SALMI BIBLICI: “DIXIT INIUSTUS UT DELINQUAT IN SEMETIPSO” (XXXV)

SALMO 35: “DIXIT INIUSTUS UT DELINQUAT …”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

TOME PREMIER.

PARIS LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR RUE DELAMMIE, 13 – 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

SALMO XXXV

[1] In finem. Servo Domini ipsi David.

[2] Dixit injustus ut delinquat in semetipso:

non est timor Dei ante oculos ejus.

[3] Quoniam dolose egit in conspectu ejus, ut inveniatur iniquitas ejus ad odium.

[4] Verba oris ejus iniquitas, et dolus; noluit intelligere ut bene ageret.

[5] Iniquitatem meditatus est in cubili suo; astitit omni viæ non bonæ, malitiam autem non odivit.

[6] Domine, in cælo misericordia tua, et veritas tua usque ad nubes.

[7] Justitia tua sicut montes Dei; judicia tua abyssus multa. Homines et jumenta salvabis, Domine,

[8] quemadmodum multiplicasti misericordiam tuam, Deus. Filii autem hominum in tegmine alarum tuarum sperabunt.

[9] Inebriabuntur ab ubertate domus tuæ, et torrente voluptatis tuae potabis eos;

[10] quoniam apud te est fons vitae, et in lumine tuo videbimus lumen.

[11] Prætende misericordiam tuam scientibus te, et justitiam tuam his qui recto sunt corde.

[12] Non veniat mihi pes superbiæ, et manus peccatoris non moveat me.

[13] Ibi ceciderunt qui operantur iniquitatem; expulsi sunt, nec potuerunt stare.

[Vecchio Testamento secondo la Volgata

Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO XXXV

Salmo inspirato a Davide da cantare sempre sino alla fine. Argomento è la gran malizia di alcuni uomini, e la molto maggiore misericordia e giustizia di Dio.

1. Per la fine: salmo dello stesso David servo del Signore.

2. Discorre l’iniquo dentro di sé stesso di far del male; il timore di Dio innanzi agli occhi di lui non è.

3. Perocché nel cospetto di lui egli ha agito con frode, onde odiosa diventi la sua iniquità.

4. Le parole della bocca di lui sono ingiustizia ed inganno; non volle intendere per bene operare.

5. Meditò nel suo letto l’iniquità: qualunque via non buona gli piacque, e non ebbe nissun raccapriccio della malvagità.

6. Signore, nel cielo è la tua misericordia, e la tua verità fino alle nubi.

7. La tua giustizia è come gli altissimi monti: abisso grande i tuoi giudizi.

E gli uomini e i giumenti tu salverai, o Signore;

8. Tanto si stende, o Signore, la tua misericordia. Ma i figliuoli degli uomini all’ombra dell’ali tue spereranno.

9. Saranno inebriati della opulenza della tua casa, e al torrente di tue delizie darai loro da bere.

10. Perocché presso di te è la sorgente della vita, e nel lume tuo vedrem la luce.

11. Spandi la tua misericordia sopra coloro che ti conoscono, e la tua giustizia a prò di quelli che hanno cuor retto.

12. Non venga contro di me il pie del superbo, e non mi smovano i tentativi del peccatore.

13. Ivi andarono per terra quelli che commettono l’iniquità: furon cacciati fuora, e non poteron tenersi in piedi.

Sommario analitico

In questo salmo:

I. Davide dipinge l’empietà e la malizia di certi uomini: 1° essa si impadronisce a) della loro volontà, per la scelta riflessiva che ha fatto del male; b) della loro intelligenza, nel rifiutare il pensiero del timor di Dio (1). 2°Da queste due facoltà principali, la corruzione si estende: a) alle loro opere, piene di frodi per gli uomini, ed odiose al Signore (2); b) ai loro discorsi empi nei riguardi di Dio, ingannatori nei riguardi del prossimo (3 e 4); c) ai loro pensieri che il male impregna in ogni tempo, nella notte, durante la quale il malvagio medita e concepisce il male; e durante il giorno, ove indugia nelle vie perverse e vi persevera (4).

II Egli oppone a questa empietà, a questa malizia, il quadro degli attributi di Dio, della sua verità, della sua giustizia, ma soprattutto della sua misericordia.

1° Egli espone le dimensioni di queste divine perfezioni: – a) l’altezza della sua misericordia: essa si eleva fino ai cieli, e la sua verità fino alle nubi (5); – b) la profondità dei suoi giudizi. Essa eguaglia quella degli abissi (6).

2° Egli considera la sua misericordia nei rapporti con gli uomini: – a) rispetto ai peccatori; 1) essa li salva, benché con i loro peccati siano divenuti simili agli animali; 2) essa si moltiplica in proporzione alla moltitudine dei peccatori (7). – b) nei riguardi dei giusti nel cielo; 1) essa li copre con una provvidenza speciale ed una singolare affezione (8); 2) inebria la loro volontà con il suo amore; 3) inonda tutti i loro sensi col torrente delle divine voluttà; 4) unisce la loro volontà a Dio con la luce della gloria (10). – c) nei riguardi dei giusti della terra, Dio fa loro sentire la misericordia e la giustizia (11), 1) la misericordia, dando loro la virtù dell’umiltà; difendendoli contro i superbi (12); 2) la giustizia, abbassando i loro nemici, impedendo loro di rivelarsi rendendo la loro rovina irrevocabile (13).

Spiegazioni e Considerazioni

I — 1-4.

ff. 1. – Il salmista ci traccia qui un’immagine molto somigliante di un grande numero di uomini che peccano, non solo per sorpresa o per debolezza, ma per volontà determinata e con ferma premeditazione. Qualunque cosa si faccia per dissuaderli, essi hanno detto in se stessi che vogliono assolutamente peccare e non vanno al di là dei loro propositi, e questo solo in odio a Dio (Dug.). – Ma colui che si è proposto di peccare, lo dice pubblicamente, o piuttosto non lo dice in se stesso? Perché lo dice soltanto in se stesso? Perché gli uomini non possono vederlo, come mai? Perché gli uomini non vedono in fondo al loro cuore, ove dice che peccherà, e Dio non vede ugualmente? Certamente Dio vi guarda. Ma ascoltate ciò che segue: « Il timore di Dio non è davanti ai loro occhi » (S. Agost.). – La causa di tutti i misfatti che si commettono nel mondo, è la mancanza di questo timore. Cosa fanno gli empi prima di bestemmiare contro tutti i misteri della Religione? Cominciano col negare la vita futura e i giudizi di Dio. Una volta rotto questo freno, nulla più li arresta; quando sussiste la fede nei giudizi di Dio, nulla è ancora perduto per i peccatori. È per questo che tutti i libri Sacri raccomandano con forza il timore del Signore (Berthier).

ff. 2. –  Non c’è nulla che renda l’iniquità più degna dell’odio di Dio che la dissimulazione e l’inganno. Ora, è questo l’agire con artificio alla presenza di Dio:  apparire di essere suo amico, quando si è invece amico del mondo; è agire con l’inganno alla sua presenza dare al mondo tutto il suo interno e gli effetti reali, e non dare a Dio che l’esteriorità e le apparenze; è agire con la dissimulazione in sua presenza, il difendere il proprio peccato o facendo in modo negligente l’esame di coscienza (Hug. Card.).

ff. 3. – È uno stato funesto, uno stato deplorevole, e nello stesso tempo molto più comune di quanto si pensi: essere malato e sapere come guarire; essere cieco e non voler uscire dalla propria cecità, né aver l’intelligenza necessaria per fare il bene; ed anche non volersi istruire nei propri doveri, per paura di sentirsi obbligato a metterli in pratica, fuggire i predicatori ed i confessori, che dicono la verità, perché non si vuole apprendere nulla da loro, né si vuole seguirli (Duguet). – È questo un peccato di un’infinità di Cristiani che non vogliono essere illuminati su determinati fatti, su certi dubbi, su certe turbe di coscienza, perché sentono bene, per poco che sondino se stessi, che non sono nella disposizione di compiere dei doveri ai quali questi chiarimenti poi li obbligherebbero … Se in una moltitudine di circostanze, si volesse entrare nella discussione delle cose e pesare tutto nella bilancia del santuario, è evidente che si troverebbero tanti conti da rendere, tante ingiustizie da riparare, restituzione di beni da fare; ora, tutto questo imbarazzerebbe e si risolverebbe in estremi incresciosi. Che si fa allora? Per togliersi l’inquietudine e lo scrupolo, se ne ignora la conoscenza; ci si indurisce su questo, e si prende la decisione di non pensarci affatto (Bourd.: Aveugl. spirit.). – Questo rifiuto di comprendere, questa fuga dalla luce, è uno dei tratti che meglio caratterizzano l’uomo vizioso. Allora, la legge di Dio, proprio perché apre l’intelligenza, rischiara la vista e non serve più che ad importunare. Ciò che si era appreso e che è più capace di indurre rimorsi, diviene allora odioso e penoso, si cessa di leggere e vedere ciò che sarebbe istruttivo, edificante e salutare, perché non lo si ama più, essendosi resoluti nel non osservare alcun dovere, anche il più piccolo, e di obliarli. Un tale disgusto della virtù e della verità conduce ben presto ad una indisposizione ancor più criminale. Il male diviene un’occupazione tanto seria, che lungi dal detestarlo, se ne fa uno studio: lo si medita di notte, lo si esegue di giorno (Degu, Rendu).

ff.4. – Naturalmente colui che si mantiene nella via dell’errore, medita l’ingiustizia, la malizia, che dovrebbe odiare. Il Salmista dice che costui si è arrestato in questa via. In un altro Salmo egli proclama felice colui che non indugia nella via dei peccatori, ma non colui che non smette di soggiornarvi. (S. Ambrog.). – Quando un uomo è interamente votato all’iniquità, non pensa che al male, anche nel tempo consacrato al riposo. Il silenzio della notte è destinato a formare iniqui progetti, a cercare i mezzi per soddisfare una passione odiosa; ci si alza ancora più colpevole di quanto ci si era addormentati, ed il giorno è impiegato solo per mettere in pratica quanto si è immaginato durante le tenebre. I santi ritengono il sonno come tempo perso per la salvezza, mentre i malvagi lo ritengono molto utile per i progetti che formano nelle loro passioni. (Berthier). – Così si applicano all’odio del bene e alla ricerca del male, con cui il profeta ci intrattiene. La grandezza e la bontà di Dio sono precisamente ciò che acceca ed indurisce i malvagi. Una misericordia inesauribile, delle verità sublimi, una giustizia lenta a punire, dei giudizi che sembrano degli impenetrabili abissi, una Provvidenza che fa sorgere il sole e cadere la pioggia su tutte le creature: tutto questo, è fatto per suscitare l’ammirazione e la riconoscenza nei cuori retti e puri, ma è mortale per i cuori dei mal disposti. Essi ne concludono o che Dio non esista, o che non si preoccupi affatto, nel supremo giudizio del bene e del male, di ciò che avviene sulla terra. Da questo traggono un’ultima conseguenza, che cioè essi possono, senza alcun rischio per l’eternità, abbandonarsi alle loro passioni (Rendu). – Letto funesto, riposo maledetto, è la falsa pace di una cattiva coscienza. Il peccatore riposa nella sua iniquità come in un letto piacevole; ma quale riposo può trovare un cuore nel quale tutto è pieno di turbamento ed agitazione? Egli va per ogni tipo di strada; segue indifferentemente tutte le vie; fugge la buona, che è la via stretta che sola porta alla vita, e si ferma in quelle larghe che non sono buone. – Quando non si amasse il male, è sufficiente, per essere colpevoli, il non detestarlo, non averne avversione, essere insensibile a tutti gli oltraggi che si fanno incessantemente a Dio (Duguet).

II — 5-13.

ff. 5, 6. –  « Voi salverete, o Signore, gli uomini e gli animali » Cosa vuol dire? Le creature ragionevoli e quelle prive di ragione. Per le prime la giustizia; per le seconde, la misericordia. Le une sono governate, dirette, le altre sono sottomesse, così il salmista aggiunge: « Ma i figli degli uomini sperano all’ombra delle vostre ali »; cioè i figli degli uomini che vivono ad immagine e somiglianza di Dio, non sono condotti al pascolo, ma si siedono al banchetto. Agli uni le fertili praterie; agli altri i privilegi insigni dei Sacramenti; per gli imperfetti il latte, per i perfetti questa tavola dove essi riparano le loro forze e dove lo stesso salmista ha detto in un altro luogo: « Voi avete preparato davanti a me una tavola » (Ps. XXII, 5). – La misericordia di Dio è ineffabile, essa si estende dalla terra al cielo, è più elevata del cielo, e sorpassa infinitamente i nostri pensieri. La verità si eleva fino alle nubi, poiché non c’è nulla di più sublime, ma essa ha anche, in questa via, l’oscurità delle nubi. Il sole di giustizia ci rischiara attraverso queste ombre, ma non quanto ci rischiarerà nella patria celeste. Tre epoche sono in rapporto alla verità: quella della legge, in cui la verità era figurativa; quella del Vangelo, in cui la verità è rivelata, ma avvolta da ombre affinché possiamo avere il merito della fede; infine quella della vita futura, in cui la verità è messa allo scoperto, perché Dio la rivela pienamente in Se stesso (Berthier). – La giustizia di Dio non è meno elevata sopra di noi della sua misericordia. Essa è, come le montagne di Dio, inaccessibile a tutti gli uomini. I giudizi di Dio sono un abisso impenetrabile che oltrepassa la pochezza della nostra intelligenza (S. Agost.). – « L’uno sarà preso, l’altro lasciato ». Un grande peccatore si converte, fa penitenza e si salva; un giusto che è vissuto nella virtù soccombe ad un movimento di orgoglio, decade dal suo stato e si danna. Saggi agli occhi del mondo ed ai loro occhi, che sono abbandonati alle loro tenebre; la luce di Dio è data agli umili ed ai piccoli. « O profondità dei tesori della saggezza e della scienza di Dio, che i suoi giudizi sono impenetrabili e le sue vie incomprensibili » (Rom. XI, 33). – La giustizia di Dio è elevata, perché nessuno merita che Dio non gli renda molto più di quello che meriti. La verità è più elevata, perché Dio ci ha promesso e ci ha dato le grazie che noi non abbiamo mai meritato, come l’Incarnazione e tutto quel che ha rapporto con la Redenzione. Ma la misericordia è molto più elevata, perché essa ci ha dato delle cose alle quali il nostro pensiero non può giungere, secondo quanto ci dice San Paolo: « ciò che l’occhio dell’uomo non ha visto, etc. ». (S. Tommaso). – I vostri giudizi sono come abissi infiniti. Il sublime Apostolo era confuso dinanzi a questi abissi, ed era questo un grido di stupore ed ammirazione: « O abisso della saggezza e della sapienza di Dio, quanto incomprensibili sono i suoi giudizi, ed inscrutabili le sue vie! Chi ha conosciuto il pensiero del Signore? Chi penetra le sue profondità nascoste? Chi penetra nei suoi segreti impenetrabili ». Cosa! Un’anima resta per un’altra anima un mondo assolutamente chiuso nell’oscurità, e noi pretendiamo di entrare nell’Essenza divina, la sola infinita, la sola inaccessibile, come una volgare soglia, aperta a tutti, e noi pretendiamo di annullare o rivedere i suoi giudizi? « O Dio i vostri giudizi sono come degli abissi », i vostri misteri si elevano davanti a me, intercettano tutti i sentieri della mia intelligenza, oltrepassano i più potenti sforzi della mia sapienza, e bruciano le ali della mia investigazione più perspicace. Il mistero è dappertutto, dappertutto ombre pericolose mi circondano, dappertutto io devo adorare senza vedere, inchinare davanti alla vostra infinita sapienza ed ai vostri incomprensibili pensieri, la mia debole ed orgogliosa ragione (Doublet, Psaumes etc. III, 218).

ff. 7. – La vostra misericordia è così abbondante, che essa non si espande solo sugli uomini, ma pure sugli animali; essa è così potente che fa sì che il sole si elevi sui buoni e sui cattivi, e che voi spandiate la vostra rugiada sui giusti e sui peccatori (Matt. V, 45). – Ma i vostri santi non avranno nulla di particolare? Il giusto non riceverà nulla che gli sia proprio e che l’empio non spartirà con lui?. Sì, senza dubbio; ascoltate ciò che segue: « Ma i figli degli uomini »? e gli uomini non sono forse i figli degli uomini? Voi, Signore, conservate gli uomini e gli animali; ma i figli degli uomini? Ebbene, cosa avranno essi di particolare? « I figli degli uomini spereranno all’ombra delle vostre ali » (Ps. XXXV, 7, etc.). – Ecco cosa non sarà in comune con gli animali. Perché dunque questa distinzione tra gli uomini? E gli uomini non sono forse i figli degli uomini? Senza alcun dubbio, c’è un uomo che non sia figlio di un uomo? Adamo era uomo, ma non figlio dell’uomo; Gesù Cristo era nel contempo Uomo e Figlio dell’uomo. Ora, come tutti muoiono per Adamo, tutti rivivono per Gesù-Cristo (I Cor. XV, 22). – Coloro che muoiono e che muoiono senza ritorno, cercano la loro salvezza con gli animali, e non la cercano con i figli dell’uomo, nella speranza della vita eterna. I primi sono nel novero degli uomini, ma i figli dell’uomo appartengono al Figlio dell’uomo (S. Agost.). – La provvidenza generale che veglia sulla conservazione e la sopravvivenza degli animali di ogni specie, è una sorta di dimostrazione in favore del desiderio che il Signore ha di salvare tutti gli uomini. Senza la salvezza eterna, gli uomini sarebbero più sciagurati delle bestie, e Dio avrebbe – sembrerebbe – meno provvidenza per gli uomini che per le bestie, anche in apparenza i più vili (Berthier). – L’eredità dei giusti, come figli della casa, è dunque quella di essere al coperto sotto le ali dell’Onnipotente, contro i pericoli che li minacciano, e di sostenersi con la speranza che essi hanno di prendere parte, un giorno, all’eredità del Padre loro.

ff. 8. – È in questi termini che il Re-profeta, sollevando un angolo del velo dei nostri destini immortali, e facendoci vedere in enigma ciò che contempleremo un giorno faccia a faccia, ci rivela la felicità degli eletti. Egli ha cercato di esprimere, per mezzo di qualche comparazione con le cose umane, ciò che egli voleva dire, e siccome vedeva che gli uomini piombavano nella ebrezza, nel bere vino smoderatamente e perdere la ragione, egli ha creduto di poter esprimere il suo pensiero con questa immagine, perché sotto l’espressione di questa gioia ineffabile, la ragione umana si perderà in qualche modo, diventerà divina e sarà inebriata dall’abbondanza che è nella casa di Dio (S. Agost.). Il torrente differisce dai fiumi nel fatto che questi scorrono incessantemente e le loro acque sono più tranquille. Il torrente si precipita con più violenza, trascina e travolge tutto ciò che incontra nel suo passaggio; noi temeremo allora il torrente, poiché si tratta di un torrente di voluttà. Ma la felicità celeste invaderà le nostre anime con una effusione così rapida, che la sola impetuosità del torrente ce ne può dare solo una pallida idea. Tuttavia, è bene sperare in un altro torrente, il torrente della persecuzione, della sofferenza, prima di essere bagnati dal torrente della voluttà, che deve essere la nostra ricompensa. Ricordiamo le parole di San Paolo. « Tutte le sofferenze di questo mondo non sono degne di essere assimilate alla gloria che ci sarà rivelata un giorno » (Rom. VIII, 18). Non temiamo più di bere nel corso del nostro cammino l’acqua del torrente; non temiamo più le pene, le persecuzioni, le sofferenze, poiché ci dovremo un giorno inebriare del torrente delle eterne delizie. Opponiamo la povertà, la carestia, l’indigenza a tutti i piaceri della terra, che lasciano sempre l’anima tormentata dalla fame, all’abbondanza, alla pienezza, alla società perfetta che si trova nella casa di Dio; … quest’acqua morta e melmosa che non fa che alterare coloro che ne bevono, all’acqua viva, all’acqua pura, al torrente di delizie tutte divine di cui Dio inonda l’anima degli eletti. – Tale è la gioia dei beati, la cui pienezza è infinita, di cui i trasporti sono inconcepibili e gli eccessi tutti divini. Lungi dalla nostra idea le gioie sensibili, che turbano la ragione e non permettono all’anima di possederla, di modo che non si osi dire che essa gioisca di alcun bene, poiché uscita da se stessa, sembri non essere in sé per gioirne. Qui essa è veramente toccata nel fondo più intimo, nella parte più delicata e più sensibile: tutta fuor d’essa, tutta a se stessa, possedendo Colui che la possiede, la ragione sempre attenta e sempre contenta (Bossuet, III Serm. Fete de tous Saints).

ff. 9. –  « In voi è la sorgente della vita, ed è nella vostra luce che vedremo la luce ». Nostro Signore Gesù Cristo è questa sorgente di vita abbondante ed inesauribile che è discesa sulla terra per irrorare la secchezza della nostra anima. Egli è lo splendore della gloria di Dio Padre, l’immagine della sua sostanza, ed è così che in questa luce vera che rischiara ogni uomo che viene in questo mondo, noi vedremo il Padre, perché Dio è luce. Il Re-profeta dice con giustezza rimarchevole di espressione: « è nella vostra luce che noi vedremo la luce », secondo quella parola del Salvatore: « Colui che mi vede, vede il Padre mio » (Joann. XIV, 9). In Voi dunque è la sorgente della vita, in Voi noi vedremo il Padre. Fin dal principio, Voi, il Dio, il Verbo, eravate con vostro Padre, così il Padre è sempre in Voi (S. Ambr.). – Sulla terra, la sorgente è diversa dalla luce. Voi cercate una sorgente per estinguere la vostra sete e, per venire a questa sorgente, voi cercate la luce, e se è durante la notte, voi accendete una lampada per dirigere i vostri passi verso questa sorgente. Ma questa sorgente nello stesso tempo è la luce: per colui che ha sete, è una sorgente, per colui che è cieco, è una luce; aprite i vostri occhi per vedere la luce, aprite la bocca del vostro cuore per bere a questa fonte: ciò che bevete lo vedete, lo comprendete. Dio diventa tutto per voi, perché Egli riunisce in Lui tutte le cose che amate: voi affamati,… Egli è vostro pane; voi assetati, … Egli è l’acqua che vi rinfranca; voi siete nelle tenebre, Egli per voi è la luce, perché Egli resta sempre incorruttibile; se ignudo, Egli è per voi un vestito di immortalità (S. Agost. Traité XIII sur Saint Jean, 5). – « Dio è luce, e luce senza mescolanza di tenebre » (Joann, I, 5), e comunica all’uomo questa luce in tre gradi differenti: Dio dà all’uomo dapprima la luce della ragione, quella che lo distingue dal bruto, quella che fa che noi pensiamo, giudichiamo, compariamo, percepiamo la verità. Ma noi siamo creati per un fine che oltrepassa e lascia molto dietro tutti i limiti della propria natura: vedere Dio e contemplarlo faccia a faccia, tale è il destino umano! Ora, ci dice il Dottore angelico, come l’uccello nella notte, a causa dell’infermità dei suoi occhi, non può sopportare il chiarore del giorno, allo stesso modo l’uomo, a causa dell’infermità della sua ragione, non può contemplare lo splendore di Dio. Per vedere la sua luce infinita, non c’è di meglio per l’uomo, che questa luce stessa di Dio. È l’espressione del Re-profeta: « … noi vedremo la vostra luce nella vostra luce ». Questa è la luce di quel libro che rischiara gli eletti nel cielo, e che Dio comunica all’anima per renderla capace di vederlo faccia a faccia. Tuttavia, aggiunge San Tommaso, così come tra le tenebre della notte ed il chiarore del giorno pieno, ci sono gli intermedi del crepuscolo e dell’aurora, così pure Dio, per abituare l’uomo, ed iniziarlo poco a poco col suo occhio infermo alla luce grande e completa che deve un giorno vedere, comincia già da questo mondo ad aggiungere alla ragione umana una seconda luce, che già metta l’uomo in rapporto con verità di un ordine superiore alla sua natura. È la luce della grazia, luce di fede e di amore, lampada brillante che rischiara lo spirito e riscalda il cuore (S. Tommaso, Summa theol. I, p. III.). – È così che Dio ci ha tracciato i gradini luminosi attraverso i quali dobbiamo salire fino a Lui. Egli ci eleva di luce in luce: Egli ci rischiara sempre più nella misura in cui ci avviciniamo alla sua chiarezza divina, e quando, infine, nella sua luce, noi vedremo la sua luce faccia a faccia, allora soltanto avremo raggiunto il termine del nostro destino immortale.

ff. 11. « Che il piede del superbo non giunga fino a me », vale a dire che io non cada nell’orgoglio. Guardiamoci dall’orgoglio, che può causare la nostra rovina anche in mezzo alla più prospera situazione. Adamo in paradiso ha fatto una caduta ben più rovinosa di quella che avrebbe fatto sulla terra. Cadere da queste altezze, è precipitare in un precipizio; sul terreno più umile, questa è una semplice caduta. Ora il piede del superbo si smarrisce, perché non è guidato dalla testa, perché gli occhi del saggio sono nella sua testa. Nulla di sorprendente se il piede fuorvia, quando non è diretto dall’occhio. L’occhio precede, ed il piede segue. Come un viaggiatore potrebbe camminare nelle tenebre? Il piede viene ben presto a smarrirsi, se l’astro delle notti, che è come l’occhio del mondo, non gli mostra la via. Ora, voi siete nella notte di questo secolo. La Chiesa vi mostra il cammino, il Sole di giustizia vi illumina dall’alto del cielo, perché non abbiate a temere alcuna caduta (S. Ambr.). – Il salmista ci parla del piede dell’orgoglio; aggiunge: « … e che la mano del peccatore non mi disperda ». Siccome i Santi sono le membra di Gesù-Cristo, così gli empi sono le membra del demonio. « … Che la mano del peccatore non mi disperda », cioè che le azioni di coloro peccano contro di Voi, non mi facciano uscire dal sentiero della giustizia. Sovente, in effetti, quando noi vediamo tutte le imprese dei peccatori coronate dal successo, la nostra anima è smarrita. E la mano dei peccatori sembra volerci separare dalla radice della giustizia. Prendiamo dunque cura che una mano nemica non venga a sradicare ciò che la mano di Dio ha piantato nella sua casa (Idem).

ff. 12. –  « Essi sono stati abbattuti, e non possono rialzarsi ». Breve questa conclusione, ma piena di gravi insegnamenti! Che io non sia superbo, per non peccare; che io non pecchi per non essere abbattuto; che io non sia abbattuto per on cadere, che o non cada per non essere espulso, come Adamo lo è stato dal paradiso, perché in lui, per primo, il piede dell’orgoglio, non ha potuto rialzarsi » (S. Ambr.). – Questa abbondanza della casa di Dio, questa sorgente di vita, questa luce di Dio, i doni ineffabili della sua misericordia, sono precisamente l’eredità di coloro che lo conoscono bene, cioè di coloro che Lo conoscono col cuore, che praticano esattamente tutti i suoi comandamenti, Lo intrattengono familiarmente con la preghiera, Gli parlano e Lo ascoltano quando Egli si degna parlare con loro (Dug.). – Coloro il cui cuore è retto sono coloro che, in questa vita, si conformano alla volontà di Dio. La volontà di Dio è la medesima, sia quando siete in salute, sia quando siete malati: se, quando siete in salute, la volontà di Dio è dolce, ma vi è amara quando siete malato, voi non avete il cuore retto. Perché? Perché vi rifiutate di regolare la vostra volontà sulla volontà di Dio, e volete piegare la volontà di Dio alla vostra volontà. La sua volontà è retta, e la vostra non lo è: occorre dunque raddrizzare la vostra volontà sulla sua, e non piegare la sua conformemente alla vostra: allora voi avrete il cuore retto (S. Agost.). – La felicità eterna è nello stesso tempo una misericordia ed una giustizia: una misericordia, perché è una grazia puramente gratuita per cui da peccatori si diventi giusti e si fanno buone opere. È anche una corona di giustizia e la ricompensa delle buone opere. Così la ricompensa è dovuta alle buone opere, se si fanno; ma la misericordia, che non è dovuta, precede, affinché le si facciano. (Conc. Arauc. II, can. 16). – Rimarchiamo David che esalta queste due cose: la conoscenza di Dio e la rettitudine del cuore. L’una e l’altra sono doni preziosi dello Spirito Santo. La conoscenza di Dio bisogna conquistarla con la meditazione e lo studio, fatti ai piedi della croce; la rettitudine del cuore, bisogna meritarla con l’amore sincero dei beni celesti, preferiti a tutte le cose della terra. Allora si realizza il doppio augurio del Re-profeta: la vittoria sull’orgoglio, il nostro più grande nemico interiore, e la vittoria sui nemici esterni. Ogni pensiero orgoglioso è respinto dal lavorio fatto ai piedi della croce; e cosa può temere l’uomo che, andando dritto a Dio, sempre attento ai suoi doveri, usando di questo mondo senza mai servirsene per le sue vanità e i suoi capricci, non stimi realmente e non ambisca al cielo? Egli sa bene che ogni operatore di iniquità, dopo qualche successo momentaneo che avrà esaltato le sue ambizioni e gonfiato il suo orgoglio, deve finire con una caduta eterna (Rendu). – Il Re-Profeta temeva la radice del peccato e la testa del peccato; ecco perché egli dice. « Che l’orgoglio non prenda piede in me ». Perché parla del piede dell’orgoglio? Perché l’orgoglio allontana da Dio e Lo lascia; dicendo il piede, egli vuol dire l’affezione. « Che la mano del peccatore non mi disperda »; cioè che le azioni del peccatore non mi allontanino da Voi, e mi attirino nell’imitarle » (S. Agost.). – Il piede dell’orgoglioso conduce all’orgoglio che è il primo ed il principe di tutti i peccati; la mano del peccatore spinge al peccato, e se non sempre abbatte, comunque fa vacillare.

ff. 13. –  Tutti coloro che sono ora nell’iniquità sono caduti dapprima nell’orgoglio, primo peccato del cielo e della terra: del cielo, con la caduta degli angeli; della terra, con la caduta del primo uomo: « … essi sono stati cacciati e non si sono rialzati ». Il primo è il demonio, che non si è tenuto nella verità; in seguito coloro che Dio, a causa dello stesso, ha cacciato dal Paradiso (S. Agost.). – Ciò che è vero per gli individui, lo è egualmente per le nazioni e per i popoli: l’impunità non avrà mai lunga durata per una nazione che camminerà, come nazione, nelle vie dell’infedeltà e dell’apostasia, e che immolerà i diritti sacri a Dio ai pretesi diritti dell’uomo. Essa sarà sempre sul punto di perdere l’equilibrio e non potrà tenersi in piedi. Nessuno dei regimi che piacerà ad essa darsi, potrà durare; il minimo soffio li sconvolgerà l’uno dopo l’altro, la loro espulsione sarà affare di un istante. Così sono caduti tutti i poteri che abbiamo visto succedersi nelle stesse condizioni; un semplice scossone li ha gettati a terra, perché non avevano in se stessi la potenza per tenersi in piedi (Mgr. Pie, VII, 101).

SALMI BIBLICI: “JUDICA DOMINE, NOCENTES ME” (XXXIV)

SALMO 34: JUDICA DOMINE, nocentes me …”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

TOME PREMIER.

PARIS LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR RUE DELAMMIE, 13 – 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

[1] Ipsi David.

    Judica, Domine, nocentes me;

expugna impugnantes me.

[2] Apprehende arma et scutum, et exsurge in adjutorium mihi.

[3] Effunde frameam, et conclude adversus eos qui persequuntur me; dic animæ meæ: Salus tua ego sum. (1)

[4] Confundantur et revereantur quærentes animam meam; avertantur retrorsum et confundantur cogitantes mihi mala.

[5] Fiant tamquam pulvis ante faciem venti, et angelus Domini coarctans eos.

[6] Fiat via illorum tenebrae, et lubricum; et angelus Domini persequens eos.

[7] Quoniam gratis absconderunt mihi interitum laquei sui, supervacue exprobra-verunt animam meam. (2)

[8] Veniat illi laqueus quem ignorat, et captio quam abscondit apprehendat eum, et in laqueum cadat in ipsum.

[9] Anima autem mea exsultabit in Domino, et delectabitur super salutari suo.

[10] Omnia ossa mea dicent: Domine, quis similis tibi? eripiens inopem de manu fortiorum ejus; egenum et pauperem a diripientibus eum.

[11] Surgentes testes iniqui, quae ignorabam interrogabant me.

[12] Retribuebant mihi mala pro bonis, sterilitatem animae meae.

[13] Ego autem, cum mihi molesti essent, induebar cilicio; humiliabam in jejunio animam meam, et oratio mea in sinu meo convertetur. (3)

[14] Quasi proximum et quasi fratrem nostrum sic complacebam; quasi lugens et contristatus sic humiliabar.

[15] Et adversum me laetati sunt, et convenerunt; congregata sunt super me flagella, et ignoravi.

[16] Dissipati sunt, nec compuncti, tentaverunt me, subsannaverunt me subsanna-tione; frenduerunt super me dentibus suis.

[17] Domine, quando respicies? Restitue animam meam a malignitate eorum, a leonibus unicam meam.

 [18] Confitebor tibi in ecclesia magna; in populo gravi laudabo te.

[19] Non supergaudeant mihi qui adversantur mihi inique, qui oderunt me gratis, et annuunt oculis.

[20] Quoniam mihi quidem pacifice loquebantur; et in iracundia terræ loquentes, dolos cogitabant. (4)

[21] Et dilataverunt super me os suum; dixerunt: Euge, euge! viderunt oculi nostri. (5)

[22] Vidisti, Domine, ne sileas; Domine, ne discedas a me.

[23] Exsurge et intende judicio meo, Deus meus; et Dominus meus, in causam meam.

 [24] Judica me secundum justitiam tuam, Domine Deus meus, et non super-gaudeant mihi.

[25] Non dicant in cordibus suis: Euge, euge, animæ nostræ; nec dicant: Devoravimus eum.

[26] Erubescant et revereantur simul qui gratulantur malis meis; induantur confusione et reverentia qui magna loquuntur super me.

[27] Exsultent et lætentur qui volunt justitiam meam; et dicant semper: Magnificetur Dominus, qui volunt pacem servi ejus.

[28] Et lingua mea meditabitur justitiam tuam, tota die laudem tuam.

[Vecchio Testamento secondo la Volgata

Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO XXXIV

Argomento principale è l’orazione di Cristo al Padre contro i persecutori suoi e della sua Chiesa.

Salmo dello stesso David.

1. Giudica, o Signore, coloro che mi offendono; combatti coloro che mi combattono.

2. Prendi l’armi e lo scudo, e levati a darmi aita.

3. Tira fuori la spada, e serra la strada a coloro che mi perseguitano; di’ all’anima mia: Io sono la tua salute. (1)

4. Rimangan confusi e svergognati tutti coloro che tendono insidie alla mia vita.

Sian messi in fuga e in iscompiglio quei che ordiscon del male contro di me.

5. Il Signore come polvere al soffiar del vento, e l’Angelo del Signore li prema.

6. La loro via sia tenebrosa e sdrucciolevole; e l’Angelo del Signore gl’incalzi.

7. Perocché senza ragione mi tesero occultamente il loro laccio di morte; ingiustamente caricarono di obbrobri l’anima mia. (2)

8. Venga sopra di lui un laccio, a cui egli non pensa; e dalla rete, lesa occultamente da lui, egli sia preso, e cada nello stesso suo laccio.

9. Ma l’anima mia esulterà nel Signore, e si rallegrerà per la salute che vien da lui.

10. Tutte quante le ossa mie diranno: Signore, chi è simile a te? Tu che liberi il povero dalle mani di quei che ne possono più di lui, l’abbandonato e il povero da quelli che lo spogliavano.

11. Testimoni iniqui, levatisi su, mi domandavan conto di cose ch’io ignoravo.

12. Pel bene mi rendevan dei mali: la sterilità all’anima mia.

13. Ma io, mentre quelli mi molestavano, mi rivestii di cilizio. Umiliai col digiuno l’anima mia, e nel mio seno si aggirava la mia orazione. (3)

14. Quasi parente e quasi fratello lo trattai con amore; mi umiliai come uno che è in duolo e in tristezza.

15. Ed essi eran lieti, e si adunarono contro di me; furon messi insieme flagelli contro di me, e io non li conoscevo.

16. Vennero in discordia, ma non si compunsero; mi tentarono, m’insultarono grandemente; digrignavano i denti contro di me.

17. Signore, quando porrai tu mente? Sottrai l’anima mia dalla malignità di costoro, dai leoni l’unica mia.

18. Te io confesserò in una chiesa grande; in mezzo a un popolo numeroso li loderò.

19. Non abbiano da godere del mio male  quelli che ingiustamente mi sono avversi; quelli che mi odiano senza cagione, e ammiccano gli occhi.

20. Imperocché meco parlavan parole di pace, ma nella commozion della terra meditavano inganni. (20)

21. Dilatarono la loro bocca contro di me; dissero: Bene sta, bene sta, i nostri occhi han veduto. (21)

22. Tu hai veduto, o Signore, non restare in silenzio; Signore, non ritirarti da me.

23. Levati su, e abbi a cuore il mio giudizio, la mia causa, Dio mio e Signor mio.

24. Giudicami secondo la tua giustizia, o Signore Dio mio, e coloro di me non trionfino.

25. Non dicano nei loro cuori: Bene sta, buon per noi; e non dicano: Lo abbiam divorato.

26. Sieno tutti insieme confusi e svergognati quelli che si rallegrano dei miei mali. Siano vestiti di confusione e di rossore loro che parlan superbamente contro di me.

27. Esultino e si rallegrino quei che favoriscono la mia giustizia e dicano sempre: magnificato il Signore; quei che la pace desiderano del servo di lui.

28. E la mia lingua mediterà la tua giustizia, le lodi tue tutto il giorno.

***

(1) Parola per parola: vuota la lancia, cioè tirala dal fodero.

(2) Gli antichi, per prendere le bestie feroci, tendevano un filo sul davanti o su di una fossa.

(3) Vale a dire, io pregavo con la testa abbattuta dal dolore e riversata sul mio seno. La Vulgata, in accordo con i Settanta, traduce cum mihi molesti essent; ma il termine ebraico “bacaloutham” diverge da questa traduzione. Esso significa letteralmente “tum ægrotarum, cum infirmarentur”, “quando erano malati”. Così l’ha inteso Gerolamo e Bossuet, Duguet, Agier, e Galion, come pure D. Calmet, Sacy, e la Bibbia di Vence e M. le Hir nelle loro note. L’intenzione del Profeta ne fa un pensiero tutto evangelico: quando questi uomini, miei nemici, erano “pieni di infermità, io mi coprivo di cilicio, digiunavo, mi umiliavo, raddoppiavo le mie preghiere per ottenere la loro guarigione.

(4) Nella loro collera contro la terra per turbare la terra. L’ebraico riporta: «contro questi pacifici della terra ». Ora parlare per irritare o per turbare la terra, è parlare contro gli uomini pacifici della terra.

(5) Coraggio! Noi andiamo a vedere la sua rovina ed i nostri disegni compiuti.

Sommario analitico

Davide, perseguitato da Saul, pressato da tutti i lati dai suoi nemici, invoca Dio come giudice, e Lo prega di prendere in mano la sua difesa e la sua causa. Egli è figura di Gesù Cristo in preda al furore dei farisei, soprattutto nella sua Passione, e di tutti i santi perseguitati.

I – Egli descrive in questo combattimento:

1. Le armi di Dio, a) la sentenza di condanna che pronuncerà contro i suoi nemici (1) ; b) lo scudo di protezione con cui lo coprirà (2); c) la spada della sua collera con la quale colpirà i suoi persecutori (3).

2. le armi dei suoi nemici e la loro vergognosa sconfitta, a) la crudeltà con la quale cercheranno di togliergli la vita, ma essi saranno messi in fuga e coperti di ignominia (4); b) la malizia con la quale essi gli hanno teso dei tranelli e lo hanno coperto di oltraggi quando vi è finito, ma 1) essi saranno dispersi, come la polvere portata via dal vento (5); essi saranno messi in fuga ed inseguiti dall’Angelo del Signore; 3) il loro cammino sarà coperto dalle tenebre e scivoloso (6); 4) saranno presi nelle proprie reti (7, 8).

3 Le sue armi personali, – a) l’amore di Dio che lo fa gioire in Dio e lodareLo con tutte le forze dell’anima (9): 1) perché Egli ha strappato il povero dalle mani di coloro che erano più forti di lui (10); 2) di coloro che lo accusavano ingiustamente (11); 3) di coloro che lo opprimevano dopo che averli ricolmati di benefici (12); – b) l’amore della sua salvezza che lo porta: 1) a rivestirsi del cilicio con pazienza, 2) a digiunare con umiltà, 3) ad applicarsi alla preghiera con perseveranza (13); – c) l’amore per i suoi nemici, che egli ama come suoi fratelli (14), benché essi: 1) abbiano gioito interiormente per le sue sciagure, 2) si siano uniti per attaccarlo (15); 3) lo abbiano ingiuriato con insulti digrignando di denti contro di lui(16).

II. – Egli decreta alla fine del combattimento:

1° la vittoria di Dio che: – a)con il solo sguardo ha messo i nemici in fuga; – b) ha liberato dalla loro crudeltà la sua anima desolata (17); – c) ha aperto la sua bocca perché possa celebrare le lodi di Dio (18); – d) ha distrutto la gioia dei suoi nemici, che sono ingiusti, malvagi, ipocriti, collerici, ingiuriosi e oltraggiosi, pieni di orgoglio e di alterigia (19-21).

2° Dall’alto dei cieli tutto considera Dio, al Quale egli domanda: – a) di non mantenere il silenzio e di terrorizzarli con la sua voce terribile; – b) di non allontanarsi da lui (22); – c) di non tardare nel venire in suo aiuto; – d) di prestare un’attenzione favorevole alla giustizia della sua causa, e di giudicarlo secondo le regole della sua giustizia (23-24); – e) di non permettere che i suoi nemici gioiscano su di lui e si vantino di averlo divorato (25); – f) di coprirli di onta e di confusione (26); – g) di dare ai suoi amici la gioia del cuore (27) e la riconoscenza dei suoi benefici, riconoscenza che, dal canto suo, sarà eterna (28).

Spiegazioni e Considerazioni

I. – 1-16.

ff. 1-3. – Qual grande e consolante spettacolo per gli occhi della nostra fede, vedere Dio stesso armato a nostra difesa, « se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? » (Rom. IX, 31S. Agost.). – Dio non ha bisogno di armi esteriori per difendere o attaccare, ma vuole accomodarsi alla nostra debolezza e conformarsi al nostro linguaggio. È nei tesori dell’amore ineffabile di Dio per noi, che sono chiusi, come un arsenale tutto divino, le armi difensive ed offensive delle quali Egli si serve per trionfare di coloro che ci perseguitano. « Signore voi ci coprite col vostro amore come una scudo » (Ps. V, 13). – Chi sono quelli che vi perseguitano? Forse è un vostro vicino, o colui che avete ferito, ingiuriato, o colui che viene a rapire ciò che voi possedete, o colui contro il quale voi predicate la verità, o colui al quale voi rimproverate le colpe, o colui che, vivendo male, è obbligato da Voi a vivere bene? Questi qui, in effetti, sono nostri nemici e ci perseguitano; ma noi siamo informati nel conoscere ancora altri nemici, come quelli contro i quali l’Apostolo Paolo ci mette in guardia (Efes. VI, 12) e che sono da combattere in maniera invisibile (S. Agost.). – « Dite alla mia anima, dite nel fondo del mio cuore », cioè imprimetevi, con l’unzione del vostro divino Spirito, questa parola sì dolce, sì consolante e sì capace di calmare le mie inquietudini: « sono Io la tua salvezza ». – Coloro che cercano la mia anima siano confusi e arrossiscano, la mia anima alla quale avete detto: « Io sono la vostra salvezza ». Io non chiederò altra salvezza se non quella che viene dal Signore mio Dio. Vanamente la creatura si offre di salvarmi, la salvezza è in Dio, e se io alzo gli occhi verso le montagne da cui esso viene, il soccorso mi sarà inviato, e non è che il soccorso mi viene da queste montagne, « ma mi viene dal Signore che ha fatto cielo e terra » (Ps. CXX, 1). Dio è venuto in vostro soccorso, nelle vostre angosce temporali per mezzo di un Uomo: è Lui la vostra salvezza. Tutte le cose Gli sono sottomesse ed Egli provvede ai bisogni di questa vita temporale, in vario modo con questa o tal altra maniera; ma quanto alla vita eterna, Egli non la dà che per se stesso. Se siete nelle angosce del dolore, voi non avete sempre sotto mano ciò che cercate; ma Colui che voi cercate è sempre là. Cercate dunque Colui che non può mai mancarvi. Vi si può togliere ciò che vi è stato dato, ma Colui che ve lo ha dato, chi ve lo toglierà? (S. Agost.). – O Gesù, il vostro cuore ha delle parole conoscono solo coloro che le hanno intese da Voi. Vi piaccia, o divino Maestro, di dirne una al mio cuore! Questa parola, che Gli chiedo da molto tempo, mi darà la vita ed ogni bene. Gesù, dite alla mia anima. « Io sono la tua salvezza »; dite questa parola e la mia anima sarà guarita. Ma questa parola siete Voi, e la salvezza siete ancora Voi, o Gesù, o Salvatore! E quando il vostro cuore la dice così al mio cuore, genera se stessa in colui che l’ascolta; essa lo rende simile a Voi, che siete la parola che dice il Padre; essa lo fa vivere della vita che Voi vivete; e colui che l’ascolta unito a Colui che parla, è un solo spirito, un solo cuore con Lui; se non ha la consustanzialità dell’essere, non di meno ha la consustanzialità della vita (Mgr. Baudhy, Le cœur de Jesus, 92).

ff. 4-8. – La confusione per un nemico, è il non poter nuocere a colui che l’attacca, confusione ancor più disonorevole, quando questo nemico, avendo prevalso, lo si supera con la pazienza, e si ricevono tutti i suoi colpi senza lamentarsi.- La polvere trasportata dal vento, immagine che rende la leggerezza e la debolezza dei peccatori: essi sono costanti solo nel fare il male, ma sono incostanti nella maniera di farlo. Costantemente schiavi delle loro passioni, hanno spesso desideri ed intenzioni contrarie. La loro debolezza è simile alla loro leggerezza. – « Il loro cammino diventi tenebroso e scivoloso », immagine ancora più vera della debolezza e delle leggerezza degli empi. Essi non si fermano mai nel male, passano di crimine in crimine, di precipizio in precipizio; essi marciano nelle vie oscure in un cammino scivoloso, segno dell’accecamento dello spirito e dell’abitudine alla voluttà. Essi pensano di essere liberi, quando sono invece rinchiusi in una schiavitù. Essi si considerano illuminati, quando non vedono neppure il cammino per il quale procedono. Prima specie di persecuzione che i giusti soffrono ordinariamente da parte dei malvagi, sono le insidie segrete che si tendono loro, e questo senza alcun soggetto. Più si testimonia la buona volontà a questa sorta di nemici, più li si irrita, perché questa condotta provoca la loro confusione. – È la strana malignità dell’invidia, che si nutre anche della carità del prossimo: quanto è pericoloso permettere l’entrata nel cuore a questa passione implacabile, poiché le ingiurie e i benefici l’offendono allo stesso modo! (Duguet). – « Ricadano nella rete che hanno teso ». È come se un uomo preparasse per un altro una coppa di veleno e poi la bevesse egli sbadatamente; o ancora come se un uomo scavasse una fossa perché un suo nemico vi cadesse nelle tenebre, e poi, dimenticando di averla scavata, vi cadesse egli per primo. È assolutamente così: ogni malvagio nuoce essenzialmente a se stesso. Si può comparare la malvagità al fuoco. Voi volete incendiare qualcosa: l’oggetto che si avvicina, brucia per prima, perché se non bruciasse, non potrebbe incendiare. Voi avete una torcia, avvicinate questa torcia per metter fuoco a qualcosa; non è vero che questa torcia brucia per prima per poter comunicare il fuoco ad un oggetto qualunque? La malvagità esce dunque da voi, e chi divora innanzitutto, se non voi? Se essa colpisce il ramo ove si conficca, come non colpirebbe la radice dalla quale esce? E ve lo dico in verità, « … può darsi che la vostra malvagità non nuoccia agli altri, ma è impossibile che non nuoccia a voi stessi » (S. Agost.).

ff. 10. – « La mia anima al contrario, sarà trasportata con allegrezza nel Signore » perché essa ha inteso da Lui queste parole: « … Io sono vostra salvezza »; perché essa non cerca all’esterno altre ricchezze, essa non desidera vedere attorno ad essa con abbondanza le voluttà ed i beni terreni, essa ama il suo vero Sposo con un amore disinteressato, che non chiede di ricevere da Lui altre delizie che non siano Egli stesso, e non chiede di possederle per trovare solo in Lui ogni delizia. « Chi potrebbe darmi ciò che vale, meglio del mio Dio? » (S. Agost.). – Non è in se stessa, ma in Dio solo che un’anima cristiana debba trovare la sua consolazione e la sua gioia, gioia che non somiglia a quella del mondo, una gioia falsa, simulata, passeggera, e sempre mista a paura o disgusto. La gioia del Signore è pura ed inonda talmente tutte le facoltà dell’anima che ridonda anche sul corpo. – Tutte le mie ossa diranno: « Signore, chi è simile a Voi? » Quanto a me, io penso che queste parole vadano solo riportate e non spiegate: perché dunque andate alla ricerca di questa o di tal altra cosa? Cosa vi è di simile al vostro Signore? Egli è Lui stesso davanti ai vostri occhi. « Tutte le mie ossa diranno: Signore, chi è simile a voi? ». « Gli empi mi hanno raccontato le delizie che li affascinano; ma esse, o Signore, non sono, comparabili alla vostra legge » (Ps. CXVIII, 85). Dei persecutori hanno detto al giusto: Adorate gli idoli; no, io non adoro gli idoli, egli ha risposto: Signore, chi è simile a Voi? « Questi idoli hanno degli occhi ma non vedono; hanno delle orecchie ma non sentono » (Ps. CXIII, 5). Signore, chi è simile a Voi, che avete l’occhio per vedere e l’orecchio per ascoltare? Io non adoro gli idoli, perché essi sono l’opera di un artigiano. Adorate quest’albero e questa montagna, è un artigiano che li ha fatti? Ed il giusto dice subito: Signore, chi è simile a Voi? Mi si mostrano delle cose terrestri, ma Voi siete il Creatore della terra. E forse si rivolgeranno verso creature di un ordine più elevato, e mi diranno: adoriamo la luna, adoriamo il sole che, per la sua luce, simile ad una lampada immensa, diffonde il giorno dall’alto del cielo. E qui ancora io rispondo apertamente: Signore, chi è simile a Voi? Siete Voi che avete creato la luna e le stelle; siete Voi che avete fatto rilucere il sole per produrre il giorno; siete Voi che avete formato il cielo. Ci sono ancora degli altri esseri invisibili ben superiori a queste meraviglie. Ma forse mi si viene a dire: abbiate un culto per gli Angeli, adorate gli Angeli! Ed io risponderò di nuovo: Signore, chi è simile a Voi? Siete ancora Voi che avete creato gli Angeli. Gli Angeli sono qualcosa perché essi gioiscono della vostra vista. È meglio possedervi con essi, che decadere dal vostro possesso per averli adorati (S. Agost.).

ff. 11, 12. –  Questo salmo è come la vita, è un’alternativa perpetua tra gioia e tristezza, tra fiducia e timore, tra pace e guerra. Il Profeta ha appena dipinto la felice sorte che attende i giusti affrancati dalla morte delle miserie del secolo presente, e ridiscende sulla terra richiamandoci al combattimento. Egli espone qui una delle prove più dure alle quali il cuore dell’uomo possa essere sottomesso: l’ingratitudine, divenuta troppo spesso l’unica ricompensa dei benefici più segnalati; l’amicizia, indegnamente tradita, dopo le più eclatanti testimonianze di affetto e devozione (Rendu). – Una seconda specie di persecuzione, con la quale gli empi perseguitano i giusti, non è più solamente l’indirizzar loro delle insidie segrete, ma pubblicamente attribuire loro dei falsi crimini, appoggiandoli sulla deposizione di ingiusti falsi testimoni. È questa l’immagine troppo fedele di ciò che l’invidia possa fare tutti i giorni contro i veri Cristiani e gli uomini dabbene. Si prende la risoluzione di renderli persi, poi se ne cercano i mezzi, per quanto ingiusti questi possano essere; li si suppone o li si dichiara criminali, poi ci si sforza di attribuire loro dei crimini. Si cercano dei « testimoni ingiusti, e si interrogano su cose di cui non hanno alcuna conoscenza », e poiché non possono rispondere, questo è sufficiente a renderli colpevoli (Duguet).

ff. 13, 14. – C’è qui per noi un insegnamento: che in tutte le nostre tribolazioni, noi non dobbiamo cercare come dover rispondere ai nostri nemici, ma come ci renderemo propizio Dio con la preghiera, affinché, soprattutto, non veniamo vinti dalla tentazione, e di conseguenza che quelli stessi che ci perseguitano, ritornino alla sana giustizia. Nulla di più importante, nulla di meglio c’è nella tribolazione, che allontanarsi dai brusii esterni e ritirarsi nel segreto del più profondo dell’anima (Matt. VI, 6), … invocare Dio in modo nascosto, ove nessuno veda il gemito dell’uomo, né il soccorso di Dio, chiudere la porta di questa camera ad ogni attacco che viene dall’esterno; infine glorificare e lodare Dio allo stesso modo, nei castighi e nelle consolazioni (S. Agost.). – Tutti i Santi hanno combattuto la tentazione con la mortificazione della carne. È così che Davide si copriva con un rude cilicio, quando si sentiva turbato dai propri pensieri ed i desideri del cuore lo portavano al male e lo tentavano. È per questo che San Paolo trattava rigorosamente il suo corpo e lo riduceva all’obbedienza. La grazia è di altra tempra nelle nostre mani che in quelle dell’Apostolo? Abbiamo noi forse uno spirito più fervente o una carne più sottomessa di quella di Davide? Il nemico ci spinge verso altri combattimenti, e siamo forse noi più forti di tanti religiosi e solitari, gli eletti e gli amici di Dio (Bourd. Sur les Tent.)? – « Io umiliavo la mia anima, etc. ». Siano i giovani santificati in tutta umiltà di spirito, indeboliscano il loro corpo senza gonfiare l’anima, per timore che un’opera di umiltà non divenga causa di orgoglio e che i vizi non prendano origine dalla virtù stessa (S. Girolamo). – Davide, perseguitato sì crudelmente ed ingiustamente, non solo rende bene per male, cosa esteriore, ma ancora ha un’affezione veramente sincera per gli autori di queste persecuzioni. Egli li ama come suo prossimo, come suoi fratelli. Egli compatisce i loro mali, fino ad esserne abbattuto dal dolore e dalla tristezza. Grande confusione, o piuttosto terribile condanna per un gran numero di Cristiani, che sono tanto lontani da queste disposizioni, anche dopo l’esempio che ha loro lasciato il loro divino Maestro e modello: Nostro Signore Gesù Cristo (Dug.).

ff. 15, 16. – In questi due versetti, si sottolineano tutti i caratteri della malvagità al naturale. I malvagi cominciano con il rallegrarsi quando trovano l’occasione di nuocere: essi si riuniscono in seguito, per mettere in atto con più sicurezza i loro complotti. Quando essi hanno preso il sopravvento, e non si può resistere loro, moltiplicano le vessazioni, le calunnie, i processi ingiusti, mentre il giusto che è l’oggetto del loro odio, non conosce nulla dei loro oscuri disegni, e non ha la minima conoscenza dei fatti dei quali li si accusa. Quando questo uomo giusto cerca di giustificarsi e mostrare l’ingiustizia delle loro accuse al tribunale della ragione, questi accusatori sono confusi, ma non per questo abbandonano la loro impresa. Essi ostentano delle rette intenzioni, delle giuste vedute, dei motivi di zelo per illudere il pubblico. In fondo questi uomini empi sono trasportati dal furore: essi insultano in modo oltraggiante; aggiungono la burla ai loro colpi più crudeli (Berthier). – Dio dissipa talvolta i cattivi disegni dell’empio, ma l’empio non diventa per questo migliore. Se non può nuocere alla persona del giusto, mira alla sua reputazione; egli fa della sua virtù, della sua pietà, l’oggetto delle sue prese in giro, delle sue burle, delle sue blasfemie. Infine, se non riesce nei suoi disegni, digrigna i denti contro il giusto, ribolle di rabbia e di stizza. – E noi pure, qual uso abbiamo fatto dei beni e dei mali della vita? « Il popolo non è tornato verso colui che lo colpiva, e non ha cercato il Dio degli eserciti ». – Quando Dio ha diminuito i nostri beni, abbiamo pensato nel contempo a moderare i nostri eccessi? Quando la fortuna ci ha abbandonato, abbiamo distolto il nostro cuore dai beni che non sono di nostra spettanza e dominio? O al contrario siamo stati di coloro dei quali è scritto: « … essi sono stati afflitti senza essere stati toccati dalla compunzione »? Servitori protervi ed incorreggibili, che si rivoltano anche sotto la verga, colpiti e non corretti, abbattuti e non umiliati, castigati e non convertiti. Il faraone indurì il suo cuore sotto i colpi raddoppiati della giustizia; il mare l’inghiotti nei suoi abissi (Bossuet, I Serm. Pour la Quinquag.). Tali sono ancora coloro dei quali è scritto nell’Apocalisse che Dio, avendoli colpiti con una piaga orribile, per la rabbia mordevano le loro lingue e bestemmiavano il Dio del cielo, non facendo penitenza. Tali uomini non sono come i dannati, che conducono il loro inferno alla vista del mondo, per sgomentarci con il loro esempio e che la croce precipita nella dannazione, come il ladrone indurito. Si strappano loro i beni di questa vita, essi si privano di quelli della vita futura, benché frustrati da ogni parte, pieni di rabbia e di disperazione, non sapendo con chi prendersela, scagliano contro Dio la loro lingua insolente per i loro mormorii e le loro blasfemie, e sembra, dice Salvien, che i loro crimini si moltiplichino con le loro suppliche, e che la pena stessa dei loro peccati sia la madre di nuovi disordini (Idem II, Serm. p. le Dim. des Ram.).

II. 17-28.

ff. 17. Sembra ora che Dio abbia gli occhi chiusi su tutto ciò che avvenga sulla terra; ma un giorno aperti saranno, questi occhi che sembravano chiusi, per vedere e punire il male e per liberare il giusto dalla cattiva volontà dei malvagi. Se il nostro Giudice differisce nel salvarci, non è per il fastidio delle nostre importunità, come il giudice del Vangelo (Luc. XVIII, 3), ma per amore; è con ragione e non per impotenza; non è per mancanza nel poterci soccorrere da subito, ma perché il numero dei nostri martiri possa completarsi fino alla fine. E noi cosa Gli domandiamo, nella violenza dei nostri desideri? « Signore, quand’è che aprirete gli occhi »? Il tempo dell’attesa è lungo per l’uomo che soffre, e Dio, che con una parola può far cessare la sofferenza, permette alla sua debole creatura un pianto umile, sottomesso e fiducioso: Signore, quando vedrete? (Rendu).

ff. 18. –  Solo nella grande assemblea della Chiesa Cattolica, si loda veramente Dio. – « Io vi loderò in mezzo ad un popolo importante, che non è leggero » (senso particolare per S. Agost.). In effetti, il nome di Dio è confessato dall’intera moltitudine, ma Dio non è lodato da tutti: la folla intera intende che noi confessiamo il nome di Dio, ma Dio non trova la sua lode nell’intera folla; perché in mezzo a tutta questa folla, cioè nella Chiesa sparsa su tutta la terra, c’è la paglia ed il frumento: la paglia vola via, il frumento resta. Ecco perché il Profeta dice. « io vi loderò in mezzo ad un popolo che non è leggero, e che non si solleva al vento della tentazione », perché la paglia è sempre causa di blasfemia riguardo a Dio. Quando si esamina la vostra paglia, cosa si può dire? Ecco dunque come vivono i Cristiani; ecco ciò che fanno i Cristiani, ed allora si compie ciò che è scritto: « … a causa vostra il mio nome è blasfemato in mezzo ai gentili » (Is. LII, 5; Rom. II, 24). Se voi esaminate l’aria del granaio con spirito di ingiustizia e di invidia, voi vi trovate in mezzo alla paglia, e vi sarà difficile incontrare il grano; ma cercate e troverete questo popolo che non è leggero e loderete con esso il Signore. Volete trovarlo? Rassomigliategli, perché se non gli somigliate, è difficile che non vi sembrino essere tutti quelli che voi stessi siete (S. Agost.). – Io voglio, o Signore, come il Profeta, confessare il vostro santo Nome, ma io voglio « confessarlo nella vostra Chiesa ». Io voglio rendere pubbliche le vostre grandezze, e celebrare le vostre lodi, ma io le voglio celebrare nella vostra Chiesa. È la santa montagna dalla quale dalla quale deve uscire la vostra legge, è il tempio augusto ove i popoli dovevano riunirsi da tutte le parti del mondo, per offrirVi il loro incenso ed indirizzare a Voi le loro voci; è il santuario ove volete ricevere il vostro culto, è la Cattedra ove Voi insegnate le vostre vie con la bocca dei vostri predicatori e dei vostri profeti (Bourd.: Pensèes, Act. de gr. d’une ame inviol. attach. à l’Eglise).

ff. 19-21. – Ipocrisia dei falsi amici: questi, con apparenze esteriori, vogliono sembrare ben altro di quel che sono. Questa persecuzione è dapprima esercitata contro Gesù Cristo nella sua vita mortale e nella sua passione, ed Egli la soffre ancor oggi da parte di un gran numero dei suoi membri. – Essi parlano talvolta di Gesù-Cristo in termini convenienti, quando si trovano con persone di pietà, fin quando le si credono dalla propria parte; essi riveriscono anche in apparenza le sue parole; ma quando si trovano con il mondo, parlano con il linguaggio odioso del mondo e si dichiarano apertamente contro i fedeli servitori di Gesù-Cristo. – È la triste e funesta soddisfazione dei malvagi, riportata sui buoni, che sono visti infine nello stato che essi avevano desiderato, cioè sotto i loro piedi.

ff. 22-24. – Tristi sono le ragioni che obbligano a dimorare nel silenzio: o perché non si vede la cosa di cui si tratta, o perché non vi si possa rimediare, o infine perché non lo si voglia. Nessuna di queste ragioni è per Dio (Dug.). – Che vuol dire: « Rompete il silenzio? Giudicateli ». È in effetti a proposito del giudizio che è detto in qualche luogo: « Per molto tempo, ho taciuto, ho fatto silenzio, mi sono contenuto »; (Is. XLII, 14). Come potrebbe mantenere il silenzio Colui che parla con i profeti, che parla con la propria bocca nei Vangeli, che parla per mezzo degli Evangelisti, che parla per mezzo di noi tutti ogni volta che proclamiamo la verità? Che ne è dunque? Egli tace in ciò che riguarda il giudizio, non per ciò che tocca i suoi Comandamenti e la sua dottrina. Ora è il giudizio che il Profeta invoca in qualche modo e che predice: « Voi l’avete visto, Signore, rompete il silenzio »; cioè, Voi interrompete il silenzio, perché è necessario che Voi giudichiate. « Signore, non vi allontanate da me ». Fino al giorno del giudizio non vi allontanate da me, così come mi avete promesso: « Io sarò con voi fino alla consumazione dei secoli » (S. Agost.). – « Dedicatevi al mio giudizio ». Forse perché siete nella tribolazione, perché oberati da lavoro e dolore? Ma pure tanti malvagi non soffrono gli stessi mali? Quale giudizio dunque? Voi siete giusto solo perché soffrite così? No! Di cosa si tratta infine? Del mio giudizio. Vediamo il seguito: « Applicatevi al mio giudizio, o mio Signore e mio Dio, per apprezzare la mia causa » (Ibid.). Giudicatemi non su ciò che io patisco, ma sul valore della mia causa; non su ciò che un ladro può avere in comune con me, ma sul fatto che « felici sono coloro che soffrono la persecuzione a causa della giustizia » (Matt. V, 10). Perché la differenza è nella causa; la pena può essere la stessa per i buoni e per i malvagi. Ma non è la pena che fa il martire, bensì la causa della loro pena: discerniamo la causa del supplizio. Che nessuno dica: poiché io soffro, allora son giusto; perché il Cristo, che ha sofferto per prima, ha sofferto a causa della giustizia; ecco perché aggiunge alla sua parola questa importante restrizione « Felici coloro che soffrono persecuzioni a causa della giustizia » (S. Agost.).

ff. 25, 26. – Gioia estrema è per i malvagi quando essi siano giunti al loro scopo di sopraffare l’uomo giusto, gioia che si manifesta nel loro contegno, nei loro discorsi, nei loro scritti. – Il successo dei peccatori è una grande insidia per essi, perché così prendono l’ardire di proseguire nelle loro criminali imprese. – Funesta è la preda che divora coloro che pensano di divorarla, o coloro che prendendo, si trovano presi, come un pesce che ingioiando l’amo coperto da un’esca, ingoia la sua morte (Duguet).

ff. 27, 28. le stesse cose ripetute più volte in questo salmo, ci danno ad intendere che non è stato solo Davide ad essere stato oltraggiato dai suoi nemici, ma che è la figura di un altro David che deve essere ugualmente oltraggiato, e dai Giudei, che erano il suo popolo, e dai Cristiani, dei quali un gran numero continuerà ad insultarLo per una via tutta opposta alla sua, fino alla fine del mondo. – « la mia lingua mediterà la vostra giustizia », espressione straordinaria, perché è proprio dello spirito il meditare, come è proprio della lingua il parlare. E la lingua non deve altro proferire se non le lodi del Signore, come frutto della meditazione del suo cuore (Duguet). – Chi potrebbe lodare il Signore tutto il giorno? E quale lingua potrebbe cantare tutto il giorno le lodi del Signore? Ecco un mezzo per lodare tutto il giorno, se volete. Qualunque cosa facciate, fatelo bene, ed avrete lodato Dio. Quando cantate un inno, voi lodate Dio; ma cosa fa la vostra lingua se il vostro cuore non lo loda ugualmente? Avete finito di cantare questo inno, e vi ritirate per il pasto? Guardatevi da ogni eccesso, e avrete lodato Dio. Voi rincasate per dormire? Non vi rialzate per fare il male, e avrete lodato Dio. State per concludere un affare? Guardatevi dal non commettere frode alcuna, ed avrete lodato Dio. Che l’innocenza delle vostre azioni sia dunque per voi una maniera per lodare Dio tutto il giorno (S. Agost.).

SALMI BIBLICI: “BENEDICAM DOMINUM IN OMNI TEMPORA” (XXXIII)

SALMO 33: “Benedicam Dominum in omni tempore”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

TOME PREMIER.

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR

RUE DELAMMIE, 13; 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

Salmo XXXIII

David, cum immutavit vultum suum coram Achimelech, et dimisit eum, et abiit.

[1] Benedicam Dominum in omni tempore;

semper laus ejus in ore meo.

[2] In Domino laudabitur anima mea: audiant mansueti, et laetentur.

[3] Magnificate Dominum mecum, et exaltemus nomen ejus in idipsum.

[4] Exquisivi Dominum, et exaudivit me; et ex omnibus tribulationibus meis eripuit me.

[5] Accedite ad eum, et illuminamini; et facies vestrae non confundentur.

[6] Iste pauper clamavit, et Dominus exaudivit eum, et de omnibus tribulationibus ejus salvavit eum.

[7] Immittet angelus Domini in circuitu timentium eum, et eripiet eos.

[8] Gustate, et videte quoniam suavis est Dominus; beatus vir qui sperat in eo.

[9] Timete Dominum, omnes sancti ejus, quoniam non est inopia timentibus eum.

[10] Divites eguerunt, et esurierunt; inquirentes autem Dominum non minuentur omni bono.

[11] Venite, filii, audite me; timorem Domini docebo vos.

[12] Quis est homo qui vult vitam, diligit dies videre bonos?

[13] Prohibe linguam tuam a malo, et labia tua ne loquantur dolum.

[14] Diverte a malo, et fac bonum; inquire pacem, et persequere eam.

[15] Oculi Domini super justos, et aures ejus in preces eorum.

[16] Vultus autem Domini super facientes mala, ut perdat de terra memoriam eorum.

[17] Clamaverunt justi, et Dominus exaudivit eos; et ex omnibus tribulationibus eorum liberavit eos.

[18] Juxta est Dominus iis qui tribulato sunt corde, et humiles spiritu salvabit.

[19] Multae tribulationes justorum; et de omnibus his liberabit eos Dominus.

[20] Custodit Dominus omnia ossa eorum: unum ex his non conteretur.

[21] Mors peccatorum pessima; et qui oderunt justum delinquent.

[22] Redimet Dominus animas servorum suorum, et non delinquent omnes qui sperant in eo.

[Vecchio Testamento secondo la VolgataTradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO XXXIII

Davide ringrazia Dio pel beneficio della liberazione dall’imminente pericolo di morte, incontrato alla Corte di Achis re di Geth (detto Abimelech, nome comune dei re Filistei), e schivato coll’aiuto di Dio contraffacendosi di sensato in insensato. Esorta poi tutti a sperare in Dio. È salmo alfabetico.

Salmo di David, quando si contraffece in presenza di Abimelech, il quale lo licenziò ed ei si partì.

1. In ogni tempo io benedirò il Signore; le laudi di lui saran sempre nella mia bocca.

2. Nel Signore si glorierà l’anima mia; ascoltino gli umili, e si consolino.

3. Esaltate meco il Signore ed esaltiamo insieme il nome di lui.

4. Cercai il Signore, e mi esaudì; e mi trasse fuori di tutte le mie tribolazioni.

5. Accostatevi a lui, e sarete illuminati, e i vostri volti non averan confusione.

6. Questo povero alzò le grida, e il Signore lo esaudì, e lo trasse fuori di tutte le sue tribolazioni.

7. Calerà l’Angelo del Signore intorno a coloro che lo temono, e li libererà.

8. Gustate, e fate esperienza, come soave sia il Signore; beato l’uomo che spera in lui.

9. Santi tutti del Signore, temetelo; imperocché non manca nulla a coloro che lo temono.

10. I ricchi si trovarono in bisogno, e patiran la fame; ma a coloro che temono il Signore, non mancherà nissun bene.

11. Venite, o figliuoli, ascoltatemi: vi insegnerò a temere il Signore.

12. Chi è colui che ama la vita, e desidera di vedere dei buoni giorni?

13. Custodisci pura da ogni male la tua lingua, e le tue labbra non parlino con inganno.

14. Fuggi il male, e opera il bene; cerca la pace e valle appresso.

15. Gli occhi del Signore sopra dei giusti e le orecchie di lui tese alle loro orazioni.

16. Ma la faccia del Signore irata inverso coloro che fanno il male, per isterminare dal mondo la lor memoria.

17. Alzaron le grida i giusti, eil Signore gli esaudì e liberolli da tutte le tribolazioni.

18. Il Signore sta dappresso a coloro che hanno il cuore afflitto, e agli umili di spirito darà salute.

19. Molte le tribolazioni dei giusti; e da tutte queste li trarrà il Signore.

20. Di tutti i loro ossi ha cura il Signore: uno di questi non sarà fatto in pezzi.

21. Pessima la morte dei peccatori; e quelli che odiano il giusto saran delusi.

22. Il Signore riscatterà le anime dei servi suoi, e non saranno delusi tutti quei che sperano in lui.

Sommario analitico

Davide, liberato dal pericolo estremo che aveva corso presso il re di Geth, Achis, proclama in questo salmo:

I.Che Dio deve essere amato e benedetto dai giusti: 1° con costanza, nell’avversità come nella prosperità; 2° con perseveranza, fino alla fine della vita (1); 3° con umiltà, come fanno i servitori nei confronti del loro padrone; 4° con una gioia interiore e spirituale che si compiace dei suoi comandamenti (2); 5° con fervore, esaltando il suo nome e manifestando le sue grandezze; 6° con carità, unendosi ai santi che Lo lodano (3); 7° con diligenza, cercando scrupolosamente il Signore (4); 8° con fede, avvicinandosi alla sua luce (5); 9° con speranza, gridando verso di Lui in mezzo alle tribolazioni (6).

II. – Che non c’è nulla di più equo, perché Dio è sovranamente liberale verso i giusti:

1. dà loro gli Angeli

a) che li circondano come un accampamento,

b) che li liberano da ogni pericolo (7). .

2. – Dà loro tutti i beni: a) beni interiori accompagnati da soavità e dolcezza (8); b) beni esteriori, prodigati con abbondanza (9, 10).

3. – Si dà Egli stesso: – a) insegnando loro 1) ad amare di cuore i beni eterni (11, 12), 2) a non nuocere il prossimo con parole (13), 3) a servire Dio con le loro opere, allontanandosi dal male e facendo il bene, 4) ad amare la pace, tanto con Dio che con se stessi e con il prossimo (14); – b) guardandoli con occhio favorevole; – c) dando ascolto alle loro preghiere (15); – d) guardando con occhio severo i loro nemici per sterminarli (16); – e) venendo in soccorso dei giusti, in mezzo alle tribolazioni (17); – f) tenendosi vicino ad essi per consolarli e liberarli da tutte le loro afflizioni (18, 19); – g) vegliando con una provvidenza tutta particolare sulle loro ossa, perché non ne perisca alcuno (20); – h) perdendo i loro nemici, la cui morte sarà pessima (21); – i) riscattando col suo sangue le anime dei suoi servitori (22).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1-6.

ff. 1. Quando benedite il Signore? Quando fate del bene? Quando i beni del secolo abbondano in voi? … no, ma in ogni tempo! È dunque in questo stato prospero che bisogna benedirlo, ed anche quando questi elementi di felicità siano turbati dalle circostanze e dal castigo di Dio; quando questi beni ci vengono sottratti; quando non nascono più per noi, o quando appena nati spariscono. Beneditelo sia quando vi da questi beni, sia quando ve li toglie, beneditelo ancora. Egli ritira questi beni, perché essi vengono da Lui, ma Egli non ritira mai Se stesso da colui che Lo benedice (S. Agost.). – Esempio ne è Giobbe: « il Signore mi aveva dato tutto, il Signore mi ha tolto tutto; sia fatto come è piaciuto al Signore, che il Nome del Signore sia benedetto! » (Giob. I, 21). – Giobbe ci insegna in poche parole a lodare Dio senza sosta; egli ci insegna che quando Dio dà, dà con misericordia, e quando toglie, toglie con misericordia; egli ci insegna a non ritenerci abbandonati dalla sua misericordia, sia che ci carezzi con i suoi doni, per timore che non ci perdiamo di coraggio, sia che ci corregga nell’eccesso della nostra gioia, per timore che non ne veniamo a perire. Lodiamolo dunque in ogni tempo, sia che riceviamo i suoi doni, sia i suoi castighi. La lode del Signore che vi castiga è il rimedio che vi guarisce (S. Agost.). – Un cuore che non benedice Dio se non quando riceve del bene, usa di Dio come di sfuggita, per gioire piacevolmente di questo secolo (S. Greg. Mor. II, 5).

ff. 2. – « Chi si glorifica, si glorifichi dunque nel Signore, perché colui che rende testimonianza a se stesso non è veramente buono, ma colui a cui Dio rende testimonianza. » (II Cor. X, 17, 18). – Dio ci ha dato tutto, finanche il suo Figlio unigenito; tutto è per noi, dice San Paolo; ma Egli si è riservato una sola cosa, che è incomunicabile, è la sua gloria: « Io sono il Signore, questo è il mio Nome, ed Io non darò la mia gloria ad un altro » (Isaia, LII, 8). – I miti, gli umili sono i soli che mettono la loro gloria nel Signore. Che ascoltino dunque, questi miti, questi umili, la Verità eterna ed incarnata che ha aperto la bocca per proclamare la loro felicità: « Beati sono i miti, perché essi possederanno la terra». (S. Matt., V), e che gioiscano di questa speranza (Dug.).

ff. 3. – Chiunque faccia parte del Corpo di Cristo, deve apportarvi le sue cure affinché tutti partecipino alle grandezze del Signore. In effetti, chiunque agisca così, ama il Signore. E come lo ama? Lo ama non avendo invidia per coloro che Lo amano nello stesso tempo. Colui che ama secondo la carne, ama necessariamente con gelosia … Ma che dice colui che ama la saggezza di Dio? « Annunciate con me le grandezze del Signore ». Io non voglio essere il solo a proclamarle, io non voglio essere il solo ad amarlo, io non voglio essere il solo ad abbracciarlo. La saggezza di Dio è talmente estesa che tutte le anime che l’abbracciano, ne gioiscono insieme. Se dunque amate Dio, invitate ad amarlo coloro che hanno con voi qualche legame, e tutti quelli che abitano nella vostra casa; se voi amate il Corpo di Cristo, cioè l’unità della Chiesa, trascinateli a gioire di Dio e dite: « … proclamate con me le grandezze del Signore. » (S. Agost.). – Questa raccomandazione è messa in pratica con le preghiere pubbliche della Chiesa, ove tutti insieme, coralmente, con la medesima bocca, « … i Cristiani glorificano Dio, il Padre di nostro Signore Gesù-Cristo » (Rom. XI, 6).

ff. 4. –  « Io ho cercato ardentemente il Signore ed Egli mi ha esaudito ». Coloro dunque che non sono esauditi non cercano il Signore. Il Profeta non ha detto: io ho domandato l’oro al Signore ed Egli mi ha esaudito; io ho domandato al Signore di arrivare alla vecchiaia, ed Egli mi ha esaudito; io ho domandato al Signore tale o tal’altro favore ed Egli mi ha esaudito. Domandare qualche cosa, non è cercare il Signore. Egli dice: io ho cercato ardentemente il Signore ed Egli mi ha esaudito. Guardatevi dunque dal non cercare altra cosa al di fuori di Dio, ma cercate Dio stesso ed Egli vi esaudirà, e mentre voi ancora parlate, Egli dirà: « Eccomi » (Isai. LXV, 24). – cosa vuol dire « eccomi »? Io sono là presente, cosa volete da Me? Cosa mi domandate? Tutto quello che vi darò, vale meno di Me; possedete dunque Me stesso, gioite di Me, abbracciatemi; voi non potete ancora farlo interamente, ma toccatemi con la fede e sarete uniti a Me (S. Agost.). – Il Signore, ordinariamente non impedisce che si cada nell’afflizione, ma Egli ne libera. Dio non vuol lasciare i suoi santi senza che siano provati, ma Egli si contenta di sostenerli in queste prove (Dug.)

ff. 5. – Come approcciarvi a Dio? cercandolo con la fede. « Per avvicinarsi a Dio, bisogna credere primariamente che Dio c’è, e che Dio ricompensi coloro che Lo cercano » (Ebr. XII, 6), aspirando a Lui con il cuore, e correndo verso di Lui con la carità. La carità: ecco i piedi che vi servono per cercarlo! Quali sono questi piedi? I due comandamenti dell’amore di Dio e dell’amore del prossimo. Con questi due piedi correte verso Dio ed avvicinatevi a Dio (S. Agost.). – … e sarete illuminati, « Dio è la luce stessa, ed in Lui non ci sono tenebre » (I Giov. I. 5). – Egli è la luce vera che illumina ogni uomo che viene in questo mondo » (Giov. I, 4). – Questa luce ha Egli nel cielo, nello splendore dei Santi, sulle montagne, sugli spiriti elevati, sugli Angeli; ma essa ha voluto rilucere anche tra gli uomini, che se ne erano allontanati. Essa si è avvicinata, e per rischiararli ha portato loro la fiamma fin negli occhi. Non siamo tra coloro di cui è detto: « la luce è venuta tra le tenebre e le tenebre non l’hanno accolta; è venuta fra quelle anime superbe o attaccate dalle loro passioni che non hanno compreso l’umiltà di Gesù Cristo, tra quelle anime curiose che vogliono vedere per il piacere di vedere e di conoscere, e non per essere illuminate, per regolare i propri costumi, e mortificare la propria cupidigia; tra questi sventurati di cui parla Gesù Cristo, che hanno voluto sì gioire per la luce, ma non lasciarsi infiammare i loro cuori dal fuoco che era venuto ad illuminarli (Bossuet, Elév. XII Sem. IX Elév.).

ff. 6. – La povertà tutta non è sempre degna di elogi, ma lo è soltanto quella che parte da una volontà libera di obbedire ai consigli evangelici. Numerosi sono i poveri, non volendo considerare che la penuria delle ricchezze, ma la maggior parte di questi poveri sono ricchi ed avari per i loro desideri; la loro indigenza non li salva, la loro cupidigia li condanna. Il Re Profeta si serve di questo pronome dimostrativo, « questo povero », per elevare la nostra anima fino al vero povero secondo Dio, che soffre per Lui la sete e la fame, come se dicesse: questo discepolo di Gesù Cristo (S. Basilio). – Il profeta vi insegna come sarete esauditi. Se non siete esauditi, voi siete ricchi: « Questo povero grida ed il Signore lo ascolta ». Siate indigenti e gridate, e Dio vi esaudirà. E come potrò io diventare indigente, per gridare verso Dio? Non presumendo delle vostre forze, anche quando in possesso di una qualche ricchezza; comprendendo che siete indigenti e veramente poveri quando non possedete Colui che solo può rendervi ricco (S. Agost.). – L’umanità prega in ogni luogo e a tutte le ore; non c’è alcuno dei suoi bisogni che sia estraneo al cuore di Dio. Essa si indirizza a Lui come alla luce che vede tutto, alla sovranità che può tutto, alla bontà che vuole tutto ciò che può, e ci vogliono miracoli per esaudire la sua preghiera; essa vi conta fermamente come sull’effetto naturale di un ordine che comandi a tutte le leggi. Non è solo nelle rare e solenni circostanze che la sua voce supplicante sale verso Dio, come se Dio non si fosse riservato di intervenire che negli avvenimenti famosi che cambiano il corso delle cose e delle nazioni. No; la preghiera esce dal cuore del povero, come da quello dei re. Essa è tanto più forte se si eleva da un tetto di paglia, piuttosto che dalle cime dei cedri, parlando a Dio di un pezzo di pane, piuttosto che dell’occupare un impero. « Questo povero ha gridato, diceva Davide, e Dio lo ha ascoltato ». Anche a vedere la fiducia dei piccoli nel governo dell’Altissimo, si crederebbe che essi conoscano a fondo questa grande legge che genera la protezione della stessa impotenza, e che fa così di Dio e dell’oppresso le due cose che si toccano più da vicino (Lacord. LXVII, Conf.).

II. — 7 – 22.

ff. 7. – Qual è questo Angelo del Signore? È l’Angelo posto a nostra custodia e che Dio ha dato perché vegli su tutte le nostre vie. « È nostro Signore Gesù Cristo, che è nominato nelle profezie come l’Angelo del grande Consiglio, l’inviato del gran consiglio. Non temete quindi di restare misconosciuti a Dio: in qualunque parte voi siate: se temete il Signore, questo Angelo vi conosce, vi circonderà e vi libererà ».  (S. Agost.).

ff. 8. – Noi vediamo in diversi brani della Scrittura che le facoltà dell’anima ricevono gli stessi nomi delle membra esterne dei corpi. Poiché nostro Signore è un vero pane, e la sua carne nutre veramente, è necessario che il sentimento delizioso che ci procura questo pane, sia prodotto in noi da una degustazione spirituale. Le parole sono impotenti per far comprendere a coloro che l’ignorano la natura del miele, bisogna aggiungervi la degustazione. Così è per la bontà e la dolcezza tutta celeste del Verbo, le parole non sono sufficienti ad esprimerla; occorre un lungo esame delle verità divine, perché noi possiamo pervenire a gustare la bontà del Signore. « Gustate », Egli dice, non riempitevene, perché ora noi conosciamo Dio solo imperfettamente; non vediamo che come in uno specchio e sotto immagini oscure (I Cor. XIII, 12); ma verrà il tempo in cui questa caparra di felicità eterna, questo gusto della grazia, farà posto alla pienezza della gioia (S. Basil.). – Come far gustare ai mondani delle dolcezze che non hanno mai sperimentato? Le ragioni in questa materia sono poco efficaci, poiché per discernere ciò che piace, occorre conoscere i propri gusti e conoscere quello che si è conosciuto. È perciò a Dio che i peccatori possono risolversi a gustare quanto il Signore sia dolce! Essi conoscerebbero per esperienza che ci sono delle delizie spirituali che sorpassano le false dolcezze dei nostri sensi e tutte le loro lusinghe (Bossuet, Effic. de la Pén. II, P.). – « Gustate e vedete quanto è dolce il Signore; quanto è dolce la verità, la giustizia, la buona speranza, il casto desiderio di possederla; e gemerete nel vedervi in mezzo agli inganni e agli errori, ed emetterete un dolce e tenero sospiro verso la città santa, che Dio ci ha preparato, ove regna la verità, ove si trova la pace eterna e tutto il bene con Dio » (Bossuet, Méd. sur l’Evangil.). – Dio vuole essere conosciuto per essere amato. Il mondo perde nell’approfondirsi; esso non si rallegra che della superficie e del primo colpo d’occhio. Ma entrate più oltre: non c’è che vuoto, vanità, afflizione, agitazione e miseria. Ma il Signore, bisogna conoscerlo e gustarlo a lungo – dice il Profeta – per sentire tutto ciò che Egli ha di ammirevole. Più Lo conoscete, più Lo amate; più vi unite a Lui, più sentite che non c’è vera felicità in terra se non nel conoscerlo ed amarlo (Massil. sur la Prière).

ff. 9. – Timore di Dio unito alla speranza: una di queste due virtù non può sussistere senza l’altra. – Nulla può mancare a coloro di cui Gesù Cristo è Dio, perché la giustizia di Dio è la fonte di tutti i beni. « Cercate innanzitutto – dice nostro Signore (Matt. VI, 3) – il regno di Dio e la sua giustizia, e tutto il resto vi sarà dato in sovrappiù »  (S. Girol.).

ff. 10. – Si dirà che gli Apostoli ed i Santi che hanno camminato sulle loro tracce, non abbiano avuto parte dei beni della terra, perché non hanno cercato il Signore, o che, se essi sono stati fedeli nel cercarlo, la santa Scrittura sia in difetto, proclamando che coloro che lo cercano non saranno privati di alcun bene! Ma no, i Santi hanno cercato il Signore, e non sono stati privati dell’intelligenza di Colui che essi cercavano, e non sono stati spogliati dei beni che sono stati loro riservati nel riposo eterno; perché è parlando di questi beni che si può dire che essi rinchiudano ogni bene, mentre che i piaceri della carne portano con sé più dolori e pene che gioie (S. Basil.). – L’avaro manca sia di ciò che ha, sia di ciò che non ha (S. Ger.). – Molti che non vogliono temere il Signore, hanno paura di soffrire la fame. Si dice loro: guardatevi dall’usare la frode. Di cosa mi nutrirò? … rispondono essi. La mia professione non può esercitarsi senza impostura, io non posso svolgere i miei affari senza ingannare. Ma Dio punisce la frode, temete Dio! Se temo Dio, non avrò di che vivere. « Santo del Signore, temetelo tutti, perché nulla manca a coloro che Lo temono ». Dio promette l’abbondanza a colui che così teme e che comprende che se vive del timore del Signore, il superfluo non gli manca. Dio vi nutre, anche se voi Lo disprezzate, e vi abbandonerà quando voi Lo temerete! Riflettete e guardatevi dal dire: un tale è ricco ed io sono povero; io temo Dio e lui, che non Lo teme, cosa non ha guadagnato? Ed io che Lo temo, io sono nudo! Vedete cosa aggiunge il profeta. « I ricchi sono stati nel bisogno ed hanno avuto fame, ma coloro che cercano il Signore non mancheranno di alcun bene. » Se prendete queste parole alla lettera, sembra che esse vi ingannino. Vedete in effetti, molti ricchi perversi che muoiono in mezzo alle loro ricchezze, e che non sono mai stati poveri nella loro vita; li vedete invecchiare ed arrivare al termine di una lunga vita in mezzo a grandi abbondanze di beni; voi vedete che si celebrano i loro funerali con pompa e sfarzo; vedete una folla numerosa che conduce fino alla tomba questo ricco che viene a spirare su di un letto di avorio, e tutta la famiglia lo circonda e lo piange; e voi dite in voi stessi: io conosco tutto il male che quest’uomo ha fatto, conosco le sue azioni; … la Scrittura mi ha deluso, mi ha ingannato perché vi ho letto e cantato queste parole: « i ricchi sono stati nel bisogno ed hanno avuto fame ». Quando dunque, quest’uomo è stato nel bisogno? Quando ha avuto fame? « Coloro che cercano il Signore non mancheranno di alcun bene ». Ma tutti i giorni io vado in chiesa, tutti i giorni mi inginocchio, tutti i giorni io cerco il Signore, e non possiedo alcun bene; e quest’uomo che non ha cercato Dio è morto in mezzo ad una tale opulenza! Ed i lacci dello scandalo serrano alla gola colui che parla così! In effetti egli non cerca sulla terra un nutrimento deperibile, egli non cerca la vera ricompensa nel cielo. Guardatevi bene allora dal considerare le cose come lui. E come le comprenderò? Cercando i beni spirituali! Ma dove sono questi beni? Non è con gli occhi che si vedono, ma con il cuore. Questi beni io non li vedo. Colui che li ama li vede! Io non vedo la giustizia. In effetti la giustizia non è né oro né argento. Se essa fosse d’oro, la vedreste. Così è della fedeltà che voi non vedete. Pertanto se non vedete la fedeltà, come mai amate un servitore fedele? Perché trovate la vostra gioia in colui che vi testimonia la fedeltà, e vi rallegrate di un bene che solo gli occhi del cuore possono apprezzare? – Ecco un ambizioso carico di onori e colmo di ricchezze; non vi lasciate abbagliare, egli brilla esternamente, ma è vuoto all’interno; egli è gonfiato, ma non è riempito; tutti i suoi tesori eccitano la vostra invidia; ahimè! Essi non hanno fatto che stuzzicare la sua fame, ben lungi dal saziarlo. Voi lo credete contento, errore grossolano! La sua grande fortuna non fa che dargli grandi bisogni; voi lo chiamate un « realizzato », nuovo errore, egli si crede appena nel mezzo della sua corsa, ed il suo orgoglio monta incessantemente, dice il Profeta (S. Agost.). – la sua fortuna, voi dite, ha oltrepassato le sue speranze; questo forse è così, ma essa non le ha colmate; egli non ha più nulla da desiderare, voi vi ingannate: la voragine della sua cupidigia dilata sempre più i suoi abissi (De Boulogne, Sur l’ambit.).

ff. 11. –  « Venite figli miei ». È la voce di un maestro pieno di bontà che invita alla pratica della saggezza, con un accento di tenerezza tutta paterna. In effetti, il discepolo è come un figlio spirituale per il suo maestro; il discepolo che riceve dal suo maestro gli insegnamenti che formano alla pietà, è formato, modellato da lui come il bambino nel seno di sua madre. Ascoltate l’Apostolo San Paolo (Gal. IV, 19): « figli miei, che io genero nuovamente finché Gesù-Cristo sia formato in voi » (S. Bas.). – Uno dei privilegi della nuova legge è che i Cristiani siano edotti da Dio stesso (Giov. VI, 45). È la voce di un padre che si fa ascoltare, chiamando i suoi figli, coloro che egli vuole istruire, per far loro capire che il timore che vuole insegnare loro, non è un timore servile, ma un timore filiale. Io vi insegnerò non il timore del mondo, non la paura degli uomini, ma il timore del Signore. La grande, la vera scienza è il sapere in quale maniera noi dobbiamo temere Dio, mescolando il timore con l’amore, temperando la paura che incute la sua giustizia, con una perfetta fiducia nella sua bontà. – Io vi insegnerò non il corso degli astri, la natura delle cose, i segreti celesti, ma il timore del Signore. La scienza di queste cose, senza il timore di Dio, gonfia; il timore del Signore, anche senza scienza, salva. Chiunque desideri essere pieno di saggezza e di scienza, e che, sotto la condotta dello Spirito di Dio, desideri salire fino alla sommità della perfezione cristiana, deve necessariamente cominciare dal timor di Dio. Questo timore di Dio è la forza dell’anima, la luce dell’intelligenza e la speranza di salvezza (S. Laur. Just.).

ff. 12. – « Se qualcuno desidera la vita », non quella che abbiamo in comune con gli animali, ma la vera vita, che è a prova di morte, la vera vita che è Gesù Cristo,  desidera vedere giorni di felicità. I giorni di questo secolo sono giorni cattivi, perché essendo questo secolo la misura del mondo del quale è detto: « il mondo intero è sotto l’impero dello spirito malvagio »  (Giov. V, 19), condivide la natura del mondo del quale è la misura. È ciò che faceva dire all’Apostolo: « redimete il tempo, perché i giorni sono cattivi », e ben prima al Patriarca Giacobbe: « i giorni del mio pellegrinaggio sono stati brevi e cattivi » (Gen. XLVII, 9). – È dunque un’altra vita verso la quale queste parole elevano il nostro pensiero, ed altri giorni che non saranno più né misurati con il corso degli astri, né interrotti dalla notte; perché Dio sarà la loro luce e li inonderà dei raggi della sua gloria (S. Basil.). – « Chi è l’uomo che desidera la vita e si augura di vedete giorni felici »? A questa domanda, tutta la natura, se animata, risponderebbe con la stessa voce che tutte le creature vorrebbero essere felici; ma soprattutto le nature intelligenti non hanno volontà e desiderio se non della loro felicità. È vero che gli uomini si rappresentano la felicità sotto forme differenti: gli uni la ricercano e le inseguono sotto il nome di piacere, altri sotto quella di abbondanza e di ricchezze, altri sotto quello di riposo, o di libertà, o di gloria; altri sotto quella di virtù. Ma infine tutti la ricercano, sia il barbaro che il greco, le nazioni selvagge e le nazioni progredite e civilizzate, colui che si riposa nella propria casa, e colui che lavora nella campagna, colui che attraversa i mari e colui che dimora sulla terra. Noi tutti vogliamo essere felici ed in noi non c’è nulla di più intimo, né di più forte, né di più naturale che questo desiderio. Aggiungiamo pure che non c’è nulla di più ragionevole, perché cosa c’è di meglio che desiderare il bene, cioè la felicità? Voi dunque, o mortali che la cercate, voi cercate una cosa buona; preoccupatevi solo se non la cercaste, o se essa non ci fosse! Voi la cercate sulla terra, ma non è là che essa è stabilita, né là che si trovano questi giorni felici di cui il Salmista ci ha parlato (S. Agost. e Bossuet, IV Serm. P. la Touss.). – Si desidera vedere giorni felici, e ci si attacca a quelli che lo Spirito Santo chiama « giorni malvagi ». Si vuole il fine, ma ci si rifiuta di prendere i mezzi che solo possono condurvici.

ff. 13. – Se volete vedere giorni felici, se amate la vita, compite i precetti della vita, « perché colui che mi ama, dice il Salvatore, osserva i miei precetti » (Giov. XIV, 23). – Ora il primo precetto, è quello di trattenere la propria lingua dal male, e le labbra da ogni artificio; perché i peccati che si commettono con la lingua sono i più frequenti e rivestono le più molteplici forme (S. Basil.). – Prima e vera caratteristica di chi aspira alla vita felice, è il controllare esattamente la propria lingua. « La morte e la vita sono in mano alla lingua » (Prov. XVIII, 21); « … colui che sorveglia la propria lingua, sorveglia la propria anima ». – « Se qualcuno crede di avere la pietà e non mette un freno alla propria lingua, la sua pietà è vana » (Giac. I, 26). – Io non voglio, dice l’uomo sciagurato, io non voglio vegliare sulla mia lingua e trattenerla dal male: io voglio vivere e trascorrere giorni felici. Se un operaio vi dicesse: io voglio devastare questa vigna e ricevere da voi il mio salario; voi mi avete condotto nella vostra vigna per potarla e tagliarla, io ho tagliato tutti i germogli che dovevano dare frutto; ho tagliato i ceppi stessi, affinché voi possiate togliere ogni speranza di raccolto, e voi, dopo quello che ho fatto, mi pagherete il mio lavoro… !  non direste voi a quest’uomo che è un folle? Non lo caccereste via da voi prima che metta mano alla sua ronca? Tali sono gli uomini che vogliono fare il male, giurare il falso, bestemmiare Dio, mormorare, commettere frodi, ubriacarsi, fare processi su processi, darsi ad ogni tipo di crimini ed avere poi giorni felici (S. Agost.). – Si dice loro: voi non potete, facendo il male, reclamare la ricompensa dovuta al bene. Se siete ingiusto, bisogna che anche Dio sia ingiusto? Cosa farò dunque? Cosa volete? Io voglio vivere e trascorrere giorni felici. « Frenate la vostra lingua da ogni male, e che le vostre labbra non proferiscano parole di inganno » (Ibid.).

ff. 14. – È poca cosa allontanarsi dal male, non è che una parte della giustizia necessaria alla salvezza; l’altra parte, non meno necessaria, consiste nel fare il bene. È poca cosa non nuocere ad alcuno, non uccidere nessuno, non rubare, non commettere adulterio, non rendere falsa testimonianza. Quando ve ne sarete allontanati, voi forse direte: io sono in sicurezza, ho compiuto ogni prescrizione, avrò la vita e vivrò giorni felici. Non solo allontanatevi dal male, ma fate il bene! « Cercate la pace e perseguitela con perseveranza » (S. Agost.). – Il Profeta non ci domanda di avere la pace, ma di desiderarla e di ricercarla. Questo dipende da noi: noi possiamo sempre averla con Dio, quando lo vogliamo sinceramente; ma non dipende sempre da noi averla sia con il prossimo che con noi stessi. Occorre quindi ricercare questa pace con perseveranza, con Dio, unendoci a Lui con la purezza del suo amore; con noi stessi, lavorando a distruggere in noi tutto ciò che si oppone alla sua volontà; e con il prossimo, sopportando i suoi difetti e restando pacifici con gli stessi che odiano la pace (Ps. CXIX).

ff. 15, 16. – Dio, come possiamo notare dalle Scritture, ha un volto per i giusti ed un volto per i peccatori. Il volto che ha per i giusti è un volto sereno e tranquillo, che dissipa le nubi, che calma le turbe della coscienza, che la riempie di una santa gioia (Ps. XV, 11). C’è poi un altro volto che Dio mostra ai peccatori, un volto di cui è scritto: « Il volto di Dio è su coloro che fanno il male », è il volto della giustizia (Bossuet, Serm. P. le vend. saint.) – Lo sguardo di Dio sui giusti è uno sguardo di amore che tende a salvarli; lo sguardo di Dio sui peccatori è uno sguardo di giustizia che tende a punirli; l’uno procura una dimore eterna nella terra dei viventi, e l’altra stermina dalla terra coloro che i loro crimini hanno reso indegni del proprio ricordo e della memoria degli uomini. Quanti di questi ultimi hanno fatto di tutto per rendersi celebri, e dei quali non si sa neppure se essi fossero giammai? Se qualche generazione, anzi cosa dico? … se qualche anno dopo la loro morte essi ritornassero, uomini dimenticati in mezzo al mondo, essi si affretterebbero a rientrare nelle loro tombe per non vedere il loro nome offuscato, la loro memoria abliata (Bossuet, Or. fun, de Michel le Tellier). – Quanti altri vi sono ai quali Dio non ha rifiutato questa gloria tanto desiderata, questa ricompensa che non giunge a coloro il cui orgoglio Egli punisce severamente nell’inferno.. « Essi sono lodati là dove non sono, dice S. Agostino; essi sono tormentati là dove sono ».

ff. 17-19. – I giusti sono sempre esauditi da Dio, anche quando Egli non accorda loro quanto Gli chiedono, perché sarebbe per loro dannoso; Egli li esaudisce nel modo più elevato di quanto essi non intendano, e nell’esaudirli, elude vantaggiosamente la loro previsione. – Dio esaudì le preghiere della Chiesa riunita, quando liberò San Pietro dalla prigione; ma esaudì il principe degli Apostoli in modo più elevato, quando permise che fosse legato e condotto là dove egli non voleva (Giov. XXI, 18) e lo lasciò morire sulla croce. – « Dio è vicino a coloro che hanno il cuore infranto ». Ci sono molti che sono afflitti, ma non di cuore, come coloro che deplorano la perdita dei loro beni, o forse gli errori che hanno rovinato i propri affari, ma non si sognano affatto di deplorare quelli che hanno fatto perdere la loro eternità. – Benché tutti l’abbandonino per insensibilità, per odio o per indifferenza, Gesù Cristo è sempre vicina all’anima che soffre. Con Lui nessun rilassamento. La sua missione è quella di guarire coloro che hanno il cuore infranto e di consolare coloro che piangono. Oh! Voi potete parlarGli delle vostre pene, Egli comprenderà, perché Egli ha portato tutti i dolori dell’anima; Egli li allieverà, perché Egli ha imparato dalle sue prove personali a non lasciare nessuno senza rimedio. – I giusti non devono essere sorpresi nel vedersi afflitti quando sono sulla terra, essi al contrario devono ciò attendersi ed esservi preparati. È la vocazione di ogni Cristiano. « Nessuno di voi, dice S. Paolo, sia scosso in questo tempo di tribolazione, perché tutti sapete che a questo siamo destinati » (I Tessal. III, 3). – C’è di più, se gli uomini sono ingiusti, hanno meno tribolazioni da sopportare; se sono giusti, queste tribolazioni sono più numerose. Ma gli empi, dopo poche tribolazioni, o anche senza averne subite, cadranno in una tribolazione senza fine, dalla quale non saranno mai liberati; i giusti al contrario, dopo numerose tribolazioni, perverranno alla pace eterna ove non soffriranno alcun male (S. Agost.).

ff. 20. – Ammirevole è la provvidenza di Dio nei riguardi dei suoi fedeli servitori: non solo la loro anima, ma i loro corpi interamente, sono l’oggetto della sua attenzione, delle sue cure, del suo amore. Egli ha messo sul nostro corpo la sua mano sovrana, lo ha riempito con lo Spirito Santo che la Scrittura chiama suo dito, e del quale è già in possesso. Egli, agli occhi di chi nulla perde, segue tutte le particelle del nostro corpo, in qualunque punto più remoto del mondo la corruzione o il caso le getti. E tu, terra, madre e nello stesso tempo sepolcro comune di tutti i mortali, in qualsiasi recesso li abbia inghiottiti, dispersi, celati i nostri corpi, tu li restituirai tutti interi, e piuttosto saranno sconvolti il cielo e la terra, che uno solo dei nostri capelli perisca, perché essendone Dio il padrone, nessuna forza potrà impedire che si compiano le sue opere (Bossuet, Serm. sur la resur. Dern.).

ff.21-22. -La morte dei peccatori è simile alla loro vita. Questi è stato proprio un criminale, e quella molto malvagia, sia che si consideri il passato, nel quale si scoprono diversi crimini, sia che si riguardi al presente, dove essi si vedono abbandonati da Dio e votati al crudele tormento di una coscienza lacerata dai rimorsi, sia che si volgano gli occhi sullo spaventoso avvenire che li attende (Dug.). – Ma, voi dite, ciò che mi stupisce, è che io conosco i peccati di quest’uomo e so che egli è morto tranquillamente nella sua casa, nel suo ambiente, senza aver sofferto tutta la vita, fino all’ora della morte, le pene di una terra straniera. Ascoltate: « pessima è la morte del malvagio ». Questa morte che a voi sembra dolce, è pessima, se voi osservate cosa avviene interiormente. All’esterno voi vedete l’uomo coricato nel suo letto, ma lo vedete interiormente trascinato nell’inferno? Ascoltate, fratelli miei, e vedete nel Vangelo quanto è cattiva la morte del malvagio (Luc. XVI, 19). Apprendete dunque da qui che cosa sia la cattiva morte dei peccatori e trattenetevi dal considerare questi letti sovraccarichi di stoffe preziose, questa carne avvolta in ricche lenzuola, questi eredi che mostrano la pompa delle loro lamentele, questa famiglia che piange, questa folla di cortigiani che precede e segue il corpo che si muove dalla casa del defunto, e questi monumenti di oro e marmo. Interrogate il Vangelo ed esso farà vedere alla vostra fede l’anima del ricco che brucia nel fuoco vindice, senza che tutti gli uomini che gli hanno reso così splendido omaggio, e gli splendidi ossequi che la vanità ha prodigato al suo corpo, abbiano potuto servirgli a nulla (S. Agost.). I peccatori che non hanno avuto che odio per i giusti durante la loro vita, si ritrovano miseramente disingannati alla loro morte. Essi riconoscono, ma troppo tardi, di aver lavorato per la loro perdita, perseguitando gli amici del suo Giudice (Dug.). – È in effetti in rapporto all’anima che deve essere compresa la buona o la cattiva morte, e non in rapporto al corpo, rispetto agli affronti o agli onori che hanno ricevuto agli occhi degli uomini. Se le anime dei servitori di Dio sembrano agli occhi degli uomini insensati, perdute per qualche tempo, sarà bene il riscattarle e liberarle dalle mani dei peccatori. « Le anime dei giusti, invece, sono nelle mani di Dio, nessun tormento le toccherà. Agli occhi degli stolti parve che morissero; la loro fine fu ritenuta una sciagura, la loro partenza da noi una rovina, ma essi sono nella pace. Anche se agli occhi degli uomini subiscono castighi, la loro speranza è piena di immortalità. » (Sap. III, 1-3.).

SALMI BIBLICI: “EXSULTATE, JUSTI, IN DOMINO” (XXXII)

SALMO 32: “EXSULTATE, JUSTI, IN DOMINO”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

TOME PREMIER.

PARIS

LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR – RUE DELAMMIE, 13; 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

[1] Psalmus David.

    Exsultate, justi, in Domino;

rectos decet collaudatio.

[2] Confitemini Domino in cithara; in psalterio decem chordarum psallite illi.

[3] Cantate ei canticum novum; bene psallite ei in vociferatione.

[4] Quia rectum est verbum Domini, et omnia opera ejus in fide.

[5] Diligit misericordiam et judicium; misericordia Domini plena est terra.

[6] Verbo Domini caeli firmati sunt; et spiritu oris ejus omnis virtus eorum.

[7] Congregans sicut in utre aquas maris; ponens in thesauris abyssos.

[8] Timeat Dominum omnis terra; ab eo autem commoveantur omnes inhabitantes orbem.

[9] Quoniam ipse dixit, et facta sunt; ipse mandavit et creata sunt.

[10] Dominus dissipat consilia gentium; reprobat autem cogitationes populorum, et reprobat consilia principum.

[11] Consilium autem Domini in aeternum manet; cogitationes cordis ejus in generatione et generationem.

[12] Beata gens cujus est Dominus Deus ejus; populus quem elegit in hæreditatem sibi.

[13] De cælo respexit Dominus; vidit omnes filios hominum.

[14] De præparato habitaculo suo respexit super omnes qui habitant terram:

[15] qui finxit sigillatim corda eorum; qui intelligit omnia opera eorum.

[16] Non salvatur rex per multam virtutem, et gigas non salvabitur in multitudine virtutis suae.

[17] Fallax equus ad salutem; in abundantia autem virtutis suae non salvabitur.

[18] Ecce oculi Domini super metuentes eum: et in eis qui sperant super misericordia ejus.

[19] Ut eruat a morte animas eorum: et alat eos in fame.

[20] Anima nostra sustinet Dominum, quoniam adjutor et protector noster est.

[21] Quia in eo lætabitur cor nostrum, et in nomine sancto ejus speravimus.

[22] Fiat misericordia tua, Domine, super nos, quemadmodum speravimus in te.

[Vecchio Testamento secondo la VolgataTradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO XXXII.

Esortazione ai giusti di lodare la potenza, la provvidenza e la bontà di Dio. É detto dai Settanta: Salmo di Davide.

Salmo di David.

1. Esultate nel Signore, o giusti; a coloro che sono retti sta bene il lodarlo.

2. Lodate il Signore sulla cetera; cantate inni a lui sul salterò a dieci corde.

3. Cantate a lui un nuovo cantico; cantate a lui inni soavi con alto suono.

4. Perocché diritta ell’è la parola del Signore, e tutte le opere di lui sono nella fedeltà.

5. Egli ama la misericordia e la giustizia; della misericordia del Signore è ripiena terra.

6. Dalla parola del Signore i cieli ebbero sussistenza, e dallo spirito della sua bocca tutte le loro virtudi.

7. Ei che raduna le acque del mare quasi in un otre, e gli abissi ripone ne’ serbatoi.

8. La terra tutta tema il Signore, e dinanzi a lui tremino tutti gli abitatori dell’universo.

9. Perocché egli disse, e furon fatte le cose; comandò, e furon create.

10. Il Signore manda in fumo i disegni delle nazioni, e vani rende i pensieri dei popoli, e rende vani i consigli de’ principi.

11. Ma il consiglio del Signore è stabile per tutta l’eternità; i pensieri del cuore di lui per tutte le etadi e generazioni.

12. Beato il popolo, che ha per suo Dio il Signore; il popolo, cui egli si elesse per sua eredità.

13. Dal cielo mirò il Signore; vide tutti i figliuoli degli uomini.

14. Da quella mansione sua, ch’ei preparò, gettò lo sguardo sopra tutti coloro che abitano la terra.

15. Egli che formò a uno a uno i loro cuori,  egli che le opere loro tutte conosce.

16. Non trova salvezza il re nelle molte squadre; e il gigante non si salverà per la sua molta fortezza.

17.Fallace mezzo per la salute è il cavallo: e la molta sua robustezza nol salverà.

18. Ecco gli occhi del Signore sopra coloro che lo temono, e sopra coloro che confidano nella sua misericordia:

19. Per liberare le anime loro dalla morte, e per sostentarli nel tempo di fame.

20. L’anima nostra aspetta in pazienza il Signore, perché egli è nostro aiuto e protettore.

21. Perché in lui si rallegrerà il nostro cuore, e nel nome santo di lui porrem nostra speranza.

22. Sia sopra di noi, o Signore, la tua misericordia, conforme noi in te abbiamo sperato.

Sommario analitico

Dai versetti 10, 15, 16 di questo salmo, si sarebbe portati a concludere che Davide lo abbia composto dopo le vittorie eclatanti che Dio, con un soccorso tutto particolare, gli aveva concesso sui suoi numerosi e potenti nemici, i Filistei in particolare, ai quali egli sembra fare allusioni nel versetto 16 (si veda II Re, XXI, 15 e segg.). È un invito fatto ai giusti di lodare il Signore, per le sue perfezioni, e soprattutto a causa della sua potenza e della sua provvidenza.

I. – Davide invita tutti i giusti a lodare Dio, ed indica tutte le condizioni che caratterizzano questa lode:

– 1° Coloro che devono celebrare le lodi del Signore: i giusti; – 2° la considerazione della Persona alla quale si indirizzano queste lodi, il Signore; – 3° coloro che conviene associare a questa lode, i retti di cuori (1); – 4° il modo esteriore di queste lodi (2); – 5° la qualità e l’eccellenza che debba avere questa lode di Dio: « Cantate un cantico nuovo … »; – 6° La forma interiore ed essenziale che deve vivificare queste lodi, la bontà e la virtù: « Fate un armonioso concerto di voci e di strumenti » (3).

II. – Davide espone a lungo la materia e la causa di queste lodi, vale a dire gli attributi di Dio.

– 1° La sua rettitudine e la sua fedeltà nel compimento delle sue promesse (4); – 2° la sua giustizia; – 3° la sua misericordia (5). – 4° la sua potenza che ha reso manifesta: a) nella creazione dei cieli e di tutto ciò che essi contengono (6); b) serrando come in un otre le acque del mare e chiudendo gli abissi nelle loro riserve (7); c) governando sovranamente la terra e tutti i suoi abitanti, poiché Egli ha tutto creato con la sua sola Parola (8,9). 5° la sua saggezza con la quale: a) dissipa i consigli dei suoi nemici (10), b) rafferma eternamente i suoi (11), benedice i consigli della nazione di cui Egli è Dio, e la conduce fino all’eterna felicità (12). 6° la sua provvidenza con la quale: a) vede tutti gli uomini dall’alto del cielo, scruta i loro cuori che Egli ha creato, e considera le loro opere (13-15); b) Egli vede gli orgogliosi pieni di fasto e di arroganza, e li distrugge senza che essi possano difendersi né con le loro numerose armate, con la grandezza e la forza dei combattenti, né con la loro potente cavalleria (16, 17). c) Egli considera i giusti (18): 1) per liberare la loro anima dalla morte; 2) per nutrirli nella loro fame (19); 3) per essere loro soccorso e loro protettore (20); 4) per essere loro gioia nella prosperità; 5) per essere loro pazienza nelle prove (21); 6) per coprirli con la sua misericordia, secondo la speranza che in Lui hanno riposto (22).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1-3.

ff. 1-3. – « Giusti, rallegratevi nel Signore ». Rallegratevi non quando il successo corona le vostre imprese, quando avete una perfetta salute, quando i vostri raccolti sono abbondanti, ma perché avete un Maestro e un Signore la cui beltà, bontà, saggezza, non hanno limiti. Che vi ricolma della gioia che è in Lui (S. Basilio). – « La gioia conviene a coloro che hanno il cuore retto ». Così come un piede torto non può adattarsi ad una calzatura stretta, così la lode di Dio non può accordarsi con dei cuori tortuosi. Così come due rette sovrapposte sono giustapposte, la loro regolarità fa che esse si uniscano perfettamente, ma se applicate ad una di queste rette un legno tortuoso, non vi è accordo possibile tra loro (Idem). – « cantate la sua gloria come conviene »; cioè, cantate ma badate di non cantare male. Dio non può avere le orecchie ferite. Quando vi si dice: cantate in maniera da piacere ad un tale buon musicista che viene ad ascoltarvi, voi tremate nel cantare, se non avete qualche conoscenza dell’arte musicale per timore di urtare un artista, perché questo artista saprà ben individuare nel vostro canto dei difetti che un ignorante non saprebbe riconoscere. Chi dunque oserà cantare come occorre davanti a Dio, davanti ad un tale Giudice, davanti ad un tale apprezzatore di tutte le cose, davanti ad un tale ascoltatore? Quando potrete apportare al vostro canto tanta arte ed eleganza per non infastidire delle orecchie così perfette? Ma ecco che Egli vi dice in qualche modo, come dovete cantare. Non cercate più parole, come se foste capaci di esprimere ciò che possa affascinare Dio. « Cantate con giubilazione ». Che cos’è dunque il cantare con giubilazione? – È comprendere che le parole non sapranno esprimere ciò che canta il cuore. E verso chi, se non verso il Dio ineffabile, conviene maggiormente il giubilo? Dio è ineffabile, in effetti, poiché le parole non possono esprimere ciò che Egli è. Ma se voi non potreste parlare, e ciò nonostante non dovrete tacere, cosa vi resta se non il trasporto del giubilo? Che cosa vi resta se non che il vostro cuore sia muto nella gioia, e che l’immensa distesa della vostra allegria non sia racchiusa nei limiti di qualche sillaba? (S. Agost.).

II. — 4-22.

ff. 4-7. – Tutte le opere di Dio sono conformi alla sua parola, cioè fedeli, giuste e sante. – Alcuni traducono: « E tutte le sue opere sono nella fede ». Cosa vuol dire qui il Re-Profeta? Il cielo è opera sua, la terra è opera sua, il mare è opera sua, l’aria, le cose animate ed inanimate, gli esseri ragionevoli o privi di ragione sono opere sue. Com’è che tutte queste opere siano nella fede? Quale fede è possibile negli esseri inanimati, negli animali stessi? La proposizione però comprende tutto e non fa eccezione di niente. Quale ne è dunque il senso? Sia che contempliate il cielo e l’ordine ammirevole che vi regna, vi dice il salmista, è la legge che è le vostra guida, perché è essa che vi mostra l’Autore del cielo; sia che voi consideriate la magnificenza della terra, la vostra fede in Dio riceve un nuovo accrescimento; perché non sono certo gli occhi della carne che vi insegnano a credere in Dio, ma la penetrazione dello spirito che vi fa scoprire l’invisibile attraverso le cose visibili. « Tutte le sue opere sono dunque nella fede ». Voi considerate una pietra, anch’essa richiude in sé una certa manifestazione della potenza del Creatore. Direi la stessa cosa di una formica, di un moscerino, di un’ape: è in questi esseri così piccoli che risplende maggiormente la saggezza di Colui che li ha creati (S. Basilio). – La misericordia è messa qui per prima, perché è attraverso di essa che Dio comincia sempre. Egli dà primariamente le sue grazie, poi ricompensa o punisce il loro buono o cattivo uso. – Se il giudizio di Dio si esercitasse su di noi, secondo la sua natura e separata dalla misericordia, e se Egli ci rendesse secondo le nostre opere, quale speranza ci resterebbe? Chi di noi potrebbe essere salvato? Ma « Dio ama la misericordia ed il giudizio ». Non è se non dopo aver posto la misericordia come assistente di Dio presso il tribunale della sua giustizia, che Egli cita gli uomini al suo tribunale (S. Basilio). – « La terra è piena della misericordia di Dio ». Qui la misericordia è separata dal giudizio, perché essa sola riempie tutta la terra, ed il giudizio è rinviato ad altro tempo. Quaggiù la misericordia è dunque senza la giustizia, perché il Signore non è venuto per giudicare il mondo, ma per salvarlo (S. Basilio). – « La terra è piena della misericordia del Signore ». E dei cieli, cosa ne è? Ascoltate ciò che riguarda i cieli: essi non hanno bisogno di misericordia, perché qui non esiste il misero. Sulla terra, ove abbonda la miseria umana, la misericordia di Dio è sovrabbondante: la terra è piena di miserie umane, la terra è piena di misericordie di Dio. Pertanto nei cieli, ove non c’è alcuna miseria, se non hanno bisogno della misericordia di Dio, non hanno bisogno del Signore? Tutte le cose, miserabili o felici, hanno bisogno del Signore, senza di Lui, il miserabile non è risollevato; senza di Lui il beato non viene diretto … Sappiate dunque che anche i cieli hanno bisogno del Signore: « I cieli sono stati consolidati dalla parola del Signore »; perché essi non hanno trovato in se stessi la loro solidità, e non si sono dati una forza che fosse loro propria. « I cieli sono stati consolidati dalla parola del Signore, ed il soffio della sua bocca costituisce tutta la sua forza » (S. Agost.). – Come definire questo prezioso attributo della misericordia? Non è la sola perfezione che la creatura dà o sembri dare al Creatore? Come avrebbe Egli misericordia se questa non fosse per noi? Non ci sono dispiaceri da consolare, bisogni da soddisfare, perché essa è un oceano senza limiti. La misericordia è la calma della sua onnipotenza, è l’incanto della sua onnipresenza, il frutto della eternità e la compagna della sua immensità, la principale soddisfazione della sua giustizia, il trionfo della sua saggezza, la pazienza perseverante del suo amore. Dappertutto noi incontriamo la misericordia del nostro Padre celeste, dolce, attiva, vasta, senza limiti. Il giorno, essa rischiara i nostri travagli; la notte, noi dormiamo sotto la sua protezione; la Corte del cielo risplende dei raggi della sua beltà feconda, la terra ne è ricoperta, e come un altro oceano, essa riposa sulle acque del mare (Faber, Créateur et créature, L. II, Ch. 2). – La grande opera della creazione dell’universo è l’effetto non di un grande lavoro, ma di una parola onnipotente di Dio. – L’insinuazione del mistero della Trinità nella creazione del mondo, è ugualmente l’opera del Figlio e dello Spirito Santo (S. Bas.). – « Egli ha rinchiuso come in un otre le acque del mare ». Nel pavimento dei mari – se è permesso parlare così – essendo più basso di quello della terra, le acque si son dovute raccogliere; ma questo è un effetto della sapienza del Creatore, che ha reso il suolo simile ad un otre capace di ricevere questa prodigiosa quantità di acqua. Da un otre ben chiuso non esce nulla, per cui vediamo che i mari non debordano. È questo un altro effetto della Provvidenza divina, perché se questo immenso volume di acque uscisse dal suo letto, la terra ne sarebbe ben presto sommersa. Una delle ragioni per le quali il mare dimora nel suo letto, benché riceva tutti i fiumi, è che esso restituisce, con vapori continui, l’eccesso di acque che ha ricevuto; questi vapori, dissipati e trasportati dai venti, si cambiano in piogge e neve, che ricadono sulla terra e la fecondano: ancora questo è un beneficio della liberalità divina, che provvede così alla sussistenza dell’uomo e degli animali (Berthier). – Questi abissi che Dio rinchiude nei suoi tesori sono, in figura, i consigli impenetrabili della sua condotta rispetto agli uomini, che il Re-Profeta chiama – in un altro salmo – « un abisso molto profondo ». Essi sono rinchiusi nei tesori delle sue conoscenze, che lo spirito dell’uomo non è più capace di penetrare.

ff. 8, 9. « Tutti coloro che abitano l’universo non temano che Lui ». E non temano nessun altro che Lui. Una bestia furiosa vi attacca? Temete Dio. Un serpente vuole lanciarsi su di voi? Temete Dio! Un uomo vi odia? Temete Dio! Il demonio tenta di assalirvi? Temete Dio! Tutte le creature sono sottomesse a Colui che vi è ordinato di temere ; « perché Egli ha parlato e tutte le cose sono state fatte; Egli ha comandato ed esse sono state create » (9). Quando Colui che con una parola ha fatto ogni cosa, e che da un comandamento ha creato ogni cosa, dà loro un ordine, esse si muovono; quando Egli dà loro un ordine, esse si arrestano. La malvagità degli uomini ha in se stessa il desiderio di fare del male; ma essa non ne ha il potere, se Dio non lo conceda (S. Agost.).

ff. 10, 11. Tutte le nazioni, tutti i prìncipi e tutti i popoli si uniscano insieme per sovvertire i disegni di Dio; questa cospirazione generale non servirà che a far evidenziare ancor più la debolezza degli uomini e la potenza di Dio. « Tutti i popoli sono davanti ai suoi occhi come se non fossero; essi non sono per Lui come il vuoto ed il niente » (Isaia XL, 17). « Non c’è saggezza, non c’è prudenza, né consiglio contro il Signore. » (Prov. XXI, 30). – Vedete come tutti i pretesi dogmi dei gentili, la vana filosofia dei suoi saggi, le loro intenzioni così sottili nella metafisica, nella morale e nella fisica, come tutto sia stato dissipato, mentre la verità del Vangelo brilla di un vivo splendore in tutte le parti del mondo. Tanti consigli si agitano nei cuori degli uomini, ma il consiglio del Signore li travolge sempre (S. Basilio). – Se noi vogliamo che il consiglio di Dio si stabilisca e metta radice nella nostra anima, bisogna escludere innanzitutto i pensieri umani. È come colui che volendo scrivere su una tavoletta di cera, cominci con il renderla quanto più piana possibile, e tracci poi i caratteri che vuole, così il cuore che deve ricevere i divini oracoli deve purificarsi di tutti di tutti i pensieri contrari (S. Basilio). – Quale spettacolo ci presenta, nell’ora attuale, l’universo cristiano? Quasi ogni potenza, anche cattolica, che non sia ostile a Dio, alla sua Religione, alla sua Chiesa. Uomini che tengono nelle loro mani i destini dei popoli, divisi su tutto il resto, sono qui animati da un unico sentimento: l’odio implacabile contro Gesù-Cristo e contro la sua Chiesa. Nulla li ferma, ogni mezzo è per loro legittimo onde distruggere una Religione che si dice la sola vera e divina; la menzogna o la verità, la perfidia o la violenza, i rispetti ipocriti o i disprezzi infamanti, le massime sulla tolleranza o i furori della persecuzione, la calunnia o la contumelia, tutto è impiegato senza scrupolo alcuno. Noi li vediamo concertare abilmente i loro disegni, ordire trame profonde, adoperare le risorse più raffinate della diplomazia, prendere misure che credono infallibili, esaurire tutte le risorse della loro saggezza. Ricordiamoci allora che i sacri oracoli che predissero la rovina di tutti i consigli, di tutte le lingue empie, continueranno fino a che si compiranno; .. che, quando Dio vuole distruggere e dissipare tutti i progetti, tutti i consigli dei popoli e dei re, non gli basta che una parola, che un atto della sua volontà, poiché i decreti di questo Essere immutabile sono fissi e dimorano eternamente.

ff. 12. –  « Felice la nazione della quale Dio è il Signore ». È un augurio questo che dobbiamo realizzare nel nostro interesse e nell’interesse della società di cui siamo i cittadini; perché la patria non potrebbe essere felice ad altra condizione, così come il cittadino singolo, perché la città non è altra cosa che un certo numero di uomini riuniti sotto una stessa legge. In effetti il buon senso ci insegna che il Creatore del genere umano, creando l’uomo essenzialmente sociale, non ha voluto che la società umana fosse indipendente da Lui. Queste grandi famiglie di popoli che si chiamano Nazioni dipendono dunque dalle sue leggi non meno che le esistenze private (Mgr. Pie, T. v, 175). – Felice non l’individuo, ma il popolo, la Nazione, la società di cui Dio è veramente il Dio, non soltanto in virtù del suo diritto inalienabile di Creatore e di sovrano Maestro di ogni cosa; ma felice il popolo in cui Dio è come alla sua  sommità, al centro, alla base; felice la Nazione che Dio circonda, penetra, anima tutta interamente; felice la società della quale Dio ispira la costituzione, il governo e le leggi; felice il popolo che si fa un dovere, non meno che un onore, di accettare francamente e pubblicamente la legge di Dio, amarla, conservarla, difenderla, propagarla, farne il fondo dei suoi costumi e delle sue istituzioni pubbliche, ed usare anche la sua forza, la sua autorità, non per imporla, ma per preservarla e sottrarla all’oppressione assicurando a tutti gli uomini il diritto di conoscerla e di conformarvisi liberamente, procurando alle Nazioni meno avanzate verso Dio i beni eterni, la fede, la giustizia, la civilizzazione. Tale fu lungo il corso dei secoli la gloriosa missione della Nazione francese, chiamata il Reame cristianissimo. Ha perseverato essa come Nazione, come popolo, in questa vocazione alla quale Dio l’aveva chiamata? Ahimè! Per dirla con una parola, è l’ateismo, l’assenza di Dio, che in Francia, serve ora come fondamento all’edificio sociale; noi siamo discesi al di sotto di quegli ateniesi di cui parlano gli Atti degli Apostoli (XVII, 23), e per descrivere esattamente la situazione, si dovrebbe issare in tutte le nostre piazze pubbliche una colonna con questa « legenda »: al Dio, non più solo ignoto, ma dimenticato, disprezzato, negato dalla nazione e dai suoi governanti1 – « Beato il popolo che ha come Dio il Signore ». Di chi il nostro Dio non è Dio? Ma evidentemente Egli non è il Dio di tutti gli uomini alla stessa maniera. Egli è soprattutto il nostro, il nostro per noi che viviamo di Lui come del nostro pane. Egli è nostra eredità, nostro possesso. Forse parliamo temerariamente facendo di Dio nostro possesso, laddove Egli è il Signore, il Creatore? No; non è temerarietà, è l’aspirazione del desiderio, è la dolcezza della speranza. Che la nostra anima dica, e dica in tutta sicurezza: « Voi siete il mio Dio », e Lui non farà ingiuria nel dirlo; al contrario Gli si farà ingiuria non dicendolo. Così dunque la nostra felicità dipenderà dal possesso di Dio. Ma che! Noi Lo possederemo, ed Egli non ci possederà? Egli ci possiede e noi Lo possediamo, e tutto questo per causa nostra. In effetti Egli non ci possiede per essere felici per noi, ma perché noi siamo felici per Lui e con Lui (S. Agost.).

ff. 13, 14. – Considerate Dio che dall’alto del cielo abbassa i suoi occhi sui figli degli uomini; consideratelo penetrare il suo sguardo divino fino alle estreme profondità del loro cuore, raggiungendo la divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e al midollo, districarsi tra i pensieri più segreti ed i movimenti più intimi (Ebr. IV, 12). – dovunque andiate, qualunque cosa facciate, sia nelle tenebre che alla luce del sole, voi avete l’occhio di Dio fissato su di voi (S. Basil.). – A questi occhi così penetranti di Dio nulla è inaccessibile; né i recessi più profondi e più nascosti, né le muraglie più spesse, né le nostre azioni prima ancora di averle compiute, né i nostri pensieri ancor prima che siano stati concepiti nel nostro spirito (S. Agost.). – Doppio è lo sguardo di Dio sui figli degli uomini: sguardo di misericordia sugli uni, sguardo di indignazione e di giustizia sugli altri (S. Agost.).

ff. 15. – Dalla mano della sua grazia, dalla mano della sua misericordia Egli ha formato i cuori; Egli ha fatto i nostri cuori, li ha formati ognuno in maniera speciale, dando a ciascuno particolarmente un cuore, senza che l’unità fosse distrutta. La potenza di Dio ha formato separatamente tutti i cuori, e la sua grazia li ha creati di nuovo dando loro doni diversi, perché nel corpo di Cristo, tutti gli uomini in particolare, così come ogni membro del corpo, ha ricevuto un dono speciale, perché Colui che ha scelto il suo popolo come sua eredità, ha formato i cuori in modo speciale per ognuno (S. Agost.). – Dio forma i cuori degli uomini uno ad uno, e con cura ammirevole, e noi possiamo credere che se è così, è perché Egli ci ama e ci chiama alla perfezione. Se questo è vero per il cuore, e per il cuore di ciascuno di noi, questo è vero soprattutto per il cuore di coloro ai quali Dio vuole manifestare quaggiù la sua potenza e la sua misericordia. Di questo numero sono i buoni re, i capi dei popoli dei quali Dio tiene sempre il cuore nella sua mano; i saggi nel cuore nei quali Egli depone la sua verità e attraverso i quali diffonde la sua luce; i santi, ai quali Egli riempie il cuore del suo amore, e che Egli abbraccia con una carità ardente per il bene dei loro fratelli; in una parola, tutti coloro che, con una qualunque vocazione, siano chiamati a cooperare alla gloria di Dio ed alla salvezza delle anime (Mgr. Baudry, Le Coeur de Jésus, 2° Part, I).

ff. 16, 17. – Rientra nel piano della divina Provvidenza il fare tutto con l’intermediazione di cause seconde, tranne il caso in cui essa voglia manifestarsi più chiaramente con dei miracoli. Questa cause seconde sono tutte nella sua mano, ed alcune di esse non possono nulla contro la sua volontà sovrana, né per salvarci, né per perderci. Ma esse sono i mezzi, gli strumenti ordinari dei suoi disegni su di noi; di conseguenza, noi dobbiamo impiegarli, salvo poi a non attribuire il successo delle nostre imprese che alla protezione ed alla potenza del Padrone di tutte le cose. Così, il re deve circondarsi di un’armata numerosa e agguerrita; l’uomo robusto deve spiegare la sua forza; il cavaliere deve cavalcare un cavallo vigoroso; ma il cavaliere, l’uomo, il re, non devono mai dimenticare che in definitiva Dio solo dà l’accrescimento. Dimenticare le cause seconde sarebbe tentare Dio, contare unicamente sulle cause seconde sarebbe misconoscerlo ed offenderlo. Se queste verità sono certe, quando si tratta di cose puramente temporali, tanto più hanno luogo ad essere quando si tratta della salvezza, della vera pietà, della giustizia interiore! – Ciò che fa che gli uomini contino sulle loro forze, è che essi non si conoscono; e ciò che fa che essi contino così poco sul soccorso di Dio, è che essi non conoscono Dio. Si dice ordinariamente che Dio è sempre per i grossi battaglioni, massima che si avvicina fortemente al deismo, nemico della Provvidenza. Questa massima è dimostrata falsa, – 1° da una infinità di esempi: si potrebbero citare sia tante occasioni in cui delle piccole armate abbiano vinto contro le grandi, sia citare le grandi armate che siano state battute dalle piccole; – 2° per esperienza si sa che tra due forze uguali, di uguali capacità, di uguale bravura, arrivi sempre il giorno in cui, una delle due armate è battuta, cosa che non potrebbe succedere se la Provvidenza non si mischiasse nelle cose umane; perché forze perfettamente eguali dovrebbe distruggersi mutualmente senza alcun vantaggio né da una parte, né dall’altra; – 3° Quando i grossi battaglioni hanno la meglio sui piccoli, questo è ancora per effetto della Provvidenza che ha dato più forza all’una delle due parti, sia che la causa del più forte fosse più giusta, sia senza che fosse giusta, Dio ha voluto umiliare ancor più coloro che sono già deboli, come accadde agli Israeliti ai tempi di Nabuchodonosor; sia che, in un’occasione, Dio favorisca i più forti per abbatterli poi con maggior clamore (Berthier). – Questi non sono, dice Davide, dice Salomone, non sono né le buone armi, né un buon cavallo, non è né il nostro arco, né la nostra spada, né il nostro coraggio, né il nostro valore, né la nostra destrezza, né la forza delle nostre mani, che ci salvano in un giorno di battaglia, ma la protezione dell’Altissimo (Ps. CXLVI, 10, 11; Prov. XXI, 31). – « Quando avrò preparato il mio cuore, bisogna che Egli diriga i miei passi » (Prov. XVI, 9). Io non sono più potente dei re « … il cui cuore è nelle sue mani, ed Egli le volge dove vuole » (Prov. XXI, 1). Che si renda padone del mio, che mi aiuti con il soccorso che mi fa dire: « Aiutatemi ed io sarò salvato » (Ps. CXVIII, 117); ed ancora: Convertitemi ed io sarò convertito; perché dopo avermi convertito io faccio penitenza e dopo che mi avete toccato, io mi sono colpito il ginocchio » (Gerem. XXII, 18, 19), in segno di compunzione e di rammarico (Bossuet, Mèd. sur l’Ev. 2° P, LXXII° j.).

ff. 18, 19. –  Gli occhi del Signore sono poggiati « su coloro che Lo temono, su quelli che mettono la loro speranza nella sua misericordia »; non nei loro meriti, non nella loro forza, non nel loro coraggio, ma nella sua misericordia (S. Agost.). È questo lo sguardo del Signore, sguardo efficace che procura la salvezza. – Doppio è il beneficio per coloro che sperano nella sua misericordia: Egli li preserva dalla morte o li libera resuscitandoli alla vita, e li nutre in tempo di fame, nel deserto spirituale di questa vita (Dug.). – Egli li nutre ma non li sazia. Il tempo della fame è il tempo attuale, il tempo della sazietà verrà più tardi. Colui che non ci abbandona quando abbiamo fame nella nostra natura corruttibile, ci sazierà in cielo quando saremo divenuti immortali, noi che quaggiù abbiamo fame e sete di giustizia (S. Agost.).

ff. 20-22. – Ma poiché noi abbiamo a soffrire del viaggio, intanto che dura il tempo della fame, e poiché noi attendiamo il soccorso di qualche nutrimento lungo cammino, per paura che le forze non ci manchino, quali condizioni ci si impongono e cosa dobbiamo fare dal canto nostro? « La nostra anima attenderà pazientemente il Signore ». Essa attenderà con sicurezza Colui che promette con misericordia. E che ne sarà se perseveriamo nella nostra pazienza? Non temete niente; noi persevereremo perché Egli è nostro aiuto e nostro protettore. « Egli vi aiuta nel combattimento, vi protegge dal calore, non vi abbandona. E quando avrete sopportato tutto, quando siete stati pazienti in tutto, quando avrete perseverato fino alla fine, cosa avverrà? » – « Il vostro cuore gioirà in Lui » (S. Agost.). – Il Profeta ci ha esortato a soffrire tutto, ci ha riempito di gioia e di speranza, ci ha mostrato quel che noi dobbiamo amare, ci ha detto in cosa solo e su Chi solo noi possiamo riporre la nostra fiducia, e termina con questa breve preghiera: « Che la vostra misericordia, Signore, discenda su di noi ». A quale titolo l’abbiamo meritata? « Secondo quel che abbiamo sperato in Voi ». La speranza in Dio è la misura della sua misericordia (S. Agost.).

SALMI BIBLICI: “BEATI QUORUM REMISSÆ SUNT INIQUITATES” (XXXI)

SALMO 31: “BEATI QUORUM remissæ sunt iniquitates …”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

TOME PREMIER.

PARIS

LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR, RUE DELAMMIE, 13 – 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

[1] Ipsi David intellectus.

    Beati quorum remissæ sunt iniquitates,

et quorum tecta sunt peccata.

[2] Beatus vir cui non imputavit Dominus peccatum, nec est in spiritu ejus dolus.

[3] Quoniam tacui, inveteraverunt ossa mea, dum clamarem tota die. (1)

[4] Quoniam die ac nocte gravata est super me manus tua; conversus sum in aerumna mea, dum configitur spina.

[5] Delictum meum cognitum tibi feci, et injustitiam meam non abscondi. Dixi: Confitebor adversum me injustitiam meam Domino; et tu remisisti impietatem peccati mei.

[6] Pro hac orabit ad te omnis sanctus in tempore opportuno. Verumtamen in diluvio aquarum multarum, ad eum non approximabunt.

[7] Tu es refugium meum a tribulatione quae circumdedit me; exsultatio mea, erue me a circumdantibus me.

[8] Intellectum tibi dabo, et instruam te in via hac qua gradieris; firmabo super te oculos meos.

[9] Nolite fieri sicut equus et mulus, quibus non est intellectus. In camo et freno maxillas eorum constringe, qui non approximant ad te.

[10] Multa flagella peccatoris, sperantem autem in Domino misericordia circumdabit.

[11] Lætamini in Domino et exultate justi, et gloriamini omnes recti corde.

[Vecchio Testamento secondo la Volgata

Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO XXXI

Davide piange il proprio peccato, ed esorta gli nomini a penitenza. Essendo il salmo oscuro, ha per titolo di intelligenza, perché necessario è il dono dello Spirito Santo ad intenderlo. L’intelligenza del proprio peccato Davide l’ebbe dalla grazia divina.

Dello stesso Davide, salmo di intelligenza.

1. Beati coloro ai quali sono state rimesse le iniquità, e i peccati de’ quali sono stati ricoperti.

2. Beato l’uomo, cui Dio non imputò peccato e nello spirito di lui simulazione non è.

3. Perché io mi tacqui, si consumarono le mie ossa mentre io per tutto il giorno alzava le strida.

4. Perché di e notte si aggravò sopra di me la tua mano, mi avvolgeva nella mia miseria, mentre portava fitta la spina.

5. A te il delitto mio feci noto, e non tenni ascosa la mia ingiustizia. Io dissi: Confesserò contro di me stesso al Signore, la mia ingiustizia; e tu mi rimettesti l’empietà del mio peccato.

6. Per questo porgerà preghiere a te ogni uomo santo nel tempo opportuno. Certo che quando inonderanno le grandi acque, a lui non si accosteranno.

7. Tu se’ mio asilo nella tribolazione da cui son circondato; tu, mia letizia, liberami da coloro che mi assediano.

8. Io ti darò intelligenza, e t’insegnerò la via, per cui tu hai da camminare; terrò fissi gli occhi miei sopra di te.

9. Guardatevi dall’esser simile al cavallo e al mulo, i quali son privi del bene dell’intelletto. Stringi col morso e colla briglia le mascelle di coloro che si ritiran da te.

10. Molti i flagelli pei peccatori; ma la misericordia sarà a guardia di colui che spera nel Signore.

11. Nel Signore rallegratevi ed esultate, o giusti, e gloriatevi voi tutti, che siete di retto cuore.

 (1) Queste tre parole, iniquitates, peccata, peccatum, in ebraico phesa, hataa, avon, esprimono il realtà la stessa cosa, cioè il peccato, ma il peccato considerato formalmente sotto un diverso aspetto; il primo significa più particolarmente la defezione, la ribellione, l’offesa di Dio; il secondo, il carattere impresso all’anima, o la privazione della grazia; il terzo, la pena dovuta al peccato. Lo stesso è per le tre parole remittere, traere, non imputare, che significano tutte e tre il perdono dei peccati, ma sotto una visuale differente; il primo significa la remissione gratuita, la seconda l’abbondanza della grazia che li cancella, la terza che Dio tratta il peccatore riconciliato con tenerezza maggiore che se fosse stato sempre innocente.

Sommario analitico

Questo salmo è stato composto da Davide, sulla testimonianza di San Paolo (Rom. IV, 6), verosimilmente quando ebbe riconosciuto il doppio peccato, il suo adulterio con Bethsabea, e l’omocidio di Uria, come confessato davanti a Natan.

I – Il Re-Profeta celebra il beneficio della giustificazione e proclama beati coloro:

1) ai quali sia stata rimessa l’offesa; 2) nei quali la traccia del peccato sia stata cancellata; 3) per i quali la condanna alla pena sia stata distrutta; nell’anima dei quali Dio diffonde la sincerità e la purezza.

II – Occorre conoscere i vantaggi inestimabili della confessione, la quale ci ottiene questo beneficio della giustificazione:

1° Prima della quale: – a) le forze della sua anima si erano come esaurite, – b) la mano di Dio si era appesantita su di lui, – c) i rimorsi lo hanno trafitto con punte acuminate (3, 4).

2° Nella quale occorre vedere con il suo esempio le sei condizioni di una buona confessione: – a) che sia personale, e che abbia come oggetto i propri peccati di colpevolezza; – b) che sia chiara e pulita « cognitum tibi feci »; – c) che sia intera … « ed io non ho nascosto la mia ingiustizia »; – d) che sia premeditata e preparata in anticipo: « io ho detto », – e) che sia una vera accusa « contro di me »; – f) che sia umile, « il mio sopruso al Signore », voi siete il mio sovrano, Signore, io sono il vostro servo.

3° Dopo la quale egli ha ricevuto i tre effetti della buona confessione: – a) la remissione dei peccati che sollecitano gli stessi Santi nel tempo opportuno, cioè durante questa vita; – b) la remissione della pena eterna figurata da questo diluvio di grandi acque (6); – c) la remissione della pena temporale, figurata dalle tribolazioni, etc. (7).

III – Egli insegna come si conserva questo beneficio della giustificazione:

1° Dio gli dice che Egli darà al giusto: – a) l’intelligenza a mo’ di fiamma per rischiararlo: – b) il soccorso esterno della sua Provvidenza per guidarlo; – c) il rafforzamento e la perseveranza nella grazia (8).

2° Gli raccomanda di evitare: – a) le affezioni sregolate nella volontà, – b) l’accecamento dell’intelligenza che lo renderebbe simile ad un animale senza ragione (9). –

3° Egli gli insegna come dovrà reprimere queste affezioni sregolate, con il morso ed il freno della legge divina, della mortificazione, etc. (10).

4° Davide avverte: – a) i peccatori che Dio usa al loro riguardo la severità, moltiplicando le loro punizioni; – b) i giusti, che la misericordia di Dio non cesserà di ricoprirli (10).

5° Egli invita tutti i giusti a rallegrarsi nel Signore, e tutti quelli che hanno un cuore retto, a rendere pubblica la sua gloria con i loro cantici (11).

Spiegazioni e Considerazioni

1. – 1, 2

ff. 1, 2. – Felici non sono coloro nei quali non siano stati trovati peccati, bensì coloro nei quali i peccati siano coperti, nei quali i peccati siano interamente coperti, pienamente nascosti, e di conseguenza non esistono più. Se Dio ha “coperto” dei peccati, non ha voluto notarli; se non ha voluto rimarcarli, non ha voluto usare la sua giustizia contro di essi, non ha voluto punirli, non ha voluto conoscerli, ma ha amato il rimetterli … Ma quando il Profeta parla dei peccati così coperti, cerchiamo di comprendere che questi peccati sussistono ancora e vivono nei peccatori. Perché si dice allora che i peccati sono coperti? È perché essi non sono più trovati (S. Agost.). – Mai un viaggiatore considera con più piacere la calma profonda del mare, se non dopo essere sfuggito ad una furiosa tempesta e scampato ad un naufragio certo; mai un uomo stima la salute se non dopo esser passato attraverso i dolori di una lunga e crudele malattia. Mai anche un Cristiano concepisce meglio la felicità di un’anima riconciliata con il suo Dio, se non dopo il gemere per qualche tempo sotto la servitù del peccato. La prima felicità è quella di non cadere più nel peccato, la seconda di rialzarsi con la penitenza (Duguet).

ff. 2. – Artificio e travestimento sono molto frequenti nella maggior parte di coloro che si credono penitenti: essi sono estremamente addestrati nell’ingannare gli altri, ma incomparabilmente più abili nell’ingannare se stessi, e mai più spesso che pericolosamente nella Penitenza. Che cosa è questo ingannare Dio, camuffandosi agli altri e a se stessi, se non voler ingannare se stessi? (Dug.). – Non cerchiamo scuse ai nostri crimini; non li rigettiamo sulla parte debole che è in noi; confessiamo che la ragione doveva presiedere e dominare i nostri appetiti; non cerchiamo di coprirci; mettiamoci davanti a Dio, Egli ci coprirà forse con la sua bontà così che saremo tra quelli dei quali è scritto: « Felici coloro le cui iniquità sono state rimesse, e i cui peccati sono stati coperti » (Bossuet, Elév. VI j. VIII E.).

II. – 3-7.

ff. 3. – Diversi sono i tipi di silenzio, sia buono, sia cattivo, secondo la Scrittura.

I. – Silenzio buono e lodevole: 1° Un silenzio di obbedienza: « il silenzio sarà frutto della giustizia ». (Isaia XXXII, 17). – 2° Un silenzio di prudenza: « Anche il folle, se tace, passa per saggio » (Prov. XVII, 28). – 3° Un silenzio di pazienza: « È nel silenzio e nella speranza che sarà la vostra forza » (Isaia XXX, 15). – .4° Un silenzio di saggezza: « Suo Padre considerava tutto ciò in silenzio ». (Gen. XXXVII, 11). – 5° Un silenzio di rispetto: « ascoltate in silenzio, e la vostra riservatezza vi acquisterà molta grazia » (Ecclei. XXXII, 9). – 6° Un silenzio di contemplazione: « Egli si siederà in solitudine, e tacerà ». – 7° Un silenzio di condiscendenza: « Io non ho potuto parlare come a degli uomini spirituali » (I Cor. III, 1). –

II. Il silenzio cattivo: 1° Un silenzio con il quale si cessa di lodare Dio: « Maledizione a me a causa del mio silenzio » (Isaia IV, 5). – 2° Un silenzio durante la confessione dei peccati, un silenzio che fa sì che si taccia, quando invece ci si dovrebbe correggere (I Re, III, 13). – 3° Un silenzio riguardo alla preghiera: « Se voi tacete ora, i Giudei saranno liberati in altro modo » (Esther. IV, 14). – 4° Un silenzio di lusinga. «Parla il ricco e tutti tacciono » (Eccli XIII, 23). – 5° Un silenzio di infedeltà: « Silenzio, non si deve ricordare più il nome del Signore » (Amos. VI, 11). – 6° Un silenzio che viene dalla cattiva coscienza « Ed egli tacque » (Matt. XXII, 12). – 7° Il silenzio qui in questione è un silenzio colpevole che impedisce a Davide di confessare il suo duplice crimine di adulterio e di omicidio. – Il peccatore « tace »: l’insensibilità è completa, il silenzio profondo ed universale, nulla in quest’uomo rimescola, nulla parla; la confessione della fede è muta, la preghiera è spenta; il figlio snaturato non ha più una parola da dire a suo padre, non ha più un sorriso da indirizzargli. Tale è lo stato del peccato; è un silenzio interiore, un’immobilità sacrilega … Lo stato del peccato è caratterizzato ancora da un altro segno: lo stato di senescenza e di malattia. Il peccatore è un vecchio languente e decrepito, tutto è distrutto, tutto è impotente, tutto è cancellato; lo sguardo smorto, la volontà si volge a capricci infantili, la memoria si lascia sfuggire tutta la scienza di una lunga vita. Il vecchio, come il peccatore, non è più che una rovina di se stesso, e delle grandezze primitive non ritrova più, se non dei ruderi mutilati (Doublet, Psaumes etc. III, 208). – Sembra che non ci sia contraddizione tra queste parole: « Perché io tacevo, le mie ossa sono invecchiate, mentre io gemevo ». Se gemeva, come faceva a tacere? Egli ha taciuto alcune cose, altre non le ha potuto tacere. Egli ha taciuto quello che poteva dire a suo vantaggio, non ha taciuto quello che ha detto a suo svantaggio. Egli ha taciuto la confessione dei suoi peccati, spinto da uno spirito di presunzione. Egli in effetti ha detto: io ho taciuto; cioè io non ho confessato tutti i miei peccati, occorreva qui che egli parlasse, che egli tacesse i suoi meriti e dicesse con forte grida i suoi peccati. Qui bisognava che egli parlasse, che tacesse i suoi meriti e dicesse con gran strepito i suoi peccati; ma al contrario ha commesso l’errore di tacere i suoi peccati e di proclamare i suoi meriti. Cosa dunque gli è successo? « Le sue ossa sono invecchiate ». Notate che se egli avesse proclamato i suoi peccati e nascosto i suoi meriti, le sue ossa, cioè la sua forza, si sarebbe rinnovata; egli è stato forte nel Signore, perché si è trovato debole in se stesso. Ma ora, poiché ha voluto essere forte in se stesso, è diventato debole e le sue ossa si sono logorate. È rimasto nella sua vecchiaia, perché non ha voluto acquisire una nuova giovinezza con la confessione dei suoi peccati (S. Agost.).

ff. 4. –  Perché nel Vangelo, nostro Signore ci dice che il fariseo viene abbassato? Perché egli si è elevato. Perché il Pubblicano è elevato? Perché egli si è abbassato. Di conseguenza Dio, per abbassare colui che si eleva, appesantisce la sua mano su di lui. Egli ha rifiutato di abbassarsi confessando la sua iniquità, è abbassato sotto il peso della mano divina. Come sopporterà questo peso della mano che si abbassa? Al contrario, quanto leggera è stata la mano che elevava il pubblicano? Questa mano è ugualmente forte verso l’uno e verso l’altro: forte per pesare sull’uno e forte per sollevare l’altro (S. Agost.).- Quando Dio vuole convertire, il più spesso comincia con il colpire … l’anima dapprima si irrigidisce, e resiste « io mi rotolo nel mio dolore, e la mia spina ancor più si conficca ». Quando Dio ha lanciato in un’anima la sua freccia aguzza, quando cioè una misteriosa tristezza la devasta, quando il rimorso la dilania, quando il pungolo di qualche grande prova la mortifica, ella cade in crisi laceranti, si rotola nella sua sofferenza, approfondendo sempre più il tratto da cui è squarciata (Doublet, Psaumes, etc.). – Invano il peccatore rinvia sempre all’indomani l’accusa dei suoi crimini, e vorrebbe dissimulare lo stato deplorevole della sua coscienza; rimorsi cuocenti, come un avvoltoio impietoso, rodono il suo cuore notte e giorno, non permettendogli di gustare il minimo riposo. Coloro che di lui non vedono se non ciò che sembra all’esterno, sarebbero tentati di provare invidia per il suo buonumore; ma egli farebbe pietà a colui che, penetrando fino al fondo del suo cuore, vi avrebbero scoperto queste agitazioni eterne, questi turbamenti, queste inquietudini, questi allarmi che li assalgono nel tempo stesso in cui non sogna che di librarsi verso il piacere e la gioia. Dio permette che sia tormentato dal ricordo di mille cose compiute, perdonate, dimenticate, considerate come irreprensibili dal mondo, chiuse forse nella tomba. All’impotenza di sfuggire a questi ricordi brucianti, se egli comprendesse che la mano piuttosto vigorosa per serrarlo così nella catena dei rimorsi, può solo liberarlo aprendosi egli al perdono, e che avendo creato il supplizio del rimorso, Dio ha dovuto legare le grazie sovrane del perdono, alla libertà di pentirsi e di emendarsi! Ma no, per liberarsi da tanto fastidio e dall’angoscia che la colpa commessa genera in lui, questi li commette nuovamente, e domanda senza sosta una felicità che sa che esse non gli daranno mai; egli fa e rifà incessantemente e sempre, senza altro risultato che un rammarico più struggente, tutto ciò che la legge di Dio ha preso cura di proibire. Egli si volge e si rivolge da ogni lato, ma tutti questi movimenti inquieti non fanno che infiggere sempre più profondamente la punta aguzza della spina che lo penetra; egli ha un bel cambiare luogo ed oggetto, ma non può lasciare se stesso, e porta con sé i suoi nemici domestici, dei quali non può disfarsi: le sue agitazioni, i suoi turbamenti, i suoi allarmi, le sue inquietudini (Massil. & L. Veuill. Rome e Lorette).

ff. 5. – Io ho detto: « Io declamerò, etc. »; egli non dichiara ancora la sua ingiustizia, ma promette che la dichiarerà, e già Dio la rimette. Fate attenzione, questo punto è di grande importanza. Egli ha detto: « Io dichiarerò », non ha detto « Io ho dichiarato e voi mi avete rimesso », bensì : « io dichiarerò e voi mi avete rimesso ». Con questa parola. « io dichiarerò » egli prova che non ha ancora fatto con la bocca questa dichiarazione, ma che essa è fatta già nel suo cuore … ma la confessione non è giunta ancora alle mie labbra perché non ancora avevo detto queste parole: « io dichiaro contro di me »; ma Dio aveva inteso la voce del mio cuore. La mia voce non era ancora sulla mie labbra, ma l’orecchio di Dio era già nel mio cuore (S. Agost.). – Il profeta aggiunge a ragione: « … io declamerò contro di me ». In effetti ci sono molti che dichiarano la loro iniquità, ma contro il Signore stesso. Quando si trovano in peccato dicono: « è Dio che lo ha voluto. In effetti se qualcuno dice che non ha commesso questa azione, o questa azione che voi gli rimproverate non sia un peccato, egli non fa dichiarazioni né contro di lui né contro Dio. Ma se egli dice: « si, io l’ho fatto, è un peccato, ma Dio lo ha voluto, ed io l’ho fatto », Queste è una dichiarazione contro Dio. Forse, mi direte: nessuno parla così. E cosa intendete con « … Dio lo ha voluto »? Io ripeto che molti usano questo linguaggio; ma per coloro che non impiegano precisamente questi termini, ma non dicono altra cosa con queste frasi tipo: era il mio destino, così ha voluto la mia stella? Essi vanno alla larga per accusare Dio, essi che vogliono acchetarsi ma senza prendere il retto cammino. Essi dicono: era il mio destino; … ma che cos’è il destino? Così l’ha voluto la mia stella, … ma quali sono queste stelle? Apparentemente quelle che noi vediamo nel cielo, e chi dunque le ha create? Ma è Dio. E chi ne ha regolato il corso? Ma è Dio! Voi vedete dunque bene ciò che volevo dire: Dio ha fatto in modo che io peccassi. E così Egli è ingiusto e voi giusti; perché se Egli non vi avesse fatto peccare, voi non avreste peccato (S. Agost.). – È certamente vero che non c’è alcun colpevole che non abbia le sue ragioni; i peccatori hanno la capacità di aggiungere all’audacia di scusare il loro peccato, quella di commetterlo; e come se non fosse poca l’iniquità di proseguire in esso, noi continuiamo ancora a difenderlo. Sempre si dichiara o che qualcuno ci ha trascinato, o che qualche incontro imprevisto ci ha coinvolti nostro malgrado; e se non troviamo fuori di noi qualcuno su cui rigettare la nostra colpa, cerchiamo in noi stessi qualcosa che non venga però da noi stessi, il nostro umore, la nostra inclinazione, il nostro naturale. È il linguaggio ordinario di tutti i peccatori, che il Profeta Isaia ci ha espresso con semplicità con queste parole che fa loro dire: « Perché tu avevi nascosto da noi il tuo volto, ci hai messo in balìa della nostra iniquità » (LXIV, 6). – Non è mai una nostra scelta né la nostra depravazione volontaria; è un vento impetuoso che è sopravvenuto, è una forza maggiore, una passione violenta alla quale, quando per lungo tempo ci siamo lasciati dominare, siamo ben disposti a credere che sia invincibile (Bossuet, Serm. Sur l’Efficac. de la Pén. 1° P). – « Se noi confessiamo i nostri peccati, Dio è fedele e giusto per rimetterceli, e per purificarci da ogni iniquità » (Giov. I, 9) – Chi si giudica da sé, anche senza misericordia, troverà misericordia davanti a questo tribunale che giustifica coloro che si accusano. – Occorre confessare la propria ingiustizia contro se stessi senza scusarla, senza sminuirla, senza farla ricadere sugli altri. – Bisogna confessare la propria ingiustizia, non le buone opere, non le cose inutili o indifferenti. – … la propria ingiustizia, non quella degli altri (Dug.). – È questo il fondo di empietà che si trova in ogni peccato. Chiunque voi siate, sotto qualunque cielo abbiate visto il giorno, di qualunque crimine abbiate macchiato la vostra anima, anche se foste tanto infelice da non provare neanche un desiderio di speranza, pieno di rimorsi da non gustare per un istante né il sonno né un attimo di oblio, inginocchiatevi ai piedi di questo tribunale; qui vi si trova un orecchio per ascoltarvi, un potere grande per assolvervi, un cuore buono per amarvi. Non vi si chiederà che nome portiate, o quale grado abbiate nel mondo; abbiate solo un pentimento sincero, sottomettetevi a questa voce che vi dirà di cambiare vita; Dio che sa e che vede, non ve ne chiederà più conto, ed ecco … la pace ritorna, ecco il cielo riconquistato (L. V.).

ff. 6. – E come il perdono accordato ad un grande peccatore, come Davide, o come ogni altro, sarà un motivo per l’uomo buono di pregare, di sollecitare la sua grazia in tempo opportuno? Accade che: 1° l’uomo buono, testimone dello stato infelice in cui era il peccatore prima della giustificazione, chiederà subito di non ricadere nello stesso precipizio; – 2° che questo uomo buono, che sa qual sia la fragilità della nostra natura, e che avrà potuto convincersene sempre più con la caduta dei peccatori, solleciterà la grazia di mantenersi nella giustizia. – 3° questo stesso uomo buono, avendo sempre delle debolezze e dei peccati da rimproverarsi, animerà la sua fiducia vedendo quanto il Signore sia misericordioso verso i grandi peccatori. – 4° Infine l’uomo buono spera di ottenere con le sue preghiere la protezione divina contro il diluvio delle tribolazioni, sia per esserne preservato, sia per avere la forza di sopportarle con gioia (Berthier).

ff. 7. – Èla onsolazione solida di un peccatore penitente il vedere tutti contro di lui, e non avere la gioia e le risorse se non in Dio. Più egli soffre da parte degli uomini, più ha speranza dalla parte di Dio. Egli sente di essere circondato da nemici temibili, e sa che il demonio ha la sua felicità nel perderlo, che questo nemico crudele e potente, trova le sue delizie nella ricaduta di un peccatore penitente che cercherà di ghermire con forza, mettendo in opera tutta la sua rabbia e la sua scaltrezza per farlo ricadere nella rete. Aggiungete le sollecitazioni del mondo che lo circonda e con il quale non riesce a rompere, le sue passioni che sono sì affievolite, ma non sono interamente estinte, che ancora fumano e che possono in ogni istante riprendere le loro forza primitiva, i temibili nemici che lo circondano (Duguet). – « voi siete il mio trionfo, riscattatemi ». Sento un grido di gioia: « Voi siete il mio trionfo »; sento un gemito: « riscattatemi ». Voi gioite e gemete. Sì, egli risponde, io gioisco e gemo; io gioisco nella mia speranza, gemo nello stato in cui mi trovo ancora. « Noi gioiamo nella speranza – dice l’Apostolo (Rom. XII, 11) – e soffriamo nelle tribolazioni ». Perché allora aggiunge: « riscattatemi »? … perché noi attendiamo ancora, gemendo dentro di noi, la redenzione del nostro corpo (Rom. VIII, 23), « perché è nella speranza che siamo stati salvati » (S. Agost.).

III.  8-11.

ff. 8. – Dio qui promette tre cose di cui noi abbiamo bisogno: l’intelligenza per non ingannarci nelle scelte del vero bene; la condotta o la conoscenza della strada in cui dobbiamo marciare; la protezione del Signore, il cui occhio veglia su di noi (Berthier). – La via della vera penitenza è sì difficile da tenere, che non c’è che Gesù Cristo che ci possa istruire e condurci con sicurezza. – « Io fisserò, arresterò i miei sguardo su di voi ». È la Provvidenza paterna di Dio per i peccatori nuovamente convertiti, è una maniera dolce e caritatevole con la quale Dio tratta i suoi nemici riconciliati; Egli non si accontenta di cancellare le loro macchie, né di lavare tutte le loro lordure, ma diviene Egli stesso loro direttore e loro Maestro, ed insegna con la sua bocca il cammino che devono seguire per espiare i loro crimini e fare penitenza; Egli aggiunge alla grazia della conversione, la grazia non meno preziosa della direzione, che ci fa raggiungere il termine felice della via della salvezza.

ff. 9, 10. – Nulla c’è che renda l’uomo più simile alle bestie del peccato, particolarmente quello dell’impurità, che obnubila i sensi e la ragione, abbrutisce l’uomo e lo fa scendere al livello degli animali senza ragione. Colui che ne è schiavo, e che San Paolo chiama: « l’uomo animale », non è più capace di comprendere, di gustare le cose spirituali; egli è tutto sensuale, e diventa così simile al cavallo ed al mulo, che sono privi di ragione (Dug.). – Quale pena sarà inflitta a coloro che vi somigliano? Voi volete non essere che un cavallo e un mulo? La vostra bocca sarà serrata con il morso ed il freno. Dio chiuderà questa bocca con la quale esaltate i vostri meriti, mentre tacete i vostri peccati; Dio metterà come un freno nella bocca per farvi andare ove piace a Lui (S. Agost.). – Le tribolazioni sono diverse dal castigo: le tribolazioni possono essere la parte dei giusti, i castighi sono esclusivamente propri ai peccatori. Il Re-Profeta ci dice in un altro salmo: « grandi tribolazioni sono riservate ai giusti » (Ps. XXXIII, 20), mentre parlando qui dei peccatori, egli dichiara che « numerosi castighi sono la ricompensa dei peccatori ». In effetti essi sono castigati esteriormente ed interiormente, nella vita presente e nella vita futura, per le colpe che essi hanno commesso e per le pene che hanno meritato, da Dio e dagli uomini, dal mondo e dal demonio, per le passioni alle quali si sono assoggettati e che fanno della loro vita una lunga e dura servitù (Innoc.).

ff. 11. – Non soltanto i penitenti, ma anche i giusti, devono gioire nel Signore. La gioia è l’appannaggio dell’innocenza e della virtù. Questa gioia dei giusti non può perdersi e nessuno può loro rapirla, Gesù Cristo ce lo assicura, perché essi la mettono, non nelle cose deperibili, ma nella speranza di possedere Dio eternamente. – La differenza che esiste tra un cuore retto ed un cuore depravato, è che ogni uomo che non attribuisce che alla giusta volontà di Dio ciò che prova contro la sua volontà, afflizioni, dispiaceri, umiliazioni, e che non accusa Dio di non sapere ciò che Egli fa flagellando un uomo e risparmiando quelli che gli sono simili, questi ha un cuore retto. Ma questi al contrario, hanno un cuore pervertito, depravato e deformato: sono coloro che pretendono di soffrire ingiustamente tutti i mali che patiscono, e che accusano di iniquità Colui la cui volontà infligge loro queste pene o che, se non osano accusarlo di iniquità, rifiutano comunque di credere che Egli governi il mondo (S. Agost.).

SALMI BIBLICI: “IN TE DOMINE, SPERAVI… INCLINA” (XXX)

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES 

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

TOME PREMIER.

PARIS

LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR RUE DELAMMIE, 13

1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

SALMO XXX

[1] In finem. Psalmus David, pro extasi.

[2] In te, Domine, speravi; non confundar in aeternum;

in justitia tua libera me.

[3] Inclina ad me aurem tuam; accelera ut eruas me. Esto mihi in Deum protectorem, et in domum refugii, ut salvum me facias:

[4] quoniam fortitudo mea et refugium meum es tu; et propter nomen tuum deduces me et enutries me.

[5] Educes me de laqueo hoc quem absconderunt mihi, quoniam tu es protector meus.

[6] In manus tuas commendo spiritum meum; redemisti me, Domine Deus veritatis.

[7] Odisti observantes vanitates supervacue; ego autem in Domino speravi.

[8] Exsultabo, et laetabor in misericordia tua, quoniam respexisti humilitatem meam; salvasti de necessitatibus animam meam.

[9] Nec conclusisti me in manibus inimici; statuisti in loco spatioso pedes meos.

[10] Miserere mei, Domine, quoniam tribulor; conturbatus est in ira oculus meus, anima mea, et venter meus.

[11] Quoniam defecit in dolore vita mea, et anni mei in gemitibus. Infirmata est in paupertate virtus mea; et ossa mea conturbata sunt.

[12] Super omnes inimicos meos factus sum opprobrium, et vicinis meis valde, et timor notis meis; qui videbant me foras fugerunt a me.

[13] Oblivioni datus sum, tamquam mortuus a corde. Factus sum tamquam vas perditum;

[14] quoniam audivi vituperationem multorum commorantium in circuitu. In eo dum convenirent simul adversum me, accipere animam meam consiliati sunt.

[15] Ego autem in te speravi, Domine; dixi: Deus meus es tu;

[16] in manibus tuis sortes meae: eripe me de manu inimicorum meorum, et a persequentibus me.

[17] Illustra faciem tuam super servum tuum; salvum me fac in misericordia tua.

[18] Domine, non confundar, quoniam invocavi te. Erubescant impii, et deducantur in infernum;

[19] muta fiant labia dolosa, quae loquuntur adversus justum iniquitatem, in superbia, et in abusione.

[20] Quam magna multitudo dulcedinis tuæ, Domine, quam abscondisti timentibus te! Perfecisti eis qui sperant in te, in conspectu filiorum hominum.

[21] Abscondes eos in abscondito faciei tuae, a conturbatione hominum; proteges eos in tabernaculo tuo, a contradictione linguarum.

[22] Benedictus Dominus, quoniam mirificavit misericordiam suam mihi in civitate munita.

[23] Ego autem dixi in excessu mentis meae: Projectus sum a facie oculorum tuorum: ideo exaudisti vocem orationis meae, dum clamarem ad te.

[24] Diligite Dominum, omnes sancti ejus, quoniam veritatem requiret Dominus, et retribuet abundanter facientibus superbiam.

[25] Viriliter agite, et confortetur cor vestrum, omnes qui speratis in Domino.

[Vecchio Testamento secondo la VolgataTradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO XXX

Per la fine, salmo di David per la festa

2. In te ho posta, o Signore, la mia speranza, non resti io confuso giammai; salvami tu che sei giusto.

3. Piega le tue orecchie verso di me; affrettati a liberarmi. Sii tu a me Dio protettore, e casa di asilo per farmi salvo.

4. Imperocché mia fortezza e mio rifugio sei tu; e pel nome tuo sarai mia guida, e mi darai il sostentamento.

5. Mi trarrai fuori da quel laccio, che mi han teso occultamente, perché tu sei mio protettore.

6. Nelle mani tue raccomando il mio spirito; tu mi hai redento, o Signore Dio di verità.

7. Tu hai in odio coloro che, senza prò, vanno dietro alle vanità. Ma io sperai nel Signore;

8. Esulterò, e mi rallegrerò nella tua misericordia. Perocché tu gettasti lo sguardo sopra la mia abbiezione, salvasti dalle angustie l’anima mia.

9. Né mi chiudesti tra le mani dell’inimico; apristi spazioso campo a’ miei piedi.

10. Abbi misericordia di me, o Signore, perché io sono afflitto; per l’indignazione è turbato il mio occhio, il mio spirito e le mie viscere.

11. Perché nel dolore si va consumando la vita mia, e ne’ gemiti gli anni miei.

Si è infiacchita nella miseria la mia fortezza, e le ossa mie sono in tumulto.

12. Presso tutti i miei nemici son divenuto argomento di obbrobrio, e massime pei miei vicini, e argomento di timore pe’ miei familiari. Quelli, che mi vedevano, fuggivan lungi da me;

13. Si scordaron di me in cuor loro, come d’un morto. Fui stimato qual vaso rotto:

14. Perocché io udiva i rimproveri di molti, che mi stavano intorno. Quando si radunarono contro di me, consultarono di por le mani sulla mia vita.

15. Io però in te sperai, o Signore; io dissi: Tu se’ il mio Dio.

16. Nelle mani tue la mia sorte. Strappami dalle mani dei miei nemici, e di coloro che mi perseguitano.

17. Splenda il chiarore della tua faccia sopra il tuo servo: salvami nella tua misericordia.

18. Ch’io non sia confuso, o Signore, perocché ti ho invocato. Sieno svergognati gli empi e condotti all’inferno.

19. Ammutoliscano le labbra ingannatrici; Le quali perversamente parlano contro del giusto per superbia e disprezzo.

20. Quanto è grande, o Signore, la molteplice bontà, che tu ascosa serbi per coloro che ti temono! E la hai tu dimostrata perfettamente, a vista dei figliuoli degli uomini, con quelli che sperano in te.

21. Li nasconderai nel segreto della tua faccia dai turbamenti degli uomini. Li porrai in sicuro nel tuo tabernacolo dalla contraddizione delle lingue.

22. Benedetto il Signore, poiché la sua misericordia mostrò a me mirabilmente nella forte città.

23. Ma nella costernazione dell’animo mio io dissi: Sono stato rigettato dalla vista degli occhi tuoi. Per questo tu esaudisti la mia orazione, mentre io alzava a te le mie grida.

24. Santi del Signore, voi tutti amatelo; perché il Signore sarà fautore della verità, e renderà misura colma a coloro che operano con superbia.

25. Operate virilmente, e si fortifichi il cuor vostro, o voi tutti che nel Signore avete posta speranza.

Sommario analitico

Davide, circondato e oppresso da ogni lato dai suoi nemici, abbandonato dai suoi amici ai tempi della persecuzione di Saul o di Assalonne, è figura che la Chiesa applica – in questo salmo – di Gesù Cristo in croce, così come di ogni Cristiano in preda alle persecuzioni della carne, del mondo e del demonio.

I – Egli prega Dio di venire in suo soccorso nel pericolo estremo in cui si trova, e porta come motivo in appoggio alla sua preghiera:

1° Gli attributi di Dio: a) il suo titolo di sovrano Signore e maestro; b) la sua giustizia (1); c) la sua bontà, facile da comprendere, pronta da eseguire (2); d) la sua onnipotenza per attaccare, così come per proteggere e difendere (3, 4); e) la sua liberalità e la sua paterna provvidenza; f) la sua saggezza preveggente (5); g) la sua fedeltà e la sua verità nell’eseguire le sue promesse (6); h) il suo odio per le osservanze vane e menzognere (7); i) la sua misericordia (8); j) la sua vigilante sollecitudine sui suoi fedeli servitori nel liberarli dalle mani dei loro nemici (9).

2° – La grandezza della sua tribolazione (11): egli è colpito:

a) nei beni dello spirito, tutte le facoltà della sua anima sono nello scompiglio (10);

b) nei beni del corpo, la sua vita scorre nella tristezza ed i gemiti, le sue forze sono esaurite (11);

c) nei beni della fortuna e della reputazione: – 1) i suoi nemici l’insultano a causa dell’estrema miseria nella quale è ridotto; – 2) è un soggetto di timore, anche per i suoi amici che lo hanno messo nell’oblio e cancellato dal loro cuore (12); – 3) è in preda ai rimproveri imperiosi di coloro che lo circondano; – 4) i suoi nemici tengono consiglio per togliergli la vita (13, 14).

II. – Davide chiede a Dio un soccorso particolare in rapporto a ciascuna delle ragioni che adduce ed a ciascuno dei pericoli che egli segnala.

1° Egli prega Dio di aver pietà di lui, come un buon padrone ha pietà del suo servitore, e dichiara ora che ripone tutta la sua affezione, tutta la sua fiducia in Dio come suo Signore, e che non vuole dipendere che da Lui;

2° Manifesta a Dio di essere nella tribolazione, e che i suoi occhi, le facoltà della sua anima, sono nello scompiglio, e chiede allora che Dio diffonda su di sé la luce del suo volto (17);

3° Rappresenta a Dio lo stato di debolezza in cui il suo corpo è ridotto, e chiede a Dio di salvarlo da questo stato per la sua misericordia (18);

4° Si lamenta di essere di essere in preda agli oltraggi calunniosi dei suoi nemici, e chiede a Dio che gli stessi vengano precipitati nell’obbrobrio e ridotti al silenzio (19).

III. – Davide, esaudito e liberato dai suoi nemici, rende grazie a Dio (22):

1° Descrive la felicità di cui Dio lo ha ricolmato, e che Egli riserva a tutti i giusti, a) essa è grande, b) è abbondante, c) è nascosta come una gemma preziosa nel tesoro di Dio, d) è perfetta (20), e) è gloriosa, f) non teme né gli attacchi, né la contraddizione delle lingue, g) è ammirabile (21).

2° Egli indica i gradi attraverso i quali sia giunto a questa felicità, e come tutti gli uomini possano anch’essi pervenirvi, a) si accusa della mancanza di fiducia che ha mostrato all’inizio dei suoi malanni (23); b) riconosce in seguito che Dio l’ha esaudito, perché egli ha sperato in Lui; c) invita tutti gli uomini ad amarlo (24); d) e li esorta a prendere coraggio ed a fortificare il loro cuore in questa speranza, in questo amore (25).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1-14.

ff. 1. –  « C’è una confusione che conduce al peccato, ed una confusione che attira la gloria e la grazia » (Eccli. IV, 25). – Io ho orrore, dice il Re-Profeta, di questa confusione che dura eternamente! Perché c’è una certa confusione passeggera che è utile: è lo scompiglio di un’anima che considera i suoi peccati, che ha orrore di ciò che essa considera, che arrossisce di ciò di cui ha orrore, e che corregge ciò di cui arrossisce. È ciò che fa dire all’Apostolo: « Quale gloria avete tratto dalle cose di cui oggi vi vergognate? » (Rom. VI, 21). – Egli dice dunque che i fedeli arrossiscono, non dei doni che essi ricevono ora, ma dei peccati che hanno commesso altre volte. Ma il Cristiano non tema questa confusione, perché se egli non subisce questa confusione temporanea, subirà quella che dura eternamente (S. Agost.). – « Liberatemi nella vostra giustizia »; perché se non fate attenzione che alla mia giustizia, voi mi condannerete. C’è in Dio una giustizia che diviene la nostra, quando ci viene comunicata; è per questo che è chiamata la giustizia di Dio, perché l’uomo non possa credere di possedere la giustizia da se stesso. Siccome voi non avete trovato in me una giustizia che sia la mia, liberatemi per la vostra stessa giustizia; cioè che io sia liberato per ciò che mi giustifica, per ciò che da empio mi renda pio, per ciò che da ingiusto mi faccia giusto, per ciò che da cieco mi renda chiaroveggente, per ciò che da uomo caduto mi faccia diventare uomo rialzato, per ciò che da uomo condannato alle lacrime mi faccia possedere la gioia più dolce (S. Agost.). – « Inclinate il vostro orecchio su di me ». È ciò che Dio ha fatto, quando ha inviato il Cristo a noi. Egli ha inviato verso di noi Colui che, avendo inclinato la testa, scriveva col dito sulla sabbia, mentre la donna adultera Gli veniva presentata come tale perché Egli la condannasse.

ff. 2. –  « Affrettatevi a liberarmi ». Tutto ciò che ci sembra lungo nel corso del tempo, non è realmente che un punto. Ciò che ha un fine non può essere lungo. Che ne è del tempo trascorso da Adamo fino a noi, e questa durata è certamente più considerevole di quella che ancora ci resta da percorrere. Se Adamo vivesse ancora e morisse oggi, a cosa gli sarebbe servito l’essere esistito tanto tempo, l’aver vissuto per tanto tempo? Perché dunque questa fretta di cui parla il Profeta? Perché i tempi sfuggono! Ciò che ci sembra ritardare, è breve agli occhi di Dio; e colui che prega aveva compreso, nella sua estasi, questa rapidità del tempo (S. Agost.).

ff. 3,4. –  « Siate per me un Dio protettore ». Dio è qui considerato sotto due punti di vista che devono costituire la consolazione dei veri Cristiani. Egli è loro protettore o, secondo il testo ebraico, la loro forza, il loro scudo, la roccia salda sulla quale appoggiare la loro speranza. Egli è loro asilo, il loro rifugio sicuro. Nel combattimento ci vogliono delle armi, un sostegno; dopo il combattimento, un luogo di riposo. – Spesso sono in pericolo e voglio fuggire, ma dove fuggire? Verso quale luogo potrei fuggire per trovarmi in sicurezza? Ovunque io andrò seguirò me stesso. O uomo, tu puoi fuggire tutto ciò che vuoi, eccetto la tua coscienza. Invece di fuggire, ritirati nella tua casa, cerca il riposo nel tuo letto, penetra nel più intimo di te stesso; tu non hai in te un angolo così profondo nel quale scappare dalla tua coscienza, se il rimorso del tuo peccato ti rode. Ma così come ha detto « affrettatevi a liberarmi, e nella vostra giustizia ritraetemi dall’abisso, perdonando i miei peccati e mettendo in me la vostra giustizia », ha detto anche « voi sarete per me una casa di rifugio », perché dove fuggire per sfuggirvi? (Ps. CXXXVIII, 7). – Dunque, ovunque io vada, dovunque vi trovo, vendicatore dei miei peccati se siete irritato; mio protettore se siete placato. Non mi resta quindi che fuggire verso di Voi, e non lontano da Voi. Per sfuggire ad un uomo vostro padrone, se schiavi, voi vi rifugiate in un luogo dove non ci sia il vostro padrone; ma per sfuggire a Dio, rifugiatevi in Dio (S. Agost.). – Il Re-Profeta non tralascia affatto di chiamare Dio sua forza, suo rifugio, suo protettore, titoli che sono in effetti il fondamento della nostra speranza: noi siamo deboli, Dio è la nostra forza, e tutto noi possiamo in Colui che ci fortifica (Filip. IV, 13). – Noi siamo senza appoggio, senza risorse dal lato degli uomini, e Dio è nostro asilo; noi siamo circondati da nemici, e Dio è nostro protettore (Berthier). – « Voi mi nutrirete », affinché io divenga capace di mangiare il pane di cui nutrite gli Angeli; perché il Cristo – che ci ha promesso il nutrimento celeste – ci ha dapprima nutrito con il latte, usando verso di noi una misericordia materna. In effetti, come la madre che allatta fa passare per il proprio corpo il nutrimento che il bambino non è ancora capace di prendere e lo riversa nel latte che beve, così il Signore, per trasformare in latte la sua divina saggezza, è venuto a rivestirci della nostra carne (S. Agost.).

ff. 5, 6. –  Noi dobbiamo lottare contro nemici potenti, contro dei nemici abili, contro nemici pubblici, contro nemici occulti; noi dobbiamo salvaguardarci da insidie esposte e scoperte, e da trappole tese in segreto. Non avremmo alcun mezzo per difenderci da tanti nemici, se Dio non fosse il nostro protettore (Dug.). – « Io pongo il mio spirito nelle vostre mani ». Queste parole sono state consacrate da Gesù Cristo quando era prossimo a spirare sulla croce, cosa che prova che almeno questa parte del salmo Lo riguardi totalmente. Il Salvatore vuol parlare qui della sua anima, prossima a separarsi dal corpo. Egli non poteva che rimettere questa parte di sé nelle mani del Padre, poiché il suo corpo, che pertanto non si chiama spirito, doveva essere rinchiuso nella tomba; e quest’anima di Gesù Cristo doveva sopravvivere al suo corpo poiché Egli la rimette nelle mani del Padre (Berthier). – Sull’esempio di Gesù Cristo, rimettere la nostra anima e la nostra vita tra le mani di Colui che è onnipotente per salvarle, dicendo con i grande Apostolo: « Io so a chi mi sono affidato, e sono sicuro che Egli sia potente per custodire il mio deposito fino al giorno dell’eternità » (II Tim. I, 12). – Nessuna Potenza ci rapirà ciò che abbiamo depositato in queste mani divine. « Io gli do la vita eterna perché essi non periscano giammai, e nessuno le rapirà dalla mia mano ». Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti, e nessuno può strapparle dalle mani di mio Padre (Giov. X, 29). – Colui che ci ha riscattato dandoci il proprio Figlio, potrebbe forse rifiutarci nulla dopo averci fatto questo gran dono? (Rom. VIII, 32). – Egli che è il Dio di verità, il Dio che è la verità stessa, potrebbe mancare nell’essere fedele alle promesse che ci fatto? – O Signore, mi si annuncia la mia morte, ma quando mi si annuncia la vostra, io non temerò più nulla. Si, ora io potrò cantare con il Salmista: « Se cammino in mezzo all’ombra della morte, io non temerò nulla, perché Voi siete con me ». Ah! Dolce ricordo quello della vostra morte che ha cancellato i miei peccati, che mi ha assicurato il vostro Regno! Mio Salvatore, io mi unisco alla vostra agonia; io dico con Dio il mio « In manus! » Mio Dio, io rimetto il mio spirito nelle vostre mani. Signore Gesù, ricevete il mio spirito » (Bossuet, Med. sur l’Ev. LI° jour.).

ff. 7-10. –  « Voi odiate coloro che si attaccano alla vanità ». Ma io che non mi lego alla vanità, io ho messo la mia speranza nel Signore. Voi altri ponete la vostra speranza nel danaro: voi siete attaccati alla vanità; voi mettete la vostra speranza nell’uomo e nell’eccellenza della potenza umana: voi siete attaccati alla vanità; voi riponete la vostra speranza in qualche amico potente: siete attaccati alla vanità. Poiché voi riponete la vostra speranza in queste cose, voi morirete e sarete costretti a lasciare tutto quaggiù; oppure nel corso della vostra vita, esse periranno e voi sarete delusi nelle vostre speranze (S. Agost.). – Il mondo, non soltanto frivolo, ma spesso anche l’empio ed ateo, non ha qualche esteriorità religiosa? No, eccetto in certo regioni del mondo ove ancora si rispettano, si conservano delle convenienze religiose o si conservano delle abitudini, si colora un ateismo pratico con una certa religiosità di parvenza, e di bon ton. Il Salmista ha una parole ammirevole per caratterizzare questa religiosità dei mondani: « Essi hanno delle osservanze, ma vane e superflue ». Essi giocano alla Religione come una cosa qualsiasi (Doublet, Psaunes, etc.). – Queste vanità, sono ancora ogni sagacia, ogni scienza umana, ogni consiglio, ogni soccorso che sia contro Dio e senza il suo concorso, cose vane che non servono a niente. Lo sono ancora certe pratiche esteriori alle quali si è superstiziosamente attaccati, senza andare all’essenziale della legge, che è l’amore di Dio e la pratica dei suoi Comandamenti, osservanze vane e senza frutto, devozioni false e farisaiche alle quali si tiene scrupolosamente, mentre si calpestano i doveri sacrosanti del Cristianesimo. – La speranza unica nella misericordia di Dio, è la devozione più solida e sicura di tutte queste vane osservanze, ed è un soggetto della vera gioia. – Quali sono queste necessità per cui desideriamo che la nostra anima sia salva? Chi potrebbe contarle? Chi potrebbe riunirle in un solo blocco? Chi potrebbe enumerare completamente quelle che bisogna evitare e fuggire? E pertanto è una dura necessità della condizione umana non conoscere il cuore degli altri, diffidare il più spesso di un amico fedele e fidarsi sovente di amici infedeli. O dura necessità! Cosa potete fare per leggere oggi nel cuore del vostro fratello? E necessità ancora più dura, voi non vedere nemmeno ciò che sarà il vostro cuore domani. E che dire delle necessità che ci impone la morte? È una necessità morire, e nessuno lo vuole, nessuno non vede ciò che è necessario; nessuno vede ciò che arriverà, che lo si voglia o no. Dura necessità è il non volere ciò che è inevitabile! … Quali sono ancora queste penose necessità di vincere le bramosie inveterate, le cattive abitudini, consolidate negli anni? Voi vedete che ciò che fate è cattivo, quanto fate dovreste averlo in orrore, quanto ne soffrite, e nonostante questo, voi lo fate, l’avete fatto ieri, lo rifarete oggi. Se ne avete una tale avversione quando vi parlo, quale avversione non ne avrete quando vi riflettete? E ciò nonostante, voi lo farete. Quale forza vi costringe, quale potenza vi cattura? Non è quella legge delle membra che è in lotta con la legge dello spirito? gridate dunque: « Maledetto uomo qual sono! Chi mi libererà da un corpo sottomesso ad una tale morte? La grazia di Dio, per Gesù Cristo nostro Signore » (S. Agost.). – Questo passaggio continuo dalla gioia della liberazione, al timore di un nuovo pericolo, da un’azione di grazia ad una supplica, è un’immagine della vita cristiana. Tutti coloro che desiderano seriamente la loro salvezza, che si osservano, che si raccolgono, che lottano incessantemente contro le loro passioni e che a volte resistono, a volte soccombono, che sentono i loro piedi vacillare, poi si stabilizzano, la loro carità raffreddarsi, la loro pazienza perdersi, la pace interiore turbarsi, provano questa eterna alternanza di gioia e di dolore religioso. E come le anime così attente a se stesse si interessano necessariamente alla Chiesa, come esse si associano ai suoi beni e ai suoi mali, alle sue sofferenze ed ai suoi trionfi, esse trovano nei Salmi ciò che conviene così bene all’espressione dei propri sentimenti, una sorgente inesauribile di ferventi preghiere e di canti di gioia per la santa società di cui essi sono membra fedeli (A. Rendu). – I partigiani del mondo non possono sottomettersi alla legge di Dio, alle massime del Vangelo, perché esse provocano in essi un certo fastidio che va loro troppo stretto; essi vogliono vivere in modo più largo: illusione, accecamento deplorevole; è questa una verità di esperienza e pertanto poco compresa, ancor meno gustata, che i servitori di Dio sono i soli che siano veramente nel largo, mentre gli schiavi del mondo sono strettamente rinchiusi sotto la tirannia del demonio e delle loro passioni.

ff. 10-14. –  Tutte le tempeste del dolore più estremo sono espresse in questi versetti. Il Profeta non ne omette alcuna, persuaso che non si sarebbero trovate in tutti i tempi, delle anime così afflitte come la sua; ma, in capo a questa descrizione, c’è il ricorso a Dio, l’unico consolatore dei grandi dolori, il solo medico delle malattie disperate (Berthier). – Trattasi qui di una collera santa, che nasce non dall’impazienza, ma dall’amore per la giustizia, collera molto più vantaggiosa della compiacenza di colui che lusinga il peccatore e lo conferma nel suo peccato. – Per ogni uomo che viene in questo mondo, i giorni sono brevi e cattivi come per il patriarca Giacobbe; la vita si consuma nel dolore e gli anni nei gemiti. Le speranze della vita appassiscono, le speranze si scolorano e cadono come le foglie d’autunno; il cuore è un abisso in cui ogni giorno c’è posto per un nuovo gemito. Man mano che si avanza sul sentiero dell’esistenza, e che si consumano gli anni, il sole sembra diventare più ardente, il cielo più in fiamme … chissà cosa ci riserva l’avvenire? Ognuno degli anni che ci restano da vivere porterà forse un nuovo corollario a questa parola del Patriarca dell’Idumea (Giob. VII). – « La vita dell’uomo è un combattimento sulla terra, ed i suoi giorni sono come quelli di un mercenario; così come il mercenario, egli attende la fine della sua opera » (Mgr. Landriot, Prière chrét. 2° Part.). – Da questo momento di tristezza alla vista degli anni che passano, da questa figura del mondo che svanisce, si passa agli anni eterni che non passano. Ogni anno quaggiù non ha che un certo numero di giorni, ogni anno non ha che un determinato numero di ore, non c’è alcun evento che possa impedire al domani di arrivare. Uno di questi domani sarà il giorno della morte. Non c’è alcun tiranno che possa impedirci di morire. Ecco una bella massima di Santa Teresa: « … che nulla ti inquieti, nulla ti spaventi, tutto passa: ma Dio non passerà mai ». Felice la vita che si consuma nel dolore profondo per aver offeso Dio! Felici le lacrime che un vero spirito di compunzione fa scorrere dagli occhi e che sono come il sangue di un cuore ferito! Dolci e gradevoli gemiti che vengono dal sentimento della profondità delle piaghe nelle quali l’anima è colpita per la perdita di Dio (Duguet). – Nuove prove sono aggiunte alle prime, la povertà, lo svanire della salute e delle forze, la perdita della reputazione e degli amici, l’oblio da parte di persone che ci erano care, i rimproveri, le ingiurie, gli odi, i complotti. – Essere un obbrobrio a causa di Dio è mezzo infallibile per essere onorato presso Dio. I vicini, gli amici apparenti, coloro dai quali si è conosciuti, spesso i più ardenti ed i più ingiusti persecutori; quasi non c’è vita di un santo che non venga a confermare questa verità. – Nella prosperità, mille manifestazioni di servigi, di devozione. Se si viene a cadere in qualche disgrazia, tutti coloro che in precedenza erano conosciuti, non vi conoscono più: si diviene per essi soggetto di orrore. – Ci si deve ricordare che non si è mai più felici di quando si sia più abbandonati dalle creature, di quando si sia nella felice necessità di ricorrere al Creatore (Duguet).

ff. 13. –  Ci sono dei buoni cuori, delle belle anime che sembravano avervi atteso per amarvi; della loro frequentazione si era fatta un’abitudine, essi riscuotevano ogni vostra fiducia, si pensava si potesse sempre contare su di loro … non le si vedrà più … Inizialmente ci si consola con il pensiero che i legami così preziosi non saranno mai interrotti, anche se rilassati, ma questa povera consolazione dura poco! Pian piano si formano altre amicizie, si fa tra le due parti un oblio, si finisce per perdere quasi ogni ricordo di coloro che si erano tanto amati; essi finiscono per perdere ogni ricordo di voi; è proprio una morte, ed il cuore è una terra che consuma tutti i suoi morti (L. Veuillot, Rome et Lorete, II, 13.). – Si pensi allora a Gesù Cristo, a questo divino solitario dei nostri tabernacoli. La moltitudine passa indifferente e sprezzante davanti all’unico monumento che onora una ospite divino. Talvolta la curiosità varca i gradini del tempio; essa ha sguardi per ciò che gli uomini hanno messo con le loro ricchezze e le loro arti nell’edificio; ma essa non ne ha per ciò che Dio stesso ha messo di Se stesso nei tabernacoli. Gesù Cristo può ben dire che Egli è questo morto spirituale di cui parla il Re-profeta, così assente dal pensiero che i morti che la tomba ha ricevuto e che hanno perso, con il loro posto nella città, il loro posto nei nostri cuori (id.).

ff. 14. –  È questa l’immagine viva di ciò che è avvenuto alla morte del Figlio di Dio trattato come un vaso frantumato e distrutto, come l’ultimo degli uomini, caricato da obbrobriose ingiurie, dagli oltraggi di tutti coloro che Lo circondavano, che Lo consideravano un uomo perso e senza risorse, e Lo rimproveravano che ben lungi dall’essere il Salvatore degli altri, Egli non poteva salvare neppure se stesso. – Quanti Cristiani vivono attorno a Lui nella Chiesa, e con la loro vita totalmente opposta alla sua, Gli fanno oltraggi molto più cruenti di quelli sofferti sulla croce, rimproverandogli l’umiliazione della sua vita con l’orgoglio della loro vita, il fasto e l’ostentazione della loro condotta (Duguet).

II. — 15 – 19.

ff. 15-19. –  Colui che può dire a Dio con verità:  « Voi siete il mio Dio », cioè: io amo Lui solo, è incrollabile ed invincibile contro tutti i nemici visibili ed invisibili? – Per sorte, il Profeta intende – per quanto io possa credere – la grazia per mezzo della quale noi siamo salvati. Perché chi è che chiama la grazia di Dio col nome di sorte? Perché la sorte non suppone delle scelte, ma la volontà di Dio; perché là dove si dice: questo fa, quest’altro non fa tale cosa, si considerano i meriti di ciascuno, e laddove si considerano i meriti, non c’è più sorte. Ma Dio, non avendo trovato in noi alcun merito, ci ha salvati con la sorte della sua volontà, perché Egli lo ha voluto, e non perché noi l’abbiamo meritato (S. Agost.). – Il nostro destino è nelle mani di Dio. Ciò che noi siamo e ciò che deve succederci non dipende che da Dio. Tutte le creature insieme non cambieranno la benché minima circostanza; esse non abbrevieranno di un solo giorno la nostra vita; esse non ci faranno perdere un capello della nostra testa; tutti i loro sforzi non porteranno che a far giungere al successo ciò che esse vogliono impedire. « La nostra sorte è nelle mani di Dio ». Se noi pecchiamo, noi siamo nella sua mano come i suoi nemici; se noi non pecchiamo, noi siamo nella sua mano come suoi amici. Nulla può strapparci da questa mano sovrana, onnipotente per salvarci o perdere. – La sorte della nostra eternità è nelle mani di Dio, consolazione degli umili, soggetto di inquietudine e spavento per i superbi. Noi vogliamo, noi facciamo, ma « è Dio che opera in noi il volere ed il fare ». – Doppio errore egualmente pericoloso è il credere che la nostra salvezza dipenda da noi, o che dipenda talmente da Dio che noi non abbiamo nulla da fare (Dug.). – Ciò che deve fare il colmo della nostra gioia è poter dire, come Davide: nelle vostre mani è il mio destino, non solo la mia fortuna temporale, ma la mia eternità. Quando sarà in mio potere mettere la mia sorte altrove, ove potrò io riporla più sicuramente se non tra le mani di Dio, che è nello stesso tempo buono, potente e fedele? Se essa restasse nelle mie mani, ove sarei io? Ed io così leggero, fragile come sono, su chi potrei contare, ove sarebbe la mia fiducia ed il mio appoggio? Quale pensiero più dolce è per un Cristiano considerare Dio come il guardiano ed il depositario della mia salvezza? (Bourdal. Prédestin.).

ff. 17. –  Colui che geme per essere in mezzo a cattivi Cristiani grida come il Profeta: « fate splendere la luce del vostro volto sul vostro servo »; perché si potrebbe credere che ci sia qualche confusione nella Chiesa, ove tutti, di condotta buona o cattiva, portano il nome di Cristiani; ove tutti sono marcati con lo stesso carattere, ove tutti si avvicinano allo stesso altare, ove tutti sono lavati nello stesso Battesimo, ove tutti pronunciano la stessa Orazione domenicale, ove tutti assistono alla celebrazione degli stessi misteri. Come dunque, questi che gemono, saranno distinti da coloro sui quali essi gemono, se il Signore non fa splendere sui suoi servi la luce del suo volto? Cosa vuole allora dire il Profeta? « … che si veda chiaramente che io vi appartenga »; e che il Cristiano empio non possa dire che vi appartenga ugualmente, in modo tale che io vi abbia fatto inutilmente questa preghiera in un altro salmo (Salmo XLII, 1): « giudicatemi o mio Dio, e discernete la mia causa da quella di un popolo empio » (S. Agost.).

ff. 18 –  « Che io non sia confuso, perché vi ho invocato ». Voi volete che colui che vi abbia invocato sia confuso? Volete che gli sia detto « dov’è Colui in cui tanto ha sperato »? Ma pure, chi è tra gli empi colui che non invoca Dio? Se dunque il Profeta dicesse: « Io vi ho invocato », nel modo a lui proprio, egli non oserebbe in alcun modo reclamare per questa invocazione una così grande ricompensa. Dio gli risponderebbe: cosa domandate per non essere confuso? E per quale ragione? Perché mi avete invocato? Ma tutti i giorni gli uomini non mi invocano per essere appagati da bramosie adulterine? Tutti i giorni gli uomini non mi invocano per coloro dai quali attendono l’eredità, una volta morti? Tutti i giorni gli uomini che meditano le frodi non mi invocano perché abbiano pieno successo? Cosa hai tu dunque da esigere da me così grande ricompensa per dirmi: « … che non sia confuso, perché io vi ho invocato? » Si, questi uomini vi invocano in verità, ma non siete Voi che essi invocano. Voi invocate Dio quando chiamate Dio in voi: invocarlo è chiamarlo in voi, invitarlo in qualche modo ad entrare nella casa del vostro cuore. Ora voi osereste invitare un padre di famiglia tanto considerevole, se non gli preparereste una dimora? Cosa accadrebbe in effetti se Dio vi dicesse: ecco che mi voi mi avete chiamato presso di voi, Io vengo, ma dove entrerò? Dovrò sopportare le sozzure abominevoli della vostra coscienza? Se voi invitate uno dei miei servitori nella vostra casa, non comincereste con il pulirla? Voi mi chiamate nel vostro cuore, ma esso è pieno di rapine. Il luogo ove il vostro Dio è chiamato dalle vostre invocazioni è pieno di bestemmie, pieno di adulteri, pieno di frodi, pieno di cupidigie colpevoli, e voi mi invocate! (S. Agost.).

ff. 19. –  Questo giusto è il Cristo. Molte bocche tramano contro di Lui, con orgoglio e disprezzo … il linguaggio dell’iniquità. Perché con orgoglio e disprezzo? Perché sembrava spregevole agli orgogliosi quando Egli venne sulle terra con tanta umiltà. Voi non volete che sia disprezzato da coloro che amano gli onori, Egli che ha sopportato tanti oltraggi? Voi non volete che Egli sia disprezzato da coloro che reputano questa vita un bene prezioso, Egli che ha sofferto la morte? Voi non volete che sia disprezzato da coloro che considerano come una condanna vergognosa il supplizio della croce, Egli che è stato crocifisso? Voi non volete che Egli sia disprezzato dai ricchi, Egli che ha sopportato in questo mondo una vita povera, benché fosse il Creatore del mondo? Tutte quelle cose che amano gli uomini, il Cristo non ha voluto averle, non che non fosse in suo potere il possederle, ma al fine di mostrare, non possedendole, che esse sono da disprezzare; ed anche da disprezzare da tutti coloro che amano queste cose; ed ogni servo di Gesù Cristo che voglia seguire le sue orme e camminare egli stesso nella strada dell’umiltà ove sa che ha camminato il suo Maestro è disprezzato in Gesù Cristo, come membro di Gesù Cristo … ora quando queste labbra diventeranno mute … in questo secolo? Mai! Tutti i giorni esse gridano contro i Cristiani, e soprattutto contro gli umili. Tutti i giorni esse lo bestemmiano. Tutti i giorni esse latrano, aumentano con il loro linguaggio, la sete vendicativa che le attende nell’inferno, ove esse imploreranno una goccia di acqua senza poterla ottenere. Così dunque, le labbra ingannatrici non diventeranno mute ora, ma quando dunque? Quando le loro iniquità si leveranno contro di esse e le condanneranno … ora esse ci dicono: dov’è il vostro Dio? Cosa adorate voi? Cosa vedete? Voi credete e prendete pena: la vostra pena è certa, l’oggetto della vostra speranza incerta. Quando sarà venuto ciò che noi speriamo con certezza, allora le labbra ingannatrici diverranno mute (S. Agost.).

III. — 20-22.

ff. 20, 21. –  Nell’ignoranza sono i peccatori e gli uomini del mondo delle dolcezze celesti, delle quali invece i giusti gioiscono nel fondo dell’anima. – Se essi ci dicono: dov’è l’abbondanza di questa dolcezza, noi risponderemo loro: come vi farò gustare l’abbondanza di questa dolcezza, a voi cui la febbre dell’iniquità ha distrutto il palato? Se voi non conoscete il miele, non potrete compiacervi del suo gusto gradevole, a meno di averlo gustato. Se voi non avete il palato del cuore per gustare di questi beni, cosa posso fare? Come mostrarvi ciò che voi mi chiedete? Voi non siete un uomo al quale io possa dire: « gustate e vedete come è dolce il Signore » (Sal. XXXIII, 18) (S. Agost.). – « Oh quale abbondanza di dolcezza Voi avete riservato a coloro che vi temono! Esse sono dunque per coloro che vi amano, per coloro che vi servono con tutto il loro cuore? Sono veramente ineffabili, le delizie di cui inondate coloro che vi amano, quando la loro anima vi contempla (Imit. De J.-C. III, 10). – Due sono gli stati degli uomini del bene: uno è quello della solitudine e del silenzio, ove sono penetrati con il timore filiale del Signore; l’altro è quello del combattimento e della persecuzione, dove essi mettono solo in Dio la loro fiducia. Nel primo stato Dio li colma in segreto di una grande dolcezza, e nel secondo, Egli manifesta agli occhi degli uomini la protezione che accorda loro (Berthier).

ff. 21. –  Il Profeta non ha detto: Voi li accoglierete nel vostro cielo; non ha detto: Voi li accoglierete nel Paradiso: egli non ha detto: Voi li nasconderete nel seno di Abramo … Tutto ciò che è fuori di Dio ci sembra poca cosa. Colui che ci protegge nel luogo ove passiamo questa vita, sia Egli stesso, dopo questa vita, il luogo della nostra dimora … Noi saremo dunque nascosti nel volto di Dio. Ma aspettate che vi segnali quale segreto profondo si trovi in questo volto divino. Purificate il vostro cuore, affinché Dio vi rischiari, e Colui che invocate entri in voi. Siate sua casa, ed Egli sarà vostra casa; che abiti in voi, e voi abiterete in Lui. Se durante questa vita voi Lo riceverete nel vostro cuore, dopo questa vita, Egli vi riceverà nel suo volto (S. Agost.).- « Voi li proteggerete nella vostra tenda contro le contraddizioni delle lingue ». Un giorni Voi li nasconderete nel segreto del vostro volto, per salvarli dagli sconvolgimenti che vengono dagli uomini, affinché essi siano oramai completamente al riparo delle afflizioni umane; ma nell’attesa, mentre sono nel loro viaggio in questo mondo e, come coloro che vi servono, devono soffrire numerose contraddizioni, cosa farete per loro? « Voi li proteggerete nella vostra tenda ». Qual è questa tenda? La Chiesa di questo mondo è chiamata con il nome di tenda, perché essa viaggia ancora su questa terra (S. Agost.). – Per le anime privilegiate che Dio chiama alla vita religiosa, questo tabernacolo, questa tenda, sono questi ritiri solitari, tanto lontani dalle voce del secolo e separate da ogni commercio col mondo, in cui queste anime sante, nascoste nel segreto del volto di Dio, sono al coperto dalle turbe e dalla corruzione del mondo, vivendo nel silenzio, nella meditazione delle verità eterne, ed imitano lo stato dei Santi in cielo. – Se il volto di Dio è un rifugio tanto sicuro in questa vita, in cui « noi lo vediamo come in uno specchio e in enigma », che sarà quando vedremo Dio faccia a faccia? (S. Agost.).

ff. 22, 23. –  Dio fa cadere la sua misericordia suo suoi servi, ponendoli in luoghi talmente sicuri che non hanno da temere gli attacchi dei loro nemici. – Ci si metta in guardia contro un eccessivo timore, contro un sentimento di scoraggiamento che spesso si fa strada anche nelle anime più solidamente virtuose, quando, vedendosi come oppressi dalla violenza delle tentazioni e delle prove, in pericolo di soccombere, esse credono e dicono, nel trasporto del loro spirito, di essere rigettate lontano dagli occhi di Dio. – Si ricorre allora a Dio con una preghiera più fervente.

ff. 24. –  « Santi del Signore, amatelo tutti »; cioè amate il Signore, voi che non amate il mondo, « voi tutti che siete i suoi santi »; perché è forse a colui che ama ancora i piaceri del teatro, che io dico di amare Dio? È a colui che ama ancora gli eccessi della tavola, o a colui che ama ancora le pompe del secolo, le sue vanità e le sue follie menzognere, che io dico di amare Dio? A questi io dico: imparate a non più amare, per imparare ad amare; distoglietevi dal male per ritornare al bene; svuotatevi per essere riempiti (S. Agost.). – « Perché il Signore cercherà la verità ». Egli saprà ben discernere tra le proteste d’amore, che sono solo sulle nostre labbra, ed il vero amore che lo preferisce a tutto, cercando unicamente la sua gloria. Il Signore, che cerca la verità, punirà necessariamente i superbi secondo la grandezza del loro orgoglio. Ma, voi direte, quando li punirà? Quando Egli vorrà! Siate certi che Dio li punirà; non dubitate del castigo, ma non abbiate l’audacia di dare consigli a Dio sull’ora della sua giustizia. Alcuni saranno puniti quaggiù, noi l’abbiamo visto ed imparato … anche se in effetti non appare così allo sguardo di taluni, e la sua divina provvidenza sembrerebbe in qualche modo che non vegli sul mondo; se Egli agisse così con tutti, la sua divina pazienza sembrerebbe essere esausta … « Santi del Signore, amatelo tutti, perché Egli ricercherà la verità, e punirà i superbi secondo la grandezza del loro orgoglio ». Oh! Se li punisse subito, … io li vorrei vedere ora umiliati ed abbattuti. Ascoltate ciò che segue: « agite con coraggio ». Badate, nelle tribolazioni, di lasciar cadere le vostre mani stanche, che le vostre ginocchia non vacillino; che il vostro cuore si rinsaldi per sopportare tutte le miserie di questo mondo. Ma chi sono coloro ai quali il Profeta ha detto: « agite con coraggio e che il vostro cuore sia saldo »? A coloro che amano il mondo? No! « … voi tutti, egli dice, che ponete la vostra speranza nel Signore ». (S. Agost.).

SALMI BIBLICI: “EXALTABO TE, DOMINE, QUONIAM SUSCEPISTI ME” (XXIX)

SALMO 29: “Exaltabo te, Domine, quoniam suscepisti me…”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

TOME PREMIER.

PARIS

LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR – RUE DELAMMIE, 13

1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

SALMO XXIX

Psalmus canti, in dedicatione domus David.

[1] Exaltabo te, Domine, quoniam suscepisti me,

nec delectasti inimicos meos super me.

[2] Domine Deus meus, clamavi ad te, et sanasti me.

[3] Domine, eduxisti ab inferno animam meam; salvasti me a descendentibus in lacum.

[4] Psallite Domino, sancti ejus; et confitemini memoriæ sanctitatis ejus.

[5] Quoniam ira in indignatione ejus, et vita in voluntate ejus.

[6] Ad vesperum demorabitur fletus, et ad matutinum laetitia.

[7] Ego autem dixi in abundantia mea: Non movebor in æternum.

[8] Domine, in voluntate tua præstitisti decori meo virtutem.

[9] Avertisti faciem tuam a me, et factus sum conturbatus.

[10] Ad te, Domine, clamabo, et ad Deum meum deprecabor.

[11] Quæ utilitas in sanguine meo, dum descendo in corruptionem?

[12] Numquid confitebitur tibi pulvis, aut annuntiabit veritatem tuam?

[13] Audivit Dominus, et misertus est mei; Dominus factus est adjutor meus.

[14] Convertisti planctum meum in gaudium mihi; conscidisti saccum meum, et circumdedisti me lætitia;

[15] ut cantet tibi gloria mea, et non compungar. Domine Deus meus, in æternum confitebor tibi.

[Vecchio Testamento secondo la VolgataTradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO XXIX

Salmo, cantato a suon di musici istrumenti, nel giorno che Davide, terminata la casa reale, edificata in Sion, la dedicò. Conobbe allora Davide che il suo regno era stabilito, e con l’inno ne dà a Dio ringraziamento.

Salmo del cantico di Davidde nella consacrazione della casa.

1. Io ti glorificherò, o Signore, perché tu mi hai protetto, e non hai rallegrati del mio danno i miei nemici!

2. Signore Dio mio, io alzai a te le mie grida, e tu mi sanasti.

3. Signore, tu traesti fuor dall’inferno l’anima mia; mi salvasti dal consorzio di quelli che scendono nella fossa.

4. Santi del Signore, cantate inni a Lui, e celebrate la memoria di Lui, che è santo.

5. Perché egli nella sua adeguazione flagella, e col suo favore dà vita.

6. La sera saravvi il pianto, e al mattino allegrezza.

7. Ma io, nella mia abbondanza, avea detto: Non sarò soggetto a mutazione giammai.

8. Signore, col tuo favore tu avevi dato stabilità alle prosperevoli cose mie;

9. Rivolgesti da me la tua faccia, ed io fui nella costernazione.

10. A te, o Signore, alzerò io le mie grida e al mio Dio presenterò la mia orazione.

11. Qual vantaggio del sangue mio, quando cadrò nella corruzione?

12. Forse la polvere canterà le tue Iodi, od annunzierà la tua verità?

13. Il Signore mi udì, ed ebbe pietà di il Signore si fece mio aiuto.

14. Cangiasti per me in gaudio i miei tormenti; facesti in pezzi il mio sacco, e mi inondasti di allegrezza;

15. Affinché tua laude sia la mia gloria, io non sia più trafitto: Signore Dio mio, a te canterò in eterno.

Sommario analitico

Dopo il censimento ordinato da Davide, Dio, per punirlo, fece perire in tre giorni di peste 70.000 uomini, per mano dell’Angelo sterminatore, che si vide in seguito sul territorio di Oman, situato sul monte Moria, rimettere la sua spada nel fodero. Davide vi eresse un altare e dedicò quest’area che fu destinata a diventare sostituta del tempio (II Re, XXIV, I Par. XXIV). È a questo fatto storico che fa allusione il titolo. Davide rende grazie a Dio della cessazione di questa grande sventura. In senso figurato è la voce di Gesù Cristo che, riposando in pace nella tomba, visitando poi il limbo ne esce vincitore per riprendere una vita che non aveva lasciato se non perché lo aveva voluto; è la voce pure di ogni anima giusta che si rinnova e si consacra a Dio con la fede, la speranza, la carità e le altre virtù cristiane.

I – Davide rende grazie a Dio:

1°per il fatto di avergli teso la mano in mezzo ai suoi pericoli;

2° per averlo vendicato presso i suoi nemici (1);

3° per averlo come richiamato dalla tomba: a) guarendo il suo corpo da una malattia potenzialmente essere mortale; b) richiamando la sua anima prossima a separarsi dal corpo (3).

II. – Egli invita tutti gli uomini a lodare Dio in mezzo a questa alternanza di tristezza e di gioia, di dolori e di consolazioni, di cui si compone la vita umana e in mezzo alla quale è passato egli stesso: (4).

1) Egli da la ragione di questo invito, che è cioè la sovrana saggezza di Dio in questa distribuzione di tristezze e di gioie che si rincorrono nella vita a brevi intervalli (5, 6); 2) E dichiara di averne fatto egli stesso l’esperienza, facendoci conoscere quali siano stati i suoi pensieri, i suoi sentimenti, e ciò che abbia fatto nella desolazione:

a) nella consolazione, egli immaginava che sarebbe durata sempre, ma ha visto che è stato ingannato ed ha riconosciuto che questo dipendeva interamente dalla volontà di Dio, e che allontanandosi Dio dal suo volto, aveva perso la sua felicità, la sua pace interiore (7-9);

b) nella desolazione, – 1) egli ha fatto ricorso a Dio, sia con la bocca che con il cuore (10); – 2) ha fatto presente che se fosse stato colpito dalla morte, né la sua vita, né la sua morte si sarebbero volte a sua gloria (11); – 3) Dio l’ha esaudito nella sua misericordia (13); – 4) l’effetto della sua guarigione è stato quello di sostituire nel suo cuore la gioia al dolore, di far sparire tutti i segni della tristezza (14); – 5) la fine della sua guarigione è stata la gloria di Dio, la sua perfetta felicità e la sua perseveranza nell’amore di Dio (15).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1 – 3.

ff. 1. –  « Io vi esalterò Signore, perché mi avete risollevato ». Ci sono diverse maniere di esaltare Dio: si può esaltare con la conoscenza e con l’intelligenza, si esalta ancora proclamando la magnificenza delle sue opere, come dice Davide (Ps. CXLIX, 6)parlando dei giusti: « Le lodi di Dio sono sulla loro bocca » (S. Basilio in Ps. CV.). – Ma come è possibile che Colui che abita nelle altitudini dei cieli possa essere esaltato da coloro che sono così in basso sulla terra? Nel pensiero del Re-Profeta, Dio è esaltato da coloro che hanno di Lui degli alti e degni pensieri, e che compiono tutte le loro azioni per la sua gloria. Colui dunque che si propone di camminare nelle vie della beatitudine esalta Dio; ma colui che segue una via contraria, cosa orribile a dirsi, deprime tanto ciò che è in lui, e abbassa Dio stesso. – Da dove viene questa facoltà di esaltare Dio? Il Salmista risponde: « Perché mi avete risollevato », e mi avete reso superiore a coloro che si levano contro di me. Mi avete risollevato in tutto come colui che sostiene al di sopra delle acque un bambino che non sappia ancora nuotare, o come colui che, vedendo un uomo debole sul punto di soccombere sotto gli sforzi dell’avversario, gli presta man forte e gli assicura la vittoria (S. Basilio). – La morte ha avuto tanto potere sul corpo divino del Salvatore da lasciarlo sulla terra steso senza movimento e senza vita; ma non ha potuto corromperlo, non ha avuto la gioia di tenerlo tra i suoi lacci, e nella tomba di Gesù Cristo, come in un baluardo invincibile, si sono infranti tutti i suoi sforzi. (Bossuet, I Serm. Paq.). – Sono questi i sentimenti di un’anima riconciliata con il suo Dio, dopo aver per lungo tempo rantolato sotto la servitù del peccato. – Il demonio, il vero nemico della nostra anima, non essendo capace che di questa gioia malefica che prova un malvagio nell’avere dei complici, ed avendo uno spirito malvagio verso i compagni della sua miseria, cospira con i suoi angeli di perdere tutto con essi, di coinvolgere, potendolo, tutto il mondo nei loro crimini (Bossuet, Serm. sur les Dem.). – Tutto il suo oggetto, la gioia per lui più grande, è incatenarci e gettarci in una prigione attraverso l’inclinazione che abbiamo al male, di chiuderci la dentro con l’abitudine, e di murarne la porta su di noi per non lasciarci più alcuna via d’uscita (S. Agost.). – « Signore, mio Dio », Dio non è il Dio di tutti, ma il Dio di coloro che Gli sono uniti per mezzo della carità. Egli è il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe. Se Egli fosse il Dio di tutti, allo stesso titolo, Egli non presenterebbe come un privilegio particolare a questi Patriarchi l’essere propriamente il loro Dio … « Io ho gridato verso di Voi e Voi mi avete guarito ». Alcun intervallo è trascorso tra la mia preghiera e la vostra grazia; nel momento in cui ho gridato, sono stato guarito! (S. Basilio). – Felice l’anima che conoscendo e sentendo la profondità delle sue piaghe, può accostarsi al Medico sovrano e dirgli: Salvatore Gesù, vero medico caritatevole, che senza essere chiamato da nessuno, avete voluto scendere solo Voi potete darmi una guarigione eterna, avete voluto discendere dal cielo in terra, ed avete intrapreso un sì gran viaggio per venire a visitare i vostri malati, io grido a Voi, e mi metto nelle vostre mani: guaritemi! Tutti gli altri ai quali io potrei rivolgermi, non farebbero altro che coprire il male per un certo tempo; Voi solo, ne tagliate la radice, solo Voi potete darmi una guarigione eterna (Bossuet, S. sur la Concep.). – « Voi avete ritratto la mia anima dall’inferno », è una parola che deve essere nella bocca ed ancor più nel cuore di tutti gli uomini, perché non c’è quasi nessuno i cui peccati non l’abbiano reso degno di esservi precipitato. Ove saremmo, se la morte ci avesse colpito nel tempo della nostra vita in cui avremmo avuto tanti oggetti di pentimento? Quanti hanno offeso Dio meno di noi ed ora sono precipitati nell’abisso, eternamente separati da Dio, eternamente odiati da Lui, eternamente tra le anime dei demoni e sotto la stretta di questi orribili spiriti! – Felici coloro che Dio « toglie dall’iniquità » (Sapien. IV, 14), da questo torrente di corruzione che inonda tutta la terra, che salva dalla schiera di coloro che discendono nella fossa. Questa fossa è l’abisso del secolo … sono coloro che piombano nell’abbondanza della lussuria e della malizia, nei piaceri criminali e nelle cupidigie terrestri, discendendo nella fossa, o piuttosto precipitandovisi a testa bassa. (S. Agost.).

II. — 4 – 15.

ff. 4. –  Un’animaveramente cristiana non si contenta di rendere solo delle azioni di grazie a Dio; essa invita tutti i suoi santi, cioè i suoi servitori fedeli che vivono una vita santa, a cantare in suo onore un cantico di riconoscenza. – « La lode di Dio non è bella nella bocca del peccatore (Eccl. XV, 9). Fosse anche convertito, i suoi pensieri, ancora coperti dalle nubi delle sue passate sregolatezze, non sono così puri da lodare Dio. È sufficiente che riconosca la sua miseria ed il bisogno che ha della sua grazia, e gema davanti a lui. « Celebrare con le sue lodi la memoria della sua santità », è l’esercizio continuo degli Angeli e dei Santi in cielo, che non cessano di ripetere: « Santo, santo, santo è il Signore Dio degli eserciti » (Isaia, VI, 3). – Questo deve essere egualmente l’esercizio più dolce dei giusti sulla terra (Dug.).

ff. 5. –  « Egli punisce nella sua indignazione ». Il castigo viene da un giusto giudizio di Dio; la vita è un puro effetto della sua volontà. Cosa vuol dire? Che la volontà di Dio è che tutti siano partecipi della sua vita. Quanto ai castighi, essi non arrivano se non per colpa di coloro che li hanno meritati per i loro peccati (S. Basilio). – Dio colpisce i peccatori ed i giusti: i peccatori per ricondurli alla penitenza; i giusti per provarli. Questi colpi non sono, in qualche modo, nella sua volontà; « Egli compie come un’opera estranea » quando è obbligato a punire (Isaia XXVIII, 21). Essi sono l’effetto di una collera paterna, destinata ad ispirare timore; ma la vita è nella sua volontà; Dio ci ha salvato, perché Egli lo ha voluto, e non perché noi fossimo degni di salvezza! In effetti di cosa il peccatore è degno se non del supplizio? La vita è un dono di Dio; e se Egli ha dato la vita ad uomini che erano empi, cosa riserva ai suoi fedeli? (S. Agost.). – Noi piangiamo durante la notte di questa vita; ma al mattino, cioè al primo raggio dell’eternità felice, la gioia sostituisce il dolore. Una gioia eterna, per qualche momento di tristezza, una gioia ineffabile, per pene leggere; gioia pura per lacrime temperate dalla speranza, perché anche quaggiù, dice S. Agostino, per un’anima veramente cristiana, i pentimenti hanno i loro piaceri e le lacrime portano con sé la loro consolazione (in Ps. CXLV). – Tutto il mondo fugge le lacrime e cerca la gioia, e tuttavia la vera gioia non può essere che il frutto delle lacrime.

ff. 6. – Così come quel che fa l’abbondanza di una città, è la moltitudine di cose che si vendono sui suoi mercati, così allo stesso modo noi diciamo: questa regione è nell’abbondanza quando è piena di buone opere (S. Basilio).

ff. 7-9. – I primi giorni che seguono una conversione recente, in cui l’anima è inondata dalle grazie celesti, questi giorni di abbondanza spirituale sono sovente l’occasione di una fiducia temeraria, di una sicurezza presuntuosa che ci persuade che noi non saremo mai più scossi, che ormai ci siamo confermati nel bene, e ci fa dire come il principe degli Apostoli: « Quando anche tutti vi rinnegassero, io non vi rinnegherò mai! » – Non bisogna mai perdere di vista questa importante verità: che questi tempi di abbondanza, di pace, di consolazione, sono un effetto della volontà di Dio, e che solo a Lui appartiene il concederci la forza necessaria per perseverare, stabilizzare una risoluzione e consolidarci nel bene. – L’alternanza di pace e di scompiglio sono così frequenti nella vita cristiana! Perché bisogna che il Signore nasconda il suo volto per insegnare all’uomo che egli non ha altro aiuto se non in Dio solo. – Non c’è nulla di più raro di cuori tranquilli e niente di più comune che di coscienze allarmate, penanti, desolate negli esercizi della vita interiore, perché l’umiltà, la fiducia in Dio, la spoliazione dell’anima e l’abbandono in Dio, sono delle virtù pressoché sconosciute (Berthier). – Noi crediamo di essere stabili sui nostri piedi, e che il nemico non ci possa abbattere: « … Io ho detto a me stesso, nell’abbondanza del mio cuore, io non sarò scosso, io non vacillerò mai ». È proprio allora che il nemico mi sorprende e mi abbatte; è allora che bisogna che si dica con Davide, « … che il piede dell’orgoglio non giunga fino a me » (Ps. XXXV, 12); che non mi appoggi mai su una mia presuntuosa fiducia, la quale mi faccia credere che io abbia il piede fermo e che non scivolerò mai (Bossuet, Elév. VIII j. I° Elév.).

ff. 10-13. – Questo grido che spesso risuona nei salmi, è il desiderio ardente di un’anima che non ha gusto se non per Dio e per le cose del cielo. – Se la mia carne, dice qui Davide in persona di Gesù Cristo, è soggetta alla corruzione come quella degli altri uomini, e se Io non resusciti che alla fine del mondo, quale utilità ci sarebbe nell’avere sparso il mio sangue? Se Io non resuscito nei tempi presenti, non annuncerò a nessuno le vostre meraviglie e le vostre lodi, non procurerò a nessuno l’ineffabile beneficio della salvezza (S. Agost.). – Dio non ricava nessuna utilità né dalla nostra vita, né dalla nostra morte, perché Egli è sufficiente a se stesso e non ha alcun bisogno di noi; ma gli uomini possono trarre grandi vantaggi dalla vita di un giusto, le cui azioni sante sono come uno specchio brillante ove scoprono le difformità della loro anima, e se anche non facessero altro, hanno almeno vergogna di se stessi e della loro vita sregolata. – Riconoscersi incapaci di annunziare le verità di Dio, è un’eccellente disposizione per fare del bene. Persone umili e piccole ai loro occhi, sono molto più capaci di annunziare la verità di Dio che gli orgogliosi pieni di scienza e di eloquenza (Duguet).

ff. 13, 14. – « Essere ascoltati dal Signore, divenire l’oggetto della sua compassione, » quale gran soggetto di consolazione per tutti coloro che – come Davide – riconoscono la loro miseria, gemono nello sconcerto di una santa compunzione, e sono pervasi dal dolore di un vero pentimento! (Dug.). – Gesù Cristo, nella sua Resurrezione, ha lacerate il sacco di cui era rivestito, riprendendo un corpo immortale e glorioso, di modo che la mortalità della sua carne fosse distrutta per sempre. – Dio stesso, nella conversione e riconciliazione del peccatore, cambia in gioia le lacrime della compunzione, lacera il sacco e i cenci che lo sfigurano, per rivestirlo della veste dell’innocenza e coprirlo di onori e di gloria, e fa seguire i cantici di gioia ai gemiti di un cuore distrutto dal dolore.

ff. 15. –  Davide non gioisce della sua miglior fortuna perché questa lo metterà nello stato di gustare i piaceri di questo mondo, ma solo perché Dio che ne è l’Autore, sarà glorificato da coloro che ne saranno testimoni. Questo santo Re riconduce tutto a Dio, ed è questo il frutto che si deve cogliere in questi santi cantici. – La fine di questa gioia e di questa gloria, della quale Dio colma le anime umili e penitenti, è il rinviare continuamente a Dio questa stessa gloria, con cantici di azioni di grazie che non saranno più nel cielo interrotti né dal dolore, né dalla compunzione. Ammirabile è la conclusione del Salmo che deve essere la conclusione o piuttosto l’esercizio di tutta la vita, poiché esso sarà quello della nostra eternità (Duguet).

SALMI BIBLICI: “AFFERTE DOMINE, FILII DEI” (XXVIII)

SALMO 28: “AFFETE, DIMINE, filii Dei…”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

TOME PREMIER.

PARIS

LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR – RUE DELAMMIE, 13

1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

SALMO XXVIII

[1] Psalmus David, in consummatione tabernaculi.

    Afferte Domino, filii Dei,

afferte Domino, filios arietum.

[2] Afferte Domino gloriam et honorem; afferte Domino gloriam nomini ejus; adorate Dominum in atrio sancto ejus.

[3] Vox Domini super aquas; Deus majestatis intonuit; Dominus super aquas multas.

[4] Vox Domini in virtute; vox Domini in magnificentia.

[5] Vox Domini confringentis cedros, et confringet Dominus cedros Libani;

[6] et comminuet eas tamquam vitulum Libani: et dilectus quemadmodum filius unicornium.

[7] Vox Domini intercidentis flammam ignis.

[8] Vox Domini concutientis desertum et commovebit Dominus desertum Cades.

[9] Vox Domini praeparantis cervos, et revelabit condensa; et in templo ejus omnes dicent gloriam.

[10] Dominus diluvium inhabitare facit, et sedebit Dominus rex in æternum. Dominus virtutem populo suo dabit; Dominus benedicet populo suo in pace.

[Vecchio Testamento secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO XXVIII

Salmo di David nel terminarsi il tabernacolo.

1. Presentate al Signore, o figliuoli di Dio, presentate al Signore gli agnelli.

2. Presentate al Signore, la gloria e l’onore, presentate al Signore la gloria dovuta al suo nome; adorate il Signore nell’atrio del suo santuario.

3. La voce del Signore sopra le acque; il Signore della maestà tuonò, il Signore sopra le molte acque.

4. La voce del Signore è possente, la voce del Signore è piena di magnificenza.

5. La voce del Signore che spezza i cedri, e il Signore spezzerà i cedri del Libano.

6. E gli farà in pezzi come un vitello del Libano, e il diletto (è) come il figlio dell’unicorno.

7. La voce del Signore, che divide la fiamma del fuoco;

8. La voce del Signore, che scuote il deserto, e il Signore scuoterà il deserto di Cades.

9 . La voce del Signore, che prepara i cervi e le folte macchie rischiara; e nel tempio di lui tutti gli daran gloria.

10. Il Signore vi manderà un diluvio, e sarà assiso il Signore qual Re in eterno. Il Signore darà fortezza al suo popolo; il Signore darà al popol suo benedizione di pace.

Sommario analitico

L’oggetto di questo salmo, che è uno di quelli che furono composti durante la traslazione dell’arca sulla montagna di Sion, essendo duplice, secondo il parere che tutti gli interpreti ne danno, per maggior chiarezza, merita una doppia analisi; una secondo il senso letterale, l’altro secondo il senso allegorico.

PRIMO SOMMARIO ANALITICO.

Davide pieno di ammirazione alla vista delle opere di Dio: 1° invita gli uomini a riconoscere ed a celebrare la sua grandezza, offrendogli le vittime perfette che Gli sono dovute come al sovrano Signore (1). – 2° Indica loro come debbano essere queste offerte, a) con riti e canti esteriori, b) con le disposizioni interiori di adorazione (2). – 3° Egli dà la ragione di questo invito, cioè la grande potenza di Dio, di cui enumera i meravigliosi effetti:

a) Nelle acque superiori, quando fa tuonare nelle nubi e ne fa discendere sulla terra una pioggia abbondante! (4).

b) Nell’aria, – 1) quando eccita i venti e le tempeste che abbattono i cedri senza resistenza alcuna (5, 6); – 2) quando solca le nubi con fulmini e saette, per imprimere il terrore nel cuore degli uomini (7);

c) Sulla terra, quando – 1) la colpisce nelle parti più recondite; – 2) riempie gli animali di spavento; – 3) spoglia le foreste degli alberi e del fogliame (9); – 4) eccita con questo gli uomini a lodarlo perché: a) li ricolmi di grazia come loro Dio, b) li governi come loro re (10), c) venga in loro soccorso, nella guerra, come loro capo, d) li renda sempre felici, in pace, come loro padre (11).

SECONDO SOMMARIO ANALITICO.

Davide, contemplando interiormente la promulgazione della legge evangelica:

I. – Esorta il Cristiano ad offrire a Dio il culto esteriore ed interiore che Gli è dovuto (1, 2).

II. – Da le ragioni di questa esortazione e celebra il Dio che si degna di dare la sua legge agli uomini:

1°A causa della sua maestà e della sua potenza che si manifesta a) nella voce che fa intendere dall’alto dei cieli, per chiamare a Sé tutti i popoli della terra (3); b) nei miracoli stupefacenti che opera (4); c) nella forza con la quale distrugge gli sforzi degli orgogliosi e tutte le loro resistenze (5, 6).

2° A causa della sua bontà e della sua misericordia per la quale

a) si mostra amabile a tutti, benché forte (6);

b) effonde su tutti gli uomini la fiamme e i doni dello Spirito Santo (7);

c) allontana dal culto degli idoli i gentili condannati alla sterilità ed i Giudei dalla legge infeconda di Mosè (7);

d) nella via purgativa, Egli prepara, con il timore, gli inizianti, a diventare fecondi di buone opere (8);

e) nella via illuminativa, illumina coloro che sono più avanzati;

f) nella via unitiva: – 1) li eccita a rendere gloria a Dio (9); – 2) ne arricchisce l’anima di abbondanza di grazie; – 3) Egli stabilisce il suo regno nell’anima (10); – 4) comunica loro una forza tutta divina contro i suoi nemici; – 5) colma tutte le facoltà dell’anima, tutti i sensi del corpo, dei doni e delle grazie che accompagnano la pace (11).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1, 2.

ff. 1. –  Dio non gradisce ogni sorta di doni, ma solo quelli che Gli vengono offerti con cuore puro: ecco perché il Salmista vuole che noi siamo innanzitutto figli di Dio prima di avvinarci a Lui per offrirgli i nostri doni, non i doni come tali, ma quelli stessi che Egli ci prescrive. Dite dunque innanzitutto a Dio: Padre mio, ed indirizzate poi le vostre domande. Esaminatevi coscienziosamente, vedete qual sia la vostra vita, siate degni di chiamare vostro Padre, il tre volte Dio. Gli si facciano ricche offerte, e si scelgano dunque uomini d’élite perché a Lui si offrano. È gran cosa l’essere figlio di Dio, ed è opportuno che l’offerente sia all’altezza della grandezza di questo titolo. « Offrite i piccoli degli arieti ». L’ariete è come il capo del gregge, e precede la pecore per condurle nei grassi pascoli, ai ruscelli ove si disseteranno, e poi ricondurle al riparo. Tali sono i capi del gregge di Gesù Cristo che lo conducono nei pascoli fioriti ed odorosi della dottrina spirituale, lo dissetano con le acque vive delle quali lo Spirito Santo è la fonte, lo nutrono perché produca frutti, lo difendono da ogni pericolo e lo riportano al luogo di riposo. Sono i figli di questi capi coloro ai quali il Salmista comanda ai figli di Dio di offrire al Signore. Se gli arieti sono i capi del gregge, Egli vuole che abbiano dei figli che con la loro applicazione alle buone opere, diventino essi stessi modelli di virtù (S. Basilio). – « Portate al Signore i piccoli degli arieti ». Portategli coloro che devono essere battezzati, coloro che devono essere concepiti, non dalla carne, ma dalla fede; portate coloro che devono diventare agnelli con l’innocenza; portate coloro che non possono venire da se stessi, o perché è necessità difenderli, o perché l’età glielo impedisce, o l’ignoranza li ritarda, o i vizi li incatenano, o i peccati li trattengono, lo spettacolo delle cose esteriori li seduce, o la povertà li copre di vergogna; portate coloro che lo consentono, fate entrare coloro che resistono, fatevi necessità ove essi sono soggetto di ricompensa (S. Piet. Chris. Serm. X). – Ad esempio del santo Re Davide, non bisogna contentarsi di lodare il Signore in particolare, ma si devono invitare gli altri fedeli, eccitarli con i nostri discorsi ed i nostri esempi, a rendere omaggio all’Altissimo. – I sacrifici dei Giudei sono figura del Sacrificio dei Cristiani. Dio faceva loro conoscere, per mezzo del suo Profeta, che il sacrificio che Gli era veramente gradito non consisteva nell’immolare dei capri o degli agnelli, ma in cuore contrito ed umiliato. « Cosa offrirò a Dio che sia degno di Lui, dice il Profeta? » Piegherò il ginocchio davanti a Dio l’Altissimo? Gli presenterò degli olocausti e dei nati di un anno? Il Signore si placherà con l’offerta di mille capri, con libazioni di barili di olio? O uomo, Io vi mostrerò ciò che è buono e che il Signore vi comanda: praticate la giustizia, amate la misericordia, camminate con timore alla presenza del Signore (Mich. VI, 7,8).

ff. 2. –  « Adorate il Signore nel suo tabernacolo ». L’adorazione che è qui comandata deve farsi non fuori dalla Chiesa, ma nella “vera” Chiesa, nella Chiesa santa, che è una … Vediamo molti che sono in attitudine di preghiera, e ciò nonostante non sono nella Chiesa di Dio, a causa delle divagazioni del loro spirito e delle distrazioni in cui cadono a causa delle vane preoccupazioni (S. Basilio). – Si possono distinguere tre gradi nella gloria che è dovuta a Dio: – 1) riconoscere le sue grandezze; – 2)intendere la gloria del suo nome; – 3) adorarlo nel suo tempio santo con il culto pubblico ed esterno.

II. — 3-6.

ff. 3, 4. – Chi di noi ascoltando il rumore del tuono, non ha immaginato questa voce del Signore di cui parla il Re-Profeta? Sembra effettivamente che l’ascolto del tuono non sia per le nostre orecchie che un’eco lontano di questa parola divina della quale un soffio scuote la natura ed è sufficiente a ridurla in polvere. È dal rombo del tuono che Dio parla al suo popolo, con la bocca di Mosè, e come in un concerto, l’armonia degli strumenti si mescola alla voce umana, così sul monte Sinai si direbbe che il tuono e la voce di Mosè si confondono per formare una sola parola, quella di Dio, per dettare i Comandamenti al suo popolo. Il tuono esce dalla nube nello stesso momento in cui il fulmine lo annuncia. Nel linguaggio della santa Scrittura, le nubi significano i predicatori della parola evangelica. Queste nubi, dice S. Agostino, ci mostrano di sfuggita il fulmine e il tuono: il fulmine è il miracolo che si aggiunge alla predicazione della parola; il tuono è il precetto ritenuto nell’orecchio del peccatore intimorito (Mgr. De La Bouillerie, Symbol. de la nat., I, 177). – Le sette voci di cui parla qui il profeta possono ben applicarsi alla predicazione del Vangelo. La prima voce si è fatta ascoltare sulle acque, quando dal cielo semiaperto discese questa voce magnifica che fu intesa al momento del Battesimo di Gesù Cristo: « è nel mio Figlio diletto che ho posto tutte la mia affezione ». – « Il Dio di maestà tuonò e si fece intendere su una grande abbondanza di acque », perché il Battesimo fu da allora istituito e tutte le acque del mondo ricevettero la virtù di rigenerare i Figli di Dio. Le altre voci hanno per oggetto le tante meraviglie della predicazione evangelica. – La voce del Signore è potente: nella Creazione, da una sola parola essa fa uscire dal nulla il cielo e la terra e tutto ciò che esse racchiudono; con la predicazione del Vangelo, essa non è stata un brusio vano e senza effetto, un bronzo tinnante ed un cembalo altisonante, come i discorsi della maggior parte degli oratori e dei filosofi, ma una voce potente che ha operato la conversione del mondo, una voce piena di magnificenza per il bagliore dei miracoli che l’hanno accompagnata (Dug.).

ff. 5, 6. –  Il Re-Profeta continua a dipingere in stile orientale le grandi conquiste del Cristianesimo mediante la predicazione evangelica. I cedri del Libano sono alberi molto duri, molto elevati e dall’odore molto gradevole. La loro durezza, è figura dei peccatori incalliti e di coloro che si ostinano nei loro errori. – La loro elevazione, è figura degli uomini superbi che si inorgogliscono, sia dell’ampiezza della loro potenza, sia dell’eminenza della loro saggezza, sia dello splendore della loro eloquenza; il loro gradevole odore, è la figura degli uomini amici dei piaceri e delle voluttà. La predicazione del Vangelo ha distrutto tutti i cedri, ha persuaso all’umiltà tutti coloro che si erano elevati al di sopra degli altri, alla mansuetudine e alla docilità gli incalliti ed i protervi, allo spirito di penitenza e di mortificazione i sensuali ed i voluttuosi (Duguet). Non soltanto essa ha abbattuto gli alti cedri del Libano, abbattendo cioè l’orgoglio e la durata di questi uomini superbi, ma ha sradicato gli stessi cedri, li ha trasportati in un altro luogo, facendoli rinunziare alle loro affezioni carnali e legate alla terra per passare ad una vita simile a quella degli Apostoli (Dug.). – Dio ha le tempeste nella sua mano, e non compete che a lui il far scoppiare il rombo del tuono nelle coscienze e fondere i cuori induriti con i bagliori dei fulmini; e se pur Egli avesse un predicatore temerario per produrre questi grandi effetti con la sua eloquenza, mi sembra che Dio gli dica, come a Giobbe: se tu credi di avere un braccio come Dio, e tuonare con una voce simile, agisci e fa’ Dio al mio posto: « Elevati nelle nubi, mostrati nella tua gloria, abbatti i superbi nel tuo furore, e disponi a tuo piacimento delle cose umane » (Bossuet, Serm. Parol. de Dieu).

III. — 7-11.

ff. 7, 8. –  La voce di Dio, voce di verità, comparata alla folgore; ora cosa che cose c’è di più potente e terribile del tuono? Al suo scoppio fa seguito lo sgomento, lo spavento, la paura mortale; esso fa impallidire il più altero, scuote i palazzi superbi e l’umile capanna, cade sulle alture delle montagne e sulle onde dell’oceano. È l’immagine naturale della potenza della verità, che è sempre inflessibile, sempre tuonante in fondo a tutti i cuori, non è sopraffatta né dalla forza dei pregiudizi, né dai torrenti degli abusi, né dal vizio possente e dominante, né dal numero dei reprobi. Essa fa da sfondo ai tiranni che non vogliono vedere nulla sopra le loro teste, o ai potenti che si adagiano nella loro gloria. Essa turba la solitudine dell’empio, che fugge sempre fuori di sé, ha paura di sé, si evita, non osa ritrovarsi da solo con la ragione e la fede. Essa spande sul peccato un’amarezza dolorosa, porta l’angoscia e la tribolazione nell’anima del colpevole, perché l’iniquità non è che un lungo e difficile travaglio. Il crimine vuole ben sprofondare nella notte, ma essa andrà a cercarlo fino al fondo dell’abisso (De Buologne, sur la verité). – Questi bagliori di fiamma, che si sprigionano quando cade il fulmine, sono la figura dei doni dello Spirito Santo, i cui effetti sono così variati, sono così appropriati ai disegni della Provvidenza ed ai bisogni degli uomini. – La predicazione evangelica diviene soprattutto simile al tuono quando risuona nei deserti, ispirando alle anime una santo terrore dei giudizi di Dio. In mezzo ad una vita dissipata e mondana, nella quale facilmente dimentichiamo i nostri doveri, ove unicamente preoccupati dei nostri interessi e dei nostri piaceri, ci lasciamo andare ad una colpevole indifferenza, è bene per noi che il tuono della santa parola si faccia intendere dalle nostre orecchie, scuota il nostro torpore, e ci richiami incessantemente il ricordo dei nostri fini ultimi. Il terrore che il fulmine ispira alle cerve, terrore che le dispone a partorire più facilmente i loro piccoli, è figura della bontà di Dio che, per la paura salutare dei suoi giudizi, facilita il parto spirituale dal peccato alla grazia, che è così penoso in natura. – Questa voce scopre in questo parto quel che c’è di più denso, di più nascosto in queste anime, partorite nuovamente, e che si congiungono con i veri figli di Dio per rendere tutti insieme gloria a Dio nel suo tempio (Duguet). – La voce del Signore fa penetrare ancora il giorno nelle dense foreste, quando illumina con i suoi bagliori i luoghi oscuri, dei libri divini ed i tratti ombreggiati dei misteri in cui fa ritrovare libere pasture.

ff. 9, 10. – Si chiama diluvio una inondazione straordinaria che copra tutta la superficie della terra, e ne asporti tutte le immondizie. Il Re-Profeta compara dunque ad un diluvio la grazia del Battesimo, perché esso purifica l’anima dai propri peccati, e distrugge in essa l’uomo vecchio rendendolo atto a divenire abitazione di Dio (S. Basilio, Ps. XXVIII). – Il timore dei giudizi di Dio è un tuono che scuote il deserto, distrugge i cedri, abbatte l’orgoglio, e, con scosse violente, comincia a sradicare le cattive abitudini. Ma per rendere la terra feconda, occorre che questo tuono rompa le nubi, e faccia colare la pioggia che rende feconda la terra (Bossuet, Serm. Sur la Trist. des enf. de Dieu). – È il Diluvio delle acque della grazia su di un’anima che ha partorito la salvezza. – È il Diluvio delle acque della penitenza nel cuore di quest’anima penetrata dal dolore per i suoi peccati passati. – È il Diluvio di grazie e di favori sui buoni, che Dio colmerà di ogni sorta di beni. – È il Diluvio di mali sui peccatori che distruggerà ogni tipo di male. – Essendo tutto sottomesso a Dio, o per amore o per forza, il Signore sarà seduto come un Re sovrano per tutta l’eternità (Duguet). – È solo il Signore che dà la forza al suo popolo, per avvertirci che noi non possiamo nulla senza di Lui, sia nell’ordine della natura, sia nell’ordine della grazia: forza per resistere ai nostri nemici, e benedizione per crescere in virtù ed arrivare tranquillamente al porto della salvezza e della eterna pace.

SALMI BIBLICI: “AD TE, DOMINE, CLAMABO; Deus meus…” (XXVII)

SALMO 27: AD TE, DOMINE, CLAMABO; Deus meus …

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

TOME PREMIER

PARIS

LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR RUE DELAMMIE, 13

1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.T

SALMO XXVII

[1] Psalmus ipsi David.

   Ad te, Domine, clamabo; Deus meus,

ne sileas a me: nequando taceas a me, et assimilabor descendentibus in lacum.

[2] Exaudi, Domine, vocem deprecationis meæ, dum oro ad te, dum extollo manus meas ad templum sanctum tuum.

[3] Ne simul trahas me cum peccatoribus, et cum operantibus iniquitatem ne perdas me;

[4] qui loquuntur pacem cum proximo suo, mala autem in cordibus eorum.

[5] Da illis secundum opera eorum, et secundum nequitiam adinventionum ipsorum.

[6] Secundum opera manuum eorum tribue illis, redde retributionem eorum ipsis.

[7] Quoniam non intellexerunt opera Domini et in opera manuum ejus; destrues illos, et non aedificabis eos.

[8] Benedictus Dominus, quoniam exaudivit vocem deprecationis meæ.

[9] Dominus adjutor meus et protector meus; in ipso speravit cor meum, et adjutus sum:

[10] et refloruit caro mea, et ex voluntate mea confitebor ei.

[11] Dominus fortitudo plebis suæ, et protector salvationum christi sui est.

[12] Salvum fac populum tuum, Domine, et benedic hæreditati tuæ; et rege eos, et extolle illos usque in æternum.

[Vecchio Testamento secondo la Volgata

Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO XXVII.

Davide, in persona di Cristo, congiunge la passione sua e la glorificazione, come nel salmo 21, del quale è questo un compendio.

Salmo dello stesso David.

1. A te, o Signore, alzerò le mie grida: Dio Mio, non istare in silenzio con me, affinché, tacendo tu, non sia io come quelli che scendono nella fossa.

2. Esaudisci, o Signore, la voce delle suppliche mentre io ti prego, mentre alzo le mie mani al tuo tempio santo.

3. Non mi prendere insieme coi peccatori non mi sperdere con quelli che commettono

l’iniquità;

4. i quali parlano di pace col prossimo loro, ma nei loro cuori covano il male.

5. Rendi a questi secondo le opere, delle mani loro e secondo la malvagità delle loro macchinazioni.

6. Dà ad essi secondo le opere delle mani loro; rendi ad essi la lor ricompensa.

7. Perché non hanno intese le opere del Signore, né quello che ha fatto la mano di lui; tu gli distruggerai, e non gli ristorerai.

8. Benedetto il Signore, perché ha esaudito la voce della mia orazione.

9. Il Signore mio aiuto e mio protettore; in Lui sperò il cuor mio, e fui sovvenuto.

10. E rifiorì la mia carne, ed io col mio affetto a Lui darò laude.

11. Il Signore è fortezza del suo popolo, ed è protettore della salvazione del suo Cristo.

12. Salva, o Signore, il popol tuo, e benedici la tua eredità, e sii loro pastore e ingrandiscili fino all’eternità.

Sommario analitico

Il sentimento più probabile e più fondato è che questo salmo sia stato composto da Davide durante la rivolta di Assalonne, allorché fu obbligato a fuggire da Gerusalemme, a risalire piangendo il versante del monte degli ulivi, e Sadoc ed Abiathar portarono l’arca del Signore nell’accompagnare Davide (II Re, XV), per cui Davide la fece riposare nella città, giudicando indegno il possederla presso di lui. Esaminando attentamente questo salmo, si vede che tutto si riporta a questa circostanza dolorosa della vita del Re-Profeta. – 1° Davide grida verso il Signore (1), e noi vediamo (II Re, XV, 23) che tutto il popolo piange ad alta voce nell’accompagnarlo. – 2° Egli domanda a Dio di non restare in silenzio, cioè di non rifiutare di rendergli oracoli a suo favore attraverso il sommo sacerdote. – 3° Davide, camminando con la testa coperta da un velo, somiglia più ad un morto che ad un vivo. – 4° Dal monte degli ulivi, egli poteva facilmente levare le mani verso il tabernacolo (2). – 5° Egli allora era ancora punito per il suo doppio crimine di omicidio ed adulterio, cosa che gli faceva credere di essere coinvolto nel castigo riservato ai peccatori (3). – 6° Achitophel, che gli aveva tenuto un linguaggio pacifico, si dichiarava contro di lui. – 7° Egli prevede che Dio punirà Assalonne ed Achitophel come meritano. – 8° Rende grazie a Dio per la sua liberazione futura ed esprime la speranza certa di essere come richiamato alla vita e ristabilito sul suo trono. – 9° Raccomanda a Dio il suo popolo che vedeva esposto ai pericoli più gravi, in mezzo alle guerre civili. – Questo salmo che, nel senso spirituale, ha per oggetto nostro Signore in croce che profeta la distruzione di Gerusalemme e, nella seconda parte, celebra il trionfo della sua resurrezione, e pregando per tutta la sua Chiesa, ottiene a tutti i Cristiani imploranti, tra le tribolazioni, il soccorso e la misericordia di Dio.

I – Davide chiede a Dio di venire in suo soccorso:

1° A causa della sua pietà che manifesta: a) con le sue grida, b) con la disposizione in cui si trova di ascoltare il responso del Signore, c) con la sua umiltà che gli fa riconoscere che solo Dio può salvare dalla morte (1), d) con la fiducia che gli fa sperare che Dio solo, verso il quale tende la mani, può liberarlo dai suoi mali (2).

2° A causa dell’empietà dei suoi nemici, con i quali egli chiede a Dio di non essere confuso (3): – a) sotto un linguaggio in apparenza pacifico, essi nascondono i loro perfidi disegni (4); – b) essi riceveranno il giusto castigo per le loro opere e per i loro pensieri criminali; – c) il principio dei loro crimini, così come dei loro castighi, e del loro odio, è che essi non sono entrati nell’intelligenza delle opere di Dio (7).

II. – Davide rende grazie a Dio per ciò che si è degnato di esaudire: – a) dichiarandosi suo aiuto e suo protettore, dandogli una nuova forza dopo le crudeli prove (9, 10), – b) diventando la forza del suo popolo, e la protezione che salva il suo Cristo (11).

III. – Egli prega Dio di compiere al più presto ciò che ha dichiarato di fare per il suo popolo, – a) liberandolo dai pericoli in mezzo ai quali si trova, – b) colmandolo delle sue benedizioni e dei suoi doni, – c) dirigendolo nel preservarlo dal peccato, – d) ed elevandolo, con le virtù e le sue grazie, fino all’eternità (12).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1-7.

ff. 1, 2. – Niente di più negativo è l’attirarsi, con le proprie infedeltà, il silenzio di Dio che minaccia di non ascoltare coloro che rifiutano da se stessi di ascoltare quando Egli parla loro (Dug.). – Un uomo privato del soccorso di Dio è simile ad un morto, non ha in sé i principi della vita spirituale; le sue azioni più oneste non sono che sforzi filosofici, e non delle opere cristiane e perciò meritorie del cielo. – La preghiera è potente ed efficace quando le mani pregano insieme alla lingua, e le opere insieme alle parole (Dug.).

ff. 3. – La pratica di alzare le mani pregando è antica come la preghiera stessa. Essa indica ed esprime: – 1° che l’anima vuole spiegare le ali per elevarsi verso il cielo pregando; – 2° che essa si rifugia con viva fiducia nel seno di Dio come porto sicuro; – 3° che offre a Dio tutto ciò che è, e tutto ciò che possiede; – 4° che essa ha il più ardente desiderio di ottenere il soccorso che implora; – 5° che è preparata e disposta ai combattimenti spirituali che Egli gli fa affrontare; – 6° che così esprime ancora, come nota Tertulliano, l’innocenza delle opere; – 7° che infine rappresenta, agli occhi del Padre eterno, l’immagine di Gesù Cristo crocifisso. – Il torrente della malizia dei peccatori coinvolge sovente coloro che non resistono nel principio; non si ha il coraggio di opporsi alla sua violenza. All’inizio ci si contenta di dissimulare il male che si vuol credere di non poter impedire; in seguito si familiarizza con esso; poi, anche se non lo si approva interamente, però non lo si condanna. All’inizio ci si lascia andare; la seconda volta, questa prima impressione si attenua, se ne forma l’abitudine, si smorza il rimorso della coscienza, ed infine ci si invischia con i peccatori, e ci si perde con coloro che commettono l’iniquità. – « Non permettete che io faccia causa comune con quelli che parlano di pace nell’assemblea dei loro fratelli, e che meditano il male nei loro cuori ». Per questi uomini, l’ideale della pace è la tranquillità del disordine, è la piacevole soddisfazione delle passioni, la gioiosità ininterrotta di tutto ciò che alletta l’orgoglio ed i sensi.

ff. 4. –  Il carattere dipinto qui dal Re-Profeta, uno dei più comuni nel mondo, e dei più odiosi al Signore, è la maniera di agire di coloro che, nel mondo, si definscono “gente onesta”. Mille sono le offerte di servizio, mille le proteste di devozione la più sincera, mentre nel fondo del cuore ci si nutre di pensieri di gelosia, di odio, di perfide intenzioni. Si tratta dei processi di prudenza, di finezza, di politica, dell’uso del mondo; e la Scrittura che è parola di Dio, le mette al rango dei crimini: dappertutto il Signore minaccia delle sue vendette i furbi, i cuori doppi, i simulatori, e dappertutto Egli fa i suoi elogi al candore, alla probità, alla semplicità (Berthier). – Il tuo nemico, dice l’autore dell’Ecclesiastico, ha il dolce sulle labbra, ma in cuore medita di gettarti in una fossa. Il nemico avrà lacrime agli occhi, ma se troverà l’occasione, non si sazierà del tuo sangue. Se ti capiterà del male, egli sarà là per primo e, con il pretesto di aiutarti, ti prenderà per il tallone (Eccli. XII, 15-18).

ff. 5, 6. –  Dio rende a ciascuno non secondo la sua qualità, secondo la sua scienza, le sue ricchezze, gli onori, le dignità di cui è rivestito, ma secondo le sue opere. Quando il male che il peccatore si preparava a far soffrire agli altri ricade sulla sua testa, egli non fa che ricevere la ricompensa delle opere delle sue mani. È dunque egli stesso che prepara con la proprie mani il suo supplizio, e la giustizia di Dio non fa che rendergli ciò che gli è dovuto (Duguet).

ff. 7. –  In questo versetto, noi vediamo nello stesso tempo la causa della disgrazia dei riprovati, l’estensione di questi malanni, la durata di questa sventura, e sono pochi i testi dei Libri santi dai quali si possa trarre una maggiore istruzione. La causa d questo sventura è quella di non aver compreso le opere del Signore, le cose mirabili che ha fatto per la creazione ed nel governo del mondo, e soprattutto il miracolo del suo amore nella redenzione del genere umano. « Le perfezioni invisibili di Dio, come la sua eterna potenza e la sua divinità, sono divenute visibili, dopo la creazione del mondo, per tutto ciò che è stato fatto; così la sua eterna potenza e la sua divinità, in modo tale da essere inescusabili ». (Rom. I, 20). Gesù Cristo piangerà su Gerusalemme, perché essa non aveva conosciuto che lui doveva dare la pace. Il risultato di questo disconoscimento, è la distruzione; la durata di questa sventura è l’eternità (Berthier).

II. — 8-12.

ff. 8-10. –  Felici coloro che, come Davide, dopo aver pregato Dio, possono dirgli: « Siate benedetto per aver esaudito la mia preghiera. » Solo una viva fede può dare questa certezza. Ma ancor più felice colui che, dopo non aver ottenuto ciò che domandava, dice a Dio con sincera riconoscenza: « siate benedetto per non aver esaudito la mia preghiera, perché verso i vostri amici, voi considerate più i loro veri interessi che le loro inclinazioni ed i loro desideri » (Duguet). – Quando sia possibile rendere testimonianza al fatto che si considera Dio nostro aiuto e nostro protettore, che si spera in Lui e non negli uomini, né nelle ricchezze, si può aggiungere con certezza, come Davide, che nel presente si è stati soccorsi da Lui, anche se la tribolazione dura ancora (Dug.). « … la mia carne è come rifiorita ». La giovinezza dell’uomo, dice San Tommaso su questo salmo, è spesso comparata nella santa Scrittura, ad un fiore, e con ragione: perché come il fiore è presagio del frutto, così la giovinezza è il presagio della vita che deve seguire. La carne sembra dunque rifiorire quando, nella sua vecchiaia, essa sembra raggiante, perché l’uomo sembra in effetti raggiante quando la sua anima è nella gioia, anche se sembra invecchiare nella tristezza, « Voi lo vedrete, dice Dio in Isaia, e gioirà il vostro cuore, le vostre ossa saran rigogliose come erba fresca » (Isaia LXVI, 14). Non sarà che nella resurrezione che la nostra carne riprenderà tutto il fiore dell’età, della salute, della gioia e della bellezza. Qui in basso, questa forza, questo vigore sarebbe pericoloso.

ff. 11, 12. – Coloro che Gesù Cristo ha riscattato con la sua morte e che si è acquistato con il suo sangue come sua eredità, sono veramente la razza scelta, il sacerdozio reale, la nazione santa, il popolo di Dio (I Piet. II, 9). – Questo popolo, ben diversamente dal popolo giudaico che ha voluto imporre la sua giustizia alla giustizia di Dio, crede e proclama che la sua forza viene da Dio solo, e che Dio solo può salvarlo, benedirlo, condurlo, proteggerlo nel cammino della vita ed elevarlo fin nella gloria dell’eternità.

SALMI BIBLICI: “DOMINUS ILLUMINATIO MEA ET SALUS” (XXVI)

SALMO 26: DOMINUS illuminatio mea et salus

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou

LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

TOME PREMIER.

PARIS

LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR RUE DELAMMIE, 13

1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

SALMO XXVI

[1] Psalmus David, priusquam liniretur.

    Dominus illuminatio mea

et salus mea; quem timebo?

[2] Dominus protector vitæ meæ; a quo trepidabo?

[3] Dum appropiant super me nocentes, ut edant carnes meas,

[4] qui tribulant me inimici mei, ipsi infirmati sunt et ceciderunt.

[5] Si consistant adversum me castra, non timebit cor meum.

[6] Si exsurgat adversum me prælium, in hoc ego sperabo.

[7] Unam petii a Domino, hanc requiram, ut inhabitem in domo Domini omnibus diebus vitæ meæ,

[8] ut videam voluptatem Domini, et visitem templum ejus.

[9] Quoniam abscondit me in tabernaculo suo; in die malorum protexit me in abscondito tabernaculi sui.

[10] In petra exaltavit me, et nunc exaltavit caput meum super inimicos meos.

[11] Circuivi, et immolavi in tabernaculo ejus hostiam vociferationis; cantabo, et psalmum dicam Domino.

[12] Exaudi, Domine, vocem meam, qua clamavi ad te; miserere mei, et exaudi me.

[13] Tibi dixit cor meum, exquisivit te facies mea; faciem tuam, Domine, requiram.

[14] Ne avertas faciem tuam a me; ne declines in ira a servo tuo.

[15] Adjutor meus esto; ne derelinquas me, neque despicias me, Deus salutaris meus.

[16] Quoniam pater meus et mater mea dereliquerunt me; Dominus autem assumpsit me.

[17] Legem pone mihi, Domine, in via tua, et dirige me in semitam rectam, propter inimicos meos.

[18] Ne tradideris me in animas tribulantium me, quoniam insurrexerunt in me testes iniqui, et mentita est iniquitas sibi.

[19] Credo videre bona Domini in terra viventium.

[20] Expecta Dominum, viriliter age, et confortetur cor tuum, et sustine Dominum.

[Vecchio Testamento secondo la Volgata 

Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO XXVI.

Prima che Davide fosse unto, la seconda volta, solennemente in re stando ancora in esilio, ei compose questo salmo, in cui desidera il regno celeste, disprezzando sia prosperità, sia avversità temporali.

Salmo di David, prima che fosse unto.

1. Il Signore mia luce e mia salute: chi ho io da temere?

2. Il Signore difende la mia vita: chi potrà farmi tremare?

3. Nel mentre che i cattivi mi vengon sopra per divorar le mie carni:

4. Questi nemici miei, che mi affliggono, eglino stessi hanno inciampato, e sono caduti.

5. Quando io avrò contro di me degli eserciti attendati, il mio cuore non temerà.

6. Quando si verrà a battaglia contro di me, in questa io porrò mia speranza.

7. Una sola cosa ho domandato al Signore, questo io cercherò: che io possa abitare nella casa del Signore per tutti i giorni della mia vita;

8. Affine di vedere il gaudio del Signore, frequentando il suo tempio.

9. Imperocché egli mi ha ascoso nel suo tabernacolo; nel giorno delle sciagure mi pose al coperto nell’intimo del suo tabernacolo.

10. Sopra di un’alta pietra mi trasportò, e adesso ha innalzata la mia testa sopra dei miei nemici.

11. Starò intorno a lui, immolando sacrifizi nel suo tabernacolo al suon delle trombe; canterò e salmeggerò, lodando il Signore.

12. Esaudisci, o Signore, la voce mia colla quale ti ho invocato; abbi misericordia di me, ed esaudiscimi.

13. Con te parlò il cuor mio, gli occhi miei ti hanno cercato; la tua faccia cercherò io, o Signore.

14. Non rivolgere la tua faccia da me, non ritirarti per isdegno dal servo tuo.

15. Sii tu mio aiuto: non mi abbandonare, e non disprezzarmi, o Dio mio salvatore.

16. Perché il padre mio e la madre mia mi hanno abbandonato; ma il Signore si è preso cura di me.

17. Ponmi davanti, o Signore, la legge della tua vita; e per riguardo ai nemici miei guidami pel diritto sentiero.

18. Non abbandonarmi ai desiderii di coloro che mi perseguitano, dappoiché si son presentati contro di me dei testimoni falsi, e l’iniquità s’inventò delle menzogne.

19. Credo che io vedrò i beni del Signore nella terra dei vivi.

20. Aspetta il Signore, diportati virilmente, e prenda vigore il cuor tuo e aspetta pazientemente il Signore.

Sommario analitico

Davide prima della sua seconda consacrazione, nel fuggire alla persecuzione di Saul, condannato a condurre una vita errante, senza poter visitare il santo tabernacolo, e gemente nell’esilio, rappresenta ogni uomo giusto provato dalle tentazioni della vita e dalle persecuzioni del mondo, ritirato in spirito davanti al santo Tabernacolo, col desiderio di dimorarvi sempre e rianimato nella fede dalle promesse del Signore e dai beni invisibili della vita eterna. Malgrado tutti gli sforzi dei suoi nemici, egli si dichiara senza timori, perché egli possiede Dio (1):

(1) Il carattere dei giusti si manifesta qui in tutta la sua verità. Non si tratta qui della impassibilità rigida né della sfida superba lanciata al dolore dal giusto degli stoici, immortalati da Orazio. Qui ci sono le alternanze tra il coraggio e la paura, la debolezza e la forza, di un’anima che dubita nella speranza e che spera nel dubbio, pregando sempre senza cessare d’amare. Questa non è l’attitudine calma e fiera di una personalità esaltata, né dell’orgoglio umano che si erge da solo contro l’universo e si avvolge nel suo diritto come in un mantello, ma è il contegno di un figlio davanti a suo padre, che in un istante è intrepido davanti al pericolo da cui si sente minacciato, ed un istante dopo, gridando e tremando, quando il male diventa imminente, si stringe presto contro il suo protettore e lo invoca tra le lacrime:

I. – Come guida nei combattimenti, in cui viene in suo soccorso: – 1) rischiarando la sua intelligenza; – 2) fortificando la sua volontà (1); – 3)proteggendo tutte le potenze della sua anima (2); – 4) distruggendo i nemici che sono: a) spudorati e crudeli (3), b) numerosi e accaniti onde perderlo (4-6).

II. – Come asilo nel pericolo; Dio gli offre il suo tabernacolo, ove egli trova: – 1° un’abitazione stabile per tutti i giorni della sua vita (7); – 2° le delizie ineffabili nella visita del suo tempio (8); – 3° una protezione sicura contro tutti gli assalti dei nemici: a) Dio lo sottrae ai loro inseguimenti, b) lo protegge nel segreto del suo tabernacolo, c) lo eleva e lo rende superiore a tutti i loro sforzi (9, 10); – 4° un mezzo facile per rendere a Dio il culto che Gli è dovuto: a) frequentando il suo tempio e circondando i suoi altari, b) offrendogli vittime, c) cantando le sue lodi, d) componendo salmi in suo onore (11). –

III. Come remuneratore dopo la vittoria: – 1° nell’altra vita, mostrandosi a Lui faccia a faccia, cosa che Davide chiede: a) con le sue preghiere e le sue grida (12), b) con le affezioni e gli slanci del suo cuore, c) con lo zelo che egli mette nel ricercare Dio, d) con gli sguardi ardenti che rivolge al cielo (13). – 2° in questa vita, egli domanda a Dio: a) di dargli man forte contro i suoi nemici, perché Dio è sempre stato il suo Salvatore (15), e Dio si è dichiarato suo protettore quando veniva abbandonato da tutti (16); b) di dirigerlo nella via dei suoi comandamenti, dandogli la sua legge che: 1) gli impedirà di errare, 2) gli farà conoscere le trappole che gli tendono i suoi nemici (17), 3) lo difenderà contro tutte le menzogne e le loro calunnie (18); c) di fortificare il suo spirito ed il suo cuore: 1) con una fede perfetta nei beni futuri (19); 2) con una speranza ferma e paziente; 3) con una carità che porta ad atti eroici, alla pazienza nelle tribolazioni, all’attesa perseverante del Signore (20).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1- 6.

ff. 1-6. –  Ci sono tre grandi verità nei primi sei versetti di questo salmo. Dio è nostra luce, Egli è l’autore della nostra salvezza, Egli è il nostro unico protettore con il quale non abbiamo nulla da temere. Senza la luce di Dio, noi saremmo nelle tenebre; senza la salvezza che Egli ci ha meritato, noi saremmo tutti vittime della riprovazione eterna; senza la forza che Egli ci dà, noi cadremmo nel niente della natura e nel niente del peccato (Berthier). – Queste tre cose rendono un uomo intrepido, invincibile contro tutte le avversità: – che Dio lo illumini, perché egli veda ciò che è giusto; – che Dio lo guarisca e lo salvi, perché egli possa mettere in esecuzione ciò che ha conosciuto essere giusto; – che Dio sia il suo protettore, perché possa resistere a tutte le tentazioni (Ruffin). – « Il Signore è la mia luce e la mia salvezza, di cosa avrò paura? » Egli mi illumina affinché le tenebre spariscano, sicché io cammini saldo in piena luce: cosa temerò? Perché Dio non ci dà affatto una salvezza per cui altri possa sopraffarci; Egli non è una luce per cui altri possa avvolgerci nelle tenebre. Dio ci rischiara, noi siamo illuminati; Dio ci salva, noi siamo salvati; se dunque ci illumina e ci salva, è evidente che fuori da Lui non siamo che tenebre e debolezza (S. Agost.). – Quale invincibile fiducia deve dunque avere colui che sa dire: « Il Signore è protettore della mia vita, davanti a cosa mai tremerò? ». Un imperatore è protetto da uomini armati di scudo e non teme; un mortale è protetto da altri mortali e si sente in sicurezza; ed il mortale protetto da un Difensore immortale dovrebbe forse temere e tremare? – Ma quale baldanza, quale sicurezza non debba avere, comprendete bene, colui che dice: « Quando anche fossero accampate intorno a me delle armate, il mio cuore non tremerebbe! » Se i campi sono fortificati, sono essi mai più fortificati di Dio? « Quand’anche una guerra scoppiasse contro di me », chi mi muove guerra? Può essa togliere la mia speranza? Può togliermi ciò che da l’Onnipotente? Così come non si può vincere Colui che dà, così non mi si può togliere ciò che Egli mi dà. Se si può togliere il dono, si può vincere colui che dona (S. Agost.). – « Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? » (Rom. VIII, 31). – Non c’è che una parola da dire … « Io sono », e tutti i nostri nemici cadranno all’indietro.

II — 7-11.

ff. 7-11. –  L’unico desiderio, l’oggetto unico del Re-Profeta, è di abitare nella casa di Dio, di conversare con Dio, di gioire delle dolcezze inseparabili dal servizio di Dio. Egli non divide affatto le sue affezioni tra Dio e il mondo, tra Dio e le sue passioni; egli non riserva alcun giorno all’ambizione, ai piaceri, alle cure nell’aumentare la sua fortuna, le sue ricchezze, ma tutto è donato a Dio (Berthier). – L’unico desiderio del Cristiano, è la ricerca unica alla quale tutti devono tendere. C’è una sola cosa necessaria, e qual è questa unica cosa? … È abitare nella casa del Signore. In questa vita passeggera ci si serve del termine di « casa »; ma a propriamente parlare, non bisognerebbe servirsi se non del termine di « tenda ». La tenda conviene al viaggiatore, al soldato in campagna, a colui che combatte un nemico. Quando dunque noi abitiamo una tenda in questa vita, è manifesto che abbiamo un nemico da combattere. Noi abbiamo quindi quaggiù una tenda, ed in alto una casa (S. Agost.). – « … Tutti i giorni della mia vita », non dei giorni che potrebbero finire, ma dei giorni eterni. I giorni della vita presente sono piuttosto una morte che una vita, ma i giorni della vita eterna sono come gli anni di Dio che non finiranno mai, questi giorni non sono in realtà che uno stesso giorno che non tramonta mai (S. Agost.). – Nelle abitazioni terrene gli uomini cercano diverse gioie e piaceri vari; ognuno vuole abitare una casa nella quale nulla turbi la sua anima, ma ove al contrario tutto lo rallegri, e se le cose che lo affascinano vengono eliminate, vuole ad ogni costo cambiare casa … Ed il profeta ci dice cosa desidera fare in questa casa: … contemplare le gioie del Signore. Che il nostro cuore si elevi più in alto di tutte le cose ordinarie; che il nostro spirito si elevi più in alto di tutti i pensieri che ci sono abituali e che sono nati dai desideri del nostro corpo … Se arriva un pensiero che non ecceda la nostra intelligenza, dite: la non c’è il cielo; perché se ci fosse il cielo, io non sarei stato capace di concepire questa idea. È così che bisogna desiderare il bene, ma quale bene? Il bene per il quale tutte le cose sono buone, il bene dal quale deriva tutto ciò che è buono. Tale è la gioia del Signore che noi saremo ammessi a contemplare senza che ci circonda nessuna suggestione, senza che alcuna potenza si allontani da noi, senza che alcun nemico vi si opponga (S. Agost.). – Perché il Signore ci fa questa grazia nell’eternità? « … Perché nel giorno della sciagura Egli mi ha messo al riparo nel segreto della sua dimora ». La vita presente forma i giorni delle nostre avversità. Come Colui che mi ha guardato con misericordia mentre ero lontano da Lui, non mi renderà felice quando sarò presso di Lui? Colui che ha dato una tale dimostrazione di protezione al viaggiatore esiliato, lo abbandonerà forse al termine del viaggio? (S. Agost.). – Gli antichi favori di Dio ci danno il diritto di attenderne di nuovi. – Mentre agli uomini, dopo aver ricevuto un beneficio, non bisogna subito chiederne un altro, al fine di danneggiare il proprio credito e rendersi inopportuno; con Dio invece, noi possiamo dire in tutta verità, … Egli mi proteggerà, perché Egli mi ha già protetto. Dio aveva nascosto e protetto Davide nell’interno del suo tabernacolo, perché lo aveva sottratto al furore dei suoi nemici, ed aveva assicurata la sua anima contro tutti i danni ai quali questo santo re fosse esposto. Questo segreto del tabernacolo è ancora aperto a tutti i perseguitati e ai sofferenti. Nel tempo della tempesta, essi si ritirano nella presenza del Signore, e ricorsi alla preghiera, ne escono non solo consolati, ma pieni di forza contro tutti i nemici della salvezza (Berth., Applic. à l’Euch.). – Noi immoliamo un’ostia di giubilazione, un sacrificio di azione di grazia che ci è impossibile spiegare con le nostre parole; noi l’immoliamo, ma dove? Nel suo tabernacolo, nella Santa Chiesa. Cosa immoliamo dunque? Una gioia immensa ed inenarrabile, che nessuna parola, nessuna voce può descrivere. Tale è l’ostia di giubilazione. Ma dove la si cerca? Dove la si trova? Percorrendo ogni cosa. « Io ho percorso ogni cosa, dice il Profeta, ed ho immolato nel suo tabernacolo un’ostia di giubilazione ». Che il vostro spirito percorre la creazione intera, ed ogni parte della creazione vi griderà: è Dio che mi fatto! Ciò che vi affascina nell’opera, è vanto dell’operaio, e più percorrete l’universo in tutti i sensi, più questo esame manifesta ai vostri occhi la gloria del suo Autore. Voi considerate i cieli, essi sono le grandi opere di Dio, voi considerate la terra, è Dio che ha creato queste numerose semenze, questi germi di infinita varietà, questa moltitudine di animali. Percorrete i cieli e la terra, non omettete alcunché: da ogni luogo, tutte le cose proclamano davanti a voi il loro Autore, e le creature di tutte le specie sono come tante voci che lodano il Creatore. Ma chi potrebbe dipingere la creazione intera? Chi potrebbe farne l’elogio che merita? E se il linguaggio dell’uomo è così ridotto all’impotenza quando si tratta delle creature di Dio, cosa può nei riguardi del Creatore? La parola viene meno e all’uomo non resta che l’emozione della sua gioia (S. Agost.).

III. — 12-20.

ff. 12. – Nella preghiera, soprattutto nell’orazione, è il cuore che deve parlare, che deve dire, come si esprime il Re-Profeta. È l’occhio dell’anima che deve cercare. Questo linguaggio del cuore, è il solo degno di essere ascoltato da Dio. La preghiera vocale senza il grido del cuore, non è che un suono che batte l’aria; ma il grido del cuore, senza parole, è una vera preghiera, è il nodo del santo rapporto che l’uomo deve intrattenere con Dio (Berthier).

ff. 13. Se la nostra gioia fosse posta nel sole che rischiara questo mondo, non sarà il nostro cuore a dire: « Io ho cantato la vostra lode »; per questo ci sarebbero gli occhi del nostro corpo.A Chi il nostro cuore dice: « … io ho cercato il vostro volto », se non a Colui che possono vedere gli occhi del nostro cuore? Gli occhi del corpo ricercano la luce del sole, gli occhi del cuore la luce di Dio. Ma voi volete vedere questa luce che contemplano gli occhi del cuore, perché questa luce è Dio stesso; perché Dio è luce, dice San Giovanni, e in Lui non ci sono tenebre (Giov. I, 5). – Volete dunque vedere questa luce? Purificate l’occhio che può contemplarla; perché sono beati coloro il cui cuore è puro, perché essi vedranno Dio (Matt. V, 8). (S. Agost.).

ff. 14. –  C’è una sorta di progresso nelle espressioni di cui si serve il Profeta. Dio nasconde il suo volto quando cessa di irradiare i raggi della sua luce; Egli monta in collera quando non parla più al cuore dell’uomo, Egli lo abbandona quando lo lascia in preda alle sue passioni, Egli lo allontana e lo rigetta quando lo prova senza ritorno, quando lo toglie cioè da questo mondo per fargli provare le sue vendette nell’altra vita. I peccatori non si accorgono del loro stato deplorevole se non al momento di questa ultima catastrofe, e quando non c’è oramai più tempo per implorare la misericordia divina (Berthier). – Non c’è altra terra dei viventi che il cielo, non c’è altro libro dei viventi che il libro della predestinazione; ed ancora, non c’è altro Dio dei viventi se non il vero Dio il cui regno è eterno (Idem).

ff. 15. –  Noi abbiamo domandato a Dio solo una cosa, di abitare nella sua casa tutti i giorni della nostra vita, di contemplare le sue delizie, di vederlo faccia a faccia. Noi siamo sulla strada per arrivare a tanto; ma se Dio ci abbandona, la rovina ci assalirà lungo il cammino, e noi ci arresteremmo senza camminare più: Voi siete il mio aiuto, non mi abbandonate, etc. (S. Agost.).

ff. 16. –  Il Re-Profeta si fa un figlio di Dio, fa di Dio suo padre, fa di Dio sua madre. Dio è suo padre perché Egli lo ha creato, perché lo chiama, perché gli da dei comandi, perché lo dirige. Dio è sua madre perché lo tiene nelle sue braccia, lo nutre, lo allatta, lo porta nel suo seno. « Mio padre e mia madre mi hanno abbandonato, etc. ». I genitori mortali hanno generato dei figli, dei figli mortali sono succeduti ai genitori mortali, affinché coloro che li hanno generato morissero; Colui che mi ha creato non morirà affatto, ed io non mi separerò mai da Lui (S. Agost.). –È triste l’abbandono in cui i genitori lasciano l’anima dei loro figli nell’età in cui essi avrebbero tanto bisogno di essere illuminati, sostenuti, guidati meno ancora che dalle istruzioni, bensì con degli esempi viventi di religione, di pietà, di virtù. Quale gioia per noi aver ricevuto nel nostro Battesimo Dio come padre, e per madre la Chiesa Cattolica, nel seno della quale noi siamo stati posti, per apprendervi le verità della salvezza e le massime della vera pietà! – Abbiamo lo spirito ed il cuore di un bambino celeste, staccato dalla terra dalla sua nascita novella, animato dallo spirito di adozione divina, e da una docilità, da una sottomissione assoluta a Colui che è il Padre degli spiriti, affinché noi viviamo (Ebr. XII, 9). – È dall’abbandono totale da parte delle creature, che appare la fede dei servitori di Dio. È allora che l’uomo di fede esclama con S. Agostino: « … mi si tolgano le cose che Dio mi aveva dato, ma non mi si tolga Dio che me le aveva date ». È allora che Dio pure raccoglie i suoi servitori, e si dichiara Dio e Padre, il divino amico dei solitari e degli abbandonati.

ff. 17. – Il Profeta desidera essere condotto lungo le vie della giustizia, a causa dei suoi nemici. Il gran numero di nemici invisibili che incessantemente tendono insidie per farci uscire dal sentiero della giustizia che conduce dritto alla vita, è un motivo potente per chiedere più ardentemente a Dio la sua luce alfine di farci conoscere la sua volontà e la sua grazia per metterla in esecuzione.

ff. 18. – Come gli uomini sono liberati dalla volontà di coloro che li affliggono? « perché i testimoni dell’iniquità si sono levati contro di noi ». Siccome sono dei testimoni mendaci, se io sono legato alla loro volontà, io mentirò con essi e diverrò come uno di loro, non partecipando più alla vostra verità, ma alla loro menzogna. Al contrario, quando essi esercitano secondo volontà il loro furore contro di me, e si sforzano di ostacolare il mio cammino; se non mi abbandonate alla loro volontà e conseguentemente mi offrirò ai loro desideri, io resterò fermo, sarò nella vostra verità e l’iniquità avrà mentito a suo detrimento e non al mio (S. Agost.). – Testimoni ingiusti, sono una tentazione pericolosa da cui si può chiedere a Dio di essere preservati. Volendo perderci, questi testimoni di iniquità perdono se stessi, e la loro menzogna ricade su di loro.

ff. 19. –  È nei mali, nelle persecuzioni da cui il Re-Profeta è assediato, che si trovano i pegni certi che lo rassicurano, per un’altra vita, al possesso dei beni del Signore, per cui ha avuto una conoscenza chiara e distinta dei beni eterni che contempla come se avesse davanti agli occhi il cielo aperto; perché la sua ragione e la sua fede gli dicono dal fondo all’anima che questi mali, queste persecuzioni, sono contrarie ad ogni giustizia, dalla Provvidenza di Dio egli ebbe, per l’avvenire, un altro stato in cui la sua innocenza fu riconosciuta e la sua pazienza glorificata (S. Agost.). – Egli ritorna ancora alla sola cosa che ha domandato: dopo questo pericolo, dopo questi travagli, dopo queste difficoltà, agitato, affannato, sfinito tra le mani di quelli che lo perseguitano e lo affliggono, è fermo e pieno di sicurezza, perché il Signore lo ha preso in adozione, perché il Signore è suo aiuto, perché il Signore lo conduce, perché il Signore lo dirige; dopo l’esame di tutte le cose e di questo sacrificio di giubilo, dopo i trasporti della sua allegria, dei suoi gemiti nelle pene, infine respira ed esclama: « Io credo fermamente che vedrò i beni del Signore ». O beni deliziosi, immortali, incomparabili, eterni, immutabili! E quando vi vedrò, o beni del Signore? Io vi vedrò, ma non sarà in questa terra dei mortali, ma nella terra dei viventi (S. Agost.). – Non c’è altra terra dei viventi se non il cielo, così come non c’è altro libro dei viventi che il libro della predestinazione; e non c’è altro Dio dei viventi se non il vero Dio, il cui regno è eterno.

ff. 20. – Dio differisce ma non negherà il compiersi della sua promessa. « Attendere il Signore » … voi non attendete qualcuno che possa ingannare, né che possa ingannarsi, o che non saprà prendere, per darlo, ciò che ha promesso. Voi avete la promessa di colui che è Onnipotente, la promessa di Colui che è infallibile, la promessa di Colui che è verace. « … Attendo il Signore, agisco con coraggio ». A colui che lo insidia ha fatto perdere la pazienza e lo fatto diventare debole come una donna, facendogli perdere ogni vigore, « Attendo il Signore », e nell’aspettarlo, lo possederete, possederete cioè Colui che aspettate. Desiderate qualcos’altro se potete mai trovare qualcosa di più grande, di meglio, di più dolce! (S. Agost.).