De Segur: BREVI E FAMILIARI RISPOSTE ALLE OBIEZIONI CONTRO LA RELIGIONE [risp. XXXVII-XL]

 

XXXVII.

NON SO CHE FARMENE D’ANDARE A MESSA: PREGO DIO EGUALMENTE A CASA MIA.

R. E lo pregate voi molto in casa vostra? Perdonatemi se m’inganno: ma io sospetto un poco che non Lo preghiate più a casa vostra che alla Chiesa. La questione, notate, non e di sapere se voi pregate Iddio cosi bene a casa vostra che alla Messa; ma di sapere se Iddio vuole che nella domenica e nelle feste, Io preghiate alla Messa e non a casa vostra. – Or Egli lo vuole. – Voi vi ricordale, che abbiamo già ragionato di ciò insieme, ed abbiamo convenuto che le leggi religiose de’ pastori della Chiesa cattolica erano obbligatorie in coscienza, perché essi fanno queste leggi colla stessa autorità di Gesù Cristo. « Chi ascolta voi, ascolta me, chi disprezza voi, disprezza me. » La Chiesa prescrivendoci d’assistere alla Messa, nelle domeniche e feste di precetto, è disobbedire a nostro Signor Gesù Cristo, è disobbedire a Dio stesso il trascurare d’andarvi. – Il motivo che ha dato luogo a questa legge è importantissimo; anche la legge stessa lo è moltissimo. È la necessità del pubblico culto che è d’uopo rendere a Dio. – Noi non viviamo solo individualmente come uomini, come cristiani: viviamo ben anco come società religiosa: e questa società di cui siamo i membri, stabilita da Dio stesso ha verso di Lui doveri ad adempiere, egualmente che ciascuno di noi in particolare. Ora il culto pubblico della società ( o Chiesa) cristiana è precisamente l’assistere al sacrifizio della Messa, che ci riunisce tutti alla presenza del nostro Dio, nel suo tempio, in giorni a ciò stabiliti, gli uni da Dio stesso [È Dio il quale ha istituito , dall’origine del mondo, il riposo del settimo giorno a perpetua memoria della creazione e della eternità. La domenica è il giorno di Dio, il giorno in cui ci dobbiamo più specialmente occupare di Lui e prepararci alla nostra eternità che sarà il riposo eterno e l’eterna domenica], altri da nostro Signor Gesù Cristo, altri finalmente dagli Apostoli o loro successori. Il non unirsi in questi solenni momenti al resto della famiglia cristiana, è, in qualche modo, rinunciare al titolo di cristiano, di Figlio di Dio, di discepolo di G. C , di membro della Chiesa cattolica. – Perciò è un grave peccato mancare alla Messa nella domenica e nelle feste comandate, senza una vera necessità. La gravità di questa trascuranza tanto più si comprende, quanto più si conosce la grandezza, la santità, l’eccellenza divina del sacrificio della Messa. La Messa è come il centro di tutta la Religione. E come potrebbe essere altrimenti? Essa è il sacrificio di Gesù Cristo centro di tutta la Religione, Dio dei cristiani, principio e fine di tutte le cose. – Nella Messa Gesù Cristo è presente, vivo e glorioso nella sua divinità e nella sua umanità; vi compie e vi rinnova l’atto supremo di tutta la sua vita, il suo Gesù Cristo è la gran vittima della salute del mondo. L’uomo per causa del peccato sì era diviso da Dio, e l’incenso della sua preghiera non era più che un incenso insozzato ed impuro. Gesù Cristo il figlio di Dio fatto uomo, soffrendo e morendo per noi ha riparato questo disordine. Egli ci salvò, rese alle nostre anime lo Spirito Santo che ne è la vita eterna’. Quando noi siamo uniti ad e s so per via della grazia, cioè, quando il suo Spirito vivifica e santifica la nostra anima, possediamo in germe la vita eterna, e se ci troviamo in questo stato felice al momento di nostra morte, noi entriamo nella vita eternamente beata per rimanervi per sempre. Gesù Cristo adunque è stato il nostro Salvatore, la vittima della nostra salute. Tutta la sua vita è stata una preparazione al gran sacrificio che ha offerto per noi sulla croce, nel venerdì santo. – Or bene la Messa è la continuazione non cruenta di questo sacrificio di Gesù Cristo attraverso dei secoli e delle generazioni umane. Non avvi alcuna sostanziale differenza tra il sacrificio della croce e il sacrificio della Messa. È lo stesso sacrificio offerto sotto forma differente. Il prete è lo stesso, è Gesù Cristo: visibile sul Calvario, invisibile e nascosto nel sacerdote all’altare. La vittima è la stessa, Gesù Cristo: cruenta al Calvario, incruenta e velata sotto le specie del sacramento all’altare. Le differenze non sono che puramente esteriori ed apparenti; ma nella sostanza il sacrifizio è lo stesso. – Il Salvatore volle che tutti gli uomini avessero la buona ventura di assistere all’atto di loro salute, e che ciascheduno potesse ricevere da Lui stesso in persona la benedizione che apporta a tutti. È al momento della consacrazione (o elevazione) verso la metà della Messa, che Gesù Cristo, la vittima del grande sacrificio discende sopra l’altare, si offre nuovamente a suo Padre per adorarLo in nostro nome, per ringraziarLo a nome nostro, per domandarGli il perdono cui i nostri peccati ci rendono indegni di ottenere, per domandarGli tutte le grazie, tutti i beni di cui abbiamo bisogno. – Per la parola misteriosa e divina del sacerdote, o piuttosto di Gesù Cristo medesimo, che parla per mezzo del suo ministro, lo stesso miracolo d’amore, che si è operato alla santa Cena il Giovedì santo, si rinnovella ciascun giorno sui nostri altari. Il pane ed il vino son cambiati nel corpo e nel sangue di Gesù Cristo, e non conservano più che le semplici specie del pane e del vino; di maniera che dopo la consacrazione non vi è sull’altare altro che il corpo, e il sangue di Gesù Cristo; che Gesù Cristo vivente, compendiando così nel santo Sacramento tutti gli stati, tutti i misteri della sua carriera mortale, e della sua vita gloriosa. Il momento del Sacrificio, come abbiamo detto, è quello della consacrazione. Si è in questo solo momento, infatti, che Gesù Cristo sì offre nuovamente a suo Padre, e rinnova l’offerta che ha fatto sulla croce dei suoi patimenti e della sua morte per la nostra salute. Tutto ciò che precede la consacrazione è la preparazione a questo adorabile sacrificio, tutto ciò che la segue ne è il compimento ed il ringraziamento. Mutate dunque ormai di linguaggio. Venite con tutti i vostri fratelli, venite al vostro Salvatore; è per voi, che discende, che s’immola in questo gran mistero. Egli vi ama, vi benedice…. e voi, che avete tanto bisogno di Lui, voi, che senza Lui non potete salvare la vostr’anima, voi non Lo curate, Lo disprezzate, Gli preferite occupazioni futili, frascherie, bagattelle!…. Credetemi, rientrate in voi stesso; diventate migliore. Adempite un dovere, che è tanto facile, quanto importante e necessario. Andate alla domenica ai piedi di Dio per rivedere come avete passata la settimana, e provvedervi per la seguente. Dio vi benedirà, e voi sarete felice.

XXXVIII

MI MANCA IL TEMPO.

R. Avete il tempo per mangiare?

— Senza dubbio.

— E perché mangiate?

— Qual domanda! per non morire. Il nutrimento é la vita dei corpo.

— Qual val più, la vostr’anima, o il vostro corpo?

— Bella domanda nuovamente! la mia anima senza alcun dubbio.

— Ehi fate dunque per la vostr’anima almeno quanto fate per il corpo! Trovale, prendete il tempo per far vivere il corpo, e non prendete quello di far vivere radiala!  Io vorrei vedere, che il vostro padrone pretendesse di togliervi il tempo di mangiare. Certamente voi abbandonereste subito lui, e il suo negozio, e direste; Anzi tutto bisogna vivere. Or bene, io vi dico in modo più urgente ancora: Anzi tutto, anche prima della vita del corpo, anzi tutto non lasciate morire la vostra anima, che è la parte principale di voi stesso, la vostra anima che fa di voi un uomo, poiché per il corpo non siamo che animale, è l’anima sola che fa l’uomo, e lo distingue dal bruto. La religione vi dà la vita della vostra anima unendola a Dio, e voi dite, “Mi manca il tempo di praticar la mia religione?” Or bene prendetevelo questo tempo necessario. Prendetevelo, ad ogni costo, non importa in che tempo ed a spese di qualsiasi. Nessuno ha il diritto di privarvene, né il vostro padrone, né i vostri maestri, né vostro padre, né vostra madre; nessuno senza eccezione! – La salute eterna della vostra anima non può esservi tolta da alcuna creatura, e se qualcheduno osasse portar attentato al più sacro dei vostri diritti, sarebbe il caso di praticare questa grande regola degli apostoli: è meglio obbedire a Dio che agli uomini. « Ma il mio stato, soggiungete voi, m’impedisce di attendere alla mia salute. » È ciò vero? Badate alla risposta; perché se mi rispondete: SI, dopo avervi ben riflettuto, io vi dirò: Allora bisogna abbandonarlo, e sceglierne un altro. La vita, infatti, passa prontamente; ma l’eternità rimane. È dunque il pensiero dell’eternità che deve dominare tutta la vostra vita. A che vi servirà guadagnare il mondo intero, se venite a perdere la vostra anima?- Ma siamo sinceri. È egli poi vero che non possiate salvarvi, vivere cristianamente nel vostro stato? È forse il vostro stato che v’impedisce di fare una breve preghiera mattina e sera? È forse il vostro stato che vi impedisce di sollevare di tempo in tempo il vostro cuore a Dio nel corso della giornata, di offrirGli le vostre preghiere, il vostro lavoro, le vostre privazioni? Non è già esso che vi fa giurare, bestemmiare il nome di Dio, frequentare ì trivj, i balli, le bettole, i luoghi di depravazione… Il tempo che consumate in tal modo sarebbe cento volle sufficiente per fare di voi un buon cristiano se voi l’impiegaste ad operare la vostra salute. – Non è già il vostro stato che vi impedisce, la sera, dopo la vostra giornata, alle vigilie delle grandi feste, di andare a trovare un confessore, d’andare a ricevere col perdono dei vostri peccati, consigli e incoraggiamenti per meglio vivere in avvenire. In fatto di coscienza, è cosa ben chiara, sì ha il tempo di fare ciò che si vuole. Ma bisogna volerlo fortemente, energicamente e con perseveranza. Non ripetete dunque più: « Io non ho tempo di vivere cristianamente ; » perché ingannereste voi stesso. – Dite piuttosto so volete: Io non ho tanto tempo, tanta facilità, quanto vorrei » — Sia; ma, in sostanza, è il cuore e la buona volontà che Dio domanda; e non è necessario gran tempo per amare Iddio, fuggire il peccato, pentirsi delle proprie colpe; non abbisogna gran tempo per far la sua preghiera in ciascun giorno, e non abbisogna pur anco molto tempo per assistere alle funzioni parrocchiali nella domenica, e per andar a confessarsi quattro o cinque volte nell’anno. Altri fanno tutto ciò, e più ancora. Ne conosco, che non lanciano passare un mese senza ricevere i sacramenti, e non sono perciò cattivi operai.—Come fanno essi?— Fate ciò, che essi fanno;abbiate buona volontà, come essi; e come essi voi vivrete da vero cristiano; e come essi voi andrete in paradiso in luogo d’andare all’inferno. Chi non dà a Dio il suo tempo, Iddio gli negherà la sua eternità.

XXXIX.

IO NON POSSO! È TROPPO DIFFICILE!

R. Dite piuttosto che voi non volete! Si può tutto ciò che si vuole in tutto quello che riguarda la coscienza e la salute. Ciò che manca non è già il potere, è il coraggio. Si teme la fatica, s’indietreggia. Il vero cristiano è un prode; simile a un buon soldato, che gli sforzi de’ nemici non fanno che eccitarlo vieppiù a combattere, nulla teme, appoggiato a Gesù Cristo, da Lui prende tutta la sua forza. Se cade si rialza, e ricomincia il combattere più forte che prima. – « Io non posso! » Il pigro, che al mattino sbadiglia, si stira, si voltola nel letto, e ricomincia a dormire in luogo di lavorare, dice pure: “Io non posso”. Verrà giorno, in cui vedrete che potevate. Ma allora non sarà più tempo e il momento della fatica sarà passato: starete davanti al tribunale di Gesù Cristo, ed udirete la sua terribile parola: «Via da me maledetti, al fuoco eterno, che fu preparato pel diavolo e per i suoi angeli » (s. Matteo, c. XXV). In quel giorno comprenderete, che potevate! Ciò nulla meno vi ha qualche cosa di assai vero in ciò che dite. No, voi non potete vincere le vostre passioni, e praticare le virtù così sublimi del cristiano, se non cercate, colà dove si trova, la forza necessaria a ciò. – No, voi non potete evitare i peccati, di cui avete l’abitudine, se non impiegate i mezzi, che Gesù Cristo vostro Salvatore ha consegnati a questo fine nelle mani della sua Chiesa. Questi mezzi voi li conoscete. In tempi più felici, quando eravate buono, puro, onesto, perché eravate cristiano, voi li avete impiegati, e avete sentito da voi medesimo tutta la loro dolcezza, tutta la loro forza. È la preghiera; È la santificazione della domenica; È l’istruzione religiosa; È soprattutto la frequenza della confessione e della santa Comunione. È la fuga delle occasioni pericolose, dei piaceri colpevoli, dei cattivi compagni e delle cattive letture. Senza questi mezzi, no, voi non potete esser buono. Con questi mezzi non solamente lo potete, ma niente vi è di più dolce, di più facile. Quanti giovani ed uomini d’ogni età e condizione hanno passioni più violente che voi, e le domano tuttavia, e le hanno signoreggiate! Molti sono più esposti che voi nol siate, e hanno più ostacoli d’ogni genere a vincere. Perché non potrete voi fare ciò che essi fanno? Coraggio dunque! È questo che manca. Si è cristiano, quando efficacemente si vuole!

XL.

MI SI FAREBBERO LE BEFFE! NON BISOGNA FARE IL SINGOLARE, BISOGNA FARE COME GLI ALTRI.

R. Siete voi una capra, amico, ovvero un uomo? Le capre, ben lo so, seguonsi l’una l’altra; se la prima si getta in un buco, la seconda la segue, la terza segue la seconda, la quarta segue la terza; e così di seguito; esse vi si gettano perché le altre vi si son gettate: esse fanno come le altre. Ma gli uomini devono essi agire d’una maniera così stupida? Eh! quanti sono capre in questo punto! Quanti vanno all’inferno perché gli altri vi vanno! – « Non bisogna fare il singolare, » si dice. Si deve fare, bisogna fare il singolare, non per orgoglio o perché si sdegnino gli altri, ma perché bisogna essere buono in mezzo al mondo malvagio. Il male abbonda, e il bene è raro; vi sono molti perversi e pochi buoni, molti pagani e pochi Cristiani. I malvagi formano la massa; sono essi che fanno la moda ed il costume. Chi vuol seguir l’altra strada, che è la buona, è perciò costretto a singolarizzarsi. Or bene, questa singolarità bisogna averla. Essa è il segno, la condizione necessaria della vostra eterna salute. Nostro Signor Gesù Cristo ci ha dichiarato in termini formali: « Entrate – dice Egli – per la porla stretta; perché « larga è la porta, e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quei che entrano per essa. Quanto angusta è la porta e stretta la via che conduce alla vita; e quanto pochi son quei che la trovano! » (s. Matteo cap. VII). – « E non temete coloro – aggiunge egli in un altro passo dell’evangelo – non temete coloro che uccidono il corpo e non possono uccidere l’anima, ma temete piuttosto colui che può mandare in perdizione e l’anima e il corpo all’inferno…». « Chiunque mi rinnegherà dinanzi agli uomini, Io rinnegherò anche io dinanzi al Padre mio che è ne’ cieli » (s. Matteo cap. X). « E chi persevererà sino alla fine, questi sarà salvo malgrado tutti gli ostacoli, malgrado soprattutto le beffe, gli esempi e gli sforzi dei libertini» (s. Matteo cap. XXIV). È egli chiaro l’avviso? È il Giudice eterno che ce lo annunzia. È Colui che non parla giammai invano, e che di sua propria bocca proclama che « Il cielo e la terra passeranno, ma che le sue parole non passeranno mai. » Bisogna dunque, sotto pena di eterna dannazione, vivere nel mondo, differente dal mondo. Bisogna gloriarsi di questa singolarità, anziché temerla ed arrossirne. È dessa che ci fa Cristiani. « Ma si faranno beffe di me. » E che?! Lasciate che si burlino di voi; voi non morrete per ciò! Burlatevi di quelli che si burlano di voi; essi sono i ridicoli, voi siete il savio. Quale dei due deve burlarsi dell’altro: il folle del savio, o il savio del folle? – Se si burlassero di voi perché mangiate, o perché camminate su i piedi, e non sulla testa, cessereste perciò di mangiare, e vi mettereste a camminar sulle mani? No. E perché? Perché ciò che fate è ragionevole e ben fatto, e che vi si vorrebbe veder fare un assurdo. – Quanto è più assurdo il perdere la vostra anima per piacere a qualche sconsigliato, di cui nel fondo del vostro cuore disprezzate il libertinaggio! La lode di simili persone è vera vergogna; il loro biasimo è un bene. È segno che non si somiglia ad essi. – “Si burleranno di me”; dunque non voglio servir Dio. Sarebbe un ragionamento simile a quello di un francese il quale non volesse più servire la Francia sua patria, per tema di spiacere agli inglesi nemici della Francia! – Ma non esagerate troppo le cose. Voi non sarete il solo del vostro partito. Benché vi siano più cattivi, che buoni, il numero di questi è tuttavia più grande di quello che credesi, specialmente a’ giorni nostri, in cui la Religione va riprendendo vieppiù il suo benefico impero.— Nelle alte classi della società è ora un’onorevole raccomandazione l’essere Cristiano. Siate buono, amabile, officioso verso tutti, ridete cogli altri di ciò di cui si può ridere senza offendere Dio; ed essi vi lasceranno tosto tranquillo in riguardo della Religione, appena appena vi attaccheranno. – Non vi mostrate debole per una parola, per uno sguardo, per un sogghigno… Lasciate che si perdano coloro, che vogliono perdersi; voi che conoscete come va la cosa, salvate la vostra anima. Lasciate ridere chi vorrà ridere. “Riderà bene, chi riderà l’ultimo”.

S. PIO V CONFESSORE E PONTEFICE

5 MAGGIO.

PIO V CONFESSORE E PONTEFICE

Pio V, chiamato al secolo Michele Ghisleri, nacque in Bosco, piccolo villaggio del Piemonte e frequentando fino da fanciullo un convento di Domenicani finì per abbracciarne l’Ordine. Distinguendosi fra i molti compagni per profondità di sapere e sodezza di virtù, appena ebbe l’età fu promosso al Sacerdozio. – Con grande zelo disimpegnò sotto i Papi Paolo IV, e Pio IV i gravi uffici di inquisitore di Lombardia e quindi di Vescovo di Alessandria, uffici nei quali non solo divenne celebre per il suo ardente zelo ma ancora per la prudenza e perspicacia con cui seppe disimpegnarli. Venuta più tardi vacante la romana sede, il Ghisleri venne eletto Sommo Pontefice, assumendo il nome di Pio V. – I tempi correvano tristi, l’eresia luterana che spargeva faville di ribellione ovunque minacciava la Fede cattolica in tanti paesi, e sebbene sedesse da molti anni il Concilio di Trento per arrestare appunto l’eresia di Lutero, i fautori di esso erano sì astuti che i Padri del Concilio non riuscivano a venirne a capo. Fu in questi tempi tristi che i l santo Pontefice Pio V svolse tutto il suo Apostolato di bene. Egli incominciò col reprimere la dissolutezza ed il vìzio, quindi con l’aiuto del Borromeo chiuse il Concilio Tridentino intimando che ne fossero eseguiti i canoni: contribuì pure alla correzione del Breviario e del Messale. – Ma se tristi erano i tempi quanto al lato morale non meno tristi erano per il lato politico, poiché i Turchi che circondavano l’Italia minacciavano continuamente di penetrarvi e saccheggiare Roma. Ma S. Pio V seppe pure trionfare di questi gravi pericoli, assistito dalla S. Madonna, ch’egli tanto amava. Convocati infatti e riuniti in un unico esercito i principi cristiani, ordinò di liberare finalmente le popolazioni italiane dal grave pericolo dei Turchi. L’esercito con i principi dietro il comando del Papa partì, accompagnato dalle preghiere di tutta la cristianità; e nelle acque di Lepanto, si incontrò col nemico. Terribile fu la lotta, ma il Pontefice accompagnava l’esercito cristiano con la recita del S. Rosario e la vittoria tutta di Maria SS. fu dei cristiani; i Turchi furono messi in disordinata fuga; e da quel giorno tanto memorabile nella storia della Chiesa, Maria fu onorata col titolo di « Auxilium Christianorum » e con la solennità del S. Rosario. – S. Pio V, per purgare poi l’aiuola della Chiesa, non lavorò solo a parole, ma anche con l’esempio, mostrandosi esemplare in ogni virtù. Visse sobrio ed umile, passando gran parte delle sue giornate nella preghiera per la dilatazione del Regno di Cristo e per la pace della Chiesa in quei tempi tanto sconvolta. Dopo fecondo apostolato fu visitato da crudele infermità che sopportò con santa rassegnazione. Morì nel maggio del 1572, mentre tutta la cristianità ripeteva: « Ci fu rapito un padre, è morto un santo ».

VIRTÙ. — Il S. Rosario è una preghiera universale: recitiamolo, meditando i santi misteri.

PREGHIERA. — Dio, che a sconfiggere i nemici della tua Chiesa e restaurare il divin culto ti degnasti di eleggere il Sommo Pontefice beato Pio; fa che noi difesi dal suo soccorso, siamo così attaccati al tuo servizio che superate le insidie di tutti i nemici, ci allietiamo di una perpetua pace. Così sia. [un Santo per ogni giorno -1933, imprim.-]

Omelia di san Leone Papa

Sermone 2 nell’anniversario della sua elezione, prima della metà

Allorché, come abbiamo inteso dalla lettura del Vangelo, il Signore domandò ai discepoli, chi essi (in mezzo alle diverse opinioni degli altri) credessero ch’Egli fosse, e gli rispose il beato Pietro con dire: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Matth. XVI,16; il Signore gli disse: « Beato te, Simone, figlio di Giona, perché non te l’ha rivelato la natura e l’istinto, ma il Padre mio ch’è nei cieli Matth. XVI,17-19: e Io ti dico, che tu sei Pietro, e su questa pietra Io edificherò la mia Chiesa, e le porte dell’inferno non prevarranno contro di lei: e darò a te le chiavi del regno dei cieli: e qualunque cosa legherai sulla terra, sarà legata anche nei cieli; e qualunque cosa scioglierai sulla terra, sarà sciolta anche nei cieli». Rimane dunque quanto ha stabilito la verità, e il beato Pietro conservando la solidità della pietra ricevuta, non cessa di tenere il governo della Chiesa affidatagli. – Infatti in tutta la Chiesa ogni giorno Pietro ripete: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente»; ed ogni lingua, che confessa il Signore, è istruita dal magistero di questa voce. Questa fede vince il diavolo e spezza le catene di coloro ch’esso aveva fatti schiavi. Questa, riscattatili dal mondo, li introduce nel cielo, e le porte dell’inferno non possono prevalere contro di lei. Perché essa ha ricevuto da Dio fermezza sì grande, che né la perversità della eresia poté mai corromperla, né la perfidia del paganesimo vincerla. Così dunque, con questi sentimenti, dilettissimi, la festa odierna viene celebrata con un culto ragionevole; così che nella umile mia persona si consideri ed onori Colui nel quale si perpetua la sollecitudine di tutti i pastori e la custodia di tutte le pecore a lui affidate, e la cui dignità non vien meno neppure in un erede. – Quando dunque Noi facciamo udire le nostre esortazioni alla vostra santa assemblea, credete che vi parla Quello stesso di cui teniamo il posto: perché animati dal suo affetto noi vi avvertiamo, e non vi predichiamo altro se non quello ch’Egli ci ha insegnato, scongiurandovi, che cinti spiritualmente i vostri lombi, «meniate una vita casta e sobria nel timor di Dio» 1Petri 1,13. Voi siete, come dice l’Apostolo, «la mia corona e la mia gioia» Philipp. IV,1, se però la vostra fede, che fin dal principio del Vangelo è stata celebrata in tutto il mondo, persevererà nell’amore e nella santità. Poiché, se tutta la Chiesa sparsa per tutto il mondo deve fiorire in ogni virtù; è giusto che fra tutti i popoli voi vi distinguiate per il merito di una pietà più eccellente, voi che, fondati sulla vetta stessa della religione e sulla pietra dell’apostolato, siete stati riscattati, come tutti, da nostro Signore Gesù Cristo e, a preferenza degli altri, istruiti dal beato Apostolo Pietro.

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Basterebbe questa brevissima biografia ed il brano dell’omelia di S Leone, per capire cosa significhi essere un Papa Cattolico. Oggi la maggior parte dei “finti” cristiani, coscientemente o meno, apostati, ma sempre e comunque colpevoli, ha abboccato “allegramente” alle sceneggiate proposte fin dal 1958 dalle “marionette” massoniche poste sul “teatrino” della sinagoga di satana … si pensi solo alla strenua azione del Papa Ghisleri contro l’eretico spergiuro Lutero e contro le sue sataniche proposizioni, eresiarca della peggior specie, omicida-suicida, oggi osannato dalla “falsissima” corrotta gerarchia dei marrani, quasi canonizzato dal “clown della pampa” che è già corso a festeggiare con i “fratelli di grembiulino” protestanti e ancora continuerà … Usquequo Domine, usquequo!…

Solo un’altra breve osservazione: con il Rosario tra le mani il Santo Padre scongiurava l’invasione dei turchi dell’epoca: prendiamo esempio, forse è proprio perché questo nessuno di noi oramai lo fa più, che i turchi, i saraceni ed i maomettani moderni ci stanno invadendo con le “galere” degli scafisti protette e scortate, rendendo inutili gli eroismi di Lepanto e la preghiera di S. Pio V.

Che la Vergine ci conceda una nuova e definitiva LEPANTO!

3 MAGGIO 2017

Questo per la Chiesa Cattolica è un giorno di importanza straordinaria. 1) È il giorno della Invenzione della Santa Croce. 2) Si commemora sant’Alessandro I martire e Papa. 3) Si festeggia l’anniversario della elezione del Sommo Pontefice GREGORIO XVIII [3 maggio 1991]. Questi tre avvenimenti sembrano essere stati combinati appositamente: la Festa dell’Invenzione ci ricorda che solo la Croce è simbolo di salvezza, simbolo non solo iconografico, ma segno al quale si deve uniformare la vita del Cristiano, vita di Passione per giungere alla finale Resurrezione. Un esempio lampante ce ne viene fornito dalla vita e dalla morte del Santo martire e Papa Alessandro I. il terzo avvenimento ci rende lieti oltremodo, perché è stata la data nella quale la Chiesa Cattolica in eclissi ha continuato il suo corso Apostolico, con l’elezione del nuovo Pontefice attualmente regnante, come Gesù aveva solennemente promesso ai suoi: “Io sarò con voi tutti i giorni, fino alla fine dei tempi”, sfilandosi da una mortale apparente crisi, voluta, attuata e determinata con accanimento caparbio dai soliti “nemici di Dio e di tutti gli uomini”, infiltrati come modernisti novatori sulla piattaforma preparata dai marrano-apostati dalla “quinta colonna” e dalle conventicole mondialiste. A queste già importanti ricorrenze si è aggiunta oggi pure la Festa del Patrocinio di San Giuseppe, proclamato da PIO IX protettore della Chiesa Cattolica, il mercoledì della settimana seguente la II Domenica dopo Pasqua! Felici i cattolici che possono godere di queste Feste incredibilmente importanti ed oggi confluite in questo unico giorno di grazia!

Patrocinio di San Giuseppe

San Bernardino da Siena: Sermone su S. Giuseppe

È regola generale di tutte le grazie singolari concesse a qualche creatura ragionevole, che, ogni volta che la bontà divina sceglie qualcuno per onorarlo d’una grazia singolare o elevarlo ad uno stato sublime, gli doni tutti i carismi, che alla persona così eletta e al suo ufficio sono necessari, e l’adorni largamente di questi doni. Il che s’è verificato soprattutto in san Giuseppe, padre putativo di nostro Signore Gesù Cristo, e vero sposo della Regina del mondo e della Sovrana degli Angeli; il quale fu scelto dall’eterno Padre a fedele nutrizio e custode dei suoi principali tesori, cioè del suo Figlio e della sua Sposa: ufficio ch’egli adempì fedelissimamente. Al quale perciò il Signore disse: « Servo buono e fedele, entra nel gaudio del tuo Signore» Matth. XXV,21. – Se lo consideri rispetto a tutta la Chiesa di Cristo, non è egli forse l’uomo eletto e singolare, sotto del quale Cristo fu posto nel suo ingresso nel mondo e per mezzo del quale fu salvaguardato l’ordine e l’onore della sua nascita? Se pertanto tutta la Chiesa è debitrice alla Vergine Madre, perché per Lei fu fatta degna di ricevere il Cristo; così dopo di Lei deve a Lui senza dubbio una riconoscenza e venerazione singolare. Egli è come la chiave dell’antico Testamento, in cui il merito dei patriarchi e dei profeti consegue il frutto promesso. Egli solo infatti possiede realmente quanto la bontà divina aveva a quelli promesso. Giustamente dunque Egli è figurato nel patriarca Giuseppe, che conservò il frumento ai popoli. Però Egli lo sorpassa, perché non solo ha fornito il pane della vita materiale agli Egiziani, ma, nutrendo (Gesù) con somma cura, ha procurato a tutti gli eletti il Pane del cielo, che dà la vita celeste. – Certamente non è a dubitare, che Cristo non abbia conservata in cielo, anzi non abbia compita e resa perfetta quella famigliarità, rispetto e sublimissima dignità, che, come un figlio a suo padre, gli accordò durante la vita terrestre. Onde non senza razione nella parola citata il Signore aggiunge: «Entra nel gaudio del tuo Signore» Matth. XXV,21. E benché il gaudio dell’eterna beatitudine entri nel cuore dell’uomo, tuttavia il Signore amò dirgli; «Entra nel gaudio»; per insinuare misticamente che questo gaudio non è solamente dentro di lui, ma che lo circonda d’ogni parte e lo assorbe e lo sommerge come un abisso senza fondo. Ricordati pertanto di noi, o beato Giuseppe, e coll’aiuto della tua preghiera intercedi presso il tuo Figlio putativo; e rendici altresì propizia la beatissima Vergine tua sposa, la Madre di colui che col Padre e collo Spirito Santo vive e regna per tutti i secoli dei secoli. Così sia.

INVENZIONE S. CROCE

[da “I Santi per ogni giorno dell’anno”- Alba, 1933. Imprim.]

Dopo l’orrendo deicidio compiutosi sul Calvario, la Croce imporporata dal sangue del Salvatore era stata trafugata dagli infedeli e da questi nascosta sotto un cumulo di rovine, erigendo poi su di essa un tempio a Venere. I Cristiani afflitti per tanta perdita aspettavano dal Cielo, quale grazia segnalata, il giorno in cui, vinto il nemico si potesse ritrovare la preziosa reliquia per esporla alla venerazione di tutti i fedeli. Ed il giorno fortunato venne. Iddio che aveva fatto chinare innanzi alla Croce il grande Costantino, aveva pure attratto al suo amore la madre S. Elena, la quale sentendosi ispirata a visitare i luoghi santi e ricercare la croce si consigliò con suo figlio. – Costantino, felice della deliberazione della madre, pose a sua disposizione tutto l’occorrente per il lungo viaggio, quindi S. Elena, piena di fede e di amore a Gesù Crocifisso partì con il suo seguito alla volta di Gerusalemme. – Giuntavi e conosciuto per divina rivelazione il luogo ove giaceva il prezioso legno, fece abbattere il tempio di Venere, ordinando quindi grandi scavi. Dopo immenso lavoro, il 14 Settembre dall’anno 320 apparvero tre croci con i chiodi della passione. Ma quale delle tre sarebbe quella del Salvatore? Per esserne certi, avvicinarono ad un malato una ad una le tre croci e solamente al tocco della vera Croce, il malato gettando un grido di gioia, si levò risanato. – Non vi era più dubbio, quella era la S. Croce sulla quale Gesù Cristo aveva operata la Redenzione nostra. S. Elena alla vista della S. Reliquia cadde ginocchioni e con lei tutta l’immensa folla. – Portata quindi in trionfo a Gerusalemme, si fecero grandi feste, dopo le quali il santo legno venne consegnato al Vescovo della città che lo rinchiuse in preziosa teca d’argento, dalla quale non si leva che il Venerdì Santo. S. Elena aveva però staccato un pezzetto della Croce e unito ai chiodi e alla tabella con l’iscrizione lo inviò a Roma. Quivi da questo pezzo se ne staccarono tanti altri che vennero distribuiti alle varie chiese di tutta la cristianità. Prima però di partire da Gerusalemme la madre del grande imperatore, comandò di edificare sulle rovine del tempio di Venere un grandioso tempio cristiano a perpetua memoria del grande beneficio ricevuto. E da quel giorno benedetto l’Imperatore Costantino proibì a tutti i popoli a lui soggetti, la crocifissione dei delinquenti. – Ricordiamoci che mentre su questa terra la Croce è per noi l’unica fonte di salvezza, nel giorno del giudizio finale, quando comparirà nel cielo, sarà per noi condanna, se non avremo saputo approfittare dei torrenti di grazie che da essa scaturiscono.

VIRTÙ. — La Croce è il segno del cristiano: facciamo sempre bene il segno di croce prima e dopo di ogni azione.

PREGHIERA. — Dio che nell’Invenzione memoranda della croce salutifera, rinnovasti i miracoli di tua passione, ci concedi che per le virtù del legno,vitale conseguiamo la grazia della vita eterna. Così

San ALESSANDRO martire e PAPA

Alessandro, Romano, governò la Chiesa sotto l’imperatore Adriano, e convertì a Cristo gran parte della nobiltà Romana. Egli stabilì che nella Messa si offrisse solo pane e vino: ordinò che nel vino si mescolasse dell’acqua, a motivo del sangue e dell’acqua che sgorgarono dal costato di Gesù Cristo; e aggiunse nel Canone della Messa: «Il quale prima che patisse». Lo stesso decretò che si conservasse sempre in chiesa dell’acqua benedetta mescolata con sale, e se ne usasse nelle abitazioni per scacciare i demoni. Governò dieci anni, quindici mesi e venti giorni, illustre per santità di vita e salutari ordinazioni. Ricevé la corona del martirio insieme con Evenzio e Teodulo, preti, e fu sepolto sulla via Nomentana, a tre miglia da Roma, sul luogo stesso dove fu decapitato; dopo aver creato in diversi tempi nel mese di Dicembre sei preti, due diaconi e cinque vescovi per luoghi diversi. I loro corpi trasportati poi a Roma, furono sepolti nella chiesa di santa Sabina.

… A Roma, sulla via Nomentana, la passione dei santi Martiri Alessandro primo Papa, Evenzio e Teodolo preti. Tra essi Alessandro, sotto il Principe Adriano ed il Giudice Aureliano, dopo le catene, la prigionia, l’eculeo, le graffiature ed il fuoco, fu trafitto con punture spessissime per tutte le membra ed ucciso, … [dal Martirologio del 3 maggio – 1954, imprim.]

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San Alessandro ha vissuto un Martirio materiale, corporale; Papa Gregorio XVIII sta vivendo un Martirio nell’anima e dello spirito nell’osservare le turpitudini, i sacrilegi, le blasfemie immonde, gli abomini desolanti, le bestemmie deliranti che si attuano continuamente nei sacri edifici usurpati alla Chiesa Cattolica. Ma questo Getsemani avrà ben presto un fine e canteremo con il salmista: …

Qui habitat in cælis, irridebit eos (Ps. II)

Dominus autem irridebit eum, quoniam prospicit quod veniet dies ejus”.(Ps. XXXVI) –

“Et tu, Domine, deridebis eos; ad nihilum deduces omnes gentes.(Ps. LVIII)- Laetabitur justus cum viderit vindictam; manus suas lavabit in sanguine peccatoris.

Et dicet homo: Si utique est fructus justo, utique est Deus judicans eos in terra”. (Ps. LVII) … e l’uomo dice: “se c’è un premio per il giusto, c’è Dio che fa giustizia sulla terra!”.

 

 

 

 

3 MAGGIO 1991-Salmi sul nome PETRUS

3 MAGGIO 1991

Il 3 maggio del 1991, due anni dopo la morte di Gregorio XVII (Cardinal Siri), dopo una laboriosa convocazione ed una pericolosa e problematica adunata, si teneva a Roma il Conclave segreto convocato dal Cardinal Camerlengo. Il giorno precedente i Cardinali avevano officiato la Messa da requiem in suffragio del Santo Padre defunto due anni prima, e si riunirono nuovamente onde procedere all’elezione del suo legittimo successore. Queste scarne notizie sono fornite dal sito “The pope in red”, sito approvato dalla Gerarchia in esilio, cioè dai consacrati o confermati dal Santo Padre Gregorio XVII nell’ultimo anno della sua vita, prima di essere scoperto ed “eliminato”. Durante questo breve conclave venne eletto canonicamente e legittimamente il “vero” Santo Padre che, in onore del suo predecessore, assunse il nome di Gregorio XVIII. Egli, per grazia di Dio, ha compiuto il suo 26° anno di Papato, scavalcando così Papa Leone XIII nella classifica di longevità Pontificia, e ponendosi al IV posto dopo S. Pietro, Pio IX, e lo stesso Gregorio XVII. Auguriamo al Santo Padre di scavalcare ancora altre posizioni in questa speciale classifica, assicurandogli nel contempo il sostegno dei “veri” Cattolici Italiani, con la preghiera del Santo Rosario e dei 6 “Salmi sul nome PETRUS”!

AUGURI SANTITA’!

Salmi sul nome PETRUS

Ecce sacerdos magnus, qui in diebus suis placuit Deo, et inventus est iustus: et in tempore iracundiæ factus est reconciliatio.

Hymnus

Beate Pastor, Petre, clemens accipe Voces precantum, criminumque vincula Verbo resolve, cui potestas tradita Aperire terris caelum, apertum claudere.

Quodcumque in orbe nexibus revinxeris, Erit revinctum, Petre, in arce siderum: Et quod resolvit hic potestas tradita, Erit solutum caeli in alto vertice; In fine mundi iudicabis sæculum. Sit Trinitati sempiterna gloria, Honor, potestas, atque iubilatio, In unitate, quæ gubernat omnia, per universa æternitatis saecula. Amen.

-P-

Antif.: Petrus et Ioannes, …

Ps. CVII

Paratum cor meum, Deus, paratum cor meum; cantabo, et psallam in gloria mea.

Exsurge, gloria mea; exsurge, psalterium et cithara; exsurgam diluculo.

Confitebor tibi in populis, Domine, et psallam tibi in nationibus;

quia magna est super caelos misericordia tua, et usque ad nubes veritas tua.

Exaltare super cælos, Deus, et super omnem terram gloria tua;

ut liberentur dilecti tui, salvum fac dextera tua, et exaudi me.

Deus locutus est in sancto suo: exsultabo, et dividam Sichimam; et convallem tabernaculorum dimetiar.

Meus est Galaad, et meus est Manasses; et Ephraim susceptio capitis mei. Juda rex meus,

Moab lebes spei meæ; in Idumaeam extendam calceamentum meum; mihi alienigenae amici facti sunt.

Quis deducet me in civitatem munitam? quis deducet me usque in Idumaeam? nonne tu, Deus, qui repulisti nos? et non exibis, Deus, in virtutibus nostris? Da nobis auxilium de tribulatione, quia vana salus hominis.

In Deo faciemus virtutem; et ipse ad nihilum deducet inimicos nostros.

 Antif.: Petrus et Ioannes – ascenderunt in templum ad horam orationi nonam.

-E-

Antif.: Ego autem,

salmo LX

Exaudi, Deus, deprecationem meam, intende orationi meæ.

A finibus terræ ad te clamavi, dum anxiaretur cor meum; in petra exaltasti me.

Deduxisti me, quia factus es spes mea, turris fortitudinis a facie inimici.

Inhabitabo in tabernaculo tuo in sæcula; protegar in velamento alarum tuarum.

Quoniam tu, Deus meus, exaudisti orationem meam; dedisti hæreditatem timentibus nomen tuum.

Dies super dies regis adjicies; annos ejus usque in diem generationis et generationis:

Permanet in æternum in conspectu Dei: misericordiam et veritatem ejus quis requiret?

Sic psalmum dicam nomini tuo in sæculum sæculi, ut reddam vota mea de die in diem.

 Antif.: Ego autem in Domino gaudebo, et exultabo in Deo Jesu meo

-T-

Antif.: Tu es Petrus, super hanc petram ædificabo Ecclesiam meam, …

Ps. LXIV

Te decet hymnus, Deus, in Sion, et tibi reddetur votum in Jerusalem.

Exaudi orationem meam; ad te omnis caro veniet.

Verba iniquorum prævaluerunt super nos, et impietatibus nostris tu propitiaberis.

Beatus quem elegisti et assumpsisti: inhabitabit in atriis tuis. Replebimur in bonis domus tuæ; sanctum est templum tuum,

mirabile in aequitate. Exaudi nos, Deus, salutaris noster, spes omnium finium terrae, et in mari longe.

Praeparans montes in virtute tua, accinctus potentia;

qui conturbas profundum maris, sonum fluctuum ejus. Turbabuntur gentes,

et timebunt qui habitant terminos a signis tuis; exitus matutini et vespere delectabis.

Visitasti terram, et inebriasti eam; multiplicasti locupletare eam. Flumen Dei repletum est aquis; parasti cibum illorum; quoniam ita est præparatio ejus.

Rivos ejus inebria, multiplica genimina ejus; in stillicidiis ejus laetabitur germinans.

Benedices coronæ anni benignitatis tuæ, et campi tui replebuntur ubertate. Pinguescent speciosa deserti, et exsultatione colles accingentur.

Induti sunt arietes ovium, et valles abundabunt frumento; clamabunt, etenim hymnum dicent.

 Antif.: Tu es Petrum, et super hanc petram ædificabo Ecclesiam meam, et portæ inferi non prævalebunt adversus eam

-R-

Antif.: Regem apostolorum Dominum,

Ps. CXVIII [ghimmel-daleth]

Retribue servo tuo, vivifica me, et custodiam sermones tuos.

Revela oculos meos, et considerabo mirabilia de lege tua.

Incola ego sum in terra, non abscondas a me mandata tua.

Concupivit anima mea desiderare justificationes tuas in omni tempore.

Increpasti superbos; maledicti qui declinant a mandatis tuis.

Aufer a me opprobrium et contemptum, quia testimonia tua exquisivi.

Etenim sederunt principes, et adversum me loquebantur; servus autem tuus exercebatur in justificationibus tuis.

Nam et testimonia tua meditatio mea est; et consilium meum justificationes tuae.

Adhaesit pavimento anima mea; vivifica me secundum verbum tuum.

Vias meas enuntiavi, et exaudisti me; doce me justificationes tuas.

Viam justificationum tuarum instrue me, et exercebor in mirabilibus tuis.

Dormitavit anima mea præ tædio; confirma me in verbis tuis.

Viam iniquitatis amove a me, et de lege tua miserere mei.

Viam veritatis elegi; judicia tua non sum oblitus.

Adhaesi testimoniis tuis, Domine; noli me confundere.

Viam mandatorum tuorum cucurri, cum dilatasti cor meum.

 Antif.: Regem apostolorum Dominum, venite ad oremus!

-U-

Antif.: Ut intercessionis eius auxilio,

Ps. XII

Usquequo, Domine, oblivisceris me in finem? usquequo avertis faciem tuam a me?

Quamdiu ponam consilia in anima mea, dolorem in corde meo per diem?

Usquequo exaltabitur inimicus meus super me?

Respice, et exaudi me, Domine Deus meus. Illumina oculos meos, ne umquam obdormiam in morte;

nequando dicat inimicus meus: Praevalui adversus eum. Qui tribulant me exsultabunt si motus fuero;

ego autem in misericordia tua speravi. Exsultabit cor meum in salutari tuo. Cantabo Domino qui bona tribuit mihi; et psallam nomini Domini altissimi.

 Antif.: Ut intercessionis eius auxilio, a peccatorum nostrorum nexibus liberemur

-S-

Antif.: Si diligis me, Simon Petre,

Salmo CXXVIII

Sæpe expugnaverunt me a juventute mea, dicat nunc Israel;

saepe expugnaverunt me a juventute mea; etenim non potuerunt mihi.

Supra dorsum meum fabricaverunt peccatores; prolongaverunt iniquitatem suam.

Dominus justus concidit cervices peccatorum.

Confundantur, et convertantur retrorsum omnes qui oderunt Sion.

Fiant sicut foenum tectorum, quod priusquam evellatur exaruit,

de quo non implevit manum suam qui metit, et sinum suum qui manipulos colligit.

Et non dixerunt qui præteribant: Benedictio Domini super vos. Benediximus vobis in nomine Domini.

 Antif.: Si diligis me, Simon Petre, pasce oves meas. Domine, tu nosti quia amo te.

Oremus

Petrus quidem servabatur in carcere; oratio autem fiebat sine intermissione ab Ecclesia ad Deum pro eo.

R. Constitues eos principes * Super omnem terram. V. Memores erunt nominis tui, Domine.

R. Super omnem terram. V. Nimis honorati sunt amici tui Deus. R. Nimis confortatus est principatus eorum.

Orémus

Deus, qui beato Petro Apostolo tuo collatis clavibus regni cælestis ligandi atque solvendi pontificium tradidisti: concede; ut intercessionis eius auxilio, a peccatorum nostrorum nexibus liberemur. Per Dominum …

Profezia di S. Pio X dell’esilio e della prigionia di Gregorio XVII – Fatima e la SEDE IMPEDITA

 “Ho visto uno dei miei successori, dello stesso mio nome, Che stava fuggendo (da Roma) … egli morirà di una morte crudele “.

Vedo i russi a Genova  

Nel 1909, durante una udienza per il capitolo generale dell’Ordine Francescano, Papa Pio X improvvisamente cadde in trance. Il pubblico aspettava in silenzio riverente. Quando si svegliò, il papa gridò: “Quello che vedo è terrificante, sarò io stesso … sarà un mio successore? Certo è che il Papa uscirà da Roma e lasciando il Vaticano dovrà camminare sui cadaveri dei suoi sacerdoti.

Proprio prima della sua morte (avvenuta il 20 agosto 1914), Papa Pio X ebbe un’altra visione: “Ho visto uno dei miei successori, un mio omonimo (Giuseppe), che stava fuggendo sui corpi dei suoi fratelli. Si rifuggerà in un luogo nascosto, ma dopo un breve riposo, morirà di una morte crudele (il 2 maggio del 1989)”.

Lo stesso Papa aveva anche predetto la guerra per l’anno 1914 ; durante la sua agonia di morte (nel 1914), disse: “Vedo i russi a Genova”….“I russi a Genova”: si riferisce alle visite minacciose degli emissari russi a Genova per sondare le intenzioni di Siri una volta asceso al Papato, o forse ai carcerieri fiancheggiatori della giudeo/massoneria che lo sorvegliavano in ogni sua mossa quando era ostaggio a Genova. Ma … “qui habitat in cælis irridebit eos … “

LA PRIGIONE DI GREGORIO XVII a Genova.

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Fatima predice la “Sede Impedita”: la Persecuzione del “vero” Papa

“Vedi l’Inferno, dove vanno le anime dei poveri peccatori … Se [la gente] non smette di offendere Dio, Egli punirà il mondo per i suoi crimini per mezzo della guerra, della fame, e con la PERSECUZIONE della Chiesa e DEL SANTO PADRE ». -Nostra Signora di Fatima, 1917 d.C.

Nota: le persone non hanno mai smesso di “offendere Dio”. Di conseguenza, Dio ha punito il mondo attraverso la peggiore persecuzione di colui che è la “Guida al Cielo” (il Santo Padre) della storia: Gregorio XVII 1958-1989, e Gregorio XVIII 1991-tuttora vivente, hanno sofferto quello che la Chiesa definisce come “SEDE IMPEDITA”. Questa avviene quando un Vescovo (in questo caso di Roma, il Papa) è impedito nel suo ufficio da forze esterne che agiscono PUBBLICAMENTE.

La pastorella Jacinta Marto, che ha aveva avuto una visione speciale di almeno uno dei Papi “impediti” della Chiesa sotterranea, disse: “Povero Santo Padre, dobbiamo pregare molto per lui”. Naturalmente i cattolici devono sostenere anche finanziariamente il Papa (per la sua sicurezza). Il messaggio di Fatima, anche in queste ultime ore, continua a sostenere la speranza … ma a condizione che agiamo! … “Non vi è alcun problema, vi dico, non importa quanto difficile, che non possiamo risolvere con la preghiera del Santo Rosario: con il Santo Rosario ci salveremo, ci santificheremo: “Consola nostro Signore ed ottiene la salvezza di molte anime “. -Suor Lucia di Fatima (?!?), 26 dicembre 1957.

[vedi sul blog, i Dettagli Storici della Consacrazione Pontificale della Russia al Cuore Immacolato di Maria” in: “25 anni di Papato”/exsurgatdeus.org]

La Madonna di Fatima è venuta a diffondere la devozione al suo Cuore Immacolato. Ci ha detto di pregare il Rosario quotidianamente, di fare penitenza e di indossare lo Scapolare marrone.

Il 13 maggio 1991 il Successore di Gregorio XVII consacrò la Russia, per nome, al Cuore Immacolato, in unione con tutti i Vescovi del mondo.

Il Signore a Lucia di Fatima, il 3 agosto 1931 dC (Rianjo, Spagna): “(I Pontefici) non hanno voluto rispettare la mia richiesta ma, come il re di Francia, si pentiranno e la faranno (la consacrazione della Russia al Cuore Immacolato in unione con tutti i vescovi del mondo), ma sarà troppo tardi: la Russia avrà già diffuso i suoi errori in tutto il mondo provocando guerre e persecuzioni della Chiesa, il Santo Padre avrà molto da soffrire . ”

 Papa Gregorio XVIII ha consacrato la Russia al Cuore Immacolato di Maria, cosa che gli altri Papi non fecero. – “… ma la (consacrazione) sarà fatta troppo tardi: la Russia ha oramai già diffuso i suoi errori …”

“Essi (i Papi, da Pio XI a Gregorio XVII) non hanno voluto seguire la mia richiesta, ma come il Re di Francia, si pentiranno e lo faranno poi (il Papa Gregorio XVIII, il 13 maggio 1991 a Roma), ma La Russia avrà già diffuso i suoi errori in tutto il mondo, provocando guerre e persecuzioni della Chiesa, per le quali il Santo Padre avrà molto da soffrire “.

Storica Correlazione:

Il Re di Francia nel 1688 ed Il Re di Roma (Il Santo Padre) nel 1929! 

1688: 17 giugno, il nostro Signore (attraverso Santa Margherita Maria Alacoque) chiese al re di Francia Luigi XIV di consacrare il suo regno al suo Sacro Cuore, altrimenti si sarebbe verificata una grave calamità alla corona francese. Luigi XIV – non acconsentì. 1788: il 17 giugno, il re Luigi XVI perse il suo trono 100 anni dopo nel giorno esatto in cui Il Signore aveva fatto la sua richiesta di Consacrazione al suo Sacro Cuore.

1929: 1 giugno (in Tuy): Nostra Signora di Fatima chiese a Suor Lucia che il Re di Roma (Il Santo Padre) in unione con tutti i Vescovi del Mondo, consacrasse la Russia al suo Cuore Immacolato, “È arrivato il momento in cui Dio chiede al Santo Padre, in unione con tutti i Vescovi del mondo, di consacrare della Russia al mio Cuore Immacolato, promettendo di salvarla con questo mezzo. Ci sono tante anime che la giustizia di Dio condanna per i peccati commessi contro di me, e sono venuta a Chiederne la riparazione: sacrificatevi per questa intenzione e pregate “. (Pio XI – non ha risposto!).

1958: 26 ottobre, il Re di Roma, il Santo Padre, perse il suo trono (che fu cioè usurpato!!!

1931: 3 agosto (a Rianjo): Nostro Signore a Suor Lucia, “Non hanno voluto rispettare la mia richiesta. Come il re di Francia, si pentiranno e la faranno, ma sarà ormai troppo tardi: la Russia avrà già diffuso i propri errori in tutto il mondo, provocando guerre e persecuzioni della Chiesa; il Santo Padre avrà Tanto da soffrire “.

Preghiamo per la conversione totale della Russia e per il Trionfo del Cuore Immacolato di Maria [S. S. Papa Gregorio XVIII!]

Le sette preghiere che i bambini di Fatima hanno ricevuto dal cielo

(e che tutti dovrebbero recitare)

 “Santissima Trinità Vi adoro! Dio mio, Dio mio, Vi amo nel Santissimo Sacramento!”

2°
Per la tua pura e immacolata Concezione, o Vergine Maria, ottieni per me la conversione della Russia, della Spagna, del Portogallo, dell’Europa e del mondo intero “.

3° – “O Santissima Trinità, Padre, Figlio e Santo Spirito, ti offro il preziosissimo Corpo, il Sangue, l’Anima e la Divinità di Gesù Cristo, presente in tutti i tabernacoli del mondo, in riparazione dei sacrilegi, gli oltraggi e l’indifferenza con cui Esso viene offeso e, per gli infiniti meriti del suo Cuore Sacro e del Cuore Immacolato di Maria Vi prego di ottenere la conversione dei poveri peccatori “(3 volte)

4°
“Mio Dio, io credo, adoro, spero e Vi amo! Vi chiedo perdono per coloro che non credono, non adorano, non sperano e non Vi amano! “(3 volte)

5 °
“O Gesù mio, perdonate le nostre colpe, liberateci dal fuoco dell’inferno, pietà delle anime nel purgatorio, specialmente per le più abbandonate”.

6°
Da dirsi ogni volta che si offre un sacrificio: * “O mio Gesù, Ve lo offro per amore Vostro, per la conversione dei peccatori ed in riparazione dei peccati commessi contro il Cuore Immacolato di Maria”.

* (Da dirsi ogni volta che si fa un sacrificio):

7° “E per gli infiniti meriti del Suo Sacro Cuore e del Cuore Immacolato di Maria, Vi chiedo, la conversione dei poveri peccatori”.

Nota: E un’ultima preghiera di Fatima. Giacinta, quando cominciarono le apparizioni, alle solite sette preghiere, aggiunse tre Ave Maria dopo il Rosario, sempre per “il Santo Padre“.

 

I MAGGIO: S. GIUSEPPE, PATRONO DEI LAVORATORI

[P. Guéranger: l’Anno Liturgico, vol. II]

Felice novità che certamente riempie di gioia il cuore di Maria! Riguarda una festa di S. Giuseppe che ormai aprirà il suo mese, maggio. Dall’inizio dell’anno liturgico la Chiesa ci dà più volte l’occasione di meditare la vocazione e la santità straordinaria del più umile e più nascosto di tutti gli uomini. La devozione verso S. Giuseppe, fondata sullo stesso Vangelo, si è però sviluppata lentamente. Ciò non vuol dire che nei primi secoli la Chiesa abbia posto ostacolo agli onori che avrebbero voluto tributargli i fedeli; ma la Divina Provvidenza aveva le sue ragioni misteriose per ritardare l’ora in cui gli sarebbero stati offerti gli onori della Liturgia. La bontà di Dio e la fedeltà del Redentore alle sue promesse s’uniscono di secolo in secolo sempre più strettamente per conservare in questo mondo la scintilla della vita soprannaturale che deve sussistere fino all’ultimo giorno. A questo scopo misericordioso, un succedersi ininterrotto di aiuti viene, per così dire, a riscaldare ogni generazione e ad apportare un nuovo motivo di confidenza nella Redenzione. A partire dal secolo XIII, in cui il raffreddamento spirituale del mondo comincia a farsi sentire [Collette nella Messa delle Stimmate di S. Francesco], ogni epoca ha visto scaturire una nuova sorgente di grazie. – Si iniziò con la festa del Santissimo Sacramento che suscitò una grande devozione al Cristo presente nell’Eucarestia; poi venne la devozione al santo nome di Gesù di cui S. Bernardino fu il principale apostolo; nel secolo XVII si diffuse il culto al Sacro Cuore; nel XIX e ai nostri giorni la devozione alla Santa Vergine ha assunto un’importanza in continuo aumento e che costituisce uno dei caratteri soprannaturali del nostro tempo. – Ma la devozione a Maria non poteva svilupparsi senza trarre seco il culto di S. Giuseppe. Maria e Giuseppe hanno effettivamente ambedue una parte troppo intima nel mistero dell’Incarnazione, l’una come Madre di Dio, l’altro come custode dell’onore della Vergine e Padre nutrizio del Bambino-Dio, perché si possano separare l’una dall’altro. Una venerazione particolare a S. Giuseppe è dunque stata la normale conseguenza della pietà verso la Santissima Vergine. – E come, per rispondere alla devozione del popolo cristiano, Pio IX, il Papa che doveva proclamare il dogma dell’Immacolata Concezione, aveva esteso alla Chiesa universale il Patrocinio di S. Giuseppe ora unito alla festa del 19 marzo, così, a sua volta, il Papa che proclamò nel 1950 il dogma dell’Assunzione corporale di Maria al cielo, conscio dei bisogni del nostro tempo, ha voluto anche lui onorare S. Giuseppe in un modo tutto particolare.

Nazareth.

Vien dunque a proposito ricercare nel Vangelo le manifestazioni di questa umiltà. La stessa città ove visse la santa Famiglia sembra aver avuto la proverbiale riputazione di mediocrità: « Può forse uscir qualcosa di buono da Nazareth? » diceva Natanaele (Gv. 1, 46). Eppure, « non è nella città reale di Gerusalemme e neppure nel tempio che le dava splendore, che viene mandato il santo angelo; ma… in una piccola città dal nome quasi sconosciuto; ma alla sposa di un uomo che, veramente, era come Lei di famiglia reale, ma ridotto ad un mestiere pesante, moglie di un artigiano ignoto, di un povero falegname » [Bossuet, XII Elevazione sui misteri.]. In questo villaggio « un’umile casa, ma più augusta del tempio; un arredamento umile e povero; un operaio, la sua sposa vergine. Osserviamo: abbiamo tutto da imparare. Nazareth è la scuola per eccellenza. Notiamo l’ambiente e l’atmosfera in cui si compiono le opere di Dio: l’umiltà, la povertà, la solitudine, la purezza, l’obbedienza » [Dom Delatte, Vangelo, 1, 29.].

Betlemme.

La nascita di Gesù apporta forse qualche lustro alla Sacra Famiglia? Quantunque decaduta dalla sua origine reale, per ciò stesso che discende dalla stirpe di Davide e che i Magi hanno portato i loro doni al neonato fa supporre in lui un rivale che Erode tenterà di eliminare. Per sottrarlo a questo pericolo è necessario fuggire in Egitto. « Strana condizione di un povero artigiano che si vede bandito improvvisamente, e perché? Perché ha Gesù e l’ha in sua compagnia. Prima ch’Egli fosse nato alla sua santa Sposa, essi vivevano poveramente ma tranquilli nella loro casa, guadagnando alla bell’e meglio la vita col lavoro delle loro mani; ma appena viene loro dato Gesù, non hanno più riposo. Tuttavia Giuseppe si sottomette e non si lamenta di questo bambino fastidioso che porta solo la persecuzione; parte; va in Egitto dove tutto gli è nuovo, senza sapere quando potrà ritornare nella sua povera casa. Non si ha Gesù per niente: bisogna prender parte alle sue croci » [Bossuet, 20.a Sett., VIII Elev.]. – Anche qui S. Giuseppe è il modello di tutti coloro che, in questa nostra società paganeggiante, dovranno aspettarsi d’essere segnati a dito, forse d’essere anche perseguitati, privati del lavoro, per l’unica ragione che sono fedeli a Cristo. Quanti genitori dovranno assottigliare le già modeste risorse e imporsi duri sacrifici per assicurare ai loro figli un’educazione cristiana, perché il Cristo viva nelle loro anime! La riflessione del Bossuet ha tutto il suo valore: « Ovunque entra Gesù, vi entra con la sua croce… Non si ha Gesù per niente ».

Il laboratorio di Nazareth.

Tuttavia la Sacra Famiglia rientrò dall’Egitto e, per consiglio dell’Angelo, ritornò a stabilirsi a Nazareth. Il fanciullo Gesù cresceva in età e in sapienza, davanti a Dio e davanti agli uomini e il Vangelo ci dice semplicemente che era loro sottomesso. « È dunque tutta qui l’occupazione di un Gesù Cristo, del Figlio di Dio? Tutto il suo lavoro, tutto il suo esercizio sta nell’obbedire a due sue creature? E in che cosa poi? negli uffici più bassi, nell’esercizio di un mestiere manuale. Dove sono quelli che si lamentano, che brontolano quando il loro impiego non corrisponde alle loro capacità?… Vengano nella casa di Maria e Giuseppe e osservino Gesù Cristo al lavoro. Non leggeremo mai che i suoi genitori abbiano avuto dei servi: come tutta la povera gente, sono i figli che fan da servitori » [Bossuet, 14 a. Sett., III Elev.]. Ora Gesù, come tutti gli operai dapprima fu apprendista e il maestro che l’avviò all’umile professione non fu altri che Giuseppe, suo padre putativo. Quale fosse il mestiere di S. Giuseppe e, per conseguenza, quello di Gesù, il Vangelo non lo dice espressamente; però non ci lascia completamente al buio a questo riguardo. Infatti S. Marco scrive che Gesù era “faber”, e S. Matteo “fabri filius”. Senza dubbio questa parola designava ogni operaio che lavorava materia dura, legno, pietra o metallo; ma la tradizione più comune e la sola che sia rimasta sino ai nostri giorni, vuole S. Giuseppe un lavoratore del legno. Lo si dice anche carpentiere, ma questa parola non dev’essere presa nel senso preciso che le vien dato oggi: allora indicava chiunque lavorasse il legno. – Anche i Padri della Chiesa si sono compiaciuti di rilevare il valore simbolico dell’arte manuale che S. Giuseppe insegnò a Gesù, il costruttore del mondo « fabricator mundi », che è venuto per edificare la Chiesa prefigurata nell’arca di Noè, quella vasta casa natante ove trovarono rifugio quelli che dovevano sfuggire al diluvio. – Essi hanno soprattutto notato che Gesù, il quale aveva scelto il legno della croce per salvare il genere umano, durante la sua vita nascosta si era preparato all’opera della salvezza lavorando il legno. Ed è coi gesti che gli erano da tanto tempo familiari che Gesù si è caricato sulle spalle la pesante croce del suo supplizio. Insegnandogli il suo mestiere, Giuseppe dava il suo contributo all’opera redentrice di Gesù. Vi fu mai sulla terra lavoro più glorioso, più utile agli uomini, più ricco di insegnamenti, che l’umile lavoro manuale che veniva fatto nella povera falegnameria di Nazareth dal falegname Giuseppe e da Gesù, figlio di Dio, suo garzone?

Preghiera.

Umile artigiano di Nazareth, glorioso protettore degli operai, volgete il vostro sguardo verso gli operai del nostro secolo. Il loro lavoro generalmente non rassomiglia a quello che voi faceste un tempo, né le moderne officine al quieto laboratorio di Nazareth. Il rumore assordante che vi regna impedisce allo spirito di elevarsi, come vorrebbe, al di sopra della materia; ma, soprattutto, una specie di paganesimo ne ha allontanato il Cristo che, solo, vi poteva portare la sua pace, la sua giustizia, la sua carità. Per alleviare il peso, insegnateci ad amare il lavoro. Da semplice svago qual era nel paradiso terrestre, è diventato un castigo con la caduta del primo uomo. Considerato disonorevole dal mondo antico, era riservato agli schiavi. Però già da tempo il salmista ne aveva proclamato la nobiltà: « Nutriti col lavoro delle tue mani e sarai felice e colmo di beni ». Ma Cristo è venuto e vi si è sottomesso, « e ciò facendo nobilitava il lavoro degli uomini e mutava in rimedio l’antica maledizione portata contro l’uomo in punizione del peccato originale. Sottoponendosi alla legge del lavoro, insegnava agli uomini, ai peccatori, a santificarsi per questa via » [Bossuet, 20.a Sett, XII Elev.]. A vostro esempio, o Giuseppe, a loro basta ormai unire il loro lavoro a quello di Cristo per farne un’opera meritoria che riunisce Cristo e i suoi fratelli sotto lo stesso sguardo di compiacenza del Padre celeste. – Reso più facile agli uomini, il lavoro sarà anche un’offerta grata a Dio se, attenti allo spettacolo della vostra bottega di Nazareth, vi prendono l’esempio d’unione al Figlio di Dio che lavora con le sue mani, di fedeltà ai doveri del proprio stato, nella giustizia e nella Carità che farà del loro lavoro una vera preghiera e tra i loro compagni di lavoro una vera testimonianza resa a Cristo. Possiamo noi essere docili al vostro esempio, fiduciosi nel vostro patrocinio e, compiendo l’opera che ci è indicata dal Signore, ottenere le ricompense ch’Egli ci promette. Così sia.

Dagli Atti del Santo Padre Papa Pio XII

La Chiesa, madre provvidentissima di tutti, consacra massima cura nel difendere e promuovere la classe operaia, istituendo associazioni di lavoratori e sostenendole con il suo favore. Negli anni passati, inoltre, il sommo pontefice Pio XII volle che esse venissero poste sotto il validissimo patrocinio di san Giuseppe. San Giuseppe infatti, essendo padre putativo di Cristo – il quale fu pure lavoratore, anzi si tenne onorato di venir chiamato «figlio del falegname» – per i molteplici vincoli d’affetto mediante i quali era unito a Gesù, poté attingere abbondantemente quello spirito, in forza del quale il lavoro viene nobilitato ed elevato. Tutte le associazioni di lavoratori, ad imitazione di lui, devono sforzarsi perché Cristo sia sempre presente in esse, in ogni loro membro, in ogni loro famiglia, in ogni raggruppamento di operai. Precipuo fine, infatti, di queste associazioni è quello di conservare e alimentare la vita cristiana nei loro membri e di propagare più largamente il regno di Dio, soprattutto fra i componenti dello stesso ambiente di lavoro. – Lo stesso Pontefice ebbe una nuova occasione di mostrare la sollecitudine della Chiesa verso gli operai: gli fu offerta dal raduno degli operai il 1° maggio 1955, organizzato a Roma. Parlando alla folla radunata in piazza san Pietro, incoraggiò quell’associazione operaia che in questo tempo si assume il compito di difendere i lavoratori, attraverso un’adeguata formazione cristiana, dal contagio di alcune dottrine errate, che trattano argomenti sociali ed economici. Essa si impegna pure di far conoscere agli operai l’ordine prescritto da Dio, esposto ed interpretato dalla Chiesa, che riguarda i diritti e i doveri del lavoratore, affinché collaborino attivamente al bene dell’impresa, della quale devono avere la partecipazione. Prima Cristo e poi la Chiesa diffusero nel mondo quei principi operativi che servono per sempre a risolvere la questione operaia. – Pio XII, per rendere più incisivi la dignità del lavoro umano e i princìpi che la sostengono, istituì la festa di san Giuseppe artigiano, affinché fosse di esempio e di protezione a tutto il mondo del lavoro. Dal suo esempio i lavoratori devono apprendere in che modo e con quale spirito devono esercitare il loro mestiere. E così obbediranno al più antico comando di Dio, quello che ordina di sottomettere la terra, riuscendo così a ricavarne il benessere economico e i meriti per la vita eterna. Inoltre, l’oculato capofamiglia di Nazareth non mancherà nemmeno di proteggere i suoi compagni di lavoro e di rendere felici le loro famiglie. Il Papa volutamente istituì questa solennità il 1° maggio, perché questo è un giorno dedicato ai lavoratori. E si spera che un tale giorno, dedicato a san Giuseppe artigiano, da ora in poi non fomenti odio e lotte, ma, ripresentandosi ogni anno, sproni tutti ad attuare quei provvedimenti che ancora mancano alla prosperità dei cittadini; anzi, stimoli anche i governi ad amministrare ciò che è richiesto dalle giuste esigenze della vita civile. Pio XII, per rendere più incisivi la dignità del lavoro umano e i princìpi che la sostengono, istituì la festa di san Giuseppe artigiano, affinché fosse di esempio e di protezione a tutto il mondo del lavoro. Dal suo esempio i lavoratori devono apprendere in che modo e con quale spirito devono esercitare il loro mestiere. E così obbediranno al più antico comando di Dio, quello che ordina di sottomettere la terra, riuscendo così a ricavarne il benessere economico e i meriti per la vita eterna. Inoltre, l’oculato capofamiglia di Nazareth non mancherà nemmeno di proteggere i suoi compagni di lavoro e di rendere felici le loro famiglie. Il Papa volutamente istituì questa solennità il 1° maggio, perché questo è un giorno dedicato ai lavoratori. E si spera che un tale giorno, dedicato a san Giuseppe artigiano, da ora in poi non fomenti odio e lotte, ma, ripresentandosi ogni anno, sproni tutti ad attuare quei provvedimenti che ancora mancano alla prosperità dei cittadini; anzi, stimoli anche i governi ad amministrare ciò che è richiesto dalle giuste esigenze della vita civile.

Omelia di s. Alberto Magno vescovo

Sul Vangelo di Luca, cap. 4

Gesù entrò un sabato nella sinagoga, dove tutti si recano ad imparare. Tutti lo guardavano. Chi lo guardava per affetto, chi per curiosità e chi per spiarlo e coglierlo in errore. Gli scribi e i farisei dicevano alla gente che già credeva ed era affezionata a Gesù: «Ma questo tale non è il figlio di Giuseppe?». È segno di disprezzo il non voler chiamare Gesù per nome. «Figlio di Giuseppe», nota qui in breve l’evangelista, mentre Matteo e Marco scrivono addirittura, con maggiori particolari: «Non è questo il figlio del falegname? Non è lui stesso un falegname?, lui, il figlio di Maria?». In queste frasi si nota un vero disprezzo. – Si sa che Giuseppe era falegname. Viveva del suo lavoro, e non perdeva il tempo nell’ozio e nei bagordi, come facevano gli scribi ed i farisei. Anche Maria si procurava da vivere attendendo alla filatura e servendosi dell’opera delle sue mani. Il senso della frase dei farisei è chiaro: «Non può essere il Signore messia, l’inviato da Dio, questo tale che è di origine vile e plebea. Perciò non si può avere fede in un tipo così rozzo e disprezzabile». – Anche il Signore era falegname: il profeta di lui dice: «Tu hai costruito l’aurora e il sole». Un modo di disprezzare, analogo a quello usato dai farisei contro Gesù, lo troviamo anche nel libro dei Re, quando di Saul, elevato alla dignità di re, si diceva: «Che cosa mai è capitato al figlio di Cis? Che anche Saul sia un profeta?». Una breve frase avvelenata da immisurabile alterigia. Il Signore risponde: «Veramente nessun profeta è accolto dai propri familiari». Con questa frase il Signore si proclama profeta. Lui ebbe l’illuminazione profetica non attraverso una rivelazione, ma attraverso la sua stessa divinità. Per «familiari» qui vuol indicare il paese della sua nascita e della sua fanciullezza. Or dunque è chiaro che non era stato accolto dai suoi compaesani, che erano attizzati contro di lui soltanto per invidia.

Preghiera di S. Pio X a S. Giuseppe patrono dei lavoratori

Glorioso san Giuseppe, modello di tutti i lavoratori, ottenetemi la grazia di lavorare con spirito di penitenza per l’espiazione dei miei numerosi peccati: di lavorare con coscienza, mettendo il culto del dovere ai di sopra delle mie inclinazioni, di lavorare con riconoscenza e gioia, considerando come un onore di impiegare e far fruttare, mediante il lavoro, i doni ricevuti da Dio: di lavorare con ordine, pace, moderazione e pazienza, senza mai retrocedere davanti alla stanchezza e alle difficoltà: di lavorare specialmente con purezza di intenzione e distacco da me stesso, avendo sempre davanti agli occhi la morte e il conto che dovrò rendere del tempo perso, dei talenti inutilizzati, del bene omesso, del vano compiacimento nel successo, così funesto all’opera di Dio. Tutto per Gesù, tutto per Maria, tutto a Vostra imitazione, o Patriarca Giuseppe! Questo sarà il mio motto per tutta la vita e al momento della morte. Così sia.

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE IL MODERNISTA APOSTATA DI TORNO: Inscrutabile divinæ

Pio VI

Inscrutabile divinæ sapientiæ consilium, cuius semper mirabilia sunt opera, …

In questa lettera enciclica, il Santo Padre richiama i vescovi all’osservanza delle apostoliche disposizioni, in particolare riguardo alla scelta dei sacerdoti ed all’istituzione dei seminari. Richiama alla difesa della Fede cattolica ed alla vigilanza circa le idee e le filosofie prorompenti e dissacranti dei “liberali” che si erano infiltrare anche negli ambienti clericali dell’epoca, già percepite dal Pontefice essere la sorgente che avrebbe alimentato il fiumiciattolo dei novatori, diventato poi un mare magnum sfociato nelle attuali demenze modernistiche a-cattoliche madri di eresie pantagrueliche vergognosamente manipolate da infiltrati marrani che avranno buon gioco addirittura ad estromettere il Santo Padre (Gregorio XVII) insediando al suo posto una serie di antipapi, “fantocci”, giullari, buffoni e nani delle conventicole, che stanno dando l’idea di una Chiesa oramai allo sbando e da eliminare a vantaggio di un satanico ecumenismo interreligioso, partorito dalle retro logge, che come obiettivo ha l’eliminazione del Sacrificio redentivo di Cristo, Salvatore dell’umanità, per innalzare sugli altari simulacri, abomini pagani, culti rosacrociani ed oscenità obbrobriose, come già accaduto ad Assisi in tempi recenti con le lodi e gli applausi di beati ignari e di imbecilli asserviti e condizionati da falsi indottrinamenti di tanti Iscarioti, i “maestri menzogneri”, i “sapienti truffatori”, i sepolcri imbiancati in saio bianco, nero o marrone, in talare nera, rossa e bianca, molti dei quali stanno già godendo del loro posto “al calduccio” vicino al loro padre, il baphomet-lucifero da essi vergognosamente adorato. Ma ascoltiamo il Santo Padre, Pio VI, che richiama giustamente i prelati dell’epoca, richiami fatti propri oggi dai pochissimi Vescovi della Chiesa Cattolica, l’unica vera Chiesa di Cristo, fuori dalla quale non c’è salvezza, attualmente “eclissata” e nascosta in sotterranei o rifugi improvvisati. Ma quinto carattere della vera Chiesa di Cristo è la “persecuzione”, carattere più che mai attuale e che la distingue da ogni altra setta finto-cristiana o dai culti pagani di ogni risma.

“Inscrutabile divinæ sapientiæ consilium, cuius semper mirabilia sunt opera, …

.1. Il disegno imperscrutabile della divina sapienza, le opere della quale sono sempre meravigliose, come fra mille persone scelse Davide di modestissima origine, e dal gregge di pecore l’innalzò al trono della gloria a governare il suo popolo e a renderlo accetto a Dio con la verga del comando; allo stesso modo non disprezzò la Nostra bassezza, tanto che, sebbene ultimi fra tutti fossimo stati ammessi fra i padri porporati e tenessimo l’ultimo posto, tuttavia volle che Noi fra tutti gli altri, che pure apparivano più degni del diadema papale, avessimo ad assumere le funzioni di Pontefice, e, innalzati a così grande onore, avessimo a governare tutta la sua Chiesa. Quando, taciti e grati, consideriamo attentamente questa meravigliosa degnazione, e l’immensa bontà nei Nostri riguardi, non possiamo trattenerci dal pianto, riflettendo a questa misericordia così benefica e nello stesso tempo a questa onnipotenza, per la quale riversò così generosamente i suoi doni su colui nel quale non trovava nessun merito: mettendo Noi, deboli e immeritevoli, a capo delle genti perché, sostituendo in terra l’Eterno Pastore, pascolassimo la sua discendenza di fedeli e la guidassimo al sacro monte di Sion nella Gerusalemme Celeste. E poiché è assolutamente convenuto che il Nostro ossequio e l’offerta del Pontefice consacrato comincino innalzando lodi al Signore, non possiamo non erompere in voci di esultanza; confidando nel Signore, la Nostra bocca canti con il profeta (Sal 144,21) le lodi del Signore; e l’anima Nostra, lo spirito, la carne e la lingua benedicano il suo santo nome: “Se è segno di devozione gioire di un dono, è anche necessario essere dubbiosi del proprio merito. Che cosa infatti è più temibile della fatica imposta a chi è troppo debole, dell’elevazione a chi è troppo in basso, della dignità conferita a chi non la merita?” (San Leone M., Serm. I, cap. 2).

2. Chi non sarebbe terrorizzato per l’attuale condizione del popolo cristiano, in cui la divina carità, per la quale noi siamo in Dio, e Dio in noi, si raffredda sensibilmente, i delitti e le iniquità crescono di giorno in giorno? Chi non sarebbe angosciato alla tristissima considerazione che abbiamo assunto la custodia e la protezione della Chiesa, sposa di Cristo, in un’epoca in cui tante insidie minano la vera Religione, la sana regola dei sacri canoni è tanto sfacciatamente disprezzata, uomini agitati e furiosi, come per un’irrefrenabile smania di novità, non esitano ad attaccare le stesse basi della razionale natura e tentano persino – se lo potessero – di sovvertirle? Certamente, in mezzo a tanti motivi di trepidazione, non rimarrebbe in Noi nessuna speranza di servire utilmente, se non vegliasse e non vigilasse colui che protegge Israele e dice ai suoi discepoli: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni fino alla consumazione dei secoli; se non si degnasse non solo di essere custode delle pecore, ma anche pastore degli stessi pastori” (San Leone M., Serm. V, cap. 2).

3. Poiché i doni divini scendono abbondantissimi in Noi, soprattutto quando la Nostra preghiera sale a Dio, Ci rivolgiamo a voi, Venerabili Fratelli, Nostri collaboratori e consiglieri, chiedendovi quale prima cosa – in nome di quella carità per la quale siamo una sola cosa nel Signore, e di quella fede per la quale siamo uniti in un sol corpo – di non smettere di pregare quotidianamente Iddio, affinché Ci conforti con la potenza della sua virtù, effonda su di Noi lo spirito della saggezza e della forza, affinché – in mezzo a tante difficoltà delle cose e dei tempi – possiamo vedere ciò che dobbiamo fare e riusciamo a compierlo dopo che lo avremo visto. Pregate dunque in ispirito; e sia la vostra preghiera invocazione d’amore per Noi e prova irrefutabile di fraterna unione. E perché otteniamo più prontamente ciò che Ci è necessario, fate intercedere Maria, la Santissima Madre di Dio, nella protezione della quale abbiamo grandissima fiducia, e tutta la Celeste Curia; e specialmente implorate per Noi la protezione e l’aiuto del Beatissimo Apostolo Pietro “la sede del quale godiamo non tanto di occupare, quanto di servire, sperando che Per le sue preghiere il Dio di misericordia contemplerà benevolmente i tempi in cui dobbiamo esercitare il Nostro Ministero, e sempre si degnerà di proteggere e ristorare il pastore delle sue pecore” (San Leone M., Sermo V, cap. 5).

4. In verità, nello stesso inizio del Nostro apostolico servizio, da Noi assunto con tutto l’impegno di paterna carità di cui siamo capaci, Vi sollecitiamo, Venerabili Fratelli, e Vi esortiamo ad essere fedeli amministratori dei misteri di Dio. Voi, che partecipate del Signore, non ignorate che cosa dovete fare, quali fatiche dovete sostenere per la Chiesa di Dio per adempiere costantemente il vostro dovere. Pertanto Vi esortiamo e preghiamo di tener desta la grazia che Vi è stata data con l’imposizione delle mani, e di non trascurare niente di quel che riguarda l’incremento dell’amministrazione di quel corpo “che fu formato da Cristo e connesso in ogni giuntura” (Ef 4,16) in fede e in carità. Pertanto, poiché siamo abbastanza persuasi che il principale vantaggio della Chiesa deriva dal fatto che solo coloro che sono provati in tutto e per tutto sono ammessi a far parte della milizia clericale, non è necessario che Vi raccomandiamo la più diligente osservanza di ciò che a questo proposito è stabilito dalle leggi canoniche. Accesi di sollecito zelo, farete in modo che coloro che non dimostrano santità di costumi, non sono istruiti nella legge del Signore e nulla promettono di sé e della propria attività, non abbiano alcun accesso alla milizia ecclesiastica, affinché coloro che debbono porgervi le loro mani valide ad aiutarvi nel pascolare e guidare il gregge non aggiungano fatica alla Vostra fatica, molestia alle molestie, e non Vi siano d’impedimento a far sì che il Signore raccolga dai suoi coltivatori quei frutti che alla resa dei conti del futuro giudizio Gesù Cristo, severissimo e giustissimo giudice, pretenderà da Voi. È necessario che il futuro sacerdote si segnali per santità e dottrina. Infatti, Dio respinge da sé, né vuole che siano suoi sacerdoti, coloro che hanno rifiutato la scienza, né può essere operaio idoneo al raccolto chi alla pietà dei costumi non ha unito l’amore per la scienza. Poiché il sacerdote ha bisogno di un’accurata istruzione, fu opportunamente decretato che in ogni Diocesi, secondo le possibilità, si istituisse, ove mancasse, un collegio di chierici, e, una volta istituito, lo si mantenesse con ogni cura. Se infatti, fin dai più teneri anni non si forma alla pietà e alla religione, e non si fa esercitare nella letteratura la gioventù, per sua natura incline a prendere una cattiva strada, in che modo potrà avvenire che perseveri santamente nella disciplina ecclesiastica, o che compia negli studi umanistici e sacri quei progressi che il ministero della Chiesa esige quale esempio per il popolo dei fedeli? Siamo certi che tali collegi sono stati regolarmente istituiti, santamente e diligentemente conservati con le vostre cure, muniti di leggi idonee e ampliati nelle singole Diocesi, specialmente dopo che il Nostro Predecessore Benedetto XIV, d’imperitura memoria, raccomandò caldamente a ciascuno di voi tale opera (Enciclica Ubi primum, 3 dicembre 1740), assolutamente necessaria per la dignità che ricoprite. Pertanto, come non possiamo privare della pubblica lode Apostolica le rilevanti fatiche e la diligenza profusa nel curarli e nell’accrescerli, così, se per caso in qualche Diocesi o non fossero stati ancora istituiti, o fossero trascurati, non possiamo non sollecitare vibratamente coloro cui spetta, ed anche comandare loro affinché si sforzino con tutti i mezzi per una cosa tanto utile.

5. Per la stessa ragione non si può temere che Voi non attendiate sempre, con la più grande sollecitudine a ciò che, ordinariamente, commuove maggiormente i fedeli ed eccita il loro rispetto per le cose sacre, ossia per il decoro della casa di Dio e lo splendore di ciò che si riferisce al culto divino. Quale contrasto sarebbe incontrare più pulizia ed eleganza nel palazzo episcopale che non nella casa del Sacrifizio, nell’asilo della santità, nel palazzo del Dio vivente! Quale controsenso sarebbe vedere i paramenti sacri, gli ornamenti degli altari e tutta la suppellettile, polverosi per vecchiaia, cadere a pezzi, o far mostra di un vergognoso sudiciume, mentre la tavola episcopale fosse sontuosamente adorna, ed i vestiti del sacerdote eleganti! – “Che vergogna e che infamia – come ha detto così bene San Pier Damiani – è pensare che certuni presentano il Corpo del Signore avvolto in un panno sporco, e non temono di adoperare per deporre il Corpo del Salvatore un recipiente che un potente della terra, che non è che un vermiciattolo, non si degnerebbe di avvicinare alle proprie labbra!” (Libro IV, epist. 14, tomo I, Roma 1606). – Quanto a Voi, Venerabili Fratelli, Noi Vi giudichiamo ben lontani da questa negligenza, di cui si rendono soprattutto colpevoli, secondo quanto dice lo stesso santo Cardinale, quelli che, con le rendite della Chiesa, “non comprano dei libri, né procurano ornamenti o suppellettili per la loro Chiesa“, ma non si vergognano di spendere tutto per il loro uso, come se si trattasse di “spese necessarie“.

6. Abbiamo quindi reputato non inutile, Venerabili Fratelli, parlarvi affettuosamente di queste cose, a conferma della vostra ottima volontà. Ma qualcosa di molto più grave esige un Nostro discorso, e addirittura chiede in abbondanza le Nostre lacrime: trattasi di quel morbo pestilenziale che la malvagità dei nostri tempi ha generato. Unanimi, riunendo tutte le nostre forze, apprestiamo la medicina necessaria affinché, per Nostra negligenza, tale peste non cresca nella Chiesa, fino a diventare incurabile. Sembra infatti che in questi giorni sovrastino quei “tempi pericolosi” che profetizzò l’Apostolo Paolo, nei quali “gli uomini ameranno se stessi, saranno tronfi di superbia, bestemmiatori, traditori, amanti dei piaceri più che di Dio, sempre in atto di imparare e non mai in grado di possedere la conoscenza della verità, non privi di una specie di religione, ma rifiutando di riconoscerne il valore, corrotti d’animo e assolutamente riprovevoli per quel che riguarda la fede” (2Tm 3,3-5). – Questi si erigono a maestri “assolutamente menzogneri“, come li chiama il principe degli Apostoli, Pietro, e introducono principi di perdizione; negano quel Dio che li riscattò, procurando a se stessi una celere rovina. Dicono di essere sapienti, e sono invece diventati stolti; oscurato e insipiente è il loro cuore. – Voi stessi, che siete stati posti quali scrutatori nella casa d’Israele, vedete chiaramente quanti trionfi consegua ovunque quella filosofia piena d’inganni, che sotto un nome onesto nasconde la propria empietà, e con quanta facilità tragga a sé ed alletti tanti popoli. Chi potrà dire dell’iniquità dei dogmi e degl’infami vagheggiamenti che tenta d’insinuare? Questi uomini, mentre vogliono far credere che cercano la sapienza, “poiché non la cercano nel modo giusto, cadranno“; inoltre “incorrono in errori così grandi, che non riescono nemmeno a disporre della sapienza comune” (Lattanzio, Divine istituzioni, lib. III, cap. 28, Parigi 1748). Arrivano addirittura al punto di dichiarare empiamente o che Dio non esiste, o che è ozioso e scioperato, che non si cura per niente di noi, e che non rivela nulla agli uomini. Perché non ci si debba meravigliare se qualcosa è santo o divino, blaterano che ciò è stato inventato ed escogitato dalla mente di uomini inesperti, preoccupati dell’inutile timore del futuro, allettati dalla vana speranza dell’immortalità. – Ma codesti sapienti truffatori addolciscono ed occultano l’immensa perversità dei loro dogmi con parole ed espressioni così allettanti, che i più deboli – che sono la maggioranza – come presi dall’esca, irretiti in modo penoso, o abiurano completamente la fede, o la lasciano vacillare in gran parte, mentre seguono qualche conclamata dottrina ed aprono gli occhi verso una falsa luce che è più dannosa delle stesse tenebre. Senza dubbio il nostro nemico, desideroso e capace di nuocere, come assunse le sembianze del serpente per ingannare i primi uomini, così armò le lingue di costoro, lingue certamente bugiarde, dalle quali il Profeta (Sal 119) chiede che sia liberata l’anima sua: dal veleno di quella falsità che costituì l’arma per sedurre i fedeli. Così, costoro con le loro parole “s’insinuano umilmente, catturano dolcemente, discutono delicatamente e uccidono segretamente” (San Leone M., Serm. XVI, cap. 3). Conseguentemente, quanta corruzione di costumi, quanta licenziosità nel pensare e nel parlare, quanta arroganza e temerità in ogni azione!

7. In verità, questi perversi filosofi, sparse queste tenebre e strappata dai cuori la religione, cercano oltretutto di far sì che gli uomini sciolgano tutti quei legami dai quali sono uniti fra di loro e ai loro sovrani con il vincolo del loro dovere; essi proclamano fino alla nausea che l’uomo nasce libero e non è soggetto a nessuno. Quindi la società è una folla di uomini inetti, la stupidità dei quali si prosterna davanti ai sacerdoti (dai quali sono ingannati) e davanti ai re (dai quali sono oppressi), tanto è vero che l’accordo fra il sacerdozio e l’impero non è altro che una immane congiura contro la naturale libertà dell’uomo. Chi non vede che tali follie, e altre consimili coperte da molti strati di menzogne, recano tanto maggior danno alla tranquillità e alla quiete pubblica quanto più tardi viene repressa l’empietà di siffatti autori? E che tanto più danneggiano le anime, redente dal sangue di Cristo, quanto più si diffonde, simile al cancro, la loro predicazione, e s’introduce nelle pubbliche accademie, nelle case dei potenti, nei palazzi dei re e s’insinua – orribile a dirsi – persino negli ambienti sacri?

8. Perciò voi, Venerabili Fratelli, che siete il sale della terra, i custodi e i pastori del gregge del Signore e che dovete combattere le battaglie del Signore, sorgete, armatevi della vostra spada, che è la parola di Dio. Cacciate dalle vostre terre l’iniquo contagio. Fino a quando terremo nascosta l’ingiuria recata alla fede comune e alla Chiesa? Consideriamoci stimolati, come dal gemito della dolorante sposa di Cristo, dalle parole di Bernardo: “Una volta fu predetto, e ora è venuto il tempo dell’adempimento. Ecco, nella pace, la mia amarissima amarezza; amara prima per la strage dei martiri, più amara poi per le lotte degli eretici, e amarissima ora per i costumi privati… Interna è la piaga della Chiesa; perciò nella pace la mia amarezza è amarissima. Ma quale pace? Vi è la pace e la non pace. Pace per quel che riguarda i pagani e gli eretici, ma non certamente per quel che riguarda i figli. In questo tempo c’è la voce di qualcuno che piange: Nutrii i figlioli, e li innalzai; ma essi mi disprezzarono. Mi disprezzarono e m’insozzarono con la loro turpe vita, coi loro turpi guadagni e commerci, infine con il loro peregrinante operare nelle tenebre” (Serm. XXXIII, n. 16, tomo IV, Parigi 1691). Chi non si commuoverebbe di fronte a questi lacrimosi lamenti della piissima madre e non si sentirebbe spinto irresistibilmente a prestare tutta la propria attività e la propria opera, come con decisione promise alla Chiesa? Purgate dunque i vecchi fermenti, eliminate il male che è in mezzo a voi; cioè con grande energia ed impegno allontanate i libri avvelenati dagli occhi del gregge; isolate prontamente e con decisione gli animi infetti, affinché non siano di nocumento agli altri. “Infatti – diceva il santissimo Pontefice Leone – non possiamo guidare le persone che ci sono state affidate se non perseguiteremo con lo zelo della fede nel Signore coloro che rovinano e sono perduti, e se non isoliamo con tutta la severità possibile coloro che sono sani di mente, affinché la peste non si diffonda maggiormente(Epistole VII, VIII ai Vescovi italiani, cap. 2). – Vi esortiamo, vi supplichiamo e vi ammoniamo a compiere ciò, perché come nella Chiesa vi è una sola fede, un solo Battesimo e un solo spirito, così l’animo di tutti voi sia uno solo, e la concordia fra voi sia una sola, e unico lo sforzo. Se sarete uniti nelle istituzioni, lo sarete anche nella virtù e nella volontà. Si tratta di cosa della massima importanza, poiché si tratta della fede cattolica, della purezza della Chiesa, della dottrina dei Santi, della tranquillità del governo, della salute dei popoli. Si tratta di ciò che spetta a tutto il corpo della Chiesa, di ciò che soprattutto tocca a voi, che siete i pastori chiamati a partecipare alle Nostre preoccupazioni e in particolar modo alla vigilanza sulla purezza della fede. “Pertanto ora, fratelli, poiché voi siete i Vescovi nel popolo di Dio e da voi dipende l’anima dei fedeli, innalzate i loro cuori alle vostre parole” (Gdt 8,21), affinché rimangano fermi nella fede e possano raggiungere quella pace che notoriamente è stata preparata solo per i credenti. – Pregate, persuadete, sgridate, strepitate, non temete; un silenzio indifferente lascia nell’errore coloro che potevano essere istruiti: in un errore dannosissimo per loro e per voi, cui competeva il dovere di eliminarlo. La Santa Chiesa tanto più si rafforza nella verità quanto più ardentemente si lavora per la verità; non temete, in questa divina fatica, la potenza o l’autorità degli avversari. Sia lontano il timore dal Vescovo, che l’unzione dello Spirito Santo rinvigorì; sia lontano il timore dal pastore, al quale il Principe dei pastori insegnò con il suo esempio a disprezzare la vita per la salute del gregge; sia lontana dal petto del Vescovo l’abbietta demenza del mercenario. – Secondo il suo costume, il Nostro Predecessore Gregorio Magno insegnando ai capi delle Chiese diceva egregiamente: “Spesso i capi frivoli, temendo di perdere il consenso delle persone, hanno paura di dire liberamente le cose giuste e di parlare secondo la voce della verità, e si dedicano alla custodia del gregge non già con l’impegno dei pastori ma secondo il comportamento dei mercenari; se viene il lupo fuggono e si nascondono silenziosamente… Infatti, per il pastore, dire che ha temuto il bene o che è fuggito tacendo, che differenza fa?” (Liber regulae pastoralis, 11, cap. 4, tomo II). Se l’infame nemico del genere umano, per contrastare il più possibile i vostri tentativi, qualche volta si adopererà a che la peste del male avanzante sia nascosta fra le gerarchie religiose del secolo, vi prego di non perdervi d’animo, ma di camminare nella casa di Dio con l’accordo, la preghiera e la verità che sono le armi della Nostra milizia. – Ricordatevi che al contaminato popolo di Giuda nulla sembrò più adatto alla propria purificazione che la promulgazione – davanti a tutti, dal più piccolo al più grande – del Libro della Legge che il sommo sacerdote Elia aveva trovato poco prima nel tempio del Signore; e subito, con il consenso di tutto il popolo, eliminato quanto era abominevole, “alla presenza del Signore fu concluso un patto in forza del quale il popolo avrebbe seguito il Signore, avrebbe custodito i suoi precetti, le sue leggi e i riti relativi con tutto il cuore e con tutta l’anima“. Nello stesso spirito Giosafatte mandò i sacerdoti e i leviti con il Libro della Legge in giro per le città di Giuda, perché istruissero il popolo (2Cr 17,7ss). – Alla vostra fede, Venerabili Fratelli, per autorità non umana ma divina, è affidata la diffusione della parola divina; riunite dunque il popolo e annunciategli il Vangelo di Gesù Cristo; da quel divino cibo, da quella celeste dottrina fate derivare il succo della vera filosofia per il vostro gregge. Persuadete i sudditi che occorre conservare la fede e tributare ossequio a coloro che in forza dell’ordinazione divina presiedono e comandano. – A coloro che sono addetti al ministero della Chiesa date esempi di fede, affinché possano piacere a colui che li esamina e preferiscano soltanto ciò che è serio, moderato e pieno di religione. Soprattutto, poi, accendete negli animi di tutti il fuoco della vicendevole carità, che tanto spesso e tanto particolarmente Cristo Signore raccomandò e che è la sola tessera di riconoscimento dei cristiani, e vincolo di perfezione.

9. Sono queste, Venerabili Fratelli, le cose delle quali desideravamo in particolare parlarvi in nome del Signore, e che vi chiediamo di compiere con grande impegno e somma cura, affinché possiamo sperimentare quanto sia gioioso essere uniti, tutti Noi, nel conservare fedelmente il deposito affidato alla Nostra custodia. Ma a causa dei nostri peccati non potremo conseguire tali cose se non Ci verrà anticipata la misericordia del Signore, che Ci prevenga con la sua benedizione. Pertanto, affinché la Nostra comune preghiera giunga più rapidamente a Lui ed Egli sia riconciliato con Noi ed aiuti la Nostra debolezza, mentre mandiamo questa Lettera a voi, ne pubblichiamo un’altra con la quale concediamo il Giubileo a tutti i Cristiani, sperando in Colui che è compassionevole e misericordioso, tanto che diede a Noi la potestà in terra di legare e sciogliere, per l’edificazione del suo corpo. – Così Egli elargisca salute a voi e alle vostre greggi, affinché, sempre immuni da qualsiasi errore, possiate progredire di virtù in virtù. Ciò è quanto chiediamo con tutta l’anima, mentre impartiamo con molto affetto l’Apostolica Benedizione a Voi e ai popoli affidati alle vostre cure.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 25 dicembre 1775, anno primo del Nostro Pontificato.

II DOMENICA dopo PASQUA

Introitus Ps XXXII:5-6. Misericórdia Dómini plena est terra, allelúja: verbo Dómini coeli firmáti sunt, allelúja, allelúja.

[Della misericordia del Signore è piena la terra, allelúia: la parola del Signore creò i cieli, allelúia, allelúia.]

Ps XXXII: 1. Exsultáte, justi, in Dómino: rectos decet collaudátio. [Esultate, o giusti, nel Signore: ai buoni si addice il lodarlo.]

V. Glória Patri, et Fílio, et Spirítui Sancto. – R. Sicut erat in princípio, et nunc, et semper, et in saecula saeculórum. Amen Misericórdia Dómini plena est terra, allelúja: verbo Dómini coeli firmáti sunt, allelúja, allelúja [Della misericordia del Signore è piena la terra, allelúia: la parola del Signore creò i cieli, allelúia, allelúia.]

Oratio

V. Dóminus vobíscum. R. Et cum spiritu tuo. Orémus. Deus, qui in Filii tui humilitate jacéntem mundum erexísti: fidelibus tuis perpétuam concéde lætítiam; ut, quos perpétuæ mortis eripuísti casibus, gaudiis fácias perfrui sempitérnis.

[O Dio, che per mezzo dell’umiltà del tuo Figlio rialzasti il mondo caduto, concedi ai tuoi fedeli perpetua letizia, e coloro che strappasti al pericolo di una morte eterna fa che fruiscano dei gàudii sempiterni].

Per eundem Dominum nostrum Jesum Christum filium tuum, qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti, Deus, per omnia saecula saeculorum. R. Amen.

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Petri Apóstoli. 1 Petri II:21-25 Caríssimi: Christus passus est pro nobis, vobis relínquens exémplum, ut sequámini vestígia ejus. Qui peccátum non fecit, nec invéntus est dolus in ore ejus: qui cum male dicerétur, non maledicébat: cum paterétur, non comminabátur: tradébat autem judicánti se injúste: qui peccáta nostra ipse pértulit in córpore suo super lignum: ut, peccátis mórtui, justítiæ vivámus: cujus livóre sanáti estis. Erátis enim sicut oves errántes, sed convérsi estis nunc ad pastórem et epíscopum animárum vestrárum. [Caríssimi: Cristo ha sofferto per noi, lasciandovi un esempio, affinché camminiate sulle sue tracce. Infatti Egli mai commise peccato e sulla sua bocca non fu trovata giammai frode: maledetto non malediceva, maltrattato non minacciava, ma si abbandonava nelle mani di chi ingiustamente lo giudicava; egli nel suo corpo ha portato sulla croce i nostri peccati, affinché, morti al peccato, viviamo per la giustizia. Mediante le sue piaghe voi siete stati sanati. Poiché eravate come pecore disperse, ma adesso siete ritornati al Pastore, custode delle ànime vostre]. R. Deo gratias.

Omelia

II DOMENICA DOPO PASQUA

[Bonomelli, Om. Vol II, XVII]

Queste poche sentenze si leggono nella prima lettera di S. Pietro. Voi dovete sapere che del Principe degli Apostoli ci rimangono soltanto due lettere, la seconda brevissima, che sono, come potete bene immaginare, un vero tesoro di dottrina sacra. La prima lettera fu scritta da S. Pietro in Roma, allorché si trovava colà con Marco, suo interprete e scrittore del Vangelo che porta il suo nome, dopo la fuga dal carcere di Gerusalemme, narrata nel capo XII degli Atti apostolici. La lettera fu scritta circa dodici anni dopo l’Ascensione di nostro Signore, e indirizzata alle varie Chiese già stabilite nell’Asia Minore, nelle provincie del Ponto, della Galazia, della Cappadocia e della Bitinia. – L’argomento di questa lettera, somigliantissima in ogni cosa a quella di S. Paolo ai Romani ed agli Efesini, è pratico e semplicissimo. Egli esorta i nuovi credenti, la maggior parte dei quali doveva essere di Ebrei convertiti poc’anzi, ad informare la loro vita secondo i principii del Vangelo, incoraggiandoli a tollerare l’odio, le vessazioni e le persecuzioni colla speranza del premio e a ricambiare i tristi, i nemici colla carità affine di guadagnarli. Premesse queste comuni, ma non inutili osservazioni, è da venire alla interpretazione dei cinque versetti, che sopra vi ho riportati; S. Pietro nei versetti, che precedono, con l’affetto d’un padre amorosissimo esorta quei novelli cristiani, usciti dal mosaismo e dal paganesimo, a nutrirsi, come bambini, del latte della divina parola, a star fermi sulla pietra fondamentale, che è Cristo, a raffrenare le cupidigie, e con una santa vita a guadagnare i pagani; poi ricorda loro il dovere di vivere sottomessi alle podestà della terra: eccita i servi ad ubbidire ai padroni anche cattivi e, se è necessario, a gloriarsi di soffrire ingiustamente. A questo punto pervenuto colle sue esortazioni, S. Pietro, come S. Paolo, mette innanzi ai suoi cari, il grande, l’eterno, l’incomparabile modello di tutte queste virtù, che è Gesù Cristo, e così continua: “Gesù Cristo ha patito per noi, lasciandovi esempio, affinché seguitiate le sue orme”. È egli possibile, o cari, vivere sulla terra ed esercitare la virtù senza patire nel corpo e nello spirito, dal mondo, dai nemici e da noi stessi? No: vivere ed esercitare la virtù vuol dire lottare, e per conseguenza soffrire: chi pensa altrimenti si inganna ad occhi aperti. Ora Iddio, per nostro conforto ed ammaestramento, volle che il Figliuol suo Gesù Cristo ci camminasse innanzi per l’aspra via; Egli ha patito, e più di tutti gli uomini, ed ha patito, non per sé, ma sì per noi, soddisfacendo per noi alla divina giustizia. È questo il primo scopo della Passione e morte di Gesù Cristo, pagare il prezzo dovuto pel nostro riscatto. Noi eravamo colpevoli: ai colpevoli è dovuta la pena, perché la giustizia lo vuole: al nostro luogo si mette l’amabile Gesù, e quella pena, che doveva cadere sopra di noi, cade sopra di Lui, come disse sì bene Isaia: “Disciplina pacis nostra, super eum,” onde il suo patire affranca noi. – Ma la Passione e la morte di Gesù Cristo ha un altro scopo strettamente congiunto al primo, ed è quello di darci esempio nel cammino della Croce. Esortare, incoraggiare altri colla parola a correre animosamente la gran via della croce, è bella e santa cosa, ma facile: mettersi per essa e percorrerla è opera assai più difficile, ma più efficace, e Gesù Cristo la volle compire. Vedetelo: Egli soffre nel corpo, cominciando dalla culla alla tomba: soffre il freddo, il caldo, la fame, la fatica nell’officina, nei viaggi della sua vita pubblica: soffre la povertà e tutto ciò che necessariamente va congiunto colla povertà: soffre le percosse, i flagelli, in una parola, la morte di croce. Ma i dolori del corpo sono ben poca cosa in confronto di quelli che soffre nello spirito. Egli è Dio e l’anima di Gesù, rischiarata perennemente dai fulgori della divinità, vede ogni cosa con perfetta certezza e chiarezza: occhio umano non vide, né vedrà mai più addentro le cose divine ed umane dell’occhio di Gesù. Egli vede l’ignoranza degli uomini, le loro colpe, la malignità dei suoi nemici, le iniquità tutte, che allagano la terra: vede il passato, il presente, il futuro: vede la rovina di tante anime, opera delle sue mani, e per le quali immola se stesso: vede la gloria del Padre suo conculcata: vede la propria dignità e maestà di Figlio di Dio disconosciuta, calpestata. Qual dolore! quale strazio pel suo cuore! Dolore e strazio tanto più crudele ed atroce in quanto che nessuno lo comprende e pochissimi lo raddolciscono, ed Egli è costretto a divorarlo in silenzio: Gesù è veramente l’uomo dei dolori! l’uomo dei dolori continui, intimi, ineffabili nel corpo e nello spirito, e come tale Egli raccoglie sopra di sé gli occhi di tutta questa immensa progenie di Adamo, che va incessantemente dolorando in questa via di esilio e, Lui rimirando, si conforta e apprende come ha da patire. Ah fratelli miei! Se allorché il dolore si aggrava sopra di noi e quasi ci schiaccia non avessimo dinanzi agli occhi questo Gesù l’uomo dei dolori, il re dei martiri, che sarebbe di noi? Rimirar Lui santo, innocentissimo, eppure saziato di obbrobri, agonizzante sulla croce, è sentirci confortati a correre la via dei patimenti, ch’Egli ha segnato col suo sangue! Sappiamo per fede che “Gesù non fece peccato alcuno, né sulle sue labbra fu mai trovata frode.” Con questa osservazione san Pietro rincalza la verità. Noi tutti soffriamo più o meno, ma nessuno di noi soffrirà mai come Gesù Cristo; è già un argomento efficacissimo ad imitarLo: ma vi è di più. Noi soffriamo e alcune volte soffriamo assai. Ma chi siamo noi? Povere creature, e Gesù è il Figlio di Dio! Quale confronto! Non basta: noi soffriamo e sia pure moltissimo. Chi siamo noi? Non solo povere creature, ma peccatori, e se poniamo sulla bilancia da una parte i nostri dolori, e dall’altra i nostri peccati, troviamo che questi di gran lunga superano quelli, e che se Iddio volesse proporzionare i dolori ai peccati nostri, noi ne saremmo certamente schiacciati. Eppure, Gesù che sofferse quel cumulo di dolori atrocissimi, che dicemmo, era santo, innocente, immacolato: ombra di colpa non fu mai, né poteva essere in Lui, perché l’Uomo-Dio non può peccare. Quale incoraggiamento per noi a patire, avendo innanzi agli occhi tanto modello, per noi rei di tante colpe e meritevoli d’ogni supplizio! – Né qui si ferma il Principe degli Apostoli. Dopo d’aver confortati noi peccatori a patire coll’esempio di Gesù innocentissimo, tocca del modo con cui Gesù patì, e in questo pure vuole che ci modelliamo sopra di Lui. “Gesù oltraggiato, non oltraggiava; soffrendo, non minacciava.” Con queste parole il sacro Scrittore credo abbia voluto abbracciare tutta la vita di Gesù, senza alludere a qualche fatto particolare: Gesù fu crudelmente oltraggiato allorché i Giudei più volte e pubblicamente lo dissero amico dei pubblicani e dei peccatori, bevitore, samaritano, posseduto dal demonio, eccitatore di tumulti, nemico di Cesare, malfattore, seduttore, bestemmiatore, peggiore d’un ladrone e d’un omicida; eppure Gesù a tanti insulti, a sì sanguinose ingiurie non oppose che il silenzio e risposte piene di dignità e di mansuetudine: a chi Lo straziava non fece minacce, ma come agnello si lasciò condurre alla morte. Ecco come pativa Gesù, l’innocentissimo Gesù, ed ecco come dobbiamo patire noi pure. Ma che avviene, o cari? che vediamo noi? che facciamo? Troppo spesso alla più lieve offesa, e forse non sempre immeritata, ci risentiamo, leviamo alti lamenti, mettiamo a rumore il vicinato, gridiamo, strepitiamo, vogliamo giustizia, sbuffiamo d’ira, rompiamo in insulti e, non piaccia a Dio, in bestemmie, in imprecazioni! Oh come abbiamo bisogno di meditare il divino modello, Gesù Cristo, che oltraggiato, non oltraggiava, soffrendo, non minacciava! Come è bella, nobile e degna di ammirazione la calma tranquilla e dignitosa del cristiano in faccia a chi lo offende ed insulta! La pazienza e la carità non vietano che domandiamo giustizia e riparazione delle offese ricevute, e in certi casi può essere un dovere l’esigerla, ma è sempre indegno del cristiano rispondere coll’ingiuria all’ingiuria, colle invettive alle invettive. S. Pietro, proseguendo a parlare del supremo nostro modello, Gesù Cristo, dice: “Gesù si rimetteva in mano di colui che Lo giudicava ingiustamente.” Ponete mente, o dilettissimi, a queste parole: “Gesù si rimetteva in mano di colui che Lo giudicava ingiustamente.” Esse vi dicono, che Gesù Cristo patì e morì, non forzatamente, ma liberamente: Egli stesso si diede in mano de’ suoi nemici, incatenò, se posso dirlo, la sua onnipotenza, e lasciò che facessero ogni lor volere della propria Persona. L’aveva detto in termini Gesù Cristo: “Io metto l’anima mia per ripigliarla: niuno me la toglie, ma la do da me stesso, ed ho potere di darla e di ripigliarla” (Giov. x, 15 seg.). Non poteva più chiaramente affermare la sua libertà di patire e non patire, di morire e non morire. E invero: se Gesù Cristo non fosse stato perfettamente libero e di patire e di morire, non sarebbe stato perfetto uomo, la sua Passione non avrebbe avuto merito alcuno e sarebbe stato ridicolo il proporlo a noi come esempio da seguire. Chi è colui, in balia del quale Gesù si diede e che Lo giudicò ingiustamente? Accennandosi qui un giudice ingiusto, in singolare, che pronunciò sentenza contro Gesù Cristo, sembra fuor di dubbio che questi sia Pilato. E’ vero, Lo giudicarono Anna, Caifa, i capi del popolo, Erode, e Lo giudicarono ingiustissimamente; ma di quelli, ancorché più colpevoli, S. Pietro non si cura, perché la loro sentenza non poteva essere eseguita, se quella di Pilato non si aggiungeva: onde fu la sua che trasse a morte Gesù Cristo, e perciò di lui particolarmente si parla. — Gesù si commise alla mercé di Pilato, giudice straniero e pagano: in lui riconobbe un potere, che veniva dall’alto (S. Giov. XIX, 11), ancorché ingiustamente ne usasse. – Apprendiamo, o cari, da queste parole di S. Pietro non solo a rispettare l’autorità, in chiunque essa risieda, ma eziandio a soffrire ingiustizie, se questa ce le fa soffrire. Chi mai sulla terra soffrì ingiustizia più scellerata di quella, che Gesù Cristo sofferse da Pilato? Riconosciuto innocente, flagellato, coronato di spine e condannato alla croce: eppure Egli si diede nelle sue mani, limitandosi a dirgli: “Chi mi ha dato nelle tue mani è reo di maggior peccato, perché lo faceva per odio. – Soffrire l’ingiustizia non è approvarla, e noi possiamo bene rispettare l’autorità e condannare i suoi abusi. Lo so, ciò è difficile, perché l’ingiustizia, che si soffre dalla autorità, è congiunta con essa per forma che ai nostri occhi sembra formare con essa una sola cosa: ma pure è necessario non confondere queste due cose se non vogliamo renderci colpevoli. Voi avete o aveste i vostri genitori: l’autorità paterna e materna, che dopo la divina è la prima, era ed è in essi e voi la rispettaste e la rispettate. Se, per sventura vi fosse stato o vi fosse abuso in loro, qual era e quale sarebbe il vostro dovere? Avreste voi il diritto di disconoscerla? Giammai. Voi potreste e dovreste riprovare in cuor vostro l’abuso della loro autorità, ma rispettarla sempre, perché essa è cosa divina. Ragguagliata ogni cosa, è ciò che dobbiamo fare con qualunque autorità, allorché vien meno a se stessa. Nell’antica legge il sommo sacerdote, una volta all’anno, compiva il rito solenne del capro emissario: egli poneva le mani sul suo capo, confessava i peccati suoi e del popolo, e li poneva sul capro, e questo era abbandonato nel deserto (Levit. XVI, 21). Qui S. Pietro accenna a quel rito misterioso, che adombrava Gesù Cristo, il quale tolse sopra di sé, volontariamente i peccati di tutti gli uomini, li portò sulla croce e nel suo corpo, ossia nei patimenti del suo corpo, e nel sangue che sparse li espiò e li cancellò. Egli è il vero Giacobbe, che si copre della pelle del capretto, anzi è il vero capro emissario, che carico dei delitti del mondo [Non è necessario avvertire che più volte nelle Scritture la parola peccato è presa non a significare il reato, il disordine morale, ma l ‘effetto del peccato, che è la pena. Qui si dice che Gesù Cristo portò i peccati nostri sulla croce, nel suo corpo, cioè portò sulla croce ed espiò la pena dovuta al peccato.], esce dal mondo, è sollevato sull’alto della croce, muore come reietto, anzi come maledetto, e in sé riconcilia il cielo e la terra, secondo la frase di san Paolo. Allorché Gesù morì per noi sull’albero della croce e nel suo sangue spense il peccato, noi fummo sciolti dal giogo del peccato stesso, fummo come morti ad esso, e cominciammo a vivere alla giustizia risanati dalle sue lividure. Spieghiamoci meglio. Un uomo è condannato alla morte: un altro uomo innocente, mosso a pietà di lui, si offre a morire in suo luogo: la morte dell’uno è la vita dell’altro: il colpevole, compiuta la giustizia, cessa d’essere colpevole, è riabilitato, è giusto: egli è come morto ai suoi delitti, rivive alla virtù, all’onestà, alla giustizia. Il colpevole è ciascuno di noi; Gesù Cristo si offre a pagare per noi, paga col suo sangue, ed eccoci riabilitati, giustificati, risanati colle sue lividure. – S. Pietro dopo aver messo innanzi agli occhi dei suoi figliuoli il sommo modello dell’amore e del perdono, Gesù Cristo, chiude la sua esortazione, rivolgendo loro queste bellissime parole: ” Voi eravate come pecorelle smarrite: ma ora vi siete rivolte al pastore e al vescovo delle anime vostre.” Voi, pochi anni or sono, eravate ancora Giudei e Gentili; correvate le vie dell’errore: eravate simili a quelle povere agnelle, che si allontanano dall’ovile, ai smarriscono nei fitto d’un bosco o nella immensità del deserto, e che ad ogni istante possono essere sbranate dalle belve feroci: Dio ebbe pietà di voi: vi chiamò, colla sua grazia vi trasse dolcemente a sé, e voi ubbidiste, vi rivolgeste a Lui, al pastore, al Vescovo delle anime vostre. — Gesù Cristo è il Pastore delle anime in quanto le guida ai pascoli della vita, le difende dai lupi che le insidiano: è vescovo [Vescovo “Episcopus”, significa propriamente chi sovraintende ad altri in qualunque ufficio: ora si usa esclusivamente per indicare il Vescovo, il maggiore dei gradi gerarchici], cioè veglia sopra di loro, le regge, le custodisce. Egli fu Pastore e Vescovo degli Apostoli e dei discepoli, dei credenti, finché visse mortale sulla terra, ed è Pastore e Vescovo sempre nella persona di quelli che continuano l’opera sua attraverso ai secoli. Queste parole di agnelle, di pastore e di vescovo richiamano alla nostra memoria i doveri che tutti abbiamo, io vostro pastore, voi agnelle dell’ovile di Cristo. A me i doveri di ammaestrarvi e di camminare innanzi a voi coll’esempio d’una vita irreprensibile: a voi di ascoltarmi e seguirmi: adempiamoli fedelmente e tutti dal Principe dei pastori, dal Vescovo dei vescovi, avremo la nostra mercede.

Alleluja

Allelúja, allelúja Luc XXIV:35. Cognovérunt discípuli Dóminum Jesum in fractióne panis. Allelúja [I discepoli riconobbero il Signore Gesú alla frazione del pane. Allelúia]. Joannes X:14. Ego sum pastor bonus: et cognósco oves meas, et cognóscunt me meæ. Allelúja. [Io sono il buon Pastore e conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me. Allelúia.]

Evangelium

Munda cor meum, ac labia mea, omnípotens Deus, qui labia Isaíæ Prophétæ cálculo mundásti igníto: ita me tua grata miseratióne dignáre mundáre, ut sanctum Evangélium tuum digne váleam nuntiáre. Per Christum, Dóminum nostrum. Amen. Jube, Dómine, benedícere. Dóminus sit in corde meo et in lábiis meis: ut digne et competénter annúntiem Evangélium suum. Amen. V. Dóminus vobíscum. R. Et cum spíritu tuo.

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Joánnem. R. Gloria tibi, Domine! Joann X:11-16. “In illo témpore: Dixit Jesus pharisaeis: Ego sum pastor bonus. Bonus pastor ánimam suam dat pro óvibus suis. Mercennárius autem et qui non est pastor, cujus non sunt oves própriæ, videt lupum veniéntem, et dimíttit oves et fugit: et lupus rapit et dispérgit oves: mercennárius autem fugit, quia mercennárius est et non pértinet ad eum de óvibus. Ego sum pastor bonus: et cognósco meas et cognóscunt me meæ. Sicut novit me Pater, et ego agnósco Patrem, et ánimam meam pono pro óvibus meis. Et alias oves hábeo, quæ non sunt ex hoc ovili: et illas opórtet me addúcere, et vocem meam áudient, et fiet unum ovíle et unus pastor”. [In quel tempo: Gesú disse ai Farisei: Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la vita per le sue pecore. Il mercenario invece, e chi non è pastore, cui non appartengono le pecore, vede venire il lupo, e lascia le pecore, e fugge; e il lupo rapisce e disperde le pecore: il mercenario fugge perché è mercenario, e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e queste conoscono me, come il Padre conosce me, ed io il Padre. Io dò la vita per le mie pecore. E ho delle altre pecore, le quali non sono di quest’ovile: anche quelle occorre che io raduni, e ascolteranno la mia voce, e sarà un solo ovile e un solo pastore].

Laus tibi, Christe! S. Per Evangelica dicta, deleantur nostra delicta.

Omelia della Domenica II dopo Pasqua

[Canonico G.B. Musso, 1851, vol. II -imprimatur-]

– Gesù Buon Pastore –

   “Ego sum pastor bonus”, dice nell’odierno Vangelo secondo la Volgata Cristo nostro Signore, e secondo il testo greco: “Ego sum ille pastor bonus! quasi dir voglia: “Io son quel buon Pastore veduto in ispirito dai Patriarchi, predetto dai Profeti, e figurato in Abele, in Giacobbe, in Davide, tutti pastori amatissimi della propria greggia”. Il buon pastore mette la vita per sue pecorelle. Ma il mercenario, che non è, e non merita il nome di pastore, al vedere appressarsi il lupo abbandona l’armento, si dà alla fuga, onde il lupo fa strage, rapisce, disperde le spaventate agnelle. E perché pratica così vilmente il mercenario? Appunto per questo che egli è mercenario, prezzolato, a cui le pecore non appartengono, ed altro non ha a cuore che il proprio vantaggio. Io però, che sono il vero e buon Pastore, Io che conosco ad una ad una le mie pecorelle, e da esse son conosciuto, Io per la loro salvezza son pronto a dare e darò la mia vita, “animam meam pono pro ovibus meis”. – Così parla, così dipinge sé stesso l’amorosissimo nostro Redentore. Seguiamo, uditori fedeli, l’evangelica allegoria, e vediamo quanto è mai buono questo nostro divin Pastore, e quanto noi dobbiamo essere sue docili e buone pecorelle. Merita ogni attenzione il dolce argomento.

I – Per il peccato del nostro incauto progenitore Adamo, eravam noi come tante pecore erranti, “omnes nos quasi oves erravimus(Isaia LV, v, 6). Immaginate una greggia percossa e dispersa da fulmine tremendo aggirarsi per balze e per dirupi senza guida, senza pastore, non può questa altro aspettarsi che il precipizio o le zanne del lupo. Tal’era la condizione infelice dell’umana nostra natura, “omnes nos quasi oves erravimus”. Quando il Figliuol di Dio, mosso a pietà di noi, lascia le novantanove pecorelle, ossia, come spiegano dotti Spositori, i nove cori degli Angeli, e viene quaggiù in cerca della pecora smarrita, cioè della perduta umana generazione, e viene, “saliens in montibus transiliens colles”(Cant. II, 8), vale a dire, dal cielo nel seno della Vergine Madre, da questo nella grotta di Betlemme, da Betlemme in Egitto, indi a Nazaret, e finalmente in Gerosolima. Qui osservate com’Egli adempie col fatto quanto aveva già detto colle sue parole, che per la salute delle sue pecorelle sacrificherà la sua vita. Animam mea pono pro ovibus meis”. – Vedete voi quella turba di fanti, di sgherri con faci, con lanterne, con bastoni, con spade avvicinarsi all’orlo degli ulivi? In capo a questa masnada è Giuda traditore. Ecco il lupo. Che fa il buon Pastore in tal cimento? Di sé non curando, pensa soltanto a sottrar dalle loro mani i suoi cari. Va incontro al capo ed alla schiera, e, “chi cercate voi?- dice intrepido e fermo – se Gesù Nazzareno, Io son quel desso, lasciate però andare in pace i miei discepoli”, “sinite hos abire” (Joan. XXVIII, 8). Così avvenne: Gesù resta fra le funi e le ritorte, e i suoi discepoli si salvano colla fuga. – Ecco il buon Pastore in mano dei lupi rabbiosi tratto ai tribunali, legato ad una colonna. Oh Dio! quale ne fanno sanguinosissimo scempio! Ed Egli intanto va dicendo in suo cuore: questo mio sangue laverà le macchie delle mie pecorelle, sarà il balsamo per le loro ferite, sarà il prezzo del loro riscatto, e la morte, a cui mi avvicino, darà ad esse la vita, “animam meam pono pro ovibus meis, et ego vitam æternam do eis(Jonn. X). – Era tanto l’amor di Davide ancor pastorello per la paterna greggia, che qualora orso o leone giungeva a rapire una qualche agnella, armato di tutto se stesso se gli scagliava contro, e ghermitolo per la gola, gli toglieva dalle zanne la palpitante preda. Tanto fece per noi il divino nostro Pastore; con questa differenza però, che Davide acquistò nome di valoroso e di forte, e Gesù Pastor buono, fu computato tra gli scellerati, e qual malfattore crocefisso. – Sembrerà questa l’ultima prova dell’amor di Gesù nostro buon Pastore verso di noi suo gregge avventuroso. Ma no: compiuta l’umana redenzione, rotta la catena della nostra schiavitù, prima di separarsi da noi per ascendere al Padre, udite con quai sentimenti e con qual cuore prende a parlare a Simon Pietro. Simone figliuol di Giovanni, gli dice, mi ami tu più di tutti questi, che qui son presenti? Simon Joannis, diligis me plus his(Joan. XXI)? “Signore – Pietro rispose –  sì che io Vi amo, e voi lo sapete.” – “Se veramente tu mi ami, ripiglia Gesù, dammi prove dell’amor tuo con pascere gli agnelli della mia greggia, “pasce agnos meos”. Ma tu mi ami davvero? soggiugne Gesù per la seconda volta. “Ah Signore – ripete Simon Pietro – Voi vedete il mio cuore, mi protesto che Vi amo”. “Se dunque tu mi ami, pasci i miei agnelli”, “pasce agnos meos”. Con una terza domanda Gesù l’interroga: Pietro, tu mi ami? “Mio Signore – risponde Pietro turbato e confuso – Voi lo chiedete a me? Niuna cosa è al vostro sguardo nascosta, Voi siete lo scrutatore dei cuori: e meglio di me sapete che Vi amo”. “Conoscerò –  conchiude Gesù – il tuo amore per me dalla cura che avrai di pascere le mie pecorelle”, “pasce oves meas”. Breve fu il suono di queste parole, ma a quale e quanto grave senso si estendono! Pietro, parmi dir volesse, tu sei quella pietra, che ho posta per fondamento della mia Chiesa. A te, primo fra i miei Apostoli, e mio vicario, ho dato in modo tutto singolare le chiavi del regno dei cieli, e con esse la potestà suprema di sciogliere e di legare con giudizio irrefragabile pronunziato sulla terra, ed approvato nel cielo. Ma ciò non basta. Ti costituisco da questo istante Pastore universale di tutto il gregge che mi son formato col mio Vangelo, co’ miei sudori, collo sborso di tutto il sangue mio. Tu pascerai non solo i miei agnelli, ma come Pastor dei pastori anche le pecore madri, “pasces oves meas”. Pasci dunque gli uni e le altre con guidarle all’erbe salubri, e ai limpidi fonti. Pasce colla dottrina, colla predicazione, coll’esempio, coi sacramenti: difendi la mia e la tua greggia e da quei lupi, che l’assalgono a viso aperto, e da quei che si ascondono sotto la pelle di agnelli: ad un cuore che mi ama, o Pietro, Io devo affidarla, e non ad altri darne il governo, che a un cuore che abbia dell’amore per me, “pasce agnos meos, pasce oves meas”.

II Che dite, che vi pare, uditori del cuore, dell’amore, della bontà del divino nostro Pastore? Che cura, che impegno, che sollecitudine, che tenerezza per noi! Quale ora dovrà essere la nostra corrispondenza? Ecco, Egli è il nostro buon Pastore, dobbiam noi essere sue fide e buone pecorelle. E come? Egli stesso nel suo Vangelo ce n’insegna il modo. “Oves meæ – dice – vocem meam audiunt(Joan. X. 27). Le mie pecorelle ascoltano la mia voce e l’apprezzano, ascoltano i miei avvisi e li seguono, ascoltano i miei precetti e gli osservano, ascoltano le mie ispirazioni e le accolgono, ascoltano la voce dei miei ministri e la rispettano, ascoltano la parola da loro annunziata e ne profittano. “Oves meæ voce meam audiunt”. È questo un segno, che sono pecorelle del mio ovile quelle anime che ascoltano e si pascono della mia parola letta nei libri, predicata dai pergami; e a tenore delle verità e delle massime ch’essa propone, emendano la vita, regolano il costume, raffrenano le passioni, adempiono la legge, praticano la virtù, edificano il prossimo, santificano sé stesse, “oves meæ vocem meam audiunt”. – Ma che segno sarebbe se invece si ascoltasse più volentieri la voce dei bugiardi figliuoli degli uomini, che promuovono dubbi circa la fede, che spargono massime ereticali, che bestemmiano quel che ignorano? Che sarebbe se più piacessero i laidi discorsi, i motti maliziosi, le favole oscene, le scandalose novelle? Di queste pecore infette, rognose, direbbe Gesù, io non sono il Pastore, esse non appartengono al mio ovile, “non sunt ex hoc ovili”(Joan. X, 16). Le pecore inoltre hanno in sommo orrore il lupo, orror tale, che al solo sentirne gli ululati, sebbene difese da ben chiuso e riparato ovile pure si vedono ritirarsi negli angoli più remoti, e tremar da capo a piedi, tanto è l’orrore e lo spavento di questo loro nemico. È tale, ascoltanti, l’orror vostro, il vostro spavento per il peccato, nemico dell’anima vostra? Ne temete il pericolo, ne fuggite l’aspetto? Buon segno, miei cari, se è così, buon segno; voi siete pecorelle del gregge di Cristo. Perseverate ad odiarlo, ad abbominarlo, e dite sempre col reale profeta: “Iniquitàtem odio habui et abominatus sum” (Ps. CXVIII). – Altra proprietà delle pecore, dice Cristo Signore, è il seguitare il proprio pastore, di cui conoscono la voce e la persona, “oves illum sequuntur” (Joan.). Siamo disposti a seguir l’orme del nostro Pastore Gesù Cristo? Beati noi, arriveremo a buon termine. Chi mi seguita, dice Egli, non cammina fra le tenebre dell’errore, “qui sequitur me, non ambulat in tenebris(Joann. VIII, 12). Ma chi vuol venir dietro a me, convien che neghi se stesso e le proprie voglie, che si addossi la propria croce, e calchi le mie pedate; “Si quis vult post me venire, abneget semetipsum, tollat crucem suam, et sequatur me(Luc. IX, 23). E che vuol dire, interroga S. Agostino, questo sequatur me? Vuol dire imitare i suoi esempi, “quid est me sequatur, nisi me imitetur? (Tract. 51, in Jo.). Chi corre la vita del piacere non imita Gesù, che va per quella del Calvario. Gli esempi di questo nostro Pastore sono di umiltà e di mansuetudine, di pazienza, di carità; non può esser sua pecorella chi non è imitatore delle sue virtù. – La pecora finalmente dà il latte e la lana come in retribuzione al pastore che la guida, la pasce, la governa e la difende. Gesù buon Pastore, o fedeli, anche Egli vuol da voi, e vi chiede il latte e la lana; ma non per sé. Vi chiede il latte, cioè la cristiana educazione della vostra prole. I sentimenti di pietà, di timor di Dio, di religione, di rettitudine, di onestà, ed altre buone e sante massime, sono quel latte, che dovete istillare nel cuor de’ vostri figliuoli. I salutari avvisi, i saggi consigli, le dolci ammonizioni ai vostri inferiori, ai vostri eguali, anche questo è latte, col quale S.Paolo avea pasciuti i suoi figli rigenerati in Cristo Gesù, lac potum dedi (I Cor. V, 2), e che Gesù aspetta da voi. – Aspetta da voi, e vi domanda anche la lana per coprire tanti suoi poverelli mezzo ignudi, esposti al rigor delle stagioni, tremanti, intirizziti dal freddo. Oh Dio! Se il vostro cuore non si commuove, in vista di tanta miseria, come potete sperare di essere riguardati da Gesù Cristo in qualità di sue pecorelle? Visitate, visitate la vostra casa, aprite i guardaroba, o facoltosi, e vi troverete tante vesti rimesse, quanto per voi inutili, tanto pei poveri necessarie. Per carità coprite Cristo ignudo nei vostri ignudi fratelli. Imitate S. Martino ancor catecumeno, S. Filippo Benizio, S. Giovanni Canzio, S. Tommaso da Villanuova, e tanti altri caritatevoli servi di Dio, che si trassero le vesti di dosso per coprire l’altrui nudità. Contrassegno più chiaro, carattere più certo di nostra predestinazione non vi è di questo, qual è spargere le viscere della nostra carità verso i bisognosi nostri fratelli. – Ma il vestire non basta, conviene anche cacciar la fame, la fame, dico, che fa andar pallidi tanti vecchi cadenti, tante vecchierelle tremanti, tanti storpi impotenti, che fa languire tanti infermi sulla paglia, che fa gemere tante famiglie che non han cuore a mostrar faccia. – Ravviviamo la fede, cristiani miei cari. Nel giorno estremo, nella gran valle saranno dai capri separate le agnelle, e alla destra parte da Gesù benedette; quelle agnelle, dissi, che avranno dato ascolto alla sua voce, che avranno seguito i suoi esempi, avuto in orrore il peccato e dato il latte di cristiana educazione alla prole e la lana a soccorso degl’indigenti. A queste Cristo Signore rivolto in aria dolcissima, “venite a me, dirà loro, voi avete camminato sull’orme mie, voi mi siete stati fedeli, mi avete pasciuto famelico, e coperto ignudo, venite, per voi non son giudice, sono e sarò per sempre il vostro buon Pastore, venite ai pascoli, venite ai fonti di eterna vita, il mio regno sarà il vostro ovile; voi sarete sempre mie, Io sempre vostro. Vogliamo noi, uditori, goder di simile sorte? Siamo buone, fide, docili pecore, e sarà Gesù nostro buono ed eterno Pastore!

Credo

Offertorium

V. Dóminus vobíscum. R. Et cum spíritu tuo. Orémus Ps LXII:2; LXII:5 Deus, Deus meus, ad te de luce vígilo: et in nómine tuo levábo manus meas, allelúja.

Secreta

Benedictiónem nobis, Dómine, cónferat salutárem sacra semper oblátio: ut, quod agit mystério, virtúte perfíciat. [O Signore, questa sacra offerta ci ottenga sempre una salutare benedizione, affinché quanto essa misticamente compie, effettivamente lo produca]. Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia sæcula sæculorum. R. Amen.

Communio Joannes X:14. Ego sum pastor bonus, allelúja: et cognósco oves meas, et cognóscunt me meæ, allelúja, allelúja [Io sono il buon pastore, allelúia: conosco le mie pecore ed esse conoscono me, allelúia, allelúia.]

Postcommunio

S. Dóminus vobíscum. – R. Et cum spíritu tuo. Orémus. Præsta nobis, quaesumus, omnípotens Deus: ut, vivificatiónis tuæ grátiam consequéntes, in tuo semper múnere gloriémur. [Concédici, o Dio onnipotente, che avendo noi conseguito la grazia del tuo alimento vivificante, ci gloriamo sempre del tuo dono.] Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia saecula saeculorum. R. Amen.

Sacramento dell’ORDINE -2-

Sacramento dell’ORDINE -2-

[J. –J. Gaume, Catechismo di perseveranza. Vol. II cap. XLIV– Torino 1881]

Ordini minori. — Ostiarii: loro funzioni. — Cerimonie e preghiere che ne accompagnano l’ordinazione. — Lettori: loro funzioni. — Cerimonie e preghiere che ne accompagnano l’ordinazione. — Esorcisti: loro funzioni. — Cerimonie e preghiere che ne accompagnano l’ordinazione. — Accoliti : loro funzioni. — Cerimonie e preghiere che ne accompagnano l’ordinazione. Ordini maggiori: Suddiaconato; funzioni dei Suddiaconi. — Preghiere e cerimonie della loro crdinazione. — Diaconato ; funzioni dei Diaconi. — Preghiere e cerimonie della loro ordinazione. — Sacerdozio; funzioni e potestà dei Sacerdoti. — Cerimonie e preghiere della loro ordinazione. — Benefizi sociali del Sacramento dell’Ordine.

La Lezione precedente vi ha mostrato le relazioni degli Ordini fra di loro, e coll’augustissima Eucaristia. Egli è perciò tempo di spiegare partitamente ciascuno di essi.

– Il primo degli Ordini minori che si riceve dopo la cerimonia della tonsura è quello di Ostiario. Se nel palazzo di un re tutti gl’impieghi sono onorevoli, nella casa di Dio tutti i Ministri sono santi; donde nasce, che la Chiesa consacra tutti coloro a cui vengono affidati. L’Ordine dell’Ostiario era nei primi secoli indispensabile poiché non tutti erano Cristiani. Era ufficio degli Ostiarii d’impedire ai pagani di entrare nelle chiese, di nuocere ai fedeli, di profanare i santi Misteri. Dovevano inoltre far rimanere ciascuno nei luoghi destinati, tenere il popolo diviso dal clero, gli uomini dalle donne, far osservare il silenzio e la modestia, annunziare le ore della preghiera, custodire fedelmente il tempio, conservarlo con ogni accuratezza pulito ed ornato, provvedere a che nulla andasse perduto, aprire e chiudere a tempo debito le porte sì della chiesa che della sacristia, finalmente aprire il libro al Ministro che predicava. Scorgesi da ciò, che riunendo tutti questi uffici, l’incarico non era troppo leggiero: l’Ostiariato conferivasi a persone di età matura [FLEURY, Istituzioni di Diritto Canonico, part. I]. – Tutte codeste incombenze trovansi rammemorate nelle preghiere e nelle cerimonie della ordinazione. Dopo che il Vescovo le ha spiegate agli Ostiarii, l’Arcidiacono conduce i medesimi alle porte della Chiesa e facendola chiudere ed aprire, pone fra le loro mani la corda delle campane onde suonino qualche tocco, riconducendoli poscia a’ piedi dell’ altare. Cotali cerimonie che potrebbero forse sembrare superflue a chi non ne conosce né l’origine né il significato, agli occhi del Cristiano pio ed istruito si mostrano sommamente rispettabili. – Esse gli ricordano la santità della casa di Dio, la tremenda maestà dell’augusto Sacrificio, la gloriosa antichità della Chiesa, e finalmente quei giorni felici di fede e d’innocenza, che saranno eterno obbietto della nostra ammirazione e del nostro rammarico. Il Vescovo termina l’ordinazione degli Ostiarii chiedendo per essi al Signore la celeste benedizione e la grazia che possano santamente esercitare il loro ufficio, onde essere ammessi un giorno coi suoi eletti nel soggiorno della gloria eterna.

– L’ordine dei Lettori è più nobile di quello degli Ostiarii, giacché si riferisce più immediatamente all’Eucaristia. I Lettori, spesse volte più giovani d’età che non gli Ostiarii, servivano come segretari i Vescovi ed i Sacerdoti, e s’iniziavano al sapere, leggendo e scrivendo sotto la loro direzione. In tal guisa si addestravano agli studi quelli che vi si mostravano più abili, e che potevano poscia giungere al Sacerdozio. Le loro funzioni erano grandemente necessarie, poiché sempre fu costume di leggere nelle chiese le Scritture dell’antico e del nuovo Testamento, tanto nel tempo della Messa, quanto ancora degli altri uffici e principalmente della notte. Leggevansi eziandio ne’ primi secoli le epistole degli altri Vescovi; gli atti dei Martiri, le omelie ed i sermoni, come è pure usanza de’ nostri giorni, colla sola diversità, che in oggi tale ufficio è adempiuto da tutti i Ministri che risiedono in coro, mentre nei primordi apparteneva ai soli Lettori. – Fra la nave della Chiesa, che conteneva i fedeli ed il coro, ove risiedevano i Ministri dell’altare, vi era un palco a cui salivasi mediante sette od otto scalini, circondato da balaustrata e capace di contenere otto persone.. Questa specie di tribuna, era detta ambone, dacché vi si saliva per due gradinate e guardava tanto verso i l popolo che verso i Sacerdoti. Chiamavasi anche col nome di Jube, dalla circostanza che Lettore, innanzi di cominciare a leggere chiedeva al Vescovo la benedizione con le parole: Jube, Domine, benedicere; e di questa voce jube spesso ripetuta si valse il popolo per indicare il luogo destinato ai Lettori. Questa tribuna vedesi ancora in alcune antiche chiese, e serviva, come si è detto, alla predicazione ed alle altre letture religiose. – I Lettori erano altresì incaricati della custodia dei libri sacri, ufficio assai pericoloso in tempo di persecuzione. La formula della loro ordinazione, tolta come quelle degli altri Ordini inferiori dal quarto Concilio di Cartagine celebrato l’anno 398, ricorda ch’essi devono leggere per colui che predica, cantare le laudi, benedire il pane ed i nuovi frutti. Il Vescovo nell’ordinarli, dopo di aver chiesto per essi la grazia di poter compiere degnamente le sante funzioni, fa ai medesimi toccare un libro di sacre Letture e pronunzia in tal tempo le seguenti parole: « Ricevete questo libro e siate lettori della parola di Dio; se voi adempirete con fedeltà un tale incarico voi avrete parte fra quelli che sino dal principio hanno con saviezza dispensato la divina parola ».

– Il terzo degli Ordini minori è quello dell’Esorcista. Uffizio degli Esorcisti si è quello di scacciare i demoni. Nei primi secoli del Cristianesimo frequentissimi erano gli ossessi, fra i pagani specialmente; e di questo noi abbiamo le prove autentiche nei Evangeli, negli atti degli Apostoli e nei Padri della Chiesa. Come attestato del più gran disprezzo pel nemico dell’umano genere e pel suo potere, la Chiesa attribuiva l’incarico di scacciarlo a’ suoi Ministri inferiori. Questi, nel solenne Battesimo esorcizzavano i catecumeni, e facevano uscire dalla Chiesa, innanzi che fosse fatta l’oblazione dei doni sacri, coloro che non si comunicavano, vale a dire, i catecumeni stessi e gli energumeni. In oggi la podestà di esorcizzare è riserbata ai soli Sacerdoti, né questi pure possono valersene senza avere espressa licenza dal Vescovo. Essendo il numero degli ossessi divenuto più ristretto, dacché il Signor Nostro Cristo ha debellato la possanza infernale, è stato mestieri, per evitare ogni impostura, di agire con più cautela, oculatezza ed autorità. Ed ecco perché la Chiesa, mentre ha conservato gli usi della sua venerabile antichità, ha limitato il potere di esorcizzare, né concede un tale ufficio se non se a’ Sacerdoti specialmente a ciò destinati, e dopo eziandio di aver fatto ad essi subire rigorosi e minutissimi esami [Spirito delle cerimonie, p. 133]. – Terminate le preghiere dell’ordinazione, il Vescovo fa posare agli Esorcisti la mani sul messale, e dice: « Ricevete ed imparate questo libro, ed abbiate il potere di imporre le mani agli energumeni, sia battezzati, sia catecumeni ». Scongiura poscia il Signore con fervide preghiere a volerli proteggere affinché adempiano santamente le loro funzioni, e qual medici irreprensibili risanino gli altri, dopo di essersi eglino stessi risanati.

– Il quarto degli ordini minori è quello di Accolito. La parola Accolito vuol dire seguace, ossia colui che accompagna. L’Ordine degli Accoliti è il più nobile dei quattro Ordini minori. Ne’ tempi antichi gli Accoliti erano giovani, di età fra i venti e i trent’anni, destinati a seguire ognora il Vescovo e a star pronti a’ suoi ordini. Portavano dovunque le sue ambasciate, recavano le Eulogie e talvolta l’Eucaristia, e servivano all’altare sotto la dipendenza de’ Diaconi. In oggi che son mutate le circostanze, il Pontificale non attribuisce loro altro ufficio che quello di portare le torce, accendere i ceri e preparare l’acqua ed il vino pel Sacrificio. – Nella cerimonia della loro ordinazione, il Vescovo ammonisce gli Accoliti di risplendere nella Chiesa, come faci ardentissime, mediante l’esempio di tutte le virtù; di farsi specchio immacolato ai fedeli, di condurre vita purissima, di essere, a dir breve, degni di presentare l’acqua ed il vino all’altare del Signore. Fa loro in seguito toccare un candeliere sostenente un cero, nonché un’ampolla vuota, dicendo: « Ricevete questo candeliere e questo cero, e non obliate giammai che nel nome del Signore voi siete eletti per accendere le fiaccole nella Chiesa. Ricevete quest’ampolla; essa deve servire per presentare l’acqua e il vino al Sacrificio del sangue di Gesù Cristo ». – Tali sono i quattro Ordini minori; tali erano nei tempi andati gli uffici che conferivano. – Non è a credersi che i Santi, i quali hanno governato la Chiesa nei primi tempi, cercassero soltanto dilettevole occupazione nel regolare con tanta cura il culto esteriore, e nello stabilire Ordini speciali per distribuire minutamente anche le più piccole incombenze. No; essi avevano compreso l’importanza di tutto ciò che colpisce i nostri sensi, come sarebbero, ad esempio, la beltà de’ luoghi, l’ordine delle congregazioni, il silenzio, il canto, la maestà delle cerimonie. Tutte queste cose aiutano anche le persone più spirituali ad innalzarsi a Dio, e sono poi assolutamente necessarie agli idioti per dar loro una grande idea della Religione, e per farne loro amare l’esercizio. Quando vediamo che il primo tempio di Gerusalemme, in cui non si conservava che l’Arca dell’Alleanza, e il secondo tempio egualmente, in cui più non si trovava, erano regolarmente amministrati da migliaia di Leviti; quando sappiamo che ivi le cerimonie si compievano colla massima pompa e maestà, noi dobbiamo provare estrema confusione nel vedere le nostre chiese, entro le quali riposa il Corpo di Gesù Cristo, e le sante nostre funzioni governate con tanta negligenza, da non poter gareggiare per questa parte di confronto con quei templi antichi! È sventura dei tempi, che ai giorni nostri coloro che sono insigniti degli Ordini minori possano di rado compierne gli onorevoli uffici. – Anticamente ogni chiesa aveva i suoi Chierici, laddove in oggi i Leviti vivono nei seminari onde prepararsi al Sacerdozio; e perciò nelle parrocchie, i Sacerdoti, i Diaconi, i Suddiaconi, i semplici Chierici, ed i laici persino, adempiono le funzioni che a quelli spetterebbero. Il Concilio di Trento avrebbe bensì desiderato che si fosse potuto ritornare all’antica disciplina pel maggior profitto dei fedeli; ma questo voto non si poté finora effettuare. Per altro, nel mentre si aspettano giorni più propizi, la Chiesa ha conservato i santi Ordini minori come monumento prezioso dell’antica disciplina, e come scala che conduce alla santità, e da percorrersi perciò dai Leviti che aspirano agli Ordini sacri [Spirito delle cerimonie, p. 146].

– Il primo degli Ordini maggiori o sacri è il Suddiaconato, Ad esso fu donato queste grado dal tempo in cui la Chiesa ha impesto al medesimo l’obbligo di conservare la castità [II più celebre ed il più autorevole degli storici protestanti dell’Alemagna moderna, Enrico LUDES, soprannominato il padre della Storia » Alammanica, non esita ad asserire quanto segue nel Volume VIII della sua — Istoria del Popolo Germanico — pubblicata nel 1833: « Noi andiamo debitori di tutto ciò che siamo e di tutto ciò che possediamo al celibato ecclesiastico; tutto egli ci ha conservato: l’intelligenza, la coltura dello spirito, il progresso, in una parola, del genere umano ». – Veggesi pure COBBET, Storia della riforma in Inghilterra; — l’Abate JAGÉR. Del Celibato ecclesiastico; le Memorie di Religione, Morale e letteratura di Modena, n. 47-48, 283]. Per lo innanzi il Suddiaconato annovera vasi fra gli Ordini minori, ed i Suddiaconi non erano che i segretari dei Vescovi, i quali li adoperavano nei viaggi e negli affari ecclesiastici. Essi erano incaricati delle elemosine e della amministrazione dei beni temporali, e fuori della Chiesa compievano le funzioni medesima dei Diaconi. Ai Suddiaconi ordinariamente si confidava la gestione dei patrimoni di San Pietro [Si chiamavano con tal nome i beni donati alla Chiesa di Roma] nelle diverse parti della Cristianità in cui erano collocati. Amministratori di queste sostanze sotto l’autorità dei Papi, eseguivano ad un tempo i loro comandi anche rispetto ad importantissimi affari ecclesiastici: e tali erano, per cagione d’esempio, il correggere gli abusi in quelle Provincie in cui erano situati i beni, il vegliare sulle congregazioni conciliari, trasmettere d’ordine del Pontefice parziali avvisi ai Vescovi riguardanti la loro condotta, e finalmente riferire con esattezza al Papa gli avvenimenti del paese in cui risiedevano [Si vedano le Lettere di San Gregorio]. – In oggi il ministero dei Suddiaconi è limitato al servizio dell’altare ed all’assistenza del Vescovo e del Sacerdote nelle ecclesiastiche solennità. Essi preparano gli ornamenti, i vasi sacri, il pane, il vino, l’acqua pel Sacrificio; cantano l’Epistola alla Messa solenne, tengono aperto innanzi al Diacono al tempo debito il libro degli angeli, servono il Diacono in tutte le sacre funzioni, ed è appunto per ciò che sono detti Suddiaconi; inoltre danno a baciare il libro dell’Evangelo al celebrante ed ai fedeli, preparano pel Diacono all’altare il calice e la patena, mettono l’acqua nel calice dopo che il Diacono vi ha posto il vino, versano l’acqua sulle mani del Sacerdote celebrante, lavano le animette, i corporali ed i purificatoi. – Maestose sono le cerimonie dell’ordinazione del Suddiacono. Vittime volontarie, che si presentano per fare a Dio un eroico sacrificio, stanno in atto di chi rinunzia al mondo ed alle sue speranze; tutto dimostra in essi la consacrazione e la natura di questo sacrificio. Assumono primieramente il contegno d’uomini che si apparecchiano a partire; un bianco pannolino, chiamato amitto, ricopre loro il capo, come il caschetto il capo del guerriero; un camice bianco li riveste interamente, simbolo di virtù specchiata; un cordone loro cinge le reni, contrassegno di castità; portano sul braccio sinistro una funicella, espressione della gioia del loro cuore; tengono in una mano il manipolo, emblema delle fatiche che li aspettano; nell’altra un cero acceso, immagine vivissima della loro carità. In tal modo preparate ed ornate, queste giovani vittime aspettano silenziose l’istante del Sacrificio. Ed ecco il Pontefice, rappresentante di Gesù Cristo, rivolger loro queste parole: « Miei figli dilettissimi, voi qui vi presentate per ricevere il Suddiaconato. Riflettete seriamente, e ponderate con tutta l’attenzione qual sia il peso a cui bramate sottoporvi. Voi siete tuttora liberi, siete tuttora in tempo di rimanervi nella vita laicale; ma ricevuto che abbiate quest’Ordine, non potrete giammai retrocedere dall’obbligo che state per assumere. Voi apparterrete a Dio per tutta la vostra vita, dovrete servirlo fedelmente, conservare la castità, ed esser pronti in qualunque ora pel ministero della Chiesa. Vi ripeto che siete ancora in tempo…. ma se perseverate nel vostro santo proposito, avvicinatevi». – Dopo tali parole, se gli aspiranti si sentono il coraggio e la forza di obbligarsi per tutta la vita, fanno un passo avanti. Passo immenso! che mette fra essi e il mondo uno spazio insuperabile. Ed a mostrare che sono per sempre morti al mondo ed alle sue speranze, si prosternano al suolo, e colla faccia volta a terra danno un eterno addio a questa terra medesima che abbracciano, ai loro parenti, agli amici, protestando che sono oramai, come Melchisedech, quell’antica figura del Sacerdozio cristiano, senza padre, senza madre, senza genealogia. – Ma chi donerà loro la forza sovrumana di cui abbisognano per sostenere tutto il tempo della vita questo eroico sacrificio? Quel Dio medesimo che ha ispirato la loro volontà. Ed ecco la ragione per la quale il Vescovo e tutto il popolo, inteneriti e in certo modo spaventati dalla grandezza dell’obbligo che assumono, cadono ginocchioni ed implorano su queste nobili vittime la benedizione del Cielo. Rivolgonsi alle tre Persone dell’augustissima Trinità, alla Vergine potentissima. agli Angeli, ai Patriarchi, ai Profeti, agli Apostoli, ai Martiri, ai Confessori, a tutta la Corte celestiale. Poscia il Vescovo sorge, benedice e consacra tutte queste vittime, facendo tre volte su di loro il segno della Croce. – Tutto è ormai compiuto, le vittime sono immolate; esse si rialzano, giacché devono vivere e continuare per tutto il tempo avvenire il sacrificio testé consumato. Il Vescovo prega tutti i fedeli presenti ad orare per questi novelli ministri che interamente si consacrano al loro servizio. Indica poscia ai Suddiaconi le funzioni del loro Ordine, del quale conferisce loro gli attributi facendo toccare il calice e la patena [Pare che il toccare, ossia la tradizione del calice e della patena costituisca tutta la materia dell’Ordine del Suddiaconato nella Chiesa Latina. Eugenio IV lo insegna nel decreto agli Armeni: “Subdiaconatus confertur per ealicis vacui cum patena vacua superposita traditionem”. Nella Chiesa Greca la materia del Suddiaconato è l’imposizione delle mani che il Vescovo fa sulla testa degli ordinandi, mentre la forma è la preghiera che è da lui nello stesso tempo recitata: null’altro ritrovasi nei loro Eucologii, vuoi antichi, vuoi moderni, cui possa darsi il nome di materia o di forma. – Mettendo loro l’amitto sul capo, così si esprime: «Ricevete questo amitto, che simbolizza la mortificazione della Croce, in nome del Padre, del Figliuolo, dello Spirito Santo; cosi sia » . La vigilanza sulle proprie parole e sui propri sensi saranno quind’innanzi gli obblighi e le virtù del novello Suddiacono. – Il Pontefice loro mette poscia sul braccio sinistro il manipolo e dice: «Ricevete questo manipolo; esso vi richiama alla memoria il frutto delle buone opere. Nel nome del Padre, ecc. »: indi li riveste della funicella, proferendo le parole: « Vi doni il Signore la tunica della felicità e il vestimento della fede. Nel nome del Padre, ecc. ». Finalmente loro porge il messale, pronunziando queste parole: «Ricevete il libro delle Epistole, e insieme la podestà di leggerle nella Chiesa, tanto pei vivi, quanto pei defunti. Nel nome del Padre, ecc. ». Tale si è, in compendio, l’ordinazione dei Suddiaconi. Noi ora chiediamo se v’abbia cosa più acconcia di questa per penetrare il popolo di rispetto profondo verso la santa Eucaristia e verso i suoi Ministri, e nello stesso tempo più efficace per insegnare ad essi le virtù che son necessarie alla santa e sublime loro vocazione? Questi salutari avvertimenti continuano nell’ordinazione dei Diaconi. Ascoltiamoli con religiosa attenzione.

– La parola Diacono significa servitore. Gli Apostoli ordinarono i primi Diaconi nella circostanza delle mormorazioni che si suscitarono tra i fedeli di Gerusalemme per la distribuzione delle elemosine, e confidarono loro l’incarico di vegliare all’amministrazione ed al regolamento delle mense con cui le vedove ed i poveri erano provveduti di quanto abbisognava al loro corporale sostentamento; attesoché i poveri, fin dal nascere della Chiesa, furono l’oggetto delle sue più affettuose sollecitudini. Esonerati in tal modo gli Apostoli da quell’ufficio affidato ai Diaconi, poterono dedicarsi interamente alla predicazione del Vangelo ed alla preghiera. Per altro non fu questo né l’unico e neppure il fine principale dell’istituzione de’ Diaconi; essi ben presto si videro chiamati a più nobili e più sante funzioni. – Ai servigi che dovevano essi prestare alle mense che alimentavano il corpo, si aggiunse l’amministrazione della Tavola santa nella quale si distribuiva ai fedeli l’Eucaristia per nutrimento spirituale delle anime. Né guari stette che venne loro conferito eziandio l’ufficio di predicare la parola divina e di conferire il Sacramento del Battesimo. Noi leggiamo infatti che Santo Stefano e San Filippo si dedicarono con molto zelo a tale ministero, che divisero in un cogli Apostoli; senza che per altro i Diaconi cessassero per questo dall’incarico primiero di governare le mense, alle quali le vedove ed i poveri gratuitamente si assidevano lutti i giorni. I Diaconi nei primi tempi del Cristianesimo, incaricati di sacre funzioni, ministri della Chiesa e degli Apostoli, accompagnavano i Vescovi in tutte le circostanze, vegliavano alla loro custodia quando predicavano, li seguivano ai Concili, li assistevano nelle ordinazioni e nell’amministrazione degli altri Sacramenti. I Vescovi non offrivano punto il Sacrificio senza essere assistiti dai Diaconi; siccome il glorioso San Lorenzo rammentò al pontefice San Sisto, allorché questi veniva condotto al martirio: «Padre santo, ei gli disse, dove n’andate senza il vostro Diacono? Giammai non avete offerto il Sacrificio senza di lui ». Erano i Diaconi che leggevano alla Messa il Vangelo, siccome è loro ufficio anche ai giorni nostri; essi presentavano al Sacerdote il pane ed il vino che dovevano esser cangiati nel corpo e nel sangue del Salvatore. Né soltanto amministravano il Battesimo, dispensavano le elemosine e vegliavano al nutrimento delle vedove e dei poveri: era inoltre loro obbligo di visitare e sollevare i Confessori ed i Martiri che gemevano nelle prigioni, onde esortarli, consolarli, animarli a soffrire coraggiosamente per la fede. Ai tempi nostri le funzioni dei Diaconi son limitate al servigio dell’altare in cui offrono l’augusto Sacrificio i Vescovi ed i Sacerdoti, ed a cantare l’Evangelio nelle Messe solenni. – Rispetto all’ordinazione dei primi Diaconi, i fedeli di Gerusalemme scelsero fra loro sette uomini di buona riputazione, pieni di Spirito Santo e di sapienza, e li condussero davanti gli Apostoli, i quali, fatta orazione, imposero loro le mani [Atti, VI, 5-6]. Donde scorgesi che in allora, siccome al presente, le cerimonie della loro ordinazione consistevano nell’orazione e nell’imposizione delle mani. Allorché il Vescovo è seduto sul suo faldistorio nel mezzo dell’altare, l’Arcidiacono gli dice : « Mio reverendo Padre, la santa Chiesa cattolica, madre nostra, vi domanda di conferire a questi Suddiaconi l’ufficio del Diaconato.— Sapete voi, risponde il Prelato, ch’essi ne siano degni?—Lo so, risponde l’Arcidiacono, e ne faccio testimonianza, per quanto è dato di conoscerlo all’umana debolezza. — Sia ringraziato Iddio, risponde il Vescovo. Poscia rivolgendosi al clero ed al popolo, loro dice: Coll’aiuto di Dio e del Salvator nostro Gesù Cristo noi scegliamo questi Suddiaconi per innalzarli alla dignità di Diaconi. Se alcuno ha contr’essi qualche reclamo da esporre, si avanzi arditamente e parli; ma non dimentichi lo stato suo. E ciò detto, si ferma qualche istante onde lasciare ai fedeli il tempo di rispondere. – Codesto avviso rammemora l’antica usanza della Chiesa, giusta la quale il clero ed il popolo erano consultati intorno alle ordinazioni dei sacri Ministri; in oggi le necessità dei tempi indussero la Chiesa a cangiar di sistema su questo punto di disciplina, ed a riserbare ai soli superiori l’incarico di esaminare gli aspiranti sulle loro doti e sulla loro vocazione. Ciò nondimeno per conservare, quant’è possibile, il rito antico, e per assicurarsi che l’eletto è veramente irreprensibile, la Chiesa ha stabilito delle pubblicazioni che si fanno prima di cominciare i discorsi parrocchiali, nonché la cerimonia che precede, siccome abbiamo detto poc’anzi, l’ordinazione dai Diaconi e dei Sacerdoti. – Se i fedeli non inoltrano alcuna lagnanza, il Vescovo si rivolge agli ordinandi, e loro ricorda la dignità dell’Ordini che sono per ricevere, le incombenze che vi sono annesse e le virtù che tali uffici esigono. Il Vescovo comincia poscia la lettura di un prefazio, che è come l’introduzione alla grand’opera che sta per compiere, ed arrestandosi ad un tratto a mezzo del medesimo, impone la mano destra sul capo di ogni ordinando, e gli dice: «Ricevi lo Spirito Santo onde aver forza di resistere al demonio ed alle sue tentazioni ». Non impone ad essi ambedue le mani, a fine di mostrare che i Diaconi non ricevono lo Spirito Santo con quella pienezza con cui lo ricevono i Sacerdoti. Compiuta questa cerimonia e terminato il prefazio, il Vescovo porge a ciascuno dei Diaconi la stola, simbolo della podestà che vien loro conferita: « Ricevi, egli dice, dalla mano di Dio, questa bianca stola, ed adempì il tuo ministero: Iddio è onnipossente, Egli aumenterà in te la sua grazia ». La stola del Diacono non è indossata alla guisa istessa con cui se ne rivestono i Sacerdoti, e ciò per mostrare che non hanno l’istessa dignità. Il Vescovo li veste in seguito della dalmatica: pronunziando le parole : « Ti doni Iddio il vestito della salute, e l’indumento della gioia, e per la sua potenza ti ricopra mai sempre colla dalmatica della giustizia. Così sia ». Finalmente il Vescovo presentando al Diacono il libro degl’Evangeli, gli dice: « Ricevi il potere di leggere gli Evangeli nella Chiesa pei vivi e pei defunti, in nome del Padre, ecc. ». L’ordinazione finisce colla preghiera del Vescovo e del popolo, che uniscono le loro voci ed i cuori onde invocare sui nuovi eletti protezione del Signore.

– All’ordinazione dei Diaconi tiene dietro quella dei Sacerdoti. – Offrire il santo Sacrifizio; benedire il popolo nella Messa, nelle assemblee e nell’amministrazione dei Sacramenti, onde attirare sopra di lui le grazie del Cielo; presiedere alle adunanze che si tengono nella Chiesa per rendere a Dio il culto che gli è dovuto; predicare la divina parola di cui sono i banditori; battezzare ed amministrare gli altri Sacramenti, e quelli in ispecial modo che sono stati stabiliti per la remissione dei peccati: ecco quali furono, sino dai primordi della Chiesa, e quali sono ancora ai giorni nostri le funzioni dei Sacerdoti. Soltanto, nei primi secoli, la predicazione fu riserbata ai Vedovi, e ciò fino al tempo di San Giovanni Crisostomo e di Sant’Agostino, i quali idempirono cotale ministero per comando dei loro Vescovi, sebbene non fossero allora che semplici Sacerdoti. Laonde gli offici dei Preti sono di due sorta: gli uni riguardano il corpo naturale del Signor Nostro Gesù Cristo; gli altri riguardano il suo corpo mistico ch’è la Chiesa. Non esistono funzioni più auguste, né poteri più formidabili. – Prima di confidarli ad essi, il Vescovo, assiso nel mezzo dell’altare sul suo faldistorio, vuole assicurarsi se ne sono degni. Mio reverendo Padre, gli dice l’Arcidiacono, la santa Chiesa cattolica, madre nostra, domanda che voi consacriate Sacerdoti questi Diaconi che io vi presento. — « Sapete voi, ripiglia il Vescovo, ch’essi ne siano meritevoli? » Ed avuta risposta favorevole dall’Arcidiacono, il Prelato così prosegue: « Sia lodato il Signore. » Rivolgendosi poscia al popolo, e ricordandogli che il suo spirituale vantaggio esige che egli abbia de’ santi Sacerdoti, lo interroga, onde conformarsi all’antica disciplina della Chiesa, come la pensi de’ novelli Diaconi [L’elezione di San Basilio è un esempio illustre che ci dimostra fin dove spingevasi nei primi secoli della Chiesa la deferenza che i Vescovi avevano per la scelta e pei suffragi del popolo nelle ordinazioni, e come ancora vi si opponessero, allorquando si accorgevano che tali opposizioni erano suggerite dalla passione o dall’intrigo, anziché dall’osservanza delle regole, e dallo zelo per la gloria di Dio e pel vantaggio de’ fedeli]. Se nessuno si alza per reclamare, il Pontefice s’indirizza ai Diaconi, e li ammonisce sulla natura, sull’origine e sulle funzioni sublimi del Sacerdozio. I Preti, ei dice loro, sono i successori dei settantadue vegliardi, che Mose per comando di Dio, aveva scelti onde l’aiutassero nel suo ministero, amministrassero la giustizia, e vegliassero sull’osservanza dei dieci Comandamenti. – Questi vegliardi non erano che la figura de’settantadue discepoli che Gesù Cristo mandò a due a due per predicare ed istruire colla parola e coll’esempio. « Siate degni, o miei cari figli, soggiunge il Pontefice, di essere gli aiutanti di Mosè e dei dodici Apostoli, vale a dire, dei Vescovi cattolici, figurati da Mosè e dagli Apostoli, e stabiliti per governare la Chiesa di Dio ». – Dopo questa esortazione comincia maestosa cerimonia della prostrazione. Innanzi di essere ammesso al Battesimo l’uomo dové per tre volte rinunciare a satana; e così pure prima di venir ammesso al Sacerdozio, il Cristiano deve per tre volte rinunziare alla terra, alla carne ed al sangue. Egli è soltanto dopo di aver fatto questa triplice rinunzia che gli si apre l’adito per giungere fino al santo altare. Seguita poscia l’imposizione delle mani. Il Vescovo in silenzio impone le mani sul capo di ogni Diacono, e tutti i Sacerdoti assistenti all’augusta cerimonia rivestiti della sacra stola, imitano il suo esempio. Il Vescovo risale quindi all’altare, e rivolgendosi verso gli ordinandi stende sovr’essi le mani, imitato in ciò da tutti i Sacerdoti, e recita nello stesso tempo una preghiera colla quale scongiura il Signore a donar loro il suo Santo Spirito e la grazia del Sacerdozio. – La podestà di conferire gli Ordini sacri non spetta che al Vescovo, ed egli solo come consacrante può imporre le mani. Se i Sacerdoti presenti all’ordinazione impongono con lui, ciò è solo per conformarsi all’uso della Chiesa primitiva; uso venerabile che ricorda come l’Episcopato ed il Clero formino un solo Sacerdozio. Il Vescovo mette quindi sul petto degli ordinandi in forma di croce la stola, che a grado di Diaconi portavano sulla spalla sinistra, e loro dice: «Ricevete il gioco del Signore : Il suo giogo è dolce, e soave è il suo peso ». Li riveste poscia della pianeta, loro rivolgendo queste parole: « Ricevete l’abito sacerdotale, simbolo della carità » . E il sacerdote sarà per ciò un uomo di carità, anzi la carità personificata. La pianeta che il Vescovo porge ai Sacerdoti, non è distesa dal lato posteriore, ma rimane avvolta sulle spalle. Essi non hanno ancora ricevuto tutta la grazia del Sacerdozio; allora soltanto deve essa distendersi compiutamente, quando il Vescovo avrà ad essi conferito il potere di rimettere i peccati. – Dopo la recita di un bel prefazio, che annunzia un’opera sublime, il Vescovo intona il Veni creator, onde chiamare sugli ordinandi lo Spirito santificatore con tutti i suoi doni. Mentre il coro prosegue nel canto dell’inno, il Pontefice consacra le mani dei nuovi Sacerdoti mediante copiosa unzione coll’olio de’ catecumeni. Egli dice intanto: « Degnatevi, o Signore, di consacrare e di santificare queste mani colla santa unzione e colla vostra benedizione ». Fa poscia il segno della croce, e continua: « Possa, nel nome di Gesù Cristo Signor Nostro, esser benedetto tutto ciò ch’essi benediranno, e consacrato e santificato tutto ciò che consacreranno e santificheranno». Ognuno degli ordinandi risponde : « Così sia ». – Si legano dopo di ciò le mani dei nuovi Sacerdoti con un nastro, e le dita consacrate sono disgiunte dalle altre col mezzo di una fettuccia di pane che servirà a purificarle; il Vescovo fa loro poscia toccare il calice, in cui v’ha e vino ed acqua, e fa toccare egualmente la patena sulla quale è un’ostia, loro dicendo nello stesso tempo: « Ricevete il potere di offrire a Dio il Sacrificio e di celebrare la Messa, tanto pei vivi quanto pei defunti». Ed eccoli Sacerdoti per sempre secondo l’ordine di Melchisedech! La prima funzione del Sacerdote è di offrire il Sacrificio, e tosto essi l’offrono in compagnia del Vescovo. La Messa celebrata in tal modo ricorda il rito praticato nei primi secoli: allorché in tutte le chiese non si faceva che un officio solo, il Vescovo stava all’altare, e tutti i Sacerdoti offrivano insieme con lui. Compiuta la Comunione, il Vescovo recita il bellissimo responsorio, composto colle parole che il Salvatore nell’effusione del suo cuore rivolse agli Apostoli, dopo di averli fatti partecipi del suo corpo e del suo sangue: « Io non vi chiamerò più miei servitori, o amici dilettissimi, poiché sapete tutto ciò che ho fatto in mezzo a voi. Voi siete i miei amici; fate quello che vi ho comandato». – Il Vescovo, dopo aver pronunziate queste parole, si assicura della fede dei novelli Sacerdoti facendo loro recitare il Simbolo degli Apostoli. Essi sono inviati per predicare; essi devono annunziare la fede in tutta la sua purezza. I nuovi eletti vengono poscia a prostrarsi a piedi del Prelato, ed egli impone loro le mani, dicendo: « Ricevete lo Spirito Santo: saranno rimessi i peccati a chi li rimetterete, e saranno ritenuti a chi li riterrete »; ed a fine di mostrare ai medesimi la pienezza della loro podestà scioglie la pianeta tuttora avvolta sulle spalle, dicendo: « Iddio vi rivesta del manto della innocenza »; vale a dire, siate puri e santi onde render santi anche gli altri. – Esige poscia da ciascuno d’essi rispetto ed obbedienza, perciocché la Chiesa è bella e terribile come esercito schierato a battaglia. Cotal dote di beltà e di forza non può sussistere senza l’ordine, né l’ordine senza subordinazione. Questa per altro è dolce e mite nella Chiesa, ed è rivolta a fare di tutti i cuori de’ suoi Ministri un cuor solo ed un’anima sola, poiché si fonda interamente sulla carità. Ed ecco perché il Vescovo, finite tutte queste nobili e splendide cerimonie, dona il bacio di pace a tutti i novelli Sacerdoti. Ripetiamolo ancora una volta: si tenga dietro al complesso di tutte queste magnifiche cerimonie, e poi si dica se il culto cattolico non soddisfaccia ad un tempo la ragione, il cuore ed i sensi! Che potremmo ora dire dell’importanza del Sacramento dell’Ordine? – Una sola parola basta per provare la sua necessità sociale: non esiste società senza Religione, non Religione senza Sacerdoti, non Sacerdoti senza il Sacramento dell’Ordine; dunque senza il Sacramento dell’Ordine non può esistere società. E con questo intendo di dire vera società, vale a dire, consorzio d’uomini fra loro legati per conservare e perfezionare il loro essere fisico, intellettuale, morale. – Le società antiche, tranne la giudaica, erano piuttosto aggregazioni d’individui vincolati dalla forza, e non aventi altro scopo che l’esistenza e lo svolgimento degli interessi materiali. Le società protestanti, se, pur son degne di tal nome, non vanno debitrici del loro perfezionamento, per quanto il posseggono, che a quelle tradizioni cattoliche cui hanno conservate; giacché i popoli non possono vivere che per le verità cristiane; e vero cristianesimo non esiste fuori della Chiesa, né è che dal Sacerdozio cattolico debbono i nostri fratelli separati riconoscere la loro vita sociale, ossia tutto quello che loro rimane di credenze e di costumi.

Preghiera

O mio Dio, che siete tutto amore, ringrazio che abbiate stabilito diversi Ordini di Ministri nella vostra Chiesa. Ciò è per vostra gloria e per mia salute: concedetemi la grazia di poter essere figlio docile e rispettoso di questa Chiesa così santa, così bella, così tenera pei suoi figli. Mi propongo di amar Dio sopra tutte le cose e il prossimo come me stesso per amor di Dio, e in prova di questo amore avrò il più profondo rispetto per le persone consacrate a Dio.

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(Nota redazionale: Questo è il vero sacerdozio cattolico istituito dalla Chiesa di Cristo da secoli e millenni. Tutto ciò che si discosta dal conferimento di questo Ordine Sacro, definito infallibilmente ed irreformabilmente dal Santo Concilio di Trento, non si può definire cattolico, ma è blasfemo e sacrilego. Questo vale per la setta del Novus Ordo, che ha usurpato l’etichetta di “cattolica”, che non le appartiene più da tempo e serve per ingannare gli sprovveduti, nonché per le sette senza giurisdizione e missione canonica, lupi e briganti, melma che cola dal sepolcro imbiancato del massone Lienart [si, il grande eletto, il cavaliere Kadosh, l’iniziato perfetto, il cavaliere dell’aquila bianca e nera, quello di Nekam Adonai !!] e dello psicopatico famelico Thuc! Che Dio conservi la Chiesa Cattolica e le dia nuovamente splendore e visibilità … non praevalebunt …!)

 

 

 

 

Sacramento dell’ORDINE -1-

[J. –J. Gaume, Catechismo di perseveranza. Vol. II – Torino 1881]

I Sacramenti preparano, compiono, restaurano, rassodano la nostra unione col Signore Nostro. Ma questa unione divina deve essere possibile per tutte le generazioni che verranno a questo mondo fino alla fine dei secoli; ed ecco il Figlio di Dio ne volle stabiliti i mezzi; poiché Egli è il Salvatore di tutti gli uomini che sono stati, sono e saranno; ed a tant’uopo ha istituito:

Il Sacramento dell’Ordine.

I . Definizione di questo Sacramento. — L’Ordine è un Sacramento istituito dal Signor Nostro Gesù Cristo, che dona la podestà di fare l’ecclesiastiche funzioni, e la grazia di esercitarle santamente. Ritrovasi nell’azione, colla quale vengono consacrati i Ministri degli altari, tutto ciò che si richiede perchè sia un Sacramento della nuova Legge. 1° Un segno esteriore e sensibile sono l’imposizione delle mani ed il tocco dei sacri vasi, nonché le preghiere del Vescovo; 2° è un segno istituito da Nostro Signore Gesù Cristo; 3° è un segno che ha la virtù di produrre la grazia. Nel corso della presente Lezione troveremo le prove di tutto questo. Perciò l’Ordine è sempre stato ritenuto un Sacramento, come dimostrano le più antiche liturgie, quelle comprese eziandio delle sètte disgiunte dall’unità cattolica, cominciando fino dai primi secoli [Drouin, De re Sacrament. – Chardon. Istoria dei Sacramenti, t. VI, etc.], i Padri più illustri della Chiesa, quali, ad esempio, Sant’Agostino [Lib. II Cont. Epist. Parmen., c. 13], San Giov. Crisostomo [Lib. III, De Sacerdot. , c. 42], San Girolamo [Adv. Lucifer.], San Leone [Epist. Ad Dioscor. LXXXI], favellano dell’Ordine come di un vero Sacramento. Ed a tali irrefragabili autorità noi aggiungeremo soltanto il fatto seguente. Nel quarto secolo viveva un santo personaggio, di nome Martirio, il quale, per umiltà, rifiutava di esser ordinato Diacono, e diceva a Nettario, Patriarca di Costantinopoli, nuovamente battezzato ed ordinato: « Voi siete stato purificato e santificato mediante due Sacramenti, il Battesimo e l’Ordine » [Sezem. Histor. Lib. VII, c. 10]. Si credeva dunque che l’Ordine era un Sacramento istituito da Gesù Cristo, e che aveva, come il Battesimo, la virtù di conferire la grazia. Tu dunque, o Chiesa, fosti l’organo infallibile, su questo punto, come su tutti gli altri, della tradizione e della Scrittura, allorché scagliasti contro la superbia della ragione questo solenne anatema: «Se alcuno osa asserire, che l’Ordine o l’Ordinazione non è un vera Sacramento istituito da Nostro Signore Gesù Cristo, sia costui anatema! » [Conc. Trid., sess. XXIII, can. 3.]. – Questo Sacramento vien detto Ordine, perché in esso trovansi più gradi, subordinati gli uni agli altri, ma tutti rivolti ad un fine medesimo, siccome in seguito spiegheremo.

II. Elementi del Sacramento dell’Ordine. L’imposizione delle mani e il toccamente dei vasi sacri sono la materia di questo Sacramento; le preghiere del Ministro ne sono la forma [FERRARIS, art. Ordo, II. 49]. Queste preghiere non potrebbero essere più venerabili, atteso ché le veggiamo adoperate cominciando dai primordi della Chiesa fino ai nostri giorni: nell’ordinare i primi Diaconi gli Apostoli loro imponevano le mani e pregavano per I Ministri del Sacramento dell’Ordine sono i Vescovi: tale si è l’insegnamento della Chiesa cattolica.

III. Sua istituzione. Il Sacramento dell’Ordine fu preconizzato dal Salvatore, allorché disse ai suoi Apostoli che li avrebbe fatti suoi Ministri, e pescatori di uomini. [Matth. IV]. Egli li ordinò Sacerdoti la sera, in cui dopo di aver ai medesimi distribuito il suo corpo ed il suo sangue allor allora consacrato, rivolse ad essi le seguenti parole: « Fate questo in memoria di me.» Parole onnipotenti e sempremai efficaci, che conferiscono agli Apostoli ed ai loro successori il sublime potere di operare il miracolo che il Figlio di Dio aveva in quel punto operato, vale a dire, il tramutare il pane ed il vino nel suo corpo e nel suo sangue, e di distribuirlo ai fedeli. Egli finalmente li consacrò Sacerdoti com’esso, secondo l’ordine di Melchisedech, vale a dire, per sempre; ed ecco perchè il Concilio di Trento dichiarò anatema colui che avesse osato asserire che il carattere sacerdotale può venir cancellato. [Sess. XXIII, can. 4].

IV. Suoi effetti. Gli effetti del Sacramento dell’ordine sono: 1° di dare a colui che lo riceve una grazia che lo santifica e lo mette in istato di compiere le sue funzioni per il vanaggio della Chiesa; 2° d’imprimere un carattere incancellabile, di modo che non possa giammài venir perduto, né per conseguenza venir ristabilito mediante una nuova ordinazione ; 3° di conferire la potestà di consacrare il corpo di Nostro Signore, e la possanza di rimettere e di ritenere i peccati degli uomini. Laonde le funzioni del Sacerdote non hanno solamente per iscopo di consacrare l’Eucaristia, ma si estendono ben anco a tutto ciò che si riferisce alla salute dei fedeli. Egli è perciò che dicesi conferir l’Ordine un duplice potere: 1° sul corpo naturale di Gesù Cristo, cui i Sacerdoti possono consacrare e distribuire ai fedeli; 2° sul corpo mistico di Gesù Cristo, che è la Chiesa, di cui i Sacerdoti sono appunto come l’anima. Continuatori del Figlio di Dio, essi hanno il potere d’insegnare, di battezzare, di rimettere i peccati; in una parola, di fare tutto ciò ch’è necessario onde conservare ognor vivo questo corpo e condurlo alla sua eterna unione nei Cieli col nuovo Adamo che n’è il capo. – Tutti codesti poteri discendono dal medesimo Signor Nostro Gesù Cristo. E primieramente il potere di consacrare il suo corpo ed il suo sangue. Questo Ei conferì ai suoi Apostoli ed ai loro successori colle parole poc’anzi da noi accennate: “E preso il pane, rendé le grazie, e lo spezzò, e lo diede loro dicendo: Questo è il mio corpo, il quale è dato per voi; fate questo in memoria di me “. – In seguito, il potere d’insegnare, di battezzare e di governare, colle seguenti: “È stata data a me tutta la podestà in cielo ed in terra. Andate dunque, istruite tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo; insegnando loro di osservare tutto quello che vi ho comandato [Matt. XXVII, 18-20]. Finalmente il potere di rimettere tutti i peccati e di togliere tutti gli ostacoli, che potrebbero impedire ai fedeli di giungere al Cielo, mediante queste parole: “Come mandò me il Padre, anch’io mando voi…. Ricevete lo Spirito Santo: saranno rimessi i peccati a chi li rimetterete, e saran ritenuti a chi li riterrete [Giov. XX, 21-23]. In verità vi dico: Tutto quello che legherete sulla terra, sarà legato anche nel Cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra, sarà sciolto anche nel Cielo” [Matt. XVIII, 18].– Tali sono i poteri, formidabili agli Angeli stessi, che il nuovo Adamo ha confidato ai suoi Ministri. Quale umano linguaggio può convenevolmente esporre la dignità del Sacerdozio e la grandezza del Sacerdote? Era grande il primo uomo, che, costituito re dell’universo, comandava a tutti gli abitanti de’ suoi vasti domini, e n’era docilmente obbedito. Era grande Mosè, che con una parola divideva le acque del mare, e fra le sponde da quelle formate faceva passare a piedi asciutti un popolo intero. Era grande Giosuè, che intimava al sole: « Fermati, o sole»; e il sole si fermava, obbedendo alla voce di un mortale. Son grandi i re della terra, che comandano a numerosi eserciti, e fanno tremare il mondo col solo loro nome. Or bene, esiste un uomo più grande ancora; esiste un uomo, che ogni giorno, quando gli piaccia, apre le porte del Cielo, ed indirizzandosi al Figlio dell’Eterno, al Monarca dei mondi, gli dice: Discendete dal vostro trono, e venite. Docile alla voce di quest’uomo, il Verbo di Dio, Colui pel quale tutto è stato fatto, discende sull’istante dal soggiorno della sua gloria, e s’incarna fin le mani di questo uomo più possente dei re, più degli Angeli, più dell’augusta Maria; e quest’uomo gli dice: Voi siete mio figlio, in oggi vi ho generato; voi siete mia vittima, ed Egli si lascia immolare, collocare dove vuole, donare a chi vuole: quest’uomo è il Sacerdote!!! Ma il Sacerdote non è soltanto onnipossente sul Cielo e sul corpo naturale dell’Uomo-Dio; egli è ancora onnipossente e sulla terra e sul corpo mistico di Gesù Cristo. Mirate. Un uomo è caduto fra i lacci del demonio; quale potenza potrà liberanelo? – Chiamate in aiuto di questo infelice gli Angeli e gli Arcangeli, San Michele istesso, capo della celeste milizia, vincitore di satana e delle ribelli sue legioni. Il santo Arcangelo potrà bensì cacciare i demoni che assediano questo sventurato, ma non già quello che ha sede nel suo cuorem non potrà mai infrangere le catene del peccatore che pure ha riposto in lui la sua fiducia. A chi dunque rivolgersi per esserne liberato? Chiamate Maria, la Madre di Dio, la Regina degli Angeli e degli uomini, il terrore dell’inferno: Ella può bensì pregare per quest’anima, ma non può assolverla dal minimo peccato: il solo Sacerdote ne ha il potere. Mirabile a dirsi! Supponete che il Redentore in Persona discenda visibilmente in una chiesa, ed assidasi in un confessionale per amministrare il Sacramento della Penitenza, mentre un Sacerdote va collocarsi in un altro. Il Figlio di Dio dice: Io ti assolvo; e il Sacerdote dall’altra parte pronunzia: Io ti assolvo; così dall’uno come dall’altro il penitente rimane egualmente assolto da’ suoi peccati. Laonde il Sacerdote, possente come Iddio, può in un istante strappare all’inferno il peccatore, renderlo degno del paradiso; può, da schiavo del demonio, tramutarlo in un figlio di Abramo, e Iddio medesimo si obbliga di riportarsi al giudizio del Sacerdote, di ricusare o concedere il suo perdono, secondo che il Sacerdote ricusa od accordi l’assoluzione, purché il penitente ne sia degno [Maxim. Episc. Taurin]. La sentenza è pronunciata dal Sacerdote: Iddio non fa che sottoscriverla. Si può mai concepire potere più grande, dignità più sublime? – Più non mi meraviglio se ascolto il Figlio di Dio rivolgere ai Sacerdoti queste sublimi parole: « Colui che vi ascolta, ascolta me; colui che vi disprezza, disprezza me »; o se rivolge il seguente avvertimento a tutte le nazioni dell’universo: «Guardatevi dal toccare i miei unti; colui che li tocca, tocca la pupilla de’ miei occhi ». Più non mi meraviglio se vedo nel Concilio di Nicea il padrone del mondo, il magno Costantino, scegliere per sé l’ultimo posto dopo quelli di tutti i Sacerdoti, e ricusarsi di sedere, se prima non ha ottenuto il loro permesso. Più non mi meraviglio se ascolto San Francesco d’Assisi, che per umiltà ricusò finché visse l’onore del Sacerdozio, esclamare: Se incontrassi in compagnia di un Angelo un Sacerdote, piegherei primieramente il ginocchio innanzi al Sacerdote, ed in seguito innanzi all’Angelo. No; nulla di tutto questo mi reca meraviglia; ciò solo che all’eccesso mi sorprende, si è di vedere gli uomini ed i fanciulli stessi disprezzare il Sacerdote! Abbiamo fin qui parlato della sua possanza; ma chi potrà enumerare i suoi benefizi? Il Sacerdote è il benefattore della umanità colle sue preghiere, colle sue istruzioni, colla sua carità. – Colle sue preghiere. Il mondo è un vasto campo di battaglia, in cui gli uomini stanno alle prese colle potenze infernali e colle proprie passioni. La vittoria sarebbe perduta per gl’infelici figli di Adamo, se novelli ed onnipossenti Mosè non pregassero per loro sulla montagna; questi Mose sono i Sacerdoti. La terra colpevole invia notte e giorno verso il Cielo milioni di delitti che provocano le vendette di Dio; come in un giorno di tempesta la folgore scoppierebbe ad ogni minuto sulla testa dei colpevoli, se i Sacerdoti, mediante le loro preghiere e il loro sacrificio, non le trattenessero nelle mani dell’Onnipossente. Gli uomini bisognosi e colpevoli mancano del pane necessario al loro sostentamento: peccatori quali sono, come potrebbero invocare la bontà del Padre che non rifiniscono di oltraggiare? Ma il Sacerdote innalza per essi verso il Cielo le pure sue mani, e la rugiada benefica feconda le campagne, e l’abbondanza succede alla carestia. – Colle sue istruzioni. Il mondo è un vasto deserto in cui regna continuamente una fonda oscurità; mille strade s’incrocino, ingannano i viaggiatori e li traggono nell’abisso; mille precipizi sono sparsi ovunque; mille mostri affamati aspettano preda a gola spalancata, con occhi a viaggiatore costretto a percorrere il pericoloso deserto della vita. Donde vien esso? Ei nulla ne sa. Dove va? Ei lo ignora. Qual via deve pigliare? Egli non sa discernerla. Ma sarà dunque infallibilmente perduto? No; il Sacerdote è pronto al suo soccorso; guida fedele, viene a prendere per mano il giovane viaggiatore, gl’insegna la strada, la percorre in sua compagnia, e non lo abbandona che dopo averlo messo al sicuro. – Ecco ciò che fa il Sacerdote per tutti gli uomini che vengono al mondo. Ecco quello che ha fatto pel genere umano tutto intero, per questo cieco si fattamente perduto, che, or sono diciotto secoli, più non sapeva correre che di abisso in abisso. È il Sacerdote che disperde la nebbia degli errori più grossolani, più brutali, più vergognosi, de’ quali il mondo era vittima infelice e conculcata; è il Sacerdote che toglie il mondo dalla barbarie, e gl’impedisce di ricadérvi; è il Sacerdote, che a prezzo del suo sangue stesso e della sua vita civilizza tuttora le selvagge nazioni, come un tempo civilizzò i nostri padri. [Si possono consultare le Lettere recentissime dei Missionari dell’Oceania, pubblicate negli Annali della Propagazione della Fede, n. 56]. Colla carità. Percorrete le città e le campagne, informatevi chi ne fu il fondatore, chi sia il sostegno delle istituzioni veramente utili all’umanità, così per l’infanzia che ha fatto appena il suo ingresso nel mondo, come per la vecchiaia che ben presto è per uscirne: voi sempre udrete nominare un Sacerdote. Discendete nella capanna del povero, chiedetegli chi mai gli abbia donato il pane di cui si ciba; e vi risponderà ch’è un Sacerdote, od una persona eccitata dallo zelo del Sacerdote. Accostatevi al capezzale dell’ammalato, di quell’ammalato che tutto il mondo abbandona, di cui tutti si stancano; interrogatelo chi sia l’angelo consolatore che versa nel suo cuore il balsamo del refrigerio e della speranza; e vi risponderà, un Sacerdote. Penetrate nella carcere del malfattore; chi è che alleggerisce il peso de’ suoi ferri? un Sacerdote. Salite sul patibolo del condannato; chi trovate voi a fianco della vittima? è qui pure un Sacerdote, un Sacerdote che con una mano presenta la croce a quello sciagurato, coll’altra gli addita il Cielo. Esaminate ad una ad una tutte le miserie corporali e spirituali della povera umanità, e non ne troverete una sola che non sia giornalmente alleviata dal Sacerdote, senza fasto, senza ostentazione, senza terrene speranze, senza umane ricompense. Noi siamo obbligati di amar tutti, di amare come noi stessi i nostri nemici, e ciò nondimeno a’ giorni nostri non si ama il Sacerdote! In oggi si odia il Sacerdote, e si fa scopo di sacrileghi ludibri, di empie calunnie! Il Sacerdote non se ne lagna: il discepolo non è da più del Maestro! La sua bocca non s’apre che per perdonare, come il suo braccio non si muove che per benedire. – A tutti coloro che si affliggono nel vederlo in tal guisa disconosciuto, oltraggiato, perseguitato, ei si contenta di rispondere come il suo Maestro, quando portava la croce sul Calvario: Figliuole di Gerusalemme, non piangete su di me; egli è su di voi e sui vostri figli che dovete piangere; il popolo che oltraggia il proprio Sacerdote si fa complice del delitto de’giudei; egli avrà parte alle sue punizioni. E frattanto, ad imitazione de’ primi Cristiani che ritardavano con tutta la forza delle loro preghiere la caduta dell’Impero Romano, il Sacerdote scongiura colle proprie suppliche gli uragani già pronti a scatenarsi sul mondo colpevole. Imitatore del divino Esemplare, ei cerca di passare operando il bene. I suoi più crudeli nemici ancor essi sono partecipi della sua carità: udite. Uno di quei grandi scellerati, il quale, durante i giorni delle nostre sventure, si era macchiato de’più orribili delitti, e più volte si era bagnato nel sangue dei Sacerdoti, cadde infermo. Egli aveva giurato che nessun Sacerdote avrebbe mai posto piede nelle sue stanze, o almeno, se per sorpresa vi si fosse intromesso, più non ne sarebbe uscito. Intanto la malattia assunse aspetto mortale, ed un Sacerdote ne venne avvisato, senza dissimulargli le ostili disposizioni dell’infermo. Ma non importa: il buon pastore sa che deve offrire la vita per salvare le sue pecorelle. Egli perciò fa di se stesso il sacrificio senza punto esitare, e si presenta coraggioso. Al vederlo colui monta in furia, e raccogliendo tutte le sue forze: E che, esclamò egli con voce terribile, e che? Un Sacerdote a casa mia! Mi si diano tosto le armi! — Fratello mio, gli chiese allora il Sacerdote, che volete voi farne? Io ne ho delle più possenti da contrapporvi: la mia carità e la mia costanza. — Presto le mie armi! ripeteva quel maniaco ; un Sacerdote ai miei fianchi? A me le armi! — Com’è facile immaginare, queste non gli furono recate; per cui traendo fuori del letto un braccio nerboruto: Sai tu, disse allora al Sacerdote, sai tu che questo braccio ha sgozzato dodici tuoi pari? — V’ingannate, o fratel mio, soggiunse allora dolcemente il Ministro; a quel numero ne manca uno; il dodicesimo non mori; il dodicesimo son io. Mirate, proseguì poscia scoprendosi il petto, ecco le cicatrici dei colpi che mi scagliaste. Iddio mi ha conservato in vita per salvarvi: e in ciò dire gettossi con tutto l’affetto al collo dell’infermo, ed lo aiutò a ben morire. Se mille Sacerdoti non hanno offerto simile esempio, egli è perché ad un solo si è presentata sì bella occasione. Ecco il Sacerdote!!!

V. Disposizioni per ricevere il Sacramento dell’Ordine. – Oltre una scienza convenevole e una virtù più che ordinaria, che faccia dei Sacerdoti altrettante guide e modelli del gregge confidato alle loro cure, tutti quelli che aspirano agli ordini santi devono avere eziandio, l’età richiese dai sacri canoni. Pel suddiaconato ventidue anni; pel diaconato ventitré; pel presbiterato venticinque [Conc. Trid. Sess. XXIII, c. 12] . Può forse immaginarsi cosa più saggia di questa disciplina? Se anche negli affari mondani è prescritta un’età matura all’uopo di poter occupare un’impiego, a ben maggior dritto la esige la Chiesa in coloro che desiderano di essere innalzati al Sacerdozio. 2° Essi non devono essere legati da qualsiasi censura od irregolarità che li renda indegni del Ministero ecclesiastico, [ad es. l’appartenenza alla massoneria, come fu il caso del sig. Achille Lienart,  “nokem adonay”-cavaliere kadosh 30° liv. che, non avendo mai ricevuto l’ordine, non lo ha mai neppure trasmettere ad alcuno, compreso M. Lefrebvre e gli epigoni delle pseudo-fraternità “non” sacerdotali … attenti al lupo -ndr.!!!!] od inabili ad esercitarne le funzioni. 3° Devono possedere una singolare vocazione per questo stato di vita. A Dio si appartiene lo scegliere i suoi ministri, come al re di eleggere propri servitori ed ufficiali.

VI. Necessità del Sacramento dell’Ordine. Codesto Sacramento è necessario alla Chiesa ed alla società. Senza il Sacramento dell’Ordine che procura ministri alla Chiesa e superiori ai fedeli, la Chiesa stessa non sarebbe più una società: tutto cadrebbe nel disordine e nella confusione; imperocché non possono darsi superiori che comandino senza inferiori che obbediscano. Ma se la Chiesa non esistesse, la società civile, di cui ella è anima, non potrebbe nemmeno esistere; poiché, sì come in seguito proveremo, non si dà società senza religione; non religione senza la Chiesa; non la Chiesa senza Vicari e Sacerdoti; non Sacerdoti senza il Sacramento dell’Ordine: dond’è che il Sacramento dell’Ordine è il cardine della Religione e dello Stato. Dopo di questo potrete voi meravigliarvi, se prima di conferire la podestà e la dignità del Sacerdozio, il nuovo Adamo e la Chiesa sua sposa richiedano lunghe prove ed austere preparazioni? Ah! è a questo proposito specialmente che si deve ammirare la loro divina saviezza !

Il primo passo verso il Santuario, è il ricevimento della tonsura. I più antichi Padri della Chiesa ed i sommi Scrittori ecclesiastici attestano che ella viene dagli Apostoli. Si assicura però che il primo ad istituirla fu l’apostolo San Pietro in memoria della corona di spine del Signor Nostro [DIONYS., De Eccl. hierar., 6., part. 2. — AUG., Serm. XVII, ad patres in eremo. – HIERON. in cap. XLIV Ezech. — RABAN. MAUR., lib. De Institut. cleric. — BED., lib. V, Hist. angl., c. 22]. Ma checché sia di ciò, la tonsura era stabilita nell’ottavo secolo, e sappiamo che risaliva eziandio a tempo più antico [Vedi FLEURY, Istituzioni di diritto canonico, part. I, c. 5]. Ora, portare la testa rasa era costume ignominioso che rendeva spregevole, dacché presso i Greci ed i Romani era questo un contrassegno di schiavitù [ARLSTOPH., in Avibus. — PHILOSTR., lib. VII]; ed ecco perché, secondo San Cipriano, si recidevano i capelli e la barba ai Cristiani condannati alle miniere [Epist. LXXVII]. Laonde la corona clericale è un segno di modestia e di rinunzia al mondo, una professione di amore verso la Croce e le umiliazioni di Gesù Cristo, che con tal mezzo appunto ha trionfato del mondo, e perciò i suoi successori non devono portare altre armi che queste. Assumere le insegne dell’Uomo-Dio è dunque il primo passo [è ovvio che chi non abbia fatto questo passo, né i successivi, non potrà mai considerarsi un sacerdote cattolico! -ndr.- ] da farsi per tutti quelli che aspirano all’onore di continuare la sua missione. Tutti i significati della tonsura son resi sensibili dalle preghiere e dalle cerimonie di cui fa uso la Chiesa nel conferirla. – Il Vescovo assiso su d’un faldistorio nel mezzo dell’altare, alla guisa del Salvatore medesimo nel mezzo de’ suoi discepoli, chiama gli aspiranti a ricevere la tonsura, ognuno pel suo proprio nome, onde mostrare che niuno per se stesso può entrare nella santa milizia, ma è mestieri esservi chiamato da Dio alla maniera di Aronne [Ebr. V, 4]. Tutti rispondono a lor volta di essere presenti, e si avvicinano all’altare per rendere testimonianza della loro prontezza nel corrispondere alla grazia della loro vocazione. Essi sono in sottana, lunga veste nera, che la Chiesa ha adottato pei suoi Ministri. Il colore e la forma denotano che devono essere morti al mondo, e che devono rinunziare colla mortificazione ai desideri della vita presente. Portano sul braccio sinistro una cotta bianca, simbolo di loro innocenza; nella mano destra un cero acceso, immagine eloquente della carità che infiamma i loro cuori, e li spinge a consacrarsi a Dio, e a dedicarsi interamente al suo servigio. [Vedi M. THIRAT, Spirito delle cerimonie della Chiesa, p. 141]. Allorquando sono inginocchiati attorno all’altare, il Vescovo si alza e supplica il Signore a cangiare, a purificare, ad infiammare il cuore de’ novelli suoi servi.- Tutto il popolo unisce le proprie alle preghiere del Pontefice, intonando il salmo che comincia : « Salvatemi, o Signore, poiché in voi solo io spero ». Nel mentre che il coro continua il canto, il Vescovo recide colle forbici in forma di croce i capelli dei tonsurati, e questi nello stesso tempo pronunziano quelle parole che attestano il loro desiderio di separarsi dal mondo, e di non voler possedere che il solo Gesù Cristo: « Il Signore è il mio calice e la mia ricchezza; siete voi, o mio Dio, che mi restituite la mia eredità ». Il Vescovo poscia adorna i tonsurati colla cotta, simbolo dell’innocenza nella quale devono vivere costantemente, e loro dice: « Vi rivesta il Signore dell’uomo che fu creato ad immagine di Dio, in uno stato di giustizia e di santità perfetta! » Con ciò la cerimonia è compiuta. Il Chierico più non appartiene al mondo; è servo di Dio, di cui ha indossato le insegne; il Nuovo Adamo è d’ora innanzi il solo suo modello. – La tonsura non è un Ordine, ma sebbene una santa cerimonia stabilita dalla Chiesa per separare dal mondo coloro che essa chiama allo stato ecclesiastico. È una specie di tirocinio che introduce al chiericato, soggetta alle leggi che riguardano i membri del clero, e diviene una preparazione per ricevere gli Ordini. Ma non basta l’aver separati dal secolo coloro che devono comporre la santa tribù, e che sono destinati a diventare la luce del mondo, il sole della terra, gli ausiliari di Gesù Cristo nell’opera di redenzione. Un esercito, perché possa riuscire vittorioso, deve essere disciplinato, deve avere e capi e soldati con attribuzioni diverse. Ed ecco perché Gesù Cristo ha stabilito diversi Ordini nel chiericato. « Siccome, dice santo Concilio di Trento, il Sacerdozio è una cosa tutta divina, era conveniente pel miglior governo della Chiesa, e affinché fosse esercitato con tutta la possibile dignità e col maggior decoro, che vi fossero molti e diversi ordini di ministri, i quali secondo i doveri delle proprie incombenza aiutassero i Sacerdoti a compiere le loro funzioni, e che essendo stati primieramente insigniti della clericale tonsura, salissero per questi diversi Ordini, come per altrettanti gradini, alla sommità del Santuario ». [Sess. XXIII]. Dopo queste parole del sacro Concilio si può risguardare l’altare come una montagna, santa ad un tempo e terribile, sulla quale non si può ascendere che lentamente, e dopo lunghe e rigorose preparazioni.I diversi Ordini sono dunque gli scalini di questa misteriosa montagna. Se ne contano sette, cioè: quattro minori: quello dell’Ostiario, del Lettore, dell’esorcista, dell’Accolito; e tre maggiori, Suddiaconato, Diaconato, Presbiterato. Questa distinzione di Ordini risale ai tempi apostolici [Lettere del Papa S. Cornelio nel 231. – Quarto Concilio di Cartagine, nel 398]. – Ascoltiamo su ciò l’Angelo delle scuole: la sua dottrina è ammirabile. «Tutti gli Ordini, esso dice,si riferiscono all’Eucaristia, e la loro dignità viene dal rapporto più o meno diretto ch’essi hanno con questo adorabile Sacramento. Nel grado il più sublime è il Sacerdote, perciocché consacra il corpo ed il sangue del Salvatore; nel secondo è il Diacono, che lo distribuisce; nel terzo il Suddiacono, poiché prepara nei sacri vasi la materia che deve essere tramutata; nel quarto l’Accolitato, che la prepara e la presenta in vasi non consacrati. Gli altri Ordini sono istituiti per preparare coloro che devono ricevere l’Eucaristia se sono impuri od immondi. Ora questi possono esser tali per tre modi: gli uni possono essere battezzati ed istruiti, ma se fossero energumeni non devono essere ammessi alla santa Comunione; dond’è che nel quinto grado si trovano gli Esorcisti, poiché sono stati stabiliti per liberarli dal demonio e renderli degni della santa Mensa. Altri non sono ancora né battezzati né istruiti sufficientemente, ma desiderano di esserlo; e per questi si trovano nel sesto grado i Lettori che sono incaricati di prepararli con le loro istruzioni, al Sacramento dei nostri altari. Gli ultimi finalmente sono gli infedeli, indegni per conseguenza di partecipare ai santi misteri; e per essi pure, al settimo grado si rinvengono gli Ostiarii, il cui ufficio è di allontanarli dalle congregazioni dei fedeli [Tutti questi divini Ministri, destinati dal loro stato a ciò che riguarda il culto di Dio ed il servizio della Chiesa, sono compresi sotto il nome di Chierici. Questa parola significa che sono scelti dal Signore, che sono sua ricchezza, e che il Signore medesimo è la loro eredità. San Gerolamo a Nepoziano]. Essi inoltre devono mantenere l’ordine e la decenza nell’interno del tempio in cui si deve offrire l’augusto Sacrificio » [III p., Suppl. 9, art. 2]. E non è questa forse un’ammirabile gerarchia? Ecco quanto guadagna la Religione, allorché sia degnamente studiata nelle sue istituzioni!

Preghiera.

O mio Dio, che siete tutto amore, vi ringrazio che abbiate istituito il Sacramento dell’Ordine per perpetuare la vostra reale presenza fra gli uomini, e per donare dei Ministri alla vostra Chiesa: io vi chiedo in grazia di poter nutrire un sommo rispetto per questo Sacramento, e per quelli che lo ricevono. – Mi propongo di amar Dio sopra tutte le cose e il prossimo come me stesso per amor di Dio, e in prova di questo amore, pregherò spesso pei Sacerdoti. [continua …[

[Le sottolineature sono redazionali]