Processione dello Spirito Santo e la storia del FILIOQUE

Processione dello Spirito Santo e la storia del FILIOQUE

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[Trattato dello Spirito Santo, vol. II, cap. V e VI]

Processione dello Spirito Santo.

La Chiesa Cattolica, come organo infallibile del Verbo fatto carne per istruire l’uman genere, ha sempre creduto che la terza Persona dell’adorabile Trinità, eguale in tutto al Padre ed al Figliuolo, proceda dall’uno e dall’altro. Di questa invariabile credenza le prove abbondano nei quattro Simboli: quello degli Apostoli, di Nicea, di Costantinopoli e di sant’Atanasio, come negli scritti dei Padri greci e latini, primi testimoni dell’Insegnamento apostolico. Secondo la sua etimologia la parola procedere vuol dire passare da un luogo ad un altro. Nel figurato la si adopra per designare l’emanazione o la produzione di una cosa che esce da un’ altra. La Chiesa cattolica intende per processione : l’origine e la produzione eterna di una Persona divina da una altra Persona, o da due altre. Su di che bisogna notare, che allorquando si tratta della Trinità, la parola processione si prende in due sensi. Il primo, in quanto si applica alla produzione del Figliuolo e dello Spirito Santo, imperocché dice che l’uno e l’altro procedono. Il secondo, in quanto si applica alla produzione particolare dello Spirito Santo. Difatti il Figliuolo e lo Spirito Santo formando due Persone distinte, dicesi del Figliuolo che è generato, e dello Spirito Santo semplicemente che procede. Che nel senso teologico della parola vi sia processione in Dio, niente è più chiaramente insegnato dalla Scrittura, dalla tradizione, dalla ragione medesima. Chi non conosce quelle testimonianze dell’antico Testamento? « Il Signore mi ha detto: Tu sei mio Figlio ; sono io che oggi ti ho generato. Io ti ho generato nel mio seno innanzi 1’ aurora. » [Dominus dixit ad me : Filius meus es tu : ego hodie genui te. Ps. II, 7. — Ex utero ante Luciferum genui te. Ps. CIX, 8.] Nel contemplare il Verbo, aggiunge il profeta Michea: « La sua uscita é sin dal principio, sino dai giorni della eternità.» [Egressus ejus ab initio, a diebus aeternitatis. Mìch., v. 2.]. Ora l’idea di generazione, di uscita, di origine, implica necessariamente l’idea di processione.

Il Nuovo Testamento è ancor più esplicito. Nostro Signore, parlando di se stesso dice : « Io procedo da Dio e sono venuto. » Ego ex Deo processi et veni. [Joan., VIII, 42.] Breve e sublime parola con la quale il Verbo incarnato si rivela tutto intero ! Io procedo da Dio : ecco la sua generazione eterna : e Io sono venuto; ecco la sua generazione temporale e la sua missione nel mondo. Con la sua bocca augusta rende la stessa testimonianza allo Spirito Santo. « Quando sarà venuto il Paracleto, vi manderò dal Padre mio, lo Spirito di verità, il quale procede dal Padre. » [Cum autem venerit Paracletus, quem ego mittam vobis a Patre, Spiritum veritatis qui a Patre procedit. Joan., XV, 26.  Il pensiero divino, cosi fedelmente raccolto dalla tradizione, viene formulato nel simbolo di sant’Atanasio che l’esprime con questa inappuntabile precisione: « Il Figliuolo è del solo Padre : né fatto, né creato, ma generato. Lo Spirito Santo, dal Padre e dal Figliuolo; né fatto, né creato, né generato, ma procedente. » [Filius a Patre solo est: non factus, nec creatus, sed genitus. Spixitus sanctus a Patre et Filio : non factus, nec creatus, nec genitus, sed procedens.].

La ragione illuminata dalla fede reca alla sua volta al domma cattolico, il solido appoggio dei suoi ragionamenti. Essa dice : Dio è l’essere perfetto; la fecondità è una perfezione, dunque Iddio la possiede. « Se sono Io, domanda il Signore, che faccio generare gli altri, perché non genererò Io ? Io che dò la generazione agli altri, sarò Io sterile ? » Numquid ego qui alios parere facio, ipse non pariam?…. Si ego qui generationem caeteris tribuo, sterilis ero? Is., LXVIII, 9.].  Per l’organo di san Cirillo di Gerusalemme essa aggiunge: « Dio è perfetto, non solo perché è Dio, ma perché è Padre. Chi nega che Dio sia Padre, toglie la fecondità alla natura divina : l’annienta rifiutandoGli una perfezione essenziale, la fecondità. » [Tract. de Trinit., edit. Migne, t. IX.]. Spiegando questa divina fecondità, san Giovanni Damasceno continua: « La ragione non permette di sostenere che Dio sia privo della fecondità naturale. Ora in Dio, la fecondità, consiste in ciò che di Lui medesimo, vale a dire della sua propria sostanza, possa egli generare del pari secondo la sua natura. » De Fide ortod. lib. I, c. VIII. La distinzione delle Persone divine fornisce alla ragione un’altra prova senza replica. Vi sono in Dio tre Persone distinte, e questo l’abbiamo stabilito. Nelle divine Persone non si vedono che due cose: la natura e il rapporto d’origine o la processione: così nel Padre, la natura divina e la paternità; nel Figliuolo la natura divina e la generazione; nello Spirito Santo, la natura divina e l’a processione. Donde viene questa distinzione? Non appartiene alla natura, poiché è una e la medesima nelle tre Persone; resta dunque che essa venga dalla differente comunicazione di questa natura a ciascuna delle Persone divine. Per conseguenza l’Angelo della scuola, parlando dello Spirito Santo, dice con ragione: « Lo Spirito Santo è personalmente distinto dal Figliuolo, perché l’origine dell’uno è distinta dall’origine dell’altro. Ora la differenza d’origine consiste in questo, che il Figliuolo è solamente dal Padre, mentre lo Spirito Santo è dal Padre e dal Figliuolo. Le processioni non si distinguono altrimenti. » [I p., q. 36, art. 2, ad 7.] – Di qui quella profonda dottrina di san Gregorio Nazianzeno che i Greci appellano il Teologo: « Il Figliuolo non è il Padre, ma ciò che è il Padre; lo Spirito Santo non è il Figliuolo, ma ciò che è il Figliuolo. Questi tre son uno con la divinità; e quest’uno è tre per le proprietà distinte. » [Filius non est Pater…. sed hoc est quod Pater ; neque Spiritus sanctus est Filius…. sed hoc est quod Filius. Tria haec unum divinitate sunt, et unum hoc proprietatibus sunt tria . Orat. XXXVII]. Per spiegare l’unità della natura divina, la quale rimane intera e indivisibile nelle tre Persone perfettamente distinte, ricordiamo un paragone sovente adoperato dai Padri; « Avviene, dicono essi, della natura divina, come della natura umana: questa è una e la medesima in tutti gli uomini; moltiplicandosi, essi non la dividono. Qualunque siasi il numero degli uomini, non vi è altro che una natura umana. Pietro è Pietro e non Paolo; e Paolo non è Pietro. Pur nonostante essi sono indistinti per la loro natura. In tutti due la natura umana è una; ed essi posseggono senza alcuna differenza tutto ciò che costituisce l’unità naturale…. Pietro, Paolo e Timoteo sono tre persone, ma essi non hanno che una sola e medesima natura. «Cosi come non vi sono tre umanità; cioè l’umanità di Pietro, l’umanità di Paolo, l’umanità di Timoteo, non vi sono per conseguenza nemmeno tre divinità, la divinità del Padre, la divinità del Figlio, la divinità dello Spirito Santo. Dunque hi Dio vi è, come nel genere umano, distinzione e molteplicità di persone, ma comunità e unità di natura. » [S. Cyrill. Alexand lib. IX, Comment in Joan.].

La Scrittura, la tradizione, la ragione stessa, il cui unanime accordo ci mostra che vi è processione in Dio, c’insegnano con la stessa certezza, che vi sono due processioni in Dio, e che non ve ne ha che due. Innanzi tutto i sacri libri non ne contano che due. Poi è facile provare che non ve ne ha un numero maggiore. In Dio vi sono altrettante processioni, quante sono le Persone divine che procedono; e in Dio non vi sono che tre Persone. Ma il Padre come la prima, non procede da nessun altra, cosicché due solamente procedono. Inoltre in Dio non vi sono che due facoltà che operano interiormente: “Ad intra, seu immanenter”, come parla la teologia. Queste due facoltà sono l’intelletto e la volontà. Queste facoltà agiscono necessariamente: imperocché Dio non può non conoscersi e non amarsi. Esse agiscono sempre, poiché Dio è l’azione infinita.1 [ Vitass, de Trinit., quaest. V, art. 1 et 2, assert. 3.]. Stabiliti questi dommi, l’insegnamento cattolico aggiunge che lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figliuolo, vale a dire che esce dall’uno e dall’altro non per mezzo di generazione ma per ispirazione. Intorno a queste parole divine udiamo Bossuet: « Lo Spirito Santo, dice il vescovo di Meaux, il quale esce dal Padre e dal Figliuolo, è della stessa sostanza come l’uno e l’altro, un terzo consustanziale e con essi un solo e stesso Dio. Ma perché dunque non è egli Figliuolo, essendo egli per la sua produzione della stessa natura? Dio non l’ha rivelato. Ha detto pero che il Figliuolo era unico, [Joan., I, 1-18.] essendo perfetto, e tutto ciò che è perfetto è unico. Cosi il Figliuolo perfetto di un Padre perfetto, deve essere unico; e se potessero esservi due Figliuoli, la generazione del Figliuolo sarebbe imperfetta. Tutto ciò dunque che verrà dopo non sarà più Figliuolo, né verrà punto per generazione, quantunque della stessa natura. » [Elev. intorno i mist. II serm., Elev. 5.] Qual sarà dunque questa finale produzione di Dio ? È una processione senza nome particolare. Il padre come eternamente intelligente, si conosce eternamente, ed. eternamente produce, conoscendosi tanto il suo Verbo che il suo Figliuolo, eguale a Lui, e come Lui eterno. Il Padre ed il Figliuolo essendo eterni non possono essere senza conoscersi eternamente, né conoscersi senza amarsi di un amore eguale ad essi, infinito, eterno com’essi. Questo amore reciproco e consustanziale, è lo Spirito Santo. Egli procede dunque dal Padre e dal Figliuolo.

Bossuet continua a dire: «Questo è ciò che spiega la ragione mistica e profonda dell’ordine della Trinità. Se il Figliuolo e lo Spirito Santo procedono ugualmente dal Padre, senza nessun rapporto tra essi due, si potrebbe dire subito: Il Padre, lo Spirito Santo ed il Figliuolo, come il Padre, il Figliuolo e lo Spirito Santo. Ora, Gesù Cristo non parla a questo modo. L’ordine delle Persone è inviolabile, perché se il Figliuolo è nominato dopo il Padre perché succede a Lui, lo Spirito Santo viene altresì dal Figliuolo, dopo il Quale è nominato; ed Egli è Spirito del Figliuolo, come il Figliuolo è il Figliuolo del Padre. Quest’ordine non può essere arrovesciato. Noi dunque siam battezzati secondo quest’ordine; e lo Spirito Santo non può non essere nominato il secondo, come il Figliuolo non può essere nominato il primo. « Adoriamo quest’ordine delle tre Persone divine, come pure le mutue relazioni che trovansi tra i tre e che fanno la loro eguaglianza, come la loro distinzione e la loro origine. Il Padre intende sé medesimo, parla a sé medesimo, e genera il suo Figliuolo che è la sua parola. Egli ama questa parola prodotta dal suo seno e che vi conserva. E questa parola, che è nello stesso tempo la sua concezione, il suo pensiero, la sua Immagine intellettuale, eternamente sussistente, e sin da quell’istante suo Figliuolo unico, l’ama altresì come Figlio perfetto, ama un Padre perfetto. Ma che cosa è il loro amore se non è questa terza Persona, il Dio d’amore, il dono comune e reciproco del Padre e del Figliuolo, il loro vincolo, il loro nodo, la loro mutua unione, in cui si termina la fecondità, come le operazioni della Trinità? « Tutto è compiuto, tutto è perfetto, quando Dio è infinitamente espresso nel Figliuolo e infinitamente amato nello Spirito Santo, e che del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo si fa una semplicissima e perfettissima unità. Tutto ritorna al principio, di dove tutto viene radicalmente e primitivamente, che è il Padre con un ordine invariabile : l’unità feconda moltiplicandosi in dualità, per terminarsi in trinità. Di maniera che tutto è uno, e tutto ritorna a un solo e medesimo principio.

Quest’è la dottrina dei santi; la tradizione della Chiesa Cattolica. È la materia della nostra fede; noi lo crediamo. Quest’è il soggetto della nostra speranza e lo vedremo. È anche l’oggetto del nostro amore, poiché amare Dio, è amare in unità il Padre e il Figliuolo e lo Spirito, Santo, è amare la loro uguaglianza ed il loro ordine, amare e non confondere le loro operazioni, le loro eterne comunicazioni, i loro mutui rapporti e tutto quel che gli fa uno facendoli tre: perché il Padre che è uno e principio immutabile d’ unità, si diffonde, si comunica senza dividersi. E questa unione ci è data come il modello della nostra: 0 Padre, che sieno tutti una sola cosa in noi, come tu sei in me, o Padre, ed io in te; che sieno aneli essi una sola cosa in noi. » [Meditaz. sul Vangelo, 25° giorno. — Ut omes unum sint sicut tu Pater in me, et ego in te, ut et ipsi in nobis unum sint. (Giov. c. XVIII, 21.). Tre Persone in un solo Dio, eguali tra loro, ma distinte per il loro rapporto d’origine: il Padre non procedendo da nessuno; il Figliuolo procedente dal Padre per via dell’intelletto, come la parola procede dal pensiero; lo Spirito Santo procedente dal Padre e dal Figliuolo, mediante la volontà e lo scambievole amore; tale è intorno al principale e più profondo de’ nostri misteri, il domma cattolico nella sua più semplice espressione. La Chiesa, per difendere la sua fede contro i novatori, radunata successivamente a Nicea ed a Costantinopoli aveva aggiunto alcune spiegazioni al simbolo degli Apostoli. Eccettuati gli eretici, ai quali queste spiegazioni non permettevano d’ingannare i fedeli, l’Oriente e l’Occidente avevano applaudito a questa savia condotta. Per tutti era evidente che la Chiesa non aveva cangiato nulla alla dottrina, nulla innovato; ma usato del diritto di conservazione e di legittima difesa. Quel che fece essa allora, l’ha fatto sempre, e sempre lo farà, quando saranno attaccati i suoi dommi. Tale non è solamente il suo diritto ma il suo dovere ; poiché tale è l’ordine formale del suo divin fondatore. La dottrina della Chiesa non è sua dottrina: “Mea doctrina non est mea”. Essa non ne è proprietaria, ma depositaria. Le è stato detto : « Conservate ciò che vi è stato affidato e non è stato inventato da voi; ciò che voi avete ricevuto e non immaginato. Non è una cosa di genio ma di dottrina; non è una usurpazione della ragion privata, ma una tradizione pubblica. Essa è venuta verso di voi, nè viene da voi; come voi non ne siete l’autore, cosi voi non avete a suo riguardo fuorché il dovere di custode. « Perciò come guardiana vigile e prudente dei dommi il cui deposito le è stato confidato, essa non vi cambia mai nulla; nulla toglie, né nulla aggiunge. Ciò che è necessario essa non lo elimina, quel che è superfluo non l’ammette. Essa non perde il suo possesso, nè piglia quello d’altri. Piena di rispetto per l’antichità, conserva fedelmente ciò che tiene. Se ella trova delle cose che non hanno ricevuto primitivamente, né la loro forma né il loro compimento, tutta la sua sollecitudine consiste nel dilucidarle e pulirle. Se sono confermate e definite, essa le conserva. Il fissare per iscritto ciò che essa ha ricevuto dagli antenati per tradizione; racchiudere molte cose in poche parole; spesso anche impiegare una parola nuova, non per dare alla fede un senso nuovo, ma per meglio chiarire una verità; ecco ciò che la Chiesa cattolica, obbligata dalle novità degli eretici, ha fatto per i decreti dei Concilii; questo sempre e nulla di più. [Vincent, Lirin., Commonit. civ. med.]. « Con una fedeltà incorruttibile si sdebiterà di questo carico sino alla consumazione dei secoli : e quando verrà l’ultimo giorno, essa consegnerà a Dio, sulla tomba delle cose umane, il deposito di tutte le verità ricevute da Lei nel Cenacolo, e che risalgono per le loro basi, sino alla culla dell’umanità. » [Monsignor Gerbet, Istituzione intorno ai diversi errori del tempo presente, 1860].

 

Storia del “Filioque”.

Constantinople

Il vigilare sul deposito della fede e fissare con le sue decisioni infallibili i punti, in balia degli attacchi della eresia, è il diritto e il dovere della sposa del Verbo incarnato. Un mezzo secolo circa dopo il concilio di Costantinopoli, la Chiesa ebbe un nuovo motivo di fare uso di questo diritto inerente alla sua costituzione. Da una parte i settari di Macedonio eransi già sparsi a gran distanza dalla Tracia, nell’Ellesponto e nella Bitinia: [Socr. hist., lib. II, c. XLV; lib. V, c. VIII.], dall’altra i Vandali ed altri popoli usciti da quelle contrade, avevano portato seco il domma eretico nelle loro migrazioni e specialmente in Ispagna. Ivi i Priscillianisti attaccavano apertamente il domma della Trinità e della divinità dello Spirito Santo.

San Leone Magno occupava allora la cattedra di san Pietro. La notizia di questa eresia e delle stragi ch’ella faceva in Ispagna, gli fu inviata da san Turibio, vescovo d’Astorga. Il sovrano Pontefice gli scrisse di radunare in Concilio tutti i vescovi di Spagna, a fine di condannare l’eresia, e di estirpare ad ogni costo questa nuova zizzania dal campo del Padre di famiglia. San Leone nella sua lettera diceva : « Essi insegnano che nella santa Trinità non vi é che una sola Persona ed una sola cosa, chiamata ora il Padre, ora il Figliuolo, ora lo Spirito Santo; che Colui che genera, non è distinto da quello che è generato, né da Colui che procede dall’ uno e dall’altro. [S. Leo Magn. epist. 93, c. VI. ». Il concilio ebbe luogo a Toledo 1’anno 447. Presieduto dal santo vescovo di Astorga, egli condannò gli eretici. A fine di tagliare il male alla radice, e di mettere l’Occidente al coperto da tutti questi errori, fu deciso di inserire .nel simbolo di Costantinopoli la parola del vicario di Gesù Cristo che definiva sì bene la processione dello Spirito Santo, del Padre e del Figliuolo : “De utroque processit” [Battaglinì, Istor. univ. De’ conc., q. 217, 218.] L’aggiunta della quale si tratta, non era punto una innovazione, ma una spiegazione, simile a quella che il Concilio di Nicea aveva inserito nel simbolo degli Apostoli, ed il Concilio di Costantinopoli in quello di Nicea. San Tommaso osserva con ragione, che essa è d’altronde contenuta virtualmente nel Concilio stesso di Costantinopoli, approvato da tutti gli Orientali- « I greci medesimi, dice egli, capiscono che la processione dello Spirito Santo ha qualche rapporto col Figliuolo. Essi convengono che lo Spirito Santo è lo spirito del Figliuolo, e che esso è del Padre mediante il Figliuolo. Dicesi pure che parecchi accordano che lo Spirito Santo è del Figliuolo e che egli deriva da Lui, ma che non procede: distinzione che sembra fondata sull’ignoranza o sull’orgoglio.

« Di fatti, se vogliamo farvi attenzione, troveremo che la parola Processione, tra tutte quelle che esprimono l’origine di una cosa qualunque, è la più comune. Noi ce ne serviamo per indicare 1’origine di qualunque siasi natura; per esempio che la linea procede dal punto, il raggio dal sole, il fiume dalla sorgente. Tutti questi esempi ed altri ancora, autorizzano a dire con verità, che lo Spirito Santo procede dal Figliuolo…. Cosi questo domma é implicitamente contenuto nel simbolo di Costantinopoli, che insegna che lo Spirito Santo procede dal Padre. Ora ciò che è detto del Padre fa d’uopo necessariamente dirlo del Figliuolo, poiché essi non differiscono in nulla, se non che l’uno è il Figliuolo e l’altro il Padre. » [S. Th., I p., q. 36, art. 3. Cor. — Et De Potent, q. 10, art. 4, ad 13]. D’altronde san Leone scrivendone così nettamente in una lettera dottrinale, che lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figliuolo, non era che l’eco dei vicari di Gesù Cristo suoi predecessori: “Petrus per Leonem locutus est. Al tempo stesso del concilio di Costantinopoli il Papa san Damaso insegnava questa dottrina: « Lo Spirito Santo non è solamente lo spirito del Padre o del Figliuolo, poiché è scritto: Se qualcuno ama il mondo, lo Spirito del Padre non è in luì. E altrove : Se qualcuno non ha lo Spirito di Gesù Cristo, non gli appartiene. Questa nominazione del Padre e del Figliuolo, indica bene che si tratta dello Spirito Santo, del quale lo stesso Figliuolo dice nel Vangelo : Egli procede dal Padre; prenderà del mio e ve Io annunzierà. » [Joan. XV]. Dopo il Concilio di Toledo, tutti i cattolici di Spagna e delle Gallie recitarono il Simbolo di Costantinopoli con l’addizione Filioque. Dalla parte della Santa Sede nessuna opposizione; da quella degli Orientali nessuna reclamazione venne ad opporsi a quest’ usanza. Durava da quattro secoli, allorché Carlomagno rientrò nei suoi stati, dopo di essere stato coronato imperatore a Roma da Papa Leone III.

Ora, aveva egli ottenuto per le chiese del suo vasto impero, l’autorizzazione di cantare alla messa il simbolo di Costantinopoli. I vescovi riuniti ad Aquisgrana nell’807 gli domandarono se si poteva cantarlo in pubblico, come lo si recitava in privato, inserendovi l’addizione, Filioque. Il gran principe rispose che non apparteneva a lui il decidere, e che bisognava consultare il sovrano Pontefice. In conseguenza due vescovi e l’abate di Corbia, deputati del Concilio, si recarono a Roma. Il Papa gli accolse con benevolenza, ma rifiutò nettamente il permesso d’ inserire nel simbolo le quattro sillabe Filioque : « Senza dubbio, disse loro, è un articolo di fede inviolabile che lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figliuolo; ma non si può inserire nel simbolo tutti gli articoli di fede. D’altronde non bisogna modificare neppur di una sillaba i simboli decretati dai concilii ecumenici. » [Bini., ad Synod. Aquisgran., t. IlI, Concil.; Làbbé, t. VII, p. 1198; Bar., an. 809, n. 67.].  Per mostrare che la sua risoluzione era immutabile, il Papa ordinò di incidere subito in greco ed in latino il simbolo di Costantinopoli, senza l’aggiunta del Filioque sopra due scudi d’argento del peso di ottantacinque libbre, e li fece porre nella Basilica di san Pietro a destra e a sinistra della Confessione. [Anast Biblioth. in Leon. III, apud Bar., an. 809, n. 62.]. Diciamolo di volo, questo fatto e quello che riferiremo sono due prove monumentali della incorruttibile fedeltà della Chiesa Romana alle tradizioni del passato. Non solamente rifiuta alle preghiere di Carlo Magno suo benefattore d’inserire nel simbolo di Costantinopoli quattro sillabe che esprimono nettamente un articolo di fede; ma essa medesima non canta alla Messa nessun simbolo. Mentre tutte le sue figlie, le chiese d’Oriente e d’Occidente, fanno risuonare le loro basiliche del simbolo di Costantinopoli, essa si attiene a quello degli Apostoli : tuttavia non lo recita altro che nell’amministrazione del Battesimo, e quando l’uso prescrive la professione di fede. I secoli però camminano e le circostanze mutano coi secoli. La Chiesa romana sempre diretta dallo Spirito Santo, più tardi farà quel che essa ha da prima rifiutato, ugualmente infallibile nelle sue concessioni e nei suoi rifiuti. Finché la processione dello Spirito Santo non è attaccata, essa persevera nelle antiche sue tradizioni. Subito si fanno sentire sordi rumori, come pure verso l’anno 866, ai rumori succedono pubbliche negazioni: le quali hanno per organi in Occidente, il Patriarca d’Aquileja, ed in Oriente Fozio, patriarca intruso di Costantinopoli. Roma, per rispondere ad essi come aveva risposto ad Ario ed a Macedonio, fa inserire nel simbolo di Costantinopoli 1’aggiunta di Filioque. Essa stessa che, durante la Messa, non ha cantato mai alcun simbolo, canta quello di Costantinopoli, cosi spiegato, e ordina di cantarlo dappertutto. D’allora in poi un immenso concerto di voci cattoliche risponde dì e notte alle bestemmie dei novatori. [Bar., au. 883, n. 34.]. La maniera con cui ebbe luogo questa memorabile aggiunta offre un nuovo esempio della sapienza della Santa Sede, e della sua prudente lentezza. Fu convocato a Roma un numeroso Concilio, ove si rappresentò al Sovrano Pontefice che da molto tempo, le Chiese di Spagna, delle Gallie, d’Inghilterra e della Germania erano in libertà di cantare pubblicamente il simbolo di Costantinopoli; che Roma le approvava, ma che nelle attuali circostanze il suo prolungato rifiuto d’inserire l’aggiunta Filioque poteva passare agli occhi dei malevoli per un tacito biasimo, o per un timore di professare altamente la fede: che i nemici della Chiesa non mancherebbero di prevalersene, e quindi far nascere delle divisioni, forse uno scisma; che in ogni caso, quest’era il miglior mezzo di confondere Fozio ed i suoi aderenti. [Bar on., an. 888, n. 87; e an. 447, n. 23.].

Il sovrano Pontefice si arrese a queste ragioni, e l’autorizzazione fu accordata; se ne riporta la data all’anno 883. Pur nonostante, Roma medesima non cominciò a cantare il simbolo che 129 anni più tardi, nel 1014, dietro le istanze dell’imperatore sant’Enrico. Questo gran principe, degno di Carlo Magno, per le sue virtù e i servigi eminenti che aveva resi alla Santa Sede, essendo venuto a Roma per farsi coronare, fu sorpreso a non sentir cantare il Credo alla Messa, e ne chiese il perché. « Ecco, scrive l’abate Bernone, quel che gli fu risposto, presente me : La Chiesa di Roma non è stata mai macchiata di alcuna eresia; ma fedele alla dottrina di san Pietro, resta immutabile nella fede cattolica. Essa dunque non ha bisogno di professare la sua fede; questo è dovere delle chiese, che hanno potuto o che possono alterarla o perderla. ». [Bern. Abbas augen., De rebus ad miss. spectant, apud Baron an. 447, n. 24.]. « Magnifica risposta! Par tuttavia dietro le istanze dell’imperatore, papa Benedetto VIII decise che Roma stessa canterebbe da quind’ innanzi il simbolo che fu quello di Costantinopoli, con l’aggiunta Filioque. » [Baron an. 447, n. 24.]. In qualunque punto di vista noi ci poniamo, si scorge che nulla di più legittimo, né di più regolare vi fu di questa inserzione. Come le spiegazioni del simbolo a Nicea ed a Costantinopoli, cosi questa era richiesta dalle circostanze. È lo stesso vicario di Gesù Cristo che presiede un Concilio e che l’ordina. Infine essa non modifica la fede, ma la spiega. « Nessuno può, scrive un antico autore, prendere occasione d’accusare la santa e grande Chiesa di Roma, madre e maestra di tutte le altre, d’avere scritto, composto e insegnato una fede nuova. Lo spiegare l’antico simbolo in vista di prevenire l’alterazione della fede, non vuol dire né fare, né insegnare, né tramandarne un altro. « Sebbene depositaria dell’autorità sovrana, non rifiuta umiliarsi, rispondendo ciò che il concilio di Calcedonia rispose anticamente ai suoi detrattori, cioè: che mi si accusa ingiustamente. Io non stabilisco una nuova fede, rinnuovo soltanto la memoria dell’antica. Rischiarare un punto oscuro del simbolo, non vuol dire alterarlo. Io ho rinnovata la fede come i Padri dei secoli passati ; ed ho aggiunto ai concilii di Nicea, di Costantinopoli e di Calcedonia: ma non ho nulla insegnato che sia ad essi contrario. Fedele nel camminare sulle loro tracce, ho riscontrato dei punti attaccati, che al tempo loro non erano stati mai discussi. Ciò che non era da tutti bene compreso, ho dovuto schiarirlo con una parola d’interpretazione: questo è ciò che io ho fatto. » [Aeterian., apud Bar., an. 883, n. 38.]. Con tutto ciò i Greci, spinti dallo spirito d’orgoglio, rifiutarono ostinatamente di sottoscrivere l’aggiunta del Filioque. L’ambizioso settario che gli sviava, voleva ad ogni costo separare la chiesa orientale dalla chiesa occidentale; imperocché egli sperava, disconosciuta una volta l’autorità del sovrano Pontefice, farsi proclamare patriarca universale; intanto la morte fece svanire i suoi rei progetti, ma non spense lo spirito di ribellione ch’egli aveva soffiato.

Nel 1054, Michele Cerulario, altro patriarca di Costantinopoli, più audace di Fozio, negò formalmente che lo Spirito Santo procede dal Figliuolo. In una lettera diretta a Giovanni, vescovo di Trani, ardì manifestare la sua eresia, invitandolo a farne parte al sovrano Pontefice. Leone IX vi rispose, siccome si addice al custode della fede, scomunicando l’innovatore. Dal canto suo Cerulario, scomunicò il Papa e con lui tutta la Chiesa latina. La rottura fu completa, ed i Greci caddero nello scisma e nell’eresia. Tale fu, come più sotto vedremo, la fonte di tutte le loro sciagure. La Chiesa latina intanto nulla trascurò per ricondurre la sua sorella alla fede dei suoi padri. Dopo molti secoli d’inutili sforzi, questo ritorno tanto desiderato, si compie nel concilio di Lione nel 1274. Riuniti sotto la presidenza del Papa Gregorio X, i vescovi d’Oriente e d’Occidente espressero la loro fede in questi termini: « Noi facciamo professione di credere fedelmente e con pietà, che lo Spirito Santo procede eternamente dal Padre e dal Figliuolo, non come da due principii, ma come da un principio; non da due spirazioni, ma da una sola spirazione. » [Labbe Conc, , .t. II, p. 967]. La riunione era stata giurata per la tredicesima volta. Sventuratamente essa non fu più durevole delle altre. 2 [Battaglini, Istor ecc., p. 660, n. 11]. – Finalmente, il concilio di Firenze riunì di nuovo i Greci ed i Latini. Per soddisfare i primi, il domma della processione dello Spirito Santo fu, per ordine del Papa di nuovo esaminato; non vi fu mai discussione più profonda, più lunga, né più completa. Sofismi, sotterfugi, negative, semiconcessioni, immenso flusso di parole, avendo i Greci ricorso a tutti i mezzi per difendere il loro errore. Nella diciottesima sessione tenuta il 10 marzo 1439, Giovanni da Montenegro provinciale dei Domenicani di Lombardia, chiuse loro la bocca con un argomento senza replica: « Che cosa intendete voi per processioni?, domandò egli ai Greci. Che volete voi dire, quando affermate che lo Spirito Santo procede dal Padre? — Marco, arcivescovo di Efeso, rispose: Io intendo una produzione per la quale lo Spirito Santo riceve da Lui l’Essere e tutto ciò che egli è propriamente. — Benissimo, riprese il frate predicatore, noi tragghiamo pure questa conclusione : lo Spirito Santo riceve dal Padre l’essere, o ne procede, che è la medesima cosa. Ecco dunque come io ragiono: da chi lo Spirito Santo riceve l’Essere, da quello pure Egli procede. Ora, lo Spirito Santo riceve l’Essere dal Figliuolo, dunque lo Spirito Santo procede dal Figliuolo» secondo il proprio significato della parola processione, come voi stessi l’avete definito. Che lo Spirito Santo riceva Tessere dal Figliuolo, lo possiamo dimostrare con molte testimonianze. « Ma, interruppe Marco d’Efeso, di dove ricavate voi che lo Spirito Santo riceva l’Essere dal Figliuolo? La vostra domanda mi piace, replicò Frate Giovanni; ed io vi risponderò subito: che lo Spirito Santo riceva dal Figliuolo l’Essere, ciò si prova con la testimonianza indiscutibile da voi come da noi, di sant’Epifanio, il quale cosi si esprime: io chiamo Figliuolo quegli che è da Lui, e lo Spirito Santo Colui che solo è dei due. Secondo questa parola di sant’Epifanio, se lo Spirito è dei due, riceve dunque dai due l’Essere. Poiché secondo voi, ricevere l’Essere, o procedere, è la stessa cosa. Sappiamo da sant’Epifanio, ch’Egli riceve il suo Essere dal Padre e dal Figliuolo. » [Mansi, t. XXXI, col. 728. — Rohrhacher, Hist univ. t. XXI, p. 584, seconda ediz.]. L’argomento era tanto migliore, quanto più sant’Epifanio è uno dei Padri greci più antichi, e più venerato degli Orientali.

Finalmente il 6 luglio 1439, giorno dell’ottava degli Apostoli, san Pietro e san Paolo, fu celebrata l’ultima sessione del concilio. Alla presenza dell’augusta assemblea, ed in mezzo agli applausi dei Greci e dei Latini, vi si lesse il decreto d’unione, che cosi comincia : « Si rallegrino i cieli ed esulti la terra! Il muro che divideva la Chiesa d’Oriente e la Chiesa d’Occidente, è stato tolto di mezzo. La pace e la concordia è ristabilita, sulla pietra angolare, Gesù Cristo, il quale di due popoli non ne ha fatto che un solo. Noi definiamo, e vogliamo che tutti credano e professino, che lo Spirito Santo è eternamente dal Padre e dal Figliuolo; ch’egli ha la sua essenza ed il suo essere sussistente insieme al Padre ed ai Figliuolo; ch’Egli procede in eterno dall’uno e dall’altro, come da un solo principio e da una sola spirazione. Inoltre noi definiamo che la spiegazione Filioque é stata legittimamente e con ragione aggiunta al simbolo, per schiarire la verità, e per una necessità allora imminente. » [Defìnìmus explicationem verborum illorum Filioque, veritatis declarandae gratia, et imminente necessitate, licite et rationabiliter, fuisse symbolo appositam, ecc. Apud Labbe, ecc.].

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La gioia della Chiesa non fu di lunga durata; simile all’infedele Samaria, lo scismatico Oriente ricadde il giorno di poi negli errori che aveva abiurati la vigilia: ma la misura era colma. Salmanazar risuscitò in Maometto; e tredici anni solamente dopo il concilio di Firenze, l’impero dei Greci subì la sorte del regno di Israele.

 

Prove dirette della divinità dello Spirito Santo.

Prove dirette della divinità dello Spirito Santo.

[mons J.-J. Gaume: Tratt. dello Spirito Santo, vol. II, cap. III e IV]

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    La prima cosa a sapersi dello Spirito Santo si è che Egli è Dio come il Figliuolo e il Padre: che ha la stessa natura, la stessa divinità, le stesse perfezioni: che è eterno com’Essi, onnipotente, infinitamente sapiente, e infinitamente buono; degno come loro della fiducia e dell’amore, delle adorazioni, delle preghiere e delle lodi del cielo e della terra, degli Angeli e degli uomini. Ecco tutto ciò che noi professiamo, dicendo: Io credo nello Spirito Santo: Credo in Spiritum Sanctum.  Ora nei libri sacri, dalla Genesi sino all’Apocalisse: quell’insegnamento non interrotto per diciotto secoli, dei Padri della Chiesa e della Chiesa medesima, la divinità dello Spirito Santo non brilla con minore splendore che la divinità del Figliuolo e del Padre. La prova é nelle testimonianze citate sin qui in favore del domma della Trinità. Noi potremmo starcene a questo, imperocché niente è meglio fondato della nostra fede sulla divinità dello Spirito Santo. Con tutto ciò rechiamo alcune prove dirette di questa verità fondamentale. Esse si presentano numerosissime nei nomi che la Scrittura dà allo Spirito Santo; negli attributi che essa Gli riconosce; nella tradizione dei Padri e nella dottrina della Chiesa.

Questi nomi ci offrono due generi di prove della divinità dello Spirito Santo: una negativa, e le altre positive. La prima risulta da questo fatto perentorio, che nelle scritture dell’antico e nuovo Testamento, lo Spirito Santo non è appellato mai creatura. Però noi troviamo nei profeti e negli Apostoli, la luminosa enumerazione delle principali creature del cielo e della terra. David ce la dà parecchie volte nei salmi. Daniele la ripete magnificamente nel cantico dei tre fanciulli di Babilonia. Fra tutti i capi d’opera della potenza créatrice, non si fa nessuna menzione dello Spirito Santo. Paolo, rapito sino al terzo cielo, ha visto le gerarchie angeliche: egli nomina gli ordini che le compongono, ciascuno pel suo nome. Il suo aspetto, irradiato dalla luce dello stesso Dio, non ha scoperto lo Spirito Santo. In nessun luogo Lo nomina tra le creature: il che pertanto non avrebbe egli mancato di fare, se lo Spirito Santo non era Dio. Difatti, il suo sublime censimento delle angeliche creazioni ha per iscopo di mostrare che tutto ciò che non è Dio, é al disotto del Verbo incarnato. Non solamente ei non nomina mai lo Spirito Santo tra le creature, ma sempre ei Lo pone nella stessa linea del Padre e del Figliuolo e Lo nomina con Essi.

Veniamo adesso alle prove positive. Nell’Antico Testamento il nome di Jehovah, e nel Nuovo il nome di Dio senza modificazione é, come ognun sa, il nome incomunicabile di Dio. Ora questo doppio nome è dato costantemente allo Spirito Santo. Nel secondo libro dei Re, Davide dice: «Lo Spirito di Jehovah ha parlato per me, e il suo discorso è uscito dalle mie labbra. » [Spiritus Domini (hebraice Jehovah) locutus est per me, et sermo ejus per linguam meam. II Reg. XXIII, 2.] Qual’è questo Spirito? Il seguente versetto tosto ce lo insegna: « Il Dio d’Israele mi ha detto: Il Forte d’Israello ha parlato. » [Dixit Deus Israel mihi : Locutus est Fortis Israel. Id., 8.]. Donde si vede che lo Spirito di Jehovah è Jehovah medesimo, il Forte, il Dio d’Israele. Isaia alla volta sua così si esprime: « E il Signore degli eserciti (Jehovah) ha detto: Va’ e di’ a quel popolo: Voi ascolterete attentamente, e non vorrete intendere » [Et dixit Dominus exercituum (hebraice Jehovah): Vade, et dices populo huic : Audite audientes, et nolite intelligere. Is., VI, 9.]. Qual è questo Dio, questo Jehovah degli eserciti? Lo Spirito Santo, risponde san Paolo. Nella sua prigione di Roma, parlando agli Ebrei increduli accorsi ad udirlo, ricorda questo testo d’Isaia e dice loro: « Lo Spirito Santo ha avuto ragione di dire per bocca d’Isaia: Va e di’ a questo popolo: Voi ascolterete con attenzione ma non vorrete capire.» [Bene Spiritus sanctus locutus est per Isaiam: Vade, et dices populo huic: Audite audientes, et nolite intelligere. Act. XXVIII, 25]. Ivi ancora quegli che Isaia chiama il Signore degli eserciti, Jehovah, il Dio d’Israele, il vero Dio, in una parola: l’Apostolo ci dice che è lo Spirito Santo. Poteva egli insegnare con più chiarezza la divinità della terza Persona dell’Augusta Trinità? Non è solamente in Isaia, ma in tutti i libri dell’Antico e del Nuovo Testamento è detto che Dio ha parlato per mezzo dei profeti. Per non citarne che due esempi: nel principio del suo Vangelo san Luca si esprime in questi termini : « Come il Dio d’Israele lo ha detto per bocca dei suoi santi profeti nel succeder dei secoli. » [Sicut locutus est per os sanctorum, qui a saeculo sunt, prophetarum ejus. Luc., I, 70]. E san Paolo scrivendo agli Ebrei: « In antico Iddio ha parlato ai nostri padri per mezzo dei profeti. » [Olim Deus loquens patribus in prophetis. Hebr., I, 1]. Ebbene, questo Dio ispiratore dei profeti è ancora lo Spirito Santo. Noi non possiamo esserne più assicurati se non per la testimonianza di san Pietro medesimo. Ecco le sue parole : « Bisogna che la Scrittura sia compiuta, come lo Spirito Santo l’ha predetto per bocca di David. » [Oportet implori scripturam, quam praedixit Spiritus sanctus per os David. Act, I, 11]. E altrove : « È per ispirazione dello Spirito Santo che hanno parlato i santi uomini di Dio.1 » [Spiritu sancto inspirati locuti sunt sancti Dei homines. II Petr., I, 21.]. Di qui dunque quel ragionamento tanto semplice quanto concludente: Colui che ha parlato mediante i profeti è il vero Dio. Ora è lo Spirito Santo che ha parlato per i profeti. Lo Spirito Santo è dunque Dio, vero Dio, come il Padre ed il Figliuolo. Di più, siccome la Scrittura distingue lo Spirito Santo dal Padre e dal Figliuolo, ne risulta chiaramente che lo Spirito Santo è una Persona distinta dal Figliuolo e dal Padre.

In una circostanza memorabile lo stesso Apostolo proclama con splendore non minore la divinità dello Spirito Santo. Anania inganna sul prezzo del suo campo; all’inganno aggiunge una pubblica menzogna, ed in presenza di tutta la Chiesa di Gerusalemme, Pietro gli dice : « Perché Satana ha egli tentato il tuo cuore sino a farti mentire allo Spirito Santo? non hai mentito soltanto agli uomini ma a Dio. >> [Dixit autem Petrus : Anania, cur tentavit Satanas cor tuum, mentiri te Spiiitui sancto et fraudare de pretio agri?…. Non es mentitus hominibus sed Deo. Act, V, 3, 4.]. Anania ha mentito allo Spirito Santo. Pietro svela la sua colpa e gli dice: Mentendo allo Spirito Santo, non agli uomini, né ad una semplice creatura tu hai mentito, ma a Dio stesso.

Spirito Santo

   Dunque lo Spirito Santo è Dio. La conseguenza è logica e la conclusione inappuntabile. Per gli attributi, lo stesso ragionamento che per i nomi. È Dio quegli al Quale si convengono tutti gli attributi di Dio: ora tutti gli attributi di Dio convengono allo Spirito Santo. I grandi attributi di Dio sono : l’eternità, l’immensità, l’intelligenza infinita, l’onnipotenza; e lo Spirito Santo gli possiede tutti.

L’eternità. È eterno Colui il quale ha preceduti tutti i tempi: ed ha preceduti tutti i tempi, Colui che nel creare l’uomo, ha creato il tempo medesimo. Ora lo Spirito Santo ha creato il mondo di concerto col Padre e col Figliuolo. Nel Principio, Dio creò il cielo e la terra, e lo Spirito di Dio era portato sulle acque.

L’immensità. È immenso Quegli il quale abbraccia tutti i luoghi e che gli riempie, sino al punto che niuno può sottrarsi alla sua presenza. « Lo Spirito del Signore riempie il globo. [Spiritus Donimi replevit orbem terrarum. Sap.I, 7.]. Dove andrò io lontano dal vostro Spirito? Dove fuggirò lontano dalla vostra faccia? Se io monto in cielo, Voi vi siete; se io scendo nell’inferno, vi siete pure; se io piglio le ali dell’aurora e mi trasporto al di là degli oceani, è la vostra mano che mi vi condurrà e mi tenete alla vostra diritta. » [Quo ibo a Spiritu tuo et quo a facie tua fugiam? Si ascendero in coelum, tu illio es; si descendero in infemum, ades. Si sumpsero pennas meas diluculo et habitavero in extremis maris, etenim illuc manus tua deducet me et tenebit me dextera tua. Psalm. CXXXVIII, 7-10].

L’intelligenza infinita. Egli vede tutto, conosce tutto, sa tutto, Quegli pel quale il cielo e la terra non hanno nessun segreto; che penetra sin nelle loro profondità i misteri dello stesso Dio: che abbraccia la verità, tutta la verità nel passato, nel presente, nell’avvenire, e che n’è il dottore infallibile. Tal’é lo Spirito Santo. Parlando delle meraviglie della celeste Gerusalemme, san Paolo dice: « L’occhio non ha punto visto, l’orecchio non ha punto udito e il cuore dell’uomo non ha mai compreso ciò che Dio prepara a quelli che L’amano; ma per noi Iddio ce l’ha rivelato per mezzo del suo Spirito, poiché questo Spirito penetra ogni cosa, anche le profondità di Dio. Chi conosce tra gli uomini ciò che è nell’uomo, se non lo spirito dell’uomo che è in lui? Parimente, nessuno conosce ciò che è un Dio, se non lo Spirito di Dio…. [I Cor. II, 9-11] ». E san Giovanni : « Il consolatore, lo Spirito Santo, che mio Padre manderà in mio nome, vi insegnerà tutte le cose, vi rammenterà tutto ciò che Io vi ho detto e vi annunzierà tutto quello che deve accadere.». [Joan.XIV, 26, e XV, 13] Questi testi così chiari furono le armi vittoriose, di cui sant’Ambrogio e gli antichi Padri si servirono per confondere il negatore della divinità dello Spirito Santo, l’empio Macedonio.

L’onnipotenza. È onnipotente colui che fa uscire l’essere, dal nulla, con un sogno della sua volontà e per cui tutte le opere denotano una potenza infinita. Tale è ancora lo Spirito Santo. « I cieli, dicono i profeti, sono stati creati dal Verbo del Signore, e la loro costante armonia dallo spirito della sua bocca; imperocché lo Spirito della sapienza creatrice è onnipotente,» [Verbo Domini coeli firmati sunt, et Spiritu oris ejus omnis virtus eorum. Ps. XXXII, 6. — Omnium enim artifex.docuit me sapientia… est enim in illa Spiritus… omnem habens virtutem. Sap., VII, 21-23].

Le opere. Noi non faremo che sfiorare quest’ampio soggetto, poiché dobbiamo trattarne minutamente nel seguito dell’opera nostra. Le opere di Dio sono di due sorte, le opere della natura e le opere della grazia. Ora tutte queste opere sono attribuite allo Spirito Santo, come al Figliuolo ed al Padre. Nell’ordine naturale la creazione dell’uomo e del mondo; noi l’abbiamo già visto per le testimonianze dei libri santi. Aggiungiamo soltanto la parola cosi precisa del sant’uomo Giobbe: « È lo Spirito di Dio che mi ha creato : Spiritus Dei fecit me. » [XXXIII, 4]. Nell’ordine della grazia, la rigenerazione dell’uomo e del mondo. Il profeta ce l’insegna: «Voi manderete il vostro Spirito e tutto sarà creato, e rinnoverete la faccia della terra. [Ps. CIII, 30] » E con più chiarezza ancora il Maestro dei profeti: « Se qualcuno non rinasce dall’acqua e dallo Spirito Santo non può entrare nel regno di Dio. » [Jo. III, 5]. È la formula stessa della rigenerazione universale: « Andate dunque, istruite tutte le nazioni battezzandole nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo.  » Matth., XXVIII, 14]. Qual uguaglianza più perfetta!

« Oh, si, Spirito santificatore, esclama Bossuet, voi siete eguale al Padre ed al Figliuolo, poiché noi siamo del pari consacrati nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo; chè voi avete con essi uno stesso tempio che è l’anima nostra, il nostro corpo, e tutto ciò che noi siamo. Nulla d’ineguale né di estraneo al Padre ed al Figliuolo, deve essere nominato con essi in eguaglianza. Io non voglio essere battezzato nè consacrato in nome di un conservo, né voglio essere il tempio di una creatura, chè sarebbe una idolatria il fabbricarle un tempio, e con maggior ragione l’essere e il credersi sé medesimo il proprio tempio ». [Elev. sopra i mist., II Serm., Elev. 5.].

La tradizione. Essa si è espressa mediante la voce dei Padri e dei dottori. Non meno precisa di quella della Scrittura, la sua parola ha attraversato i secoli, di continuo riprodotta da nuovi organi. La vediamo altresì immobilizzata in tanti monumenti che risalgono sino alla culla del cristianesimo. Gli echi dell’Oriente e dell’Occidente ripetevano ancora gli ultimi accenti della voce degli apostoli; san Giovanni era appena sceso nella tomba, quando comparvero i primi apologisti cristiani. Relativamente a san Basilio, il papa san Clemente, terzo successore di San Pietro, martirizzato verso l’anno 100, aveva l’usanza di fare questa preghiera: Vìva Dio e il nostro Signor Gesti Cristo e lo Spirito Santo, [Vivit Deus et Dominus Jesus Cristus et Spiritus sanctus – Lib, de Spir. sanct.XXIX, n. 72]. Nella sua eloquente Apologia presentata all’imperatore Antonino, verso 1’anno 120, san Giustino così si esprime: « Noi onoriamo e adoriamo in spirito e in verità il Padre e il Figliuolo e lo Spirito Santo. » [Hunc (Patrem) et qui ab eo venit … Filium et Spiritum sanctum colimus et adoramus, cum ratione et veritate venerantes. Apolog. 1, n. 6].  Ciò che san Giustino aveva detto a Roma, qualche anno più tardi sant’Ireneo l’ insegnava nelle Gallie: « Coloro che, dice, scuotono il giogo della legge e si lasciano adescare dai loro allettamenti, non avendo nessun desiderio dello Spirito Santo, l’apostolo gli chiama con ragione uomini di carne. [Eos vero, qui effrenes sunt, et feruntur ad suas concupiscenti as. nullum h.ab entes divini Spiritus desiderium, merito apostolus camales vocat. (Citato da san Basilio in prova della divinità dello Spirito Santo. Lib. de Spir. Sanct., c. XXIX, n. 72.)  All’istess’epoca Atenagora domandava : « Non è egli strano che siamo chiamati atei, noi che predichiamo Dio il Padre, il Figliuolo e lo Spirito Santo? » Quis non miretur, cum auclit nos, qui Deum patrem praedicàmus et Deum Filium et Spiritum sanctum…. atheos vocari- Legat. pro christian. n. 12 e 24]. Il suo contemporaneo, Eusebio di Palestina, per incoraggiarsi a parlare, diceva: « Invochiamo il Dio dei Profeti, autore della luce, mediante il nostro Salvatore Gesù Cristo con lo Spirito Santo.5 » [Loquitur enim in hunc modum, se ad dicendum excitans: Sanctum ProphetarumDeum, lucis auctorem, per Salvatorem nostrum Jesum Christum cum sancto Spiritu, invocante». Ap. Basii,, ibid.].

Sono scorsi appena venti anni e noi troviamo la testimonianza non più di un solo uomo, ma di tutta una Chiesa. L’anno 169, i fedeli di Smirne scrivono a quelli di Filadelfia la stupenda lettera nella quale raccontano che san Policarpo, loro vescovo e discepolo di san Giovanni, prossimo a soffrire il martirio, ha reso gloria a Dio in questi termini : « Padre del diletto e benedetto Figliuolo tuo, Gesù Cristo: ….O Dio degli Angeli e delle potenze, Dio di ogni creatura, io vi lodo, vi benedico, vi glorifico con Gesù Cristo vostro Figliuolo diletto, pontefice eterno, per cui gloria a Voi con lo Spirito Santo, adesso e nei secoli dei secoli. » [Pater dilecti et benedicti Ellii tui Jesu Christi…. Deus Angelorum et Potestatum, Deus totius creaturae..-.. Te laudo, te benedico, te glorifico per Jesum Christum dilectum Filium tuum, Pontifìcem aeternum, per quem tibi cum Spiritu sancto gloria nunc et in futura saecula saeculorum. Amen. Epist. Smym. Eccl., apud Baron an. 169]. Che la divinità dello Spirito Santo fosse un domma della fede cristiana, gli stessi pagani lo sapevano. Nel suo dialogo intitolato Philopatris. Luciano, uno dei più grandi nemici, introduce un cristiano che invita un catecumeno a giurare per il Dio sovrano, per il Figliuolo del Padre, per lo Spirito che ne procede, che fanno uno in tre e tre in uno, ciò che è il vero Dio.

Nel terzo secolo noi troviamo in Occidente, il terribile Tertulliano. Il suo libro De Trinìtate contro Praxea comincia cosi : « Praxea, procuratore del diavolo è venuto a Roma a fare due opere del suo maestro; egli ha cacciato il Paracleto e crocifìsso il Padre. La zizzania praxeana ha germogliato. Con l’aiuto di Dio la svelleremo; basta che noi opponiamo a Praxea il simbolo che ci viene dagli Apostoli. Noi crediamo dunque sempre, e ora più che mai, in un solo Dio, il quale ha inviato sulla terra il proprio Figliuolo, il quale alla sua volta è risalito a suo Padre, ha mandato lo Spirito Santo, santificatore della fede di coloro che credono al Padre, e al Figliuolo ed allo Spirito Santo. Benché essi sieno inseparabili, pur tuttavia altro è il Padre, altro il Figliuolo, altro lo Spirito Santo ».

Dall’Oriente ci viene la testimonianza del santo vescovo martire, Dionigi d’Alessandria; quantunque falsamente accusato di sabellianismo, termina la sua difesa con queste notevoli parole: « Conformandoci in tutto alla formula ed alla regola ricevuta dai vescovi che hanno vissuto prima di noi, unendo la nostra voce alla loro, vi rendiamo grazie e poniamo fine a questa lettera. Cosi a Dio Padre e al Figliuolo Gesù Cristo nostro Signore con lo Spirito Santo, sia gloria ed impero nei secoli dei secoli. Àmen.2 » [….Tandem nunc vobis scribere desinimus : Deo autem Patri et Filio Domino nostro Jesu Chxisto cum sancto Spiritu gloria et imperium in saecula saeculorum. Amen. Apud S. Basii., ubi supra, n. 72.].  La formula gloriosa di fede non sfugge a Giulio Africano. Nel quinto libro della sua Storia egli dice: « Noi che abbiamo intesa la forza di questo linguaggio, e che non ignoriamo la grazia della fede, rendiamo, grazie al Padre che ha dato a noi, sue creature, il Salvatore di tutte le cose, Gesù Cristo, al quale sia resa gloria e maestà con lo Spirito Santo in tutti i secoli. ». [Adv. Prax. C. I, II, IX, edit. Pamel]. Ecco nel quarto secolo, i due grandi luminari della Chiesa Orientale, san Basilio e san Gregorio Nazianzeno. Il primo incomincia col citare due costumanze, come testimoni viventi della fede immemorabile alla divinità dello Spirito Santo, le preghiere lucernarie e l’inno d’Atenogene. « È parso buono a noi padri, dice egli, di non ricevere in silenzio il benefìzio della luce della sera, ma di render grazie appena che essa brilla. Chi è l’autore della preghiera, che si recita in rendimento di grazie, allorché si accendono le lampade, non lo sappiamo; ma il popolo pronunzia questa antica formula che nessuno ha mai tacciato d’empietà: «Lode al Padre ed al Figliuolo ed allo Spirito Santo. Chi conosce l’inno di Atenogene, lasciato da questo martire ai suoi discepoli come un preservativo, allorché s’incamminava al rogo, sa ciò che i martiri hanno pensato dello Spirito Santo.2 » [Apud S. Basii., ubi supra, n. 73.]

L’illustre vescovo diventa egli medesimo un organo potente della tradizione. Lo Spirito Santo, dice, è chiamato santo, come il Patire è Santo, come il Figlio è Santo; santo non come la creatura che trae la sua santità dal di fuori, ma santo nella stessa essenza della sua natura. Per conseguenza egli non è santificato, ma santifica. Egli è detto buono, come il Padre è buono, perché la bontà gli è essenziale; parimente è detto retto, come lo stesso Signore Dio è retto, perché è di sua natura la stessa rettitudine, la stessa verità, la stessa giustizia, senza variazione, senza alterazione a causa della immutabilità di sua natura. È detto Paracleto, come il Figliuolo medesimo; di modo che tutti i nomi comuni al Padre e al Figliuolo convengono allo Spirito Santo, in virtù della comunanza di natura. Dove trovare un’altra origine? » [Lib. de Spirìt. sancii, c. XXIX, n. 78]. Ascoltiamo adesso l’amico suo san Gregorio Nazianzeno: « Lo Spirito Santo è sempre stato, è, e sarà’; non haa avuto mai principio, né avrà mai fine, nulla più che il Padre ed il Figliuolo, co’quali è inseparabilmente unito. Egli è stato dunque partecipe della divinità non la ricevendo mai; perfezionante, né stato mai perfezionato; riempiendo ogni cosa, tutto santificando, non essendo né santificato né ripieno; che dà la divinità e non la riceve; sempre lo stesso e sempre eguale al Padre ed al Figliuolo; invisibile, eterno, immenso, immutabile, incorporeo, essenzialmente attivo, indipendente, onnipotente; vita e padre della vita; luce e centro della luce; bontà e sorgente di bontà, ispiratore di profeti, distributore delle grazie. Spirito di adozione, di verità, di sapienza, di prudenza, di scienza, di pietà, di consiglio, di forza, di timore; che possiede tutto in comune col Padre e col Figliuolo: adorazione, potenza, perfezione, e santità.1 » [Spiritus sanctus et semper erat, et est, et erit, nec ullo ortu generatus, nec finem habiturus, etc.: Orat. in die Pentecoste]. Che cosa di più chiaro di questo passo, a cui sarebbe facile aggiungerne molti altri dell’epoca medesima? Né meno formali, né meno numerose sono le testimonianze dei tempi posteriori: una sola basterà. « Noi crediamo allo Spirito Santo, dice Ruperto, e noi lo proclamiamo vero Dio e Signore, consustanziale e coeterno al Padre ed al Figliuolo, cioè dire assolutamente lo stesso in sostanza che il Padre ed il’ Figliuolo, ma non lo stesso, quanto alla persona. Infatti siccome altra è la persona del Padre, e altra la persona del Figliuolo ; cosi altra è la Persona dello Spirito Santo. Ma la divinità, la gloria, la maestà del Padre e del Figliuolo, sono la divinità, la gloria, la maestà dello Spirito Santo. A fine di distinguere la Persona del Figlio dalla Persona dello Spirito Santo, noi diciamo che il Figliuolo è il Verbo, e la Ragione del Padre, ma Verbo sostanziale, Ragione eternamente e sostanzialmente vivente; e dello Spirito Santo, diciamo che è la Carità o l’Amore del Padre e del Figliuolo, non carità accidentale, amore passeggero, ma Carità sostanziale e Amore eternamente sussistente. » [Spiritum sanctum credimus et confìtemur verum esse Deum et Dominum, Patri et Filio consubstantialem, quod Patrem et Filium, non eumdem in persona quam Patrem et Filium, etc. De Operib. Spir. sancL, lib. I c. III]. E per fare risaltare con splendore la divinità dello Spirito Santo, il profondo teologo aggiunge: « Vogliamo noi aver qualche idea di questo amore e della sua maestosa potenza? Pigliamo due creature dello stèsso genere e della stessa specie, una delle quali lo possiede, e l’altra ne è priva. Se questo è fra gli Angeli, uno è Lucifero, l’altro san Michele; tra gli uomini, uno è Pietro, l’altro Giuda. La sola cosa che forma la differenza tra questi due angeli e tra questi due uomini, si è che uno è partecipe dello Spirito Santo, l’altro no. Alla maestà del Verbo che gli ha creati, l’uno e l’altro debbono l’essere ragionevoli, essi non differiscono tra loro, come si è detto, se non che per la partecipazione o per la privazione dell’eterno amore. Quest’esempio fa rifulgere il carattere proprio dell’operazione dello Spirito Santo: la creatura ragionevole deve la sua esistenza al Verbo eterno: ed allo Spirito Santo deve l’esistenza buona. » [ibid.].  La grande parola dei secoli si è incarnata in parecchie pratiche eminentemente tradizionali : vogliamo parlare delle tre immersioni nel battesimo ; del Kyrie ripetuto tre volte in onore di ciascuna persona divina ; del trisagio cantato nella liturgia; del segno della croce, della doxologia e del Gloria Patri. Specialmente queste due preghiere sono la splendida proclamazione del domma della Trinità, per conseguenza della divinità dello Spirito Santo. Come eco terreno dell’eterno trisagio dei serafini, ‘queste ammirabili formule danno termine a tutti gli inni e a tutti i salmi dell’ufficio. sino dai tempi apostolici esse si ripetono giorno e notte in tutti i punti del globo, per mezzo di migliaia di bocche sacerdotali. Altrettanto è del segno della croce. Questo segno augusto, la cui origine, non di questa terra, ripete con una voce indefessa a tutti gli echi del mondo e a tutti gli istanti della giornata; il Padre é Dio, il Figliuolo è Dio, lo Spirito Santo è Dio. Quanto più questi usi sono polari, tanto più confermano l’antichità e la universalità della tradizione.

Ci rimane da coronare tutte le prove dirette della divinità dello Spirito Santo, per mezzo dell’insegnamento della Chiesa. Ciò che essa sta per insegnarci è la verità, nulla più che la verità, tutta la verità. Difatti, le è stato detto : « Andate, istruite tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo, insegnando loro a custodire tutte le verità che Io vi ho affidate ; imperocché ecco che Io sono con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo. » [S. Matt. XXVII; 19,20] Il Verbo incarnato non sarebbe Dio, se la Chiesa, con la quale Egli ha promesso d’essere, tutti i giorni, per tutti i secoli, potesse insegnare una sola volta un solo errore, per quanto piccolo lo si supponga, o lasciar perire una sola delle verità affidate alla sua custodia.

Cosi i protestanti che negano la perpetua infallibilità della Chiesa, negano altresì virtualmente la divinità di Nostro Signore, Il loro Dio non è il vero Dio ; è un Dio impotente o mentitore. Impotente, poiché non ha potuto impedire l’insegnamento dell’errore; mentitore, poiché non l’ha voluto, dopo aver promesso di farlo. Ora, fra tutte le verità, la custodia delle quali e l’insegnamento, sono state rimesse alla Chiesa, brilla in primo grado la divinità dello Spirito Santo. Come quella del Figliuolo e del Padre, noi la vediamo scritta a caratteri indelebili nel Sinodo degli Apostoli, nel Simbolo di Nicea, nel Simbolo di Costantinopoli e in quello di sant’Atanasio. Riassumendo con una inimitabile precisione la dottrina dei tre altri, quest’ultimo cosi, si esprime: «La fede cattolica è di adorare un solo Dio nella Trinità, e la Trinità nell’unità, non confondendo punto le persone, né separando la sostanza. Infatti, altra è la persona del Padre, altra quella del Figliuolo, altra quella dello Spirito Santo. Ma del Padre e dei Figliuolo e dello Spirito Santo la divinità è una, la gloria eguale, la maestà coeterna. Tale il Padre, tale il Figlio, tale lo Spirito Santo. Increato il Padre, increato il Figlio, increato lo Spirito Santo. Immenso il Padre, immenso il Figlio, immenso lo Spirito Santo. Eterno il Padre, eterno il Figlio, eterno lo Spirito Santo. E con tutto ciò non vi sono tre eterni, ma un solo eterno; parimente non vi sono tre increati, né tre immensi, ma un solo increato, un solo immenso. Così Dio il Padre; Dio il Figlio; Dio lo Spirito Santo. E ciononostante, non vi sono tre Dei, ma un solo Dio. » Alla vista dello Spirito del Bene che si rivela nel mondo con tanto splendore,.e cammina a gran passi a riprender possesso delle intelligenze, lo Spirito del male comprese che il suo impero era minacciato persino nelle sue fondamenta. Per scongiurarne la ruina, egli suscita, in Oriente ed in Occidente, innumerevoli negatori dello Spirito Santo. Armati di sofismi, i Valentiniani, i Montanisti, i Sabelliani, gli Ariani,, gli Eunomeni, scendono 1’uno dopo l’altro nell’arena. Costoro con una fede malvagia e, con una pertinacia, della quale non si trova ragione d’essere, altro che nella ispirazione satanica, assalgono fortemente, di viva voce e per iscritto la divinità dello Spirito Santo, trionfalmente difesa dai dottori cattolici. Ma quando la passione discute, la ragione non è mai sicura di vincere. Gli errori intorno allo Spirito Santo si accrescono come un cancro, sino a Macedonio che ne fa una lebbra così estesa, quasi quanto l’arianesimo. Chi fu quest’uomo, il cui nome, aggiunto a quello di Ario, ricorda cosi tristemente uno dei più famosi eresiarchi della Chiesa primitiva? Macedonio era patriarca di Costantinopoli: innalzato a quella dignità nel 351 dagli Ariani, dei quali partecipava gli errori, esercitò contro i Novaziani ed i cattolici, violenze tali che lo resero odioso, anche all’imperatore Costanzo, suo protettore. In un conciliabolo tenuto a Costantinopoli nel 360, e presieduto da Acacio ed Eutropio, gli Ariani lo deposero e lo fecero esiliare dalla capitale. Ristabilito sulla sua sede per ordine dell’imperatore, ei si mostrò nemico giurato dei cattolici e degli Ariani. Contro questi ultimi ei sostenne la divinità di Nostro Signore, e contro i primi negò la divinità dello Spirito Santo, del quale fece una semplice creatura più perfetta delle altre. Un anno dopo nel 361, l’eresiarca, spogliato una seconda volta della sua dignità, morì come Ario, miseramente.

Frattanto la zizzania dei suoi errori era caduta in molte teste sediziose. Ricchi di facondia, di artifizio e di scelleratezza, i macedoniani formarono una sètta tanto numerosa, che la Chiesa durò fatica ad estirparla. I principali furono Maratone, vescovo di Nicomedia, Eleusio di Cizica, ordinati da Macedonio; Sofronio, vescovo di Pompeopoli nella Paflagonia, ed Eustasio di Sebaste in Armenia. Come tutti i novatori, cosi i macedoniani, detti altresi Pneumatoniachi, vale a dire nemici dello Spirito Santo, o Maratoniani, dal nome del vescovo di Nicomedia, affettavano una grave esteriorità e austeri costumi. Grazie a questo artifizio essi. Seducevano il popolo ed i monaci, tra quali si occupavano a seminare i loro errori. E malgrado degli sforzi della Chiesa d’Oriente, l’eresia, lungi dall’essere spenta, estendeva le sue devastazioni. Venti anni di inutili lotte fecero capire a Teodosio la necessità di un concilio generale. Di concerto col papa san Damaso, il pio imperatore convoco l’augusta assemblea a Costantinopoli per il mese di maggio dell’ anno 381. Ella si trovò composta di cento cinquanta vescovi. Alla loro testa vedevasi san Gregorio di Nazianze, san Cirillo di Gerusalemme, san Gregorio di Nissa, fratello di san Basilio; Melecio, vescovo dAntiochia; Ascolio di Tessalonica, e fuori dell’ordine dei vescovi, l’illustre dottore san Girolamo. A fine di togliere ogni pretesto, sia di nullità del concilio, ossia di giudizio reso senza avere udito le parti, l’imperatore chiese che i macedoni ani fossero convocati con i cattolici. Essi vi furono di fatti rappresentati da trentasei vescovi, i due principali dei quali erano Eleusio di Cizica e Mariano di Lampsaco. Fra le mani dei Padri trovavasi la formula di fede della Chiesa cattolica, mandata nel 353 dal papa san Damaso a Paolino, vescovo d’Antiochia ; di più, il simbolo di Nicea. I vescovi resero testimonianza della fede delle loro Chiese, interamente conforme a questi due monumenti. Quanto ai macedoniani, essi furon sentiti, i loro sofismi rifiutati ed essi stessi convinti di essere novatori, in opposizione con la fede cattolica e con la fede degli apostoli. Cosi, proclamando solennemente la divinità dello Spirito Santo, il concilio non fece un nuovo articolo di fede ; ei si contentò di confermare il domma, e nel definirlo, di porlo al riparo dagli attacchi dell’eresia. Dietro l’esempio del concilio di Nicea, il quale, per annientare l’arianesismo, aveva aggiunto alcune spiegazioni al simbolo degli apostoli, il concilio di Costantinopoli confuse i macedoniani e assicurò l’ortodossia della dottrina, sviluppando l’articolo del simbolo di Nicea intorno allo Spirito Santo.

La divinità dello Spirito Santo non essendo punto attaccata, il concilio di Nicea aveva detto semplicemente : E allo Spirito Santo la santa Chiesa cattolica, ecc. Nello spiegare queste parole, i Padri di Costantinopoli aggiunsero: E allo Spìrito Sànto, Signore e vivificatore, il quale procede dal Padre, e che col Padre ed il Figliuolo è adorato e conglorificato; che ha parlato mediante i profeti. La lettura solenne di quest’articolo fu seguita incontanente dagli applausi del concilio e dagli anatemi contro l’eresia. A voce unanime, i vescovi esclamarono: « Ecco la fede degli ortodossi! a questo modo crediamo tutti. Maledizione ed anatema a chiunque tenesse un’altra dottrina, diversa da quella che è stata definita, e che attaccherebbe la fede di Nicea, che noi approviamo, che giuriamo, e che professiamo, dichiarando empie, inique, perverse, eretiche, le opinioni degli ariani, degli eunomiani, dei sabelliani, dei marcellanisti, dei fontiniani, degli apollinaristi e di tutti coloro che aderiscono alle loro dottrine, che le predicano o che le favoriscono! » A fine di rendere la loro definizione, per quanto era possibile ancor più rispettabile, imprimendole una nuova impronta di cattolicità, i Padri di Costantinopoli indirizzarono una lettera sinodale a tutti i vescovi d’Occidente. Ed eccone il tenore: « Ai nostri generabilissimi fratelli e colleghi Damaso, Ambrogio, Brittonio, Valeriano ed altri santi vescovi, riuniti nella gran città di Roma. Il domma che abbiamo definito deve essere approvato da voi e da tutti coloro che non pervertono la parola della vera fede. Difatti, essendo esso antichissimo e conforme alla formula del battesimo, c’insegna a credere nel nome del Padre, e del Figliuolo, e dello Spirito Santo, vale a dire alla divinità, alla potenza ed all’unità di sostanza del Padre, e del Figliuolo e dello Spirito Santo; all’eguaglianza di dignità ed alla coeternità d’impero in tre ipostasi, o persone infinitamente perfette. « Di maniera che, non vi ha più appiglio per la pestilenziale eresia di Sabellio, la quale, confondendo le Persone, distrugge le loro rispettive proprietà; né per le bestemmie degli eunomiani, degli ariani e degli altri che attaccano lo Spirito Santo, dividono 1’essenza, la natura o la divinità, e introducono nella Trinità, che è increata, consustanziale e coeterna, una natura posteriormente ingenerata o creata, o di una essenza differente. »Da questa lettera risulta che i vescovi d’ Occidente erano radunati a Roma col Papa Damaso, per distruggere l’eresia di Macedonio, intantoché i vescovi d’Oriente lo scomunicavano a Costantinopoli. Non fuvvi mai accordo più perfetto, né maggiore unanimità, né condanna più solenne e più irrevocabile.

Satana battuto da questo colpo di fulmine, stette per lunghi secoli senza osare di rialzare il capo e assalire direttamente la divinità dello Spirito Santo. Finalmente giunse il ritorno del suo regno. Col rinascimento vedonsi ricomparire tutti gli errori e tutte le eresie che si credevano per sempre spente; esse riappariscono ancor più sottili più audaci e più complete che nell’antichità. Cosicché i sociniani rinnovano 1’eresia di Macedonio, svolgendola; e gli autori di questa setta furono i due Socino, zio e nipote. Il primo, nacque a Siena nel 1525; e a malgrado degli anatemi del concilio di Laterano, il razionalismo, alimentato dallo studio fanatico degli autori pagani, invadeva l’Europa. Socino fu nutrito in quell’atmosfera avvelenata. Appena uscito di collegio assisté nel 1546 al famoso conciliabolo di Vicenza [ritenuto l’atto di fondazione della franco-massoneria moderna -n.d.r.-], dove la distruzione del Cristianesimo fu risoluta. Fedele agli impegni ch’egli vi contrasse ed ai principi della sua educazione, il giovane e libero pensatore, impiegò tutta la sua vita nel rinnovellare l’arianesimo e il macedonianismo, a fine di scalzare dalla sua base il cristianesimo. Il secondo, nato a Siena nel 1530, ereditò lo spirito anticattolico del suo zio e fu uno dei più ardenti promotori delle sue eresie. Aveva meno di vent’anni che già la paura dell’inquisizione gli fece abbandonare l’Italia. Ei passò in Francia, di là in Svizzera, dove pubblicò le sue empietà. L’inquietudine del suo spirito congiunta al desiderio di dommàtizzare dapertutto, lo condusse ben presto in Polonia. I letterati l’accolsero con favore; ed un gran numero si dichiararono suoi partigiani, ed egli mori in mezzo appunto a questa truppa di atei nel 1604.1 suoi discepoli, degni del loro maestro, vollero trarre conseguenze pratiche dalle sue dottrine. Furono commessi grandi eccessi; il popolo indignato li cacciò, e in odio dell’eresia, dell’eresiarca e del suo seguito, le ceneri di Socino furono disotterrate, portate sulle frontiere della piccola Tartaria, e messe dentro a un cannone, le mandarono nel paese degli infedeli. [Di questo empio, funesto ed immondo servo di satana, parleremo compiutamente in un prossimo scritto –n.d.r.-]. Abbiamo detto che nelle loro empietà contro lo Spirito Santo i sociniani avevano oltrepassato i macedoniani. Secondo sant’Agostino questi ultimi non negavano resistenza personale dello Spirito Santo, ma la sua divinità. D’altro canto erano essi ortodossi circa le due altre Persone della santa Trinità. [Lib. de haeresib.] Per i sociniani lo Spirito Santo non è neppure una creatura; ma un soffio, una forza, una semplice influenza di Dio sull’uomo e sul mondo. La stessa Trinità, un’accozzaglia di parole senza idee: il peccato originale, la grazia, i sacramenti, il cristianesimo tutto quanto, altrettante chimere. Quest’è la negazione pagana, la negazione di Sesto Empirico, innalzata alla sua ultima formula, e continuata dai nostri razionalisti moderni.

A questa negazione impudente nella sua espressione, assurda nel suo principio, funesta nelle sue conseguenze, basta opporre e le testimonianze della tradizione da noi citate, e la conferma solenne di tutti i dommi attaccati, fatta dal concilio di Trento al principio de’ suoi immortali lavori: « I nostri predecessori, dicono i Padri, inauguravano le loro sessioni con la professione della fede cattolica e l’opponevano come uno scudo impenetrabile a tutte le eresie. Dietro al loro esempio ci par buono il professare solennemente il simbolo di cui si serve la santa Chiesa Romana, unico ed incrollabile fondamento della fede, contro il quale non prevarranno mai le porte dell’inferno: Io credo in Dio Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, e nel Signore Gesù Cristo, figliuolo unico di Dio e nello Spirito Santo, Signore e vivificatore; il quale procede dal Padre e dal Figliuolo; il quale Col Padre e col Figliuolo è adorato e conglorificato, e che ha parlato per mezzo dei profeti. 1 » [ Conc. Triden. sess. III.]  Questo simbolo cattolico, immutabile come la stessa verità, espressione esatta della fede delle nazioni incivilite, rivestito della sanguinosa sottoscrizione di dodici milioni di martiri, è la prova eternamente trionfante della divinità dello Spirito Santo, il rifugio sicuro di ogni spirito perseguitato dal dubbio, la inespugnabile rocca, dall’alto della quale il cristiano sfida satana ed i suoi ministri, con tutti i loro sofismi e tutte le loro negazioni.

Il macedonianismo ed il socinianismo : tali sono le due grandi eresie le quali, a dodici secoli di distanza hanno assalito, ma invano, la divinità dello Spirito Santo. Nell’intervallo, ne è sorta una terza ; la quale apparentemente, meno fondamentale delle due altre, ha avuto più disastrose conseguenze. S’intende bene che vogliamo parlare dell’eresia dei Greci intorno alla Processione dello Spirito Santo. Muro di divisione, tuttora in piedi, tra la chiesa latina e la chiesa greca, bisogna oggidi più che mai farlo conoscere e confutarlo.

 

Divinità dello Spirito Santo.

 

Divinità dello Spirito Santo.

[J.-J. Gaume: Trattato dello Spirito Santo, vol. II]

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Dio, la Trinità e la divinità dello Spirito Santo! Nel linguaggio della rivelazione come nella fede dei popoli, queste tre verità sono talmente unite, che la certezza della prima implica la certezza delle due altre. Ora, Dio esiste con tutti gli attributi coi quali L’adora il genere umano. Innanzi a tutti i secoli, al di là di tutti i mondi evvi un Essere personale, eterno, infinito, immutabile che é a sé medesimo il suo principio e la suà felicità. Come essere sempre fecondo Egli é la vita di tutte le vite, il n. 1, centro di tutti i movimenti, il principio e la fine di tutto ciò che è. Come l’Oceano che contiene la goccia d’acqua nella sua immensità, Egli avvolge nel suo seno l’universo e le sue molteplici creazioni. Egli è dentro e fuori, è lontano e vicino, infine dappertutto. Nell’astro che brilla nella fronte dei cieli Egli vi é; nell’aria che mi fa vivere, vi è. Nel calore che mi anima e nell’acqua che mi disseta; nell’alitare del vento, come nei muggiti delle onde; nel fiore che mi rallegra e nell’animale che mi serve; nello spirito e nella materia, nella culla e nella tomba, nell’atomo e nell’immensità; nel rumore e nel silenzio egli è desso sempre e dapertutto. Egli intende ogni cosa; e la musica armoniosa delle sfere celesti, ed i giocondi canti della lodoletta, ed il ronzio dell’ape, ed il ruggito del leone, e il passo della formica, e il rumor della foglia agitata, e il respiro dell’uomo, e la preghiera del giusto, e le bestemmie del malvagio. Ei vede tutto; il sole che splende agli sguardi dell’universo, e l’insetto nascosto sotto l’erba, ed il vermiciattolo sepolto sotto la scorza dell’albero, e l’impercettibile infusorio perduto negli abissi dell’Oceano. Ei vede il giuoco vario dei loro muscoli e la circolazione del loro sangue, ed i pensieri del mio spirito, e i palpiti del mio cuore, ed i bisogni dell’augellino che domanda il suo cibo, ed i voti solitari del debole, e le lacrime dell’ oppresso. Ei tutto governa; e l’innumerevole esercito dei cieli: e le stagioni, ed i venti, e le tempeste, ed i secoli, ed i popoli, e le umane passioni, e le potestà delle tenebre, e le creature prive di ragione, e gli esseri dotati d’intelligenza. Ei nutrisce, Ei riscalda, Egli alloggia, veste, protegge, conserva tutto ciò che respira; imperocché tutto ciò che respira, non respira che per Lui e non dee respirare che per Lui.

Come fonte eterna del vero, e regola immutabile del bene, Ei dà all’uomo la luce per conoscerlo, la forza per compierlo. Nella sua bilancia infallibile Ei pesa le azioni dei re e dei sudditi, degli individui e dei popoli. Rimuneratore supremo della virtù, e vendicatore incorruttibile del vizio, egli cita al suo tribunale il debole ed il potente, e il giusto che Lo adora, e l’empio che L’oltraggia. Agli uni manda dei gastighi senza misericordia e senza speranza, agli altri una felicità perfetta e senza fine. 0 Essere superiore a tutti gli esseri, Creatore e moderatore dell’universo! Tutto proclama la vostra esistenza; e le magnificenze del cielo, e lo sfolgorante abbigliamento della terra, e la obbedienza figliale dell’onde irritate, e le virtù dell’ uomo dabbene, ed i castighi del colpevole, e la demenza stessa dell’ateo. Chi parla, Vi loda con le sue acclamazioni; ciò che è muto, Vi loda col suo silenzio. Ogni cosa venera la vostra maestà, e la viva e la morta natura. A Voi s’indirizzano tutti i dolori; verso di Voi s’innalzano tutte le preghiere. Creatore, Conservatore, Moderatore, Padre, Giudice, Rimuneratore e Vendicatore, tutti i nomi di potenza, di sapienza, d’amore, d’indipendenza e di giustizia Vi sono dati; tutti Vi convengono e non pertanto nessuno saprebbe nominarVi. Essere al disopra di tutti gli esseri, questo nome è il solo che non sia di Voi indegno. “Ego sum qui sum”. Un Essere al disopra di tutti gli esseri, un Dio autore e regolatore supremo del mondo e dei secoli, tale è il domma fondamentale che proclama l’universo e dinanzi al quale si sono piegati, con la fronte nella polvere, tutte le generazioni che da sei mill’anni, sono passate sulla faccia del globo. Contro questo fatto su cui riposa, come l’edifizio sulla sua base, la fede dell’uman genere, che cosa provano e che possono i dinieghi dell’ateo?

Che cosa provano? Quello che prova una voce scordante in un vasto concerto. La si fa tacere o si fa ritornare all’unisono, e senza di lei o con lei, il concerto continua. Che cosa possono essere? quello che può il debole dardo, scagliato nel passare dall’Arabo fuggitivo, contro la piramide del deserto. L’Arabo sparisce, e la piramide rimane. Alla sua volta, cosa vuole da noi la filosofia razionalista col suo dio di fabbrica umana, col suo dio travicello, col suo nulla? Essere di ragione o piuttosto di sragione, dio impersonale, sordo, muto, indifferente alle opere ed ai bisogni delle sue creature, prodotto variabile del pensiero individuale; no, tale non è, tale non fu in nessun epoca e sotto alcun clima, il Dio dell’uman genere. La sua storia l’attesta: « Giammai, dice un uomo che la conosce a fondo, giammai le nazioni caddero cosi basse nel culto degli idoli, da perdere la cognizione, più o meno esplicita di un solo vero Dio, creatore di tutte le cose. » Il domma dell’unità di Dio non è vero soltanto perché ha tanti testimoni quanti sono astri nel firmamento, e fili d’erba sulla terra; ma è vero altresì perché è necessario. Quel che è il sole nel mondo fisico, Iddio lo è per tutti il rispetti, e più ancora, nel mondo morale. Immaginate che il sole invece di continuare a versare sul globo i suoi torrenti di luce e di calore, venga egli tutt’ad un tratto a estinguersi; e poi sappiatemi dire che cosa diventa la natura. La vegetazione in un istante si arresta ; i fiumi ed i mari diventano tante pianure di ghiaccio; la terra s’indurisce come lo scoglio ; tutti gli animali malefici che la luce incatena nei loro antri tenebrosi, escono fuori dai loro nascondigli e s’invitano al carname; il terrore e lo spavento s’impadroniscono dell’uomo, dovunque regna la confusione, la disperazione e la morte, pochi giorni bastano per ricondurre il mondo nel caos. Appena che Iddio, sole necessario delle intelligenze, venisse a sparire, tosto la vita morale si estinguerebbe. Tutte le nozioni del bene e del male si cancellano, l’errore e la verità, il giusto e l’ingiusto si confondono nel diritto del più forte. In mezzo a queste tenebre, tutte le più schifose cupidigie, sopite nel cuore dell’uomo si risvegliano, e senza timore, come senza rimorsi, si disputano i mutilati brandelli delle fortune, delle città e degli imperi ; la guerra è dappertutto, la guerra di tutti contro tutti, e il mondo non è più che una caverna di ladri e di assassini. Questo spettacolo, non vidde mai occhio d’uomo, molto meno ha visto 1’universo senza l’astro che lo vivifica. Ma quel che ha visto, é un mondo in cui, simile al sole velato da folte nebbie, l’idea di Dio non gettava più che un bagliore incerto. Attraverso a tenebre nelle quali essi si erano volontariamente sepolti, i popoli pagani non scorgevano che indistintamente l’unità incomunicabile dell’essenza divina. Perocché la fiaccola che dovea dirigerla vacillava al vento delle passioni, degli interessi e delle opinioni; il loro cammino intellettuale e morale fu or titubante, ora assurdo, ora retrogrado; gli dei fuorviavano l’uomo. Eterne dubbiezze intorno a questioni più importanti e più semplici, superstizioni grossolane e crudeli, sistemi oscuri o immorali, condannano il genere umano al castigo venti volte secolare dell’idolatria. Ivi, giacciono ancora incatenate le moderne nazioni, lontane dalle benedette zone sulle quali rifulge di tutto il suo splendore il domma tutelare dell’unità divina. Non può essere altrimenti: tra l’uomo e il male, non vi é che una barriera: Iddio; Iddio conosciuto e rispettato. Togliete Iddio, l’uomo senza freno e senza regola, diventa una belva feroce, il quale scende con delizia sino ai combattimenti dei gladiatori ed ai banchetti di carne umana. Per la ragione contraria, vogliamo noi impedire all’uomo di cadere nell’abisso della degradazione e dell’infortunio? Se vi si trova sepolto, vogliamo noi ritrarnelo fuori e condurlo al più alto grado di luce, di virtù e di felicità? Facciamo tregua ai discorsi, tregua alle combinazioni ed ai sistemi: basta una parola. Dite al grande infermo: “vi è un Dio, alzati e cammina alla sua presenza”. Che il genere umano pigli questa parola sul serio, in modo tale che il domma sovrano dell’unità divina, gravi con tutto il suo peso sugli spiriti e sulle volontà, e l’infermo è guarito. Iddio regna; e l’uomo è illuminato dalla sola luce che non sia ingannatrice; egli è virtuoso della sola virtù, che non sia una maschera; esso è felice della sola felicità, che non sia una fraude; egli è libero della sola libertà, che non sia una vergogna, né un delitto, né una menzogna. [Ambula coram me et esto perfectus. Gen. XVII, 1]. Noi lo ripetiamo con una sola parola: Vi è un Dio, il mondo sarà guarito; se no, no. Questa parola fu detta un giorno sul genere umano, incancrenito di paganesimo, detta dappertutto, detta con una autorità sovrana, e il gran Lazzaro sorse dal suo letto doloroso, e cuoprì di ardenti baci la mano che lo aveva salvato. Filosofi, politici, senato, areopago, voi tutti che vi deste e che vi date ancora pei risanatori delle nazioni, quella mano non fu la vostra, né mai sarà. Tuttodì ancora questa parola sovrana vien pronunziata in Europa su qualche anima inferma; nelle isole lontane dell’Oceania, su qualche popolazione antropofaga; e da vicino come da lontano, produce sotto i nostri occhi l’effetto miracoloso che produsse milleottocento anni fa. Tale è, confermata dalla ragione e dalla storia, la potenza salutare, cioè la verità del domma dell’unità di Dio. Ma che cosa è questo Dio? Dio, è il Padre e il Figliuolo e lo Spirito Santo, tre Persone distinte in una sola e medesima divinità. In altri termini, Dio è la Trinità; né può essere altra cosa. Interrogato su ciò che egli è, lo stesso Dio ha risposto: Io sono colui che sono; io sono l’Essere, l’Essere assoluto, l’Essere senza qualificazione [“Ego sum qui sum.” Exod. III, 14.]. Ora l’essere assoluto, possiede necessariamente tutto ciò che costituisce l’essere, e lo possiede in tutta la sua perfezione. Tre cose costituiscono l’essere.; la misura, il numero, il peso. [Omnia in mensura, et numero, et pondere disposuisti, Sap., XI, 21. 3 Mensura omni rei modum praefìgit, et numerus onmi rei speciem praebet, et pondus omnem rem ad quietem et stabilitatem trahit. S. Aug. De Gen. ad Litt., lib. IV, c. III.]. Negli esseri materiali, la misura è il fondamento o la sostanza; il numero, è la figura che modifica la sostanza; il peso è il vincolo che unisce la sostanza alla figura, e tra di esse, tutte le parti dell’essere. Cercate in tutta la natura, dal cedro al filo dell’erba, dall’elefante ai vermiciattoli del monte in mezzo alla sabbia, voi non troverete un solo essere che non riunisca queste tre cose. Esse sono talmente essenziali, che con una di meno, l’essere non può esistere, nemmeno concepirsi. Così se togliete la sostanza, che cosa avete voi? il nulla; la figura? il nulla; il vincolo ? il nulla. La misura, il numero e il peso non sono nelle creature se non perché Iddio ve le ha messe. Iddio ve le ha messe perché le possiede, vale a dire perché è Lui stesso misura, numero e peso. Come abbiamo visto circa il domma dell’unità di Dio, cosi la Trinità ha dunque altrettanti testimoni quante sono nell’universo creature inanimate, astri nel firmamento, atomi nell’aria e fili d’erba sulla terra: quest’è il pensiero dei più grandi genii. « In tutte le creature, dice sant’Agostino, appare il vestigio della Trinità. Ciascun’opera del divino Artefice presenta tre cose: l’unità, la bellezza, e l’ordine. Ogni essere è uno, come la natura dei corpi e l’essenza delle anime. Questa unità riveste una forma qualunque, come le figure o le qualità dei corpi, le dottrine o i talenti delle anime. Questa unità e questa forma, hanno tra loro dei rapporti e sono di un ordine qualunque. Così nei corpi, la gravità e la posizione ; nelle anime l’amore e il piacere. Da questo, poiché è impossibile di non intravvedere il Creatore nello specchio delle creature, noi siamo condotti a conoscere la Trinità, della quale ciascuna creatura presenta un vestigio più o meno splendido. Difatti, in questa sublime Trinità vi è l’origine di tutti gli esseri, la perfetta bellezza, il supremo amore.

Trinità! ecco secondo Lattanzio, sant’Atanasio, san Dionigi d’Alessandria, Tertulliano, il domma che proclama incessantemente, a coloro che hanno orecchi per udire, l’università degli esseri. I più nobili lo ripetono con una voce più sonora. Sarebb’egli giusto che fosse altrimenti? Non devono essi un omaggio particolare all’augusto mistero, il cui vestigio più luminoso, segnato sulla loro fronte, è la ragione stessa e la misura della loro nobiltà? Cosi il sole, l’albero, la fonte, sono tanti predicatori eloquenti della Trinità. Nell’unità della stessa essenza essi ci mostrano, uno: il centro, il raggio, il calore: l’altro la radice, il tronco ed i rami; il terzo il serbatoio, il corso ed il fiume. L’angelo della scuola (san Tommaso), nello spiegare la dottrina dei Padri, aggiunge che: « In ciascuna creatura trovansi delle cose che si riferiscono necessariamente alle divine Persone, come alla loro causa. Difatti ogni creatura ha il suo proprio essere, la sua forma, il suo ordine e peso. Ora, come sostanza creata, essa rappresenta la causa e il principio, e dimostra la Persona del Padre che è il principio senza principio. In quanto essa ha una forma, rappresenta il Verbo, e come forma dell’opera concepita dall’operaio. In quanto essa ha l’ordine e il peso, rappresenta lo Spirito Santo, come amore che unisce gli esseri tra loro che procedono dalla volontà creatrice. A ciò si riferiscono la misura, il numero ed il peso: la misura alla sostanza dell’essere ; il numero alla forma; il peso all’ordine. » Se le creature inanimate, che sono le ultime nella scala degli esseri, presentano il vestigio della Trinità, è chiaro che questo vestigio dee rifulgere con più splendore nelle creature di un ordine superiore. Ma che dico? non è solamente il vestigio che noi troveremo ma la immagine. «Ogni effetto, continua san Tommaso, rappresenta la sua causa in parte, ma in modi differenti. Un certo effetto rappresenta soltanto la causalità della causa, senza indicazione della forma. Per tale modo il fumo rappresenta il fuoco. Tale rappresentazione si chiama rappresentazione per vestigio. E con ragione, imperocché il vestigio prova che un essere é passato da questo; ma non dice quale sia. Cert’altro effetto rappresenta la causa, quanto alla rassomiglianza. Così il fuoco generato rappresenta il fuoco generatore, la statua di Mercurio, Mercurio. Questa rappresentazione si chiama così per immagine. « Ora le processioni delle Persone divine si considerano secondo gli atti dell’intelletto e della volontà. Difatti, il Figliuolo procede, come la parola, dall’intelletto; lo Spirito Santo, come l’amore, dalla volontà. Ne resulta che nelle creature ragionevoli dotate d’intelletto e di volontà si trova la rappresentazione della Trinità in forma d’immagine, poiché trovasi in esse il Verbo concepito e l’amore che deriva». Ne resulta ancora che il domma della Trinità ha tanti riflessi, quanti sono Angeli in cielo, demoni nell’inferno, e uomini venuti o da venire sulla terra, dal principio del mondo sino alla fine. Riassumendo: ciò che nelle creature inanimate è misura, numero e peso, si chiama nelle creature ragionevoli potenza, sapienza, amore; e in Dio: Padre o potenza, Figliuolo o sapienza, Spirito Santo o amore mutuo del Padre e del Figliuolo. Queste tre cose: potenza, sapienza, amore, sono talmente essenziali in Dio, che una di meno, Dio non è, né può nemmeno concepirsi. Se voi Gli togliete la potenza che cosa avete? il nulla. La sapienza? il nulla. L’amore? il nulla. Abbiamo aggiunto che Dio possiede le tre condizioni essenziali dell’essere in tutta la loro perfezione. Ora nell’Essere propriamente detto, la perfezione di queste condizioni è di essere reali, sostanziali, sussistenti per sé medesimi; in una parola vere ipostasi o Persone distinte. Aspettando le prove dirette del domma della Trinità, ciò sia detto, non per dimostrare ciò che è non dimostrabile, ma per mostrare che l’augusto mistero non ha niente di contrario alla ragione, e che anche la vera filosofia ne sospetta l’esistenza innanzi d’averne la certezza. Cosi Dio l’ha voluto. E perché ? Da un lato, a fine di non lasciarsi senza testimonianza, imprimendo le sue vestigia o la sua immagine in tutte le creature; dall’altro lato, allo scopo di dare agli uomini e specialmente alle nazioni cristiane il mezzo di raggiungere la loro perfezione, pigliando per modello la Potenza infinita, la Sapienza infinita e l’infinito Amore. Di fatti, se il domma dell’Unità di Dio fu il sole del mondo giudaico, il domma della Trinità è il sole del mondo evangelico. Ora, quel che è la rosa in boccio alla rosa sbocciata, il domma dell’unità di Dio sta al domma della Trinità. Camminare alla presenza di un Dio in tre Persone chiaramente noto, è dunque per i popoli cristiani la legge del loro essere e la condizione della loro superiorità. Se questa legge del loro essere vengono essi a dimenticarla o a disconoscerla, cadono sull’istante dalle altezze luminose del Calvario, e retrocedendo di quaranta secoli, ricadono nelle tenebre del Sinai. Ma non si arresta qui la loro caduta. Un popolo cristiano non può cessare d’esserlo, senza discendere al disotto dell’ebreo, al disotto del maomettano, senza diventare una razza degradata che non ha nome nell’umano linguaggio. Tale è la condizione della sua superiorità. La perfezione intellettuale e morale di una società è sempre in ragione diretta della nozione che essa ha di Dio. Quanto la cognizione chiara dell’unità divina innalzò i figli d’Israello al disopra delle nazioni pagane, altrettanto la rivelazione della Trinità innalza i popoli cristiani al disopra del popolo ebreo. Che lo sappiano le società battezzate o che lo ignorino, che lo credano o lo neghino, è nelle profondità di questo domma eternalmente fecondo, che trovasi la sorgente nascosta della loro superiorità sotto tutti i rapporti. La Trinità è il cardine del Cristianesimo, per conseguenza la principale divisa delle società nate dal Cristianesimo. Togliete questo domma, e l’incarnazione del Verbo non è altro che una chimera; la redenzione del mondo una chimera; l’effusione dello Spirito Santo una chimera; la comunicazione della grazia una chimera; i sacramenti una chimera; il Cristianesimo tutto quanto una chimera, e la società una rovina.

Vedere l’augusta Trinità nello specchio delle creature, non è più illusione che il riconoscere l’albero dai suoi frutti o l’operaio dalla sua opera. Per conseguenza le vedute ed i ragionamenti dei grandi genii che abbiamo citati, sono confermati autenticamente dallo stesso Creatore. Tre capi d’opera riassumono ai nostri occhi la sua opera esteriore: il mondo materiale, l’uomo ed il cristiano. Ora, come l’artefice pone la sua impronta ad ogni prodotto della sua industria e si fa in tal modo conoscere al pubblico; cosi Iddio medesimo ci dice che si è scolpito in caratteri indelebili su ciascuno dei suoi capolavori, in modo da dichiararsi l’autore di tutti gli esseri e di manifestarsi a chiunque possegga occhi per vedere e uno spirito per comprendere. Dice san Paolo: « Il Vangelo non mi fa arrossire, perché é la virtù di Dio per salvare coloro che credono. Cosi ci è altresì rivelata l’ira di Dio che scoppierà dal cielo contro tutta l’empietà e l’ingiustizia di quelli uomini, i quali ritengono ingiustamente la verità’ di Dio; poiché ciò che possiamo conoscere di Dio è loro noto: Dio medesimo lo ha loro manifestato. Di fatti le cose che sono invisibili in sé, come la sua eterna potenza e la sua divinità, sono diventate visibili nello specchio della creazione, di maniera che sono inescusabili, poiché avendo conosciuto Dio non lo hanno punto glorificato come Dio. » Vogliamo noi vedere quanto è legittima quest’ira ispirata contro i negatori o i disprezzatori della Trinità? Studiamo la condotta dello stesso Dio. Ei vuole che il suo primo organo, Mosè, cominci la storia del mondo dalla rivelazione della Trinità creatrice. « Iddio, nel principio, crea il cielo e la terra, e lo Spirito di Dio era portato sulle acque.[Gen.I, 1, 2.] » Su di che il più autorevole come il più profondo degli interpetri, sant’Agostino, cosi si esprime: « Nel momento stesso in cui la creazione in massa fu chiamata dal nulla sotto il nome di cielo e di terra per indicare ciò che doveva esser fatto, la Trinità del Creatore è insinuata. Dice la Scrittura: “Nel principio Dio creò il cielo e la terra. Ora sotto il nome di Dio noi comprendiamo il Padre; sotto il nome di Principio il Figliuolo che non è principio per il Padre ma per tutte le creature; e quando la Scrittura aggiunge: E lo Spirito di Dio era portato sulle acque, noi abbiamo la rivelazione completa della Trinità, poiché questa parola indica la potenza sovrana dello Spirito Santo. »

La Trinità non contenta d’essersi rivelata nella creazione della massa materiale, essa si rivela in ciascuna opera particolare che ne trae. È anche questo un concetto del grande vescovo d’Ippona: «Nella manipolazione e nel perfezionamento della materia per formare delle creature distinte s’insinua la stessa Trinità. In queste parole: Dio dice, noi abbiamo il Verbo o la parola, e il generatore del Verbo; e in quest’altre: Dio vide che ciò era buono, abbiamo la Bontà infinita, lo Spirito Santo, per cui solo piace a Dio tutto ciò che gli piace. » Ora le stesse parole ritornano sette volte nell’opera della creazione; cosicché ripetesi per sette volte la proclamazione del domma della Trinità; sette volte l’affermazione divina che il mondo materiale nel suo insieme ed in ciascuna delle sue parti porta il suggello del suo Autore. Ascoltiamo un altro commentatore, del pari degno di nota per la purità del suo cuore e per la solidità della sua scienza: « Il libro che contiene l’origine delle cose, dice l’Abate Ruperto, comincia con queste parole: “Al principio Dio creò il cielo e la terra”. Poiché la stessa creazione è il principio del mondo, perché dicesi: “Al principio Iddio creò”? È la stessa cosa come se avesse detto: al principio cominciò. Se lo pigliamo qui nel significato volgare, la parola cominciamento, forma una tautologia ridicola. È dunque ben fondato il prenderlo per un nome proprio del Figliuolo. Egli stesso vuole cosi, poiché interrogato dai Giudei che Gli dicevano : Chi siete voi ? Egli risponde: lo sono il Cominciamento o il Principio, Io che vi parlo. » Difatti, è veramente nel Principio che Dio creò il cielo e la terra, poiché tutte le cose sono state fatte da Lui. La medesima Scrittura conferma questa interpretazione, quando altrove dice: “Voi avete fatte le cose per mezzo della Sapienza”. Ora questa Sapienza non è altro che il Verbo di Dio, il Quale come abbiamo visto si chiama Lui stesso il Principio. E lo Spirito di Dio era portato sulle acque. La materia esiste ma è informe; bisogna darle la vita e la bellezza. Lo Spirito di Dio fa per essa ciò che l’uccello, col suo calore, fa sul pulcino rinchiuso nell’uovo: lo scalda, lo anima, lo vivifica e ne fa un essere dotato di tutte le sue perfezioni. Chi pensate voi che sia questo Spirito di Dio, se non l’Amore stesso di Dio, Amore, non di affezione, ma Amore sostanziale, vita e virtù vivente dimorante nel Padre e nel Figliuolo, procedente dall’Uno e dall’Altro e consustanziale all’Uno ed all’Altro? Ora Egli si recava sulle acque, per conseguenza sulla terra racchiusa nel loro seno, perché il Creatore era attratto da un immenso amore verso la sua creatura; e non potendo essere Lui medesimo ciò che avea creato, voleva trarne tanti esseri capaci di unirsi a Lui. Questa Bontà, quest’Amore del Creatore è lo stesso Spirito Santo: « In testa del Libro dei libri, è dunque splendidamente iscritto il domma della Trinità creatrice. Nel nome di Dio noi vediamo il Padre; nel nome del Principio il Figliuolo; in quello che è portato sulle acque, lo Spirito Santo. » Come prova di questa interpretazione cosi netta e tanto autorevole, gli interpreti più abili nella lingua ebraica, fanno valere l’anomalia grammaticale del testo ebraico. Letteralmente egli deve tradursi: nel ‘principio “gli Dei” creò. Perché questa forma strana? Perché il concetto deve essere superiore a tutte le parole, e che dinanzi alla volontà sovrana di Colui che nella prima parola ispirata dal suo primo organo vuole rivelare la sua Essenza divina, debbono piegare tutte le leggi della grammatica. Elohim, “gli Dei”, al plurale indica in Dio la pluralità delle persone, come l’unità di essenza è indicata dal verbo singolare “Bara” creò. La storia della creazione del mondo materiale comincia dunque con la rivelazione del domma della Trinità. Alla stessa guisa comincia la storia della creazione dell’uomo, “Facciamo l’uomo ad immagine e somiglianza nostra, dice il Creatore; e il divino Artefice incide se medesimo a caratteri indelebili, fin nell’essenza di quella nuova creatura. Consideriamo prima di tutto la profondità del linguaggio biblico: queste due parole immagine e somiglianza non sono una inutile ripetizione. Una è il preambolo dell’altra: entrambi riunite rivelano all’uomo e i suoi rapporti con Dio, e il fine della sua vita. Al Padre della stirpe umana e ad ognuno dei suoi discendenti essi dicono : « Dotato della triplice facoltà di ricordarti, di conoscere e di amare, tu sei fatto ad immagine del Dio Trinità. Questa immagine è improntata perfino nei più intimi penetrali del tuo essere. Ebreo, pagano, cattolico, eretico, giusto o peccatore, chiunque tu sii, e qualunque cosa tu faccia, finché sarà vero che tu sei uomo, sarà vero che tu sei l’immagine di Dio. Dannato, tu la porterai nell’inferno, e le fiamme eterne la bruceranno senza distruggerla. » Non è il fine della tua vita il conservarla, ma il perfezionarla, insino a formare in te la rassomiglianza con Dio. Tale è la legge del tuo essere e la condizione della tua felicità. Come peccatore tu perdi questa somiglianza; come giusto sulla terra, tu l’hai, ma imperfetta; santo nel cielo tu la possederai nella sua perfezione. Allora, e allora soltanto tu potrai dire: Io ho raggiunto il fine della mia creazione: sono simile a Dio. Se non vi ha dottrina più sublime di questa, nessun’altra è più certa. « Alla immagine di Dio impressa nell’anima mia, dice san Basilio, io debbo l’uso della ragione: alla grazia d’essere cristiano, la rassomiglianza con Dio. » E san Girolamo : « Bisogna osservare che l’immagine solamente è fatta in noi dalla creazione; la rassomiglianza mediante il battesimo. » E san Crisostomo: « Dio dice immagine, a motivo dell’impero dell’uomo su tutte le creature; rassomiglianza, affinché nella misura delle nostre forze noi ci rendiamo simili a Dio con la mansuetudine, con la dolcezza, con la virtù, secondo il precetto di Gesù Cristo medesimo che dice: Siate simili al Padre rostro che è nei cieli». Lavoro magnifico del quale san Giovanni fa brillare ai nostri occhi il complemento eterno quando egli scrive: « 0 diletti, noi siamo adesso i figli di Dio; ma non si sa ancora quel che noi saremo. Solamente sappiamo che quando Egli apparirà noi saremo simili a lui, [Jo. III, 2] ». Ma in che consiste questa immagine della Trinità che portiamo in noi medesimi? In nome di tutti lasciamo parlare due grandi maestri della dottrina; sant’Agostino e Bossuet: « Occupandoci della creazione, dice il primo, abbiamo per quanto da noi dipenderà, avvertito coloro che cercano la ragione delle cose, di applicare tutta la forza del loro spirito nel considerare le perfezioni invisibili di Dio, nelle sue opere esteriori, e principalmente nella creatura ragionevole che è stata fatta ad immagine di Dio. Là, come in uno specchio essi vedranno se sono capaci di vedere la Trinità divina nelle nostre tre facoltà; la memoria, l’intelletto, e la volontà. « Chiunque distingue chiaramente queste tre cose scolpite nell’anima propria dalla mano del Creatore, e che considera quanto è grande il vedere in quest’anima creata la natura immutabile di Dio, ricordata, veduta, amata; imperocché ce ne ricordiamo mediante la memoria, Lo vediamo mediante l’intelletto, e Lo amiamo per mezzo della carità; quegli trova senza dubbio in sé medesimo l’immagine della Trinità. Trinità sovrana, obietto eterno della memoria, dell’intelletto e dell’amore, cosicché tutta quanta la vita dee avere per fine di ricordare, di contemplare ed amare. [De Trinitate, lib. XV, n. 39] » Dopo il Vescovo d’Ippona, ascoltiamo il Vescovo di Meaux. Delineando all’uomo l’augusta immagine ch’ei porta e scongiurandolo a farne l’oggetto continuo della sua imitazione: « Questa Trinità, dice Bossuet, increata, sovrana, onnipotente, incomprensibile, a fine di darci qualche idea della sua perfezione infinita, ha fatto una Trinità creata sulla terra…. Se volete sapere qual è questa Trinità creata, della quale parlo, rientrate in voi stessi, e la vedrete; è l’anima vostra. « Di fatti, come l’augustissima Trinità ha una sorgente ed una fonte di divinità, secondo parlano i Padri greci, un tesoro di vita e d’intelligenza che noi chiamiamo il Padre, dal quale il Figliuolo e lo Spirito Santo non cessano mai di attingere, cosi l’anima umana ha il suo tesoro che la rende feconda. Tutto ciò che i sensi gli recano di fuori, ella raduna internamente: e ne fa come un serbatoio che appelliamo memoria. E nella stessa guisa che questo tesoro infinito, cioè il Padre eterno, contemplando le sue proprie ricchezze, produce il suo Verbo che é sua immagine; cosi l’anima ragionevole, piena e ricolma di belle idee, produce quella parola interiore che noi chiamiamo il pensiero, o il concetto; o il discorso, che è la viva immagine delle cose. « Imperocché noi cristiani non sentiamo, che quando concepiamo qualche oggetto; ce ne facciamo noi medesimi una pittura animata, che l’incomparabile sant’Agostino chiama il Figlio del nostro cuore: Filius cordìs nostri? [De Trin. IX c. VII] Finalmente, come producendo in noi questa immagine che ci dà l’intelletto, noi ci compiacciamo di intenderla, amiamo per conseguenza questa intelligenza, e cosi da questo tesoro che è la memoria, e dall’intelligenza ch’essa produce, nasce una terza cosa che si chiama “amore”, nella quale hanno termine tutte le operazioni dell’anima nostra. « Cosi dal Padre che è il tesoro, e dal Figlio che è la ragione e l’intelletto, procede quello Spirito, infinito, che è il termine dell’operazione dell’uno e dell’altro. E siccome il Padre, questo eterno tesoro, si comunica senza estinguersi; così questo tesoro invisibile e interiore che l’anima nostra racchiude nel proprio suo seno, nulla perde diffondendosi, imperocché la nostra memoria non si esaurisce con i concetti che essa produce, ma rimane sempre feconda come Dio Padre è sempre fecondo. E altrove: « Abbiamo detto che, la Trinità risplende magnificamente nella creatura ragionevole. Simile al Padre essa ha l’essere; simile al Figlio essa ha l’intelletto, e simile allo Spirito Santo essa ha l’amore. Simile al Padre e al Figlio ed allo Spirito Santo ha essa nel suo essere, nella sua intelligenza e nel suo amore una stessa felicità ed una stessa vita. Voi non sapreste toglierle nulla, senza toglierle tutto. Felice creatura e perfettamente simile, se essa si occupa unicamente di Lui. Allora essendo perfetta nel suo essere, nella sua intelligenza, nel suo amore, essa intende tutto ciò che è, ed ama tutto ciò ch’essa intende. Il suo essere e le sue operazioni sono inseparabili. Dio diventa la perfezione del suo essere, il nutrimento immortale del suo intelletto, e la vita del suo amore. Essa non dice come Dio, che una sola parola, la quale comprende tutta la sua sapienza. Come Dio essa non produce che un solo amore, il quale abbraccia tutto il suo bene. E tutto ciò non muore punto in lei. « La grazia sopraggiunge su questo fondamento, e rialza la natura: la gloria le è mostrata, ed aggiunge il suo complemento alla grazia. Fortunata creatura se essa sa, lo ripeto ancora, conservare la sua felicità. O uomo, tu l’hai perduta! dove si smarrisce la tua intelligenza? Dove va ad annegarsi il tuo amore? Ahimè! Ahimè! e senza fine ahimè! ritorna alla tua origine. » Ritorna; e se tu vuoi conoscere la tua dignità ed il fine della tua esistenza, non guardare né il cielo, né la terra, né gli astri, né gli elementi, né tutto quell’universo che ti circonda: guarda te stesso dunque, o uomo! Ascolta non più la voce che esce dalle creature, ma la voce che viene da te. Tu stesso sei il predicatore della Trinità. Dovunque ti rechi, ne porti l’immagine. Rispettala, amala, copiala, fatti a sua somiglianza, poiché la tua felicità è a questo prezzo. Nei grandi avvenimenti che segnano la vita dell’uomo primitivo, la Trinità riapparisce. Adamo è caduto: « Ecco, dicono le divine persone, Adamo divenuto simile a uno di noi: “Ecce Adam factus est quasi unus ex nobis”. [Gen.III, 22] ». Quanto più queste parole sono chiare, interpretate nel senso cattolico, tanto più esse sono assurde se non indicano la pluralità delle Persone divine. In questo caso esse hanno il seguente significato: ecco Adamo divenuto simile a uno di me. satana vuol gettare le fondamenta della Città del male. Per edificarla egli riunisce gli uomini nelle pianure di Sennaar. La città e la torre che deve innalzarsi fino al cielo salgono a vista d’occhio. Questa audace impresa provoca una nuova manifestazione della Trinità. Siccome le tre Persone hanno tenuto consiglio per creare l’uomo, esse si trovano d’accordo per punirlo. «Venite, dicono Esse, scendiamo e confondiamo il loro linguaggio [Gen. XI, 7]».

Dal canto suo Iddio vuole formare la Città del bene. Abramo ne sarà la pietra angolare, e la Trinità gli apparisce. In mezzo alla valle di Mambre s’innalzava la tenda del Padre dei credenti. Un giorno verso l’ora di mezzodì il caritatevole patriarca stava seduto sulla sua porta, allorquando, alzando gli occhi, ei vede tre personaggi ritti dinanzi a lui. A quello spettacolo volge la faccia verso terra e adora dicendo in “singolare”: «Signore se io ho trovato grazia appresso di Te non venire dinanzi al tuo servo. [Domine, si inveni gratiam in oculis tuis, ne transeas servum tuum. Gen. XVIII, 3 ] » Abramo vede tre Persone, ed egli non adora che un solo Signore, al Quale dà costantemente il nome incomunicabile di Jehova. Che cosa significa questo linguaggio? Consultiamo l’oracolo, interprete infallibile della Scrittura, la Tradizione: « Ecco tosto, dice un Padre della Chiesa, che la Maestà incorporea scende sulla terra, sotto la corporea figura di tre Personaggi. Abramo corre loro incontro; tende verso di Essi le sue mani supplichevoli, bacia Loro le ginocchia e dice: Signore, se io ho trovato grazia appo Te non passare dinanzi al tuo servo senza fermarti. Voi vedete, che il Padre dei credenti si precipita incontro a quei tre e non adora che un solo: Unità in tre, Trinità in uno. Ecco che la celeste Maestà prende posto alla tavola di un mortale, accetta un desinare, gusta delle pietanze, e si stabilisce una amichevole conversazione famigliare tra Dio e un uomo. Alla vista di quei tre personaggi, Abramo comprende il mistero della santa Trinità; e se non adora in Essi che un solo Signore, è perché non ignora che in quelle tre Persone, non vi è che un Dio solo. »

Da queste molteplici manifestazioni era resultata presso gli ebrei, la conseguenza certa del domma fondamentale della fede dell’uman genere, nell’antica alleanza come nella nuova. « Gli uomini illuminati tra gli Ebrei, dice sant’Epifanio, tanto profondamente istruito nelle cose della sua nazione, insegnarono fino dai primi tempi e con una intera certezza, la Trinità in un’unica Essenza divina. » Un altro figliuolo d’Israele, non meno versato nella storia religiosa della Sinagoga, il signor Drach, cosi si esprime: « Nei quattro Vangeli non si osserva meno la Rivelazione nuova della santa Trinità, punto fondamentale, e cardine di tutta la religione cristiana, quanto quella di ogni altra dottrina di già insegnata nella Sinagoga, al momento della venuta di Cristo: come, per es.: il peccato originale, la creazione del mondo senza materia preesistente, e l’esistenza di Dio. «Quando Nostro Signore dà ai suoi discepoli, che avea tutti scelti tra i Giudei, la missione di andare a predicare il suo santo Vangelo ai popoli della terra, ordina loro di battezzarli in nome del Padre, e del Figliuolo, e dello Spirito Santo. È chiaro che queste parole, le sole dei quattro Evangeli, in cui le tre divine Persone vengono nominate insieme in termini tanto espressi, non sono dette come aventi per oggetto di rivelare la santa Trinità. Se il Salvatore pronunzia qui i nomi odorabili del Padre, e del Figliuolo e dello Spirito Santo, egli è per prescrivere la formula sacramentale del battesimo. La menzione del gran mistero in questa circostanza, in occasione del battesimo, produce sullo spirito di chiunque legge il Vangelo, l’effetto di un articolo di fede già conosciuto e pienamente ammesso tra i figli d’Israele. « Insomma, gli evangelisti prendono per punto di partenza il mistero della incarnazione. Essi ce lo rivelano e ci prescrivono di credervi. Quanto a quello della Trinità che lo precede, e che n’è la base nella fede, se ne impadroniscono come di un punto già manifesto, ammesso nella credenza della legge antica. Ecco perché non dicono in nessun luogo, sapete; ma credete che vi sono tre Persone in Dio. Difatti chiunque è in familiarità con ciò che insegnavano gli antichi dottori della Sinagoga, soprattutto quelli che hanno vissuto innanzi la venuta del Salvatore, sa che la Trinità in un Dio unico, era una verità ammessa tra loro fino dai più remoti tempi. [Armonia della Chiesa e della Sinagoga, t. II, p. 277, 279]». Però vi è una creazione più nobile di quella dell’universo materiale, più nobile di quella dell’uomo stesso, vale a dire la creazione del cristiano. Come i due primi, cosi questo terzo capo d’opera comincia con la rivelazione del domma della Trinità. La pienezza dei tempi è compiuta: il Verbo mediante il Quale tutto é stato fatto, è disceso sulla terra per rigenerare la sua opera. Un nuovo mondo più perfetto dell’antico deve nascere alla sua voce. Egli stesso ascende di nuovo al Padre suo; ma i suoi apostoli hanno ricevuto l’ordine ed il potere di continuare questa meravigliosa creazione. Nel momento solenne della sua dipartita, lascia cadere dalle labbra divine il nome ineffabile di Jehovah, che non aveva ancor punto pronunziato nel suo intiero, e la cui completa enunciazione, doveva essere, secondo la profetica tradizione della Sinagoga, il segnale della redenzione universale. [La Trinità delle persone in un Dio solo non doveva essere insegnata pubblicamente, chiaramente, a confessione stessa dei Rabbini, se non all’epoca della venuta del Messia nostro, giusto, epoca in cui il nome di Jehova che annunzia quest’augusto mistero, alla stessa guisa che l’incarnazione del Verbo, doveva cessare d’essere impronunziabile… Una delle loro antiche tradizioni dice in termini formali: la Redenzione si opererò, mediante l’intiero nome Jehova ; quando una delle tre Persone divine, inseparabile dalle due altre si sarà fatta, il che significa l’ultima lettera del nome ineffabile: Uomo Dio ecc. Drach, ibid.7 t. II, p. 455. ].

Ei dice loro: « Andate dunque, istruite tutte le nazioni e battezzatele in nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo. [Matteo, XVIII, 19] ». Ecco, ornai, indicata la perfetta uguaglianza delle Tre Persone, la stessa potenza, la stessa virtù santificante in un solo nome, vale a dire in una sola divinità: che cosa vi ha di più chiaro! Cosi l’uomo, che deve l’essere suo naturale all’adorabile Trinità, Le dovrà pure il suo essere soprannaturale. Vita umana e vita divina gli derivano dalla stessa sorgente. Questa grande verità sarà scritta nell’atto stesso della sua duplice creazione. Nasca sotto qualunque clima, un figlio di Adamo non può diventare Figlio di Dio, senza che la Chiesa sua madre gli scolpisca sulla fronte il marchio indelebile dell’augusta Trinità. Ma ciò non basta. Come Iddio in tre Persone nell’antico Testamento moltiplicò le sue apparizioni all’uomo primitivo, cosi sotto la legge di grazia Egli le moltiplica più’ spesso, e più chiare all’uomo nuovo. Seguitate il cristiano dalla culla sino alla tomba; ei non potrebbe fare un passo nella vita senza incontrare la Trinità. Battezzato che sia in nome della Trinità, egli è rivestito della forza e ripieno dei lumi dello Spirito Santo, perché lo é in nome della Trinità. Se egli riceve la carne vivificante del suo Redentore, è in nome della Trinità. Se ricupera la purità dell’ anima per la remissione delle sue colpe; se è fortificato nei pericoli dell’ultima lotta; se secondo la carne, o secondo lo spirito, diventa il padre di una nuova famiglia, lo è sempre in nome della Trinità. Se infine, ritorna egli all’ultima sua dimora terrena, ed è consegnato alla tomba come un inviolabile deposito, lo è sempre in nome della Trinità. Così, da qualunque lato ch’ei si volga, che sollevi i suoi sguardi verso il firmamento, che gli abbassi verso la terra, o che gli riconcentri su se medesimo, dappertutto vede brillare il domma augusto di un Dio in tre Persone. Per negarlo, fa d’uopo che egli neghi l’universo, che neghi la sua ragione, che neghi le Scritture, che neghi sé stesso, come uomo e come cristiano. Ma quante volte egli lo afferma, tante volte afferma la divinità dello Spirito Santo. Il nostro compito era di stabilire appunto ciò.

IL RITORNO DEL PRINCIPE DI QUESTO MONDO

IL RITORNO DEL PRINCIPE DI QUESTO MONDO

[tit. redaz.]

mons. J. – J. Gaume

“Trattato dello Spirito Santo” vol. I -1887

[capp. XXX, XXXI, XXXII]

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   Cacciato di Roma, il Re della Città del male non perdé mai la speranza di rientrarvi; ond’è che, dopo la toccata disfatta, sempre fu visto girare intorno ai ripari dell’eterna Città, affin di sorprenderla e ritornarla sua capitale: Egli sa che il suo nemico è là; il Verbo-Dio, il Verbo-Re, il Verbo incarnato nella persona del suo Vicario. Finché non ne l’avrà spodestato, il suo trionfo è imperfetto; ma come riuscirvi? Roma è per ampio tratto circondata dall’amore, dalla venerazione, dalla possanza della grande Città del bene; triplice baluardo che rende impossibile il semplice appressarvisi. Non potendo fare suoi sperimenti nel centro, Satana li fa alle frontiere. Fu solamente dopo lunghi secoli di lontane pugne ch’egli giunse una prima volta, a far di Roma la capitale della sua immensa città: sovvenutosene in buon punto, ei torna, spinto dal suo instancabile odio, alle lotte che già aveva provate cosi felici. Infatti ei si sforza d’intaccare la Città del bene, corrompere una parte de’cittadini e tirarli alla sua bandiera mediante le eresie, e scismi, e scandali, e i formidabili assalti della mussulmana barbarie. Il suo maneggiarsi indefesso non riesce altrimenti vano; e già parziali vittorie ottenute qui e colà gli preparano la via alla vittoria compiuta; cionondimeno, la Città del bene, fedele alle sue gloriose tradizioni, sorgeva tuttavia, salda sulle sue fondamenta.

Come Adamo ed Èva, ne’ di della beata innocenza, avevano vissuto, ignorandovi il male, cosi l’Europa, contenta della scienza del bene, di cui andava debitrice allo Spirito Santo, viveva estranea alla scienza del paganesimo, alla scienza cioè del male organizzato. Se pigliava qualche cognizione dell’antichità, punto nol faceva per ammirarla o per lodarla, e meno ancora per imitarla e farla rivivere. E se n’ha la prova in ciò che’ v’ha minor differenza tra il di e la notte, che tra la lingua, le arti e le istituzioni del Medio Evo, e la lingua, le arti e le istituzioni del paganesimo. È questo un fatto che perentoriamente risponde a tutte le ragioni di coloro che pretendono il Risorgimento, niente o quasi niente avere cambiato il sistema d’insegnamento della vecchia Europa.

Intanto, il seduttore “serpente”, non scordatosi punto che Eva restò sedotta dalla lusinghiera bellezza del frutto vietato, et aspectu delectàbile, ad un tratto trasformasi in angelo di luce, e si spaccia per il Dio del bello. Fa luccicare agli occhi dell’Europa le ingannevoli bellezze del suo regno; si dice calunniato dai re e da’sacerdoti, e invita l’Europa, qualora voglia uscire dalla schiavitù e dalla barbarie, a dar retta a lui. A queste parole, l’originale veleno, non mai spento, bolle e fermenta con istrana forza nelle vene dell’imprudente Europa. Nel medesimo tempo, Greci, cacciati d’Oriente, in pena dell’ostinata lor ribellione alla Chiesa, sbarcano in Italia: e, fuggiaschi dalla loro patria, s’arrogano la missione di risuscitare le pretese glorie dell’antichità pagana. La gioventù di Europa tutta s’accalca nelle loro scuole: e per dileggio del Cristianesimo, il di della grande seduzione vien segnato nella storia col nome di Risorgimento. Quel di infatti, divise la vita d’ Europa in due: i secoli antecedenti ebbero nome di Medio Eco; i seguenti, si chiamarono i tempi moderni. D’allora in poi si videro fenomeni non mai, più veduti.

Primo fenomeno. Parte dall’Italia un generale grido di riprovazione contro il Medio Evo, e risuona in tutta Europa. Ingiurie, sarcasmi, calunnie, tutti i vituperi che l’odio e il disprezzo, sanno inventare, piovono sul tempo che, come abbiam veduto, lo Spirito Santo regnò con maggior signoria. Teologia, filosofia, arti, poesia, letteratura, istituzioni sociali, la lingua stessa, diventano zotichezza, ignoranza, superstizione, schiavitù, barbarie.

I figliuoli si sono vergognati de’loro padri e ne rigettarono l’eredità. «Eppure che cos’erano infine le antiche credenze, le antiche creazioni, le antiche aristocrazie, le antiche istituzioni, con tutti i difetti che possono aver avuto, siccome avviene d’ogni còsa umana? Erano l’opera de’nostri antenati: era l’intelligenza, era il genio, era la gloria, l’anima, era la vita, era il cuore de’ nostri padri. Bisogna aggiungere: era il Cristianesimo nella vita de’ nostri padri; e il regno dello Spirito Santo sul mondo.

Secondo fenomeno. Al grido frenetico di riprovazione contro il Medio Evo, succede l’acclamazione non meno frenetica e generale della pagana antichità; e il tempo che Satana fu ad un tempo Dio e re del mondo, diventò là più splendida età del genere umano. Nelle repubbliche di Grecia e d’Italia, vituperevolmente prostrate a’piedi di Giove e di Cesare, splendé in tutta la sua luce il sole della civiltà. Filosofia, arti, poesia, eloquenza, virtù pubbliche e private, caratteri d’uomini, istituzioni sociali, lumi, libertà: in esse tutto era grande, eroico, inimitabile. Ritornare alla loro Scuola e ricevere le loro lezioni come oracoli, era per i popoli battezzati, l’unico mezzo’ d’uscire dalla barbarie, e mettersi nella via del progresso.

Terzo fenomeno. Non tarda a farsi vedere un radical mutamento nella vita dell’Europa. Ricollocato in onore, lo spirito dell’antichità, torna ad essere l’anima delmondo, ch’ei forma a sua immagine; è allora comincia un sozzo diluvio di filosofie pagane, di pitture e sculture pagane, di libri pagani, di teatri pagani, di teorie politiche pagane, di denominazioni pagane, di continui panegirici del paganesimo, de’ suoi uomini e delle opere sue. Questo vasto insegnamento s’incarna ne’fatti. Veggonsi le nazioni cristiane a un tratto rompere le grandi linee della nazionale lor civiltà, per ordinare la loro vita su altro disegno; e, gettando via, quasi cencio ignominioso, il reale manto, di cui la Chiesa lor madre le aveva vestite, azziniarsi de’fallaci e sozzi ornamenti del paganesimo greco romano. Quindi venne quella che si chiama “civiltà moderna”; civiltà fittizia, che non è altrimenti il frutto spontaneo nè della nostra religione, né della nostra storia, né della nostra indole nazionale; civiltà a rovescio, la quale, invece di sempre meglio applicare il cristianesimo, alle arti, alla letteratura, alle leggi, alle istituzioni, alla società, le informa dello spirito pagano e ci fa indietreggiare di ben venti secoli; civiltà corrotta e corrompitrice, che, tutto ordinando al materiale benessere, vale a dire in servigio della carne e di tutte le sue cupidigie, riconduce l’Europa, tra le rovine dell’ordine morale, al culto dell’oro ed agli indescrivibili costumi di que’ tempi nefasti, in cui la vita del mondo, schiavo dello spirito infernale, era tutta in due parole; mangiare e divertirsi ; panem et circenses.

Quarto fenomeno. La prima conseguenza de’ fatti surriferiti doveva essere, e fu, il sempre maggiore oblio dello Spirito Santo. La notte e il di non possono stare insieme; quando vien l’una, l’altro sen va. Quanto più Satana avanza, tanto più lo Spirito Santo ritirasi. Dal Cenacolo al Concilio di Firenze l’insegnamento dello Spirito Santo scorreva, qual pieno fiume, sull’ Europa da lui vivificata; spuntato il Risorgimento, veggonsi le onde del fiume ritirarsi, e il grande insegnamento dello Spirito Santo farsi sempre meno esteso. Chiediamolo alla storia ed a nostri occhi medesimi. Viene il Risorgimento; e la guerra contro il Cristianesimo, che da parecchi. secoli, Vera ridotta a parziali combattimenti, ricomincia, con forza, su tutta la linea. Vent’anni prima di Lutero, le stesse basi della Religione erano battute in breccia .dalle macchine greco-romane. Mille volte la lotta dà occasione a speciali trattati, ordinati a difendere, gli uni dopo gli altri, tutti i domini cristiani: dimostrazioni, conferenze, prediche, dissertazioni, apologie di’ ogni forma, compaiono d’anno in anno, quasi direi di mese in mese. L’esistenza di Dio; la divinità di N. S. Gesù Cristo; l’autenticità, l’integrità, l’ispirazione, la verità storica delle Scritture, l’infallibilità della Chiesa; l’immortalità, la libertà, la spiritualità dell’anima ; ogni Sacramento, ogni istituzione, ogni pratica religiosa; in una parola, ogni verità cristiana venne dimostrata ben venti volte colle lucenti sue prove e splendide attinenze colla natura dell’uomo ed i bisogni della società.

E per lo Spirito Santo, niente. Eppure era Lui che si negava, negando le varie manifestazioni del ministero della grazia, di cui Egli è principio ; era Lui che s’impugnava, oppugnando ogni parte della Città del bene, della quale Egli è difensore e re. Infatti, chi mi può nominare una qualche opera grande, composta dopo il Risorgimento, da grande autore, per far conoscere e ricordare alle adorazioni del mondo la terza Persona della SS. Trinità? Noi non abbiamo potuto trovarne pur una né in Italia, né in Allemagna, né in Inghilterra, né nel Belgio, né in Francia. Bisogna confessarlo con nostro dolore: rispetto allo Spirito Santo, l’insegnamento pubblico s’é visibilmente immiserito.

E n’ è prova il mondo attuale: talora almeno si parla di quello che si conosce, di ciò che, in qualunque grado, occupa la nostra mente: la lingua batte dove il dente duole, e spesso s’invoca colui del quale altri si crede aver bisogno. Ma il nome dello Spirito Santo, che posto tiene nel moderno linguaggio? Nel naufragio delle credenze, restarono salvi parecchi nomi;’ Dio, Cristo, la Provvidenza, odonsi di quando in quando suonar sulle labbra dell’oratore, o veggonsi cadere dalla penna dello scrittore. Avviene egli lo stesso dello Spirito Santo? Quando avete voi sentito pronunziare il suo nome? Chi l’invoca da senno? Avete voi memoria di averlo letto Ne’ libri di storia, di scienza, di letteratura, di legislazione, o ne’discorsi ufficiali, da cento e più anni in qua? Or quando il nome sen va, l’idea sparisce ancor essa. Pur troppo, nel mondo presente lo Spirito Santo non conta più. I palazzi, i saloni, le accademie, la politica, l’industria, la filosofia, l’istruzione pubblica, sono vuoti di lui; e’ par ridotto alla condizione di elemento sociale ignoto o vièto. Fra gli stessi cattolici, è egli bene spesso altro che mero oggetto di credenza metafisica? Dov’è il culto speciale, fervente, costante in suo onore? Si davvero; la terza persona della SS. Trinità nell’ordine nominale, é l’ultima nella nostra memoria e ne’ nostri omaggi.

Due volte sole, l’uman genere giacque in questa profonda ignoranza, in questa generale indifferenza. La prima, nel mondo pagano, innanzi la predicazione del Vangelo; la seconda, a’tempi nostri, diciotto secoli dopo lo stabilimento del Cristianesimo. Per gli antichi pagani lo Spirito’ Santo era come se non fosse: il suo nome non si trova in alcuna delle loro lingue. La ragione ne è chiara; nel mondo antico lo Spirito Santo non contava nulla, perché lo Spirito maligno era tutto. Or di che cosa é segno quest’ignoranza e indifferenza del mondo presente rispetto allo Spirito Santo, se non che Satana ricupera il campo perduto e torna a formare la sua Città? Ecco IL VERO MISTERO DEI TEMPI MODERNI. Così è: e chi noi vede né intende, è uomo che non vede né intende il mondo in cui vive.

Quinto fenomeno. Satana rientrato nella Città del bene, comincia dallo scuoterne la base. L’unità di fede, la sociale potenza della Chiesa, il diritto cristiano, la cristiana costituzione della famiglia, erano, siccome abbiamo veduto, le quattro pietre angolari dell’edifizio religioso e sociale de’padri nostri: che diventarono esse? Dov’è, a’ tempi nostri, l’unità di fede? Il simbolo cattolico è fatto in pezzi qual vetro. Metà d’Europa non è più cattolica; l’altra metà l’é a mala pena a mezzo. Dov’è la sociale potenza della Chiesa? dove la sua proprietà? Il suo scettro è una canna, e la madre de’popoli non ha più dove posare il capo.

Dov’è il diritto cristiano? Vituperato, calpestato; è detronizzato dal diritto nuovo, o, a dir meglio, dal diritto antico, dal diritto di Cesare, dal diritto della forza, del capriccio e del tornaconto. Dov’é la cristiana costituzione della famiglia? Il divorzio é tornato ad infettare i codici di Europa; ed altrove regna il concubinato legale sotto il nome di matrimonio civile. La patria potestà scade dovunque; e la famiglia, destituita della sua perpetuità, s’è fatta istituzione passeggera. Or chi è l’autore di queste grandi rovine, che ne suppongono e cagionarono tante altre? È chiaro che, non essendo lo spirito del bene, lo è lo spirito del male.

Eppure, affascinare e distruggere non è che la prima parte della satanica opera; l’usurpatore s’affretta a piantare il suo trono sulle fatte ruine. Chi non resterebbe sgomento al vedere, nel decimonono secolo dell’Era cristiana, il regno del demonio manifestarsi nel centro medesimo della Città del bene, con tutti i contrassegni che aveva nella pagana antichità ? Que’ contrassegni furono, non s’è punto dimenticato, il razionalismo, il sensualismo, il cesarismo, l’odio del Cristianesimo. Or quale di questi contrassegni ci manca?

Il Razionalismo, ossia l’emancipazione della ragione da ogni autorità divina in materia di credenze, può ella essere più completa? L’autorità divina insegna per org’ano della Chiesa; qual si è adesso il governò che l’ascolti? Sotto il nome di libertà di coscienza, le religioni tutte non sono esse forse, politicamente e a parere di molti, egualmente vere, egualmente buone e degne d’egual protezione? Che cos’è questo, se non lo spirito di menzogna che dà, come nell’antica Roma, il diritto di cittadinanza a tutti i culti, e ammette tutti gli dei nel medesimo Pantheon?

E fra i privati stessi, son essi molti che regolino la loro fede secondo la parola della Chiesa? Gli uomini, i libri, i libercoli, i giornali anticristiani, non son essi gli oracoli della moltitudine? E poi la fede si conosce dalle opere come l’albero da’frutti. Or, interrogate i sacerdoti: chiedetelo a ragguagli del mulinale; guardate intorno a voi. E se tanto ancora non basta per dirvi in quale stato si trovi la potenza della fede sul mondo presente e mostrarvi fin dove domina, pigliate in mano un mappamondo, e giudicatene co’vostri occhi!

Il Sensualismo, ossia l’emancipazione della carne da ogni autorità divina in materia di costumi, non cammina egli forse di pari passo col Razionalismo? Eh! che in questa parte il mondo presente corre difilato agli antipodi del Cristianesimo! La vita cristiana venne già definita dal Concilio di Trento, una continua penitenza, perpetua poenitentia; e i nostri tempi che sono? un continuo godere il più largo e con tutti i mezzi che si possa, L’uomo diventa carne. E su questo contrassegno del regno Satanico non occorre dir altro; attesoché è cosa che impaurisce tutti gli animi assennati.

Il Cesarismo, ossia l’emancipazione della società dall’autorità divina in materia governativa, per mezzo del concentramento di tutti i poteri spirituali e temporali nella mano d’un uomo, imperatore e pontefice, dipendente da niun’altro che da sé stesso. Che cosa si ved’égli di questo nuovo contrassegno? mirate; meta dei re d’Europa si sono fatti papi; l’altra metà aspira a farsi. Calpestare le immunità della Chiesa, usurpare i diritti della Chiesa, insultare, spogliare, incatenare la Chiesa, non è forse stata la bell’impresa, direttamente o indirettamente, di tutti governi europei, dal Risorgimento in poi? Non lo è forse tuttavia? Se questo non è il Cesarismo, più non intendiamo il senso delle parole.

L‘odio del Cristianesimo. L’antico paganesimo odiava il cristianesimo d’odio implacabile, universale; di guisa ché di ogni e qualunque mezzo si valeva per insultare, distruggere il suo avversario. L’odiava in Dio, ne’suoi ministri, ne’suoi discepoli, ne’ suoi dommi, nella sua morale, nelle sue pubbliche manifestazioni. Il suo nome era diventato sinonimo di tutti i delitti. A lui si dava la colpa delle pubbliche calamità: il carcere, l’esilio, la morte fra le torture, erano meritato castigo d’una sètta; dica Tacito, rea dell’odio del genere umano. Satana è sempre Satana: il suo odio del cristianesimo è cosi fresco, universale, implacabile adesso come in antico. Egli odia Dio ne’cristiani; da un secolo in qua specialmente, quali bestemmie restano ancora a proferirsi contro il Verbo incarnato? citatemi un solo de’suoi misteri che non sia stato mille volte impugnato, un solo de’ suoi diritti mille volte negato e calpestato.

L’odia ne’suoi ministri. Nel furor della sua rabbia non ha egli detto, che vorrebbe strangolare l’ultimo prete con le budella dell’ultimo reo. E in quanto il potè, non l’ha egli fatto? Havvi egli pur un paese in Europa, dove, dopò il Risorgimento, i vescovi, i preti, i religiosi non siano stati spogliati, cacciati via, inseguiti come belve, oltraggiati, massacrati? Lo stesso Vicario del Figliuolo di Dio, il padre del mondo cristiano, Pietro, almeno Pietro, sarà stato rispettato. Sii guardate come l’hanno trattato nella persona di Pio VI e di Pio VII; guardate come ancora lo trattano nella persona di Pio IX. E che è la moderna Europa se non una famiglia ribellata contro al suo Padre? Non sentesi egli, oggi dì, da nove anni, il grido deicida di milioni di voci: Non vogliamo più ch’egli regni su noi? Assediato da cento scomunicati, il pontificato non è egli diventato un Calvario? Giuda che vende; Caifasso che compra; Erode che schernisce; Pilato codardo, il soldato spogliatore e carnefice, non ricompariscono essi li sulla scena? L’odia ne’suoi discepoli. I veri cattolici sono trattati come i lor Sacerdoti. Tutte le ingiurie fatte da’pagani antichi a’ loro padri, son fatte ad essi da’pagani moderni. Sono tenuti per inetti o per sospetti: vengono esclusi, il più che si può, dalle pubbliche cariche; son detti retrogradi, nemici del progresso, della libertà, delle istituzioni moderne, gente d’un’altra età, che vorrebbe ricondurre il mondo alla schiavitù ed alla barbarie. Sono oppressi nella lor libertà, coll’annullare le donazioni da loro fatte alla Chiesa lor madre, od a’ poveri loro fratelli; col sopprimere le associazioni di carità, cui non si ha onta di mettere al disotto delle società scomunicate. Sono oppressi nel loro diritto di proprietà; si pigliano i loro conventi per farne caserme; le loro chiese, per farne stalle; le loro campane, per farne cannoni; i loro vasi sacri, per farne denaro od oggetti di lusso, in servigio de’loro nemici.

Si può vederne la nomenclatura nel Mamacìti, Antiquitates et Origines christianae, ecc. Questo fatto mostra meglio d’ogni ragionamento, la medesimezza dello Spirito dominatore delle due epoche. Ma questa non è semplice storia, né pura filosofia della storia: è piuttosto, ci si passi la frase, una esatta fotografia del nostro secolo. E si noti ché quando l’autore scriveva queste pagine, molti di questi fatti non erano che cominciati: non ancora Satana, rappresentato dalla massoneria trionfante, aveva posto le sue tende presso al Vaticano, non ancora nella Città stessa del bene si eran potuti innalzare templi eretici, non ancora era stato pronunziato il grido famoso « Il Clericalismo (ossia il Cristianesimo): ecco il nemico! »

Però come satana ispirando Lutero, promosse contro sua volontà, la riforma effettuata dal Concilio di Trento, così ora, in tal modo disponendo Iddio, con l’abuso della vittoria ha attirato gli sguardi di tutto il mondo al Vaticano; i buoni crescono in fervore, la zizzania si separa dal buon grano, e i soldati della Città del bene crescono di animo e di valore. Le vittorie dello Spirito malo non riescono finalmente che a render più gloriosi i trionfi dello Spirito Santo! Sono oppressi nella coscienza, con imporre ad essi lavori vietati: insultando, tuttodì, sotto i loro ocelli tutto quanto è ad essi più caro, più venerando, più adorabile. E acciocché nulla manchi, né al loro martirio, né all’odio, a cui sono fatti segno, in tutta Europa, dopo il Risorgimento, vennero appesi per la gola, arsi vivi, decollati. Ed anche adesso, in Italia, son fucilati; in Polonia, impiccati; in Irlanda, fatti morire di fame. Se Dio non sorge, se ne faranno macelli ; e migliaia di voci grideranno: Loro ben sta! Reus est mortis.

L’odia ne’suoi domini. Da quattro secoli in qua, nella battezzata Europa, si è sciupato, per demolire l’edifiziò della verità’» cristiana, più inchiostro, più carta, più denaro, che forse non ci vorrebbe per convertire il mondo: l’empia guerra non cessò mai. Per non dire de’libri, de’teatri, de’ discorsi anticristiani; che fanno quelli avvelenati fogli che, ogni sera, partono da tutte le capitali d’Europa, per piovere poi, il dì appresso, a guisa di velenose locuste, sulle città e le campagne, e sparger dovunque il disprezzo e fodip della religione, lo scetticismo e l’incredulità?

L’odia nella sua morale. Ridiventato quel ch’era a’ dì della satanica signoria, il mondo presente sembra organizzato per la corruzion de’ costumi : Totus in maligno positus. Se non ve ne son chiaro indizio il dolore e lo sgomento di quanti serbano ancora in petto cuore cristiano, considerate voi stessi. La febbre degli affari; la sete dell’oro e del piacere; l’industria che mette milioni d’anime nella morale impossibilità di adempiere gli essenziali doveri del Cristianesimo; il babilonico lusso, che dà in istranezze sempre peggiori; le mode disoneste; le danze oscene; cinquecentomila caffè o ridotti,1 spalancate voragini in cui 1 Solamente in Francia. vanno a perdersi l’amor del lavoro, il pudore, la sanità, lo spirito di famiglia, il rispetto a sé stesso e ad ogni autorità; in tutte le classi della società, effeminate abitudini, snervatrici degli animi: scandali clamorosi che addomesticano col male e spengono la coscienza; il disprezzo delle leggi ordinate a domare la carne; la profanazione della domenica; la santificazione del lunedi; l’abbandono della preghiera e de’ Sacramenti; che cos’è, dico, che cos’è tutto questo, se non odio della morale cristiana, odio infernale, tendente a soffocare il Cristianesimo nel fango? L’odia nelle sue manifestazioni pubbliche e private. Là, proibisce il suono delle campane e condanna il sacerdote che porti, in pubblico, il suo abito ecclesiastico; costà, abbatte tutte le croci. Qui vieta al Figliuolo di Dio d’uscir da’ suoi templi per ricevere gli omaggi dei suoi figli; e, sotto pena di venir oltraggiato, gli tocca celarsi ben bene quando va a visitarli sul letto del dolore. Tutte cose che avvengono in società che si chiamano cristiane! E avviene ben altro. In segno di vittoria, satana ha ricollocato le sue statue ne’ giardini, su passeggi, sulle piazze delle grandi città, per tutta Europa: e, ficcatosi fin ne’ domestici penetrali delle famiglie, ne ha bandite le immagini del Verbo incarnato e sostituite le sue.

« Non v’è Cristo in casa, esclamava testé un eloquente predicatore; non v’è più Cristo pendente dalla parete; non v’è più Cristo manifestantesi ne’ costumi. E che! voi avete sott’occhio i ritratti de’ vostri grandi uomini; le vostre case s’adornano di statue e quadri profani! Che dico? voi tenete esposti alla vista de’vostri figliuoli ed all’ammirazione della gente di casa gli Amori del paganesimo, le Veneri, gli Apollini dèi paganesimo; si, tutti i vituperi del paganesimo trovano posto nella casa de’cristiani; e, sotto quel tetto che accoglie tanti umani eroi e pagane divinità, non v’ha più un cantuccio per l’immagine di Gesù Cristo, che lo stesso Tiberio non ricusava d’ammettere coi suoi dèi nel Pantheon di Roma. »

Si, è vero, è vero non solo in Francia, dove insegna l’Università, ma vero in Europa dove insegnano gli ordini religiosi, vero molto prima dell’Università e della Rivoluzione francese; nelle case de’ moderni cristiani letterati, Cristo non ha più luogo. Ma ve l’aveva a’ tempi degli ignoranti nostri padri del Medio Evo. Or come ne venne cacciato? Come ha dovuto cedere il posto agli dèi del paganesimo, vale a dire a Satana stesso sotto le molteplici sue forme; “omnes dii gentium daemonia”?

In che tempo s’è ella fatta questa sacrilega sostituzione? Chi ha formate le generazioni che se ne fanno colpevoli? In quali luoghi, e in quali libri hann’esse imparato ad appassionarsi per le cose, per gli uomini, per le idee e le arti del paganesimo? Qual fu lo Spirito che ha dettata la dottrina che produce tal frutti? Lo Spirito del Cenacolo, o quel dell’Olimpo? O l’uno, o l’altro. Havvi infine un ultimo fenomeno che va ogni di più manifestandosi; ed. è il doppio movimento, che mena il mondo presente; movimento d’unificazione materiale, e movimento di dissoluzione morale. Lo Spirito del secolo diciannovesimo spinge con tutte le sue forze alla materiale unificazione de’ popoli; battelli a vapore, strade ferrate, telegrafi elettrici, leghe doganali, trattati di commercio, libero scambio, moltiplicazione delle poste, ribasso di tassa sugli stampati e sulle lettere; non vi è mezzo di comunicazione che non venga accelerato o inventato.

Assorbisce intanto le piccole nazionalità, sopprime la famiglia, il comune, la provincia, la corporazione, ogni specie di franchigia ed autonomia; risuscita gli eserciti permanenti del mondo antico, riedifica le sue grandi capitali, e sul collo dei popoli, fatti liberi dal Cristianesimo, ribadisce le catene della cesarea, cosi detta, centralizzazione. A questo movimento di unificazione materiale corrisponde, fuori del Cattolicismo, un movimento non meno rapido di dissoluzione morale. In materia di dottrine religiose, sociali, politiche, che resta egli più in piedi? Il gran dissolvente d’ogni specie di fede, il Razionalismo, non è egli forse il dio della moltitudine? Dove son esse le convinzioni profonde, le professioni chiare ed aperte, tanto da resistere alle seduzioni dell’interesse, per isfidare le minaccie, o, peggio, la dimenticanza in che vi lascia il governo, per mantenersi immobilmente saldo fra i sofismi dell’empietà e la forza de’cattivi esempi? Qual può essere Punita morale d’un mondo che ha fatto in pezzi il simbolo cattolico, che sta lì a sentire, e sopporta, e lascia passare tutte le negazioni, compresa quella di Dio stesso?  Somigliante spettacolo, solo una volta già ebbe a vedersi; e fu al tempo che il romano impero declinava alla sua rovina. Formata dal continuo assorbimento del debole dal forte, del popolo per via del popolo, l’unità materiale giunse fino al dispotismo d’un solo uomo. Satana aveva raggiunto il suo scopo. Roma era il mondo, e Cesare era Roma; e Cesare era imperatore e sommo sacerdote di Satana. Allora fu che l’uman genere, privo di forza di resistenza perché senza fede, e senz’altro desiderio che di materiali piaceri, “panem et circenses”, altro più non era che un gregge, bastonato, venduto, sgozzato, a volontà del padrone. Eserciti permanenti, grandi capitali, celerità di comunicazioni, centralizzazione universale, unificazione materiale de’popoli, spinta con febbrile ardore; dissoluzione morale, giunta fino allo spezzamento indefinito d’ogni simbolo e d’ogni fede: chi oserebbe sostenere che tale doppio fenomeno non sia precursore della più immane tirannia? Sia forse l’addentellato, dirò cosi, del regno anticristiano, predetto, degli ultimi tempi ? A parer nostro, è Cesare a cavallo, con Lucifero in groppa.

Farsi adorare in luogo del Verbo incarnato; tale fu sempre, e sarà, lo scopo dell’angelo ribelle: egli non ne conosce altri; la storia è pronta a narrare a chiunque voglia sentire, l’esito che n’ebbe negli antichi popoli pagani e fra i moderni idolatri. Dopo aver procurato, mediante il razionalismo, il sensualismo, il cesarismo e l’anticristianesimo, il divorzio dell’uomo da Dio, il più che sia possibile completo, e’ si presenta a riannodare il vincolo da lui spezzato: e certo, attesoché è fondato sulla natura delle cose, tranne un miracolo , l’esito sarà infallibile. Il mondo inferiore, checché si faccia, non può sottrarsi all’influenza del mondo superiore; se rompe fede al Re della Città del bene, cade per forza sotto la signoria del Re della Città del male. 0 Dio, o il diavolo: non si dà via di mezzo.

Il demonio stabilisce, tra l’uomo, suo schiavo e zimbello, e sé stesso, suo seduttore e tiranno, molte comunicazioni dirette e palpabili, che sono una contraffazione permanente delle comunicazioni del Verbo coll’uomo. E’si fa, in mille modi da lui stesso indicati,, adorare per Dio, rispettare da padrone, amare come benefattore, consultare come oracolo, invocare come protettore, chiamare per medico, ricevere come amico, trattar come un essere innocuo. Su questo complesso di fatti permanenti, universali, sta l’idolatria antica e moderna; o piuttosto è l’idolatria stessa. Ora, noi ripetiamo, satana non cambia né invecchia; sarà oggi, domani, sempre quello eh’ era ieri. Perpetua scimmia di Dio, implacabile nemico del Verbo incarnato, egli sempre mirerà a gettarlo giù dal trono, per mettersi al suo posto. Se dunque è lui che il Risorgimento ricondusse trionfante in mezzo all’ Europa cristiana; se i grandi contrassegni de’tempi nostri sono il razionalismo, il sensualismo, il cesarismo e l’anticristianesimo, non vi sarà poi molto da stupire se vedremo anche una volta il demonio sforzarsi di materialmente sostituirsi al vero Dio, ed opporre il sovrannaturale satanico al sovrannaturale divino, finché questi ne resti soppiantato. Per mettere nell’uomo moderno gli stessi sentimenti che già mise nell’antico, e’ ci dee comparire intorniato di tutto il cortèo di consultazioni, d’oracoli, di prestigi, di pratiche misteriose, ond’era composto il suo culto, e assicuratoci suo dominio sull’antichità pagana; vediamo se la storia confermi tale induzione.

Fino al Risorgimento ed alla Riforma, che del Risorgimento fu figliuola primogenita, la duplice autorità delle leggi canoniche e delle leggi civili, seguitava a tenere stretto in catene il padre della menzogna, il vinto del Calvario. Se si vide esercitare la tenebrosa sua arte fra i popoli cristiani del Medio Evo, si fu per mera eccezione, e in piccola misura. Richiamato dal Risorgimento sotto la forma di Dìo del bello, e dalla Riforma sotto il nome di Dio della libertà, e’ripiglia assai presto antica indipendenza del suo procedere. In Italia, in Allemagna, in Francia, risorgenti in gran numero, imitatori de’ letterati di Roma e della Grecia, si danno con passione allo studio ed alla pratica delle scienze occulte.

I principali capi del Protestantismo si vantano de’ loro colloqui con Satana. Tornano a comparire, sotto forme leggermente modificate, tutte le superstizioni dell’antico paganesimo ; consultamene, evocazioni, manifestazioni, oracoli, prestigi, adorazioni, vanno moltiplicandosi in un colle negazioni del Vangelo. Questo culto di Satana invadeva l’Europa con tale celerità, che la Chiesa se n’ebbe a commuovere; e per organo di Sisto V, gran niente al certo, segnalò al mondo sgomentato cotesta epidemia della risorgente idolatria, e la colpì di solenne condanna.

Nella famosa bolla “Coeli et terrae Creator” sono enumerate, come ricomparse al gran sole del Cristianesimo, la maggior parte delle pratiche diaboliche usitate nella pagana antichità, e di cui Porfirio ci ha lasciata la lunga filatessa de’nomi. L’immortale pontefice nomina: l5 astrologia, la geomanzia, la chiromanzia, la negromanzia, i sortilegi, gli auguri, gli auspizi, la divinazione co’dadi, co’grani di frumento, e le fave; i patti col diavolo, coll’intento di saper l’avvenire, o sfogar le passioni; i carmi; gli oracoli o evocazioni degli spiriti, interrogati, e rispondenti; l’oblazione d’incenso, di sacrifizi, di preghiere; le genuflessioni, le prostrazioni, le cerimonie del culto; l’anello e lo specchio magico; i vasi ordinati a fissare gli spiriti e ad ottenerne risposte; le donne simpatiche (noi diciamo sonnambule e magnetizzate), che, messe in relazione col diavolo, ne ottengono il conoscimento di cose occulte, passate o future, l’idromanzia co’ vasi pieni d’acqua, in cui uomini, e più spesso donne, fanno apparire figure che danno oracoli. Bisogna aggiungere la piromanzia, la pedomanzia, l’ornitomanzia, l’oniromanzia, ossia l’oracolismo per mezzo de’ sogni, ed altrettali pratiche, « fetidi avanzi, dice il Pontefice, dell’antica idolatria vinta dalla croce. [“Quas pristinae et antiquatae, ac per crucis victoriam prostratae idolatriae reliquias fetinentes, quibus dam auguriis, auspiciis, similibus siguis et vanis observatiouibus ad futurorum divinationem intendunt. – Constit. “Coeli et terrae, etc.” A.D. 1586]

Notisi di passaggio, che il Vicario di Gesù Cristo segnala la donna come prediletto strumento del demonio. Superfluo rammentare che tal preferenza fatta alla donna, si trova dappertutto nell’antico paganesimo, sì come nella moderna idolatria, nell’Africa, nell’Oceania e altrove. Alle ragioni da noi arrecatene, san Tommaso aggiunge questa: « I demoni rispondono anche più facilmente, chiamati da vergini zittelle, a fine di meglio ingannare, col dar ad intendere con tale lustra, ch’essi amino la purità.» Checché ne sia, le donne lo piglino per salutare avviso, che per esse maggiore è il pericolo. Intenderanno perciò la necessità grande che hanno di star vigilanti, e sovratutto di guardarsi ben bene dal prender parte a veruna pratica sospetta, che potrebbe dare appiglio all’implacabile loro nemico di tirarle al suo servigio.

XIR212502 Pope Sixtus V (1520-90) (oil on canvas) by Italian School, (16th century) oil on canvas Chateau de Versailles, France Lauros / Giraudon Italian, out of copyright

Dalla bolla di Sisto V risultano due fatti. Da un lato, la molteplicità delle pratiche diaboliche; la si direbbe un generale sobbollimento dell’Europa, figlia del Risorgimento, al soffio dello spirito satanico; dall’altro, la durata di questi vituperosi fenomeni. « A malgrado di tutti gli sforzi della Chiesa, soggiunge il Pontefice, non s’è potuto ottenere l’estirpamento di queste superstizioni, di questi delitti, di questi abusi. Dì per dì si viene a conoscere che n’é piena ogni cosa; omnia piena esse. » È dunque un fatto interamente storico, che: un secolo dopo il Risorgimento, le comunicazioni di satana coll’uomo s’erano di bel nuovo fatte, come nell’antico paganesimo, generali, permanenti, indistruttibili, e che la possanza del demonio stendevasi, nella Città del bene, a limiti non conosciuti: omnia piena esse in dies detegantnr. Nè i pontificali divieti punto valsero a fermare il male. Il Bearnese, Loudun, Louviers, il paese del Nord, le Cevennes, il cimitero di san Medardo a Parigi ed altri luoghi, col diventare un dopo l’altro teatro di clamorose manifestazioni, mostravano che Satana restava padrone di larga parte del campo. Per gl’ingegni volgari, questi fenomeni erano ciurmerie e non altro, cose da contare a veglia: e la diabolica loro indole, affermata da qualcheduno, fu ostinatamente negata da tutta la setta degl’increduli. Nel secolo di Voltaire, negaronsi non che quelli, ma tutti gli altri fatti di tale natura. Divinazioni, evocazioni, patti, magia, possessioni, stregonerie, malefizi; si stabilì per principio ch’erano tutti sogni. Questa temeraria negazione della storia universale produsse generale indebolimento della credenza nel demonio, nelle sue pratiche ed influenza. Per non mettersi in contraddizione col Vangelo e la dottrina della Chiesa, i più cattolici dicevano che, per verità, quelle eran cose avvenute ne’tempi antichi, ma ne’ tempi moderni non ce n’era più esempio; « Difatto, soggiungeva la filosofia volteriana, il demonio, mercè il progresso de’lumi, altro non è più che un essere inoperoso e disarmato. Anzi si dà per certo che i più dei fatti a lui imputati dalla santa Scrittura, son mero effetto delle leggi naturali: calunniato a talento dal medio evo, ignorante e credulo, è ridotto oggimai ad essere semplice spauracchio delle vecchiarelle e de’fanciulli.» Cosi faceva molto bene il demonio le sue faccende, e s andava avvicinando allo scopo precipuo de’ suoi sforzi. Qual è ? togliere, dal cuore dell’ uomo la paura di lui; rendersi famigliare, a fine di far disprezzare le dottrine della Chiesa, e gettar via le armi antidiaboliche, di cui ella aveva provveduto i suoi figli. Ci è riuscito? interroghiamone la storia contemporanea.

   Rendersi famigliare. Avviene sotto i nostri occhi un fatto inaudito da’ popoli cristiani: fatto poco notato, ma tale che a noi par degno di essere anzi notato ben bene; attesoché forma uno de’più rilevati contrassegni dei tempi presenti. I secoli passati avevano paura del demonio. Il vero suo nome, il nome di Diavolo, non si pronunzia se non di rado, con certa quale esitazione, ed anche scrupolo. E anche adesso vi sono popolazioni, a grande loro ventura preservate dallo spìrito moderno, che nol pronunziano mai. Volendo parlare di Satana, dicono: la ‘brutta bestia. Tranne quest’eccezione, che va facendosi ogni di più rara, il nome di diavolo corre sulle labbra di tutti. Lo si pronunzia come quello della cosa più indifferente. Se non condisce le’ arguzie; se ne rinforza il giurare; serve di titolo ai libri alla moda, e d’invito alle rappresentazioni teatrali. I mercanti medesimi lo trovano buono per l’insegna delle loro botteghe. Si direbbe che il mezzo di tirare i lettori, o adescar gli avventori, sta nell’uso d’una parola, che faceva orrore a’nostri padri. Ci si permetta, a mo’di termometro di cotesto strano progresso, citare alcuni esempi, i più antichi de’quali non passano di molto un quarto di secolo. Roberto il diavolo – Programma di Roberto il diavolo – Canzone di Roberto il diavolo – Leggenda di Roberto il diavolo- Al più maligno di tutti i diavoli-Al buon diavolo- Al diavolo galante – Al diavolo a quattro – Ai diavoletti – Al diavolo verde – Dio e Diavolo – Angeli e diavoli- Un angelo ed un diavolo – Andate al diavolo – Il diavolo del mondo – Tormenta diavolo – Signor Belzebub – Signor Satanasso – Il diavolo e le elezioni – Il diavolo a scuola – Il diavolo nella pila dell’acqua benedetta- Il diavolo d’argento- Il diavolo dell’epoca- Al diavolo la franchigia-Diavolo o donna.

Il tic-tac del mulino del diavolo – L’ uomo del diavolo – Il diavolo in viaggio -Il diavolo a Parigi – Il diavolo a Lione – Il diavolo in provincia – Il diavolo pei campi- Il diavolo al molino – Il diavolo negli spogliatoi delle signore – Il diavolo ficcato dappertutto – Satana-Satanasso – Il diavolo – I cinquecento diavoli – Il diavolo verde – Il diavolo rosso – I poveri diavoli – I diavoli rosei – Il diavolo giallo-I diavoli neri -Il buon diavoletto – Il diavolo zoppo – Il diavolo a cavallo – Il diavolo medico – Il diavolo amoroso – Il diavolo ingannato -I diavoli di Parigi -I diavoli dei Pirenei – I diavoli dolci.- Frà diavolo – Giovanni diavolo – Confessione di Fra diavolo – Almanacco del diavolo – Gli amori del diavolo – Memorie del diavolo – Memorie di una diavolessa – La scienza del diavolo – 1 secreti del diavolo – Le avventure di un diavoletto – Il secreto del diavolo – Le astuzie del diavolo- La malizia del diavolo – La palude del diavolo – Il cerchio del diavolo-La parte del diavolo – Le pillole del diavolo-La casa del diavolo – Il castello del diavolo- I sette castelli del diavolo – La taverna del diavolo – Il pozzo del diavolo – I nomi del diavolo – Il gatto del diavolo – Il cavallo del diavolo – Il cane del diavolo – La cornamusa del diavolo – Il valletto del diavolo – La cantatrice del diavolo – Il danaro del diavolo I – soldi del diavolo – Il cassettino del diavolo – Lo schiaffo del diavolo – I trastulli del diavolo – Il figlio del diavolo – La figlia del diavolo – L’erede del diavolo – La stella del diavolo – Il viaggio del diavolo – La caccia del diavolo – La ronda del diavolo – 1 tre peccati del diavolo – 1 tre baci del diavolo – La cena del diavolo – Una lacrima del diavolo –L’orecchio del diavolo – La mano del diavolo – La coda del diavolo – Ritratto del diavolo – Fisiologia del diavolo. Ecco, con altri assai, i titoli di opere, di cui il secolo XIX va, da vent’anni in poi, fregiando le colonne del Journal de la libratine française. Ecco le insegne, con ritratto, che grandi e piccoli commercianti mettono sui muri delle nostre città; un nuovo patronato alla moda, sotto cui si pongono gli splendidi magazzini di lusso come le botteguccie de’ mercanti di zolfanelli. Non accade illudersi; questo nuovo fatto ha il suo significato. « La rivoluzione delle cose, dice un vecchio autore, non è punto più grande di quella delle parole. ” La popolarità d’una parola è segno della popolarità dell’idea. La facilità, la leggerezza, l’indifferenza con cui vedesi a’nostri dì adoperato un nome fino allora sempre abborrito, è dunque indizio dell’ imprudente dimestichezza del mondo presente, col suo più pericoloso nemico: sì come é indizio che le nostre idee sono, ma di molto, lontane da quelle de’nostri padri. Con tutto ciò rendersi famigliare non è che il primo grado del favore ambìto da satana: farsi negare, in sé stesso e nelle molteplici sue opere, é il secondo. Farsi rimettere in onore, è il terzo. Farsi rammentar come principe, è il quarto. Farsi adorar come Dio, è il quinto. E seguitiamolo in queste varie fermate del suo cammino, il cui termine finale si é il ristabilimento, sotto una od altra forma, dell’antico paganesimo.

Farsi negare. In altri tempi si credeva nel demonio, qual ci é fatto conoscere dalla rivelazione, e se n’aveva paura. Pei nostri avi, Satana non era altrimenti un essere immaginario, un’allegoria, un mito; ma sì un essere reale e personale come l’anima nostra. Non era altrimenti un essere innocuo, impotente; ma un essere essenzialmente malefico, causa della nostra rovina, sempre in azione dì e notte a tenderci insidie, e fornito di tremenda possanza sull’uomo e sulle creature. Difatti, la prima paura del fanciullo si ‘come l’ultimo terror del vegliardo, era il demonio. Quindi l’uso universale e religiosamente osservato, delle difensive insegnate dalla Chiesa contro le sue insidie e i suoi colpi. Quindi ancora la pena di morte, prescritta in tutti ì codici d’Europa, contro chiunque fosse convinto d’aver avuto commercio con questo nemico del genere umano. Adesso saltano fuori disposizioni affatto contrarie, cosicché è uno sgomento vedere, in mezzo alle genti cristiane, molte persone, la cui credenza nel demonio non é più cattolica. Gli uni l’hanno per un mito, e la sua apparizione nel paradiso terrestre sotto la forma di serpente, per una allegoria; altri, benché ne ammettano l’esistenza personale, ricusano di credere alla sua azione sull’uomo é sul mondo. Havvi di quelli che restringono cotale azione in certi limiti segnati dalla loro ragione; e non vogliono saper altro. Molti ancora non l’accettano che con benefizio d’inventario e, a malgrado di migliaia di testimoni, negano intrepidamente quello che non hanno veduto co’ loro occhi. Eccetto alcuni cattolici d’antica data, niuno v’ha che usi fedelmente le armi fornite dalla Chiesa, per tener lontano il principe delle tenebre. A’ fanciulli non se ne parla più, o se ne parla loro leggermente, e se ne dice quel po’ che ne dà la memoria, e come d’un essere antiquato. L’uomo adulto ed il vecchio, non avendo alcuna paura di lui, sogghignano, se voi manifestate d’averne. Agli occhi della legge, il commercio col demonio, o non ha mai esistito, o non esiste più, o non è un delitto. Quindi, ciò che vediamo oggidì, l’interpretazione razionalista di tutti i fatti diabolici dell’Antico e del Nuovo Testamento, la negazione della storia universale, e il disprezzo della dottrina della Chiesa intorno all’ angelo decaduto. Per ispingere quest’opera eh’è appunto la sua, il demonio si travisa sotto tutte le forme, fa tutti i mestieri, s’affibbia tutti i nomi. Sa darla ad intendere fin nelle manifestazioni medesime, che rivelano con la maggior evidenza, la orrenda sua personalità. Or sotto il nome di fluido nervoso, di fluido magnetico, di fluido spettrico, si spaccia per un agente meramente naturale. Or si chiama seconda vista; e non è che una semplice facoltà dell’anima. Qui, si fa passare per un angelo buono e dà pii consigli. Là è uno spirito arguto, che celia, che sghignazza, che vuol essere trattato come un trastullo o come un vano spauracchio. Altre volte si spaccia per l’anima d’un morto ammirato od amato, e ruba la confidenza. La qual ultima trasformazione, assai più pericolosa delle altre, è altresì la più comune; e si sa che è la base dello Spiritismo.

Qual è, per il padre della menzogna il benefizio di tutte codeste trasformazioni? Quello di eseguire il suo disegno senza patente d’autore; in altri termini, farsi negare. Ed è una grande scaltrezza la sua! Infatti, chiunque nega satana, nega il Cristianesimo. Chiunque snatura satana, snatura il Cristianesimo. Chiunque si burla di satana, si burla della Chiesa, le cui antidiaboliche prescrizioni, altro non riescono più che superstizioni da donnicciuole. Chiunque nega la malefica azione di Satana sull’uomo e sulle creature, accusa il genere umano di pazzia, sessanta volte secolare; e, stracciando una dopo l’altra tutte le pagine della storia, finisce nel dubbio universale. Con tutti i fatti summentovati, satana dice al mondo presente: Non aver paura di me. Vedremo adesso che il mondo presente risponde: No, non ho paura di te!

Farsi riabilitare. La dimestichezza del tempo presente col demonio, e, per conseguenza, la generale diminuzione della paura che deve incutere, è un fatto; ma questo fatto non è altro che il primo grado della satanica invasione: havvene un altro più incomprensibile, non meno vero, la redintegrazione dell’angelo decaduto. Il vero, dice un poeta, può talora non essere verosimile; é proprio il caso d’applicar questo detto al fatto che vogliamo segnalare. In fatti, non è ella cosa in credibilissima che, dopo diciotto secoli di Cristianesimo, nel bel mezzo del regno cristianissimo, si trovino uomini battezzati che si mettano da senno, e con ostinato proposito a rimettere in onore satana, il gran dragone, il grande omicida, l’impenitente autore di ogni male, giustamente fulminato dalla divina giustizia? Eppure bisogna crederla, perché vera. Dopo il Vangelo, il demonio aveva sempre ispirato alle genti cristiane un orrore ed abborrimento universale; e di questo duplice sentimento, erano chiaro segno le forme, gli atteggiamenti, il posto medesimo che artisti e letterati davano, nell’opere loro, all’implacabile nemico di Dio e dell’uomo. Adesso invece di metterlo alla gogna dello scherno e dell’obbrobrio come si merita, lo si lascia da parte, oppur lo si presenta sotto le forme men brutte, e si applaude agli sforzi di chi si prova a rappresentarlo quasi bello, in modo che tali sforzi hanno vanto di progresso sociale. Quella che si chiama la grande critica dà, in questo senso, certe sue sentenze regolatrici dell’opinione. Essa scrive: « Bello come tutte le creature nobili, più infelice che malvagio, il satana del sig. Scheffer, segna l’estremo sforzo dell’arte, per romperla una volta col dualismo, e attribuire il male alla medesima fonte che il bene, al cuore dell’uomo…. Egli ha perduto le sue corna e gli artigli; non ha conservato che le sue ali, sola giunta che ancora lo unisca al mondo sovrannaturale….

Si lasci al Medio Evo, che viveva continuamente in presenza del male, forte, armato, presidiato, di portargli’ quell’ implacabile odio, che l’arte rappresentava con cupa energia. « Noi oggidì siamo tenuti a meno rigore.. Siam biasimati di non esser più severi col male. Ma in realtà l’è questa una delicatezza di coscienza; si è per amore del bene e del bello che noi siamo talvolta sì timidi, sì deboli ne’nostri giudizi morali… Noi esitiamo a pronunziare sentenze esclusive, per tema ch’abbiamo d’avvolgere nella nostra condanna qualche atomo di beltà ». Quale si è questo nuovo obbligo imposto a chi, parla del demonio, di doverlo trattar con riguardo? Onde viene quest’obbligo strano; e che significa egli, imperocché qualche cosa significa? queste sacrileghe moine sono il termometro del progresso.

“Schiacciamo l’infame”, fu la parola d’ordine dello spirito infernale nel secolo passato: ed era nel suo periodo di distruzione.

“Adoriamo Satana”, è la parola d’ordine del medesimo spirito nel tempo presente: ed è nel suo periodo di ricostruzione. La medesima lega che combatteva per distruggere, combatte per edificare. Sulle rovine del Cristianesimo, che, a detta di lei, ha fatto il suo tempo, ella vuole ristabilire il regno, a suo avviso, troppo a lungo calunniato, dell’ angelo decaduto. A tal’uopo, mettono mano a riesaminare il processo di Satana, a farlo sorgere dal suo decadimento, ed a rimetterlo in onore dinanzi al mondo.

Meschinissimo ripetitore de’razionalisti tedeschi, il sig. Renan ha dunque petto di scrivere: « Fra tutti gli esseri già maledetti, per la tolleranza del nostro secolo risorti dal loro anatema, satana è senza alcun dubbio quello che ci ha più guadagnato nel progresso de’lumi e dell’universale incivilimento. Egli s’è raddolcito a poco a poco nel suo lungo viaggio, dalla Persia a noi; egli s’è spogliato di tutta la malvagità d’Arimane. Il Medio Evo, intollerantissimo, lo fece a suo senno brutto, malvagio, torturato e, per colmo di disgrazia, ridicolo.

« Milton finalmente intese il povero calunniato, e cominciò la metamorfosi che l’alta imparzialità del nostro tempo doveva compiere. Un secolo così fecondo come il nostro in ogni guisa di redintegramenti, non poteva mancar di ragioni per iscusare un rivoluzionario sventurato, spinto dal bisogno di metter mano ad arrischiate imprese. E si potrebbero far valere, per attenuar la sua colpa, molte altre ragioni, contro le quali noi non avremmo diritto di esser severi. »

Un de’ maestri del Renan, lo Schelling, va più in là; egli di satana fa addirittura un dio, attesoché Dio doveva avere un antagonista degno di Lui. Il Michelet, nel suo Corso di filosofia della storia, predice il ritorno del regno satanico; e nella Strega e’ si fa suo storico, narrando con amore ì trionfi di satana sovra Cristo. Il Quinet, che vuole soffocare il Cristianesimo nel fango, trova in satana nientemeno che il Principe, che ha dà riunir tutti i cuori. Il Proudhon desidera di sostituire satana; il diletto dell’anima sua, all’inconseguente riformatore che si fe crocifìggere. I Giornali rinomati pigliano la sua difesa e chiedono la sua completa riabilitazione. « Noi crediamo, dice l’Opinion Nationale, che questo Satana, cosi violentemente assalito dagli ultramontani, questo satana, del quale portiamo in fronte il segno, valga più della riputazione che si vorrebbe fargli. Molto a torto lo si dà per fondatore e per protettore del cesarismo, questo satana così calunniato. satana s’incaricherà nel compiere l’opera sua, di provare ai signori vescovi che non vi è bisogno del potere religioso per correggere il cesarismo. » E il “temp” esprime il dispiacere che gli cagiona la parte monotona di satana nel teatro : « È sempre, egli dice, lo stesso mistificatore mistificato. Gli si danno sempre i primi posti per togliergli crudelmente anche gli ultimi, e l’inevitabile voragine col suo zolfo, da lungo tempo scavata dall’industria, riceve sempre allo scioglimento, questo cornuto monarca, col mantello rosso, la cui missione, a quanto pare, è di arrabbiarsi senza riuscita, per la dannazione di alcune povere animuccie di contadini e di contadine. Che un uomo di spirito voglia ben darci una rappresentanza, una incantagione nella quale il diavolo, completamente riabilitato, assisterà nella serenità della sua gloria, alle vane imprese tentate per farlo discendere; sarà lui che nello scioglimento congederà gli angeli e ritirerà loro la direzione delle anime, per affidare ad essi quella dei palloni. Liberato dalle maledizioni secolari, non maledirà nessuno ; riconcilierà pure il Dio nero col Dio bianco, e proclamerà come coronamento della piramide luminosa, la libertà. »

Se questi ed altri non meno empi scrittori avessero, con queste loro enormità, destata una generale riprovazione, potrebbe dirsi che e’ son pazzi ed empi, senz’altro. Ma l’accoglienza fatta a tali inaudite bestemmie; ma il numero de’ lettori e degli encomiatori de’ libri che le contengono, non sono forse tal fatto che dà molto da pensare? Si può egli non vederci un contrassegno de’ tempi nostri ? La pubblicazione di quelle mostruose empietà non ha punto scemata, agli occhi dell’opinion dominante, la gloria de’ Renan, de’ Proudhon e lor simili. Punto non s’è chiusa in faccia loro la porta delle sale né delle accademie. Essi hanno larghe relazioni sociali; si siede a mensa, si conversa con essi, e si trovano amabili. I distributori della nomèa letteraria proclamano ad alta voce il loro ingegno; e le opere loro, tradotte nelle principali lingue, contano, rispetto a’libri cristiani, cento lettori per uno. Tali sono le bestemmie, ignote nella storia, che si stampano a’ tempi che corrono, non solo in Francia, ma anche in Allemagna, e che sono lette nell’antico e nel nuovo mondo. Ciononostante fino a questi ultimi anni, la redintegrazione, l’apologia di Satana non era passata fuori di certi libri ignorati dalla moltitudine. Per spingere avanti l’ opera infernale, restava da infettare il mondo de’ saputelli, gli sfaccendati e le donne. Ed ecco, dopo i filosofi ed i letterati delle accademie, venir fuori i romanzieri ed i comici, che si sono incaricati di renderlo popolare. La è la stessa’ tattica che satana adoperava, or fanno sedici secoli, per conservare il suo’ regno e impedire quello dello Spirito Santo; dopo Celso sofista, comparve Genesio istrione.

Nel 1861 venne fuori un romanzo, nel quale satana, trasformato in bellimbusto, è cosa tutta vaga e leggiadra. Contegno irreprensibile, maniere signorili; parla con eleganza, sorride con garbo, è spiritoso. Fuma, giuoca, danza a maraviglia; non si può dare maggiore amabilità. C’è egli a stupire se l’uomo, sotto tale metamorfosi empia e sacrilega, s’avvezza a guardare in faccia, a stringer la mano al suo eterno nemico? Il terrore che pur testé ispirava passa per vana paura; la malvagità, ond’è accusato, per calunnia nata dall’ignoranza e dalla superstizione. Qual mezzo di propaganda, il romanzo tiene un posto di mezzo tra il libro dotto ed il teatro. Da’ gabinetti di lettura, o dalla casa del rivenditore a minuto, il romanzo entra ne’ saloni del ricco, nella casa del borghese, nella capanna del povero. Coglie più o meno lettori; ma non parla agli occhi e non corrompe se non alla spicciolata.

Altra cosa è il teatro. Il quale col barbaglio delle decorazioni, còlla realtà de’personaggi, coll’arte degli attori s’impadronisce dei sensi tutti, e profondamente v’ imprime quel che vuole insegnare. Inoltre e’piglia addirittura la moltitudine. La commedia ottiene ella favore da venirne in voga? State sicuri che dopo venti rappresentazioni, gli scherzi, i lazzi, le massime, i biasimi, gli elogi eh’ essa contiene, diventeranno purtroppo sentenze in bocca a molte e poi molte persone d’ogni educazione e grado. Ond’è che il vero mezzo di mettere in derisione l’uomo più venerando, o la cosa più sacra, si è di farli comparir su’ teatri; Il demonio l’ha intesa meglio di chiunque. All’uopo di rendere popolare la sua redintegrazione, facendo mettere in derisione i dommi cristiani che concernono lui, s’è reso padrone d’un importante teatro della capitale de’ lumi; e vi fa rappresentare questo, che ora diremo. In una dell’ultime giornate d’agosto del 1861, sulle mima di Parigi vedevasi un cartellone azzurro, con entravi stampato a grandi caratteri : La beltà del diavolo, commedia fantastica in tre atti’. Della quale ecco qui un cenno: ci si presenta dinanzi uno spazzo riccamente decorato; gli è un appartamento dell’inferno; la camera da letto di Monsieur Satan. Vedesi, attraverso le bianche cortine d’un letto voluttuoso, la testa d’un giovane elegante, il quale chiede che lo si venga a vestire. Ed ecco tavole e tavolini coprirsi di cosmetici, di ampolle, di ferri da parrucchiere, portati da certi diavoletti, famigli di satana. Il quale, uscito di letto,, si fa vestire e azziniare; in modo ch’egli stesso s’ammira, e si fa ammirare dagli altri. Ebbro di sua bellezza, .s’impromette di far molto bene i suoi fatti, e annunzia un ballo per la sera. Sei ballerine dell’ Opera cascano, proprio allora, nell’inferno: e al suono de’ musicali strumenti si danza allegramente. satana dà di mano alle ballerine giunte testé e, ballando, si permette con esse certi detti e certi gesti, che però non hanno l’esito ch’ei ne vorrebbe. Infuriatone, domanda a tutti i demoni s’e’non è sempre il re della bellezza: e gli si risponde con qualche esitanza. Allora satana dà affatto ne’lumi e vuol sapere che sia avvenuto della sua bellezza. Un dannato, di professione magnetizzatore, si offre di svelargli 1’arcano. E viene in scena Madama Satan; la quale, magnetizzata, é interrogata, che sia avvenuto della bellezza di suo marito. Madama Satan non risponde, ma s’agita grandemente sulla sua seggiola. Si torna a magnetizzarla, cosicché, carica di fluido, s’addormenta profondamente. Interrogata di nuovo, dice; son io che ho tolta la bellezza a mio marito. — Perché? — Perché ne abusava! — Che ne hai tu fatto ? — L’ho data ad una giovinetta di Normandia, — Di qual villaggio ? (lo nomina.) — Quando gliela hai data? — Quel di medesimo che l’ho tolta a mio marito; quella giovinetta è nata quel dì. satana non chiede altro. Manda pel suo cocchiere, fa allestire la sua vettura alla Daumont e, trasformato in ispettore delle scuole primarie, parte, col dannato magnetizzatore, in cerca della sua bellezza. Giunto nel villaggio, entra nella scuola, esamina le giovinette e ne chiede l’età. Le n’ha otto nate lo stesso dì: quale è quella che possiede la bellezza di satana? Impossibile saperlo. Quel ch’ è certo si è che satana ricupererà la sua bellezza, quando quella giovinetta l’avrà perduta. Per consiglio del magnetizzatore, si decide che si piglieranno tutte otto le giovinette, e le si meneranno a Parigi. Affascinate, innamorate pazze, partono per la capitale in compagnia di satana e del suo pedissequo. La loro virtù non tarda a fare naufragio, nella via di Boemia, della quale si dà una particolareggiata descrizione, discretamente sozza e prolissa. Vituperata l’ultima, torna la sua beltà a Satana che, pavoneggiandosi, ritorna a farsi ammirar nell’inferno, dopo aver promessa fedeltà a sua moglie. Tale si è quest’ignobile farsa, in cui non v’ha né arte, né gusto, né lingua francese, ma, in loro vece, lussuria ed empietà fetente. .satana trasformato in ganimede, fashnonable; l’inferno cambiato in sontuoso albergo, a cui s’arriva colla valigia da viaggio; una casa di tolleranza, dove si beve, si giuoca, si balla, si diserte e se n’esce in calesse in cerca di avventure. Oh! che cosa è mai tale commedia se non un lungo scherno de’ dommi cristiani, una cinica profanazione de’ più tremendi misteri dell’ eternità? Chi è che, dopo aver veduto, applaudito, assorbito questa sacrilega beffa, ancora serbi il menomo orror del demonio,’ il menomo timor dell’inferno? diciamolo pure a nostra vergogna: nel mondo cristiano non s’era veduto mai e poi mai tale scandalo. Eppure v’ha uno scandalo peggiore ancor della sozza commedia, ed è la voga ch’ell’ebbe. Chi crederebbe mai che somigliante mostruosità fosse rappresentata sessantatre volte di seguito? e in uno de’teatri più frequentati di Parigi, il teatro del Palais-Royal! C’è egli più a stupire se, quel medesimo anno, alla presenza d’immensa turba, si è potuto fare e freneticamente applaudire: “un brindisi alla morte del Papa, ed alla salute del diavolo”?

Ecco a che punto ci troviamo nel XIX secolo dell’era cristiana. Per sintomo, noi non conosciamo altra cosa più grave di tale commedia. [certo mons. Gaume sarebbe impallidito trasecolando davanti agli spettacoli blasfemi moderni, pieni di volgarità, bestemmie, sconcezze innominabili, mottetti stercoracei spacciati per artistiche forme di libera di espressione, oramai presenti in modo più o meno velato e spudorato in quasi tutti gli spettacoli teatrali, nonché televisivi, da tutti visibili – bambini compresi – a qualsiasi ora del giorno – n.d.r. -] Cosi la pensa anche un valente scrittore, del quale ci piace allegare questa pagina : « Il demonio, ei dice, aveva sempre avuta finora una sua forma incontrovertibile, una specie di forma classica, che i maestroni in letteratura, fino allo Scribe medesimo, adoperavano a lor senno senza alterarla se non il men che potessero. Il demonio faceva sempre una brutta parte e senza ambagi. Adesso l’ideale del demonio s’è fatto color di rosa. La sua personalità tutta leggiadra sembra l’eroe della canzone di Béranger: « Ella appare, Spirito, Fata o Bea, ma giovane e bella, col sorriso sulle labbra. ». « Per esempio, nella Bellezza del diavolo, non può essere a meno che sua signoria il demonio, non renda tutta cara ed amabile la infernale personalità. Le sue malizie sono benefiche, le sue gherminelle son tratti d’un buon genio della Boemia parigina. Ecco dunque all’ideale cattolico del demonio, ideale stupendamente vero, che esprime o rappresenta il sensualismo al suo più alto grado, l’uomo bestia, opposto un ideale tutto contrario. « La è pure una grande stranezza! che neghino le verità del Cristianesimo coloro, che dalla forza delle cose furono tenuti fuori della loro luce, s’intende: ma osare ammettere, mentre tutto il resto si nega, la personalità infernale, e riconoscerla per glorificarla, redintegrarla, farla amare! gli è un fatto, incomprensibile; incomprensibile e gravissimo, attesoché fa contro una verità tutt’insieme religiosa e razionale, per distruggerla à sangue freddo e senza alcun prò. Qui non è più solo il caso di manifestazione d’amore del sovrannaturale; ma d’occulta influenza dello Spirito del male. »

Farsi chiamar re. Quando il razionalista del secolo XIX non riduce il satana biblico ad un essere meramente immaginario, egli ne fa un essere degno di compassione. Non é altro che un rivoluzionario sventurato; e chi, più o meno, non l’è, a’ tempi nostri? In esso, personificazione vivente del male e della sozzura morale, 1’artista sa trovare un tipo non privo di nobiltà né di bellezza. Il romanziere ve lo trasforma in damerino del Jockey-Club, dalle eleganti maniere. Il comico ve lo rappresenta per l’allegro padrone di casa dell’inferno, e l’inferno per un luogo di diletto, dove si trovano riuniti piaceri d’ ogni sorta. E con tutto ciò il proteggere, scolpare, far bello satana e chiedere, in nome del progrèsso, che gli si dia diritto di cittadinanza nelle cristiane società, non basta altrimenti; si vuole che diventi, come già in altri tempi, principe e Dio del mondo. Ed egli stesso aspira, come a sua ultima mèta, nientemeno che a questa duplice supremazia, cui pretende di riacquistare. Ed invero, la rivoluzione è, a’ tempi che corrono, la più formidabile potenza, e, tranne il caso d’inauditi miracoli, sarà la regina del mondo. E che altro è la rivoluzione se non l’abbassamento di Dio, e l ‘esaltamento di satana? Or bene, la rivoluzione diceva testé, per bocca d’un de’ suoi figli, a’ fratelli sparsi per tutta la terra : « Lucifero è il capo della piramide sociale. E lui il primo operaio, il primo martire, il primo ribelle, il primo rivoluzionario. Noi rivoluzionari; democratici, socialisti, dobbiamo per rispetto e gratitudine portare sulla nostra bandiera, la cara immagine dell’ eroico insorto, che primo osò rivoltarsi contro la tirannide di Dio.1 » [Discorso di un rifugiato di Londra pronunziato alla taverna de’Frammassoni, 1862.]

Dopo aver approvato l’odio di Dio, con iscrivere: Dio è il male; un altro bestemmiatore, ben noto, dà il suo cuore a satana, e l’invoca con tutte le sue forze. Chi dedica la sua penna, gli consacra la sua vita e invita tutta quanta, l’Europa a seguire il suo esempio. « Vieni, dice, vieni, o satana, il calunniato dai sacerdoti e dai re; vieni ch’io t’abbracci e ti stringa al mio seno! È «già gran tempo che ti conosco, e tu conosci me. Le tue opere, o benedetto dell’anima mia, non sempre sono belle né buone; ma esse sole danno un senso all’ universo egl’impediscono d’essere assurdo. che cosa sarebbe, senza te, la giustizia? un istinto. La ragione? una consuetudine. L’uomo? una bestia. Tu solo animi e fecondi il lavoro; tu fai nobile la ricchezza; tu servi di scusa all’autorità: tu metti il suggello alla virtù. Spera, si spera ancora, o proscritto…. » Il resto la nostra mano non osa più trascriverlo. Il Proudhon non è se non un consequenziario. Da quel di che suonò alle orecchie de’ giovani europei il detto, diventato assioma dell’insegnamento pubblico: « Il Cristianesimo è vero, ma non è bello: non è bello né in letteratura, né in poesia, né in eloquenza, né in pittura, né in scultura; per avere il bello, bisogna cercarlo nel paganesimo. È là ancora, è là soltanto, che si trovano le grandi civiltà, i grandi uomini, le forti istituzioni, la vera sapienza e la vera libertà: » da quel dì, dico, satana si mise in cammino per rientrare nel mondo cristiano, e formarvi di nuovo la sua città. E l’imprudente Europa gli faceva un ponte d’oro: vediamo se egli ha saputo valersene.

Qual è il re della moderna Europa, considerata nei generali suoi contrassegni? Re dell’Europa moderna è colui che là governa nell’ordine dell’idee e nell’ordine de’ fatti. Ora, sette grandi fatti intellettuali e materiali, religiosi e sociali costituiscono l’Europa moderna. Il Risorgimento, il Razionalismo, il Protestantismo, il Cesarismo, il Volterianismo, la Rivoluzione francese, e la Rivoluzione, propriamente detta, le danno una sua impronta, le imprimono certe sue tendenze: e colui che le ha prodotte, che le fa durare, che si sforza di applicarle, fin nelle ultime loro conseguenze, questi è il vero re dell’Europa moderna: è egli lo Spirito Santo? E venendo a’ particolari, chi è che forma l’opinione pubblica? Le inaudite bestemmie summentovate sarebbero state impossibili nel Medio Evo; non ne sarebbe pur venuto il pensiero in veruna testa. E se alcuno avesse osato proferirle, l’Europa di Carlo Magno e di san Luigi si sarebbe turate le orecchie per non udirle, e il bestemmiatore avrebbe espiata la sua sacrilega audacia col supplizio. Or come vuole essere chiamato lo Spirito che regge una società, nella quale si può impunemente, pronunziarle, che se ne mostra indifferente, ne ride, le accetta? Forse do Spirito Santo?

Quale Spirito regna sulla stampa in generale, sulle arti, sui teatri, nelle accademie’, sui romanzi, ne’ giornali, sugli scrittori più in voga, di ogni nome e colore, innumerevole turba sparsa per tutta Europa e che semina a piene mani la menzogna e la corruzione, come l’agricoltore sparge il seme nel suo campo? Forse lo Spirito Santo? Qual si è il legislatore che ha fatto mettere ne’ codici dell’Europa moderna il divorzio, distruggitore della famiglia cristiana; il matrimonio civile, concubinato legale; la libertà de’culti, ufficiale diploma dato a tutti i falsificatori della verità, negazione autentica di ogni religion positiva ; sacrilega ironia, in virtù di cui i sudori de’ popoli servono a mantenere in piedi il cattolicismo che afferma, il protestantesimo che nega, il giudaismo che si ride dell’uno e dell’altro? Forse lo Spirito Santo?

   E non vediamo noi autorizzato, sotto i nostri occhi nella Capitale del regno cristianissimo, il pubblico culto di Maometto? Fra tutte le città cristiane, Parigi, anima delle crociate, la città di san Luigi, doveva, pare, essere l’ultima ad avere una moschea : ed è la prima. È egli lo stesso Spirito che regna sulla Parigi del Medio Evo e quella del secolo XIX? Questo fatto, del quale han certo dovuto fremere nelle lor tombe le ossa de’ nostri padri, non segna per altro ancora l’ultimo grado della supremazia che noi andiam qui segnalando : quell’ultimo grado sta nel trionfale cantico che la parigina moschea ispira agli organi dell’opinion pubblica. « Musulmani, e’ dicono, faranno lor vita in Parigi, nella città di Clodoveo e di san Luigi, frammisti a’ nostri soldati e collo stesso ordine e disciplina. Basta questa parola per segnare l’ importanza d’ un fatto che non sarebbe modesto se non in forza del prodigioso cambiamento che si fece nelle nostre idee e ne’ sentimenti da un secolo in poi. Si, è questo uno degli avvenimenti caratteristici della storia dell’ incivilimento Europeo…. Il filosofo medita e ammira. E si pensi un poco alle tante lotte che questo semplice incidente rammenta sostenute contro i pregiudizi di razza, ed alle vittorie ottenute sul fanatismo. » Cosi, ad essere la più religiosa delle cinque parti del mondo, altro più non manca all’ Europa moderna se non i templi de’ Mormoni, i templi di Budda, le pagode di Confucio, i santuari di tutti gli dèi dell’Africa e dell’Oceania. Se non è questo un chiamare al trono il padre della menzogna, e vagheggiare i bei dì dell’antico suo regno, qual più lo sarà? Da ultimo, da chi vuolsi dire ispirata la politica d’un mondo che si dice cristiano, e che spinge con babilonico furore a tutti i materiali piaceri, come se l’uomo si rigenerasse ingrassandolo; che sotto il nome di diritto nuovo, inaugura il diritto della forza: diritto antico, abolito col regno di satana; che sotto le parolone di “progresso” e di “libertà” cela la secolarizzazione delle società e la loro emancipazione sempre maggiore dall’autorità del Cristianesimo; che fa, incoraggia, o lascia fare la guerra al Papa; che lo insulta, lo calunnia, chiede ad alte grida che questo padre universale de’ credenti venga spogliato dell’ ultimo lembo di terra indipendente, in cui possa posare là sua testa ? Forse dallo Spirito Santo fondatore della Chiesa? Addormentatori e addormentati, voi negate l’esistenza del demonio e la sua azione sull’uomo; diteci dunque quale Spirito governi il mondo presente, considerato in generale?

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[Mons. Gaume certo immaginava che questo fosse solo l’inizio, ma probabilmente non avrebbe mai pensato che il “principe” avrebbe addirittura preso dimora nel Tempio Sacro, come da terzo segreto di Fatima:

“effettivamente satana riuscirà ad introdursi fino alla sommità della Chiesa” !

Cosa dovremo aspettarci ancora?

 

Pentecoste ebraica e Pentecoste cristiana

Ascensione

Pentecoste ebraica e Pentecoste cristiana

[Dom. P. Gueranger: – L’anno liturgico-vol. II: Tempo pasquale, pag. 261.]

La Pentecoste ebraica.

Già durante il regno delle figure il Signore marcò la gloria futura del cinquantesimo giorno. Israele aveva compiuto, sotto gli auspici dell’Agnello Pasquale, il suo passaggio attraverso le acque del mar Rosso. Sette settimane erano trascorse nel deserto che doveva condurre nella terra promessa, ed il giorno che le seguì, fu quello in cui si suggellò l’alleanza tra Dio e il suo popolo. La Pentecoste (il cinquantesimo giorno) fu segnata dalla promulgazione dei Dieci Comandamenti della Legge divina, e questo grande ricordo restò in Israele, insieme alla commemorazione annuale di tale avvenimento. Ma, come la Pasqua, la Pentecoste era profetica: vi doveva essere una seconda Pentecoste, per tutti i popoli, come vi fu una seconda Pasqua per il riscatto del genere umano. Al Figlio di Dio, vincitore della morte, la Pasqua con tutti i suoi trionfi; allo Spirito Santo la Pentecoste, che Lo vede entrare come legislatore nel mondo, posto ormai sotto la sua legge.

La Pentecoste cristiana.

   Ma quale differenza tra le due Pentecoste! La prima, sulle rocce selvagge dell’Arabia, in mezzo a fulmini e tuoni, ordinando una legge impressa su tavole di pietra; la seconda, a Gerusalemme, sulla quale la maledizione non è ancora piombata, perché, fino ad allora, ella possiede le primizie del nuovo popolo sul quale dovrà esercitarsi l’impero dello Spirito d’amore. In questa seconda Pentecoste, il Cielo non si oscura, non si ode il fragore del fulmine; i cuori degli uomini non sono agghiacciati dallo spavento, come intorno al Sinai. Ma battono sotto l’impressione del pentimento e della riconoscenza. Un fuoco divino si è impadronito di essi, un fuoco che divamperà su tutta la terra. Gesù aveva detto: « Fuoco sono venuto a gettare sulla terra, e che desidero se non che divampi? » (Lc. XII, 49). L’ora è venuta, e Colui che, in Dio, è l’Amore, la fiamma eterna ed increata, discende dal Cielo per adempiere gli intenti misericordiosi dell’Emmanuele. In questo momento, in cui il raccoglimento domina il Cenacolo, Gerusalemme è piena di pellegrini, accorsi da tutte le regioni della gentilità, e qualche cosa di segreto si muove in fondo al cuore degli uomini. Sono Ebrei venuti per la festa di Pasqua e della Pentecoste, da tutti i luoghi dove Israele è andato a costruire le sue Sinagoghe. L’Asia, l’Africa, Roma stessa, hanno fornito il loro contingente. Confusi con Ebrei di razza pura, si scorgono anche dei pagani che un movimento di pietà ha portato ad abbracciare le legge di Mosè e le sue pratiche: li chiamano i Proseliti. Questa popolazione mobile, che dovrà disperdersi fra pochi giorni, e che si è riunita a Gerusalemme per il solo desiderio di compiere la legge, rappresenta, per la diversità delle lingue, la confusione di Babele; ma coloro che la compongono sono meno influenzati dall’orgoglio e dai pregiudizi di quanto lo siano gli abitanti della Giudea. Arrivati solamente ieri, essi non hanno conosciuto e ripudiato il Messia, come questi ultimi, né bestemmiato le sue opere che rendevano testimonianza di Lui. Se hanno gridato davanti a Pilato, insieme agli altri Ebrei, per domandare che il Giusto fosse crocifisso, è stato perché essi furono trascinati dall’ascendente dei sacerdoti e dei magistrati di quella Gerusalemme, verso la quale la loro pietà e la loro docilità alla legge li aveva condotti.

Peccato contro lo Spirito Santo

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« Ogni peccato ed ogni bestemmia sarà perdonata agli uomini, dice Gesù Cristo in S. Matteo, ma la bestemmia contro lo Spirito Santo non sarà rimessa. Chiunque sparlerà del Figliuolo dell’uomo otterrà perdono; ma chi avrà sparlato dello Spirito Santo non ne avrà remissione, né in questo secolo, né nel futuro » — “Omne peccatum, et blasphemia non remittetur hominibus: Spiritus autem blasphemia non remittetur. Et quicumque dixerit verbum contra Filium hominis, remittetur ei; qui autem dixerit contra Spiritum Sanctum, non remittetur ei neque in hoc saeculo neque in futuro” ( MATTH . XII, 31 – 32 ). Qual è questo peccato che non sarà rimesso né nel tempo, né nell’eternità?

1° Parecchi dottori intendono l’eresia d’Eunomio, la quale negava che lo Spirito Santo fosse Dio. – 2° S. Ilario stima che il peccato contro lo Spirito Santo consista nella negazione della divinità di Gesù Cristo (De Peccat.), – 3 ° S. Ambrogio lo classifica tra lo scisma e la simonia; perché Simone volle comprare col denaro il potere di fare miracoli concesso dallo Spirito Santo agli Apostoli (De Poenìt. lib. II ). – 4 ° Papa Gelasio considera come colpevoli di questo peccato coloro che, colpiti d’anatema, ossia scomunicati, restano e vogliono restare peccatori, e che per conseguenza non sono assolti né quaggiù né nell’altra vita (Stor. eccles.).  – 5° S. Cipriano vede questo peccato nella negazione della fede in tempo di persecuzione ( Lib . Ili , Ep. XIV ) . – 6 ° Riccardo da S. Vittore lo colloca tra l’odio ed il disprezzo formale di Dio (De Blasphem. in Spiritu S.). – 7° Finalmente S. Tommaso scrive che ogni peccato di malizia è contro lo Spirito Santo: Omne peccatum ex malitia, est contra Spiritum Sanctum (De Peccat.).

I teologi contano sei delitti contro lo Spirito Santo:

1° presumere di salvarsi senza merito . . . ; 2° abbandonarsi alla disperazione…; 3° combattere la verità conosciuta…; 4° rompere per gelosia la carità fraterna . . . ; 5° ostinarsi nella via del male…; 6 ° rimanere nell’impenitenza… Questi peccati sono infatti direttamente e maliziosamente contro la bontà di Dio, che è attribuita allo Spirito Santo.

Nel testo sopra citato, Gesù Cristo non parla di ogni peccato contro lo Spirito Santo, ma solamente della bestemmia contro questa Persona dell’adorabile Trinità; bestemmia che consiste nel calunniare le opere evidentemente divine e miracolose, pie e sante, che Dio opera per la salute degli uomini e per mezzo delle quali conferma la loro fede, e appoggia la verità della sua parola; quali sono, cacciare i demoni, e simili; queste tali opere appartenenza dello Spirito Santo. Questa è la spiegazione che ne danno i Santi Atanasio, Ambrogio, Gerolamo, Giovanni Crisostomo.

Il peccato contro lo Spirito Santo non sarà rimesso: — “non remittetur”;— cioè difficilmente e raramente sarà perdonato. Ma Dio che è la volontà e la potenza per natura, può rimettere e infatti rimette ogni sorta di peccato a chi sinceramente se ne pente… Questo peccato non sarà perdonato nel secolo futuro: “Neque in futuro”; perché chiunque muore in istato di colpa grave va all’inferno e non ha più speranza di uscirne…

[E. Barbier: I Tesori di Cornelio A Lapide. Vol. III – Torino 1930]

Uomini liberi e schiavitù delle bestie!

Uomini liberi e schiavitù delle bestie!

[Tit. redaz.]

[da: “Trattato Dello Spirito Santo”, J.- J. Gaume; cap. XVII, e XVIII]

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I Cittadini delle due Città.

   Ogni società si divide in due classi; governanti e governati: conosciamo i re ed i principi della Città del bene e della Città del male. Quali ne sono i cittadini? Questa è la questione alla quale dobbiamo noi ora rispondere.

I cittadini, ovvero i sudditi della Città del bene e della Città del male, sono tutti gli uomini. La ragione, l’esperienza e la fede ce l’hanno detto”: non vi sono tre città ma due sole. Faccia egli quel che si voglia, bisogna che l’uomo, qualunque sia il suo nome e il suo grado, appartenga all’una od all’altra: questa alternativa è crudele.

Incominciata essa con la vita, non finisce neppure con la morte. Unita al duplice quadro del mondo angelico e del mondo satanico, che passa sotto i nostri occhi, ci rivela la vera posizione dell’ uomo quaggiù. Chi può riguardarlo senza essere commosso sino alla profondità dell’ essere suo ?

     Il nostro corpo, fragile come un vetro, vive tra due forze spaventose, il cui antagonismo potrebbe ad ogni secondo divenire a noi fatale. Secondo i calcoli della scienza, la colonna d’aria che pesa sul capo di ciascuno di noi, rappresenta un peso di 20,000 libbre. Chi ci salva dalla distruzione? Soltanto l’aria che è dentro di noi, intorno a noi, e sotto di noi. Quest’ aria fa resistenza alla massa superiore e rende la vita possibile. Appena che l’equilibrio viene a rompersi, subito l’uomo resta schiacciato.

Cosi succede della nostra anima. Essa vive della sua vera vita, la vita della grazia, fra due potenze nemiche e di una forza incalcolabile. All’ equilibrio di queste due potenze essa deve evitare leterna rovina. La conservazione della nostra vita spirituale è dunque un miracolo non meno continuo, non meno sorprendente, ma molto più degno di riconoscenza che la conservazione della nostra vita fisica.

Nelle stesse condizioni è posta evidentemente l’esistenza delle società. L’influenza più o meno determinante del mondo angelico o del mondo satanico, rende conto delle alternative di lumi e di tenebre, di delitti e di virtù, di libertà e di servitù, di gloria e di vergogne, di prosperità e di catastrofi, che segnalano di quando in quando gli annali dell’ umanità. Tale è la vera filosofia della storia. La prova non dubbia di questo fatto rivelatore dell’innalzamento e della caduta degli imperi, è la storia medesima della Città del bene e della Città del male: noi la delineeremo ben tosto a grandi tratti.

Frattanto notiamo che una sola cosa costituisce, tanto al morale che al fisico, tutto il pericolo della situazione, la rottura cioè dell’ equilibrio. Essa ha luogo nell’ordine spirituale, tutte le volte che l’uomo dà la preponderanza su sè medesimo allo Spirito del male, piuttosto che allo Spirito del bene; cosa che dipende da lui, unicamente da lui. A fine di distornarlo da quest’atto di colpevole follia, a cui lo sollecitano di continuo i principi della Città del male, lo Spirito Santo non si contenta di fornirgli tutti i mezzi di resistenza, ma gli mostra le conseguenze della sua fellonia. Esse sono terribili, subitanee, inevitabili: é la schiavitù, l’onta ed il castigo.

Triplice baluardo con cui il Re della città del bene circonda la sua felice Città, all’ oggetto di preservare i suoi sudditi dalla tentazione di uscirne.

La schiavitù. — La libertà è figlia della verità: Veritas liberabit vos. La Città sola del bene, diretta dallo Spirito di verità, è la patria della libertà. I disertori nell’abbandonarla, per entrare nella Città del male, imparino ad arrossire. No, essi non glorificano la libertà, ma la disonorano: essi non camminano alla conquista della indipendenza, ma diventano schiavi: e lo sono di già. Da lungo tempo la logica e la fede hanno pronunziata la loro sentenza. La libertà non consiste nel fare il male, ma nell’evitarlo. Quanto più lo evitiamo, tanto più siamo liberi. « Bisogna, dice san Tommaso, ragionare del libero arbitrio come dell’intelletto. Il libero arbitrio sceglie tra gli atti che si riferiscono al fine; l’intelletto trae le conclusioni dai princȋpii. Ora ognun sa che entra nelle attribuzioni dell’intelletto quella di trarre delle conclusioni, ma sempre logicamente discendenti da dati princȋpii. Che se, nel trarre una conclusione, dimentica o disprezza i princȋpi, è una imperfezione, una debolezza da parte sua. « Parimente, la perfezione del libero arbitrio consiste nell’avere la facoltà di fare differenti scelte, ma sempre relative al fine proposto. Per esempio, gli accade di fare una scelta contraria al fine ultimo dell’uomo? Questa non è una perfezione, ma una debolezza e un difetto. Quindi risulta che la libertà, o la perfezione del libero arbitrio è più grande negli Angeli che non possono peccare, che in noi che peccare possiamo. »

Tale è dunque la dottrina dell’Angelo della Scuola: la libertà è il potere di fare il bene, come lintelletto ha la facoltà di conoscere il vero. La possibilità di fare il male non è più dell’essenza della libertà: quanto la possibilità d’ingannarsi, non è dell’essenza dell’ intelletto ; come la possibilità d’essere malato non è dell’essenza della salute. L’impeccabilità è la perfezione della libertà, come l’infallibilità è la perfezione dell’intelletto; come l’essere liberi da infermità è la perfezione della salute.

Essere peccabile è dunque un difetto nella libertà, come essere fallibile lo è nell’ intelletto; come essere malato lo è nella sanità. Ne segue dunque che quanto più l’uomo pecca, tanto più mostra la debolezza del suo libero arbitrio; parimente quanto più egli s’inganna, tanto più mostra la debolezza della sua ragione; cosi quanto più è malato tanto più egli fa prova di cattiva salute.

Altresi, l’uomo quanto più pecca e sragiona più che mai si degrada e si rende spregevole, imperocché si riavvicina sempre più al fanciullo che non ha ancora né la libertà, né l ‘intendimento, e all’insensato che non l’ha più, o alla bestia che non l’avrà mai. Questa verità fondamentale è la prima armatura della quale lo Spirito Santo ci riveste, il primo motivo dato all’uomo di rinchiudersi eternamente dentro i confini della Città del bene. Molti non lo comprendono. Sedotti dai principi della Città del male, moltissimi vengono a riguardare il giorno in cui si emancipano dalla sovranità dello Spirito Santo, come il giorno natalizio della loro libertà.

Poveri ciechi! che una volta almeno guardino in faccia la verità: né gli costerebbe molto. Essa è scolpita nella schiavitù di tutte le facoltà della loro anima: nella degradazione di tutte le membra del loro corpo, in tutte le pagine macchiate della loro pretesa vita indipendente.

Giovani o vecchi, ricchi o poveri, letterati o illetterati, per avere disertato dalla Città del bene, traditi i voti del vostro battesimo, arrossito della fede della vostra infanzia e delle pratiche de’ vostri avi, vi credete voi forse liberi? lo siete voi? È vero, voi camminate con la testa alta e con lo sguardo sicuro. Le vostre labbra si contorcono al riso, e la vostra fronte si nasconde sotto un sembiante di gaiezza. Al suono metallico della vostra voce, ed al tuono imperioso delle vostre parole si potrebbe prendervi per i reggitori dell’umanità. Ciò nonostante voi non siete che tanti schiavi, schiavi infelici, e schiavi della peggiore specie.

In luogo di un solo Padrone, altissimo e santissimo che voi rifiutate di servire come egli l’intende, servite altrettanti padroni che sono le vostre ignobili passioni; e fuori di voi, altrettante creature che possono procurarvi o disputarvi l’insigne onore di soddisfarle. Voi le servite, non come l’intendete, ma come esse l’intendono.

Padroni spietati, essi vi trascinano con la corda al collo, o vi cacciano con la bacchetta alla mano in tutte le tenebrose vie del male. Trascinati lontano dal paese natio, avete dimenticato la strada dei nostri templi; ma sapete a mente la strada dei teatri e di altri luoghi. Il calice del Dio Redentore, in cui con la vita si beve la virtù, l’onore, la libertà, il pacificamento dell’anima e dei sensi, vi è di disgusto; e voi bevete a lunghi sorsi il calice del demonio, in cui con la morte, si beve il delitto, la vergogna, la schiavitù, la febbre dell’anima ed i furori della disperazione. Immaginandovi d’esser troppo grandi agli occhi vostri per portare su di voi le insegne protettrici della Regina del Cielo, voi portate invece, incastonati nell’oro i capelli di una cortigiana. Uomini e non angeli, bisogna che amiate la carne. Voi non avete voluto amare la carne immacolata dell’Uomo Dio, amerete la carne immonda di ima creatura immonda.

Vorreste invano respirare talora l’aria della libertà. Come tanti uccelli impaniati nelle ‘perfide reti, non potete prendere il vostro volo. Ad ogni tentativo, una voce spietata, la voce dei vostri padroni mascolini o femminini si fa udire; non fare resistenza, tu sei mio.

Dandomi la tua volontà tu mi hai dato tutto. Dammi il tuo danaro, dammi le tue notti, dammi le rose delle tue gote; dammi la pace della tua anima, dammi la salute del tuo corpo; dammi la gioia di tua madre; dammi le speranze di tuo padre; dammi l’onore del tuo nome, e voi lo date!                                          Siete liberi?

Silenzio! schiavi:

non profanate nel pronunziarla, una parola che vi accusa. Schiavi nella vostra intelligenza, tiranneggiata dal dubbio e dall’errore; schiavi nel vostro cuore, tiranneggiato da brutali appetiti, cosa è la vostra vita se non che un panno lordo? Che forse la storia della vostra vita è quella di uno schiavo? Sciagurati! che non potete scendere nella vostra coscienza senza ascoltarvi una voce che vi accusa, né contemplare le vostre mani senza vedervi il segno dei ferri o i vostri piedi senza rinvenirvi la palla del galeotto! Figli di re diventati guardiani di porci; ecco quel che voi siete. Avete proprio ragione di andarne superbi ! [Misit illum in villam suam ut pascerei porcos. Luc., xv, 15].

La schiavitù dell’anima: ecco ciò che incontrano tutti gli uomini che mettono il piede fuori del recinto della Città del bene: poiché sta scritto: « dove abita lo Spirito del Signore ivi, e ivi soltanto, abita la liberta.1 » [Ubi autem Spiritus Dei, ibi libertas. II, Cor, III, 17].

Ora nel mondo morale, come nel mondo materiale avvi una legge che la parte superiore attrae l’inferiore: Major pars trahit ad se minorem. Alla servitù dell’anima si aggiunge necessariamente la schiavitù del corpo: per conseguenza la schiavitù sociale. Non basta il ripeterlo spesso, e oggi soprattutto: la libertà civile e politica non si trova né nella punta di un pugnale, né nella bocca di un cannone, né sotto il lastrico di una barricata. Essa è figlia non di una carta né di una legge, né di una forma qualunque di governo, ma della libertà morale. Checché ne dica o faccia:

ogni popolo corrotto è uno schiavo nato!

   La libertà morale suppone la fede: la fede è la verità, la verità non risiede che nella Città del bene.

Volete voi averne la prova? pigliate un mappamondo. Accanto al dispotismo dell’errore che cosa vi mostra esso? Dappertutto il dispotismo dell’oro, il dispotismo della carne, il dispotismo della materia, e sopra tutti questi dispotismi, quello della sciabola. Che cosa è dunque una società che scuote il giogo dello Spirito Santo? Testimoni non sospetti, gli stessi pagani rispondono: « È una quantità di bestiame sopra un mercato, sempre pronto a vendersi al migliore offerente. » [Parole di Giugurta, in Sallustio].

Più che la storia antica, la storia moderna non dà loro neppur l’ombra di una smentita. Come è egli trattato il bestiame umano? Come se lo merita. satana, a cui si dà, abbandonando lo Spirito Santo, gli manda dei padroni fatti di sua mano. Nerone, Eliogabalo, Diocleziano e tanti altri, s’incaricano di far gustare all’uomo emancipato le dolcezze della libertà, della quale gode la Città del male. Per un ricambio di misericordiosa giustizia, Iddio medesimo permette l’esaltazione di queste tigri coronate. A questo proposito la storia riferisce un fatto che dà da riflettere. Siccome i popoli hanno sempre il governo che essi si meritano, una crudele bestia, chiamata Foca, erasi assisa sul trono imperiale di Roma. Per suo ordine il sangue scorreva a torrenti; e la bestia lo beveva come una delizia. Un solitario della Tebaide, stomacato più che afflitto di un tale spettacolo, si rivolge a Dio e gli dice: “Perché, o mio Dio, l’avete fatto voi imperatore?” E Dio gli risponde: “Perché non ne ho trovato uno più malvagio”.

Cosi, conservare la libertà con tutte le sue glorie, tale è per l’umanità il primo vantaggio del suo soggiorno nella Città del bene; il perdere questo tesoro e trovare la schiavitù, tale è, se essa osa varcarne il recinto, il suo primo castigo.

La vergogna. — Di libero diventare volontariamente schiavo è un’onta. D’uomo diventar bestia è ancora una maggiore. Quest’onta inevitabile è il secondo baluardo, di cui lo Spirito Santo circonda la Città del bene per impedir all’uomo di uscirne.

Indiarsi [divenir Dio -n.d.r.-], o farsi bestia: ecco i due poli opposti del mondo morale. 0 Dio, o bestia; tal’è la suprema alternativa in cui si trova posto l’uomo quaggiù. La ragione è ch’egli è obbligato a vivere sotto l’impero del Re della Città del bene, o sotto l’impero del Re della Città del male. Ora, e l’uno e l’altro di questi Re fa i suoi sudditi ad immagine sua: Iddio, lo Spirito Santo, li fa dii: Satana bestia, li fa bestie. La città del bene è una grande fabbrica di Dei, e la Città del male una grande fabbrica di bestie. «Ciascuno di noi, dice sant’Agostino, è come il suo amore. Se ami la terra, tu sarai terra: se ami Dio, tu sarai dio. »

« Restate con me, dice lo Spirito Santo, ed Io vi faccio figli di Dio, Dii veri, Dii per l’essere divino che vi comunico: Dii per la verità dei vostri pensieri; Dii per la nobiltà dei vostri sentimenti; Dii per la santità della vostra vita; Dii per l’indomita potenza della vostra volontà contro il male, armato di sofismi, di promesse o di minacce; Dii pel diritto all’eredità eterna di Dio, vostro Creatore e vostro Padre.»

Lo Spirito Santo ha mantenuta la parola. Vedete ciò che sono diventati gli Angeli docili alla sua voce. Risplendenti di gloria, inondati di voluttà, dotati di tutti gli attributi divini, l’intelligenza, la forza, la bontà; essi si avvicinano a Dio, quanto il finito può avvicinarsi all’infinito. Vedete l’umanità cristiana nei suoi veri rappresentanti, gli Apostoli, i martiri, le vergini, quelle legioni di santi e di sante, divinamente generati da diciotto secoli e più oltre, su tutti i punti del globo. A quale altezza essi innalzano l’umanità cristiana al disopra dell’umanità pagana, al disopra dell’umanità che cessa d’essere cristiana!

Che cosa sarà se voi contemplate questa deificazione nel suo complemento, cioè dire negli splendori dell’eternità? Qui è che la parola, spirando sulle labbra, non può più fare udire se non che l’espressione della sua impressione: « No, l’occhio dell’uomo non ha punto visto, né il suo orecchio ha punto inteso, e ancor meno il suo cuore il quale, per quanto vasto egli sia, non può comprendere ciò che Dio riserba a coloro, che sono divenuti per l’amore, suoi figli e suoi eredi. »

Dal canto suo, il principe della Città del male travaglia con accanimento all’opera contraria. Allorché attira a sè un uomo, lo piglia nelle sue granfie, gli acceca lo spirito, gli corrompe il cuore, lo inebria co’ suoi veleni e lo trasforma in bestia. Considerate piuttosto, che la bestia fa tutto quel che fa l’uomo, eccetto una cosa. La bestia mangia, beve, dorme, digerisce, cammina, corre, vola, nuota, fabbrica, calcola, parla, scrive, canta, viaggia, prevede, accumula, esercita tutte le arti della pace e della guerra. In tutto questo, essa è uguale all’uomo, talvolta superiore. Ma vi è una cosa che la bestia non fa, che non può fare, né farà giammai, e che la lascia a una distanza infinita al di sotto dell’uomo: la preghiera. L’ uomo prega; la bestia non prega.

L’uomo adora, la bestia non adora, cioè dire, in altri termini, che l’uomo e la bestia, in una sola cosa diversificano: nella religione.

Ora, il primo effetto dell’azione satanica sull’uomo è di farlo arrossire della religione; e ne arrossisce! La religione ha due grandi manifestazioni, la preghiera e l’amore. La preghiera è talmente il segno distintivo dell’uomo, che i pagani l’hanno definito un animale che prega: animal religiosum. Lo stesso Nostro Signore definisce il cristiano: un uomo che prega sempre : oportet semper orare et numquam deficere. Cosi quando l’uomo cessa di pregare, si avvicina alla bestia. Se egli non prega punto, diventa affatto bestia. Non siamo noi che lo diciamo, è la stessa verità che si esprime per bocca di san Paolo, uomo animale, animalis homo.

Ora è cosa nota che il primo atto dell’ uomo diventato cittadino della Città del male, si è di rinunziare alla preghiera. Un esempio tra mille. Se havvi nella vita ordinaria una circostanza in cui la preghiera sia sacra, è l’ora solenne del cibo. Noi diciamo solenne, perché il pasto è un’azione profondamente misteriosa. Mangiando, l’uomo comunica, comunica con le creature e nel modo più intimo, poiché ei le trasforma nella sua propria sostanza. Ora tutte le creature sono viziate dallo Spirito del male, a cui esse servono di veicoli, per introdursi nell’uomo e comunicargli i suoi veleni. Questa assimilazione separata dalla preghiera che gli purifica cacciando il demonio, è evidentemente piena di pericoli.

Così l’ha compreso l’umanità tutta quanta. Di qui, quel fatto altrimenti inesplicabile che tutti i popoli, anche pagani, hanno pregato prima di mangiare. Il fatto essendo universale, ha dunque una causa universale. Una causa universale è una legge. Pregare prima di mangiare è dunque una legge dell’umanità. Il disprezzo orgoglioso, il sorriso imbecille non vi fanno niente. Rimarrà sempre il non conoscere nella natura che due specie di esseri che mangiano senza pregare: le bestie, e quelli che assomigliano ad esse.

Diciamo che assomigliano ad esse, imperocché si può sfidare non solamente tutti gli sprezzatori del Benedicite, che è poco, ma tutti i naturalisti del mondo a trovare la differenza tra l’uomo che mangia senza pregare, e un cane o un porco. Assimilarsi alle bestie in una circostanza in cui tutti i popoli anche pagani, hanno sentita la necessità di distinguersi da loro; ecco quel che fanno! E perché lo fanno, si tengono per grandi genii. È bisogna venire al tempo nostro di grossolano materialismo, per incontrare uomini che si crederebbero disonorati, se due volte al giorno essi non si assimilassero ostensibilmente all’asino ed al coccodrillo.

“Homo cum in honore esset, non intellexit : comparatus est jumentis insipientibus et similis factus est illis”. (Ps. XLVIII)

Un secondo segnale della religione è l’amore. Lo Spirito Santo essendo carità, dell’anima in cui risiede forma la carità vivente. Il segno distintivo della carità è l’oblio di se medesimo, per Iddio e per gli altri; l’oblìo del corpo a profitto dell’anima, l’oblio portato sino al sacrifizio. Appena che l’uomo entra nella Città del male, subito sparisce la carità, e gli succede l’egoismo. L’uomo si ricorda di sé, e nient’altro che di sé. Invece di andare da sé verso gli altri, va dagli altri verso di sé. L’egoismo non sa che una parola sola, ma la sa a maraviglia: l’io. L’io in tutto ; l’io dappertutto: l’io sempre. Dopo di me, Iddio e i suoi ordini; dopo di me, gli altri e i loro bisogni e i loro desideri; dopo di me, nulla. Non basta; l’egoismo è il sacrifizio degli altri per sé. Innocenza, onore, fortuna, riposo, sanità, la stessa vita, non sono niente per lui, allorquando si tratta di soddisfare sé stesso.

Ma che cosa è il “me” dell’egoista? È forse la sua anima? nient’affatto: imperocché l’amore dell’anima è la carità: che cosa è dunque? È la parte inferiore del suo essere, è il corpo; e nello stesso corpo, la parte più infima. Al di fuori della fede, tutto il lavoro dell’uomo si riduce in ultima analisi alla vita corporea. Il bere ed il mangiare ne sono gli elementi. Cominciata per essi, sostenuta per essi, finisce per essi. Avere da bere e da mangiare, soddisfare le sue cupidigie, averle in abbondanza, assicurarsi d’averle sempre; ecco la prima e l’ultima parola dell’ egoismo. Il rimanente non è che un mezzo o un risultato. Ora il laboratorio della vita animale è il ventre. In fin dei conti la vita di ogni uomo si riferisce al ventre, poiché è divenuto suddito di colui che si chiama la Bestia, la Bestia per eccellenza, la Bestia in tutti i sensi. Quindi per definire queste immense e queste immonde mandrie di Epicuro, la parola a un tempo cosi energica e cosi giusta dell’Apostolo, che gli chiama: adoratori del Dio ventre: Quorum Deus venter est. Ciò che è vero dell’uomo e di taluni popoli, lo è stato dell’umanità medesima la vigilia del diluvio, e lo sarà ancor più verso la fine dei tempi. Questa vergognosa assimilazione dell’uomo alla bestia si svolge in tutte le sue conseguenze. Noi non ne citiamo che ima sola: cioè la stupidità o la perdita dell’intelligenza. La bestia è stupida, vale a dire che essa non capisce, né ammira. Essa non capisce; perché il capire è vedere l’idea nel fatto. Ponete un triangolo sotto gli occhi di un cane, ei vedrà un oggetto materiale, formato di tre lati eguali: ma l’idea del triangolo gli sfugge. Perché? Perché al di là del dominio dei sensi non vi è nulla per lui. La bestia non ammira. Per ammirare bisogna capire. Certo, all’asino produce la stessa impressione tanto la vista di un capolavoro, che la vista di un carciofo. La bestia dunque non comprende, né ammira. Cosi avviene all’uomo che diventa bestia. Caduto egli dalle altezze della fede non ha più altra intelligenza che quella della materia e della vita materiale. Cercate lo scopo finale delle sue speculazioni, dei suoi studi e delle sue scoperte, della sua politica, di tutto quel moto febbrile che lo trascina e lo consuma: che vi trovate voi? Il corpo ed i suoi appetiti. Luce, progresso, civiltà, qual’è il significato di tutte queste parole pompose? tradotte in prosa volgare significano; scienza di petardi, filosofia pirotecnica, amore di fuoco di stoppa, guarentigia e glorificazione di fuochi fatui. In altri termini, è il programma invariabile e l’eterno ritornello di tutti gli uomini e di tutti i popoli, beatificati dalla Bestia infernale. « Beviamo e mangiamo, poiché noi morremo domani. Quest’è la nostra beatitudine ed il nostro destino. Pane e piaceri: ecco tutto l’uomo.» Non mi date come prove dell’intelligenza dell’uomo animale, il modo abile con cui manipola la materia. La rondine, il baco da seta, l’ape che non hanno intendimento, la manipolano più abilmente di lui. Noi lo ripetiamo, l’intelligenza consiste nel leggere l’idea nel fatto, nel vedere la causa nel fenomeno : notate bene non quella causa immediata che riluce in qualche modo attraverso il fatto; ma la vera causa, la causa prima e lo scopo finale. Ora tutto ciò non è conosciuto che nella Città del bene.

A colui che abita la Città del principe delle tenebre, parlate del mondo delle cause, del mondo di Dio e degli Angeli, vero dominio dell’intelligenza: tutte queste realtà sono per lui tante astrazioni o chimere; egli è uno stupido.città male

Che cosa sarà se voi gli segnalate l’intervento permanente, universale, inevitabile e decisivo del mondo inferiore? Le sue labbra sorrideranno di disprezzo; egli è uno stupido.

Discendete da queste elevatezze: ditegli che egli ha un’anima immortale, creata a immagine di Dio, redenta dal sangue di un Dio, destinata ad una felicità o a una infelicità eterna; aggiungete che l’unica faccenda dell’uomo essendo il salvarla, occuparsi di tutte le altre, eccetto che di questa, è uno scacciare le mosche e tessere delle tele di ragno; egli sbadiglia o dorme; è stupido.

Tentate di dispiegare dinanzi ai suoi occhi le meraviglie della grazia, tutti quei capolavori di potenza, di sapienza e di amore che hanno esaurita l’ammirazione dei più grandi genii, voi gli parlate una lingua di cui non capisce una parola; è uno stupido.

Sermoni, libri di pietà o di filosofia cristiana, conferenze religiose, feste solenni le quali, con i più augusti misteri, descrivono allo spirito ed al cuore i più grandi benefìzi del cielo, come i più grandi avvenimenti della terra; insomma tutto ciò che attiene al mondo soprannaturale, lo annoia; egli non comprende nulla, non sa nulla; è uno stupido.

Ma parlategli di danaro, di commercio, di vapore, di elettricità, di macchine, di carbon fossile, di cotone, di barbabietole, di bestiame, di praterie, d’ingrassi, di produzione e di consumo, egli diventa tutt’occhi e tutt’orecchi. Voi toccate la questione vitale della sua filosofia, la questione della marmitta: non ne conosce altra.

« L’uomo, dice il Profeta, dimenticando da sua dignità, si è tenuto bestia senza intelligenza, ed è diventato simile a lei.»

A fine di proteggere la pace e la vita de’ suoi sudditi contro gli assalti del nemico, lo Spirito Santo circonda la sua Città di un terzo baluardo più solido dei primi. Se l’uomo, chiunque si sia, osa dire al Re della Città del bene: Io non voglio più obbedirvi, “non serviam”; all’istante, di libero diventa schiavo, e cammina verso l’abbrutimento. Trascinato per tutte le degradazioni intellettuali e morali, incomincia per esso sino da questa vita l’inferno, che l’aspetta nell’altra. Tal’è, noi lo abbiamo visto, la sorte inevitabilmente riserbata all’individuo. Se la ribellione contro lo Spirito Santo diviene contagiosa sino al punto, che nel suo insieme, un popolo, o lo stesso genere umano, non sia più che un grande insorto, allora il delitto, traboccando da tutte le parti, attira a sé dei castighi eccezionali. Ogni legge reca seco una sanzione. Ogni legge avendo per soggetto l’uomo, composto di un corpo e di un’anima, è una spada a doppio taglio, che colpisce il prevaricatore nelle due parti del suo essere. Pigliate una qualunque legge divina o ecclesiastica che vi piaccia, se voi cercate bene, tenete per certo di trovare senza pregiudizio della sanzione morale, una ricompensa e una punizione temporale, unita all’osservanza o alla violazione di questa legge.

Lasciando da parte i flagelli particolari, rilegga l’umanità i suoi annali storici e profetici. Tre grandi catastrofi vi sono registrate. La prima è il diluvio, o la rovina del mondo antidiluviano. Quale fu la cagione di questo cataclisma nel quale perì, eccetto otto persone, tutta intera la stirpe umana ? Colui che con la sua mano ruppe le dighe del mare ed aprì le cateratte del cielo, ce la rivela in due parole: « Il mio Spirito, dice il Signore, non resterà più a lungo nell’uomo, imperocché l’uomo è diventato carne ». Questa terribile sentenza si traduce in tal modo: « A malgrado di tutti i miei avvertimenti, l’uomo ha scosso il giogo del mio spirito, spirito di luce e di virtù; ei s’è reso schiavo dello Spirito di tenebre e di malizia. Il mondo soprannaturale, la sua anima, Io stesso, non siamo più nulla per lui. Del suo corpo ha fatto il suo Dio, è divenuto carne. Come creatura colpevole e degradata, è indegna del benefizio della vita; ei perirà. » Ed al diluvio di delitti succedette il diluvio d’acqua che portò via tutti.

Una seconda catastrofe, non meno famosa della prima, è la rovina del mondo pagano. Dimenticando l’uomo la terribile lezione che aveva ricevuta, di nuovo si era sottratto all’azione dello Spirito Santo. Datosi corpo e anima allo Spirito malvagio, era venuto a riconoscerlo quasi universalmente per suo re e per suo Dio. Sotto mille nomi diversi, egli lo adorava in tanti milioni di templi da un capo all’altro del mondo: tante adorazioni, tanti, sacrilegi, crudeltà e infamie. Siccome l’uomo innanzi al diluvio, era ridivenuto carne, così al soffio dei barbari, disparve il mondo pagano sotto un diluvio di sangue.

   Una terza catastrofe, più terribile e non meno certa delle precedenti, è la rovina del mondo apostata del cristianesimo, mediante il diluvio di fuoco che porrà fine all’esistenza della specie umana sul globo. Conculcando i meriti del Calvario e i benefizi del Cenacolo, il mondo degli ultimi giorni si costituirà in piena ribellione contro lo Spirito del bene. Schiavo più che mai dello Spirito del male, ei si abbandonerà con un cinismo sconosciuto a tutti i generi d’iniquità. Tale sarà il numero dei disertori, che la Città del bene sarà quasi deserta, mentre la Città del male piglierà proporzioni colossali. Una terza volta l’uomo sarà divenuto carne. Lo Spirito del Signore si ritirerà per non più ritornare; e un diluvio di fuoco arderà la terra, mille volte più colpevole poiché sarà mille volte più ingrata della terra dei pagani e dei giganti.

La schiavitù, l’onta, il castigo: tale è dunque il triplice baluardo che l’uomo dee varcare per uscire dalla Città del bene. A questi mezzi esteriori, se si aggiungono gli aiuti ed i benefizi di ogni genere, prodigati agli abitanti di questa felice Città, non siamo noi in diritto di concludere che nessuno vorrà abbandonarla? Se la esperienza confermi il ragionamento, ce lo insegnerà ora la storia.

GLI ANGELI – dal trattato dello Spirito Santo di mons. Gaume

GLI ANGELI

[capp.VIII, IX, X del Trattato dello Spirito Santo di mons. J.-J. Gaume]

 cori angeli

Il Re della Città del bene (lo Spirito Santo) non è solitario. Intorno al suo trono stanno innumerevoli legioni di Principi risplendenti di bellezza che formano la sua corte. L’ufficio loro è di onorare il grande Monarca, vegliare alla guardia della Città e presiedere al suo governo: questi principi sono i buoni angeli. Sotto pena di lasciare nell’ombra una delle più grandi meraviglie del mondo superiore ed il roteggio più importante della sua amministrazione, noi dobbiamo farli conoscere. Perciò fa d’uopo dire la loro esistenza, natura, numero, le loro gerarchie, i loro ordini e funzioni. Esistenza degli Angeli. Gli Angeli sono tante creature incorporee, invisibili, incorruttibili, spirituali, dotate di intelligenza e di volontà. [Angelus est substantia creata, immaterialis sive incorporalis, invisibilis, incorruptibilis et spiritualis, intellectu perspicax et voluntate pollens. Viguiev, c. in, § 2, vers. 2, p. 77.]

La fede del genere umano, la ragione, l’analogia delle leggi divine si riuniscono per stabilire sopra un fondamento incrollabile il domma dell’esistenza degli Angeli. Di già abbiamo visto la Fede del genere umano manifestarsi con splendore nel culto universale dei genii buoni e cattivi. La ragione dimostra facilmente che il nostro mondo visibile con la sua imperfetta natura, non ha né può avere in sé, né la ragione della sua esistenza, nè il principio delle leggi che la regolano. Bisogna cercarla in un mondo superiore, del quale non è che il reverbero. [Invisibilia enim ipsius a creatura mundi, per ea qua e facta sunt intellecta conspiciunuir. Sum., I, 20.]

Com’é per l’albero, il cui fogliame sboccia ai nostri sguardi, così sono i principii di vita e di solidità, nascosti nelle profondità della terra.

L’osservazione più sapiente delle leggi divine provoca quest’assioma: che non vi è salto nella natura né rottura nella catena degli esseri. [Natura non facit saltus. Linné.]

Nello stesso tempo essa dimostra che di questa catena magnifica l’uomo non può essere l’ultimo anello. Dio è l’oceano della vita. Egli la diffonde su tutte le forme, vegetativa, animale, intellettuale. Secondo che essa è più o meno abbondante, la vita segna il grado gerarchico degli esseri. Ora essa è più abbondante via via che l’essere si avvicina più a Dio. Cosi per ricondurre a sé con gradi insensibili tutta la creazione discesa da lui, l’ Onnipotente, la cui infinita sapienza si è divertita nella formazione dell’universo, ha tratto dal nulla parecchie specie di creature. Le une visibili e puramente materiali, come per esempio, la terra, l’acqua, le piante: altre, visibili ed invisibili a un tempo, materiali e immateriali, come gli uomini; altre infine, invisibili ed immateriali come gli Angeli.

     Questi ultimi, non meno degli altri, sono dunque una necessità della creazione. Ascoltiamo il più grande dei filosofi: « Supposto, dice san Tommaso, il decreto della creazione, l’esistenza di certe creature incorporee è una necessità. Difatti il fine principale della creazione, è il bene. Il bene o la perfezione consiste nella rassomiglianza dell’essere creato col Creatore, dell’effetto con la Causa. La rassomiglianza dell’effetto con la causa è perfetta, allorquando l’effetto imita la causa, secondo che essa lo produce. Ora, Dio produce la creatura con intelletto e con volontà. La perfezione dell’universo esige dunque che vi siano creature intellettuali ed incorporee. « Di maniera che, che vi siano Angeli, e che questi siano esseri personali, e non miti o allegorie, quest’è una verità insegnata dalla rivelazione, confermata dalla ragione, e attestata dalla fede del genere umano.

« Natura degli angeli. L’abbiamo già indicata; gli angeli sono incorporei, vale a dire che non hanno corpi coi quali siano essi naturalmente uniti. La ragione è che essendo tanti esseri completamente intellettuali e sussistenti per se medesimi, formae inbsistentes, come parla san Tommaso, cosi essi non hanno bisogno di corpo per essere perfetti. Se l’anima umana è unita ad un corpo, è che essa non ha la pienezza della scienza, e che è obbligata ad acquistarla per mezzo delle cose sensibili. Quanto agli angeli, essendo perfettamente intellettuali per loro natura, non hanno niente da apprendere dalle creature materiali: e il corpo loro è inutile. » Da ciò risulta che gli angeli non possono, come le anime umane, essere uniti essenzialmente a dei corpi, e diventare una stessa persona con loro. Essi sono per conseguenza incapaci di esercitare nessun atto della vita sensibile o vegetativa, come vedere corporeamente, sentire, mangiare e altre cose simili. Dell’aria o di un’altra materia già esistente, essi possono però formarsi dei corpi, e dar loro una figura ed una forma accidentale. L’Arcangelo Raffaello diceva a Tobia: Quando io era con Voi per volere di Dio, pareva che io mangiassi e bevessi, ma io faceva uso di cibi invisibili. [Tob. XII].

Cosi, l’apparizione degli Angeli sotto una forma sensibile non è una visione immaginaria. La visione immaginaria non è che nella immaginazione di colui che la vede: essa sfugge agli altri. Ora, la Scrittura ci parla sovente degli angeli che appaiono sotto forme sensibili, e che sono visti indistintamente da tutti. Gli angeli che appariscono ad Abramo sono visti dal patriarca, da tutta la sua famiglia, da Lot e dagli abitanti di Sodoma. Cosi pure l’Angelo che appare a Tobia è visto da lui, da sua moglie, da suo figlio, da Sara e da tutta la famiglia di Sara. È dunque manifesto che non era quella una visione immaginaria. Era bensì una visione corporea, nella quale quegli che ne gode, vede una cosa che é esteriore a lui. Ora, l’oggetto di una simile visione, vale a dire la cosa esteriore non può essere altro che un corpo. Ma, poiché gli Angeli sono incorporei e che non hanno corpi, ai quali siano naturalmente uniti, ne risulta, ch’essi rivestono, quando ne hanno bisogno, di corpi formati accidentalmente. Questi corpi, composti d’aria condensata, o di un’altra materia, gli Angeli non gli prendono per sé ma per noi. Tutte le loro apparizioni si riferiscono al mistero fondamentale dell’Incarnazione del Verbo, e alla salute dell’uomo del quale è la indispensabile condizione. Le une lo preparano, le altre lo confermano, intanto che esse provano la esistenza del mondo superiore con le sue realtà eterne, gloriose o terribili. « Conversando familiarmente con gli uomini, dice san Tommaso, gli Angeli vogliono mostrarci la verità di questa grande società degli esseri intelligenti, che noi attendiamo nel cielo. Nell’antico Testamento, le loro apparizioni avevano per scopo di preparare il genere umano all’Incarnazione del Verbo, imperocché erano tutte figura dell’apparizione del Verbo nella carne.

Nel Nuovo, esse concorrono al compimento del mistero, sia in se medesimo, ossia nella Chiesa e negli eletti. È facile convincersene esaminando le circostanze delle apparizioni angeliche a Zaccaria, alla Santa Vergine, a San Giuseppe, a San Pietro, agli apostoli, ai martiri, ai Santi in tutti i secoli. Secondo i più dotti interpreti, le apparizioni accidentali degli Angeli sulla terra non sarebbero che il preludio di una apparizione abituale in cielo. «I reprobi, dicono essi, saranno tormentati non’ solamente nella loro anima, per la conoscenza dei loro supplizi: ma altresì nei loro corpi, vedendo le figure orribili dei demoni. In essi gli occhi del corpo hanno peccato nello stesso modo che gli occhi dell’anima; è dunque giusto che tanto gli uni che gli altri ricevano il loro castigo.

«Parimente, è probabile che nel cielo gli Angeli prenderanno corpi magnifici aerei, a fine di rallegrare gli occhi degli eletti, e di conversare con essi a bocca a bocca. Ciò pare esatto, da un lato, per l’amicizia, per l’unione, per la comunicazione intima, la quale esisterà tra gii Angeli ed i beati, come concittadini della stessa patria: dall’altro per la ricompensa dovuta alla mortificazione dei sensi ed alla vita angelica che i Santi hanno menato quaggiù, nella speranza di godere della società degli Angeli. Se fosse altrimenti, i sensi degli eletti non riceverebbero nessuna gioia dagli Angeli, ed anche ogni relazione con essi sarebbe loro impossibile. Tutto si limiterebbe ad una comunicazione mentale, ed il corpo sarebbe privato di una parte della sua ricompensa! »

Parlando del giudizio ultimo essi aggiungono : « Egli è credibilissimo che tutti gli Angeli riappariranno in corpi splendidi; altrimenti questa gloria del Figliuolo di Dio non sarebbe veduta dagli empi, pei quali appunto sarà soprattutto mostrata. L’esercito potente dei cieli niente aggiungerebbe alla maestà esteriore del Giudice supremo; maestà che la Scrittura prende cura di descrivere con tanta precisione. La moltitudine degli Angeli essendo innumerevole, essa riempirà dunque le immense pianure dell’aria e presenterà alle nazioni radunate, il formidabile aspetto d’un’armata schierata in battaglia. Non è meno credibile che i demoni appariranno sotto forme corporee: altrimenti non sarebbero veduti dai reprobi, e però la gloria del Nostro Signore e la confusione dei malvagi esigono che siano visibili.

Qualità degli Angeli. Dalla semplicità o incorporeità della loro natura, risulta che i principi della Città del bene sono incorruttibili. Esenti da languori e da infermità, essi non conoscono né il bisogno di nutrimento o di riposo, né le debolezze dell’infanzia, né le infermità della vecchiaia. Risulta ancora ch’essi sono dotati di una bellezza, di una intelligenza, di una agilità e di una forza incomprensibile all’uomo. Iddio è la bellezza perfetta e la sorgente di ogni bellezza. Quanto più un essere Gli rassomiglia, tanto più è bello. I cieli sono belli, la terra è bella, perché i cieli e la terra riflettono alcuni raggi della bellezza del Creatore. Di tutti gli esseri materiali il corpo umano è il più bello, perché possiede in un grado più elevato la forza e la grazia, la cui felice unione forma il marchio della bellezza. L’anima è più bella del corpo, perché è l’immagine più perfetta dell’eterna Bellezza. L’Angelo, dunque essendo alla sua volta l’immagine incomparabilmente più perfetta di questa bellezza, é incomparabilmente più bello che l’anima umana. Per conseguenza quale spettacolo offre agli sguardi il Re della Città del bene, circondato da tutti questi Principi, rilucenti come tanti soli, il meno bello dei quali eclissa tutte le bellezze visibili! Il giorno in cui sarà dato all’uomo di vederlo faccia a faccia, entrerà in un rapimento, indicibile anche a Paolo che ne fu testimone. Frattanto l’umanità ha l’istinto di questa suprema Bellezza; imperocché, per indicare il grado più perfetto della bellezza sensibile essa dice; “bello come un Angelo”. La bellezza degli Angeli è il raggio della loro perfezione essenziale, e questa loro essenziale perfezione è l’intelligenza. Chi ne dirà l’estensione? Risponde san Tommaso : « L’intelligenza angelica è deiforme, vale a dire, che l’Angelo acquista la conoscenza della verità non mediante la vista delle cose sensibili, né per via del ragionamento, ma per il semplice sguardo. Come sostanza esclusivamente spirituale la potenza intellettiva é in lui completa, cioè dire ch’essa non é mai in potenza come nell’uomo, ma sempre in atto, di maniera che l’Angelo conosce attualmente tutto ciò che può conoscere naturalmente. »

Ei lo conosce tutto intero, nel complesso, e nei particolari, nel principio, e nelle ultime conseguenze. «Le intelligenze d’un ordine inferiore, come l’anima umana, hanno bisogno per giungere alla perfetta cognizione della verità di un certo movimento, di un certo lavoro intellettuale, col quale esse procedono dal noto all’ignoto. Questa operazione non avrebbe luogo se, dal momento che esse conoscono un principio, ne vedessero istantemente tutte le conseguenze. Tale è la prerogativa degli Angeli. Tosto che sono in possesso di un principio, già conoscono tutto quel che racchiude: ecco perché si chiamano intellettuali, e le anime umane semplicemente ragionevoli. Così non può esservi né falsità, né errore, né inganno nell’intelligenza di nessun Angelo.

A che cosa si estende la conoscenza dei Principi della Città del bene? Essa si estende a tutte le verità dell’ordine naturale. Per essi il cielo e la terra niente hanno di celato; e dacché sono confermati in grazia, conoscono la maggior parte delle verità dell’ordine soprannaturale. Noi diciamo “la maggior parte”, poiché sino al di del giudizio, in cui il corso dei secoli finirà, gli Angeli riceveranno delle nuove comunicazioni intorno al governo del mondo, ed in particolare circa la salute dei predestinati.

Se l’intelligenza dei principi della Città del bene è per essi la sorgente di voluttà ineffabili, essa è per noi un triplice soggetto di consolazione, di tristezza e di speranza; di consolazione, perché i buoni Angeli non si servono della loro intelligenza, se non che nel nostro interesse e quello del nostro Padre celeste. Di tristezza, perché in Adamo noi possedevamo un’intelligenza simile alla loro, esente da errore e noi l’abbiamo perduta. Di speranza, perché noi la ritroveremo in cielo, e già ne possediamo le primizie negli splendori della fede.

   Dalla incorporeità degli Angeli nasce la loro agilità. Come essere finito, l’Angelo non può essere dappertutto nel tempo stesso, ma tale è la rapidità de’ suoi movimenti, che equivalgono quasi all’ubiquità. « L’Angelo, dice san Tommaso, non è composto di diverse nature, di modo che il movimento dell’una impedisca o ritardi il movimento dell’altra; come avviene all’uomo, in cui il movimento dell’anima è contenuto dagli organi. Ora dunque, siccome nessun ostacolo lo ritarda né lo impedisce, l’essere intellettuale si muove in tutta la pienezza della sua forza. Per lui lo spazio sparisce. Così, i principi della Città del bene possono a un colpo d’ occhio, essere in un luogo, ed in un altro colpo d’occhio, in altro luogo senza durata intermedia.

Tale è d’altro canto la loro sottigliezza, che i corpi più opachi sono per essi meno di un velo diafano che per i raggi del sole. Come agilità, la forza degli angeli prende la sua sorgente nell’essenza del loro essere, il quale partecipa più abbondantemente d’ogni altro dell’essenza divina, forza infinita. [Diamo a questa partecipazione il significato delle parole di san Pietro: divinae consortae naturae. Ciò che non è del panteismo.] Cosi l’una e l’altra sorpassano tutto ciò che noi conosciamo d’agilità e di forza nella natura, vale a dire che esse sono incalcolabili e si esercitano sul mondo e sull’uomo. Sul mondo: gli angeli sono quelli che gli imprimono il moto. Tutte le creature materiali, come inerti di loro natura, sono nate per essere messe in movimento dalle creature spirituali, siccome il nostro corpo e l’anima nostra. « È legge della divina sapienza, insegna l’angelico Dottore, che gli esseri inferiori siano mossi dagli esseri superiori. Ora la natura materiale essendo inferiore alla natura spirituale, è manifesto ch’essa è posta in movimento da esseri spirituali. Tale è l’insegnamento della filosofia e della fede».

Ora, la forza d’impulsione della quale gli Angeli sono dotati è cosi grande, che basta un solo per mettere in moto tutti i corpi del sistema planetario; e benché sia ad oriente la sua azione, secondo un’antica credenza conservata pure presso i pagani, si fa sentire a tutte le parti del globo. Di guisa che lo stesso uomo, la cui mano pone in azione la ruota maestra di un’immensa macchina produce senza cambiar di luogo, il movimento di tutte le ruote secondarie.

La conseguenza logica di questa forza d’impulsione è che gli Angeli possono spostare i corpi più voluminosi e trasportarli dove vogliono con una tale rapidità che sfugge al calcolo. Secondo sant’Agostino la forza naturale dell’ultimo degli Angeli è tale, che tutte le creature corporee e materiali gli obbediscono quanto al moto locale, nella sfera della loro attività, a meno che Iddio o un Angelo superiore non vi ponga ostacolo. Se dunque Iddio lo permettesse, un Angelo solo trasporterebbe un’intiera città da un luogo ad un altro, come l’hanno fatto per la santa Casa di Loreto trasportata da Nazaret in Dalmazia, e di Dalmazia al luogo ove riceve oggi gli omaggi del mondo cattolico.

Non solamente gli Angeli imprimono il moto al mondo materiale, ma lo conservano, sia impedendo ai demoni di portare la perturbazione nelle leggi che presiedono alla sua armonia, ossia vegliando al mantenimento perpetuo di quelle leggi ammirabili. «Tutta la creazione materiale, dice sant’Agostino, è amministrata dagli Angeli. Perciò nulla impedisce di dire, aggiunge san Tommaso, che gli Angeli inferiori sono preposti dalla Sapienza divina al governo dei corpi inferiori, e i superiori al governo dei corpi superiori, e in fine, i più elevati, all’adorazione dell’Essere degli esseri».

Non bisogna dunque illudersi: l’ordine meraviglioso che ci colpisce nella natura e soprattutto nel firmamento, è dovuto non al caso, non alla forza delle cose, non a leggi immutabili, ma all’azione continua dei Principe della Città del bene. Sotto gli ordini del loro Re, essi conducono gli immensi globi che compongono la splendida armata dei cieli, come tanti ufficiali conducono i loro soldati, come i capi del treno conducono le terribili macchine; con questa differenza che gli ultimi possono ingannarsi, i primi giammai. A malgrado della spaventosa rapidità che imprimono a queste masse gigantesche, essi le mantengono però nella loro orbita, facendo percorrere ad ognuna la sua ruota con una precisione matematica. Un giorno solamente, che sarà l’ultimo dei giorni, questa magnifica armonia sarà rotta. All’avvicinarsi del Giudice supremo, allorché tutte le creature si armeranno contro l’uomo colpevole, i potenti conduttori degli astri, rovesceranno 1’ordine del sistema planetario, allora le nazioni, inorridiranno di timore nell’aspettativa di ciò che deve succedere. Sull’uomo: In virtù della stessa legge di subordinazione gli esseri spirituali di un ordine inferiore sono sottomessi all’azione degli esseri spirituali di un ordine superiore. Così l’uomo è soggetto corpo e anima, alle potenze angeliche e gli Angeli non sono a lui soggetti. Bisognerebbe scorrere tutta la Scrittura qualora si volessero riferire le diverse operazioni degli Angeli sul corpo dell’uomo. Citiamo soltanto l’esempio del profeta Abacuc trasportato da un Angelo dalla Palestina in Babilonia, a fine di portare il suo nutrimento a Daniele rinchiuso nella fossa coi leoni. Citiamo altresì l’esercito del re d’Assiria Sennacheribbe, del quale cent’ottantacinque mila uomini sono tagliati a pezzi da un Angelo in una notte. Ricordando questo fatto a proposito delle dodici legioni d’Angeli che Nostro Signore avrebbe potuto chiamare intorno a sé nell’orto degli Ulivi, san Crisostomo esclama con ragione: « Se un Angelo solo ha potuto mettere a morte cent’ottantacinque mila soldati che cosa non avrebbero fatto dodici legioni d’Angeli? ».

Si potrebbe aggiungere il passo cosi noto dell’Angelo sterminatore, al quale pochi istanti bastarono per fare perire tutti i primogeniti degli uomini e degli animali nel vasto regno d’Egitto. Quanto alla nostra anima, gli Angeli possono esercitare, e in realtà esercitano su di lei una azione a quando a quando ordinaria e straordinaria, di cui è difficile misurare la potenza. L’intelletto deve ad essi i suoi lumi più preziosi. «Le rivelazioni delle cose divine, dice il gran san Dionigi, giungono agli uomini per mezzo degli Angeli ».

Dalla prima sino all’ultima, tutte le pagine dell’antico e del nuovo Testamento verificano le parole dell’illustre discepolo di san Paolo. Abramo, Lot, Giacobbe, Mosè, Gedeone, Tobia, i Maccabei, la SS. Vergine, san Giuseppe, le sante donne e gli Apostoli sono istruiti e diretti da questi spiriti amministratori dell’uomo e del mondo. Noi vedremo che l’Angelo custode compie certo con meno splendore, ma non con meno realtà le stesse funzioni rispetto all’anima affidata alla sua sollecitudine. Questa illuminazione così potente intorno alla condotta della vita ha luogo in parecchie maniere. Ora l’Angelo fortifica l’intelletto dell’uomo, affinché possa concepire la verità; ora gli presenta immagini sensibili, mediante le quali egli può conoscere la verità, perché senza di esse non conoscerebbe. A questo modo si conduce l’uomo medesimo nell’istruirne un altro.

Si tratta per caso della volontà? È vero che gli Angeli, buoni o malvagi, non possono forzare le sue determinazioni, imperocché l’anima resta sempre libera; ma l’esperienza universale insegna quanto le ispirazioni degli Angeli buoni e le suggestioni degli angeli cattivi sono efficaci, per condurci al bene come al male. Tanto gli uni che gli altri, traggono gran parte della loro forza dalla potenza che hanno i principi della Città del bene e della Città del male, di agire profondamente sopra i sensi esteriori.

Mercé di essi, i demoni affascinano l’immaginazione con lusinghiere immagini che tolgono al male la sua bruttura, e lo rivestono dell’apparenza di bene; sommuovono tutta la parte inferiore dell’anima e accendono in tal modo la concupiscenza. Al contrario i buoni Angeli allontanano le nubi dell’errore e le tenebre delle passioni, riconducono i sensi alla loro natia purezza, e producono come una seconda veduta, mediante cui le cose si presentano agli apprezzamenti dell’anima sotto il vero loro aspetto. In certi casi, gli Angeli possono altresì privare l’uomo dell’uso dei suoi sensi, come avvenne agli abitanti di Sodoma. A questa legge si ricollega la lunga serie dei fatti del soprannaturale divino e del soprannaturale satanico, che riempiono gli annali di tutti i popoli, e di cui la ragione non può molto meno spiegare la natura o disconoscere la causa, come non può negarne l’autenticità. I Pagani meno ignoranti o meno ostinati nell’errore dei nostri razionalisti moderni, che non avevano inventato ancora il sistema delle leggi immutabili, proclamano altamente e senza restrizione il libero governo dell’uomo e del mondo, mediante le Potenze angeliche. Oltre le testimonianze già citate, abbiamo quella di Apuleio. Esso è talmente esplicito, che si direbbe una pagina del libro di Giobbe. « Se, dice egli, è sconveniente per un re di far tutto, e governare tutto da sé medesimo, egli è molto più per Iddio. Per conservar a Lui tutta la sua maestà, bisogna dunque credere che Egli stia assiso sul suo sublime trono e che governi tutte le parti dell’universo con le potenze celesti. Infatti Egli governa il mondo inferiore mediante le loro cure: perciò non Gli occorre né fatica, né calcoli, cose di cui l’ignoranza o la debolezza dell’uomo hanno bisogno.

« Quando dunque il Re ed il Padre degli esseri che noi non possiamo vedere, fuorché con gli occhi dell’anima, vuol porre in movimento 1’immensa macchina dell’universo, risplendente di stelle, fulgida di mille bellezze, regolata dalle sue leggi Ei fa, se dirlo è permesso, come facciamo nel momento di una battaglia. Al suono della tromba i soldati, animati dai suoi accenti, si pongono in moto; chi piglia la sua spada, chi il suo scudo; quelli la loro corazza, il loro elmo, i loro stivali; questi inforca il suo cavallo, l’altro attacca i suoi cavalli alla quadriga, ciascuno con ardore si prepara. I veliti formano le loro file, i capitani fanno la loro ispezione e i cavalieri ne pigliano il comando. Ognuno si occupa del suo ufficio. Ciononostante tutto l’esercito obbedisce ad un sol generale che il re pone alla sua testa. Cosi avviene lo stesso nel governo delle cose divine ed umane. Sotto gli ordini di un solo capo, ciascuno conosce il suo dovere e lo compie, quantunque esso non conosca la molla segreta che lo fa agire e che questa potenza sfugge agli occhi del corpo. Prendiamo un esempio in un ordine meno elevato. Nell’uomo l’anima è invisibile. Però bisognerebbe essere pazzo per negare che tutto ciò che l’uomo fa, viene da questo principio invisibile. A lui deve la vita umana e la sua sicurezza, i campi’ la loro cultura, i frutti il loro uso; le arti il loro esercizio; insomma tutto quel che fa l’uomo».

Bossuet è stato dunque l’eco della fede universale, allorquando ha pronunziato questa magistrale parola: « La subordinazione delle nature create chiede che questo mondo sensibile ed inferiore sia diretto dal superiore ed intelligibile, e la natura corporea dalla natura spirituale. [Sermone per la festa dei SS. Angeli p. 402, t. xvi, edit. Lebel.]

Che l’uomo dunque se ne ricordi. Come il mondo materiale é governato dalle Potenze angeliche, egli stesso é posto sotto l’azione immediata di un Angelo buono o malvagio. Non una parola, non un’azione, non un minuto nella sua esistenza che non sia influenzato da una o dall’altra di queste potenti creature. Ma è dolce il pensare che il potere dei Principi della Città del bene supera quello dei principi della Città del male.

« In Dio, dice l’Angelo delle Scuole, è la sorgente principale di ogni superiorità. Quanto più esse si accostano a Dio, tanto più le creature partecipano di Esso e tanto più sono perfette. Ora, la perfezione più grande, quella che si accosta più di tutto a quella di Dio, appartiene agli esseri che godono di Dio medesimo; tali sono gli Angeli buoni. I demoni sono privi di questa perfezione. Ecco perché i buoni Angeli sono superiori a loro in potenza, e li tengono soggetti al loro impero. Di qui deriva, come conseguenza, che l’ultimo degli Angeli buoni comanda al primo dei demoni, atteso che la forza divina, alla quale egli partecipa, la vince sulla forza della natura angelica».

Numero degli angeli. Quando gli autori ispirati, ammessi a vedere talune delle realtà del mondo superiore, vogliono indicare la moltitudine degli Angeli, essi non parlano che di milioni e di centinaia di milioni. « Io mi stava osservando, dice Daniele, fino a tanto che furono alzati dei troni e l’Antico dei giorni si assise: le sue vestimenta candide come neve e i capelli della sua testa come lana lavata. Il trono di Lui era di fiamme infuocate; le ruote del trono erano vivo fuoco. Rapido fiume di fuoco usciva dalla sua faccia. I suoi ministri erano migliaia di migliaia e i suoi assistenti dieci mila volte cento mila. » [Dan., VII, 10].

Testimone dello stesso spettacolo san Giovanni, continua: « E io vidi e intesi intorno al trono la voce di una moltitudine di Angeli il cui numero era di migliaia di migliaia.» Più sotto avendo osservato 1’universalità degli eletti del sangue d’Abramo, aggiunge: «Dopo ciò vidi una grande moltitudine che nessuno poteva contare, di tutti i popoli e di tutte le lingue. » Ora sin dal principio del mondo, ciascun predestinato e ciascun reprobo ha per guardiano un Angelo dell’ordine inferiore; cosicché il numero degli Angeli di tutte le gerarchie è incalcolabile.

San Dionigi, depositario degli insegnamenti del suo maestro Paolo rapito al terzo cielo, tiene lo stesso linguaggio : «I beati eserciti delle superne menti, superano, egli dice, per numero tutti i poveri calcoli della nostra aritmetica materiale. Non sospettate nessuna esagerazione nelle parole dei Profeti. Il numero degli Angeli é incalcolabile; eccede quello di tutte le creature anche quello degli uomini che furono, che sono e che saranno ».

L’Angelo della scuola ne dà la ragione; e noi traduciamo il suo pensiero. Il fine principale che Dio si è proposto nella creazione degli esseri è la perfezione dell’universo. La perfezione o la bellezza dell’universo risulta dalla più splendida manifestazione degli attributi di Dio, nei limiti segnati dalla sua sapienza. Quindi ne segue che quanto più certe creature sono belle e perfette, tanto più ne è stata abbondante la creazione. Il mondo materiale conferma questo ragionamento. Vi si rinvengono due specie di corpi: i corruttibili e gli incorruttibili. La prima si riduce al nostro globo, abitazione degli esseri corruttibili; ed il globo nostro è un nulla in confronto ai globi del firmamento. Ora siccome la grandezza è per i corpi la misura della perfezione, il numero lo è per gli spiriti. Cosi la ragione medesima conduce a questa conclusione, che gli esseri immateriali superano gli esseri materiali in numero incalcolabile. Aspettando che il cielo ci riveli la esattezza di queste magnifiche supposizioni del genio illuminato dalla fede, è per il nostro pellegrinaggio un grande argomento di sicurezza il sapere che gli Angeli buoni sono molto più numerosi dei cattivi. « La coda del Dragone, dice san Giovanni, non trascinò seco che la terza parte delle stelle ». Non avvi nessuno interprete che per queste stelle non intenda parlarsi qui degli angeli ribelli.

Gerarchie e ordini degli angeli. Una moltitudine senza ordine è la confusione: tale non può essere lo stato degli Angeli. « Tutte le opere di Dio, dice l’Apostolo, sono ordinate; » o, come è scritto altrove: « Dio ha fatto tutte le cose in numero, peso e misura », cioè dire con ordine perfetto. L’ordine è la prima cosa che ci colpisce nel mondo materiale. L’ordine produce l’armonia, e l’armonia suppone la mutua subordinazione di tutte le parti dell’ universo. Dal canto suo questa armonia rivela una causa intelligente che l’ha creata e che la mantiene.

Senza dubbio la stessa armonia deve esistere per quanto è possibile più perfetta nel mondo degli spiriti, archetipo del mondo dei corpi e capo d’opera della sapienza creatrice. La subordinazione, per conseguenza la gerarchia degli esseri che la compongono, è dunque la legge del mondo invisibile, come è la legge del mondo visibile. Tali sono l’insegnamento della fede e l’affermazione invariabile della ragione. Ora secondo l’etimologia delle parole: La Gerarchia è un sacro principato. Principato significa a un tempo il principe stesso e la moltitudine posta sotto i suoi ordini. Di qui derivano bellissime conseguenze che mandano una viva luce sull’ordine generale dell’universo e sul governo particolare della Città del bene. Dio essendo il creatore degli Angeli e degli uomini non ha rispetto a sé che una sola gerarchia della quale Egli è il supremo gerarca. Lo stesso è rispetto al Verbo incarnato. Re dei Re, Signore dei Signori, a cui è stata data ogni potenza in cielo e in terra, Egli è il supremo gerarca degli Angeli e degli uomini e per conseguenza della Chiesa trionfante e della Chiesa militante.

Pietro, come Vicario del Verbo incarnato è il supremo gerarca della Chiesa militante in virtù di quelle parole divine: “Pasci i miei agnelli, pasci le mie pecore”. Dal canto suo poi Pietro ha stabilito altri gerarchi, i quali essi pure hanno stabilito rettori subalterni, incaricati di dirigere le diverse provincie della Città del bene. Ciononostante tutti non formano che una sola e medesima gerarchia, poiché tutti militano sotto uno stesso capo, Gesù Cristo. Vedremo tra poco che la gerarchia angelica è il tipo della gerarchia ecclesiastica, tipo essa stessa della gerarchia sociale.

Se consideriamo il principato nei suoi rapporti con la moltitudine, chiamasi gerarchia l’insieme degli esseri soggetti ad una sola e medesima legge. Se essi sono soggetti a leggi differenti formano delle gerarchie distinte, senza cessare di far parte della gerarchia, generale.

   Cosi vediamo in uno stesso reame e sotto uno stesso re, delle città governate da differenti leggi. [Vediamo altresì da questo che la centralizzazione in un grande impero è contraria alle leggi fondamentali dell’ordine e, come conseguenza inevitabile, ella deve produrre la collisione, l’inquietudine, la ribellione, la rovina.]

Ora, gli esseri non sono soggetti alle stesse leggi, se non perché hanno la stessa natura e le stesse funzioni. Risulta da ciò che gli Angeli e gli uomini non avendo né la stessa natura né le stesse funzioni, formano delle gerarchie distinte; risulta altresì che tutti gli Angeli non avendo le stesse funzioni, il mondo angelico si divide in parecchie gerarchie.

Che gli Angeli e gli uomini formino delle gerarchie distinte, la ragione e la prova è nella perfezione relativa degli uni e degli altri. Questa perfezione è tanto più grande, quanto gli esseri partecipano più abbondantemente delle perfezioni di Dio. Come creatura puramente spirituale, l’Angelo ne partecipa più dell’uomo. Infatti l’Angelo riceve le illuminazioni divine nell’intelligibile purità della sua natura, mentre l’uomo le riceve sotto le immagini più o meno trasparenti delle cose sensibili, come la parola ed i Sacramenti.

L’Angelo è dunque una creatura più perfetta dell’uomo, e deve per conseguenza formare una diversa gerarchia. Inoltre siccome vi è gerarchia, vale a dire ordine di subordinazione nel mondo angelico, è evidente che tutti gli Angeli non ricevono ugualmente le divine illuminazioni. Vi sono dunque degli Angeli superiori agli altri. La loro superiorità ha per fondamento la cognizione più o meno perfetta, più o meno universale della verità.

« Questa conoscenza, dice san Tommaso, segna tre gradi negli Angeli; imperocché essa può essere riguardata sotto un triplice rapporto. «Primieramente, gli Angeli possono vedere la ragione delle cose in Dio, Principio primo e universale. Questa maniera di conoscere è il privilegio degli Angeli che si accostano più a Dio, e che secondo la bella parola di san Dionigi, stanno dentro il suo vestibolo. Questi Angeli formano la prima gerarchia. « In secondo luogo possono essi vederla nelle cause universali create che appellansi le leggi generali. Queste cause sono multiple, la conoscenza è meno precisa e meno chiara. Questa maniera di conoscere è la dote della seconda gerarchia.  “In terzo luogo, possono essi vederla nella sua applicazione agli esseri individuali, in tanto che essi dipendono dalle loro proprie cause, o dalle leggi particolari che le reggono. In tale modo conoscono gli Angeli della terza gerarchia”.

Vi sono dunque tre gerarchie tra gli Angeli e non sono che tre: una quarta non troverebbe posto. Di fatti queste tre gerarchie hanno la loro ragione d’essere nelle tre maniere possibili di vedere la verità: in Dio, nelle cause generali, nelle cause particolari, vale a dire come parla il sublime areopagita, nella vita più o meno abbondante della quale godono gli Angeli che le compongono.

La rivelazione ci scuopre altresì in ciascuna gerarchia tre cori o ordini differenti. Chiamasi “coro” ovvero “ordine angelico”, una certa moltitudine di Angeli, simili tra loro per i doni della natura e della grazia. Ogni gerarchia ne racchiude tre non più che tre. Più sarebbe troppo; meno, non basta. Infatti ogni gerarchia compone come un piccolo stato. Ora ciascuno stato possiede necessariamente tre classi di cittadini né più né meno. « Per quanto siano numerosi, dice san Tommaso, tutti i cittadini di uno stato si riducono a tre classi, secondo le tre cose che costituiscono ogni società bene ordinata: il principio, il mezzo e il fine. Perciò noi vediamo invariabilmente tre ordini tra gli uomini; gli uni sono al primo grado, ed è l’aristocrazia; gli altri all’ultimo, cioè il popolo, gli altri tengono il mezzo, e quest’è la cittadinanza.

« Così avviene fra gli Angeli. In ciascuna gerarchia vi sono ordini differenti. Simili alle gerarchie medesime questi ordini si distinguono per ’eccellenza naturale degli Angeli che gli compongono e per la differenza delle loro funzioni. Tutte queste funzioni si riferiscono necessariamente a tre cose né più né meno: il principio, il mezzo e il fine ». Vedremo ciò chiaramente con la spiegazione delle particolari funzioni di ogni ordine.

Prima di darla confermiamo che la magnifica gerarchia del cielo, o della Chiesa trionfante si prova di per se stessa, riflettendosi agli occhi nostri nella gerarchia della Chiesa militante, quell’altra porzione della Città del bene. Basta aprire gli occhi per vedere che la Chiesa terrena si divide in tre gerarchie, ed ogni gerarchia in tre ordini.

   La prima si compone di prelati superiori, e racchiude tre ordini: il supremo pontificato, l’arcivescovado e l’episcopato; al supremo pontificato appartiene il cardinalato, imperocché i cardinali sono i coadiutori del supremo pontefice; come l’ arcivescovado appartiene al patriarcato, la cui giurisdizione si estende a parecchie diocesi ed anche a parecchie provincie.

   La seconda si compone di prelati mezzani, i quali ricevono la direzione dai prelati superiori, e che adempiono a certe funzioni, sia in virtù della loro propria autorità, ossia per delegazione. Essa racchiude altresì tre ordini: gli abati a cui è affidato il potere di benedire e qualche volta di confermare. I priori e i decani delle collegiate o delle comunità, i cui poteri sono più o meno estesi. I rettori ed i curati, incaricati della condotta delle parrocchie, ed ai quali si riferiscono nella qualità loro di ausiliari, i vicari ed i chierici inferiori. Tutti hanno per missione di amministrare i Sacramenti.

   La terza si compone dei fedeli o del popolo; ai quali appartiene il ricevere i beni spirituali, ma non amministrarli. Come le altre, quest’ultima gerarchia racchiude tre ordini, le vergini, i continenti ed i maritati, i cui doveri sono diversi, come la loro stessa vocazione é distinta. Nella regolarità del loro ministero queste gerarchie e questi ordini presentano la più bella armonia che l’uomo possa contemplare quaggiù, e quest’armonia non é altro che l’immagine dell’armonia mille volte più bella che noi vedremo nel cielo. Lassù si mostreranno agli occhi nostri senza nubi e senza velo, le tre gerarchie angeliche, con i loro nove cori, di luce e di beltà risplendenti.

Nella prima: i Serafini, i Cherubini ed i Troni. Nella seconda: le Dominazioni, i Principati e le Potenze. Nella terza: le Virtù, gli Arcangeli e gli Angeli.

Funzioni degli angeli. Il mondo angelico composto di tre grandi gerarchie, ed ogni gerarchia divisa in tre ordini distinti, ci apparisce come un magnifico esercito in bell’ordine. Il saper questo non basta. Per godere dello spettacolo di un immenso esercito nei suoi formidabili splendori, bisogna vederlo in movimento. Cosi, per avere un’idea dell’esercito armato dei cieli, e misurare il luogo occupato nel piano provvidenziale, con i Principi della Città del bene, è d’uopo studiarli nell’esercizio delle loro funzioni. Essere purificati, illuminati, perfezionati; ovvero purifìcare, illuminare e perfezionare; tal’è il duplice fine a cui si riferiscono tutte le funzioni delle gerarchie e degli ordini angelici. Qual è il significato di queste misteriose parole? Tutti gli Angeli non conoscono del pari i segreti divini. La prima gerarchia, abbiamo detto con san Tommaso, vede la ragione delle cose in Dio medesimo; la seconda, nelle cause seconde universali: la terza, nell’applicazione di queste cause agli effetti particolari.

Alla prima appartiene la considerazione del fine; alla seconda, la disposizione universale dei mezzi; alla terza, il porla in opera. I lumi attinti nel seno stesso di Dio gli Angeli della prima gerarchia gli comunicano, per quanto occorre, agli Angeli della seconda gerarchia: questi agli Angeli della terza; e quelli della terza ne fanno parte agli uomini. Ma la reciprocità non ha luogo, atteso che gli Angeli inferiori non hanno nulla da insegnare agli Angeli superiori, né gli uomini agli Angeli.

Questa comunicazione incessante, come necessaria al governo del mondo, durerà sino all’ultimo giudizio. Essa racchiude quel che noi abbiamo chiamata la purificazione, l’illuminazione ed il perfezionamento. Infatti la manifestazione di una verità a colui che non la conosce, purifica il suo intelletto, dissipando le tenebre dell’ignoranza; essa illumina facendo rifulgere la luce dove regnava l’oscurità; essa lo perfeziona dandogli una scienza certa della verità. Tali sono le operazioni degli Angeli superiori rispetto agli Angeli inferiori; i quali sono, per questo, detti purificati, illuminati e perfezionati. Neppure una di quelle misteriose operazioni della gerarchia celeste, che non si rinvenga nella gerarchia della chiesa militante. Ora le comunicazioni angeliche si fanno mediante la parola; imperocché gli Angeli, immagini perfette del Verbo, hanno un linguaggio e si parlano tra di loro. Che gli Angeli parlino, san Paolo ce lo insegna, allorché dice: “Quando io parlassi le lingue degli uomini e degli Angeli”. Nonpertanto guardiamoci dall’immaginare che il linguaggio angelico sia simile al linguaggio umano, e che abbia bisogno di suoni articolati o di segni esteriori, veicoli del pensiero tra un Angelo e l’altro.

Questo linguaggio è tutto interiore, tutto spirituale, come lo stesso Angelo. Ei consiste da parte dell’Angelo superiore nella volontà di comunicare una verità all’Angelo inferiore; e dalla parte di questi nella volontà di riceverla. Queste due operazioni non incontrando nessun ostacolo, né nella natura degli Angeli, né nelle loro disposizioni individuali, sono infallibili ed istantanee. Tanto la seconda che la terza gerarchia ricevono dalla prima, l’una immediatamente, l’altra mediatamente le divine illuminazioni. Di qui, relativamente alla loro dignità ed alle loro funzioni quella grande divisione degli Angeli, in Angeli assistenti e in Angeli esecutori, o amministratori. I primi considerano in Dio stesso la ragione delle cose da fare, e le manifestano agli Angeli inferiori, incaricati di eseguirle. Tale è l’immagine sotto la quale la sacra Scrittura ci rappresenta gli Angeli della prima gerarchia. Uno di questi principi illustri della corte del grande Re, parlando a Tobia gli dice: « Io sono Raffaello, uno dei sette angeli che siamo assistenti dinanzi a Dio. » Che letteralmente vuol dire: “che noi stiamo in piedi dinanzi al suo trono”.

Bisogna dire che questa bella espressione “essere assistenti al trono di Dio” ha parecchi significati. Gli Angeli assistono dinanzi a Dio allorquando essi prendono i suoi ordini; allorché Gli porgono le preghiere, le elemosine, le buone opere, i voti dei mortali; quando essi difendono contro i demoni la causa degli uomini al supremo tribunale; quando penetrano i loro sguardi nei raggi della faccia divina per ritrarne le ineffabili voluttà che costituiscono la loro felicità. In quest’ ultimo significato tutti gli Angeli, nessuno eccettuato, sono assistenti dinanzi a Dio; poiché tutti godono e godono continuamente della beatifica visione, allorché pure essi compiono le loro missioni sul governo del mondo. Nondimeno nel senso preciso, l’espressione “assistere dinanzi a Dio” designa gli Angeli della prima gerarchia, che non hanno costume d’essere impiegati in ministeri esterni. Questi Angeli assistenti al trono di Dio e superiori a tutti gli altri si chiamano: i Serafini, i Cherubini, i Troni, e formano la prima gerarchia. Poiché le gerarchie del mondo inferiore non sono che un riflesso delle gerarchie del mondo superiore; un solido confronto, preso dalla corte dei re della terra, ci aiuta a comprendere il grado e le funzioni di questi grandi Ufficiali della Corona eterna. Fra i cortigiani ve ne sono di quelli che debbono alla loro dignità l’entrare famigliarmente presso il Principe, senza aver bisogno d’essere introdotti; altri che aggiungono a questo primo privilegio quello di conoscere i segreti del Principe; altri finalmente ancor più favoriti, compagni inseparabili del Principe, sembrano non fare che un solo con Lui.

Questi ultimi ci rappresentano i Serafini. Creature le più sublimi che Dio abbia tratte dal nulla, questi Spiriti angelici debbono il loro nome alla fiamma del loro amore. Posti in cima delle gerarchie create, essi giungono fin dove il finito può giungere all’infinito, alla Trinità divina, all’Amore stesso ed al centro eterno di ogni amore. Lungi dal raffreddare il loro ardore, le solenni missioni che gli sono qualche volta affidate sembrano accrescerlo e far loro ripetere, con una più intima voluttà, il cantico sentito da Isaia: « I Serafini stavano in piedi, e chiamandosi l’un l’altro, dicevano: Santo, santo, santo è il Signore Dio degli eserciti; tutta la terra è ripiena della sua gloria.

Nei fortunati cortigiani che conoscono tutti i segreti del Principe, noi abbiamo un’immagine dei Cherubini, il cui nome significa “pienezza della scienza”. Questi Spiriti deiformi che non abbagliano né turbano mai i raggi scintillanti della faccia di Dio, contemplano con uno sguardo le ragioni intime delle cose nella loro sorgente, a fine di comunicarle agli Angeli inferiori, dei quali debbono essi determinare le funzioni e regolare la condotta. Essi medesimi qualche volta sono spediti in missione. Cosicché vedesi un Cherubino incaricato di guardare l’ingresso del paradiso terrestre e d’interdirlo all’uomo colpevole.

Perché un Cherubino e non un altro Angelo? Vegliare e vedere di lontano sono le due qualità di una sentinella. Ora, come il loro nome lo indica, i Cherubini posseggono queste due qualità ad un grado sovraeminente, anche nel mondo angelico.

I Troni sono rappresentati dai grandi signori che hanno libero ingresso presso il Re. Elevatezza, beltà, solidità: ecco le tre idee che reca allo spirito il nome della sede sulla quale si pongono i monarchi nelle occasioni solenni. Nessuno poteva meglio designare il terzo ordine angelico della prima gerarchia. I Troni sono così chiamati, anche quegli Angeli, sfolgoranti di bellezza, che sono elevati al disopra di tutti i cori delle gerarchie inferiori, ai quali essi intimano gli ordini del gran Re, dividendo con i Serafini ed i Cherubini il privilegio di vedere chiaramente la verità in Dio medesimo, vale a dire nella Causa delle cause. Fissi in Dio per intuizione della verità, essi sono incrollabili. Di più, come il trono materiale è aperto da un lato per ricevere il monarca che parla di questa fede maestosa; cosi i Troni angelici sono aperti per ricevere lo stesso Dio che parla per bocca loro. Ad essi appartiene il nobile ufficio di trasmettere le sue sovrane comunicazioni agli Angeli delle gerarchie inferiori, sparsi in tutte le parti della Città del bene. Infatti i Troni, essendo l’ultimo ordine della prima gerarchia o degli Angeli assistenti, toccano immediatamente alle Dominazioni, che formano il coro il più elevato degli Angeli ministranti.

Tali sono dunque in poche parole i rapporti e le distinzioni che esistono tra gli Angeli della prima gerarchia. Tutti sono assistenti al Trono. Tutti contemplano le ragioni delle cose nella causa prima. Il privilegio dei Serafini è di essere uniti a Dio nel modo il più intimo, negli ardori deliziosi di un indicibile amore!

Il privilegio dei Cherubini è di vedere la verità, di una veduta superiore a tutto ciò che è al disotto di essi. Il privilegio dei Troni è di trasmettere agli Angeli inferiori, in proporzione del bisogno, le comunicazioni divine di cui essi posseggono la pienezza.

Cosi è che l’augusta Trinità, la cui immagine passa attraverso a tutte le creazioni, brilla di un incomparabile splendore nella massima perfezione. Nei Troni vediamo la Potenza; nei Cherubini, l’Intelligenza; nei Serafini, l’Amore.

La gerarchia ecclesiastica, come riflesso della gerarchia celeste, offre lo stesso spettacolo. Nel Diacono voi avete la Potenza che eseguisce; nel Sacerdote, l’Intelligenza che illumina; nel Pontefice, l’Amore che consuma, secondo quella parola indirizzata al capo supremo del Pontificato: « Simone, figlio di Giovanni, mi ami tu più degli altri? — Signore, Voi sapete che io vi amo. — Pasci i miei agnelli, pasci le mie pecore.» L’Amore è dunque il principio, il fine, la legge suprema della Città del bene; siccome l’odio, come noi vedremo, è il principio, il fine, la legge suprema della Città del male.

Innanzi di lasciare la prima gerarchia angelica ci sembra necessario dire una parola dei Sette Angeli assistenti al Trono di Lui, dei quali é parlato nell’uno e nell’altro Testamento. « Io sono Raffaello uno dei sette Angeli che stiamo in piedi dinanzi a Dio, diceva Raffaele a Tobia. » [Tob., xn; 15] .« Giovanni, alle sette Chiese che sono in Asia. Grazie a Voi e pace, da parte di Colui che è e che era e che dee venire, e da parte de’sette Spiriti che stanno alla presenza del suo Trono, scriveva il discepolo diletto». [Apoc., I, 4.]

La tradizione cattolica, interprete fedele degli insegnamenti divini, venera difatti, sette Angeli più belli, più grandi, più potenti di tutti gli altri, che circondano il Trono di Dio, sempre pronti ad eseguire, sia per se medesimi, ossia per altri, le sue volontà supreme. Come l’oggetto di confermarla, il Re degli Angeli si è piaciuto sovente di mostrarsi ai Santi ed ai martiri, circondato da questi sette Principi sfolgoreggianti di splendore. Così Egli apparve al comandante della coorte pretoriana, san Sebastiano, per animarlo al combattimento del martirio; e come pegno di vittoria, lo fece rivestire da’ questi sette angeli di un manto di luce. Un’altra tradizione comune ai giudei, ai filosofi ed ai teologi, attribuisce a questi sette Angeli il supremo governo del mondo fisico e del mondo morale. Essi sono simili ai ministri dei re, la cui vita pare inoperosa perché essa si esercita intorno al Trono; ma che, in realtà, è l’anima di tutti i movimenti dell’impero.

Essendo essi paragonati, secondo san Girolamo, al candelabro dalle sette braccia del tabernacolo mosaico, presiedono ai sette grandi pianeti, le rivoluzioni dei quali determinano il movimento di tutte le ruote secondarie nella meravigliosa macchina che chiamasi universo materiale. Sotto la stessa figura noi vediamo questi sette Spiriti che presiedono al mondo morale. « Di qui viene, secondo l’osservazione di un dotto commentatore, la distribuzione settenaria, cosi frequente nelle opere divine. Come vi sono nel mondo sette pianeti e sette giorni nella settimana, cosi vi sono nella Chiesa sette doni dello Spirito Santo, e sette virtù principali, alle quali presiedono questi sette Angeli superiori al fine di condurre per mezzo di essi gli uomini alla vita eterna. »

Ascoltiamo ancora un altro teologo: « Il numero sette che indica i sette grandi Principi della corte celeste, è un numero preciso; imperocché quando trovasi nella Scrittura lo stesso numero, usato parecchie volte in differenti luoghi, soprattutto in materia di Storia, la regola é di prenderla nel suo significato matematico. Vi sono dunque sette Angeli superiori a tutti gli altri. Loro ufficii speciali sono di vegliare ai sette doni dello Spirito Santo, a fine di ottenerli, di comunicarceli e di farli fruttificare; di domare in virtù ed in forza speciale i sette demoni che presiedono ai sette peccati capitali, di presiedere ai sette corpi più splendidi del firmamento, e di farci praticare le sette virtù necessarie alla salute, le tre teologali e le quattro cardinali.

« Poiché sotto la direzione di Satana sette demoni presiedono ai sette peccati capitali, e nel loro odio implacabile dell’uomo, nulla trascurano per farci commettere questi peccati e strascinarci alla dannazione: perché non crediamo noi che sotto il gran Re della Citta del bene, sette Angeli, scelti tra i più nobili, sono incaricati di sorvegliare questi sette nemici principali, di metterci, al riparo contro i loro assalti, e di farci praticare le virtù che debbono assicurare la nostra eterna salvezza? L’assalto può essere egli superiore alla difesa? E se tra gli Angeli cattivi vi ha un accordo per perdere gli uomini, perché non ve ne sarebbe uno tra gli Angeli buoni per salvarli? » La Chiesa erede fedele di questi alti insegnamenti, ha avuto cura di riprodurli nella sua gerarchia. Diciamo meglio: il divino Fondatore della Chiesa militante ha voluto ch’essa offrisse nella sua gerarchia, l’immagine di quella della sua sorella, la Chiesa trionfante. Perché vediamo poi gli Apostoli, diretti dallo Spirito Santo, stabilire sette diaconi e non sei o otto? Perché i primi successori di San Pietro creano essi sette cardinali diaconi? Perché ordinano che sette diaconi assisteranno il sovrano Pontefice ed anche il vescovo, quando pontifica? Per ricordare i sette Angeli che assistono al Trono di Dio. « Questi sette diaconi, continua Serario, erano chiamati gli occhi del vescovo pei quali egli’ vedeva tutto ciò che avveniva nella sua diocesi. Ora, Iddio è il primo e il maggiore dei vescovi. La sua diocesi, è il mondo. Ei vede tutto ciò che vi accade per mezzo dei sette diaconi angelici. Non certamente che Egli abbia bisogno delle creature, come il vescovo ha bisogno de’ suoi diaconi per conoscere tutte le cose; ma se ne serve per la stessa ragione che gli fa adoperare le cause seconde pel governo dell’universo. Questa ragione è di onorare le sue creature. »

I sette grandi Principi angelici occupano un troppo gran posto nella creazione e nel governo del mondo; essi ci ottengono troppi favori, ci rendono troppi servigi; essi sono troppo onorati da Dio medesimo, perché la Chiesa abbia dimenticato di render loro un culto speciale di riconoscenza e di venerazione. La loro memoria è celebre nelle diverse parti del mondo cattolico, ma in nessuna parte è tanto viva come in Sicilia, a Napoli, a Venezia, a Roma ed in parecchie città d’Italia, questi luoghi, dove sembrano conservarsi più religiosamente che altrove le antiche tradizioni, ce li mostrano rappresentati in pittura, in scultura ed anche in mosaico. Palermo capitale della Sicilia possiede una bella chiesa dedicata ai sette Angeli principi della milizia celeste. Nel 1516 le loro immagini di una grandissima antichità, furono scoperte dall’arciprete di quella chiesa, il venerabile Antonio Duca. Stimolato spesso dall’ispirazione divina, questo sant’uomo venne, a Roma nel 1527, per propagare il culto di questi Angeli, e trovar loro e fabbricarli un santuario. Dopo molti digiuni e preghiere ei meritò di conoscere per rivelazione che le Terme di Diocleziano dovevano essere il tempio dei sette Angeli assistenti al trono di Dio. Le ragioni della scelta divina erano, che queste Terme famose erano state costruite da migliaia di angeli terrestri, vale a dire da quaranta mila cristiani condannati a questa dura fatica; che la loro costruzione gigantesca aveva durato sette anni; che tra tutti quei martiri, sette rifulsero di un più vivo splendore: Ciriaco, Largo, Smaragdo, Sinsinio, Saturnino, Marcello e Trasone, i quali incoraggiavano i cristiani e provvedevano alle loro necessità.

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Questa rivelazione essendo stata accertata, i sovrani Pontefici Giulio III e Pio IV ordinarono di purificare le Terme e di consacrarle in onore dei sette Angeli assistenti al Trono di Dio, o della Regina del cielo circondata da questi sette Angeli. Michelangelo fu incaricato del lavoro. Con i ricchi materiali delle voluttuose Terme del più gran nemico dei cristiani, il celebre architetto fabbricò la splendida chiesa che si ammira tuttora. Il 5 agosto 1561 Pio IV, in presenza del sacro collegio e di tutta la corte romana, la consacrò solennemente a S. Maria degli Angeli e 1’onorò del titolo cardinalizio. Si vede che la Chiesa cattolica nella sua materna sollecitudine nulla trascura per farci conoscere gli Angeli, per onorarli, per avvicinarci ad essi ed assicurarci la loro potente protezione. Nulla di più intelligente di una simile condotta. Noi siamo della famiglia degli Angeli e dobbiamo vivere con essi per tutta l’eternità. Passiamo alla seconda gerarchia. L’abbiamo già notato, non avvi nessun salto nella natura. Tutte le creazioni si toccano e si concatenano con legami misteriosi talmenteché le ultime produzioni di un regno superiore si confondono con le produzioni le più elevate del regno inferiore. La stessa legge regge il mondo delle intelligenze, prototipo del mondo dei corpi. Così, i Troni, ultimo ordine della prima gerarchia angelica, riguardano immediatamente l’ordine il più elevato della seconda, le Dominazioni.

Se i Troni finiscono la gerarchia degli Angeli assistenti, le Dominazioni cominciano le gerarchie degli Angeli ministranti. Queste ultime in numero di tre sono nel governo del mondo e della città del bene, ciò che sono nelle società umane i capi dei grandi corpi dello stato, i generali d’ armata, i magistrati. La più eminente si compone delle Dominazioni, dei Principati e delle Potestà.

Indicare e comandare quel che bisogna fare è la parte delle Dominazioni. Esse sono cosi chiamate e con ragione, perché dominano tutti gli ordini angelici, incaricati di eseguire le volontà del gran Re: come il generalissimo di un esercito domina tutti i capi dei corpi posti sotto i suoi ordini, e gli fa manovrare secondo le intenzioni del principe di cui è il rappresentante. Per continuare il confronto, i Principati, il cui nome significa “conduttori secondo l’ondine sacro”, rappresentano i generali e gli ufficiali superiori che comandano ai loro subordinati i movimenti e le manovre, conforme alle prescrizioni del generalissimo. Principi delle nazioni e dei regni, questi potenti Spiriti le conducono, ognuna in ciò che le riguarda, alla esecuzione del piano divino. In questo ministero, di tutti il più importante, sono secondati dagli Angeli immediatamente sottomessi ai loro ordini. Da ciò resulta la magnifica armonia della quale parla sant’Agostino. « I corpi inferiori, dice il gran vescovo, sono regolati dai corpi superiori, e tanto gli uni che gli altri dagli Angeli, e i cattivi angeli dai buoni. »

Vengono finalmente le Potestà. Rivestiti, come lo indica il loro nome, di una autorità speciale, questi Angeli sono incaricati di togliere gli ostacoli alla esecuzione degli ordini divini, allontanando gli angeli cattivi che assediano le nazioni per distoglierli dal loro scopo. Nell’ordine umano, i loro consimili sono le pubbliche potestà, incaricate di allontanare i malfattori e togliere cosi gli ostacoli al regno della giustizia e della pace.

     La terza gerarchia angelica è formata delle Virtù, degli Arcangeli e degli Angeli. Nei soldati che compongono i differenti corpi di un esercito, di cui ciascun reggimento ha la sua destinazione particolare, negli amministratori subalterni alla giurisdizione ristretta, noi troviamo l’immagine dei tre ultimi ordini angelici e l’idea delle loro funzioni.

Le Virtù, il cui nome vuol dir “forza”, esercitano il loro impero sopra la creazione materiale, presiedono immediatamente al mantenimento delle leggi che la reggono, e vi conservano l’ordine che ammiriamo. Quando la gloria di Dio l’esige, le Virtù sospendono le leggi della natura e operano dei miracoli. Cosi gli agenti invisibili, dai quali noi siamo circondati, rivelano la loro presenza, e mostrano che il mondo materiale è soggetto al mondo spirituale, come il corpo è soggetto all’anima.

Tutti i ministeri degli ordini angelici si riferiscono alla gloria di Dio ed alla deificazione dell’uomo; in altri termini, al governo della Città del bene. Gli uomini, sudditi di questa gloriosa Città, sono l’oggetto particolare della sollecitudine degli Angeli. Fra essi e noi esiste un commercio continuo, figurato dalla scala di Giacobbe. Scendere gli scalini di questa scala misteriosa e venire, in occasioni solenni, a compiere presso l’uomo importanti missioni, soprintendere al governo delle provincie, delle diocesi, delle comunità; tale è la duplice funzione degli Arcangeli, il cui nome significa Angelo superiore, o Principe degli Angeli propriamente detti. Sotto quest’ordine vi è quello degli Angeli. Angelo significa “inviato”. Tutti gli spiriti celesti essendo i notificatori dei pensieri divini, il nome di Angelo è ad essi comune. A questa funzione gli Angeli superiori aggiungono certe prerogative, dalle quali traggono il proprio loro nome. Gli Angeli dell’ultimo ordine dell’ultima gerarchia, non aggiungendo niente alla funzione comune d’inviati e di notificatori, ritengono semplicemente il nome di Angeli. In relazione più immediata e più abituale con l’uomo, essi vegliano alla custodia della sua duplice vita e gli recano ad ogni ora, ad ogni istante, lumi, forze, grazie di cui abbisogna, dalla culla fino alla tomba.

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Se noi riepiloghiamo questo rapido schizzo, quale immenso orizzonte non si apre dinanzi a noi! Quale imponente spettacolo non si spiega a’ nostri occhi! È vero dunque che invece di non essere niente, il mondo superiore è tutto; che il reale è l’invisibile; che il mondo materiale vive sotto l’azione permanente del mondo spirituale; che Dio governa l’universo mediante i suoi Angeli, liberamente, senza necessità, senz’obbligo, come un re governa il suo regno mediante i suoi ministri, e un padre, la sua famiglia, per mezzo dei suoi servi. È vero altresì che razione di questi spiriti amministratori raggiunge ciascuna parte dell’insieme, di modo che né l’uomo né alcuna creatura non è abbandonata al vento, lasciata alle proprie sue forze, o lasciata in balìa degli assalti delle potenze nemiche.

Come principi e governatori della grande Città del bene, a cui si riferisce tutto il sistema della creazione, gli Angeli, nell’ordine materiale presiedono al moto degli astri, alla conservazione degli elementi, ed al compimento di tutti i fenomeni naturali che ci rallegrano o che ci spaventano. Tra essi è divisa l’amministrazione di questo vasto impero. Gli uni hanno cura dei corpi celesti, gli altri della terra e de’ suoi elementi; altri delle sue produzioni, come gli alberi, le piante, i fiori ed i frutti. Ad altri è affidato il governo dei venti, dei mari, dei fiumi, delle fonti; ad altri la conservazione degli animali. Neppure una visibile creatura grande o piccola ch’ella sia, che non abbia una Potenza angelica incaricata di sorvegliarla.

L’uomo animale, lo sappiamo, “animalis homo”, nega questa azione angelica; ma la sua negazione non prova che una cosa, cioè ch’egli è animale. Per l’uomo che ha l’intelligenza, questa azione è evidente. Dappertutto dove la natura materiale lascia scorgere dell’ordine, dell’armonia, del moto, un fine; ivi si riconosce tosto un pensiero, una intelligenza, una causa motrice e direttrice. Ora, niente nella natura materiale si fa senza ordine, senza armonia, senza movimento, senza scopo.

Qual è il principio di tutte queste cose? Non è, né può essere nella materia inerte, cieca di sua natura. Senza dubbio, il vento non sa né dove, né quando deve soffiare; né con qual violenza; né quali tempeste dee suscitare; né quali nubi deve accumulare. La pioggia, la neve, la folgore stessa non sanno dove debbono formarsi, né dove debbono cadere; la direzione che devano tenere, il fine che debbono raggiungere; il giorno e 1’ora dove debbono compiere la loro missione. Cosi è lo stesso delle altre creature materiali, così impropriamente decorate del nome di agenti.

Dov’é dunque il principio dell’ordine, dell’armonia e del moto? A meno che non si ammettano degli effetti senza causa, bisogna per necessità cercarlo fuori della creazione materiale, in una natura intelligente, essenzialmente attiva, superiore ed estranea alla materia. È infatti solamente là dove lo pone la vera filosofia. Il profeta parlando del Creatore, principio di ogni moto e di ogni armonia, ci dice; “Le creature fanno la sua parola”, valea dire eseguiscono le sue volontà, “facìunt Verbum ejus”. Ma come è ella la parola creatrice posta in contatto universale e permanente col mondo inferiore, fino all’ultimo degli esseri dei quali si compone? Nel modo stesso che la parola di un monarca con le parti più lontane e più oscure del suo impero, per mezzo di mediatori. I mediatori di Dio sono gli Spiriti celesti: “qui facit angelos suos spiritus”. Questa verità è di fede universale. Sotto tutti i climi, in tutte le epoche, il paganesimo medesimo la proclama, e la teologia cattolica la manifesta in tutta la sua splendidezza. Il sapere che tutte le parti dell’universo vivono sotto la direzione degli Angeli; qual sorgente inesauribile di luce e di ammirazione per lo spirito, di rispetto e di adorazione per il cuore!

Nell’ordine morale, non meno certo e più nobile altresì è il ministero degli Angeli. Essi sono, giusta la bella espressione di Lattanzio, preposti alla guardia ed alla cultura del genere umano. Ancor qui le loro funzioni non sono meno variate dei bisogni del loro pupillo. Gli uni custodiscono le nazioni, ciascuno la sua. Altri, la Chiesa universale. Come un esercito formidabile difende una città assediata, così essi proteggono la città del loro Re, la santa Chiesa cattolica, nella sua guerra eterna contro le potenze delle tenebre. Ve ne sono di quelli incaricati della cura di ciascuna Chiesa, cioè di ciascheduna diocesi in particolare. « Due custodi e due guide, insegnano con sant’Ambrogio gli antichi Padri, sono preposti a ciascuna Chiesa: l’uno visibile, che è il vescovo; l’altro invisibile, che è l’Angelo tutelare. » Se per conservarla e per impedire che il demonio la deturpi o la distragga, la più piccola creatura nell’ordine fisico, come l’insetto o un filo d’erba, vive sotto la protezione di un Angelo, a più forte ragione l’essere umano, per quanto debole lo si supponga, è oggetto di una eguale sollecitudine.

Ogni uomo ha il suo custode. Come tutore potente, il principe della Città del bene veglia su di noi, anche nel seno materno, a fine di proteggere la nostra fragile esistenza contro i mille accidenti che possono comprometterla e privarci del battesimo.

Lasciamo parlare la scienza: « Grande dignità delle anime, poiché fino dalla nascita, ognuna ha un Angelo per custodirla! Avanti di nascere, l’infante attaccato al seno materno fa in qualche modo parte della madre; come il frutto pendente all’albero fa tuttavia parte dell’albero. È dunque probabile che 1’Angelo custode della madre guardi l’infante rinchiuso nel suo seno; come quegli che custodisce l’albero custodisce il frutto.

Ma appena l’infante è separato dalla madre che subito un Angelo particolare è mandato alla sua custodia.» L’Angelo custode, compagno inseparabile della nostra vita, ci segue in tutte le nostre vie, ci illumina, ci difende, ci rialza, ci consola. Mediatore tra Dio e noi, intercede in nostro favore, offre all’Antico dei giorni i nostri bisogni, le nostre lacrime, le nostre preghiere, le nostre buone opere, come incenso di grato odore, bruciato in un turibolo d’oro. La sua missione non cessa con la vita terrena, ma dura finché l’uomo non è giunto al suo fine.

Così gli Angeli presentano le anime al tribunale di Dio e le introducono in cielo. Se la porta è ad esse momentaneamente chiusa, essi le accompagnano nel purgatorio, dove le consolano fino al dì della loro liberazione. Quanto a quelle che un orgoglio ostinato rende sino alla morte indocili ai loro consigli, i Principi della Città del bene le abbandonano solamente sul limitare dell’inferno, ardente dimora preparata da Satana, agli angeli e schiavi suoi. Come hanno essi presieduto al governo del mondo, cosi gli Angeli assisteranno al suo giudizio, risveglieranno i morti e faranno la eterna separazione degli eletti dai reprobi.

Nel lasciare la Città del bene, cerchiamo di riportare con noi mia memoria che riassuma e il fine della sua esistenza e le innumerevoli funzioni dei Principi che la governano. La Città del bene ed i ministeri degli Angeli si riducono ad un solo oggetto: il Verbo incarnato: ad un solo scopo: la salute dell’uomo, mediante la sua unione col Verbo incarnato. Monarca assoluto di tutti gli esseri, Creatore di tutti i secoli, erede di tutte le cose del cielo e della terra, il Verbo incarnato è l’ultima parola di tutte le opere divine, come la salute dell’uomo è l’ultima parola del suo pensiero. Che cosa avvi di più logico, di più semplice, di più sublime e di più luminoso, per conseguenza di più vero, di questa filosofia del mondo angelico, di questa storia della Città del bene!

Il credere che tutte le spiegazioni che precedono siano il risultato di semplici congetture, piuttostoché cognizioni positive, sarebbe un errore. La scienza del mondo angelico è una scienza certa: certa perché essa è vera; vera perché essa è universale. La rivelazione, la tradizione, la ragione medesima di tutti i popoli, la conoscono, la insegnano, la praticano. Come tutte le altre, essa è stata richiamata alla sua purezza primitiva e svolta dal Signor Nostro, i cui insegnamenti non scritti sono, a testimonianza di san Giovanni, infinitamente più numerosi che quelli di cui il Vangelo ci ha tramandata la cognizione. Il più ricco depositario di questi preziosi insegnamenti fu Maria; e sappiamo che, Madre della Chiesa e istitutrice degli Apostoli, la Augusta Vergine ha parlato sapientemente degli Angeli, che essa conosceva meglio di chiunque.

     Parimente Paolo, che può chiamarsi l’Apostolo degli Angeli, dei quali annovera tutti gli ordini, Paolo, rapito sino al terzo cielo, ha arrecato sulla terra una conoscenza profonda di ciò che aveva visto, non per sé ma per la Chiesa. Il suo illustre discepolo san Dionigi, infatti è il primo tra i Padri, che abbia dato una particolareggiata descrizione, dotta, sublime, del mondo angelico. Questa descrizione, fondata sulle Scritture e sulla testimonianza degli altri Padri, è divenuta il punto di partenza degli scrittori posteriori, e particolarmente, la scorta dell’impareggiabile san Tommaso nel suo grandioso studio del mondo angelico. Tali sono i canali pei quali è giunta sino a noi la conoscenza degli Angeli, delle loro gerarchie, dei loro ordini e dei loro ministeri. Quale scienza può essere più certa?

Città del bene e città del male

 

Città del Bene e città del male!

(titolo redaz.)

Dal cap. XIX del “Trattato dello Spirito Santo”, vol. I

[di Mons. J.J. Gaume]

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   L’uomo compie il suo pellegrinaggio quaggiù tra i due eserciti nemici. Noi conosciamo questi formidabili eserciti, i loro Re, i loro Principi, la loro formazione, i loro piani. Resta da studiare i loro mezzi d’azione, le loro vittorie e le loro sconfitte. Nate nel cielo, la Città del bene e la Città del male, non aspettano che la creazione dell’uomo per stabilirsi sulla terra. Difatti, l’obiettivo della lotta è l’uomo. Adamo è creato; egli respira, apparisce agli sguardi dell’universo, nella maestà della sua regia potenza. Adorno di tutte le grazie dell’innocenza e di tutti gli attributi della forza, egli è bello della bellezza dello stesso Dio, la cui immagine risplende in tutto il suo essere.  Per mantenerlo nella sua dignità, durante la vita del tempo; per innalzarlo ad una più alta dignità, durante l’eternità, divinizzandolo, gli è data la Religione. Unire l’uomo al Verbo incarnato, in modo da fare di tutti gli uomini e di tutti i popoli altrettanti verbi incarnati; tale è il fine supremo della religione. Satana nel vedere svilupparsi sulla terra il concetto divino da lui combattuto in cielo, fremette. Per arrestare l’opera della infinita sapienza, il suo odio spiega tutti i suoi mezzi. Egli oppone alla religione che dee divinizzare l’uomo e condurlo ad una eterna felicità, una religione che dee renderlo una bestia e trascinarlo per sempre nell’abisso dell’infelicità. Tutto ciò che Dio fa per salvare 1’uomo, Satana lo scimmiotta per perderlo. Fra questi mezzi di santificazione e di perdizione il parallelismo è completo.

Il Re della Città del bene ha la sua Religione. Il Re della Città del male ha la sua. Il Re della Città del bene ha i suoi angeli; ha la sua Bibbia, i suoi profeti, le sue apparizioni, i suoi miracoli, le inspirazioni, le minacce, le sue promesse, i suoi apostoli, i suoi sacerdoti, i suoi templi, le formule sacre, le sue cerimonie, le sue preghiere, i sacramenti, i sacrifici. Il Re della Città del male ha i suoi angeli; ha la sua Bibbia, i suoi oracoli, le sue manifestazioni,‘i suoi prestigi, le sue tentazioni, le sue minacce, le sue promesse, i suoi apostoli, i suoi sacerdoti, i suoi templi, le sue formule misteriose, i suoi riti, le sue iniziazioni e sacrifici.

Il Re della Città del bene ha le sue feste, i suoi santuari privilegiati, i suoi pellegrinaggi.

Il Re della Città del male ha le sue feste, i suoi luoghi fatidici, i suoi pellegrinaggi, i suoi soggiorni preferiti.

Il Re della Città del bene ha le sue arti e le sue scienze; ha la sua danza, la sua musica, la sua pittura, la sua statuaria, la sua letteratura, la sua poesia, la sua filosofia, la sua teologia, la sua politica, la sua economia sociale, la sua civiltà.

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Il Re della Città del male ha parimente tutte queste cose.

Il Re della Città del bene ha i suoi segni di riconoscenza e di preservazione: il segno della croce, le reliquie, le medaglie, l’acqua benedetta.

Il Re della Città del male ha i suoi segni cabalistici, le sue parole di passo, i suoi emblemi, i suoi amuleti, i suoi talismani, la sua acqua lustrale.

Il Re della Città del bene ha le sue congregazioni di propaganda e di devozione, legate a voti solenni.

Il Re della Città del male ha le sue società segrete, destinate ad estendere il suo regno, e legate da giuramenti terribili.

Il Re della Città del bene ha i suoi doni, i suoi frutti, le sue beatitudini.

Il Re della Città del male possiede la contraffazione di tutto ciò.

Il Re della Città del bene è adorato da una parte del genere umano.

Il Re della Città del male è adorato dall’altra.

Il Re della Città del bene ha la sua dimora eterna oltre la tomba.

Il Re della Città del male ha la sua nelle stesse regioni.

Svolgiamo alcuni punti di questo parallelismo tremendo e tanto poco temuto: la Bibbia, il culto ed il sacrificio.

L’uomo è un essere istruito. A fine di conservarlo eternamente simile a sé stesso, eterizzando l’insegnamento primitivo, il Re della Città del bene ha degnato fissare la sua parola mediante la scrittura: egli ha dettato la Bibbia.

La Bibbia dello Spirito Santo dice la verità, sempre la verità, nient’altro che la verità. Essa la dice intorno all’origine delle cose, intorno a Dio, intorno all’uomo e intorno a tutto quanto il creato. Essa la dice sul mondo soprannaturale, sui suoi misteri, sui suoi abitanti, e sopra i fatti luminosi che provano la loro esistenza ed il loro intervento nel mondo inferiore. Essa la dice sulle regole dei costumi, sulle lotte obbligate della vita, sul governo delle nazioni mediante la Provvidenza, sopra i castighi del delitto e sulle ricompense della virtù. Per illuminare il cammino dell’uomo attraverso ai secoli, consolare i suoi dolori, sostenere le sue speranze, essa gli annunzia mediante numerose profezie, gli avvenimenti che debbono compiersi nel suo passaggio, mostrando in lui tutto il termine finale verso cui deve camminare.

La Bibbia dello Spirito Santo dice tutta la verità. Da lei, come da un focolare sempre acceso, escono la teologia, la filosofia, la politica, le arti, la letteratura, la legislazione, in una parola, la vita sotto tutte le sue forme. Per quanto siano così numerosi e così varii tutti i libri della Città del bene, non sono né possono essere che il commento perpetuo del libro per eccellenza.

La Bibbia dello Spirito Santo non si contenta d’insegnare, ma canta le glorie ed i benefìzi del Creatore, canta la bellezza della virtù, la felicità dei puri cuori ; canta i nobili trionfi dello spirito sulla carne; e, per educare l’uomo alla perfezione, canta le perfezioni di Dio medesimo, suo modello obbligato e suo magnifico rimuneratore.

Ora a misura che il Re della Città del bene ispira la sua Bibbia, il Re della Città del male ispira la sua.

     La Bibbia di Satana è un miscuglio artificioso di molte menzogne e di alcune verità: verità alterate ed oscure per servire di passaporto alla favola. Essa mentisce intorno all’origine delle cose: mentisce su Dio, sull’uomo e sul mondo inferiore: essa mentisce nel mondo soprannaturale, sui suoi misteri ed i suoi abitanti, mentisce sulle regole dei costumi, sulle battaglie della vita, sui destini dell’uomo. Per mezzo d’oracoli sparsi in ogni sua pagina, essa inganna la curiosità umana, sotto pretesto di rivelarle i segreti del presente ed i misteri dell’avvenire.

Ad ogni popolo soggetto al suo impero, Satana dà un esemplare della sua Bibbia, lo stesso per il fondo, ma diverso nei particolari. Percorrete gli annali del mondo, voi non troverete una sola nazione pagana che non abbia per punto di partenza della sua civiltà un libro religioso, una Bibbia di Satana. Mitologie, libri sibillini, Vedas; sempre e dappertutto avete un codice che ispirato dà nascita alla filosofia, alle arti, alla letteratura ed alla politica.

La Bibbia di Satana diventa il libro classico della Città del male, come la Bibbia dello Spirito Santo diventa il libro classico della Città del bene. La Bibbia di Satana unisce alla prosa la poesia. Sotto mille nomi diversi essa canta Lucifero e gli angeli ribelli; essa canta le loro infamie e le loro malizie: inneggia tutte le passioni; e per attirare l’ uomo nell’abisso della degradazione essa gli mostra gli esempi degli dei. Oggetto di infiniti commenti, la Bibbia di Satana diviene un mortale veleno, anche per la Città del bene. Sant’Agostino ne piange le devastazioni, e san Girolamo denunzia in questi termini il libro infernale:

« La filosofìa pagana, la poesia e la letteratura pagana, sono la Bibbia dei demoni.» [Cibus est daemoniorum, secularis philosophia, carmina poetarum, rhetoricorum pompa verborum. Epist. de duób. filiis. ]!

All’insegnamento scritto o parlato non si limita il parallelismo della Città del bene e della Città del male: esso si manifesta in un modo forse più imponente nei fatti religiosi. Nella Città del bene, nessun ragguaglio del culto è lasciato all’arbitrio dell’uomo. Tutto è regolato da Dio medesimo. L’antico Testamento ce lo mostra dettando a Mosè, non solamente gli ordinamenti generali ed i particolari regolamenti, concernenti i sacerdoti e le loro funzioni; ma altresì dando il disegno del tabernacolo, determinandone le dimensioni e la forma, indicante la natura e la qualità dei materiali, il colore delle stoffe, la misura degli anelli, e persino il numero dei chiodi che devono essere adoprati nella sua costruzione. La forma dei vasi d’oro e d’argento, i turiboli, gli arnesi, le figure di bronzo, i sacri utensili, tutto è di ispirazione divina. Lo stesso è del luogo in cui l’Arca dee riposare, dei giorni in cui fa d’uopo consultare il Signore, delle precauzioni da prendere per entrare nel santuario, delle vittime che debbono essere immolate, o delle offerte che bisogna fare per piacere a Jehovah ed ottenere i suoi responsi e i suoi favori. [Exod, xxxv, e seg.]

In ciò per cui vi era legge sacra nella Sinagoga, continua ad esservene una non meno sacra nella Chiesa. Nessuno ignora che tutti i riti del culto cattolico, la materia e la forma dei sacramenti, le cerimonie che li accompagnano, gli abiti dei sacerdoti, la materia dei vasi sacri, l’uso dell’incenso, il numero ed il colore degli ornamenti, la forma generale, e il mobiliare essenziale dei templi, come pure i giorni più favorevoli alla preghiera sono determinati non per i particolari ma per lo stesso Spirito Santo, ovvero in suo nome, per la Chiesa. Si comprende quanto questa origine soprannaturale sia propria a conciliare al culto divino il rispetto dell’uomo, e necessaria per prevenire l’anarchia nelle cose religiose. Satana lha compreso meglio di noi. Questa grande scimmia di Dio ha regolato da se medesimo tutti i particolari del suo culto. Ecco ciò che bisogna sapere e ciò che non si sa, attesoché, a malgrado dei nostri dieci anni di studi alla scuola dei Greci e dei Romani, noi non conosciamo la prima parola dell’iniquità pagana. Le sue usanze religiose, la forma delle statue, la natura delle offerte e delle vittime, le formule di preghiere, i giorni fasti o nefasti, e tutte le altri parti dei culti pagani, ci appariscono come il risultato della ciarlataneria, dell’immaginazione e del capriccio degli uomini; ma è un errore capitale. La verità è, che niente di tutto ciò è arbitrario.

Ascoltiamo luomo, che meglio di tutti ha conosciuto i misteri della Religione di Satana. « É cosa costante, dice Porfirio, che i teologi del paganesimo hanno appreso tutto ciò che riguarda il culto degli idoli dalla scuola medesima dei grandi dei. Essi medesimi hanno loro insegnato i propri segreti più nascosti; le cose che loro piacciono; i mezzi di costringerli; le formule per invocarli; le vittime da offrirli e il modo di offrirle; i giorni fasti e nefasti; le figure sotto le quali volevano essere rappresentati; le apparizioni per le quali essi rivelavano la loro presenza; i luoghi che frequentavano con più assiduità. In una parola, non c’è assolutamente niente che gli uomini non abbiano appreso da essi per ciò che risguarda il culto da rendersi a loro, poiché tutto vi si pratica dietro i loro ordini ed i loro insegnamenti. »

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   Ed aggiunge: « Quantunque noi si possa affermare ciò che anticipiamo con una infinità di prove senza replica, ci limiteremo a citarne un piccolo numero, per mostrare che parliamo con cognizione di causa. Così l’oracolo di Ecate ci mostrerà, che sono gli dei che ci hanno insegnato come e di qual materia le loro statue debbano esser fatte. Quest’oracolo dice: Scolpite una statua di legno ben levigato come ve lo insegnerò : fate il corpo di una radice di ruta selvatica, poi ornatelo di piccole lucertole domestiche, stiacciate della mirra, dello storace e dell’incenso con gli stessi animali, e lascerete questo impasto all’aria aperta durante il crescer della luna; allora, indirizzate i vostri voti nei seguenti termini.

« Dopo aver dato la formula della preghiera, l’oracolo indica il numero delle lucertole che devonsi prendere: quante differenti formule pronunzierò tanti di questi rettili piglierete; e fate queste cose con diligenza. Voi mi costruirete una abitazione con i rami di un olivo selvatico ; e rivolgendo fervide preghiere a quella immagine, voi mi vedrete mentre dormirete. » Il gran teologo del paganesimo continua : «Quanto alle attitudini nelle quali devonsi rappresentare gli dei, essi medesimi ce l’han fatto conoscere; e gli statuari si sono religiosamente conformati alle loro indicazioni. Così Proserpina parlando di se stessa dice: Fate tutto ciò che mi spetta nell’ideare la mia statua. La mia figura è quella di Cerere adorna dei suoi frutti, con candide vesti e calzatura d’oro. Attorno alla mia figura scherzano lunghi serpenti che strisciandosi sino a terra, solcano le mie tracce divine; dalla sommità del mio capo, altri serpenti arrivano sino a miei piedi e avvolgenti intorno al mio corpo formano tante spire piene di grazia. Quanto alla mia statua essa deve essere di marmo di Paros, o d’ avorio molto liscio. »

Pan insegna ad un tempo la forma sotto cui vuole essere rappresentato e l ‘inno che si dee cantare in onor suo : « Mortale, rivolgo i miei voti a Pan, il dio che unisce le due nature ornate di corna, bipede, con le estremità di un capro e propenso all’ amore.» Non è dunque il medio evo che per primo abbia rappresentato il demonio sotto la forma di un montone. Prediligendo questa forma, Satana, libero o forzato, si faceva giustizia: e nel dargliela il paganesimo restava fedele ad una tradizione troppo universale per essere falsa, troppo inesplicabile per essere inventata. Lo stesso Spirito Santo lo conferma, insegnandoci che i demoni hanno costume di apparire e di eseguire de’ giri infernali, sotto la figura di questo animale immondo. A causa di questi delitti, il paese di Edon è condannato ad essere distrutto : E in mezzo a queste ruine danzano i demoni sotto la forma di caproni e di altri mostri conosciuti dall’antichità pagana.

La contraffazione satanica va anche più oltre. Il Re della Città del bene si chiama lo Spirito dei sette doni. A fine di scimmiottarlo e di ingannare gli uomini imitandolo, il Re della Citta del male si fa chiamare il Re dei sette doni. Quindi egli indica i giorni favorevoli per invocare i suoi sette grandi satelliti, ministri dei sette doni infernali. Nei suoi oracoli, Apollo pigliando in imprestito la forma biblica così parla: «Ricordati d’invocare nello stesso tempo Mercurio ed il Sole, il giorno consacrato al Sole: di poi la Luna, allorché apparirà il suo giorno; poi Saturno; finalmente Venere.

Tu adopererai le parole misteriose, trovate dai più grandi maghi, il Re dai sette doni conosciutissimo da tutti…. chiama sempre sette volte, a voce alta, ciascuno degli dei ». Sarebbe facile moltiplicare le testimonianze: ma a che giova? quelli che sanno le conoscono. Vale meglio affrettarsi a concludere, dicendo con Eusebio: « Che l’illustre filosofo dei Greci, il teologo per eccellenza del paganesimo, e interprete dei misteri nascosti, fa conoscere con tali citazioni la sua filosofìa per via di oracoli come racchiudenti i segreti ammaestramenti degli dei, allorquando evidentemente essa non rivela altro che le insidie tese agli uomini mediante le potenze nemiche, vale a dire per mezzo dei demoni in persona. » L’ispirazione satanica a cui si deve nel suo complesso e nei suoi ultimi particolari, la religione pagana dei popoli dell’antichità, prescrive con la stessa autorità e regola, con la stessa precisione i culti idolatri dei popoli moderni. Interrogate i sacerdoti, o come oggi noi diciamo i medium, i quali presiedono a queste forme differenti di religione, tutti vi diranno che esse vengono dagli spiriti, dai manitous o da qualche personaggio amico degli dei e incaricato di rivelare agli uomini il modo di onorarli: essi non mentiscono. Satana è sempre lo stesso, ed egli regna presso questi popoli infelici con lo stesso impero ch’egli esercitava anticamente tra noi. Cosi le formule sacre dei Tibetani, dei Cinesi, dei negri dell’Africa, dei selvaggi dell’America e dell’Oceania, i loro misteriosi riti, le loro pratiche, ora vergognose, ora crudeli e ridicole, la distinzione dei giorni buoni o cattivi, del pari che la forma bizzarra, orrida, spaventevole o lascivia dei loro idoli, non debbono essere imputati a malizia naturale dell’uomo, ai capricci dei sacerdoti od all’immaginazione ed alla inabilità degli artisti. [Chi crederà che i Chinesi per esempio, supposto che sieno Chinesi, non potessero rappresentare i loro dei, altrimenti che con fantocci ridicoli o idoli mostruosi? « In Cina, scrive un missionario, l’idolo principale è ordinariamente di una straordinaria grandezza, con un viso gonfio, col ventre di una ampiezza smisurata, una lunga barba finta e altri vezzi dello stesso genere…. Noi trovammo dentro una pagoda parecchi idoli’alti 12 piedi, il cui ventre aveva almeno18 piedi di circonferenza. » Annali etc., n° 72, p. 481;e n° 95, p. 341. — Si può dire la stessa cosa di tutti i popoli idolatri, antichi e moderni.]

Tutto viene dai loro dei, e tutti i loro dei sono tanti demoni: “omnes dii gentium daemonia”.