SALMI BIBLICI: “LAUDA, ANIMA MEA DOMINUM” (CXLV)

SALMO 145: “LAUDA, ANIMA MEA, DOMINUM”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS. 

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 145

Alleluja, Aggæi et Zachariæ.

[1] Lauda, anima mea, Dominum. Laudabo Dominum in vita mea; psallam Deo meo quamdiu fuero. Nolite confidere in principibus,

[2] in filiis hominum, in quibus non est salus.

[3] Exibit spiritus ejus, et revertetur in terram suam; in illa die peribunt omnes cogitationes eorum.

[4] Beatus cujus Deus Jacob adjutor ejus, spes ejus in Domino Deo ipsius:

[5] qui fecit cælum et terram, mare, et omnia quæ in eis sunt.

[6] Qui custodit veritatem in sæculum; facit judicium injuriam patientibus; dat escam esurientibus. Dominus solvit compeditos,

[7] Dominus illuminat cœcos. Dominus erigit elisos; Dominus diligit justos.

[8] Dominus custodit advenas; pupillum et viduam suscipiet, et vias peccatorum disperdet.

[9] Regnabit Dominus in sæcula; Deus tuus, Sion, in generationem et generationem.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata

Tradotto in lingua italiana da

mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXLV.

Fu aggiunto nei codici greci e latini il titolo di Aggeo e. Zaccaria, perché questi due profeti animavano gli schiavi ebrei a ritornare in patria a riedificare Gerusalemme. Questo e i due Salmi  Che seguono preannunciano la Gerusalemme celeste, e invitano a imprenderne la via, ponendo la fiducia non nei principi, ma in Dio solo.

Alleluja. Di Aggeo e di Zacharia.

1. Loda, o anima mia, i Signore; loderò il Signore mentre avrò vita; canterò inni al mio Dio, finché io sarò,

2. Non ponete vostra fidanza ne’ grandi, ne’ figliuoli degli uomini, ne’ quali non è salute.

3. Il loro spirito se n’andrà, ed ei ritorneranno nella loro terra; allora andranno in fumo tutti i lor pensamenti.

4. Beato chi ha per suo aiuto il Dio di Giacobbe, ha sua speranza nel Signore Dio suo,

il quale fe’ il cielo e la terra, il mare e tutte le cose che sono in essi.

5. Egli, die mantiene la verità in eterno; fa giustizia a quei che soffrono ingiuria; dà cibo a’ famelici.

6. Il Signore scioglie gli incatenati; il Signore illumina i ciechi;

7. Il Signore rialza i caduti; il Signore ama i giusti.

8. Il Signore è custode de’ forestieri; difenderà il pupillo e la vedova, e sperderà i disegni de’ peccatori.

9. Regnerà pe’ secoli il Signore; il tuo Dio o Sionne, per tutte le generazioni.

Sommario analitico

Dopo una sorta di dialogo tra il salmista e la sua anima, per esercitarla a lodare Dio durante tutta la sua vita (1, 2):

I. – egli allontana la fiducia che si ripone nei grandi della terra, e ne dà come motivo:

1° La loro debolezza e la loro impotenza (3);

2° La brevità della loro vita, con la quale periscono tutti i pensieri, tutte le speranze

II. – mettere tutta la propria fiducia in Dio, e motiva questa esortazione con gli attributi di Dio:

1° la sua onnipotenza (5, 6);

2° la sua fedeltà nel compimento delle sue promesse;

3° la sua misericordia, che viene in soccorso di tutte le nostre miserie, di tutti i nostri bisogni (7-9);

4° le perpetuità di questi divini attributi (10).

Spiegazioni e Considerazioni

I. – 1-4

ff. 1, 2 –  Le delizie del nostro spirito sono i divini cantici ove le stesse pene non sono senza gioia. Per il fedele esiliato in questo mondo, non c’è ricordo più dolce di quello della città fuori dalla quale si trova in esilio; ma il ricordo della patria, nell’esilio, non è senza dolore e senza sospiri. Tuttavia, la speranza certa del ritorno consola e sostiene coloro che l’esilio rattrista (S. Agost.). – Chi dunque pronunzia queste parole: « Anima mia, lodate il Signore ? » Non è la carne che lo dice. Il corpo, fosse pure angelico, è inferiore all’anima; esso non può dare alcun consiglio all’anima che le è superiore. Infelice l’anima che attende un consiglio del corpo. La carne, quando è sottomessa come deve, è la serva dell’anima; questa la governa, la carne è governata; l’anima comanda, la carne obbedisce; quando dunque la carne potrebbe dare questo consiglio all’anima? Chi è allora dunque che dice: « Anima mia, loda il Signore? » Noi non troviamo nell’uomo nulla più della carne e dell’anima; l’uomo è tutto intero in questo: anima e carne. Ma è forse l’anima che parla a se stessa, che si darebbe in qualche modo un ordine, che si esorterebbe ad eccitarsi? In effetti le turbe che l’agitano la tengono come fluttuante in una certa parte di sé; ma l’altra parte, che si chiama spirito ragionevole, e che è la sede dei saggi pensieri, l’anima già unita a Dio e sospirante verso di Lui, si accorge che la parte inferiore è turbata da queste agitazioni che causa il mondo, e la voluttà dei beni terrestri la precipita verso le cose esteriori e la allontana da Dio che era in essa; allora essa stessa si ricorda dalle cose dell’esterno, verso le cose dell’interno, dalle cose inferiori verso le cose superiori, e si dice. « Anima mia, loda il Signore. » Cosa vi piace del mondo? Cosa volete lodarvi? Cosa volete amarvi? Da qualunque lato dirigiate i sensi del vostro corpo, il cielo vi si presenta; ciò che amate sulla terra è terrestre, tutto ciò che amate nel cielo è corporale. Dappertutto, tuttavia voi trovate qualcosa da amare, dappertutto ritrovate qualcosa da lodare; a che punto allora bisogna lodare Colui che ha fatto le cose che voi lodate? (S. Agost.). – Ma come, noi non lodiamo il Signore? Non gli cantiamo un inno di lode ogni giorno? E tutti i giorni, finché lo possiamo, la nostra bocca non fa sentire ed il nostro cuore non genera le lodi del Signore? E cosa noi lodiamo? Ciò che lodiamo è grande, ma la lode che noi diamo è piccola. Quando colui che loda raggiunge l’eccellenza di colui che è lodato? Un uomo si rivolge a Dio, indirizza a Dio dei lunghi cantici; ma sovente, mentre muove le labbra cantando, il suo pensiero vola verso non so qual desiderio. Il nostro spirito era dunque là, in qualche modo per lodare Dio, ma la nostra anima fluttuava qua e là in mezzo a differenti desideri o a preoccupazioni tumultuose. Il nostro spirito vedendo dall’alto l’anima che vaga qua e là, volendola distogliere dalle inquietudini che l’affliggono, le parla e le dice: « Anima mia, loda il Signore. » Perché vi occupate di altre cose diverse da Dio? Perché vi lasciate sorprendere dalla cura degli interessi terrestri e mortali? Restate con me e lodate il Signore (S. Agost.). – L’anima risponde che essa loderà Dio nel corso di tutta la sua vita, e che la sua occupazione sarà quella di lodare il Signore, di celebrare le sue grandezze finché esisterà, condannando così un gran numero di Cristiani che differiscono fino alla morte il santo esercizio della preghiera del cuore. – Orbene, secondo Sant’Agostino, l’anima risponde che non loderà veramente Dio se non quando vivrà la vera vita; nell’attesa essa si contenta di gemere e di pregare, piuttosto che cantare e lodare Dio con questa lode che non conviene che ai beati.

ff. 3, 4. – « Badate di non riporre la vostra fiducia nei prìncipi. » In effetti, l’anima umana, per non so quale debolezza, dispera quaggiù del Signore, dato che è turbata, e vuol mettere la sua fiducia nell’uomo. Se si dice a qualcuno oppresso dall’afflizione: c’è un tale uomo potente che potrebbe liberarvi; subito vedrete che sorride, che si rallegra, che solleva la testa. Se al contrario gli si dice: Dio vi libererà, … il suo ardore si spegne e la disperazione lo gela. Vi si promette un protettore mortale e vi date alla gioia; vi si promette un Protettore immortale, e vi abbandonate alla tristezza; vi si promette un liberatore che ha bisogno di essere liberato come voi, e siete trascinati dalla gioia, come se doveste ricevere un grande soccorso; vi si promette un Liberatore che non ha bisogno a sua volta di liberazione, ed eccovi disperati, come se questa promessa fosse solo favola. Infelici coloro che pensano così! Essi sono ben lontani da Dio; la loro vita non è che una morte più miserabile. Rivolgetevi invece a Colui che vi fatto, cominciate a desiderarlo, cominciate a cercarlo ed a conoscerlo. Egli non trascurerà la sua opera, se la sua opera non lo trascurerà. Volgetevi a Colui che vi ha detto: « Io loderò il Signore nella mia vita. io canterò dei salmi al mio Dio per tutto il tempo che vivrò. » (S. Agost.). – « Non mettete la vostra fiducia nei principi. » Oggi essi esistono, domani non sono più. Oggi sono preceduti da numerose armate, la sera essi sono stesi nella tomba. Dopo un gran dispiegamento di potenza, dopo una gloria così eclatante, senza alcun intervallo, tutto cade in un momento: essi sono colpiti dalla mano del Cristo… « La sua anima uscirà dal suo corpo, ed egli tornerà nella terra dalla quale è stato tratto. » Non è lo spirito che tornerà nella terra, perché lo spirito non viene dalla terra, ma lo spirito, l’anima, uscirà dal corpo, ed il corpo dell’uomo tornerà nella terra (S. Girol.) – Tre ragioni vi sono che devono allontanarci dal porre la nostra fiducia nei grandi della terra: questi sono degli uomini che non hanno la forza di salvare se stessi; essi sono mortali e la loro vita è di breve durata. « In questo giorno periranno tutti i loro pensieri; » Vale a dire, non solo tutte le loro promesse vanno in fumo, quando colui che le ha fatte, e che solo può compierle, è sparito egli stesso, ma ancora, l’autore di queste promesse sarà egli stesso sterminato (S. Chrys.). La Provvidenza amabile di un Dio – dice S. Crisostomo – sembra essere, al nostro sguardo, supplita dalla protezione degli uomini, soprattutto da quella dei principi, che noi consideriamo gli dei della terra, o da quella dei loro ministri e favoriti, che ci sembrano gli onnipotenti nel mondo. Ora, questi sono giustamente coloro sui quali la Scrittura ci ha avvertito di non stabilire la nostra speranza, a meno che non vogliamo costruire su un fondamento rovinoso; ed infine, l’esperienza ci rende sensibile questo punto di fede, che cioè questi, il cui favore, è ostinatamente ricercato ed inutilmente ottenuto, per una giusta punizione di Dio, sono coloro che diventano tutti i giorni più miserabili. Tanti uomini ingannati, abbandonati, sacrificati, sono di conseguenza dei testimoni di questa grande verità: che nei figli degli uomini – pure secondo il mondo – non c’è salvezza.  (BOURD., s. la Prov.) – « In questo giorno periranno tutti i loro pensieri; » si, quelli che avremo lasciato prendere al mondo, la cui figura passa e svanisce; perché, ancorché il nostro spirito per natura viva sempre, abbandona alla morte tutto ciò che consacra alle cose mortali; di modo tale che i nostri pensieri, che dovrebbero essere incorruttibili dal canto del loro principio, diventano passeggeri dal lato del loro oggetto. (BOSSUET, Or. fun. d’Hen. D’Angl.) – « In questo giorno periranno tutti i loro pensieri. » Verrà quest’ora fatale che troncherà tutte le speranze ingannevoli con una irrevocabile sentenza; la vita ci mancherà, come un amico falso in mezzo alle nostre imprese. Là, tutti i nostri bei disegni cadranno in terra; là svaniranno tutti i nostri pensieri. I ricchi della terra, che durante questa vita, fondando sull’inganno di un sogno piacevole, immaginano di avere dei grandi beni, si sveglieranno tutto ad un tratto in questo gran giorno dell’eternità, saranno stupiti nel trovarsi a mani vuote. La morte, questa fatale nemica, porterà con essa tutti i nostri piaceri e tutti i nostri onori nell’oblio e nel nulla. (BOSSUET, Panêg. de S. Bern.). – Che saranno allora tutte queste convenzioni mobili e passeggere, tutte queste opinioni di un giorno, tutti questi interessi della veglia e tutti questi interessi dell’indomani, rispetto all’ordine, al rapporto immutabile delle cose, rispetto all’eternità, a questa regola originale ed immortale, rispetto a Voi, mio Dio! Ed alla vostra parola sempre vivente e sempre efficace che ha fondato i cieli? Cosa saranno quando sarà sparito il tempo, ed alle nostre lunghe e penose tenebre succederà la chiarezza di un giorno eterno? Allora, cosa diventerà il mondo? Cosa sarà dell’opinione? Quali vestigia resteranno dei nostri folli costumi e delle nostre frivole usanze? Ahimè! Avanza questo giorno terribile, si avvicina questo regno spaventoso della ragione e della giustizia, ove non si vedrà che ciò che è, ove tutti i veli cadranno, non si scambierà il nome per la cosa, le apparenze per la realtà, i pretesti per le ragioni, ed ove tutti i pensieri dell’uomo periscono, dice il Profeta, non resterà più che il pensiero di Dio e la sua santa verità. (DE BOULOGNE, sur l’Opinion). – Dove andranno allora queste opere dello spirito e dell’arte che si getta all’ammirazione della folla? Io voglio che esse durino quanto i secoli, sempre brillanti e belle, e sempre applaudite; ma i secoli pure moriranno, ed ogni gloria umana perirà quando, al limite dell’ultimo giorno dell’umanità, come un conquistatore colpito all’apice della sua vittoria, spirerà morente; e senza attendere la fine dei secoli, in un piccolo numero di anni, in un piccolo numero di giorni, quale piacere il successo della sua opera potrà procure all’artigiano che sarà nella bara e che i vermi roderanno? (L. V. Rom. et Lor. II, 30.)  

II.  5-10

ff. 5, 6. – Dopo averci allontanato dai soccorsi umani, il Re-Profeta ci mostra un porto sicuro, una torre inespugnabile e ci consiglia di rifugiarci in essa. Nessun consiglio più salutare: allontanarsi dalle cose deboli per condurci a quelle che nulla potrà distruggere; distruggere delle illusioni per stabilire la verità; respingere ciò che inganna per presentare ciò che serve. « Felice colui cui il Dio di Giacobbe è suo sostegno.  » Qual effusione di luce ed amore! La beatitudine racchiude qui tutti i beni, essa è l’oggetto di una speranza indistruttibile. Dopo aver proclamato beato colui che mette speranza nel Signore, egli espone la potenza di un tale ausilio; da un lato c’è un uomo, dall’altro  c’è un Dio; quello va sparendo, questi resta sempre, e non si limita a parlarci di Dio, egli ci dà le sue opere a garanzia delle nostre speranze (S. Chrys.). –

ff. 7-10. – Se per sé ha la durata e la potenza, non avrebbe la volontà? È ciò che molti insensati osano dire. Ma vedete come il Profeta dissipi questo sospetto. Appena ha detto: « Dio ha fatto il cielo e la terra e tutto ciò che essi richiudono, » subito aggiunge: « … che conserva la verità per tutti i secoli e rende giustizia agli oppressi ». Vale a dire: egli appartiene a Dio, è la sua opera per eccellenza, il venire in soccorso agli oppressi, non dimenticare coloro che sono perseguitati, tendere la mano a coloro che sono stati circondati da insidie, e questo per sempre (S. Chrys.). – « Che conserva la verità per tutti i secoli. » Se la menzogna ci opprime per un tempo, non ci rattristiamo; « … il Signore conserva la verità per tutti i secoli. » Che bella espressione: « Custodisce la verità! ». Egli la costudisce come un tesoro, e ci renderà un giorno ciò che ha conservato. Gesù Cristo è la verità! Custodiamo la verità e la verità ci custodirà la verità … « Egli dà il nutrimento a coloro che hanno fame. » Egli lo dona a coloro che hanno fame, e non a coloro che rigurgitano di beni. Colui dunque che non ha ricevuto con fiducia, colui che è nell’abbondanza, si astiene dal ricevere. Voi sapete se avete fame, se siete nel bisogno; se il vostro stato è tale, voi fate piuttosto più bene di quanto ne riceviate, accettando ciò che vi è donato; ma, se siete nell’abbondanza, guardatevi dal prendere l’alimento da coloro che hanno fame, allorché voi siete già sazi. Ricevete ciò che deve servire al vostro nutrimento e non ad ingrandire il vostro tesoro; ricevete la tunica destinata a coprire il vostro corpo, e non a riempire le vostre casseforti. « Egli dà il nutrimento a coloro che hanno fame. » (S. Girol.). – Siccome il Profeta ci dimostri la divina Provvidenza estesa a tutti, essa si applica soprattutto a soccorrere gli infelici, a soddisfare la fame, a spezzare le catene! Tutto ciò tuttavia, gli uomini lo possono in una certa misura; ma non è più così di ciò che viene dopo: Egli corregge i vizi della natura stessa, solleva coloro che sono spezzati nella loro caduta e glorifica coloro che brillano per la loro virtù, salva gli infelici che si abbattono, asciuga le lacrime e calma i dolori degli orfani e delle vedove (S. Chrys.). – Ci sono, in effetti, altre catene che quelle che legano le membra, ci sono altre tenebre che non quelle che oscurano gli occhi del corpo: queste catene sono quelle del peccato, che il Signore spezza ogni giorno con la sua grazia; queste tenebre sono quelle del nostro cuore che Egli dissipa con la luce della sua verità. – Aggiungendo: « Egli ama i giusti », il Profeta ci fa vedere che il Signore ha portato soccorso agli altri unicamente in ragione della loro infelicità; coloro che Egli nutre perché hanno fame, non ha certo rapporto con la virtù; egli libera i prigionieri, perché ha pietà delle loro catene, che non tiene più alla virtù, ma all’infortunio; se Egli illumina i ciechi è ancora per guarire la loro infermità, non per ricompensare le loro buone opere. Lo stesso è per l’uomo abbattuto dalla sua caduta, dello straniero, della vedova, dell’orfano. Ora, se Dio viene in soccorso degli infortunati, a maggior ragione viene per gli amici della virtù (S. Chrys). – Tre tipi di persone sono particolarmente sotto la salvaguardia dell’Eterno: gli stranieri, gli orfani, le vedove. I primi, perché non hanno una patria; i secondi perché non hanno un padre; infine le vedove private del loro sposo. Con questa elencazione, il Profeta vuole farci comprendere che gran titolo, per contare sulla Provvidenza, è il non avere nessun appoggio in questo mondo. Quando tutti i soccorsi umani ci mancano, Dio si prende cura di noi, cioè Egli veglia particolarmente su di noi (Berthier). – E quando la via dei peccatori sarà stata distrutta, cosa resterà? « Venite, dirà il Signore, venite diletti del Padre mio, prendete possesso del regno che vi è stato preparato dalle origini del mondo. » (Matth. XXV, 3, 4). È a questo che giunge alla fine del salmo, « Il Signore distruggerà la via dei peccatori. » E voi cosa diventerete? « Il Signore regnerà in eterno. » Rallegratevi, perché il Signore regnerà su di voi; Rallegratevi perché voi sarete il suo regno. Osservate, in effetti, ciò che segue: voi siete certamente cittadino di Sion e non di Babilonia, cioè voi non siete cittadino della città passeggera del mondo, ma di Sion, che soffre l’esilio per un tempo e che regnerà eternamente (S. Agost.).

SALMI BIBLICI: “EXALTABO TE, DEUS MEUS, REX” (CXLIV)

SALMO 144: “EXALTABO TE, DEUS MEUS REX

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS. 

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 144

Laudatio ipsi David.

[1] Exaltabo te, Deus meus rex;

et benedicam nomini tuo in sæculum, et in sæculum saeculi.

[2] Per singulos dies benedicam tibi, et laudabo nomen tuum in sæculum, et in sæculum sæculi.

[3] Magnus Dominus, et laudabilis nimis; et magnitudinis ejus non est finis.

[4] Generatio et generatio laudabit opera tua, et potentiam tuam pronuntiabunt.

[5] Magnificentiam gloriæ sanctitatis tuae loquentur, et mirabilia tua narrabunt.

[6] Et virtutem terribilium tuorum dicent, et magnitudinem tuam narrabunt.

[7] Memoriam abundantiæ suavitatis tuæ eructabunt, et justitia tua exsultabunt.

[8] Miserator et misericors Dominus; patiens, et multum misericors.

[9] Suavis Dominus universis; et miserationes ejus super omnia opera ejus.

[10] Confiteantur tibi, Domine, omnia opera tua; et sancti tui benedicant tibi.

[11] Gloriam regni tui dicent, et potentiam tuam loquentur;

[12] ut notam faciant filiis hominum potentiam tuam, et gloriam magnificentiæ regni tui.

[13] Regnum tuum regnum omnium sæculorum; et dominatio tua in omni generatione et generationem. Fidelis Dominus in omnibus verbis suis, et sanctus in omnibus operibus suis.

[14] Allevat Dominus omnes qui corruunt, et erigit omnes elisos.

[15] Oculi omnium in te sperant, Domine; et tu das escam illorum in tempore opportuno.

[16] Aperis tu manum tuam, et imples omne animal benedictione.

[17] Justus Dominus in omnibus viis suis, et sanctus in omnibus operibus suis.

[18] Prope est Dominus omnibus invocantibus eum, omnibus invocantibus eum in veritate.

[19] Voluntatem timentium se faciet; et deprecationem eorum exaudiet, et salvos faciet eos.

[20] Custodit Dominus omnes diligentes se, et omnes peccatores disperdet.

[21] Laudationem Domini loquetur os meum; et benedicat omnis caro nomini sancto ejus in sæculum, et in sæculum sæculi.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXLIV.

Lode di Dio per la sua grandezza, e per le opere di lui, ispirata dallo Spirito Santo a Davide. — È Salmo alfabetico, a giovamento della memoria e del canto.

Lauda dello stesso David.

1. Te io esalterò, o Dio mio re, e benedirò il nome tuo pel secolo di adesso, e pei secoli dei secoli.

2. Ogni giorno io ti benedirò, e loderò il nome tuo pel secolo d’adesso, e pei secoli dei secoli.

3. Grande il Signore, e laudabile oltremodo; e la grandezza di lui non ha termine.

4. Le generazioni tutte celebreranno le opere tue, e annunzieranno la tua potenza.

5. Parleranno della magnifica gloria della tua santità, e racconteranno le tue meraviglie.

6. E diranno come la potenza tua è terribile, e racconteranno la tua grandezza.

7. Rammenteranno a piena bocca l’abbondanza di tua soavità, e faran festa di tua giu stizia.

8. Benigno e misericordioso egli è il Signore: paziente, e molto misericordioso.

9. Il Signore con tutti è benefico, e in tutte le opere di lui han luogo le sue misericordie.

10. Dien lode a te, o Signore, tutte le opere tue, e te benedicano i santi tuoi.

11. Eglino ridiranno la gloria del tuo regno e parleranno di tua potenza.

12. Per far conoscere ai figliuoli degli uomini la tua potenza, e la gloria magnifica del tuo regno.

13. Il tuo regno, regno di tutti i secoli e il tuo principato per tutte quante l’etadi.

Fedele il Signore in tutte le sue parole e santo in tutte le opere sue.

14. Il Signore sostenta tutti que’ che stanno per  cadere, a rialza tutti que’ che si sono infranti.

15. Gli occhi di tutti mirano a te, o Signore e tu dai loro nutrimento nel tempo convenevole.

16. Apri tu le tue mani, e ogni animale di benedizione ricolmi.

17. Giusto il Signore in tutte le sue vie, e santo in tutte le opere sue.

18. Il Signore sta d’appresso a tutti coloro che l’invocano; a tutti coloro che l’invoca  con cuor verace.

19. Ei farà la volontà di coloro che lo amano, ed esaudirà la loro preghiera; e li salve!

20. Il Signore custodisce tutti coloro che lo temono; e sterminerà tutti i peccatori.

21. La mia bocca parlerà delle laudi del Signore; e ogni carne benedica il santo nome di lui pel secolo d’adesso, e pe’ secoli dei secoli.

Sommario analitico

In questo canto di lode in onore di Dio e dei suoi divini attributi, il Re-Profeta espone nei primi due versetti tutto il soggetto del suo cantico, vale a dire che egli canterà le lodi di Dio in questa vita e nell’altra (1, 2), poi:

I. – Egli celebra gli attributi infiniti di Dio:

1° la grandezza infinita di Dio (3);

2° le opere della sua onnipotenza, che sono di tre ordini e specie (4);

a) le une gloriose e magnifiche (5);

b) le altre amabili, altre terribili nei castighi dei peccatori (6);

c) a causa della sua giustizia (7),

d) a causa della sua misericordia,

e) a causa della sua longanimità (8),

f) a causa della sua grande bontà nei riguardi di tutti (9).

II.- Proclama ed invita tutte le creature con lui a far conoscere:

1° la gloria e la potenza del regno di Dio (10-12),

2° l’eternità di questo regno,

3° la moltitudine dei soggetti che Egli comprende (13)

III. – Celebra le virtù del Re stesso, virtù che sono in Dio, come in Gesù-Cristo, di una perfezione infinita:

1° la fedeltà nelle promesse e la santità nelle opere (14),

2° la bontà e la misericordia per i soggetti deboli (15),

3° la liberalità verso i suoi soggetti (18, 17),

4° la giustizia nei suoi giudizi (18),

5° la facilità a lasciarsi dirigere dai suoi soggetti (19),

6° la benevolenza, l’affabilità con le quali Egli accoglie ed esaudisce le loro richieste (21);

7° la provvidenza di cui ricopre i giusti, e che Egli rivolge contro i peccatori (21).

Egli finisce questo salmo così come lo ha iniziato, promettendo a Dio di pubblicare le sue lodi nei secoli dei secoli. (22)

Spiegazioni e considerazioni

I. – 1-9.

ff. 1, 2. – In questi primi due versetti, che sono come l’esordio del salmo, il Re- Profeta fa conoscere ciò che si propone di celebrare in Dio, vale a dire gli attributi che gli sono propri, intanto che Re governante gli uomini e tutto il resto della creazione. – Il nome di Dio è un nome di re e di padre insieme, ed un re deve regnare per inclinazione, non come un tiranno con la forza e con la violenza. L’odio forzato ci dà un tiranno; la speranza interessata ci dà un maestro ed un padrone, come presentemente si parla nel secolo; l’amore sottomesso per dovere ed inclinazione dà al nostro cuore un re legittimo. Ecco perché Davide esclama: « Io vi esalterò, o mio Dio, mio Re. » Il mio amore voi eleverà un trono (BOSSUET, III Serm. pour Pâques). « Io benedirò il vostro Nome nel secolo. » « Nel secolo, » è nel tempo presente, e « nel secolo dei secoli, » nell’eternità. Cominciare dunque a lodare ora, se lo dovete lodare eternamente. Colui che rifiuta di lodarlo, nel corso passeggero di questo secolo, sarà ridotto al silenzio quando sarà venuto il secolo dei secoli. Per timore che si comprendano altrimenti queste parole: « io loderò il vostro nome nel secolo, » il Profeta ha detto: « in questi giorni che passano, uno ad uno, io vi benedirò. » Lodate dunque e benedite il Signore vostro Dio in questi giorni che passano uno ad uno, affinché, quando i giorni avranno avuto fine, ed il giorno unico che non avrà fine, sarà giunto, voi passiate dalle lodi alla lode, come dalle virtù alla virtù. (Ps. LXXXIII, 8). In questi giorni che passano uno ad uno, egli dice, io vi benedirò, non passerà un solo giorno senza che io vi benedica. Non è strano che benediciate il vostro Dio, quando il giorno è gioioso; ma cosa farete se si presenta qualche giorno pieno di tristezza, secondo il corso ordinario delle cose umane, il gran numero di scandali e la molteplicità delle tentazioni? Cosa farete? Se sopravviene qualcosa di triste per l’uomo, cesserete dal lodare Dio? Cesserete dal benedire il vostro Creatore? Se cessate di farlo, smentirete questa parola: « In questi giorni che passano, uno ad uno, io vi benedirò, Signore. » Se al contrario, voi non cessate in qualche tristezza che il giorno vi ha portato, voi vi troverete bene nel vostro Dio. C’è sempre, in effetti, qualche posto in cui vi troverete bene, anche quando vi troverete male altrove. Perché, se vi troverete male in qualcosa di cattivo, c’è possibilità, senza alcun dubbio, di trovarvi bene in qualcosa di buono. E cosa c’è di meglio del vostro Dio, del quale è detto: « Non è buono che Dio solo » ? (Luc. XVIII, 1, 9) (S. Agost.). – Il Re-Profeta prende l’impegno di benedire Dio tutti i giorni, senza eccezioni. Ma nel numero di questi giorni, ce ne saranno di tristi e di nebulosi; ci saranno giorni di tentazioni, giorni di sofferenze, giorni di tribolazioni. Malgrado questi contrattempi, egli sarà fedele al santo esercizio che si è prescritto; egli canterà le lodi del Signore; lo ringrazierà di tutti gli avvenimenti; adorerà la mano che lo colpisce; e siccome Dio è la bontà e la beltà per eccellenza, questi giorni consacrati al suo culto diventeranno pure dei bei giorni, giorni fortunati, giorni che avranno preso l’impronta della felicità di Dio stesso (Berthier).

ff. 3, 4. – Davide ci mostra or che Dio non ha bisogno delle nostre lodi e delle nostre benedizioni, che gli inni di coloro che lo servono, nulla possono aggiungere alla sua Gloria; perché la sua sostanza è al riparo da ogni diminuzione e da ogni necessità, e le lodi di cui è oggetto volgono unicamente a nostra gloria. Questo non solo per il bene che ci fa, ma ancora e soprattutto è a causa della sua grandezza infinita che noi gli dobbiamo le nostre lodi … Nulla gli manca, ma Egli ha diritto alle nostre lodi, ai nostri inni di adorazione e di amore (S. Chrys.). – La considerazione della grandezza infinita di Dio opera grandissimi effetti nello spirito umano, fortifica la fede, ispira una profonda umiltà, lo stacca efficacemente da tutti i beni creati (Berthier). – « Ogni generazione passando ammirerà le vostre opere. » Queste opere non sono state fatte per sussistere per un tempo solamente e sparire in seguito; la loro esistenza non si limita a due o tre anni, essa si estende a tutto il secolo presente, di tal sorta che ogni generazione possa contemplarle a sua volta, e la generazione attuale e quella che segue, quella che dovrà venire ancora in seguito, tutte le generazioni, in una parola, che si alterneranno sulla terra (S. Chrys.). – « Ed esse annunzieranno la vostra potenza. » In effetti, esse non loderanno le vostre opere se non per rendere pubblica la vostra potenza. Nelle scuole, si danno ai giovani allievi delle lodi da comporre, e questi soggetti di lode son tutte cose che Dio ha creato. Si propone all’uomo di lodare il sole, il cielo, la terra, per discendere agli oggetti minori; si propone lor l’elogio della rosa, l’elogio dell’alloro. Tutte queste cose che si propongono, che si accettano e si lodano, sono opere di Dio; si celebrano le opere, se ne tace il Fattore. Per me, io voglio che sia il Creatore che si glorifichi nelle sue opere; io non amo un lodante ingrato. Come? Voi lodate ciò che ha fatto, e di Lui, che ha fatto queste meraviglie, non dite nulla? Si direbbe veramente che se non fosse così grande, voi trovereste in Lui qualche cosa da lodare. Nelle cose che voi vedete, cosa lodate? La bellezza, l’utilità, qualche forza, qualche potenza. Se la loro bellezza vi affascina, quanto c’è di più bello in Colui che le ha fatte? Voi lodate in esse l’utilità, cosa c’è di più utile di Colui che ha creato tutto? Se lodate in esse la forza, cosa c’è di più potente di Colui che fatto ogni cosa e che, dopo averle fatte, non le ha abbandonate, ma che regge e governa tutto? Ecco perché la generazione e la generazione dei vostri servi non vi lodano, quando lodano le vostre opere, come questi muti parlanti che lodano la creatura e dimenticano il Creatore. Ma come vi lodano? « Ed esse pubblicheranno la vostra potenza. » Lodando le vostre opere esse manifesteranno la vostra potenza (S. Agost.).

ff. 5-7. – Nelle opera del Signore ci sono meraviglie di terrore, meraviglie di grandezza, meraviglie di bontà, meraviglie di giustizia, o di equità, o di fedeltà; ed è in qualche modo questo il piano di omaggi, di cantici, di trasporto di gioia che il Profeta traccia per le future generazioni. Questo esercizio, che comprende tutti i doveri della Religione, non è, per così dire, che un preludio ed una bozza in questa vita. Se queste meraviglie sono infinite – dice San Agostino – come lodarle con dignità, tanto che si è limitati a qualche momento di esistenza? Non si può assolvere a questa funzione che nell’eternità, perché la sua durata è infinita. – Era necessario, aggiunge il santo dottore, aggiungere le meraviglie del terrore alle meraviglie di bontà; perché sarebbe invano che Dio facesse delle promesse, se non stupisse anche con delle minacce. Gli uomini sono presuntuosi, hanno bisogno di essere contenuti dal timore; essi sono lassi, la vista dei castighi rianima la loro vigilanza; infine i doni di Dio sarebbero poco stimati se, con la punizione dei colpevoli, non si facesse vedere quanto sia terribile l’abusarne. San Agostino fa ancora una riflessione che è per tutti i tempi, e ancora più per il nostro rispetto a quello in cui è vissuto il santo Padre. Molta gente – egli dice – parla delle meraviglie sparse in questo universo, e poca del loro Autore. Ci sono, in ogni secolo, degli osservatori curiosi, dei naturalisti, degli astronomi, degli uomini attenti a seguire il corso delle rivoluzioni che avvengono nei corpi ed anche negli spiriti; ma quale cura hanno preso di passare dalle opere della creatura al Creatore, di riflettere sulla potenza che ha prodotto e che conserva tanti esseri di cui la varietà, il numero, le proprietà, sono l’oggetto della nostra ammirazione? Questa osservazione di Sant’Agostino, è di una verità che l’esperienza conferma, e che diviene tanto più sensibili quanto più gli uomini si allontanano dall’origine del mondo. Le luci si accrescono sulle produzioni della natura, sui movimenti dei cieli, sulle ricchezze che la terra ed il mare contengono nel loro seno, e sembra che la conoscenza di Dio diminuisca nella stessa proporzione; si abusa del progresso dei lumi sulle opere di Dio, per forgiare dei sistemi contro Dio; più la natura si sviluppa, più di immaginano ipotesi assurde per bestemmiare il suo Autore. Sant’Agostino chiamava ingrati coloro che lodavano le creature senza adorare Colui che le ha create: qual nome si deve dare a coloro che inventano delle opinioni mostruose, per sottrarre le sue creature a Colui senza il quale esse non esisterebbero? (Berthier). – « Proclameranno dal fondo del loro cuore il ricordo e l’abbondanza della vostra dolcezza. » Felice festino! Cosa mangiano dunque, per riportare nel loro cuore un tale profumo? « Il ricordo dell’abbondanza della vostra dolcezza » Che cos’è il ricordo dell’abbondanza della vostra dolcezza? È ciò che Voi non avete mai obliato, dopo che noi stessi vi abbiamo obliato. In effetti ogni carne aveva obliato Dio, e Dio non ha dimenticato l’opera delle sue mani. Il suo ricordo per noi, che Egli non ha dimenticato, ecco ciò che bisogna pubblicare, ciò che bisogna raccontare; e siccome questo ricordo di Dio è un dolce nutrimento, occorre mangiarlo e spanderne in seguito il profumo. Mangiate in modo da manifestare la vostra sazietà; ricevete in modo da dare. Voi mangiate quando apprendete; vi spandete profumo del vostro pasto, quando insegnate. Voi mangiate quando ascoltate; spandete il profumo del vostro pasto, quando pregate; ma voi non spandete il profumo se non di ciò che avete mangiato. Vedete l’Apostolo S. Giovanni, conviviante sì avido, perché non era sufficiente per lui stare alla tavola del Signore: egli si riposava sul petto del Signore (Giov. XIII, 23) e se egli non beveva a questa fonte nascosta di divini segreti, qual profumo ha poi diffuso al di fuori? « In principio era il Verbo, ed il Verbo era in Dio ». – « Essi spanderanno dal fondo del loro cuore il ricordo dell’abbondanza della vostra dolcezza. » Perché non era sufficiente il dire: vostro ricordo, o il ricordo della vostra dolcezza? Perché occorreva dire: « Il ricordo dell’abbondanza della vostra dolcezza? » Non serve a nulla che una cosa sia abbondante, se essa è senza dolcezza; e questa sarà una pena, se fosse dolce senza essere abbondante (S. Agost.).

ff. 8, 9. – « Il Signore è buono verso tutti. » Perché dunque Dio condanna? Perché colpisce con i suoi castighi? Coloro che Egli condanna, coloro che castiga, non sono forse opera sua? Senza dubbio, essi sono opera sua; e volete voi conoscere che « le sue misericordie si espandono su tutte le sue opere?  Di là viene questa longanimità per la quale Dio fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi. » E non è perché « le sue misericordie si espandono su tutte le sue opere, che Egli fa cadere la pioggia sui giusti e sugli ingiusti? » (Matth. V, 5). Le sue misericordie non si spandono su tutte le sue opere? Egli attende il peccatore con longanimità dicendogli: « Tornate a me ed Io tornerò a voi. » (Malach. III, 7 e Zacc. I, 3). Le sue misericordie non si espandono su tutte le sue opere? Ma quando si dirà: « Andate nel fuoco eterno, preparato per i demoni ed i suoi angeli, » (Matth. XXV, 41), non sarà più la sua misericordia, ma la sua severità che si mostrerà. La sua misericordia la estende su tutte le suo opere, ma la sua severità colpisce non le sue opere, bensì le vostre. Fate sparire le vostre cattive opere; non resteranno più in voi che le opere di Dio e la sua misericordia non vi abbandonerà; ma se conservate le vostre opere, la sua severità si abbatterà non sulle sue opere, ma sulle vostre. (S. Agost.). – Uno degli attributi più importanti di Dio, ed il più degno delle nostre lodi in questo Essere sovranamente perfetto, non è l’aver creato il cielo, perché Egli è potente; l’aver fondato la terra, perché ha in Lui la virtù creatrice; l’aver misurato il corso dell’anno con la rivoluzione degli astri, perché Egli è saggio; l’aver dato all’uomo una esistenza animata, perché Egli è la vita; ma è l’essere misericordioso, essendo pure giusto; è il compatire, pur essendo re; dissimulare con pazienza i peccati degli uomini, pur essendo Dio. La potenza è un attributo essenziale della sua natura, la misericordia non esiste che per la nostra salvezza; per Dio val più non fare uso degli attributi che gli sono propri, piuttosto che comunicare liberamente agli altri ciò che a Lui è. Ecco perché la sua misericordia supera tutte le altre opere di Dio, perché le sue opere meravigliose sono fatte dalla sua natura onnipotente, mentre la misericordia non è essenziale alla natura divina e non si esercita se non per la salvezza dell’uomo. (S. Hil.).

II. – 10-13.

ff. 10-12. – « Che tutte le vostre opere, vi glorifichino, Signore, e che i vostri Santi vi benedicano. » Che vi rendano grazie, che vi elevino un inno di adorazione, sia gli esseri che possiedono la parola sia quelli che non la possiedono. Ciascuno di questi ultimi, in effetti, è costituito in maniera tale che benedica Dio senza poter elevare la sua voce, con la sua sola natura; questi ha come interprete gli uomini che lo vedono e lo utilizzavano a proprio vantaggio; gli esseri insensibili lodano Dio per quel che sono, e gli uomini lo lodano per quel che essi fanno; con il carattere della loro vita. (S. Chrys.). – « Che tutte le vostre opera vi glorifichino, » Ma come? La terra non è opera sua? Gli alberi non sono opera sua? I greggi, le bestie selvatiche, i pesci, gli uccelli non sono forse opera sua? Sicuramente, tutti questi esseri sono opera sua. E come glorificano il Signore? Io vedo, in verità, che le sue opere lo glorificano negli Angeli, perché gli Angeli sono opera sua, e gli uomini sono pure opera sua; di conseguenza quando gli uomini lo glorificano, le opere sue lo glorificano: ma gli alberi o le pietre hanno forse una voce per glorificarlo? Che tutte le sue opere, senza eccezione, lo glorifichino. Ma cosa dite? La terra e gli alberi pure? Tutte le sue opere! Se tutti lo lodano, perché non lo glorificano tutti? Questa armonia della creazione, questo ordine così perfetto, questa bellezza così magnifica che, elevandosi dagli esseri inferiori agli esseri superiori e che, discendendo dai gradi più alti fino ai più bassi, senza alcuna interruzione in questa catena i cui anelli presentano dall’uno all’altro delle differenze mirabilmente proporzionate, tutto questo insieme loda il Signore. Perché dunque questo insieme loda il Signore? Perché contemplando ed ammirando la bellezza dell’universo, lodate il Dio. La bellezza della terra è come la voce di questa terra muta. Voi considerate e vedete la bellezza della terra, ne vedete la fecondità, ne vedete le forze; vedete come essa riceve le semenze, come produca spesso frutti che non avete seminato; voi vedete queste meraviglie e con questa contemplazione voi interrogate in qualche modo la terra, e questo esame è per voi come una interrogazione. E quando questo esame vi ha riempito di ammirazione, quando avete sondato i misteri della natura, quando avete riconosciuto in essa una forza immensa, una magnifica bellezza, una potenza eclatante, poiché essa non può avere questa potenza da se stessa, il vostro spirito concepisce che essa non ha potuto darsi l’essere da sé, e che essa non la ottiene che dal Creatore. In questo sentimento che vi si presenta quando la interrogate, c’è la voce della sua confessione che essa vi presta perché voi stessi lodiate il Creatore; perché, quando considerate la bellezza di tutto questo universo, questa bellezza non vi risponde che con una voce sola: non mi sono fatta io, ma Dio mi ha creato? (S. Agost.). – « Signore, che tutte le vostre opere vi glorifichino dunque, ed i vostri santi vi benedicano; » (Ps. CXLIV, 10); e perché tutti i vostri santi vi benedicano confessando le vostre opere, considerino come la creazione intera confessi il vostro Nome. Ma Voi, degnatevi di ascoltare la loro voce che vi benedice; perché, cosa dicono i vostri Santi, quando vi benedicono? « Essi diranno la gloria del vostro regno e proclameranno la vostra potenza. » Quanto è potente il Dio che ha fatto la terra! Quanto è potente il Dio che ha riempito la terra di beni! Quanto è potente Dio che ha dato a ciascuno la vita che gli è propria! Quanto è potente Dio che ha affidato tante semenze diverse alle viscere della terra, per farne germogliare piante così diverse ed alberi tanto magnifici! Quanto Dio è potente! Quanto Dio è grande! Interrogate la creatura, e la creatura vi risponderà, e voi, santi di Dio, ascoltando la sua risposta che è come la sua confessione, benedirete Dio proclamando la sua potenza (S. Agost.). – « Per far conoscere ai figli degli uomini la vostra potenza e la gloria del suo regno. » Questi beni fanno vedere che il Signore accetta le nostre lodi, perché gli altri siano istruiti circa la sua grandezza. Grande è la potenza di Dio, grande è la sua gloria, ineffabile è la sua maestà, e tuttavia, così grande ed ineffabile com’è, occorrono delle bocche che le proclamino, a causa dell’ignoranza della maggior parte dei mortali. Il sole è certo il più brillante di tutti gli astri, ma gli occhi malati non possono gioire del suo splendore. La provvidenza di Dio è più splendente del sole stesso; ma coloro la cui ragione è pervertita, le cui orecchie sono chiuse; non saprebbero riconoscerla, se lo zelo non li istruisse (S. Chrys.). – I vostri Santi proclamano dunque la gloria della grandezza della bellezza del vostro reame, la gloria della grandezza della sua beltà. C’è dunque per il vostro regno una certa grandezza di beltà; vale a dire che il vostro regno ha beltà, ed una grande beltà. Poiché tutto ciò che ha beltà, ottiene questa bellezza da Voi, quale eclatante beltà deve avere il vostro regno! Che il vostro regno non ci spaventi: c’è una beltà che farà le nostre delizie. In effetti quanto è grande questa bellezza di cui gioiranno i santi, a cui sarà detto: « Venite, benedetti dal Padre mio, ricevete il regno! » (Matth. XXV, 34). Da dove verranno e dove andranno? Vedete e se potete, per quanto possiate, concepisca il vostro pensiero la bellezza di questo regno venturo, in vista del quale noi diciamo nella nostra preghiera: « Venga il vostro regno. » (Ibid. VI, 10). In effetti noi desideriamo l’avvento di questo regno; i Santi ci annunciano che questo regno arriverà. Considerate questo mondo, esso è pieno di bellezza. Quale splendida beltà nella terra, nel mare, nell’aria, nel cielo, negli astri! E tutte queste magnificenze non stupiscono colui che le consideri? E questa bellezza non è così perfetta da sembrare che non se ne possa trovare una più bella? E dappertutto i vermi, i topi e tutti gli animali che strisciano sulla terra, vivono con voi o in mezzo a questa beltà; si, essi vivono qui con voi, in mezzo a tanta bellezza. Quale deve essere lo splendore laddove solo gli Angeli vivono con noi? Ecco perché il salmista non si è accontentato di dire: « la gloria della beltà; » perché si può dire « la gloria della beltà » parlando di ogni bellezza che esiste in questo mondo, sia che fiorisca sulla terra, sia che brilli in cielo; ma le parole: « ma la grandezza della beltà del vostro reame, » presentano alla nostra immaginazione qualche cosa che non abbiamo ancora visto, alla quale crediamo senza averla vista, che desideriamo perché ci crediamo, ed il cui desiderio ci darà la forza di sopportare tutto con pazienza. È dunque questione della grandezza di una certa beltà; amiamola prima di vederla, al fine di possederla quando la vedremo. (S. Agost.)

ff. 13. – Il Profeta fa risaltare la differenza essenziale del regno di Dio con il regno dei principi della terra. Il dominio di costoro è soggetto a continue rivoluzioni: rivoluzioni nelle loro persone, poiché la morte li toglie successivamente al loro popolo; rivoluzioni nella loro fortuna, perché sono soggetti a provare delle disgrazie inaudite dopo una lunga serie di prosperità, delle sconfitte dopo le vittorie, delle turbolenze dopo anni di pace e di gloria; rivoluzioni nei loro Stati, poiché i più potenti periscono, i più deboli si ingrandiscono, e coloro che erano sorti dai detriti e dalle rovine, divengono i più rigogliosi. Il regno di Dio si estende per tutti i secoli, a tutte le generazioni; e, quando le generazioni non saranno più, esso sussisterà ancora, perché è eterno (Berthier).  

III. — 14-22.

ff. 14. – « Il Signore è fedele nelle sue parole. » Cos’è in effetti che abbia promesso e che non abbia dato? « Il Signore è fedele nelle sue parole. » Ci sono delle cose che ha promesso e che non ancora ha dato; bisogna crederlo dopo ciò che ha già detto. « Il Signore è fedele nelle sue parole. » Noi potremmo credere solamente alla sua parola, ma Egli non ha voluto solamente parlare, ci ha voluto dare la sua Scrittura come pegno; come voi stessi fareste, volendo dire ad un uomo promettendogli una cosa: Voi non mi credete, io vi do uno scritto. In effetti, siccome ogni generazione passa ed un’altra le succede, e così i secoli completano il loro corso con l’arrivo e la dipartita successiva dei mortali, occorreva che la Scrittura di Dio sussistesse e restasse un biglietto di Dio, che tutti gli uomini potessero leggere passando sulla terra, al fine di seguire la via delle sue promesse. E quanti impegni su questo biglietto si sono già compiuti! Possono essi esitare a credere alla resurrezione dei morti ed alla vita futura, le sole promesse che non si sono ancora compiute, allorché  gli stessi infedeli devono arrossire quando Dio entra in disputa con essi. Se Dio vi dicesse: voi avete nelle mani la mia obbligazione; io ho promesso di giudicare gli uomini, di separare i buoni dai malvagi, di dare ai fedeli il regno eterno, e voi vi rifiutaste di credervi? Leggete dunque nel mio biglietto tutte le promesse che Io ho fatto ed entrate in disputa con me;« sicuramente, se voi esaminate tutto ciò che ho già pagato, voi potete credere che io pagherò tutto ciò che ancora devo. In questo biglietto, Io vi ho promesso il mio Figlio unico; Io non l’ho risparmiato, e lo ho offerto per voi; (Rom. VIII, 32); inscrivete questo debito al numero dei miei pagamenti (Act. I, 8-11; II, 4). Io ho promesso, con questo biglietto, l’effusione del sangue ed il coronamento dei miei gloriosi martiri; aggiungete questo debito al numero dei miei pagamenti. (S. Agost.). –  « Egli è santo in tutte le sue opera. » La santità: tale è la legge dell’essere di Dio, della sua vita, della sua operazione, delle sue opere e delle creature che lascia cadere dalle sue mani: « Santo, Santo, Santo è il Signore! » esclama il Profeta. La santità! In questa unica parola si trova raccolto tutto ciò che Dio è, tutto ciò che Dio fa. Prima dei tempi, quando Egli era ancora solo con se stesso al suo tempo, suo luogo e suo tutto, e dopo tutti i secoli, quando le creature, al termine della loro corsa, rientreranno nel riposo che Egli ha loro assegnato, Dio sempre è Santo, Santo in se stesso, Santo negli eletti, Santo nei riprovati, Santo nel più alto dei cieli, Santo nel fondo degli abissi dell’inferno. Principio e fine di ogni cosa, Egli si impone ad ogni vita per santificarla, ed opera questa santificazione con un contatto misterioso che vivifica o che uccide, che consuma nella salvezza o nella perdizione, ma che sempre è santo. (Mgr BAUDRY, Le Coeur de Jésus, 331). – Dio è santità infinita, perché l’Essenza divina è la radice e la sorgente di ogni santità. Egli è santo, perché Egli è la regola, il modello, l’esemplare di ogni santità; Egli è santo perché è l’oggetto di ogni santità, che non può essere che l’amore di Dio e l’unione con Lui; Egli è Santo, perché e il principio di ogni santità, che Egli diffonde negli Angeli e negli uomini, e che è l’ultimo fine verso il quale la santità è necessariamente diretta. Supponendo anche che noi siamo santi, cosa sarà la nostra santità creata nell’essere comparata a quella di Dio? Egli è Santo in se stesso, e da se stesso, Santo per essenza, ciò che è impossibile ad una creatura che, secondo la teologia, non può essere, per sua natura, Figlio di Dio, Essere impeccabile, avere lo Spirito Santo e vedere la natura divina. La nostra santità consiste nei doni sopraggiunti gratuitamente alle debolezze ed alle incapacità della nostra natura finita; quella di Dio è sostanziale, è la sostanza sua propria; la nostra non è che una qualità, un accessorio, una illuminazione dello spirito ed un movimento del cuore che ci vengono da Lui; quella di Dio è infinita e nella sua intensità, e nella sua estensione, come noi non ne abbiamo, ahimè! Bastano parole molto basse per esprimere l’estrema debolezza, il deplorevole languore, la povertà della nostra santità più eclatante e più ardente. La santità di Dio è infinitamente feconda, perché essa è l’origine, il sostegno, l’esempio, l’incoraggiamento di ogni santità creata; la nostra è feconda anche, perché è nella natura della santità, ma quanto poco abbiam fatto, a quante anime abbiamo insegnato a conoscere Dio ed amarlo? (FABER, Le Créât, et la Créât., p. 145, 146).

ff. 15. – Il Profeta, dopo avere attestato la grandezza del regno di Dio, la verità della sua parola, l’inalterabile santità della sua condotta, parla di nuovo della sua clemenza, che soprattutto fa la gloria del suo regno; egli ce la presenta sostenente coloro che sono ancora in piedi, prevenendo la caduta di coloro che sono sul punto di cadere, rialzando infine coloro che sono a terra e, cosa più mirabile, non a questi o a quelli, ma a tutti accorda una tal grazia, a tutti, senza eccettuare i poveri, gli uomini della condizione estrema. Egli è il Signore di tutti, non saprebbe passare al fianco di un uomo caduto, né chiudere gli occhi su colui che vacilla. Ciò che Egli fa per l’umanità intera, lo fa per ciascun uomo in particolare; Se questi è tra i caduti che non si rialzano, non è perché gli manchi il soccorso, è perché non vuole profittarne. (S. Chrys.). 

ff. 16, 17. – Il Re-Profeta passa dopo ad un altro ordine di benefici: « E Voi date a tutti il loro nutrimento al tempo opportuno. » Questo non è precisamente la pioggia, la terra o l’aria, è l’ordine stesso di Dio che produce la messe o i frutti « nel tempo opportuno, » per ricordarci che ogni cosa ha il suo tempo determinato, che le produzioni della terra cambiano con le stagioni. Nulla manifesta in modo più evidente, la saggezza di Dio, che questa attenzione che ha nel non darci in ogni tempo ed a distribuire le nostre risorse nel corso dell’anno (S. Chrys.). – « Dio concede a tutti il loro nutrimento in tempo opportuno. » Egli assiste gli indigenti quando sono nel bisogno, non accorda il superfluo a coloro che lo desiderassero per abusarne; Egli spoglia qualcuno dalle sue ricchezze, perché le possiedono a sproposito e senza utilità per il bene degli altri. La sua Provvidenza è asservita alle circostanze, ai bisogni, allo stato, ai doveri di tutti gli uomini (Berthier).

ff. 18. – « Il Signore è giusto in tutte le sue opere. » Sia che Egli colpisca, sia che guarisca, il Signore è giusto e non c’è ingiustizia in Lui! Tutti i Santi, in mezzo alle afflizioni che hanno subito, hanno cominciato con il lodare la sua giustizia ed hanno così implorato i suoi benefici, hanno cominciato col dire: ciò che Voi fate è giusto! Così pregava Daniele, così pregarono gli altri Santi: giusti sono i vostri giudizi, la nostra sofferenza è meritata, la nostra sofferenza è giusta. (Dan. III, 27 e IX, 5). Essi non hanno attribuito a Dio alcuna mancanza di equità, non lo hanno tacciato né di ingiustizia né di errore; essi hanno cominciato con il lodarlo quando li castigava ed è così che hanno sentito che li nutriva. « Il Signore è giusto in tutte le sue vie. » Che nessuno lo creda ingiusto, quando soffra qualche dolore; ma che lodi la giustizia di Dio ed accusi la propria ingiustizia: « Il Signore è giusto in tutte le sue vie e Santo in tutte le sue opere. » (S. Agost.).

ff. 19. – « Il Signore è vicino a tutti quelli che lo invocano in verità. » Molti lo invocano, ma non in verità. Se cercano di ottenere da Lui qualche altra cosa che non sia Lui, essi non lo cercano. Perché amate Dio? Perché mi ha dato la santità! Il fatto è evidente, è Lui che ve l’ha data; perché la salvezza non può venire da nessun altro che Lui. Io l’amo, perché Egli mi ha dato, a me che non avevo nulla, una sposa ricca che mi serve bene. È Lui che ve l’ha data, voi dite il vero. Io l’amo, perché mi ha dato figli numerosi e buoni, mi ha dato dei servi, tutti i miei beni. È per questo che l’amate? È per questo che non domandate nulla più? Avete ancora fame, battete ancora alla porta del padre di famiglia, c’è ancora qualcosa da darvi: voi siete nella mendicità in mezzo a tutti questi doni che avete ricevuto, e non lo sapete; voi portate ancora gli stracci della vostra carne mortale; voi avete dunque ricevuto la veste gloriosa dell’immortalità, o essendo già sazi non la chiedete? « Beati coloro che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno saziati. » (Matth. V, 6). Se dunque Dio è buono, perché vi ha dato questi beni, quanto sarete più felici quando Egli si sarà dato Egli stesso a voi! Voi avete desiderato tante cose da Lui, ma io ve ne scongiuro, desiderate anche Egli stesso, perché veramente questi beni non sono più dolci di Lui, o piuttosto non gli sono in alcun modo paragonabili. Di conseguenza, colui che preferisce Dio, pur avendo ricevuto i doni di cui si rallegra, a tutto ciò che già ha ricevuto da Dio, costui invoca Dio in verità. (S. Agost.).

ff. 20. – Ci è sufficiente chiedere con fede e nell’ordine della salvezza, sollecitare con una convinzione indistruttibile, per essere esauditi almeno nella maniera più utile ai nostri veri interessi. È vero, e questi mirabili risultati non sono che il commentario di queste parole del Profeta: « Dio farà la volontà di coloro che lo temono e, a maggior ragione, di coloro che lo amano. » Il Signore – dice Origene – vuole che, nella preghiera, le nostre disposizioni siano tali come se parlassimo ad un altro Dio: Io voglio che siamo i figli di Dio, affinché siamo i coeredi di suo Figlio. (Orig. Hom. II, in Ps. XXVII, 34). – « Egli farà la volontà di coloro che lo temono. » Qual uomo non crederebbe di degradare la divinità con espressioni simili: « Fare la volontà? » Qual re, qual principe direbbe di fare la volontà dei suoi sudditi? E di chi oserebbe dirlo come di un elogio? A maggior ragione, nessuno oserebbe dirlo di Dio. È che in tutte le nostre idee sulle grandezze divine, quando queste idee non sono che nostre, noi uniamo sempre involontariamente ciò che in noi si mescola più o meno in ogni grandezza, cioè l’orgoglio. Dio non saprebbe essere orgoglioso, perché non può compararsi al nulla, ed è per questo che non può temere come noi, di discendere. (La Harpe).

ff. 21, 22. – Vedete – dice Sant’Agostino – qual sia la severità di Colui che ritrova tanta clemenza e tanta bontà. Egli salverà tutti coloro che mettono la speranza in Lui, tutti i fedeli, tutti coloro che lo temono, tutti coloro che lo invocano in verità, « ed Egli perderà tutti i peccatori, » cioè coloro che perseverano nei loro peccati, coloro che disperano del perdono dei loro peccati, e che con questo disperare possa accumulare peccati su peccati, o coloro che, con una colpevole presunzione, si prometteno il perdono, e che questa promessa che si fanno, li ritenga nel peccato e nell’empietà (S. Agost.). 

SALMI BIBLICI: “BENEDICTUS DOMINUS, DEUS MEUS” (CXLIII)

SALMO 143: BENEDICTUS DOMINUS DEUS MEUS

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS. 

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 143

Psalmus David. Adversus Goliath.

[1] Benedictus Dominus Deus meus,

qui docet manus meas ad prælium, et digitos meos ad bellum.

[2] Misericordia mea et refugium meum, susceptor meus et liberator meus; protector meus, et in ipso speravi; qui subdit populum meum sub me.

[3] Domine, quid est homo, quia innotuisti ei? aut filius hominis, quia reputas eum?

[4] Homo vanitati similis factus est; dies ejus sicut umbra prætereunt.

[5] Domine, inclina cœlos tuos, et descende; tange montes, et fumigabunt.

[6] Fulgura coruscationem, et dissipabis eos; emitte sagittas tuas, et conturbabis eos.

[7] Emitte manum tuam de alto: eripe me, et libera me de aquis multis, de manu filiorum alienorum:

[8] quorum os locutum est vanitatem, et dextera eorum dextera iniquitatis.

[9] Deus, canticum novum cantabo tibi; in psalterio decachordo psallam tibi.

[10] Qui das salutem regibus, qui redemisti David servum tuum de gladio maligno,

[11] eripe me, et erue me de manu filiorum alienorum, quorum os locutum est vanitatem, et dextera eorum dextera iniquitatis.

[12] Quorum filii sicut novellæ plantationes in juventute sua; filiæ eorum compositæ, circumornatæ ut similitudo templi.

[13] Promptuaria eorum plena, eructantia ex hoc in illud; oves eorum fœtosæ, abundantes in egressibus suis;

[14] boves eorum crassæ. Non est ruina maceriæ, neque transitus, neque clamor in plateis eorum.

[15] Beatum dixerunt populum cui hæc sunt; beatus populus cujus Dominus Deus ejus.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXLIII.

Il salmo canta la vittoria di Davide sul gìgante Goliath; ed in senso spirituale, predice la vittoria Cristo e della Chiesa sul demonio.

Salmo di David contro Goliath.

1. Benedetto il Signore Dio mio, il quale alle mani mie insegna a combattere, e alle mie dita a trattare l’armi.

2. Egli mia misericordia e mio asilo; mia difesa e mio liberatore; Protettor mio, e in lui ho sperato: egli che a me soggetta il mio popolo.

3. Signore, che è l’uomo, che a lui ti sei dato a conoscere? o il figliuolo dell’uomo, che tal tu ne mostri concetto?

4. L’uomo è divenuto simile al nulla: i giorni di lui passan come ombra.

5. Signore, abbassa i tuoi cieli, e discendi, tocca i monti e andranno in fumo.

6. Fa lampeggiare i tuoi folgori, e dissiperai costoro; scocca le tue saette, e li porrai in ispavento.

7. Stendi la mano tua dall’alto, e salvami; e liberami dalla piena dell’acque, dalla mano de’ figliuoli stranieri.

8. La bocca de’ quali di cose vane ragiona, e la loro destra, destra d’iniquità. (1)

9. 0 Dio, io canterò a te un cantico nuovo; inni di laude dirò a te sul salterio a dieci corde.

10. A te che dai salute ai regi, che liberasti David tuo servo dalla spada micidiale; liberami,

11. E toglimi dalle mani de’ figliuoli stranieri, la bocca de’ quali di cose vane ragiona, e la loro destra, destra d’iniquità.

12. I figliuoli de’ quali sono come piante novelle nella lor giovinezza. Le loro figliuole abbigliate, e ornate da ogni lato, come l’idolo di un tempio. (2)

13. Le loro dispense ripiene, e ridondanti per ogni lato. (3)

14. Feconde le loro pecore, escono fuori in branchi copiosi: pingui le loro vacche.

Da ruina sono esenti le loro mura, e da incursione; nè flebil grido si ode nelle lor piazze.

15. Beato hanno detto quel popolo che ha tali cose; ma beato il popolo, che per suo Dio ha il Signore.

(1) Dextera eorum, dextera iniquitatis, Vale a dire, letteralmente: che porgono la mano per fare alleanze ingannevoli.

(2) Secondo il testo ebraico: le nostre figlie sono come delle pietre angolari tagliate come ornamento di un tempio o in un palazzo.

(3) Eructantia ex hoc in illud, letteralmente: fornente delle provvigioni di una specie ed altra, cioè di ogni specie.

Sommario analitico

Il Re-Profeta, persuaso che egli debba la sua vittoria, o su Golia, o sui popoli vicini congiurati contro di lui, al favore divino, testimonia a Dio la sua riconoscenza per i molteplici benefici che ha ricevuto, malgrado la sua debolezza e la sua indegnità, ed implora nuovamente la protezione divina.

I. – Egli rende grazie a Dio per la vittoria che ha riportato:

1° Benedicendo Dio che, a) con la sua saggezza ha istruito le sue mani al combattimento e le sue dita alla guerra (1);

2° Con la sua misericordia è stato:

a) suo rifugio dai nemici;

b) suo sostegno e liberatore, liberandolo da ogni pericolo al quale è stato esposto;

c) suo protettore, dandogli sua speranza tra i combattimenti, e sottomettendogli il suo popolo (2);

3° Abbassandosi egli stesso,

a) si riconosce indegno di conoscere Dio, indegno perché Dio si possa degnare di pensare a lui (3);

b) spiega la causa di questa indegnità: il nulla dell’uomo e la brevità della sua esistenza (4);

II. –  Implora il soccorso di Dio contro i suoi nemici, e gli domanda:

1° che i suoi nemici siano distrutti da Dio stesso,

a) abbassando i cieli,

b) colpendo con fulmini queste montagne orgogliose (5), e facendo brillare i suoi fulmini onde dissiparli,

c) lanciando contro di essi i suoi dardi per riempirli di terrore (6);

2° Che sia liberato dai perfidi disegni dei suoi nemici, e adduce come ragione i loro discorsi ispirati dalla menzogna e dalla vanità, e l’iniquità delle loro opere (7, 8).

III. – Promette a Dio delle nuove azioni di grazie per le nuove vittorie che egli spera dalla sua misericordia:

1° promette di cantare un cantico nuovo per ringraziare Dio per averlo salvato e liberato dalla mano di figli di stranieri (9-11);

2° porta come ragioni in appoggio alla sua preghiera, l’orgoglio dei suoi nemici, prodotto dalla prosperità e dall’abbondanza di cui godono:

a) col numero dei loro figli, pieni di linfa e di vigore (12);

b) dalla bellezza e splendore delle loro figlie (12);

c) dall’abbondanza dei loro raccolti (13);

d) dal numero e dalla fecondità delle loro greggi;

e) dalla solidità delle loro abitazioni;

f) dalla calma e tranquillità che li circonda (14);

3° all’opinione del mondo, che proclama felici cloro che possiedono questi beni, egli oppone il proprio pensiero, espressione della verità, e cioè che il popolo veramente felice è quello di cui è Signore Dio (15).

Spiegazioni e considerazioni

I. — 1-4.

ff. 1, 2. – Cosa dite, o Profeta? Che Dio insegna a far la guerra, a darsi ai combattimenti, a preparare delle armate in battaglia? Sì, senza dubbio, e non ci si inganna ad attribuirgli le vittorie così riportate … ma vi è un’altra guerra più spaventosa, in cui il soccorso dall’alto ci è soprattutto necessario: è la guerra che dobbiamo sostenere contro le potenze nemiche (Ephes. VI, 12). E ciò che rende questa guerra più spaventosa è che queste potenze siano di una natura differente dalla nostra, di una natura invisibile, e che non si tratti di interessi senza importanza: sono in gioco la nostra salvezza o la nostra perdita! Le  vittime di questa guerra non si possono vedere; è impossibile prevedere né il tempo, né le difficoltà, né i luoghi, né le altre circostanze del combattimento (S. Chrys.). – Due lezioni sono comprese in questi versetti: la prima: che è necessario considerare Dio come l’Autore ed il principio di ogni bene, di ogni successo riportato sui nostri nemici temporali o spirituali; la seconda è: che la protezione del Signore consiste tanto nell’istruirci, che nel fortificarci (Berthier). –  « Egli è mia misericordia, etc. » Noi vediamo qui in quale ordine Dio ha dato la vittoria a Davide, ed in quale ordine pure la darà a  noi, se riponiamo in Lui ogni nostra speranza. Innanzitutto Dio lo ha considerato con misericordia. La misericordia divina è, in effetti, l’origine di tutti i beni e previene assolutamente ogni tipo di merito. – Una volta prevenuto e chiamato dalla misericordia celeste, Davide ha rivolto gli occhi al Signore, e mettendo in Lui tutte le sue speranze, si rifugia nel suo seno. – Dio, dal suo canto, gli tende la mano, gli promette il suo soccorso: Egli è il suo difensore. – Ma non basta, Dio lo libera e, dopo averlo liberato, continua a proteggerlo, per sottrarlo ad ogni pericolo; in altri combattimenti Egli è il suo protettore; infine come pure Dio ha sottomesso a Davide il popolo sul quale egli doveva regnare, Egli ammorbidisce la fuga delle nostre passioni, ce le assoggetta e ce ne rende padroni. – In effetti, nella guerra contro i nemici della salvezza, l’operazione più difficile e necessaria è il renderci padroni del nostro popolo, cioè delle nostre facoltà, dei nostri sensi, della nostra immaginazione, della nostra memoria, del nostro spirito, della nostra volontà (Bellar., Berthier, Duguet)

ff. 3, 4. – Ci è necessaria una doppia conoscenza, che questo salmo ci dà in successione: la conoscenza di noi stessi, la conoscenza di Dio. – Per l’uomo è un grande onore conoscere il Creatore. In questo noi differiamo dagli animali, perché noi conosciamo il nostro Creatore, mentre gli animali non lo conoscono affatto. La direzione stessa del nostro corpo sembra cercare il suo Creatore. Gli altri animali guardano a terra, i loro occhi seguono la direzione del loro ventre, i nostri occhi, al contrario, sono levati al cielo, affinché, anche se la nostra anima è cieca, noi non cessiamo mai di guardare il cielo con gli occhi del corpo. (S. Girol.). – Il Re-Profeta non intende marcare le differenze tra Dio e l’uomo. L’intervallo è infinito, e non c’è nell’uomo alcun termine che possa servire da regola e da proporzione. « Che cos’è l’uomo, e cosa siete Voi o Signore? » È tutto ciò che può dire questo grande Profeta; il suo spirito entra in una sorta di estasi, si perde in questi due abissi, l’uno di perdizione e l’atro di debolezza (Berthier). « Signore, che cos’è l’uomo? » Tutto ciò che egli è, lo è perché Voi gli avete concesso di conoscervi. « Che cos’è l’uomo perché gli abbiate concesso di conoscervi? O il figlio dell’uomo perché ne facciate conto? » Voi lo considerate, fate gran caso di lui, lo apprezzate di grande valore: gli date un rango, Voi sapete sopra di chi porlo, Voi sapete sopra di chi lo avete posto. La stima su misura dal prezzo che si dà ad una cosa; e quale stima ha fatto dell’uomo Colui che ha versato per lui il sangue del suo Figlio unigenito? « Cosa è l’uomo perché gli abbiate concesso di conoscervi? » A chi lo avete concesso? Chi lo ha concesso? « Cos’è il figlio dell’uomo perché Voi lo consideriate? » E ponendo un prezzo così alto, stimandolo di un tal valore, Voi dimostrate che egli è qualcosa di prezioso; perché Dio non stima l’uomo, come l’uomo stima se stesso. Quando si compra uno schiavo, lo si paga meno di un cavallo. Vedete quando Dio vi stimi, perché possiate dire: « Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? » (Rom. VIII, 31). A qual prezzo elevato, vi ha stimato, Egli che non ha risparmiato suo Figlio, ma lo ha offerto per noi! « Come non ci avrebbe dato ogni cosa con Lui? » (ibid.). Egli che ha dato un tal nutrimento al combattente, cosa riserva al vincitore? (San Agost.). – « L’uomo è diventato simile alla vanità, i suoi giorni passano come l’ombra. » I nostri giorni sono veramente come l’ombra: io ero un bambino, sono stato adolescente, giovane, sono diventato un uomo fatto, cioè ho raggiunto l’età perfetta, senza accorgermene, sono diventato vecchio, e la morte si appresta a succedere alla vecchiaia. Io cambio ogni giorno, non sento che sono nulla. Noi non restiamo un solo istante della nostra vita nel medesimo stato, ma sempre ci accresciamo o decresciamo. L’uomo dunque cambia ad ogni istante, e muore nel momento che meno immagina. Vecchio, mi ricordo di ciò che sono stato, ciò che ho fatto da piccolo, giocare, correre qua e là, io mi vedo ora curvo sotto il peso degli anni. « I suoi giorni passano come l’ombra. » (S. Gerol.) – « L’uomo è divenuto simile alla vanità! » A quale vanità? Ai tempi che passano e scorrono. In effetti, i tempi possono essere chiamati una vanità, in confronto alla verità che resta eternamente e non può morire. Ma questa creatura è al suo posto. In effetti, « Dio, come è scritto, ha riempito la terra dei suoi beni. » (Eccli. XVI, 30). Che significa « Dei suoi beni? » Dei beni che gli convengono. Ma tutti questi beni terrestri sono cangianti e passeggeri, se li si compara a questa verità per eccellenza che ha detto: « Io sono colui che sono » (Es. III, 14); tutto ciò che accade si chiama col nome di Vanità; perché tutto ciò svanisce nel tempo, come il fumo nell’aria. E cosa dirò di più di ciò che ha detto l’Apostolo San Giacomo, con l’intenzione di richiamare all’umiltà l’orgoglio degli uomini? « Cos’è – egli dice – la vostra vita? un vapore che appare per un po’ di tempo e che dopo sarà disperso. » (Giac. IV, 15). « L’uomo è dunque divenuto simile alla vanità. » E peccando, « … egli è divenuto simile alla vanità; » perché, quando è stato creato, è stato fatto in origine simile alla verità; ma poiché ha peccato ed ha ricevuto il castigo, « è divenuto simile alla vanità. » (S. Agost.). –  I giorni dell’uomo passano come l’ombra. Questo paragone è completo: l’ombra diminuisce di forma, a misura che cresce; crescendo si avvicina alla sua fine, e sparisce nel momento in cui ha maggiore estensione. I nostri giorni diventano più deboli man mano che il loro numero aumenta, e si spengono completamente quando hanno raggiunto la somma che Dio ha loro assegnato. Non resta a colui che è giunto alla vecchiaia se non il ricordo delle sue diverse età, e questo ricordo è ancora nel suo spirito come un’ombra che si affievolisce con il progredire dei giorni, e si spegne del tutto al momento della morte. (Berthier).

II. — 5-8.

ff. 5, 6. – Il Signore ha abbassato i cieli ed è sceso quando si è annientato fino ad unirsi all’uomo. Egli ha colpito le montagne, quando ha umiliato i superbi ed i grandi della terra. – Ciò che succede nelle regioni dell’aria, quando Dio vi eccita delle tempeste, è un’immagine dello stato in cui si trova l’anima toccata dalla grazia e penetrata dal timore dei giudizi di Dio. Sembra allora che i cieli si abbassino, che i fulmini della collera divina giungano fino a tutto l’interno. Che Dio lanci i suoi colpi e ferisca tutte le parti del cuore un tempo fiero, ribelle ed insensibile (Berthier). – Nel linguaggio della Scrittura, dice S. Agostino, vi sono dei buoni e dei cattivi monti. I buoni rappresentano la grandezza spirituale; i cattivi designano il rigonfiamento del cuore. – Questi ultimi sono la figura di quelle persone che fanno professione di religione e che, pieni di sentimenti di più alta pietà, non respirano che Dio e la sua gloria, sagge nella loro condotta e severi nelle loro massime, ma incapaci, tra tutto questo, di ricevere un avvertimento: gente meravigliosa nel dire le verità agli altri, ma insensibili fino alla fiacchezza, quando sono obbligati ad ascoltare le loro; delle montagne, dice la Scrittura, per l’apparenza della loro elevazione, ma montagne presto fumanti quando si giunge a toccarle (BOURD. Am. et crainte de la Vér.)

ff. 7. 8. – « Mandate dall’alto del cielo la vostra mano e liberatemi. » La potenza di Dio non si esercita solamente per punire, ma per salvare. La mano di Dio, è il suo soccorso, la sua protezione. Queste acque figurano l’irruzione disordinata e violenta dei nemici ed il loro attacco tempestoso. Una prova, in effetti, che il Profeta non parla qui delle acque in senso proprio, è che egli aggiunge: « Dalla mano dei figli dello straniero. » Questi figli stranieri sono a mio avviso, coloro che sono estranei alla verità: come noi riguardiamo tutti i fedeli come nostri parenti e fratelli, così consideriamo gli infedeli come degli stranieri, ed è per questo che noi distinguiamo lo straniero da colui che ci è unito dai legami di affetto. Io considero mio fratello colui che riconosce la stesso padre mio, partecipa alla medesima tavola, piuttosto che colui che non mi è unito che per il sangue. Questa parentela è ben più perfetta dell’altra, ed anche l’incompatibilità che risulta dai sentimenti contrari è molto più pronunziata di quella che proviene dalla diversità delle famiglie. Non vi fermate dunque a questo pensiero secondo cui viviamo sotto lo stesso cielo ed abitiamo la stessa terra; io voglio un’altra unione che è al di sopra dei cieli. « È là che è il nostro regno e la nostra vita. » Noi non abitiamo più la terra, noi veniamo trasportati nella città dei cieli. Noi abbiam un’altra vera luce, un’altra patria, altri concittadini, altri parenti. Ecco perché San Paolo diceva: (Ephes. II, 19) « Voi non siete più stranieri né ospiti, ma concittadini dei Santi. » (S. Chrys.).

III. — 9-11.

ff. 11. – Vediamo ora i segni con i quali possiamo distinguere lo straniero dal prossimo: dai loro discorsi, dalle loro opere. Chi sono questi stranieri? Sono coloro che vivono nel crimine, che amano l’iniquità, che fanno discorsi insensati, e dicono parole inutili: quindi è dai loro discorsi, dalle loro parole che potete riconoscerli, come dichiara Gesù-Cristo; (Matth. VII, 16); « dai frutti li riconoscerete. » (S. Chrys.). – Parole di menzogna e di vanità. Azioni ingiuste, opere inique: è da qui che li riconoscerete.

ff. 12.-14. – Non è dunque li la felicità? Io lo chiedo ai bambini del regno dei cieli; io lo chiedo alla razza che deve resuscitare per l’eternità; io lo chiedo al corpo di Cristo, ai membri del Cristo, al tempio di Dio: dunque la felicità non è l’avere figli vigorosi, figlie ornate, cantine ricolme, greggi numerose; avere non solo delle muraglie, ma delle aie senza brecce né aperture, non sentire nelle strade né tumulti, né clamori, ma possedere il riposo, la pace, le ricchezze e l’abbondanza di tutti i beni nelle case e nelle città? Non è dunque lì la felicità? I giusti devono rifuggire da questa felicità? Non troverete mai la casa del giusto ricolma di tutte queste ricchezze e piena di questa beatitudine? La casa di Abramo non abbondava in oro, in argento, in figli, in servi ed in greggi? (Gen. XII, 5 e XIII, 2-6). Il santo patriarca Giacobbe, fuggitivo in Mesopotamia davanti alla faccia del fratello Esaù, e tenuto a servizio di Labano, non vi si è arricchito? Al suo ritorno non ha reso grazie a Dio di ciò quando passando il Giordano, con un bastone solo, tornava con una moltitudine di greggi e di figli? (Gen. XXXI, 18; XXXII, 7-10). Non è li la felicità? Certo, è una felicità ma viene dalla sinistra. Che vuol dire dalla sinistra? Una felicità temporale, mortale, materiale. Io non esigo che voi la evitiate, ma io non voglio che la scambiate con la felicità della destra; perché questi uomini non erano malvagi e vani perché possedessero questi beni in abbondanza; ma perché essi ponevano a destra i beni che dovevano lasciare a sinistra. Cosa devono porre alla loro destra? Dio, l’eternità, gli anni indefettibili di Dio, di cui è detto:  « I vostri anni non avranno fine. » (Ps. CI, 28). Là è la nostra destra. Usiamo la sinistra per il tempo, aspiriamo a destra per l’eternità. (S. Agost.). – Gli uomini mostrano le loro figlie per essere spettacolo di vanità ed oggetto della pubblica cupidigia, e « le preparano come si fa con un tempio. », Essi trasportano gli ornamenti che il vostro tempio solo dovrebbe avere, a questi cadaveri ornati, a questi sepolcri imbiancati e sembra che abbiano deciso di farli adorare nella vostra piazza. Essi nutrono la loro vanità e quella degli altri; riempiono altre figlie di gelosia, gli uomini di voluttà; tutto questo, di conseguenza, è errore e corruzione. O fedeli, o figli di Dio, non abusate di queste false concupiscenze. Perché volgete le vostre necessità in vanità? Voi avete bisogno di una casa come di una difesa contro le ingiurie dell’aria; è una debolezza; voi avete bisogno di nutrimento per restaurare le vostre forze che si esauriscono e si dissipano in ogni momento: altra debolezza; voi avete bisogno del letto per riposarvi dalla vostra stanchezza e lasciarvi andare al sonno che lega e seppellisce la vostra ragione: altra deplorevole debolezza. Voi fate di tutti questi testimoni e di tutti questi monumenti della vostra debolezza uno spettacolo alla vostra vanità, e sembra che vogliate trionfare dell’infermità che vi circonda da ogni parte. Mentre il resto degli uomini si inorgoglisce dei propri bisogni, e sembra voler ornare le sue miserie per nasconderle a se stesso, tu almeno, o Cristiano, discepolo della verità, distogli i tuoi occhi da queste illusioni. Ama nella tua tavola il sostegno necessario del tuo corpo, e non questo apparato sontuoso. Felici coloro che, ritirati umilmente nella casa del Signore, si dilettano nella nudità della loro piccola cella e del modesto armamentario di cui hanno bisogno in questa vita, che non è che ombra di morte, per non vedervi che la loro infermità ed il giogo pesante di cui il peccato li ha caricati! Felici le vergini consacrate, che non vogliono essere lo spettacolo del mondo, e che vorrebbero nascondersi a se stesse sotto il velo sacro che le circonda! Felice la dolce costrizione ai loro occhi per non vedere le vanità, per dire con Davide: « Allontanate i miei occhi al fine di non vederle! » Beati coloro che abitando secondo il loro stato in mezzo al mondo, come questo santo re, non ne sono toccati, che lo traversano senza legarvisi; « che usano – come dice San Paolo – di questo mondo come se non ne usassero; » che dicono con Esther sotto il diadema: « Voi sapete, o mio Signore quanto disprezzi questo segno di orgoglio e tutto ciò che può servire alla gloria degli empi, e che la vostra serva non si è mai rallegrata se non di Voi solo, o Dio di Israele; » che ascoltano questo grande precetto della legge: « non seguite i vostri pensieri ed i vostri occhi, contaminandovi con diversi oggetti, » che sono la corruzione e, per parlare con il sacro testo, la fornicazione degli occhi; infine coloro che prestano ascolto a San Giovanni, che, penetrato da tutta l’abominazione che è legata agli sguardi, tanto di uno spirito curioso che gli occhi catturati dalla vanità, non cessa di gridar loro: « Non amate il mondo che è pieno di illusioni e di corruzione per la concupiscenza degli occhi. » (BOSSUET, Traité de la concup., ch. IX.)

ff. 15. – « Si dice felice il popolo che gioisce dei suoi beni; no, ma felice il popolo che come solo padrone, possiede Dio. » – Spesso in un popolo giunto alla fine prossima, i germi di morte che esso contiene in seno sono dissimulati sotto le apparenze della prosperità. Le nazioni vicine ammirano questo popolo, lo proclamano il più felice tra i popoli, mentre Dio lo ha già condannato ed i suoi giorni sono contati. – Quel serio e triste soggetto di riflessione per la nostra Francia! « Perché, dopo tutto, nessuno degli elementi ordinari che costituiscono la prosperità di una nazione ci viene rifiutato. Il frumento, che è la vita dell’uomo, riempie e sovraccarica i nostri granai, troppo ripieni di abbondanza; tutti i mari sono solcati da navigli che portano i loro tesori al nostro continente, e lo stato non riesce a marcare con la sua effige l’oro che affluisce da noi dall’estremità della terra;  » e ciò che la saggezza di tutti i popoli, conforme agli insegnamenti della Scrittura, ha sempre segnalato come la principale ricchezza di un paese, la patria è dotata di una popolazione numerosa, di una gioventù lussureggiante. L’arte si è aggiunta alla natura per moltiplicare sul nostro suolo i pascoli e le greggi, e la fecondità non manca alle nostre pecore, né il sovrappeso ai nostri buoi. Appena sussiste nelle nostre città ed anche nei nostri borghi, una abitazione che cela la miseria e della quale la rovina affligga gli occhi del viaggiatore. Il grido della destrezza non si fa intendere per le strade e sulle piazze. Non c’è l’uso di chiamare felice il popolo che ha tutte queste cose? – E tuttavia, fenomeno inspiegabile! In mezzo a tutte queste condizioni di benessere, noi proviamo tutte le angosce dello scioglimento: noi siamo poveri nell’abbondanza, tremanti in seno alla pace; ciò che, in altri tempi faceva la ricchezza e la sicurezza di una nazione, non ci porta che perturbazione e timore. Chi dunque ci ha messo in questo stato? Le sante Scritture e la storia del popolo di Dio ci rispondono: che se è la giustizia che eleva una nazione, è il peccato che la rende infelice. Così il più grande e il solo ostacolo alla tranquillità pubblica, è la nostra opposizione a Dio, è la nostra ingiustizia nei riguardi della verità, è la nostra simpatia perseverante per la menzogna, è l’iniquità che lasciamo ristagnare nel fondo delle nostre anime. Ecco il terribile avversario della patria; il nemico mortale della repubblica, dell’impero, del reame, di tutte le forme che il diritto pubblico e l’autorità possono rivestire tra noi. È l’empietà!  (Mgr PIE. Disc. et Instruct. I, p. 356, 357.) – Che altri felicitino dunque la nostra patria di tutti questi vantaggi. Io mi consento di aggiungere la mia voce alla loro voce, purché mi si lasci aggiungere: « Felice il popolo che, arricchito dal grasso della terra, non lasci di implorare la rugiada del cielo! Felice il popolo potente e religioso ad un tempo, forte e sottomesso, che sa comandare alla natura ed obbedire al Creatore! Felice, in una parola, il popolo grande e fedele di cui il Signore è sempre il Dio! » (Idem, t. I, 45). 

SALMI BIBLICI. “DOMINE, EXAUDI ORATIONEM MEAM; AURIBUS” (CXLII)

SALMO 142: DOMINE, EXAUDI ORATIONEM MEAM; auribus…

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS. 

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 142

Psalmus David, quando persequebatur eum Absalom, filius ejus.

 [1] Domine, exaudi orationem meam; auribus

percipe obsecrationem meam in veritate tua; exaudi me in tua justitia.

[2] Et non intres in judicium cum servo tuo, quia non justificabitur in conspectu tuo omnis vivens.

[3] Quia persecutus est inimicus animam meam, humiliavit in terra vitam meam; collocavit me in obscuris, sicut mortuos sæculi.

[4] Et anxiatus est super me spiritus meus; in me turbatum est cor meum.

[5] Memor fui dierum antiquorum: meditatus sum in omnibus operibus tuis, in factis manuum tuarum meditabar.

[6] Expandi manus meas ad te; anima mea sicut terra sine aqua tibi.

[7] Velociter exaudi me, Domine; defecit spiritus meus. Non avertas faciem tuam a me, et similis ero descendentibus in lacum.

[8] Auditam fac mihi mane misericordiam tuam, quia in te speravi. Notam fac mihi viam in qua ambulem, quia ad te levavi animam meam.

[9] Eripe me de inimicis meis, Domine; ad te confugi.

[10] Doce me facere voluntatem tuam, quia Deus meus es tu. Spiritus tuus bonus deducet me in terram rectam.

[11] Propter nomen tuum, Domine, vivificabis me; in aequitate tua, educes de tribulatione animam meam;

[12] et in misericordia tua disperdes inimicos meos, et perdes omnes qui tribulant animam meam, quoniam ego servus tuus sum.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXLII

Davide, nella persecuzione di Assalonne, conoscendo il proprio peccato, lo deplora e invoca la misericordia di Dio. È Salmo penitenziale, che insegna ai veri penitenti la norma di pregare.

Salmo di David, quando lo perseguitava Assalonnesuo figlio.

1. Signore, esaudisci la mia orazione; porgi le orecchie alle mie suppliche secondo la tua verità; esaudiscimi secondo la tua giustizia.

2. E non entrare in giudizio col tuo servo; dappoiché nessun vivente sarà riconosciuto per giusto al tuo cospetto.

3. Perché il nimico ha perseguitato l’anima mia; ha umiliata la mia vita fino alla terra.

4. Mi ha confinato in luoghi tenebrosi, come i morti da gran tempo; ed è involto nell’affanno il mio spirito, il mio cuore si è conturbato dentro di me.

5. Mi son ricordato dei giorni antichi, ho meditate tutte le opere tue; meditava le cose fatte dalle tue mani.

6. A te io stesi le mani mie; l’anima mia è a te come una terra priva d’acqua.

7. Esaudiscimi prontamente, o Signore; è venuto meno il mio spirito. Non rivolger la tua faccia da me, perché  sarei simile a que’ che scendono nella fossa.

8. Fa ch’io senta al mattino la tua misericordia, perché in te ho sperato. Fammi conoscer la via che ho da battere, perché a te ho elevata l’anima mia.

9. Liberami, o Signore, da’ miei nemici, a te son ricorso; insegnami a far la tua volontà. Perché mio Dio se’ tu.

10. Il tuo spirito buono mi condurrà al diritto cammino, pel nome tuo, o Signore! Mi  darai vita secondo la tua equità.

11. Trarrai dalla tribolazione l’anima il e per tua misericordia manderai dispersi il nemici.

12. E dispergerai tutti coloro che affliggono l’anima mia perché tuo servo son io.

Sommario analitico

Davide, considerando la spada della giustizia di Dio sospesa sulla sua testa, durante la ribellione di suo figlio Assalonne, non osando invocare alcun merito personale, mette tutta la sua fiducia nella misericordia di Dio. Davide è qui la figura di ogni peccatore penitente.

I. Egli chiede a Dio di essere esaudito, e riporta diverse ragioni in appoggio della sua preghiera:

1° egli prega di esaudirlo, secondo la verità delle sue promesse e l’equità della sua giustizia (1);

2° perché se Dio entra in discussione ed in giudizio con lui, nessun uomo vivente sarà giustificato davanti a Lui (2);

3° perché egli è stato perseguitato ed umiliato profondamente dal suo nemico, dal demonio (3);

4° perché è stato gettato nell’oscurità e nelle tenebre, come i morti da secoli;

5° perché la sua anima è stata piena di turbamenti, ansia ed angoscia (4).

II. – Davide ci insegna come abbia iniziato ad uscire da questo infelice stato:

1° ha passato in rassegna il ricordo della grandezza e delle misericordie di Dio;

2° ha considerato attentamente tutte le sue opere (5);

3° ha steso le sue mani verso Dio per ottenere che irrorasse con la sua grazia e rendesse feconda tutta la terra arida dell’anima sua (6);

4° egli prega Dio di non tardare nel soccorrerlo, a causa dell’estremità alla quale si trova ridotto (7).

III. – Egli chiede a Dio di fargli sentire senza indugi gli sforzi della sua misericordia (8), e di insegnargli la sua volontà:

1° facendogli conoscere la via celeste per la quale l’anima può giungere fino a Lui (8);

2° rompendo i legami nei quali i suoi nemici lo tenevano prigioniero (9);

3° insegnandogli come debba camminare in questa via (10);

4° chiedendo come sua guida lo Spirito-Santo, affinché non si allontani dalla via (10);

5° dandogli la vita e la forza necessaria per non cadere lungo il cammino (11);

6° liberandolo da tutte le sue tribolazioni e da tutti i suoi nemici perché egli è suo servo (12, 13).

Spiegazioni e considerazioni

I. — 1-4.

ff. 1, 2. – Qua è la natura di questa preghiera? È questo un punto che gli uomini esaminano con cura per cui non si raccolgono in preghiera se non quando sembri loro giusto e legittimo. Ma cosa si domanda ordinariamente quando ci si rivolge agli uomini? Onori, ricchezze, la loro protezione contro l’ingiustizia; lo stesso avviene nel sollecitare i giudici nelle cose che oltrepassano il loro potere. Ma noi, al contrario, chiediamo a Dio la remissione dei nostri peccati, e facciamo ricorso alla preghiera, quando non abbiamo potuto ottenere perdono dal giudice interiore, cioè dalla nostra coscienza, che non ci lascia riposo alcuno. (S. Chrys.) – Cosa fate o Profeta? Voi dite in un istante: « Non entrate in giudizio con il vostro servo, perché nessun uomo vivente sarà giustificato davanti a voi, » e domandate qui di essere esaudito secondo le regola della giustizia? Egli non parla qui della sua giustizia; egli dirà anche, nel versetto seguente che, comparata a quella di Dio, essa non è nulla. La giustizia di cui qui si vuol parlare è la bontà. La giustizia degli uomini è senza misericordia, ma non è così la giustizia di Dio. La misericordia in Lui si trova sempre mescolata alla giustizia, ed in proporzione tale che la giustizia prenda nome di bontà. (S. Chrys.).  Egli implora dunque la giustizia divina, che si esercita propriamente in questo mondo con la misericordia, perché perdonando al peccatore, Dio usa del diritto supremo  che ha di cancellare i peccati e ristabilire la giustizia in un’anima che si era resa colpevole. –  Chi sono coloro che vogliono entrare in giudizio con Dio, se non coloro che, non conoscendo la giustizia di Dio, pretendono di stabilire la propria giustizia. « Perché, essi dicono, abbiamo digiunato e non l’avete visto? Perché tenuto la nostra anima nelle privazione e non l’avete saputo? » (Isai. LVIII, 3). È come se gli dicessero: noi abbiamo fatto ciò che avete comandato, perché non ci rendete ciò che avete promesso? Dio vi risponde: perché voi riceviate ciò che ho promesso, io ve lo darò; affinché voi fissiate di che meritare ciò che ho promesso, io ve l’ho dato … è dunque con ragione che l’uomo umile dice a Dio: « Non entrate in giudizio con il vostro servo; » non abbiamo infatti da dibattere tra noi; io non voglio avere processo da Voi, perché non abbia a mettere avanti la mia giustizia, e Voi non mi convinciate della mia iniquità. (S. Aug.) – « Non entrate in giudizio con il vostro servo. » Perché questo? « Perché nessun uomo vivente potrà giustificarsi davanti a Voi. » Che bisogno c’è di parlare di me, di questo, di quello? Non c’è alcun uomo sulla terra che possa essere trovato giusto, se entra in discussione con Voi sui comandamenti che gli avete imposto; il vostro trionfo è dunque completo. (S. Chrys.) – Quale speranza ci resterà, se Dio volesse giudicarci secondo le regole severe della sua giustizia, se esigesse che l’innocenza della nostra vita fosse in rapporto con la sua infinità santità? Chi è tra i mortali colui che potrebbe essere giustificato in presenza di Dio, allorché la collera, il dolore, la lussuria, l’ignoranza, l’oblio, la necessità, venisse a mescolarsi in tutte le sue azioni, con una sequenza naturale della debolezza del corpo o delle agitazioni di un’anima mobile ed incostante, allorché tutti i giorni è minacciato da un implacabile nemico, il demonio, che tende trappole all’anima fedele e la perseguita fino alla morte? (S. Hil.). – Noi dobbiamo temere che Dio entri con noi in giudizio: 1° a causa delle macchie e dei resti funesti che i peccati passati hanno lasciato nella nostra anima; – 2° A causa dei peccati attuali che non cessiamo di commettere; – 3° a causa delle imperfezioni anche delle buone opere; – 4° perché queste buone opere, quali siano, sono in numero troppo piccolo rispetto alle grazie che noi abbiamo ricevuto; – 5° perché Dio ci chiederà conto rigorosissimo di queste grazie; 6° perché l’uomo non sa se è degno di amore o di odio,  e colui al quale la sua coscienza rende testimonianza la più favorevole non può tuttavia essere sicuro di essere senza macchia davanti a Dio.   

ff. 3, 4. – Il Profeta dipinge qui le tristi sequel del peccato in un’anima che è stata perseguitata, perseguita, e vinta dal demonio. – I nemici della salvezza cominciano col perseguitarla, molestarla, presentandole mille occasioni di cadute, moltiplicando le tentazioni. – Essi la curvano interamente verso terra, e la umiliano piombandola nel fango delle passioni e nell’abisso del peccato: « Avevo altre volte delle ali e prendevo liberamente il mio volo; ora, il mio nemico, il demonio, ha perseguitato la mia anima, se ne è impadronita, ne ha legato piedi e mani, come un uccello che, caduto in potere dell’uomo, sembra come morto, perché non ha più la libertà di volare; è così che il mio nemico mi ha legato con la coscienza dei miei peccati. » (S. Gerol.). – Essi diffondono nell’anima delle tenebre dense che fanno considerare i falsi beni come dei veri beni; che gli nascondono i precipizi, affinché vi cada, ed il cammino del cielo per paura che vi entri. San Paolo ci dipinge queste tenebre spirituali, allorquando dice, parlando dei pagani: « Essi camminano nella vanità dei loro pensieri, hanno lo spirito pieno di tenebre, e sono interamente allontanati dalla vita di Dio, a causa dell’ignoranza che è in loro, e l’accecamento del loro cuore. » (Ephes. IV, 17, 18) – « Tribolazione, angoscia, per l’anima di ogni uomo che fa il male. » (Rom. II, 9). Il torbido si impossessa di tutte le sue facoltà; il suo spirito, creato per un fine più nobile, cade nel disgusto, nella noia; il suo cuore, divenuto il trastullo delle passioni, è il centro dei movimenti più tempestosi. Questo turbamento della coscienza, è la risorsa contro il peccato: se il peccatore vuol profittarne, il demonio non  lo ispira più, ma se ne serve per portare l’uomo alla disperazione.

II. — 5-7

ff. 5-7. – È una grande consolazione conoscere nello stesso tempo il passato ed il presente; perché come il mondo attuale è governato dalle stesse leggi divine delle generazioni che ci hanno preceduto, il ricordo degli avvenimenti antichi è una delle più dolci consolazioni per il presente. (S. Crys.). Ricordiamoci, dunque, in mezzo alle nostre prove, delle meraviglie che Dio ha operato nei secoli passati, in favore di coloro che hanno fatto ricorso a Lui. Quando il demonio si sforza di abbattere il nostro coraggio con il ricordo delle nostre colpe, meditiamo le grandi misericordie di Dio su coloro che hanno sinceramente rinunziato ai loro peccati. – Come la terra dura e disseccata sembra domandare la pioggia, solo esponendo al cielo la sua aridità, così l’anima, esponendo i suoi bisogni a Dio, lo prega veramente. È ciò che qui dice Davide: Ah! Signore, io non ho bisogno di pregarvi, è il mio bisogno che vi prega, la mia necessità vi prega, tutte le mie miserie e tutte le mie debolezze vi pregano: « La mia anima è davanti a Voi come terra arida e senza acqua. » (BOSSUET, Opusc. Prière au nom de J.-C.). « Sforzatevi, Signore, di esaudirmi, la mia anima è caduta in  disgrazia. » Cosa dite? Approntate la medicina della guarigione? No, ma accade d’ordinario alle anime che sono nell’afflizione, come agli uomini provati dalla sventura, cercare una pronta liberazione dai loro mali. (S. Chrys.). – In tutte le circostanze, bisogna attendere i momenti di Dio, ed è vero il dire che l’attitudine alla pazienza è veramente il genio del Cristiano. Ma quando si sente la propria anima mancare, quando la causa di questo mancamento è il pesante pensiero dei peccati commessi, quando infine è a Dio che ci si rivolge, è anche necessario sentire e testimoniare il desiderio che il soccorso richiesto non sia differito per lungo tempo (Rendu). – A meno di un ritorno favorevole a Dio, il peccatore discenderà sempre più nella fossa profonda del peccato, e di là nella tomba ancor più profonda dell’inferno.

III. — 8-13.

ff. 8-9. – « Fatemi sentire, fin dal mattino, la voce della vostra misericordia. « Io sono piombato nella morte, ma ho messo in Voi la mia speranza, finché non passi l’iniquità della notte » (Ps. LXI, 2). – « Al mattino, Voi ascolterete la mia voce; al mattino, mi porrò davanti a Voi e vi contemplerò » (Ps. V, 4. 5) « … perché ho messo in Voi la mia speranza. » In effetti, se speriamo ciò che non vediamo ancora, noi l’aspettiamo con il soccorso della pazienza. (Rom. VIII, 25). « La notte esige la pazienza, il giorno darà la gioia, » (S. Agost.) – « Fatemi conoscere la via in cui camminare. » Tutto il segreto della vita è in questa preghiera; conoscere la propria strada, vuol dire conoscere ciò che si deve credere quaggiù, ciò che si deve sperare, praticare; ciò che si deve fare perché questa vita sia come il vestibolo del cielo, ecco l’uomo intero e la vita in tutti i suoi aspetti … –  Quante volte i cuori più fermi sono sconvolti nelle loro vie, e vacillano nel cammino della vita! L’anima guarda in tutte le direzioni, e non scopre che le tenebre più fitte; non le resta che la preghiera del Profeta: « … fatemi conoscere la strada in cui volete che io cammini. » Ma anche essa prova allora che in un quarto d’ora di intrattenimento, di conversazione con Dio, si impara più dei nostri destini, sulla direzione da dare a certi affari delicati, che le più lunghe riflessioni e le più abili combinazioni dell’umana saggezza. (Mgr LANDRIOT, Prière, II, 10).   

ff. 10. –  Supponiamo che un uomo si sia smarrito in una foresta oscura o un deserto senza uscita: egli si agita con ardore per trovare una strada che lo conduca al termine del suo viaggio e, se non può riuscire, se l’impenetrabile caos degli alberi e l’onda inesorabile delle solitudini, rifiutano di rispondere alle sue voce, se le sue grida, malgrado i violenti sforzi per richiamare indicazioni e guide che lo illuminino, muoiono intorno a sé senza eco, la sua inquietudine diventa profonda e minaccia di raggiungere la disperazione. Ecco la nostra disperazione nella vita, se non sappiamo nettamente la direzione che essa debba prendere, e la via per la quale dobbiamo camminare … Conoscere esattamente la via che bisogna seguire, è evidentemente il bisogno più imperioso di ogni anima cristiana. (Mgr LANDRIOT, Euch. IV, 20.) – « Perché ho levato la mia anima verso di Voi » egli chiede a Dio la via che conduce a Lui, ma comincia a fare ciò che dipende da lui per entrarvi: « Io ho elevato la mia anima verso di Voi; » vale a dire che è verso Dio soltanto che sospira il mio cuore, è verso di Voi solo che io tengo fissi gli occhi. È in effetti, alla anime così disposte che Dio si compiace farsi conoscere. (S. Chrys.). – Egli va ancor più lontano, chiede di essere liberato dalla tentazione del demonio, che si sforza sovente di oscurarne l’intelligenza per impedirgli di vedere la via della giustizia; perché le concupiscenze scatenate dal tentatore fanno sì che le cose ci appaiono diverse da come in realtà esse sono. (Bellarm.).

ff. 9 – 18. – È difficile immaginare una preghiera più bella e più santa di questa: « Insegnatemi Signore, a fare la vostra volontà, perché Voi siete il mio Dio. » 1° Essa contiene la confessione della nostra debolezza; noi riconosciamo che, senza la luce divina, siamo incapaci di compiere ciò che a Dio piace. 2° Essa racchiude la persuasione intima in cui noi siamo, o piuttosto la viva fede che abbiamo, che per noi vi sia un obbligo stretto di fare ciò che piace a Dio esigere da noi. 3° Essa offre a Dio l’omaggio di tutto ciò che siamo, perché, dal momento che noi dichiariamo che Egli è il nostro Dio, non escludiamo alcun tipo di dipendenza, alcun genere di servizio. (Berthier). – Non bisogna fermarsi alla conoscenza della volontà di Dio: « Non cessiamo di pregare per voi, diceva San Paolo ai Colossesi, e di chiedere a Dio che vi riempia della conoscenza della sua volontà e di ogni intelligenza spirituale. » Ma notate quale deve essere la fine di questa conoscenza, « … perché possiate comportarvi in maniera degna del Signore, per piacergli in tutto, portando frutto in ogni opera buona e crescendo nella conoscenza di Dio; » (Coloss. I, 9-10) – « … Perché Voi siete il mio Dio. » Non esiste che una sola volontà che abbia il diritto essenziale ed assoluto di essere obbedita, la volontà dell’Essere eterno che ha creato tutto e che conserva tutto: da qui la mirabile preghiera del Profeta-Re: « Insegnatemi Signore, a fare la vostra volontà, perché Voi siete il mio Dio. » Poiché Egli ci ha creato, e creati capaci di una buona e di una cattiva scelta, è Lui che ci insegna, e che cosa può insegnare di meglio se non fare la sua volontà? Questa volontà sovrana ha dei ministri per ricordare i suoi ordini e mantenerne l’esecuzione nella famiglia, nello stato, nella Chiesa, e l’obbedienza loro è dovuta, perché essi rappresentano Dio, ognuno nel suo ordine, secondo i gradi di una sublime gerarchia che risale dal padre al re, dal re al Pontefice, dal Pontefice a Gesù-Cristo, da Gesù-Cristo a Colui che lo ha inviato, e « dal quale ogni paternità, in cielo e sulla terra, prende il suo nome, » vale a dire la sua autorità. (Lam., imit.) – Perché Voi siete il mio Dio, « io sarei corso verso un altro, per essere creato di nuovo, se un altro mi avesse fatto » Voi siete il mio tutto, « perché Voi siete il mio Dio. » Cercherò un padre per avere la sua eredità? « Voi siete il mio Dio, » che non solo date un’eredità, ma siete Voi stesso mia eredità. » (Ps. XV, 5). Cercherò un maestro che mi riscatti: « Voi siete il mio Dio. » Cercherò un padrone che mi liberi: « Voi siete il mio Dio. » Infine, dopo essere stato creato, desidero essere ricreato nuovamente: « Voi siete il mio Dio » mio Creatore che mi avete creato per mezzo del Verbo e creato di nuovo per mezzo del Verbo. Ma Voi mi avete creato per mezzo del Verbo dimorante in Voi, e mi avete creato di nuovo per mezzo del Verbo fatto carne per la nostra salvezza. « Insegnatemi dunque a fare la vostra volontà, perché Voi siete il mio Dio. » – « Insegnatemi, » perché non può essere che nello stesso tempo Voi siate il mio Dio, ed io il mio maestro. Notate come il Profeta ci mostri qui la grazia. Conservate bene questo pensiero, penetrate in esso, e nessuno possa farlo uscire dal vostro cuore, per timore di avere per Dio uno zelo che non sia secondo scienza, per timore ancora che, ignorando la giustizia di Dio e volendo stabilire la vostra, non siate sottomesso alla giustizia di Dio (Rom. X, 2-3). – Voi riconoscete là, senza dubbio, le parole dell’Apostolo. Dite dunque: « Insegnatemi, affinché io faccia la vostra volontà, perché Voi siete il mio Dio. » (S. Agost.) – Il Padre ci ha creati con la sua potenza, il Figlio ci insegna le sue vie mediante la sapienza, lo Spirito-Santo ci fa entrare e ci conduce con la sua grazia. – E siccome Dio solo è buono, con la testimonianza di Gesù-Cristo, si può anche dire che non c’è che lo Spirito di Dio che sia buono. – Il vostro Spirito che è buono, e non il mio che è cattivo. « Il vostro Spirito, che è buono, mi condurrà in terra di giustizia, » perché il mio spirito che è cattivo, mi ha condotto in terra di ingiustizia. E cosa ho meritato? Quali buone opere ho fatto senza la vostra assistenza, che possano essermi accreditate, affinché o ottenga e sia degno di essere condotto dal vostro Spirito in terra di giustizia? (S. Agost.). – Ricordate la grazia che vi segnala qui il Profeta e che vi ha gratuitamente salvato: « A causa del vostro Nome, Signore, Voi mi farete vivere: nella vostra giustizia e non nella mia; non perché io l’abbia meritato, ma perché Voi siete misericordioso; perché se volessi mostrare i miei meriti, io non meriterei da Voi se non supplizi. Voi avete fatto sparire i miei meriti, e li avete compensati con i vostri doni. » (S. Agost.). Motivo della confidenza del Profeta, è la professione che fa di essere il servo di Dio. – Noi siamo servi di Dio a doppio titolo, perché Egli ci ha creati, perché ci ha riscattato come gli altri uomini e perché ci ha tratti da una servitù più gravosa della prima, perché proveniva dalla nostra volontà.

SALMI BIBLICI: “VOCE MEA, … VOCE MEA, AD DOMINUM” (CXLI)

SALMO 141: VOCE MEA, VOCE MEA, AD DOMINUM.

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS. 

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 141

Intellectus David, cum esset in spelunca, oratio.

[1] Voce mea ad Dominum clamavi, voce mea ad Dominum deprecatus sum.

[2] Effundo in conspectu ejus orationem meam; et tribulationem meam ante ipsum pronuntio.

[3] In deficiendo ex me spiritum meum, et tu cognovisti semitas meas; in via hac qua ambulabam absconderunt laqueum mihi.

[4] Considerabam ad dexteram, et videbam, et non erat qui cognosceret me: periit fuga a me, et non est qui requirat animam meam.

[5] Clamavi ad te, Domine; dixi: Tu es spes mea, portio mea in terra viventium.

[6] Intende ad deprecationem meam, quia humiliatus sum nimis. Libera me a persequentibus me, quia confortati sunt super me.

[7] Educ de custodia animam meam ad confitendum nomini tuo; me exspectant justi donec retribuas mihi.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXLI.

In questo Salmo si dichiara la prudenza di Davide, che rifugiatosi nella spelonca di Odollam, in prossimo pericolo di morte, trovò saviamente il gran rimedio del rivolgersi a Dio. Si riferisce il Salmo, in senso più alto, a Cristo che prega nell’orto, ed è abbandonato in Croce.

Salmo d’intelligenza di David quando era nella spelonca. Orazione.

1. Alzai il suono delle mie grida al Signore; alzai la mia voce per chieder soccorso al Signore.

2. Spando dinanzi a lui la mia orazione, ed espongo ai suoi occhi la mia tribolazione.

3. Mentre vien meno in me il mio spirito, e le mie vie son conosciute da te.

4. In questa via, per cui io camminava, hanno occultato per me il laccio.

5. Me ne stava pensoso mirando a destra, e non era chi avesse di me conoscenza.

6. Ogni scampo mi è tolto, e non avvi chi abbia pensiero dell’anima mia.

7. Alzai le mie grida a te, o Signore; dissi: Tu sei mia speranza, mia porzione nella terra dei vivi.

8. Dà udienza alle mie suppliche, perché io son fuor misura umiliato.

9. Liberami da coloro che mi perseguitano, perché sono più forti di me.

10. Trai dal carcere l’anima mia, affinché io dia lode al tuo nome: i giusti stanno aspettando il momento in cui tu mi sarai propizio.

Sommario analitico

David, nascosto nella caverna di Odollam, riconosce che non c’è nulla da aspettarsi dagli uomini, e che non spera se non da Dio la sua liberazione. La Chiesa militante, in ciascuno dei suoi membri, stanchi di una vita che non è che un duro esilio, si consola nella speranza ed offre a Dio le preghiere di coloro che li attendono e li chiamano già dall’alto del cielo.

I. Qualità della sua preghiera:

1° essa è fervente, come lo indica il grido che innalza a Dio;

2° è umile, egli supplica Dio di allontanar da lui il castigo che merita, per le sue preghiere (1);

3° è abbondante, effonde il suo cuore ed i suoi desideri davanti a Dio;

4° è piena e confidente, non nasconde alcuna delle sue ferite al Medico sovrano (2);

5° è necessaria nel pericolo di morte al quale si trova esposto (3).

II. – Fa conoscere il triste stato nel quale i suoi nemici lo hanno ridotto:

1° Essi lo forzano a cambiare tutti i giorni il riparo, e a fuggire per sentieri segreti e contorti (4).

III. – Egli dichiara che pone in Dio tutta la sua fiducia e lo supplica di esaudirlo:

1° a causa della grandezza della sua afflizione,

2° a causa della potenza dei suoi nemici (6);

3° a causa della gloria di Dio (7);

4° per la consolazione dei giusti che attendono che Dio faccia loro giustizia (7).

Spiegazioni e considerazioni

I. – 1-3.

ff. 1, 2. – Non tutti elevano la voce pregando, non tutti la dirigono verso Dio, non tutti fanno intendere la loro voce. Ora, il concorso di queste tre cose è necessario alla preghiera. Il Profeta riunisce queste tre condizioni: egli eleva la voce, si indirizza a Dio, e fa sentire la sua voce (S. Chrys.). – Basta dire questo semplice: « Io ho gridato con la voce al Signore; non è forse senza ragione che il Profeta ha aggiunto “con la mia voce”. » Molti in effetti gridano verso il Signore non con la propria voce, ma con la voce del proprio corpo. L’uomo interiore, nel quale il Cristo ha cominciato ad abitare con la fede (Ephes. III, 17), deve dunque gridare verso il Signore mediante la sua voce, non con il brusio delle proprie labbra, ma con il sentimento del suo cuore. Ove non ascolta l’uomo, ascolta Dio; se voi non gridate con la voce che producono i vostri polmoni, la vostra gola e la vostra lingua, l’uomo non vi ascolta; ma il vostro pensiero è il grido verso il Signore. Nella prima parte del versetto, vi è dichiarato il suo grido; nella seconda, ha determinato questo grido. Come se gli si domandasse: qual tipo di grido avete rivolto al Signore? Egli risponde: « Io ho elevato con la mia voce delle suppliche al Signore. » Il mio grido è una preghiera; non è né un’ingiuria, né un mormorio, né una bestemmia! (S. Agost.) – La preghiera si effonde davanti a Dio quando sfugge poco a poco dalla sua interezza come l’acqua dal vaso del cuore, quando, sull’esempio di Maddalena, noi bagniamo con le nostre lacrime i piedi di nostro Signore, secondo l’invito che fa il profeta Geremia alla figlia di Sion: « Alzatevi, lodate il Signore dall’inizio delle veglie della notte; spandete il vostro cuore come acqua davanti al Signore » (Lament. II, 19) – Pochi sono gli amici verso i quali si possa spandere il cuore e rendere depositari delle pene che si provano. – Ma l’anima malata o afflitta è vicina a Dio, dice San Gregorio Nazianzeno, e allora più che mai, noi siamo vicini al Signore; è sufficiente offrire il nostro cuore e lasciarlo alleggerire silenziosamente nel seno di Dio, spandere nel suo seno tutte le nostre tristezze, tutte le nostre inquietudini: è il grido più energico, più potente e più certo del successo. – Che significa: « Io effondo una preghiera davanti a Lui? » Alla sua presenza? Ma cosa significa alla sua presenza? Dove Egli vede Ma dove non vede? Perché noi diciamo dove Egli vede, come se ci fosse qualche luogo ove non si veda. Nell’anbito delle cose corporee, gli uomini vedono ed anche gli animali vedono; ma Dio vede là dove l’uomo non vede. In effetti non c’è un uomo che veda il vostro pensiero, ma Dio lo vede. Diffondete dunque la vostra preghiera là dove vede solo Colui che vi ricompensa; perché il Signore Gesù-Cristo vi ha prescritto di pregare in segreto, e se sapete riconoscere la camera del vostro cuore, destinato alla preghiera, a purificarla, è là che voi pregate Dio. (S. Agost.).  

ff. 3. – «Quando il mio spirito era pronto ad indebolirsi. » Là dove gli spiriti pusillanimi trovano occasione di caduta ed ingiuste recriminazioni, il Salmista si ispira alla più alta saggezza, perché è stato istruito alla scuola dell’avversità (S. Chrys.). –  « Ma voi non conoscete i miei sentieri. » Quali sono questi sentieri, se non le vie di cui è detto altrove: « Il Signore conosce la via dei giusti e la via degli empi sarà distrutta? » (Ps. I, 6). Non è detto: il Signore non conosce che la via degli empi, ma: « Egli conosce la via dei giusti, e la via degli empi sarà distrutta, » perché ciò che Dio non conosce, perisce. In molti passaggi delle Scritture, noi troviamo che per Dio, conoscere è conservare. Conoscere in Dio, è conservare, non conoscere, è condannare. Perché in effetti, Colui che conosce tutte le cose dirà alla fine del mondo: « Io non vi conosco. » (Matth. VII, 23). Che i peccatori non si rallegrino e si guardino dal dire: Noi non saremo puniti, perché il Giudice non ci conosce. Essi sono già puniti se il Giudice non li conosce. Queste vie che il Signore conosce sono dunque gli stessi sentieri di cui il Signore dice: « Voi conoscete i miei sentieri; » perché ogni sentiero è una via, ma ogni via non è un sentiero. Perché dunque queste vie sono chiamate sentieri, se non perché esse sono strette? La via degli empi è larga, la via dei giusti è stretta. « Voi conoscete i miei sentieri; » Voi sapete che tutto ciò che io soffro per Voi, lo soffro per amore; Voi sapete che è la carità che mi fa sopportare tutto; Voi sapete che se io offro il mio corpo per essere bruciato, io ho la carità, senza la quale questo sacrificio non serve a nulla all’uomo. Ma, chi conosce queste vie dell’uomo, se non colui al quale è detto con tanta verità: « Voi conoscete i miei sentieri? » In effetti, tutte le azioni umane si svolgono sotto gli occhi dell’uomo; ma chi sa con quali intenzioni del cuore esse si fanno? E quanti empi vi sono che, secondo la misura che prendono da se stessi, pretendono che noi cerchiamo nella Chiesa degli onori, delle lodi, dei vantaggi temporali! Quanti ve n’è che dicono che vi parlo per attirare i vostri applausi e le vostre lodi, per cui sia questo lo scopo nel parlarne! E come provare loro che io non parlo con questa intenzione? Io non ho altra risorsa che dire al Signore: « Come questi uomini saprebbero che Voi non sappiate? Come saprebbero ciò che pur io so appena a malapena? Perché io non mi giudico da me stesso, ma è il Signore che mi giudica » (I Cor. IV, 3 e 4), (S. Agost.). – Non è da lontano, è da vicino che il demone ci tende insidie che dissimula con cura; così ci è necessaria la più grande vigilanza per scoprire queste insidie che ci nasconde, la vanagloria nelle elemosine, la fierezza presuntuosa nei digiuni e nelle buone opere. Questo non accade, lo vedete, nei cammini che ci sono estranei, ma in quelli in cui noi camminiamo, ed è ciò che ci rende il pericolo ancor più terribile. (S. Chrys.). – La via in cui si avanza il Cristiano fedele, è il Cristo; è là che è stato teso un laccio dagli uomini che perseguitano coloro che sono nel Cristo, in odio al nome di Cristo. … perché  in effetti, questo furore contro di me? Cosa perseguitano in me? Il mio titolo di Cristiano. Se dunque perseguitano in me il mio titolo di Cristiano, essi mi hanno teso segretamente un laccio nella via in cui avanzavo. (S. Agost.).

II. — 4

ff. 4. – Questo è il carattere degli uomini del mondo: essi fanno mille proteste di amicizia verso coloro dai quali attendono qualcosa, ma non li conoscono più se sono caduti in qualche disgrazia. Dio solo è il nostro vero amico, Egli non ci conosce meglio di quando ci vede abbandonato da tutti. (Duguet). – « La fuga mi è divenuta impossibile. » Questo è un ulteriore accrescimento di infelicità. Non solo insidie lungo il cammino, nessuno che gli porti soccorso, nessuno che lo riconosca, ma anche la sola risorsa residua gli viene tolta, egli non può cercare la sua salvezza se non nella fuga. (S. Chrys.).

III. — 5-7.

ff. 5-7. – – In una situazione di così grande estremità, in questa assoluta privazione di ogni mezzo di difesa, si dispera della propria salvezza? No, egli si rifugia subito tra le braccia di Dio e gli dice: « Io ho gridato verso di Voi, Signore, ho detto: Voi siete la mia speranza e la mia parte nella terra dei viventi. » Ecco un’anima veramente vigilante; le sue sventure, invece che abbatterlo, gli danno delle ali per elevarsi, e fin anche in questa estremità in cui ogni speranza sembra perduta, riconosce la mani invincibile di Dio, la sua potenza sovrana e la facilità con la quale ci strappa ai pericoli più grandi (S. Chrys.) – Come Dio può essere la nostra eredità – si chiede San Agostino – ? Perché ci sia eredità, bisogna che colui da cui si erediti, sia morto; e quando la morte potrà trovarsi in Dio? Questo accade – risponde – quando Dio, conosciuto quaggiù come un enigma e nascosto sotto il velo della fede, si manifesterà pienamente a noi, e lo vedremo così com’è. Ma se noi dobbiamo essere in tal modo degli eredi di Dio, occorre che Dio anche sia il nostro erede, e non debba possedere questa eredità se non quando noi saremo morti al mondo, ed il mondo sarà morto per noi (Berthier). – La vita presente, è terra dei morenti, piena di afflizioni e di croci; la vita futura, è la terra dei viventi, della felicità e della gioia, che deve essere nostra parte per sempre (Dug.). Doppio è il motivo della preghiera che il Re-Profeta fa a Dio di liberarlo: l’eccessiva umiliazione alla quale si è ridotto, ed il folle orgoglio che ha dato ai suoi persecutori il trionfo della loro forza sulla sua innocenza. – Niente è più degno della bontà e della potenza di Dio che l’essere la forza ed il liberatore dei deboli oppressi. È la forza di questi deboli il ben sentire la loro debolezza, così come è la debolezza di questi forti e potenti di abusare della loro forza e della loro potenza contro coloro che non possono resistere loro se non con le loro preghiere ed i loro gemiti (Duguet). – « Traete la mia anima dalla sua prigione, » questa preghiera ha più di un oggetto, nello spirito del Profeta, la liberazione dal suo corpo mortale, la sua evasione dalla caverna di Odollam. L’Apostolo diceva nello stesso senso « … chi mi libererà da questo corpo di morte? » I santi avevano bisogno di tutta la loro sottomissione alla volontà divina per sopportare pazientemente il lori esilio in questa vita. Bisogna nondimeno riconoscere che la nostra anima è talmente imprigionata in questo corpo mortale che essa accarezza questa dimora, non come una prigione – dice San Agostino – ma come facente parte di un tutt’uno in cui Dio ha legato tutte le parti. È la corruzione del corpo che l’anima rischiarata dalla grazia ha in orrore. Questa non è l’opera di Dio, è la pena del peccato che dà il suo tormento. Quando il corpo, al tempo della resurrezione generale, sarà liberato da questo gioco di iniquità che lo curvava verso terra, l’anima vi si riunirà con una soddisfazione inesprimibile, « Finché noi siamo nella dimora di quaggiù, dice l’Apostolo, noi gemiamo sotto il fardello, perché noi desideriamo non di essere spogliati, ma di prendere come un secondo vestito, affinché ciò che vi era di morto in noi sia assorbito dalla vita. » I giusti già coronati nella gloria, attendono i giusti della terra, alfine di completare tutti insieme l’edificio della santa Gerusalemme, e formare questa Chiesa eterna « dei primogeniti che sono scritti nei cieli. » (Berthier). – « Traete la mia anima dalla sua prigione, affinché io benedica il vostro Nome; i giusti mi attendono finché mi ridiate la tranquillità desiderata. » Vedete di grazia questo spirito (S. Franc. D’Assisi), che come un usignolo celeste chiuso nella gabbia del suo corpo, nel quale non può cantare come desidera le benedizioni del suo eterno Amore, sa che cinguetterebbe e praticherebbe meglio il suo bel canto se potesse ottenere l’aria aperta per gioire della sua libertà e della società con gli altri usignoli tra le gaie e fiorite colline della felice contrada: ecco perché esclama: “ahimè, Signore della mia vita, per la vostra bontà dolcissima, liberatemi, povero come sono, dalla gabbia del mio corpo; traetemi da questa piccola prigione, affinché mi liberi da questa schiavitù, e possa volare ove i miei cari compagni mi attendono, là in alto, in cielo, per aggiungermi ai loro cori e circondarmi della loro gioia: là, Signore, aggiungendo la mia voce alla loro, farò con essi una dolce armonia di arie e di accenti deliziosi, cantando, lodando e benedicendo la vostra misericordia. (S. FRANÇ. DE SALES, Tr. de l’am. de Dieu, 1. V, c. x.).

SALMI BIBLIBI: “DOMINE, CLAMAVI AD TE, EXAUDI ME” (CXL)

SALMO 140: “DOMINE, CLAMAVI AD TE, exaudi me

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS. 

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 140

Psalmus David.

[1] Domine, clamavi ad te, exaudi me;

intende voci meae, cum clamavero ad te.

[2] Dirigatur oratio mea sicut incensum in conspectu tuo; elevatio manuum mearum sacrificium vespertinum.

[3] Pone, Domine, custodiam ori meo, et ostium circumstantiae labiis meis.

[4] Non declines cor meum in verba malitiæ, ad excusandas excusationes in peccatis; cum hominibus operantibus iniquitatem; et non communicabo cum electis eorum.

[5] Corripiet me justus in misericordia, et increpabit me: oleum autem peccatoris non impinguet caput meum, quoniam adhuc et oratio mea in beneplacitis eorum.

[6] Absorpti sunt juncti petræ judices eorum; audient verba mea, quoniam potuerunt.

[7] Sicut crassitudo terræ erupta est super terram; dissipata sunt ossa nostra secus infernum.

[8] Quia ad te, Domine, Domine, oculi mei; in te speravi, non auferas animam meam.

[9] Custodi me a laqueo quem statuerunt mihi, et a scandalis operantium iniquitatem.

[10] Cadent in retiaculo ejus peccatores: singulariter sum ego, donec transeam.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXL

Preghiera viva al Signore perché asterga nell’uomo le macchie dei peccati nel giorno contratte onde sicuro sia il riposo della notte.

Salmo di David.

1. Signore, a te ho alzate le grida, esaudiscimi; sii intento alla mia voce, quando io a te la rivolgo.

2. S’innalzi la mia orazione come l’incenso al tuo cospetto; sia l’elevazione delle mie mani come sacrifizio della sera.

3. Poni, o Signore, una guardia alla mia bocca; e un uscio alle mie labbra, che interamente le serri.

4. Non permettere che il mio cuore studii maliziose parole, ad accettare scuse a’ peccati, (1)

5. Come fanno gli uomini che operano iniquità; e io non avrò parte alle cose che ei pregiano.

6. Mi correggerà il giusto con misericordia, e mi sgriderà; ma l’olio del peccatore non impingui mai la mia testa. (2)

7. Perocché l’orazione mia tuttora sarà contro quelle cose, delle quali ei sin compiacciono; perirono i loro principi infranti alla pietra. (3)

8. Udiranno come le mie parole sono state efficaci: come una grossa zolla di terra nel campo si sbriciola; così le nostre ossa sono disperse fin presso al sepolcro. Ma giacché a te mirano, o Signore, o Signore, gli occhi miei, io ho sperato in te, non isperder l’anima mia.

9. Guardami dal laccio che mi hanno teso, e dalle insidie degli operai d’iniquità.

10. Nelle reti di essa cadranno i peccatori. Solitario son io fino al tempo del mio passaggio. (4)

(1) “Cum electis eorum”, non significa, come immaginano coloro che non hanno letto il testo ebraico, “cum viris electis”, ma “cum electis cibis, o, secondo il senso letterale e l’espressione ebraica, “cum dulcibus cibis eorum”.

(2) La seconda metà del versetto 5 ed il versetto 6 sono forse, dice M. Le Hir, il passaggio più difficile del salterio. Tuttavia noi non ammettiamo che il senso indicato dal sapiente interprete, « ora ancora, la mia preghiera è per i miei nemici, in mezzo ai loro contrattempi ed i loro mali. » Il testo ebraico recita “in malitiis eorum”, invece che “in beneplacitis eorum”; il profeta vuol dire dunque: « La mia preghiera si leverà contro i vizi ed i crimini nei quali essi si compiacciono ».

(3) Noi propendiamo volentieri per il legame di questi versetti: “sicut crassitudo, etc.” con il seguente, ed il senso sarebbe: benché siamo stati a due passi dalla nostra perdita, io non ho cessato, Signore, di sperare in Voi. – “Sicut crassitudo terræ” come le zolle di terreno che disperde colui che lavora, le mie ossa sono state disperse ai limiti dell’inferno.

(4) “Singulariter”, cioè singularis, unicus, solus.

Sommario analitico

Davide, prevedeva la disfatta dell’armata del ribelle Assalonne (Secondo M. Le Hir, questo salmo sarebbe stato composto dopo la morte di Saul, e Davide vi protesta che egli non vuol prendere alcuna parte nel crimine di coloro che hanno causato la perdita di Saul, o ne gioiscono (3-6) e, poiché è ancora circondato da pericoli, prega il Signore di procurargli una liberazione completa,

I. Prima della vittoria, domanda:

1° la grazia di ben pregare, cioè che la sua preghiera:

a) sia esaudita a causa del suo fervore (1),

b) che si elevi a Dio come incenso,

c) che sia gradita a Dio come il sacrificio della sera (2);

2° la vigilanza sulle sue parole: a) egli chiede che sia messa una guardia alla sua bocca  perché egli parli sempre a sproposito, b) affinché non cerchi di scusare i suoi peccati (3, 4);

3° la fuga dalla società degli empi (4);

4° la pazienza:

a) per amare le reprimende dei giusti,

b) affinché abbia in orrore le adulazioni dei malvagi (5).

II. Dopo la vittoria, predice ed ammira:

1° la potenza della sua preghiera, che trionfa dei suoi nemici (6);

2° la rovina dei suoi nemici precipitati e schiacciati contro la pietra (6);

3° il ritorno e la docilità degli altri alle sue parole piene di forza e di dolcezza;

4° ma siccome, per il momento in cui parla, le sue forze sono dissipate come le zolle del terreno dopo il lavoro del contadino (7), si indirizza al Signore, lo prega di conservargli la vita a causa della sua preghiera piena di speranza (8), e di preservarlo dalle insidie dei suoi nemici (9);

5° egli annunzia la loro distruzione, congiuntamente con il suo ristabilimento sul trono (10).

Spiegazioni e considerazioni

I. — 1-5.

ff 1, 2. — San Crisostomo, iniziando la spiegazione di questo salmo, indirizzava ai semplici fedeli del suo tempo le seguenti riflessioni, che non potremmo malauguratamente indirizzare ai Cristiani dei giorni nostri, ma che sono di un’applicazione rigorosa e scuotente per i sacerdoti che non conoscono le parole di questo salmo, che si canta in ogni età della vita, ma che sono pochi a conoscerne il vero senso. Ora, non meritiamo severi rimproveri lo quando si canta tutti i giorni, quando sulle labbra si hanno le parola di cui non si cerca di penetrare il senso e la forza? Voi, se intravvedete un’acqua pura e limpida non potete dispensarvi dal tuffarvi entro le vostre mani, dal dissetarvi. Colui che passeggia frequentemente in una prateria, non vuole uscirne senza aver raccolto qualche fiore. Ma per voi che, fin dai giovani anni fino all’estrema vecchiaia, non cessate di cantare questo salmo, non ne ricordate che le parole, mentre siete seduto su di un tesoro nascosto, portate da un fianco e dall’altro una borsa che resta chiusa: la curiosità non vi ispira il desiderio di comprendere ciò che significhi questo salmo … nessuna ricerca, ma elusione? Tuttavia non potete asserire che questo salmo sia così chiaro, da favorire la negligenza e non vi dia modo di cercare un senso che si presenta da solo (S. Chrys.). – « Signore io ho gridato verso di Voi, esauditemi. » Solo perché avete gridato, pretendete di essere esaudito e basando su questo motivo l’efficacia della vostra preghiera. Bisognerà dunque per pregare una voce forte e chiassosa? … No, il Profeta vuol parlare di un grido interiore che parta da un’anima infiammata di amore e da un cuore contrito. Colui che manda le sue grida, impiega tutte le sue forze, così come colui che grida dal fondo del cuore applica tutte le forze della sua anima (S. Chrys.) – Colui che non prega dal fondo del cuore, non prega, non si dà pena di dare alla voce della sua preghiera la forza e il fulgore delle gride. Può succede che coloro che cantano per abitudine o per interesse le lodi di Dio, gridino nel tempio o nella società dei fedeli, ma queste grida non saranno la preghiera del Profeta; non si verificherà mai che un uomo solo, ai piedi del suo oratorio, emetta grida nella sua preghiera, senza che un cuore sia toccato dal desiderio di ottenere ciò che desideri. Queste grida, del resto, sono più nel cuore che nella voce (Berthier). – Voi pensate che sia cosa finita quando avrete detto: « Io ho gridato verso di voi. »? Voi avete gridato per questo in piena sicurezza. Se la tribolazione è cessata, cessate egualmente le vostre grida; ma se restano ancora alla Chiesa ed al Corpo di Cristo delle tribolazioni da soffrire fino alla fine del mondo, il Corpo di Cristo non deve dire soltanto: io ho gridato verso di Voi, esauditemi; bisogna invece che dica ancora: « Siate attento alla voce della mia supplica, mentre grido verso di Voi. » La nostra indigenza non avrà per termine se non la nostra vita, e le nostre preghiere non devono cessare se non con il nostro ultimo sospiro. (S. Agost.). – Notate che il Profeta non dice: l’estensione delle mie mani, ma l’elevazione delle mie mani, perché l’estensione è ben diversa dalla elevazione. Un uomo può estendere le sue mani dietro di sé, o ai suoi lati, cioè verso i vizi, come Dio rimproverava al suo popolo: « Quando voi stenderete le vostre mani verso di me, io non vi ascolterò. » (Isai. I, 15). (S. Girol.). –  Tutte le qualità della preghiera sono contenute in questo versetto. Che la mia preghiera sia diretta verso di Voi come il fumo dell’incenso. Essa deve essere diretta dal Signore, perché senza il soccorso dello Spirito-Santo, noi non sapremmo, dice l’Apostolo, ciò che dobbiamo chiedere. – Essa deve essere fatta con purezza di intenzione, senza la quale non può salire, come l’incenso, fino al trono di Dio. – Essa deve essere sostenuta dall’attenzione dello spirito, perché, come il minimo soffio respinge il vapore dell’incenso ed impedisce di elevarsi nell’aria, così le distrazioni dello spirito dissipano la preghiera e rompono il corso che essa dovrebbe prendere verso il cielo. – Essa deve essere nell’ordine della volontà di Dio, così come i sacrifici della legge non potevano piacergli se non erano conformi al rito che Eli aveva prescritto. – Essa deve essere umile e fatta in spirito di sacrificio, qualità nominatamente espressa dalla comparazione di cui si serve il Profeta. – Essa deve essere fervente e partire da un cuore bruciante d’amore. L’incenso, di per se stesso è di odore gradevole, ma è sotto l’azione del fuoco che sprigiona tutto il suo profumo. Così la preghiera è buona di sua natura, ma diventa di molto migliore ed emette un odore più soave quando parte da un fuoco ardente. così come quando si pone l’incenso sul braciere acceso e sui carboni ardenti. – Essa deve essere costante, tal come i sacrifici della legge che non cessavano mai e si rinnovavano ogni giorno, mattino e sera. – Essa deve avere come scopo l’offerta per la santificazione delle nostre opere da Dio, ciò che il Profeta indica con l’elevazione delle mani. – Avete notato questo incenso che brucia nei nostri templi, nel giorno delle nostre grandi solennità? Vedete come si consuma al fuoco dell’altare, come si spande nel sacro ambiente, come si alza dolcemente verso i cieli! Sotto questo emblema materiale, la luce della fede spande un incenso misterioso che esce dal cuore dei Cristiani, si riunisce, si consuma nello stesso focolaio della carità, e di là risale verso Dio, come un profumo che bruci in coppe d’oro. Ma non è sufficiente che l’incenso sia nella coppa per bruciare e profumare lo spazio sacro, bisogna che si lasci polverizzare e che riposi su carboni ardenti; (Eccli. IV); solo allora si muta in vapori leggeri, ed il suo profumo è tanto più soave di quanto si possa ottenere con gli odori più delicati e variati. Così è per l’incenso e per la preghiera: esso non brucia e non si eleva fintanto che il fuoco dell’amore non lo abbia consumato, e più i carboni accesi del suo cuore sono ardenti, più il vapore è penetrante e profumato. Se ogni parte intima dell’anima, se ogni fibra del cuore ha dato ciò che possiede di più soave e di più divino, non saprebbe concepirsi nulla di più delizioso che il profumo di questa preghiera. O felice combustione dell’anima per mezzo della preghiera! O santa combustione dell’intelligenza, del cuore, della memoria, della volontà, dell’essere tutto intero! Felice l’uomo, dice San Crisostomo, che fa della sua anima un incensiere, che tutti i giorni vi pone carboni ardenti, vi riversa i suoi pensieri, i suoi desideri, le sue affezioni, come un profumo preso e portato dalle regioni più ricche dell’Oriente! Felice l’uomo la cui vita è un incenso che brucia. (Mgr LANDRIOT. Prière, I, 46).

ff. 3, 4. — Due cose sono necessarie perché esca ciò che debba uscire, e non esca ciò la cui uscita è interdetta: un portiere ed una porta; una porta senza portiere non è sufficiente, perché questa porta sarebbe necessariamente o sempre aperta o sempre chiusa; un portiere senza porta non avrebbe un facile servizio; bisognerebbe sempre essere sul chi vive, e avere tanta forza per impedire l’entrata e l’uscita a chiunque volesse violare la consegna. Ma con una porta ed un portiere, ogni cosa diventa più sicura e più facile. (Bellarm.). – Il Re-Profeta comincia la sua preghiera con ciò che può essere, senza grande vigilanza, la causa di tutti i mali, e divenire, al contrario, per un’anima attenta, il principio di tutti i beni … così come è inutile avere una casa, una città, dei merli, delle porte, delle aperture, se nello stesso non ci sono anche dei guardiani che sappiano quando bisogna aprire e quando chiudere, così la lingua e la bocca non sono di alcuna utilità qualora non siano dirette dalla ragione; ad essa Dio ne ha affidato la cura con l’aprirle e con il chiuderle con ogni vigilanza, con tutta la circospezione possibile, filtrando le parole che deve lasciar uscire e quelle che deve invece ritenere. «La spada ne ha fatto perire meno della lingua. » – Così l’autore sacro dell’Ecclesiastico ci fa questa raccomandazione: mettete alla vostra bocca delle porte e delle sbarre, fate una bilancia per le vostre parole; (Eccli. XXVIII, 28); e in altra parte: « Chi darà una sentinella alla mia bocca, chi metterà un sigillo inviolabile sulle mie labbra, affinché io non cada, e la mia lingua non causi la mia perdita? » (XXII, 33). Dio solo lo può: « è dell’uomo – dice Salomone – preparare la propria anima, e del Signore governare la sua lingua. » – Noi abbiamo qui la nostra parte di azione, ed è per questo che il saggio ci dà il precetto di mettere alla nostra bocca una porta e delle sbarre. Ma egli vi fa pure implorare il soccorso di Dio, se noi vogliamo che i nostri sforzi siano coronati da successo. Poniamo dunque una guardia costante alla nostra bocca, che la nostra ragione le serva da chiave, non per tenerla sempre chiusa, ma per non aprirla se non in tempo opportuno. Talvolta il silenzio è più utile della parola, altra volta la parola è preferibile al silenzio. Se la bocca doveva essere sempre costantemente aperta, che bisogno c’era di mettervi una guardia? Se insieme ci sono delle porte ed una guardia, è perché noi facciamo ogni cosa nel tempo opportuno. (S. Chrys.). – Quali sono queste parole di malizia da cui il Profeta chiede a Dio di preservarlo? Esse sono numerose e di tipo diverso: le parole insidiose e perfide, quelle che fanno oltraggio a Dio, che ispirano l’allontanamento dalle virtù e l’amore del vizio, quelle che, spargendo cattive dottrine, risentendo dell’eco di costumi perversi, si fanno ascoltare con piacere, e molte altre simili, quelle cioè che sono parole di malizia, e che provengono da un cuore profondamente corrotto. (S. Chrys.). – Le parole di malizia più pericolose sono quelle che cercano di scusare i peccati, e che malauguratamente, mascherano sì abilmente le colpe che appena si riconoscono. – Una delle vie che conducono più direttamente alla morte, è lo stato di un’anima peccatrice che, liberandosi di ogni timore, cerca dei pretesti per coprire il proprio lassismo. Il peccato è un gran male, sicuramente, ma un male ben più spaventoso è negare il peccato dopo che sia stato commesso. (S. Chrys.). – Non c’è colpevole che non abbia le sue ragioni; i peccatori non hanno fatto molto se non aggiungono l’audacia di scusare la loro colpa a quella di commetterla; e se poco era l’iniquità con lo spingerci a seguirla, essa si ingrandisce ancor più con il difenderla. Sempre, o qualcuno ci ha indotto, o qualche incontro imprevisto ci ha spinto nostro malgrado; diversamente, avremmo fatto … lo stesso. E se fuor di noi non troviamo su chi far ricadere la colpa, cerchiamo qualche cosa in noi che non venga da noi stessi, il nostro umore, la nostra inclinazione, la nostra natura. È il linguaggio ordinario di ogni peccatore. Così, noi non abbiamo più bisogno di cercar delle scuse; il nostro crimine basta a se stesso, e non cerchiamo un mezzo più forte per la nostra giustifica, se non nell’eccesso della nostra malizia (BOSSUET, Sur l’effic. de la Pén.). – Occorre non aver nessun rapporto – soprattutto di intimità – con coloro che fanno il male e non prendere parte i festini o ai piaceri di questi uomini di iniquità. È nella società dei peccatori che si impara non solo a conoscere il crimine, ma a giustificarlo, a rivestirlo addirittura dei colori della virtù. I peccatori orgogliosi sono come la donna adultera di cui parla il saggio. Dopo il suo crimine, ella sembra ancora piena di fiducia, « … ella mangia, asciuga la bocca e dice: non ho fatto alcun male (Prov. XX, 20).

ff. 5. – « Ecco il senso del Profeta. Io non voglio aver alcun rapporto con coloro che mi propongono un linguaggio ingannevole per perdermi; io mi lego di preferenza a coloro che, più severi, mi indirizzano rimostranze utili, scoprono i miei peccati e riprendono le mie colpe. » In effetti, uno delle più grandi caratteristiche della misericordia e della carità è curare le ferite dell’anima. (S. Chrys.). – « Ma l’olio del peccatore non ingrasserà la mia testa. » Ma direte: cosa posso fare? Io sono preda degli ingannatori, essi non cessano di mormorare alle mie orecchie. Adulatori, ingannatori, mendaci, essi lodano in me ciò che non vedo, lodano in me ciò che non stimo, e ciò che mi è più caro,  invece in me lo riprendono … Che il peccatore non ingrassi la vostra testa con il suo olio; vale a dire, non vi rallegrate di simili parole, non le accettate, non vi acconsentite, non vi felicitate. Egli vi avrà presentato l’olio dell’adulazione, ma la vostra testa resti intatta, non si gonfi, non abbia rigonfiamenti. (S. Agost.). – Il Profeta compara le adulazioni dell’uomo perverso e corrotto ad un profumo velenoso; questi ha l’odore di un profumo squisito, ma porta la morte come il più fatale dei veleni. (Berthier). – Diffidiamo dunque delle lodi e dei complimenti degli uomini. Guardatevi dall’adulatore che spande profumi sulla vostra testa: sappiate che egli non fa scoprire il suo gioco, con questa immensa profusione di lodi che sparge a piene mani, egli si prende la libertà di denigrare la vostra condotta, o anche tradirvi senza essere sospettato. Chi non ti odierebbe o adulazione corruttrice della vita umana, con i tuoi perfidi abbracci ed i baci velenosi, perché sei tu che dai il divin Salvatore tra le mani dei suoi nemici implacabili? (BOSSUET, III Serm. p. le Vend. Saint.).  

II. — 6 – 10.

ff. 6, 7. Nulla di più facile e di così comune che l’avere compiacenza per coloro che ne hanno nei nostri riguardi: adulare coloro che ci adulano, amare coloro che ci amano, e divenire simile a loro. -Non soltanto, dice il Re-Profeta, non voglio le loro perniciose adulazioni, né le loro reprimende, ma mi dichiaro apertamente contro la loro lussuria, e lungi dall’accettare la loro falsa compassione, opporrò la mia preghiera ai loro colpevoli desideri. (S. Chrys.). – Il Profeta, in questi versetti, predice dapprima il castigo, poi il ritorno e la riconciliazione di una parte dei suoi nemici: gli uni precipitati e battuti contro la pietra, gli altri arrendevoli alla sua voce. (Berthier). – Parola di Dio è potente ed efficace, particolarmente sulla bocca di un uomo animato dallo spirito di Dio e santo, come Davide. Pure la terra più dura si apre sotto lo sforzo del vomere dell’aratro; così il cuore dell’uomo non resiste alla potenza ed all’efficacia della parola divina. – « Essi comprenderanno le mie parole, perché esse hanno prevalso. » Le mie parole hanno prevalso sulle loro parole. Essi hanno parlato da uomini loquaci, ed io, io ho detto la verità … Perché esse hanno prevalso? Perché sono state predicate da uomini che non avevano paura. Non avevano paura di cosa? Dell’esilio, della rovina, della morte, della croce. Non solo non temevano la morte, ma non temevano la morte di croce, che sembrava fra tutte, la più ignominiosa, perché l’aveva scelta il Signore. Dunque, è per essere state predicate da uomini senza paura che esse hanno prevalso. (S. Agost.). Questo è il ritratto vivo di un giusto gravemente tentato o ingiustamente perseguitato: le sue ossa, cioè la forza della sua anima, sono indebolite. Noi abbiamo sofferto mali estremi, dice il Re-Profeta; come una terra strappata, scavata in ogni senso, siamo stati dispersi, votati a rovina certa, portati all’orlo della tomba. Noi siamo sull’orlo del precipizio, e tutto ciò che possiamo fare, è non cadere. (S. Chrys.) 

ff. 8-10. – « Nel segreto mi hanno teso un laccio lungo la strada sulla quale avanzavo, » tanto quanto è ad essi possibile fare, perché lo hanno posto vicino alla via. « Voi ignorate, dice la scrittura, che avanzate in mezzo alle insidie, » (Eccli. IX, 20). Che vuol dire: « in mezzo alle insidie? » Sulla via del Cristo, da ogni lato ci sono insidie, insidie a destra, trappole a sinistra; a destra la prosperità del secolo, a sinistra l’avversità del secolo; le trappole di destra sono delle promesse, quelle di sinistra, delle minacce. Quanto a voi, camminando in mezzo alle insidie, non uscite dalla vostra strada; non vi lasciate né sedurre dalle promesse, né abbattere dalle minacce. « Nella via in cui avanzavo, mi hanno teso un laccio in segreto. » (S. Agost.). – Sempre ci vengono poste insidie, o dagli eretici, o dagli empi, o dai demoni. Le vie hanno una certa affinità con le virtù. I demoni mi tendono una trappola nella elemosina, se apro le mie mai ai poveri per essere visto dagli uomini, e apparendo nel fare il bene, cado nel vizio e nel peccato di vanagloria. Se do la mia tunica a mio fratello per essere visto da un altro, mi è teso ancora un laccio. (S. Girol.). –  Due cose sono da temere per la morte dell’anima: 1° le insidie del demonio che sono o la concupiscenza della carne, o la concupiscenza degli occhi, o l’orgoglio della vita; 2° i cattivi esempi e gli scandali di coloro che vivono secondo i desideri della loro carne, degli avari e degli orgogliosi. – Il Profeta domanda due cose: la prima, di conoscere le insidie che gli tendono i suoi nemici; la seconda di essere preservato dalla protezione del Signore (Berthier-Duguet). – Il Profeta non ignora i pericoli che corre la sua speranza, quando dice: « guardatemi dalla insidia che mi hanno teso e dagli scandali di coloro che operano l’iniquità. » Dappertutto in effetti, ci sono insidie, dappertutto scandali; il mondo è pieno di imboscate che ci sono mosse dal principe di questo mondo, o dagli spiriti di malizia sparsi nell’aria, o dai figli della disobbedienza nei quali opera lo spirito di errore. Insidie ci vengono tese dagli uomini di cattivo consiglio, o da pericolosi esempi, quando ci eccitano a prendere parte alle voluttà ed ai piaceri del mondo; quando manifestano empietà contro Dio in seno alla prosperità; quando con i loro insulti ed oltraggi, seminano turbamenti ed agitazione nella nostra volontà. Ora, l’insidia o il laccio, differisce dallo scandalo: l’insidia è una eccitazione alla voluttà, ad un’azione illecita che, come un’insidia, allaccia colui che si lascia prendere; lo scandalo è una sposa senza religione, un figlio dalla cattiva condotta, un fratello blasfemo, avaro, invidioso o schiavo di vergognosi vizi. Questi sono posti là come soggetti di scandalo che ci mettono nella necessità di irritarci, di riprendere, di reprimere, di punire ed uscire dalla calma abituale della nostra fede (S. Hilar.). – È una proposizione assoluta e senza restrizione, che i peccatori cadranno prima o dopo nelle insidie che essi avranno teso agli uomini giusti ed alla virtù. – in mezzo alle insidie che coprono la terra, il miglior partito che c’è da prendere è il ridursi alla solitudine, sempre che lo stato in cui ci si trovi possa permetterlo. « Io sono solo, fino a quando io passi.» Non sembra che egli si paragoni ad un uomo impegnato in una via difficile, o circondato da nemici che lo pressano e gli impediscono il passaggio? Non si crederebbe che si trovi all’entrata di una oscura foresta o di un fiume pericoloso, e che non aspiri che a lasciare questo cattivo stato più presto che gli sarà possibile? Questa è la vita di ogni uomo che giunga al termine che è l’eternità. Egli deve dire: … che il mondo, con le sue frivolezze, mi lasci tranquillo, « … fino a che io passi. » Cosa mi interessa tutta la grandezza umana, dal momento che « … io passo. »? Perché, durante questo passaggio, intraprenderò di soddisfare le mie passioni? Io non mi stabilirò su questa terra che non è il mio termine, e sulla quale non faccio che transitarvi. Un viaggiatore non si arresta, passa; questa è la sua unica cura, e non ne desidera che il fine, fine che non debba essere un luogo di passaggio, ma un soggiorno fisso ed immutabile (Berthier).

SALMI BIBLICI: “ERIPE ME, DOMINE, AB HOMINE MALO” (CXXXIX)

SALMO 139: Eripe me, Domine, ab homine malo  

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS. 

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 139

In finem. Psalmus David.

[1] Eripe me, Domine, ab homine malo;

a viro iniquo eripe me.

[2] Qui cogitaverunt iniquitates in corde, tota die constituebant praelia.

[3] Acuerunt linguas suas sicut serpentis; venenum aspidum sub labiis eorum.

[4] Custodi me, Domine, de manu peccatoris, et ab hominibus iniquis eripe me: qui cogitaverunt supplantare gressus meos;

[5] absconderunt superbi laqueum mihi, et funes extenderunt in laqueum; juxta iter scandalum posuerunt mihi.

[6] Dixi Domino: Deus meus es tu; exaudi, Domine, vocem deprecationis meae.

[7] Domine, Domine, virtus salutis meae, obumbrasti super caput meum in die belli.

[8] Ne tradas me, Domine, a desiderio meo peccatori; cogitaverunt contra me; ne derelinquas me, ne forte exaltentur.

[9] Caput circuitus eorum, labor labiorum ipsorum operiet eos.

[10] Cadent super eos carbones, in ignem dejicies eos; in miseriis non subsistent.

[11] Vir linguosus non dirigetur in terra, virum injustum mala capient in interitu.

[12] Cognovi quia faciet Dominus judicium inopis, et vindictam pauperum.

[13] Verumtamen justi confitebuntur nomini tuo; et habitabunt recti cum vultu tuo.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXXXIX.

Preghiera della Chiesa contro il demonio ed i suoi istrumenti, i malvagi, non già di Davide contro Saulle, non dicendosi nel Salmo cosa che si appropri a Davide ed a Saulle.

Per la fine: salmo di David.

1. Liberami, o Signore, dall’uomo cattivo; liberami dall’uomo iniquo.

2. Quei che in cuor loro macchinavano pensieri di iniquità, tutto il giorno preparavan battaglie.

3. Hanno affilate le loro lingue, come serpenti: hanno veleno di aspidi sotto le loro lingue.

4. Difendimi, o Signore, dalla mano del peccatore; e liberami dagli uomini iniqui. I superbi, che macchinavano di farmi cadere, mi han preparato un laccio nascostamente.

5. E le funi hanno tese per prendermi: mi hanno posto inciampo lungo la strada.

6. Ho detto al Signore: Tu se il mio Dio; esaudisci, o Signore, la voce di mia preghiera.

7. Signore, Signore, mia forte salute, tu facesti ombra alla mia testa nel dì del conflitto. (1)

8. Non darmi, o Signore, alle mani del peccatore, com’ei mi desidera; hanno macchinato contro di me, non mi abbandonare, affinché non s’insuperbiscano.

9. Il forte de’ loro raggiri, il faticoso lavoro delle loro labbra gli avvilupperà. (2)

10. Cadranno carboni sopra di essi; tu li getterai nel fuoco; non reggeranno alle miserie.

11. L’uomo di mala lingua non avrà prosperità sopra la terra; l’uomo ingiusto sarà preda delle sciagure nel suo morire.

12. Io so che il Signore farà giustizia ai bisognosi, e vendicherà i poveri.

13. I giusti poi daran laude al tuo nome; e gli uomini di rettitudine abiteranno sotto i tuoi occhi.

(1) Queste parole: « a desiderio meo, » significano più logicamente contro il mio desiderio, e, se si adottasse quest’ultimo senso, bisognerebbe intenderlo come di un desiderio corrotto.

 (2) « Caput circuitus eorum, »  vale a dire, ciò che c’è di essenziale, di più forte, di piu formidabile in coloro che mi circondano, o in ciò che è intorno a me, cioè la perversità della loro lingua. – O, se si vuole, il capo di coloro che mi circondano e mi assediano, vale a dire Doeg o Architofel, secondo che si riporti questo salmo alla persecuzione di Saul o Assalonne.

Sommario analitico

In questo salmo, che ha molte analogie con il LV, e che si può far risalire alla persecuzione di Saul e dei suoi cortigiani, o a quella di Assalonne,

I. – Il Re-Profeta prega Iddio di liberarlo dalla mano dei malvagi con cui dipinge, sotto diverse figure la malvagità e la malizia (1):

1° i loro disegni perversi (2),

2° le loro maldicenze, le loro calunnie e le loro menzogne (3),

3° le loro violenze e inganni (4-5).

II. – Egli esprime la fiducia che ha di essere esaudito, e dà a Dio come motivo:

1° che Egli è la sua forza e la sua salvezza (6),

2° che ha già provato gli effetti della sua protezione (7),

3° l’insolenza dei suoi nemici (8).

III. – Prevede e predice i castighi che subiranno gli empi, persecutori dei giusti:

1° l’arma più formidabile di coloro che lo perseguitano, le loro deviazioni piene di malignità e perversità delle loro lingue, ricadrà su di essi (9);

2° il fulmine piomberà su di essi ed essi saranno precipitati nel fuoco dell’inferno (10);

3° calamità innumerevoli saranno la parte degli uomini dalla lingua perfida, ed i mali più grandi perseguiranno gli uomini ingiusti, fino alla morte (11);

4° mentre una sorte migliore sarà riservata agli oppressi, ed una beatitudine eterna, con la gioia della vista di Dio, sarà il premio dei giusti e dei cuori retti (12, 13).

Spiegazioni e Considerazioni

I. —1-5.

ff. 1. – « Liberatemi dall’uomo malvagio. » Non da questo tale o tal altro uomo malvagio, ma dall’intera specie; non solo dagli strumenti, ma dal loro principe, cioè dal demonio stesso. Perché dunque dire: « dall’uomo malvagio, » se si tratta del diavolo? Perché egli è figurato così chiamato con questo nome nel Vangelo: « L’uomo nemico venne e seminò la zizzania sopra in buon grano. » (Matth. XIII, 20-28). Pregate dunque con tutto il vostro potere, per essere liberato dall’uomo malvagio. « Perché voi non lottate contro la carne ed il sangue, ma contro i principati e le potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebre, » (Ephes. VI, 12), cioè contro i dominatori dei peccatori (S. Agost.). – L’uomo malvagio è lo stesso che l’uomo ingiusto; perché il Profeta lo chiama malvagio? perché è ingiusto, per paura che voi non pensiate che un ingiusto possa essere buono. In effetti, ci sono degli ingiusti che sembrano essere dannosi: essi non sono né crudeli né duri, non perseguitano e non opprimono nessuno; ma essi sono ingiusti perché lussuriosi, invidiosi, voluttuosi. Come potrebbe, colui che non risparmia nulla a se stesso, non nuocere ad altri? In effetti, innocente è colui che non nuoce, ma non colui che nuoce a se stesso. E come colui che nuoce a se stesso potrebbe non muoversi? Ma in cosa vi nuoce? Egli vi nuoce almeno con l’esempio, poiché vivendo con voi, vi invita a fare ciò che egli fa. E vedendolo prosperare tra le sue turpitudini, non siete anche voi indotti in simili godimenti? Anche se voi non acconsentite, vi troverete almeno un’occasione di lotta. Come dunque non vi nuoce, se vi spinge a combattere nel vostro cuore l’attrattiva delle sue azioni? (S. Agost.).  

ff. 2. « Essi hanno meditato il male nel loro cuore; » essi non sono stati trasportati da un movimento irriflessivo, questi disegni iniqui sono l’opera di una profonda premeditazione. « Essi hanno meditato; » cioè essi hanno adoperato tutte le risorse, ogni attività del loro spirito (S. Chrys.). – « Essi hanno complottato ingiustizie nel loro cuore. » Il Profeta ha parlato così per coloro che hanno spesso sulle labbra delle buone parole. Voi comprendete la voce di un giusto, ma non trovate mai il cuore di un giusto; altrimenti, perché il Profeta avrebbe aggiunto: « Essi hanno complottato delle ingiustizie nel loro cuore? » Liberatemi da loro; che la vostra mano onnipotente mi strappi a loro. Perché è facile evitare inimicizie aperte; è facile sbarazzarsi di un nemico che si presenta e si mostra tale, e la cui iniquità è evidente nelle sue parole; questo nemico è inopportuno, ma l’altro è invece pericoloso; è difficile evitare colui che ha il bene sulle labbra e nasconde il male nel suo cuore (S. Agost.). –  « Essi ogni giorno mi combattono. » Il salmista abbraccia tutta la vita in queste parole. La guerra della quale parla qui, non è quella che si fa con le truppe schierate in battaglia e le armi in pugno, ma quella guerra che gli uomini si fanno in pubblica piazza e all’interno delle loro dimore, senza corazza protettiva, senza scudo di difesa; essi hanno come arma la loro malvagità, e lanciano le loro parole più spinose dei dardi più acuti. Ora ciò che dimostra l’eccesso della loro perversità, non è tanto che siano ricorsi all’inganno, alla dissimulazione, né che non concepiscano se non lotta e combattimenti, ma piuttosto che tutta la loro vita trascorra senza tregua in questa guerra omicida (S. Chrys.).

ff. 3. – « Essi hanno aguzzato le loro lingue come quella del serpente. » Vedete come è ignobile il vizio. Esso cambia gli uomini in animali velenosi, in aspidi, in serpenti e spinga fino agli istinti più feroci quella lingua creata per essere l’organo della ragione. (S. Chrys.). 

ff. 4. – È nel serpente soprattutto che si trova l’astuzia e l’inganno allo scopo di nuocere; è per questo che egli procede tortuosamente. Esso non ha piedi, il fruscio almeno avvertirebbe il suo arrivo! Nella sua marcia, si trascina dolcemente, ma mai seguendo una linea retta. È dunque così che questi uomini che procedono come serpenti per fare del male, nascondono il loro veleno in un contatto pieno di dolcezza. Essi avvolgono con le loro spire l’innocenza che li ossessiona, sibilano contro la virtù che insultano, lacerando con i loro morsi le virtù più divine. Il Profeta continua: « Sotto le loro labbra si nasconde il veleno degli aspidi. » Notate: il loro veleno è sotto le loro labbra, di modo che troveremmo sotto le loro labbra ben altra cosa di ciò che si mostra sulle loro labbra. Il Profeta li designa assai chiaramente in altro salmo, ove dice: « Essi hanno per il prossimo parole di pace, ma cattivi pensieri sono nei loro cuori. » (Ps. XXVII, 37), (S. Agost.). – Quando il serpente vede avanzarsi verso qualcuno per colpirlo, fa un cerchio di tutto il suo corpo, e al centro nasconde la testa, perché sa che essa è il principio della sua vita. È così che i nemici della Religione sembrano nascondersi, proteggersi e difendersi, avvolgendosi in discorsi filosofici. Ma il Sacerdote versato nella scienza delle Scritture, armato di una verga, cioè della croce, rompe questo cerchio, trova la testa che vi era nascosta, e la colpisce producendo le testimonianze delle Scritture. (S. Girol.). « Essi hanno teso un laccio sui miei passi. » Se essi non hanno potuto realizzare i loro pensieri, è alla sovrana bontà di Dio che bisogna attribuirlo; è Lui che ha deviato i loro ingiusti disegni. Vedete come il crimine è profondamente meditato, gli ostacoli sapientemente posizionati. Essi li hanno nascosti, li hanno tesi lungo il cammino, affinché la lunghezza stessa della trappola, la cura con cui era nascosta e la sua prossimità, vi faccia cadere inevitabilmente colui che essi vogliono perdere. Essi sono stati dei veri artigiani del crimine, mettendo insidie in ogni luogo, con l’unico scopo di prendere un uomo (S. Chrys.)

ff. 5. – Ma non si tratta solamente, come da un vostro nemico, di indurvi in errore in qualche affare che avete con lui, né di ingannarvi in un processo ove un tribunale è tra voi giudicante. Egli avrà ostacolato la vostra strada se vi ha fatto ostacolo nella via di Dio, in maniera da farvi vacillare nel bene, o scivolare via dalla via, o cadere sulla via, o restare immobile nella via, o tornare indietro verso il punto di partenza. Tutte le volte che riesce in qualche cosa del genere, esso vi soppianta, vi inganna. Pregate per sfuggire a questo tipo di insidie, per paura di perdere il vostro patrimonio celeste ed il vostro titolo di coerede di Cristo, poiché siete chiamato a vivere eternamente con Colui che vi ha fatto suo erede; perché Colui che vi ha costituito suo erede non vi chiama a succedergli dopo la sua morte, ma a vivere eternamente insieme a Lui (S. Agost.). –  « Essi hanno teso delle corde per servire da lacci ai nostri piedi. » Cosa significano questi lacci? È detto in altra parte: « Ciascuno è legato dalle catene del suo peccato; » (Prov. V, 22); ed Isaia dice chiaramente: « Maledizioni a coloro che trascinano i loro peccati come una lunga corda. » (Isai. X, 18). Ma perché comparare i peccati ad una corda? Perché ogni peccatore che persevera nei suoi peccati, aggiunge peccato su peccato, e mentre dovrebbero correggersi accusando il proprio peccato, lo raddoppiano difendendolo, non considerandolo tale nel confessarlo, e spesso perché vogliono premunirsi con nuovi peccati, contro quelli che hanno già commessi. (S. Agost.). –  Essi hanno dunque voluto farmi cadere per mezzo dei loro peccati. E queste corde, dove le hanno tese?  « Essi hanno posto delle trappole presso i miei sentieri, » non “nei” miei sentieri, ma « vicino ai miei sentieri. » I vostri sentieri, sono i Comandamenti di Dio. Essi hanno posto le loro trappole vicino ai sentieri; non uscite da questi sentieri e non cadrete nelle loro trappole (S. Agost.). 

II. — 6-8.

ff. 6-8. – Qual risorsa vi resta? Qual rimedio in mezzo a tanti mali, in mezzo a queste tentazioni, a questi pericoli? « Io ho detto al Signore, voi siete il mio Dio. » Se non siete santi, non potete dire al Signore: «Voi siete il mio Dio. » Non c’è che colui sul quale il peccato non regni che possa dire: « Il Signore è mia eredità. » (S. Girol.). – I malvagi sono degli uomini, ma essi non sono dei miei; ma Voi, Voi siete Dio ed il mio Dio. Ma forse che Dio non è il Dio degli ingiusti? Perché di chi non è Dio Colui che è il vero Dio? Tuttavia Egli è, propriamente parlando, il Dio di coloro che gioiscono di Lui, che lo servono, che gli sono sottomessi con gioia. (S. Agost.). – « Ascoltate la voce della mia supplica, non i suoni delle mie parole, ma ciò che dà vita alle mie parole. In effetti, i suoni che l’anima non vivifica, non possono chiamarsi suoni; non parole; la voce è propria degli essere animati, degli esseri che vivono. (S. Agost.). – « Voi siete la forza da cui viene la salvezza, e perché ho questa speranza? « Perché Voi avete protetto la mia testa con la vostra ombra nel giorno della guerra. » Ora ancora, io devo combattere, combatto fuori contro gli ipocriti, combatto dentro contro le mie voluttà, perché « io vedo nelle mie membra un’altra legge che combatte la legge del mio spirito e mi rende schiavo sotto la legge del peccato, che io sento nelle mie membra, maledetto uomo che sono! Chi mi libererà da questo corpo di morte? La grazia di Dio, per Gesù-Cristo nostro Signore (Rom. VII, 23-25). Nei duri lavori di questa guerra, egli ha dunque fissato i suoi sguardi sulla grazia di Dio; e siccome già cominciava a soffrire il calore ed a disseccarsi, ha trovato un’ombra che gli ha reso la vita. (S. Agost.). – Non molto tempo prima – egli dice – ma è nel giorno stesso in cui il malore mi minacciava, quando i miei nemici cioè stavano per venire alle mani, e correvo i più grandi pericoli, che mi avete messo in sicurezza. Dio non ha bisogno né di preparazione né di esortazione, Egli che conosce il presente, l’avvenire, il passato, e che è sempre là pronto a venire in nostro soccorso. « Voi avete messo la mia testa all’ombra; » Vale a dire, Voi mi avete messo al riparo dal più leggero pericolo, dal minimo calore. Grazie a Voi, io ho gustato una sicurezza, una gioia, una tranquillità senza pari; lungi dal soffrire un calore importuno, io mi sono riposato sotto la vostra ombra con delizia, libero da ogni pericolo, libero da ogni timore… David non dice: non mi abbandonate, perché io sono degno di questo favore; non mi abbandonate in considerazione della mia vita passata nella pratica della virtù. Qual motivo egli adduce? « Nel timore che essi non si ergano; » cioè per timore che non divengano più insolenti e che il mio abbandono non ispiri loro una arroganza ancor più grande. (S. Chrys.).

III. — 9-13.

ff. 9-11. –  L’espressione « Circuito, deviazione, » vuol dire le loro riunioni, I loro conciliaboli, i laboratori dei crimini, i loro abominevoli disegni. Il Salmista vuol loro dire: i loro progetti criminali e tutta la malignità del loro spirito perverso e corrotto li schiacceranno e li perderanno senza ritorno. (S. Chrys.). – Il principio del cerchio che descrivono, cioè l’orgoglio, il lavoro delle loro labbra, li coprirà. E cos’è il cerchio che essi descrivono? È il fatto che essi marciano girando su se stessi e non si arrestano mai, vagano nel labirinto dell’errore nel quale il cammino non ha mai fine. In effetti, ogni uomo che faccia un lungo viaggio comincia da una qualche parte e finisce in un altro luogo; ma colui che cammina in cerchio, non arriva mai. Questo è il lavoro degli empi che il Profeta descrive più chiaramente in un altro salmo, dicendo: « gli empi camminano in cerchio girando. » (Ps. XI, 9). Ma il principio del cerchio che essi descrivono, è l’orgoglio, perché è l’orgoglio l’inizio di ogni peccato. (Eccli. IX, 15). Ma come l’orgoglio è « il lavorio dei loro peccati? » Infatti ogni orgoglioso è ipocrita ed ogni ipocrita è mendace. Gli uomini lavorano per mentire, mentre nulla è più facile che dire la verità. È un lavoro fabbricare le proprie parole, ma non c’è lavorio per chi vuol dire la verità; la verità parla da sé senza sforzo (S. Agost.). « … Il lavoro delle loro labbra. » Questo lavoro, è la loro malvagità. In effetti la malvagità è un vero lavoro; essa diviene principio di rovina per il suo autore, e schiaccia chi se ne renda colpevole. (S. Crys.). – Pene inflitte agli empi sono i castighi che cadono dall’alto, inviati cioè dalla giustizia di Dio: il fuoco della collera di Dio, che cade dal cielo, le fiamme divoranti in cui saranno gettati, miserie insopportabili nelle quali non potranno sussistere, dalle quali saranno come schiacciati sena potersi sostenere né risollevare, e nelle quali dimoreranno eternamente, senza poterne mai uscire. – L’ « uomo della lingua » è una espressione che non si può troppo considerare. Si chiama uomo di piacere colui che cerca incessantemente di soddisfare il gusto che ha per la voluttà; si chiama uomo di buona carne, colui che fa dei piaceri della tavola un suo interesse capitale; ugualmente l’uomo della lingua deve essere colui che si dà a tutti gli eccessi che si possono commettere parlando. L’Apostolo San Giacomo dice che con la lingua si benedice Dio e si maledicono gli uomini, per far capire che i giusti si servono della lingua per rendere omaggio a Dio, ed i malvagi se ne servono per perseguitare il prossimo. Ora, colui che benedice Dio non è l’uomo della lingua, ma è l’uomo del cuore; egli medita molto e parla poco: è per questo che Gesù-Cristo raccomandava ai suoi discepoli di non fare lunghi discorsi pregando. L’uomo di lingua è assolutamente e senza eccezione, secondo il linguaggio della Scrittura, colui che abusa della parola, sia per oltraggiare il Signore, sia per nuocere al prossimo (Berthier). – Ora, quest’uomo non prospererà sulla terra; letteralmente, « non camminerà dritto. » L’uomo intemperante con la lingua, ama la menzogna. Qual è in effetti il suo piacere, se non quello di parlare? Poco importa di cosa parli, purché parli. È impossibile che cammini rettamente. (S. Agost.). – Ora, un tale uomo si vede per la maggior parte del tempo come oggetto di un odio condiviso sia dai buoni che dai malvagi. È il nemico generale, è odioso e di peso a tutti, nessuno può sopportarlo. E come l’uomo dolce, paziente, che sa tacere, è solidamente stabilito in una perfetta sicurezza, amato da tutti, così colui che non sa contenere la sua lingua conduce una vita sempre incerta, si fa numerosi nemici, ed oltretutto riempie la sua anima di agitazione e non si concede un momento di riposo. (S. Chrys.). – Questi mali di cui sarà caricato durante la sua vita, lungi dal meritare un giorno, come i giusti, le ricompense dovute alla pazienza, cadranno su di lui come un diluvio al momento della sua morte, e non gli serviranno che ad aggravare la sua sorte eterna.

ff. 12, 13. – Due elementi vi sono nella giustizia di Dio: punire i malvagi, ricompensare i buoni. – Il Profeta dichiara che questi due atti della giustizia di Dio sono di egual  verità. – Il Signore farà giustizia ai deboli ed ai poveri, punendo i loro persecutori e coronando essi stessi. – Essi loderanno eternamente il nome di Colui che avrà preso le loro difese. – Al momento in cui sosterrete la loro causa, o farete loro giustizia, essi confesseranno il vostro nome; essi non attribuiranno niente ai loro meriti, attribuiranno tutto alla vostra misericordia … E dove saranno le loro delizie, ove sarà il loro riposo, ove sarà la loro gioia, dove sarà la loro beatitudine? In se stessi? No, ma in Colui che li colmerà di gioia manifestandosi ad essi. Purifichiamo il nostro viso, per trovare la nostra gioia contemplando il suo volto: « Perché noi siamo i figli di Dio – dice San Giovanni – e ciò che noi saremo non è ancora apparso: noi sappiamo che, quando apparirà, noi saremo simili a Lui, perché lo vedremo così com’è. » (S. Agost.).

SALMI BIBLICI: “DOMINE, PROBASTI ME ET COGNOVISTI ME” (CXXXVIII)

SALMO 138: DOMINE, PROBASTI ME ET COGNOVISTI ME”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS. 

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 138

In finem, psalmus David.

[1] Domine, probasti me, et cognovisti me;

[2] tu cognovisti sessionem meam et resurrectionem meam.

[3] Intellexisti cogitationes meas de longe; semitam meam et funiculum meum investigasti;

[4] et omnes vias meas prævidisti, quia non est sermo in lingua mea.

[5] Ecce, Domine, tu cognovisti omnia, novissima et antiqua. Tu formasti me, et posuisti super me manum tuam.

[6] Mirabilis facta est scientia tua ex me; confortata est, et non potero ad eam.

[7] Quo ibo a spiritu tuo? et quo a facie tua fugiam?

[8] Si ascendero in cælum, tu illic es; si descendero in infernum, ades.

[9] Si sumpsero pennas meas diluculo, et habitavero in extremis maris,

[10] etenim illuc manus tua deducet me, et tenebit me dextera tua.

[11] Et dixi: Forsitan tenebrae conculcabunt me; et nox illuminatio mea in deliciis meis.

[12] Quia tenebrae non obscurabuntur a te, et nox sicut dies illuminabitur; sicut tenebrae ejus, ita et lumen ejus.

[13] Quia tu possedisti renes meos; suscepisti me de utero matris meæ.

[14] Confitebor tibi, quia terribiliter magnificatus es; mirabilia opera tua, et anima mea cognoscit nimis.

[15] Non est occultatum os meum a te, quod fecisti in occulto; et substantia mea in inferioribus terræ.

[16] Imperfectum meum viderunt oculi tui, et in libro tuo omnes scribentur. Dies formabuntur, et nemo in eis.

[17] Mihi autem nimis honorificati sunt amici tui, Deus; nimis confortatus est principatus eorum.

[18] Dinumerabo eos, et super arenam multiplicabuntur. Exsurrexi, et adhuc sum tecum.

[19] Si occideris, Deus, peccatores, viri sanguinum, declinate a me;

[20] quia dicitis in cogitatione: Accipient in vanitate civitates tuas.

[21] Nonne qui oderunt te, Domine, oderam? et super inimicos tuos tabescebam?

[22] Perfecto odio oderam illos, et inimici facti sunt mihi.

[23] Proba me, Deus, et scito cor meum; interroga me, et cognosce semitas meas.

[24] Et vide si via iniquitatis in me est; et deduc me in via æterna.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXXXVIII.

Dio premia le opere buone, e punisce le cattive. Egli vede e considera tutte le cose più nascoste; onde niuna può sfuggire al suo giudizio, per ricevere da lui o premio o punizione.

Per la fine: salmo di David.

1. Signore, tu hai fatto saggio di me, e mi hai conosciuto;

2. tu hai conosciuto il mio stare e il mio andare.

3. Tu da lungi vedesti i miei pensieri; osservasti il filo dei miei passi. (1)

4. E le mie vie tutte tu prevedesti, anche quando parola non è sulla mia lingua. (2)

5. Ecco che tu, o Signore, le cose tutte hai conosciute, le ultime e le antiche; tu mi formasti, e ponesti sopra di me la tua mano.

6. Mirabile, si è renduta in me la tua sapienza; ella è molto elevata, e ad essa non potrò io aggiungere.

7. Dove anderò io lontan dal tuo spirito, e dove l’uggirò io lontan dalla tua faccia?

8. Se salirò al cielo, ivi se’ tu; se scenderò nell’inferno, tu sei presente.

9. Se io prenderò le ali al mattino, e anderò a stare nelle ultime parti del mare, (3)

10. Colà pure mi guiderà la tua mano, e starò sotto il potere della tua destra.

11. E io dissi: Forse mi occulteranno le tenebre; ma la notte è luce, che mi disvela ne’ miei piaceri;

12. Perocché le tenebre non sono oscure per te, e la notte sarà illuminata come il giorno; il buio e la luce son la stessa cosa per lui.

13. Perocché tu se’ padrone de’ miei affetti; prendesti cura di me fin dal seno di mia madre.

14. Darò lode a te, perché sommamente grande ti se’ dimostrato: le opere tue son mirabili, e troppo bene il conosce l’anima mia.

15. Non sono ignote a te le mie ossa lavorate nel segreto, la mia sostanza lavorata nelle viscere della terra.

16. Gli occhi tuoi mi videro quand’io era informe: or tutti nel tuo libro saranno scritti; nuovi giorni si formeranno, e neppur uno ne mancherà. (4)

17. Ma sono grandemente onorati da me, o Dio, gli amici tuoi; grandemente possente è divenuto il loro impero.

18. Se vorrò contarli, saran più che l’arene del mare; mi alzai, e sono ancora con te. (5)

19. Se tu, o Dio, porrai a morte i peccatori: ritiratevi da me, o uomini sanguinari.

20. Perché voi dite dentro di voi: Inutilmente si faranno eglino padroni di tue cittadi.

21. E non ho io odiati, o Signore, quelli che ti odiano? e non mi struggeva a cagione dei tuoi nemici?

22. Con odio perfetto io gli odiava, e mi son fatti nemici.

23. Provami, o Signore, e il mio cuore disamina; interrogami, e riconosci i miei andamenti.

24. E vedi se per la via di iniquità io cammini; e per la via dell’eternità mi conduci.

(1) « Funiculum meum, » La misura, l’estensione della mia corsa. Gli Egiziani contavano le misure del cammino con le corde. L’espressione dei Settanta, « la mia corda, » ha rapporto con questo uso.

(2) Queste parole: « Quia non est sermo lingua mea, » potevano egualmente significare: “quando non c’è discorso sulla mia lingua, voi conoscete tutto: senza che io dica tutto questo, Voi lo sapete già; oppure: mi mancano le parole per esprimere fino alla vostra scienza ».   

(3) Il mare è posto qui per le regioni dell’Occidente.

(4) Nel vostro libro sono scritti i giorni che verranno, benché non ne esista ancora qualcuno di essi. – Si potrebbe tradurre ancora, seguendo la Vulgata: quando non ero che una massai informe, i vostri occhi mi vedevano, tutte le mie membra erano scritte nel vostro libro; di giorno in giorno, esse erano formate da Voi; nessuna di esse era ancora formata, e Coi già mi vedevate, o mio Dio (Le Hir).

(5) Quando al mattino mi alzo, dopo aver riflettuto tutta la notte al numero dei vostri amici ed ai benefici di cui li colmate, io non ho ancora finito, ma sono troppo occupato della vostra bontà al loro riguardo.

Sommario analitico

Davide, in questo salmo, si rende testimonianza della sua innocenza alla presenza di Dio che penetra fin nel fondo dei cuori, e rende omaggio alla sapienza infinita ed alla provvidenza ammirabile di Dio.

I. – Egli descrive questa sapienza divina, che è universale, inevitabile, incessante, che conosce interamente e che abbraccia:

1° tutte le nostre azioni (1, 2),

2° tutti i nostri pensieri,

3° tutti i nostri progetti e tutte le nostre intenzioni (3, 4),

4° tutte le cose passate e future, e ne dà la ragione: questo avviene poiché è Dio che ci ha creato e che ci conserva (5).

II. – Egli dipinge l’estensione di questa sapienza immensa come Dio, e che agisce non solo con la sua presenza, ma con la sua operazione:

1° su tutti gli occhi (6-10),

2° in tutti i tempi (11-12).

III. – Egli rende ragione dell’impossibilità di sfuggire alla conoscenza di Dio:

1° tutto ciò che noi abbiamo di più segreto gli è conosciuto, dipende da Lui (13, 14);

2° la struttura mirabile del nostro corpo è opera sua (15);

3° noi gli siamo presenti già prima di nascere, e questa scienza provvidenziale si estende a tutti i giorni (16).

IV. – Egli passa in seguito da questa sapienza, a questa provvidenza di Dio su tutti gli uomini:

1° sui giusti, dei quali la gloria, la potenza ed il numero lo strabiliano (17, 18);

2° sui peccatori, il cui castigo lo fa rifuggire dalla società (17, 20);

3° di là il suo odio per i malvagi ed il suo ardore per la giustizia, sentimenti dei quali prende Dio a testimone (21, 24).

Spiegazioni e Considerazioni

I. – 1-5.

ff. 1. – « Signore, mi avete provato e mi avete conosciuto. » Cosa dite? Dio vi ha conosciuto dopo avervi provato, e prima di questa prova forse non vi conosceva? Badiamo di non mal intendere la sorte di Colui « che conosce tutte le cose prima che siano fatte. » (Dan. XIII, 42). Queste parole: « Voi mi avete provato, » significano: Voi mi avete perfettamente conosciuto. Quando l’Apostolo ci dice che Dio sonda i cuori, questa espressione indica non l’ignoranza in Dio, ma una scienza profonda. Dio non ha bisogno di provare, di sperimentare per conoscere; Egli conosce tutti in virtù della sua prescienza divina (S. Crysost.). – Con il riposo ed il risveglio o l’alzarsi, egli fa intendere la vita intera, che si non si può ridurre a queste due situazioni che abbracciano tutte le nostre azioni, le nostre opere, le nostre entrate, le nostre uscite, il risveglio ed il sonno, il lavoro ed il riposo, il dolore e la prosperità, la vita e la morte (S. Chrys.). 

ff. 2-5. – Dio conosce non soltanto le nostre azioni esteriori, ma tutto ciò che passa nella nostra anima, non solo Egli conosce i nostri pensieri nascosti, quando si agitano nel nostro spirito, ma anche quelli che iniziano a nascere; diciamo meglio, molto tempo prima. « Voi avete penetrato i nostri pensieri da lontano, » (S. Chrys.). Lo sguardo di Dio, che abbraccia la nostra vita nel suo insieme, ne penetra pure i più impercettibili dettagli: Egli conosce il cammino lungo il quale marciamo, i disegni e le imprese che formiamo, lo scopo e il fine che abbiamo di vista, l’oggetto dei nostri desideri e delle nostre aspirazioni; in una parola, i principi, i mezzi e il fine di tutte le nostre azioni (Duguet). – Così la scienza di Dio, non comprende le nostre vie, i nostri disegni quando li mettiamo in esecuzione, ma Egli li prevede tutti con piena certezza, sa tutto ciò che dobbiamo dire, prima di aprir bocca e prima che la parola sia sulla nostra lingua. – E che dico … questa scienza conosce tutto ciò che deve succedere negli ultimi tempi, e tutto ciò che si è compiuto nei secoli più remoti. Tutti i secoli, passati e venturi si  svolgono e passano sotto lo sguardo fisso della sua eternità. – Siete Voi che mi avete formato, che « avete steso la vostra mano su di me. » Il Profeta prova che Dio sa tutto ciò che ci riguarda; prima, perché Egli conosce tutte le cose passate e future; in secondo luogo, perché Dio stesso ha voluto fare l’uomo, ed è Egli stesso che lo governa, lo conserva, ed ha steso su di lui la sua mano. Ora, come il suo essere potrebbe avere qualche segreto per il Dio che lo ha creato, che lo muove, che lo penetra, che ne conserva e ne fa agire tutte gli “ingranaggi”?

II. — 6 – 12.

ff. 6 – 10. – La scienza di Dio, oltre che universale, è pure inevitabile. « La vostra sapienza è elevata in maniera ammirevole sopra di me. » Essa mi sorpassa, è elevata ben al di sopra di me, è troppo grande perché una ragione possa comprenderla, tanto è meravigliosa, tanto è superiore! Ma che?! Se ogni meraviglia è così grande come essa, può essere compresa? Questo è impossibile, essa mi sorpassa infinitamente e non potrà mai raggiungerla (S. Chrys.). – San Basilio traduce: « È da me che la vostra sapienza ha ricevuto una magnifica esaltazione. » Perché  questa parola: « da me, » se non perché il Profeta trovava in se stesso una testimonianza della scienza infinita ed incomprensibile di Dio, allorché egli sentiva bene che gli era impossibile comprendersi da se stesso? (S. Agost. De l’âme, etc.) – È a me che la vostra scienza mi è sembrata ammirevole; » vale a dire, io ho scoperto, con meravigliosa ragione, la grandezza e l’estensione della vostra sapienza. E come? Da me1 Considerando l’arte meravigliosa, la saggezza strabiliante con la quale avete organizzato tutte le parti del mio corpo, da questa piccola ma mirabile parte delle vostre opere, io ho concepito l’idea più alta del suo divin Fattore (S. BASILE. De hom. Struct.) – Ciò che è più formidabile nella divina Sapienza, e che la rende così adorabile, è che essa è la conoscenza che Dio ha di noi in se stesso. Egli non ci contempla come uno spettatore infinitamente intelligente; Egli guarda in se stesso, vi si vede, ci conosce, come conosce tutte le cose, nelle cause più recondite, più intime, più profonde; Egli ci giudica con una verità la cui luce e l’infallibilità sono irresistibili. Santa Maddalena De’ Pazzi, esaminava tutta la sua alta conoscenza in un’estasi, ed abbiamo là un monumento soprannaturale della più delicata conoscenza di se stesso; Ma cos’è la conoscenza di un esame di coscienza, rispetto alla conoscenza istantanea, penetrante, completa, che Dio ha di noi in se stesso? (FABER. Le Créateur et la Créât., p. 148) –  Che fare per sfuggire a questo sguardo penetrante di Dio? Quando noi vogliamo sottrarci allo sguardo dell’uomo, ci si offrono due mezzi: l’allontanamento e l’oscurità; ma allo sguardo di Dio, questi due mezzi sono impotenti. Se ricorro alla fuga, qual fuga potrà mai allontanarmi da Dio; come potrei nascondermi dal suo Spirito, dalla sua intelligenza, dalla sua presenza che riempie tutti i luoghi? Che io salga nei cieli, o che io scenda negli abissi impenetrabili della terra, che piombi negli anfratti più nascosti dell’Occidente, o che abiti le estremità dei mari, io non posso sfuggire agli sguardi di Dio, né fuggire la sua presenza, né scappare alla sua sapienza infinita, inseparabile dalla sua presenza. – Cercheremo un rifugio nella notte, un riparo da questo sguardo di Dio? La notte più oscura circonda un peccatore di chiarezza per scoprirlo e servire  da testimone contro lo stesso. Non ci sono tenebre per Colui che è la luce, ciò che noi chiamiamo oscurità non è oscuro per Lui, incapace di sottrarre alcunché alla sua vista. Per Lui, ogni notte si illumina e diviene così chiara come il giorno più radioso. Le tenebre della notte e la luce del giorno sono per Lui la stessa cosa, perché Dio non vede gli oggetti per la proiezione di una luce che viene dall’esterno degli oggetti stessi, ma Egli li conosce e li penetra perfettamente con la luce del suo Spirito (Duguet). – Temete Dio in pubblico ed in segreto. Voi uscite dalla vostra dimora: Egli vi vede; voi entrate: Egli vi vede; la vostra lampada è illuminata: Egli vi vede; voi la spegnete: Egli continua a vedervi; voi vi ritirate nei distretti più segreti della vostra dimora: Egli vi vede; voi pensate tra voi: Egli vi vede. Temete dunque Colui il cui sguardo gira da ogni parte, che illumina la vostra notte, che trionfa delle vostre tenebre, per conservarvi nel timore della sua giustizia, per santificarvi con il pensiero della sua presenza; e … se volete darvi al peccato, cercate un luogo ove Dio non vi veda, e fate ciò che volete  (S. AUG. Serm. XLVI sur les par. du Seig.) – È una proprietà dell’Essere di Dio che il Profeta reale ha sottolineato, e del quale ha preteso farne soggetto di elogio, quando ha detto che le tenebre in cui Dio si nasconde ai nostri occhi e che ce lo nascondono in questa vita, non sono meno ammirabili della sua stessa luce; e che tutto ciò che noi scopriamo di splendido e di luminoso nelle adorabili perfezioni, non è più glorioso per Lui, né più venerabile per noi, di ciò che ci sembra avviluppato da nuvole, e coperto dal velo di una misteriosa oscurità; perché è così che San Ambrogio ha spiegato questo passaggio del salmo: « sicut tenebræ ejus, ita et lumen ejus: »  La sua luce è come le sue tenebre, e le sue tenebre hanno qualche cosa di così divino come la sua luce. (BOURD. P. F. de S. Thom.). – Le tenebre della fede Cristiana non somigliano affatto a quelle di cui stiamo parlando, esse sono tenebre luminose. « La notte è divenuta la mia luce in mezzo alle mie delizie. » Come la notte – si domanda S. Agostino – si è illuminata per me? Gesù Cristo è sceso in questa notte, Egli ha preso una carne simile alla mia, e così ha illuminato la mia notte. La mia notte è divenuta la mia luce in mezzo alle mie delizie. Quali sono, in effetti le mie delizie, se non Gesù Cristo stesso? – È ai piedi del tabernacolo, è alla presenza del più tenebroso ma anche del più mirabile dei nostri misteri che mi piace ripetere nel mio spirito quella parola di Davide: « La mia notte è la mia luce in mezzo alle mie delizie. Nessuna parte delle più profonde tenebre avvolgono la Maestà divina, né la stessa carne di Gesù-Cristo si nasconde ai nostri sguardi. La notte, niente che la notte! Ma o notte, voi siete la mia luce, perché Colui che io adoro sotto i veli del Sacramento mi fa gustare ineffabili delizie. Io gusto nella notte oscura quanto il Signore sia dolce, e le delizie che assaporo mi danno come una chiara veduta della soavità del Signore. – Le delizie dell’Eucaristia mi fanno veder chiaro nell’Eucaristia: la notte diviene un luce in mezzo alle mie delizie. (Mgr DE LA BOUILLERIE. Symb., 168).

III. — 13-16.

ff. 13-16. – Non soltanto Dio penetra attualmente tutti i segreti della nostra esistenza, ma il suo sguardo ha raggiunto ciò che nessun altro ha mai penetrato, cioè il mistero della formazione dell’uomo. La madre dei Maccabei diceva ai suoi figli: « Io non so come siate stati formati nel mio seno, perché non sono io che vi ho dato lo spirito, né l’anima, né la vita; e non sono io che ho assemblate tutte le vostre membra, ma il Creatore del mondo, che ha plasmato l’uomo dalla sua nascita, e che ha provveduto alla generazione di tutti » (II Macc., VII, 22, 23.). Questa operazione di Dio è l’effetto della sua sapienza e della potenza infinita. Nessun’opera si esegue se non dopo un disegno formato nello spirito del suo autore. Prima che Dio realizzi la sua opera, essa è già in Lui, si svolge interamente nella sua suprema ed infinita intelligenza. – « I vostri occhi mi hanno visto che era ancora informe. » Il Re-Profeta mostra di nuovo che nulla sfugge alla sapienza infinita di Dio. Allora, benché non fossi che allo stato embrionale, io non sfuggivo alla vostra conoscenza, Voi penetravate distintamente tutte le parti del mio essere; allorché la natura formava successivamente la sua opera, benché il suo lavoro si compisse nel segreto e come nelle viscere della terra, ognuna delle mie membra con il loro accrescimento particolare veniva presentato al vostro sguardo. Gesù-Cristo esprime questa stessa verità, quando dice: «Tutti i capelli del vostro capo sono contati. » (Luc. XII, 7). Noi vediamo qui riuniti, in una stessa proporzione, la sapienza e la provvidenza di Dio. (S. Chrys.). – Opera ammirevole di Dio nella formazione del corpo umano, in questa struttura tanto ben legata di un gran numero di ossa, grandi e piccole, senza alcuno strumento, in un luogo segreto ed oscuro. – Quanto è penetrante l’occhio di Dio, che vede chiaramente l’uomo ancora informe, o anche prima che sia formato. È questo l’idea eterna che Egli ha avuto di tutte le parti dei nostri corpi, che vi erano distintamente marcati, come se fossero stati scritti in un libro. Cos’è questo libro in cui tutti sono scritti, se non l’ordine della Provvidenza che Dio osserva nei nostri confronti? Tutti i nostri destini sono scritti in questo libro eterno. Ma cosa sarebbe questo ordine di Provvidenza, se non vi fosse una vita futura, una eternità dopo questa sequela di giorni che percorriamo e si allontanano in successione? Noi siamo scritti nel libro di Dio, non per i giorni, ma per l’eternità (Duguet, Berthier). 

IV. — 17-24.

ff. 17, 18. – Questa Sapienza infinita di Dio non è una sapienza indifferente o impotente. Dio guarda, conosce, ma se guarda, conosce per giudicare, ricompensare o punire. Questo intervento di Dio nelle cose umane si manifesta in due atti: Dio onora e ricompensa i giusti; Dio odia e castiga i peccatori. – Tre cose, dice il Re- Profeta, contribuiscono a rendere più brillante la gloria che circonda i santi: – gli onori di cui Dio li circonda: « I vostri amici mi sono sembrati straordinariamente onorati; » – la forza della loro potenza: « Il loro impero si è estremamente fortificato; » – la loro grande moltitudine: « Io li conterò, essi saranno più numerosi della sabbia del mare. » Onori straordinari resi ai Santi che durante la loro vita, erano sconosciuti, reietti, disprezzati dal mondo, e che ora brillano di uno splendore che si accresce nei secoli, mentre i mortali più ricchi e più famosi, qualche anno dopo la loro morte, sono destinati all’indifferenza ed all’oblio. – È per l’onore di Dio che i suoi servi sono onorati, e dopo averli impiegati a procurare la sua gloria, Egli si prende cura di glorificarli Egli stesso. È per questo che il Profeta reale gli diceva: Signore, Voi sapete ben rendere ai vostri amici ciò che ne avete ricevuto; e se essi hanno avuto la gioia di farvi conoscere tra gli uomini, ne sono ben ripagati dall’alto grado di elevazione ove Voi li fate salire nel cielo, ed anche con la profonda venerazione per cui i loro nomi sono sulla terra. « I vostri amici sembrano ai miei occhi ricolmi di una gloria infinita. » (BOURD., P. la fête de Ste Genev.). – Comparate, nel corso dei secoli, le rovine sparse dalle istituzioni umane, con le opere, gli edifici solidi, indistruttibili della santità. – È la fecondità mirabile della Chiesa, sposa di Gesù-Cristo, questa risplendente moltitudine degli eletti del cielo che il Profeta vedeva in spirito, e che l’Apostolo San Giovanni descriveva in questi termini, dopo aver determinato il numero dei santi della sinagoga: « Dopo questo, io vidi una gran moltitudine che nessuno poteva contare, di ogni nazione, di ogni tribù, di ogni popolo e di ogni lingua, che era in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, vestiti di una veste candida, con palme nelle loro maini. » (Apoc. VII, 9) « Io mi sveglio e sono sempre con Voi, » il Profeta esprime qui la speranza di essere un giorno ammesso nel numero degli amici di Dio; io entrerò come essi nella tomba, ma ne uscirò un giorno, come da un letto da riposo; questo sonno della morte finirà, io mi risveglierò, sarò ancora da Voi, e vi sarò in una maniera ben più perfetta di quanto fossi sulla terra. (Berthier).

ff. 18-22. – « Se voi portate i peccatori alla morte, uomini di sangue, allontanatevi da me. » Il secondo effetto dello sguardo di Dio sui figli degli uomini è dunque l’esercitare la sua giustizia vendicativa sui peccatori, annientandoli. Il frutto da raccogliere da questa condotta di Dio riguardo ai peccatori, è quello di rompere ogni commercio con i malvagi, da cui non si riporta quadi mai tutta la virtù che vi si è portata; bisogna allontanarsi da queste vittime maledette della giustizia di Dio, che Egli condannerà alla morte eterna, ed evitare particolarmente quegli uomini di sangue che uccidono od odiano gli altri, quei peccatori scandalosi che fanno perire le anime. (Duguet). –  « Qual legame può esserci tra la giustizia e l’iniquità? Quale unione tra la luce e le tenebre? Quale accordo tra Gesù-Cristo e belial? Qual società tra il fedele e l’infedele? (II Cor. VI, 13, 14). – Ciò che dicevano in altri tempi i nemici dei Giudei, rientranti in possesso delle loro città dopo il ritorno dalla cattività, i nemici di Gesù-Cristo e della sua Chiesa lo ripetono ancora nel loro cuore, pieno di odio geloso per la propagazione del regno di Gesù-Cristo. Siccome la conseguenza della propagazione della Religione Cristiana, è stata quella di strappare le città, cioè i grandi centri di popolazione, alla schiavitù del demonio, essi dicono sempre nel loro cuore che invano i giusti sperano di abitare tranquillamente nelle città sotto la protezione del Signore, loro primo ed unico Padrone assoluto. Ma noi, noi abbiamo lo Spirito di Gesù-Cristo, e ciò che il Cristo provava in se stesso, noi lo proviamo in noi; noi crediamo e professiamo altamente che Dio è tanto potente da conservare ciò che Egli ha acquisito. E come mai il demonio potrà prevalere contro i suoi eletti. Ai nostri tempi, in cui i nemici di Dio, di ogni religione, di ogni virtù, predicono in tutti i modi, nelle assemblee dei giusti, alla Chiesa Cattolica, alla Città di Dio, la distruzione ed il niente, al Cristianesimo, la decadenza, l’indebolimento e l’annientamento; nel momento in cui essi dicono nei loro pensieri: “vanamente i Cattolici vogliono estendere le loro conquiste per la libertà di associazione, di insegnamento; in questo stesso momento Dio rinnova loro le promesse di immortalità fatte alla sua Chiesa. Non temete nulla: « Io sono con voi fino alla consumazione dei secoli, » (Matth. XXVIII, 20). – E siccome i giusti non formano che un cuore solo, un’anima sola, un solo pensiero, un sentimento con il Dio che li illumina e li fortifica, essi condividono i loro sentimenti di odio per i nemici del suo Nome e della sua Chiesa. « Io li ho odiati con odio perfetto. » Che vuol dire un odio perfetto? Io odiavo in loro la loro iniquità, giammai in essi le vostre creature. Ecco l’odio perfetto, non odiare gli uomini in ragione dei loro vizi, né amare i vizi in ragione degli uomini. (S. Agost.). – Il nostro odio ha un carattere veramente religioso, tutte le volte che noi odiamo colui per il quale Dio è l’oggetto del suo odio. Ci viene comandato di amare i nostri nemici, ma i nostri, non i nemici di Dio; perché, secondo le parole del Salvatore, è un atto di religione odiare per Dio suo Padre, sua Madre, la sua Sposa, i suoi figli ed i suoi fratelli (S. Hilar.). – Non siamo quindi indifferenti agli oltraggi che vengono fatti a Dio, sentiamoli vivamente, sforziamoci di opporci per quanto possiamo e, se non possiamo fare altro, gemiamo almeno nel segreto (Duguet).

ff. 23, 24. – « O Dio, provatemi e sondate il mio cuore. » Bisogna essere ben certi della propria innocenza per osare fare questa domanda a Dio. Chi di noi, al contrario, non teme il terribile interrogatorio che Dio ci farà subire, e forse ben presto: Qual è la vita che avete condotto? Quella attraverso i sentieri stretti del Vangelo, o quella attraverso i sentieri larghi del mondo e della moda? Preveniamo questo terribile interrogatorio: « Se noi ci giudicheremo da noi stessi, non saremo giudicati da Dio. » (I Cor. XI, 31). – Tutto il frutto di questo mirabile salmo è racchiuso in queste ultime parole: « Guidami alla vita eterna. »  Qual è questa vita eterna? La via spirituale che conduce al cielo e che non ha fine. Tutte le altre cose sono di breve durata, racchiuse come sono nello spazio ristretto della vita presente. Il Salmista lascia dunque tutti questi beni passeggeri, per rivolgersi a ciò che è immortale, eterno, infinito. (S. Chrys.). – Niente di più importante, nulla di più necessario che ben conoscere se la via sulla quale si cammina sia la via retta; niente di più facile, niente di così ordinario che ingannarsi su questo punto. Tante ingiustizie che non percepiamo, tante illusioni dell’amor proprio che non si scoprono, tanti deragliamenti del proprio cuore che non si vedono! Chi non tremerebbe di spavento a questa parola che lo Spirito Santo ripete due volte in uno stesso libro: « C’è una via che sembra retta all’uomo, e di cui l’estremità raggiunge la notte. » (Prov. XIV, 12; XVI, 25).  Non basta temere solo i propri peccati, ma occorre applicarsi alle buone opere (Duguet). – Non c’è che l’Essere al quale nulla è sconosciuto che possa servire da guida agli uomini in questa strada, perché è il solo che possa evitare i pericoli, spianare le difficoltà, sostenere la costanza, raddrizzare i falsi sentieri, e raggiungere il momento del passaggio nella eternità beata. (Berthier).

SALMI BIBLICI: “CONFITEBOR TIBI, DOMINE, … QUONIAM AUDISTI (CXXXVII)

SALMO 137: “CONFITEBOR TIBI, DOMINE, … quoniam audisti”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS. 

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 137

Ipsi David.

[1]  Confitebor tibi, Domine, in toto corde meo, quoniam audisti verba oris mei. In conspectu angelorum psallam tibi,

[2] adorabo ad templum sanctum tuum, et confitebor nomini tuo super misericordia tua et veritate tua, quoniam magnificasti super omne nomen sanctum tuum.

[3] In quacumque die invocavero te, exaudi me; multiplicabis in anima mea virtutem.

[4] Confiteantur tibi, Domine, omnes reges terræ, quia audierunt omnia verba oris tui;

[5] et cantent in viis Domini, quoniam magna est gloria Domini;

[6] quoniam excelsus Dominus, et humilia respicit, et alta a longe cognoscit.

[7] Si ambulavero in medio tribulationis, vivificabis me; et super iram inimicorum meorum extendisti manum tuam, et salvum me fecit dextera tua.

[8] Dominus retribuet pro me. Domine, misericordia tua in sæculum; opera manuum tuarum ne despicias.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXXXVII.

Rendimento di grazie a Dio, che esaudì la sua supplica. Probabilmente era la supplica pel Messia, e ringrazia Dio che l’abbia esaudito, potendo ora predire la gloria del Cristo, e la conversione delle genti.

Dello stesso David.

1. Darò lode a te con tutto il cuor mio, o Signore, perché hai ascoltate le voci della mia bocca. Al cospetto degli Angeli canterò inni a te;

2. te adorerò nel tuo tempio santo, e darò lode al tuo nome. A motivo della tua misericordia e della tua verità; perché sopra qualunque cosa hai esaltato il tuo santo nome. (1)

3. In qualunque giorno io t’invochi, esaudiscimi: moltiplicherai nell’anima mia la fortezza.

4. A te dian lode, o Signore, tutti i re della terra, perché hanno udite tutte le parole della tua bocca.

5. E cantino le vie del Signore, perché grande è la gloria del Signore.

6. Perché il Signore è eccelso, e sopra le cose basse getta i suoi sguardi: e le alte mira da lungi.

7. Se io camminerò nel mezzo della tribolazione, tu mi darai vita; e contro l’ira dei miei nemici stendesti la mano tua, e la tua destra mi salvò.

9. Il Signore farà mie vendette: Signore, la misericordia tua è per sempre; non disprezzare le opere della tua mano.

(1) La Vulgata riporta “sanctum”, invece di “verbum” che si legge nel testo ebraico, ma il senso è lo stesso. Questo “nome” è quello del “Verbo” « ciò che nasce da te è santo. » Il rapporto con l’Incarnazione è evidente (Le Hir.

Sommario analitico

In questo salmo, che è un canto di azioni di grazie in cui Davide, liberato da tutti i suoi nemici, riconosciuto come re da tutte le tribù, celebra a suo nome e a nome del suo popolo la gloria ed i benefici del Signore, e gli rende grazie della promessa che ha fatto a Davide di far uscire da lui il Messia e stabilire il suo trono per sempre.

I. – Egli promette di cantare le lodi di Dio, ed indica:

1 ° Il modo o le qualità di sua azione di grazie:

a) la lode del cuore in presenza di Dio (1);

b) la lode esteriore, la salmodia in presenza degli Angeli (2);

c) l’adorazione del corpo nel tempio;

d) la glorificazione del nome di Dio con le opere (2);

2° La causa: a) la misericordia di Dio, b) la sua verità per il compimento delle sue promesse, c) la sua potenza con la quale egli ha glorificato il suo nome (2);

3° Il frutto che ne spera: a) è che Dio esaudirà la sua preghiera in ogni tempo, b) che moltiplicherà ed aumenterà la forza della sua anima (3).

II. – Egli invita tutti i re della terra a rendergli ugualmente l’omaggio e fa loro conoscere:

1° la maniera con cui devono espletare questo dovere: a) è riconoscerlo come sovrano padrone dell’universo (4); b) camminare nelle sue vie e cantare le sue lodi alla vista dei mezzi ammirabili che Egli usa per eseguire ciò che vuole (4, 5);

2° Le ragioni sulle quali è fondato questo dovere, che sono: a) perché essi hanno visto la gloria di questo Dio liberatore (5); b) perché Dio, sì elevato per la sua natura, abbassa i suoi occhi e guarda da lontano i superbi (6); c) perché Egli viene in soccorso dei suoi servi nella tribolazione (7); d) perché punisce i loro nemici stendendo la sua mano ed esercitando la sua vendetta su di essi; e) perché dà ai suoi servi, opera delle sue mani, una gloria eterna (8).

Spiegazioni e Considerazioni

ff. 1-3. – Una delle cose più rimarchevoli nei salmi, e forse una delle meglio sottolineate, è l’offerta che fa incessantemente il Profeta del suo cuore e di tutto il suo cuore. È – dice San Agostino – l’olocausto che brucia perpetuamente sull’altare del Signore. Io faccio del mio cuore tutto intero un altare per confessare il vostro Nome, ed io vi presento un olocausto di lode. È l’amore che consuma questo olocausto; il Profeta che non trattiene nulla per sé, ma consacra tutto a Dio … Quale differenza tra la preghiera del Re-Profeta e quella della maggior parte dei Cristiani! Noi preghiamo, sia con formule estratte dai Salmi, sia ripetendo le diverse preghiere della Chiesa, sia anche meditando le verità eterne, ma dov’è il cuore? Noi diciamo con Davide: « Signore, io vi lodo, vi rendo delle azioni di grazie con tutto il mio cuore; » ma il nostro cuore è d’accordo con la nostra bocca? (Berthier). « Perché avete ascoltato le parole della mia bocca. » La mia bocca, cos’è se non la bocca del mio cuore? Noi abbiamo in effetti, nel cuore, una voce che Dio ascolta e che alcun orecchio umano conosce. Questa bocca è dentro di noi: è là che noi preghiamo, e se noi abbiamo preparato in noi un alloggio o una casa per Dio, è là che gli parliamo, è là che veniamo esauditi (S. Agost.) – Bisogna che le nostre preghiere, che i nostri canti di azione di grazie siano in rapporto con l’alta elevazione dei nostri uditori. Noi abbiamo come spettatori e giudici gli Angeli che circondano il trono di Dio, bisogna dunque che tutto il nostro esterno, che le nostre parole, siano in armonia con la santità del cenacolo in mezzo al quale siamo, quando preghiamo. Se abbiamo sempre presente allo spirito questo pensiero che i santi Angeli ci contemplano e ci ascoltano, lodano il nostro zelo ed il nostro fervore e che condannano, al contrario, le nostre distrazioni, la nostra negligenza, la nostra tiepidezza, noi saremo più attenti e raccolti. – Il Profeta vuol dire anche che la sua preghiera imiterà le adorazioni di queste intelligenze celesti, che non vi mescolerà niente di umano, che si eleverà al di sopra di tutti gli oggetti terrestri. Io mi sforzerò di cantare con gli Angeli, di rivaleggiare nello zelo con essi. Io sono di natura diversa, è vero, ma mi sforzerò di eguagliarli con l’ardore dei miei desideri e prendere posto tra essi. (S. Chrys.). – « Io adorerò nel vostro tempio santo » Qual è questo tempio santo? Il luogo ove noi dimoreremo, il luogo dove noi adoreremo. Noi vi corriamo per adorare, il nostro cuore è grande, porta il suo fardello e cerca un luogo ove possa depositarlo. Qual è questo luogo ove Dio deve essere adorato? In qual mondo, in quale edificio, su quale trono, nel cielo ed in mezzo alle stelle? … Dio ha il suo trono in noi; « Il tempio di Dio è santo, e voi siete questo tempio. » (I Cor. III, 17). Tuttavia questo è evidente, Dio abita anche negli Angeli, dunque, quando la gioia che ci causano le cose spirituali ci fa cantare per Dio in presenza degli Angeli, questa celeste milizia è il tempio di Dio, e noi adoriamo nel tempio di Dio. C’è una Chiesa del basso, ed una Chiesa dell’alto: la Chiesa del basso è formata da tutti i fedeli, la Chiesa dell’alto è formata da tutti i santi Angeli (S. Agost.) – Il Profeta non separa mai la Misericordia dalla verità delle promesse di Dio; perché, ancorché Dio non possa mancare alla verità di ciò che Egli ha promesso, non promette che con un effetto della sua infinita Misericordia. – Ammiriamo egualmente, nell’una e l’altra delle sue perfezioni, la Potenza e la Gloria del suo santo Nome, elevate al di sopra di tutto, o meglio, secondo un’altra traduzione data da San Girolamo a questo versetto, secondo il testo ebraico, perché avete elevato al di sopra di ogni nome, il vostro Santo, cioè il Figlio di Dio, chiamato Santo in un senso assoluto, perché Egli è cosa santissima, e che non c’è, né nel cielo, né sulla terra, niente di più santo di Lui. È in questo stesso senso che l’Angelo dice a Maria: « Ecco perché il Santo che nascerà da voi, si chiamerà Figlio di Dio, » (Luc. I, 35). – E non è ad una sola nazione che il Nome di Dio si è fatto conoscere, ma è stato elevato, glorificato al di sopra di tutte le cose, e la grandezza della sua santità si è diffusa tra tutti gli uomini. Non c’è qui distinzione, barbaro, scita, schiavo, uomo libero, uomo, donna, tutte le età qui sono uguali: il Nome di Dio è stato glorificato al di sopra di tutte le creature. I templi sono stati distrutti, gli idoli sono stati sgretolati, gli auspici, grazie all’intercessione dei santi, restano silenziosi, la fede negli auguri è una fonte di inganno, il Nome solo di Dio resta santo tra le nazioni. Egli risponde sempre alla speranza che i santi mettono in Lui, e ovunque è invocato, dà soccorso efficace e divino (S. Hilar.). – « In qualunque giorno io vi invoco, esauditemi. » Perché? Perché io non chiedo più benessere terrestre; io ho imparato, con il vostro Nuovo Testamento, a concepire i santi desideri. Io non chiedo né la terra, né la fecondità carnale, né la salute temporale, né il dominio sui miei nemici, né le ricchezze, né gli onori: io non chiedo nessuno di questi beni … cosa chiedo dunque? « Voi moltiplicherete. » Si può intendere in diversi modi questa moltiplicazione: l’uno vuol moltiplicare la sua famiglia, il suo oro, il suo denaro; un altro le sue greggi; questi i suoi servi, quest’altro le sue terre; questi, tutti i suoi beni … quale moltiplicazione si cerca? « Voi moltiplicate nella mia anima, » non nella mia carne. Fate che aggiunga ancora qualche cosa, nel timore che questa moltiplicazione nella propria anima non comporti per se stessa l’idea di felicità? In effetti gli uomini possono risentire nella loro anima di una moltiplicazione di preoccupazioni; queste sembrano moltiplicate nella sua anima, e che i vizi si siano moltiplicati; l’uno è solamente avaro, l’altro è solamente orgoglioso, un terzo è solamente portato alla lussuria, mentre che tal altro è contemporaneamente avaro, superbo e lussurioso; c’è moltiplicazione nella sua anima, ma questa moltiplicazione è quella dell’indigenza e non quella dell’abbondanza … Voi dunque che avete detto: « esauditemi », che siete come strappato dal vostro corpo, staccato da ogni cosa terrestre, da ogni desiderio mondano, che pensate dicendo a Dio: « Voi moltiplicate nella mia anima? Qual è l’oggetto dei vostri desideri? » – « Voi moltiplicate nella mia anima la virtù. » Ecco il suo voto nettamente espresso, ecco il suo desiderio chiaramente formulato, staccato da ogni confusione (S. Agost.). L’Apostolo San Paolo, molto tempo dopo il Re-Profeta, chiedeva la stessa grazia per i nuovi Cristiani: « Io piego, diceva, il mio ginocchio davanti al Padre di Gesù-Cristo Nostro Signore, affinché, secondo la ricchezza della sua Gloria, vi fortifichi, vi moltiplichi con il suo Spirito, nell’uomo interiore (Ephes. III, 16). Questo linguaggio non era riservato ai solitari, a coloro che volevano tendere ad una più alta perfezione: l’Apostolo lo credeva necessario per la salvezza dei semplici fedeli.

ff. 4, 5. – Qual profondo sentimento di gratitudine nel Re-Profeta!! Non gli è sufficiente rendere grazie a Dio nel suo nome, invita i potenti della terra, coloro che portano il diadema, a venire ad associarsi alla sua riconoscenza. La loro potenza è grande, è vero, sembra dire, ma vi devono tuttavia delle azioni di grazie per i benefici che avete accordato agli altri uomini … « Perché hanno inteso le parole della vostra bocca. » Giammai la loro regale potenza procurerà loro vantaggi comparabili a quello di intendere le vostre parole. Ecco che si assicurerà loro, tutto in una volta, sicurezza, forza, splendore, gloria; ecco per essi la vera regalità; ecco ciò che darà alla loro autorità tanto splendore e potenza. (S. Chrys.). – « Signore, che tutti i re della terra vi glorifichino. » Così sarà e così è; è così ogni giorno, e noi vediamo che questa non era una vana parola, poiché essa doveva compirsi, « Signore, tutti i re della terra vi confessano. » Ma essi pure che confessano il vostro Nome, quando confessano il vostro Nome, quando vi lodano, non desiderano da Voi nulla di terrestre; perché cosa potrebbero desiderare i re della terra? Non hanno già l’impero? I più ampi desideri dell’uomo della terra non saprebbero salire più in alto dell’impero. Ove potrebbero andare oltre? La grandezza sovrana è una necessità di cose umane, ma forse è tanto più pericolosa quanto più elevata. Ecco perché, più i re sono elevati, più la loro grandezza è sublime sulla terra, più essi devono umiliarsi davanti a Dio (S. Agost.). – « Ed essi cantino nelle vie del Signore, che la gloria del Signore è grande. » I re della terra cantino nelle vie del Signore. In quali vie essi devono cantare? In quelle in cui è stato detto più in alto: « Nella vostra misericordia e nella vostra verità; » Perché « tutte le vie del Signore sono misericordia e verità. » (Ps. XXIV, 10). Che i re della terra non siano dunque orgogliosi, ma siano umili. Allora, che cantino nelle vie del Signore, se sono umili: che amino ed essi canteranno. Noi sappiamo che i viaggiatori cantano abitualmente: essi cantano e si affrettano per arrivare. Ci sono canti cattivi che appartengono al vecchio uomo; ma il cantico nuovo appartiene all’uomo nuovo. I re della terra, o mio Dio, camminino dunque nelle vostre vie; che camminino e cantino nelle vostre vie. Cosa canteranno? « Che la gloria del Signore è grande, » e non quella dei re (S. Agost.). – Le vie del Signore sono l’ordine di provvidenza che Egli tiene riguardo agli uomini, i mezzi di salvezza che dona loro, la scienza della religione che comunica loro (Berthier).

ff. 6-8. – Ecco la grande gloria di Dio: essa consiste, malgrado la sua elevazione, malgrado la grandezza infinita della sua natura, della sua dignità, potenza, saggezza ed autorità, l’abbassare il suo sguardo benevolo su ciò che è piccolo ed infimo (Bellarm.) – Vedete come il Profeta ha voluto che i re cantassero nelle vie del Signore, comportandosi umilmente con il Signore, lontano dal levarsi con orgoglio contro il Signore. Ma se essi si levano contro di Lui come dice loro il Profeta: « Perché il Signore è l’Altissimo e guarda a ciò che è umile ». I re vogliono dunque che Dio li riguardi che siano umili. Perché? Se essi si levano per orgoglio, potrebbero nascondersi ai suoi occhi? E perché avete sentito il Profeta dire: « Egli guarda ciò che è umile, » cercate di non divenire orgogliosi e dire nella vostra anima: Dio guarda gli umili, e non ha occhi su di me; io posso fare ciò che voglio. Chi mi vedrà in effetti? Ciò che io faccio è nascosto agli uomini; Dio non vuol vedermi, perché io sono poco umile ed Egli non guarda se non ciò che è umile; io farò tutto ciò che mi piacerà. O quanto insensati siete! Direste questo se sapeste ciò che dovete amare? Così dunque, se Dio non vuol vedervi, cesserete allora di temerlo, perché non vuol vedervi? Se voi salutate qualche personaggio potente, e costui, occupato in altra cosa, non vi vede, da qual dolore in vostro cuore non sarebbe colpito? E se Dio non vi vede, vi credete in sicurezza? Il Salvatore non vi vede, ma il nemico soddisfatto vi vede. E tuttavia Dio stesso vi vede. Non crediate che Egli non vi veda, pregate piuttosto di meritare di essere visti da Colui che vi vede (S. Agost.) – Il Profeta non dice: allontanate da me la tribolazione, ma conservatemi la vita in mezzo a rudi prove; vale a dire quando cadrò nei più grandi pericoli, Voi siate tanto potente da salvarmi. Ora, ciò che è veramente ammirevole, ciò che sorpassa ogni pensiero umano, è che, malgrado le calamità ed i nemici che mi assediano da ogni parte, Voi mi date una perfetta sicurezza … Vedete qui questa doppia prova della potenza di Dio? Voi mi conservate la vita, egli dice, in mezzo ai mali da cui sono circondato, e nello stesso tempo, umilierete, comprimerete la rabbia dei miei nemici: « e la vostra destra mi ha salvato. » Dio in effetti, è ricco di espedienti, ha risorse all’infinito, può salvarci in mezzo alle situazioni più disperate (S. Chrys.) – S. Agostino dà a queste parole una interpretazione molto più elevata: « Sappiamo – egli dice – comprendere la tribolazione di cui parla il Profeta … egli non ha voluto dire: se mi capita per caso qualche tribolazione, voi mi libererete. Che dice dunque? « Se cammino in mezzo alla tribolazione, Voi mi darete vita; » vale a dire, Voi non mi darete la vita se non cammino in mezzo alle tribolazioni (S. Agost.). – Le tribolazioni di questa vita mortale sono l’unico mezzo per giungere alla vera vita. – Che i miei nemici dispieghino il loro furore; cosa possono i miei nemici contro di me? Prendermi il denaro, spogliarmi, proscrivermi, mandarmi in esilio, torturarmi con dolori e tormenti; infine, se ne hanno il permesso, togliermi la vita; possono fare qualcosa di più? Ma Voi Signore, « avete steso la vostra destra contro la collera dei miei nemici, » avete steso la vostra mano, ben al di là di ciò che i miei nemici potessero farmi. (S. Agost.). – Notate queste parole del Re-Profeta: « Se vengo a camminare in mezzo alla tribolazione. » Nella via della virtù, bisogna necessariamente camminare. « Camminate nella carità » (Ephes. V, 2); « camminate nella saggezza; » (Coloss. IV, 5, 6); « camminate come figli della luce. » (Ephes. V, 8).  Nella via del cielo, non bisogna restare stesi a terra, per paura di essere coperto ed assalito dalla polvere del cammino; non bisogna rimanere seduti, per non perdere tempo; non bisogna restare in piedi immobili, per non essere abbattuto dal nemico che piomba su di noi all’improvviso; ma bisogna camminare per non essere raggiunto dal nemico, per attraversare rapidamente i luoghi infestati dai ladri, per raggiungere le truppe ausiliari che Dio ha predisposto sulla strada, per arrivare al termine. – Più ancora, bisogna camminare nella tribolazione, per seguire Gesù-Cristo e, caricato della sua croce, salire con Lui la montagna del Calvario, e raggiungere, con sforzi generosi, il regno dei cieli, che soffre violenza e non è raggiunto e conquistato se non da coloro che si fanno violenza. –  « Non disprezzate le opere delle vostre mani. » Io non dico, Signore, non disprezzate le opere delle mie mani; io non mi vanto delle mie opere. Ma in verità, « … io ho cercato il Signore con le mie mani, la notte, in sua presenza, e non sono stato deluso; » (Ps. XXXI, 3); ma tuttavia io non mi vanto delle opere delle mie mani; io temo che esaminandole, Voi troviate più peccati che meriti. Io non chiedo che una cosa, io non dico che una cosa, non desidero ottenere che una cosa: « Non disprezzate le opere delle vostre mani. » Vedete in me l’opera vostra, non la mia; perché se considerate la mia opera, Voi mi condannerete, se considerate la vostra opera, Voi mi coronerete. Tutte le mie buone opere, quali che siano, mi vengono da Voi; esse sono piuttosto vostre che mie; perché io sento il vostro Apostolo dirmi: « È la grazia che vi ha salvato con la fede e questa non viene da voi, perché è un dono di Dio, né dalle opere, affinché nessuno si glorifichi; perché noi siamo la sua opera, essendo stati creati nel Cristo Gesù per le buone opere. » (Ephes. II, 8, 10). Dunque, sia in quanto siamo uomini, sia in tanto che siamo giustificati della nostra empietà e cambiati, Signore, « … non disprezzate le opere delle vostre mani. » (S. Agost.) – Essere povero, carico di debiti, avere qualcuno che paghi i nostri debiti, è come essere ricco e non dover niente. – Questa è la condizione del Cristiano: egli è caricato, o piuttosto sommerso dai debiti dei suoi peccati; ma Gesù-Cristo ha pagato per lui. Egli ha pagato ciò che non doveva per acquistare colui che doveva, ha risposto per noi, si è reso cauzione per noi, ha pagato il nostro riscatto quando ha operato la grande opera della Redenzione … Occorre chiedergli dunque di completare ciò che ha cominciato e non disprezzare l’opera propria. (Dug.).

SALMI BIBLICI: “SUPER FLUMINA BABYLONIS” (CXXXVI)

SALMO 136: “SUPER FLUMINA BABYLONIS”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS. 

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 136

Psalmus David, Jeremiæ.

[1] Super flumina Babylonis illic sedimus et flevimus, cum recordaremur Sion.

[2] In salicibus in medio ejus suspendimus organa nostra;

[3] quia illic interrogaverunt nos, qui captivos duxerunt nos, verba cantionum; et qui abduxerunt nos: Hymnum cantate nobis de canticis Sion.

[4] Quomodo cantabimus canticum Domini in terra aliena?

[5] Si oblitus fuero tui, Jerusalem, oblivioni detur dextera mea.

[6] Adhæreat lingua mea faucibus meis, si non meminero tui; si non proposuero Jerusalem in principio laetitiæ meæ.

[7] Memor esto, Domine, filiorum Edom, in die Jerusalem, qui dicunt: Exinanite, exinanite usque ad fundamentum in ea.

[8] Filia Babylonis misera! beatus qui retribuet tibi retributionem tuam quam retribuisti nobis.

[9] Beatus qui tenebit, et allidet parvulos tuos ad petram.

SALMO CXXXVI.

Lamentazione degli schiavi in Babilonia; desiderio della patria e predizione di severi castighi contro i Babilonesi e gli Idumei. Fu aggiunto il titolo aGeremia, perché Geremia predicò imminente ai Giudei la schiavitù babilonica; la pianse; e ne annunziò la fine dopo settant’anni.

Salmo di David a Geremia.

1. Sulle rive de’ fiumi di Babilonia, (1) ivi sedemmo, e piangemmo in ricordandoci di te, o Sionne.

2. A’ salci appendemmo, in mezzo a lei, i nostri strumenti.

3. Perché ivi domandarono a noi, quelli che ci avevano menati schiavi, le parole dei nostri cantici; e coloro che ci avevano rapiti dissero: Cantate a noi un inno, di que’ che si cantano in Sionne.

4. E come mai canteremo un cantico del Signore in una terra straniera?

5. Se io mi dimenticherò di te, o Gerusalemme, sia messa in oblio la mia destra.

6. Si attacchi la mia lingua alle mie fauci, se io non avrò memoria di te; se io non metterò Gerusalemme al di sopra di qualunque mia allegrezza.

7. Ricordati, o Signore, dei figliuoli di Edom, i quali nel giorno di Gerusalemme dicevano: Distruggete, distruggete fino ai suoi fondamenti. (2)

8. Figliuola infelice di Babilonia, beato colui che farà a te quello che tu hai fatto a noi. (3)

9. Beato colui che prenderà e infrangerà sulle pietre i tuoi figliuoli.

(1) Questi fiumi di Babilonia sono il Tigri, l’Eufrate ed il Chobar. Il salmista fa qui menzione dei fiumi non come vede Rosen-Muller, perché si costruivano le sinagoghe sulle sponde dei fiumi o correnti di acqua, affinché i Giudei potessero più facilmente lavarsi le mani secondo il precetto della legge; ma perché coloro che sono nella tristezza ed i giusti amano ritirarsi presso i corsi di acqua per librarsi al loro dolore o alle loro ispirazioni poetiche.

 (2) Si vede nel profeta Abdia (11, 12, 13, 14), che quando i Babilonesi invasero la Giudei, gli Idumei si aggiunsero all’armata di Nabucodonosor contro Gerusalemme e lo eccitarono a distruggerla.

(3) Il castigo invocato qui su Babilonia era estato predetto da Isaia, XIII, 16.

Sommario analitico

Questa bella elegia è, propriamente parlando, l’inno patriottico degli Ebrei. Mai l’amor di patria fu espresso in maniera più energica e più toccante. In questo salmo, così pieno di poesia e che traspira la più profonda tristezza, l’amore più tenero per la patria perduta, i Giudei prigionieri a Babilonia: (1)

I. esprimono il dolore che li opprime:

1° Con la loro tristezza e le loro lacrime (1);

2° Con il silenzio dei loro strumenti musicali (2);

3° Con il rifiuto di prender parte ad ogni gioia sacra o profana, trovandosi in disaccordo con le circostanze del luogo e del tempo in cui essi si trovano (3, 4).

II. – desiderano il ritorno in patria.

1° Essi lo hanno continuamente presente nei loro ricordi (5);

2° Essa è sarà sempre il principale oggetto della loro gioia. (6)

III. – predicono la vendetta che Dio attirerà sui loro nemici.

1° Essi pregano Iddio di punire gli Idumei. E danno la ragione per la quale essi meritano il loro castigo (7);

2° predicono ai Babilonesi che la loro città sarà distrutta dai Persiani, come essi hanno distrutto la città di Gerusalemme, e questo castigo terribile si estenderà fino ai lattanti.

(1) La poesia toccante di questo salmo, il suo sentimento così profondo, così vero, malinconico e naturale, è passato nell’anima delle masse e lo ha reso popolare. Esso risponde a tutte le note lamentevoli del cuore umano. A tutte le amarezze, a tutti i segreti, aspirazioni, errori, dolori, a tutti i gemiti e alle noie delle facoltà alterate, dei desideri ingannati, delle speranze deluse sia per gli individui che per le nazioni. È uno dei brani di poesia più pieno di eterna freschezza, rivestito delle più soavi e pure emanazioni del cuore, già dai primi accordi per cui ogni testa si inclina e sogna con la fronte nelle mani. « Super flumina Babylonis! » L’anima non ha più bisogno di intendere di più: l’estasi la sazia ben presto e la trasporta sulle sue ali sopra tutti i brusii della terra; essa canta e piange la sua elegia ineffabile come un’eco vivente, ed i suoi sublimi accenti tengono i cieli sospesi e fanno tacere le lire eterne. (Clause: I Salmi tradotti, etc. ).

Spiegazioni e Considerazioni

ff. 1, 2. – La santa Sion è la città di Dio, e Babilonia è la città del mondo. Quali sono i fiumi di Babilonia? «  È tutto ciò che si ama e che passa, vale a dire, i beni deperibili. » Così voi siete interamente dediti alle cure e vi date ai vostri campi e non sognate che di diventar ricchi. Questo benessere al quale voi tendete, non è la città di Sion, è un fiume di Babilonia. Io mi sento dire: è una gran cosa essere soldato; il soldato è temuto dall’uomo dei campi, o tutti gli obbediscono. Quando sarò soldato, il lavoratore tremerà davanti a me. Insensato! Voi vi gettate in un altro fiume di Babilonia, più turbolento e più avido. Un terzo viene e mi dice a sua volta: ciò che è bello, è essere avvocato, potente per eloquenza, veder gli altri pendenti dalle mie labbra, tanti interessi diversi, e tanti uomini attendere con una sola parola, la perdita o il guadagno, la vita o la morte, la rovina o la salvezza … Oh! In quale abisso vi gettate … anche questo è un fiume di Babilonia, più agitato di tutti gli altri e il cui colpo d’onda batte le rocce. Non vedete questo fiume breve, non vedete che precipita? Prendete cura di non precipitarvi (S. Agost.). – Noi ci imbarchiamo ogni giorno sui fiumi di Babilonia, vediamo questi fiumi passare davanti a noi, questi fiumi dei piaceri del mondo; noi vediamo le voluttà passare davanti a noi, le acque ci sembrano chiare, e nell’ardore dell’estate, si trova piacere nel rinfrescarsi; il corso sembra tranquillo, ci si imbarca facilmente e si entra ben avanti nel commercio di questa città criminale. (Bossuet, Serm. p. de d. de Quares.). – Vi sono altri cittadini della santa Gerusalemme che sono nella loro cattività, che considerano voci di questo mondo e le diverse voluttà che si impossessano degli uomini e li conducono qua e là verso il mare. Alla vista di questi pericoli, invece di abbandonarsi ai fiumi di Babilonia, restano seduti sul bordo dei fiumi di Babilonia, e là piangono sia su coloro che si lasciano trasportare dalla corrente dei fiumi, sia su se stessi, che hanno meritato di essere prigionieri in Babilonia. Essi sono seduti là, cioè umiliati: « Sulla sponda dei fiumi di Babilonia ci siamo seduti ed abbiamo pianto al ricordo di Sion. » O santa Sion, dove tutto dimora e niente scorre? Chi ci ha precipitato in mezzo a questi torrenti? perché abbiamo abbandonato il vostro fondatore e la vostra società, o Sion? Travolti ora in queste acque mobili ed in queste correnti rapide, colui che si trova nel fiume appena riesce a raggiungere un legno di salvezza e sfuggire al torrente. Nell’umiliazione della nostra cattività, sediamoci dunque sulla sponda dei fiumi di Babilonia, non siamo tanto arditi da precipitarci nella corrente di questi fiumi, o di levarci orgogliosamente in mezzo ai mali o alle tristezze della nostra cattività; ma sediamoci e piangiamo. Sediamoci sopra i fiumi di Babilonia, ma non sotto, e possa la nostra umiltà essere grande perché non veniamo sommersi. Sediamoci sopra i fiumi, non nel fiume o sotto il fiume; tuttavia, sedetevi umilmente e non parlate come se foste in Gerusalemme. Voi vi sarete un giorno, perché il profeta lo dice, in un altro salmo, ove parla della vostra speranza e vi dice nei suoi canti: « I nostri piedi stiano dritti negli atri di Gerusalemme. » (Ps. CXXI, 2). Là, voi vi eleverete se vi siete abbassati qui con la penitenza e la confessione: « I nostri piedi si tengano dunque retti negli atri di Gerusalemme. »  Ma « sulla sponda dei fiumi di Babilonia noi ci siamo seduti ed abbiamo pianto al ricordo di Sion. » (S. Agost.) – È una legge di provvidenza che la gioia succeda ai desideri; ed il Cristiano non merita di gioire in cielo, se prima non abbia imparato a gemere in questo luogo di pellegrinaggio; perché, per essere un vero Cristiano, bisogna sentire di essere un viatore, e voi facilmente confesserete che colui che non lo riconosce, non sospira alla sua patria. Ecco perché S. Agostino ha detto queste belle parole che meritano di essere meditate: « Colui che non geme come viandante non gioirà come cittadino: » vale a dire, se comprendiamo, egli non sarà mai abitante del cielo, perché ha voluto esserlo della terra; poiché egli rifiuta il lavoro del viaggio, e non avrà il riposo della patria; ed arrestandosi là dove bisogna camminare, non arriverà dove deve arrivare. Coloro, al contrario, che deplorano il loro esilio, saranno abitanti del cielo, perché non vogliono esserlo di questo mondo, e tendono, con santi desideri, alla felice Gerusalemme. Bisogna dunque che noi gemiamo. A voi, felici cittadini della Gerusalemme celeste, a voi appartiene la gioia; ma, nel mentre che languiamo in questo luogo di esilio, le lacrime ed i desideri fanno la nostra parte. Davide ha espresso i nostri veri sentimenti, quando ha cantato con voce gemente: « Seduti sulle sponde dei fiumi di Babilonia, noi abbiamo gemuto e pianto al ricordo di Sion. » (BOSSUËT, Pan. de S.te Thér.) – Notate qui le due cause del dolore che affliggono un’anima pia che attende con l’Apostolo l’adozione a figli di Dio … È il ricordo di Sion e dei fiumi di Babilonia. Perché non volete che ella pianga, allontanata da ciò che cerca ed esposta in mezzo a ciò che scorre? Ella ama la pace di Sion, e si sente relegata nei turbini di Babilonia, ove non vede che acque correnti, cioè piaceri che passano; e mentre ella non vede nulla che non passi, si ricorda di Sion, di queste felice Gerusalemme in cui tutte le cose sono permanenti. Così, nella diversità di questi due oggetti, essa non sa ciò che di più l’affligga, se Babilonia, in cui si vede, o Sion, da cui è bandita (Bossuet, ibid.). –  « Noi ci siamo seduti ed abbiamo pianto. » Le anime dei giusti piangono i peccati dei loro fratelli: « La carità geme – dice S. Agostino – noi gemiamo sovente sui peccati dei nostri fratelli, soffriamo violenza, il nostro spirito è in preda ad una vera tortura. »   (Serm. XLIV, Sur les par. du Seig.) — Exemple de saint Paul. (ROM. IV, 2.). essi piangono i loro peccati. « I miei occhi hanno sparso torrenti di lacrime, perché non hanno osservato la vostra legge; (Ps. CXVIII, 136); « Io mi sono consumato nei miei gemiti; il mio giaciglio, ogni notte, sarà bagnato dalle mie lacrime ed il mio letto impregnato delle mie lacrime. » (Ps VI, 6). Così, il Profeta dice alla figlia di Sion, infedele e colpevole: « piangi giorno e notte, e le tue lacrime scorrano come un torrente; Gerusalemme non dia riposo alla tua palpebre, e la pupilla del tuo occhio non taccia. » (Lam. II, 6). L’occhio è un oratore eloquente, la pupilla è come la bocca, e senza aver bisogno di parole, si persuade facilmente di tutto ciò che vede. Il torrente non basta, perché esso si dissecca molto presto, c’è bisogno di una fonte inestinguibile di lacrime: « Per questo io sprofondo in lacrime ed i miei occhi spandono torrenti di lacrime. » (Lam. I, 16). Ma bisogna che voi piangiate « al ricordo di Sion. » Non c’è santo dolore, né lacrime feconde, se il ricordo di Sion non viene a mescolarsi. Le lacrime sterili sono quelle che il dolore fa versare senza che la religione le consoli, né le consacri. Molti versano lacrime di Babilonia, perché gioiscono delle gioie di Babilonia. Gioire per un guadagno e piangere per una perdita appartiene egualmente a Babilonia. Voi dovete piangere, ma al ricordo di Sion. Se piangete al ricordo di Sion, piangerete anche quando sentirete le gioie di Babilonia … Che ciascuno esamini la felicità che ha come trasportato la sua anima di allegrezza, che l’ha come glorificata di gioia, l’ha elevate al di sopra di lui stesso e gli fa dire: Io sono felice! Che si domandi se questa felicità non passi e se non possa essere certo che durerà eternamente. Se non è certo e vede scorrere ciò che fa la sua gioia, l’oggetto della sua felicità non è che un fiume di Babilonia; che vi si sieda quindi vicino e pianghi. Egli si siederà e piangerà, se si ricorda di Sion. Oh questa pace che vedremo in Dio! Oh! Questa santa eguaglianza con gli Angeli! Oh! Questa visione, e questo magnifico spettacolo! Senza dubbio, voi trovate belle le cose di Babilonia che vi imprigionano; … che non vi catturino, non vi seducano! Altro è la consolazione dei prigionieri, altra la gioia degli uomini liberi (S. Agost.) – « Noi abbiamo sospeso i nostri strumenti musicali ai salici delle loro rive. » Essi sospendono ai rami gli strumenti della loro gioia, per mostrare ai loro oppressori che avevano più a cuore le loro lacrime che i cantici. Per noi, sospendere i nostri liuti ai salici di Babilonia, è abbandonare gli strumenti della gioia degli uomini di questo secolo, che come alberi sterili, sono irrorati incessantemente dalle acque di Babilonia. –  I cittadini di Gerusalemme hanno i loro strumenti: questi sono le Scritture di Dio, i precetti di Dio, le promesse di Dio, la meditazione della vita ventura; ma quando sono in mezzo a Babilonia, essi sospendono i loro strumenti ai salici. I salici sono degli alberi che non portano alcun frutto; questi alberi sono bagnati dai fiumi di Babilonia e sono sterili. Così come gli uomini cupidi ed avari sono sterili in buone opere, così i cittadini di Babilonia, nutriti di voluttà che procurano loro i beni passeggeri, somigliano agli alberi di questo paese bagnato dai fiumi di Babilonia: voi cercate del frutto in essi e non ne trovate alcuno. Quando dobbiamo sopportare tali uomini, noi viviamo con coloro che sono in mezzo a Babilonia. C’è in effetti una grande differenza tra il territorio di Babilonia e l’esterno di Babilonia; perché vi sono di coloro che non sono in mezzo a questa città, cioè che non sono profondamente affondati nei piaceri e nelle delizie del secolo. Ma, per parlare chiaramente e con poche parole, coloro che sono molto malvagi sono al centro di Babilonia e non sono che alberi sterili, come i salici di Babilonia. Quando li vediamo, li troviamo talmente sterili, che è difficile riconoscere in essi alcun mezzo che li conduca alla vera fede, alle buone opere, o alla speranza della vita futura, o al desiderio di essere liberati dalla schiavitù della nostra condizione mortale. Noi conosciamo le Scritture delle quali potremmo parlare loro, ma non raccogliendo in essi alcun frutto che ci serva da punto di partenza, noi volgiamo gli occhi sopra di essi e diciamo: essi non hanno ancora né gusto, né intelligenza, e tutto ciò che diremo loro, lo prenderebbero come parte cattiva e ce lo rivolgerebbero contro. Differendo dall’intrattenerli con le Scritture, noi sospendiamo i nostri strumenti ai salici; perché noi non troviamo questi uomini degni di portarli (S. Agost.) –  Quando i figli di Dio sono prigionieri in Babilonia, cioè quando lo spirito e le massime del mondo li tengono asserviti alla loro dura tirannia, allora la loro bocca si chiude come il loro cuore. Non più preghiera, non più lode di Dio, non più professione di fede. Si può oltraggiare, bestemmiare davanti ad essi impunemente Dio, Gesù-Cristo, i suoi misteri, la sua Religione, la sua Chiesa; essi restano silenziosi, restano muti: la parola di Dio è incatenata sulle loro labbra, essi tengono la verità di Dio prigioniera nell’iniquità.

f. 3, 4. – Perché era proibito loro di cantare in terra straniera? Perché orecchie profane non erano degne di ascoltare questi canti misteriosi. Essi vogliono dire: non ci è stato permesso di cantare. Noi abbiamo, è vero, perso la nostra patria, ma restiamo inviolabilmente fedeli alla nostra legge, e la osserviamo con scrupolosa esattezza. Così, benché siate i padroni dei nostri corpi, non trionferete mai delle risoluzioni della nostra anima (S. Chrys.). – Coloro in cui agisce il demonio, ci interrogano talvolta e ci dicono: dateci le ragioni della vostra fede, spiegateci perché il Cristo è venuto sulla terra ed in cosa il Cristo è stato utile al genere umano? Dopo la venuta del Cristo, le cose umane non sono che peggiorate rispetto a prima ed erano in altri tempi in uno stato più felice di quanto non lo siano ora! I Cristiani ci dicono che il Cristo abbia apportato il bene sulla terra? In cosa pensano che le cose umane siano più felici, dacché il Cristo è venuto sulla terra? Voi vedete dunque che se i teatri, gli anfiteatri ed i circhi restano sani e salvi, se nulla perisce in Babilonia, se gli uomini navigano nell’abbondanza delle voluttà, cantano e danzano al suono di canzoni oscene, se la corruzione dei libertini e delle donne di cattiva vita segue il suo corso piacevolmente in tutta sicurezza; se colui che grida per far dare onori ai pantomimi, che non aveva da temere la fame nella sua casa, se questo fiume di delizie colava senza diminuzione e senza turba alcuna, se tutte queste frivolezze erano accompagnate da una tranquillità perfetta, allora il nostro tempo sarà da questi dichiarato felice, ed il Cristo avrebbe – secondo loro – apportato alle cose umane una gran somma di felicità. Ma dal momento che le iniquità sono distrutte, che sulle rovine della cupidigia è impiantato l’amore di Gerusalemme, che la vita presente è mescolata all’amarezza, per far desiderare la vita eterna, che gli uomini sono istruiti dai castighi e ricevono colpidel loro Padre, per evitare l’alt del Giudice, il Cristo non avrebbe portato del bene, e secondo loro il Cristo non ha portato che sofferenze. Se cominciate a mostrare all’uomo i benefici del Cristo, egli non vi comprende … E che, egli dice, sono questi i beni che è venuto a portare il Cristo: che un uomo debba perdere ciò che possiede, darlo ai poveri e restare povero egli stesso? Che farete dopo questa risposta? Bisogna allora dire: voi non comprendete i beni che dà il Cristo … Coloro che ci hanno condotti prigionieri, quando entrano nel cuore di certi uomini e ci interrogano con la bocca di coloro che li dominano, ci dicono: « Cantate i vostri cantici. » Dateci le ragioni della venuta del Cristo, e fateci conoscere qual sia l’altra vita. Io non domando che di credere; ditemi solo perché mi ordinate di credere? Io rispondo a colui che mi interroga e gli dico: O uomo! Perché non vuoi ciò che ti ordino di credere … tu sei pieno di cattive convinzioni; se io parlo dei beni della Gerusalemme celeste, tu non li comprendi; occorre dapprima svuotarti di ciò che ti riempie, per poterti riempire di ciò di cui sei vuoto … Cosa gli risponderemo ancora? Babilonia vi porta, vi chiude nel suo seno, Babilonia vi nutre; Babilonia parla con la vostra bocca; voi non sapete comprendere se non ciò che brilla nel tempo, voi non sapete meditare le cose eterne, voi non comprendete ciò che chiedete « … come canteremo i cantici del Signore in terra straniera? » In verità è così! Cominciate a volere annunziare la verità, anche quel poco che conoscete, e vedete come sia inevitabile che abbiate da sopportare simili beffe, che viglio strappare la verità e che sono pieni di falsità … Rispondete loro, a questi ignoranti, incapaci di comprendere ciò che vi domandano, e dite loro, con profondo sentimento di amore per il vostro santo cantico: « Come canteremo noi il cantico del Signore in terra straniera? » (S. Agost.) – Ecco qua lo spirito del mondo che, attraverso la bocca dei più ignoranti e dei più indegni prende piacere nel beffarsi della pietà, nell’insultare coloro che ne fanno professione, che chiede talvolta con sorriso sdegnato: dove sono queste gioie e queste consolazioni spirituali di cui voi riempite la vostra immaginazione, e porta la temerità fino a voler trattare nelle assemblee tutte profane, le questioni più alte e profonde della Religione.

II. — 5, 6.

 ff. 5, 6. – Come il segno dell’oblio era stato il pizzicare l’arpa e cantare i cantici del Signore sulla terra straniera, così questo popolo chiama su di essa tutte le maledizioni, scongiurando il suo Dio di disseccare la sua mano, e attaccare al palato la sua lingua che aveva disimparato i suoi canti, se mai, dimenticando la patria, toccasse un’arpa e facesse ascoltare i cantici di Sion in terra straniera. (Bellarm.). – … che la mia lingua resti attaccata al palato se non mi ricordi di te; vale a dire: che io diventi muto, se non mi ricordo di te. In effetti, a che serve parlare, a che serve cantare se non si canta il canto di Sion? È il cantico di Gerusalemme la nostra lingua. Il cantico dell’amore di questo mondo è una lingua straniera, una lingua barbara, che abbiamo appresa in cattività. Questo dunque sarà muto davanti a Dio se avrà obliato Gerusalemme; ed è poco il ricordarsene, perché i suoi stessi nemici se ne ricorderanno volendo rinchiuderli. Qual è – essi dicono – questa città? Che sono i Cristiani? Che valgono i Cristiani? Oh, se non ci fossero più Cristiani! La folla dei cattivi ha vinto questi tiranni, e tuttavia questi mormorano; essi si abbandonano al loro furore, vogliono far perire questa santa città che viaggia in mezzo ad essi, come il faraone voleva distruggere il popolo di Dio, mettendo a morte i figli maschi, preservando le femmine, affondando le virtù e nutrendo le voluttà. È dunque poco ricordarvi di Gerusalemme, esaminate come ve ne ricordate. Noi ci ricordiamo di certe cose con un sentimento di odio, e di altre con un sentimento di amore; ecco perché, dopo aver detto: « O Gerusalemme, se mai ti dimenticassi, che la mia mano destra sia dimentica di me; che la mia lingua resti attaccata al mio palato, se non mi sovvengo di te, », il Profeta ha immediatamente aggiunto: « Se non faccio di Gerusalemme l’oggetto della mia gioia più dolce. » La nostra gioia più dolce si trova, in effetti, là dove gioiremo di Dio, là ove regna l’unione fraterna e dove saremo in piena sicurezza nell’amicizia dei nostri fratelli e l’unione dei nostri concittadini; là nessun tentatore ci farà violenza, nessuno potrà indurci alla minima sensualità, niente ci causerà gioia che non sia il bene; là si estinguerà ogni necessità, là comincerà una sovrana felicità, » … se non farò di Gerusalemme « l’oggetto della mia gioia più dolce. » (S. Agost.) –  Il Profeta si vota qui ad un’altra pena se dovesse dimenticare Gerusalemme: « Che la mia lingua si attacchi al mio palato. » Egli sa quanto sia grave che la lingua resti muta per le lodi di Dio; egli sa qual virtù felici ed eterne si tengono davanti al trono di Dio,  e non cessano di proclamare le sue lodi, dicendo: « Santo, Santo, Santo è il Signore Dio degli eserciti » (Isai. VI, 3); egli sa che la Scrittura ha detto di coloro che, come i morti, sono muti quando si tratta di lodare Dio: « La loro bocca è un sepolcro aperto, » (Ps. V, 2), perché la loro lingua rimane silenziosa e morta alle lodi di Dio. Il salmista si sottomette a questo castigo del silenzio come punizione del suo oblio, se cessa di ricordarsi di Gerusalemme e se non si propone Gerusalemme come il principale soggetto della sua gioia. Ciascuno di noi ha nelle inclinazioni della sua volontà e nelle affezioni della sua anima, delle cause diverse di gioia. L’ubriacone mette la sua gioia nel vino, l’uomo sensuale nei piaceri della tavola, l’avaro nel denaro, l’ambizioso negli onori, il sedizioso nelle rivoluzioni, il voluttuoso nelle dissolutezze. Il Profeta si propone Gerusalemme come principale oggetto della sua gioia; si rallegra al pensiero che sarà ricevuto un giorno in questa celeste città ove questa vita mortale farà posto all’immortalità, ove sarà riunito ai cori degli Angeli, prenderà possesso del regno di Dio e diverrà conforme alla sua gloria. Egli non conosce altri piaceri, nessun’altra cosa piace alla sua anima, Gerusalemme solo è il principale oggetto della sua gioia. (S. Hilar.). – Il Profeta Isaia ci invita a non conoscere gioia più vera e grande della gioia che risulta dall’amore e dalla speranza di questa santa città non fatta da mano d’uomo, ove risiede la divina allegrezza e della quale è detta nel Vangelo: « Entrate nella gioia del Signore. » (Matth., XXV).- Rallegratevi con Gerusalemme, trasalite di allegrezza, voi tutti che l’amate; unite i vostri trasporti ai suoi, voi tutti che piangete con essa; voi sarete riempiti dalle sue consolazioni, voi sarete inondati dal torrente delle sue delizie, gioirete dello splendore della sua gloria. » (Isai. LXVI, 10, 11).

III. – 7-9

ff. 7-9. – « Ricordatevi, Signore dei figli di Edom, nel giorno di Gerusalemme. » Si tratta del giorno di Gerusalemme sofferente e schiava, o del giorno di Gerusalemme liberata, rientrata dall’esilio, associate all’eternità? « Ricordatevi Signore, dei figli di Edom; » non li dimenticate mai. Quali sono questi figli? « Coloro che dicono: distruggetela, distruggetela fin dalle fondamenta. » Ricordatevi dunque di questo giorno nel quale essi hanno volute distruggere Gerusalemme. In effetti, quali terribili persecuzioni la Chiesa ha sofferto! Con quale rabbia i figli di Edom, cioè gli uomini carnali, sottomessi al demonio ed ai suoi angeli, adoratori della pietra e del legno, schiavi degli adoratori della pietra e del legno, schiavi dei piaceri della carne, gridavano: distruggete i Cristiani; che non ne resti neppure uno solo! Distruggeteli fino alle fondamenta. Non è questo che essi dicevano? E mentre parlavano così, i persecutori erano riprovati ed i martiri coronati. « Ricordatevi dei figli di Edom, … distruggeteli, distruggeteli fin dalle fondamenta. » I figli di Edom dicono: distruggetela, distruggetela, ed il Signore dice loro: servitela. Quale parola prevarrà, se non quella di Dio che dice: il primogenito servirà il più giovane? (S. Agost.). – « Distrugge, distruggete sin dalle sue fondamenta. » Non è ancora il grido di Guerra e lo scopo che la rivoluzione persegue ai giorni nostri? Il trionfo che essa proclama è riservato al nostro secolo, la missione che essa reclama e di cui si glorifica con la bocca dei suoi corifei, non è l’annientamento del Cristianesimo pubblico, il ribaltamento dell’ortodossia sociale? Distruggere i resti ultimi dell’antico edificio dell’Europa Cristiana, ed affinché la demolizione sia definitiva, abbattere la chiave di volta intorno alla quale le ultime pecore ancora sussistenti potrebbero, presto o tardi, riavvicinarsi o ricongiungersi: ecco l’opera alla quale le mille voci dell’empietà convengono apertamente nella nostra generazione; ecco il lavoro della disorganizzazione alla quale – è manifesto – noi assistiamo. E poiché non c’era mai stato un edificio così vasto come l’edificio Cristiano, mai si sono viste rovine così gigantesche (Mgr PIE, Disc, et Instruc, t. V, 2.). – È unanime l’indignazione del Profeta e di un’anima convertita che, riguardando la sua abiezione e la sua miseria, torna su Babilonia, causa unica delle sue disgrazie, degli sguardi di dolore, di collera e di disprezzo. – « Maledetta figlia di Babilonia, » grida, infelice per la tua allegria, infelice per il tuo odio. Ciò che hai fatto, ti sarà reso: « Felice che prenderà i tuoi figli e li sbatterà sulla pietra. » Egli dichiara Babilonia infelice e dichiara felice colui che le renderà ciò che ci ha fatto. Cerchiamo dunque ciò che gli sarà reso e che ci viene detto: « Felice che prenderà i tuoi figli e li sbatterà sulla pietra! » Ecco ciò che gli sarà reso. Cosa ci ha fatto dunque questa Babilonia? Noi l’abbiamo già cantata in un altro salmo: « I discorsi degli empi hanno prevalso contro di noi. » (Ps. LXIV, 4). In effetti, alla nostra nascita, noi veniamo piombati, piccolo infanti, nella confusione di questo mondo, e fin dalla più piccola età, veniamo tuffa nelle vane opinioni e nei diversi errori. E questo bambino, nato per essere cittadino di Gerusalemme, e già veramente Cittadino di questa città nella predestinazione di Dio; ma aspettando, prigioniero in un tempo, cosa apprende ad amare, se non ciò che i suoi genitori mormorano alle sue orecchie? Essi insegnano e fanno apprendere loro l’avarizia, le rapine, le menzogne di ogni giorno, le diverse maniere di adorare gli idoli ed I demoni. Che può fare questo piccolo bimbo, quest’anima tenera e flessibile esaminando ciò che fanno le persone più adulte, se non conformarsi a ciò che vede fare? Babilonia ci ha dunque perseguitato fin dalla nostra infanzia; ma diventati più grandi, abbiamo ricevuto da Dio il dono di riconoscerlo, per non seguire gli errori dei nostri genitori. «Le nazioni, dice Geremia, verranno da tutte le estremità della terra e diranno: Veramente i nostri padre hanno adorato la menzogna e la vanità, da cui non hanno tratto alcun profitto. » (Ger. XVI, 19). Ecco ciò che dicono I giovani che, nella loro infanzia, hanno trovato la morte seguendo queste vanità; che rigettino essi queste vanità e che, richiamati in vita, progrediscano in Dio rendendo a Babilonia tutto ciò che ella ha reso. Cosa gli renderanno? Ciò che ella ci ha dato. Che i suoi figli siano a loro volta sbattuti; in più, i loro piccoli sbattuti che muoiano. Quali sono i piccoli figli di Babilonia? Le cattive passioni nel momento in cui esse nascono. Ci sono in effetti degli uomini che devono combattere passioni inveterate. Quando la concupiscenza è al suo nascere, prima che abbia preso forza contro di voi; quando la concupiscenza è ancora molto piccola, prima che prenda la forza di un’abitudine depravata; quando è ancora piccola, schiacciatela. Ma temete che essa non muoia, benché schiacciata? Schiacciatela « … sulla pietra. Ora questa pietra è il Cristo. » (I. Cor., X, 4). – Qualunque sia la felicità che possa arridervi in questo mondo, non vi mettete la vostra fiducia, e guardatevi dall’intrattenervi con compiacenza nei vostri piaceri. Il nemico è grande? Uccidetelo sulla pietra. È piccolo, schiacciatelo sulla pietra. Uccidete i grandi sulla pietra, schiacciate i piccoli sulla pietra. Che la pietra trionfi su tutti! Costruite anche sulla pietra, se non volete essere trascinati o dal fiume o dai venti, o dalle tempeste. Se volete essere armati contro le tentazioni del secolo, che il desiderio della Gerusalemme eterna cresca e si fortifichi nei vostri cuori. La cattività passerà, la felicità arriverà; il vostro nemico sarà condannato alla fine, e noi trionferemo con il nostro Re, per non morire mai più. (S. Agost.). – Questa è una pietra che porta un nome divino, questa pietra è il Cristo, ed è anche colui che il Cristo ha chiamato Egli stesso … Pietro. Questa pietra salva coloro che essa tocca, resuscita coloro che sfiora. O generazione contemporanea, o figlia sfortunata di questa Babilonia che è la rivoluzione moderna, felice colui che afferrerà i tuoi figli, li fermerà, li schiaccerà sulla pietra, che è Gesù Cristo, e che è l’insegnamento apostolico. (Mgr PIE, Discours, etc., t. VII, 560).