SALMI BIBLICI: ” CONFITEMINI, DOMINO … CONFITEMINI ” (CXXXV)

SALMO 135: “CONFITEMINI DOMINO … CONFITEMINI”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS. 

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 135 (136)

Alleluja.

[1] Confitemini Domino,

quoniam bonus, quoniam in æternum misericordia ejus.

[2] Confitemini Deo deorum, quoniam in æternum misericordia ejus.

[3] Confitemini Domino dominorum, quoniam in æternum misericordia ejus.

[4] Qui facit mirabilia magna solus, quoniam in æternum misericordia ejus.

[5] Qui fecit caelos in intellectu, quoniam in æternum misericordia ejus.

[6] Qui firmavit terram super aquas, quoniam in æternum misericordia ejus.

[7] Qui fecit luminaria magna, quoniam in æternum misericordia ejus:

[8] solem in potestatem diei, quoniam in æternum misericordia ejus;

[9] lunam et stellas in potestatem noctis, quoniam in æternum misericordia ejus.

[10] Qui percussit Aegyptum cum primogenitis eorum, quoniam in æternum misericordia ejus.

[11] Qui eduxit Israel de medio eorum, quoniam in æternum misericordia ejus,

[12] in manu potenti et brachio excelso, quoniam in æternum misericordia ejus.

[13] Qui divisit mare Rubrum in divisiones, quoniam in æternum misericordia ejus;

[14] et eduxit Israel per medium ejus, quoniam in æternum misericordia ejus;

[15] et excussit Pharaonem et virtutem ejus in mari Rubro, quoniam in æternum misericordia ejus.

[16] Qui traduxit populum suum per desertum, quoniam in æternum misericordia ejus.

[17] Qui percussit reges magnos, quoniam in æternum misericordia ejus;

[18] et occidit reges fortes, quoniam in æternum misericordia ejus:

[19] Sehon, regem Amorrhaeorum, quoniam in æternum misericordia ejus;

[20] et Og, regem Basan, quoniam in æternum misericordia ejus;

[21] et dedit terram eorum haereditatem, quoniam in æternum misericordia ejus;

[22] hæreditatem Israel, servo suo, quoniam in æternum misericordia ejus.

[23] Quia in humilitate nostra memor fuit nostri, quoniam in æternum misericordia ejus;

[24] et redimit nos ab inimicis nostris, quoniam in æternum misericordia ejus.

[25] Qui dat escam omni carni, quoniam in æternum misericordia ejus.

[26] Confitemini Deo caeli, quoniam in æternum misericordia ejus. Confitemini Domino dominorum, quoniam in æternum misericordia ejus.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXXXV

Invita il profeta, siccome nel Salmo antecedente, a lodare la misericordia di Dio. Ad ogni versetto ripete che la misericordia di Dio è in eterno, a dimostrare che le opere tutte di Dio, in creare, provvedere e redimere sono non per necessità, o per debito, ma unicamente per bontà di Dio, che si effonde e comunica.

Alleluja: lodate Dio.

1. Date lode al Signore, perché egli è buono,

perché la misericordia di lui è in eterno.

2. Date lode al Dio degli dei, perché la misericordia di lui è in eterno.

3. Date lode al Signore dei signori, perché la misericordia di lui è in eterno.

4. Il quale solo fa grandi meraviglie, perché la misericordia di lui è in eterno.

5. Il quale con sapienza creò i cieli, perché la misericordia di lui è in eterno.

6. Il quale posò la terra sopra le acque, perché la misericordia di lui è in eterno.

7. Il quale fece i grandi luminari, perché la misericordia di lui è in eterno.

8. Il sole per presedere al giorno, perché la misericordia di lui è in eterno.

9. La luna e le stelle per preseder alla notte, perché la misericordia di lui è in eterno.

10. Il quale percosse l’Egitto co’ suoi primogeniti, perché la misericordia di lui è in eterno.

11. Il quale trasse Israele di mezzo all’Egitto, perché la misericordia di lui è in eterno.

12. Con mano possente e con braccio alzato, perché la misericordia di lui è in eterno.

13. Il quale divise in parti il mar Rosso, perché la misericordia di lui è in eterno.

14. E pel mezzo di esso condusse Israele, perché la misericordia di lui è in eterno.

15. E precipitò Faraone e l’esercito di lui nel mar Rosso, perché la misericordia di lui è in eterno.

16. Il quale fe’ passare il suo popolo pel deserto, perché la misericordia di lui è in eterno.

17. Il quale percosse dei re grandi, perché la misericordia di lui è in eterno.

18. E uccise de’ re forti, perché la misericordia di lui è in eterno.

19. Sehon re degli Amorrei, perché la misericordia di lui è in eterno.

20. E Og re di Basan, perché la misericordia di lui è in eterno.

21. E diede la loro terra in retaggio, perché la misericordia di lui è in eterno.

22. In retaggio ad Israele suo popolo, perché la misericordia di lui è in eterno.

23. Perché nella nostra umiliazione si è ricordato di noi, perché la misericordia di lui è in eterno.

24. E ci ha riscattati dai nostri nemici, perché la misericordia di lui è in eterno.

25. Il quale dà il nudrimento ad ogni animale, perché la misericordia di lui è in eterno.

26. Date lode al Dio del cielo, perché la misericordia di lui è in eterno. Date lode al Signore de’ signori, perché la misericordia di lui è in eterno.

Sommario analitico

Questo salmo, che sviluppa un po’ gli stessi pensieri del precedente, è un elogio della misericordia divina. Il salmista esorta il suo popolo a lodare Dio:

 (questo salmo è notevole per il ricorrersi del ritornello: « … perché eterna è la sua misericordia, » che chiude ogni versetto. Questo ritornello è ripetuto come risposta dei leviti o del popolo, come le strofe in risposta alle nostre litanie)

I. Perché in se stesso:

1° Egli è buono (1);

2° Egli è il Dio degli dei (2);

3° Egli è il Signore dei signori ed ha un sovrano controllo su tutto ciò che esiste (3)

II. – Perché nella creazione ha fatto meraviglie:

1° creando i cieli con la sua potenza (5);

2° fondando e stabilendo la terra sopra le acque (6);

3° ponendo nei cieli questi grandi lumi che devono presiedere al giorno ed alla notte (7-9)

III. – Perché nel governo del suo popolo:

1° in Egitto, Egli ha devastato questa regione, ne fatti morire tutti i primogeniti, e ne ha fatto uscire il suo popolo (10-12);

2° nel mar Rosso, ha diviso le sue acque che hanno liberato un passaggio agli Israeliti ed inghiottito gli egiziani (13, 14):

3° nel viaggio attraverso il deserto, Egli ha condotto il suo popolo e sconfitto re potenti che tentavano di attaccarlo (16-20);

4° nella terra promessa, ha dato un’eredità al suo popolo (21 22).

IV. Nella liberazione della cattività di Babilonia:

1° Egli è venuto in soccorso di coloro che erano nell’afflizione;

2° li ha liberati dai loro oppressori (23, 24);

3° li ha nutriti con questa paterna provvidenza, con cui nutre e conserva ogni creatura vivente (25, 26).

Spiegazioni e Considerazioni

I . — 1-4

 .

ff. 1-3. –  « … Perché eterna è la sua misericordia; » vale a dire che in Dio non si vede l’oblio seguire il beneficio, l’indifferenza alla misericordia, come succede troppo spesso tra gli uomini, che le passioni dominano, la loro condizione incatena, il loro stato di dipendenza arresta, e ai quali gli avvenimenti non permettono di agire come vorrebbero. Tale non è la condotta di Dio: Egli non interrompe mai il corso della sua misericordia, mai cessa di esercitarla, con mezzi variati all’infinito. La durata della sua misericordia non è limitata a dieci, venti, cento, duecento, mille anni; essa è uguale alla durata dell’esistenza dell’uomo sulla terra, si estende al tempo ed all’eternità. (S. Chrys.). – Dio è non solo elevato al di sopra di tutti i falsi dei del paganesimo, ma ancora è il loro Dio, il Dio di tutti coloro ai quali la Scrittura dà il nome di dei, come ai principi, ai giudici, ai magistrati. – Lodare Dio come il Signore dei signori, significa dare nel proprio cuore una vera preferenza al di sopra di tutto (Duguet).

II. – 5-9.

ff. 5 – 9. – Il Profetaprova ora ciò che andava dicendo, che Dio è il Padrone ed il Signore degli dei, e dimostra questa verità come già aveva fatto, con gli oggetti della sua potenza. Ora, egli non dice “che ha fatto”, ma «che fa », perché Dio non cessa di spandere le sue grazie ed operare i prodigi che sorpassano l’intelligenza umana. Egli fa soprattutto risaltare queste due caratteristiche dell’operazione divina: Dio agisce da solo, o piuttosto dà quattro caratteri della sua superiorità: Dio agisce, opera prodigi, questi sono grandi prodigi, ed Egli è solo ad operarli (S. Chrys.). – « Che fa solo i prodigi più grandi. » Vi sono certe meraviglie che Dio ha fatto da solo, ed il salmo le indica; vi sono altri miracoli che egli va ad enumerare, ma che il Signore ha fatto con l’intermediazione degli uomini. (S. Agost.). – Il cielo visibile non è il solo che Dio ha fatto, Egli ne ha creato un altro per insegnarci, dall’inizio del mondo, che Egli non ci avrebbe lasciato sulla terra, ma che ci avrebbe trasportato in questo altro cielo a cui ci destina. (S. Chrys.). – Egli ha dunque fatto i cieli con la sua sapienza e con la sua bontà, con l’atto della sua intelligenza e della sua volontà, che sono come le sue due mani, senza materia preesistente, senza strumenti, senza soccorso di nessuno. – La terra è stata raffermata al di sopra delle acque, non perché l’acqua sia al di sotto della terra, ma perché la superficie della terra è in gran parte più elevata della superficie dell’acqua, affinché gli uomini e gli animali possano abitarla e vivervi convenientemente. Il sole visibile rischiara gli occhi sani, ed acceca gli occhi malati; il sole invisibile delle nostre anime, Gesù-Cristo, illumina quelle che sono degne di avvicinarsi a Lui, e lascia nell’oscurità quelle dalle quali si ritira, perché esse si sono ritirate da Lui. – La Chiesa, figurata dalla lune, è nella notte, e diviene oscura quando le passioni terrene, o dei suoi figli, o di coloro che la governano, si trovano interposti tra essa e Gesù-Cristo, che è il suo sole. (Duguet.). – Il salmista parrebbe indicare qui la mirabile armonia dei doni variati della grazia che Dio fa agli uomini. « Ad uno, dice l’Apostolo, è dato dallo Spirito, il linguaggio di Sapienza; » ecco cosa figura il sole creato per presiedere al giorno; « ad un altro è stato dato, dal medesimo Spirito, il linguaggio della scienza, » ciò che è figurato dalla luna. Sembra far poi allusione alle stelle quando dice: « Agli altri, la fede per mezzo dello stesso Spirito, ad un altro la grazia di guarire dal medesimo Spirito; ad un altro la virtù di operare miracoli; ad un altro il discernimento degli spiriti; ad un altro l’interpretazione dei discorsi. » (I Cor. XIII; 8-40).Non c’è in effetti una sola delle sue grazie che non sia necessaria nella notte di questo mondo. (S. Agost.).

III. — 10-22.

ff. 10-22. – Questi miracoli operati in Egitto sono la figura di miracoli non meno reali e ben più elevati che Dio opera tutti i giorni nella Chiesa. – Egli colpisce il mondo, così come le cose reputate più preziose nel mondo. – Egli trae i suoi santi ed i suoi fedeli da mezzo i malvagi, « con mano potente e braccio levato.» Egli divide il mar Rosso, di modo che un solo e medesimo Battesimo è per gli uni causa di vita, e per gli altri causa di morte. – Egli fa passare il suo nuovo popolo in un battesimo di rigenerazione. – Egli distrugge rapidamente e i peccato dei suoi e le conseguenze di questo peccato, mediante il Battesimo. –  Egli ci conduce e ci guida come suo popolo attraverso le secche e le aridità di questo mondo, affinché non vi periamo. – Egli colpisce e distrugge le potenze diaboliche e malefiche (S. Agost.) – I popoli di Chanaan non erano che delle figure imperfette dei nemici della salvezza: essi erano uomini possenti, orgogliosi, dediti a tutti i disordini che descrive il libro sacro della Sapienza: « Era questa una razza maledetta dalla sua origine, una nazione perversa ed indurita nel crimine. » Dio attese lungo tempo questi empi, diede presentimenti della sua collera; Egli voleva ricondurli ai principi della saggezza e del vero culto, ma la loro ostinazione fu inflessibile, e le vendette divine si accesero infine contro di essi. (Berthier). – È a giusto titolo che il Profeta ripeta dopo ogni versetto: « … Perché eterna è la sua misericordia; » perché questi prodigi sono una testimonianza evidente di questa provvidenza, la cui azione non si esaurisce mai. Questa provvidenza paterna non si è manifestata solo nei prodigi dell’Egitto e della terra di Chanaan; ogni epoca, ogni periodo della storia dei Giudei (ed ancor più dei Cristiani), ha visto estendersi fino ad essa gli effetti sensibili della bontà divina (S. Chrys.).

IV. 23 – 26.

ff. 23 – 26. — « Egli ci ha liberato dai nostri nemici. » Senza fare una enumerazione dettagliata delle guerre, degli attacchi, delle vittorie del popolo di Dio, il salmista riassume in una sola parola la lunga serie dei loro trionfi. (S. Chrys.). « Egli dà nutrimento ad ogni carne. » Il principio produttore degli alimenti e dei frutti non è dunque né la terra, né le piogge, né l’aria, né il sole, né qualche altro alimento creato, ma è solo a Dio che bisogna rapportarlo. Queste parole esprimono, pertanto, lo stesso pensiero del Salvatore: « … Egli fa sorgere il sole sui buoni e sui malvagi, e piovere sui giusti e sugli ingiusti, » (Matth. V, 45), vale a dire che Egli dà nutrimento non solo agli uomini giusti e virtuosi, ma pure ai peccatori ed agli empi, ed alla natura umana tutta intera. (S, Chrys.). – Cominciamo come questo salmo e finiamo le nostre preghiere con il lodare il Dio del cielo ed il Signore dei signori, principalmente a causa della sua Misericordia eterna, nel suo principio e nei suoi effetti.  

SALMI BIBLICI: “LAUDATE NOMEN DOMINI” (CXXXIV)

SALMO 134:  “LAUDATE NOMEN DOMINI; LAUDATE … “

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS. 

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 134

Alleluja.

[1] Laudate nomen Dominum;

laudate, servi, Dominum:

[2] qui statis in domo Domini, in atriis domus Dei nostri.

[3] Laudate Dominum, quia bonus Dominus; psallite nomini ejus, quoniam suave.

[4] Quoniam Jacob elegit sibi Dominus, Israel in possessionem sibi.

[5] Quia ego cognovi quod magnus est Dominus, et Deus noster prae omnibus diis.

[6] Omnia quæcumque voluit Dominus fecit, in cælo, in terra, in mari et in omnibus abyssis.

[7] Educens nubes ab extremo terræ, fulgura in pluviam fecit; qui producit ventos de thesauris suis.

[8] Qui percussit primogenita Ægypti, ab homine usque ad pecus.

[9] Et misit signa et prodigia in medio tui, Ægypte, in Pharaonem, et in omnes servos ejus.

 [10] Qui percussit gentes multas, et occidit reges fortes:

[11] Sehon, regem Amorrhæorum, et Og, regem Basan, et omnia regna Chanaan;

[12] et dedit terram eorum hæreditatem, hæreditatem Israel populo suo.

[13] Domine, nomen tuum in aeternum; Domine, memoriale tuum in generationem et generationem.

[14] Quia judicabit Dominus populum suum, et in servis suis deprecabitur.

[15] Simulacra gentium argentum et aurum, opera manuum hominum.

[16] Os habent, et non loquentur; oculos habent, et non videbunt.

[17] Aures habent, et non audient; neque enim est spiritus in ore ipsorum.

[18] Similes illis fiant qui faciunt ea, et omnes qui confidunt in eis.

[19] Domus Israel, benedicite Domino; domus Aaron, benedicite Domino.

[20] Domus Levi, benedicite Domino; qui timetis Dominum, benedicite Domino.

[21] Benedictus Dominus ex Sion, qui habitat in Jerusalem.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXXXIV

Esorta i fedeli alle lodi di Dio. Il che conviene a quei che già arrivarono in patria, ed anche a quelli che i gradi di perfezione già salirono, o molto nel salire profittarono.

Alleuija: lodate Dio.

1. Lodate il nome del Signore, lodate il Signore, voi servi suoi.

2. Che fate il vostro soggiorno nella casa del Signore, ne’ cortili della casa del nostro Dio.

3. Lodate il Signore, perché è buono il Signore; cantate inni al nome di lui, perché è soave.

4. Perché il Signore elesse per sé Giacobbe, per sua proprietà Israele.

5. Perché io ho conosciuto come è grande il Signore, e il nostro Dio sopra tutti gli dei.

6. Tutte le cose che ha voluto, le ha fatte il Signore in cielo e in terra, in mare e in tutti gli abissi.

7. E i che fa venir le nuvole dall’estremità della terra, fece i lampi per segnale della pioggia.

8. Egli i venti trae fuora da’ suoi tesori, egli percosse i primogeniti dell’Egitto, dall’uomo fino al bestiame.

9. E mandò segni e prodigi in mezzo a te, o Egitto; contro Faraone e contro tutti i suoi servi.

10. Egli che abbatté molte genti, e uccise de’ re robusti;

11. Sehon re degli Amorrei, e Og re di Barsan, e tutti i regni di Chanaan.

12. E diede la loro terra in retaggio, in retaggio ad Israele suo popolo.

13. Signore, il tuo nome è in eterno: Signore, la memoria di te per tutte le generazioni.

14. Perché il Signore farà giustizia al suo popolo, e si placherà co’ suoi servi.

15. I simulacri delle nazioni sono oro e argento, opere delle mani degli uomini.

16. Hanno bocca e non parleranno; hanno occhi, e non vedranno.

17. Hanno orecchi, e non udiranno; imperocché non vi è spirito nella loro bocca.

18. Sien simili ad essi coloro che li fanno, e tutti quei che in essi confidano.

19. Casa d’Israele, benedici il Signore; benedici il Signore, casa d’Aronne.

20. Casa di Levi, benedici il Signore; voi che temete il Signore, benedite il Signore.

21. Di Sionne si benedica il Signore, che abita in Gerusalemme.

Sommario analitico

Il Salmista rivolge ai Sacerdoti lo stesso invito del salmo precedente, ma lo motiva meglio [Questo salmo ed il seguente sono stati composti dopo il ritorno dalla cattività, come dimostra il colore moderno del loro stile. Il Salmo CXXXIV è composto in parte da citazioni di salmi anteriori.].

I. Egli li invita a lodare il Signore:

1° perché essi sono suoi servi (1, 2);

2° perché il Signore è buono ed il suo nome pieno di dolcezza, ragione che sviluppa in tutto lo svolgimento del salmo (3);

3° perché è pieno di amore per Israele che ha scelto per farne sua eredità (4);

4° perché Egli è infinitamente possente, come lo provano tutte le meraviglie che Egli ha operato: a) nell’ordine fisico (3-7); b) nell’ordine della sua provvidenza morale sui nemici del suo popolo dei quali ricorda i castighi (9-14);

5° perché Egli è al di sopra di tutti gli dei, ciò che il salmista rende sensibile con il contrasto tra la sua potenza con la vanità degli idoli (15-18).

6° Termina invitando di nuovo i ministri del Signore e tutti i fedeli a glorificare il Dio potente che li protegge (19-21). 

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1-17.

ff. 1, 2. Notiamo che il Profeta, dall’esordio del salmo, ci eccita a lodare Dio, mentre nei salmi precedenti ci esortava solo a benedirlo. Ora, nessuno dubita che la lode non prevalga sulla benedizione. La benedizione viene in primo luogo e si consuma nella lode. E questa non è una lode confusa nel suo oggetto, ma essa procede con ordine. « Lodate il nome dl Signore. » In effetti è con la conoscenza del nome di Dio che noi perveniamo a conoscere Lui stesso (S. Hilar.). – Utilità per noi il lodare Dio: la lode di Dio è per noi come un freno che ci impedisce di correre a nostra perdita. « Laude mea infrenabo te ne intereas. » (Isai. XLVIII, 9). Noi dobbiamo lodarlo perché siamo suoi servi. Cosa c’è di più giusto che lodare il Signore? Cosa è più convenevole? Cosa di più delizioso? In effetti, se i servitori del Signore non lo lodassero, sarebbero dei superbi, degli ingiusti, degli empi. E cosa fanno se non lodano il Signore, se non attirarsi la sua severità? Il servo ingrato che rifiuta di lodare il suo padrone, non di meno ne resta servo. Lodate il Signore, non lo lodate … voi siete suoi servi; se lo lodate ve lo rendete propizio, se non lo lodate, lo offendete (S. Agost.) – Il salmo ci esorta, il Profeta ci esorta, lo Spirito di Dio ci esorta, il Signore stesso ci esorta a lodare il Signore. Le nostre lodi non lo fanno più grande, ma fanno noi più grandi. Dio non diviene più perfetto se lo lodate, non resta sminuito se voi lo accusate; ma voi, lodando Colui che è eccellente, diventate migliori, mentre accusandolo diventate peggiori di quanto non siate; quanto a Lui, Egli resta ciò che è (S. Agost.). –  Voi che state nella casa del Signore. » Voi che state ritti e non cadete. Ora, coloro che stanno in piedi, secondo la Scrittura, sono coloro che perseverano nella pratica dei Comandamenti di Dio con vera fede, con la speranza incrollabile ed una carità sincera, che onorano la sua Chiesa e non causano scandalo con i loro cattivi costumi, e coloro che vogliono entrare nella Chiesa ma che trovano sulla loro strada pietre di inciampo. Di conseguenza: « Voi che state ritti nella casa del Signore, lodate il Nome del Signore. Siate riconoscenti; voi siete all’esterno ciò che avete dentro. Poiché voi siete così in piedi, non è forse un dovere che non potete dimenticare, il riconoscere e il lodare il Signore nella dimora ove Egli merita di essere lodato, per avervi rialzato dalla vostra caduta ed avervi concesso di restare nella sua casa? È dunque un beneficio di poco valore restare nella casa del Signore? A Lui dobbiamo un poco di riconoscenza di averci concesso di restare quaggiù, in questo luogo di passaggio, in questo luogo di esilio, in questa casa che si chiama ancora una “tenda da viaggio”? Noi non dobbiamo considerare che stiamo in piedi? Non dobbiamo considerare ciò che siamo diventati? Non dobbiamo considerare che alcun empio cerchi il Signore, e che Egli abbia cercato coloro che non lo cercano; e dopo averli trovati, li ha risvegliati; e dopo averli risvegliati, li ha chiamati; e dopo averli chiamati, li ha introdotti nella sua casa ed ha concesso di restarvi? (S. Agost.). – In questa vita, noi siamo abitanti degli atri della casa del Signore. Noi non siamo ancora nel tempio eterno in cui Dio fa il suo soggiorno; ma noi siamo nella Chiesa che ne è l’entrata, ed in questa Chiesa, noi possediamo il Santo dei Santi, poiché Gesù-Cristo vi risiede con il suo Spirito, con l’influenza delle sue grazie e con la presenza reale del suo Corpo adorabile (Berthier).

ff. 3. Per qual motivo noi dobbiamo lodare il Signore? « Perché il Signore è buono. » In una sola parola, il Profeta ha spiegato la lode che dobbiamo al nostro Dio: « Il Signore è buono, ma Egli è buono in altra maniera che le cose che ha fatto buone. In effetti, Dio ha fatto tutte le cose molto buone; esse non sono solamente buone, ma molto buone, eccellenti. Egli ha fatto buoni e molto buoni il cielo e la terra, e tutte le cose che ha create. Se Egli ha fatto buone tutte queste cose, quale deve essere la bontà di Colui che le ha fatte? Egli è in sé il molto-buono, dal quale viene tutto ciò che è buono, perché Egli ha creato tutto ciò che è buono; ma Egli è l’Essere sovranamente buono, che nessuno ha creato. Egli è buono per bontà propria e non per partecipazione ad una bontà estranea; Egli è buono per bontà propria e non per unione alla bontà altrui, mentre tutti gli altri hanno avuto bisogno di Lui per divenire buoni (S. Agost.). – L’utilità si trova congiunta al piacere. Il frutto più prezioso che noi raccogliamo da questo santo esercizio è cantare le lodi di Dio, purificare la nostra anima, elevare i nostri pensieri, avere una conoscenza perfetta delle verità divine ed un’idea giusta del presente e dell’avvenire. La melodia dà allora a questi canti un fascino ineffabile che consola, riposa l’anima e rende degna di venerazione colui che ama cantare i ritmi sacri. (S. Chrys.) – « Cantiamo alla gloria del suo Nome, perché Egli è soave. » Forse potrebbe essere buono senza essere soave, senza concedervi di gustarlo? Ma se Egli si mostra così propizio agli uomini, che ha loro inviato il pane dal cielo (Giov. VI, 32-51), e che ha datolo loro suo Figlio, uguale a Lui, che è Egli stesso, perché fosse fatto uomo e fosse messo a morte per la salvezza deli uomini, affinché, per quanto voi siate, possiate gustare in Lui ciò che voi non siete. Vi era in effetti, ben difficile gustare la soavità di Dio, perché Dio era infinitamente lontano da voi, e posto ad un’altezza infinita, mentre che eravate ancora un essere abietto, sprofondato nel fondo dell’abisso; ma tra queste due estremità sì distanti, vi è stato inviato un Mediatore. Voi non potevate, non essendo che un uomo, salire fino a Dio; Dio si è fatto uomo, affinché voi, che come uomo potevate avvicinarvi all’uomo, benché non lo possiate con Dio, voi aveste accesso come uomo a Dio; e il Cristo Gesù, come Uomo è stato mediatore tra Dio e gli uomini … (I. Tim. II, 5). Egli è il Mediatore, ed è così che ha messo la sua soavità alla vostra portata.  Cosa c’è di più soave del pane degli Angeli? Come potrebbe il Signore non essere soave, allorché l’uomo mangia il pane degli Angeli? (Ps. LXXVII, 25)? In effetti, l’uomo vive di un nutrimento, l’Angelo di un altro: questo nutrimento è la verità, è la saggezza, è la forza di Dio; ma voi non potete gioirne come ne gioiscono gli Angeli; perché, come ne gioiscono essi? Essi lo possiedono così com’è: « In principio era il Verbo, ed il Verbo era in Dio, ed il Verbo era Dio, e per mezzo di Lui tutte le cose, sono state fatte. » (Jov. I, 1). Ma voi, come lo possedete? Nel fatto « che si è fatto carne ed ha abitato tra noi; » (Ibid. 14); perché, affinché l’uomo mangiasse il pane degli Angeli, il Creatore degli Aneli, si è fatto uomo. (S. Agost.).

ff. 4. Egli ha posto le altre Nazioni al di sotto degli Angeli, ma « il Signore ha scelto Giacobbe per averlo con Lui, ed Israele per possederlo in sé. » Egli ha fatto della sua Nazione un campo che coltiva, che semina e, benché abbia dato l’esistenza a tutte le Nazioni, ha affidate le altre alla guardia degli Angeli, e si è riservato il possesso e la conservazione di questa Nazione, di questo popolo di Giacobbe. Lo ha scelto per i suoi meriti o per la sua grazia? Esso è stato conosciuto prima di ogni merito, predestinato prima di ogni merito, eletto prima di ogni merito; esso non è stato scelto per i suoi meriti, ma è la grazia di Dio che è venuta a trovarlo e renderlo alla vita per grazia di Dio. (Rom. IX, 11-13). Di tutte le Nazioni è così; perché per essere innestato sull’ulivo fertile, cosa aveva meritato l’ulivo selvatico per l’amarezza delle sue bacche e per la sua sterilità l’albero della foresta? Esso non era che un albero della foresta e non un albero del campo del Signore; e tuttavia il Signore, nella sua misericordia, lo ha impiantato sull’ulivo fertile (S. Agost.).

ff. 5-7. « Perché io ho riconosciuto che il Signore è grande. » Il suo spirito prendendo il volo verso il cielo, elevandosi sopra della carne e liberandosi da ogni creatura, ha riconosciuto che il Signore è grande. Egli non ha dato a tutti il conoscerlo per averlo visto; essi lo glorificano nelle sue opere, « Egli è pieno di soavità, ha scelto Giacobbe per averlo con sé, ed Israele per possederlo come sua proprietà. » lodatelo per i suoi benefici. « Perché io ho riconosciuto che il Signore è grande, » dice il Profeta, che è entrato nel santuario di Dio, ove forse ha ascoltato delle parole ineffabili che è non è permesso all’uomo il ridire; (II Cor. XII, 4); egli ha detto agli uomini ciò che poteva essere loro detto. Ascoltiamo ciò che noi possiamo intendere e crediamolo su ciò che possiamo comprendere (S. Agost.). – I santi, da questa vita partecipano in qualche modo alla conoscenza che gli abitanti del soggiorno celeste hanno di Dio. « Io ho conosciuto da me stesso che Dio è grande. » Questa conoscenza non gli è venuta solo dallo spettacolo dell’universo, con l’istruzione dei suoi maestri, dalla frequentazione degli altri profeti; egli lo ha ricevuto da Dio stesso con una speciale rivelazione, e questa scienza è intima in lui, egli gusta la grandezza di Dio. Quando tutti gli uomini fossero nell’ignoranza di Dio, egli ne sarebbe stato non meno penetrato da ciò che sa, perché è a lui che Dio si è comunicato. Questa conoscenza della grandezza di Dio, opera degli effetti meravigliosi nell’anima di colui che la possiede; essa eleva al di sopra di tutti gli oggetti creati, gli dà una forza superiore, sia per combattere le sue passioni, sia per compiere tutti i doveri che Dio gli ha imposto, sia per sopportare tutte le tribolazioni di questa vita … L’anima che ha conosciuto, come il Profeta, che Dio è grande, afferra questo grande oggetto e si rivolge a Lui con il trasporto dell’amore più vivo, più tenero e più generoso. (Berthier). –  Qual è dunque questa grandezza veramente degna di Dio e che non conosce che Lui solo? « Il Signore ha fatto tutto ciò che ha voluto nel cielo e sulla terra. » Vedete questa potenza alla quale nulla assolutamente manca? Vedete questa fonte di vita? Vedete questa forza invincibile? Vedete questa superiorità incomparabile? Vedete questo potere che non conosce ostacoli? Come tutto gli è semplice, come tutto gli è facile? Qual è stato il teatro della sua potenza? Il cielo e la terra! (S. Chrys.). – Chi può conoscere tutte queste cose? Chi può enumerare le opera del Signore nel cielo e sulla terra, nel mare e negli abissi? Tuttavia, se non possiamo conoscere tutto ciò che esiste, noi dobbiamo credere, con fede incrollabile, che tutte le creature del cielo, tutte le creature della terra, tutte le creature del mare e di tutti gli abissi, sono stati fatti dal Signore … Egli non è stato obbligato a fare tutto ciò che ha fatto, « Egli ha fatto ciò che ha voluto. » La sua volontà è stata la causa di tutto ciò che ha fatto. Voi costruite una casa, perché se non vorreste farlo, restereste senza un’abitazione: la necessità vi forza a costruire una casa, qui non è la vostra libera volontà che agisce. Voi vi fate un vestito perché, se non lo fate, camminereste nudo; è dunque la necessità e non la vostra libera volontà che vi conduce a fare questo vestito. Voi piantate di vigne una montagna, seminate una terra, perché se non lo fate, non avreste di che nutrirvi. Tutte queste cose le fate sotto l’imperativo della necessità. Dio ha creato tutto per bontà, e non ha avuto alcun bisogno di avere qualche cosa; ecco perché Egli ha fatto tutto ciò che ha voluto. (S. Agost.) – Il Profeta non parla qui che delle opere meravigliose che Dio fa nel cielo aereo, sulla terra e nelle acque, opere che noi vediamo, benché ne ignoriamo le cause. Esempio ne sono le nubi che vengono dalla terra e si condensano nel cielo per tornare come acqua sulla terra. – Gli apostoli ed i predicatori, come cibo spirituali, passano da un’estremità della terra all’altra, per diffondervi le acque della dottrina di salvezza. Timori salutari sono quelli che essi imprimono nell’animo dei peccatori, lanciando su di essi i fulmini che sono il terrore dei giudizi di Dio. – Altro effetto della potenza di Dio, è la produzione dei venti, con tutta la sottigliezza di cui lo spirito umano non può scoprire l’origine. «Lo spirito soffia dove vuole, e voi ascoltate la sua voce, ma non sapete da dove viene e dove va. »Soffio dello Spirito divino che ispira delle inclinazioni tutte spirituali e sante, come principio della nostra vita novella. Dio lo trae dai suoi tesori, vale a dire da se stesso, e ce lo comunica quando e nella maniera che gli piace. (Dug.). « … La nuvole spandono la loro luce. » (Giob. XXXI, 51). Perché, si domanda S. Gregorio? Perché i predicatori del santo Vangelo nello stesso tempo fecondano le nostre anime con l’effusione della loro parola, li rischiarano e le rallegrano con l’irradiamento della loro vita santa. Felici dunque il suolo privilegiato sul quale passano le nubi che fecondano e che rischiarono, ma maledetto colui che ha meritato questo arresto terribile del Signore: « Io ordinerò alle mie nuvole di non piovere su di lui! » Maledetta l’anima che non vede più la luce, almeno attraverso la nube. Quanti popoli hanno visto passare sopra di essi le nubi benefiche? « Dio solo – è detto nel libro i Giobbe – conosce i grandi cammini che seguono le nubi. » (Giob. XXXVII, 16). Stiamo attenti a che Dio non li spinga verso le contrade che non sarebbero più le nostre; facciamo attenzione che le nubi non abbiano più per noi né la pioggia della divina parola, né la luce dei santi esempi; stiamo attenti a che Dio non faccia diventare il cielo di bronzo al di sopra delle nostre teste. (Mgr DE LA BOUILLERIE, Symb.)

ff. 9-12. —  Il Profeta passa dalle meraviglie della natura, ai miracoli propriamente detti, e secondo l’uso delle Scritture, aggiunge ai miracoli i prodigi terreni dei benefici, perché gli uomini sono più sensibili al terrore che non alla riconoscenza.  Bisogna far risaltare questa verità, che tutte queste vittorie raccontate nei libri dei Numeri e di Giosuè sono state l’opera di Dio e non l’effetto del valore dei combattenti. Gli uomini non attribuiscono mai questi grandi esempi e le rivoluzioni degli imperi se non a cause tutte umane. Ve n’è tuttavia una causa primaria nel cielo, alla quale le seconde sono sottomesse. (Berth. e Duguet). – Così, quando Dio vuol donare la vittoria ad un popolo, nulla gli resiste; quando Egli la ritira, non serve più nulla: né le armi sono più temprate, né i coraggi non sono più invincibili e, come dice Bossuet, né i cavalli sono veloci, né gli uomini sono abili se non solo a fuggire davanti al vincitore … È la storia di questi ripieghi molteplici, di questi disastri inauditi nella storia di una Nazione, fino ad allora vittoriosa, e di cui lo Spirito-Santo ci dà qui la spiegazione: « È Dio che colpisce le Nazioni numerose, è Lui che stermina i re potenti. »     

ff. 13, 14. — Il Profeta interrompe la sequela della sua recita per lodare Dio, secondo il costume dei santi. Appena hanno cominciato a parlare delle meraviglie della mano di Dio, l’amore che li avvolge li forza ad interrompersi per benedire e lodare l’autore di questi prodigi e soddisfare così il desiderio del loro cuore. (S. Chrys.). – Si possono applicare al popolo di Dio le due parti di questa proposizione: « Il Signore giudicherà il suo popolo e si lascerà piegare dalle preghiere dei suoi servi, » in questo senso che Dio comincerà con il castigare, ed all’azione della sua giustizia succederà la consolazione. Si può anche dividerla, cioè applicare al popolo di Dio l’esercizio della bontà, e restringere ai suoi nemici l’azione della giustizia divina (S. Chrys.). 

ff. 15-18. –  v. nel Ps. CXIII,   ai vv. ff. 12-16.

II. — 19-21

ff. 19-21. — Il Profeta ha abbracciato qui tutta la Chiesa nelle distinzioni che stabilisce tra le differenti membra del popolo di Dio, che egli esorta a benedire il Signore (S. Hilar. ). – Benediciamo Dio, ognuno secondo il proprio stato, secondo la vocazione che Dio ci ha dato e gli impieghi che ci affida. La casa di Israele, i semplici Cristiani che vivono nella luce della fede, lo benedicano per il beneficio inestimabile della verità che hanno ricevuto da Dio. – La casa di Aronne, i sacerdoti che partecipano al sacerdozio di Gesù-Cristo, benché più eccellente di quello di Aronne, benedicano il Signore nelle loro preghiere e nei loro sacrifici. – La casa di Levi, i diaconi e gli altri ministri dell’altare, benedicano Dio ciascuno nell’esercizio delle loro funzioni. – Tutti coloro che temono il Signore lo benedicano con le loro parola e con la pietà delle loro azioni. – La Chiesa, infine, che è la vera Sion, deve lodare e benedire incessantemente il Signore, che dimora in mezzo ad essa, ma che abita e regna in maniera ancor più eclatante nella Gerusalemme celeste.

SALMI BIBLICI: “ECCE NUNC BENEDICITE DOMINUM” (CXXXIII)

SALMO 133: “ECCE NUNC BENEDICITE DOMINUM”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS. 

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 133

Canticum graduum.

[1] Ecce nunc benedicite Dominum,

omnes servi Domini: qui statis in domo Domini, in atriis domus Dei nostri.

[2] In noctibus extollite manus vestras in sancta, et benedicite Dominum.

[3] Benedicat te Dominus ex Sion, qui fecit cælum et terram.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXXXIII

È Salmo (l’ultimo dei graduali) che esorta i viatori, che aspirano alla patria, a lodare Dio; o meglio, che anima quei che già arrivarono in patria a darsi tutti alle lodi di Dio, ufficio perpetuo di quei che abitano nella casa di Dio.

Cantico dei  gradi.

1. Su via benedite adesso il Signore, tutti voi servi del Signore.

2. Voi che fate vostro soggiorno nella casa del Signore, ne’ cortili della casa del nostro Dio.

3. La notte alzate le vostre mani verso il santuario, e benedite il Signore.

4. Benedica te da Sionne il Signore, che fece il cielo e la terra.

Sommario analitico

In questo salmo, che termina la serie dei salmi graduali, il popolo, nel momento in cui finisce e cessa di lodare Dio, desidera vedersi sostituito da coloro che, consacrati specialmente al suo culto, possono e devono restarvi incessantemente.

I.- Il sommo sacerdote, con il popolo, esorta i sacerdoti, i leviti e tutto il popolo a lodare Dio notte e giorno; e alzando le loro mani verso il tempo, e benedicendo Dio di cuore e di bocca (1, 2):

II. – Il popolo prega Dio di benedire il sommo Sacerdote:

1° Perché egli ha scelto il tempio per farne la sua dimora; 2° Perché Egli è il Creatore del cielo e della terra (3).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1-3.

ff. 1. –  « Benedite il Signore, voi tutti che siete  servi del Signore; » voi che non siete più schiavi del peccato, ma i servi di Dio. Pensiamo che sia un lieve vantaggio il dire: «Io sono il servo del Signore? » È il colmo della virtù meritare questo favore. Ci si onora nel mondo nel poter dire: io sono il servo dell’imperatore; è una dignità l’appena avvicinarsi ad un servo dell’imperatore. A maggior ragione è dignità sovrana, infinita, potersi dire servo del Signore. Così l’Apostolo si glorifica di questo titolo, scrivendo all’inizio di tutte le sue Epistole: « Paolo, servo di Gesù-Cristo. » Benedite dunque il Signore, voi tutti servi del Signore, voi che Egli ha riscattato, voi che non riconoscete se non Dio per padrone, voi sui quali la collera non ha impero, che non siete schiavi né della voluttà, né delle altre passioni; ma non è sufficiente che essi siano servi del Signore, bisogna che si tengano in piedi. «Tenetevi in piedi nella casa del Signore. » (S. Girol.). – La benedizione che diamo a Dio viene originariamente da quella che Egli ci dà: Dio ci benedice, quando ci ricolma di beni che ci vengono dalla sua bontà, e che noi, non potendo dargli niente, confessiamo con compiacenza le sue perfezioni e ce ne rallegriamo con tutto il nostro cuore. (Bossuet, Elev. , XVIIIa sem., IXa El.). – È un dovere per tutti i Cristiani, che sono servi di Dio, il benedirlo; ma per una ragione speciale, questo dovere è più rigoroso per i sacerdoti, le cui funzioni chiamano così sovente nelle mura della sua casa, e che sono esclusivamente consacrati al culto del Signore. – Che significa: « Ora? » Nel tempo presente, perché è evidente che dopo che le nostre tribolazioni saranno passate, noi non saremo occupati se non a benedire il Signore: « Beati coloro che abitano nella vostra casa, essi vi loderanno nei secoli dei secoli. » (Ps. LXXXIII, 3). Coloro che allora benediranno il Signore senza mai fermarsi, cominceranno a benedirlo quaggiù, cioè nelle tribolazioni, nelle tentazioni, nelle sofferenze, in mezzo alle avversità del mondo, in mezzo alle insidie del nemico, in mezzo agli inganni ed alle violenze del demonio (S. Agost.). – « Voi tutti che state nella casa del Signore. » Questa casa di Dio, è la Chiesa, secondo queste parole dell’Apostolo san Paolo: « Affinché, se mi capita di tardare lungo tempo, voi sappiate come comportarvi nella casa di Dio, che è la Chiesa del Dio vivente, la colonna ed il sostegno della verità. » (I Tim. III, 15). Ora la Chiesa non consiste nelle mura materiali di un edificio, ma nella verità dei dogmi. Là dov’è la vera fede, là c’è la Chiesa (S. Girol.). – « Voi che state nella casa del Signore, » cioè che perseverate; perché è stato detto di colui che era altra volta un Arcangelo: « egli non è nella verità. » (Giov. VIII, 14). È stato ancora detto dell’anima dello sposo: « ma l’anima dello sposo resta là e l’ascolta, ed ella è piena di gioia alla voce dello sposo. » (Giov. III, 19).

II. — 2.

ff. 2. – « Alzate le vostre mani durante la notte, verso le cose sante. » Alzate le vostre mani, perché Gesù le ha stese sulla croce. Perché il Profeta aggiunge: « Verso le cose sante? » Eccolo: Gli eretici, i Giudei, gli stessi pagani, alzano le loro mani. Essi fanno anche delle elemosine; se vedono un povero, essi aprono le loro mani. Non sembra che le elevino? Si, essi le elevano, ma non verso le cose sante, perché essi non conoscono Gesù-Cristo … Voi, al contrario, servi del Signore, alzate le vostre mani verso le cose sante, verso il santuario, cioè confessate Gesù-Cristo, di modo che tutto ciò che fate, lo fate per Lui. .. Tutto ciò che facciamo, lo facciamo nel nome di Gesù-Cristo. noi leggiamo le Scritture, noi apprendiamo i salmi, studiamo i Vangeli, cerchiamo di comprendere i Profeti: noi non dobbiamo farlo per essere glorificati dai nostri fratelli, ma per piacere a Gesù-Cristo, affinché la sua parola risuoni sulle nostre labbra …Costui ha più appreso che poi fatto. Se io traduco nelle mie opere ciò che voi apprendete, queste opere sono molto più impregnate, penetrate dalle scritture che le parola che vi faccio intendere (S. Girol.) – In questa notte di ignoranza, di insidie, di infermità, di concupiscenze, di vizi, eleviamo le mani verso le cose sante, non solo per pregare, ma per fare delle buone opere. La preghiera da sola, non è sufficiente: bisogna elevare le nostre azioni all’altezza delle cose sante, dando i vestiti a coloro che sono ignudi, del pane a coloro che hanno fame, consolando gli afflitti, soccorrendo gli oppressi con una carità che si estenda a tutti senza eccezione. Ecco le opere che ci santificano, che sono sante e gradite a Dio (S. Hil.). – Non bisogna dare al sonno la notte tutta intera, e le nostre preghiere sono più pure quando l’anima è meno caricata dalle faccende, e la calma più profonda (S. Chrys.). –  La notte è il tempo più favorevole per lodare e pregare Dio, allorché tutto è piombato nel riposo ed il silenzio regna tutt’attorno  noi: « Io mi levo nella notte per lodare il Signore: » (Ps. CXVIII); « La mia anima vi ha desiderato di notte; » (Isai. XXVI); « Alzatevi, lodate il Signore durante la notte, all’inizio delle veglie. » (Gerem. Lam. II.). Tutti i santi hanno raccomandato questo esercizio, e la maggior parte degli istitutori di ordini monastici hanno prescritto gli uffici della notte. Il raccoglimento è più profondo quando tutta la natura è nel silenzio; i cantici di lode sono più graditi a Dio, quando si sacrifica una parte del proprio riposo col contemplare le sue perfezioni ed a celebrarne i benefici. È come un apprendistato della vita del cielo, ove gli eletti servono Dio giorno e notte nel suo tempio; è un’opera di opposizione, e nello stesso di riparazione contro gli usi del mondo, che consacra il tempo della notte ai divertimenti, ai piaceri ed all’intemperanza. – Voi che vi alzate durante la notte, che solitari levate a Dio mani innocenti, nell’oscurità e nel silenzio, e voi, Cristiani, che lodate Dio durante le tenebre, benedite il Signore (BOSSUET, Elev. XVIII, S. m, E.). – Pratica notevole, quando ci si svegli di notte è alzare le mani, ed ancor più il proprio cuore a Dio, adorarlo, lodarlo, benedirlo in un tempo in cui è dimenticato da quasi tutti. – « Alzate le vostre mani verso il santuario, » o, secondo un’altra versione: « Elevatele santamente, », cioè che la vostra anima, pregando, debba essere pura dai cattivi pensieri, dall’odio, dall’avarizia, e da ogni peccato che gli dà la morte (S. Chrys.).

ff. 3. Il Signore benedice da Sion; le sue grandi benedizioni sono nella Chiesa, ed il fine di queste benedizioni è il possesso del soggiorno celeste, di cui Sion fu la figura. (Berthier) – Il Profeta eleva in seguito a più alti pensieri lo spirito di coloro ai quali si rivolge, ricordando loro che Dio è dappertutto … che noi possiamo, di conseguenza, pregarlo in ogni luogo, nella campagna, all’interno delle nostre case, sulla pubblica piazza, nella solitudine, sul mare, nelle osterie, in una parola, ovunque noi siamo. Alcun luogo è, per sua natura, contrario alla preghiera, purché la nostra vita non si opponga alla sua efficacia (S. Chrys.). – Nessuno tra voi dica: Questa benedizione non è giunta fino a me. A chi pensate che si indirizzi il Profeta dicendo: « Che il Signore vi benedica da Sion? » Egli ha benedetto l’unità, siate nell’unità, e la benedizione giungerà fino a voi. I fratelli fanno numero, perché sono plurimi, ma essi non sono che uno, perché la carità li unisce. (S. Agost.).  


SALMI BIBLICI: “ECCE QUAM BONUM ET QUAM JUCUNDUM” (CXXXII)

SALMO 132: ECCE QUAM BONUM ET QUAM JUCUNDUM”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS. 

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 132

Canticum graduum David.

[1] Ecce quam bonum et quam jucundum,

habitare fratres in unum!

[2] Sicut unguentum in capite, quod descendit in barbam, barbam Aaron, quod descendit in oram vestimenti ejus;

[3] sicut ros Hermon, qui descendit in montem Sion. Quoniam illic mandavit Dominus benedictionem, et vitam usque in sæculum.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXXXII.

Il Salmo conviene alle moltitudini, dove trovasi la concordia e la comunione; e principalmente a quelli che dal pellegrinaggio giungono in patria.

Cantico de’ gradi, di David.

1. Oh quanto buona e dolce cosa ch’è che i fratelli sieno insieme uniti.

2. Come quell’unguento sparso sulla testa, (1) il quale cola fin sulla barba, sulla barba di  Aronne, e cola fino all’estremità della sua veste;

3. come la rugiada dell’ Hermon, che cade sul monte di Sion. (2) Perché quivi il Signore ha data benedizione e vita fino in sempiterno.

(1) L’unzione della testa è, nei costumi orientali, l’indice della gioia. (JUDITH. X, 3 ; VI, 10; ESTHER. II, 12; MATTH. VI, 17; LUC. VII, 46).

(2) C’era, nella tribù di Issacar, una montagna, Hermon molto meno lontana da Gerusalemme, rispetto ad Hermon vicino al Libano; ma quando si suppone che l’Hermon vicino al Libano sia lontano più di 200 chilometri da Gerusalemme, il testo del profeta sarebbe ancora spiegabile se si considera che il suo oggetto principale è quello di mostrare la comunicazione dei beni e dei servizi che si fanno nella società fraterna. In Oriente, le rugiade sono molto abbondanti e suppliscono alle piogge che sono molto rare. Non farebbe quindi meraviglia che la rugiada si espanda per un’estensione di cinquanta leghe, dal Libano, fino a Gerusalemme, e siccome l’Hermon vicino al Libano sia più elevato del monte di Sion, il salmista ha potuto dire che la rugiada cadendo dapprima sull’Hermon, sarebbe poi discesa sulla montagna di Sion.

Sommario analitico

In questo salmo, composto per essere cantato dai Giudei quando, dopo il ritorno dalla cattività, essi si trovavano riuniti nella pace, non formando che un unico popolo; il Salmista celebra le dolcezze della concordia e dell’unione fraterna  (Questo salmo, a giudizio di Lowht, è un modello perfetto di una sorta di ode che ha la dolcezza come carattere distintivo. Esso offre, riassunto, tutte le delizie di cui questo genere di composizione è suscettibile, ed è, secondo questo sapiente dottore, una dolce effusione di una sacra sorgente ed una bellezza nel suo pieno fiorire.).

I. Il salmista proclama altamente che questa concordia, questa unione è utile, piacevole (1)

II. Egli uscire le dolcezze di questa unione fraterna attraverso due comparazioni: il profumo sacro che fu effuso sulla testa di Aronne; la rugiada di Hermon, che si spande sul monte Sion, benché molto lontano dalla montana dell’Hermon. (2).

III. – Egli rende ragione di questi preziosi benefici, Dio ha legato a questa unione la sua benedizione e la vita eterna (3).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1.

ff. 1. – La melodia di queste parole è sì dolce che anche coloro che non conoscono i salmi, amano cantare questo versetto. Essa è così dolce come dolce è la carità che fa che dei fratelli abitino in comune. (S. Agost.). – E ci sono delle cose che sono belle,  anche senza essere piacevoli; altre sono piacevoli, ma prive di una vera bellezza, e queste due qualità si trovano difficilmente riunite. Qui al contrario, la piacevolezza e la bellezza morale si incontrano nello stesso oggetto. In effetti uno dei principali caratteri della carità, è che feconda in frutti preziosi, la pratica ne è ancora dolce e facile. (S. Cris., S. Girol.). – Ma è di tutti i Cristiani che è detto: « Ecco che è buono e dolce che fratelli abitino in comune, » ci sono uomini più perfetti che abitano così in comune che questa benedizione non si applichi a tutti, ma solo a qualcuno, dai quali tuttavia essa si effonde sugli altri. (S. Agost.). – Questo salmo conviene particolarmente ai Cristiani uniti da una fraternità spirituale fondata sulla professione di una vita santa, che abitano insieme nella stessa casa e seguono gli stessi esercizi di pietà; perché, benché si possa applicare alle Chiese in cui si riuniscono i Cristiani, c’è troppa differenza tra la maniera di vivere perché possa regnare tra essi una grande concordia. Qual è in effetti, questa fraternità dei Cristiani tra di loro? L’uno desidera tornare a casa sua, l’altro corre al circo, un altro, fin nella chiesa pensa ai suoi profitti da usuraio. Nelle comunità, al contrario, anche se non c’è un solo genere di vita, c’è un solo spirito.  « Come è buono e dolce che i fratelli abitino in comune. » Sì, è una cosa veramente buona e dolce. Per un fratello che abbiamo lasciato nel mondo, quanti altri ne abbiamo trovati? Il fratello che ci è unito dai legami di sangue, mi ama molto meno di quanto non ami il mio bene. Quanto a coloro che sono uniti dai legami di una fraternità tutta spirituale, se essi dimenticano i propri interessi, non è per cercare ciò che appartiene agli altri (S. Girol.). – Dunque, è da queste parole del salmo che i monaci ed i religiosi hanno ricevuto la loro vocazione, essi che vivono in comune, in modo da non costituire che un solo uomo, e realizzare questa espressione della Scrittura: « una sola anima ed un solo cuore, » (Act. IV, 32); diversi corpi, ma non diverse anime; più corpi ma non più cuori (S. Agost.). – Amate ciascuno con un grande amore caritatevole, ma non abbiate amicizia se non con coloro che possono comunicare con voi di cose virtuose, e più le virtù che mette nel vostro commercio saranno squisite, più la vostra amicizia sarà perfetta. Oh! Che si ami bene in terra come si ama in cielo, e si impari ad amarsi reciprocamente in questo mondo, come faremo eternamente nell’altro! … A buon diritto queste anime beate possono cantare: « Oh come è bello e giocondo che i fratelli abitino insieme! » Sì, perché il balsamo delizioso della devozione distilla da un cuore all’altro con una continua partecipazione, sebbene si possa dire che Dio abbia effuso su questa amicizia la sua benedizione, e la vita nei secoli dei secoli (S. Franc. de Sales.).

II. — 2, 3.

ff. 2, 3. – Il profumo versato sulla testa è disceso sulla barba. Dal Verbo divino, è venuto fino all’uomo, al quale il Verbo si è degnato unirsi. E qual frutto per noi di questa barba impregnata di profumi, e di quest’Uomo perfetto? Vediamo i vantaggi che ce ne derivano: « … Che scende fino all’orlo del suo vestito. » Se noi siamo il vestito di Cristo, noi rivestiamo la sua nudità con la nostra fede. Egli è inchiodato sulla croce, privato dei suoi vestiti, oggetto di scandalo per i Giudei e follia per i Gentili, e tuttavia è come rivestito dalla nostra fede, dai nostri discorsi, dalla nostra confessione. Sì, noi siamo il vestito di Cristo, e quando noi lo rivestiamo con la nostra confessione di fede, noi rivestiamo Gesù-Cristo stesso (S. Girol.). – Due comparazioni sono impiegate dal Salmista per esaltare il buon odore, l’abbondanza e la fecondità dell’unione fraterna, vale a dire la giocondità e l’utilità che traggono coloro che vivono in comune uniti come in un solo uomo. – Quest’olio versato sulla testa del Sovrano Pontefice, e che era dei più soavi, colava sulla sua barba e dalla barba all’orlo del vestito, cioè su questa parte che circonda il collo e che tocca immediatamente la barba. – Chi era Aronne? Il Sacerdote. Chi è sacerdote se non questo solo sacerdote che è entrato nel Santo dei santi? Qual è questo sacerdote se non è Colui che è stato contemporaneamente vittima e sacerdote? Se non Colui che non avendo trovato nulla da offrire nel mondo, si è offerto da Se stesso? Il profumo è sulla sua testa, perché il Cristo è intero con la Chiesa, ma questo profumo cola dalla testa. Il Cristo è la nostra testa; Egli è stato crocifisso e seppellito, è resuscitato, è salito in cielo e lo Spirito Santo è disceso dalla nostra testa. Dove è disceso? Sulla barba? La barba designa i forti; la barba è la figura dei giovani intrepidi, coraggiosi, pronti all’azione. Il profumo è dunque disceso dapprima sugli Apostoli, è disceso su coloro che hanno sostenuto il primo conflitto del secolo, … e dalla barba questo profumo è disceso sul bordo del vestito, vale a dire, sulla Chiesa, perché il vestito del sacerdote è simbolo della Chiesa. Essa è lo stesso vestito di cui l’Apostolo ha detto: « Il Cristo ha amato la Chiesa e si è immolato per essa alfine di farla apparire davanti a Lui una Chiesa gloriosa, senza macchia e senza rughe … » (Ephes. V, 27). Ma questo profumo non ha potuto che scendere dalla barba sul bordo che lambisce la testa, all’apertura in alto della tunica. – Tali sono coloro che abitano in comune; perché, così come la testa dell’uomo oltrepassa questo bordo del vestito, così il Cristo, nostra testa, entra, con la concordia fraterna, nel vestito che deve restare unito, e che è la Chiesa. (S. Agost.). – « Come la rugiada d’Hermon, etc. » Il Profeta vuol dire che è la grazia di Dio che fa abitare i fratelli in comune; che essi non lo devono né alle loro forze, né ai loro meriti, ma a un dono di sua parte, alla sua grazia, come la rugiada che cade dal cielo … Perché come la rugiada d’Hermon, montagna tanto lontana da Gerusalemme, essendo posta al di là del Giordano? Cercheremo una spiegazione nel senso stesso di questo nome: Hermon è un nome ebraico, che vuol dire « luce elevata. ». In effetti, la rugiada viene da Cristo, è di là che viene la rugiada dell’Hermon. Voi tutti dunque, che aspirate a vivere in comune, desiderate di ricevere questa rugiada, e di esserne irrorati insieme; altrimenti non potrete restare fedeli. Nella vostra professione, non potete osare neanche far professione di questa santa vita, se il Cristo non formi Egli stesso il temporale che darà questa pioggia, e voi non potrete persistere, se l’alimento che vi dà viene a mancarvi, perché questo alimento discende sulle montagne di Sion, vale a dire su coloro che sono grandi in Sion (S. Agost.). – Quando il profumo si versa sulla testa, che è Gesù-Cristo, sulla barba di Aronne, cioè dei suoi Pontefici, è per spandersi e colare su tutta la frangia dei vestiti; quando la rugiada dell’Hermon cade sulla montagna di Sion, è per discendere fino alla valle, perché il Signore ha posto là in alto una riserva di benedizione ed una fonte di vita fino alla fine dei secoli. – Quando la rugiada ha umettato le piante, esse dimenticano gli ardori del giorno che le aveva rinsecchite, e rialzano la testa, e si direbbe che si sentono felici della frescura che il cielo invia loro. – Non c’è un dolore, una disgrazia né una sofferenza che non siano alleviati dalla carità fraterna. Essa si intende su tutte le miserie, come la rugiada su tutto un campo: non c’è erba che la rugiada non faccia gioire, non c’è anima che la carità non consoli. (Mgr DE LA BOUILLERIE, Symb. p. 94). – Che significa questa espressione: « è là che Dio ha posto la sua benedizione? » In questa casa, in questa unione, in questa comunità di dimora e di sentimenti: è là veramente che sta la benedizione, come la maledizione si trova legata alla disposizioni contrarie (S. Crys.). – Dove Dio ha prescritto di porre la sua benedizione? Tra i fratelli che abitano in comune! Là Dio ha prescritto la benedizione; là coloro che abitano in comune benedicono il Signore, perché, nella discordia, non si benedice il Signore. Invano voi pretendete che la vostra lingua faccia risuonare le benedizioni del Signore, se non risuonano nel vostro cuore. Voi lo benedite con le labbra, ma lo maledite con il cuore: « Essi mi benedicono con le labbra e mi maledicono con il cuore. » (Ps. LXI, 5). Queste parole sono le nostre? Esse indicano certi uomini. Voi benedite Dio quando pregate, e continuando la vostra preghiera, maledite il vostro nemico. È là che comprendete le parole del Signore: « Amate i vostri nemici? » Che se al contrario, voi obbedite a Dio, se amate il vostro nemico, se pregate per lui, così come Dio « ha prescritto la benedizione, » così vi darà pure « la vita nei secoli. » (S. Agost.) – « E la vita per sempre. » Come i conflitti e le guerre sono un principio di morte, la chiarezza, l’unione dei cuori, sono una fonte di pace e di concordia, e la concordia e la pace sono sempre accompagnate da una vita al riparo da ogni danno, piena di fiducia e di sicurezza. E che bisogno c’è di parlare dei beni della vita presente? La carità ci mette in possesso del cielo e dei beni ineffabili ed eterni (S. Crys.).

SALMI BIBLICI: “MEMENTO, DOMINE, DAVID, et” (CXXXI)

SALMO 131: “MEMENTO, DOMINE, DAVID”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS. 

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 131

Canticum graduum.

[1] Memento, Domine, David,

et omnis mansuetudinis ejus;

[2] sicut juravit Domino, votum vovit Deo Jacob:

[3] Si introiero in tabernaculum domus meæ; si ascendero in lectum strati mei;

[4] si dedero somnum oculis meis, et palpebris meis dormitationem,

[5] et requiem temporibus meis, donec inveniam locum Domino, tabernaculum Deo Jacob.

[6] Ecce audivimus eam in Ephrata; invenimus eam in campis silvæ.

[7] Introibimus in tabernaculum ejus; adorabimus in loco ubi steterunt pedes ejus.

[8] Surge, Domine, in requiem tuam, tu et arca sanctificationis tuae.

[9] Sacerdotes tui induantur justitiam, et sancti tui exsultent.

[10] Propter David, servum tuum, non avertas faciem christi tui.

[11] Juravit Dominus David veritatem, et non frustrabitur eam: De fructu ventris tui ponam super sedem tuam.

[12] Si custodierint filii tui testamentum meum, et testimonia mea hæc quæ docebo eos, et filii eorum usque in sæculum sedebunt super sedem tuam.

[13] Quoniam elegit Dominus Sion, elegit eam in habitationem sibi.

[14] Haec requies mea in sæculum sæculi; hic habitabo, quoniam elegi eam.

[15] Viduam ejus benedicens benedicam; pauperes ejus saturabo panibus.

[16] Sacerdotes ejus induam salutari, et sancti ejus exsultatione exsultabunt.

[17] Illuc producam cornu David; paravi lucernam christo meo.

[18] Inimicos ejus induam confusione; super ipsum autem efflorebit sanctificatio mea.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

È Salmo che Salomone cantò nella dedicazione del Tempio (lib. 2, c. 6, Paralip.). Si rammenta il desiderio di Davide di edificare il tempio, e la petizione a Dio che il regno si stabilisca nei suoi posteri. Il Salmo è tra i graduali, perché da cantare dal popolo reduce dalla schiavitù, avendosi innanzi da imitare il desiderio di Davide per la casa di Dio, e la diligenza di Salomone in edificarla.

Cantico dei gradi.

1. Ricordati, o Signore, di David e di tutta la sua mansuetudine; E del come ei giurò al Signore, e di come fe’ voto al Dio di Giacobbe:

3. (Dicendo) – Se io entrerò al coperto nella mia casa, se io salirò al mio letto per riposare,

4. Se darò sonno ai miei occhi e quiete alle mie pupille,

5. E requie alle mie tempia, (1) fino a tanto che io trovi un luogo al Signore, un tabernacolo al Dio di Giacobbe.

6. Ecco che noi udimmo come (sua sede) era in Ephrata; la trovammo nei campi selvosi.

7. Entreremo nel suo tabernacolo ; lo adoreremo nel luogo dove i suoi piedi si posarono.

8. Su via, o Signore, vieni nella tua requie, tu e l’arca di tua santità.

9. I tuoi sacerdoti si rivestano di giustizia, esultino i tuoi santi.

10. Per amor di David tuo servo non allontanare la presenza del tuo Cristo.

11. Il Signore ha fatto promessa giurata e verace a David, e non la renderà vana La tua prole porrò io sul tuo trono,

12. Se i tuoi figliuoli saran fedeli al mio  testamento e ai precetti che io ad essi insegnerò. I loro figliuoli ancora in perpetuo sederanno sopra il tuo trono. (2)

13. Perché il Signore si è eletta Sionne se la è eletta per sua abitazione (dicendo):

14. Questa è la mia requie pei secoli; qui io abiterò perché me la sono eletta.

15. La sua vedova benedirò largamente; satollerò di pane i suoi poveri.

16. I suoi sacerdoti rivestirò di santità, ed esulteranno grandemente i suoi santi.

17. Ivi farò che a David spunti regal possanza: Ho preparata al mio Cristo una lampana.

18. I nemici di lui coprirò di confusione; ma in lui fiorirà la mia santità.

(1) « Né il riposo alle mie tempia », questa addizione non si trova né nell’ebraico, né nel caldeo, né nel siriaco, né in san Girolamo. Si ritrova solo nell’arabo.

(2) Tra le promesse che Dio fece a Davide, una è assoluta: « Io stabilirò sul tuo trono il figlio che nascerà da te; » l’altro è condizionale: « Se tuo figlio conserverà la alleanza con me, etc. »

Sommario analitico

In un primo senso, questo salmo è applicabile alla consacrazione ed alla dedicazione del primo tempio, ed è stato possibile essere ugualmente cantato dai Giudei al ritorno dalla schiavitù, durante la consacrazione del secondo. Esso è stato probabilmente composto da Salomone, se non da Davide stesso.

I. Il salmista ricorda a Dio:

1° la dolcezza di Davide in tutti i suoi rapporti con i vicini (1);

2° la sua pietà verso Dio che lo ha indotto a:

– a) fare a Dio il giuramento di costruirgli una dimora (2);

– b) a sacrificare al compimento dei suoi desideri;

– c) gli splendori della sua dimora (3);  

3° le dolcezze del sonno (4);

4° ogni specie di riposo (5)

II. Il popolo fa conoscere:

1° il suo ardore nel cercare l’arca;

2 ° la felicità nel trovarla (6);

3 ° il suo fervore nel rendergli il culto dovuto (7)

III.  – Il salmista prende occasione da questo voto e dal suo compimento per spingere Dio:

1° a prendere possesso del tempio che gli è stato destinato (8);

2°  a benedire ed a santificare i suoi sacerdoti ed i suoi fedeli adoratori (9);

3° a mantenere le promesse che Egli ha fatto a Davide (10) e che consistono:

.- a) mettere sul trono uno dei suoi figli (11);

– b) a perpetuare il trono nella sua famiglia, se i suoi figli gli restassero fedeli (12);

– c) a scegliere la montagna di Sion come il suo luogo di predilezione e di riposo (13, 14); 

d) a ricoprire della sua protezione le vedove ed i poveri (15);

e) a rivestire i sacerdoti di santità ed i fedeli di gioia (16);

f) ad accrescere la potenza di Davide ed a preparare una lampada al suo Cristo (17); g) a coprire di confusione i suoi nemici (18).

In un secondo senso letterale, o, se si vuole, in senso spirituale, queste diverse promesse convengono molto meglio a Gesù-Cristo, vero Figlio di Davide, ed alla Chiesa che Egli è venuto a fondare sulla terra.

I. – Il salmista espone a Dio:

1° La dolcezza e la pazienza di Cristo (1);

2° La sua risoluzione di non risalire al cielo, dopo la sua discesa nel sepolcro, prima del ristabilimento della Chiesa (2, 6);

3° gli oracoli dei Profeti sulla nascita del Cristo e la \testimonianza dei pastori sul luogo ove Egli è nato (6, 7);

4° la consolazione e la gioia degli Apostoli dopo l’Ascensione di Gesù-Cristo (8);

5° la promessa fatta a Gesù-Cristo ed il compimento della sua preghiera (10).

II. – Egli segnala le promesse che Dio ha fatto alla Chiesa.

1° la sua perpetuità in Gesù-Cristo, suo Capo, e nei suoi Vicari (11, 12);

2° la santificazione della Chiesa con la presenza di Dio stesso, sotto le specie eucaristiche (12, 13);

3° la virtù salutare del sacerdozio e del ministero ecclesiastico (16);

4° l’estensione del suo regno, la confusione dei suoi nemici e lo splendore di cui sarà circondata (17, 18).

 Spiegazioni e considerazioni

I. — 1-5.

ff. 1-5. – Salomone non fa qui menzione della dolcezza di Davide, ad esclusione di tutte le sue altre virtù, sia perché la dolcezza era la virtù eminente del Re-Profeta, sia ancora perché la dolcezza piace soprattutto agli occhi del Signore, come compagna inseparabile dell’umiltà e della carità: « La preghiera di coloro che sono umili e dolci vi è stata sempre gradita; » (Giudit. IX, 18); ed essa rende l’uomo simile a Dio, che è pieno di dolcezza e di soavità e di una immensa misericordia per tutti quello che lo invocano (Ps. LXXXV). – Davide è figura di Gesù-Cristo, che ha dominato tutto con la dolcezza della sua parola e della sua grazia. Mai i fedeli che sono il Corpo mistico del divin Salvatore, trionfano altrimenti dei nemici della salvezza. È la dolcezza dei loro costumi, la modestia dei loro discorsi, l’umiltà dei loro sentimenti, la loro pazienza nelle avversità che li renderanno invincibili. « Imparate da me, dice loro il Salvatore, che sono dolce ed umile di cuore. » (Berthier). – Ecco gli effetti della dolcezza e dell’umiltà di Davide, dolce ed umile di cuore, che credeva indegno di lui avere una dimora da abitare ed un letto per riposare, mentre che l’Arca di Dio non aveva una dimora permanente, cioè un tempio in cui fosse onorato in maniera stabile, occorrendo trasferirla continuamente da un luogo all’altro (II. Re, VII; I Paralip. XXII e XXVIII, 11; c. III) – Che sia Salomone o Davide a parlare in questo salmo, ne consegue sempre che l’uno e l’altro fossero persuasi del bisogno del soccorso di Dio per compiere le promesse fatte. Questa espressione: « Ricordatevi, Signore, del giuramento e del voto di Davide, » ne è la prova. Si è dunque temerari quando si fanno a Dio dei voti senza implorare la sua grazia, e non lo è di meno quando ci si illude di essere fedele senza la sua protezione (Berthier). – Quale santa attività! Il salmista non solo non entrerà nella sua casa, non salirà sul suo letto di riposo, ma non vuole neanche gioire liberamente del riposo che la natura ci rende necessario, fino a che abbia trovato un luogo ed un tabernacolo al Dio di Giacobbe. Non è il contrasto che Dio rimproverava ai Giudei, quando diceva loro: « è tempo per voi di abitare case ornate di legno, mentre il mio tempio è deserto? » (Agge., I, 4). – « … Prima di aver trovato un luogo al Signore. » Ammirate di nuovo lo zelo e la sollecitudine estrema di Davide; egli non aveva solo l’intenzione di costruire un tempio, ma voleva farlo nel luogo migliore e più conveniente alla sua santità (S. Chrys.) – Dove il Re-Profeta cercava un’abitazione per il Signore? Se era pieno di mansuetudine, egli la cercava in se stesso. Come poteva essere l’abitazione del Signore? Ascoltate il Profeta: « Su chi riposerà il mio spirito? Sull’uomo umile e dolce, che trema alla mia voce. » (Isai. LXVI, 2). Volete essere l’abitazione del Signore? Siate umile e dolce, ascoltate tremando le parole di Dio, e diventerete voi stessi ciò che cercate … « Io non salirò sul letto preparato per dormire. » Ogni proprietà privata della quale l’uomo si compiace, rende orgogliosi; ecco perché il Profeta ha detto: « io non salirò. » Ogni uomo è inevitabilmente orgoglioso di ciò che possiede di proprio … « Io non concederò sonno ai miei occhi. » Molti, perché dormono, non preparano l’abitazione per il Signore. L’Apostolo li sveglia dicendo: « Alzatevi, voi che dormite, e resuscitate dai morti, ed il Cristo vi illuminerà. » (Ephes. V, 14). Egli dice ancora: « ma noi che apparteniamo al giorno, vegliamo e restiamo sobri; perché coloro che dormono, dormono di notte, e coloro che si inebriano, si inebriano di notte. » (I Tess. V, 7-8). Per notte, egli designa l’iniquità, nella quale dormono coloro che desiderano i beni della terra; e tutte queste apparenti felicità del mondo sono sogni di uomini addormentati .,.. ma ci sono di alcuni che, senza dormire, si assopiscono un po’; essi si ritirano un poco dall’amore dei beni temporali, e vi si lasciano introdurre di nuovo, e come uomini che dormono, si lasciano nuovamente cadere la testa. Svegliatevi, scuotetevi dal sonno; sonnecchiando, voi cadrete: il salmista non vuole che colui che cerca un’abitazione per il Signore, permetta né il sonno ai suoi occhi, né l’assopimento alle sue palpebre (S. Agost.) – « Fino a che io non abbia trovato una casa per il Signore, una tenda per il Dio di Giacobbe. » Benché si chiami spesso tenda di Dio la casa di Dio, e casa di Dio la tenda di Dio, tuttavia, questo nome di “tenda” si applica particolarmente alla Chiesa del tempo presente, ed il nome di casa alla Chiesa della Gerusalemme celeste, ove andremo. In effetti la tenda appartiene specialmente ai soldati ed ai combattenti; la tenda è l’abitazione del soldato in campagna, che si trova in una spedizione. Dopo tanto tempo che abbiamo combattuto un nemico da abbattere, noi issiamo una tenda per Dio; ma quando il tempo del combattimento sarà passato, allora gioiremo di questa pace che sorpassa ogni intelligenza, secondo queste parole dell’Apostolo: « E la pace del Cristo, che sorpassa ogni intelligenza, » (Filip. IV, 7) perché, qualunque cosa noi possiamo immaginare su questa pace, il nostro spirito, appesantito dal corpo, non può arrivare alla realtà; quando giungeremo nella nostra patria, allora l’abitazione di Dio sarà una casa; liberi come saremo da ogni nemico, non arriveremo più a darle il nome di tenda. Noi non usciremo più a combattere il nemico, ma vi resteremo per lodare Dio. In effetti cosa è detto di questa casa? « Felici coloro che abitano nella vostra casa; essi vi loderanno nei secoli dei secoli. » (Ps. LXXXIII, 5) noi gemiamo ancora sotto la tenda; noi loderemo Dio nella sua casa. Perché? Perché i gemiti sono per gli esuli, e la felicità di lodare Dio per coloro che abitano nella patria. Quaggiù, cominciamo con una tenda per il Dio di Giacobbe (S. Agost.) – Volete essere l’abitazione del Signore? Siate umili e dolci, ascoltate tremando le parole di Dio, e diventerete voi stessi ciò che cercate. Se in effetti ciò che cercate non si realizza in voi, a cosa vi servirà che si realizzi in un altro? È vero che talvolta, per mezzo di un predicatore del Vangelo, Dio procura la salvezza altrui, se questo predicatore dice e non fa, ed i suoi discorsi preparano in un altro una abitazione al Signore senza che sia egli stesso questa abitazione; ma colui che fa bene ciò che egli insegna e che insegna da sé, diviene, così come coloro a cui insegnano, l’abitazione del Signore, finché tutti coloro che credono,  non facciano per il Signore che una sola dimora (S. Agost.).

II. – 6, 7.

ff. 6, 7. –  « Noi abbiamo udito che essa era in Ephrata.» Ephrata designa lo stesso che Bethléem, ove il Signore è nato dalla Vergine Maria, una testimonianza stessa del Profeta: « E tu Bethleem, non sei la più piccola tra le città di Giuda, perché da te uscirà colui che dominerà su Israele. » (Mich. V, 11; Matth. II, 6). È là, abbiamo saputo, che Dio si è dapprima riposato, là dove il Figlio unico di Dio si è degnato di abitare in una carne umana, e che ci si diceva essere in Ephrata, noi lo abbiamo trovato nei campi della foresta. È dunque in Bethleem che noi vediamo l’inizio della Chiesa; essa è cominciata con Gesù-Cristo, ma noi la troviamo in mezzo alle nazioni che sono i campi delle foreste; orribili come erano, esse sono diventate splendenti; da sterili, feconde; da alberi destinati al fuoco, la regione che produce il pane di vita; da riparo delle bestie selvagge, luogo del riposo, la casa, il tempio, il possesso di Dio (S. Ilar,). – Davide cercava un luogo per costruirvi la casa di Dio: noi abbiamo trovato nella Persona di Gesù-Cristo, non soltanto il tempio di Dio, ma Dio stesso, abitante tra gli uomini. Ora, per gioire pianamente della sua presenza, è nella solitudine che dobbiamo ritirarci. Noi lo troveremo, come si esprime il Profeta: « Nelle campagne della foresta; » non che sia necessario abbandonare le città, e nasconderci, come i solitari, nelle ombre ridotte degli alberi: il nostro Dio deve essere nel nostro cuore, ed il cuore totalmente separato dal mondo diventerà il tempio di Dio. – Tre cose sono da notare in questo versetto: Silo, Bethleem, il deserto; vale a dire, Gesù-Cristo, la sua greppia, e la solitudine del cuore, tre oggetti che dovrebbe occuparci incessantemente. Noi possiamo dire come il Profeta, che abbiamo inteso parlare di tre cose, possiamo dire di averlo trovato? (Berthier). – « Noi entreremo nel suo tabernacolo. » Noi entriamo nelle nostre case per abitarvi, e non entriamo nella casa di Dio perché Egli abiti in noi; perché Dio è ben al di sopra di noi; quando dunque Egli verrà ad abitare in voi, vi porterà la beatitudine … entrate dunque nella casa di Dio, per essere abitati da Dio; entrate, non per appartenervi, ma per appartenere a Dio (S. Agost.) – Profondo è il rispetto con il quale noi dobbiamo entrare nei nostri templi, che sono il tabernacolo della casa di Dio, ed offrire gli omaggi della nostra adorazione all’Eucarestia, della quale l’Arca era figura ed in cui Gesù-Cristo è veramente presente, non solamente come Dio, ma come uomo.

III. — 8-18.

f. 8-10. –  « Levatevi, Signore, per entrare nel vostro riposo. » Salomone, sul punto di introdurre l’arca nel tempio costruito con la più grande magnificenza, invitava così il Signore, in uno stile poetico, a lasciare la soglia del tempio e a prenderne possesso con l’arca della sua santità. – Nessuna preghiera è più conveniente per il momento in cui i fedeli partecipano al corpo di Gesù-Cristo: questo divino Salvatore, posto alla destra del Padre, si alza in qualche modo dal suo trono per venire ad abitare in noi; Egli considera il nostro cuore come il luogo del suo riposo, ma « … quale è questa casa che voi mi preparate? » dice per bocca del suo Profeta, (Isai. LXVI, 1, 2), e qual è il luogo del mio riposo? Tutto ciò che esiste, l’ha fatto la mia mano, e tutto è stato fatto da me – dice il Signore – ed ascolterò i sospiri del cuore lacerato e pentito che obbedisce alle mie parole (Berthier). –  « Se qualcuno mi ama, osserverà la mia parola, ed il Padre mio l’amerà e verremo a lui, e faremo in lui la nostra dimora. » (Giov. XIV, 23) – Introdotta l’Arca nel tempio, Salomone prega prima per i sacerdoti, poi per il re, perché su queste teste auguste riposa la salvezza di ogni nazione: I sacerdoti governano il popolo nelle cose spirituali, i re negli interessi temporali. Salomone chiede due cose per i sacerdoti: la giustizia e la santità, due virtù nelle quali essi non saprebbero avvicinarsi alle loro funzioni e lodare Dio con ardore. « Che i sacerdoti siano rivestiti di giustizia, » cioè di tutte le virtù, perché la parola di giustizia le comprende tutte; e non siano solamente giusti nel fondo del loro cuore, ma pure esteriormente; la loro intera vita, le loro parole e gli atti respirino la giustizia più perfetta. (Bellarm.) – « Non allontanate la faccia dal Vostro Cristo. » Ogni nostro bene consiste in un doppio sguardo, nello sguardo di Dio verso noi e nel nostro verso Dio, di tal modo che ci guardi con la bontà affettuosa di un padre, e che noi lo riguardiamo con la pietà filiale di figli sottomessi. Questo mutuo scambio di sguardi è la fonte e l’origine di tutti i beni (Bellarm.).

ff. 11, 12. – « Il Signore ha fatto a Davide un giuramento, etc. » Salomone ricorda qui le promesse che Dio aveva fatto a suo padre, al fine di ottenere più facilmente ciò che domanda. Queste promesse sono espresse nel capitolo VIII del secondo Libro dei Re, indicate nel salmo CXXXVIII, e ricordate nel secondo capitolo degli Atti degli Apostoli. – Qui il giuramento interviene per dare al segno ed alla promessa un sovrappiù di potenza, e Dio, per il quale giura ogni spirito quando vuole attirare credito alla sua parola, discende con questa risorsa davanti alla sua creatura e prende Egli stesso testimonianza della sua sincerità, sotto una forma tanto più augusta, quanto più sembra indegna di Lui. Così, duemila anni dopo, San Paolo, tutto emozionato da questo giuramento fatto ai suoi padri, diceva alla loro posterità (Ebr., VI, 16-17): « Gli uomini giurano per uno più grande di loro, ed il giuramento richiamato a conferma dei loro diritti, mette fine ad ogni loro controversia. Ecco perché Dio, volendo mostrare agli eredi dell’Alleanza l’inviolabilità del suo consiglio, interpose tra sé e loro un giuramento, affinché, con due cose immobili che non permettono a Dio di mentire, noi avessimo nella sua parola una indistruttibile consolazione. »  (Lacord,. LXVIII conf.) – Egli sembra dire: Davide ha giurato al Signore di elevargli una dimora, ed il Signore a sua volta ha giurato a Davide di stabilire un Regno eterno nella sua casa. Dio, in effetti, non può lasciarsi vincere in generosità, e ricompensa centuplicato, non solo le azioni, ma pure la volontà ed i desideri. – Il giuramento e la promessa senza ripensamento non si applicano che al Figlio unico di Dio, Gesù-Cristo, il cui regno non avrà fine. Allo sguardo di tutti gli altri, la promessa è condizionata. I discendenti di Davide non hanno ottenuto l’effetto di queste promesse perché non sono rimasti fermi nella fedeltà che dovevano a Dio. – Queste promesse si compiono nella Chiesa, ove coloro che perseverano fino alla morte nell’osservanza della legge di Dio e della sua alleanza santa, regnano eternamente con Gesù-Cristo (Bellarm., Duguet).

ff. 13, 14. – La Chiesa di Gesù-Cristo è la Sion spirituale che il Signore ha scelto come sua dimora; Egli vuole dimorare pertanto almeno in questa dimora speciale e tutta d’amore (Dug.) – Dio ci ama a questo punto che là dove noi riposiamo, dice di riposare Egli stesso. In effetti, Egli non è mai turbato e non ha bisogno di riposarsi; ma dice di riposarsi là dove noi gioiremo del riposo (S. Agost.).

ff. 15-18. – Questo ed i seguenti versetti promettono alla città di Davide – che è Sion – un gran numero di beni che possono senza dubbio applicarsi alla città terrestre che era figura della Chiesa; ma che si applicano in modo ancor più perfetto alla Chiesa stessa. – « … Io ricolmerò la sua vedova di benedizioni e riempirò di pane i suoi poveri. » Ogni anima che si sente priva di ogni soccorso, se non è quello di Dio, è una vedova. In effetti come  ha descritto la vedova l’Apostolo? « Colei che è veramente vedova e desolata, ha sperato nel Signore » (I Tim. V, 5), egli parlava di queste vedove che tutti noi chiamiamo nella Chiesa con questo nome. Egli aveva detto: « colei che è nelle delizie, è morta ancor vivente, » e non la annoverava tra le vedove. E cosa ha detto nel descrivere le sante vedove? « Colei che è veramente vedova e desolata ha sperato nel Signore ed ha perseverato giorno e notte nelle preghiere e nelle suppliche. » Qui egli aggiunge: « Ma colei che vive nelle delizie è morta ancora vincente. » Come dunque ella è vedova? Perché non ha soccorso se non da Dio. Le donne che hanno marito si inorgogliscono quasi del soccorso che trovano in essi; le vedove sembrano abbandonate, ma esse hanno un soccorso più potente di quello delle alter donne. Tutta la Chiesa è dunque una vedova unica, sia negli uomini, sia nelle donne, sia negli sposi, sia nelle donne maritate, sia nei giovani che nei vecchi, sia nelle vergini che la compongono. Tutta la Chiesa non è che una vedova unica, abbandonata in questo mondo, se comprende: se essa comprende, conosce la sua vedovanza, perché allora è a sua disposizione il soccorso di cui ha bisogno. Che significano ancora queste parole: « … io sazierò di pane i suoi poveri? » Siamo poveri, e saremo saziati. Molto Cristiani presumono del mondo e si danno all’orgoglio; essi adorano il Cristo, ma non sono saziati; perché se sono saziati questo è l’abbondanza del loro orgoglio. Di essi è detto: la nostra anima è un « soggetto di obbrobrio per i ricchi e di disprezzo per gli orgogliosi. » Essi sono ricchi, ecco perché mangiano; ma essi non sono sazi. A loro soggetto è detto in altro salmo: « Tutti i ricchi della terra hanno mangiato ed hanno adorato » (Ps, XXI, 30), essi adorano il Cristo, venerano il Cristo, indirizzano al Cristo delle suppliche; ma non sono saziati dalla saggezza a dalla giustizia del Cristo. Perché? Perché non sono poveri. Ora, i poveri, cioè gli umili di cuore, mangiano ancor più, quanto più grande è la loro fame; e la loro fame è tanto più grande, quando sono vuoti dei beni di questo mondo. (S. Agost.) – I Sacerdoti della nuova legge, devono essere rivestiti della santità per se stessi e dal potere di operare la salvezza nei riguardi degli altri. Questa seconda qualità manca loro meno della prima, perché la Chiesa può ben consacrarli a suo servizio, ma non renderli santi; è a Gesù-Cristo solo che appartiene l’operare queste meraviglie, ed è ciò che la Chiesa non cessa di chiedergli (Berthier). – « Io rivestirò i suoi sacerdoti di Colui che ci dà salvezza. » Cosa significano queste parole? Ascoltate San Paolo: « Voi tutti che siete stati battezzati in Cristo, siete rivestiti di Cristo. » (Galat. III, 27) « E i suoi santi si daranno ai trasporti di gioia. » Perché? La loro gioia non viene da loro, ma viene dal fatto che essi sono rivestiti di Colui che dà la salvezza. Essi sono, in effetti, divenuti luce ma nel Signore, perché prima erano nelle tenebre (Ephes., V, 3). Ecco perché il Profeta aggiunge: « Là alzerò il corno di Davide (Ps. CXXXI, 17), affinché si ponga fiducia nel Cristo, » perché il corno figura l’elevazione, ed una elevazione spirituale. E qual è la vera elevazione spirituale, se non quella che consiste nel mettere la propria fiducia nel Cristo, e a non dire: sono io che agisco, sono io che battezzo; ma: « … è Lui che battezza? » (Giov. I, 33). Là dove è il corno di Davide, notate ciò che segue: « Io ho preparato una lampada per il mio Cristo. » (Ps. CXXX, 1) qual è questa lampada? Voi conoscete che il Signore ha detto di Giovanni: « Egli era una lampada ardente e lucente. » (Joan. V, 35). E Giovanni che dice? « È Lui che battezza. » È dunque là ciò che trasporta di gioia i Santi, è là ciò che trasporta di gioia i Sacerdoti, e tutto ciò che di buono vi è in essi, non viene da loro, bensì da Colui che ha il potere di battezzare (S. Agost.). – Nulla di più naturale è che applicare questa profezia al santo precursore del Messia, poiché egli fu, secondo la parola stessa del Messia, « una lampada ardente e brillante, » a preparare le vie del Messia, che era il vero Cristo di Dio. (S. Girol.). – Questo Re non era un re sconosciuto e nascosto: è Lui che ha annunziato la legge, Lui che i profeti hanno predetto, Lui che Giovanni – il predicatore della penitenza – ha mostrato ogni profezia che ha il Cristo per oggetto, è una lampada che fa brillare la carità della scienza nel mezzo della notte della nostra ignoranza, che confonde gli increduli e gli empi con la luce della scienza, ed insegna nel Figlio unico la Gloria e la maestà paterna. Questa lampada è pronta affinché la notte dell’ignoranza non impedisca di conoscerla. I suoi nemici saranno coperti dalla confusione, perché essi vedranno il Figlio dell’uomo nella maestà del Padre, e saranno rivestiti, non della salvezza, ma dalla confusione, resuscitando in un corpo terreno e ignominioso (S. Hilar.). – In tutti i secoli, i nemici di Gesù-Cristo, in mezzo anche ai trionfi apparenti contro di Lui, sono stati coperti di confusione; coloro che resistono lo saranno infallibilmente nel tempo. – La santificazione di Dio fiorisce nel Cristo. Nessun uomo la reclami per sé, perché è il Cristo che santifica; la Potenza di santificazione di Dio è in Lui solo (S. Agost.). Nessuno deve pretendere di entrare senza di Lui nelle vie della santità, e nessuno deve disperare di giungere alla santità, se mette la sua fiducia in Gesù-Cristo.

SALMI BIBLICI: “DOMINE, NON EST EXALTATUM COR MEUM” (CXXX)

SALMO 130: DOMINE, NON EST EXALTATUM cor meum

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS. 

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR

13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 130

Canticum graduum David.

[1] Domine, non est exaltatum cor meum,

neque elati sunt oculi mei, neque ambulavi in magnis, neque in mirabilibus super me.

[2] Si non humiliter sentiebam, sed exaltavi animam meam; sicut ablactatus est super matre sua, ita retributio in anima mea.

[3] Speret Israel in Domino, ex hoc nunc et usque in sæculum.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXXX.

Davide, accusato spesso di superbia e di ambizione di regno, loda la sua umiltà e modestia, non per vanto, ma per animare il popolo col suo esempio a non confidare che in Dio, del cui solo aiuto è frutto prezioso l’umiltà.

Cantico dei gradi.

1. Signore, non si è insuperbito il mio cuore, ed alti non portai gli occhi miei. Né aspirai a cose grandi, né a cose meravigliose sopra la mia capacità.

2. Se io (dando luogo al fasto dell’anima mia) non ebbi bassi sentimenti. Quali son quei d’un fanciullo, divezzato di fresco, verso sua madre: così sia data a me la mercede.

3. Nel Signore spéri Israele, da questo punto e pei secoli.

Sommario analitico

Per giustificarsi dal rimprovero di orgoglio che gli si faceva alla corte del re Saul ed anche nella sua famiglia, ed anche a nome del suo popolo, David dichiara che non si è inorgoglito dei successi che doveva a Dio solo, (2).

(1) L’ultimo versetto è forse anche la risposta di un coro o un’aggiunta fatta, nel tempo della cattività, all’opera primaria di Davide, secondo l’opinione che considera Davide l’autore di questa composizione,

(2) Questo salmo pare avere Davide come autore; d’altra parte, l’arditezza e l’oscurità dello stile, dice M. Le Hir, attestano la sua antichità.

I. Allontana da lui tutte le caratteristiche dell’orgoglio:

1° Il rigonfiamento del cuore; egli non ha desiderato i vani onori e non si è chiuso in sentimenti di vana gloria;

2° La fierezza dello sguardo; egli non si è elevato con arroganza attribuendosi una gloria che non gli è dovuta; 

3 ° L’ambizione; egli rigetta ogni desiderio di ambizione per le grandezze;

4 ° La presunzione nelle imprese (1).

II. – Egli si sottomette al castigo più rigoroso, cioè alla privazione di ogni consolazione, se non segue le vie dell’umiltà (2).

III.- Egli eccita, e con lui il popolo Fedele a sperare in Dio sin da ora e sempre (3).

Spiegazioni e considerazioni

I. — 1

ff. 1. – Un gran numero di orgogliosi, lo sono interiormente; essi hanno una grande stima di se stessi, ma affettano esternamente umiltà; un gran numero di altri esprimono nel loro sguardo altero e sdegnoso tutto ciò che c’è di sprezzante verso i loro simili nel fondo del cuore, pieno di iattanza e di gonfiore. (Bellarm.) – Il Re-Profeta ci indica qui tutti i gradi dell’orgoglio, gonfiore del cuore: « Signore, il mio cuore non è rigonfio, » ecco l’orgoglio attaccato alla sua sorgente: « Ed i miei occhi non si sono alzati, » ecco l’ostentazione ed il fasto represso. Ah, Signore, io non ho avuto questo disdegno che mi ha impedito di gettare gli occhi sui mortali troppo rampanti, e che fa dire all’anima arrogante: « Non ci sono che io sulla terra … » (Bossuet, Or. f. de Mar. Th. et Serm. sur l’Ambit.) – « Perché il Vostro spirito si gonfia contro Dio, perché il Vostro cuore concepisce così alti sentimenti di se stesso, e perché lo smarrimento dei vostri occhi testimonia l’orgoglio dei vostri pensieri? » (Giob. XV, 12). L’orgoglio ha sempre il suo principio nel cuore, la fierezza dello sguardo ne è ordinariamente l’annuncio; ma talvolta l’orgoglioso sa prendere un atteggiamento modesto, e talvolta anche l’uomo più umile ha la sventura di sembrare fiero affin di dargli l’occasione di umiliarsi di un difetto che la natura ha messo in lui e per il quale il cuore non ha parte. – « Io non cammino nei vasti pensieri né nelle meraviglie che mi si presentano. » Egli combatte qui gli eccessi di orgoglio ed i disegni passionali che concepisce. L’orgoglio che monta sempre, dopo aver portato le sue pretese a ciò che la grandezza umana ha di più solido e di meno proibito, spinge i suoi disegni fino alla stravaganza, e si abbandona temerariamente ai progetti insensati, come faceva questo re superbo (degna figura dell’angelo ribelle) quando diceva in cuor suo: « Io mi eleverò sopra le nuvole, poserò il mio trono sugli astri, e sarò simile all’Altissimo (Isai. XIV, 13, 14). Io non mi perdo, dice Davide, in tali eccessi, ed ecco l’orgoglio disprezzato nelle sue follie (Bossuet, ibid.) –  Quanto è da temere soprattutto: l’elevazione che risulta dall’abbondanza della grazia! Che nessuno dunque si inorgoglisca dei doni di Dio, ma piuttosto ciascuno conservi l’umiltà e faccia ciò che è scritto: « Più siete grandi e più dovete umiliarvi in ogni cosa, e troverete grazia davanti a Dio. » (Eccli. III, 20). Quanto bisogna temere l’orgoglio che risulterebbe dai doni di Dio! Benché l’Apostolo san Paolo da persecutore fosse divenuto predicatore, egli ottenne tuttavia, in tutti i suoi lavori apostolici, una grazia più abbondante degli altri Apostoli, e con questo Dio volle mostrare che ciò che dà, appartiene a Lui, e non appartiene all’uomo … Egli ha dunque ricevuto la grazia più eccellente. Le lettere dell’Apostolo san Paolo nella Chiesa, hanno più spazio di quelle degli altri Apostoli. In effetti gli uni non hanno scritto, ma si sono limitati all’insegnamento della parola; gli altri hanno scritto, ma non hanno scritto né tanto come s. Paolo, né sotto l’ispirazione di una grazia così abbondante. Avendo dunque ricevuto tali grazie, avendo meritato che Dio gli facesse sì grandi doni, cosa ha detto in una delle sue lettere? « E per timore che la grandezza delle rivelazioni non mi elevi, Egli mi ha messo una spina nella carne, un angelo di satana, per schiaffeggiarmi. » (II Cor. XII, 7). Cosa vuol dire con ciò? Per paura che non si erga orgogliosamente come un giovane, egli è schiaffeggiato come un bambino. E da chi? Da un angelo di satana (S. Agost.) – Quanti uomini si vantano di aver fatto o di poter fare delle cose più grandi e stupefacenti che verità non lo permetta? Chi si lusinga di successi straordinari, che credono di eseguire dei capolavori, e che non contano che su se stessi per riuscire nei loro progetti! Quanti altri si fanno serie illusioni, immaginano di potersi compiere delle opera al di sopra delle loro forze e si ergono sopra un sagrato ben al di sopra del loro potere e delle loro opere! (Bellarm. Berthier). –  Il Profeta, non contento di aver dichiarato a Dio che sonda i cuori, che aveva sempre avuto in orrore ogni orgoglio, si condanna ad essere private delle dolcezze della contemplazione delle cose divine, o dei favori della liberalità dell’Altissimo, se si lasciasse trasportare dall’orgoglio. Così come il bambino svezzato prima del tempo resta triste e gemente sul seno o sulle ginocchia di sua madre, perché lo si è privato di questo latte sì dolce alle sue labbra e delle delizie della sua età, così anche la mia anima sia privata della dolcezza della consolazione divina, le … mie delizie preferite, le mie uniche delizie. La grandezza dei castighi ai quali il Profeta si vota, non sarebbe stato apprezzato che da coloro che, ripiti del medesimo spirito, hanno gustato quanto il Signore sia dolce. (Bellarm.). – Dio, in effetti, priva le anime orgogliose del latte della sua grazia, della dolcezza del suo amore, e non rimpiazza i suoi favori con altri. Quando l’uomo si eleva, si abbandona alla stima di se stesso, si perde nel fumo delle sue idee, Dio non si comunica a lui; Egli pertanto non spande più in lui l’unzione della sua parola divina; I tocchi segreti che Egli ancora dà, non fanno più impressione su di lui, e sono tratti passeggeri che non lasciano trace (Berthier). – La conclusione di questo salmo indica lo scopo che si è proposto Davide facendo l’elogio della sua umiltà. – Quest’uomo veramente umile non ha potuto avere l’intenzione di esaltare la sua virtù, ma ha voluto insegnare al popolo di Israele, quanto poco debbano presumere di sé, e quale immensa fiducia debbano avere in Dio (Bellarm.) – « … Fin nei secoli, » cioè finché non giungiamo all’eternità, sperando nel Signore nostro Dio, perché al di là di questo termine la speranza non avrà più luogo ed avrà fine, perché allora noi gioiremo di tutto ciò che avremo sperato (S. Agost.).

SALMI BIBLICI: “DE PROFUNDIS” (CXXIX)

SALMO 129: DE PROFUNDIS CLAMAVI ad te DOMINE”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS. 

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 129

Canticum graduum.

[1]  De profundis clamavi ad te, Domine;

[2] Domine, exaudi vocem meam. Fiant aures tuae intendentes in vocem deprecationis meae.

[3] Si iniquitates observaveris, Domine, Domine, quis sustinebit?

[4] Quia apud te propitiatio est; et propter legem tuam sustinui te, Domine. Sustinuit anima mea in verbo ejus;

[5] speravit anima mea in Domino.

[6] A custodia matutina usque ad noctem, speret Israel in Domino;

[7] quia apud Dominum misericordia, et copiosa apud eum redemptio.

[8] Et ipse redimet Israel ex omnibus iniquitatibus ejus.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

 SALMO CXXIX.

Il breve Salmo contiene:

1.° Preghiera a Dio per le miserie dell’esiglio, e quindi è Salmo graduale.

2.° Esortazione a penitenza, e perciò è tra i penitenziali;

3.° Predizione della futura redenzione, e perciò si recita in persona delle anime purganti, che sospirano alla liberazione per Cristo.

Cantico dei gradi.

1. Dal profondo alzai le mie grida a te, o Signore; esaudisci, o Signore, la mia voce. (1)

2. Sieno intente le tue orecchie alla voce della mia preghiera.

3. Se tu baderai, o Signore, alle iniquità chi, o Signore, sostenersi potrà?

4. Ma in te è clemenza; ed a causa della tua legge io ho confidato in te, o Signore. (2)

5. L’anima mia si è affidata alla sua parola; l’anima mia ha sperato nel Signore.

6. Dalla vigilia del mattino fino alla notte, speri Israele nel Signore. (3)

7. Perché nel Signore è misericordia, e redenzione copiosa presso di lui.

8. Ed ei redimerà Israele da tutte le sue iniquità.

(1) Si può sottintendere: « Ma io so che in voi è il perdono. »

(2) Gli antichi dividevano la notte in quattro parti, di cui ognuna comprendeva tre ore, queste parti si chiamavano guardie o veglie, perché le guardie delle città e dei campi, dopo una veglia di tre ore, passavano ad altri guardiani la sorveglianza loro affidata. La veglia del mattino è dunque il tempo compreso tra la nona ora della note e il levare del sole.

(3) Questi due versetti sono forse la risposta di un coro al monologo che precede.

Sommario analitico

Nel salmo precedente, il salmista ha esposto i diversi attacchi ai quali il popolo di Dio era soggetto da parte dei suoi nemici, ed il loro castigo. In questo salmo, egli si rende l’interprete della preghiera di questo popolo e di ogni anima penitente che ripone la speranza della sua liberazione nella misericordia di Dio. Questo salmo potrebbe essere di Davide, come il salmo CXXX. La Chiesa lo ha consacrato come la preghiera dell’anima fedele sospirante, in Purgatorio, dopo il felice istante della sua liberazione

I. Il salmista chiede a Dio di ascoltarlo ed esaudire:

1° il grido che egli alza verso di Lui dalle profondità dell’abisso (1);

2 ° la supplica umile, fervente e perseverante che egli indirizza (2).

II. Egli ne dà a Dio come motivo:

1° tutti sarebbero condannati e perduti se Egli esaminasse rigorosamente i loro peccati (3);

2 ° la facilità con la quale Dio è disposto a perdonare al peccatore penitente (4);

3 ° la legge che si è imposta di perdonare ai cuori penitenti (5);

4 ° la promessa che ne ha fatto nella Scrittura e che è il fondamento della speranza dei peccatori (6)

III. Egli si eccita, e con lui tutti i fedeli, nel conservare costantemente la speranza in Dio (6):

1° A causa della misericordia che è propria di Dio (6);

2° A causa della redenzione che il Salvatore deve operare in maniera sovrabbondante, riscattando Israele e tutti i suoi peccati (7, 8).

Spiegazioni e considerazioni

I. — 1 – 2

ff. 1, 2. – Il paragone è con un uomo che giace in una valle profonda, o nel fondo di un abisso in cui è precipitato, ed i cui pianti non sarebbero intesi da coloro che abitano la sommità della montagna, se non gridasse a gran voce. – Il vero penitente deve gridare da due abissi: dall’abisso della sua miseria, come da una valle di lacrime, o, secondo il pensiero di un altro salmo, come dal mezzo di una buca fangosa e da un marasma profondo; dall’abisso della propria anima, cioè dalla considerazione e dalla conoscenza intima della propria miseria. (Bellarm.) – Questo abisso profondo è la nostra vita mortale. Chiunque vi si riconosca piombato, grida, geme, sospira, fino a che non ne sia tirato fuori e pervenga a Colui che siede al di sopra di tutti gli abissi, al di sopra dei Cherubini, al di sopra di tutte le sue creature, non soltanto corporali, ma anche spirituali; fino a che la sua anima giunga davanti a Dio; fino a che l’immagine di Dio, che è l’uomo, sia liberato da Dio stesso da questo abisso nel quale, sballottata dai flutti incessantemente agitati, essa è come deformata. E se Dio non rinnova e non fa rivivere questa immagine che Egli ha impresso nell’uomo formandola, essa sarà sempre nell’abisso; se dunque – sto per dirlo – Dio non lo libera, essa non cessa di essere nel fondo dell’abisso. Ma quando l’uomo grida nel fondo dell’abisso, egli si eleva in modo tale che le sue grida stesse impediscono che vi sia più profondamente spinto. In effetti, colà sono nel più profondo dell’abisso, e non gridano anche da questo luogo tenebroso. La Scrittura dice: « Quando il peccatore è caduto nel più profondo dell’iniquità, disprezza tutto. » (Prov. XVII, 3). Vedete quanto sia profondo l’abisso ove Dio è disprezzato … ma Nostro Signore Gesù-Cristo, che non ha disprezzato la profondità della nostra miseria, e si è degnato di discendere fino alla nostra vita, promettendoci la remissione di tutti i peccati, ha tirato fuori l’uomo dal suo intorpidimento del fondo dell’abisso, affinché, da li, gridasse sotto il peso dei suoi peccati, e la sua voce colpevole pervenisse fino a Dio. E da dove grida il peccatore, se non dall’abisso dei propri peccati? (S. Agost.) – Questo abisso può pure intendersi, ed è il senso che ne dà la Chiesa nella liturgia, come il soggiorno dell’espiazione, in cui le anime che non hanno ancora soddisfatto alla giustizia divina sono ritenute, fino alla loro entrata nei cieli. – Il profeta Abacuc aveva queste anime presenti quando le anime dei giusti attendevano la resurrezione del Salvatore, nel momento in cui diceva: « l’abisso ha spinto le sue grida ed ha alzato le sue mani. » (Habac. III, 10). Egli alza le sue mani verso il Dio che doveva aprire alle anime sante le porte del Paradiso. – Ma l’abisso dell’espiazione passeggera, quello in cui sono tenute le anime che non hanno pienamente soddisfatto alla giustizia divina, questo abisso, esso anche, tende le mani con fiducia verso il divino Liberatore; e queste anime infortunate, che ci hanno precedute nella morte, indirizzano incessantemente questa bella preghiera al Signore: « Dal fondo dell’abisso, io grido a Voi. » – E vedete come sia bene che da questo abisso esca la voce del peccatore: « Dal profondo dell’abisso, io grido a Voi, Signore, Signore, ascoltate la mia voce. Che le vostre orecchie siano attente alla mia voce supplicante. » Da dove partono queste grida? Dal fondo dell’abisso. Chi è dunque colui che grida? Il peccatore, e quale speranza lo eccita a gridare? La speranza data anche al peccatore ingoiato dalle profondità dell’abisso, da Colui che è venuto a rimettere i peccati. (S. Agost.).

II. — 3-5

ff. 3-5. – Mirabile retorica è questa ispirata dallo Spirito Santo: il Profeta espone la sua domanda: che Dio non lo giudichi nella sua giustizia, ma nella sua misericordia; ma questa preghiera non la rivolge apertamente, nel timore di apparire troppo temerario, bensì la avvolge in un ragionamento che deve portare Iddio ad accordargliela: « se considerate, Signore, le nostre iniquità, Signore, chi potrà sussistere davanti a Voi? » (Bellar.) – « Io so che è così, diceva Giobbe ai suoi amici. Chi tra i mortali, è giusto davanti a Dio? Se l’uomo volesse discutere con Lui, risponderebbe, tra mille accuse, ad una sola » (Giob. IX, 1) – Io tremo con tutte le mie membra, o Signore Gesù, considerando, per quanto ne sia capace la mia debole vista, la vostra santa Maestà, e soprattutto ricordandomi il disprezzo che vi ho testimoniato altre volte. Ma ecco! Al presente, pur sconvolto dall’aspetto della vostra grandezza, ed in cerca di un asilo ai piedi della vostra misericordia, la mia condotta è forse cambiata? Io temo più la vostra grandezza che ha visto in me un ribelle, che la vostra bontà che vede ora un ingrato. A cosa serve tenermi la mano, se non contento il mio cuore? Che importa che la mia lingua taccia, quando il mio cuore resta agitato dalla passione? Se ogni movimento della mia anima è un insulto per Voi, o mio Salvatore, se la sua collera oltraggia la vostra dolcezza, la sua gelosia la vostra carità, la sua intemperanza la vostra sobrietà, la sua voluttà la vostra innocenza; se, infine, mille simili indegnità, che esalano incessantemente dalla cloaca infetta della mia corruzione, vogliono sporcare, per così dire, lo splendore del vostro augusto volto, qual merito c’è nell’aver regolato l’esteriore e riformate le mie opere? O mio Dio, se tenete il conto esatto di tanta iniquità che io non cesso di commettere in me stesso, pur senza nulla mostrare all’esterno, chi potrà sostenere i vostri rigori? (S. Bern. De oev. Et mor. Ep. VI). –  Questa ripetizione: Signore, Signore, non è l’effetto del caso, ma è l’espressione di un’anima colpita di ammirazione e stupore davanti all’eccesso della misericordia di Dio, la distesa della sua grandezza, l’oceano senza limiti della sua bontà, « … chi potrà sussistere? » Egli non dice: Chi potrà sfuggire? Ma: « Chi potrà sussistere? » C’è da dire che non si potrà anche sostenere la presenza di Dio (S. Chrys.) – Il Profeta designa chiaramente da quale abisso il peccatore grida. In effetti, egli grida, sotto l’ammasso, i flutti delle sue iniquità. Egli si è guardato, ha guardato la sua vita da ogni parte, l’ha vista coperta di turpitudini e carica di crimini. Da qualunque parte getti i suoi sguardi, non ha trovato nulla in lui, niente si è a lui presentato nella serenità della giustizia; e vedendo attorno a sé tanti e sì gravi peccati, ed una tale moltitudine di crimini, tutto preso da spavento, esclama: Se Voi esaminate le iniquità, Signore, Signore, chi potrà sopportarle? Egli non ha detto: io non potrò sopportarle, ma « chi potrà sopportarle? » In effetti, egli ha visto che ogni vita era come circondata dai clamori dei suoi peccati; egli ha visto che tutte le coscienze erano accusate dai suoi pensieri, e che non si trovava un cuore che potesse aver fiducia nella sua giustizia.. Se dunque non si può trovare un cuore casto e puro che abbia il diritto di contare sulla sua giustizia, occorre che il cuore di ogni uomo metta la sua fiducia nella misericordia di Dio e dica: « se Voi esaminate le nostre iniquità, Signore » Signore, chi potrà sopportarlo? » (S. Agost.) … il Profeta considera pertanto, quanto siano numerosi i peccati lievi che un uomo commette ogni giorno, quanto numerosi se ne commettano in pensieri e parole; egli sottolinea, inoltre, che pur se sono leggeri, tuttavia questi piccoli peccati formano, con il loro numero, una grande massa; ed allora, dimenticando in qualche modo le sue antiche colpe per non pensare che alla fragilità umana, mentre già monta, si eleva, ed esclama: « Dal fondo degli abissi, io ho gridato a Voi … Se Voi esaminate le iniquità, Signore, Signore, chi potrà sopportarle? » io posso evitare gli omicidi, gli adulteri, le rapine, gli spergiuri, l’idolatria; ma posso evitare questi peccati del cuore? È scritto: « Il peccato è l’iniquità. » (1 Giov., III, 4). « Chi potrà sopportarlo, se esaminate le nostre iniquità? » Se voi volete agire a nostro riguardo con giudizio severo, e non come padre misericordioso, chi sussisterà davanti ai vostri occhi? » (S. Agost.). –  Ma perché spera? « Perché presso di Voi è la clemenza. » E qual è questa clemenza, se non il Sacrificio propiziatorio? E qual è questo Sacrificio se non quello che è stato offerto per noi? Il sangue innocente sparso per noi ha cancellato tutti i peccati dei colpevoli; il prezzo inestimabile che è stato pagato, ha riscattato tutti i prigionieri che la mano del nemico teneva schiavi. La clemenza è dunque in Voi; » perché se la clemenza non fosse in Voi, se Voi vorreste essere solo il giudice e non fare misericordia, esaminereste tutte le nostre iniquità e le ricerchereste … ma allora, chi potrebbe sopportarle? Chi potrebbe presentarsi davanti a Voi e dire: Io sono innocente? Chi resterebbe in piedi davanti al vostro tribunale? Noi non abbiamo dunque che una sola speranza, « che la clemenza sia in voi. A causa della vostra legge, io vi ho atteso, Signore. » Quale legge? C’è una legge che viene dalla misericordia di Dio; c’è una legge di clemenza che viene da Dio. C’è innanzitutto una legge di timore; questa è una legge di amore. La legge d’amore accorda il perdono dei peccati; essa li cancella nel passato, ci avverte di evitarli per l’avvenire; essa non abbandona lungo il cammino l’uomo che accompagna, ma si fa compagna di colui che conduce lungo il cammino. « Io vi ho dunque atteso, Signore, a causa della vostra legge. » Voi vi siete degnato di dare agli uomini una legge di misericordia, rimettere tutti i miei peccati, datemi inoltre avvisi per evitare che io non vi offenda più; e per i casi in cui trasgredirò malgrado i vostri avvertimenti, Voi mi avete dato, come rimedio, di pregarvi dicendo: « Rimettici i nostri peccati, come noi rimetteremo ai nostri debitori ciò che essi ci devono. (Matth. VI, 12). » Voi mi avete dunque dato questa legge, che mi sarà rimesso secondo quanto io stesso rimetterò agli altri: è a motivo di questa legge che io vi ho atteso, Signore. »  Io attendo il tempo in cui verrete e mi libererete da ogni necessità, perché anche in mezzo alle necessità, non avete abbandonato la vostra legge di misericordia. (S. Agost.). – « Se succede che qualcuno pecchi, noi abbiamo per avvocato, presso il Padre, Gesù-Cristo, il giusto; e Lui stesso è la vittima di propiziazione per i nostri peccati, e non solo per i nostri, ma anche per quelli di tutti. » (I Giov., II; Eph. 2) – « Dio ha inviato suo Figlio come vittima di clemenza per i nostri peccati. (I Giov. IV, 10). Egli l’ha prestabilito “propiziazione” per la fede nel suo sangue, per manifestare la sua giustizia per la remissione dei peccati precedenti. » (Rom. III, 25). « La mia anima ha atteso, si è mantenuta fidente nella sua parola. » Nessuno attende, se non colui che non ha ricevuto ciò che gli sia stato promesso; i nostri peccati sono stati cancellati, ma la ricompensa deve ancora venire; noi abbiamo ricevuto il perdono, ma non siamo ancora in possesso della vita eterna; se questa promessa venisse da noi, noi dovremmo temere; ma siccome essa viene da Dio non ci può ingannare. (S. Agost.). – Attendere il Signore, è sentirsi sempre pronto a riceverlo; è non perdere mai la speranza di rientrare in grazia con Lui; è vegliare su tutto; è acconsentire a tutti i disegni che la sua Provvidenza ha su di noi; è abbracciare tutti i mezzi di salvezza che ci presenta; è vivere in un attaccamento continuo ed assoluto di tutto ciò che non tenda che a Lui solo; è vegliare su tutti i movimenti del nostro cuore, affinché non si insinui in esso alcuna affezione, alcun desiderio che possa dispiacergli; è soprattutto ridursi a questa preziosa unità che fa che tutto si rapporti a Dio. Vediamo come i cortigiani rispettano i loro i padroni, con quale costanza essi divorano difficoltà, attese, le lunghezze nella realizzazione dei desideri che esaudiscono nelle loro corti; essi non hanno sovente alcuna ragione di credere si essere graditi; più spesso ancora non hanno nulla da ottenere che meriti tanta assiduità; essi persistono nondimeno nell’abitudine che hanno preso di sacrificare il loro tempo e le loro inclinazioni ad usi stabiliti per le ambizioni e sostenuti dall’esempio dei loro pari. O uomini di poca fede! Noi abbiamo la parola e le promesse di Dio; noi sappiamo che Egli ci offre ciò che vuole darci, e non facciamo alcun passo per ottenerlo. (Berthier).

III. — 6-8

ff. 6-8. – Che vuol dire qui il Profeta? Non ha sperato che un solo giorno nel Signore, e che tutta la sua speranza si realizzasse al sopraggiungere del giorno? Questa veglia del mattino è la fine della notte; ecco perché il Profeta dice: « Fin dalla notte, la mia anima ha sperato nel Signore. » Non bisogna dunque comprendere queste parole nel senso che noi dobbiamo sperare in Dio un giorno soltanto, « … dalla veglia del mattino fino alla notte. »  Qual pensate dunque che sia il senso di queste parole? E fino a quando la nostra anima spera? « Fino alla notte! » … fino alla morte. In effetti, la morte della nostra carne è del tutto simile ad un sonno. Voi avete cominciato a sperare dopo che il Signore sia resuscitato; non cessate mai di sperare fino alla uscita dalla vostra vita, perché se non sperate fino alla notte, tutto il frutto della vostra speranza passata sarà persa. Ci sono uomini che sperano da principio, ma non perseverano fino alla notte. Essi cominciano a soffrire alcune tribolazioni, cominciano a patire tentazioni, vedono uomini malvagi ed ingiusti gioire delle prosperità di questa vita, e siccome essi sperano che Dio dia loro quaggiù una simile felicità, sono colpiti dal vedere dei criminali possedere ciò che essi desiderano; allora i loro piedi vacillano e cessano di sperare. Perché? Perché hanno sperato dalla veglia del maligno. Cosa significa questo? Che essi non hanno sperato fin dall’inizio da parte del Signore, ciò che si è compiuto, come primizia, nel Signore, a questa prima veglia del mattino; ma essi speravano che il Signore, se fossero stati Cristiani, desse loro una casa piena di frumento, di vino, di olio, di argento e di oro; … che nessuno di loro morisse prematuramente; che nessuno che non avesse figli, ne avesse; che coloro che non erano maritati si maritassero; che non ci sarebbe mai stata sterilità, non soltanto per le donne della loro casa, ma anche per le loro greggi; che il loro vino non divenisse aceto, che mai la loro vigna si seccasse. Colui che spera della sorte nel Signore ha notato che coloro che non adorano il Signore, hanno questi beni in abbondanza, ed i suoi piedi hanno vacillato (Ps. LXXII, 2), e la sua speranza non è durata che una notte, perché non aveva cominciato a sperare dalla prima veglia del mattino (S. Agost.). –  « Dalla veglia del mattino fino alla notte » il Profeta non cessa di sperare, e non lascia passare alcun momento della vita senza sperare, è un lavoratore infaticabile di tutta la giornata. Ma quale sarà il frutto di questa speranza? Non tutti consacrano così tutti i giorni alla speranza. Vi sono operai della terza ora, della sesta, della nona, dell’undicesima, ed il Profeta, che ha sperato dalla veglia del mattino fino alla notte, sembra sottratto di una parte della ricompensa promessa dal Vangelo. Non è così: egli dice: « che Israele speri nel Signore; » la sua esortazione non precisa alcun tempo determinato. Come un operaio perfetto, egli ha sperato nel Signore dalla veglia del mattino fino alla notte; ma per la speranza, tutti i tempi sono liberi, e gli operai della undicesima ora riceveranno la ricompensa non del lavoro che avranno compiuti, ma della misericordia nella quale essi hanno sperato. (S. Ilar.). –  Che significano queste parole: « Nel Signore è la misericordia? » cioè in Dio c’è un tesoro, una sorgente di misericordia che non cessa di zampillare sugli uomini. Ora, la misericordia si trova congiunta con la redenzione, e non una redenzione ordinaria, ma una redenzione abbondante ed un oceano immenso d’amore. (S. Chrys.). – « Nel suo Figlio diletto Gesù-Cristo, noi troviamo la redenzione con il suo sangue e la remissione dei nostri peccati secondo le ricchezze della sua grazia, che ha diffuso su di noi con abbondanza. » (Ephes. I, 7, 8). – « In Lui c’è una redenzione abbondante. » parola magnifica! Era impossibile dire meglio dopo ciò che precedeva: « che dopo la veglia del mattino, Israele spera nel Signore. » – « Riscatterà Egli stesso Israele da tutte le sue iniquità. » Israele ha potuto da solo vendersi e divenire schiavo del peccato, ma non può riscattarsi da solo dalle sue iniquità. Ha potuto riscattare solo chi non ha potuto vendersi; Colui che non ha commesso peccato vi riscatta dal peccato. « Egli stesso riscatterà Israele. » Da cosa lo riscatterà? Da questa o quella iniquità? « … Da tutte le sue iniquità. » L’uomo desideroso di avvicinarsi a Dio non tema dunque alcuna sua iniquità: soltanto si avvicini a Lui con tutto il cuore, e smetta di fare ciò che faceva in precedenza e non dica: Questa iniquità non mi sarà rimessa. Se, in effetti, egli lo dicesse, non si convertirebbe, in ragione anche dell’iniquità di cui crederebbe di non poter ottenere perdono, e continuando a commettere altri peccati, non otterrebbe la remissione delle iniquità per le quali non temesse. Avendo commesso, dice l’empio, un gran crimine che Dio non può rimettermi, oramai commetterò tutti gli altri crimini, perché perderò tutto ciò che non farò. Non temete, voi siete nel fondo dell’abisso, non disdegnate di gridare verso il Signore dal fondo dell’anima e dire: « Se esaminate le nostre iniquità, Signore, Signore, chi potrà sopportarle? » Abbiate gli occhi fissi su di Lui, aspettatelo ed aspettate a causa della fede. Quale legge vi ha dato? « Rimettete i nostri debiti come noi rimettiamo ai nostri debitori ciò che essi ci devono. (Matth. VI, 47). Sperate di resuscitare e così sarete puri dai ogni  peccato, perché Colui che è resuscitato per primo, è stato senza peccato. Sperate nella prima veglia del mattino; non dite: io non sono degno di resuscitare a causa dei miei peccati. Voi non ne siete degno, ma « … nel Signore c’è una redenzione abbondante, ed Egli stesso riscatterà Israele da tutte le sue iniquità. » (S. Agost.).

SALMI BIBLICI: “SÆPE EXPUGNAVERUNT ME” (CXXVIII)

SALMO 128: “SÆPE EXPUGNAVERUNT ME a juventute mea”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS. 

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 128

Canticum graduum.

 [1]   Sæpe expugnaverunt me a juventute mea,

dicat nunc Israel;

[2] sæpe expugnaverunt me a juventute mea; etenim non potuerunt mihi.

[3] Supra dorsum meum fabricaverunt peccatores; prolongaverunt iniquitatem suam.

[4] Dominus justus concidit cervices peccatorum.

[5] Confundantur, et convertantur retrorsum omnes qui oderunt Sion.

[6] Fiant sicut fœnum tectorum, quod priusquam evellatur exaruit,

[7] de quo non implevit manum suam qui metit, et sinum suum qui manipulos colligit.

[8] Et non dixerunt qui præteribant: Benedictio Domini super vos. Benediximus vobis in nomine Domini.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

 SALMO CXXVIII.

Nei Salmi graduali precedenti parlò il profeta dei beni della patria; ora ritorna sui mali dell’esiglio, in cui siamo viatori. Sempre per movere ad ascendere, in vista dei mali dell’esigilo, ai grandi beni della patria.

Cantico dei gradi.

1. Spesse volte mi hanno combattuto dalla mia giovinezza; (1) dica adesso Israele:

2. Spesse volte mi hanno combattuto mia giovinezza, ma non ebber forze bastanti contro di me. (2)

3. Sulle mie spalle han fatto crudo lavoro i peccatori; han continuato lungamente loro iniquità. (3)

4. Il giusto Signore ha troncate le testi dei peccatori:

5. sieno confusi e in fuga volti tutti coloro che odian Sionne.

6. Sien come l’erba dei tetti, la quale, prima di esser còlta, si secca.

7. Della quale non poté empier il pugno il mietitore, né il seno colui che raccoglie i manipoli.

8. E i passeggeri non han detto: la benedizione del Signore sopra di voi; (4) noi vi abbiam benedetti nel nome del Signore.

(1) La giovinezza di Israele, è il tempo dell’uscita dall’Egitto, del viaggio nel deserto, forse anche della dominazione dei Giudici.

(2) L’ebraico recita letteralmente « essi mi hanno sempre attaccato, tuttavia essi non hanno potuto nulla contro di me. » La parola “etenim”, che si trova nella Vulgata, e che corrisponde alla voce καί γαρ del greco, ha un buon senso prendendolo anche nel suo significato: « Essi mi hanno spesso attaccato, perché essi non riportavano vittorie contro di me. »

(3) L’ebraico potrebbe tradursi così. « I lavoratori hanno lavorato sul mio dorso, ed hanno prolungato i loro solchi. » Si lavora il dorso a colpi di verghe, castigo sì frequente presso i Giudei. La metafora adottata dai Settanta e la Vulgata enuncia piuttosto l’opera del forgiare, che si fabbrica con strumenti di ferro sul dorso, come un’incudine; questa immagine, come la prima, implica l’idea di una persecuzione crudele ed incessante. Nella Vulgata, la metafora è meno sostenuta che nell’ebraico.

(4) « Et non dixerunt, » etc. che siano del numero di coloro ai quali i passanti non dicano mai …

Sommario analitico

Nei due salmi precedenti, il popolo di Dio ha manifestato la sua gioia della ricostruzione della vita e del tempio, e della felicità di tutte le famiglie che temono Dio. In questo, in cui è facile vedere la figura della Chiesa, egli rende grazie a Dio per non essere caduto sotto gli sforzi dei nemici.

I. – Egli descrive i loro sforzi ed i loro attacchi:

1° Questi attacchi sono stati frequenti (1);

2° Essi sono iniziati con il ritorno del popolo di Dio, con la ricostruzione del tempio, con la giovinezza della Chiesa (1);

3° sono stati inutili;

4° sono continuati con un accanimento ostinato ed una perseveranza diabolica (3).

II.- Egli annuncia quale sarà il castigo degli empi persecutori dei giusti:

1° Dio schiaccerà la loro testa (4);

2° li coprirà di confusione (5);

3° li farà indietreggiare (5);

4° disseccherà i loro sforzi ed il loro vigore come l’erba dei tetti (6):

a) che si dissecca prima di radicarsi;

b) che non si può raccogliere con le mani;

c) che non si può raccogliere con le braccia (7);

d) che non può essere, come le messi ordinarie, l’oggetto delle benedizioni dei passanti (8).

Spiegazioni e considerazioni

I — 1- 3

ff. 1-3. – Queste parole del popolo giudeo, assediato e perseguitato dalle nazioni vicine quando lavorava alla ricostruzione del tempio e della città, convengono più perfettamente alla Chiesa di Gesù-Cristo, che fu lasciata appena respirare dagli attacchi incessanti dei pagani, degli eretici e dei falsi Cristiani, e che tra tante traversie, malgrado gli sforzi delle persecuzioni, si è sostenuta con la sua fermezza; malgrado gli attacchi dell’eresia, è stata una colonna di verità; malgrado la licenza dei costumi depravati, è rimasta il centro della carità. Perché questi attacchi? « Perché essi non hanno potuto prevalere su di me. » – « I peccatori hanno lavorato sul mio dorso; il male che essi hanno fatto è lungi da me. » Perché questi attacchi? « Perché essi non hanno prevalso su di me. » Che vuol dire: « Perché non hanno potuto prevalere su di me? » Il loro lavoro è stato vano. Che vuol dire:  « Perché non hanno potuto prevalere su di me? » Essi non hanno potuto fare che acconsentissi al male. In effetti tutti i malvagi perseguitano i buoni, perché i buoni rifiutano di acconsentire al male. Qualcuno ha agito male: il Vescovo non lo riprende, questi è buon Vescovo; se il Vescovo lo riprende, ecco questi è un Vescovo cattivo. Qualcuno ha rubato: colui che è stato derubato, resta zitto? Egli è buono; egli viene solo a parlare e lamentarsi, senza neanche reclamare ciò che gli è stato derubato: è un malvagio. Colui che rimprovera ad un ladro la sua cattiva azione è un malvagio, ed il ladro è un buono! In effetti chi può prevalere su di me, « … attaccandomi fin dalla mia giovinezza? » Essi mi hanno esercitato, ma non mi hanno vinto. Essi hanno potuto su di me ciò che il fuoco può sull’oro, e non ciò che fa il fuoco sul fieno. Il fuoco, quando attacca l’oro, lo purifica, e quando attacca il fieno, lo riduce in cenere. « Essi non hanno potuto prevalere su di me, » perché non ho acconsentito alla loro volontà, perché non mi hanno reso simile ad essi. « I peccatori hanno lavorato sul mio dorso; il male che hanno fatto, è lungi da me. » Essi hanno fatto in modo che soffrissi, ma non che acconsentissi. Il male che mi hanno fatto, dunque, è lontano da me. I malvagi sono mischiati con i buoni, non solo nel mondo, ma pure nella Chiesa i malvagi sono frammisti ai buoni. Voi lo sapete e l’avete provato, e lo proverete quanto più sarete migliori; perché « essendo l’erba cresciuta, ha prodotto frutti, ed è apparsa la zizzania. » (Matth. XIII, 27-43). I malfattori, nella Chiesa, non sembrano tali che a colui che è buono. Voi sapete dunque che buoni e i malvagi sono mischiati, e la Scrittura dice sempre e dappertutto che essi non saranno separati che alla fine. Ma molti di essi pur essendo mescolati, sono molto lontani gli uni dagli altri; e poiché i malfattori sono mescolati ai buoni, non si abbia a concludere che l’iniquità sia vicino alla giustizia. « Essi non hanno potuto prevalere su di me, » è scritto; di conseguenza essi hanno detto e detto inutilmente: « Mangiamo e beviamo, perché domani moriremo. » (Isai. XXII, 13 e I Cor. XV, 32). I loro discorsi depravati non hanno corrotto le mie buone opere, perché su tutti i punti in cui ho inteso la parola di Dio, io non ho ceduto ai discorsi degli uomini. I peccatori hanno potuto ben fare che io li potessi sopportare, ma non hanno potuto fare che io fossi mescolato a loro, e la loro iniquità è lontano da me. Cosa c’è in effetti di più vicino di due uomini in una stessa chiesa? Cosa c’è di più lontano dalla giustizia che l’iniquità? È la comunanza di sentimenti che ha la vicinanza. Due uomini sono incatenati e portati davanti ad un giudice, un ladro ed un uomo a lui legato;< l’uno è un criminale, l’altro un innocente, essi sono legati dalla stessa catena e sono legato l’uno all’altro. A qual distanza sono l’uno dall’altro? Alla distanza che separa il crimine dall’innocenza. Eccoli dunque ben lontani l’uno dall’altro. Al contrario il brigante che ha commesso i suoi crimini in Spagna, è vicino al brigante che ha commesso i suoi in Africa. A qual punto sono vicini l’uno all’altro? … di tutta la vicinanza che unisce crimine a crimine, ed il brigantaggio al brigantaggio. Che nessuno tema quindi la vicinanza corporea dei malfattori, ma sia lontano da loro con il cuore e porterà con sicurezza un fardello del quale non dovrà temere: « Il male che essi hanno fatto, è lontano da me. » (S. Agost.). – I fedeli, meravigliati nel veder durare tanto tempo la persecuzione, si indirizzano alla Chiesa loro madre domandandone la causa: è da tanto tempo, o Chiesa, che si colpiscono i vostri pastori, e le pecore disperse. Dio si è forse dimenticato di voi? Se non fosse stata una cosa passeggera, noi potremmo pensare che si trattasse di una prova; ma dopo tanti secoli di persecuzione, i mali vanno sempre più crescendo, e gli scandali si moltiplicano; i venti turbinano, e flutti si sollevano; voi siete battuta di qua e di là, trasportata dalle onde e dalla tempesta; non temete di essere inabissata? Miei figli – risponde la Chiesa – io non mi stupisco di tante traversie; io sono abituata dall’infanzia: « Questi stessi nemici che mi attaccano, mi hanno già perseguitato nella mia gioventù. » La Chiesa è sempre stata sulla terra; dalla sua più tenera infanzia, essa era rappresentata in Abele, è stata uccisa da Caino, suo fratello; essa è stata rappresentata da Enoch, e si è dovuta togliere da mezzo agli empi, senza dubbio perché non potevano soffrire la sua innocenza; la famiglia di Noè poi, è stato necessario liberarla mediante il diluvio; Abramo nulla ha sofferto dagli empi? E suo figlio Isacco da Ismaele, Giacobbe da Esaù, colui che era secondo la carne, non ha perseguitato colui che era secondo lo spirito? Mosè, Elia, i Profeti, Gesù-Cristo e gli Apostoli, quanto non hanno avuto a soffrire? Di conseguenza, figlio mio – dice la Chiesa – non mi meraviglio affatto di queste violenze: guarda la mia vecchiaia, considera i miei capelli grigi; « le crudeli persecuzioni dalle quali è stata tormentata la mia fanciullezza, non mi hanno impedito di giungere a questa venerabile vecchiaia? » Se fosse stata la prima volta, io ne sarei forse turbata; ora, la lunga abitudine fa sì che il mio cuore non sia toccato. Io lascio fare ai peccatori: « Essi hanno lavorato sul mio dorso »! Io non giro la mia faccia contro di essi, per oppormi alla loro violenza; io non faccio che tendere il dorso; essi battono crudelmente ed io soffro senza lamentarli; ecco perché non do limiti alla loro furia. La mia pazienza serve da trastullo alla loro ingiustizia; ma io smetto di soffrire, e mi ricordo di Colui « che ha porto le sue guance agli affronti, e non ha sottratto la sua faccia agli sputi (Isai. L, 6). Che io sembri sempre fluttuante, stupisce? La mano onnipotente che mi serve d’appoggio saprà ben impedirmi di essere sommersa (Bossuet, Sur l’Eglise, I p.).- Non è questa anche una espressione viva e letterale di ciò che Gesù-Cristo, il capo e lo Sposo della Chiesa, ha sofferto da parte dei peccatori nella sua flagellazione? Essi hanno impresso una infinità di colpi sul suo dorso che era simile ad un campo nel quale l’aratro ha scavato profondi solchi! – La vita di un Cristiano non si svolge tra lievi piaceri, non è fatta per il riposo di una vita tranquilla; egli è attaccato negli anni della giovinezza, e questi attacchi si ripetono frequentemente … Essi hanno per scopo di provare la sua fede, di attestarne la pazienza, di meritare la corona dovuta alla virtù trionfante; san Paolo conosceva questa corona riservata a lunghi combattimenti, quando diceva: « Nessuno è coronato se non chi combatte secondo le regole » … Il Profeta passa sotto silenzio il nome di coloro che lo hanno attaccato, e non parla delle loro imprese ostili. Gli oltraggi, le persecuzioni alle quali i veri Cristiani sono soggetti hanno autori diversi da coloro che ne sono strumenti e ministri. Gli strumenti sono gli uomini, ma l’ispirazione viene dal demonio … In ogni ingiuria che soffriamo, ricordiamoci che l’esecutore non è lo stesso che l’ispiratore. Non ci irritiamo dunque contro coloro dai quali abbiamo a soffrire; ma tutte le volte che i loro insulti eccitano la nostra collera, tutte le volte che i loro oltraggi ci spingono a lottare contro di essi, tutte le volte che i loro furti e le loro rapine ci rattristano e sono il soggetto dei nostri pianti, riconosciamo l’opera di questo nemico che è il vero autore di tutto ciò che si fa, di tutto ciò che si dice contro di noi. (S. Hil.). – Ora, tutto ciò che è successo a Gesù-Cristo, deve rinnovarsi e continuarsi nel corpo e nell’anima dei fedeli. Bisogna che i veri figli della Chiesa siano battuti e arati; bisogna che i malfattori prolunghino su di essi la loro iniquità, che traccino dei solchi di menzogna, di calunnia, di disprezzo, di frode, di vessazione. Come diventare santo come Abele – diceva S. Gregorio – se non c’è Caino che esercita la nostra pazienza? È il costume di coloro che non hanno potuto trionfare nei lunghi e continui combattimenti, attaccare da dietro l’armata vittoriosa che avanza in buon ordine, ergere ogni tipo di imboscata, impiegando contro di essa tutti gli inganni, tutti gli artifizi. Così i peccatori, svergognati dall’essere stati vinti dagli uomini dabbene, li attaccano da dietro nella via della verità, per cercare di perderli con i loro sforzi artificiosi. È ciò che esprime il salmista: « I peccatori hanno battuto sul mio dorso. » (S. Hil.)

II. — 4-8.

ff. 4 – 8. Quante teste dei persecutori Dio ha già abbattuto? I faraoni, i Nabuchodonosor, gli Antiochi, i Neroni, i Domiziani,, i Dioclezioni ed altri mostri simili, così al presente e nell’avvenire, vedremo troncare la vita ancora di altri persecutori, attuali e futuri, per i loro diletti. – « Che divengano come il fieno dei tetti che dissecca prima di radicarsi. Il fieno dei tetti è l’erba che nasce sui tetti, sulle terrazze non coperte da mattoni. Esso compare in alti luoghi, ma non ha radici. Quanto sarebbe meglio per esso l’essere nato in un luogo più umile ed essersi rivestito da una verzura più gradevole. Ecco che esso non nasce in un luogo più elevato se non per disseccarsi più rapidamente. Non è ancora strappato ed è già disseccato: ugualmente gli orgogliosi non hanno trovato ancora il loro fine nel giudizio di Dio e non hanno già la linfa che dà il verdeggiare. Considerate le loro opere e vedete a qual punto son disseccati. Essi vivono tuttavia, sono ancora qui, non sono dunque ancora strappati. Essi sono disseccati, ma non sono ancora strappati; essi sono diventati « … come il fieno dei tetti, che si dissecca prima di essere strappato. » Ed i mietitori verranno, ma non lo ammasseranno per farne covoni. In effetti i mietitori devono venire per ammassare il frumento nei granai; poi ammucchieranno la pula e la getteranno al fuoco. È così che si ripuliscono i tetti dalle loro erbacce, e tutto ciò che si strappa vien gettato al fuoco, perché non c’è nulla che non sia disseccato prima di essere stato strappato. Non è là che si riempie la mano del mietitore. Ora, dice il Signore, « i mietitori sono gli Angeli »(Matth. XIII, 39), (S. Agost.) – Sanza dubbio, l’erba che cresce in un campo fertile trascorre una buona vita, per mostrare il poco valore dei suoi avversari, li compara all’erba che cresce sui tetti, dando così una doppia prova della loro fragilità, della natura dell’erba, e del luogo ove essa spunta. Tali sono gli attacchi di questi nemici, che non hanno né radici né fondamenta: essi sono come l’erba che si vede quasi nello stesso tempo fiorire, e poi cadere ed appassire su se stessa (S. Chrys.). – Quando la virtù ha resistito agli sforzi di qualche violenta passione che spinge impetuosamente nel cuore l’amore della giustizia, e cerca di strapparla, di sradicarla, deve guardarsi da un altro pericolo, intendo da quello delle lodi. Il vizio contrario la sradica, l’amore delle lodi la dissecca. Sembra che si tenga bene, sembra ben sostenersi: ed essa inganna, in qualche modo gli occhi degli uomini. Ma la radice è sterile, non assume più nutrimento, non è buona se non per il fuoco. È questa erba dei tetti, di cui parla Davide, che si secca da se stessa prima che la si strappi. Sarebbe da desiderare che non fosse nata in un luogo così alto, e che durasse più a lungo in qualche valle deserta; sarebbe da desiderare per questa virtù che non fosse esposta in un luogo sì eminente, ma si nutrisse in qualche angolo con l’umiltà cristiana. (Bossuet, II Panég. De S. Jos.) – Per quanto energica sia questa immagine, per noi che non conosciamo nulla di più vile, di più deperibile di quest’erba senza linfa che vegeta sui tetti delle case, forse, nel gran giorno del giudizio ultimo queste parole non ci sembreranno più esagerate, ma molto al di sotto della realtà. Quale spettacolo, in effetti, che quello di questi uomini in precedenza sì ricchi e potenti e che avevano creduto di fondare le loro case sui troni e sugli imperi: quale spettacolo vederli precipitati al rango più infimo del mondo intero, e vederli, essi, abituati alle delizie e alle voluttà, senza poter soffrire il più lieve incomodo, condannati all’eterno supplizio, senza alcun alleviamento, senza alcuna consolazione, e questo senza fine e per sempre! (Bellarm.). – Passando in mezzo ai lavoratori, c’era l’abitudine di dire: « La benedizione di Dio sia su di voi; » e questa abitudine era osservata dai Giudei, come si vede nel libro di Ruth. Booz, venendo nel suo campo, dice ai mietitori: « Che il Signore sia su di voi. » – Nessuno incontrava sulla sua strada degli operai occupati in un campo, nella vendemmia, nella mietitura, sia in qualche simile azione, senza benedirli; non era permesso astenersene. Altri sono coloro che raccolgono i covoni, altri quelli che passano sulla strada: coloro che ammassano i covoni non riempiono le loro mani di quest’erba, perché non si mette nel granaio il fieno spuntato sui tetti. Chi sono coloro che raccolgono i covoni? Il Signore lo ha detto: « … i mietitori sono gli Angeli. » Chi sono coloro che passano nel cammino? Coloro che lo hanno già attraversato per arrivare, per questa via, fino alla patria. Gli Apostoli, i Profeti sono di questo numero. Chi sono colo che hanno benedetto i Profeti e gli Apostoli? Coloro in cui essi hanno riconosciuto le radici della carità; ma quanto a coloro che hanno visto elevarsi sui tetti ed inorgoglirsi, con la testa elevata arrogantemente, hanno loro predetto il funesto avvenire e non hanno richiamato su di essi la benedizione del Signore (S. Agost.).

SALMI BIBLICI: “BEATI OMNES QUI TIMENT DOMINUM” (CXXVII)

SALMO 127: “BEATI OMNES QUI TIMENT DOMINUM”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS. 

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 127

Canticum graduum.

[1]  Beati omnes qui timent Dominum,

qui ambulant in viis ejus.

[2] Labores manuum tuarum quia manducabis, beatus es, et bene tibi erit.

[3] Uxor tua sicut vitis abundans, in lateribus domus tuae; filii tui sicut novellæ olivarum in circuitu mensæ tuæ.

[4] Ecce sic benedicetur homo qui timet Dominum.

[5] Benedicat tibi Dominus ex Sion, et videas bona Jerusalem omnibus diebus vitæ tuæ;

[6] et videas filios filiorum tuorum, pacem super Israel.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

 SALMO CXXVII.

Esortazione alla pietà, in vista del gran premio proposto alla virtù.

Cantico dei gradi.

Sommario analitico

1. Beati tutti coloro che temono il Signore, che camminano nelle sue vie.

2. Perché tu mangerai le fatiche delle tue mani, tu sei beato e sarai felice. (2)

3. La tua consorte come vite feconda, nell’interior di tua casa. I tuoi figliuoli come novelle piante di ulivi, intorno alla tua mensa. (3)

4. Ecco come sarà benedetto l’uomo che teme il Signore.

5. Ti benedica da Sionne il Signore, e vegga tu i beni di Gerusalemme per tutti i giorni della tua vita.

6. E vegga tu i figliuoli dei tuoi figliuoli, e la pace in Israele.

(1) Seminare il proprio campo e vedere il raccolto preso da un altro, era una punizione di cui Dio aveva minacciato il suo popolo in caso di infedeltà (Lev. XXVI, 16; Deut. XXVIII, 30-33; Giob. XXXI, 8). “In lateribus” si riferisce più naturalmente alla vigna che alla donna, ma “in circuitu mensa” riferendosi ai figli, il parallelismo richiede che “in lateribus” si riferisca alla donna, ciò che rende preferibile la traduzione “in penetralibus”.

 (2) In senso figurativo, il giusto dell’Antica Legge è figura del Messia, e questo salmo per intero è applicabile a Nostro Signore Gesù-Cristo; e, in effetti, la Chiesa li applica ai vespri della Festa di Dio. – Seduto alla tavola eucaristica, vi mangia il lavoro delle sue mani, il pane che fa venire nei campi e che Egli cambia nel suo Corpo. La Chiesa. Sua sposa, lo rallegra con la sua fecondità, i suoi figli, profumati di olio santo, circondano la tavola e prendono parte al suo festino.

Questo salmo, in cui il salmista vuole eccitare alla pratica del timore del Signore gli esiliati di ritorno alla loro patria, contiene l’elogio delle famiglie virtuose e la promessa che Dio riserva loro nella vita presente. Questa famiglia, di cui è descritta la felicità, è soprattutto la Chiesa, di cui Nostro Signore è lo sposo e che gli dà numerosi figli, che Egli è felice di vedere a tavola (2).

I. Promette la felicità in generale:

1° a coloro che temono Dio,

2° e questo timore fa camminare nelle sue vie (1).

II. Espone in cosa consista la beatitudine:

1° i beni della fortuna;

2° una sposa virtuosa e feconda;

3° dei figli che saranno l’ornamento della casa e la consolazione dei loro genitori (3);

4° la certezza di queste benedizioni per chi teme Dio (4);

5° la felicità di vedere tutti i loro concittadini condividere la loro felicità (5);

6° una lunga serie di figli;

7° la pace su tutto il popolo di Dio (6).

Spiegazioni e considerazioni

I. — 1

ff. 1. – Non è sufficiente avere il timor di Dio, occorre ancora camminare nelle sue vie; è per questo che il salmista riunisce due cose: il timore e le opere. Ce ne sono molti invero, nei quali la fede è perfetta, ma la vita è criminosa, e che sono i più infelici degli uomini (S. Chrys.). – Tre specie vi sono di timore: il primo tutto umano, si trova in coloro che temono di fare il male per paura che arrivino tribolazioni dal mondo; il secondo ha il suo principio nelle minacce dell’inferno e delle pene eterne; coloro che hanno questo timore si astengono dal peccare per evitare la dannazione; essi temono Dio, ma non amano ancora la giustizia; la terza specie di timore che è il timore casto, consiste nel fatto che si teme più di perdere il Signore che tutti gli altri beni, qualunque essi siano (S. Agost.). – Questo timore solo ispira di camminare nelle vie di Dio, nella sua legge e nei suoi precetti; perché essa procede dall’amore, ed il Signore ha detto: « Se voi mi amate, osservate i miei Comandamenti; » ed ancora: « colui che ama i miei Comandamenti e li osserva, egli è colui che mi ama; » ed infine: « colui che non mi ama non osserva la mie parole. » (Giov. XIV). –  Ora quali sono le vie di Dio, se non quelle conformi alle ispirazioni della virtù? … Il Salmista chiama queste vie, le vie di Dio, perché esse conducono sicuramente al cielo fino a Dio; e non è detta la via, bensì “le vie”, per insegnarci che esse sononumerose. Dio le ha moltiplicate: Egli ci ha aperto un gran numero di vie per renderci la scelta più facile (S. Chrys.). – Bisogna esaminare queste vie numerose, alfine di poter trovare quella che è buona ed arrivare, con gli insegnamenti di diversi dottori, ad entrare nella via unica della vita eterna. Queste vie sono nella Legge, sono nei Profeti, sono nei Vangeli, sono negli Apostoli, sono nel compimento di diversi precetti, e coloro che camminano in queste vie, temendo Dio,  sono beati. (S. Hilar.).

II. — 2-6

ff. 2. – Il Profeta si rivolge a tutti indistintamente; ma poiché tutti non sono che uno nel Cristo, continua al Singolare: « Tu mangerai il lavoro delle tue mani » … Ma come siamo numerosi, e siamo uno? Perché noi siamo legati a Colui del quale siamo membri e del Quale la testa è in cielo, perché vi giungano anche le membra. (S. Agost.). Dio fa la stessa promessa al giusto, per bocca di Isaia: « Dite al giusto che tutto va bene per lui, ditegli che egli gusterà il frutto delle sue virtù. » (Isai. III, 10). – Questo nutrimento non è un nutrimento corporale, è un alimento spirituale destinato a nutrire la nostra anima nel corso di questa vita; queste sono le buone opere della castità, della misericordia, della penitenza, della pace, in mezzo alle quali bisogna lavorare e lottare contro i vizi e le debolezze dei nostri corpi. Ora, è nell’eternità che noi dobbiamo raccogliere il frutto di questi lavori; ma bisognerà mangiare prima quaggiù il lavoro di questi frutti eterni, bisogna nutrire la nostra anima nel corso di questa vita mortale, ed ottenere con questo nutrimento il pane vivente, il pane celeste di Colui che ha detto: « Io sono il pane vivente disceso dal cielo. » (S. Hilar.). – Per coloro che comprendono male questo versetto, sembra che queste espressioni siano poste al rovescio, e che dovrebbe avere: Tu mangerai il frutto dei tuoi lavori. Molti in effetti mangiano il frutto dei loro lavori. Un uomo lavora alla sua vigna: egli non mangia il suo lavoro, ma egli mangia ciò che nasce da questo lavoro. Cosa dunque vogliono dire queste parole: « … tu mangerai i lavori delle tue mani »? Noi lavoriamo presentemente, il frutto del nostro lavoro verrà più tardi; ma, perché i nostri stessi lavori non siano senza piacere, in ragione della speranza di cui San Paolo ha detto: « Noi ci rallegriamo nella speranza, e siamo pazienti nella tribolazione, » (Rom. XII, 12), i nostri lavori medesimi ci causano al presente gioia, e noi ci rallegriamo per la speranza. se dunque il nostro lavoro ha potuto già costituire il nostro nutrimento  e rallegrarci, che sarà dunque il frutto di questo lavoro quando lo mangeremo? Che dice il Profeta nel salmo precedente? « Voi che mangiate il pane di dolore. » Questo lavoro delle mani è il pane di dolore. » Se non lo si mangia, il Profeta non gli avrebbe dato il nome di pane; e se questo pane non avesse alcuna dolcezza, nessuno lo mangerebbe. Con quali dolcezza piange e geme colui che prega! Le lacrime della preghiera hanno più dolcezza di tutti i piaceri del mondo. (S. Agost.). – I lavori dei frutti sono le prove con le quali l’uomo è esercitato in questo mondo perché possa pervenire al frutto dell’eternità; perché la marcia nelle vie di Dio è laboriosa, il cammino che conduce alla vita è stretto. Ma questo lavoro è ricompensato dai frutti dell’immortalità, quando l’uomo è seduto a questa tavola magnifica ove si nutre del pane celeste. (S. Gerol.) – Quanti che mangiano i lavori delle proprie mani! Essi leggono la Sacra Scrittura e non si nutrono delle parole della fede; essi ascoltano la voce dei predicatori, ma dopo averla ascoltata, si ritirano più vuoti di prima; essi mangiano ma non sono sazi perché nello stesso tempo in cui ascoltano la parola del Signore, desiderano e ricercano i beni e la gloria del secolo (Dug.).

ff. 3, 4. – « La tua sposa sarà come una vigna fertile. » La fecondità di una sposa e la moltitudine dei figli sono sempre rappresentati, nei libri santi, come effetti della benedizione di Dio. Tuttavia Dio non accorda sempre ai suoi servitori fedeli una famiglia numerosa. – Così i giusti che furono privati delle gioie del matrimonio, o le cui spose restarono sterili, non furono per questo privati della felicità della fecondità; Dio ne accordò loro una di altro genere e ben più elevata. – Gesù-Cristo, per primo, il capo di tutti i giusti e di tutti i santi, non ha avuto né sposa né figli secondo la carne, ma ha avuto per sposa la Chiesa ed una moltitudine di figli spirituali … Ma chi sono coloro per cui la Chiesa è come una vigna fertile, dal momento che vediamo entrare nelle mura di questa Chiesa degli uomini sterili? Noi vediamo entrare in queste mura un gran numero di uomini che si danno al vino, degli usurai, dei venditori di cattiva fede. È questa la fertilità di questa vigna? È questa la fecondità di questa sposa? No di certo, ma sono al contrario essi le spine che invadono la vigna; ma essa non è coperta di spine dappertutto. Essa è fertile, ma in qual distretto? « Nei lati della sua casa » … Ora noi chiamiamo i lati della sua casa, coloro che sono attaccati al Cristo. In coloro che non si attaccano al Cristo, essa è sterile (S. Agost.). – I giusti, quantunque vergini, non sono privati, sull’esempio di Gesù Cristo, loro capo, dall’avere una posterità numerosa; essi sono non soltanto i padri di coloro che generano alla fede ed alla penitenza, ma ancora le loro madri, pregando e gemendo per essi. (Dug.). – Questa sposa, è la saggezza di cui Salomone diceva: « Io l’ho amata, l’ho cercata nella mia giovinezza, ho chiesto di averla in sposa. » – Questa sposa dell’uomo che teme Dio, che circonda i lati della sua casa come una vigna feconda, si slancia su tutti i lati delle nostre opere. Per questa casa, bisogna intendere il domicilio della nostra anima che ognuno di noi purifica con il timor di Dio camminando nelle sue vie per farne un’abitazione degna dello Spirito-Santo. I figli che nasceranno da questa unione dell’anima con la sapienza, saranno giovani virgulti di olivo, intorno alla nostra tavola. Il salmista non dice: intorno al banchetto, ma “intorno alla vostra tavola”, cioè della tavola del Signore, ove prendiamo il nostro nutrimento, cioè il pane vivente di cui la virtù è di comunicare a coloro che lo ricevono la vita che contiene. (S. Hilar.). – Sia la nostra anima ritirata in se stessa, fedele a Dio, attenta a piacergli: questa sarà la sposa che farà la felicità dei nostri giorni; essa sarà feconda in buone opere, riempirà tutto il nostro interno di pensieri santi, che saranno come i nostri figli … tale è la famiglia di coloro che cercano il Signore. (Berthier).

ff. 5, 6. – Il Profeta sembra voler prevenire i dubbi che si possono opporre sulla certezza delle benedizioni di Dio. Si – riprende in questo versetto – è così che sarà benedetto colui che teme il Signore. Se noi abbiamo della diffidenza, solo da noi essa può giungere. – « Che il Signore vi benedica da Sion. » Senza dubbio voi notate già queste parole: « Così sarà benedetto l’uomo che teme il Signore; » forse i vostri occhi si porteranno già su coloro che non temono il Signore, e voi apprezzerete nelle loro dimore delle spose feconde e numerosi figli intorno alla tavola paterna; io non so fin dove sarà deviato il vostro pensiero. « Vi benedica il Signore; » sì, ma « … da Sion ». non cercate le benedizioni che non vengano da Sion. Ma dunque, fratelli miei, il Signore non ha benedetto coloro che possiedono questi beni? Là certamente c’è una benedizione del Signore; perché se non è una benedizione del Signore, chi potrebbe prendere una sposa se Dio non voglia? Chi potrebbe essere in buona salute se Dio non volesse? Chi potrebbe essere ricco se Dio non lo volesse? Questa benedizione non viene da Sion. « Vi benedica il Signore da Sion e vi faccia vedere i beni di Gerusalemme che ivi sono realmente. » In effetti, questi beni non sono quelli di Gerusalemme. Volete essere certi che questi beni non siano quelli di Gerusalemme? Dio ha detto anche ai suoi uccelli: « … crescete e moltiplicatevi. » (Gen. I, 22). Volete considerare come un gran bene ciò che è stato dato anche agli uccelli? Senza dubbio, è la parola di Dio che vi ha dato questo bene della famiglia, chi lo ignora? Ma se voi lo ricevete, sappiate usarne, e pensate al modo in cui nutrirete i figli che vi sono nati, piuttosto che pensare a vederne nascere altri. La felicità non consiste nell’avere dei figli, ma nell’avere figli virtuosi; se ne avete, lavorate per allevarli; se non ne avete, rendete a Dio azioni di grazie, Forse sarà per voi una minore sollecitudine, e tuttavia non sarete causa di sterilità per la Chiesa nostra madre; forse per voi nasceranno spiritualmente da questa madre dei figli che saranno come una giovane pianta di ulivo intorno alla tavola del Signore. vi consoli dunque il Signore, « e vi faccia vedere i beni che sono realmente di Gerusalemme, » perché questi beni lo sono realmente. Perché lo sono? Perché essi sono eterni. Perché sono eterni?  Perché è là che il Re ha detto: « Io sono Colui che sono. » (Es. III, 14). Quanto ai beni temporali, essi sono e non sono, perché non hanno stabilità; essi vengono e vanno. I vostri figli sono ancora piccoli, voi carezzate questi bambini ed essi vi carezzano; ma essi restano così? Voi sognate che essi si facciano grandi, desiderate che raggiungano un’altra età; ma badate, quando giunge una stagione della loro vita, l’altra è già morta; quando giunge l’età della ragione, la prima infanzia è già morta; quando viene l’adolescenza, la seconda infanzia è morta; quando viene la giovinezza, è morta l’adolescenza; quando giunge la vecchiaia, è morta la giovinezza; quando viene la morte, ogni età è morta. Desiderate tante età diverse, desiderate di vedere tante età prima di morire. Tutte queste cose non sono dunque realmente. Ma allora i vostri figli nascono per vivere sulla terra, o piuttosto per cancellarvene e rimpiazzarvi? Perché i figli, quando nascono, sembrano dire ai loro genitori: andiamo, pensate ad andarvene; a noi dunque tocca giocare il nostro ruolo quaggiù; perché tutta questa vita di prova del genere umano non è che una successione di ruoli, secondo questa parola del Profeta: « Ogni uomo vivente non è che vanità. » (Ps. XXXVIII, 6). E tuttavia, se riceviamo con tanta gioia dei figli che devono succederci, quanto più noi dobbiamo gioire nell’aver dei figli con i quali vivremo eternamente. Tali sono i beni di Gerusalemme, perché essi lo sono realmente (S. Agost.) – Asteniamoci dal credere che la sola ricompensa di coloro che temono Dio sia la potenza dei beni della terra, una sposa, dei figli, la prosperità negli affari domestici: queste sono delle ricompense accessorie e sopraggiunte. I beni primari ed essenziali, sono innanzitutto il timore di Dio, virtù che porta con sé la sua ricompensa, ed in seguito questi beni ineffabili « … che l’occhio non ha visto, che orecchio non intese, che il cuore dell’uomo non ha compreso. » – « Tutti i giorni della vostra vita. » Il più gran sigillo che Dio sia l’Autore di questi doni, è che essi saranno al riparo da ogni avvenimento triste, da ogni disastro, da ogni vicissitudine (S. Crys.). – E fra quanto tempo vedrete i beni di Gerusalemme? « Tutti i giorni della vostra vita. » Se dunque la vostra vita è eterna, voi vedrete eternamente i beni di Gerusalemme. Al contrario, questi beni temporali, se li vogliamo chiamare beni, voi non li vedrete per tutti i giorni della vostra vita; perché voi vivrete ancora quando avete lasciato il vostro corpo. La nostra vita continua, il nostro corpo muore alla verità, ma la vita della nostra anima non muore mai. Gli occhi non vedono più, perché colui che vede per mezzo degli occhi è partito; ma in qualche luogo si trovi colui che vedeva con gli occhi del corpo, ora vede qualche cosa (S. Agost.). – « Pace su Israele. » A che potranno servire tutti gli altri beni senza la pace? Il Profeta promette dunque qui il primo di ogni bene, quello che ne garantisce il possesso, cioè la pace ed una pace perpetua.  (S. Chrys.). – Non si tratta di una pace come la stabiliscono gli uomini tra loro, pace infedele, instabile, mutevole, incerta; non è neanche la pace che un uomo può avere con se stesso, perché l’uomo lotta contro se stesso, e lotterà fino a che abbia domato tutte le cupidigie. Qual è dunque questa pace? Una pace che l’occhio non ha visto, che l’occhio non ha inteso. Qual è allora questa pace? Quella che viene da Gerusalemme, perché Gerusalemme significa “visione di pace”. (S. Agost.).

SALMI BIBLICI: “NISI DOMINUS ÆDIFICAVERIT DOMUM” (CXXVI)

SALMO 126: “NISI DOMINUS ÆDIFICAVERIT DOMUM”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS. 

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 126 

Canticum graduum Salomonis.

[1] Nisi Dominus ædificaverit domum,

in vanum laboraverunt qui ædificant eam. Nisi Dominus custodierit civitatem, frustra vigilat qui custodit eam.

[2] Vanum est vobis ante lucem surgere: surgite postquam sederitis, qui manducatis panem doloris. Cum dederit dilectis suis somnum,

[3] ecce hæreditas Domini, filii; merces, fructus ventris.

[4] Sicut sagittæ in manu potentis, ita filii excussorum.

[5] Beatus vir qui implevit desiderium suum ex ipsis: non confundetur cum loquetur inimicis suis in porta.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXXVI.

Esortazione attribuita a Salomone, che edificò il tempio e amplificò la città, e diretta a colui che dovea riedificare, dopo il ritorno dalla cattività, tempio e città. L’esortazione è anche ai fedeli, che han da edificare colle buone opere il tempio a Dio in loro stessi, e la celeste Gerusalemme por sé stessi.

Cantico dei gradi. Di Salomone.

1. Se il Signore non edifica egli la casa, invano si affaticano quelli che la edificano (1).

2. Se il Signore non sarà egli il custode della città, indarno veglia colui che la custodisce.

3. È cosa inutile a voi il levarvi prima del giorno: levatevi dopo che avrete riposato, voi che mangiate pan di dolore.

4. Quando egli ai suoi diletti avrà dato il sonno, ecco dal Signore l’eredità, i figliuoli, il lucro, i parti.

5. Qual saette nella mano d’uomo possente, così sono i figliuoli dei tribolati.

6. Reato l’uomo, il cui desiderio riguardo ad essi è adempiuto: ei non sarà svergognato, quando avrà da parlare coi suoi nemici alla porta. (2)

(1) Voi vi agitate inutilmente alla ricerca inquieta della felicità, voi anticipate il vostro risveglio, ritardate il vostro sonno e mangiate un pane acquistato con penoso lavoro; e mentre vi agitate vanamente, Dio fa dormire in pace i suoi diletti, e dà al loro risveglio più beni ancora di quelli che avrete raccolto con la vostra agitazione. 

(2) Si legge nell’ebraico. « Felice colui che ha riempito la sua faretra di tali frecce ». I figli che sono state comparate alle frecce, il salmista continua il suo paragone designando la casa  sotto il nome di faretra. I Settanta fanno sparire la figura, ma nella traduzione abbiamo conservato il senso, se non la figura del testo ebraico.

Sommario  analitico

In questo salmo, il Salmista avverte gli esiliati del ritorno nella loro patria che si dedicavano con troppo ardore alla ricostruzione della loro città e del tempio e, nella loro persona, tutti i Cristiani:

I. che essi non possono nulla senza Dio:

1° né nella costruzione particolare delle loro dimore (1),

2° né nella custodia della città (2); da qui conclude: a) che essi non devono anticipare l’aurora per darsi al loro lavoro, b) ma aspettare che abbiano preso il necessario riposo (2).

II. Che essi possono tutto con la benedizione di Dio.

1° Egli predice che Dio li benedirà, accordando loro dei figli come eredità e ricompensa delle buone opere (3);

2° predice ciò che faranno questi figli: a) saranno così forti contro i nemici che renderanno inutile ogni resistenza (4); b) si moltiplicheranno e saranno vittoriosi sui loro nemici alle porte della città (5).

Spiegazioni e considerazioni

I. – 1, 2.

ff. 1, 2. – Queste parole sono indirizzate ai Giudei, quando dopo il ritorno da Babilonia, lavorando per ricostruire il tempio e la città di Gerusalemme, incontravano grandi opposizioni e numerosi ostacoli da parte dei popoli vicini, e si videro attaccati da ogni parte da nemici gelosi della loro felicità e che temevano di vederli riuscire (II Esdras). Pertanto queste ricostruzioni avanzavano molto lentamente, e durarono tanto tempo, che ci vollero oltre quaranta anni per ricostruire il tempio. In presenza di queste difficoltà insieme riunite, il Profeta insegna loro a ricorrere a Dio, mostrando loro l’inutilità assoluta dei loro sforzi, se non fossero giunti ad attirare su di essi il soccorso divino. Sotto la protezione divina, la loro liberazione era impossibile; senza questa stessa protezione sarebbe ugualmente impossibile rialzare le loro mura. La ricostruzione della città poi, quando fosse interamente terminata e tutte le costruzioni completate, è impossibile da costudire senza l’assistenza divina … Bisogna fare attenzione ad ogni parola, non per autorizzare la nostra negligenza e la nostra tiepidezza, ma per determinarci a fare tutto ciò che dipende da noi, e mettere poi tutto nelle mani di Dio. Senza l’assistenza divina, noi non possiamo riuscire in niente (Giov. XV); ed anche se non rispondiamo al soccorso di Dio che con la negligenza e l’ozio, il successo ci sarà ugualmente rifiutato (S. Chrys.). – Qual è questa casa di cui parla il Profeta? Dio dice in un altro salmo: «Questo è il luogo del mio riposo  per i secoli dei secoli; Io vi abiterò, perché l’ho scelta, » (Ps CXXXI, 14); ma questa casa di Sion che Egli aveva scelto è distrutta da tempo senza più speranze di vederne ristabilire le rovine. Dove è dunque questa casa che Dio abiterà per sempre, o il luogo di questo riposo eterno? Qual è il tempio ove fisserà la sua dimora? È ciò di cui l’Apostolo ha detto: « Voi siete il tempio di Dio, e lo Spirito Santo abita in voi. (I. Cor. III, 16). Ecco la casa, ecco il tempio di Dio, pieno di dottrina e di virtù, devenuto degno, con la santità del cuore, di offrire una dimora conveniente a questo Ospite divino … Ora, è Dio stesso che deve costruire questa casa: se essa si costruisce con il lavoro dell’uomo, non ha alcuna speranza di durata; se essa si appoggia alle dottrine del secolo, essa non ha alcuna consistenza, e tutti i vani sforzi della nostra sollecitudine saranno impotenti a sostenerla. Bisogna ricorrere ad altri mezzi per costruirla, per custodirla: non è sulla terra, non è sulla sabbia mobile che bisogna posare i suoi fondamenti, ma sui Profeti e sugli Apostoli. Bisogna costruirla con pietre viventi, unite dalla pienezza di Cristo (Ephes. IV, 13) – (S. Hilar.). – Queste stesse parole sono indirizzate ai ministri della Chiesa che si sforzano di convertire gli uomini a Dio con la predicazione della sua parola, e di edificare così un tempio che è la Chiesa, secondo questa parola dell’Apostolo ai Corinti: «Come un saggio architetto, io ho posto le fondamenta, » (I. Cor., III, 10); ma, senza l’assistenza del principale Architetto che ha detto: « Su questa pietra io costruirò la mia Chiesa, » è invano che costruiscano gli uomini, è invano che predichino i dottori della parola di Dio. (Bellarm.). – È il Signore Gesù-Cristo che costruisce la sua casa. Molti lavorano alla costruzione di questa casa, ma se il Signore non costruisce Egli stesso, invano coloro che la costruiscono avranno lavorato, hanno costruito … « Io temo per voi di aver lavorato invano tra di voi, » diceva San Paolo (Gal. V, 11). Sapendo che è Dio che eleva interiormente il suo edificio, Egli stesso piangerebbe su coloro per i quali avrebbe lavorato invano. Noi parliamo dunque esteriormente, Dio costruisce interiormente. Noi possiamo ben notare come voi ascoltate; ma ciò che voi pensate, lo sa solo Colui che vede i vostri pensieri. È Lui che costruisce, è Lui che avverte, è Lui che minaccia, è Lui che apre l’intelligenza, è Lui che applica il vostro spirito alla fede. E tuttavia, anche noi, noi lavoriamo come operai; ma se il Signore non costruisce la casa, è invano che avranno lavorato coloro che la costruiscono … Noi lavoriamo pure nel custodirla come appartiene agli uomini il farlo, e tanto lo possiamo fintanto che Dio ce ne dà i mezzi …, ma il nostro lavoro è inutile, se Colui che vede i nostri pensieri non lo custodisce: Egli vi custodisce mentre voi vegliate; Egli vi custodirà ancora quando voi dormirete. Egli ha dormito una volta sulla croce ed è resuscitato; oramai Egli non dorme più, e Colui che custodisce Israele non dormirà e non si assopirà. » (Ps. CXX, 4). Noi vi guardiamo, è vero, per obbedire ai doveri della nostra carica, ma noi vogliamo essere custoditi nello stesso tempo da Voi; noi siamo per Voi come dei pastori, ma, come Voi, noi siamo delle pecore sotto la guardia del pastore. Da questo luogo elevato, noi siamo per Voi dei dottori; ma, sotto questo maestro unico, noi siamo con Voi i condiscepoli di una stessa scuola (S. Agost.) –  Non è così il grave insegnamento che lo Spirito-Santo dà a tutti i governi che si succedono sì rapidamente in questi tempi in cui le cause della rivoluzione sono in uno stato permanente? È vero dei popoli come degli individui questa parola: « Se Dio non custodisce la città, è invano che vegliano coloro che la custodiscono. » Turenne diceva ai suoi ufficiali che si felicitavano per una vittoria che tutti credevano certa: « Signori, se Dio non è con noi, ci resta il tempo che ci occorre per essere vinti. » Si, il supremo Operatore non è per niente nella ricostruzione del mondo sociale, tutti questi legislatori impotenti, tutti questi fabbricanti di costituzioni effimere, si esauriranno in sforzi inutili; essi non si succederanno gli uni agli altri che per morire appena, come i loro predecessori; ed il giorno in cui essi crederanno di aver composto l’edificio, monarchia, impero, repubblica, poco importa, sarà quello il giorno che vedrà crollare tutte le loro costruzioni. Illuminati dall’esperienza, volete sedervi in società, non più sulle sabbie mobili dei sistemi, ma sulla pietra solida della verità? Ebbene! Questa pietra è Gesù-Cristo (I. Cor. X, 1). Che Gesù-Cristo ed il suo Vangelo sia la base delle vostre costruzione, ed esse non periranno giammai, (Mgr. Plantier). – Noi abbiamo tutti una casa da costruire ed una città da custodire. Gesù-Cristo, dice S. Paolo, è come un figlio nella propria casa, e questa casa, siamo noi stessi. Voi siete una casa spirituale – dice S. Pietro – voi servite alla sua costruzione come pietre vive, ed è per questo che è scritto che la pietra angolare è stata posta in Sion. (I Piet., II,5). Questa pietra angolare, è Gesù-Cristo! Come eleveremmo questa casa senza di Lui? Come, senza il suo potente soccorso, potremo custodirla? Se il Signore non custodisce Egli stesso la città, è invano che vegliano coloro che sono preposti alla sua custodia. » La nostra anima, l’anima del Cristiano, è spesso comparata ad una città, ad una città fortificata: ora questa città ha delle porte, queste sono i nostri sensi; sono queste porte che hanno bisogno di essere custodite: c’è bisogno di una guardia severa, altrimenti il nemico che ronza incessantemente intorno a noi, può fare delle terribili incursioni nella piazza. Le porte di questa città, troppo spesso non hanno l’ausilio di una mano forte, sicura per difenderne l’entrata … Si, la nostra anima è una città le cui porte sono quasi sempre mal custodite, quando non sono custodite che da noi stessi. Fortunati quando non diventiamo complici del nemico che assedia la piazza e diveniamo vittima del nostro tradimento. Non gli consegniamo noi stessi la chiave del nostro core (Mgr. Pie, Disc. et Inst. I, 220, 221).   

ff. 2. – « È cosa vana per voi alzarvi prima della luce. » Se vi alzate prima che si levi la luce, voi restate inevitabilmente nella vanità, perché siete nelle tenebre. Il Cristo, nostra lice, si è levato: per voi è bene alzarvi dopo il Cristo, e non alzarvi prima di Lui. Chi sono coloro che si alzano prima del Cristo? coloro che vogliono mettersi davanti al Cristo, coloro che vogliono elevarsi quaggiù, ove il Cristo si è umiliato. Siano umili, se vogliono essere elevati là dove il Cristo si è elevato (S. Agost.). – « Alzatevi dopo esservi riposati. Voi che gemete nell’umiliazione, rialzatevi; voi che vi ricordate che siete nati o vivete nel peccato, e che desiderate arrivare fino a Dio (S. Gerol.). – Chi sono coloro che il Profeta invita a levarsi? Coloro che hanno mangiato il pane di dolore? Ora, mangia il pane del dolore chi ha sempre davanti agli occhi la verità che è nato e vive in una natura viziata. In effetti, quando la nostra volontà si sforza di elevarsi alle opere perfette della santità per timor di Dio e nella speranza dei beni eterni, mentre d’altro canto noi siamo impediti dall’inclinazione abituale che abbiamo ai vizi dai quali vogliamo uscire, noi proviamo un sentimento di dolore vedendo l’impotenza della nostra debole volontà, secondo le parole della Scrittura: « Colui che moltiplica la scienza moltiplica il dolore. » Da un lato, la conoscenza della verità eccita la nostra volontà a fare dei progressi nella pratica della virtù; dall’altra la forza dell’abitudine naturale incatena la volontà che sa che doveva avanzare. Questo aumento di scienza è un aumento di dolore, e questo dolore della vita è il pane di dolore di cui parla il Profeta, e di cui ha detto in altro Salmo: « Fino a quando saremo nutriti dal pane delle lacrime, abbeverati dal calice del pianto? » (Ps. LXXIX, 6) – « Alzatevi dopo esservi riposati. » L’azione importante per i ministri della Chiesa e per i fedeli stessi, affinché nell’edificazione della dimora comune o particolare, essi abbiano meno confidenza nel loro lavoro che nella preghiera, sull’esempio di Nostro Signore che « trascorreva le notti nel pregare Dio, e di giorno insegnava e confermava i suoi discorsi con i miracoli, » (Luc. VI, 12), e degli Apostoli che dicono: « Quanto a noi, noi ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della parola. » (Act. VI, 3). – È inutile consumare tutto il proprio tempo a costruire o a custodire; levatevi per l’opera dopo il pasto della contemplazione e della preghiera, voi che il desiderio della patria celeste fa gemere e gridare: « Le mie lacrime sono state il mio pane giorno e notte, mentre mi si ripete ogni giorno: « Dov’è il tuo Dio? » (Bellarm.). – C’è la necessità della grazia per ogni buona azione, grande o piccola, facile o difficile, per cominciarla, continuarla e completarla; c’è necessità particolare di questa grazia per coloro che mangiano il pane di dolore e della penitenza e che gemono incessantemente per un ardente desiderio dei beni eterni (Dug.).  

II. — 3-5.

ff. 3-5. – Quando Dio avrà dato loro il sonno ed il riposo, ed avrà respinto gli attacchi dei loro nemici, non solo allora essi potranno ricostruire la loro città e custodirla con sicurezza, ma riceveranno dei beni molto più preziosi: diventeranno i padri di numerosi figli, ed una brillante posterità crescerà sotto i loro occhi … Perché, benché questa sia l’opera della natura, la protezione di Dio viene ad aumentarne la fecondità. (S. Chrys.). – Il Profeta sembra rispondere qui a questa domanda: Quando si compirà questo? E risponde: « Quando il Signore avrà dato un sonno tranquillo ai suoi diletti. » I diletti di Dio, sono i santi che, dopo il sonno della vita presente, sembrano ancora assopiti prima che meritino di giungere alla resurrezione, alla vita eterna. Ora, quando i santi, usciti da questo secolo, saranno entrati in questo sonno dolce e tranquillo, diverranno porzione del Signore, perché cesseranno di essere sottomessi alle tentazioni (S. Gerol.). – Necessita la perseveranza nel bene, per la quale il dolore della penitenza si cambierà in gioia. Dolce è il sonno della morte, gradevole il riposo di una buona morte per gli eletti che sono i diletti di Dio, per il possesso dell’eredità del Signore, questa eredità che Dio ha promesso a suo Figlio come giusta ricompensa e come premio della sua incarnazione. È Lui che li ha generati come suoi figli, e come frutto delle viscere della sua carità, che lo ha portato a morire per noi. (Duguet). – Potenza di questi figli di Gesù-Cristo, che saranno sua eredità e sua ricompensa: essi saranno così potenti come frecce che, lanciate dalla mano di un uomo vigoroso, non conoscono ostacoli (Bellarm.). – In effetti le frecce non sono terribili di per se stesse, esso non sono da temersi se non quando vengono lanciate da una mano vigorosa: esse allora portano con sé una morte certa. (S. Chrys.). – Le frecce sono lanciate mediante l’arco, e più forte è colui che le lancia, più lontano portano queste frecce. Ora, chi c’è più forte del Signore? Dal suo arco, il Signore lancia gli Apostoli come frecce; esse penetrano fino all’ultimo confine della terra, e se non vanno ancora più lontani, è perché il genere umano non oltrepassa questi limiti (S. Agost.). – La potenza spirituale dei servi di Gesù-Cristo è non meno grande nell’azione, che nello stato di sofferenza; perché quando convertono gli infedeli alla fede, o i peccatori alla penitenza, con l’efficacia della loro predicazione, lo splendore della loro santità e la virtù dei loro miracoli, e quando, combattendo fino alla morte per la fede e la pietà, sopportano i più feroci supplizi con una rassegnazione ed un coraggio incredibili, cosa sono se non frecce nelle mani di un arciere vigoroso? Ma perché sono chiamati figli degli uomini cacciati ed esiliati? Perché essi sono i figli di uomini cacciati e respinti come il rifiuto e la spazzatura del mondo. Tali sono i discepoli degli Apostoli, in tutta la generazione dei fedeli perpetuati da secolo a secolo fino a noi. « Sembra – dice S. Paolo – che Dio ci tratti come gli ultimi degli Apostoli, come degli uomini condannati a morte, dandoci in spettacolo al mondo, agli Angeli ed agli uomini. » Fino a quest’ora, noi abbiamo fame e sete, noi siamo nudi ed in preda agli oltraggi, non abbiamo una stabile dimora, lavoriamo con molta pena con le nostre mani; ci si maledice, e noi benediciamo; ci si perseguita e lo sopportiamo; ci si blasfema e preghiamo; siamo diventati come la spazzatura del mondo, il rifiuto di tutti fino ad oggi (I. Cor. IV). E tuttavia questi uomini così respinti, rigettati, hanno trionfato con meravigliosa potenza del mondo e dei demoni (Bellar. – Berth.). – « Felice l’uomo che trova in essi il compimento dei suoi desideri. » E chi dunque trova in essi il compimento dei suoi desideri? Colui che non ama il secolo. Perché colui che è pieno dei desideri del secolo non ha dove ricevere in sé ciò che essi hanno predicato. Rovesciate ciò che portate, e diventati capaci di ricevere ciò che non avete. Se dunque desiderate le ricchezze, non potete trovare in questi predicatori il compimento dei vostri desideri. Se desiderate gli onori della terra, se desiderate ciò che Dio ha dato anche agli animali, come le voluttà temporali, la salute del corpo ed altri beni simili, non potete trovare in essi il compimento dei vostri desideri. Se, al contrario, nei vostri desideri paragonabili a quelli del cervo per le fonti d’acqua (Ps, XLI, 2), voi dite: «La mia anima desidera e si consuma dall’ardore dietro gli atri del Signore, (Ps. LXXXIII, 3), voi trovate in essi il compimento dei vostri desideri; non che essi possano da se stessi soddisfare questi desideri, ma imitandoli arrivate a Colui che ha colmato i loro desideri (S. Agost.). – Felici dunque colui che ha riempito la sua faretra con tali frecce, e che desidera saziarsi delle parole della dottrina e dei frutti dei beni futuri che sono stati loro annunziati … « Egli non sarà confuso quando parlerà ai suoi nemici alla porta. » Noi vediamo che il Profeta si impegna a render lode a Dio alle porte della figlia di Sion; (Ps. IX, 15); ma qui non è questione di una porta sola, la porta reale, la porta del Signore, la porta del cielo, della quale lo stesso Profeta ha detto: « È qui la porta del Signore, i giusti entreranno per essa. » (Ps. CXVII, 20). « Essi non saranno confusi parlando ai propri nemici », cioè avvicinandosi loro l’empietà nei confronti di Dio, la loro disobbedienza agli insegnamenti dei suoi ministri, la loro incredulità a riguardo delle promesse eterne, il loro odio contro gli innocenti, la loro crudeltà contro i membri della Chiesa (S. Hilar.) – Beato colui che, nel giorno del giudizio di Dio, avrà per difensore, per protettore i figli degli uomini perseguitati, ed il primo degli uomini perseguitati, è Gesù-Cristo; dopo di Lui ci sono gli Apostoli, e tutti i Santi sono i loro figli. Ma non bisogna illudersi di questo appoggio, se non abbiamo alcuna somiglianza con questi uomini che il mondo ha calunniato, oltraggiati, decapitati. Noi li avremo invece piuttosto come accusatori e nemici (Berthier).