono rapportarsi tutti gli altri. Il che conviene che sia da Noi esposto più diffusamente. – Certamente sia la Chiesa, sia lo Stato, hanno una loro sovranità: pertanto nessuno dei due, nella propria sfera e nei propri limiti costituiti dai singoli fini, ubbidisce all’altro. Ma da questo non si deve tuttavia concludere che i due poteri siano fra loro separati e tanto meno in lotta l’uno contro l’altro. La natura non ci ha dato soltanto un’esistenza fisica, ma anche una morale. Per questo l’uomo chiede alla tranquillità dell’ordine pubblico, che la società civile si propone come fine prossimo, di poter vivere bene, ma soprattutto chiede sempre maggior aiuto per perfezionare i costumi; e questa perfezione non consiste altro che nel conoscere e praticare la virtù. Contemporaneamente l’uomo vuole doverosamente trovare nella Chiesa gli aiuti dei quali possa fruire per la sua perfezione religiosa, la quale si trova nella conoscenza e nella pratica della vera religione che è la regina delle virtù, appunto perché, ordinandole a Dio, le compie e le perfeziona tutte. – Nel sancire le leggi e le istituzioni si deve aver riguardo alla natura morale e religiosa dell’uomo, e si deve curare la sua perfezione, ma rettamente e con ordine: non si deve comandare o vietare alcunché, senza tener conto di quello che spetta alla società civile e di quello che spetta alla società religiosa. Per questa ragione la Chiesa non può disinteressarsi delle leggi che hanno valore nello Stato, non in quanto tali, ma perché, uscendo dai limiti del proprio ambito, talvolta invadono il diritto della Chiesa. Anzi, per essa è un dovere impostole da Dio di resistere ogni volta in cui la legislazione dello Stato danneggi la religione, e di impegnarsi attivamente affinché lo spirito del Vangelo arrivi a permeare le leggi e le istituzioni dei popoli. – Poiché le sorti degli Stati per lo più dipendono dall’indole dei governanti, la Chiesa non può favorire e appoggiare coloro dai quali si sente contestata: cioè coloro che apertamente ricusano di rispettare i suoi diritti e che vogliono separare due cose connesse per la loro natura, la religione e la vita civile. Al contrario essa favorisce, come è suo dovere, coloro che avendo un giusto concetto dello Stato e della società cristiana, vogliono operare concordi per il bene comune. In questi precetti è contenuta la norma che ogni cattolico deve seguire nell’esercizio della vita pubblica. Pertanto, è permesso ovunque militare per la Chiesa nella politica, favorendo uomini di specchiata probità morale che diano buona speranza di onorare il nome cristiano, e non c’è nessuna ragione per cui si debba dare la preferenza a uomini ostili alla religione. – Da questo appare chiaramente quanto sia importante il dovere di conservare l’unità degli animi specialmente in questi tempi, in cui con tanta astuzia viene impugnato il cristianesimo. Tutti coloro che vogliono restare fedeli alla Chiesa che è “colonna e fondamento della verità” (1Tm 3,15) eviteranno facilmente i maestri menzogneri “che promettono agli altri la libertà, mentre essi stessi sono schiavi della corruzione” (2Pt 1,19). Anzi, resi forti della potenza spirituale della Chiesa, sapranno vincere con la saggezza le insidie, e con il coraggio la violenza. – Non è questo i luogo per indagare se e quanto abbiano contribuito a creare questo nuovo stato di cose l’opera troppo debole e l’interna discordia dei cattolici: ma certamente gli uomini malvagi sarebbero stati meno audaci e non avrebbero provocato tante rovine se ci fosse stata negli animi di molti una fede più vigorosa: quella fede che “opera per mezzo della carità” (Gal V,6), e non sarebbe tanto scaduta nel costume quella morale cristiana che ci è stata divinamente affidata. Voglia Dio che il passato, attraverso il ricordo, procuri maggiore saggezza nell’avvenire. – Quanto poi a coloro che parteciperanno alla politica dovranno evitare due difetti, dei quali uno usurpa il falso nome di prudenza, l’altro è la temerarietà. Alcuni affermano che non conviene opporsi apertamente alla potente e imperante iniquità, perché la lotta non esasperi l’animo degli avversari. Non si sa se costoro stiano pro o contro la Chiesa, in quanto affermano di professare la dottrina cattolica ma poi vorrebbero che la Chiesa permettesse di propagare impunemente le teorie che le sono contrarie. Si lamentano dello scadimento della fede e anche della corruzione dei costumi, ma non fanno nulla per rimediarvi, anzi talvolta con l’eccessiva indulgenza o con una dannosa simulazione aggravano il male. Costoro vogliono che nessuno abbia dubbi sulla loro devozione alla Sede Apostolica, ma hanno sempre qualcosa da rimproverare al Papa. La prudenza di queste persone è di quel genere che l’Apostolo Paolo chiama “sapienza della carne e morte dell’anima”, dato che non è né può essere subordinata alla legge divina . Nulla è meno utile per chi voglia diminuire questi mali. I nemici lo dichiarano apertamente, e se ne gloriano: hanno il fermo proposito di abbattere fin dalle fondamenta, se fosse possibile, l’unica vera religione, quella cattolica. Con tale obiettivo tutto osano: comprendono infatti che quanto più si indebolirà il coraggio degli altri, tanto maggiore libertà avranno per compiere le loro malefatte. Pertanto coloro che seguono la “prudenza della carne” e fingono di ignorare che ognuno deve essere un buon soldato di Cristo, coloro che vogliono conseguire il premio dovuto ai vincitori attraverso una via addolcita e senza combattere, invece di troncare la via dei malvagi arrivano a favorirla. – Alcuni, mossi da intenti fallaci o, quel che è peggio, un po’ agendo e un po’ dissimulando, non si assumono le loro responsabilità. Vorrebbero che la Chiesa si reggesse secondo il loro giudizio e parere, fino ad accettare di malavoglia o con ripugnanza ciò che si fa altrimenti. Costoro contestano con vane parole e sono da rimproverare non meno degli altri. Questo significa non voler seguire la legittima potestà, ma prevenirla; è un voler trasferire ai privati l’ufficio dei magistrati, con grande sconvolgimento di quell’ordine che Dio ha stabilito nella sua Chiesa, da osservarsi in perpetuo, e che non permette sia violato impunemente da chicchessia. – Agiscono veramente bene coloro che non rifiutano di scendere in campo ogni volta che è necessario, nella ferma persuasione che un’ingiusta persecuzione contro la santità del diritto e della religione avrà certamente fine. Questi si presentano come coloro che riprendono ancora l’antico valore, quando si sforzano di difendere la religione, specialmente contro quella setta audacissima, nata per far guerra al cristianesimo, che non cessa di perseguitare il Sommo Pontefice nei suoi poteri, pur conservando diligentemente la tattica dell’obbedienza e di non intraprendere nulla senza permesso. – Ma siccome questa volontà di obbedienza congiunta a forza e carattere e a costanza è necessaria a tutti i cristiani, affinché in qualsiasi circostanza “non siano carenti in nessuna cosa” (Gc 1,4), Noi vorremmo che nell’animo di tutti fosse radicata quella che Paolo chiama “la prudenza dello spirito” (Rm VIII,6). Questa, nel moderare le azioni umane, segue l’aurea regola del giusto mezzo, facendo sì che l’uomo non si disperi per paura, o troppo presuma per temerarietà. C’è anche differenza tra la prudenza politica, che riguarda il bene comune, e quella che riguarda il bene personale di ciascuno. Quest’ultima è propria di ogni privato, che nel governo di se stesso segue i dettami della retta ragione. L’altra è quella dei governanti, soprattutto dei sovrani, il cui compito è di governare validamente; così come la politica dei privati è tutta impostata sulla prudenza, quella del potere legittimo è di eseguire fedelmente i decreti . Questa disposizione e quest’ordine tanto più devono valere nella società cristiana, in quanto la prudenza politica del Pontefice abbraccia tanti settori. Infatti egli non solo deve reggere la Chiesa, ma dirigere dovunque le azioni dei cittadini cristiani, affinché si conformino alla speranza di ottenere la vita eterna. Da questo risulta chiaramente che oltre una somma concordia di pensieri e di opere, essi devono conformarsi nell’agire alla sapiente politica del potere ecclesiastico. Il governo della società cristiana, dopo il romano Pontefice e secondo le sue direttive, spetta ai Vescovi, i quali anche se non hanno la pienezza del potere pontificio, tuttavia nella gerarchia ecclesiastica sono autentici principi e nell’amministrazione della propria Chiesa sono “per così dire i principali costruttori… dell’edificio spirituale” , ed hanno come coadiutori nel loro ufficio ed esecutori dei loro ordini i sacerdoti. A questa struttura della Chiesa che nessun mortale può cambiare, bisogna adattare l’azione della vita. E come è necessaria per i Vescovi l’unione con la Sede Apostolica, così i chierici e i laici devono vivere e operare in perfetta unione con i Vescovi. Può accadere di trovare qualcosa di poco lodevole in qualche Vescovo, sia nei costumi, sia nelle opinioni: ma nessun privato deve arrogarsi la funzione di giudice, perché questo potere Cristo Signore lo diede soltanto a colui cui affidò gli agnelli e le pecore. Tenga ben presente ciascuno le sapientissime parole di Gregorio Magno: “I sudditi devono essere ammoniti a non giudicare temerariamente la vita dei loro superiori, anche se forse vedono in loro qualcosa di riprovevole, affinché mentre giustamente riprovano il male, essi per orgoglio non cadano più in basso di loro. Devono essere ammoniti che, considerando le colpe dei loro superiori, non diventino arroganti contro di essi, ma se le loro colpe sono molto grandi, le giudichino entro se stessi, in modo che per l’impulso del timore di Dio non ricusino il dovere della obbedienza… Le azioni dei superiori non devono essere ferite con la spada della lingua, anche quando sono giustamente da condannare” . – Ma tutti questi sforzi giovano poco se non viene intrapresa una condotta di vita conforme alla morale cristiana. È della Sacra Scrittura quella sentenza sul popolo ebreo: “Finché non peccarono al cospetto del loro Dio avevano molti beni, perché Dio odia la loro iniquità. Quando abbandonarono la strada che Dio aveva loro insegnato perché in essa camminassero, furono sterminati in battaglia da molti popoli” (Gdt 5,21-22). La nazione Giudaica portava in sé la figura del popolo cristiano: nelle sue antiche vicende c’era il preannuncio di realtà future; sennonché avendoci la bontà divina arricchiti e ornati di molti e maggiori benefici, la colpa dell’ingratitudine rende ancor più gravi le colpe dei cristiani. – La Chiesa in nessun tempo e in nessun modo viene abbandonata da Dio: per questo non ha nulla da temere dalla malvagità degli uomini; ma le nazioni, degenerando dalla virtù cristiana, non possono avere la stessa sicurezza. “Infatti il peccato rende miseri i popoli” (Pr 14,34). E se ogni età anteriore ha sperimentato la forza e la verità di questa sentenza, per quale motivo non dovrebbe sperimentarla la nostra? Anzi, molti già affermano che il castigo è imminente e la condizione stessa degli Stati moderni lo conferma: infatti ne vediamo parecchi per nulla sicuri e tranquilli a causa delle discordie intestine. E se le fazioni dei malvagi continueranno spavaldamente per questa strada: se accadrà che coloro che già procedono sulla via del malaffare e dei peggiori proponimenti aumentino di potere e di mezzi, c’è da temere che demoliscano tutto l’edificio sociale fin dalle fondamenta poste dalla natura. E non è possibile che tanti pericoli possano essere allontanati con la sola opera degli uomini, soprattutto perché molta gente, abbandonata la fede cristiana, giustamente paga il fio della propria superbia; accecata dalle passioni, inutilmente cerca la verità; abbraccia come vero ciò che è falso, e crede di essere saggia “quando chiama bene il male e male il bene” e chiama “luce le tenebre e tenebre la luce” (Is 5,20). È necessario che Dio intervenga e, memore della sua benignità, rivolga uno sguardo pietoso sulla società civile. Per questo, come abbiamo altre volte esortato, è necessario adoperarsi con particolare zelo e costanza affinché la divina clemenza venga implorata con umile preghiera e siano richiamate quelle virtù che costituiscono l’essenza della vita cristiana. – Prima di tutto bisogna far risorgere e poi difendere la carità, che è il fondamento della vita cristiana, senza la quale le altre virtù sono vane e senza alcun frutto. San Paolo, esortando i Colossesi a fuggire qualsiasi vizio ed a conseguire la lode per le altre virtù, aggiunge “soprattutto conservate la carità, che è il vincolo della perfezione” (Col III,14). La carità è certamente il vincolo della perfezione, perché congiunge intimamente con Dio coloro che la praticano, per cui ottengono da Dio la vita dell’anima, agiscono in unione con Dio e tutto riferiscono a Dio. L’amore per Dio deve però essere unito all’amore per il prossimo, perché gli uomini partecipano della infinita bontà di Dio e portano espressa in se stessi la sua immagine e somiglianza. “Noi abbiamo da Dio questo comandamento: chi ama Dio deve amare il fratello” (1Gv IV,21). “Se qualcuno dirà che ama Dio e odia il fratello, è bugiardo” (1Gv IV,20). Il divino legislatore di questo comandamento della carità lo chiamò “nuovo” non perché qualche altra legge o la stessa natura non avessero già comandato di amare il prossimo, ma perché questo modo cristiano di amare era affatto nuovo, e a memoria d’uomo inaudito. Infatti Gesù Cristo domandò ai suoi discepoli e seguaci quell’amore con il quale Egli è amato dal Padre ed Egli stesso ama gli uomini, affinché essi potessero essere in Lui un cuore solo e un’anima sola, come Egli e il Padre sono per natura una cosa sola. Nessuno ignora come la potenza di questo precetto sia profondamente penetrata fin dall’inizio nel cuore dei cristiani, e quali frutti di concordia, di benevolenza reciproca, di pietà e di pazienza abbia procurato. Perché non ci si adopera ad imitare gli esempi dei primi cristiani? I nostri tempi ci stimolano vivamente alla carità. Mentre gli empi rinfocolano il loro odio contro Gesù Cristo, i cristiani devono rinvigorire la loro pietà e rinnovare quella carità che è fonte di grandi imprese. Cessino dunque gli eventuali dissensi; tacciano quelle contese che diminuiscono le forze dei combattenti e in nessun modo giovano alla religione: con l’unione delle menti nella stessa fede, con la carità sollecitatrice delle volontà, vivano tutti, come è giusto, nell’amore di Dio e dell’umanità. – L’occasione Ci porta ad ammonire specialmente i padri di famiglia affinché sappiano governare la loro casa con questi precetti ed educare bene i figli. La famiglia è il germe della società civile, e le sorti della società si formano in gran parte fra le pareti domestiche. Pertanto, coloro che vogliono strappare la società dal cristianesimo, partono dalle radici e si affrettano a corrompere la famiglia. Da questa decisione e da questo crimine non li trattiene il pensiero di non poterlo fare senza recare una gravissima ingiuria ai genitori: infatti i genitori hanno dalla natura il diritto di educare coloro che hanno procreato, con il conseguente dovere che la loro educazione corrisponda alla grazia di avere avuto dei figli in dono da Dio. È dunque necessario che i genitori, reagendo, si sforzino di respingere in questo campo ogni intromissione ingiuriosa e rivendichino il diritto di educare come conviene i figli nel costume cristiano, specialmente tenendoli lontani da quelle scuole nelle quali corrono il pericolo di assorbire il veleno dell’empietà. Quando si tratta di formare rettamente la gioventù, nessun’opera e fatica sono tanto rilevanti che non se ne possano compiere delle maggiori. In questo sono veramente degni di ogni ammirazione quei cattolici di varie nazioni, che per l’educazione dei loro figli hanno organizzato scuole con grandi spese e maggiore costanza. Bisogna che questi salutari esempi siano imitati dovunque i tempi lo esigono: ma si convinca ognuno che prima di tutto nell’anima dei fanciulli molto può l’educazione domestica. Se l’adolescenza avrà trovato in casa una retta regola di vita, come una palestra di cristiane virtù, la salvezza della società sarà in gran parte assicurata. – Ci sembra avere trattato delle cose principali che i cattolici oggi devono seguire oppure evitare. Il resto, Venerabili Fratelli, tocca a voi: che la Nostra voce si diffonda in ogni parte e che tutti comprendano quanto è importante mettere in pratica le cose delle quali abbiamo trattato in questa lettera. L’osservanza di questi doveri non può essere né molesta né grave, perché il giogo di Gesù Cristo è lieve e il suo carico leggero. Se qualche cosa sembrerà difficile da eseguire, con la vostra autorità e con il vostro esempio farete sì che ognuno, con la maggior forza d’animo, vi si applichi e dimostri coraggio contro ogni difficoltà. Spiegate a tutti che sono in pericolo, come spesso abbiamo ammonito, i beni più grandi e più desiderabili, per la difesa dei quali ogni fatica deve essere considerata sopportabile; a tale sforzo è unita una grandissima ricompensa, quanta ne produce una vita cristianamente vissuta. Altrimenti, rifiutarsi di combattere per Cristo significa combattere contro di Lui. Egli stesso proclama (Lc 9,26) che rinnegherà davanti al Padre suo che è nei cieli chiunque avrà ricusato di confessarlo davanti agli uomini sulla terra. – Per quanto riguarda Noi e tutti voi, certamente, finché siamo in vita faremo sì che non vengano mai meno in questo combattimento la Nostra autorità, il Nostro consiglio e la Nostra opera. E non c’è dubbio che sia al gregge, sia ai pastori, non mancherà il particolare aiuto di Dio, finché il nemico non sarà vinto. – Sostenuti da tale fiducia, auspice dei celesti favori, con tutto il cuore impartiamo nel Signore a voi, Venerabili Fratelli, al Clero e a tutto il popolo al quale singolarmente presiedete, come pegno della Nostra benevolenza l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 10 gennaio 1890, anno dodicesimo del Nostro Pontificato.

DOMENICA DI SESSUAGESIMA

Introitus Ps XLIII:23-26

Exsúrge, quare obdórmis, Dómine? exsúrge, et ne repéllas in finem: quare fáciem tuam avértis, oblivísceris tribulatiónem nostram? adhaesit in terra venter noster: exsúrge, Dómine, ádjuva nos, et líbera nos.

[Risvégliati, perché dormi, o Signore? Déstati, e non rigettarci per sempre. Perché nascondi il tuo volto diméntico della nostra tribolazione? Giace a terra il nostro corpo: sorgi in nostro aiuto, o Signore, e líberaci.]

Ps XLIII:2 Deus, áuribus nostris audívimus: patres nostri annuntiavérunt nobis.

Ps 43:2 [O Dio, lo udimmo coi nostri orecchi: ce lo hanno raccontato i nostri padri.]

Oratio

Orémus. Deus, qui cónspicis, quia ex nulla nostra actióne confídimus: concéde propítius; ut, contra advérsa ómnia, Doctóris géntium protectióne muniámur. – Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia saecula saeculorum.

R. Amen.

[Colletta : Preghiamo. [O Dio, che vedi come noi non confidiamo in alcuna òpera nostra, concédici propizio d’esser difesi da ogni avversità, per intercessione del Dottore delle genti. – Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, in unità con lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. R. – Amen.]

LECTIO

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corínthios.

2 Cor 11:XIX-33; XII:1-9.

“Fratres: Libénter suffértis insipiéntens: cum sitis ipsi sapiéntes. Sustinétis enim, si quis vos in servitútem rédigit, si quis dévorat, si quis áccipit, si quis extóllitur, si quis in fáciem vos cædit. Secúndum ignobilitátem dico, quasi nos infírmi fuérimus in hac parte. In quo quis audet, – in insipiéntia dico – áudeo et ego: Hebraei sunt, et ego: Israelítæ sunt, et ego: Semen Abrahæ sunt, et ego: Minístri Christi sunt, – ut minus sápiens dico – plus ego: in labóribus plúrimis, in carcéribus abundántius, in plagis supra modum, in mórtibus frequénter. A Judaeis quínquies quadragénas, una minus, accépi. Ter virgis cæsus sum, semel lapidátus sum, ter naufrágium feci, nocte et die in profúndo maris fui: in itinéribus sæpe, perículis fluminum, perículis latrónum, perículis ex génere, perículis ex géntibus, perículis in civitáte, perículis in solitúdine, perículis in mari, perículis in falsis frátribus: in labóre et ærúmna, in vigíliis multis, in fame et siti, in jejúniis multis, in frigóre et nuditáte: præter illa, quæ extrínsecus sunt, instántia mea cotidiána, sollicitúdo ómnium Ecclesiárum. Quis infirmátur, et ego non infírmor? quis scandalizátur, et ego non uror? Si gloriári opórtet: quæ infirmitátis meæ sunt, gloriábor. Deus et Pater Dómini nostri Jesu Christi, qui est benedíctus in saecula, scit quod non méntior. Damásci præpósitus gentis Arétæ regis, custodiébat civitátem Damascenórum, ut me comprehénderet: et per fenéstram in sporta dimíssus sum per murum, et sic effúgi manus ejus. Si gloriári opórtet – non éxpedit quidem, – véniam autem ad visiónes et revelatiónes Dómini. Scio hóminem in Christo ante annos quatuórdecim, – sive in córpore néscio, sive extra corpus néscio, Deus scit – raptum hujúsmodi usque ad tértium coelum. Et scio hujúsmodi hóminem, – sive in córpore, sive extra corpus néscio, Deus scit:- quóniam raptus est in paradisum: et audivit arcána verba, quæ non licet homini loqui. Pro hujúsmodi gloriábor: pro me autem nihil gloriábor nisi in infirmitátibus meis. Nam, et si volúero gloriári, non ero insípiens: veritátem enim dicam: parco autem, ne quis me exístimet supra id, quod videt in me, aut áliquid audit ex me. Et ne magnitúdo revelatiónem extóllat me, datus est mihi stímulus carnis meæ ángelus sátanæ, qui me colaphízet. Propter quod ter Dóminum rogávi, ut discéderet a me: et dixit mihi: Súfficit tibi grátia mea: nam virtus in infirmitáte perfícitur. Libénter ígitur gloriábor in infirmitátibus meis, ut inhábitet in me virtus Christi.”

Deo gratias.

Epistola

[Lettura della Lettera del B. Paolo Ap. ai Corinti. – 2 Cor XI:19-33; XII:1-9.

Fratelli: Tollerate volentieri gli stolti, essendo saggi. Infatti sopportate chi vi fa schiavi, chi vi divora, chi vi ruba, chi si insuperbisce, chi vi schiaffeggia. Dico ciò con rossore: noi siamo stati troppo deboli da questo lato. Ma di checché si voglia menar vanto parlo da insensato anch’io me ne vanterò: Sono Ebrei? Lo sono anch’io. Sono Israeliti? Anch’io. Sono figli di Abramo? Anch’io. Sono ministri di Cristo? Parlo da stolto Io lo sono più di essi. Più nei travagli, più nelle prigionie, oltre modo nelle battiture, frequentemente in pericolo di morte. Dai Giudei cinque volte ricevetti trentanove colpi. Tre volte fui battuto con le verghe, una volta lapidato, tre volte naufragai, una notte e un giorno stetti in alto mare, spesso in viaggi, tra i pericoli dei fiumi, pericoli degli assassini, pericoli dai miei nazionali, pericoli dai gentili, pericoli nelle città, pericoli nei deserti, pericoli nel mare, pericoli dai falsi fratelli: nel lavoro e nella fatica, nelle molte vigilie, nella fame e nella sete, nei molti digiuni, nel freddo e nella nudità. E, senza parlare di tante altre cose, le quotidiane cure che pesano sopra di me, la sollecitudine di tutte le Chiese. Chi è infermo che non sia io infermo? Chi è scandalizzato che io non arda? Se fa mestieri di gloriarsi, mi glorierò di quelle cose che riguardano la mia debolezza. Iddio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che è benedetto nei secoli, sa che io non mentisco. In Damasco, colui che governava la nazione a nome del re Areta, aveva poste guardie intorno alla città di Damasco per catturarmi: e per una finestra fui calato in una sporta dalle mura, e così gli sfuggii di mano. Fa duopo gloriarsi? Veramente ciò non è utile; nondimeno verrò pure alle visioni e rivelazioni del Signore. Conosco un uomo in Cristo, il quale quattordici anni fa non so se col corpo, oppure fuori dal corpo, Dio lo sa fu rapito fino al terzo cielo. E so che quest’uomo se nel corpo o fuori del corpo, io non lo so, lo sa Dio fu rapito in Paradiso: e udì arcane parole, che non è lecito a uomo di proferire. Riguardo a quest’uomo mi glorierò: ma riguardo a me, di nulla mi glorierò, se non delle mie debolezze. Però, se volessi gloriarmi non sarei stolto, perché direi la verità: ma io me ne astengo, affinché nessuno mi stimi più di quello che vede in me o di quello che ode da me. E affinché la grandezza delle rivelazioni non mi levi in orgoglio, mi è stato dato lo stímolo nella mia carne, un angelo di sàtana che mi schiaffeggi. Al riguardo di che, tre volte pregai il Signore che da me fosse tolto: e mi disse: Basta a te la mia grazia: poiché la mia potenza arriva al suo fine per mezzo della debolezza. Volentieri adunque mi glorierò nelle mie debolezze, affinché àbiti in me la potenza di Cristo. R. Grazie a Dio.]

Graduale Ps LXXXII:19; 82:14

Sciant gentes, quóniam nomen tibi Deus: tu solus Altíssimus super omnem terram, [Riconòscano le genti, o Dio, che tu solo sei l’Altissimo, sovrano di tutta la terra.]

Deus meus, pone illos ut rotam, et sicut stípulam ante fáciem venti.

[V. Dio mio, ridúcili come grumolo rotante e paglia travolta dal vento.]

 Ps LIX:4; LIX:6

Commovísti, Dómine, terram, et conturbásti eam.

Sana contritiónes ejus, quia mota est.

Ut fúgiant a fácie arcus: ut liberéntur elécti tui.

Ps 59:4; 59:6

[Hai scosso la terra, o Signore, l’hai sconquassata.

Risana le sue ferite, perché minaccia rovina.

Affinché sfuggano al tiro dell’arco e siano liberati i tuoi eletti.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Lucam.

  1. Gloria tibi, Domine!

Luc VIII:4-15

“In illo témpore: Cum turba plúrima convenírent, et de civitátibus properárent ad Jesum, dixit per similitúdinem: Exiit, qui séminat, semináre semen suum: et dum séminat, áliud cécidit secus viam, et conculcátum est, et vólucres coeli comedérunt illud. Et áliud cécidit supra petram: et natum áruit, quia non habébat humórem. Et áliud cécidit inter spinas, et simul exórtæ spinæ suffocavérunt illud. Et áliud cécidit in terram bonam: et ortum fecit fructum céntuplum. Hæc dicens, clamábat: Qui habet aures audiéndi, audiat. Interrogábant autem eum discípuli ejus, quæ esset hæc parábola. Quibus ipse dixit: Vobis datum est nosse mystérium regni Dei, céteris autem in parábolis: ut vidéntes non videant, et audientes non intéllegant. Est autem hæc parábola: Semen est verbum Dei. Qui autem secus viam, hi sunt qui áudiunt: déinde venit diábolus, et tollit verbum de corde eórum, ne credéntes salvi fiant. Nam qui supra petram: qui cum audierint, cum gáudio suscipiunt verbum: et hi radíces non habent: qui ad tempus credunt, et in témpore tentatiónis recédunt. Quod autem in spinas cécidit: hi sunt, qui audiérunt, et a sollicitudínibus et divítiis et voluptátibus vitæ eúntes, suffocántur, et non réferunt fructum. Quod autem in bonam terram: hi sunt, qui in corde bono et óptimo audiéntes verbum rétinent, et fructum áfferunt in patiéntia.”

Laus tibi, Christe!

Séguito ✠ del S. Vangelo secondo Luca.

Gloria a Te, o Signore!

Luc 8:4-15

“In quel tempo: radunandosi grandissima turba di popolo, e accorrendo gente a Gesù da tutte le città. Egli disse questa parabola: Andò il seminatore a seminare la sua semenza: e nel seminarla parte cadde lungo la strada e fu calpestata, e gli uccelli dell’aria la divorarono; parte cadde sopra le pietre, e, nata che fu, seccò, perché non aveva umore; parte cadde fra le spine, e le spine che nacquero insieme la soffocarono; parte cadde in terra buona, e, nata, fruttò cento per uno. Detto questo esclamò: Chi ha orecchie per intendere, intenda. E i suoi discepoli gli domandavano che significasse questa parabola. Egli disse: A voi è concesso di intendere il mistero del regno di Dio, ma a tutti gli altri solo per via di parabola: onde, pur vedendo non vedano, e udendo non intendano. La parabola dunque significa questo: La semenza è la parola di Dio. Ora, quelli che sono lungo la strada, sono coloro che ascoltano: e poi viene il diavolo e porta via la parola dal loro cuore, perché non si salvino col credere. Quelli caduti sopra la pietra, sono quelli che udita la parola l’accolgono con allegrezza, ma questi non hanno radice: essi credono per un tempo, ma nell’ora della tentazione si tirano indietro. Semenza caduta tra le spine sono coloro che hanno ascoltato, ma a lungo andare restano soffocati dalle sollecitudini, dalle ricchezze e dai piaceri della vita, e non portano il frutto a maturità. La semenza caduta in buona terra indica coloro che in un cuore buono e perfetto ritengono la parola ascoltata, e portano frutto mediante la pazienza.”

Lode a Te, o Cristo.

OMELIA

Omelia della Domenica di sessagesima

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. I -1851-]

(Vangelo sec. S. Luca VIII 4-15

Sementa Buona e Malvagia.

Una gran turba di popolo accorso da diverse città s’affollò un dì attorno al divin Redentore per ascoltare le sue parole. Egli seguendo lo stile orientale, molto usitato nella Palestina, cominciò il suo discorso con questa parabola. Un cert’uomo, Ei disse, uscì di casa per condursi al campo a seminare, “exiit qui seminata seminare semen suum”. Qui facciamo punto. Chi è quest’uomo figurato in questa parabola? Egli è, rispondono concordemente i santi Padri, citati dall’angelico dottor S. Tommaso (In caten. aurea), il divin Verbo, disceso dal cielo su questa terra a spargere la sua divina parola. E appunto su questa divina parola tutto si raggira l’odierno Vangelo. Dovrei perciò su la medesima tenervi ragionamento, ma siccome in questa stessa Domenica ve n’ho parlato più volte permettetemi che per variar argomento, io mi attenga alla sola indicata similitudine del seminare, e vada proseguendo così. Non v’è nelle sacre Scritture paragone forse più ripetuto del seminare, per esprimere le umane operazioni. Fra tutti i testi che potrei addurvi, uno solo ne scelgo dell’apostolo Paolo nella sua lettera a quei di Galazia. “Quæ seminaverit homo, hæc et metet” (Cap. VI, 8) . Quel che avremo seminato, sarà da noi raccolto. Chi seminerà opere buone raccoglierà premi e ricompense temporali ed eterne; chi invece seminerà opere malvagie si aspetti guai e castighi temporali ed eterni. “Quæ seminaverit homo, hæc et metet”. Ed ecco in queste parole dell’Apostolo, secondo i due accennati rapporti, la materia del breve mio dire e del vostro cortese ascoltare.

  1. I. Qual è la sementa, tale sarà la raccolta. La cosa è naturale. Voi chiamereste pazzo colui, che seminando zizzania pretendesse mietere frumento. Dalle spine, dice il Salvatore (Matth. VII, 16), non si vendemmiano le uve, né da’ triboli si colgono fichi. Ora per quell’analogia che passa tra le naturali cose e le spirituali, è certo, che dalla mala sementa di peccaminose azioni non potete aspettarvi che male, e dalla buona non dovete sperare, che bene. – Non ci dipartiamo dall’evangelica allegoria. – Tre cose son necessarie per parte del seminatore, a fine di ottenere buona e abbondante raccolta. Buona semente, buon terreno, fatica e pazienza. Riportiamole al senso morale. Voi pascete i famelici, vestite i nudi, visitate gli infermi, consolate gli afflitti, date buoni consigli, vi esercitate in preghiere, in opere di pietà e di religione. Tutti questi son ottimi semi, ma non basta. Perché producano il frutto desiderato, bisogna spargerli in buon terreno. – Infatti non fu una buona sementa quella, che sparse l’agricoltore del presente Vangelo? Lo fu certamente. Ma quella che andò, forse spinta dal vento, nella pubblica strada, quella che cadde fra le spine, quella che restò sopra la nuda pietra, tutte furono via gittate e perdute. Quella soltanto, che cadde in buon terreno, produsse a suo tempo un frutto centuplicato. – Or qual è mai questo buon terreno, che rende buone le nostre azioni, onde fruttifichino per la vita eterna? Lo dice S. Paolo: lo spirito, l’anima in grazia di Dio, la retta intenzione son quella terra feconda, che produce frutti di eterna vita. “Qui seminat in spiritu de spiritu metet vitam æternam(ad Gal. VI, 8). Senza la grazia giustificante, che è lo spirito e la vita dell’anima, tutte le opere di pietà, di religione, di giustizia e di beneficenza, saranno buone nell’ordine naturale, saranno degne di premio temporaneo, possono muover Dio a convertir chi le pratica, ma non sono di alcun merito in ordine alla vita eterna, son opere morte, perché prodotte da un’anima morta alla grazia per il peccato. Né pur saranno opere meritevoli di eterna mercede quelle che partono da un’anima giustificata, se questa non le accompagna con puro fine e retta intenzione. Mi spiego. Colei frequenta le Chiese, assiste alle sacre funzioni con devoto contegno, con religiosa esemplarità; ma se il di lei fine è diretto ad acquistar la stima di chi l’osserva, questo suo fine avvelena la sua devozione per modo che di buona la rende colpevole. Colui fa limosine, sono queste semente ottime, ma se, come i Farisei, le fa suonando la tromba, cioè per la gloria vana di comparir limosiniero, la rea intenzione cangia quel buon frumento in malvagia zizzania. – Quell’altro presta il suo danaro, e senza alcun interesse, all’amico bisognoso. Ottimamente fin qui: “Jucundus homo qui miseretur, et commodat” (Ps. CXI, 5): ma fa quel prestito perché prevede, che al tempo pattuito l’amico non sarà in caso di soddisfare il suo debito, e perciò la sua mira è volta a spogliarlo di quel bello e buon possesso al prezzo infimo, che non avrebbe potuto ottenere nè pure al sommo. Cessa di essere atto di carità quel prestito, anzi, pel fine insidioso che l’accompagna, si converte in una specie di tradimento. Un atto dunque, intendete bene, miei cari, quantunque di sua natura buono e lodevole, è come un corpo morto, lo spirito che lo vivifica è il retto e virtuoso fine. Finalmente sparsa una sementa buona in terreno buono, aspettatevi pure il frutto, ma “in patientia, come dice l’odierno Vangelo. Molti si lagnano, che dopo aver assistiti i parenti, aiutati i vicini, soccorsi i poveri, dopo tante limosine, dopo tante opere buone non vedono spuntare alcun frutto. Questo frutto, io dico a costoro, l’aspettate voi da Dio, o dal mondo? Se dal mondo, oh quanto è incerto! oh quanto è fallace! Se l’aspettate da Dio, abbiate pazienza, e non sarete delusi nella vostra aspettazione. – L’agricoltore, dice s. Giacomo, aspetta pazientemente il frutto della terra, e dei suoi sudori. “Ecce agricola expectat pretiosum fructum terræ, patienter ferens”. (Iacob. V, 7.), imitate voi la sua pazienza, “patientes igitur estote et vos” (V, 8). Seminato il grano sul campo, si seppellisce sotterra, sopra di esso cade la pioggia, la neve, dominano i venti , il freddo, il gelo. E poi? E poi vengono le belle stagioni, spunta la messe, il sole l’indora, il mietitore ne gioisce. Così avvenne al buon Tobia. Trasportato questi da Salmanasar dalla Samaria in Ninive con dieci tribù d’Israele, nella cattività la fece da buon seminatore. Son senza numero le opere di carità che ei praticò a sollievo dei suoi fratelli in quella barbara schiavitù. Limosine agl’indigenti, conforti ai tribolati, correzioni ai trasgressori della legge di Dio e di Mosè, avvisi e minacce ai vacillanti, premura dei vivi, sollecitudine dei morti fino a lasciar il pranzo interrotto, fino a cimentar la propria vita per non lasciarli insepolti. Or questa eletta e copiosa sementa restò per un tempo notabile seppellita sotterra, e cadde sopra di essa un’alta neve. Mentre una sera Tobia ritorna a casa stanco dal trasportar cadaveri, vinto dal sonno si pone a giacere presso alla parete del portico. Quivi da un soprastante nido di rondinelle venne a cadere su le palpebre caldo e molle l’escremento de’ rondinini, che insinuandosi nelle pupille ne spense la luce con doppia cateratta. Ed ecco Tobia reso cieco. Ecco la neve caduta sul buon seminato. Alla cecità sopravviene la povertà, alla povertà la lingua pungente della sua moglie, ecco il vento, ecco il gelo. Ma che? Tutto sarà perduto? Eh, non temete, Tobia rassegnato aspetta pazientemente le divine retribuzioni nell’altra vita, e Dio lo vuol rimunerare anche in questa: manda l’Arcangelo Raffaele a guidar suo figlio in Rages città della Media. L’Angelo lo riconduce sano e salvo al padre, ricco di santa ricchissima sposa. Tobia riapre gli occhi alla luce, e quel eh’è più, Tobia, esempio di santità, riceve in cielo un eterno guiderdone delle sue virtù e della sua sapienza.

II. Per l’ opposto chi semina opere malvagie non può incorrere se non la mala sorte. “Qui seminat iniquitatem, metet mala(Prov. XXII, 8). L o dice lo Spirito Santo nei Proverbi. Quella lingua maledica semina discordie tra congiunti e congiunti, tra famiglie e famiglie, sparge bugie, calunnie, imposture: in quella bocca tutti sono malvagi, ipocriti i devoti, superbi i caritatevoli, ladri i facoltosi, ingiusti i tribunali , e non si risparmia né chiostro, né clero. Qual è il guadagno di una tal lingua? L’infamia che la disonora, che la fa abbominare e fuggire da tutte le oneste persone, come si fugge dalle vipere e dai serpenti. “Qui seminat iniquitatem, metet mala”. Figlio, rinnova l’avviso lo Spirito Santo, non seminar male azioni nei solchi dell’ingiustizia, acciò non ti avvenga dover raccogliere una messe sette volte maggiore di danni e d’infortuni. “Fili, non semines mala in sulcis iniustitias, et non metes ea in septuplum” (Prov. VII, 3). Quali sono questi solchi d’ingiustizia? Son le frodi, i pesi fallaci, le scarse misure, le usure palliate, i monopoli. Chi semina in questi solchi raccoglierà perdite, disgrazie, fallimenti, danni sette volte di più de’guadagni ricavati dai solchi dell’ingiustizia. – Giovani ciechi, voi seminate, secondo la frase di S. Paolo, opere di carne. “Ecco, dice lo stesso, il frutto che ne riporterete: macchie indelebili alla vostra reputazione, infermità vergognose, che vi faranno marcire le carni, che vi renderanno mezzo cadaveri, che abbrevieranno i vostri giorni, “Qui seminat in carne sua de carne metet corruptionem(ad Gal. VI, 8). – Davidde seminò scandali i n tutto il regno per l’adulterio con Bersabea, per l’ omicidio dell’innocente Uria, e ne raccolse ribellione dei sudditi, guerra del proprio figlio, disonore delle sue consorti. Sparse Gezabele calunnie contro Nabot, sparse il sangue de’ Profeti del Signore; e gettata via da un’alta loggia, lasciò strisce di sangue su la parete, e fu divorata dai cani. Sparse Ario l’eresia più perniciosa, e sparse le viscere e gl’intestini per simultanea vergognosissima morte. A finirla; è infallibile il divino oracolo: “Qui seminat iniquitatem, metet mala”. – Il frutto della presente spiegazione vorrei che fosse, fratelli carissimi, una generosa risoluzione di imitare i SS. Apostoli. A questi la s. Chiesa appropria le parole del re Salmista, “euntes ibant, et flebant mittentes semina sua(Ps. CXXV). Essi han sostenute fatiche, sparsi sudori in seminare la divina parola, si condussero alle più remote e barbare nazioni a spargere in quelle terre selvagge i semi della religione e della fede, piansero, si afflissero, diedero sangue e vita, “euntes ibant, et flebant mittentes semina sua”. Ma raccolsero una messe copiosissima di anime salve, di un mondo convertito, di una fede propagata e stabilita, della quale noi godiamo i frutti; e per sé stessi raccolsero una messe abbondante di meriti preziosi, di benedizioni perpetue e di eterna esultazione. I loro nomi, scritti nei libri santi e nel ruolo degli eletti, si rammentano con venerazione e riconoscenza; i loro corpi, le loro reliquie riscuotono culto sui nostri altari, le anime loro formano in cielo un coro glorioso e distinto, ove, colme di manipoli, ricche di meriti e di trionfi esulteranno nei secoli eterni: “Venientes autem venient cum exultatione portantes manipulos suos(ibid.). – Zeliamo ancor noi, fedeli amatissimi, secondo le nostre forze, la gloria di Dio e il bene dei prossimi, prepariamoci una buona raccolta di meriti colle opere di virtù, di carità di giustizia, di edificazione e di santità. Noi siamo in una valle di lacrime. Quei che seminano con dolore, dice il re Profeta, mieteranno con allegrezza, “qui seminant in lacrimis, in exultatione metent(Ibid. VI, 5). Conviene dunque nel pianto e nei dolore dei nostri peccati, nella mortificazione dei sensi, nella vittoria delle nostre passioni gettare i semi della nostra salvezza, per goderla poi eternamente nell’esultazione del nostro spirito. Per ciò ottenere da voi medesimi portate impressa nella mente e nel cuore la massima che fin qui vi venni esponendo. Qual è la sementa, tale sarà la raccolta: chi opera bene, speri bene, chi male, non si aspetti che male: “Quæ seminaverit homo, hæc et metet”.

Offertorium

Orémus Ps XVI:5; XVI:6-7

Pérfice gressus meos in sémitis tuis, ut non moveántur vestígia mea: inclína aurem tuam, et exáudi verba mea: mirífica misericórdias tuas, qui salvos facis sperántes in te, Dómine.

[Rendi fermi i miei passi nei tuoi sentieri, affinché i miei piedi non vacillino. Inclina l’orecchio verso di me, e ascolta le mie parole. Fa risplendere la tua misericordia, tu che salvi chi spera in Te, o Signore.]

Secreta

Oblátum tibi, Dómine, sacrifícium, vivíficet nos semper et múniat.

[Il sacrificio a Te offerto, o Signore, sempre ci vivifichi e custodisca.]

Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia saecula saeculorum. – Amen.

[Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, in unità con lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.]

Communio Ps XLII:4

Introíbo ad altáre Dei, ad Deum, qui lætíficat juventútem meam.

[Mi accosterò all’altare di Dio, a Dio che allieta la mia giovinezza.]

Postcommunio

Orémus. Súpplices te rogámus, omnípotens Deus: ut, quos tuis réficis sacraméntis, tibi étiam plácitis móribus dignánter deservíre concédas.

[Ti supplichiamo, o Dio onnipotente, affinché quelli che nutri coi tuoi sacramenti, Ti servano degnamente con una condotta a Te gradita.]

 

Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia saecula saeculorum.

  1. R.

S. SIMEONE VESCOVO E MARTIRE

SIMEONE VESCOVO E MARTIRE

18 FEBBRAIO.

Narra una pia leggenda che S. Simeone fosse figlio di una cugina della S. Madonna. Quello che è certo, si è che era cugino del Signore, secondo la testimonianza del S. Vangelo, e compreso fra quelli che sono chiamati « Fratelli di Gesù » (Matth. XIII, 55). – Nacque otto o nove anni prima di Gesù Cristo e non può dubitarsi che ben presto lo seguisse assieme ai suoi genitori. Divenne poi discepolo fedele nella sua vita pubblica, e si dedicò con ardore alla predicazione. Il dì di Pentecoste anch’egli ebbe l’inestimabile fortuna di trovarsi presente nel Cenacolo con Maria e gli altri Apostoli a ricevere lo Spirito Santo. – Quando nel 62 i giudei ebbero ucciso San Giacomo suo fratello, primo Vescovo di Gerusalemme, egli vi fu eletto per unanime consenso degli Apostoli e dei discepoli riuniti per l’elezione. – Sotto il suo Episcopato i Romani, stanchi delle continue insurrezioni dei giudei, deliberarono di distruggere la città. Fu allora che il Signore avvertì i pochi cristiani d’uscire di città col proprio pastore. Docili al miracoloso avviso, essi partirono e si recarono a Pella, piccola città posta al di là del Giordano. L’anno 66 infatti, Vespasiano assediò la città e la distrusse. Ma appena le orde romane abbandonarono la città distrutta, i fedeli ripassarono il Giordano ed andarono ad abitare fra quelle rovine e in tal modo rifiorì in breve la Chiesa. – Il Signore poi con miracoli la glorificò e lo zelo di S. Simone si raddoppiò sì che una gran parte di giudei passarono alla nuova religione, unica e vera. Le conversioni, dopo d allora si moltiplicarono ogni giorno riempiendo di santa letizia il cuore dell’ormai vegliardo vescovo. – Ma quella canizie venne presto turbata dal sorgere di due eresie: quella dei Nazareni e quella degli Ebioniti. – Quelli ritenevano che Cristo non fosse vero Dio; questi aggiungevano ancora che certi peccati, anche gravi erano leciti. – Intanto Traiano aveva emanato un editto di ricerca e seguente condanna a morte dei discendenti del Re Davide, perché erano troppo turbolenti e perché troppo spesso insorgevano. – S. Simeone, che già era sfuggito alle ricerche di Vespasiano, imperatore precedente, questa volta fu accusato dagli eretici e dagli stessi giudei. Arrestato per parecchi giorni fu torturato da crudeli tormenti, destando stupore negli stessi persecutori per la sua coraggiosa resistenza. Lusingato da certuni a rinunziare alla religione cristiana, egli rispondeva: — Oh, stolti che siete! Per quattro giorni di cui potrei allungare la mia vecchiaia, dovrò prepararmi un’eternità di tormenti? Ah, non sarà mai! Dopo tanti supplizi fu crocifisso come il suo divin Maestro e questo egli stimò grande grazia, onore e premio. – Era l’anno 106; contava 120 anni di vita ed era l’ultimo superstite dei discepoli del Signore.

PRATICA. — Varrebbe nulla essere anche cugini del Signore, se poi non stessimo ai suoi insegnamenti, se non seguissimo i suoi esempi, se non usassimo dei SS. Sacramenti da Lui istituiti a nostra santificazione! Per farci santi, questo basta.

PREGHIERA. — Riguarda, Dio onnipotente, alla nostra debolezza: e perché il peso del nostro mal operato è grave, ci protegga la gloriosa intercessione del tuo beato Vescovo e Martire Simeone. Così sia.

Le profezie della Beata Anna Caterina Emmerich sui tempi presenti!

Visione profetica del Venerabile Anna-Katrina Emmerick (1774-1824 A.D.)

Monaca agostiniana, stimmatizzata.

“Vidi anche il rapporto tra i due papi … Vidi quanto sarebbero state nefaste le conseguenze di questa falsa chiesa. Lho veduta aumentare di dimensioni; eretici di ogni tipo venivano nella città [di Roma]. Il clero locale diventava tiepido, e vidi una grande oscurità … Allora la visione sembrò estendersi da ogni parte. Intere comunità cattoliche erano oppresse, assediate, confinate e private della loro libertà. Vidi molte chiese che venivano chiuse, dappertutto grandi sofferenze, guerre e spargimento di sangue. Una plebaglia selvaggia e ignorante si dava ad azioni violente. Ma tutto ciò non durò a lungo”. (13 maggio 1820).- “Vidi ancora una volta che la Chiesa di Pietro era minata da un piano elaborato dalla setta segreta, mentre le bufere la stavano danneggiando. Ma vidi anche che l’aiuto sarebbe arrivato quando le afflizioni avrebbero raggiunto il loro culmine. Vidi di nuovo la Beata Vergine ascendere sulla Chiesa e stendere il suo manto su di essa. Vidi un Papa che era mite e al tempo stesso molto fermo (Gregorio XVII, Giuseppe Siri –n.d.r.-)… Vidi un grande rinnovamento e la Chiesa che si librava in alto nel cielo”. – “Vidi una strana chiesa che veniva costruita contro ogni regola (la contro-chiesa ecumenico-modernista –n.d.r.-)… Non c’erano angeli a vigilare sulle operazioni di costruzione. In quella chiesa non c’era niente che venisse dall’alto … C’erano solo divisioni e caos. Si tratta probabilmente di una chiesa di creazione umana (la chiesa dell’uomo –ndr. -), che segue l’ultima moda, così come la nuova chiesa eterodossa di Roma, che sembra dello stesso tipo …”. (12 settembre 1820). – “Ho visto di nuovo la strana grande chiesa che veniva costruita là [a Roma]. Non c’era niente di santo in essa. Ho visto questo proprio come ho visto un movimento guidato da ecclesiastici a cui contribuivano angeli, santi ed altri cristiani. Ma là [nella strana chiesa] tutto il lavoro veniva fatto meccanicamente. Tutto veniva fatto secondo la ragione umana … Ho visto ogni genere di persone, cose, dottrine ed opinioni avere molto successo. Io non vedevo un solo angelo o un santo che aiutasse nel lavoro. Ma sullo sfondo, in lontananza, ho visto la sede di un popolo crudele armato di lance (la sede in Vaticano del B’nai B’rith? –ndr.-), e ho visto una figura che ridente diceva: “Costruitela pure quanto più solida potete; tanto noi la butteremo a terra”. (12 settembre 1820).- “Ho avuto la visione del santo Imperatore Enrico. L’ho visto di notte, da solo, in ginocchio ai piedi dell’altare principale in una grande e bellissima chiesa … e ho visto la Beata Vergine venire giù da sola. Ella ha steso sull’altare un panno rosso coperto con lino bianco, vi ha posto un libro intarsiato con pietre preziose ed ha acceso le candele e la lampada perpetua … Allora ecco venire il Salvatore in Persona vestito con l’abito sacerdotale … –  La Messa era breve. Il Vangelo di San Giovanni non veniva letto alla fine [è stato eliminato, così come le preci leonine, dall’antipapa G. B. Montini, sedicente Paolo sesto –ndr.] [1]. Terminata la Messa, Maria si è diretta verso Enrico e stendendo la mano destra verso di lui gli ha detto che questo era in riconoscimento della sua purezza. Allora lo ha esortato a non avere esitazioni. Dopo di ciò ho visto un angelo, che ha percosso il tendine della sua anca, come Giacobbe. Enrico provava grande dolore, e dal quel giorno ha camminato zoppicando … [2]”. (12 luglio 1820). – “Ho visto altri martiri, non di oggi, ma del futuro … Ho visto le sette segrete (della Massoneria –ndr.) minare spietatamente la grande Chiesa. Vicino ad esse ho visto una bestia orribile che saliva dal mare … In tutto il mondo le persone buone e devote, e specialmente il clero, erano vessate, oppresse e messe in prigione. Ho avuto la sensazione che un giorno sarebbero diventate martiri. – Quando la Chiesa per la maggior parte era stata distrutta e quando solo i santuari e gli altari erano ancora in piedi, vidi entrare nella Chiesa i devastatori con la Bestia. Là essi incontrarono una donna di nobile contegno che sembrava portare nel suo grembo un bambino, perché camminava lentamente. A questa vista i nemici erano terrorizzati e la Bestia non riusciva a fare neanche un altro passo in avanti. Essa proiettò il suo collo verso la Donna come per divorarla, ma la Donna si voltò e si prostrò [in segno di sottomissione a Dio; N.d.R.], con la testa che toccava il suolo. – Allora vidi la Bestia che fuggiva di nuovo verso il mare, e i nemici stavano scappando nella più grande confusione … Poi vidi, in grande lontananza, grandiose legioni che si avvicinavano. Davanti a tutti vidi un uomo su un cavallo bianco. I prigionieri venivano liberati e si univano a loro. Tutti i nemici venivano inseguiti. Allora, vidi che la Chiesa veniva prontamente ricostruita, ed era magnifica più di prima”. (Agosto-ottobre 1820). – “Vedo il Santo Padre in grande angoscia (Gregorio XVII e/o XVIII –ndr.-). Egli vive in un palazzo diverso da quello di prima e vi ammette solo un numero limitato di amici a lui vicini. – Temo che il Santo Padre soffrirà molte altre prove prima di morire. Vedo che la falsa chiesa delle tenebre sta facendo progressi, e vedo la tremenda influenza che essa ha sulla gente. Il Santo Padre e la Chiesa sono veramente in una così grande afflizione che bisognerebbe implorare Dio giorno e notte”. (10 agosto 1820). – “La scorsa notte sono stata condotta a Roma dove il Santo Padre (Gregorio XVII –ndr.-), immerso nel suo dolore, è ancora nascosto per evitare le incombenze pericolose. Egli è molto debole ed esausto per i dolori, le preoccupazioni e le preghiere. Ora può fidarsi solo di poche persone; è principalmente per questa ragione che deve nascondersi. Ma ha ancora con sé un anziano sacerdote di grande semplicità e devozione (padre Damaso, O. M. cappucc.). Egli è suo amico, e per la sua semplicità non pensavano valesse la pena toglierlo di mezzo. –  Ma quest’uomo riceve molte grazie da Dio. Vede e si rende conto di molte cose che riferisce fedelmente al Santo Padre. Mi veniva chiesto di informarlo, mentre stava pregando, sui traditori e gli operatori di iniquità che facevano parte delle alte gerarchie dei servi che vivevano accanto a lui, così che egli potesse avvedersene”. – “Non so in che modo la scorsa notte sono stata portata a Roma, ma mi sono trovata vicino alla chiesa di Santa Maria Maggiore, e ho visto tanta povera gente che era molto afflitta e preoccupata perché il Papa non si vedeva da nessuna parte, e anche per via dell’inquietudine e delle voci allarmanti in città. – La gente sembrava non aspettarsi che le porte della chiesa si aprissero; essi volevano solo pregare fuori. Una spinta interiore li aveva condotti là. Ma io mi trovavo nella chiesa e aprii le porte. Essi entrarono, sorpresi e spaventati perché le porte si erano aperte. Mi sembrò che fossi dietro la porta e che loro non potessero vedermi. Non c’era alcun ufficio aperto nella chiesa, ma le lampade del Santuario erano accese. La gente pregava tranquillamente. – Poi vidi un’apparizione della Madre di Dio, che disse che la tribolazione sarebbe stata molto grande. Aggiunse che queste persone devono pregare ferventemente … Devono pregare soprattutto perché la Chiesa delle tenebre abbandoni Roma”. (25 agosto 1820).

“Vidi la Chiesa di San Pietro: era stata distrutta ad eccezione del Santuario e dell’Altare principale [3]. San Michele venne giù nella chiesa, vestito della sua armatura, e fece una sosta, minacciando con la spada un certo numero di indegni pastori che volevano entrare. Quella parte della Chiesa che era stata distrutta venne prontamente recintata … così che l’Ufficio Divino potesse essere celebrato come si deve. Allora, da ogni parte del mondo vennero sacerdoti e laici che ricostruirono i muri di pietra, poiché i distruttori non erano stati capaci di spostare le pesanti pietre della fondazione”. (10 settembre 1820). -“Vidi cose deplorevoli: stavano giocando d’azzardo, bevendo e parlando in chiesa; stavano anche corteggiando le donne. Ogni sorta di abomini venivano perpetrati là. I sacerdoti permettevano tutto e dicevano la Messa con molta irriverenza. Vidi che pochi di loro erano ancora pii, e solo pochi avevano una sana visione delle cose. Vidi anche degli ebrei che si trovavano sotto il portico della chiesa. Tutte queste cose mi diedero tanta tristezza”. (27 settembre 1820). – “La Chiesa si trova in grande pericolo. Dobbiamo pregare affinché il Papa non lasci Roma; ne risulterebbero innumerevoli mali se lo facesse. Ora stanno pretendendo qualcosa da lui. La dottrina protestante e quella dei greci scismatici devono diffondersi dappertutto. Ora vedo che in questo luogo la Chiesa viene minata in maniera così astuta che rimangono a mala pena un centinaio di sacerdoti che non siano stati ingannati. Tutti loro lavorano alla distruzione, persino il clero. Si avvicina una grande devastazione”. (1 ottobre 1820). -“Quando vidi la Chiesa di San Pietro in rovina, e il modo in cui tanti membri del clero erano essi stessi impegnati in quest’opera di distruzione – nessuno di loro desiderava farlo apertamente davanti agli altri -, ero talmente dispiaciuta che chiamai Gesù con tutta la mia forza, implorando la Sua misericordia. Allora vidi davanti a me lo Sposo Celeste ed Egli mi parlò per lungo tempo … – Egli disse, fra le altre cose, che questo trasferimento della Chiesa da un luogo ad un altro significava che essa sarebbe sembrata in completo declino. Ma sarebbe risorta. Anche se rimanesse un solo cattolico, la Chiesa vincerebbe di nuovo perché non si fonda sui consigli e sull’intelligenza umani. Mi fece anche vedere che non era rimasto quasi nessun cristiano, nell’antico significato della parola”. (4 ottobre 1820).- “Mentre attraversavo Roma con San Francesco e altri santi, vedemmo un grande palazzo avvolto dalle fiamme, da cima a fondo. Avevo tanta paura che gli occupanti potessero morire bruciati perché nessuno si faceva avanti per spegnere il fuoco. Tuttavia, mentre ci avvicinavamo il fuoco diminuì e noi vedemmo un edificio annerito. Attraversammo un gran numero di magnifiche stanze, e finalmente raggiungemmo il Papa. Era seduto al buio e addormentato su una grande poltrona. Era molto ammalato e debole; non riusciva più a camminare. – Gli ecclesiastici nella cerchia interna sembravano insinceri e privi di zelo; non mi piacevano. Parlai al Papa dei vescovi che presto dovevano essere nominati. Gli dissi anche che non doveva lasciare Roma. Se l’avesse fatto sarebbe stato il caos. Egli pensava che il male fosse inevitabile e che doveva partire per salvare molte cose … Era molto propenso a lasciare Roma, e veniva esortato insistentemente a farlo … – La Chiesa è completamente isolata ed è come se fosse completamente deserta. – Sembra che tutti stiano scappando. Dappertutto vedo grande miseria, odio, tradimento, rancore, confusione e una totale cecità. O città! O città! Cosa ti minaccia? La tempesta sta arrivando; sii vigile!”. (7 ottobre 1820). – “Ho anche visto le varie regioni della terra. La mia Guida [Gesù] nominò l’Europa e, indicando una regione piccola e sabbiosa, espresse queste sorprendenti parole: “Ecco la Prussia, il nemico”. Poi mi mostrò un altro luogo, a nord, e disse: “questa è Moskva, la terra di Mosca, che porta molti mali”. (1820-1821). – “Fra le cose più strane che vidi, vi erano delle lunghe processioni di vescovi. Mi vennero fatti conoscere i loro pensieri e le loro parole attraverso immagini che uscivano dalle loro bocche. Le loro colpe verso la religione venivano mostrate attraverso delle deformità esterne. Alcuni avevano solo un corpo, con una nube scura al posto della testa. Altri avevano solo una testa, i loro corpi e i cuori erano come densi vapori. Alcuni erano zoppi; altri erano paralitici; altri ancora dormivano oppure barcollavano”. (1 giugno 1820). – “Quelli che vidi credo che fossero quasi tutti i vescovi del mondo, ma solo un piccolo numero era perfettamente retto. Vidi anche il Santo Padre – assorto nella preghiera e timoroso di Dio. Non c’era niente che lasciasse a desiderare nella sua apparenza, ma era indebolito dall’età avanzata e da molte sofferenze. – La testa pendeva da una parte all’altra, e cadeva sul petto come se si stesse addormentando. Egli aveva spesso svenimenti e sembrava che stesse morendo. Ma quando pregava era spesso confortato da apparizioni dal Cielo. In quel momento la sua testa era dritta, ma non appena la faceva cadere sul petto vedevo un certo numero di persone che guardavano rapidamente a destra e a sinistra, cioè in direzione del mondo.- Poi vidi che tutto ciò che riguardava il Protestantesimo stava prendendo gradualmente il sopravvento e la religione cattolica stava precipitando in una completa decadenza. La maggior parte dei sacerdoti erano attratti dalle dottrine seducenti ma false di giovani insegnanti, e tutti loro contribuivano all’opera di distruzione. – In quei giorni, la Fede cadrà molto in basso, e sarà preservata solo in alcuni posti, in poche case e in poche famiglie che Dio ha protetto dai disastri e dalle guerre”. (1820). – “Vedo molti ecclesiastici che sono stati scomunicati e che non sembrano curarsene, e tantomeno sembrano averne coscienza. Eppure, essi vengono scomunicati quando cooperano (sic) con imprese, entrano in associazioni e abbracciano opinioni su cui è stato lanciato un anatema. Si può vedere come Dio ratifichi i decreti, gli ordini e le interdizioni emanate dal Capo della Chiesa e li mantenga in vigore anche se gli uomini non mostrano interesse per essi, li rifiutano o se ne burlano”. (1820-1821).- “Vidi molto chiaramente gli errori, le aberrazioni e gli innumerevoli peccati degli uomini. Vidi la follia e la malvagità delle loro azioni, contro ogni verità e ogni ragione. Fra questi c’erano dei sacerdoti e io con piacere sopportavo le mie sofferenze affinché essi potessero ritornare ad un animo migliore”. (22 marzo 1820).- “Ho avuto un’altra visione della grande tribolazione. Mi sembrava che si pretendesse dal clero una concessione che non poteva essere accordata. Vidi molti sacerdoti anziani, specialmente uno, che piangevano amaramente. Anche alcuni più giovani stavano piangendo. Ma altri, e i tiepidi erano fra questi, facevano senza alcuna obiezione ciò che gli veniva chiesto. Era come se la gente si stesse dividendo in due fazioni”. (12 aprile 1820). – “Vidi un nuovo Papa che sarà molto rigoroso. Egli si alienerà i vescovi freddi e tiepidi. Non è un romano, ma è italiano. Proviene da un luogo che non è lontano da Roma, e credo che venga da una famiglia devota e di sangue reale. Ma per qualche tempo dovranno esserci ancora molte lotte e agitazioni”. (27 gennaio 1822). -“Verranno tempi molto cattivi, nei quali i non cattolici svieranno molte persone. Ne risulterà una grande confusione. Vidi anche la battaglia. I nemici erano molto più numerosi, ma il piccolo esercito di fedeli ne abbatté file intere [di soldati nemici]. Durante la battaglia, la Madonna si trovava in piedi su una collina, e indossava un’armatura. Era una guerra terribile. Alla fine, solo pochi combattenti per la giusta causa erano sopravvissuti, ma la vittoria era la loro”. (22 ottobre 1822).- “Vidi che molti pastori si erano fatti coinvolgere in idee che erano pericolose per la Chiesa. Stavano costruendo una Chiesa grande, strana, e stravagante. Tutti dovevano essere ammessi in essa per essere uniti ed avere uguali diritti: evangelici, cattolici e sette di ogni denominazione. Così doveva essere la nuova Chiesa … Ma Dio aveva altri progetti”. (22 aprile 1823).- “Vorrei che fosse qui il tempo in cui regnerà il Papa vestito di rosso. Vedo gli apostoli, non quelli del passato ma gli apostoli degli ultimi tempi e mi sembra che il Papa sia fra loro.” – “Nel centro dell’inferno ho visto un abisso buio e dall’aspetto orribile e dentro di esso era stato gettato Lucifero, dopo essere stato assicurato saldamente a delle catene… Dio stesso aveva decretato questo; e mi è stato anche detto, se ricordo bene, che egli verrà liberato per un certo periodo cinquanta o sessanta anni prima dell’anno di Cristo 2000. Mi vennero indicate le date di molti altri eventi che non riesco a ricordare; ma un certo numero di demoni dovranno essere liberati molto prima di Lucifero, in modo che tentino gli uomini e servano come strumenti della vendetta divina.” – “Un uomo dal viso pallido fluttuava lentamente al di sopra della terra e, sciogliendo i drappi che avvolgevano la sua spada, li gettò sulle città addormentate, che vennero legate da questi. Questa figura gettò la pestilenza sulla Russia, l’Italia e la Spagna. Attorno a Berlino vi era un fiocco rosso e da lì venne in Westfalia. Ora la spada dell’uomo era sguainata, strisce rosse come il sangue pendevano dall’impugnatura e il sangue che grondava da questa cadeva sulla Westfalia [4]”. -“Gli ebrei ritorneranno in Palestina e diverranno cristiani verso la fine del mondo.”

Note:

1) Per secoli, prima della riforma liturgica del 1967, la Santa Messa si concludeva abitualmente (salvo rare eccezioni) con la lettura del Vangelo di Giovanni.

2) Questa è una delle numerose profezie in cui si dice che il Grande Monarca avrà un problema ad una gamba che lo farà zoppicare.

3) La visione di Suor Emmerich della chiesa di San Pietro in rovine è da intendersi certamente in senso figurato, l’immagine della distruzione delle mura di San Pietro rappresenta gli attacchi alla Fede e la decadenza della Chiesa che avranno luogo prima del suo più grande trionfo durante l’Era di Pace. Tuttavia, basandoci sulle numerose profezie che parlano di una futura distruzione di Roma, non si può escludere che anche il Vaticano in quest’occasione subirà pesanti danni materiali e devastazioni.

4) Qui probabilmente si allude alla battaglia della Westfalia, menzionata in molte profezie. In alcune di queste profezie si fa riferimento a questa regione della Germania col nome di “paese della betulla”.

Fonti:

“Catholic Prophecy” di Yves Dupont, Tan Books; “The Dolorous Passion of Our Lord Jesus Christ”, meditazioni di Anna Caterina Emmerich, Benziger Brothers, New York – 1904; “The Prophets And Our Times” di Padre Gerald Culleton, Tan Books; “Trial, Tribulation and Triumph” di Desmond A. Birch, Queenship Publishing;

(NB: i brani riportati in “Catholic Prophecy” e “Trial, Tribulation and Triumph” sono tratti da “The Life of Anne Catherine Emmerich” di Carl E. Schmoeger).

#    #    #

Evidentemente la Venerabile aveva ben visto lo svolgimento dei fatti, ed inquadrati perfettamente gli avvenimenti sfociati nella attuale crisi della Chiesa Cattolica, in cui evidentissima sempre più appare l’apostasia di veri e falsi prelati [oramai quasi tutti i modernisti, falsi tranne qualche ultra ottuagenario, tutti falsi i non-preti delle fraternità paramassoniche e derivati, i figliocci del cavaliere kadosh Lienart]. Quello che dovrebbe far meditare questi apostati, modernisti e c.d. tradizionalisti, eretici, scismatici, sedevantisti, è il passaggio segnato in rosso, nel quale si accenna alle scomuniche che il buon Dio conferma, come da promessa evangelica a Pietro e successori legittimi “… quel che legherai in terra, sarà legato in cielo …” , e che tutti disprezzano  burlandosene allegramente con superficialità veramente satanica, dimostrando oltremodo la non considerazione delle leggi della Chiesa, eluse, ritenute semplici “chiacchiere” o “scartoffie” del passato, polverose o ammuffite, ma che invece conservano tutto il potere spirituale capace di barrare la via della salvezza. A questi invero raccomandiamo con spirito sinceramente fraterno, di riconsiderare le loro posizioni alla luce del Sacro Magistero cattolico, per rimuovere le loro numerose censure derivanti dal disprezzo delle leggi emanate nei secoli da Papi e Concilii, leggi che conservano, come ci ricorda opportunamente la Venerabile, tutte intatte le loro terribili sentenze di condanna ad essere estromessi dalla Chiesa Cattolica, unica Chiesa in cui c’è salvezza, e quindi essere destinati al fuoco eterno. Qui non si tratta di sterili polemiche, discussioni vane o farfugliamenti pseudo teologici, bensì della perdita della vita eterna e della condanna irrevocabile alla dannazione perpetua. Ricorrete, vi scongiuriamo fratelli, ai rimedi del caso, prima che sia troppo tardi!

Il gran mezzo della preghiera: Salutazione angelica, Angelus – Salve Regina – Regina cæli – Litanie

Il gran mezzo della preghiera

Salutazione angelica – Angelus – Salve Regina – Regina cæli – Litanie

[J.-J. Gaume: Catechismo di perseveranza, vol. II – VI ed. – Torino 1881]

Dopo l’Orazione Dominicale, la più bella di tutte le preghiere particolari è l’Angelica Salutazione. L’ha composta infatti Iddio stesso, benché non ce l’abbia insegnata per bocca sua, ma per bocca dell’Arcangelo Gabriele, di Santa Elisabetta e della Chiesa, tutti e tre governati dallo Spirito Santo. [Bellarm., Dottr. crist. 95.]. Egli è uso universale della Chiesa recitarla dopo il Pater Noster, ed eccone la ragione. Una persona che solleciti qualche grazia dalla Corte, comincia dal presentare allo stesso Principe la sua supplica, poscia rivolgesi a quello fra i cortigiani cui egli crede più benvisto al Monarca, e lo scongiura ad avere a cuore la domanda inoltrata, onde venga conforme al suo desiderio soddisfatta. Simile all’esposto è pure il nostro procedimento. Supplicato il Re del Cielo e Padre nostro, noi preghiamo la Regina del Cielo sua e nostra Madre perché parli per noi e ci aiuti colla potente sua raccomandazione ad ottenere quello che abbiamo domandato [“Opus est mediatore ad mediatorem Christum, nec alter nobis utilior quam Maria”. S. BERNARD., Serm. ultin. de Assumpt]. – Ed ecco altresì la ragione per cui ora ci accingiamo a spiegare l’Ave Maria. – Siccome il Pater Noster, dividesi l’Ave Maria in tre parti, od anche in quattro, se vogliasi tener conto della conclusione, la quale del rimanente è la stessa che nell’Orazione Dominicale. La prima parte consta delle parole dette dall’Arcangelo Gabriele alla Santa Vergine: Dio ti salvi, Maria, piena di grazia, il Signore è teco, tu sei benedetta fra tutte le donne. La seconda comprende le parole di S. Elisabetta: E benedetto il frutto del ventre tuo. La terza: Maria, Madre di Dio, ecc. è stata composta dalla Chiesa. – Parte prima: Io ti saluto. Giusta la cronologia più comunemente abbracciata, nell’anno del mondo 4004, il giorno 25 del mese di marzo, che cadeva in venerdì, l’Arcangelo Gabriele, tutto splendente di luce, discese dal Cielo quale inviato della SS. Trinità ad una verginella della stirpe reale di David, che abitava una piccola casa di una piccola città della Galilea, chiamata Nazareth, e le disse: Io ti saluto. Queste parole esprimono ad uno stesso tempo la dimestichezza, il rispetto, la felicitazione. – La dimestichezza: allorquando le ripetiamo alla Santa Vergine, noi dimostriamo che, come l’Arcangelo Gabriele, Le siamo famigliari ed amici, la qual cosa ne dà ardire di venirLe a parlare. Il rispetto: salutando Maria, riconosciamo nella sua Persona la più santa, la più sublime, la più possente di tutte le creature. La felicitazione: queste parole io ti saluto significano: rallegrati e godi; dopo quella di Dio niuna beatitudine può paragonarsi alla tua. Che sia accetto in sommo grado alla Santa Vergine di udirci ripetere spesso queste parole, è cosa fuor d’ogni dubbio. Difatti, come supporre ch’Ella non ascolti con piacere quel saluto che le ricorda l’istante più fortunato, più solenne, più glorioso di sua vita, e la sua incomparabile dignità di Madre di Dio; prerogativa che sola comprende e sopravanza qualunque titolo o prerogativa attribuir si possa a qualsiasi creatura? Come non deve Ella rallegrarsi vedendoci occupati nel pensiero della sua gloria in riconoscenza dell’immenso benefizio dell’Incarnazione? Queste due attestazioni si rinnovano per parte nostra tutte le volte che degnamente pronunziamo le parole io ti saluto, le quali ci rendono graditi al materno suo cuore. Con questo saluto noi attestiamo alla Santa Vergine l’affetto che Le portiamo, la gratitudine da cui siamo compresi pei benefizi che ne abbiamo ricevuti, e risvegliamo nel suo cuore il gaudio che le recò già l’Angelo, quando le indirizzò Le stesse parole. Ecco perché nei primi secoli della Chiesa i Cristiani non hanno giammai cessato di far risuonare come armonioso concerto alle orecchie della Santa Vergine l’Angelica Salutazione. Ne abbiamo la prova nei nostri più antichi monumenti, come sono le liturgie di San Giacomo e di San Giovanni Crisostomo.

Maria. — L’Arcangelo non profferì questo nome augusto, ma si contentò di dire: Io ti saluto, piena di grazia. Perché ciò? 1° Perché 1’Angelo trovandosi solo colla Santa Vergine, non era punto necessario eh’ ei la chiamasse per nome, per farle intendere che il suo discorso era ad Essa rivolto; 2° perché il nome di quelle persone che si distinguono per qualche prerogativa eminente è chiarito abbastanza dall’indicazione della prerogativa stessa. Così, per esempio, se dicasi il Saggio, ognuno intende Salomone; pronunziando, l’Oratore Romano, il pensiero corre a Cicerone. Egualmente quando l’Angelo disse: «Io ti saluto, piena di grazia » dimostrava aperto, che non poteva riferirsi ad altri che a Lei sola; 3° perché quando parlasi apersone di altissima dignità comunemente non si adopera il loro nome proprio: così parlando ai Principi della Chiesa, ai Re della terra, al Sommo Pontefice, noi diciamo: Eminentissimo, Sire, Santità, senza aggiungere il nome proprio di questi alti personaggi. Fu la Chiesa che pose nella Salutazione Angelica il nome di Maria, per ricordarci bene a Chi noi parliamo, e risvegliare nel nostro cuore gl’ineffabili sentimenti che ridesta per se stesso quel nome benedetto.

Maria è vocabolo ebraico che significa signora, padrona, illuminatrice; e nel doppio significato questo nome si conviene mirabilmente alla Santa Vergine. Ella è signora, poiché Iddio l’ha stabilita regina e padrona di tutte le creature, e Le ha conferito sovra se stesso un impero senza limiti; è illuminatrice, avendoci dato il Salvatore, Sole di giustizia e Luce del mondo. Da ciò nasce il profondo rispetto e la viva confidenza, che la Chiesa cattolica ha in ogni tempo dimostrato al nome di Maria; quindi nelle preghiere pubbliche essa ingiunge a’ suoi Ministri di non pronunziarlo giammai, senza inclinare il capo in segno di venerazione; quindi la religiosa Polonia non permise pel corso di quattrocent’anni che alcuna delle sue donne lo assumesse nel battesimo; quindi il glorioso martire San Gerardo, vescovo di Candia, insegnò agli Ungheresi a pronunziare raramente il nome di Maria, ma a chiamarla piuttosto Nostra Signora; e quando l’avessero pronunziato, ovvero inteso pronunziare, a scoprirsi il capo, e piegare il ginocchio. Noi attesteremo la nostra venerazione per questo nome glorioso non pronunziandolo giammai con sbadataggine, e conservandolo o portandolo con sé, scritto, dipinto od inciso, quale obbietto religioso e come un ricordo, un preservante. Ad imitazione della Chiesa dobbiamo noi pure invocarlo con piena fiducia nei pericoli, nelle infermità, nelle tentazioni, nei travagli, e nel punto specialmente della nostra morte; imperocché, scrive un Santo, l’augusto nome di Maria è segno di vita, fonte di gioie, miniera di grazie [S. BERNARD., Serm. 2, sup. miss. — [“Quemadmodum continua respiratio non solum est signum vitæ, sed etiam causa; sic sanctissimum Mariæ nomen, quod in Dei servorum ore assidue versatur, simul argumentum est, quod vera vita vivant, simul etiam hanc vitam ipsam efficit et conservat, omnemque eis lætitiam et opem ad omnia impertitur” – S. GERM. Episcop. Constanolinop. In Orat. de Deip. Virg.]. Piena di grazia. — Queste parole cominciano a spiegare il profondo rispetto dell’Arcangelo verso Maria, e palesano la precipua dote della Vergine augusta. Maria è piena di grazia, vale a dire, ch’ella sola ha ricevuto più grazie che non tutti insieme gli uomini e gli Angeli. Iddio infatti proporziona sempre i mezzi al fine che vuol conseguire. Ora avendo scelto la Santa Vergine per sublimarla alla dignità di Madre di Dio, che è la maggiore di cui una pura creatura possa essere insignita, Ei l’ha ancora dotata d’una pienezza di grazia proporzionata a questa suprema dignità. Ma qual è il senso preciso di queste parole piena di grazia? E a sapersi che la grazia di Dio produce tre grandi effetti nell’anima: cancella i peccati che sono come macchie, le quali imbrattano l’anima; adorna la stess’anima di doni e di virtù; e finalmente le dà forza di fare opere meritorie e grate alla Divina Maestà. – La Madonna è piena di grazia, perché quanto al primo effetto, Ella non ha mai avuto macchia di peccato alcuno, né originale, né attuale, né mortale, né veniale. – Quanto al secondo ha avuto tutte le virtù e i doni dello Spirito Santo in altissimo grado. Rispetto al terzo, ha compiuto opere tanto grate a Dio e tanto meritorie, che è stata degna di salire sopra tutti i Cori degli Angeli in corpo ed anima [Bellar., Dottr. Crist. 97].

Il Signore è teco. — Queste parole esprimono la seconda prerogativa della Santa Vergine e un’altra lode singolare che noi Le tributiamo. Pel nome Signore qui adoperato intendesi in generale la Santa Trinità, e in particolare la seconda Persona. Laonde le parole dell’Arcangelo suonavano per Maria, come se le dicesse: « La Santa Trinità è con Te dal primo istante della tua concezione con perpetua assistenza. onde preservarti da ogni macchia, da ogni imperfezione, per dirigerti in tutte le tue vie, proteggerti, colmarti delle grazie più eccellenti; in una parola, per custodire Essa stessa un sì prezioso tesoro. Né solo la Santa Trinità è stata Teco fino a questo punto con una provvidenza speciale; fin da questo momento Essa è con Te in un modo ben altrimenti singolare. Il Padre ti copre colla sua ombra, lo Spirito Santo in Te sopravviene, il Figlio discende nel castissimo tuo seno, di modo che non è solo con Te per grazia, ma in persona [“Dominus (Filius) tecum non tantum gratia, sed etiam natura ex te factus homo; non tantum consensione voluntatis, sed etiam coniunctio carnis.” – S. BER., Serm.5, sup. miss. — S . CHRY – S Chrys. Serm. 143]. Quindi il Padre è con Te innalzandoti alla dignità di Madre del suo proprio Figlio; il Figlio è con Te lasciando intatta la tua verginità prima del parto, durante il parto, e dopo il parto; lo Spirito Santo è con Te santificandoti il corpo e l’anima con incomparabile santificazione. In una parola, la Santa Trinità è con Te come nel suo vivo tempio; il Padre è in Te come in sua figlia; il Figlio come in sua madre; lo Spirito Santo come in sua sposa. Ma ciò non è tutto: Il Signore, il Verbo divino sarà con Te: vivrà nove mesi nelle tue viscere verginali; si trastullerà sui tuoi ginocchi, ti prodigherà le sue divine carezze; pel corso di trent’anni non Ti abbandonerà giammai; come figlio obbediente Ti renderà tutti i servigi che Gli chiederai; nella quotidiana conversazione t’istruirà, ti consolerà, ti colmerà d’incessanti grazie. Durante la sua vita pubblica, del pari che nella sua vita privata, non si separerà da Te; sarà con Te alle nozze di Cana per compiacere i tuoi desideri; persino sul Calvario ti darà un’ultima testimonianza di tenerezza confidandoti alle cure del prediletto fra suoi discepoli. Dopo la sua Risurrezione verrà a visitarTi per la prima; dopo la sua Ascensione t’inonderà dei doni dello Spirito Santo, di guisa che Tu sola ne andrai più colma che non tutti insieme gli Apostoli ed i Santi. Allorché sarai sul punto di abbandonare la terra, scenderà al tuo fianco e Ti accoglierà fra le proprie braccia onde condurti trionfante in corpo ed anima nel soggiorno della sua gloria, e Ti collocherà alla sua destra per tutta l’eternità: Io Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con Te ». Tu sei benedetta fra tutte le donne. — Ecco la terza incomparabile dote di Maria, e il terzo singolarissimo omaggio che noi Le rendiamo. Facendo eco alle parole dell’Arcangelo noi confessiamo che nessuna donna ha ricevuto, né riceverà giammai maggior copia di benedizioni singolari quanto la Vergine Maria. Ella difatti, per unico privilegio, riunisce nella propria persona le benedizioni tutte della Vergine e della Madre; grazia, che non ebbe mai né potrà avere esempio; e che a Lei sola conferisce il diritto di esser chiamata Benedetta fra tutte le altre donne. Benedizioni della Vergine sono la purità continua e senza macchia del corpo e dell’anima; stato sublime che presso tutti i popoli anche pagani ha meritato alle vergini i più grandi onori, e un rispetto religioso; che continua a meritar loro eguali favori in seno alle nazioni cristiane; e che nelle pompe della Corte celeste merita loro la gloria esclusiva di seguire l’Agnello immacolato negli eterni suoi trionfi. Maria sola ha goduto, gode tuttora, e godrà in perpetuo infinitamente più ch’ogni altra vergine queste benedizioni della verginità. – Le benedizioni della Madre sono la fecondità e la perfezione di cuore de’propri figli. Maria ha partorito un Figliuolo che solo vale infinitamente più che non tutti i nati e nascituri. Si può dire ancora che ella è Madre di più gran numero di figli che non il suo padre Abramo, la cui posterità sopravanza il numero delle stelle del firmamento; imperocché tutti i buoni Cristiani sono fratelli di Nostro Signore, e per conseguenza figli di Maria, non per ragion di natura, siccome il Salvatore medesimo, ma per amor di Madre, per grazia, per eredità. Di più, siccome la verginità di Maria eccede in perfezione quella di tutte le vergini, così pure la sua maternità sorpassa in gloria quella di tutte le madri. Tutte le donne partoriscono nei dolori; Maria sola andò immune da questa legge. Perciò a giusto titolo noi la salutiamo Benedetta fra tutte le donne, perché le altre hanno la gloria della verginità senza la fecondità, o la benedizione della fecondità senza la verginità, laddove Maria sola accoppia il privilegio di perfetta verginità e di fecondità perfetta.

Seconda parte: Benedetto il frutto del tuo ventre, Gesù. Queste parole racchiudono la seconda parte dell’Angelica Salutazione, ispirata dallo Spirito Santo a S. Elisabetta [Luc. I]; ed esprimono in pari tempo il quarto privilegio di Maria, e la quarta lode che noi Le tributiamo. Noi abbiamo superiormente lodato la Vergine, per ciò ch’Ella è in se stessa; qui ci congratuliamo per ciò che Ella è a motivo del Figlio suo, frutto delle caste sue viscere. E sebbene al primo aspetto questa lode sembri rivolta al Figlio, non ostante essa ridonda direttamente alla Madre, come la lode del frutto ridonda all’albero che lo porta, e la gloria del Figlio si riflette sulla Madre. Ora, Nostro Signore essendo vero uomo e vero Dio, è benedetto non solo fra tutti gli uomini, ma ancora, come dice S. Paolo, sopra tutto ciò che esiste in Cielo e sulla terra [Rom. IX]. Egli è benedetto; vale a dire, che è la sorgente stessa di tutti i beni che possiede per natura, e diffonde su tutte le creature; e così pure la Santa Vergine, Madre sua, non solamente è benedetta fra tutte le donne, ma benedetta fra tutte le creature tanto nel Cielo quanto sulla terra: e ciò, come abbiamo detto, perché la gloria del Figlio riflettesi sulla Madre.Il Signor Nostro è designato sotto il misterioso nome di frutto, onde palesare primieramente eh’esso è stato formato della sostanza medesima di Maria, e inoltre unicamente per opera soprannaturale dello Spirito Santo; e per mostrare da ultimo ch’Egli è nato senza lesione della santa Madre, come il frutto nasce e matura senza ledere l’albero che lo porta.

Gesù. — Santa Elisabetta tacque questo nome divino indirizzandosi alla cugina, e ciò a un di presso per le stesse ragioni che spiegano il silenzio dell’Angelo intorno al nome di Maria. Fu la Chiesa che aggiunse poi il nome di Gesù all’Angelica Salutazione, onde apertamente indicare ch’egli era il frutto benedetto delle caste viscere dell’augusta Vergine, e stimolarci per questo appunto a celebrare piamente il seno di Maria, degno dell’eterne lodi del Cielo e della terra. La Chiesa in far ciò ha perfettamente interpretato l’intenzione del Salvatore medesimo, il cui desiderio è di vedere esaltato e benedetto il seno della divina sua Madre, che durante nove mesi servi a Lui di ricettacolo. Laonde allorché una donna, dopo di aver udito gli ammirabili discorsi dell’Uomo-Dio, gridò di mezzo alla folla: Benedetto il seno che ti ha portato! Il Signor Nostro approvò cotale elogio, e lo confermò col dire: Sì, benedetto; ma più ancora benedetta la Madre mia, che ascoltò le parole di Dio! Dopo molti secoli la Chiesa cattolica, ad esempio di questa femmina dell’Evangelo, innalza ogni giorno a Maria questa medesima formula di encomio.

Terza parte: Santa Maria, Madre di Dio, prega, ecc. —Noi siamo giunti alla terza parte dell’Angelica Salutazione composta dalla Chiesa. Gli elementi di questa preghiera risalgono fino alla culla del Cristianesimo. Perciò i Sirii, che dagli Apostoli stessi e probabilmente da S. Pietro impararono l’Ave Maria, non la finiscono mai senza implorare il patrocinio della Vergine dicendo: Salve, o Maria, piena di grazia! Il Signor Nostro è teco; tu sei benedetta fra le donne, e benedetto è il frutto del tuo seno, Gesù. Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi, per noi, dico, che siamo peccatori: Così sia. Per quanto concerne la formula attuale, il Cardinal Baronio, fondandosi nella tradizione, la fa risalire all’anno 431, dopo il Concilio di Efeso, epoca nella quale uscì per acclamazione dalla bocca di tutti i Fedeli, come risarcimento dell’oltraggio fatto alla loro Madre da Nestorio, e come solenne monumento della vittoria di Maria contro quell’ eresiarca In questa parte della Salutazione si trovano compendiate le principali glorie di Maria, le quali si riepilogano esse pure dall’ ineffabile privilegio della Maternità divina; e insieme noi le esprimiamo la nostra confidenza filiale nel suo aiuto e lo stringente bisogno che abbiamo del suo patrocinio. Santa Maria! Oh! sì, santa di tale santità che niuna creatura può a gran pezza raggiungerla; santa nella sua concezione, nella nascita, prima di nascere; santa nella vita e nella morte; santa d’anima e di corpo, senz’ombra di macchia o di sozzura: tutta bella d’animo e di corpo; di una bellezza superiore a quella degli Angeli e degli uomini, e solo inferiore a quella di Dio.

Madre di Dio. — Oh! quanto son proprio queste due parole a rallegrare il cuor di Maria! quanto opportune a muoverla per noi a compassione, e ad ispirarci per essa fiducia senza limiti! Madre di Dio, sei dunque la più gloriosa, la più felice delle creature! Madre di Dio, Tu sei dunque onnipossente! potrebbe forse una Madre ricevere un rifiuto da un Figlio come il tuo? Madre di Dio, Tu sei dunque pietosa verso i peccatori; questi infelici che t’implorano sono teneramente amati dal tuo Figlio; son prezzo del sangue suo, sono suoi fratelli, e debbono essere suoi coeredi. Potresti forse non amarci, Tu che ami sì ardentemente il tuo Figlio, mentre la nostra salute è il primo de’ suoi desideri; potresti negarci il tuo soccorso per ottenerla?

Prega. — Ripetuta la principale lode della Vergine, chiamandola Madre di Dio, noi ce ne serviamo per dirle: 1° quanto Ella può sul cuore di Dio, e quanto le è facile perciò d’intercedere per noi peccatori. A Lei basta uno sguardo, un cenno, una parola, la più semplice preghiera. E perché ciò? Perché la preghiera della migliore e più diletta fra tutte le madri sull’ animo del migliore ed onnipotente Figlio è sempre un comando. Così spiegansi tutti i Padri, tutti i Dottori; tutti i secoli cristiani, che non sapendo in qual altro modo definire l’unione dell’ inferiorità connaturale ad una creatura coll’onnipotenza di cui Maria è dotata per grazia, chiamano la Santa Vergine l’onnipotenza supplichevole [Omnipotentia supplex]. – In secondo luogo noi le ricordiamo la sua bontà; una madre è tutta Cuore. Ora il Cuore della Vergine, sempre in armonia perfetta con quello di Gesù, ama tutto quello ch’Egli ama, ama molto tutto ciò che molto ha amato Gesù, e per conseguenza gli uomini creati a sua immagine e somiglianza, gli uomini da Lui nominati suoi fratelli, e coi quali Ei realmente ha stretto i vincoli indissolubili di parentela, assumendo la nostra natura nel puro seno di Maria.

Per noi. — Con ciò intendonsi tutti gli uomini e principalmente i Cristiani; poiché tutti hanno bisogno del patrocinio della Vergine, ed essa è avvocata di tutti..

Poveri peccatori. — Fra tutti gli uomini, coloro che in certa guisa più sono stati amati dal Salvatore sono i peccatori, atteso ché per essi Egli si fece carne: « il Figlio dell’Uomo, parla Egli stesso, non venne pei giusti, ma bensì pei peccatori; è venuto per salvare tutto ciò che era perito: non i sani, ma gl’infermi abbisognano di medico ». Ei fu con essi famigliare persino a farsi chiamare dai suoi nemici l’amico dei pubblicani e dei peccatori; a loro specialmente Egli indirizzò quest’invito: « Venite a me, o voi tutti? che gemete sotto il peso degli affanni ed io vi allieverò”.- Fu per questo ch’Ei narrò nel suo Evangelo le affettuose parabole della dramma perduta e del figliuol prodigo. Per le quali ragioni tutti noi siamo certi di commuovere il Cuore della Vergine, dicendo , a Lei rivolti : Pregate per noi, poveri peccatori.

Poveri peccatori; oh! sì, ben poveri; perché il peccato ne tolse tutti i beni, e ne gettò nudi e semispenti sotto i piedidel demonio. Questa confessione della nostra infelicità ha forza per se sola ad impietosire il cuore di Maria; ma coll’aggiungere la parola peccatori, vale a dire, col confessare che questa nudità, queste ferite, questo stato lacrimevole nel quale ci troviamo è per nostra colpa, per nostra propria e somma colpa, noi mostriamo in tutta la sua pienezza la nostra miseria, ed usiamo il vero mezzo d’intenerire infallibilmente le viscere della Madre di misericordia. Le rammentiamo che se Ella è la Regina di misericordia, noi siamo i primi de’ suoi sudditi. Ed Essa lo conosce sì bene, che San Bernardo giunse a dire: « Io acconsento che niuno parli più di Te, o Maria, se mi si cita un sol uomo, che ne’ suoi bisogni t’abbia inutilmente invocata ». [“Sileat misericordiam tuam, Virgo beata, si quis est qui invocatami te in necessitatibus suis sibi meminerit defuisse.” Serm. De Nativ. B. Mar., Memorare, o piissima, etc.]

Adesso. — Questo vocabolo significa tutto il tempo della vita presente, della quale non possediamo né la vigilia, né l’indomani, ma il solo istante presente. Si osservi con qual cura Iddio ci ricorda nelle due più belle preghiere, l’Orazione Dominicale e la Salutazione Angelica, la brevità del tempo e la fragilità della vita.

Adesso, ci richiama ancora al pensiero qua è il nostro stato sulla terra, stato di lotta continua, tantoché ogni giorno, ogni ora noi abbisogniamo di soccorso, non essendovi un solo istante in cui ci troviamo senza pericoli.

E nell’ ora della nostra morie. — L’ora la più pericolosa e decisiva, quella perciò in cui maggiormente abbisogniamo di aiuti, è l’ora della morte. Essa è la più pericolosa; poiché allora il demonio, veggendo che pochi istanti gli rimangono ancora per tentarci, raddoppia di furore e d’astuzia per farci cadere nel peccato; la più pericolosa, dacché il passato, il presente, l’avvenire, i dolori della malattia, tutto cospira a gettarci nell’abbattimento, nell’impazienza, nella disperazione, mentre dall’altra parte l’indebolimento delle forze non lascia energia per resistere, o ci rende insensibili al nostro stato, e spesso ancora le persone, che ne circondano, con crudele pietà si sforzano per quanto è in loro a mantenerci in fatali illusioni. Quell’ora è la più decisiva, perché dall’ora della morte dipende tutta l’eternità: l’albero resterà da quella banda in cui sarà caduto. Ora la Santa Vergine è onnipossente per fortificare l’infermo, consolarlo, difenderlo, risvegliare nel suo cuore sensi di pentimento, di fiducia, di perfetta conformità ai voleri di Dio; a dir breve, per ottenere a tutti quelli che, a guisa di S. Giuseppe vissero in sua compagnia, la grazia di morire com’esso fra le sue braccia materne e fra quelle del divino suo Figlio.

Amen. — Avvenga come abbiamo chiesto. Oh! che quest’Amen è sapientemente posto nella fine dell’Angelica Salutazione, ben intesa e ben recitata! Spiegando l’Orazione Dominicale e la Salutazione Angelica, noi abbiamo fatto conoscere le due più perfette e più venerabili di tutte le preghiere particolari. Per compiere questa importante lezione non ci rimane che ad indicare certe altre preghiere degne esse pure di tutto il rispetto, vuoi per la loro intrinseca beltà, vuoi per l’antichità, vuoi finalmente per l’uso generale che ne fanno i fedeli da molti secoli in tutto il mondo cristiano. – La prima, la quale in certa guisa ha radice nelle due precedenti, è:

l’Angelus.

Tre volte al giorno: la mattina, al mezzo giorno, alla sera, il sacro bronzo fa udire un suono religioso, e i devoti Cristiani tre volte al giorno salutano l’augusta Madre loro, Maria. – Quest’uso, ora generale in tutta la Chiesa, risale ad un’alta antichità. Nel 1262, San Bonaventura prescrisse ai Religiosi dell’Ordine di S. Francesco, de’ quali egli era generale, di recitare ogni sera, al suono della campana, tre Ave Maria per onorare il mistero dell’Incarnazione. La Diocesi di Saintes fu la prima in Francia ad accogliere tal uso, che da Giovanni XXII, con sua Bolla 13 ottobre 1318, fu approvato ed incoraggiato con indulgenze. Nel i 1724 Benedetto XIII concesse cento giorni d’indulgenza ogni volta, e indulgenza plenaria una volta al mese a tutti quelli che reciteranno l’Angelus nella sua formula attuale. Per meritare l’indulgenza è mestieri recitare questa preghiera inginocchio, anche il sabato a mezzogiorno. Per rito comune, la domenica è eccettuata da questa regola, e durante il tempo pasquale l’Angelus è surrogato dalla Regina Coeli. La triplice ripetizione di questa preghiera ci fa intendere il bisogno in cui siamo di ricorrere frequentemente a Dio ed ai Santi, circondati come ci troviamo da nemici visibili ed invisibili; e ne insegna eziandio di non contentarci di usar 1’arme della preghiera nel principio delle nostre azioni, ma di adoperarla ben anco nel mezzo e nella fine. Nell’uso di suonare tre volte per giorno la campana, e di recitar pure tre volte l’Angelica Salutazione, racchiudasi un altro mistero. La santa Chiesa vuol rammentarci continuamente i tre grandi misteri della nostra Redenzione: l’Incarnazione, la Passione, la Risurrezione; quindi essa vuole che salutiamo la Santa Vergine al mattino in memoria della Risurrezione del Salvatore; a mezzo giorno in memoria della Passione; alla sera in memoria della Incarnazione. Difatti, siccome siamo certi che Nostro Signore fu messo in croce a mezzodì, e risuscitò alla mattina, così si crede che l’Incarnazione succedesse durante la notte. La seconda, è la

Salve Regina.

Il pio e dotto Hermann Contractus, conte di Veringen, morto nel 1054, è creduto autore della medesima. Questa preghiera favorita di S. Bernardo, è sì bella, sì affettuosa, si ben collocata nella bocca dei poveri figli di Eva, pellegrini nella Valle di lacrime, che è difficile recitarla senza sentirsi commuovere il cuore e senza intenerire altresì le viscere materne di Maria. [Vedi la spiegazione della SaJve Regina nell’Opera del CANISIO, De Virg. Mar. Deip., lib. V, 15; e S. ALFONSO, nelle Glorie di Maria.]. – Preziose indulgenze vanno annesse alla sua recitazione. – La terza sono le

Litanie della Santa Vergine,

dette ancora Litanie Loretane dal Santuario della Madonna in Loreto, nel cui recinto con gran pompa sono cantate tutti i sabati dell’anno. Queste litanie che ogni buon Cattolico sa a memoria e recita devotamente ogni giorno, sono generabilissime per la beltà delle domande che racchiudono; per gli encomi leggiadri ed amorosi che tributano alla Santa Vergine; per la devozione somma colla quale santi Pontefici, possenti Re, Dotti di tutti i paesi le hanno recitate ad onore di Maria, infine per la loro antichità. Tutto ne fa ritenere che risalgano ai tempi apostolici. Crediamo soltanto che la parola sancta,– La quarta, è la

Regina Coeli,

la quale fu cominciata dagli Angeli e compiuta dal Pontefice S. Gregorio Magno, o dal popolo di Roma, nel giorno di Pasqua, 25 aprile 590, epoca della terribile pestilenza che desolava la capitale del mondo cristiano e che cessò immantinente. Ottiensi la stessa indulgenza che per l’Angelus. -La quinta, le Litanie del santo nome di Gesù, nelle quali si rammentano al Signor Nostro i diversi suoi titoli d’Uomo-Dio, di Salvatore, di Modello. Sebbene posteriori in tempo alle Litanie della Santa Vergine, esse nondimeno sono bellissime, piissime, ed arricchite per ogni recitazione di trecento giorni d’indulgenza dal Pontefice Sisto V. – La sesta, le

Litanie dei Santi,

che formano come un lungo sospiro della Chiesa militante verso la sua sorella, la Chiesa trionfante. Nulla è più solenne o più affettuoso di questa invocazione di tutti gli ordini dei Beati, dei quali s’implora la possente intercessione, rappresentando loro la lunga sequela delle miserie corporali e spirituali, pubbliche e private da cui sono circondati i miseri esiliali nella valle del pianto. L’origine di questa sublime preghiera si perde nella notte dei tempi; e se ne trova la traccia nei secoli de’Martiri. Tali sono le principali formule di preghiere il cui uso è più generale ed antico nella Chiesa. I fedeli opereranno santamente preferendole ad ogni altra orazione, siccome mezzo il più degno e il più efficace di orare.

Preghiera.

O mio Dio , che siete lo stesso amore, vi ringrazio che abbiate inspirato alla vostra Chiesa tante preghiere, cosi potenti sul vostro Cuore; fatemi la grazia di poterle recitare col fervore dei Santi, che mi hanno preceduto e dovranno seguirmi. Mi propongo di amar Dio sopra tutte le cose e il prossimo come me stesso per amor di Dio, e in prova di questo amore, non mancherò giammai di raccogliermi un istante prima di pregare.

BREVI E FAMILIARI RISPOSTE ALLE OBIEZIONI CONTRO LA RELIGIONE [prefaz.+ r. I-IV]

BREVI E FAMILIARI RISPOSTE

ALLE OBBIEZIONI

che si fanno più frequentemente

CONTRO LA RELIGIONE

[OPERETTA  DELL’ABATE DE SÉGUR

[G. Marietti ed. Torino, 1870]

Prefazione del TRADUTTORE

Dacché la stampa irreligiosa, e proterva anche nel nostro paese si mise con procace audacia a spargere Io scherno, l’insulto, e il biasimo su le cose, e persone sacre, e su i doveri religiosi, fu sentito il bisogno di riparare a questo danno col raccogliere in un piccolo libro alla portata di tutti, e che nella sua semplicità avesse l’attraente della svelta e lucida esposizione, tutte le obbiezioni, tutti i sofismi, che con mala fede si vanno propinando al popolo dei fogli perversi, e da uomini irreligiosi, e fare appositamente ad essi una facile, corta, e famigliare risposta. Un tal libro tanto opportuno nelle circostanze, che ci fa il tempo presente, uscì colà, dove forse la diffusione dell’irreligiosità fu maggiore, cioè in Francia, dall’abile, arguta, e facile penna dell’abate De Segur, Cappellano della prigione militare di Parigi. —Il Traduttore animato dall’utilità grande, che la lettura di queste risposte arrecherà ad ogni ceto di persone, si determinò a portarle nel nostro idioma, procurando di conservare quel brio e scioltezza di stile, che è propria dell’Autore. Possa la diffusione di quest’operetta produrre anche nel nostro paese quel bene, che recò in Francia, ove in poco tempo se ne fecero sedici edizioni.

PREFAZIONE DELL’AUTORE

Eccoti un libretto, che io ho fatto a bella posta per te, mio caro lettore; te ne offro la dedica, specialmente se a primo aspetto ti spiace; è segno che ne hai più particolarmente bisogno. Si dice che un buon libro è un amico. Io spero in questi momenti di presentarti uno di questi amici. Ricevilo, come si ricevono gli amici, con benevolenza, e con cuore aperto, che in tal modo te l’offro. Benché esso parli dì cose un po’ serie, ho buona fiducia, che esso non ti darà noia. Io glielo ho molto raccomandato, ed esso mi promise non di predicare, ma semplicemente di discorrere.—Dopo aver letto l’ultimo capitolo, mi saprai dire, se egli fu di parola. – Tu osserverai senza dubbio che i pregiudizi, ai quali io faccio risposta, sono di tre specie. Gli uni provengono dall’empietà, questi sono i peggiori, da essi ho cominciato: gli altri provengono da ignoranza; gli altri in fine da codardia. — Io spero, che la maggior parte di queste obbiezioni ti saranno sconosciute, e che giammai te le sarai proposte seriamente. Ciononpertanto te l’ho notate come un preservante per l’avvenire. E il contraveleno, che ti presento avanti per precauzione. Prego Dio che questi semplici discorsi ti siano profittevoli e che guadagnino il tuo cuore. Conoscendo per dolce esperienza che la vera felicità consiste in conoscere, amare e servire Iddio, io non ho desiderio più ardente di quello di vedere la mia felicità così pura, così stabile divenire altresì la tua… L’intenzione è buona; ciò è già qualche cosa, specialmente nei tempi che corrono. Lo è pure il libro? Lo desidero, benché conosca la mia insufficienza. Troverai senza dubbio molte questioni trattate troppo brevemente; ma io temo di stancarti, mio caro lettore, ed amo meglio essere incompleto, che d’addormentarti. Povero il libro, sul quale si dorme!  Io t’impegno, quanto a questo, a non leggerne troppo alla volta. Leggi piuttosto con, riflessione, considerando attentamente le ragioni, che ti presento. Ti prego sopratutto di cercar di buona fede la verità, di non respingerla, se essa si presenta alla tua mente. Quando il cuore è retto e sincero, non tarda a venire la luce.

 RISPOSTE BREVI E FAMILIARI

ALLE OBBIEZIONI PIU’ DIFFUSE CONTRO LA RELIGIONE

 I. – NON MI PARLATE DI RELIGIONE

R. – E perché dunque? La Religione è la conoscenza, l’amore, ed il servigio di Dio. È la scienza e la pratica del bene. — Che avvi in ciò che non sia degno di voi, di ogni persona ragionevole, ed onesta? Credetemi; voi non conoscete la Religione. Quale voi ve la rappresentate, capisco facilmente, ch’essa vi spiace, ch’essa vi ripugna… ma essa è tutt’altra cosa di quello che se l’immagina il mondo. Io ve lo farò vedere in alcuni discorsi famigliari. Vi mostrerò che essa è fatta per voi, e che voi siete fatto per essa, perché essa porta la verità al vostro intelletto, e la pace al vostro cuore, perché essa vi fa conoscere chi voi siete, d’onde venite, dove andate, e che senza essa voi siete un essere mancante, perduto, e perciò infelice. – Qual cosa più degna d’altronde dell’attenzione, dello studio, del rispetto d’un uomo ragionevole, che la dottrina, la quale ha formato, e nutrito il genio d’un Bossuet, d’un Fénelon, d’un Pascal? Che di più venerabile, anche a primo aspetto, della fede d’un s. Vincenzo de’ Paoli, d’un S. Francesco Saverìo, d’un s. Carlo Borromeo, d’un S. Francesco di Sales, d’un s. Luigi-, d’un s. Alfonso , d’un s. Filippo Neri, d’un b. Sebastiano Valfrè, d’un Bellarmino? – « Il più gran servigio che io abbia reso » alla Francia, diceva l’imperatore Napoleone, si è d’avervi ristabilita la Religione cattolica. Senza la Religione che ne sarebbe degli uomini? Essi si scannerebbero per la più bella donna, per la più grossa pera. » Ah! se come io, voi la vedeste ciascun giorno, questa Religione benedetta, tergere le lacrime del povero, mutare i cuori più viziosi, formare d’un delinquente degradato un santo, se voi la vedeste spandere per tutto la verità, la rassegnazione, la speranza, la pace, la gioia, la purità nello anime, voi cambiereste di linguaggio, e direste senza dubbio: Oh parlatemene sempre, parlatemene! Rischiarate la mia mente colla sua luce, purificate il mio cuore colla sua santa influenza, con essa consolate i miei dolori! – Lasciatemi dunque parlar della religione. E per farvi conoscere la realtà di questa dolce influenza, alla quale io v’invito a non sottrarvi, permettetemi di cominciare i nostri discorsi da un tratto commovente di cui io sono stato testimonio, e direi quasi l’attore; esso parlerà in favore della mia tesi più fortemente di tutti i discorsi. Or son due anni, un povero sergente condannato a morte, aspettava nella prigione militare di Parigi l’esecuzione della fatale sentenza. Il suo delitto era molto grave. Egli aveva ucciso con premeditazione il suo luogotenente per vendicarsi d’una punizione, di cui questi l’aveva minacciato. – Cappellano di questa prigione, vidi il sergente Herbuel e gli apportava i soccorsi della Religione. Pentendosi già del suo delitto, egli li riceveva senza difficoltà. Dopo il secondo, o terzo giorno della sua sentenza si accostò ai sacramenti, e da questo momento quest’uomo sembrò tutto mutato. « Ora, mi ripeteva, ora io sono felice. Io son pronto. Iddio faccia di me ciò che » vorrà. Io sono in una pace profonda: non mi rincresce la vita che per potere far penitenza.» -Egli si confessava e comunicava quasi ogni otto giorni. Dopo due mesi di prigione il primo novembre del 1848. gli si notificò l’esecuzione della sua sentenza. L’ascoltò con la calma d’un cristiano. Il suo corpo era convulso per una specie di tremolo convulsivo; ma l’anima dominava questa violenta emozione, e conservava tutta la pace del cuore. « La volontà di Dio sia fatta, disse » al comandante: confesso che io non mi vi attendeva più dopo un si lungo ritardo!… » – Restai solo con lui. Ricevei un’ultima volta la confessione delle sue colpe, quindi gli portai il santo Viatico. Ei pregò tutta la notte ragionando di tempo in tempo tranquillamente coi due gendarmi che lo custodivano. – La triste vettura che lo doveva condurre a Vincennes, arrivò verso le sei ore. Herbuel abbracciò il portinaio della prigione ed il comandante: niuno poteva trattenere le lacrime. Montai con lui nella vettura cellulare. Egli era tranquillo, anche giulivo durante il tragitto: « Voi non sapreste credere, » signor cappellano, mi diceva, quale eccellente giornata io passai ieri! come ero felice! Questo era un presentimento permesso dalla provvidenza. Io sapeva che era il dì d’ogni santi; io ho pregato continuamente…. la sera era tutto contento… ed ora io lo sono ancora. Niente può esprimere quale pace io gustai questa notte: era una gioia di cui non può farsi idea — Egli andava alla morte!!… « La morte, soggiungeva egli, è più niente per me — io so dove vado, io vado colassù dal mio Padre, io vado alla patria… » Fra poco vi sarò — Io sono un gran peccatore, il più grande di tutti i peccatori. » Io mi metto all’infimo luogo; offesi Iddio, peccai…. ma Dio è buono e confido immensamente in lui. » E leggendo una preghiera che gli ricordava la comunione: « Mio Dio è là » a voce sommessa diceva, ed era pieno di gioia. -« Oh quanto io credo fermamente, soggiungeva ancora, tutte le verità della Chiesa! Oh! Che io sono in una perfetta calma!… E che bel giorno! Io sarò presto con Dio!» E rivolgendosi verso me con un sorriso: « Mio padre, io vi vado ad aspettare; io verrò a farvi entrare a mia volta.» Quindi rientrando in lui stesso: o Io sono niente, Dio solo è tutto. Tutto ciò che ho di buono è per Lui, vien da Lui » solo… io merito niente, io non sono che un gran peccatore! » – Egli mi mostrava il suo manuale del cristiano: « I soldati dovrebbero sempre avere questo libretto e non mai abbandonarlo. Se io l’avessi letto tutta la mia vita » io non avrei fatto ciò che ho fatto e neppure sarei dove sono…» – Il momento dell’esecuzione s’avvicinava. Io presentai al povero condannato il crocifisso: lo prese con trasporto, e riguardandolo con inesprimibile tenerezza disse dolcemente e a più riprese: « Mio Salvatore! mio Salvatore! sì eccolo là! morto per » me ! E anche io vado a morire per Voi! » E baciava la santa immagine. Tutto era pronto. Si discese. Herbuel domandò che gli si lasciasse comandare il fuoco: gli fu accordato. « Io ho avuto il coraggio » del delitto, disse, bisogna che abbia quello dell’espiazione !» – Ricevette a ginocchi un’ultima benedizione. Egli si collocò davanti il picchetto dei soldati che dovevano fucilarlo.—«Compagni, gridò con voce vibrata, io muoio cristiano! Eccovi l’immagine di nostro Signore Gesù Cristo! Guardate bene, io muoio cristiano! E a tutti loro mostrava la croce — « Guardatevi dal fare ciò che io feci, rispettate i vostri superiori! » Io l’abbracciai un’ultima volta…. Un istante dopo la tenibile scarica si fece sentire e Herbuel comparve avanti Dio che perdona lutto al pentimento!!… – Che pensate voi, ditemi, d’una religione che fa morire in tal modo un gran colpevole? E non avvi in ciò di che farvi riflettere?

II. – NON VI È DIO

R. — Ne siete voi ben sicuro ? — E chi allora ha fatto il cielo, la terra, il sole, le stelle, l’uomo, il mondo? Tutto ciò si è fatto da sé? — Che direste voi se qualcuno mostrandovi una casa, vi asseverasse che ella si è fatta da sé? Che direste voi pure se pretendesse che ciò è possibile? — Che egli si burla di voi, non è egli vero? oppure che egli è pazzo: e voi avreste molto ragione. Se una casa non può farsi da sè, quanto meno ancora le creature maravigliose che riempiono l’universo a cominciare dal nostro corpo che è la più perfetta di tutte! Non c’è Dio? — Chi ve l’ha detto? Uno stordito senza dubbio che non aveva veduto Iddio, che conchiudeva da ciò che non esisteva? — Ma forsechè non son reali se non gli esseri che si possono vedere, sentire e toccare? — Il vostro pensiero, cioè la vostra anima che pensa, forse non esiste? Ella esiste: e voi De avete il sentimento cosi intimo ed evidente che nessun ragionamento al mondo potrebbe persuadervi il contrario. —Avete voi tuttavia mai veduto, o sentito, o toccato il vostro pensiero? — Guardate dunque come è ridicolo il dire: Non c’è Dio perché non lo vedo. Dio è un puro spirito cioè un Essere che non può cadere sotto i sensi materiali del nostro corpo, e che non si percepisce che dalle facoltà dell’anima. — La nostra anima è anche un puro spirito. Dio la fece a sua immagine. – Si narra che nel passato secolo quando l’empietà era alla moda, un uomo di spirito si trovava un giorno a cena con alcuni pretesi filosofi che sparlavano di Dio e negavano la sua esistenza.—Esso si taceva. L’orologio suonò quando gli si domandò il suo parere. Ei si contentò di loro additarlo dicendo questi due versi pieni di acume e di buon senso: per me più penso, più perdo il pensiero. Possa andar l’oriuol senza orlogiere. – Non si dice ciò che i suoi amici rispondessero. Sarebbe stato necessario molto spirito per cavarsela. – Si cita anche una risposta molto arguta di una signora ad un celebre incredulo della scuola di Voltaire. Egli aveva inutilmente cercato di convertire questa Signora al suo ateismo. Offeso per la resistenza « Io non avrei mai creduto, disse egli, essere il solo a non credere in Dio in una radunanza di persone di spirito!». – “Ma voi non siete il solo, signore, gli soggiunse la padrona di casa, i miei cavalli, il mio cagnolino e il mio gatto hanno anche questo onore; solo queste povere bestie hanno il buon senso di non vantarsene.” – In buon volgare sapete voi cosa significhi questa frase « Non v’ha Dio? » — Ve la spiego fedelmente. — Sono un malvagio che ho gran timore che Dio esista.

III. QUANDO SI È MORTI TUTTO È MORTO

R. – Sì pei cani, gatti, asini, canarini ecc. Ma voi siete ben modesto se vi ponete nel loro numero.

1.° Voi siete un uomo, mio caro, e non una bestia: avvi una piccola differenza tra l’uno e l’altro! L’uomo ha un’anima capace di riflettere, di fare il bene o il male, e quest’anima è immortale: mentrechè la bestia ha l’anima, ma non ragionevole né immortale. – Ciò che fa l’uomo è l’anima, cioè quello che pensa in noi, quello che ci fa conoscere la verità ed amare il bene. Questo è che ci distingue dalle bestie. Ecco perché è una grande ingiuria dire a qualcheduno: Voi siete una bestia, voi siete un animale, voi siete un cane, ecc. questo vale negargli la sua prima gloria, quella di esser uomo. – Dunque il dire: « Quando io sarò morto, sarò morto tutto intero, vuol dire: io sono una bestia, un bruto, un animale. E quale animale! Io valgo molto meno che il mio cane; perché egli corre più spedito, dorme meglio, vede più da lungi, ha il naso più fino, ecc. ecc.; meno che il mio gatto che vede nella notte, che non ha da prendersi cura del suo vestire, della sua calzatura ecc. In una parola io sono l’ultima delle bestie e il più miserabile degli animali. – Se questo vi piace, ditelo, credetelo se lo potete, ma permetteteci d’esser un poco più fieri di voi e di dichiarar altamente che noi siamo uomini. Questo è il meno.

2.° Eh! che diverrebbe il mondo se la vostra asserzione fosse fondata? Sarebbe un vero luogo di assassini! —Il bene ed il male, la virtù e il vizio non sarebbero più che vane parole o piuttosto odiose menzogne! Il furto, l’adulterio, l’assassinio, e il parricidio sarebbero azioni indifferenti, così buone in se stesse, e così giuste come l’onestà, la castità, la beneficenza, l’amor figliale. – Perché infatti, se per una parte ho nulla a temere in un’altra vita, e se d’altra parte mi accomodo con abbastanza d’industria per non aver niente a temere in questa, perché non ruberò, non ucciderò quando il mio interesse mi vi spingerà? Perché non mi abbandonerò al libertinaggio più raffinato? Perché frenerò le mie passioni? e queste ingiustizie nascoste e queste mille mancanze segrete tanto più colpevoli, che per commetterle avrò meglio prese le mie misure, perché non le commetterò io? Non ho più nulla a temere, la mia coscienza è una voce menzognera, a cui imporrò silenzio…. Una sola cosa attirerà la mia attenzione; ciò sarà d’evitare la vista del commissario di polizia, e del gendarme.—Il bene per me, come per ogni uomo sensato sarà di sfuggir loro: il male, d’essere presi da essi. — Godrò pacificamente del bene altrui, che avrò rubato con destrezza, godrò inoltre della stima universale; alla morte rientrerò nel nulla e non mi distinguerò dalle mie vittime se non per la magnificenza de’ miei funerali!… — Se voi udiste un uomo a tenere un simile discorso vi degnereste voi solamente di rispondergli? « Povero infelice! pensereste » voi, egli ha perduta la testa. Si dovrebbe rinchiuderlo, è un animale pericoloso; » con tali idee si è capace di tutto. » – E tuttavia se la pala del becchino segnasse la distruzione totale della nostra esistenza, quest’uomo, che vi pare a sì giusto titolo un pazzo furioso, sarebbe nella verità. Io vi sfiderei a confondere questo linguaggio così abominevole, ed assurdo. – Se non vi ha una vita futura, io vi sfido di farmi vedere, in che s. Vincenzo de Paoli è più stimabile che Voltaire, che Robespierre. — Il bene ed il male non sono altro che semplici parole… Dal frutto giudicate dunque l’albero, come insegnano il buon senso, ed il Vangelo. — Dalle orribili conseguenze, giudicate il principio… e osate ripetere ancora «Quando si è morto, si è morto interamente. » — Noi sapremo quindi innanzi ciò che voglia dire questo!…

3.° Ma se voi giudicate l’albero da’ suoi frutti, lo potrete ben anche giudicare dalle persane che lo coltivano, e voi arriverete alla stessa conclusione. – Quali sono gli uomini da cui s’intende dire che tutto finisce alla morte, che non esiste Dio, che non vi è anima, non vita futura?… Conoscete voi un buon padre di famiglia, uno sposo, o una casta sposa, un uomo ordinato, onorato, virtuoso che predichi tali dottrine? – Non avvi che il vizio che abbia il triste potere di suggerirle all’uomo. E questo non le ammette né le predica che quando una condotta disonorevole gli fa temere la giustizia di Dio e la riprovazione degli uomini. Spera con ciò soffocare gl’importuni rimorsi, ingannare l’opinione pubblica, farsi giudicare con più d’indulgenza. Dando ad intendere questo grossolano materialismo come il risultato della riflessione e dei lumi, spera di acquistare un gran numero di simili che lo rassicuri, c avere in favore della sfrenatezza, del libertinaggio, dell’irreligione, della pigrizia e di tutti i disordini una triste maggioranza!…

4.° Ma non crediate che questa religione del niente sia negli empi allo stato di convinzione, di profonda credenza. Son parole e non altro. Osservateli, infatti, al momento della loro morte…Qual cambiamento di tono e di linguaggio! Hanno essi dunque pria di cadere ammalati studiata la religione? Hanno essi riflettuto di più?— No; sono presso a morire; sono davanti alla Verità pronta a giudicarli!… Ecco il tutto! — La turba impura delle passioni fuggì davanti alla temuta luce ed è il grido sì lungamente soffocato della loro coscienza, che in allora voi intendete (Vi sono alcune eccezioni, lo so; non tutti quelli che negarono l’esistenza di un’altra vita si convertirono al punto di morte. L’ignoranza, l’abbrutimento, cagionato da certe passioni, una vana speranza di guarire, soprattutto la testardaggine dell’orgoglio sono causa qualche volta che l’empio muoia come visse.» Ma l’eccezione prova la regola, e si può affermare risolutamente che l’ateo, il materialista sono sfrontati mentitori»). – Allora essi non disprezzano più i preti. Allora non mettono più in ridicolo la confessione, la comunione, la preghiera! Allora non trovano più che l’inferno, il paradiso siano favole proprie a divertire le vecchierelle!

5.° Del resto non sono io solo che mi alzo contro essi; è la voce dell’umanità tutta intera. – Non vi fu popolo in qualsiasi tempo o paese lo prendiate, che non abbia creduto alla vita futura. Io non voglio per prova, che il culto reso ai morti. Dappertutto e sempre si ‘rispettarono i morti, dappertutto si è pregato e fatto pregare per suo padre, per sua madre, per suo figlio, pel suo amico rapiti dalla morte. — Su che riposa questa pratica universale se non sopra un sentimento invincibile d’immortalità che proclama che la morte non è che un cambiamento di vita? « Perché piangerò? » diceva Bernardino di Saint-Pierre, morendo alla sua sposa e a’ suoi figli: « ciò che vi ama, in me vivrà sempre… Non è che una separazione momentanea; non la fate così dolorosa!… lo sento che abbandono la terrat non la vita.» Tale è la voce della coscienza ; tale è la voce, la dolce consolarne voce della verità! Tale è altresì la solenne parola del Cristianesimo. Esso ci fa conoscere la vita presente come una prova passeggera che Dio coronerà con una felicità eterna. Esso ci stimola a meritare questa felicità col sacrificio, e col fedele adempimento del dovere. Giunto alla sua ultima ora il cristiano mette con confidenza la sua anima nelle mani di Dio; e ad una vita pura, santa e piena di pace succede un’eternità di gioia…. – Lungi dunque da noi, lungi dalla nostra patria così saggia, questo triste materialismo che vorrebbe rapirci così sublimi speranze! Lungi da noi queste menzogne che avviliscono il cuore, che distruggono tutto ciò che è buono, tutto ciò che è rispettabile e dolce sulla terra! Lungi da noi la dottrina che non vorrebbe lasciare «al povero che soffre e piange, all’innocente oppresso, che la disperazione per retaggio!.. La coscienza dell’uomo la respinge con disprezzo!

IV. – E LA SORTE CHE DIRIGE OGNI COSA, ALTRIMENTI NON VI SAREBBE SULLA TERRA TANTO DISORDINE. QUANTE COSE INUTILI, IMPERFETTE, CATTIVE ! EGLI È EVIDENTE CHE DIO NON S’OCCUPA DI NOI.

R.- 1° Credete voi sinceramente ciò che dite? Permettetemi di dubitarne. Questo è uno di quei pensieri che non vengono alla mente, se non quando il cuore è infermo. Diffidate di voi stesso; la passione monta alla testa, quanto il vino, e questa dannosa ubriachezza fa sragionare più ancora che l’altro. Quale è la conseguenza pratica, immediata di questa parola…. « Dio non si cura di me?» Non è egli, io vi domando, la libertà di seguire le vostre cattive inclinazioni a briglia sciolta?— E non potrei io tradurla in questi termini: « Desidero fare tal peccato, e vorrei bene commetterlo a mio piacere, senza rimorsi e senza paura ».

2.° Cosa è, ditemi, questa sorte, che voi mettete in luogo della Provvidenza di Dio? — Un non so che sconosciuto da tutto il mondo, che nessuno giammai seppe definire, che è un niente, e che tuttavia fa tutto, governa tutto ed è padrone assoluto di tutto. Volete che io vi dica ciò elle sia il caso, o la sorte o il destino come voi vogliate chiamarlo? — È un niente. È una parola vuota di senso, inventata dall’empio per sostituirla al nome da lui sì temuto della Provvidenza. — È un linguaggio più comodo, e che ha l’aria di spiegare le cose, ma che infatti è un controsenso ed una scempiaggine. – II caso dirige niente perché è un niente. Dio solo sovrano Signore e Creatore unico di tutti gli esseri, li governa, li sorveglia, li coordina tutti colla sua Provvidenza; vale a dire che nella sua sapienza, bontà, giustizia infinite, li dirige tutti in generale e ciascuno in particolare al loro ultimo fine (che è Egli stesso) per le vie che egli conosce per le più adatte. – Siccome egli ha creato tutto senza sforzo, così conserva e governa tutto senza fatica, e non è tanto indegno della sua grandezza occuparsi di tutte le sue creature, quanto crearle tutte. Nell’istesso atto, per il solo suo essere infinito, sa tutto, vede tutto, dirige tutto senza mutamento o pena di spirito. Occupandosi degli esseri i più impercettibili, Egli s’occupa nello stesso tempo con una scienza, sapienza e bontà eguali delle sue più eccellenti creature. E l’empio è veramente troppo buono quando ha paura che tanti affari stanchino Iddio. No, no; calmate le vostre inquietudini! Dio sorveglia tutte le creature, e soprattutto sorveglia voi, voi sua creatura ragionevole che Egli creò per conoscerLo, amarLo e servirLo, e meritare perciò di possederLo per tutta L’eternità.

3.° Voi negate questa Provvidenza divina perché voi dite di vedere dei disordini nel mondo? Domandate perché vi siano tante cose inutili? Perché tante imperfette? Perché tante cattive? Domandate perché costui nacque povero, e quello ricco? Perché tante ineguaglianze nelle condizioni umane? Perché tante pene, tante afflizioni negli uni, e tante prosperità negli altri? — A sentir voi tutto va in disordine, e voi avreste meglio disposto le cose! Ma chi v’ha detto, raro talento, che ciò che tanto non vi va a genio sia realmente un disordine? E che! voi giudicate che una cosa è inutile nel mondo, perché non sapete a che serva! Credete che ella sia cattiva, perché ignorate a qual cosa sia buona! Chi siete voi, ditemi in grazia, piccola ed ignorante creatura, limitata nella vostra intelligenza, nella vostra forza, in tutto il vostro essere, per giudicare l’opera di Colui che è l’onnipotenza, la perfetta sapienza, bontà e giustizia?  Pretesa veramente strana! Se un ignorante che non sa leggere, aprisse un volume di Corneille o di Racine, e vedendo tante lettere sconosciute disposte in mille differenti maniere, le une unite alle altre, qualche volta otto insieme, qualche volta sei, altre tre, o sette, o due per comporre le parole; vedendo molte linee che si succedono l’una l’altra, questa al cominciar d’una pagina, quella alla fine; molti fogli ordinati, l’uno in capo del libro, l’altro alla metà l’altro alla estremità; scorgendo delle parti bianche, altre stampate; qui lettere maiuscole, là lettere piccole, ecc.; se vedendo tutto ciò di cui nulla comprende domandasse perché queste lettere, questi fogli, queste linee sono messe in questo luogo piuttosto che nell’altro; perché ciò che è al principio non è al mezzo né alla fine, perché la vigesima pagina non è la cinquantesima ecc., gli si direbbe: « Amico, è un gran poeta, è un uomo di genio che ha disposto ciò in tal maniera per esprimere i suoi pensieri, e se si mettesse una pagina in luogo d’un’altra, se si trasportasse non solo le linee, ma anche le parole o le lettere, vi sarebbe del disordine in questa bell’opera, e il disegno dell’autore sarebbe distrutto. » – E se quest’ignorante volesse fare il saputello, e prendere a censurare l’ordine di questo volume; se egli dicesse: « Mi pare che sarebbe stato molto meglio di riunire tutte le lettere, che si somigliano, le grosse colle grosse, le piccole colle piccole; sarebbe stato un miglior ordine il fare tutte le parole della medesima lunghezza, di comporle dello stesso numero di lettere: e perché queste sono così corte, e le altre cosi lunghe? ecc., perché quivi è del bianco, e non colà? Tutto ciò è mal disposto; non vi ha ordine. Colui, che ha fatto quest’opera non se n’intende niente; lutto ciò è gettato al caso. » — Voi gli rispondereste: — « Ignorante che voi siete! siete voi, che non ve n’intendete niente. Se le cose fossero disposte secondo la vostra idea, non vi sarebbe né senso, né ordine. Va bene come si trova. Un’intelligenza più grande cento volte della vostra ha diretta, e dirige continuamente questa disposizione; e se voi non ne sapete la ragione, dovete prendervela colla vostra ignoranza! » – Cosi facciam noi, quando critichiamo le opere d’Iddio! È il suo gran libro, che noi contempliamo, quando fissiamo gli occhi sulla natura. Tutti i secoli ne sono come le pagine che si succedono l’una l’altra; tutti gli anni ne sono come le linee; e tutte le diverse creature, dall’angelo, dall’uomo sino all’ultimo filo d’erba, e al più piccolo grano di polvere, ne sono come le lettere disposte ciascuna a suo proprio luogo dalla mano di questo grande Compositore, il quale solo conosce i suoi eterni concetti, e insieme della sua opera. – Se domandate perché una creatura è più perfetta di un’altra; perché questa é messa in questo luogo, e quella in quest’altro; perché vi è freddo d’inverno e caldo d’estate; perché la pioggia in questo tempo, e non in quell’altro, perché questa vicenda di fortuna, di sanità, perché questa malattia; perché la morte di questo ragazzo d’accanto a questo vecchio, che sopravvive; perché quest’uomo benefico, rapito dalla morte, e non quel malvagio che non fa se non male? ecc. io vi risponderò che un’intelligenza infinita, che una sapienza, una giustizia, una bontà infinite hanno così disposte le cose, e che è certo che tutto è ordinato, benché a noi così non paia. – Vi risponderò che per giudicare saggiamente d’un’opera conviene conoscerla interamente, è d’uopo concepirla nel suo assieme, e nei suoi particolari, paragonare i mezzi col fine cui devono arrivare. Ora qual uomo, qual creatura ha mai conosciuto i segreti degli eterni consigli del Creatore? Ciò sarebbe soprattutto necessario per apprezzare la sapienza e la giustizia della provvidenza relativamente agli uomini ragionevoli e liberi capaci di fare il bene e il male, capaci di merito e di demerito. – Si vedrebbe allora l’eternità aperta dinanzi a noi, e coordinando meravigliosamente ciò che sembrava ingiustizia sulla terra. « Perché, si diceva, Dio non punisce questo grande colpevole?Perché questo malvagio colmo di prosperità, e quest’uomo dabbene oppresso da tanti mali? » Qual cura prende dunque Iddio di ciò? » Dov’è la sua giustizia? dove la sua saggezza? dove la sua bontà? » – Ecco l’Eternità che spiega il mistero! Era giusto e ragionevole ricompensare con le passeggere prosperità della terra il poco di bene che aveva fatto quest’empio, questo gran peccatore che l’Eternità doveva punire. Questi giusti invece, che il mondo credeva si infelici, scontavano giustamente con afflizioni passeggere la pena di falli leggeri sfuggiti alla debolezza umana ; l’Eternità beata era la ricompensa della loro virtù! – Ella è pure l’Eternità che ci spiega come l’avversità é sovente un benefizio in questo senso, che ella riconduce a Dio l’anima che l’obliava in mezzo ai piaceri. Quante anime nel cielo ringraziano e ringrazieranno Dio di averle visitate sopra la terra col patire! —La ricchezza al contrario, la prosperità temporale sono di sovente una punizione. Quanti a causa di questi beni caduchi hanno disprezzato e perduto i beni eterni! Quanti malediranno nell’Eternità questi piaceri, questi onori, queste ricchezze che li hanno perduti! Si è coll’occhio fisso della Eternità che bisogna giudicare tutto quello che accade al~ l’uomo in questo mondo. Fuor di questo è impossibile di conoscere per nulla i disegni di Dio sopra di noi! – Riformiamo dunque quinci innanzi la nostra maniera di vedere. Non più giudichiamo il nostro gran Giudice! — Né voi né io, credetelo, non abbiamo la vista così lunga come Egli. Ciò che Egli fa è ben fatto; e se permette il male è sempre per un bene maggiore. Non vi ricordate più del giardiniere della, favola? — Egli si trovava nel suo giardino vicino ad una grossa zucca. “E che pensò, diceva, il Creatore di così collocar codesta zucca? Io per certo l’avrei con miglior senno sospesa a quercia annosa: allora al frutto. Come vuole ragion, l’albero risponde. A questo minor albero la ghianda. Perché non pende, umile tra i frutti? Qui si compiacque di scherzar natura! Più questo osservo, più conosco in ciò aver fatto natura un qui pro quo. – Faceva caldo; Garò era stanco: si corica al piede di una delle vicine querce. Cominciava ad addormentarsi, quando si stacca una ghianda, e dall’alto dell’albero gli cade sul naso. Garò svegliato all’improvviso, manda un grido, e vedendo la causa di questo accidente; Oh! ohi diss’egli, giù mi corre il sangue! Or che sarebbe se più grave peso fosse caduto? E maestosa zucca fosse stata la ghianda? Iddio nol volle: e conviene confessar ch’ebbe ragione; E la causa qual sia or ben conosco. E lodando il Signore in ogni cosa, Garò di giudicarlo più, non osa. Fate come questo buon uomo; e lungi dal negare la divina Provvidenza, guardatevi pure dal lamentarvene. [Continua …]

I CAMPIONI DELLA QUINTA COLONNA NELLA CHIESA

I campioni della quinta colonna nella Chiesa:

Giuda Iscariota,

Simon Mago, G.B. Montini.

La quinta colonna ebraica degli infiltrati nella Chiesa Cattolica, è comparsa insieme alla stessa Chiesa di Cristo. Il classico esempio che ci danno i Santi Evangelisti è quello di Giuda Iscariota, uno dei dodici Apostoli, che tradì Cristo e lo vendette per trenta denari d’argento. E’ evidente che egli, nella sua qualità di Apostolo di Nostro Signore rivestiva una dignità equivalente, o maggiore, a quella dei Vescovi e dei Cardinali. Perché fu scelto dal Divino Redentore? Egli, più che un Vescovo, fu il primo Cardinale e addirittura ancor più di un Cardinale: egli fu uno dei dodici Apostoli! Giuda Iscariota, si chiamava; e venne scelto da Nostro Signor Gesù Cristo, e da Lui medesimo elevato a tanta sublime investitura. Perché mai Nostro Signor Gesù Cristo fece una cosa del genere? Forse perché Egli incorse in errore nello scegliere Giuda e nell’onorarlo di sì alta dignità nel seno della Chiesa nascente? Tanto alta da essere immediatamente successiva alla Sua medesima? No, fratelli. E’ chiaro che Nostro Signor Gesù Cristo mai poteva ingannarsi, né si ingannò, perché Egli era Dio stesso. – Se il Divin Salvatore così si comportò, ciò fece, ancora una volta, spinto da un infinito amore per noi, sue indegne creature. Lo fece per far constatare a noi quale sarebbe stato il maggior pericolo al quale sarebbe andata incontro la Santa Chiesa. Egli volle sic et simpliciter mettere in guardia la Sua Chiesa contro i nemici che sarebbero sorti dalle sue stesse fila. E, soprattutto, tra le più alte gerarchie; perché se uno di coloro che Cristo stesso aveva scelto come Apostolo, risultò essere un Giuda — parola che da allora significò per tutti i tempi la peggiore specie di traditore — è evidente che, a maggior ragione, altri Giuda rinomati sarebbero apparsi anche nel futuro tra i seguaci di Cristo. I fedeli non debbono scandalizzarsi delle nostre parole, né, tantomeno, perdere la loro fede nella Chiesa. Né debbono meravigliarsi nel conoscere la storia dei Vescovi e Cardinali eretici che arrecarono tanto grave male alla Santa Chiesa. Tantomeno lo debbono nell’apprendere che la lotta dei giorni nostri coinvolge Vescovi e Cardinali che aiutano la Frammassoneria, il Comunismo e il Giudaismo stesso nel loro infame e sciagurato tentativo di rovina del Cristianesimo e di schiavitù dei popoli della Terra.

Simon Mago, fondatore dell’eresia gnostica, la prima che intaccò la giovane cristianità, fu anche uno degli iniziatori della « quinta colonna » ebrea in seno alla Chiesa. La Sacra Bibbia ci narra come il suddetto ebreo riuscì ad introdursi nel seno della Santa Chiesa stessa: Atti degli Apostoli Capitolo VIII : Versetto 9 « Or un cert’uomo chiamato Simone, stava già da tempo in quella città, ed esercitando la magia seduceva molta gente in Samaria, spacciandosi per un gran che. 12. Ma quando ebbero creduto a Filippo che evangelizzava il regno di Dio, uomini e donne si battezzavano in nome di Gesù Cristo. 13. E anche Simone credette, e ricevuto il battesimo, non si staccava da Filippo; e, osservandone i miracoli ed i prodigi grandissimi, andava fuori di sé dallo stupore. 14. Or gli Apostoli che eran in Gerusalemme, avendo sentito che la Samaria aveva ricevuto la parola di Dio, vi mandarono Pietro e Giovanni 15. i quali arrivati pregarono per loro perché ricevessero lo Spirito Santo, 16. perché non era ancor disceso in alcuno di essi ma erano soltanto battezzati nel nome del Signore Gesù. 17. Allora imposero loro le mani, ed essi ricevettero lo Spirito Santo. 18. Or Simone come vide che mediante l’imposizione delle mani degli Apostoli era dato lo Spirito Santo, offerse loro del denaro 19. dicendo : «date anche a me questo potere di far ricevere lo Spirito Santo a quelli a cui imporrò le mani ». Ma Pietro gli disse : 20. « Vada il tuo denaro teco in perdizione, perché hai stimato che il dono di Dio si possa comperare coi danari». A questa così cruda risposta di San Pietro, Simon Mago rispose: Versetto 24, « Pregate voi per me il Signore perché nulla mi avvenga di quanto avete detto » . Questo passo del Nuovo Testamento ci dice come nacque e quale sarebbe stata la natura della quinta colonna degli ebrei falsi convertiti. Simon Mago si converte al Cristianesimo e riceve l’acqua del battesimo, però dopo, quando già si trova nel seno della Chiesa, pensa di corromperla e ha in mente di comprare — né più né meno — addirittura la Grazia Santificante dello Spirito Santo. Dinanzi al fallimento delle sue intenzioni, dinanzi all’incorruttibilità dell’Apostolo San Pietro, Capo Supremo della Chiesa, finge un pentimento, che evidentemente è ben lungi dal provare, e dà inizio all’opera di lacerazione interna della Chiesa con l’eresia dello Gnosticismo. Con questo, così come con altri fatti, la Sacra Bibbia leva la sua voce per richiamare la nostra attenzione su quanto sarebbe accaduto nel futuro. E infatti le quinte colonne ebree della Santa Chiesa, seguirono l’esempio di Simon Mago; i loro gregari si convertirono al Cristianesimo onde poter corromperlo con la simonia, disintegrarlo con l’eresia e tentar di impossessarsi delle più alte dignità della Chiesa con altri diversi mezzi: non escluso finanche quello di tentare di comprar col denaro la Grazia Santificante dello Spirito Santo! – Occorre tener conto che neanche a questo proposito la tattica ebrea è cambiata: e sempre ha inserito nelle sue dottrine —nei riti e simboli massonici per esempio — oltre agli elementi kabalistici e giudaici anche elementi di origine greca. [M. Pinay: Complotto contro la Chiesa].

L’obiettivo delle quinte colonne ebraiche sembra concretizzarsi con il massimo eresiarca di tutti i tempi, G. B. Montini, che introdottosi nella Chiesa accedendo alle più alte cariche, ed usurpando il Papato di Gregorio XVII, Cardinal G. Siri, eletto Papa già nel Conclave del 26-10-1958, con il sostegno della massoneria clericale e della cupola massonica del B’nai B’rith [massoneria esclusivamente ebraica], riusciva ad insediarsi fraudolentemente sul trono di S. Pietro, dando origine alla demolizione delle strutture portanti della Chiesa Cattolica, cioè: 1. –demolendo la Santa Messa, sostituita da un rito rosa-crociano offerto a lucifero, il “signore dell’universo” [in pratica il Santo Sacrificio è divenuto un sacrilegio infame]; 2° – invalidando prima il rito di consacrazione dei vescovi [18 giugno 1968], e – 3° poi abolendo di fatto il sacerdozio cattolico eliminando la tonsura e gli ordini minori [15 agosto 1972]; 4° – devastando il Divino Ufficio con il frazionarlo addirittura in quattro settimane di minima preghiera salmodica; 5° – Eliminando il Santo Uffizio e lasciando campo libero a tutte le eresie moderniste ed ai teologi della blasfema “nuovelle théologie”; 6°.-Eliminando la obbligatorietà dell’imprimatur per scritti spirituali e per le rivelazioni pubbliche o private, potendo così ognuno scrivere qualsiasi sciocchezza ammantandola di veli di falsa spiritualità; 7°. – proclamando la chiesa dell’uomo aperta solo alle necessità materiali ed eliminandone progressivamente gli elementi soprannaturali; 8° – Intronizzando il suo idolo: satana, in Vaticano il 29 giugno del 1963, nel corso di una doppia messa nera tenutasi contemporaneamente a Charleston e nella Cappella Palatina in Vaticano, a sigillo della apparente conquista della Chiesa Cattolica da parte della sinagoga di satana; 9°. -proseguendo e chiudendo “in bellezza” il conciliabolo c. d. Vaticano II, nel quale si ribaltava tutta la dottrina bimillenaria della Chiesa, in particolare la parte riguardante, guarda caso, i “fratelli” ebrei. A questo punto, sembra che il sogno ostinato, nato dall’odio feroce contro Cristo ed i suoi seguaci della Santa Chiesa Cattolica, nella falsa sinagoga ebraica, da Giuda a Caifa, da Erode a Simon mago, da Ario a Pierleoni, etc. etc. si sia concretizzato con l’insediamento fino ai nostri giorni di antipapi marrani, tutti di estrazione ebraica anticristiana. Ed allora che fare? Ricordando che “qui abitat in caelis irridebit eos”, e che le porte dell’inferno “non praevalebunt” sulla navicella di S. Pietro, oggi più che mai bisogna: 1° conservare la fede cattolica con tutti gli insegnamenti di Cristo, dei Padri della Chiesa, orientali ed occidentali, e soprattutto del Magistero pietrino, 2° invocare con il Santo Rosario la Vergine Maria, che sola ha da sempre combattuto e distrutto ogni eresia e può schiacciare il capo dell’infernale serpente oggi in apparenza trionfante, 3°pregare con fede certa i Santi Apostoli Pietro e Paolo, i Santi Martiri, Vergini ed i Confessori, in primis i Santi Pontefici, gli Angeli fedeli, perché il Signore abbrevi i tempi della sua venuta per ridare alla Santa Chiesa Cattolica nuovo splendore e gloria, eliminando l’attuale abominio della desolazione e ripristinando oltre a tutti i Sacramenti, oggi invalidi ed illeciti, il Santo Sacrificio di Cristo offerto alla Santissima Trinità. Che Dio ce lo conceda!