DA SAN PIETRO A PIO XII (14)

[G. Sbuttoni: Da Pietro a Pio XII, Edit. A. B. E. S. Bologna, 1953; nihil ob. et imprim. Dic. 1952]

PARTE SECONDA

DAL 1000 AI NOSTRI GIORNI

CAPO IV.

IL RINASCIMENTO

PREAMBOLO

La civiltà italiana del rinascimento

Lo studio dei classici latini, mai cessato in Italia nel Medio Evo, nel sec. XV, divenne un vero fanatismo; e questo furore, per cui parve rinascere la civiltà romana, fu detto « RINASCIMENTO ». I dotti, trascurando gli studi teologici o divine lettere e preferendo quelli dei classici, chiamati in opposizione: umane lettere, furono detti « umanisti » ed il nuovo indirizzo prese anche il nome di « umanesimo», perché ritornando al naturalismo, si allontanò dall’ideale religioso predicato dalla Chiesa (Se ci si accinge a giudicare oggettivamente la posizione spirituale degli umanisti, essa ci appare come uno svigorimento e, spesso, un annullamento delle tesi più specifiche del Cristianesimo. Mettendo alla pari le due rivelazioni, classica e cristiana, l’Umanesimo abolisce i confini fra naturale e soprannaturale; in nome dell’agostiniano « Omnis veritas a Deo » confonde la verità, che si trova nei classici e quindi è qualcosa di creato, con Dio stesso; nell’astratta contemplazione di tale verità razionale, pone il fine della vita; ed esalta perciò le soddisfazioni conseguibili in questo mondo, perdendo il senso dell’ascesi, del peccato, della preghiera. Idolatra la creatura, celebra 1’attività demiurgica dell’uomo, perde di vista il fatto storico dell’Incarnazione; fa di Dio un’entità astratta che si rivela (necessariamente?) nel Logos ». Così che, nato come reazione al razionalismo averroista, l’Umanesimo si chiude in un nuovo razionalismo – di carattere gnostico e cabalistico – ndr. -). Oltre il latino, si coltivò anche il greco con valenti maestri, quali il Crisolora, il Pletone, il Bessarione; si fondarono accademie a Firenze, a Roma, a Napoli; nacque il senso critico; s’iniziò la filologia e si ripresero le antiche dottrine filosofiche, specialmente quella di Platone (tipicamente gnostica, come il neoplatonismo alessandrino ed il cabalismo giudaico – ndr. -). L’Umanesimo ed il Rinascimento rinnovarono la vita intellettuale, artistica, morale e politica. Tutti i cittadini, non i soli umanisti, sentirono il bisogno di istruirsi e ciò fu reso facile dall’invenzione della stampa che, con il nuovo sistema dei caratteri mobili, divulgò la scienza e sostituì i libri ai costosi manoscritti. Si cominciò ad avere una libertà di pensiero, la cultura divenne sempre più laica e più largamente umana, e, con il ritorno al culto pagano della bellezza, della forza e della gloria, si affinò il senso artistico: Papi, prìncipi e nobili fecero a gara per ornare le città con magnifiche opere d’arte e per avere nei loro palazzi i migliori artisti. Il benessere, la magnificenza e la bellezza artistica giovarono agli Stati per consolidare il loro assolutismo, giacche lo sfarzo, le feste e i giochi pubblici resero i popoli meno gelosi della loro libertà ed attutirono la loro coscienza nazionale. Tuttavia i cittadini, svincolati dalle corporazioni, cominciarono a gustare i primi semi della libertà del lavoro, la donna fu elevata, e s’ingentilirono i costumi con tutto danno dei vincoli morali, rallentati per l’indifferenza religiosa e per il prevalente spirito umanistico razionale e scettico. L’invenzione delle armi da fuoco trasformò poi l’arte della guerra; alle ambascerie occasionali si sostituirono quelle permanenti e nacque la moderna diplomazia. Tra i « mecenati » che promossero ed agevolarono la cultura italiana del rinascimento notiamo: Lorenzo il Magnifico a Firenze, i Visconti e gli Sforza a Milano, i Gonzaga a Mantova, Nicolò V e Pio II a Roma.

D . Che cos’ è il Rinascimento?

— È il periodo storico e letterario, succeduto al Medio Evo e protrattosi lungo i sec. XV e XVI, durante il quale si ebbe un meraviglioso rifiorire dell’antica cultura classica.

D. Come vide la Chiesa il Rinascimento?

— Di buon occhio, anzi Vescovi e Cardinali protessero artisti e letterati. Il capo degli umanisti, Francesco Petrarca, trovò comprensione presso i Pontefici.

D. Quale fu la preoccupazione costante della S. Sede?

— Fu di incanalare il movimento rinascimentale sulla via tracciata dal Cristianesimo, per impedire pericolose deviazioni pagane. In una parola, la Chiesa, assimilando la bellezza dell’arte greco-romana, ha avuto cura di eliminare la concezione puramente naturalistica ed edonistica, ispirata ai principi del paganesimo.

D. Intendendo così lo studio e l’imitazione dei classici che ne veniva?

— Veniva potentemente favorito il progresso medesimo della civiltà

cristiana, in quanto il pensiero cristiano avrebbe trovato un’incomparabile

espressione artistica nelle rinate forme ellenico-romane.

D. Perché i Papi tanto entusiasticamente collaborarono al Rinascimento?

— Proprio perché ispirati da simile intento.

D. È tuttavia facile la conciliazione tra la forma pagana e il contenuto cristiano?

— No, e per questo non sempre seppero sottrarsi al fascino di un’arte troppo naturalistica e corrompitrice.

D. Che ne seguì?

— L’introdursi nel clero e nella corte pontificia di un certo spirito paganeggiante. Parve per un momento che la bellezza classica, pericolosamente accolta e festeggiata in veste d’ancella, fosse per assidersi come sovrana, in seno alla Chiesa di Dio.

D. Che cosa si ebbe?

— Un periodo tanto oscuro per la santità della disciplina ecclesiastica quanto splendido per un fiorire d’opere d’arte immortali.

D. Che cosa verrà poi a richiamare parte dell’alto clero dalle regioni dell’Olimpo alla triste realtà?

— La bufera del luteranesimo, che lo farà correre ai ripari, onde salvare i l salvabile, mediante la grande Riforma Tridentina.

IL SAVONAROLA

Cacciato Piero de’ Medici, la repubblica di Firenze ebbe breve durata e fu difesa nei primi tempi dal domenicano « GIROLAMO SAVONAROLA », nemico dei costumi guasti e corrotti.

I seguaci del frate erano detti per dileggio «piagnoni » come quelli che piagnucolavano sui peccati degli uomini. Suoi avversari erano:

1) i «palleschi» così chiamati dallo stemma a palla dei Medici;

2) gli «arrabbiati » fautori del governo oligarchico;

3) i « compagnacci » che amavano la vita carnevalesca;

4) il papa Alessandro VI, i cui scandali erano stati biasimati dal frate;

5) e i Francescani che mal tolleravano il disprezzo del Savonarola alle censure ecclesiastiche.

Uno di questi ultimi, Francesco di Puglia, assalì dal pulpito il ferrarese come impostore e lo sfidò ad un giudizio di Dio. Domenico Buonvicini, discepolo del Savonarola, accettò la sfida ed intendeva passare sul rogo con il Crocifisso in mano e l’Ostia consacrata. L’opposizione del francescano e la pioggia impedirono la barbara prova e si generò un tumulto; assalito il convento dì San Marco, il Savonarola, il Buonvicini e frate Silvestro Maruffi caddero in mano degli avversari e, dopo un processo sommario, furono impiccati ed arsi. A torto il Savonarola fu giudicato un precursore di Lutero; egli fu « un cattolico puro », bramoso di riformare i costumi del clero e non i dogmi religiosi.

I PAPI DEL RINASCIMENTO

D. Tra i Papi, chi fu il primo fautore del Rinascimento?

— Fu Nicolò V (1447 – 1455). Egli intese di fare di Roma il centro degli studi d’Europa, il focolare della cultura classica per assicurare alla Chiesa che il nuovo movimento letterario rimanesse in perfetta armonia con lo spirito cristiano,

D. Chi chiamò a Roma?

Una folla di artisti, di letterati e di dotti, che sosteneva regalmente con ogni sorta di soccorsi. Fondò anche la Biblioteca Vaticana.

D. Anche i suoi successori coltivarono l’arte, la letteratura ecc.?

Sì, pur non dimenticando la difesa della Cristianità dai Turchi, come fece Callisto  III (1455 – 1458), che li fermò al Danubio in Serbia (1456). Così pure Pio II e Sisto IV, per quanto l’opera loro approdasse a poco, a motivo delle discordie dei principi cristiani.

D. Quale difetto si comincia a notare nei Papi di questo periodo in avanti?

— Il nepotismo, che talora ne oscura la fama e che preparerà la rivoluzione religiosa del sec. XVI.

D. Che dire di Alessandro VI?

— La sua vita privata fu macchiata di gravi manchevolezze, ancorché gli avversari gli abbiano attribuite tante colpe che di fatto non commise.

D. Quale fu la sua colpa maggiore ?

Quella di aver lasciato troppo braccio al figlio Cesare Borgia, il famoso Duca Valentino, che, a forza d’astuzie e di delitti, riuscì ad impadronirsi di molte città delle Marche e della Romagna.

D. Come pontefice tuttavia come si diportò?

— Bene; poiché difese la libertà della Chiesa, propugnandone la purezza della dottrina, inviando missionari nelle terre scoperte proprio in quegli anni da Cristoforo Colombo, promovendo la vita religiosa e il culto della Madonna.

D. Che dimostra la sua vita scandalosa?

— Dimostra come anche nella Chiesa non manchi purtroppo l’elemento umano, capace di recarle serio pregiudizio, ma non mai di comprometterne l’esistenza, la quale poggia sull’assistenza divina.

D. Chi tra i Papi di questo tempo è ricordato tra gl’ingegni più originali del Rinascimento?

— Il famoso Giulio II (1503 – 1513), che chiamò a Roma Raffaello e Michelangelo, e fece gettare al Bramante le fondamenta della nuova Basilica di S. Pietro, « l’impresa architettonica più colossale dei tempi moderni ». Sulla sua tomba troneggia il Mosè di Michelangelo.

D. A chi s’intitola il secolo d’oro del Rinascimento, cioè il ‘500?

A Leone X (1513-1521), grande mecenate, ma per glorificare più la sua famiglia (i Medici di Firenze) e le proprie gesta, che la Chiesa.

D. Fu felice Leone X nella politica?

— No, per i suoi ondeggiamenti tra Carlo V e Francesco1, che lo fecero poi piegare verso Carlo V.

D. Capì almeno l’importanza e la gravità dell’eresìa luterana?

— Neppure; essa scoppia nel 1517 e si propaga con incredibile celerità.

DA SAN PIETRO A PIO XII (13)

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PARTE SECONDA

DAL 1000 AI NOSTRI GIORNI

CAPO III.

LA SCHIAVITÙ AVIGNONESE E LO SCISMA D’OCCIDENTE

PREAMBOLO

1 – DECADIMENTO POLITICO DEL PAPATO

Il tramonto dell’Impero d’Occidente s’iniziò con la morte di Federico II avvenuta nel 1250. Ma, come l’impero, decadde poi politicamenteanche il Papato.

Nel 1294 morto Nicolò IV, i Cardinali, dopo un conclave di 27 mesi, elessero Papa un eremita abruzzese, Pietro del Monte Morone, che prese il nome di Celestino V, e, nauseato della politica, dopo soli quattro mesi, « fece… il gran rifiuto », cioè rinunciò al Pontificato. La tiara passò a Bonifacio VIII, che, malgrado le mutate condizioni dei tempi, volle seguire le idee di Gregorio VII. Per evitare un possibile scisma, Bonifacio tenne prigioniero il vecchio Celestino e, per realizzare il suo sogno politico, bandì nel 1300 il primo GIUBILEO. A Napoli favorì gli Angioini contro gli Aragonesi, in Firenze inviò Carlo di Valois per difendere i Neri e cacciare i Bianchi, a Roma, si schierò contro i Colonna, fautori di Celestino, e, fuori d’ Italia, osteggiò Filippo il Bello che, in lotta con gl’Inglesi ed avendo bisogno di denaro, aveva tassato gli ecclesiastici e steso il « suo braccio secolare » sui beni dei Templari.

* * *

BONIFACIO VIII E FILIPPO IL BELLO

D. Che aveva portato la lunga lotta degl’imperatori tedeschi contro la Chiesa?

— Un indebolimento delle forze dell’impero, di modo che i Papi dovettero procacciarsi l’aiuto della Francia, frattanto cresciuta in prosperità e potenza dopo il governo di San Luigi IX.

D. Ma come rispose il governo degli Angioini?

— Con disordini e distrazioni in Italia, da dove furono cacciati nel 1282 nei famosi Vespri Siciliani, e in Francia con l’ambizione sfrenata di Filippo il Bello, nipote di S. Luigi IX, inteso ad assicurarsi un’assoluta indipendenza dalla Chiesa, usando a tal fine l’ingiustizia, la slealtà e la frode.

D. Chi gli si parò contro a difendere i diritti della Chiesa?

— Bonifacio VIII (1294 – 1303), uno dei Papi più grandi del Medio Evo e dei più calunniati.

D. Quale fu il suo proposito?

— Risollevare e consolidare l’autorità dei Papi e della Chiesa, come avevan fatto Gregorio VII e Innocenzo III, ma i tempi erano mutati e divenuti assai più difficili.

D. Che tentava Filippo il Bello?

— Emancipare la Francia dall’autorità della S. Sede e perciò cominciò a stendere le sacrileghe mani sui beni ecclesiastici.

D. Che cosa emanò Bonifacio VIII allora?

— La famosa Bolla « Clericos laicos », con cui decretava che re e principi non potessero, senza il consenso del Papa, esigere le decime dal clero, sotto pena di scomunica, tanto per i principi quanto per gli ecclesiastici.

D. Come rispose Filippo?

— Dichiarò, continuando la sacrilega rapina, che la Francia non avrebbe più sofferto altra autorità che quella di Dio e del re. Fece poi imprigionare il Legato che il Papa gl’inviava per indurlo a più miti consigli, gli distrusse i documenti ufficiali che egli portava, e inviò al Papa una lettera di villanie, insolenze e calunnie.

D. Come ribatté il Papa?

— Con l’ancor più famosa Bolla « Unam Sanctam » del 1302, con la quale rinnovava l’idea di Gregorio VII e di Innocenzo III, del dominio universale della Chiesa, non soggetta a principe alcuno.

D. Che cosa provocò l’« Unam Sanctam »?

— Le più assurde accuse di Filippo e suoi perfidi consiglieri, contro cui il Papa lanciò la scomunica. Allora il re mandò il francese Nogaret che, con Sciarra Colonna, assalì papa Bonifacio in Anagni, lo insultò e imprigionò. Fu poi liberato dal popolo e ricondotto, fra grandi dimostrazioni di rispetto, a Roma, ma un mese dopo per i dispiaceri e strapazzi sofferti morì (1303).

D. Chi successe a Bonifacio VIII

— Benedetto XI, che tentò di pacificare Filippo il Bello con la Chiesa; ma avendo scomunicato, per il fatto sacrilego di Anagni, il Nogaret e il Colonna, morì improvvisamente, pare di veleno da parte di questi e per istigazione di Filippo il Bello.

2 – L A SCHIAVITÙ’ AVIGNONESE

PREAMBOLO

Il papato avignonese

Clemente V, eletto Papa per influenza di Filippo il Bello, restò in Francia e la sede del Papato rimase in Avignone per 72 anni, dal 1305 al 1377. Durante questo periodo di umiliante asservimento, che a ricordo della schiavitù del popolo ebreo, fu detto « cattività avignonese » o babilonica, si acuirono le lotte della Chiesa e si favorì lo smembramento d’Italia in piccole Signorìe: gli Ordelaffi a Forlì, i Malatesta a Rimini, i Pepali a Bologna, i Da Polenta a Ravenna. Morto Clemente V, i Cardinali discordi, dopo due anni di lotte, elessero Giovanni XXII che aumentò i danni della Chiesa. I francescani  erano divisi in due partiti, i Zelanti o Fraticelli, rigidi seguaci del Poverello d’Assisi, ed i Conventuali, propensi all’acquisto di ricchezze. Il Papa si scagliò contro i primi e poiché, alla morte di Enrico VII, erano stati eletti ad un tempo Ludovico il Bavaro e Federico d’Austria, e Giovanni XXII aveva preso le parti di quest’ultimo, Ludovico appoggiò i Fraticelli, scese in Italia e nominò antipapa Nicolò V. – Roberto di Napoli come capo dei Guelfi marciò in difesa di Giovanni XXII e Ludovico, avendo poche milizie, lasciò Roma ed abbandonò l’antipapa al suo destino. Le lotte e le scomuniche continuarono fino alla morte di Ludovico, ed il Papa riuscì a far riconoscere come imperatore Carlo IV di Boemia. A Giovanni XXII successe Benedetto XII, poi Clemente VI, ed a Roma si disputarono il potere gli Orsini ed i Colonna. Di queste lotte approfittò Cola di Rienzo, figlio di un oste e di una popolana, per restaurare l’antica repubblica. Proclamato tribuno, Cola per le sue stranezze fu obbligato a fuggire presso Carlo IV, che prima lo imprigionò, poi lo mandò ad Avignone. Il nuovo pontefice Innocenzo VI inviò il tribuno in Italia con il card. Egidio d’Albornoz per occupare pacificamente Roma. Ritornato nella Città eterna e fatto senatore, Cola riprese la lotta contro i nobili, ma in un tumulto fu ucciso. L’Albornoz con le armi e con l’astuzia restaurò lo Stato pontificio ed il nuovo papa Urbano V, venuto a Roma, al rinnovarsi dei disordini dopo la morte dell’Albornoz, ritornò ad Avignone. Solo nel 1377 Gregorio XI, esortato da S. Caterina da Siena, si trasferì definitivamente a Roma.

D. Che cosa causarono le tristi condizioni in cui si trovò la S. Sede?

— Una sua vacanza per undici mesi e poi l’elevazione dell’Arcivescovo di Bordeaux, che prese il nome di Clemente V; ma le lotte che tenevano in perturbazione l’Italia fecero rifiutare a Clemente V di recarsi a Roma. Fissò la sua sede ad Avignone nel 1305 ed iniziò così quel calamitoso periodo della Chiesa che fu detto « Schiavitù Avignonese » e che durò fino al 1377.

D. Che cosa rappresenta la Schiavitù Avignonese?

— Uno dei periodi più funesti per la Chiesa in generale e per lo Stato Pontificio in particolare; perché l’autorità del Papa vide assai diminuito il proprio prestigio, apparendo influenzata dai re di Francia; e inoltre la lontananza della s. Sede dall’Italia procurò lo smembramento dello Stato Pontificio, con funeste conseguenze per l’ordine pubblico e per le condizioni di vita della città di Roma, divenuta null’altro che una miserabile borgata.

D. Chi caldeggiò il ritorno del Papa a Roma?

— Un’umile fanciulla senese, Caterina Benincasa, le cui suppliche accorate finalmente esaudite indussero Gregorio XI a rientrare a Roma. Era il 17 gennaio del 1377. I Romani l’accolsero con immensa festa.

3 – IL GRANDE SCISMA D’OCCIDENTE

PREAMBOLO

La parola scisma deriva dal greco « schizo », che significa « divido » ed è appunto, lo scisma, una divisione religiosa per cui, rifiutata la comunione con quella società religiosa cui prima si apparteneva, si fa corpo separato, scisso. Alla base di questa lacerazione dell’unità della Chiesa come Corpo mistico di Cristo sta, quindi, il rifiuto — per lo più collettivo — di ubbidienza, una ribellione per sé solo disciplinare alla autorità della Chiesa. Senonchè, dato il dogma del Primato di Pietro, lo scisma implica anche eresia sul piano pratico (C. J. C. can. 1325). Anche in Occidente si ebbe dal 1378 al 1429 un luttuoso periodo storico durante il quale la Cristianità, benché una nella Fede e nello spirito di ubbidienza ad un solo Pietro, non sapeva quale persona fosse il suo legittimo successore.

• * •

D. Quale conseguenza portò la « schiavitù avignonese »?

— Il grande scisma d’Occidente.

D. Come nacque?

— Quando alla morte di Gregorio XI (1378) si adunò il Conclave, venne eletto Urbano VI, santo uomo, ma di carattere focoso, non gradito ai cardinali francesi, che, riunitisi a Fondi, il 20 settembre 1378, fra l’universale sbalordimento, elessero Roberto di Ginevra, che prese il nome di Clemente VII. Morto Urbano VI, gli successero poi Bonifacio IX (1389 – 1404), Innocenzo VII (1404 – 1406), e Gregorio XII (1406 – 1417). All’antipapa Clemente VII, trasferitosi ad Avignone, successe Pietro di Luna (1394 – 1437) con il nome di Benedetto XIII.

D. Che si fece per risolvere la questione?

— Dopo infinite discussioni, nel 1409, si apri a Pisa un concilio di cardinali delle due obbedienze (romana e avignonese), depose i due Papi, come fautori di scisma eretici e, nel conclave che ne seguì, uscì eletto Alessandro V .

D. Quale la conclusione?

— Invece dell’unità della Chiesa si ebbero tre Papi simultanei a disputarsi il supremo potere.

D. Che cosa provocarono queste vicende della Chiesa?

— Provocarono dei moti ereticali. L’inglese Giovanni Wycliff, precorrendo Lutero, ammise la superiorità della Bibbia sul Papa e rimproverò al clero lo sfruttamento delle indulgenze.

D. Fu ben accolta in Inghilterra questa eresia?

— Fu avversata. Tuttavia essa trovò in Boemia un campione in Giovanni Huss e, siccome l’agitazione ebbe carattere nazionale e antitedesco, l’imperatore Sigismondo promosse a Costanza il 5 novembre 1414 un concilio che affermò la sua autorità sullo stesso Pontefice e mandò al rogo Huss ed il suo discepolo Girolamo da Praga.

D. Che fece inoltre il Concilio?

— Il concilio depose Giovanni XXIII, che era succeduto ad Alessandro V, scomunicò Benedetto XIII, accettò le volontarie dimissioni del Papa romano Gregorio XII (il Papa legittimo – n.d.r.), ed elesse il cardinale Ottone Colonna, che prese il nome di Martino V (11 novembre 1417).

D. Che fece Martino V?

— Aprì a Basilea, poco prima della sua morte, un altro Concilio, che il successore Eugenio IV cercò di sciogliere, per evitare che affermasse di nuovo la sua superiorità sul Papa. Vi furono delle proteste ed Eugenio IV trasferì il Concilio prima a Ferrara e poi a Firenze, anche per tentare, con la venuta dei prelati greci, la riunione della Chiesa latina con l’ortodossa.

D. Che avvenne intanto?

— Si riaprì lo scisma, perché alcuni Padri del Concilio di Basilea, non volendo ubbidire, deposero Eugenio IV ed elessero Amedeo VIII di Savoia con il nome di Felice V.

L’energia di Eugenio IV e del suo successore Nicolò V posero fine allo scisma, che fu detto « d’Occidente», per distinguerlo da quello d’Oriente provocato nell’880 da Fozio. Felice V depose volontariamente la tiara, ed una Bolla dichiarò eretico il principio della superiorità del Concilio sul Papa.

D. Avrebbe resistito un’istituzione terrena alla fiera tempesta?

— No, risponde il protestante Gregorovius, « ma così meravigliosa era l’organizzazione della Chiesa e indistruttibile l’idea del Papato, che la divisione ne mostrò l’indivisibilità ».

DA SAN PIETRO A PIO XII (12)

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DAL 1000 AI NOSTRI GIORNI

CAPO II

LE CROCIATE

PREAMBOLO

Il papato alla difesa dell’Europa

La santa vitalità dimostrata dalla Chiesa nella lotta per sopprimere le investiture, per correggere nel Papato stesso le infiltrazioni profane e per riformare gli alti gradi della gerarchia, non le permette soltanto di dominare i microbi che si attaccano al suo organismo, ma si manifesta con delle iniziative audaci.

Il Papato di natura sua ha dalla Provvidenza un mandato di civiltà. E allora gl’incombono due doveri:

— difenderla nei suoi credenti,

— diffonderla presso gl’infedeli.

Difatti la sua storia si svolge su questo binario.

Sempre, anche nel Medioevo. Abbiamo già accennato all’opera di evangelizzazione dei popoli barbari svolta con tenace penetrazione in ogni paese d’Europa, sino a creare un’unità di fede come mai si vide l’uguale. Ma la civiltà d’ Europa corse un pericolo grave: i MUSULMANI.

I Musulmani avevano il fanatismo della conquista. Soggiogata la Palestina, la Siria, la Mesopotamia e la Persia dal 632 al 639, conquistata tutta l’Africa settentrionale dal 647 al 698, soggiogarono la Spagna e parte della Francia meridionale nel 711, occuparono la Sicilia nell’ 828. Con ciò ebbero il dominio del Mediterraneo, che divenne teatro delle loro gesta piratesche; ebbero basi sicure per lanciarsi a scorrerie in Sardegna, in Corsica, nella Provenza, su, tutte, le coste italiane, nella Dalmazia. Intanto molestavano anche l’impero d’Oriente: due volte (668 e 713) diedero l’assalto alla stessa Costantinopoli, e dal 1072 al 1091 riuscirono ad occupare tutta l’Asia Minore. Sicché l’Europa cristiana veniva presa in un cerchio formidabile sempre più stretto, con ruberìe e stragi senza numero; la civiltà, cristiana correva un serio pericolo. Come difendersi? — Nella Provenza li tenevano a bada i Franchi, a incominciare da Carlo Martello, che inflisse loro una sconfitta memorabile a Poitiers nel 732. In Italia svolsero azione efficace e assidua i Pontefici.

Ma non sarebbe stato più efficace attaccarli sul loro territorio? Questa idea si fece più strada quando, dopo un periodo di tolleranza con i pellegrini Cristiani, in Palestina, si ebbero distruzioni e massacri. Liberando i fratelli d’Oriente ed il S. Sepolcro, si avrebbe anche fiaccato la tracotanza dei Turchi e assicurata la tranquillità delle coste mediterranee. L’idea, concepita prima da S. Gregorio VII, lanciata poi da Urbano II, fu accolta con entusiasmo universale. Re e, sudditi, feudatari e, vassalli, prìncipi, e popolani, anche donne e fanciulli, al Nord come al Sud dell’Europa, si sentirono presi da un fascino irresistibile verso la Terra Santa: ogni barriera di censo, di nazionalità scomparve dinanzi al comune ideale: alla parola del Papa come ad un oracolo divino, lo spirito cavalleresco del tempo si polarizzò verso la liberazione del S. Sepolcro.

E si ebbe l’epopea delle Crociate.

Benedetta epopea! anche se troppe volte fallì allo scopo per disobbedienza alle direttive, pontificie e per l’affiorare di passioni umane, perché, grazie alla partenza degli uomini d’arme, ebbero più pace i popoli rimasti in patria; sul campo si creò maggior contatto fra le diverse classi sociali; al ritorno dei reduci si sviluppò il senso della libertà, avviando le città verso il regime comunale; si mise l’Occidente a contatto con la cultura orientale; si ritardò di alcuni, secoli la caduta dell’impèro greco; soprattutto si salvò l’Europa e la civiltà dal piccone demolitore dei Musulmani.

***

D . Qual è uno degli avvenimenti più importanti del Medioevo!

— Le Crociate.

D. Che cosa sono le Crociate!

— Le guerre combattute dai popoli europei contro i Musulmani dal sec. XI al XIV con l’intento di liberare i Luoghi Santi. Esse si fondono con l’attività espansionistica delle vive forze euro-mediterranee; ma le domina e le colorisce la passione religiosa, benché i moventi delle Crociate siano vari.

D . Di chi l’iniziativa delle Crociate!

— Ad una spedizione contro la potenza turchesca e in aiuto dell’impero Cristiano d’Oriente aveva già pensato Gregorio VII, come rivela una sua lettera a Enrico IV e un’altra a Matilde di Canossa; ma il Papa che tradusse in realtà il grande disegno è URBANO II.

D. E l’opera di Pier l’Eremita?

— Una leggenda della metà del sec. XII, coniata con la preoccupazione di attribuire tutto ciò che veniva fatto di buono ai frati, fa risalire a lui l’iniziativa delle Crociate. La realtà invece è che egli la predicò e fu capo di una spedizione, ma nient’altro. L’iniziativa spetta solo a Urbano II.

D. Dove ve prese l’idea Urbano II!

— Non si sa. In questa impresa egli fu guidato dal pensiero di metter fine ai dolori che gli oppressi Cristiani d’Oriente soffrivano per mano dei Musulmani e togliere intanto anche i dissapori dell’Occidente, affratellando in una grandiosa idea comune i popoli tutti e togliendo il tempo di contendere tra loro.

D. Che cosa doveva essere dunque la Crociata secondo Urbano?

— Una guerra religiosa, predicata a nome della Chiesa, fatta da un esercito cosmopolita, sostenuta da privilegi ecc… con lo scopo di liberare i Cristiani e i luoghi di Terra Santa.

D. Che cosa occorreva a questo riguardo?

— Occorreva che il popolo Cristiano acquistasse coscienza di costituire un’unità vivente, altrimenti l’impresa sarebbe stata inconcepibile.

D. L’impresa delle Crociate conseguì una durevole conquista della Terra Santa?

— No; tuttavia le Crociate (1075 – 1270) mettono l’Islam in condizioni tali da non poter più nuocere per parecchi secoli e rafforzano anche nei Cristiani la coscienza della loro unità.

D . Quando ne parlò Urbano II!

— Al termine del Concilio di Clermont.

 L’eloquenza con cui parlò della desolazione della Terra Santa, dei templi devastati, dei fratelli dispersi… eccitò ad emulare le glorie dei padri e a vendicar l’onore cristiano. Parlava ancora, quando dalla moltitudine s’alzò il grido: « Dio lo VUOLE!», grido che il Papa ripeté e propose come parola d’ordine e grido di guerra.

D. Ebbe seguito l’appello del Papa?

— Moltissimi si dichiararono pronti a partire. Ripetuto poi l’appello da monaci e pellegrini, l’Europa rispose con uno scoppio di entusiasmo unico nella storia.

D. Che cosa apparve allora il Papa?

— Nel momento in cui i più grandi sovrani, scomunicati, si isolavano nella loro astensione, il Papa appariva il solo vero sovrano e vero organizzatore dei popoli.

D . Quando partì la prima Crociata?

— Il 15 agosto 1096. Quattro eserciti mossero verso Oriente: uno lorenese con a capo Goffredo di Buglione, uno francese capitanato da Ugo di Vermandois, un terzo in cui era il Legato pontificio e un quarto di Normanni guidati da Tancredi. Punto di concentramento era Costantinopoli.

D. Come li accolse l’imperatore d’Oriente?

— Tentò di servirsi dei Crociati per i suoi scopi guerreschi, quali la riconquista, di Nicea, ribellatasi all’imperatore, e la rioccupazione della Siria, non più in sua mano.

D. Che cosa si notò intanto nell’esercito dei Crociati?

— Il serpeggiare di epidemie micidiali, dovute ai nuovi climi, e, peggio ancora, l’affermarsi delle discordie dei capi, che ne decimarono le file; sicché solo in numero di 40.000 (erano partiti in 600.000) giunsero in vista di Gerusalemme, che conquistarono dopo 39 giorni d’assedio, facendo un massacro di Turchi (15 luglio 1099).

D. Come si ordinò il governo di Terra Santa?

— Goffredo di Buglione fu eletto capo; ma non prese il titolo di re, bensì di « Barone del s. Sepolcro ».

D. In quali condizioni si trovò il Regno di Gerusalemme?

— Ben presto tristi. Nell’agosto dello stesso 1099 Goffredo difese la recente conquista da 200.000 Fatimiti; rinacquero le discordie degli stessi Cristiani, che avevano divisa la Palestina in tanti stati vassalli di Gerusalemme. Tali gelosie, sorte tra i principi cristiani, contribuirono ad indebolire la signoria latina di Oriente e ad affrettarne la caduta.

S. BERNARDO

L E ALTRE CROCIATE

D. Chi è S. Bernardo?

— Dice il Todesco: « Uno dei più grandi personaggi del sec. XII, mescolato a tutti gli avvenimenti del suo tempo, pacificatore di principi e di repubbliche, consigliere di Papi, oracolo di Concili ».

D. Dove rifulse specialmente il suo zelo ?

— Contro gli eretici Abelardo e Arnaldo da Brescia.

D. Che cosa vennero essi, a rappresentare?

— Abelardo fu il precursore del razionalismo e Arnaldo precursore dei nemici dell’autorità pontificia e in particolare precursore del Protestantesimo.

D. Che fece S. Bernardo contro di loro?

— Combatté per l’ortodossia contro Abelardo e per la dottrina sociale della Chiesa contro Arnaldo.

D. Qual è il momento culminante della sua vita!

— Quello della predicazione della 2a Crociata (1146 – 1150), in cui sembra veramente incarnare l’unità cristiana dell’Europa medioevale. Con la sua predicazione compì il miracolo di lanciare in Oriente due armate e due re: Luigi VII di Francia e Corrado III di Germania.

D. Quale esito ebbe la Crociata ?

— Un esito fallimentare; fu come un torrente che precipita dalla montagna e tosto scompare al piano nella sabbia. Nel 1187 il Saladino, sultano di Egitto, riconquistava Gerusalemme.

D. E S. Bernardo?

— Benché amareggiato per l’immenso disastro, adorò umilmente i disegni imperscrutabili di Dio.

D . Che cosa determinò la caduta di Gerusalemme?

— La 3a Crociata, bandita da papa Clemente III. Essa vide partire i tre più grandi sovrani della Cristianità: il Barbarossa, Filippo Augusto di Francia e Riccardo Cuor di Leone d’Inghilterra, ma con il solo effetto della riconquista di S. Giovanni d’Acri (1191).

D. Chi ebbe animatore la quarta Crociata?

— Innocenzo III, uomo di attività sorprendente, che affrontò e risolse tutte le questioni religiose, morali, disciplinari, politiche del suo tempo, e con il quale il Pontificato raggiunse l’apogeo del suo splendore, cogliendo il frutto dell’opera eroica di Gregorio VII e di Alessandro III. – La 4a Crociata da lui indetta però nel puntare su Costantinopoli si esaurì nella creazione dell’impero latino di Oriente.

D. Innocenzo III ebbe da sostenere lotte in Europa?-

— Sì, combatté con estrema energia le diverse eresie, particolarmente quella degli Albigesi, contro i quali da prima invitò una missione apostolica, diretta da S. Domenico di Guzman, e infine bandì una Crociata.

D . Chi propugnò la quinta Crociata?

— Innocenzo III e Onorio III; si diresse verso l’Egitto, sostenuta dalla, parola e dalla presenza di S. Francesco d’Assisi, con l’intenzione di passare poi in Palestina, ma non raggiunse la Terra Santa, per il mancato aiuto dell’imperatore d’Oriente, Onorio (1218-1221).

D. E la Crociata di Federico II nel 1228-1229?

— Fu una farsa. Per liberarsi dalle scomuniche, toccate nella sua diuturna lotta contro il Papato, e per riabilitarsi presso la Cristianità, partì senza esercito per l’Oriente e stipulò con il Sultano d’Egitto un patto che concedeva Gerusalemme ai Cristiani, ma a condizioni talmente svantaggiose, che era infamia accettarlo. Ciò nonostante si coronò di propria mano re di Gerusalemme. È questa l a VI Crociata.

S. Chi ebbero animatori la VII (1248) e l’VIII Crociata (1270)?

— Il piissimo re di Francia, S. Luigi IX, il quale non raggiunse neppur egli il nobile sogno propostosi, perché nella prima fu fatto prigioniero e nella seconda morì di peste a Tunisi. Così si chiude il periodo delle Crociate.

GLI ORDINI RELIGIOSI

PREAMBOLO

Provvidenziale risanamento spirituale

Gli abusi ecclesiastici, che scomparvero soltanto con la fine della lotta delle investiture, e le diverse eresie che pullulavano in quel tempo, avevano portato gli uomini a un grande rilassamento religioso. Chi contribuì efficacemente al risanamento spirituale della società fu il rifiorire della vita claustrale.

D . Chi aveva favorito la liberazione del potere spirituale dai tanti nemici durante l’ « epoca di ferro »?

— Specialmente la congregazione claustrale di Clunv. Ispirato da Cluny, il Papato corresse se stesso, intraprendendo la riforma di tutta la gerarchia.

D, Sorsero altre istituzioni?.

— Sì. I cosiddetti ORDINI MENDICANTI, più consoni alle esigenze dell’epoca in quanto, fuori delle pareti dei chiostri, annunziarono pubblicamente al mondo la povertà, sublimata dall’esempio di Cristo e l’abbracciarono eroicamente.

D. Era necessario tale culto della povertà?

— Sì. L’amore disordinato alle ricchezze era la causa principale dell’universale rilassamento. Era necessario che il popolo vedesse, attraverso esempi tangibili, la povertà cristiana veramente praticata e vissuta.

D. Quali furono gli ORDINI RELIGIOSI invocati dalle necessità del momento?

— 1) L’ordine dei Frati Minori fondato da S. Francesco d’Assisi (1209) con la missione di combattere l’amore per la ricchezza mediante la pratica della povertà e dell’umiltà.

2) L’ordine dei Frati Predicatori fondato da San Domenico di Guzman (1206) per estirpare l’eresia.

LETTURA

IL POVERELLO D’ASSISI

Siamo nel 1209. Il Laterano è il simbolo della Chiesa e della Società cristiana: mentre, considerata dall’esterno, sembra essere indistruttibile, vista dall’intimo, cova le insidie dell’esaurimento. Chi la soccorre? Un giovane, Francesco (n. 1182) precoce nell’ingegno e nei sentimenti più nobili, è ben presto soldato della sua Città e si appresta a partire per la Crociata quando una malattia lo richiama in patria. Un viaggio a Roma (1206) gli fa sentire più forte l’appello di Dio e poi, ad Assisi, rinuncia all’eredità paterna e si dà all’apostolato della povertà e della parola. Giovane era il Papa, a trentasette anni; ventenne l’imperatore svevo: giovane Francesco e giovani, in prevalenza, i suoi seguaci; da quel primo, di Assisi, rimasto senza nome, di cui sappiamo solo che era « spirito puro e semplice », a Bernardo, suo compagno d’infanzia e di poco più grande di lui: a Egidio « fedelissimo e devoto ». Giovani ardenti e puri ai quali si associarono fraternamente due preti, più anziani, Pietro e Silvestro. Dante ricorda la giovinezza di Francesco perché dice di lui che fece sentire alla terra il fascino della santità quando « non era ancor molto lontan dall’orto » (dalla nascita). Come dalla giovinezza Francesco traeva le origini della sua milizia di uomini, così dalla giovinezza faceva nascere la milizia delle pie dame; S. Chiara — che doveva essere madre di tanta famiglia spirituale — aveva dodici anni e già, dice lo storico, era « giovane prudente, savia, bella e gentile di viso e di bello e buono aspetto e di bellissima eloquenza nel parlare e ornata di tutti i buoni e bei costumi ».

Il genio di Francesco si rivela, in quanto fondatore, soprattutto, del Terzo Ordine: il principio del monachismo quale legge di vita che dall’eremo e dal chiostro si diffonde in tutta la società, clero e laicato, trova nel Terzo Ordine la applicazione più geniale e feconda. Sul piano della Povertà, attuata come regime di solidarietà, l’azione dei monaci si trasforma nell’azione dei « fratelli» cioè dei frati. Questi vivono di elemosina — cioè di libero scambio di beni — e ricambiano il dono con altrettanti doni di carità. – Come dice Fra Guidino, nei « Promessi Sposi», parlando di ciò che il convento riceveva e di ciò che dava: « … Si faceva tant’olio, che ogni povero veniva a prenderne secondo il suo bisogno; perché noi siamo come il mare, che riceve acqua da tutte le parti, e la torna a distribuire a tutti i fiumi ». Per attuare questo ideale di povertà — cioè di solidarietà nella distribuzione dei beni —, Francesco e i suoi si propongono di vivere nella società e per la società, di praticare l’apostolato in mezzo ai fratelli tutti; egli è il primo ad asserire questo dovere e ad organizzare definitivamente le missioni tra gli infedeli. I frati (Primo Ordine), le suore (Secondo Ordine) formano una sola grande famiglia con i secolari del Terzo Ordine, laici e preti che vivono nel secolo. È un grande appello al laicato, che torna a porre il problema dei mezzi di perfezione cristiana (un problema che di quando in quando sì impone alla coscienza dei credenti). Scriveva nel sec. IV S. Giovanni Crisostomo: « La fonte dei grandi disordini del mondo sta nel credere che i soli monaci siano obbligati alla perfezione e che i secolari possano farne a meno ». La soluzione francescana del Terzo Ordine che aggrega laici di ogni condizione e porta nella famiglia, nel lavoro, nella professione, lo spirito dell’Ordine, tanto rispondeva alla necessità che, presto o tardi, gli altri ordini religiosi ebbero i loro, terziari; non solo i Domenicani (i quali, si può dire, nacquero insieme con i Francescani) ma anche gli Agostiniani, i Servi dì Maria, i Carmelitani, i Minimi, ì Premostratensi, i Benedettini. – II Terzo Ordine faceva appello a tutti e non solo ai giovani, perché  tutti andavano ‘incontro a S. Francesco e volevano seguirlo

CATERINA DA SIENA E GIOVANNA D’ARCO

Sono due giovanette, che Dio chiama « a miracol mostrare »: terziaria domenicana, Caterina — patrona d’Italia — e terziaria francescana, Giovanna — patrona di Francia — l’una e l’altra incarnazioni del genio di due grandi, popoli cristiani. Caterina è la confortatrice, la predicatrice, l’ambasciatrice, la mistica eloquente che restituisce all’Italia e a Roma il Papato; Giovanna, con il suo genio militare, incarnazione femminile della cavalleria cristiana, restituisce alla patria il suo re con l’impeto di strabilianti vittorie e sale impavida il rogo, a 19 anni, martire di carità.

DA SAN PIETRO A PIO XII (11)

[G. Sbuttoni: Da Pietro a Pio XII, Edit. A. B. E. S. Bologna, 1953; nihil ob. et imprim. Dic. 1952]

PARTE SECONDA

DAL 1000 AI NOSTRI GIORNI

CAPO I .

LA LOTTA DELLE INVESTITURE

PREAMBOLO

1 – L’ETÀ FERREA DEL PAPATO

All’epoca delle invasioni normanne, i re sono incapaci di difendere i loro stati. Ogni proprietario influente deve organizzare per proprio conto la resistenza: s’inizia così il FEUDALISMO. Sotto questo regime i signori potenti ed anche i re che hanno conservato qualche potere, affidano volentieri importanti principati a vescovi o ad abati (Liegi, Stavelot, Malmédy); questi uomini di chiesa, essi credono, saranno più sottomessi dei vassalli laici. Inoltre, sul letto di morte, alcuni feudatari legano una parte dei loro beni alla Chiesa. Non è forse giusto? Essa è incaricata del culto, dell’istruzione pubblica, della beneficenza. In questi due modi, affluiscono alla Chiesa ricchezze e potenza. Tale situazione, apparentemente vantaggiosa, è tuttavia origine di tre mali che metteranno in pericolo la sua vita:

la dipendenza dal potere temporale,

la simonìa (= da Simon Mago, che volle comprare da Pietro la grazia dei Sacramenti),

il rilassamento dei costumi del clero.

1) I signori potenti che lasciano per testamento una delle loro terre ad un Vescovo o a un’abazia, intendono stabilire sulla sede episcopale o abaziale il candidato di loro scelta. Pretendono conferirgli  l’autorità episcopale mediante il conferimento del Pastorale, e dell’Anello (investitura « per mezzo del pastorale e dell’anello »). Il signore loca locale agisce nello stesso modo riguardo ai parroci. I laici giungono anche ad asservire il Papato. La deposizione, di Carlo il Grosso (887) e la vacanza della sede imperiale lo privano del suo protettore. Si trova allora dominato dalle famiglie italiane (867-962). La restaurazione dell’Impero (= Sacro Romano Impero Germanico, 962) gli rende un protettore, ma non gli restituisce la libertà, poiché questi si arroga il potere di eleggere il Sommo Pontefice. Parroci, vescovi, abati, Papi, tutti sono sottomessi al potere temporale. La Chiesa non è forse ridotta alla condizione di una gerarchia feudale privilegiata?.

2) In tali condizioni le cariche ecclesiastiche sono brigate e comprate come feudi temporali. Il Vescovo paga la propria carica al re o al principe; in compenso vende delle parrocchie e dei canonicati. I parroci si rifanno delle spese facendo commercio dei Sacramenti, talmente che la simonia si stabilisce ovunque.

3) Si desidera trasmettere a proprio talento una carica pagata a sì caro prezzo. Questi ecclesiastici interessati e, ordinariamente, sprovvisti di vera vocazione, giudicano ormai caduto in disuso l’obbligo del celibato: prendono moglie: hanno figli che sono i loro eredi. L’immoralitàdel clero scandalizza il popolo cristiano. Ignorante e poco premuroso nel compimento dei suoi doveri, questo clero non istruisce i fedeli. Lascia che l’eresia si propaghi tanto più facilmente in quanto il popolo è disamorato della religione. « Gli scandali del clero hanno aperto la porta dalla quale le moltitudini si precipitano fuor della Chiesa » (G. Kurth).

L’ora è grave: il feudalesimo gaudente e la barbarie finiranno con il dominare la società spirituale e pacifica che è la Chiesa? Ma la Provvidenza di Dio veglia e interviene con il suo aiuto straordinario. Sorgono anche allora uomini insigni per santità e scienza, che, quali fari luminosi, diradano le dense tenebre e purificano l’atmosfera della società cristiana; appaiono allora difensori intrepidi dei diritti della Chiesa, che coraggiosamente affrontano dure battaglie per ridarle la sua indipendenza e dignità.

La più notevole di queste battaglie fu la lotta contro le investiture.

D. Che cosa significa «Investitura » ‘?

— Significa immissione in possesso di territori e di uffici da parte di sovrani

D. Quando cominciò l’istituto dell’ investitura ?

— Nel Medioevo, allorché anche gli ecclesiastici divennero feudatari per la concessione di territori e uffici da parte di sovrani. Si chiamò investitura l’immissione in possesso feudale di cotesti ecclesiastici da parte del signore laico.

D. Come venne preparata l’investitura?

— Dall’uso invalso, all’epoca di Carlo Magno e della dinastia sassone, di investire i Vescovi e gli abati di funzioni politiche, per limitare la potenza dei signorotti locali.

D. Fu vantaggiosa alla Chiesa l’investitura?

— No, portò anzi un grave danno alla libertà della Chiesa. Clero e popolo, infatti, cui spettava l’elezione dei Vescovi, furono messi presto in disparte, e spesso bastava una semplice raccomandazione del re, perché il Metropolita consacrasse la persona raccomandata, senza tener conto se era o no degna.

D. Quali conseguenze sì verificarono?

— Si finì con il non tenere quasi più conto dei meriti del consacrando e membri di nobili famiglie, senza nessuna preparazione, talvolta in giovanissima età, ascesero le cattedre episcopali. Non solo; nell’atto dell’investitura, i principi non consegnarono più ai nuovi vescovi lo scettro e lo stendardo — simboli dell’autorità politica —, ma addirittura il pastorale e l’anello — simboli del potere spirituale. La consegna poi avveniva con le parole: « Ricevi questa Chiesa ».

D. Quale fisionomia perciò assunse la dignità episcopale?

— Una fisionomia sempre più spiccatamente politica e terrena, a scapito della sua natura religiosa.

D. A chi andavano le sedi episcopali e abbaziali?

— Ai membri dell’alta aristocrazia. Tali sedi, dotate di ricche prebende, ne stuzzicavano l’avidità, cosicché essi davan loro la caccia esclusivamente con la mira di goderne le laute rendite.

D. Che cosa portò questo stato di fatto?

— Un deplorevole deterioramento nei costumi dell’alta gerarchia ecclesiastica e un accentuarsi della simonia, poiché uffici e benefici sacri si distribuivano dietro il versamento di forti somme, al punto che le dignità ecclesiastiche furono messe all’asta e cedute al miglior offerente, il quale a sua volta, per rifarsi delle spese, faceva mercimonio delle dignità minori fra i suoi subalterni.

D. Come si giustificava questa condotta?

— Con l’asserire che il potere religioso, come il civile, proveniva direttamente dalla volontà del principe.

D. Intanto che cosa si notò fra il clero?

— L’infierire dei vizi più vergognosi, particolarmente il concubinato.

D. Che cosa apparve assolutamente inderogabile?

— Il risorgere da uno stato sì miserando; e, poiché alla radice di tutti questi mali stava l’intromissione del potere laico nell’organismo ecclesiastico, era evidente che il segreto della vittoria consisteva soprattutto nell’eliminare tale abusiva intromissione.

D. Da dove partì lo stimolo della riforma?

— Dai chiostri, nei quali in quel tempo si notò un rifiorire di vita monastica, come a Cluny, a Camaldoli, a Vallombrosa. Non va taciuto tuttavia il nome di S. Pier Damiani, il focoso ravennate, che con gli scritti e la parola rivendicò ad oltranza la libertà ecclesiastica contro gli abusi del potere laico.

2 – GREGORIO VII

PREAMBOLO

Il liberatore

« Secoli di ferro» furori detti quelli (X-XI) nei quali il clero e il monachismo erano in gran parte decaduti dalla loro dignità e indipendenza spirituale sotto la pressione delle armi e dei poteri del laicato politico, organizzato nei feudi e nell’impero. Sicché non pochi abati e Vescovi e finanche Papi diventarono funzionari dell’imperatore e strumenti di ambizioni e di interessi di potenti famiglie.

La Chiesa era schiava.

Chi l’avrebbe liberata? – Gregorio VII.

D. Chi fu il campione vittorioso di quella lotta gigantesca?

— Il monaco ILDEBRANDO, che cinse la tiara con il nome di GREGORIO VII.

D. Chi fu Gregorio VII?

— Uno dei massimi successori di Pietro.

Un gigante.

Un lottatore formidabile.

Il Carducci lo paragonò ad uno scoglio che, in mezzo all’infuriar dell’onde oceaniche, non crolla. Napoleone ebbe a dirne : « Se non fossi chi sono, vorrei essere Gregorio VII ». Ed era, Gregorio, un omino di piccola statura e di gamba corta: uno scricciolo. Ma c’era in lui la fortezza suprema. La fortezza di Dio.

D. Dove nacque Ildebrando?

— A Soana (Grosseto) nel 1013. Per l’ingegno e pietà .che in lui rilucevano, i genitori lo affidarono ai Benedettini dell’Avventino. Essi educarono in lui il necessario liberatore della Chiesa.

D. Come gli nacque l’idea della riforma?

— Recatosi in Germania, al seguito di Gregorio VI, là poté constatare — inorridito — il mercimonio che si compiva dei benefìci ecclesiastici. Fu allora che concepì il pensiero di riformare la gerarchia ecclesiastica sottraendola alla nefasta influenza del potere imperiale, e di trasformare il clero, fiacco e rammollito, staccandolo dall’avida sete delle ricchezze terrene.

D. Dove perfezionò il suo programma di riforma!

— Nella sacra solitudine di Cluny, da dove uscì nel 1048, per accingersi con zelo all’ingrata fatica, a fianco dei Papi, di cui godé piena fiducia.

D. Come iniziò l’opera sua?

— Nel 1049 Leone IX venne eletto Papa dall’imperatore Enrico III; Ildebrando lo indusse a non assumere le insegne pontificali, finché non avesse avuto la conferma dell’elezione da Roma. Era un primo passo nel processo di rivendicazione della libertà d’elezione del Papa.

D. Che fece dopo questo primo passo?

— Gli riuscì di far eleggere un intrepido assertore della riforma, Nicolò II, il quale nel 1059 emanò alcuni decreti di capitale importanza per la libertà e la riforma della Chiesa, in quanto colpivano con pene gravissime il concubinato, rivendicavano la nomina dei Vescovi al Papa e al clero, deputavano l’elezione del Papa a un collegio permanente, composto di soli Cardinali. Con il successore, Alessandro II, batté la stessa strada.

D . Che si venne a notare intanto?

— I primi sintomi di lotta, con la reazione dei vescovi simoniaci colpiti dai decreti della riforma, i quali tentarono di appoggiare l’antipapa Onorio II, ma, alla morte di Alessandro II, lo scisma era cessato, e Ildebrando, eletto Papa nel 1073 per acclamazione, trovò sgombro il campo da competitori.

D. Che fece eletto Papa?

— Proseguì con energia decuplicata l’opera di riforma. Scrisse ad abati e Vescovi e re, deplorando le misere condizioni in cui versava la Chiesa.

D. Dov’è che la posizione morale del clero era peggiore?

— In Germania e per gran colpa di Enrico IV imperatore, per la sua condotta riprovevole e per la nomina di Vescovi simoniaci e libertini.

D. Che fa Gregorio VII nel Concilio Lateranense del 1074?

— Rinnova i decreti antecedenti contro la simonia e il concubinato e la promessa di servigio (specie di vassallaggio) all’autorità secolare.

D. Che cosa suscita questo rinnovo?

— Un’enorme opposizione da parte di Vescovi e di preti, ma il Papa resta irremovibile.

— Se noi, scrive egli, consentissimo di tacere davanti, alle iniquità dei prìncipi della terra, potremmo certamente avere la loro amicizia regale, sudditanza e grandi onorificenze… ma preferiamo piuttosto morire che tradire il nostro dovere. Non siamo liberi di trascurare, per riguardo a qualsiasi persona, la legge di Dio e deviare dal retto sentiero in grazia del favore degli uomini, poiché l’Apostolo dice: « Se io piacessi agli uomini, non sarei servo di Cristo ».

D. Che fa ancora per recidere il tumore alla radice?

— Nella quaresima del 1075 vieta a Vescovi, abati e preti di ricevere qualsiasi investitura di uffici sacri dai laici; a conti, duchi, re e imperatori di concedere per l’avvenire simili investiture; pena, in ambedue i casi, la scomunica.

D. Chi ora si ribella?

— Enrico IV, che, raccolta a Worms una dieta, nel gennaio 1076, dichiara deposto Gregorio VII e invia un messo a recare il decreto di deposizione al Pontefice, che si trova a Roma a presiedere un concilio in Laterano.

D. Come risponde Gregorio?

— Con la scomunica contro Enrico, che dichiara deposto dal trono, e scioglie inoltre i sudditi dal giuramento di fedeltà.

D. Che provocò la scomunica?

— La ribellione dei re vassalli contro Enrico e l’abbandono di tutti. Anzi le cose giungono al punto che nell’ottobre del 1076 la dieta di Tribur sta per eleggere un nuovo sovrano. La grave decisione viene a stento rimandata all’altra dieta da convocarsi ad Augusta nel febbraio successivo, da presiedersi dallo stesso Pontefice.

D. Che fa Enrico?

— Decide di prevenirla, non volendo comparire davanti ai suoi nemici in veste di accusato. Valica, benché d’inverno, le Alpi e scende nel piano lombardo.

D. E Gregorio?

— Sorpreso a Mantova da questa notizia, temendo in Enrico propositi di vendetta, si rifugia a CANOSSA, piccolo feudo della contessa Matilde, fra le montagne del Reggiano. Enrico sale lassù e chiede un colloquio con il Papa.

D. Viene accolta la richiesta?

— Sì, dopo che, per tre giorni, l’imperatore ha atteso in abito da penitente (25 – 27 gennaio 1077) davanti alle mura del castello. Viene assolto dalla scomunica solo dopo aver giurato che avrebbe aderito alle decisioni della dieta di Augusta.

D. È sincera la conversione dell’imperatore?

— No, infatti manda a monte la dieta di Augusta e ostacola quella di Forscheim.

D. Che fanno intanto i princìpi tedeschi?

— Per rappresaglia eleggono re Rodolfo di Svevia. Si scatena la guerra civile, che produce tante rovine, mentre Enrico compone il suo stato maggiore di vescovi e abati simoniaci e concubini.

D. E il Papa?

— Tenta invano di interporre la sua opera per giungere ad una pacificazione; e allora colpisce Enrico con una seconda scomunica, sciogliendo di nuovo i sudditi dal giuramento di fedeltà (7 marzo 1080).

D. Come reagisce Enrico?

— Deponendo Gregorio ed eleggendo antipapa Guiberto di Ravenna. Nel tentativo, ch’egli fece, di insediare l’antipapa in Roma, fu impedito dai Normanni di Roberto il Guiscardo. Vi riesce nel marzo del 1084, ma alla notizia che il Guiscardo s’avvicina a Roma con 30.000 soldati, fugge precipitosamente, lasciando la città preda delle soldatesche normanne.

D. Che fa Gregorio?

— Non potendo tollerare di vedere lo scempio che vi è compiuto, si ritira a Salerno, dove, stremato dalle fatiche e dai dolori, spira la sua grande anima il 24 maggio 1085.

D. Quali furono le sue ultime parole?

— « Amai la giustizia, odiai l’iniquità; per questo muoio in esilio ». Queste parole, grido ultimo della sua coscienza rettissima, ne sono il più fedele ritratto.

D. Simile fine non lo fa apparire uno sconfitto?

— Parve uno sconfitto…

Ma i Papi, si sa, non sono mai così vittoriosi come quando sembrano vinti. Gli avvenimenti susseguitisi infatti lo dimostrano vittorioso. Giacché si trovano compiute le imprese da lui incominciate, da lui ispirate, cioè:

stabilito il celibato ecclesiastico,

tolte di mezzo la simonia e le investiture feudali delle chiese,

tralasciata la conferma imperiale del Sommo Pontefice,

due dei designati da lui fatti Papi,

la potenza temporale accresciuta dalle donazioni della contessa Matilde,

già fatte sin dai giorni di Canossa,

le Crociate, da lui escogitate, effettuate,

la potenza imperiale abbattuta così, che non si rialzò mai più ad assoluta in Italia,

e quindi (ciò che importa qui particolarmente) i Comuni costituiti, e il nome di lui, bestemmiato dai contemporanei, santificato dalla Chiesa… (così Cesare Balbo).

D. Quale l’interpretazione migliore della supremazIa esercitata da Gregorio su popoli e sovrani?

— Quella che ammette nella Chiesa una « potestas indirecta » sullo Stato, in ordine agl’interessi spirituali.

D. Secondo tale dottrina, che può fare un Papa?

— Può deporre un capo di Stato (naturalmente cattolico), quando il suo contegno gravemente lede i diritti della Chiesa e delle anime.

Del resto, come dice Pio IX, il diritto di deporre i re, riconosciuto ai Papi, era una conseguenza del diritto pubblico d’allora e del consenso delle nazioni cristiane.

PREAMBOLO

Vindice di giustizia e libertà

Il parlamentarismo, che sembra il massimo portato della moderna democrazia, come impallidisce di fronte alle Wittenagemote di Bretagna, ai Campi di Maggio dei Franchi, alle Diete di Roncaglia in Italia, alle Cortes di Spagna, alle Assemblee Portoghesi nella pianura di Bakot, in cui rappresentanti di ogni ordine di persone si raccoglievano per discutere leggi, di cui neppur un articolo aveva valore senza. l’approvazione della maggioranza!

Il giuramento dì Pontìda e ì notturni convegni svizzeri sotto la quercia di Truns o nella prateria del Rutli, nulla hanno da invidiare alle rivoluzioni moderne per l’indipendenza dei popoli.

La « Magna Charta», imposta al tiranno Giovanni Senza Terra, dalla armata « di Dio e della S. Chiesa » raccolta dai baroni con a capo il rappresentante d’Innocenzo III, Stefano Longton, arcivescovo di Cantebury, e gli Statuti dei Comuni, sono modelli di legislazione, in cui autorità e libertà, giustizia e carità si fondono e armonizzano stupendamente. – Ma nonostante tutto spesso avveniva che i popoli erano alla mercé dei prìncipi, ritenuti da questi come gente da sfruttare, anziché accolte di uomini liberi da governare; e allora ecco levarsi, grondanti di sangue, figure di tiranni come Giovanni Senza Terra ed Ezzelino da Romano; di strozzatori di libertà come Enrico IV, Barbarossa, Federico II.

Chi sorse a rivendicare i diritti dei popoli?

Chi si levò vindice di giustizia e di libertà?

— Il Papa!

Tale egli appariva in quei tempi di gran fede, venerato dai popoli e temuto dai prìncipi; perciò a lui appellavano gli oppressi, dinnanzi a lui dovevano giustificarsi o fare ammenda gli oppressori. Canossa, che vide Enrico IV umiliato ai piedi di Gregorio VII, e Venezia, che vide il Barbarossa curvarsi vinto dinanzi ad Alessandro III, più che trionfi del Papato furono trionfi della libertà, furono pietre miliari sul cammino dei popoli verso l’emancipazione da servaggi assurdi. Quando l’autocratismo cesareo si riaffermerà con il Rinascimento, e, causa un rilassamento nella fede, verrà a mancare in questo campo il prestigio dei Papi, i popoli finiranno con il farsi giustizia da sé e con il rivendicare nel sangue i diritti alla libertà, che sarà momentaneamente libertinaggio, alla giustizia, la quale temporaneamente trascenderà nella violenza. La Rivoluzione Francese ed il bolscevismo russo insegnano qualche cosa.

D. Fu ripreso dai successori il programma gregoriano!

— Sì, specialmente da Urbano II, l’animatore infaticabile delle Crociate, che nel concilio di Melfi del 1089 rinnovò il divieto contro l’investitura laica e contro la simonia e il concubinato.

D . Che fece Urbano II contro Enrico IV?

— Rinnovò contro di lui e contro l’antipapa Giliberto (Clemente III) la scomunica.

D. Come si liberò dall’antipapa?

— Caldeggiò le nozze di Matilde di Canossa con Guelfo di Baviera, unione che unì per un momento la Germania meridionale con l’Italia settentrionale e provocò la cacciata dell’antipapa da Roma (1089).

D. Con quale rappresaglia rispose Enrico IV!

— Ripassa le Alpi e prende a devastare gli Stati dì Matilde; ma costei non piega e resiste virilmente allo scomunicato, la cui stella sta tramontando dopo l’abbandono del figlio Corrado e della moglie, e il rafforzarsi del partito cattolico.

D. Come si diportò il successore di Enrico IV?

— Enrico V, costretto il padre ad abdicare, continuò nella linea di condotta paterna in tema di investiture. Infatti, rivalicate le Alpi, piegò al suo volere il papa Pasquale II, che gli accordò il privilegio di conferire l’investitura mediante il pastorale e l’anello a quei vescovi ed abati che non fossero stati eletti simoniacamente.

D . Quanto durò cotesto privilegio?

— Dal 1111 al 1112, poiché la protesta di numerosi Cardinali e Vescovi fece pentire il Papa del suo gesto e lo spinse a revocare il privilegio estorto con la frode e la violenza (Conc. Laterano – 1112).

D. Come reagì Enrico V?

— Ritornò in Italia per trattare con il Papa, ma questi nel 1116 lancia la scomunica sul privilegio ingiustamente carpito; succedono poi gravi torbidi, che si ripercossero sul successore di Pasquale II, Gelasio II, che andò a morire, poverissimo, a Cluny.

D. Come terminò la cosa?

— Papa Callisto II nel 1122, convocata la dieta di Worms, fece accettare a Enrico VI il cosiddetto PATTO di CALLISTO, con cui l’imperatore rinunciava all’investitura dei Vescovi mediante il pastorale e l’anello, riservata esclusivamente alla Chiesa, garantiva la libertà delle elezioni e restituiva al Papa i possessi usurpati.

D. Che cosa dava il Papa come contropartita?

— Consentiva che in Germania, dove tutti i Vescovi ed abati erano anche principi, le elezioni venissero fatte alla presenza del legato imperiale — esclusa ogni simonia — e l’eletto ricevesse l’investitura del feudo, ma soltanto con la consegna dello scettro, fatta prima della consacrazione e dell’investitura ecclesiastica.

D. In Italia come avveniva ogni elezione?

— Senza la presenza di alcun legato regio; l’eletto veniva subito consacrato e riceveva l’investitura dei feudi dopo la consacrazione e mediante lo scettro.

D. Gli altri paesi furono funestati dalla lotta delle investiture ?

— Sì, ma in Inghilterra fu definita con concordato del 1105 e in Francia terminò l’anno prima.

D. Che cosa si ebbe con il patto di Worms?

— Si ebbe salva la libertà della Chiesa e si accettò il principio

dell’assoluta distinzione fra il potere temporale e spirituale, concretato nella doppia investitura: dello scettro per i feudi vescovili concessa dall’autorità statale, e del pastorale e dell’anello per la missione religiosa, concessa dall’Autorità Ecclesiastica.

D. Che cosa rappresentava tutto questo?

— L’attuazione dell’opera di Gregorio VII.

D. Quanto durò la pace tra Impero e Papato?

— Circa 30 anni, finché sorse Federico Barbarossa, infatuato dell’ambizione di ricondurre l’impero al fastigio di Carlo Magno o anzi dell’età romana.

D. Chi si oppose a tali progetti?

— Il Papato e i Comuni. I Comuni erano sorti come reazione contro gli arbitri dei feudatari, che rendevano i sudditi servi della gleba.

D. Chi appoggiò i Comuni nelle rivendicazioni delle libertà democratiche

— L’episcopato e la S. Sede. Il primo a gettare le basi del glorioso

Comune di Milano f u il Vescovo ARIBERTO da INTIMIANO, che nel 1036 raccolse attorno al Carroccio le truppe del popolo per resistere ai soprusi dell’imperatore Corrado e dei suoi feudatari.

D. Quale fu il partito del rinnovamento democratico della .società?

— Il GUELFO, che faceva capo idealmente al Papa, in contrapposto al GHIBELLINO, sostenitore del feudalesimo aristocratico e imperiale.

D. Tu che cosa si risolse la storia civile italiana nel medioevo?

— Soprattutto nelle lotte cruente di queste due opposte correnti politiche.

D . Che fece il Barbarossa!

— Riprese aspra la lotta contro la Chiesa sul tema delle investiture e provocò guerre su guerre contro i Comuni italiani, i quali nell’affermarsi delle loro fortune in una salda concezione e pratica cristiana della vita privata e pubblica, spronati dall’esempio e dall’accordo con il Papato (Alessandro III), ressero all’urto e ne ebbero ragione con la vittoria di Legnano (1176). cui seguì la pace di Venezia (1177) tra Federico e il Papato, e la pace di Costanza (1183) tra Federico e i Comuni.

D. Che cosa rappresentò la vittoria di Legnano!

— Una tappa decisiva nella storia d’Italia.

LA CHIESA E LA CULTURA

Chi, nella storia della scuola e perciò della cultura lasciò un’impronta luminosa quanto mai, fu Carlo Magno. Divenuto imperatore, egli fece della scuola una passione e la diffuse ovunque poté. Per agevolarla impose ai monaci di Francia la regola di S. Benedetto, perché più favorevole allo studio, subordinò alla cultura sia la concessione dei benefici ai sacerdoti che l’accesso alle cariche dello Stato ai nobili e, mentre si adoperò attivamente per organizzare nell’Impero una scuola di Stato, alla sua corte fondò una scuola superiore per i nobili, la SCUOLA PALATINA, ed una specie di accademia, prevenendo quelle del Rinascimento italiano, in cui i soci assumevano un nome antico: per es. Carlo Magno, Alenino ed Angilberto si chiamavano rispettivamente David, Fiacco ed Omero.La Chiesa in più modi esercitò influenza in questa rinascita della cultura. – Influì sulla formazione di Carlo Magno, istruito da un diacono: Pietro da Pisa. Cooperò all’attuazione del programma di lui, attraverso il monaco Alcuino, fondatore della Scuola Palatina, in cui i primi maestri furono uomini di Chiesa. E quando i successori di Carlo Magno parvero incuranti della scuola, furono i Vescovi, come Teofilo di Orleans, a ordinare ai sacerdoti di tener scuola nei borghi e nelle campagne e a sollecitare l’imperatore a fondare scuole pubbliche. Quando le scuole di Stato cominciarono a declinare (intorno all’825) e si chiese la separazione delle scuole di Stato da quelle ecclesiastiche, le prime decaddero, le seconde si rinvigorirono e fiorirono, ancora distinte in tre specie: parrocchiali, vescovili e monastiche. Dalle scuole vescovili, secondo l’opinione più accreditata, derivarono le UNIVERSITÀ’.

DA SAN PIETRO A PIO XII (10)

[G. Sbuttoni: Da Pietro a Pio XII, Edit. A. B. E. S. Bologna, 1953; nihil ob. et imprim. Dic. 1952]

CAPO XII.

LE CONDIZIONI DELLA CHIESA NEI SECOLI IX E X

1) L’elezione del Papa — 2) Il sacro romano impero

3) Lo spavento dell’anno 1000

1 – L’ELEZIONE DEL PAPA PREAMBOLO

Eletto dal clero e dal popolo

Essendo il Papa anzitutto capo della comunità romana, era naturale che questa, a somiglianza delle altre chiese, partecipasse alla scelta del proprio pastore. Sicché anche a Roma si osservava il cànone apostolico « Oportet episcupum testimonium habere bonum ab his qui foris sunt » (I Tim. III, 7), cioè « è necessario che il Vescovo abbia, buona riputazione presso gli estranei », e il Papa alla stregua della disciplina comune era eletto dal clero e dal popolo e confermato dai Vescovi suburbicari, che a tale scopo convenivano a Roma. Cipriano agli scismatici Noviziani mostra come Cornelio fosse eletto in piena regola nel 251. Due secoli dopo, a testimonianza di Papa Leone Magno, l’elezione importava sempre « vota civium, testimonia populorum, honoratorum arbitrium, electio clericorum ». – In seguito vollero calamitosamente interferirvi imperatori e fazioni nobiliari, finché fu esclusivamente riservata al Collegio dei Cardinali (1179). E con ciò continua la disciplina antica del Papa eletto dal clero romano : perché i Cardinali, anche se stranieri, sono titolari d’una chiesa dell’Urbe e perciò fanno parte del clero romano’.

D. Chi aveva diritto ad eleggere il Papa?

— Il clero di Roma.

D. Che cosa pretesero i nobili romani dopo la costituzione dello Stato Pontificio?

— Dopo la formazione dello Stato Pontificio i nobili romani pretesero di prender parte anch’essi all’elezione del Papa.

D. Per qual motivo?

— Perché il Papa era il loro sovrano temporale giuridicamente riconosciuto, perciò ritenevan giusto che nella sua elezione avessero anch’essi da far sentire la loro voce, come i principali cittadini del suo Stato.

D. Chi vi si oppose?

— Il clero; e la storia posteriore gli diede piena ragione, poiché i potenti del mondo, nell’elezione del Papa, si lasciarono spesso guidare non dagl’interessi della religione, ma da passioni di parte e da interessi familiari e politici, per cui qualche volta furono eletti degli incapaci o indegni.

PREAMBOLO

2 – IL SACRO ROMANO IMPERO

Restaurazione

Adriano I, morto nel 795, era stato dato per successore Leone III di illustre famiglia romana. Un’audace fazione prese ad avversarlo in tutti i modi, ne esitò a ricorrere anche ad un infame attentato. Di fatti nel giorno di S. Marco (25 aprile), durante la processione delle Rogazioni, alcuni sediziosi s’impadronirono della persona del Papa, e, dopo averlo malmenato, lo chiusero in carcere. Il popolo accorse a liberarlo, ma Leone, non sentendosi sicuro, ricorse a colui che, essendo stato investito del titolo di Patrizio, aveva il diritto e il dovere di tutelare i diritti della S. Sede e la dignità, del Pontefice. Andò dunque in Francia presso il re Carlo. Sei mesi dopo Leone III rientrava in Roma accompagnato dai delegati del re, che dovevano procedere contro gli autori del criminoso attentato. Carlo stesso poco dopo venne a Roma per sanzionare i provvedimenti presi. – Leone approfittò per restaurare in Carlo la maestà dell’Impero Romano fatto cristiano.

D. In che circostanza Leone III incoronò Cario Magno quale Imperatore del Sacro Romano Impero?

— Nel Natale del 799, mentre il re assisteva alle solenni funzioni inginocchiato dinanzi all’altare del Principe degli Apostoli.

D. Che fece il Papa?

— Prese la corona imperiale, e dopo la benedizione di rito, la pose sul capo del re dei Franchi, mentre il popolo festante ripeteva: « A Carlo, augusto coronato da Dio, grande e pacifico Imperatore dei Romani, vita e vittoria».

D . L’atto compiuto dal Papa doveva essere solo una vuota cerimonia ?

— No, ma la base di nuovi rapporti tra l’autorità civile e religiosa, il fondamento di un nuovo importantissimo edificio politico. Leone III, sostituendosi al Senato nel proclamare Carlo M. imperatore, e consacrandolo con il sacro Crisma, come un giorno il sommo sacerdote faceva con i re d’Israele, dava al nuovo Impero un carattere essenzialmente cristiano.

D. Qual era in quest’Impero la missione dell’Imperatore?

— L’Imperatore veniva chiamato ad esercitare la sua azione accanto a quella stessa del Papa; egli doveva essere il capo temporale di un’alleanza fraterna fra i popoli Cristiani, a quella guisa che il Papa n’era il capo spirituale. Per questo titolo Carlo Magno veniva ad acquistare una preminenza su tutti gli altri principi, anzi sullo stesso Imperatore di Costantinopoli.

D. A che doveva servirsi di tale potere?

— Per rinforzare l’azione della Chiesa sopra la società, per diffondere il Cristianesimo in mezzo ai popoli barbari, per tutelare i diritti e l’autorità del Pontefice.

D. Che intendeva inoltre il Papa con tale creazione?

— Intendeva affrancarsi definitivamente dalla supremazia politica dell’Impero di Bisanzio, che più d’una volta era stato alla mercé di audaci avventurieri o di qualche rozzo guerriero; e più d’una volta i suoi imperatori avevano creato alla Chiesa Cattolica gravi difficoltà o facendosi fautori di eresie, o mostrandosi impotenti od incuranti nel recarle aiuti in circostanze difficili. Tutti poi angariavano l’Italia con estorsioni e balzelli, quasi fosse un paese di conquista.

D. Che fece Carlo Magno divenuto imperatore del S.R.I.?

— Spiegò nell’interesse della Chiesa e del Papato la più ammirabile sollecitudine.

D. Come furono regolate le relazioni tra i due poterli

— Per via di amichevoli accordi, come lo attestano vari documenti. Le monete romane portano insieme con il nome del Papa anche quello dell’Imperatore, e i Romani prestavano giuramento di fedeltà all’Imperatore ugualmente che al Papa; a questi come loro sovrano, all’Imperatore come a loro protettore ed avvocato.

D.Che cosa doveva ingenerare tuttavia questa confusione di poteri?

— Questa mancanza di severa distinzione dei diritti reciproci fra i due poteri, doveva a non lungo andare ingenerare deplorevoli equivoci e odiosi dissensi.

D.Quando cominciarono questi dissensi!

— Con i successori di Carlo Magno, che, considerandosi come legittimi eredi di Augusto, di Costantino, di Teodosio, venivano ad esercitare la loro azione anche sulla stessa disciplina della Chiesa, indipendentemente dal Papa, il quale, secondo loro, non dava all’autorità imperiale che una sanzione religiosa.

D. A che valsero le rimostranze del Papa?

— A nulla, per cui tra non molto si accenderà con la lotta delle investiture in un duello terribile che si protrarrà per secoli.

3 – LO SPAVENTO DELL’ANNO 1000

PREAMBOLO

Meschine fantasie

L’inglése Robertson, il francese Michelet, il ginevrino Sismondi. arrivati con le loro storie alla seconda metà del sec. X, s’indugiano a descrivere la società come pervasa « dalla spaventosa speranza della fine del mondo », annunziata per la notte di San Silvestro dell’anno 999. Gli uomini di quel tempo erano nella condizione del reo che udì la sentenza e attende l’esecuzione. Mille e non più mille. Il testo dell’Apocalisse (XX, 1-7), le parole di S. Paolo che dicevano imminente la venuta del Signore a rapir seco i morti e i vivi nell’aere, il presentimento del giudizio finale prossimo, che compare con tanta frequenza negli scritti di Gregorio Magno, tutti questi terrori, come nubi diverse che aggruppandosi fanno temporale, confluirono sulla fine del sec. X in una sola e immane paura E che grido di gioia salì al cielo dalle turbe raccolte in gruppi silenziosi intorno ai manieri feudali, accasciate e singhiozzanti nelle chiese tenebrose e nei chiostri, sparse con pallidi volti e sommessi mormorii per le vie e i campi, quando il sole, fonte di luce e di vita, si levò trionfale la mattina dell’anno mille!…

D. Quale fondamento ha tutta cotesta descrizione?

—  Nessuno. Lo mostrò il padre Plaine fin dal 1873. Falso che si aspettasse universalmente il finimondo per il S. Silvestro del 999; falso che si citasse a sostegno il XX, 1-7 dell’Apocalisse; falso che il clero alimentasse la diceria per impinguarsi dei beni lasciati dai fedeli « prò remedio animæ ».

D. Non ci fu qualche cenno sulla fine del mondo fra il 960 e 970?

— Sì, e sparso da qualche fanatico, ma negli anni successivi fino al 1000 non troviamo un testo, un cenno, un’allusione a simile credenza; non nelle 150 bolle papali di quel trentennio, non in bolle posteriori, non in atti conciliari, non in strumenti privati. Si trova anzi il contrario, per es. il concilio romano del 998 impone a Roberto il Pio, re di Francia, una penitenza di 7 anni, e papa Silvestro II, proprio il 31 dicembre 999, conferma i privilegi del Monastero di Fulda e della chiesa di Reims.

D. A che si riduce dunque tutto lo spavento all’avvicinarsi dell’anno 1000?

— A un curioso errore storico. Accenni alla prossima fine del mondo si trovano in tutti i secoli, prima e dopo i l mille; e quindi anche nel sec. X. Il mondo, però, continuò ad andare avanti senza accorgersi di questo errore.

D. E tutte le dicerie contro la Chiesa al riguardo?

— Non vengono ad avere nessuna consistenza storica; hanno servito puramente all’anticlericalismo per gracidare contro la Chiesa.

DA SAN PIETRO A PIO XII (9)

[G. Sbuttoni: Da Pietro a Pio XII, Edit. A. B. E. S. Bologna, 1953; nihil ob. et imprim. Dic. 1952]

CAP. IX

LE ORIGINI DELLA SOVRANITÀ TEMPORALE DEI PONTEFICI

PREAMBOLO

La forza delle cose

In mezzo alle agitazioni interminabili provocate dalle dominazioni barbariche, in mancanza di un potere centrale fortemente costituito, i Papi, per una conseguenza necessaria della loro stessa condizione morale, si videro obbligati a provvedere ad una tale molteplicità di faccende, da potersi considerare veri prìncipi temporali. Nessuno ormai crede più al famoso Atto di donazione di Costantino, a cui accenna [l’eretico gnostico – n.dr.] Dante (Parad. XX, 57), per cui quest’Imperatore, ritirandosi a Bisanzio nel 330, avrebbe ceduto al Pontefice Silvestro I, la città di Roma e tutta la parte occidentale dell’Impero. Tale documento, a cui si accenna nelle decretali pseudo isidoriane e negli atti apocrifi di Silvestro Papa, è dimostrato essere una finzione del sec. VIII. E’ certo però che l’atteggiamento di Costantino il Grande conciliò al Papato un certo splendore esterno. Con il trasferimento della residenza imperiale da Roma a Costantinopoli, il Papa divenne di fatto la suprema autorità politica, sebbene di diritto l’Imperatore continuasse a dominare, per oltre quattro secoli ancora, la città di Roma. – Ma la dominazione bizantina diverrà per l’Italia più insopportabile che quella dei barbari. Le angherie del fisco, le ingerenze della corte nel campo religioso finiranno, ai tempi di Liutprando, per sollevare le popolazioni. L’alleanza dei Papi con la Casa di Heristal e le donazioni fatte da Pipino il Breve alla Santa Sede verranno a costituire, come vedremo, uno stato autonomo, di cui sarà riconosciuto sovrano il Pontefice. Questo potere temporale, sorto per la forza stessa delle cose, contribuì allora efficacemente ad assicurare alla Santa Sede quel prestigio che le era necessario per il disimpegno della sua alta, missione civile, religiosa e morale in mezzo ai popoli.

D. Nel doloroso periodo delle invasioni barbariche chi aiutò gli Italiani?

— Gli unici che dessero un aiuto veramente efficace furono i Sommi Pontefici, poiché gl’imperatori di Costantinopoli si ricordavano dell’Italia quasi soltanto quando si trattava di spillar denaro. I Papi, invece, e con la loro autorità e con la loro beneficenza riuscirono, nei limiti del possibile, a difendere e a soccorrere le popolazioni prostrate da così gravi sciagure.

D. Quale conseguenza portò questo fatto?

— In ogni sventura, come guerra, carestia, pestilenza, i Romani erari sicuri di trovare nel Papa un padre pronto a soccorrerli con tutti i mezzi a sua disposizione; perciò, abbandonati come si trovarono di fatto dagli imperatori di Costantinopoli, cominciarono a vedere nel Papa il loro unico difensore e il loro vero sovrano.

D. Il Papa ha mai cercata e domandata tale sovranità?

— No, ma è nata dal diritto che avevano i Romani di scegliersi un difensore. Tuttavia qualche debole legame con l’impero bizantino rimase ancora di fatto sino all’anno 754, quando ogni vincolo si ruppe.

D . Che avvenne in detto anno?

— I Longobardi, in avanzata verso Roma, avevano giurato di mettere ogni cosa a ferro e a fuoco e di troncar la testa a tutti i Romani. Questi ricorsero, come al solito, inutilmente, all’imperatore di Costantinopoli. Allora il Papa valicò le Alpi nel cuore dell’inverno, «per salvare Roma », e ottenne l’aiuto necessario dal re dei Franchi, Pipino, che scese due volte in Italia e sconfisse il re dei Longobardi.

D. Che fece Pipino dei territori tolti ai Longobardi?

— Li donò al Papa.

D. Che cosa formarono essi?

— Roma con i suoi dintorni, dove il Papa era già da tempo riconosciuto come sovrano, e i territori donati da re Pipino, formarono il « Patrimonio di S. Pietro » o Stato Pontificio.

D. Quanto durò lo Stato Pontificio?

— Attraverso vari e vicende, che sarebbe troppo lungo narrare, si mantenne per più di mille e cento anni, cioè fino al 1870, quando le truppe di Vittorio Emanuele II entrarono in Roma.

D. Il Papa, a Roma, si può dire che avesse una posizione come quella d’un vescovo qualunque?

— L’asserirlo sarebbe una puerilità. Difatto egli non era suddito dell’imperatore; infatti non era l’imperatore a nominarlo, né a dargli prestigio, ma la successione di Pietro, l’autorità di S. Pietro, la tomba di S. Pietro.

D. Come mai allora lo si vede immischiato in affari terreni… ?

— È vero, ora è intento a operazioni di guerra, ora a negoziare trattati, in nomine di funzionari, nella custodia delle finanze dello Stato, in intraprese di carattere municipale, come in restauri delle fortificazioni e degli acquedotti, in servizio di vettovagliamento pubblico… Ma tutto questo, non per ingerenza sua, ma per la fiducia che si aveva nella sua autorità morale, nella sua esperienza, nel suo personale d’amministrazione, nella solidità delle sue finanze. S’invocò il suo soccorso; egli non lo rifiutò.

D . Che cosa crearono questi servizi domandati e resi?

— Un territorio sacro intorno al santuario apostolico, che ne originò lo Stato.

D. Difendendo l’autonomia di Roma, il Papa non ha impedito la unificazione d’Italia per opera dei Longobardi?

— Sì, ma fu il sentimento nazionale degl’Italiani di Roma ad opporsi a tale unificazione.

D. E perché mai?

— Perché i Romani non volevano essere Longobardi e il loro capo morale — il primo tra loro —, il Papa, non poteva voler essere longobardo. Si era lottato tanto tempo per conservare l a qualità di Romani, di membri della repubblica santa, di sudditi di un uomo che, nonostante tutto, era l’erede di Augusto e di Costantino. Questa qualità era diventata cosa sacra e intangibile.

D . Chi erano i Longobardi?

— Erano dei barbari; sul loro conto si diffondevano racconti di ogni specie sulle loro inferiorità. Le loro leggi e i loro costumi non quadravano con quelli dei Romani; il diritto longobardo era fortemente improntato a tradizioni germaniche, mentre il Romano era piamente conservato dalle Dodici Tavole fino a Giustiniano. Dove arrivava il longobardo, bisognava vestire e portare i capelli e barba come lui; un Romano non l’avrebbe mai fatto, come un inglese non si rassegnerebbe mai a portare il codino dei cinesi e i loro abiti ondeggianti.

CAPO XI.

LO SCISMA GRECO

PREAMBOLO

Incompatibilità di carattere

Nel sec. IX, la Chiesa Orientale, che faceva capo a Costantinopoli, si separò dalla Chiesa Occidentale, che faceva capo a Roma. – Diverse ragioni d’indole morale, culturale, politica avevano lentamente scavato un profondo solco tra l’Europa medio-occidentale e l’Impero d’Oriente. Dalla diversità di carattere, esistente tra gli Occidentali e gli Orientali era nata un’avversione reciproca tra Greci e Latini, avversione che si accrebbe soprattutto durante la dominazione romana. – I Greci, che avevano raggiunto il primato nella filosofia, nell’arte, nella cultura, sentivano il giogo di Roma più di ogni altro popolo. In seguito, il trasferimento della capitale a Bisanzio diede ai Patriarchi di questa città l’illusione che vi fosse stato trasferito anche il Primato dell’Autorità spirituale e, se non osarono mai esprimere chiaramente quest’idea, praticamente lasciarono spesso comprendere che ambivano di rendersi indipendenti dal Pontefice Romano.

D. Per quali cause nacquero dissidi tra greci e latini?

— Per risentimenti nazionalistici con relative mutue incomprensioni, e per l’ambizione dei patriarchi di Costantinopoli.

D. Che cosa pretendevano i patriarchi di Costantinopoli?

— Pretendevano che dopo che questa città era diventata la capitale dell’Impero, fosse riservato ad essi un posto speciale di onore e di comando.

D. Che cosa accordarono loro i Papi?

— Il titolo di Patriarca, cioè di capo ecclesiastico per alcune Provincie, ma non la denominazione di « ecumenico », cioè «universale », ch’essi si arrogarono. Per questo videro nel Papa di Roma il perpetuo ostacolo alla gloria della « nuova Roma », come chiamavano Costantinopoli.

D. Che cosa contribuì a rendere più vivo questo malanimo!

— La serie di errori di religione che sorsero nella Chiesa orientale, e che costrinsero spesso il Papa a intervenire in difesa della vera Fede, e a lottare anche contro gli imperatori greci, che pretendevano di sentenziare su cose di fede, come se fossero essi i capi della Chiesa.

D. Che cosa portarono questi interventi pontifici?

— A ferire l’orgoglio degli orientali assai vivamente, tanto più che essi per gli occidentali conservavano il più burbanzoso disprezzo. Era per loro umiliante ammettere di essere caduti nell’eresia, tanto più poi doverlo riconoscere per l’intervento di un occidentale, quale era il Papa. Gli occidentali per loro erano nient’altro che barbari.

D. Ci furono atti di ribellione all’autorità del Papa?

— Ce ne furono anche prima del secolo IX, ma il più grave fu lo scisma promosso da Fozio nel sec. IX.

D. Chi era Fozio?

— Un greco assai dotto, segretario dell’imperatore Michele III, e scomunicato dal santo patriarca di Costantinopoli, Ignazio, per i suoi scandali.

D. Che fece Fozio!

— Brigò per far cacciare illecitamente Ignazio e poi approfittò della di lui assenza forzata per andare al suo posto. Era semplice laico, in soli sei giorni si fece conferire tutti gli ordini sacri, fino all’episcopato, e, sostenuto dall’imperatore, si mise a perseguitare i vescovi che non lo volevano riconoscere e rimanevano fedeli al legittimo patriarca Ignazio.

D. A chi si rivolse Ignazio per aver giustizia?

— A Roma, ma Fozio ne fece intercettare le lettere, poi scrisse lui stesso presentando i fatti in modo completamente alterato.

D. Che fece il Papa!

— Il grande Papa Nicola I, conosciuti gli inganni di Fozio, prese risolutamente le parti della giustizia, depose Fozio e dichiarò legittimo Ignazio.

D. Come si diportò Fozio?

— Non si volle sottomettere al giudizio del Papa e si ribellò; anzi cercò di trascinare alla ribellione tutta la Chiesa greca, impugnando la supremazia della Santa Sede di Roma.

D . Quali accuse portava contro i latini!

— Ne portava delle ridicole, ad es che i preti latini si radevan la barba (presso gli orientali la barba è segno di dignità, ed esserne privi è uno dei più gravi sfregi) : … che i latini a Pasqua mettono sull’Altare un agnello per sacrificarlo con il Corpo di Gesù Cristo: cosa che nessuno s’è mai sognato di fare. Ma la più grave fu che i latini fossero caduti in eresia, perché nel Credo dicevano: « Credo nello Spirito Santo che procede dal Padre e dal Figlio », mentre gli antichi dicevano solo « dal Padre ».

D . Che risposero i latini?

— … che l’aggiunta non falsava, ma chiariva, il senso della Scrittura e il pensiero dei Padri.

D. Accettarono i greci la spiegazione ?

— No, ritennero vera l’accusa di Fozio e si servirono anche di essa per consumare lo scisma definitivo di due secoli dopo.

D. Che diceva Fozio nella sua lettera del Primato del Papa !

— Lo negava, in quanto il Vescovo di Roma sarebbe stato capo della Chiesa fino a che Roma fu capitale dell’Impero, ma ormai che la capitale era Costantinopoli, il capo della Chiesa era il Vescovo di Costantinopoli.

D. È giusto l’argomento di Fozio?

— No, perché il Papa non è il capo della Chiesa perché anticamente

Roma era capitale del mondo ; ma soltanto perché il legittimo successore di San Pietro principe degli Apostoli, morto vescovo di Roma.

D. Che avvenite nell’ottavo Concilio Ecumenico (Costantinopolitano IV)!

— La condanna di Fozio e la riconciliazione della Chiesa Orientale con Roma (anno 869).

D. Fu vera riconciliazione!

— Esternamente sì; negli animi però i rancori non erano scomparsi. Dopo 200 anni di pace apparente, nel 1054, per opera di Michele Cerulario, patriarca di Costantinopoli, scoppiò di nuovo lo scisma e questa volta fu permanente.

D. Come cominciò l’attacco?

— Michele ordinò la chiusura delle chiese e monasteri latini; scrisse contro i latini incolpandoli di eresia: proibì la Comunione amministrata dai latini, perché consacravano il pane azimo e non fermentato come gli orientali; fece persino calpestare l’Eucarestia dei latini.

D. A che valse l’ intervento del Papa?

— A nulla: i legati suoi non furono neppur ricevuti. Era l’anno 1054.

DA SAN PIETRO A PIO XII (8)

[G. Sbuttoni: Da Pietro a Pio XII, Edit. A. B. E. S. Bologna, 1953; nihil ob. et imprim. Dic. 1952]

CAP. IX

CRISTIANIZZAZIONE DEI POPOLI BARBARI

PREAMBOLO

Opera materna

Crollato l’Impero, non rimaneva, erede di esso, se non la Chiesa. Come la madre, alla morte del padre, governa la casa, difende e nutre i figli, conserva come può il patrimonio dilapidato, così la Chiesa, disarmata e indifesa, assunse, come poté con i suoi mezzi e con la sua autorità, il governo dell’Europa Occidentale. I Vescovi, prima di tutto si opposero alle nefandezze dei barbari; difesero i popoli inermi, mantennero le leggi civili. Poi presero l’amministrazione di terre, il governo di città, qualche volta anche il comando d’eserciti.

« Episodi del genere si ripeterono, e in proporzioni ampie — giacché si prestarono non solo i Vescovi, ma anche presso che tutti i Parroci — negli infausti anni della guerra 1940-1945 particolarmente in Italia ». E i barbari, dinanzi all’ augusta autorità del Papa, dinanzi alla paterna fermezza dei Vescovi, dinanzi alla severa autorità dei Monaci, spesso piegarono la fronte e le ginocchia.

D. Vinto il politeismo greco-romano, a che si trovò di fronte la Chiesa?

— All’invasione dei barbari, che a guisa di incontenibili valanghe s’abbatterono su tutta l’Europalatina e l’Africa settentrionale.

D. Quale fu la sorte dell’Italia?

— … di vedersi invasa prima dagli Eruli guidati da Odoacre, poi dagli Ostrogoti di Teodorico, infine dai Longobardi.

D. E la sorte della Chiesa?

— Se non fosse istituzione divina, avrebbe fatto la fine dell’Impero; invece fu la Chiesa a vincere i barbari, guadagnandoli a Cristo e al Vangelo.

D . Come si regolò la Chiesa con i barbari?

— Essa accettò da loro tutto ciò che poteva essere accettato e condannò in loro tutto ciò che era contrario alla legge di Dio.

D. Quale potrebbe essere un esempio?

— Questo: secondo il costume barbarico, i giovani venivano iniziati all’arte delle armi con riti e prove solenni. La Chiesa cristianizzò queste iniziazioni e cercò di elevare il valore militare a legge più alta.

D . Che cosa ne nacque?

— La Cavalleria Cristiana, che dal secolo VII al XIV forma il ceto più caratteristico della società feudale e che ha dato contributi sì alti alla civiltà, alle arti, al costume.

D. Chi è il Cavaliere?

— Non è più il milite che va a cavallo o, come a Roma, una classe di appaltatori; è il tipo dell’uomo, educato dalla fanciullezza alle armi, scelto tra i cadetti ( = figli non primogeniti) delle famiglie nobili, libero combattente del diritto e del capriccio.

D. Quali difficoltà incontrò la Chiesa per conseguire la sua vittoria sui barbari?

—- La più grave fu quella di trovare una parte di barbari infetti di arianesimo, propagato da Costantinopoli, nemica di Roma. Tuttavia con lavoro paziente e costante vinse anche i più gravi ostacoli.

D. Quali furono i popoli guadagnati?

— I Franchi, il cui re Clodoveo ricevette il battesimo a Reims nel 496 dalle mani di S. Remigio;

la Scozia e l’Irlanda per opera di S. Patrizio;

l’Inghilterra per opera di S. Gregorio Magno, che v’inviò S . Agostino di Canterbury con 40 monaci;

i Longobardi, attratti al Cattolicesimo dall’esempio e dall’opera della loro regina Teodolinda;

la Germania, guadagnata nel 700 da S. Bonifacio;

gli Slavi, convertiti dai fratelli S. Cirillo e S. Metodio;

i Magiari, conquistati alla Chiesa dal re S. Stefano.

LETTURA

IL CAVALIERE IDEALE

Nel grande poema « La canzone dì Rolando » e raffigurata mirabilmente

in questo eroe il tipo del cavaliere ideale del secolo XI. La formazione di lui è attribuita a Carlo Magno (Rolando, infatti, è nipote di lui) che così parla al figlio Luigi:

— Tu che finora non hai conosciuto altra legge che il tuo arbitrio, ti sottometterai ai comandi della Chiesa e proteggerai i templi e i monasteri. Tu che hai disprezzato i deboli e i poveri diventerai il protettore dì essi, il difensore dei fanciulli, delle vedove, dei malati.

« Verso i poveri ti dovrai umiliare ». Tu che finora sei stato mancatore di parola e sprezzatore di ogni diritto, sarai invece fedele alla parola, leale, generoso: « Senza macchia e senza paura ».

Quattro secoli dopo — quando il compito storico della Cavalleria sta per tramontare — la madre dì Pietro du Terrail, signore di Baiar do (e perciò detto « Boiardo ») benedice suo figlio che va in guerra. Pietro le dice:

— Madre, benedite vostro figlio affinché, lontano da voi, non commetta errori.

E la madre dice:

— Pietro mio caro, tu stai per allontanarti da me! Quanto posso io ti raccomando tre cose: « La prima è che sopra tutto ami e serva Dio senza offenderlo mai, perché Lui ti fa vivere e ti salverà. Tutte le mattine e tutte le sere, raccomandati a Lui. Egli ti aiuterà. La seconda è che tu sii dolce e cortese con i tuoi compagni d’armi. Non sii orgoglioso con quelli che sono da meno di te: non disubbidire ai tuoi superiori. La terza è che tu sii generoso e puro e che dei tuoi doni faccia profittare quelli che ne sono sprovvisti. Dare in nome di Dio non impoverisce ».

Il buon cavaliere rispose commosso, ma risolutamente :

— Madre mia, dei vostri insegnamenti vi ringrazio! E spero che, grazie a Dio, sarete contenta di me. Baiardo combatté da eroe (morì in Italia nella battaglia di Romagnano nel 1524) e la storia lo chiamò « cavaliere senza macchia e senza paura ».

La Chiesa, facendo cristiana la Cavallerìa, dava alla giovinezza una scuola di energia e di ideale; fondendo l’antico e il nuovo, la Chiesa dava modo ai giovani dì realizzare le virtù dell’atleta e del soldato in perfetta combinazione con le virtù più alte, con la lealtà e la generosità, il rispetto alla donna e la protezione dei deboli, il sentimento dell’onore e del sacrificio, la difesa del diritto e della Fede. L’educazione del cavaliere s’iniziava a sette anni, con l’esercizio di giuochi e di prove, che oggi diremmo ginniche e sportive; dopo qualche anno, veniva ammesso in qualità di paggio in un castello baronale e qui, insieme con le abitudini di corte (la « cortesia ») sì dava ai cimenti della caccia, dell’ippica, della scherma; divenuto poi scudiero, serviva alla tavola i signori del castello, e seguiva quale aiutante il suo cavaliere ai giuochi d’ arme e alla guerra; finalmente, alla maggiore età, era fatto cavaliere. – La Chiesa mentre cristianizzava la istituzione, interveniva alla cerimonia del conferimento della spada, che in origine era laica e militare; a poco a poco, la Chiesa benedice la spada, fa precedere il conferimento con una veglia di anni nella quale si celebra la Messa, e finalmente fa consegnare la spada da un sacerdote.

IL FENOMENO ISLAMICO

ISLAMISMO – Da Islam, abbandono fatalistico a un Dio rivelante la sua volontà in Maometto suo profeta. – Dal giorno in cui Maometto, unificate le genti dell’Arabia, le catapulta contro il mondo degl’infedeli con la guerra santa, fin verso il sec. IX, l’Islam realizza un’immensa unità territoriale, dall’India e dal centro dell’Asia a tutta l’Africa del Nord e alla Spagna. Sarà disgregata dall’interno e colpita dall’esterno; l’impero ottomano ricostruirà, fino a un certo punto, l’unità antica, per cadere poi fradicio sotto i colpi dell’Europa e dar luogo alle autonome sistemazioni moderne. Entro questa sua storia l’Islam fu ed è una delle massime civiltà mondiali. Qui interessa sopra tutto il suo contenuto religioso ed umano.

Il suo dogma dominante ne fa un rigoroso monoteismo, strumento definitivo ed esclusivo del quale è la rivelazione personale di Maometto e la sua legge coranica, sanzionata per i fedeli dal dogma di una vita futura, con pene e premi adeguati ad una mentalità spiritualmente non depurata dal senso e dalla fantasia. La sua morale riprende motivi naturaliter christiani [– ereditati dagli ebioniti – ndr.], sostanzialmente presenti anche nei quattro precetti delle cinque preghiere quotidiane, del digiuno del Ramadan, della elemosina (imposta) e del pellegrinaggio alla Mecca. La sua legge, che dal Corano scende sempre più concreta e particolareggiata alla Sunna (tradizione), poi all’igmà (fissazione canonica di leggi) e, infine, al gijas (interpretazione giuridica degli ulema), colloca tutto lo sviluppo del diritto sotto il segno della religione; solo che l’umanità infedele che ne viene esclusa non ha altra scelta che l’accettazione integrale dell’ Islam o la guerra di sterminio, o — se si tratta di Ebrei o Cristiani — il tributo del sottomesso. [Oggi sappiamo da ricerche storiche approfondite, che in realtà il Corano – non essendo stata mai dimostrata la presenza di comunità giudaiche a La Mecca con presenza di rabbini, né la storica esistenza di Maometto – è l’opera di monaci ebioniti, ebrei cristianizzati a metà, legati al vecchio Testamento e feroci nemici di san Paolo e della sua teologia – ndr. -].

La sua gerarchia di Muftì non ha carattere di sacerdozio organico, ma di magistratura religiosa; il che esclude senz’altro il concetto di Chiesa. Nel complesso abbiamo, dunque, non uno strumento di salvezza spirituale e universale visibilmente concretato in una Chiesa, ma una concezione religiosa, organica, sì, e nobile in se, ma di cui l’esclusivismo particolaristico connaturato, non solo, ma potenziato dalla proclamata religiosità dell’odio verso gl’infedeli e sanzionato dalla morte comminata agli apostati, fa uno strumento squisitamente politico; e ciò prova tutta la storia dell’Islam, anche se i punti spirituali di contatto con il Cristianesimo siano evidenti, e facciano dell’Islam la religione più vicina — dopo l’ebraica — a quella di quel Gesù che i musulmani venerano insieme con Mosè come profeta precursore.

D . Mentre in Occidente si affermavano le conquiste della Chiesa, che avveniva in Oriente?

— In Oriente si addensava la nube minacciosa dell’Islam.

D. Che cos’è l’Islam?

— È la dottrina di Maometto e significa « abbandono i n Dio ».

D. Chi è Maometto?

— Un solitario e contemplativo, nato in Arabia nel 570, [in realtà non esiste nessun documento storico e nessuna testimonianza valida in tal senso… -ndr.-] che prese a fondere insieme tutte le disunite tribù arabe,dando loro una religione comune, che gli aveva suggerito, così dava ad intendere, l’Arcangelo Gabriele.

D. Qual è la sua dottrina?

— Questa: esiste un solo Dio e Maometto è il suo profeta. Abramo e Cristo furono profeti veri e quindi da venerarsi, ma Maometto è a loro superiore.

D. Quali sono i precetti dell’Islam?

— Preghiera 5 volte al giorno;

— digiuno nel mese di Ramadan;

— elemosina;

— pellegrinaggio alla Mecca da farsi almeno una volta in vita;

— guerra santa.

D . La morale dell’Islam s’accorda con il Cristianesimo?

— Affatto. Per trovare aderenti, Maometto permette pieno sfogo alle passioni umane, approvando la poligamia, insinuando l’odio contro i Cristiani, insegnando il fatalismo, affermando che chi muore in battaglia contro i nemici dell’Islam ha il massimo grado di gloria in paradiso e un paradiso sensuale.

D. Che fecero questi brutali insegnamenti?

—- Fecero degli Arabi un vero serio pericolo per la cristianità e la civiltà.

— Contro di esso si eressero i Papi, specialmente con le Crociate,

e combatterono fin che fu abbattuto.

DA SAN PIETRO A PIO XII (7)

[G. Sbuttoni: Da Pietro a Pio XII, Edit. A. B. E. S. Bologna, 1953; nihil ob. et imprim. Dic. 1952]

CAP. VIII

LA CADUTA DELL’IMPERO ROMANO

 PREAMBOIO

Sic transit gloria mundi

Fino alla morte di Teodosio il Grande (395) i confini dell’Impero Romano si mantennero a un dipresso quali furono ai tempi della sua massima floridezza; vale a dire, ad Occidente l’Atlantico; a settentrione il muro dei Caledoni (nella Brettagna), il Mar del Nord (Mare Germanicum), i corsi del Reno e del Danubio; ad Oriente il Mar Nero, l’Altopiano Armeno, il corso dell’Eufrate, il deserto di Siria; a sud il Mar Rosso, l’Egitto fino alla prima cateratta del Nilo, i deserti di Libia, la catena del grande Atlante. Ad eccezione della Dacia di Traiano, che, invasa dai Goti nella seconda metà del sec. III, era stata abbandonata dall’Imperatore Aureliano, Roma aveva potuto conservare fino al principio del sec. V le sue frontiere quasi intatte. Questa stabilità di confini era dovuta principalmente al fatto che le frontiere militari erano ad un tempo frontiere naturali. Vi contribuì pure l’opera degl’imperatori così detti Restauratori, quali Diocleziano, Costantino, Teodosio. Se non che la morte di Teodosio e la divisione dell’ impero tra i suoi due figli, Àrcadio e Onorio, oltre rompere l’unità di azione, tanto necessaria in quei momenti, contribuì ad aumentare l’antagonismo tra le due stirpi; la latina e la greca; antagonismo che si rileva tosto potentissimo anche nella gelosia tra le due corti. Di questa condizione di cose approfittarono tosto i barbari che circondavano l’Impero. E prima i Visigoti, poi gli Unni, i Vandali, gli Ostrogoti ne provocarono la irreparabile caduta.

D. Che avvenne nel 476?

— La caduta del Romano Impero per opera dei Barbari, che, guidati da Odoacre, capo degli Eruli, deposero l’ultimo imperatore Romolo Augusto, il cui nome raccoglieva, per colmo d’ironia, le glorie del fondatore di Roma (Romolo) e gli splendori dell’età d’oro dell’impero (Augusto); glorie e splendori che ora andavano interamente sciupati.

D. Che impressione fece la caduta dell’impero romano?

— Lasciò nei contemporanei un’impressione così tremenda, che ne rimasero come trasognati. Sembrò loro che ogni cosa crollasse, e si parlò sul serio della imminente fine del mondo.

D. Non erano esagerate quelle previsioni così nere?

— Sì, a guardarle a tanti secoli di distanza e dopo che dalle rovine della vecchia civiltà si è veduto sorgere una più vigorosa civiltà nuova. Ma se ci riportiamo a quei tempi, le dobbiamo dire giustificate.

D. Che cosa si riteneva allora?

— … che il mondo non avesse potuto sussistere, quando Roma non l’avesse governato con le sue leggi e tenuto in pace con la sua forza.

D. Ora qual era lo spettacolo che si presentava alla vista di tutti?

— Quello di torme di barbari feroci, che, con la furia di un ciclone, percorrevano da un capo all’altro le regioni occidentali e talvolta anche le orientali, lasciando sul loro passaggio stragi e rovine spaventose; mentre i cittadini dell’impero erano condotti via schiavi, con le catene al collo, a branchi, come bestie; la città stessa di Roma, la dominatrice dell’universo, era presa e saccheggiata per ben due volte in meno di cinquantanni; dovunque era il disordine, la morte, il terrore.

D . Come mai uno Stato così potente crollò così presto e con tanta rovina?

— L e ragioni sono varie.

D. Sono fondate le accuse che incolpano di tale caduta il Cristianesimo?

— No e presentano buona dose di ingenuità, per non dire malignità.

D. Quali sono queste accuse?

— Allora si diceva: il sorgere e l’affermarsi del Cristianesimo coincide con il decadere e lo sfasciarsi dell’impero, dunque il Cristianesimo fu la causa della rovina di Roma.

— Si diceva inoltre: si sono abbandonati gli dei dell’Impero, si sono tralasciati i sacrifici in loro onore, si sono chiusi i loro templi; ora essi si vendicano. E lanciano contro di noi le schiere feroci dei barbari, e non aiutano più come una volta gli eserciti romani. (De Civitate Dei).

D. Quali sono le accuse moderne ?

— Poiché le accuse citate fanno sorridere i moderni, questi le formulano in altro modo, cioè incolpano della caduta dell’impero il Cristianesimo, perché esso ha inaugurato il disinteresse per i beni della terra, predicando che i veri beni sono soltanto quelli dell’altra vita, mentre questo mondo è come un’ombra che passa, è come erba che inaridisce. Dopo questa predicazione gli uomini si chiesero : — A che lavorare, combattere, soffrire per la potenza dello Stato? Il nostro attaccamento dev’essere non per le cose della terra, ma del cielo. E intanto i barbari travolsero e abbatterono l’Impero.

D. Quale altra causa si porta?

— Che la Chiesa avrebbe creato ostacoli all’opera dello Stato.

D. Quali ostacoli?

— Innanzitutto, la Chiesa, perché vincitrice della lotta di tre secoli con l’Impero, agiva ormai come potere indipendente e in molte cose contrario. Per esempio, lo Stato aveva bisogno di soldati e la Chiesa gli strappava a migliaia uomini validi, per farne chierici e monaci. Aveva bisogno di popolazione numerosa e la Chiesa, predicando l’eccellenza della verginità, popolava i deserti e i monasteri di gioventù che non dava più discendenti alla patria. Aveva bisogno di spirito combattivo e la Chiesa insegnando l’amore per tutti, anche per i nemici, spegneva o attenuava quell’odio, senza il quale la lotta o non è possibile, o non si porta a fondo.

D. Sono queste le vere ragioni?

— No, certo.

D. Quali dunque?

— Vediamo quali erano le condizioni dell’Impero Romano: Bisogna tener presente che nell’Impero il potere supremo era tutto, in realtà, nelle mani dell’esercito, il quale difendeva le frontiere dai barbari e manteneva l’ordine interno; non solo, ma altresì faceva e disfaceva gl’imperatori e ne contrapponeva l’uno all’altro. Di qui guerre continue. – In una sola parola, il governo dell’Impero Romano non era che una « dittatura militare » . Imperatore infatti significa generalissimo d’esercito.

D. Quale altro fatto bisogna tener presente?

— L’imbarbarirsi dell’esercito romano, attraverso l’arruolamento di barbari, che arrivarono a costituirne la quasi totalità. Tali barbari miravano a far bottino nelle guerre e a passare sotto il comando di chi li pagava di più. L’amor di patria non lo conoscevano neppur di nome.

D. Che cosa ci fu a dare il tracollo?

— L’ammissione nei territori dell’Impero di intere tribù barbare, che continuavano a vivere con le loro consuetudini, ubbidire ai loro capi, armarsi e combattere a modo loro, con il solo obbligo di difendere i confini dell’Impero.

D. Che risultato finale si ebbe?

— L’esercito così imbarbarito si fece sempre più turbolento; le ribellioni erano a getto continuo; veri padroni dell’Impero divennero i generali, i quali spadroneggiavano dovunque, eleggevano e deponevano l’imperatore. Intanto le tribù barbare dei confini facevano continue scorrerie, razzie, … sicché i barbari fuori dell’Impero trovarono le frontiere senza difesa e ne approfittarono per le loro invasioni.

D. Come mai s’arrivò a tal disastro senza pensare a qualche rimedio?

— Lo impedì l’allargamento dell’Impero e l’esercito permanente. Finché lo Stato fu piccolo, le sue sorti erano quelle di tutti i cittadini; in caso di bisogno ognuno era soldato. Estesosi lo Stato, fu necessario un esercito permanente, che, disgraziatamente, fu composto non di sudditi, ma di volontari, sicché il servizio militare fu, non un dovere per tutti, ma un mestiere per pochi. Il peggio però si fu che l’esercito fu sempre più lasciato a schiavi liberati, a servi della gleba, a barbari. – Tuttavia la causa più grave di tanta rovina fu la profonda corruzione della società romana, sia nobili che plebei, tutta gente oziosa e guasta. Se la Chiesa non fosse stata, per ben 300 anni, perseguitata, avrebbe potuto esserne la salvezza.

D . Che cosa ha sempre inculcato la Chiesa?

— Austera onestà della vita, generosità e sacrificio per il bene comune; ha sempre fatto obbligo a chiunque, anche ai governanti, di rispettare scrupolosamente i giusti diritti e la giusta libertà degli altri.

D. Furono praticate queste dottrine dalla società romana?

— No; se le avesse praticate, sarebbe guarita dalla sua spaventosa corruzione e dal suo egoismo gretto, causa fondamentale del sorgere, del persistere, dell’aggravarsi di tutti gli altri mali.

D. Negli ultimi tempi dell’Impero non divennero quasi tutti Cristiani?

— Per molti il Cristianesimo non era che la religione di moda; si accettava esteriormente, ma nella pratica della vita si rimaneva pagani; perciò la mancata pratica della dottrina cristiana contribuì alla rovina e non già il Cristianesimo veramente vissuto.

N O T A . – Con la pace costantiniana si chiuse l’èra dei martiri nell’Impero; i Cristiani, che finora erano relativamente pochi, si vedevano raggiunti da innumerevoli fratelli; le conversioni, prima difficili, diventavano facili, troppo facili; le chiese erano poche e piccole a contenere la folla dei cattolici…. Spettacolo in parte consolante; ma anche terribilmente ammonitore. – Quella folla, infatti, trascinava con sé non solo i buoni, ì bravi, i leali — che cercavamo la Fede — ma anche i deboli, gli opportunisti, i profittatori, le « canne al vento » che, nella conciliazione (tra Chiesa e Stato) vedevano un’ottima occasione di abbandonarsi alla corrente e, forse, di fare gli affari loro. – Il pericolo era mortale. La vita cristiana rischiava di perdere quella legge di eroismo che fa di essa una continua lotta e un continuo esercizio contro il male e il peccato.

D. Che vale l’accusa che la Chiesa abbia strappato migliaia dì uomini validi per farne chierici e monaci?

— Nulla, perché l’Impero Romano non adottò mai la coscrizione obbligatoria generale; inoltre il monachismo acquistò importanza per il numero apprezzabile di militanti solo intorno al 350. Tale numero però, di fronte alla massa, è sempre esiguo e fatto di uomini non tutti validi, né tutti obbligati al servizio militare. Sicché si può esser certi che l’esercito romano non si sentì mai in crisi per la loro esenzione.

D. La Chiesa ha contribuito ‘allo spopolamento predicando la verginità!

— L o spopolamento, dovuto soprattutto alla corruzione dei costumi, era già in atto fin dai tempi di Augusto, che tentò porvi riparo con leggi tendenti a combattere la denatalità. La pratica della verginità fu di pochi m confronto alla massa, (« Chi ha mai cercato moglie e non l’ha trovata?», chiede s. Ambrogio nel « De Virginitate » 35-36) , e quella pratica fu una vigorosa forza di opposizione al male, cioè a quella deficienza di senso morale, che è la causa fondamentale della decadenza demografica.

D. E’ ammissibile che lo spirito guerriero si affievolisse per effetto delle dottrine cristiane?

— Neppure. Come osserva s. Agostino, i precetti del Cristianesimo

(amore per tutti, anche per 1 nemici) non si oppongono a una guerra giusta, ma solo a quei sentimenti inumani di vendetta e di crudeltà, che anche i migliori tra i pagani avevano riprovato. Al soldato fu detto sempre di combattere con coraggio, ma non per spirito di odio, bensì di amore, per la giustizia e per l a Patria. E l’amore accende fortemente gli animi alla lotta, eleva moralmente il combattente e ne fa il costruttore della civiltà. Del resto va notato che l’Impero Romano era in decadenza quando le dottrine cristiane non potevano ancora avere nessuna sensibile efficacia sulla politica.

D. Che dire della coincidenza tra l’avvento del Cristianesimo e la rovina dell’Impero?

— Quando il Cristianesimo intraprese a percorrere la strada dell’Impero, questi era già stanco per il lungo cammino già percorso; aveva infatti già mostrato dei gravi sintomi di malessere prima che venisse il Cristianesimo, quali le guerre civili che portarono all’abolizione della Repubblica e alla costituzione dell’Impero.

DA SAN PIETRO A PIO XII (6)

[G. Sbuttoni: Da Pietro a Pio XII, Edit. A. B. E. S. Bologna, 1953; nihil ob. et imprim. Dic. 1952]

CAPO VI.

I PADRI DELLA CHIESA

PREAMBOLO

Gli avvocati del Cristianesimo

Dopo Origene si accesero dispute gravissime. A Cesarea sorse una scuola di suoi seguaci. Ad Antiochia invece ne sorse una contraria. Gli Origenisti, che si potrebbero paragonare a certi idealisti di oggi, e gli Antiorigenisti, che si potrebbero paragonare a certi positivisti dei nostri giorni, si combatterono a lungo. La dottrina cattolica, che venne proclamata via via in definizioni dogmatiche, da Concili e da documenti pontifici, corse i suoi più gravi rischi tra codesti due turbini. Ma con l’assistenza dello Spirito Santo e in virtù della forza e della santità di altri potenti pensatori, il Magistero ecclesiastico uscì sempre trionfatore da tutte le eresie.

Quegli scrittori ecclesiastici che portarono nuova luce di dottrina alle verità cristiane e nuovo fervore di carità nella vita della Chiesa, furono poi chiamati Padri. Padri greci e Padri latini secondo che scrivevano in greco o latino. La loro opera d’immensa mole e d’immensa portata sorpassa il quadro della prima Chiesa, e i limiti d’un periodo. Sono gli avvocati del Cristianesimo, i maestri dell’umanità cristiana e la voce della Chiesa. Essi recinsero le nude verità, predicate da Gesù, della gloria del pensiero e della parola e furono tanto più efficaci dei filosofi d’ogni tempo, perché vissero ciò che scrissero. Furono grandi scrittori di Dio, perché grandi cuori, prima che grandi intelletti; santi, prima che dotti, e perciò due volte dottori, anzi «padri».

D. Chi sono i Padri della Chiesa ?

— Sono scrittori ecclesiastici, che si distinguono sopra tutti per quattro motivi:

1) L’ortodossìa, cioè che sia sempre rimasto fedele alla dottrina cattolica;

2) la santità di vita;

3) l’antichità, cioè che appartenga all’età d’ oro della primitiva letteratura ecclesiastica; (per i Greci va fino a S. Giovanni Damasceno (753) e per i Latini fino a S. Gregorio Magno (604).

4) L’ approvazione della Chiesa.

D. Chi sono i Dottori della Chiesa?

— Alcuni Padri che per la loro scienza eminente si sono distinti in modo particolare.

D. Chi sono i Padri greci?

 — Sono i dottori della Chiesa Orientale, quali: S. Atanasio, martello degli Ariani; S. Basilio, difensore della divinità dello Spirito Santo contro l’eretico Macedonio; S. Gregorio Nazianzeno, profondo teologo e poeta; S. Giovanni Grisostomo, grande oratore, chiamato perciò « Bocca d’oro ».

D. Chi sono i Padri latini?

— I dottori della Chiesa Occidentale, quali: S. Ilario di Poitiers, grande difensore della Trinità contro gli ariani propagatisi in Occidente; S. Ambrogio di Milano, grande oratore, benemerito della liturgia e del canto sacro, propugnatore della virtù e della vita veramente cristiana. Morì dopo 23 anni di attività intensamente apostolica il 4 aprile 397. S. Girolamo, eccezionale studioso di retorica e di ebraico,: tradusse in latino la S. Scrittura (Volgata). Morì nel 420. S. Agostino di cui s’è detto.

CAPO VII.

IL MONACHISMO

PREAMBOLO

L’ascetismo

La parola ascesi in greco significa esercitazione. Come un atleta, come un soldato, l’asceta si esercita per avere una vittoria. Ma la vittoria dell’asceta cristiano non è sua; è della grazia di Cristo…. Ben presto si formarono, nel seno stesso delle comunità cristiane, nuclei di uomini e di donne, che intendevano dedicarsi alla loro perfezione ascetica. Giovani che si consacravano alla carità; vedove che non passavano a seconde nozze e restavano al servizio della comunità; poveri volontari, che donavano tutto ai poveri involontari; eremiti che si isolavano nella preghiera. – Fu necessario che la Chiesa pensasse anche a loro e ben presto si ebbe una legislazione che li governava, perché nella Chiesa non esistono « irregolari ». Anche le forme più alte dell’ascetismo, anche le manifestazioni, che al mondo potevano apparire più assurde, dell’amor di Dio, erano attività della vita cristiana, e dovevano essere regolate dal magistero e governo della Chiesa. I primi tre secoli conobbero molte forme di vita ascetica. Ma quella più estesa e portentosa prese il nome di «Monachismo»; fiorì dal deserto dell’Egitto, nel IV secolo, con S. Antonio.

La pace, dopo la conversione di Costantino, aveva condotto nella chiesa molti uomini, Cristiani più per convenienza che per convinzione. Alcuni sentirono il bisogno di vita ascetica, non per superbia, ma per risanare con il loro maggior sacrificio il corpo rilasciato della Chiesa. Tra questi fu Antonio. La fama della sua santità andò così alta, che si ebbe un moto incontenibile di Cristiani, i quali, per imitare Antonio, fuggivano dalle città e dai paesi per vivere nei deserti. Parve per un momento che non si potesse essere Cristiani senza essere monaci. E la Chiesa ebbe in questo popolo di monaci la necessaria reazione al popolo d’eretici; come le accadrà quando il Protestantesimo scinderà dal suo seno gli Anglosàssoni e la Chiesa si rifarà con nuove innumerevoli, varie e potenti famiglie religiose.

D. Chi sono i Monaci?

— Validi fattori di civiltà. Se i Padri e Dottori della Chiesa giovarono tanto con il chiarire e difendere le dottrine del Vangelo, i Monaci furono benemeriti nel farle penetrare con il loro esempio e con la loro attività nella vita e nei costumi dei popoli ancora idolatri.

D. Chi fu l’ideatore del Monachismo?

— Si può dire che fu N. S . G . CV, che dettò i tre « consigli evangelici », che contengono in germe tutta l’essenza della vita religiosa, cioè povertà volontaria, castità perfetta e ubbidienza ad un superiore liberamente scelto.

D. Chi furono gli attuatori del Monachismo?

— Coloro che, molestati dai persecutori nell’esercizio dei propri doveri religiosi, abbandonarono le città e l’abitato, per rifugiarsi nella solitudine dei deserti africani.

D. Quali furono i suoi inizi e i suoi sviluppi?

—  Cominciò con la « vita eremitica » nel deserto della Tebaide con Cristiani fuggiti alla persecuzione di Decio nel 3° secolo. Tra essi S. Paolo eremita e S. Antonio abate, padre del monachismo orientale, e S. Pacomio, S. Basilio, che con l’invitare i monaci alla vita in comune diedero origine alla vita cenobitica e monastica.

D. Qual era la regola monastica dell’Oriente?

— A capo del cenobio vi era l’ABATE, cui tutti dovevano ubbidire; intorno a lui i religiosi, occupati sempre in preghiera, opere di penitenza, lavori manuali, e nello studio specie della S. Scrittura e della Teologia.

D. Chi dettò la Regola Monastica dell’Occidente?

— San Benedetto di Norcia nell’Umbria, che si ritirò da prima a Subiaco a far vita solitaria, poi passò a « MONTECASSINO », dove fondò la prima grande abbazia dei Benedettini.

D. Che cosa imponeva la sua regola?

— Oltre i precetti evangelici, l’obbligo ai monaci di prendere stabile dimora nell’abbazia, in modo che dove entravano, là morivano. Ogni abbazia formava come una piccola repubblica democratica con capi eletti dal voto dei monaci.

D. Quale ne era il motto?

— « Ora et labora » , cioè preghiera e lavoro.

Il monaco non doveva mai stare in ozio, ma attendere al lavoro dei campi, al lavoro manuale e anche al lavoro intellettuale. I monaci dovevano leggere anche a mensa. In modo particolare poi dovevano attendere a copiare antichi volumi. Dovettero inoltre, in un’epoca in cui gli uomini erano costretti dalle guerre ad abbandonare i campi, farsi maestri d’agricoltura. Così mentre il mondo imbarbariva, i monasteri benedettini erano isole dove si salvava la civiltà.

D. Ebbe sviluppi rilevanti il monachismo? — Con la pace costantiniana (313) prese proporzioni grandiose e divenne la scuola permanente della perfezione e della milizia cristiana. I giovani generosi che abbandonano la patria, la famiglia, la posizione sociale (spesso elevata) si contano a migliaia, sia in Oriente che in Occidente

DA SAN PIETRO A PIO XII (5)

[G. Sbuttoni: Da Pietro a Pio XII, Edit. A. B. E. S. Bologna, 1953; nihil ob. et imprim. Dic. 1952]

CAPO V .

LE ERESIE

PREAMBOLO

Gli eretici

All’opposizione brutale dei persecutori romani, si aggiunse l’opposizione dissimulata, che questa volta si sviluppa in seno alla Chiesa. Gesù Cristo non si accontentò di affermare l’Unità di Dio; introdusse i discepoli nella felice intimità delle Tre Persone divine e presentò Se stesso come vero Dio e vero Uomo. Quale ricchezza dottrinale!

Purtroppo dei Cristiani più o meno sinceri tentano di alterarne la purezza facendo un amalgama delle verità cristiane con alcune concezioni pagane. Intelligentissimi, costituiscono un temibile pericolo per la conservazione della dottrina di Nostro Signore. E ne nascono le eresìe.

Il nome « eresìa » viene da un verbo greco, che vuol dire « separo », «stacco». E anche oggi si indicano con il nome di «eretici» coloro che contraddicono all’insegnamento della Chiesa, per seguire una dottrina particolare e contraria alla stessa, dalla quale perciò si separano, si staccano.

Anche l’eresìa si può dire che nascesse con la Chiesa, perché quando comincia,  l’eresìa ha sempre l’aspetto e la parvenza della verità; è anzi la verità stessa o storpiata o contratta o alterata. Un ramo risecchito è sempre un ramo.

1. – LE ERESIE

D. Cessate le persecuzioni ebbe più a lottare la Chiesa?

— Ebbe una lotta ancor più fatale, quella contro le eresìe.

D. Che cosa sono le eresìe?

— Errori nelle dottrine della Fede. Errori che o svisano la dottrina di Cristo, o la negano, o le contrappongono una dottrina opposta; in questo modo attentano alla stessa esistenza della Chiesa, che vive della dottrina di Gesù Cristo.

D. La Chiesa può tollerare l’eresia o venire a patti con essa?

— No, nel modo più assoluto. La luce non può tollerare le tenebre, né venire a patti con esse; e neppure la verità con l’errore.

D. Quali vie allora restano all’eretico?

— Due vie: o ritrattare i suoi spropositi, o andarsene. Nella Chiesa l’eretico, chiunque egli sia, non ha posto. Perciò viene invitato a correggersi delle sue idee, uniformandole al Vangelo, o alla dottrina della Chiesa; se resiste ostinato, viene eliminato con la scomunica.

D. Di chi furono opera le eresìe ?

— Di certi spiriti colti e inquieti, che, non paghi della Rivelazione cristiana, e, d’altronde, incapaci di sottrarsi al suo fascino, ne deturparono la purezza, tentando di conciliare fra di loro diverse ed anche opposte concezioni.

2. – LE PRINCIPALI ERESIE

D. Quale fu una delle prime eresìe?

— Lo GNOSTICISMO (dal greco « gnosis » = conoscenza), che pretendeva di avere la perfetta conoscenza dei misteri divini; era invece un miscuglio di elementi filosofico-religiosi orientali e cristiani.

D. E’ facile darne un concetto?

— No, perché tale eresìa fu sempre in continua evoluzione, cioè in continuo sviluppo.

D. I diversi sistemi gnostici hanno un punto in comune ?

— Sì, ed è il concetto che fra Dio, bontà infinita, e la materia, esiste una serie di esseri intermedi, che rendono possibile all’uomo di risalire fino a Dio.

D. Come si chiamano gli esseri intermedi?

— «Eoni». La loro perfezione si misura dalla loro vicinanza a Dio.

D. Furono tutti buoni gli « eoni » ?

— No; uno prevaricò; si chiama « Demiurgo ». Dopo aver prodotto una serie di Eoni, malvagi come lui, finalmente creò il mondo materiale e l’uomo.

D. L’uomo dunque è tutto male ?

— No, perché un Eone superiore ha staccato dal mondo spirituale una scintilla divina e l’ha posta nella materia. A misura della presenza di questa scintilla divina, gli uomini si distinguono in:

a) uomini spirituali, nei quali lo spirito supera la materia. Sono gli gnostici.

b) uomini psichici, nei quali lo spirito è uguale alla materia. Sono i Cristiani.

c) uomini materiali, nei quali la materia è superiore allo spirito. Sono i pagani.

D. Qual è lo scopo della Redenzione secondo gli Gnostici?

— Quello di liberare l’elemento divino imprigionato nella materia.

D. Chi è il Redentore?

— Gesù Cristo, il quale, secondo gli gnostici, è uno degli eoni più sublimi, che, assumendo un corpo apparente, redense l’umanità.

D. Quale fine assegnano al mondo?

— Compiuta la liberazione dell’ elemento divino dalla materia, il mondo sarà distrutto e con esso gli uomini che non meritano la salvezza.

D. Quali concezioni morali portò questa dottrina?

— Ne portò due formalmente opposte; una che insegnava la pratica della mortificazione e della penitenza; l’altra che liberava il freno ad una immoralità spaventosa, come risulta dal quadro delle scostumatezze degli gnostici, che ci fa S. Ireneo.

D. Che fece la Chiesa contro questa eresia?

— Per mezzo di molti Padri del tempo la sgominò. Tra tutti si distinse S. Ireneo con il suo celebre volume « Adversus Hæreses».

D. Quale argomento porta S. Ireneo nel suo « Adversus Hæreses »?

— Il seguente: la dottrina di Gesù Cristo fu, per suo ordine, insegnata dagli Apostoli a tutto il mondo; ora presso le singole chiese, che hanno origine apostolica, non esiste nessuna traccia di gnosticismo, anzi esse hanno sempre creduto einsegnato il contrario; perciò il Vangelo non ha nulla a che fare con le aberrazioni gnostiche.

3. – IL MANICHEISMO

D. Tramontato lo gnosticismo, quale altra eresìa si ebbe?

— Il MANICHEISMO, che prese nome dal suo autore, MANI.

D. Che cosa insegna?

— Che vi sono due regni eterni, quello della luce e quello delle tenebre. Satana esce dalle tenebre e muove guerra a Dio, re della luce. L’uomo, creato da Dio, è fatto prigioniero da Satana, che depone in lui elementi tenebrosi. Di qui la lotta continua che deve svolgere l’uomo, per liberarsi dalle tenebre e riacquistare la luce.

D. Come si compie la liberazione dell’uomo?

— Mediante una vita d’austerità, che comprende tre sigilli e mortificazioni:

a) il sigillo della bocca (divieto di parlare osceno);

b) i l sigillo della mano (divieto di distruggere animali e piante);

c) il sigillo del petto (obbligo di osservare la castità e di astenersi dal matrimonio).

D. In quante classi si distinguevano le persone?

— In due: gli eletti (monaci) e gli uditori (semplici fedeli).

D. Ebbe diffusione questa dottrina?

— Sì, e guadagnò anche uomini di grande cultura. Agostino, prima di essere il Santo che è, passò anche tra l’esperienza manichea.

D. Fu combattuta?

— Sì, dai Padri e dagl’imperatori per i danni che recava alla Chiesa e allo Stato.

D. Ebbe delle riprese?

— Sì, nel sec. XI con la dottrina «albigese», che nel Medioevo costituì uno dei più gravi pericoli per la Chiesa e la società civile.

4. – L’ARIANESIMO

D. Quale fu l’eresìa che sconvolse per molti anni la cristianità ì

— L’ARIANESIMO, che ebbe origine da ARIO, sacerdote di Alessandria, vissuto nel secolo IV.

che sconvolse per molti anni la cristianità ì

— L’ARIANESIMO, che ebbe origine da ARIO, sacerdote di

Alessandria, vissuto nel secolo IV.

D. Come nacque tale efesia?

—- Era sorta una disputa sull’unità di Dio. Per sostenere l’unità di Dio, si adoperò eccessiva intemperanza, sicché si cadde nell’errore opposto, il « subordinazionismo », con cui le tre divine Persone sarebbero tanto distinte tra loro da non essere uguali, ma da avere il Figlio inferiore al Padre e lo Spirito Santo inferiore al Padre e al Figlio. Da questo secondo errore germogliò l’arianesimo.

D. Qual è il pensiero di Ario?

— Secondo Ario il Figlio di Dio, il Verbo, non è generato dalla sostanza del Padre, ma è una creatura che ha avuto origine dal nulla, benché prima di ogni altra creatura e superiore agli stessi Angeli e di cui Dio si è servito per creare tutto il rimanente. Il Verbo non sarebbe Dio per natura, ma per grazia e adozione. Lo Spirito Santo sarebbe la seconda creatura di Dio.

D. Che cosa colpiva questa eresìa?

— Colpiva in pieno la dottrina cristiana. Infatti se la Seconda Persona della SS. Trinità non è Dio per natura, la Redenzione perde tutto il suo effettivo valore, in quanto GesùCristo, semplice creatura, benché la più eccellente, non avrebbe avuto la virtù di redimerci. Con la Redenzione era anche colpita la Rivelazione.

D. Quale fu la reazione della Chiesa?

— Pari alla gravità del pericolo. Un’eletta schiera di Vescovi, 300, si adunò a NICEA, sotto la presidenza di papa Silvestro, nel 325 discusse ampiamente nel Concilio le idee di Ario e alla fine le condannò, scomunicando l’eresiarca.

D. Che cosa fu definito a Nicea?

— Fu definito che la natura del Padre è un’entità sola con la natura del Figlio e si usò per questo la formula: « IL FIGLIO È CONSUSTANZIALE (in greco “omoùsios ” ) AL PADRE » .

D. Si convinse Ario del proprio errore?

— La sua superbia non glielo permise; continuò invece segretamente a lavorare per la sua causa, prendendosela con la parola « consustanziale » dicendola pericolosa, perché, se da un lato asseriva la unità di Dio, dall’altro faceva sospettare che si negasse la distinzione reale fra le tre Persone divine. Sicché la questione riarse con maggior veemenza, e molti Vescovi caddero in buona fede nell’inganno, e, benché di idee cattoliche, ebbero paura della parola « consustanziale » .

D. Che s’aggiunse poi a questa sciagura?

— L’inizio del «CESAROPAPISMO», cioè l’ingerenza del potere civile in materia religiosa, soprattutto con l’imperatore COSTANZO, succeduto a Costantino. Anche gl’imperatori si dettero a imporre le loro opinioni teologiche, ad adunare concili, a far firmare formule dogmatiche composte a loro modo, e ad esiliare e perfino ad uccidere

vescovi.

D. Come morì Ario?

— Morì improvvisamente, mentre i suoi amici gli preparavano un grande trionfo, nel 335.

S. ATANASIO

D. Chi suscitò la Provvidenza per debellare la peste ariana?

— S. Atanasio, vescovo di Alessandria, nato nel 295, discepolo del famoso abate S. Antonio. Attirò l’attenzione di tutti per lo zelo nel combattere l’arianesimo già nel Concilio di Nicea, a cui prese parte quale segretario e consigliere del Vescovo di Alessandria. Nel 328, divenuto vescovo di Alessandria, cominciò ad emergere fino a divenire il nemico più formidabile dell’eresia, il « martello dell’arianesimo ». Dei 35 anni di episcopato alessandrino, solo 5 poté passarne in sede; tutti gli altri li passò in esilio e cercato a morte dagli eretici; finché nel 373, alla vigilia del trionfo della Chiesa sul nefasto errore, morì.

D. Sopravvisse l’arianesimo?

— Purtroppo, perché, bandito dall’impero romano, fu propagato fra i barbari, nei quali si trascinò per qualche secolo.

5. – IL NESTORIANESIMO

D. Che cos’è il NESTORIANESIMO?

— È l’eresia propugnata dal patriarca di Costantinopoli, NESTORIO, uomo di poco ingegno e di poca cultura, vissuto nel V secolo secondo il quale in Gesù Cristo esistono due persone distinte: la divina e l’umana, unite solo moralmente, cosicché il Verbo abita in Gesù uomo come in un tempio. Il Verbo quindi non è nato dalla Beata Vergine, e Maria non può dirsi Madre di Dio, ma solo madre dell’uomo Cristo; e nell’Eucarestia non si riceve che Gesù-uomo.

D. Chi controbattè fortemente questo errore?

— S. Cirillo di Alessandria, che nel Concilio di Efeso del 431 affrontò vigorosamente Nestorio e ne provocò la condanna e la deposizione.

D. Qual è il pensiero del Concilio?

— Questo: la Vergine ha dato a Gesù la sola natura umana, ma questa non possiede propria personalità, in quanto in Cristo sussiste un’unica Persona, quella del Verbo. Ma, siccome le attribuzioni si riferiscono alla Persona, così Maria, madre di Gesù, è giustamente chiamata anche Madre del Verbo, ossia di Dio.

D. L’eresìa scomparve completamente?

— No; in alcune parti d’Oriente vive tuttora.

6. – IL MONOFISISMO

D. Che accadde nella lotta contro Nestorio?

— Si cadde nell’errore opposto; fu per opera di EUTICHE, archimandrita di un monastero di Costantinopoli, che ammise in Gesù-Cristo una sola Persona, ma anche una sola natura, che, nell’Incarnazione, la natura umana sarebbe stata assorbita dalla natura divina.

D. Che nome prese la nuova eresia?

— MONOFISISMO, che significa un’unica natura.

D. Come fu stroncata?

— Dal Concilio di Calcedonia, nel 451, al quale papa s. Leone Magno spedì una lettera dove era esposta con chiarezza la vera dottrina. L’eresia vive ancora in alcune regioni in Egitto e in Etiopia.

7. – IL PELAGIANESIMO

D. Che cos’è il Pelagìanesìmo?

— L’errore di Pelagio secondo cui l’uomo non abbisogna della grazia.

D. Quale fu il pensiero di Pelagio?

— Questo: l’uomo può tutto, se vuole, con la semplice forza della sua libera volontà. Quindi niente debolezze e fragilità nella natura umana. Se per operare il bene fosse necessaria la grazia di Dio, si pregiudicherebbe il libero arbitrio. In breve, secondo Pelagio, l’uomo è sempre in grado di compiere da solo il bene. Il peccato originale non esiste. Il male fatto da Adamo con il suo peccato si risolve solo nell’aver dato cattivo esempio. Il battesimo non è necessario per la vita eterna, ma solo come documento per entrare in cielo. La grazia santificante del pari non è necessaria che come ornamento spirituale per l’anima. Così la Redenzione non è che un’elevazione ad una vita più spirituale.

D. Dove venne condannato questo errore?

— Nei concili di Cartagine e di Milevi, confermata poi subito dopo la condanna da Innocenzo I, rinnovata ad Efeso nel 431.

D. Chi fu il più grande lottatore contro il Pelagianesimo ?

— S. Agostino, contro il quale scrisse ben 15 opere.

D. Come difese S. Agostino la grazia divina?

— Insegnando che l’uomo, ferito dal demonio nel giardino delle delizie, era restato nel mezzo della strada che conduce a Dio, come il viandante sulla via di Gerico « semivivo ». Da solo non si poteva alzare e non avrebbe camminato. Era necessario che Gesù lo rialzasse, come fece il Samaritano al viandante, caricandolo sopra la sua cavalcatura. La grazia di Cristo ci risana, si rafforza, ci conforta. La nostra volontà consente e coopera con Dio che compie in noi la nostra salvazione.

D. Dove nacque Agostino?

— A Tagaste in Africa (Numidia), il 13 novembre 354, da Patrizio, pagano, che si convertì al Cristianesimo poco prima di morire, e da Monica, vero modello di sposa e di madre cristiana.

D. Che vita condusse?

— Studiò fino a vent’anni; poi insegnò grammatica a Tagaste e retorica a Cartagine, dove cadde nel Manicheismo e visse dissolutamente. Passato a Roma e a Milano a insegnarvi retorica, quivi frequentò le lezioni del grande Vescovo S. Ambrogio e la luce del Cristianesimo si fece strada nel suo animo. La conversione ebbe luogo nel 387. Ritornato in Africa, nel 391 fu ordinato sacerdote e nel 394 Vescovo di Ippona, dove rimase per 35 anni, morendovi il 28 agosto del 430, a 76 anni. È chiamato il « dottore della grazia ».