I SERMONI DEL CURATO D’ARS: “SUL SERVIZIO DI DIO”

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: “SUL SERVIZIO DI DIO”

(Discorsi di s. G. B. M. VIANNEY Curato d’Ars – vol. IV, 4° ed. Torino, Roma; Ed. Marietti, 1933)

Sul servizio di Dio.

Quærite primum regnum Dei et justitiam ejus.

(MATTH. VI, 83).

S. Matteo narra che Gesù Cristo essendosi trovato un giorno con alcuni i quali s’occupavano troppo di cose temporali, disse loro: “Non v’inquietate tanto per queste cose; cercate anzitutto il regno di Dio e la sua giustizia, tutto il resto vi sarà dato con abbondanza;„ e voleva dire con ciò che se avevano la bella sorte di metter tutte le loro cure nel piacere a Dio e salvare l’anima propria, il Padre suo procurerebbe ad essi quanto sarebbe stato necessario pei bisogni del corpo. — Ma, direte, come possiamo cercare il regno dei cieli e la sua giustizia? — Come, Fratelli miei? Niente di più facile e consolante: dandovi al servizio di Dio, che è il solo mezzo per conseguire quel fine nobile e beato pel quale siamo stati creati. Sì, F. M., lo sappiamo tutti, ed anche i più grandi peccatori ne sono convinti, noi siamo al mondo solo per servire Iddio, e fare quanto ci comanda. — Ma, domanderete, perché sono così pochi quelli che lavorano a questo fine? — P. M., eccolo: gli uni riguardano il servizio di Dio come cosa troppo difficile: credono di non avere abbastanza forza per intraprenderlo, o immaginano che dopo averlo intrapreso, non potranno perseverare. Ecco precisamente, F. M., ciò che scoraggia e trattiene gran parte di Cristiani. – Invece di ascoltare queste consolanti parole del Salvatore, che non può ingannarci, e ci ripete che il suo servizio è dolce e gradevole, che attendendovi vi troveremo la pace delle anime nostre e la gioia dei nostri cuori (Matt. XI, 29, 30). Ma a farvelo meglio comprendere, vi mostrerò quale dei due conduce una vita più dura, più triste e più penosa: se chi adempie i suoi doveri di religione con fedeltà, o chi li abbandona per seguire il piacere e le passioni, per vivere a suo capriccio.

I . — Sì, F. M., da qualsiasi lato consideriamo il servizio di Dio, che consiste nella preghiera, nella penitenza, nel frequentare i Sacramenti, nell’amore di Dio e del prossimo ed in una intera rinuncia a noi stessi; sì, F. M., non troviamo in tutto ciò che gioie, consolazioni, felicità pel presente e per l’avvenire, come vedrete. Chi conosce la sua religione e la pratica, sa che le croci e le persecuzioni, il disprezzo, i patimenti, ed infine la povertà e la morte si cambiano in dolcezze, in consolazioni, e nella ricompensa eterna. Ditemi, non ve ne siete mai fatta un’idea sensibile? No, senza dubbio. Eppure, F. M., la cosa sta come vi dico; e per dimostrarvelo in modo che non possiate dubitarne, ascoltate Gesù Cristo medesimo: “Beati i poveri, poiché di loro è il regno de’ cieli: guai ai ricchi, perché è assai difficile che i ricchi si salvino „ (Luc. VI, 25) Vedete adunque, secondo Gesù Cristo, che la povertà non deve renderci infelici, poiché il Salvatore ci dice: “Beati i poveri„. In secondo luogo non sono le sofferenze, né i dolori, che ci rendono infelici; poiché Gesù Cristo ci dice : “Beati quelli che piangono e che sono perseguitati, perché un giorno saranno consolati (Matt. V, 3); ma guai al mondo e ad ai gaudenti, perché la loro gioia si cambierà in lagrime e tristezza eterna. „ (Luc. VI, 25). – In terzo luogo, non è l’essere disprezzati che può farci infelici; poiché Gesù Cristo ci dice: “Hanno disprezzato me, e disprezzeranno anche voi; hanno perseguitato me, e perseguiteranno anche voi; ma lungi dal rattristarvi, rallegratevi, perché una grande ricompensa vi attende in cielo „ Ditemi, F. M., che cosa potrà ora rispondere quel poverello che mi dice d’essere disgraziato, e mi domanda come potrà salvarsi in mezzo a tante persecuzioni, calunnie e ingiustizie che gli si fanno? No, no, F. M., diciamolo pure: niente può rendere l’uomo infelice quaggiù, quanto la mancanza di religione; e nonostante tutti i dolori che può provare quaggiù, se vuol consacrarsi al servizio di Dio, non mancherà di essere felice. – Ho detto, F. M., che chi si dona a Dio è più felice che le persone del mondo quando tutto riesce a seconda dei loro desiderii; anzi vediamo che molti santi non desideravano che la felicità di soffrire: ne abbiamo un bell’esempio in S. Andrea. Si racconta nella sua vita (Vedi Ribadenora, al 30 Novembre. Da questo autore il Beato ha preso il racconto del martirio del santo Apostolo e molti altri tratti della vita dei Santi che ricorda) che Egeo, governatore della città, vedendo che S. Andrea colle sue prediche rendeva deserti i templi dei falsi dèi, lo fece arrestare. Condotto davanti al tribunale, gli disse con aria minacciosa: “Sei tu, che fai professione di distruggere i templi dei nostri dèi, annunciando una religione affatto nuova?„ S. Andrea gli rispose: “Non è nuova, essa ha cominciato col mondo. „ — ” O rinunci al tuo crocifisso, o ti farò morire in croce come Lui. „ — « Noi cristiani, gli rispose S. Andrea, non temiamo i patimenti, ossi formano la nostra maggior letizia sulla terra; più saremo stati conformi a Gesù Cristo crocifisso, più saremo gloriosi in cielo; ti stancherai prima tu di farmi soffrire, che non io di soffrire. „ Il proconsole lo condannò a morire in croce, ma per rendere il suo supplizio più lungo, ordinò di non inchiodarlo, ma di legarlo solo con corde. S. Andrea provò tanta gioia d’essere condannato a morire in croce, come Gesù Cristo, il suo divino Maestro, che vedendo due mila uomini che venivano ad assistere alla sua morte, quasi tutti piangenti, temendo di venir privato della sua felicità, alzò la voce a scongiurarli, per grazia, di non ritardare il suo martirio. Vista da lungi la croce alla quale doveva venir appeso, in un trasporto d’allegrezza esclamò: “Io ti saluto, Croce veneranda, che fosti consacrata ed abbellita dal contatto del Corpo adorabile di Gesù Cristo, mio divin Salvatore! O Croce santa! o Croce tanto desiderata! o Croce amata con tanto ardore! O Croce che ho cercato e sospirato con tanto zelo e senza stancarmi mai! tu soddisfi tutti i voti del mio cuore! O Croce diletta, ricevimi dalle mani degli uomini per rimettermi in quelle di Dio, affinché io passi dalle tue braccia in quelle di Colui che mi ha redento. „ L’autore che ne scrisse la vita, ci dice che essendo ai piedi della croce per esservi legato, non cambiò di colore, i capelli non gli si drizzarono sul capo, come accade ai rei, non gli tremò la voce, il sangue non gli si agghiacciò nelle vene, non fu nemmeno preso dal minimo tremito; ma si vedeva invece che il fuoco della carità, che ardeva nel suo cuore, gli faceva uscire fiamme di ardore dalla bocca. Quando fu vicino alla croce, si spogliò da solo, e donò le sue vesti ai carnefici; montò senz’aiuto d’alcuno sul palco dov’era rizzata. Tutto il popolo, erano circa duemila persone, vedendo S. Andrea appeso alla croce, esclamò che era ingiustizia far soffrire un uomo così santo, e corse al pretorio per mettere a brani il proconsole, se non lo faceva slegare. S. Andrea vedendolo da lontano, esclamò: ” O Egeo, che vieni a far qui? se vieni per imparare a conoscere Gesù Cristo, sia pure; ma se vieni per farmi distaccare, non avanzarti: sappi che non arrivi in tempo, ed io ho la consolazione di morire pel mio divin Maestro! Ah! veggo già il mio Dio, l’adoro con tutti i beati. „ Malgrado questo, il governatore volle farlo distaccare, temendo che il popolo desse a lui medesimo la morte; ma fu impossibile distaccarnelo: a misura che s’avvicinavano per slegarlo, mancavano loro le forze, restando immobili. Allora S. Andrea esclamò alzando gli occhi al cielo: ” Mio Dio, ti domando la grazia di non permettere che il tuo servo, crocifisso per la confessione del tuo nome, abbia l’umiliazione d’esser liberato per ordine di Egeo. Mio Dio! tu sei il mio Maestro, tu sai che non ho cercato e desiderato altro che te. „ Terminate queste parole, si vide una luce in forma di globo che avvolse tutto il suo corpo, e sparse un profumo che ricreò tutti gli astanti, e nel medesimo momento l’anima sua volò all’eternità. Vedete, F. M.? chi conosce la religione e si è fermamente dato al servizio di Dio, non considera le sofferenze come disgrazie, ma le desidera e riguarda come beni inestimabili. – Sì, F. M., anche quaggiù, chi ha la fortuna di darsi a Dio, è più felice che non il mondo con tutti i suoi piaceri. Ascoltate S. Paolo: « Sì, ci dice io sono più felice nelle mie catene, nelle prigioni, nel disprezzo e nei patimenti, che non i miei persecutori nella loro libertà, nell’abbondanza dei beni, nelle gozzoviglie. Il mio cuore è ripieno di gioia, e non può trattenerla, essa trabocca d’ogni parte. „ (II Cor. VII, 4), Sì, senza dubbio, F . M., S. Giovanni Battista è più felice nel suo deserto, privo d’ogni soccorso umano, che Erode sul suo trono, sepolto fra le ricchezze e nei godimenti delle sue infami passioni. S. Giovanni è nel deserto, conversa famigliarmente con Dio, come un amico coll’amico, mentre Erode è divorato da un segreto timore di perdere il suo regno, ciò che lo induce a far trucidare tanti poveri bambini (Matt. II, 16). Vedete ancora Davide : non è egli più felice quando fugge la collera di Saul, quantunque costretto a passare le notti nelle foreste ( I Reg. XXIII); tradito ed abbandonato dai suoi migliori amici, ma unito al suo Dio e abbandonato in Lui con intera confidenza, non è egli più felice di Saul in mezzo a’ suoi beni e nell’abbondanza delle ricchezze e dei piaceri? Davide benedice il Signore perché prolunga i suoi giorni e gli dà tempo di soffrire per suo amore, mentre Saul maledice la vita e diventa suo proprio carnefice (ibed. XXXI). Perché ciò, F. M.? Ah! perché l’uno si dà al servizio di Dio, e l’altro lo trascura. Che cosa dobbiamo concludere da tutto ciò, F. M.? Questo solo, che né i beni, né gli onori, né le vanità possono rendere l’uomo felice sulla terra; ma solo l’attendere al servizio di Dio, quando abbiamo la fortuna di conoscerlo e di compierlo fedelmente. Quella donna, non curata dal marito, non è dunque infelice perché egli la disprezza, ma perché non conosce la religione, o non pratica ciò che essa le impone. Insegnatele la religione, e vedrete che, da quando la praticherà, cesserà di lamentarsi e di credersi sfortunata. Oh! come l’uomo sarebbe felice, anche sulla terra, se conoscesse la religione, ed avesse la ventura di osservare quanto essa ci comanda, e considerasse quali beni essa ci promette nell’altra vita! Oh! qual potere ha presso Dio chi lo ama e lo serve con fedeltà. Davvero, F. M.! Una persona disprezzata dal mondo, e che sembra non meriti che d’essere schiacciata sotto i piedi, vedetela divenir padrona della volontà e della potenza di Dio. Vedete Mosè, che obbliga il Signore aperdonare atrecento mila uomini colpevoli (Es. XXXII, 31); vedete Giosuè che comanda al sole di arrestarsi, ed il sole s’arresta immobile (Gios. X, 12): ciò che non era mai accaduto e che forse mai più avverrà. Vedete gli apostoli: sol perché amavano Dio, i demoni fuggivano davanti a loro, gli zoppi camminavano, i ciechi riacquistavano la vista, i morti risuscitavano. Vedete S. Benedetto che comanda alle rupi d’arrestarsi nella loro caduta, ed esse restano sospese nell’aria; vedetelo moltiplicare i pani, far sgorgare l’acqua dalle rocce, e rendere le pietre ed il legno leggieri come una paglia (Ribad. al 21 marzo). Vedete S. Francesco da Paola che comanda ai pesci di venir ad ascoltare la parola di Dio, ed essi accorrono alla sua voce con tutta prestezza e applaudono alle sue parole (Questo miracolo è narrato nella vita di S. Antonio da Padova, ma per quanto sappiamo, non in quella di san Francesco da Paola). – Vedete S. Giovanni che comanda agli uccelli di tacere ed essi obbediscono (Questo miracolo è raccontato nella vita di S. Francesco d’Assisi). Vedetene altri che attraversano i mari senza mezzo alcuno (Per esempio S. Raimondo di Peñafort e S. Francesco da Paola, citato più sopra. — Per questi fatti vedi nel Bibadeneira le vite di questi santi). Ebbene! confrontateli ora con tutti gli empi ed i grandi del mondo pieni di brio, di scienza presuntuosa: di che sono capaci? di niente: e perché? Perché non sono fedeli al servizio di Dio. Oh! chi conosce la religione e osserva tutto ciò che essa comanda, quanto è potente e felice insieme! Ahimè! F. M., chi vive a seconda delle proprie passioni ed abbandona il servizio di Dio, quanto è sventurato! egli è capace di fare ben poca cosa! Mettete un esercito di centomila uomini vicino ad un morto, e che tutti impieghino la loro potenza per risuscitarlo: no, no, F. M., non risusciterà mai; ma che una persona sprezzata dal mondo ed amica di Dio comandi a questo morto di ritornare alla vita, e subito lo vedrete rialzarsi e camminare. Ne abbiamo altre prove ancora (Mettete tutti questi imperatori, come Nerone, Massimiano, Diocleziano… Vedete Elia: era solo a far discendere il fuoco dal cielo sul sacrificio, ed i sacerdoti di Baal erano cinquecento. – Nota del Beato).

1. Se per servire il buon Dio bisognasse esser ricchi od istruiti, molti non lo potrebbero fare. Ma no, F. M., la gran scienza e la gran ricchezza non sono affatto necessarie per servire Dio; al contrario, assai spesso sono a ciò di grande ostacolo. Sì, F . M..  siamo ricchi o poveri, dotti o ignoranti, in qualsiasi stato ci troviamo, possiamo piacere a Dio e salvarci: e S. Bonaventura appunto ci dice che lo possiamo: “in qualsiasi stato o condizione ci troviamo. „ – Ascoltatemi un momento, e vedrete che il servizio di Dio non può che consolarci e renderci felici in mezzo a tutte le miserie della vita. Per esso non dovete lasciar né i beni, né i parenti, né gli amici, tranne che vi siano causa di peccato; non occorre che passiate i vostri giorni in un deserto a piangervi le vostre colpe; fosse anche necessario, dovremmo esser felici di aver un rimedio ai nostri mali; ma no: un padre ed una madre di famiglia possono servire Dio vivendo coi loro figli, educandoli cristianamente; undomestico può facilmente servire Dio ed il suo padrone, nulla lo impedisce; anzi il suo lavoro, e l’obbedienza che deve ai suoi padroni divengono occasione di merito. No, F. M., il modo di vivere servendo Dio non muta niente in ciò che facciamo; al contrario servendo Dio facciamo meglio le nostre azioni; siamo più assidui ed attenti nell’adempire i doveri del nostro stato; siamo più dolci, più benevoli, più caritatevoli; più sobri nei pasti, più riservati nelle parole; meno sensibili alle perdite che subiamo ed alle ingiurie che riceviamo; cioè, F. M., quando ci diamo al servizio di Dio, compiamo assai meglio le azioni nostre, operiamo in maniera più nobile, più elevata, più degna d’un Cristiano. Invece di affaticarci per ambizione, per interesse, noi lavoriamo solo per piacere a Dio, che ce lo comanda, e per soddisfare la sua giustizia. Invece di far un servigio od un’elemosina al prossimo per orgoglio, per essere considerati, noi la facciamo solo per piacere a Dio, e redimere i nostri peccati. Sì, F. M., ancora una volta, un Cristiano che conosce la religione e la pratica, santifica tutte le sue azioni, senza nulla mutare di quanto fa; e senza nulla aggiungervi, tutto diviene per lui causa di merito pel cielo. Ebbene, F. M.! ditemi, se aveste ben pensato che fosse così dolce e consolante servire il buon Dio, avreste potuto vivere come avete fatto sinora? Ah! F. M., qual rimorso al punto di morte, quando vedremo che se ci fossimo dati al servizio di Dio, avremmo guadagnato il cielo, compiendo solo quanto abbiamo fatto! Mio Dio! quale sventura per chi si troverà nel numero di questi ciechi! Ora, vi domanderò, è l’esteriorità della religione ohe vi sembra ripugnante e troppo difficile? Forse la preghiera, le funzioni sacre, i giorni di astinenza, il digiuno, la frequenza ai Sacramenti, la carità verso il prossimo? Ebbene! vedrete che in ciò non v’è nulla di penoso come avete creduto.

1° Anzitutto è forse penosa la preghiera? o non è invece essa il momento più felice della nostra vita? Non è per la preghiera che conversiamo con Dio, come un amico coll’amico? Non è in questo momento che incominciamo a fare ciò che faremo cogli Angeli in cielo? Non è per noi una fortuna troppo grande che, miserabili come siamo, Dio, così eccelso, ci soffra alla sua santa presenza, e ci metta a parte, con tanta bontà, d’ogni sorta di consolazioni? Del resto, non è Lui che ci ha dato quanto abbiamo? Non è giusto che l’adoriamo e l’amiamo con tutto il nostro cuore? Non è dunque il momento più felice della nostra vita quello dell’orazione, giacché vi troviamo tante dolcezze? E forse cosa penosa offrirgli tutte le mattine, le nostre preghiere e le nostro azioni, affinché le benedica, e ce ne ricompensi nell’eternità? È forse troppo il consacrargli un giorno ogni settimana? Non dobbiamo al contrario veder arrivare questo giorno con grande piacere; poiché in esso impariamo i doveri che dobbiamo adempiere verso Dio e verso il prossimo, e ci si fa concepire così gran desiderio dei beni dell’altra vita, che ci induce a disprezzare ciò che è veramente spregevole? Non è nelle istruzioni, che impariamo a conoscere la gravità delle pene che il peccato merita? Non ci sentiamo noi spinti a non più commetterlo, per evitare i tormenti che gli sono riservati? Mio Dio! quanto poco l’uomo conosce la sua felicità!

2° Inoltre: forse vi ripugna la confessione? Ma, amico mio, si può avere più bella sorte che vedere in meno di tre minuti cambiata una eternità sventurata in una eternità di piaceri, di gioie, di felicità? Non è la confessione che ci rende l’amicizia del nostro Dio? Non è la confessione che ci libera da quei rimorsi della coscienza, che ci straziano senza posa? Non è essa che ridona la pace all’anima nostra, e le dà novella speranza di raggiungere il cielo? Non è in questo momento che Gesù Cristo sembra spiegare le ricchezze della sua misericordia sino all’infinito? Ah! F. M., senza questo Sacramento , quanti dannati di più e quanti santi di meno!… Oh! i santi del cielo quanto sono riconoscenti a Gesù Cristo d’aver istituito questo Sacramento!

3° In terzo luogo, F. M., forse i digiuni i prescritti dalla Chiesa vi fanno trovare pesante il servizio di Dio? Ma la Chiesa non ve ne comanda più di quanti ne possiate fare. Del resto, F. M., se li consideriamo cogli occhi della fede, non è per noi gran ventura potere con piccole privazioni evitare le pene del purgatorio, che sono tanto rigorose? Eppure, F.M., quanti si condannano a digiuni ben più rigidi per conservare la sanità ed appagare il loro amore pei divertimenti o accontentare la loro golosità! Non si vedono giovani donne abbandonare i figli in mano ad estranei, ed anche la casa? Non se ne vedono altre passare le intere notti all’osteria in mezzo ad ubbriachi, ad avvinazzati, dove non ascoltano altro che sconcezze ed oscenità? Non si vedono vedove le quali sciupano i pochi giorni che loro rimangono e che dovrebbero invece consacrare a piangere le pazzie di loro gioventù… non se ne trovano talune che si abbandonano da ogni sorta di vizi, come persone che hanno d’improvviso perduto il senno? costoro sono di scandalo ad una intera parrocchia. Ah! F. M., se per Iddio si facesse quanto si fa per il mondo, quanti Cristiani andrebbero in cielo!… Ahimè! F. M., se doveste stare tre o quattro ore in chiesa a pregare, come le passate al ballo od all’osteria, quanto vi sembrerebbero lunghe!… Se doveste fare parecchie miglia per ascoltare una predica, come si fanno per divertirsi o per conseguire qualche guadagno, ah! F. M, quanti pretesti, quante scuse si cercherebbero per non andarvi! Ma, per il mondo, niente è pesante; e di più non si teme di perdere Dio, l’anima, il cielo. Ah! F. M., Gesù Cristo aveva dunque ben ragione quando diceva che i figli del secolo si danno maggior premura di servire il loro padrone, il mondo, che non i figli della luce per servire il loro padrone, il Signore (Luc. XVI, 8). Ahimè! F. M., diciamolo a nostra vergogna, non fanno paura le spese e neppure i debiti quando si tratta dei propri piaceri: ma per un povero che cerca qualche cosa non si ha nulla; ecco come va la cosa: si ha tutto per il mondo e nulla per Iddio, perché si ama il mondo, e Dio non è da noi affatto amato. – Ma qual è la causa, F. M., per cui abbandoniamo il servizio di Dio? Eccola. Noi vorremmo poter servire Dio ed il mondo insieme: cioè poter unire l’ambizione e l’orgoglio coll’umiltà, l’avarizia collo spirito di distacco che il Vangelo ci comanda; bisognerebbe poter confondere insieme la corruzione colla santità della vita o, a dir meglio, il cielo coll’inferno. Se la religione comandasse, od almeno permettesse l’odio e la vendetta, la fornicazione e l’adulterio, saremmo tutti buoni Cristiani; tutti sarebbero figli fedeli della loro religione. Ma per servire Iddio è impossibile potersi comportare così; bisogna assolutamente essere tutti di Dio, o non appartenergli punto. – Sebbene abbia detto, F. M., che tutto è consolante nella nostra santa religione, e questo, è verissimo, debbo anche aggiungere che dobbiamo fare del bene a chi ci fa del male, amare chi ci odia, conservare la riputazione dei nostri nemici, difenderli quando vediamo che altri ne parla male; ed invece di desiderar loro il male, dobbiam pregare Dio che li benedica. Lontani dal mormorare quando Dio ci manda qualche afflizione, qualche dolore, dobbiamo ringraziarlo, come il santo re Davide, che baciava la mano che lo castigava (II Reg. XVI, 12) La nostra religione vuole che passiamo santamente il giorno di festa, lavorando a procurarci l’amicizia di Dio, se per disgrazia non la possediamo; vuole che consideriamo il peccato come il nostro più crudele nemico. Ebbene! F. M., questo ci sembra la cosa più dura e faticosa. Ma, ditemi, non è un procurare con ciò la nostra felicità sulla terra e per l’eternità? Ah! F. M., se conoscessimo la nostra santa Religione, ed il gusto che si prova praticandola, quanto ci sembrerebbe cosa da poco! quanti santi hanno fatto più di quello che Dio da loro richiedeva per dare ad essi il cielo! Essi ci hanno detto che una volta gustate le dolcezze e le consolazioni che si provano nel servizio di Dio, è impossibile lasciarle per servire il mondo coi suoi piaceri. Il santo re Davide ci dice che un giorno solo passato nel servizio di Dio, vale assai più di mille che i mondani passano nei piaceri e nelle cose profane (Ps. LXXXIII, 10)

II. — Ditemi, chi di noi vorrebbe servire il mondo, se avessimo la felicità, la grande felicità di comprendere tutte le miserie che vi si incontrano, cercando i suoi piaceri, ed i tormenti che si preparano per l’eternità? Mio Dio! Quale cecità è la nostra di perdere tanti beni, anche in questo mondo, e molto più nell’eternità! E ciò per piaceri che sono soltanto apparenti, per gioie miste a tanti dolori e a tante tristezze! Infatti, chi vorrebbe servir Dio, se fosse necessario soffrire tanto e sopportare tante molestie, mortificazioni, strazi del cuore, quanti se ne sopportano pel mondo? Vedete uno che si è prefisso di accumulare ricchezze: né venti, né pioggia lo trattengono; soffre ora la fame, ora la sete, ora le intemperie; giunge talora fino ad arrischiare la vita e perdere la riputazione. Quanti vanno di notte a rubare, esponendosi al pericolo di essere uccisi e di perdere la stima, essi e la loro famiglia. E senza andar tant’oltre, F. M., vi costerebbe di più in tempo delle funzioni essere in chiesa ad ascoltar con rispetto la parola di Dio, o starvene fuori a chiacchierare di interessi temporali o di cose da nulla? Non sareste più lieti di assistere ai Vespri, quando si cantano, che restare in casaad annoiarvi, mentre si cantano le lodi di Dio? – Ma, direte, bisogna farsi delle violenze quando si vuol servire a Dio. — Ebbene, vi dirò che molto meno si soffre servendo Dio colla sua croce che seguendo il mondo con i suoi piaceri, le sue passioni; e ve lo mostro. Forse penserete che è difficile perdonare una ingiuria ricevuta; ma, ditemi, chi soffre più dei due, chi perdona prontamente e di buon cuore per amor di Dio, o chi nutre sentimenti di odio per due o tre anni contro il suo prossimo? Non è questo per lui un verme che lo rode e divora continuamente, che spesso gli impedisce di mangiare e di dormire; mentre l’altro, perdonando, ha subito trovato la pace dell’anima? Non è cosa più eccellente domar le proprie passioni, che volerle accontentare? Si riesce forse a soddisfarle del tutto? No, F. M.: usciti da un delitto, vi spingono ad un altro, senza mai darvi tregua; siete uno schiavo, che esse trascinano dovunque vogliono. Ma, a meglio convincervene, accostiamoci ad uno di quegli uomini, che fanno consistere tutta la loro felicità nei piaceri del senso, e si gettano a corpo perduto nelle lordare delle più infami e vergognose passioni. Sì, F. M., se prima ch’egli s’abbandonasse al libertinaggio, alcuno gli avesse descritta la vita che oggi deve condurre, avrebbe egli potuto risolvervisi senza inorridire? Se gli aveste detto: Amico mio, hai due partiti da prendere: o reprimere le tue passioni, ovvero abbandonarviti. L’uno e l’altro hanno piaceri e pene: scegli quale vuoi. Se vuoi abbracciare il partito di praticare la virtù, baderai bene di non frequentare i libertini, e sceglierai i tuoi amici tra chi pensa ed agisce come te. Saranno tua lettura i libri santi, che ti animeranno alla pratica della virtù, e ti faranno amare Dio; concepirai ogni giorno nuovo amore per Lui; occuperai santamente il tuo tempo, e tutti i tuoi piaceri saranno piaceri innocenti, che daranno sollievo al corpo, mentre renderanno gagliardo lo spirito; adempirai i doveri religiosi senza affettazione e con fedeltà; sceglierai per condurti nella via della salvezza un saggio ed illuminato confessore, che cercherà soltanto il bene dell’anima tua, e seguirai con esattezza quanto ti comanderà. Ecco, amico mio, tutte le difficoltà che proverai nel servizio di Dio. La tua ricompensa sarà d’aver sempre l’anima in pace, ed il cuore sempre contento; sarai amato e stimato da tutti i buoni; ti preparerai una vecchiaia felice, immune in gran parte dalle infinite malattie, a cui d’ordinario vanno soggetti quelli che conducono una giovinezza sregolata; i tuoi ultimi momenti saranno dolci e tranquilli; da qualsiasi lato considererai allora la tua vita, nulla potrà affliggerti; anzi, tutto contribuirà a consolarti. Le croci, le lagrime, le penitenze saranno ambasciatori inviati dal cielo per assicurarti che la tua felicità sarà eterna, e che non hai più nulla a temere. Se in quei momenti volgerai lo sguardo all’avvenire, vedrai il cielo aperto per riceverti; infine, partirai da questo mondo come una santa e casta colomba che va a nascondersi e seppellirsi nei seno del suo diletto; non abbandonerai nulla, e acquisterai tutto. Non avrai desiderato che Dio solo, e sarai con Lui per tutta l’eternità. Ma, invece, se vuoi lasciar Dio e il suo servizio per seguire il mondo ed i suoi piaceri, la tua vita passerà nel desiderare sempre e nel cercare sempre senza mai essere né contento, né felice; potrai usare tutti i mezzi che sono a tua disposizione, ma non vi riuscirai. Comincerai a cancellare dal tuo spirito i principi di Religione che hai imparato fin dall’infanzia e seguito sino a quest’ora; non aprirai più quei libri di pietà che nutrivano l’anima tua, e la proteggevano contro la corruzione del mondo; non sarai più padrone delle tue passioni, esse ti trascineranno dovunque vorranno; ti farai una religione a tuo modo; leggerai libri cattivi, ispiranti disprezzo contro la fede e sollecitanti al libertinaggio, e percorrerai la via da essi tracciata; non ricorderai più i giorni passati nella pratica della virtù e della penitenza, quando era per te gioia grande accostarti ai Sacramenti, dove Iddio ti colmava di tante grazie, o, se li rammenterai, sarà solo per rammaricarti di non aver dato tutto quel tempo ai piaceri del mondo; arriverai fino a non credere più nulla, ed a negare ogni cosa; insomma, diventerai un povero empio; in questa convinzione cederai la briglia a tutte le passioni, esclamando che colla vita tutto finisce, che bisogna correre in cerca di tutti i piaceri che si possono godere. Accecato dalle passioni, precipiterai di peccato in peccato, senza neppure accorgertene; ti abbandonerai a tutti gli eccessi di una gioventù bollente e corrotta, e non temerai di sacrificare la quiete, la sanità, l’onore ed anche la vita: non dico l’anima, giacché non crederai di averla. Sarai sulla bocca di tutti, tutti ti guarderanno come un mostro, sarai fuggito e temuto: non importa; ti riderai di tutto, continuerai sempre nel tenore di vita usato, seguendo ormai soltanto la via delle passioni che ti trascineranno ove loro meglio piacerà. Talora ti si troverà presso una giovane intento ad adoperare tutti gli artifici e gli inganni che il demonio saprà ispirarti per ingannarla, sedurla e perderla; tal altra sarai veduto, di notte, alla porta d’una vedova, a farle tutte le promesse possibili per indurla ad acconsentire ai tuoi infami desideri. Forse, senza alcun rispetto ai sacri diritti del matrimonio, calpesterai tutte le leggi della religione, della giustizia e della stessa natura, e diventerai un adultero infame. Giungerai anche a fare delle membra di Gesù Cristo le membra d’un’infame prostituta. E andrai più innanzi, poiché le pene dello spirito e del cuore non saranno le sole che dovrai divorare vivendo nel libertinaggio: ma le infermità del corpo, il sangue indebolito, la vecchiaia snervata saranno la tua porzione. Durante la vita hai abbandonato Dio; la morte, al suo avvicinarsi, farà forse risuscitare quella fede che avevi spenta colla tua vita malvagia… Se riconoscerai di aver abbandonato Dio; Egli ti farà toccar con mano che ti ha abbandonato, respinto per sempre e maledetto per tutta l’eternità; allora i rimorsi della coscienza che cercavi di far tacere, si faranno sentire e ti divoreranno, nonostante ogni tuo sforzo per soffocarli; tutto ti turberà e ti getterà nella disperazione. Se vorrai riandare col pensiero la tua vita, conterai i giorni seguendo il numero de’ tuoi delitti, che saranno come tanti tiranni i quali ti strazieranno senza posa; la vita non ti presenterà altro che grazie disprezzate, un tempo ben prezioso che hai sciupato; avevi bisogno di tutto, e non hai approfittato di nulla. Che se considererai l’avvenire, i tormenti dai quali l’anima tua sarà straziata, ti faranno credere che le fiamme divoranti i reprobi infelici già ti circondino, mentre il mondo, che tanto avevi amato, al quale temevi tanto di dispiacere, a cui avevi sacrificato Dio e l’anima, ti avrà abbandonato, respinto per sempre. Hai voluto seguire i suoi piaceri: allora, mentre avrai bisogno di maggior aiuto, sarai abbandonato da tutti; tuo solo rifugio sarà la disperazione; e, ciò che è peggio, tu morrai, e, piombando nell’inferno, dirai che il mondo ti ha sedotto, ma che, troppo tardi, riconoscesti la tua sventura. Ebbene, F. M.! che ne pensate voi? Eppure, sono queste le pene e le gioie, e di quelli che vivono virtuosamente, e di quelli che vivono per il mondo. Ah! F. M., quale sventura è quella di chi non vuole che il mondo, e trascura la salvezza del l’anima sua!… Come passa invece felice la vita colui che ha la grande ventura di cercare soltanto Dio e la salvezza dell’anima sua! Quante amarezze di meno! quante consolazioni di più nel servizio di Dio! quanti rimorsi di coscienza risparmiati al punto di morte! Quanti tormenti evitati per l’eternità!… Ah! F. M., quanto la nostra vita sarebbe felice, malgrado tutto ciò che possiamo soffrire da parte del mondo e del demonio, se avessimo la bella sorte di darci al servizio di Dio, disprezzando il mondo e chi lo segue! Ah! F. M., qual cambiamento grande opera il servizio di Dio in chi è così avventurato da cercare sulla terra Dio solo! Se dovete vivere con un orgoglioso, che non vuol tollerare nulla, pregate Dio che lo faccia attendere con costanza al suo servizio: vedrete subito tutto cambiarsi in lui; amerà il disprezzo, ed egli medesimo si terrà a vile. Un marito od una moglie sono sfortunati nel loro matrimonio? procurate che abbraccino il servizio di Dio, e vedrete allora che non si considereranno più come infelici, ma la pace e l’unione regnerà fra loro. Un domestico è trattato duramente dai padroni? Consigliatelo di darsi al servizio di Dio, e d’allora non lo udrete più lamentarsi, anzi benedirà la bontà di Dio che gli dà occasione di far il suo purgatorio in questo mondo. Dirò ancor più, F. M.: una persona che conosce la religione e la pratica, non pensa più a se stessa, ma solo a rendere felice il suo prossimo. Per meglio farvelo comprendere, eccovi un bell’esempio. – Leggiamo nella storia che nella città di Tolosa viveva un santo sacerdote, lo zelo e la carità del quale lo facevano considerare in tutta la città come il padre dei poveri. Quantunque povero egli stesso, pure non mancava mai di mezzi per soccorrere gli altri. Un giorno una donna devota venne ad annunciargli che le era stato messo in prigione il marito, e che le restavano a carico quattro figliuoli; se alcuno non aveva pietà di lei e dei bambini, avrebbe dovuto morire di fame. Il santo sacerdote fu commosso fino alle lagrime; ora appena tornato dalla sua questua giornaliera a favore dei suoi poveri, ma uscì di nuovo per domandare soccorso ad un ricco negoziante, suo amico. Mentre il sacerdote entrava, il mercante aveva appena ricevuto una lettera annunciantegli una perdita considerevole. Il sacerdote, nulla sapendo, gli fa il racconto delle miserie di quella sventurata famiglia. E il mercante burberamente: “Siete ancor qui; è troppo. „ — “Ah! signore! Se sapeste! gli risponde il sacerdote. „ — “No, non voglio saper nulla, andatevene subito. „ — ” Ma, signore, gli dice il sacerdote, che sarà di quella povera famiglia! ah! ve ne scongiuro, abbiate pietà delle sue sventure! „ L’altro, preoccupatissimo della propria disgrazia, gli si rivolge contro e gli dà uno schiaffo sonoro. Il sacerdote, senza mostrare la minima emozione, presenta l’altra guancia, dicendogli: “Signore, percuotete quanto vi pare, purché mi diate di che soccorrere quella povera famiglia.„ Il mercante, meravigliato di ciò, gli dice: “Ebbene, venite con me; „ e prendendolo per mano, lo conduce nel suo studio, gli apre la cassa forte, e: “Prendete quanto vi abbisogna. „ — “No, signore, gli dice umilmente il sacerdote, datemi quanto volete. „ Il mercante caccia ambo le mani dentro al suo scrigno e gli dà abbondantemente, dicendogli: “Venite ogni qual volta vorrete. „ Ah! F. M., la religione è pur cosa preziosa per chi la conosce. Infatti, quanto vi è di bene nel mondo, fu essa che lo ha prodotto. Gli ospedali, i seminari, le case di educazione, tutto fu istituito da chi si era dato al servizio di Dio. Ah! se i padri e le madri conoscessero quanto sarebbero felici essi stessi, e quanto contribuirebbero a glorificare Dio educando santamente i loro figli! Ah! se fossero ben convinti che essi tengono il luogo di Dio sulla terra, come lavorerebbero a rendere vantaggiosi per sé e pe’ loro cari i meriti della Passione e della Morte di Gesù Cristo!…,, – Concludo, F. M., col dire che seguendo il mondo e volendo accontentare le nostre inclinazioni perverse, non saremo mai felici, né potremo trovare quel che cerchiamo; mentre dandoci al servizio di Dio, tutte le nostre miserie verranno addolcite, o meglio, si muteranno in gioia e consolazione, al pensiero che fatichiamo pel cielo. Quale differenza tra chi muore dopo aver vissuto male, e chi muore dopo aver condotto vita buona; questi ha il cielo per eredità; le sue lotte sono finite; la sua felicità, che già intravvede, incomincia per non più finire! Sì, F. M., diamoci a Dio davvero e proveremo questi grandi benefizi che Dio mai rifiuterà a chi l’avrà amato! Eccovi la felicità che vi auguro.

DOMENICA XIII DOPO PENTECOSTE (2021)

DOMENICA XIII dopo PENTECOSTE (2021)

La Chiesa ci fa leggere in questo tempo nel Breviario il principio del libro dell’Ecclesiaste: « Vanità delle vanità, dice l’autore sacro, tutto è vanità. Si dimentica ciò che è passato, e le cose che debbono ancora venire non lasceranno ricordi presso quelli che verranno più tardi. Io ho vedute tutte le cose che avvengono sotto il sole, ed ecco che sono tutte vanità e afflizione dell’anima. I perversi difficilmente si correggono e infinito è il numero degli insensati » (7° Nott.). « Dopo che Salomone poté contemplare la luce della vera sapienza, dice S. Giovanni Crisostomo, uscì in questa esclamazione sublime e degna del cielo: « Vanità delle vanità, tutto è vanità! ». A vostra volta, se volete, potete rendere simile testimonianza. È vero che nei secoli passati, Salomone non era tenuto a una diligente ricerca della sapienza, poiché l’antica legge non considerava vanità il godimento dei beni superflui; tuttavia, malgrado questo stato di cose, si può vedere quanto siano vili e dispregevoli. Ma noi, chiamati a virtù più perfette, saliamo a cime più alte, ci esercitiamo in opere più difficili. Che dire di più se non che ci è stato comandato di regolare la nostra vita su virtù celesti, che non hanno nulla di materiale e che sono tutta intelligenza? » (2° Nott.). Queste virtù celesti sono per eccellenza, le tre virtù teologali: « fede, speranza, carità » che l’orazione ci fa chiedere a Dio affinché noi « non amiamo se non quello che Egli ci comanda ». Ed è per questo motivo che la Chiesa fa leggere in questo giorno [‘Epistola di S. Paolo ai Corinti, che ha per oggetto la fede in Gesù Cristo, fede che agisce mediante la carità e che ci fa mettere, come già Abramo, la nostra speranza nel divino Salvatore. Infatti solo per questa fede operante e confidente, le anime coperte dalla lebbra del peccato vengono guarite come ci mostra il Vangelo. I dieci lebbrosi che rappresentano in qualche modo le trasgressioni fatte dagli uomini ai dieci comandamenti, scorgono il loro divino Medico e, ponendo subito in Lui ogni speranza:« Maestro, abbi pietà di noi! » gridano. La fede loro è operante,perché quando Cristo li mette alla prova dicendo: « Andate, mostratevi ai sacerdoti », essi vanno senza esitare e, andando, sono guariti. Ma questa guarigione è confermata da uno solo di quelli che tornò indietro per mostrare la sua riconoscenza a Gesù « Quando uno di essi si vide guarito, tornò sui suoi passi, glorificando Dio ad alta voce e cadendo con la faccia a terra ai piedi di Gesù, lo ringraziò ». Gesù allora gli disse: « Va, la tua fede ti ha salvato ». Questo mostra che è la fede in Gesù che salva le anime. Ora se è la fede in Gesù che salva le anime, la Chiesa ha precisamente da Gesù la missione di far penetrare nelle anime questa fede mediante la predicazione e la lettura. Questo passo del Vangelo ci indica anche l’espulsione dei Giudei che sono stati ingrati verso Colui che era venuto per guarirli, mentre i Gentili gli sono stati fedeli. Dei dieci lebbrosi infatti nove erano Giudei e uno solo non lo era, ed è a questo solo — che era Samaritano, e tornò indietro a ringraziare il Salvatore —che Gesù dice: La tua fede t’ha salvato. Da ciò si vede non essere soltanto ai figli d’Abramo secondo il sangue che è stata fatta questa promessa, ma ancora a tutti coloro i quali sono suoi figli perché partecipi della sua fede in Gesù Cristo. Infatti, è per questa fede che la promessa di vita eterna fatta ad Abramo si estende a tutti i popoli. Così l’Orazione della III Profezia del Sabato Santo dice che « col Battesimo, Dio, moltiplicando i figli della promessa stabilisce Abramo, suo servo, padre di tutte le genti secondo la profezia ». « Fate, soggiunge la quarta Orazione, che tutti i popoli della terra diventino figli d’Abramo e partecipino della grandezza toccata in sorte al popolo d’Israele». I Gentili occupano dunque il posto dei Giudei. « I nove, commenta S. Agostino, gonfi d’orgoglio, credevano di umiliarsi col ringraziare; e non ringraziando sono stati riprovati e rigettati dall’unità che si trova nel numero dieci (vi erano dieci lebbrosi), mentre l’unico che ringrazia è approvato dall’unica Chiesa. — Così per il loro orgoglio, i Giudei perdettero il regno dei cieli dove regna la più grande unità; mentre il Samaritano, sottomettendosi al re col suo ringraziamento, ha conservata l’unità del regno per la sua devozione. piena di umiltà» (Mattutino). I Giudei entreranno in massa nel regno dei cieli alla fine del mondo, allorché crederanno in Gesù, ed è a ciò cui fa allusione l’Introito quando essi chiedono che la loro esclusione dalla Chiesa non sia irrevocabile: « Ricordati, o Signore, della tua alleanza, non abbandonare le anime dei poveri alla fine.  Perché, o Dio, ci hai rigettati? Perché la tua collera si è accesa contro le pecore del tuo ovile? ». E la Chiesa chiede a Dio « d’essere propizio al suo popolo, e, placato dal sacrificio che gli viene offerto, di perdonare la sua ingratitudine » (Secr.). Quanto ai Gentili, essi dicono a Gesù che ripongono in Lui tutta la loro speranza (Off.) perché si è fatto loro rifugio di generazione in generazione (All.) e li nutre del suo pane celeste, come fece per gli Ebrei nel deserto, allorché dette la manna che conteneva ogni sapore ed ogni dolcezza (Com.).

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps LXXIII: 20; 19; 23
Réspice, Dómine, in testaméntum tuum, et ánimas páuperum tuórum ne derelínquas in finem: exsúrge, Dómine, et júdica causam tuam, et ne obliviscáris voces quæréntium te.

[Signore, abbi riguardo al tuo patto e non abbandonare per sempre le anime dei tuoi poveri: sorgi, o Signore, difendi la tua causa e non dimenticare le voci di coloro che Ti cercano.]

Ps LXXIII: 1

Ut quid, Deus, reppulísti in finem: irátus est furor tuus super oves páscuæ tuæ?
[Perché, o Signore, ci respingi ancora? Perché arde la tua ira contro il tuo gregge?]

Réspice, Dómine, in testaméntum tuum, et ánimas páuperum tuórum ne derelínquas in finem: exsúrge, Dómine, et júdica causam tuam, et ne obliviscáris voces quæréntium te.

[Signore, abbi riguardo al tuo patto e non abbandonare per sempre le ànime dei tuoi poveri: sorgi, o Signore, difendi la tua causa e non dimenticare le voci di coloro che Ti cercano.]

Oratio

Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, da nobis fídei, spei et caritátis augméntum: et, ut mereámur asséqui quod promíttis, fac nos amáre quod præcipis.

[Onnipotente e sempiterno Iddio, aumenta in noi la fede, la speranza e la carità: e, affinché meritiamo di raggiungere ciò che prometti, fa che amiamo ciò che comandi.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti S. Pauli Apóstoli ad Gálatas.

[Gal. III: 16-22]

“Fratres: Abrahæ dictæ sunt promissiónes, et sémini ejus. Non dicit: Et semínibus, quasi in multis; sed quasi in uno: Et sémini tuo, qui est Christus. Hoc autem dico: testaméntum confirmátum a Deo, quæ post quadringéntos et trigínta annos facta est lex, non írritum facit ad evacuándam promissiónem. Nam si ex lege heréditas, jam non ex promissióne. Abrahæ autem per repromissiónem donávit Deus. Quid igitur lex? Propter transgressiónes pósita est, donec veníret semen, cui promíserat, ordináta per Angelos in manu mediatóris. Mediátor autem uníus non est: Deus autem unus est. Lex ergo advérsus promíssa Dei? Absit. Si enim data esset lex, quæ posset vivificáre, vere ex lege esset justítia. Sed conclúsit Scriptúra ómnia sub peccáto, ut promíssio ex fide Jesu Christi darétur credéntibus”.

[“Fratelli: Le promesse furono fatte ad Abramo ed alla sua discendenza. Non dice la scrittura: E ai suoi discendenti, come si trattasse di molti; ma come parlando di uno solo: E alla tua discendenza; e questa è Cristo. Ora, io ragiono così; un’alleanza convalidata da Dio non può, da una legge venuta quattrocento anni dopo, essere annullata, così da rendere vana la promessa. Poiché, se l’eredità viene dalla legge, non vien più dalla promessa. Ma Dio l’ha donata ad Abramo in virtù d’una promessa. Perché dunque la legge? È stata aggiunta in vista delle trasgressioni, finché non venisse la discendenza a cui era stata fatta la promessa, e fu promulgata per mezzo degli Angeli per mano di un mediatore. Ora non si dà mediatore di uno solo, e Dio è uno solo. Dunque la legge è contraria alle promesse di Dio? Niente affatto. Se fosse stata data una legge capace di procurarci la vita, allora, sì, la giustizia verrebbe dalla legge. Ma la Scrittura ha racchiuso tutto sotto il peccato, affinché la promessa, mediante la fede in Gesù Cristo, fosse data ai credenti»”.

UNO SGUARDO AL CROCIFISSO

S. Paolo aveva insegnato ai Galati che la giustificazione non dipende dalla legge di Mosè, ma dalla fede in Gesù Cristo, morto per noi in croce. Ma Gesù Crocifisso. dipinto tanto vivamente dall’Apostolo ai Galati, era stato ben presto dimenticato da essi, lasciatisi affascinare da coloro che insegnavano dover noi attendere la nostra salvezza dalla legge. S. Paolo, rimproverata la loro stoltezza, nota come Gesù, morendo sulla croce, maledetta dalla legge, libera i Giudei dalla maledizione, e conferisce a tutti, Giudei e Gentili, che si uniscono nella fede in Gesù Cristo, lo Spirito promesso. Passa poi a far osservare come vediamo nell’epistola di quest’oggi, che la promessa dei beni celesti, fatta ad Abramo e alla sua discendenza. cioè al Cristo, nel quale si sarebbero unite tutte le nazioni a formare un solo popolo, essendo incondizionata, fatta ad Abramo direttamente da Dio, e da Dio confermata, aveva tutto il carattere d’un patto irremissibile. Non poteva, quindi, venir indebolita o modificata dalla legge di Mosè venuta 430 anni dopo, con un contratto temporaneo. La legge, del resto, non escludeva la promessa, dal momento che essa non poteva giustificare e dare la vita, come fa la promessa. E neppure fu inutile; perché, facendo conoscere i numerosi doveri da compiere, senza porgere l’aiuto necessario, metteva l’uomo nella condizione di dover sperimentare tutta la propria debolezza e di sentir la necessità d’un Redentore; e di riconoscere, per conseguenza, che le celesti benedizioni non possono essere effetto della legge, ma della promessa, e che non si ottengono che con la fede in Gesù Cristo. Gesù Cristo, che morendo in croce, adempie le promesse fatte da Dio, sarà l’argomento di questa mattina. – Gesù Cristo Crocifisso, così presto dimenticato dai Galati, fermi la nostra attenzione.

 [A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia, 1920]

Graduale

Ps LXXIII:20; 19; 22.

Réspice, Dómine, in testaméntum tuum: et ánimas páuperum tuórum ne obliviscáris in finem.
[Signore, abbi riguardo al tuo patto: e non dimenticare per sempre le ànime dei tuoi poveri.]

Exsúrge, Dómine, et júdica causam tuam: memor esto oppróbrii servórum tuórum. Allelúja, allelúja
[V. Sorgi, o Signore, e difendi la tua causa e ricordati dell’oltraggio a Te fatto. Allelúia, allelúia].

Alleluja

Ps LXXXIX: 1
Dómine, refúgium factus es nobis a generatióne et progénie. Allelúja.

[O Signore, Tu fosti il nostro rifugio in ogni età. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Lucam.
Luc XVII: 11-19


In illo témpore: Dum iret Jesus in Jerúsalem, transíbat per médiam Samaríam et Galilaeam. Et cum ingrederétur quoddam castéllum, occurrérunt ei decem viri leprósi, qui stetérunt a longe; et levavérunt vocem dicéntes: Jesu præcéptor, miserére nostri. Quos ut vidit, dixit: Ite, osténdite vos sacerdótibus. Et factum est, dum irent, mundáti sunt. Unus autem ex illis, ut vidit quia mundátus est, regréssus est, cum magna voce magníficans Deum, et cecidit in fáciem ante pedes ejus, grátias agens: et hic erat Samaritánus. Respóndens autem Jesus, dixit: Nonne decem mundáti sunt? et novem ubi sunt? Non est invéntus, qui redíret et daret glóriam Deo, nisi hic alienígena. Et ait illi: Surge, vade; quia fides tua te salvum fecit.” 
 

[“In quel tempo andando Gesù in Gerusalemme, passava per mezzo alla Samaria e alla Galilea. E stando por entrare in un certo villaggio, gli andarono incontro dieci uomini lebbrosi, i quali si fermarono in lontananza, e alzarono la voce dicendo: Maestro Gesù, abbi pietà di noi. E miratili, disse: Andate, fatevi vedere da’ sacerdoti. E nel mentre che andavano, restarono sani. E uno di essi accortosi di essere restato mondo, tornò indietro, glorificando Dio, ad alta voce: e si prostrò per terra ai suoi piedi, rendendogli grazie: ed era costui un Samaritano. E Gesù disse: Non sono eglino dieci que’ che son mondati? E i nove dove Sono? Non si è trovato chi tornasse, e gloria rendesse a Dio, salvo questo straniero. E a lui disse: Alzati, vattene, la tua fede ti ha salvato”]

OMELIA

DISCORSI DI SAN G. B. M. VIANNEY CURATO D’ARS

[Vol. IV, Marietti Ed. Torino-Roma, 1933

Visto nulla osta alla stampa, Torino, 25 Novembre 1931.

Teol. TOMMASO CASTAGNO, Rev. Deleg.

Imprimatur. C . FRANCISCUS PALEARI, Prov. Gen.

Proprietà della traduzione (23-XI-07-10- 29-XII-32-15).]

Sull’Assoluzione.

Quorum remiseritis peccata, remittuntur eis; et quorum retinueritis retenta sunt.

(JOAN. XX, 23).

Quanto è costato, F. M., al divin Salvatore il dar efficacia a queste parole: “Saranno rimessi i peccati a chi li rimetterete, e ritenuti a chi li riterrete! „ Ahimè! quanti tormenti, quanti obbrobri, qual morte dolorosa!… Ma noi siamo così ciechi, così grossolani, così poco spirituali, che la maggior parte di noi, crede che spetti solo al sacerdote concedere o rifiutare l’assoluzione, a suo piacimento. No, F. M., ci inganniamo assai: il ministro del sacramento della Penitenza non è che il dispensatoredelle grazie e dei meriti di Gesù Cristo (1 Cor. IV, 1) e non può dispensarli che secondo regole prescritte. Ahimè! da qual terrore deve esser preso un povero sacerdote, che esercita un ministero così formidabile, in cui corre grave pericolo di perder se stesso volendo salvare gli altri. Qual terribile rendiconto dovrà dare il sacerdote, quando verrà il dì del giudizio, e da Dio stesso gli verran messe davanti agli occhi tutte le assoluzioni impartite, per esaminare se fu troppo prodigo delle grazie del cielo o troppo avaro. Davvero, F. M., che è assai difficile adempiere sempre bene il proprio dovere!… Quanti sacerdoti, nel dì del giudizio, desidereranno non essere stati sacerdoti, ma semplici laici! Quanti fedeli pure si riconosceranno colpevoli, perché, forse, non pregarono mai Dio pei loro pastori, che si sono esposti al pericolo di perdersi per salvarli!… Ma se un sacerdote ha il potere di rimettere i peccati, ha pure quello di ritenerli; e S. Gregorio il Grande ci dice che un sacerdote deve esaminar bene le disposizioni del peccatore, prima di dargli l’assoluzione. Deve vedere se il suo cuore è cambiato, se ha davvero tutte le disposizioni, che deve avere un peccatore convertito. È quindi evidente che il ministro della Penitenza deve differire o rifiutare l’assoluzione a certi peccatori, sotto pena di dannare se stesso insieme col penitente. Vi mostrerò dunque, o vi insegnerò: 1° che cos’è l’assoluzione; 2° quali sono coloro ai quali si deve concederla o rifiutarla: argomento ben interessante, poiché trattasi della vostra salvezza o perdizione. Quanto l’uomo è fortunato, F. M., ma quanto altresì è colpevole! Dissi che è fortunato, poiché dopo aver perduto il suo Dio, il cielo e l’anima, può ancora sperare di trovar mezzi facili per riparare una perdita grande, quale è quella d’una felicità eterna. Il ricco che ha perduto le sue sostanze, spesso non può ricuperarle, malgrado ogni suo buon volere; ma se il Cristiano ha perduto la propria felicità eterna, può riacquistarla senza, per così dire, far fatica. Mio Dio! quanto amate i peccatori, poiché date ad essi tanti mezzi di ricuperare il cielo! Vi assicuro che siamo ben colpevoli disprezzando tutti questi mezzi, mentre possiamo con essi conseguire tanti beni. Avete perduto il cielo, amico mio, e perché volete vivere in tanta povertà? Mio Dio! l’uomo peccatore può davvero riparare la sua sventura!… e ha mezzi assai facili a sua portata!

I. — Se mi domandate che cos’è l’assoluzione, vi dirò che è una sentenza che il sacerdote pronuncia, in nome e coll’autorità di Gesù Cristo, e per la quale i nostri peccati vengono così rimessi, così cancellati, come se non li avessimo mai commessi, purché chi si confessa, abbia le disposizioni richieste dal Sacramento. Ah! F. M., chi di noi non vorrà ammirare l’efficacia di questa sentenza di misericordia? O momento felice per un peccatore convertito!… Appena il ministro ha pronunciato le parole: “Io ti assolvo, „ l’anima è lavata, purificata da tutte le sue lordure pel Sangue prezioso che scorre su di essa. Mio Dio! quanto siete buono col peccatore!… Inoltre, F. M., la povera anima nostra è strappata dalla tirannia del demonio e ristabilita nell’amicizia e nella grazia del suo Dio; riacquista la pace, quella pace sì preziosa, che forma tutta la felicità dell’uomo in questo mondo e nell’altro; le vien restituita l’innocenza, con tutti i diritti al regno di Dio, che i peccati le avevano rapito. Ditemi. F. M., non dobbiamo essere inteneriti e commossi sino alle lagrime alla vista di tante meraviglie? Avreste potuto pensare che ogni qual volta il peccatore riceve l’assoluzione gli siano accordati tutti questi beni? Ma tutto ciò non è dato e non dev’esser dato che a quelli che se lo meritano, cioè, che sono peccatori è vero, ma peccatori convertiti, che sentono dispiacere della loro vita passata, non solo perché hanno perduto il cielo, ma perché oltraggiarono Colui che merita d’essere infinitamente amato.

II. — Se desiderate sapere quando vi si debba differire o rifiutare l’assoluzione, eccolo: ascoltate bene, ed imprimetevelo nel cuore, affinché ogni volta che andrete a confessarvi possiate conoscere se meritate d’essere assolti o rimandati. Io trovo otto ragioni, che debbono indurre il Sacerdote a differirvi l’assoluzione; è la Chiesa stessa che ha dato queste regole, sulle quali il sacerdote non deve transigere; se le trascura, sventura a lui ed a quelli che dirige: è un cieco che fa da guida ad un altro cieco, tutti e due precipiteranno nell’inferno (Matt. XV, 14). E dovere del ministro di Dio di ben applicare queste regole, ed il vostro è di non mormorare quando vi si nega l’assoluzione. Se un sacerdote ve la rifiuta, è perché vi ama, e desidera davvero di salvar l’anima vostra; e voi non lo conoscerete che al dì del giudizio: allora vedrete che era solo il desiderio di condurvi al cielo che l’ha indotto a differirvi l’assoluzione. Se ve l’avesse accordata, come desideravate, sareste dannato. Non dovete adunque, F. M., mormorare quando un sacerdote non vi dà l’assoluzione; al contrario, dovete ringraziarne il buon Dio, ed adoperarvi con tutte le vostre forze per meritarvi questa fortuna. Vi dico, 1°, che non meritano l’assoluzione quelli che non sono abbastanza istruiti: il sacerdote non deve e non può darla a costoro senza rendersi colpevole, perché ogni Cristiano è obbligato di conoscere Gesù Cristo, i suoi misteri, la sua dottrina, le sue leggi ed i Sacramenti. S. Carlo Borromeo, Arcivescovo di Milano, ci dice espressamente che non si deve dar l’assoluzione a chi non conosce i misteri principali della nostra santa fede e gli obblighi particolari del proprio stato: “Specialmente, ci dice, quando si capisce che la loro ignoranza deriva dalla indifferenza per la propria salvezza.„ Le leggi della Chiesa proibiscono di dare l’assoluzione ai padri ed alle madri, ai padroni e padrone che non istruiscono i loro figli o domestici, o non li fanno istruire da altri intorno a ciò che è necessario per salvarsi; che non sorvegliano la loro condotta; che trascurano di correggerli dei loro disordini e difetti. Dirvi che non merita l’assoluzione chi non sa quanto è necessario per salvarsi, è come dicessi a qualcuno, che egli è nel precipizio, e non gli offrissi i mezzi di uscirne. Vi mostrerò dunque ciò che dovete sapere per uscire da questo abisso d’ignoranza: imprimetevelo bene nel cuore, affinché non si cancelli mai più, per insegnarlo ai vostri figli, e questi ad altri. Ripeto, F. M., quanto già vi dissi più volte: un Cristiano deve sapere il Pater noster, l’Ave Maria, il Credo, il Confiteor, gli atti di Fede, Speranza e Carità, i Comandamenti della legge di Dio, i precetti della Chiesa, e l’atto di Contrizione. E non intendo dire soltanto le parole; poiché bisognerebbe esser estremamente ignoranti per non saperle, ma occorre anche, se foste interrogati, che possiate dare la spiegazione di ogni articolo in particolare, chiarendone il significato. Questo vi si domanda, e non che sappiate soltanto le parole. Dovete sapere che il Pater noster è stato composto da Dio stesso; che l‘Ave Maria fu composta, parte dall’Angelo quando si presentò alla Ss. Vergine ad annunciarle il mistero dell’Incarnazione (Luc. I, 28), e l’altra parte dalla Chiesa; che il Credo fu composto dagli Apostoli dopo la discesa dello Spirito Santo, prima di disperdersi pel mondo; perciò avviene che in tutte le regioni del mondo è insegnata la medesima Religione cogli stessi misteri. Esso contiene il compendio di tutta la nostra santa Religione, il mistero della Ss. Trinità, cioè un Dio solo in tre Persone: il Padre che ci ha creati, il Figliuolo che ci ha redenti coi suoi patimenti e morte, e lo Spirito Santo che ci ha santificati nel Battesimo. Quando dite : “Credo in Dio Padre onnipotente, creatore, ecc.„ è come se diceste: Credo che l’eterno Padre ha creato tutte le cose, i nostri corpi e le nostre anime, che il mondo non è sempre stato, non durerà sempre, che un giorno tutto sarà distrutto… “Credo in Gesù Cristo ,, è come se diceste: Credo che Gesù Cristo, la seconda Persona della Ss. Trinità, si è fatto uomo, ha patito, è morto per redimerci, per meritarci il cielo, che il peccato di Adamo, ci aveva rapito. “Credo nello Spirito Santo, nella S. Chiesa cattolica, ecc. „ è come se diceste: Credo che v’è una sola Religione, che è quella della Chiesa, che Gesù Cristo stesso l’ha fondata, e le ha affidato tutte le sue grazie, che tutti coloro che non sono in questa Chiesa non si salveranno, e che essa durerà fino alla fine del mondo. Quando dite: “Credo nella comunione dei santi, „ è come se diceste: Credo che tutti i Cristiani si mettono vicendevolmente a parte del merito delle loro preghiere, di tutte le loro opere buone; credo che i santi che sono in cielo preghino Dio per noi, e che noi possiamo pregare per quelli che trovansi nelle fiamme del Purgatorio. Quando dite: “Credo nella remissione dei peccati, „ è come se diceste: Credo che vi è nella Chiesa di Gesù Cristo un Sacramento, il quale rimette ogni sorta di peccati, e che non vi sono peccati che la Chiesa di Gesù Cristo non possa rimettere. Dicendo; “Credo la risurrezione della carne, „ vogliamo dire che gli stessi corpi che abbiamo ora, un giorno risusciteranno, che le anime nostre si congiungeranno ad essi per andare insieme in cielo, se avremo la fortuna di aver servito bene il buon Dio, o per andare insieme all’inferno ad abbruciarvi per tutta l’eternità, se… dicendo: “Credo la vita eterna, „ è come se diceste: Credo che l’altra vita non finirà mai, che l’anima nostra durerà quanto Dio stesso, cioè senza fine. Quando dite: “D’onde verrà a giudicare i vivi ed i morti,„ è come se diceste: Credo che Gesù Cristo è nel cielo in corpo ed anima, e che Lui stesso verrà a giudicarci, a ricompensare chi avrà fatto bene, e punire chi l’avrà disprezzato. – Bisogna anche sapere che i Comandamenti della legge di Dio furon dati ad Adamo quando fu creato, cioè che Dio li scolpì nel suo cuore; e, dopo che Adamo peccò, Dio li diede a Mosè (Esod. XXXI, 18) scritti su tavole di pietra, sul monte Sinai. E questi stessi, Dio medesimo confermò quando venne sulla terra per salvarci. Inoltre dovete sapere i tre atti di Fede, Speranza e Carità. E intendo ancora che non dovete sapere semplicemente le parole: chi non le sa? Ma il senso di questi atti. La fede ci fa credere tutto ciò che la Chiesa ci insegna, quantunque non possiamo comprenderlo; ci fa credere che Dio ci vede, che veglia alla nostra conservazione, che ci premierà o ci punirà, secondo che avremo fatto bene o male; che v’è un cielo per i buoni, ed un inferno per i cattivi; che Dio ha sofferto ed è morto per noi. La speranza ci induce a fare tutte le nostre azioni coll’intenzione di piacere a Dio, perché verranno ricompensate durante un’eternità. Dobbiamo credere che né la fede né la speranza saranno più necessarie in cielo, o meglio, non vi sarà più né fede né speranza: non avremo più nulla da credere, perché non vi saranno più misteri; nulla da sperare perché vedremo quanto abbiamo creduto, e possederemo quanto abbiamo sperato; non vi sarà più che l’amore che ci consumerà per tutta l’eternità: e ciò formerà tutta la nostra felicità. – In questo mondo, l’amor di Dio consiste nell’amare il buon Dio al disopra di ogni cosa creata, nel preferirlo a tutto, anche alla nostra vita. Ecco, F. M., che cosa significa sapere il Pater noster, l’Ave Maria, il Credo, il Confiteor, i Comandamenti, i tre atti di Fede, di Speranza e di Carità. Se non sapete ciò, non conoscete quanto è necessario per salvarvi; bisogna almeno che. interrogati su quanto vi dissi, sappiate rispondere. E qui non è ancora tutto: bisogna che conosciate il mistero dell’incarnazione, e che cosa vuol dire la parola incarnazione. È necessario sapere che questo mistero ci propone da credere che la seconda Persona della Ss. Trinità ha preso un corpo come il nostro nel seno della Ss. Vergine Maria, per opera dello Spirito Santo. Noi onoriamo questo mistero il 25 di Marzo, giorno dell’Annunciazione, perché in tal giorno il Figliuol di Dio ha unito, ha congiunto la sua divinità alla nostra umanità; si è fatto uomo come noi, ad eccezione del peccato, e si è caricato di tutti i nostri peccati per soddisfare alla giustizia del Padre suo. Occorre sapere che Gesù Cristo è nato il 25 Dicembre, a mezzanotte, il giorno di Natale. Sapere che in tal giorno si dicono tre Messe per onorare le tre nascite di Gesù Cristo: la prima nel seno dell’Eterno Padre, sin dall’eternità; la seconda, quella corporale nel presepio, e la terza, quella nelle anime nostre colla santa comunione. Bisogna altresì sapere che nel Giovedì Santo Gesù Cristo istituì l’adorabile Sacramento dell’Eucaristia (Luc. XXII). La sera avanti la sua morte, circondato da’ suoi apostoli, prese del pane, lo benedisse, lo mutò nel suo Corpo. Prese del vino con un po’ d’acqua, lo mutò nel suo Sangue, e diede a tutti i sacerdoti, nella persona degli Apostoli, il potere di fare lo stesso miracolo ogni volta che pronunciassero le medesime parole: il che avviene nella santa Messa quando il sacerdote pronuncia le parole della consacrazione. Bisogna sapere che Gesù Cristo morì nel Venerdì Santo, e morì come uomo e non come Dio , perché come Dio non poteva morire; che risuscitò nel giorno santo di Pasqua, cioè che la sua Anima si riunì al Corpo; e che dopo essersi fermato quaranta giorni sulla terra salì al cielo nel giorno dell’Ascensione (Act. I, 3-9); che lo Spirito Santo discese sugli Apostoli il giorno di Pentecoste. Se venite interrogati e domandati quando furono istituiti i Sacramenti da Gesù Cristo o quando ebbero il loro effetto, cioè poterono comunicarci le grazie, dovete saper rispondere che fu solo dopo la Pentecoste. — Se vi si domandasse chi li ha istituiti, dovete sapere spiegare che Gesù Cristo solo poté farlo: non la Ss. Vergine né gli Apostoli. Dovete sapere quanti sono, quali gli effetti di ognuno, e quali disposizioni occorrono per riceverli; dovete sapere che il Battesimo cancella il peccato originale, cioè il peccato di Adamo, che noi tutti portiamo venendo al mondo; che quello della Confermazione ci vien conferito dal Vescovo, e ci dà lo Spirito Santo colla abbondanza delle sue grazie e de’ suoi doni; che quello della Penitenza lo riceviamo ogni qual volta ci confessiamo, e che mentre il sacerdote ci dà l’assoluzione, se siamo ben disposti, tutti i nostri peccati vengono rimessi. Nella santa Eucaristia riceviamo, non la Vergine Ss., né gli Apostoli od i santi, ma il Corpo adorabile ed il Sangue prezioso di Gesù Cristo. Col Figliuolo, in quanto Dio, riceviamo le altre Persone della Ss. Trinità, il Padre e lo Spirito Santo; e in quanto uomo, riceviamo appena il Figliuolo, cioè il suo Corpo e l’Anima uniti alla Divinità. — Il sacramento dell’Estrema Unzione è quello che ci aiuta a ben morire, ed è istituito per purificarci dai peccati commessi con tutti i nostri sensi. Quello dell’Ordine comunica agli uomini il medesimo potere che il Figlio di Dio diede a’ suoi Apostoli. Questo sacramento fu istituito quando Gesù Cristo disse agli Apostoli: “Fate questo in memoria di me (Luc. XXII, 19), ed ogni volta che pronuncerete queste parole opererete il medesimo miracolo.„ Il sacramento del Matrimonio santifica i Cristiani che si uniscono insieme, secondo le leggi della Chiesa e dello Stato. Vi è però una differenza tra il sacramento dell’Eucaristia e gli altri. Nell’Eucaristia riceviamo il Corpo adorabile ed il Sangue prezioso di Gesù Cristo, mentre negli altri non riceviamo che l’applicazione dei meriti del suo Sangue prezioso. Inoltre alcuni si chiamano Sacramenti dei morti, altri Sacramenti dei vivi. Ecco perché si dice che il Battesimo, la Penitenza ed alcune volte l’Estrema Unzione sono sacramenti dei morti: perché quando li riceviamo l’anima nostra è morta agli occhi di Dio per i peccati; questi sacramenti risuscitano l’anima nostra alla grazia; gli altri invece sono sacramenti dei vivi…, perché per riceverli bisogna essere in istato di grazia di Dio, cioè non aver peccati sull’anima. Si deve ancora sapere che quando Gesù Cristo ha sofferto sulla croce, né il Padre né lo Spirito Santo hanno sofferto o sono morti, ma solo il Figliuolo patì e morì, come uomo e non come Dio. Ebbene! F. M., se vi avessi interrogati, avreste voi risposto a tutto ciò? Ebbene, se non sapete quanto vi dissi, non siete istruiti sufficientemente per salvarvi. Ho detto che i padri e le madri, i padroni e le padrone debbono per salvarsi essere istruiti di quanto riguarda la loro condizione. Il padre, la madre, il padrone, la padrona devono conoscere tutti gli obblighi da adempiere verso i figli e domestici: devono cioè conoscere perfettamente la religione per insegnarla agli altri; diversamente sono poveri disgraziati e finiscono tutti all’inferno. Ahimè! quanti padri e quante madri, quanti padroni e padrone vi sono che non conoscono neppure la religione e che insieme ai lor figli e domestici marciscono in un’ignoranza crassa, e non aspettano che la morte per gettarsi nell’inferno! S. Paolo ci dice che chi ignora i propri obblighi merita d’essere ignorato da Dio (1Cor. XIV, 38) . Converrete con me, dunque, che tutte queste persone sono indegne di ricevere l’assoluzione, e che se hanno la disgrazia di riceverla, essa è un sacrilegio che viene a pesare sulla povera anima loro. Mio Dio! quanti vanno perduti per la loro ignoranza! Possiamo essere sicuri che questo solo peccato ne dannerà più che tutti gli altri insieme, perché una persona ignorante non conosce né il male che fa peccando, né il bene che perde: cosicché un ignorante è una persona perduta!

2° Dico inoltre che bisogna differire l’assoluzione a chi non dà segno di pentimento, cioè di dolore dei peccati commessi. Anzitutto, l’esperienza ci insegna che non dobbiamo affatto fidarci di tutte le promesse e proteste che si fanno. Tutti dicono che sono dolenti d’aver offeso il buon Dio, che vogliono correggersi davvero, e che si confessano appunto per questo. Il sacerdote, credendoli sinceri, li assolve: che avviene di queste risoluzioni? Eccolo: otto giorni dopo dimenticano tutte le promesse, e ” ritornano al vomito, „ (II Piet. III, 22), cioè alle loro cattive abitudini. Così tutte le proteste non sono certamente prove sufficienti di conversione. Gesù Cristo ci dice che “solo dal frutto si conosce l’albero;„ (Matt. XII, 33), così, solo dal cambiamento di vita si conosce se v’era la contrizione necessaria per essere degni dell’assoluzione. Quando si ha davvero rinunciato ai propri peccati, non basta piangerli, bisogna anche rinunciare, abbandonare e fuggire quanto può indurvici: cioè esser disposti a tutto soffrire piuttosto che ricadere nei peccati che abbiamo confessati. Si deve adunque vedere in noi un cambiamento completo, senza del quale non abbiamo meritata l’assoluzione, e v’è ragione di credere che abbiamo commesso un sacrilegio. Ahimè! come sono poco numerosi coloro in cui si vede questo cambiamento dopo ricevuta l’assoluzione!… Mio Dio! quanti sacrilegi adunque! … Ah! se almeno ogni trenta assoluzioni ve ne fosse una buona, il mondo sarebbe presto convertito! Non merita dunque l’assoluzione chi non dà sufficienti segni di conversione. Ma costoro, purtroppo, d’ordinario non ritornano più quando furon rimandati. Essi fanno ciò appunto perché non hanno intenzione di convertirsi, giacché diversamente invece di aspettare un’altra Pasqua, avrebbero fatto di tutto per cambiar vita, e riconciliarsi con Dio.

3° In terzo luogo dico che si deve rifiutare l’assoluzione a chi conserva odio, risentimento nel cuore, a chi rifiuta di perdonare o di fare i primi passi per riconciliarsi; cosicché, F. M., bisogna guardarsi dal ricevere l’assoluzione quando si ha qualche rancore contro il prossimo. Dopo aver avuto con esso qualche contrarietà, bisogna sentirsi così ben disposti a rendergli servizio, come se per il passato non aveste ricevuto da lui altro che bene. Se vi accontentate di dire che non gli volete male, ma che lo trascurate, che non lo salutate con garbo, che evitate la sua compagnia, preferendone altre, voi non lo amate quanto dovete, perché il buon Dio vi perdoni i vostri peccati. Dio vi perdonerà nella misura che voi perdonerete al prossimo, e sinché avrete risentimento nel cuore contro di esso, ciò che di meglio possiate fare è procurare di sradicarlo; poi riceverete l’assoluzione. So benissimo che si può, anzi si deve evitare ogni compagnia che possa esporci al pericolo di litigare con l’uno o con l’altro, e la famigliarità di coloro che continuamente mormorano dei vicini. Ecco come bisogna regolarsi con queste persone: frequentarle solo quand’è necessario; non volere loro male e neppure sparlarne; accontentarsi di pregare il buon Dio per loro. Ascoltate quanto ci dice Gesù Cristo nel Vangelo: “Se, mentre sei per presentare la tua offerta all’altare, ti ricordi che il fratello tuo abbia qualche cosa contro di te, o che tu l’hai offeso, lascia la tua offerta, e va prima a riconciliarti col fratello. „ (Matt. V, 23) — “Un giudizio severo, scrive S. Giacomo, è riservato a chi non avrà avuto misericordia col fratello. „ (Giac. II, 13). Voi comprendete ora, al par di me, o F. M., che ogni qual volta abbiamo animosità contro alcuno, non dobbiamo ricevere l’assoluzione, perché sarebbe come esporci a commettere sacrilegio, ciò che è la più grande di tutte le disgrazie.

4° Aggiungo in quarto luogo, che vanno trattati alla stessa maniera coloro che hanno recato qualche torto al prossimo e rifiutano di riparare il male fatto o nella persona o nella roba; non si può neanche dare l’assoluzione in punto di morte a chi ha dello restituzioni da fare, e ne lascia la cura agli eredi. Tutti i Padri della Chiesa dicono che non v’è perdono, né speranza di salvezza per chi tiene roba d’altri, e potrebbe, e non vuol restituirla.

5° In quinto luogo si deve ricusare l’assoluzione a coloro che sono nell’occasione prossima di peccato, e rifiutano di uscirne. Si chiama occasione prossima di peccato tutto quanto può indurci ordinariamente a commetterlo, come spettacoli, balli, danze, libri cattivi, conversazioni disoneste, canzoni oscene, pitture indecenti, abbigliamento immodesto, cattive compagnie, il frequentar persone di sesso diverso, le relazioni con persone colle quali già altra volta si è peccato, ecc. Così pure i mercanti che non sanno vendere senza mentire o bestemmiare, gli osti che danno da bere agli ubbriaconi, ovvero durante le sacre funzioni, o di notte: come anche i domestici sollecitati al male da qualcuno della casa. A tutti costoro il sacerdote non deve e non può, senza suo danno, dare l’assoluzione, a meno che promettano di lasciar tali abitudini e di rinunciare a tutto ciò che li può indurre al peccato, o ne offre loro occasione. Altrimenti, ricevendo l’assoluzione. fanno senza dubbio un sacrilegio.

6° In sesto luogo deve negarsi l’assoluzione agli scandalosi, che colle loro parole, con consigli ed esempi perniciosi inducono gli altri al peccato; tali sono i cattivi Cristiani che mettono in derisione la parola di Dio e chi l’annunzia, sia il loro pastore oppure altro sacerdote; che motteggiano la religione, la pietà e le cose sante; che fanno discorsi contrari alla fede od ai buoni costumi; che nelle loro case tengono veglie, danze profane, giuochi proibiti; che conservano pitture disoneste, indecenti, o libri cattivi; così pure le persone che s’abbigliano coll’intenzione di piacere, che coi loro sguardi e modi procaci fanno rimettere col cuore tante fornicazioni ed adulteri. Un confessore, dice S. Carlo, deve rifiutare l’assoluzione a tutti costoro, poiché sta scritto : “Guai all’uomo per colpa del quale avviene lo scandalo „. (Matt. XVIII, 7).

7° In settimo luogo si deve rifiutare l’assoluzione, ovvero differirla, ai peccatori abitudinari, che ricadono da lungo tempo nelle medesime colpe, e fanno nulla o ben poco per correggersi. Di questo numero sono coloro che hanno l’abitudine di mentire ad ogni momento, non se ne fanno scrupolo, si divertono anzi a dir menzogne per far ridere gli altri; quelli che mormorano facilmente del prossimo ed hanno sempre alcunché da dire sul suo conto; quelli che hanno spesso sulle labbra parole di giuramento con leggera offesa del nome di Dio; quelli che hanno l’abitudine di mangiare ad ogni ora, anche senza bisogno; che s’impazientano ad ogni momento, per un nonnulla; che mangiano e bevono eccessivamente; coloro che non fanno sforzo abbastanza per correggersi dei pensieri d’orgoglio, di vanità, o dei pensieri contrari alla purezza; infine si dovrà rifiutare l’assoluzione a tutti coloro che non accusano da sé i loro peccati, che aspettano, per così dire, che il confessore li interroghi. Non tocca al sacerdote, ma tocca a voi di confessare i vostri peccati; se il sacerdote vi fa qualche domanda è per supplire a quanto non avreste potuto conoscere. — Ahimè! a tanti si deve, per così dire, strappare i peccati dal fondo del cuore; e ve ne sono di quelli che disputeranno perfino col confessore, volendo provare che non hanno fatto un gran male. È evidente che costoro non son degni di ricevere l’assoluzione, e non hanno le disposizioni che necessariamente richiede questo Sacramento, perché non sia profanato. Tutti i Padri della Chiesa sono d’accordo su questo punto, che quando non vi è cambiamento, né emendazione in chi si confessa, la sua penitenza è falsa ed ingannevole. Il santo Concilio di Trento ci ordina di non dare l’assoluzione che a quelli nei quali si vede la cessazione dal peccato, l’odio e la detestazione del passato, il proposito e l’inizio d’una vita nuova. Ecco, F. M., le regole dalle quali un confessore non può allontanarsi senza perdere se stesso ed i penitenti. Ma vediamo ora le ragioni che si mettono innanzi, per indurre il confessore a dare l’assoluzione. – Gli uni dicono che il non dare l’assoluzione a chi si confessa frequentemente è distruggere la religione, far apparire troppo difficile il compiere quanto essa comanda; è scoraggiare i peccatori ed esser causa che abbandonino la via del bene; è lo stesso che mandarli all’inferno; che molti altri confessori sono più accondiscendenti; che si avrebbe almeno la consolazione di vedere in parrocchia far la Pasqua un gran numero di persone, le quali ogni anno tornerebbero volentieri a confessarsi; che pretendendo troppo, non si ottiene nulla. F. M., quelli che ragionano così sono: 1° coloro che non meritano l’assoluzione. Ma, amici miei, fin dal principio della Chiesa tutti i Padri hanno seguito questa regola: che bisogna assolutamente aver lasciato il peccato per ricevere degnamente l’assoluzione. Questo rifiuto non sembra duro che ai peccatori impenitenti; questa regola non può dispiacere che a coloro i quali non pensano a convertirsi. Che cosa si ricava, F. M., da queste assoluzioni precipitate? Lo sapete benissimo anche voi. Ahimè! una catena di sacrilegi. Appena assolti, ricadete negli antichi peccati; la facilità con la quale avevate ottenuto il perdono, vi ha fatto sperare che l’otterrete ancora, del pari, facilmente, ed avete continuata la medesima vita; mentre se vi si fosse rifiutata l’assoluzione subito, sareste rientrati in voi stessi, avreste aperto gli occhi sulla vostra disgrazia, dalla quale forse non vi libererete mai più. La vostra povera vita non è che una serie di assoluzioni e di ricadute. Mio Dio, quale sventura! Ecco dove vi conduce la dolorosa facilità di assolvervi. Non è piuttosto crudeltà darvi l’assoluzione, che rifiutarvela, quando non siete disposti a riceverla? S. Cipriano ci dice che un prete deve stare alle regole della Chiesa, ed aspettare che il penitente dia segni certi che il suo cuore è cambiato e che comincia a condurre una vita diversa da quella che menava prima di confessarsi, perché Gesù Cristo stesso, che è Dio e padrone della grazia, non ha accordato il perdono che ai veri penitenti: accolse il buona ladrone, la cui conversione era sincera, ma respinse il cattivo, per la sua impenitenza. Perdonò a S. Pietro, di cui conosceva il dolore, ma abbandonò Giuda, il cui pentimento era falso. Quale disgrazia pel sacerdote e pel penitente, se il confessore gli dà l’assoluzione quando egli non la merita! Se mentre il ministro dice al penitente: Io ti assolvo; Gesù Cristo invece gli dice: Io ti condanno… Ahimè! quanto il numero di costoro è grande, poiché sono pochi quelli che abbandonano il peccato dopo ricevuta l’assoluzione, e cambiano vita. Tutto questo è vero, soggiungerete voi: ma che si dirà di me, dopo avermi più volte visto a confessarmi, non vedendomi far la comunione? Si crederà ch’io conduca una vita scorretta; d’altra parte, conosco altri, più peccatori di me, che pure furono assolti: voi avete assolto il tale, che ha mangiato di grasso con me, che, al pari di me, andò in giorno di domenica … — La coscienza di colui non è la vostra: se egli ha fatto male, non si deve seguirlo. Forse, per salvar le apparenze, vorreste dannarvi commettendo un sacrilegio? Non sarebbe quella la maggiore sventura? Credete che vi si faccia osservazione, perché foste visto a confessarvi più volte senza comunicarvi. Ah! amico mio, temete piuttosto lo sguardo irato di Dio, alla cui presenza avete fatto il male, e non badate a tutto il resto. Dite che ne conoscete di più colpevoli di voi, che pure furono assolti. Che ne sapete voi? Forse è venuto un angelo a dirvi che Dio non li ha cambiati e convertiti? E quand’anche non fossero convertiti, volete far il male, anche voi, perché essi lo hanno fatto? Vorreste dannarvi perché gli altri si dannano? Mio Dio! quale spaventevole linguaggio! — Ma, soggiungono costoro, che non solo non sono convertiti, ma che non desiderano nemmeno di convertirsi, e soltanto bramano di salvare le apparenze, quando dovremo venire per comunicarci? non vorremmo attender troppo. — Quando dovrete venire a comunicarvi? Ascoltate S. Giovanni Crisostomo: egli stesso ci insegnerà quando dovrete venire. Forse a Pasqua, a Pentecoste, a Natale? No, vi dice. Forse in punto di morte? No, vi dice ancora. Quando adunque? Quando, vi dice, avrete rinunciato seriamente al peccato, e sarete risoluti di non più cadervi, coll’aiuto della grazia di Dio; quando avrete restituito ciò che non è vostro; quando vi sarete riconciliati col vostro nemico; insomma quando vi sarete convertito davvero. — Altri peccatori ci diranno: Se siete così severo, andremo da altri, che ci assolveranno. Sono già venuto tante volte; ho ben altro da fare che andar avanti ed indietro; torno da tanto tempo, vedo bene che non volete saperne di me. Del resto, che male ho dunque fatto? — Andrete a trovarne un altro, amico mio, siete padrone d’andar ove meglio vi piace; ma credete voi che un altro avrà volontà di dannarsi più che non l’abbia io? no, senza dubbio. Se egli vi assolve è perché non vi conosce abbastanza. Volete sapere chi è colui il quale parla in tal modo, e cerca altrove una assoluzione? Ascoltate e tremate. E colui che abbandona la guida che può condurlo a salvamento, per cercare un passaporto per andar diritto all’inferno. — Ma, mi direte, son già tante volte che vengo. — Ebbene, amico mio, correggetevi, e vi assolverò la prima volta che ritornerete. — E già gran tempo, direte, ch’io non ritorno. — Tanto peggio per voi solo, amico mio. Non ritornando più, camminate a passi da gigante sulla via dell’inferno. Vi sono alcuni così ciechi da credere che il confessore non li assolve perché porta loro astio. Senza dubbio, amico mio, egli è irritato con voi, ma solo perché vuole la salvezza dell’anima vostra. Per questo non vuol darvi una assoluzione, che lungi dal salvarvi vi dannerebbe per tutta l’eternità. — Ma, dite voi, che gran male ho dunque fatto? non ho né ammazzato né rubato… — Non avete ammazzato né rubato, dite? Ma, amico mio, l’inferno racchiude altri che non hanno né rubato, né ammazzato; non sono questi i due soli peccati che trascinano le anime all’inferno. Se io fossi così debole da darvi l’assoluzione quando non la meritate, sarei il carnefice della povera anima vostra, che ha costato tanti patimenti a Gesù Cristo. – Ascoltate, F. M., questo tratto di storia, che ci insegna quali sono gli effetti di queste assoluzioni precipitose, impartite quando il penitente non è disposto. S. Carlo Borromeo ci racconta che un ricco napoletano conduceva una vita niente affatto cristiana. Si indirizzò ad un confessore che passava per facile ed accondiscendente. Questo sacerdote, infatti, appena udito il penitente, gli diede l’assoluzione senza aver alcuna prova del di lui pentimento. Il gentiluomo, quantunque senza religione, meravigliato d’una facilità, che tanti confessori saggi ed illuminati non avevano avuto per lui, si alza bruscamente, e togliendo alcune monete di tasca: “Prendete, Padre, gli disse, ricevete questo denaro, e conservatelo sino a quando ci troveremo insieme nel medesimo posto. — Quando, ed in qual luogo ci ritroveremo? risposegli il sacerdote tutto meravigliato. — Padre mio, in fondo all’inferno, dove ci troveremo presto ambedue: voi per avermi data l’assoluzione, di cui ero indegno, ed io per essere stato così sciagurato di riceverla, senz’essere convertito. „ Che ne pensate di questo fatto, F. M.? Meditiamole insieme queste parole; abbiamo in esse motivo di tremare tutti. — Ma, direte dunque, quando si può ricevere l’assoluzione? — Appena sarete convertiti, appena avrete cambiato metodo di vita: quando pregherete il buon Dio che faccia conoscere al vostro confessore le disposizioni del cuor vostro; quando avrete adempiuto esattamente ciò il confessore vi avrà prescritto, e non mancherete di ritornare nel tempo che egli vi ha fissato. Raccontasi d’un peccatore, che si convertì in una missione, che dopo la sua confessione il sacerdote lo vide così ben disposto, che fece per dargli l’assoluzione. Il povero uomo gli disse: “Ecchè, Padre mio! a me l’assoluzione! ah! lasciatemi piangere un po’ i peccati, che ebbi la disgrazia di commettere: mettetemi alla prova, affinché possiate essere sicuro che il mio pentimento è sincero.„ Quel penitente nell’atto di ricevere l’assoluzione, credeva morir di dolore. Mio Dio! quanto sono rare disposizioni simili! Ma quanto lo sono anche le confessioni buone! – Concludiamo: non dobbiamo mai sollecitare il confessore a darci l’assoluzione, perché dobbiamo sempre temere di non essere preparati, di non essere, cioè, abbastanza convertiti. Domandiamo al buon Dio che ci converta mentre ci confessiamo, affinché i nostri peccati ci siano davvero perdonati. È la fortuna che vi auguro.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps XXXIII:15-16
In te sperávi, Dómine; dixi: Tu es Deus meus, in mánibus tuis témpora mea.

[O Signore, in Te confido; dico: Tu sei il mio Dio, nelle tue mani sono le mie sorti.]

Secreta

Popitiáre, Dómine, pópulo tuo, propitiáre munéribus: ut, hac oblatióne placátus, et indulgéntiam nobis tríbuas et postuláta concedas.

[Sii propizio, o Signore, al tuo popolo, sii propizio alle sue offerte, affinché, placato mediante queste oblazioni, ci conceda il tuo perdono e quanto Ti domandiamo.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Sap XVI: 20
Panem de cælo dedísti nobis, Dómine, habéntem omne delectaméntum et omnem sapórem suavitátis.

[Ci hai elargito il pane dal cielo, o Signore, che ha ogni delizia e ogni sapore di dolcezza.]

Postcommunio

Orémus.
Sumptis, Dómine, coeléstibus sacraméntis: ad redemptiónis ætérnæ, quǽsumus, proficiámus augméntum.

[Fa, o Signore, Te ne preghiamo, che, ricevuti i celesti sacramenti, progrediamo nell’opera della nostra salvezza eterna.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

I SERMONI DEL CURATO D’ARS “SULL’ASSOLUZIONE”

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: “SULL’ASSOLUZIONE”

[DISCORSI DI SAN G. B. M. VIANNEY CURATO D’ARS Vol. IV, Marietti Ed. Torino-Roma, 1933

Visto nulla osta alla stampa. Torino, 25 Novembre 1931.

Teol. TOMMASO CASTAGNO, Rev. Deleg.

Imprimatur. C . FRANCISCUS PALEARI, Prov. Gen.

Proprietà della traduzione (23-XI-07-10- 29-XII-32-15).

Sull’Assoluzione.

Quorum remiseritis peccata, remittuntur eis; et quorum retinueritis retenta sunt.

(JOAN. XX, 23).

Quanto è costato, F. M., al divin Salvatore il dar efficacia a queste parole: “Saranno rimessi i peccati a chi li rimetterete, e ritenuti a chi li riterrete! „ Ahimè! quanti tormenti, quanti obbrobri, qual morte dolorosa!… Ma noi siamo così ciechi, così grossolani, così poco spirituali, che la maggior parte di noi, crede che spetti solo al sacerdote concedere o rifiutare l’assoluzione, a suo piacimento. No, F. M., ci inganniamo assai: il ministro del sacramento della Penitenza non è che il dispensatore delle grazie e dei meriti di Gesù Cristo (1 Cor. IV, 1) e non può dispensarli che secondo regole prescritte. Ahimè! da qual terrore deve esser preso un povero sacerdote, che esercita un ministero così formidabile, in cui corre grave pericolo di perder se stesso volendo salvare gli altri. Qual terribile rendiconto dovrà dare il sacerdote, quando verrà il dì del giudizio, e da Dio stesso gli verran messe davanti agli occhi tutte le assoluzioni impartite, per esaminare se fu troppo prodigo delle grazie del cielo o troppo avaro. Davvero, F. M., che è assai difficile adempiere sempre bene il proprio dovere!… Quanti sacerdoti, nel dì del giudizio, desidereranno non essere stati sacerdoti, ma semplici laici! Quanti fedeli pure si riconosceranno colpevoli, perché, forse, non pregarono mai Dio pei loro pastori, che si sono esposti al pericolo di perdersi per salvarli!… Ma se un sacerdote ha il potere di rimettere i peccati, ha pure quello di ritenerli; e S. Gregorio il Grande ci dice che un sacerdote deve esaminar bene le disposizioni del peccatore, prima di dargli l’assoluzione. Deve vedere se il suo cuore è cambiato, se ha davvero tutte le disposizioni, che deve avere un peccatore convertito. È quindi evidente che il ministro della Penitenza deve differire o rifiutare l’assoluzione a certi peccatori, sotto pena di dannare se stesso insieme col penitente. Vi mostrerò dunque, o vi insegnerò: 1° che cos’è l’assoluzione;

2° quali sono coloro ai quali si deve concederla o rifiutarla: argomento ben interessante, poiché trattasi della vostra salvezza o perdizione. Quanto l’uomo è fortunato, F. M., ma quanto altresì è colpevole! Dissi che è fortunato, poiché dopo aver perduto il suo Dio, il cielo e l’anima, può ancora sperare di trovar mezzi facili per riparare una perdita grande, quale è quella d’una felicità eterna. Il ricco che ha perduto le sue sostanze, spesso non può ricuperarle, malgrado ogni suo buon volere; ma se il Cristiano ha perduto la propria felicità eterna, può riacquistarla senza, per così dire, far fatica. Mio Dio! quanto amate i peccatori, poiché date ad essi tanti mezzi di ricuperare il cielo! Vi assicuro che siamo ben colpevoli disprezzando tutti questi mezzi, mentre possiamo con essi conseguire tanti beni. Avete perduto il cielo, amico mio, e perché volete vivere in tanta povertà? Mio Dio! l’uomo peccatore può davvero riparare la sua sventura!… e ha mezzi assai facili a sua portata!

I. — Se mi domandate che cos’è l’assoluzione, vi dirò che è una sentenza che il sacerdote pronuncia, in nome e coll’autorità di Gesù Cristo, e per la quale i nostri peccati vengono così rimessi, così cancellati, come se non li avessimo mai commessi, purché chi si confessa, abbia le disposizioni richieste dal Sacramento. Ah! F. M., chi di noi non vorrà ammirare l’efficacia di questa sentenza di misericordia? O momento felice per un peccatore convertito!… Appena il ministro ha pronunciato le parole: “Io ti assolvo, „ l’anima è lavata, purificata da tutte le sue lordure pel Sangue prezioso che scorre su di essa. Mio Dio! quanto siete buono col peccatore!… Inoltre, F. M., la povera anima nostra è strappata dalla tirannia del demonio e ristabilita nell’amicizia e nella grazia del suo Dio; riacquista la pace, quella pace sì preziosa, che forma tutta la felicità dell’uomo in questo mondo e nell’altro; le vien restituita l’innocenza, con tutti i diritti al regno di Dio, che i peccati le avevano rapito. Ditemi. F. M., non dobbiamo essere inteneriti e commossi sino alle lagrime alla vista di tante meraviglie? Avreste potuto pensare che ogni qual volta il peccatore riceve l’assoluzione gli siano accordati tutti questi beni? Ma tutto ciò non è dato e non dev’esser dato che a quelli che se lo meritano, cioè, che sono peccatori è vero, ma peccatori convertiti, che sentono dispiacere della loro vita passata, non solo perché hanno perduto il cielo, ma perché oltraggiarono Colui che merita d’essere infinitamente amato.

II. — Se desiderate sapere quando vi si debba differire o rifiutare l’assoluzione, eccolo: ascoltate bene, ed imprimetevelo nel cuore, affinché ogni volta che andrete a confessarvi possiate conoscere se meritate d’essere assolti o rimandati. Io trovo otto ragioni, che debbono indurre il Sacerdote a differirvi l’assoluzione; è la Chiesa stessa che ha dato queste regole, sulle quali il sacerdote non deve transigere; se le trascura, sventura a lui ed a quelli che dirige: è un cieco che fa da guida ad un altro cieco, tutti e due precipiteranno nell’inferno (Matt. XV, 14). E dovere del ministro di Dio di ben applicare queste regole, ed il vostro è di non mormorare quando vi si nega l’assoluzione. Se un sacerdote ve la rifiuta, è perché vi ama, e desidera davvero di salvar l’anima vostra; e voi non lo conoscerete che al dì del giudizio: allora vedrete che era solo il desiderio di condurvi al cielo che l’ha indotto a differirvi l’assoluzione. Se ve l’avesse accordata, come desideravate, sareste dannato. Non dovete adunque, F. M., mormorare quando un sacerdote non vi dà l’assoluzione; al contrario, dovete ringraziarne il buon Dio, ed adoperarvi con tutte le vostre forze per meritarvi questa fortuna. Vi dico, 1°, che non meritano l’assoluzione quelli che non sono abbastanza istruiti: il sacerdote non deve e non può darla a costoro senza rendersi colpevole, perché ogni Cristiano è obbligato di conoscere Gesù Cristo, i suoi misteri, la sua dottrina, le sue leggi ed i Sacramenti. S. Carlo Borromeo, Arcivescovo di Milano, ci dice espressamente che non si deve dar l’assoluzione a chi non conosce i misteri principali della nostra santa fede e gli obblighi particolari del proprio stato: “Specialmente, ci dice, quando si capisce che la loro ignoranza deriva dalla indifferenza per la propria salvezza.„ Le leggi della Chiesa proibiscono di dare l’assoluzione ai padri ed alle madri, ai padroni e padrone che non istruiscono i loro figli o domestici, o non li fanno istruire da altri intorno a ciò che è necessario per salvarsi; che non sorvegliano la loro condotta; che trascurano di correggerli dei loro disordini e difetti. Dirvi che non merita l’assoluzione chi non sa quanto è necessario per salvarsi, è come dicessi a qualcuno, che egli è nel precipizio, e non gli offrissi i mezzi di uscirne. Vi mostrerò dunque ciò che dovete sapere per uscire da questo abisso d’ignoranza: imprimetevelo bene nel cuore, affinché non si cancelli mai più, per insegnarlo ai vostri figli, e questi ad altri. Ripeto, F. M., quanto già vi dissi più volte: un Cristiano deve sapere il Pater noster, l’Ave Maria, il Credo, il Confiteor, gli atti di Fede, Speranza e Carità, i Comandamenti della legge di Dio, i precetti della Chiesa, e l’atto di Contrizione. E non intendo dire soltanto le parole; poiché bisognerebbe esser estremamente ignoranti per non saperle, ma occorre anche, se foste interrogati, che possiate dare la spiegazione di ogni articolo in particolare, chiarendone il significato. Questo vi si domanda, e non che sappiate soltanto le parole. Dovete sapere che il Pater noster è stato composto da Dio stesso; che l‘Ave Maria fu composta, parte dall’Angelo quando si presentò alla Ss. Vergine ad annunciarle il mistero dell’Incarnazione (Luc. I, 28), e l’altra parte dalla Chiesa; che il Credo fu composto dagli Apostoli dopo la discesa dello Spirito Santo, prima di disperdersi pel mondo; perciò avviene che in tutte le regioni del mondo è insegnata la medesima Religione cogli stessi misteri. Esso contiene il compendio di tutta la nostra santa Religione, il mistero della Ss. Trinità, cioè un Dio solo in tre Persone: il Padre che ci ha creati, il Figliuolo che ci ha redenti coi suoi patimenti e morte, e lo Spirito Santo che ci ha santificati nel Battesimo. Quando dite : “Credo in Dio Padre onnipotente, creatore, ecc.„ è come se diceste: Credo che l’eterno Padre ha creato tutte le cose, i nostri corpi e le nostre anime, che il mondo non è sempre stato, non durerà sempre, che un giorno tutto sarà distrutto… “Credo in Gesù Cristo ,, è come se diceste: Credo che Gesù Cristo, la seconda Persona della Ss. Trinità, si è fatto uomo, ha patito, è morto per redimerci, per meritarci il cielo, che il peccato di Adamo, ci aveva rapito. “Credo nello Spirito Santo, nella S. Chiesa cattolica, ecc. „ è come se diceste: Credo che v’è una sola Religione, che è quella della Chiesa, che Gesù Cristo stesso l’ha fondata, e le ha affidato tutte le sue grazie, che tutti coloro che non sono in questa Chiesa non si salveranno, e che essa durerà fino alla fine del mondo. Quando dite: “Credo nella comunione dei santi, „ è come se diceste: Credo che tutti i Cristiani si mettono vicendevolmente a parte del merito delle loro preghiere, di tutte le loro opere buone; credo che i santi che sono in cielo preghino Dio per noi, e che noi possiamo pregare per quelli che trovansi nelle fiamme del Purgatorio. Quando dite: “Credo nella remissione dei peccati, „ è come se diceste: Credo che vi è nella Chiesa di Gesù Cristo un Sacramento, il quale rimette ogni sorta di peccati, e che non vi sono peccati che la Chiesa di Gesù Cristo non possa rimettere. Dicendo; “Credo la risurrezione della carne, „ vogliamo dire che gli stessi corpi che abbiamo ora, un giorno risusciteranno, che le anime nostre si congiungeranno ad essi per andare insieme in cielo, se avremo la fortuna di aver servito bene il buon Dio, o per andare insieme all’inferno ad abbruciarvi per tutta l’eternità, se… dicendo: “Credo la vita eterna, „ è come se diceste: Credo che l’altra vita non finirà mai, che l’anima nostra durerà quanto Dio stesso, cioè senza fine. Quando dite: “D’onde verrà a giudicare i vivi ed i morti,„ è come se diceste: Credo che Gesù Cristo è nel cielo in corpo ed anima, e che Lui stesso verrà a giudicarci, a ricompensare chi avrà fatto bene, e punire chi l’avrà disprezzato. – Bisogna anche sapere che i Comandamenti della legge di Dio furon dati ad Adamo quando fu creato, cioè che Dio li scolpì nel suo cuore; e, dopo che Adamo peccò, Dio li diede a Mosè (Esod. XXXI, 18) scritti su tavole di pietra, sul monte Sinai. E questi stessi Dio medesimo confermò quando venne sulla terra per salvarci. Inoltre dovete sapere i tre atti di Fede, Speranza e Carità. E intendo ancora che non dovete sapere semplicemente le parole: chi non le sa? Ma il senso di questi atti. La fede ci fa credere tutto ciò che la Chiesa ci insegna, quantunque non possiamo comprenderlo; ci fa credere che Dio ci vede, che veglia alla nostra conservazione, che ci premierà o ci punirà, secondo che avremo fatto bene o male; che v’è un cielo per i buoni, ed un inferno per i cattivi; che Dio ha sofferto ed è morto per noi. La speranza ci induce a fare tutte le nostre azioni coll’intenzione di piacere a Dio, perché verranno ricompensate durante un’eternità. Dobbiamo credere che né la fede né la speranza saranno più necessarie in cielo, o meglio, non vi sarà più né fede né speranza: non avremo più nulla da credere, perché non vi saranno più misteri; nulla da .sperare perché vedremo quanto abbiamo creduto, e possederemo quanto abbiamo sperato; non vi sarà più che l’amore che ci consumerà per tutta l’eternità: e ciò formerà tutta la nostra felicità. – In questo mondo, l’amor di Dio consiste nell’amare il buon Dio al disopra di ogni cosa creata, nel preferirlo a tutto, anche alla nostra vita. Ecco, F. M., che cosa significa sapere il Pater noster, l’Ave Maria, il Credo, il Confiteor, i Comandamenti, i tre atti di Fede, di Speranza e di Carità. Se non sapete ciò, non conoscete guanto è necessario per salvarvi; bisogna almeno che. interrogati su quanto vi dissi, sappiate rispondere. E qui non è ancora tutto: bisogna che conosciate ilmistero dell’incarnazione, e che cosa vuol dire la parola incarnazione. È necessario sapere che questo mistero ci propone da credere che la seconda Persona della Ss. Trinità ha preso un corpo come il nostro nel seno della Ss. Vergine Maria, per opera dello Spirito Santo. Noi onoriamo questo mistero il 25 di Marzo, giorno dell’Annunciazione, perché in tal giorno il Figliuol di Dio ha unito, ha congiunto la sua divinità alla nostra umanità; si è fatto uomo come noi, ad eccezione del peccato, e si è caricato di tutti i nostri peccati per soddisfare alla giustizia del Padre suo. Occorre sapere che Gesù Cristo è nato il 25 Dicembre, a mezzanotte, il giorno di Natale. Sapere che in tal giorno si dicono tre Messe per onorare le tre nascite di Gesù Cristo: l a prima nel seno dell’Eterno Padre, sin dall’eternità; la seconda, quella corporale nel presepio, e la terza, quella nelle anime nostre colla santa comunione. Bisogna altresì sapere che nel Giovedì Santo Gesù Cristo istituì l’adorabile Sacramento dell’Eucaristia (Luc. XXII). La sera avanti la sua morte, circondato da’ suoi apostoli, prese del pane, lo benedisse, lo mutò nel suo Corpo. Prese del vino con un po’ d’acqua, lo mutò nel suo Sangue, e diede a tutti i sacerdoti, nella persona degli Apostoli, il potere di fare lo stesso miracolo ogni volta che pronunciassero le medesime parole: il che avviene nella santa Messa quando il sacerdote pronuncia le parole della consacrazione. Bisogna sapere che Gesù Cristo morì nel Venerdì Santo, e morì come uomo e non come Dio , perché come Dio non poteva morire; che risuscitò nel giorno santo di Pasqua, cioè che la sua Anima si riunì al Corpo; e che dopo essersi fermato quaranta giorni sulla terra salì al cielo nel giorno dell’Ascensione (Act. I, 3-9); che lo Spirito Santo discese sugli Apostoli il giorno di Pentecoste. Se venite interrogati e domandati quando furono istituiti i Sacramenti da Gesù Cristo o quando ebbero il loro effetto, cioè poterono comunicarci le grazie, dovete saper rispondere che fu solo dopo la Pentecoste. — Se vi si domandasse chi li ha istituiti, dovete sapere spiegare che Gesù Cristo solo poté farlo: non la Ss. Vergine né gli Apostoli. Dovete sapere quanti sono, quali gli effetti di ognuno, e quali disposizioni occorrono per riceverli; dovete sapere che il Battesimo cancella il peccato originale, cioè il peccato di Adamo, che noi tutti portiamo venendo al mondo; che quello della Confermazione ci vien conferito dal Vescovo, e ci dà lo Spirito Santo colla abbondanza delle sue grazie e de’ suoi doni; che quello della Penitenza lo riceviamo ogni qual volta ci confessiamo, e che mentre il sacerdote ci dà l’assoluzione, se siamo ben disposti, tutti i nostri peccati vengono rimessi. Nella santa Eucaristia riceviamo, non la Vergine Ss., né gli Apostoli od i santi, ma il Corpo adorabile ed il Sangue prezioso di Gesù Cristo. Col Figliuolo, in quanto Dio, riceviamo le altre Persone della Ss. Trinità, il Padre e lo Spirito Santo; e in quanto uomo, riceviamo appena il Figliuolo, cioè il suo Corpo e l’Anima uniti alla Divinità. — Il sacramento dell’Estrema Unzione è quello che ci aiuta a ben morire, ed è istituito per purificarci dai peccati commessi con tutti i nostri sensi. Quello dell’Ordine comunica agli uomini il medesimo potere che il Figlio di Dio diede a’ suoi apostoli. Questo sacramento fu istituito quando Gesù Cristo disse agli Apostoli: “Fate questo in memoria di me (Luc. XXII, 19), ed ogni volta che pronuncerete queste parole opererete il medesimo miracolo.„ Il sacramento del Matrimonio santifica i Cristiani che si uniscono insieme, secondo le leggi della Chiesa e dello Stato. Vi è però una differenza tra il sacramento dell’Eucaristia e gli altri. Nell’Eucaristia riceviamo il Corpo adorabile ed il Sangue prezioso di Gesù Cristo, mentre negli altri non riceviamo che l’applicazione dei meriti del suo Sangue prezioso. Inoltre alcuni si chiamano Sacramenti dei morti, altri Sacramenti dei vivi. Ecco perché si dice che il Battesimo, la Penitenza ed alcune volte l’Estrema Unzione sono sacramenti dei morti: perché quando li riceviamo l’anima nostra è morta agli occhi di Dio per i peccati; questi sacramenti risuscitano l’anima nostra alla grazia; gli altri invece sono sacramenti dei vivi…, perché per riceverli bisogna essere in istato di grazia di Dio, cioè non aver peccati sull’anima. Si deve ancora sapere che quando Gesù Cristo ha sofferto sulla croce, né il Padre né lo Spirito Santo hanno sofferto o sono morti, ma solo il Figliuolo patì e morì, come uomo e non come Dio. Ebbene! F. M., se vi avessi interrogati, avreste voi risposto a tutto ciò? Ebbene, se non sapete quanto vi dissi, non siete istruiti sufficientemente per salvarvi. Ho detto che i padri e le madri, i padroni e le padrone debbono per salvarsi essere istruiti di quanto riguarda la loro condizione. Il padre, la madre, il padrone, la padrona devono conoscere tutti gli obblighi da adempiere verso i figli e domestici: devono cioè conoscere perfettamente la religione per insegnarla agli altri; diversamente sono poveri disgraziati e finiscono tutti all’inferno. Ahimè! quanti padri e quante madri, quanti padroni e padrone vi sono che non conoscono neppure la religione e che insieme ai lor figli e domestici marciscono in un’ignoranza crassa, e non aspettano che la morte per gettarsi nell’inferno! S. Paolo ci dice che chi ignora i propri obblighi merita d’essere ignorato da Dio (1Cor. XIV, 38). Converrete con me, dunque, che tutte queste persone sono indegne di ricevere l’assoluzione, e che se hanno la disgrazia di riceverla, essa è un sacrilegio che viene a pesare sulla povera anima loro. Mio Dio! quanti vanno perduti per la loro ignoranza! Possiamo essere sicuri che questo solo peccato ne dannerà più che tutti gli altri insieme, perché una persona ignorante non conosce né il male che fa peccando, né il bene che perde: cosicché un ignorante è una persona perduta!

2° Dico inoltre che bisogna differire l’assoluzione a chi non dà segno di pentimento, cioè di dolore dei peccati commessi. Anzitutto, l’esperienza ci insegna che non dobbiamo affatto fidarci di tutte le promesse e proteste che si fanno. Tutti dicono che sono dolenti d’ aver offeso il buon Dio, che vogliono correggersi davvero, e che si confessano appunto per questo. Il sacerdote, credendoli sinceri, li assolve: che avviene di queste risoluzioni? Eccolo: otto giorni dopo dimenticano tutte le promesse, e ” ritornano al vomito, „ (II Piet. III, 22), cioè alle loro cattive abitudini. Così tutte le proteste non sono certamente prove sufficienti di conversione. Gesù Cristo ci dice che “solo dal frutto si conosce l’albero;„ (Matt. XII, 33), così, solo dal cambiamento di vita si conosce se v’era la contrizione necessaria per essere degni dell’assoluzione. Quando si ha davvero rinunciato ai propri peccati, non basta piangerli, bisogna anche rinunciare, abbandonare e fuggire quanto può indurvici: cioè esser disposti a tutto soffrire piuttosto che ricadere nei peccati che abbiamo confessati. Si deve adunque vedere in noi un cambiamento completo, senza del quale non abbiamo meritata l’assoluzione, e v’è ragione di credere che abbiamo commesso un sacrilegio. Ahimè! come sono poco numerosi coloro in cui si vede questo cambiamento dopo ricevuta l’assoluzione!… Mio Dio! quanti sacrilegi adunque! … Ah! se almeno ogni trenta assoluzioni ve ne fosse una buona, il mondo sarebbe presto convertito! Non merita dunque l’assoluzione chi non dà sufficienti segni di conversione. Ma costoro, purtroppo, d’ordinario non ritornano più quando furon rimandati. Essi fanno ciò appunto perché non hanno intenzione di convertirsi, giacché diversamente invece di aspettare un’altra Pasqua, avrebbero fatto di tutto per cambiar vita, e riconciliarsi con Dio.

3° In terzo luogo dico che si deve rifiutare l’assoluzione a chi conserva odio, risentimento nel cuore, a chi rifiuta di perdonare o di fare i primi passi per riconciliarsi; cosicché, P. M., bisogna guardarsi dal ricevere l’assoluzione quando si ha qualche rancore contro il prossimo. Dopo aver avuto con esso qualche contrarietà, bisogna sentirsi così ben disposti a rendergli servizio, come se per il passato non aveste ricevuto da lui altro che bene. Se vi accontentate di dire che non gli volete male, ma che lo trascurate, che non lo salutate con garbo, che evitate la sua compagnia, preferendone altre, voi non lo amate quanto dovete, perché il buon Dio vi perdoni i vostri peccati. Dio vi perdonerà nella misura che voi perdonerete al prossimo, e sinché avrete risentimento nel cuore contro di esso, ciò che di meglio possiate fare è procurare di sradicarlo; poi riceverete l’assoluzione. So benissimo che si può, anzi si deve evitare ogni compagnia che possa esporci al pericolo di litigare con l’uno o con l’altro, e la famigliarità di coloro che continuamente mormorano dei vicini. Ecco come bisogna regolarsi con queste persone: frequentarle solo quand’è necessario; non volere loro male e neppure sparlarne; accontentarsi di pregare il buon Dio per loro. Ascoltate quanto ci dice Gesù Cristo nel Vangelo: “Se, mentre sei per presentare la tua all’altare, ti ricordi che il fratello tuo abbia qualche cosa contro di te, o che tu l’hai offeso, lascia la tua offerta, e va prima a riconciliarti col fratello. „ (Matt. V, 23) — “Un giudizio severo, scrive S. Giacomo, è riservato a chi non avrà avuto misericordia col fratello. „ (Giac. II, 13). Voi comprendete ora, al par di me, o F. M., che ogni qual volta abbiamo animosità contro alcuno, non dobbiamo ricevere l’assoluzione, perché sarebbe come esporci a commettere sacrilegio, ciò che è la più grande di tutte le disgrazie.

4° Aggiungo in quarto luogo, che vanno trattati alla stessa maniera coloro che hanno recato qualche torto al prossimo e rifiutano di riparare il male fatto o nella persona o nella roba; non si può neanche dare l’assoluzione in punto di morte a chi ha dello restituzioni da fare, e ne lascia la cura agli eredi. Tutti i Padri della Chiesa dicono che non v’è perdono, né speranza di salvezza per chi tiene roba d’altri, potrebbe, e non vuol restituirla.

5° In quinto luogo si deve ricusare l’assoluzione a coloro che sono nell’occasione prossima di peccato, e rifiutano di uscirne. Si chiama occasione prossima di peccato tutto quanto può indurci ordinariamente a commetterlo, come spettacoli, balli, danze, libri cattivi, conversazioni disoneste, canzoni oscene, pitture indecenti, abbigliamento immodesto, cattive compagnie, il frequentar persone di sesso diverso, le relazioni con persone colle quali già altra volta si è peccato, ecc. Così pure i mercanti che non sanno vendere senza mentire o bestemmiare, gli osti che danno da bere agli ubbriaconi, ovvero durante le sacre funzioni, o di notte: come anche i domestici sollecitati al male da qualcuno della casa. A tutti costoro il sacerdote non deve e non può, senza suo danno, dare l’assoluzione, a meno che promettano di lasciar tali abitudini e di rinunciare a tutto ciò che li può indurre al peccato, o ne offre loro occasione. Altrimenti, ricevendo l’assoluzione. fanno senza dubbio un sacrilegio.

6° In sesto luogo deve negarsi l’assoluzione agli scandalosi, che colle loro parole, con consigli ed esempi perniciosi inducono gli altri al peccato; tali sono i cattivi Cristiani che mettono in derisione la parola di Dio e chi l’annunzia, sia il loro pastore oppure altro sacerdote; che motteggiano la religione, la pietà e le cose sante; che fanno discorsi contrari alla fede od ai buoni costumi; che nelle loro case tengono veglie, danze profane, giuochi proibiti; che conservano pitture disoneste, indecenti, o libri cattivi; così pure le persone che s’abbigliano coll’intenzione di piacere, che coi loro sguardi e modi procaci fanno rimettere col cuore tante fornicazioni ed adulteri. Un confessore, dice S. Carlo, deve rifiutare l’assoluzione a tutti costoro, poiché sta scritto : “Guai all’uomo per colpa del quale avviene lo scandalo „. (Matt. XVIII, 7).

7° In settimo luogo si deve rifiutare l’assoluzione, ovvero differirla, ai peccatori abitudinari, che ricadono da lungo tempo nelle medesime colpe, e fanno nulla o ben poco per correggersi. Di questo numero sono coloro che hanno l’abitudine di mentire ad ogni momento, non se ne fanno scrupolo, si divertono anzi a dir menzogne per far ridere gli altri; quelli che mormorano facilmente del prossimo ed hanno sempre alcunché da dire sul suo conto; quelli che hanno spesso sulle labbra parole di giuramento con leggera offesa del nome di Dio; quelli che hanno l’abitudine di mangiare ad ogni ora, anche senza bisogno; che s’impazientano ad ogni momento, per un nonnulla; che mangiano e bevono eccessivamente; coloro che non fanno sforzo abbastanza per correggersi dei pensieri d’orgoglio, di vanità, o dei pensieri contrari alla purezza; infine si dovrà rifiutare l’assoluzione a tutti coloro che non accusano da sé i loro peccati, che aspettano, per così dire, che il confessore li interroghi. Non tocca al sacerdote, ma tocca a voi di confessare i vostri peccati; se il sacerdote vi fa qualche domanda è per supplire a quanto non avreste potuto conoscere. — Ahimè! a tanti si deve, per così dire, strappare i peccati dal fondo del cuore; e ve ne sono di quelli che disputeranno perfino col confessore, volendo provare che non hanno fatto un gran male. E evidente che costoro non son degni di ricevere l’assoluzione, e non hanno le disposizioni che necessariamente richiede questo Sacramento, perché non sia profanato. Tutti i Padri della Chiesa sono d’accordo su questo punto, che quando non vi è cambiamento, né emendazione in chi si confessa, la sua penitenza è falsa ed ingannevole. Il santo Concilio di Trento ci ordina di non dare l’assoluzione che a quelli nei quali si vede la cessazione dal peccato, l’odio e la detestazione del passato, il proposito e l’inizio d’una vita nuova. Ecco, F. M., le regole dalle quali un confessore non può allontanarsi senza perdere se stesso ed i penitenti. Ma vediamo ora le ragioni che si mettono innanzi, per indurre il confessore a dare l’assoluzione. – Gli uni dicono che il non dare l’assoluzione a chi si confessa frequentemente è distruggere la religione, far apparire troppo difficile il compiere quanto essa comanda; è scoraggiare i peccatori ed esser causa che abbandonino la via del bene; è lo stesso che mandarli all’inferno; che molti altri confessori sono più accondiscendenti; che si avrebbe almeno la consolazione di vedere in parrocchia far la Pasqua un gran numero di persone, le quali ogni anno tornerebbero volentieri a confessarsi; che pretendendo troppo, non si ottiene nulla. F. M., quelli che ragionano così sono: 1° coloro che non meritano l’assoluzione. Ma, amici miei, fin dal principio della Chiesa tutti i Padri hanno seguito questa regola: che bisogna assolutamente aver lasciato il peccato per ricevere degnamente l’assoluzione. Questo rifiuto non sembra duro che ai peccatori impenitenti; questa regola non può dispiacere che a coloro i quali non pensano a convertirsi. Che cosa si ricava, F. M., da queste assoluzioni precipitate? Lo sapete benissimo anche voi. Ahimè! una catena di sacrilegi. Appena assolti, ricadete negli antichi peccati; la facilità con la quale avevate ottenuto il perdono, vi ha fatto sperare che l’otterrete ancora, del pari, facilmente, ed avete continuata la medesima vita; mentre se vi si fosse rifiutata l’assoluzione subito, sareste rientrati in voi stessi, avreste aperto gli occhi sulla vostra disgrazia, dalla quale forse non vi libererete mai più. La vostra povera vita non è che una serie di assoluzioni e di ricadute. Mio Dio, quale sventura! Ecco dove vi conduce la dolorosa facilità di assolvervi. Non è piuttosto crudeltà darvi l’assoluzione, che rifiutarvela, quando non siete disposti a riceverla? S. Cipriano ci dice che un prete deve stare alle regole della Chiesa, ed aspettare che il penitente dia segni certi che il suo cuore è cambiato e che comincia a condurre una vita diversa da quella che menava prima di confessarsi, perché Gesù Cristo stesso, che è Dio e padrone della grazia, non ha accordato il perdono che ai veri penitenti: accolse il buon la cui conversione era sincera, ma respinse il cattivo, per la sua impenitenza. Perdonò a S. Pietro, di cui conosceva il dolore, ma abbandonò Giuda, il cui pentimento era falso. Quale disgrazia pel sacerdote e pel penitente, se il confessore gli dà l’assoluzione quando egli non la merita! Se mentre il ministro dice al penitente: Io ti assolvo; Gesù Cristo invece gli dice: Io ti condanno… Ahimè! quanto il numero di costoro è grande, poiché sono pochi quelli che abbandonano il peccato dopo ricevuta l’assoluzione, e cambiano vita. Tutto questo è vero, soggiungerete voi: ma che si dirà di me, dopo avermi più volte visto a confessarmi, non vedendomi far la comunione? Si crederà ch’io conduca una vita scorretta; d’altra parte, conosco altri, più peccatori di me, che pure furono assolti: voi avete assolto il tale, che ha mangiato di grasso con me, che, al pari di me, andò in giorno di domenica … — La coscienza di colui non è la vostra: se egli ha fatto male, non si deve seguirlo. Forse, per salvar le apparenze, vorreste dannarvi commettendo un sacrilegio? Non sarebbe quella la maggiore sventura? Credete che vi si faccia osservazione, perché foste visto a confessarvi più volte senza comunicarvi. Ah! amico mio, temete piuttosto lo sguardo irato di Dio, alla cui presenza avete fatto il male, e non badate a tutto il resto. Dite che ne conoscete di più colpevoli di voi, che pure furono assolti. Che ne sapete voi? Forse è venuto un angelo a dirvi che Dio non li ha cambiati e convertiti? E quand’anche non fossero convertiti, volete far il male, anche voi, perché essi lo hanno fatto? Vorreste dannarvi perché gli altri si dannano? Mio Dio! quale spaventevole linguaggio! — Ma, soggiungono costoro, che non solo non sono convertiti, ma che non desiderano nemmeno di convertirsi, e soltanto bramano di salvare le apparenze, quando dovremo venire per comunicarci? non vorremmo attender troppo. — Quando dovrete venire a comunicarvi? Ascoltate S. Giovanni Crisostomo: egli stesso ci insegnerà quando dovrete venire. Forse a Pasqua, a Pentecoste, a Natale? No, vi dice. Forse in punto di morte? No, vi dice ancora. Quando adunque? Quando, vi dice, avrete rinunciato seriamente al peccato, e sarete risoluti di non più cadervi, coll’aiuto della grazia di Dio; quando avrete restituito ciò che non è vostro; quando vi sarete riconciliati col vostro nemico; insomma quando vi sarete convertito davvero. — Altri peccatori ci diranno: Se siete così severo, andremo da altri, che ci assolveranno. Sono già venuto tante volte; ho ben altro da fare che andar avanti ed indietro; torno da tanto tempo, vedo bene che non volete saperne di me. Del resto, che male ho dunque fatto? — Andrete a trovarne un altro, amico mio, siete padrone d’andar ove meglio vi piace; ma credete voi che un altro avrà volontà di dannarsi più che non l’abbia io? no, senza dubbio. Se egli vi assolve è perché non vi conosce abbastanza. Volete sapere chi è colui il quale parla in tal modo, , e cerca altrove una assoluzione? Ascoltate e tremate. E colui che abbandona la guida che può condurlo a salvamento, per cercare un passaporto per andar diritto all’inferno. — Ma, mi direte, son già tante volte che vengo. — Ebbene, amico mio, correggetevi, e vi assolverò la prima volta che ritornerete. — E già gran tempo, direte, ch’io non ritorno. — Tanto peggio per voi solo, amico mio. Non ritornando più, camminate a passi da gigante sulla via dell’inferno. Vi sono alcuni così ciechi da credere che il confessore non li assolve perché porta loro astio. Senza dubbio, amico mio, egli è irritato con voi, ma solo perché vuole la salvezza dell’anima vostra. Per questo non vuol darvi una assoluzione, che lungi dal salvarvi vi dannerebbe per tutta l’eternità. — Ma, dite voi, che gran male ho dunque fatto? non ho né ammazzato né rubato… — Non avete ammazzato né rubato, dite? Ma, amico mio, l’inferno racchiude altri che non hanno né rubato, né ammazzato; non sono questi i due soli peccati che trascinano le anime all’inferno. Se io fossi così debole da darvi l’assoluzione quando non la meritate, sarei il carnefice della povera anima vostra, che ha costato tanti patimenti a Gesù Cristo. – Ascoltate, F . M., questo tratto di storia, che ci insegna quali sono gli effetti di queste assoluzioni precipitose, impartite quando il penitente non è disposto. S. Carlo Borromeo ci racconta che un ricco napoletano conduceva una vita niente affatto cristiana. Si indirizzò ad un confessore che passava per facile ed accondiscendente. Questo sacerdote, infatti, appena udito il penitente, gli diede l’assoluzione senza aver alcuna prova del di lui pentimento. Il gentiluomo, quantunque senza religione, meravigliato d’una facilità, che tanti confessori saggi ed illuminati non avevano avuto per lui, si alza bruscamente, e togliendo alcune monete di tasca: “Prendete, Padre, gli disse, ricevete questo denaro, e conservatelo sino a quando ci troveremo insieme nel medesimo posto. — Quando, ed in qual luogo ci ritroveremo? risposegli il sacerdote tutto meravigliato. — Padre mio, in fondo all’inferno, dove ci troveremo presto ambedue: voi per avermi data l’assoluzione, di cui ero indegno, ed io per essere stato così sciagurato di riceverla, senz’essere convertito. „ Che ne pensate di questo fatto, F. M.? Meditiamole insieme queste parole; abbiamo in esse motivo di tremare tutti. — Ma, direte dunque, quando si può ricevere l’assoluzione? — Appena sarete convertiti, appena avrete cambiato metodo di vita: quando pregherete il buon Dio che faccia conoscere al vostro confessore le disposizioni del cuor vostro; quando avrete adempiuto esattamente ciò il confessore vi avrà prescritto, e non mancherete di ritornare nel tempo che egli vi ha fissato. Raccontasi d’un peccatore, che si convertì in una missione, che dopo la sua confessione il sacerdote lo vide così bendisposto, che fece per dargli l’assoluzione. Il povero uomo gli disse: “Ecchè, Padre mio! a me l’assoluzione! ah! lasciatemi piangere un po’ i peccati, che ebbi la disgrazia di commettere: mettetemi alla prova, affinché possiate essere sicuro che il mio pentimento è sincero.„ Quel penitente nell’atto di ricevere l’assoluzione, credeva morir di dolore. Mio Dio! quanto sono rare disposizioni simili! Ma quanto lo sono anche le confessioni buone! – Concludiamo: non dobbiamo mai sollecitare il confessore a darci l’assoluzione, perché dobbiamo sempre temere di non essere preparati, di non essere, cioè, abbastanza convertiti. Domandiamo al buon Dio che ci converta mentre ci confessiamo, affinché i nostri peccati ci siano davvero perdonati. È la fortuna che vi auguro.

DOMENICA XII DOPO PENTECOSTE (2021)

DOMENICA XII DOPO PENTECOSTE (2021).

Semidoppio.- Paramenti verdi.

Nell’ufficio divino si effettua in questo tempo la lettura delle Parabole o Proverbi di Salomone. « Queste parabole sono utili per conoscere la sapienza e la disciplina, per comprendere le parole della prudenza, per ricevere l’istruzione della dottrina, la giustizia e l’equità affinché sia donato a tutti i piccoli il discernimento e ai giovani la scienza e l’intelligenza. Il savio ascoltando diventerà più savio e l’intelligente possederà i mezzi per governare! (7° Nott.). Salomone non era che la figura di Cristo, che è la Sapienza incarnata come leggiamo nel Vangelo di questo giorno: « Beati gli occhi che vedono quello che voi vedete, poiché io ve lo dico, molti profeti e re hanno voluto vedere quello che voi vedete e non hanno potuto; e ascoltare quello che voi ascoltate e non hanno inteso ». « Beati, dice S. Beda, gli occhi che possono conoscere i misteri del Signore, dei quali è detto: « Voi li avete rivelati ai piccoli ». Beati gli occhi di questi piccoli, ai quali il Figlio degnò rivelarsi e rivelare il Padre. Ed ecco un dottore della legge che ha pensato di tentare il Signore e l’interroga sulla vita eterna (Vang.). Ma il tranello che tende a Gesù Cristo mostra come era vero quello che il Signore aveva detto rivolgendosi al Padre: « Tu hai nascoste queste cose ai saggi e ai prudenti e le hai rivelate ai piccoli» (2° Nott.). — « Figlio mio, dice Salomone, il timor di Dio è il principio della sapienza. Se i peccatori vogliono attirarti non acconsentir loro. Se essi dicono: Vieni con noi, tendiamo agguati all’innocente, inghiottiamolo vivo e intero com’è inghiottito il morto che scende nella tomba; noi troveremo ogni sorta di beni preziosi, riempiremo le nostre case di bottini; figlio mio, non andare con loro, allontana i tuoi passi dal loro sentiero. Poiché i loro passi sono rivolti al male ed essi si affrettano per versar sangue. E s’impadroniscono dell’anima di coloro che soggiogano » (7» Nott.). — Cosi i demoni agirono col primo uomo, poiché quando Adamo cadde nel peccato, lo spogliarono di tutti i suoi beni e lo coprirono di ferite. Il peccato originale, infatti, priva l’uomo di tutti i doni della grazia e lo colpisce nella sua stessa natura. La tua intelligenza è meno viva e la sua volontà meno ferma, poiché la concupiscenza che regna nelle sue membra lo porta al male. Per fargli comprendere la sua impotenza — poiché, dice S. Paolo, la nostra attitudine a intendere viene da Dio (Ep.) — Jahvé stabilì la legge mosaica che gli dava precetti senza dargli la forza di compierli, ossia senza la grazia divina. Allora, l’uomo comprendendo che gli bisognava l’aiuto di Dio per essere guarito, per volere il bene, per realizzarlo e per perseverare in esso fino alla fine, rivolse il suo sguardo al cielo: « O Dio, gridò, e non deve giammai cessare di gridare: O Dio, vieni in mio aiuto; Signore, affrettati a soccorrermi! Siano confusi coloro che cercano l’anima mia » (Intr.). — « Signore, Dio della mia salute, io ho gridato verso di te tutto il giorno e la notte » (All.). E Dio allora risolse di venire in aiuto dell’uomo e poiché i sacerdoti ed i leviti dell’antica legge non avevano potuto cooperare con lui, mandò Gesù Cristo, che si fece, secondo il pensiero di S. Gregorio, il prossimo dell’uomo, rivestendosi della nostra umanità per guarirla (3° Nott.). Queste è quanto ci dicono l’Epistola e il Vangelo. La legge del Sinai, scolpita in lettere su pietre, spiega S. Paolo, fu un ministero di morte perché, l’abbiamo già visto, non dava la forza di compiere ciò che comandava. Cosi l’Offertorio ci mostra come Mose dovette Intervenire presso Dio per calmare la sua ira provocata dai peccati del suo popolo. La Legge della grazia è Invece un ministero di giustificazione, perché lo Spirito Santo che fu mandato alla Chiesa nel giorno della Pentecoste, giorno in cui la vecchia legge fu abrogata, dava la forza di osservare i precetti del decalogo e quelli della Chiesa. Cosi S. Paolo dice: « La lettera uccide, ma lo Spirito vivifica » (Ep.). E il Vangelo ne fa la dimostrazione nella parabola del buon Samaritano. All’impotente legge mosaica, rappresentata in qualche modo dal sacerdote e dal levita della parabola evangelica, il buon Samaritano che è Gesù, sostituisce una nuova legge estranea all’antica e viene Egli stesso in aiuto dell’uomo. Medico delle nostre anime, versò nelle nostre ferite l’unzione della sua grazia, l’olio dei suoi sacramenti e il vino della sua Eucaristia. Per questo la liturgia canta, in uno stile ricco di immagini, la bontà del Signore, che ha fatto produrre sulla terra il pane che fortifica l’uomo, il vino che rallegra il suo cuore, e l’olio che dona al suo viso un aspetto di gioia (Com.). « Io benedirò, dice il Graduale, il Signore in tutti i tempi: la sua lode sarà sempre sulle mie labbra ». Noi dobbiamo imitare verso il nostro prossimo quello che Dio ha fatto per noi e quello di cui il Samaritano è l’esempio. « Nessuna cosa è maggiormente prossimo delle membra che il capo, dice S. Beda: amiamo dunque colui che è fratello del Cristo, cioè siamo pronti a rendergli tutti i servizi sia temporali che spirituali dicui potrà aver bisogno » (3° Nott.). Né la legge mosaica, né il Vangelo separano l’amore verso Dio dall’amore di chi dobbiamo ritenere come prossimo: amore soprannaturale nella sua origine, poiché procede dallo Spirito Santo; amore soprannaturale nel soggetto perché è Dio nella persona dei nostri fratelli. Il prossimo di questo uomo ferito non è, come pensavano i Giudei, colui che è legato per vincoli di sangue, ma colui che si china caritatevolmente su di esso per soccorrerlo. L’unione in Cristo, che giunge fino a farci amare quelli che ci odiano e perdonare a quelli che ci hanno fatto del male, perché Dio è in essi, o è chiamato ad essere in essi, è il vero amore del prossimo. Perfezionati dalla grazia, noi dobbiamo imitare il Padre nostro del cielo, che, calmato dalla preghiera di Mosè, figura di Cristo, colmò di beni il popolo che l’aveva offeso (Off., Com.). — Uniti dunque con Cristo, [Questa unità dei Cristiani e del Cristo fa sì che si chiami Gesù il Samaritano, cioè lo straniero, per indicare che i Gentili imiteranno Cristo mentre i Giudei increduli lo disprezzeranno], curviamoci con Lui verso il prossimo che soffre. Questo sarà il miglior modo di diventare, per la misericordia divina, atti a servire Dio onnipotente, degnamente e lodevolmente, e di ottenere che, rialzati dalla grazia, noi corriamo, senza più cadere, verso il cielo promesso (Oraz.) . «Gesù, dice S. Beda, il Venerabile, mostra in maniera chiarissima che non vi è che un solo amore, il quale deve essere manifestato non solo a parole ma con le buone opere, ed è questo che conduce alla vita eterna ». (3° Nott.). – La gloria dei ministero di Mosè fu assai grande: raggi miracolosi brillavano sul volto del legislatore dell’antica legge, allorché discese dal Sinai. Ma questo ministero era inferiore al ministero evangelico. Il primo era passeggero: il secondo doveva surrogarlo e durare per sempre. Il primo era scritto su tavole di pietra, era il ministero della lettera; il secondo è tutto spirituale, è il ministero dello spirito. Il primo produceva spesso la morte spirituale spingendo alla ribellione con la molteplicità dei suoi precetti difficili ad adempirsi; il secondo è accompagnato dalle grazie dello Spirito d’amore, che gli Apostoli distribuiscono alle anime. L’uno è dunque un ministero che provoca i terribili giudizi di Dio, e l’altro è un ministero che giustifica gli uomini davanti a Dio, perché dona ad essi lo Spirito che vivifica. – « Quest’uomo che scendeva da Gerusalemme a Gerico, dice S. Beda, è Adamo che rappresenta il genere umano. Gerusalemme è la città della pace celeste, della beatitudine dalla quale è stato allontanato per il peccato. I ladri sono il demonio e i suoi angeli nelle mani dei quali Adamo è caduto nella sua discesa. Questi lo spogliarono di tutto: gli tolsero la gloria dell’immortalità e la veste dell’innocenza.. Le piaghe che gli fecero, sono i peccati che, intaccando l’integrità dell’umana natura, fecero entrare la morte dalle ferite aperte. Lo lasciarono mezzo morto, perché se lo spogliarono della beatitudine della vita immortale, non riuscirono a togliergli l’uso della ragione colla quale conosceva Dio. Il sacerdote e il levita che, avendo veduto il ferito, passarono oltre, indicano i sacerdoti e i ministri dell’Antico Testamento che potevano solamente, con i decreti della legge, mostrare le ferite del mondo languente, ma non potevano guarirle, perché era loro impossibile – al dire dell’Apostolo – cancellare i peccati col sangue dei buoi e degli agnelli. Il buon Samaritano, parola che significa guardiano, e lo stesso Signore. Fatto uomo, s’è avvicinato a noi con la grande compassione che ci ha mostrata. L’albergo è la Chiesa ove Gesù stesso conduce l’uomo, ponendolo sulla cavalcatura perché nessuno, se non è battezzato, unito al corpo di Cristo, e portato come la pecora sperduta sulle spalle del buon Pastore, può far parte della Chiesa. I due danari sono i due Testamenti sui quali sono impressi il nome e l’effigie del Re eterno. La fine della legge è Cristo. Questi due denari furono dati all’albergatore il giorno dopo, perché Gesù il giorno seguente la sua risurrezione aprì gli occhi dell’intelligenza ai discepoli di Emmaus e ai suoi Apostoli perché comprendessero le sante Scritture. Il giorno seguente, infatti, l’albergatore, ricevette i due danari, come compenso delle sue cure verso il ferito perché lo Spirito Santo, venendo su la Chiesa, insegnò agli Apostoli tutte le verità perché potessero istruire le nazioni e predicare il Vangelo » (Omelia del giorno).

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

LXIX: 2-3
Deus, in adjutórium meum inténde: Dómine, ad adjuvándum me festína: confundántur et revereántur inimíci mei, qui quærunt ánimam meam.

[O Dio, vieni in mio aiuto: o Signore, affrettati ad aiutarmi: siano confusi e svergognati i miei nemici, che attentano alla mia vita.]

Ps LXIX: 4

Avertántur retrórsum et erubéscant: qui cógitant mihi mala.

[Vadano delusi e scornati coloro che tramano contro di me.]

Deus, in adjutórium meum inténde: Dómine, ad adjuvándum me festína: confundántur et revereántur inimíci mei, qui quærunt ánimam meam.

[O Dio, vieni in mio aiuto: o Signore, affrettati ad aiutarmi: siano confusi e svergognati i miei nemici, che attentano alla mia vita.]

Oratio

Orémus.
Omnípotens et miséricors Deus, de cujus múnere venit, ut tibi a fidélibus tuis digne et laudabíliter serviátur: tríbue, quǽsumus, nobis; ut ad promissiónes tuas sine offensióne currámus.

[Onnipotente e misericordioso Iddio, poiché dalla tua grazia proviene che i tuoi fedeli Ti servano degnamente e lodevolmente, concedici, Te ne preghiamo, di correre, senza ostacoli, verso i beni da Te promessi.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corinthios. 2 Cor III: 4-9.

“Fratres: Fidúciam talem habémus per Christum ad Deum: non quod sufficiéntes simus cogitáre áliquid a nobis, quasi ex nobis: sed sufficiéntia nostra ex Deo est: qui et idóneos nos fecit minístros novi testaménti: non líttera, sed spíritu: líttera enim occídit, spíritus autem vivíficat. Quod si ministrátio mortis, lítteris deformáta in lapídibus, fuit in glória; ita ut non possent inténdere fili Israël in fáciem Moysi, propter glóriam vultus ejus, quæ evacuátur: quómodo non magis ministrátio Spíritus erit in glória? Nam si ministrátio damnátionis glória est multo magis abúndat ministérium justítiæ in glória.

[“Fratelli: Tanta fiducia in Dio noi l’abbiamo per Cristo. Non che siamo capaci da noi a pensar qualche cosa, come se venisse da noi; ma la nostra capacità viene da Dio, il quale ci ha anche resi idonei a essere ministri della nuova alleanza, non della lettera, ma dello spirito; perché la lettera uccide ma lo spirito dà vita. Ora, se il ministero della morte, scolpito in lettere su pietre, è stato circonfuso di gloria in modo che i figli d’Israele non potevano fissare lo sguardo in faccia a Mosè, tanto era lo splendore passeggero del suo volto; quanto più non sarà circonfuso di gloria il ministero dello Spirito? Invero, se è glorioso il ministero di condanna, molto più è superiore in gloria il ministero di giustizia”].

TUTTO E NIENTE.

Alessandro Manzoni ha colto ancora una volta perfettamente nel segno quando parlando di Dio, come ce Lo ha rivelato N. S. Gesù Cristo, come noi lo conosciamo alla sua scuola, ha detto che Egli atterra e suscita; due gesti contradditori, all’apparenza, ed entrambi radicali. Quando fa le cose sue, Dio non le fa a mezzo: se butta giù, atterra, inabissa; e se tira su, suscita, sublima: a questo radicalismo, e a questa completezza d’azione divina corrisponde anche quello che s. Paolo dice nella lettera d’oggi, messo a riscontro di ciò che afferma altrove. Ecco qua: oggi San Paolo dice ciò che è verissimo che, cioè, noi da soli siam buoni a nulla: neanche a formare un piccolo pensiero. Nel concetto di San Paolo e di tutti, è la cosa a noi più facile, assai più facile volere che fare. Il pensiero è il primo gradino della scala, il più ovvio, il più semplice. Non importa: neanche quello scalino l’uomo può fare da sé, proprio da sé, ci vuole l’aiuto di Dio. Il quale dunque, è tutto Lui e noi di fronte a Lui siamo un bel niente, uno zero. È un fiero e giusto colpo assestato al nostro orgoglio che ci fa credere di essere un gran che e di potere fare noi, proprio noi, chi sa che cosa. L’uomo ha degli istinti orgogliosamente, dinamicamente, mefistofelici. Noi vorremmo essere tutto: noi ci illudiamo di poter fare tutto. E invece ogni nostra capacità viene da Dio: « sufficientia nostra ex Deo est. » Il che non vuol dire che questa capacità (sufficientia) non ci sia. C’è ricollegata con Dio. E allora San Paolo appoggiato a Dio, immerso nell’umile fiducia in Lui, tiene un tutt’altro linguaggio, che par una negazione ed è invece un’integrazione del precedente. «Omnia possum in Eo qui me confortat » io posso tuto in Colui che mi conforta; dal niente siamo passati al tutto. Lo stesso radicalismo. Prima, nessuna possibilità e adesso nessuna impossibilità. Prima l’uomo buttato a terra, proprio umiliato (humus, vuol dire terra), adesso esaltato fino alle stelle, proclamato in qualche modo onnipotente. La contradizione non c’è perché chi dice così non è lo stesso uomo che viene considerato, non è lo stesso uomo di cui si parla. L’uomo che non può tutto, che è la stessa impotenza, è l’uomo solo o piuttosto l’uomo isolato da Dio, lontano effettivamente ed affettivamente da Lui: ramo reciso dal tronco, tralcio separato dalla vite, ruscello a cui è stata tolta la comunicazione colla sorgente e che perciò non ha più acqua. L’uomo isolato così è sterile, infecondo nel bene, può scendere, non può salire. Ma riattaccatelo a Dio, mettetelo in comunicazione viva, piena, conscia, voluta, e la situazione si modifica dalla notte al giorno. L’anima che sente questo contatto nuovo, sente un rifluire in se stessa di nuove, sante, inesauste energie. Non poteva nulla senza il suo Dio, adesso può tutto unita a Lui. «Omnia possumin Eo quì me confortat. » E’ il grido magnanimoe non ribelle dei Santi, appunto perché la loro onnipotenza la ripetono da Dio, tutta e solo daLui. Solo realizzando spiritualmente quel nientee quel tutto, solo vivendo tutta quella umiltàe tutta questa fede, si raggiunge l’equilibriotra la sfiducia e la presunzione.

P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

Graduale

Ps XXXIII: 2-3.

Benedícam Dóminum in omni témpore: semper laus ejus in ore meo.

[Benedirò il Signore in ogni tempo: la sua lode sarà sempre sulle mie labbra.]

V. In Dómino laudábitur ánima mea: áudiant mansuéti, et læténtur.

[La mia anima sarà esaltata nel Signore: lo ascoltino i mansueti e siano rallegrati.]

Alleluja

Allelúja, allelúja

Ps LXXXVII: 2

Dómine, Deus salútis meæ, in die clamávi et nocte coram te. Allelúja.

[O Signore Iddio, mia salvezza: ho gridato a Te giorno e notte. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum S. Lucam.

Luc. X: 23-37

“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Beáti óculi, qui vident quæ vos videtis. Dico enim vobis, quod multi prophétæ et reges voluérunt vidére quæ vos videtis, et non vidérunt: et audire quæ audítis, et non audiérunt. Et ecce, quidam legisperítus surréxit, tentans illum, et dicens: Magister, quid faciéndo vitam ætérnam possidébo? At ille dixit ad eum: In lege quid scriptum est? quómodo legis? Ille respóndens, dixit: Díliges Dóminum, Deum tuum, ex toto corde tuo, et ex tota ánima tua, et ex ómnibus víribus tuis; et ex omni mente tua: et próximum tuum sicut teípsum. Dixítque illi: Recte respondísti: hoc fac, et vives. Ille autem volens justificáre seípsum, dixit ad Jesum: Et quis est meus próximus? Suscípiens autem Jesus, dixit: Homo quidam descendébat ab Jerúsalem in Jéricho, et íncidit in latrónes, qui étiam despoliavérunt eum: et plagis impósitis abiérunt, semivívo relícto. Accidit autem, ut sacerdos quidam descénderet eádem via: et viso illo præterívit. Simíliter et levíta, cum esset secus locum et vidéret eum, pertránsiit. Samaritánus autem quidam iter fáciens, venit secus eum: et videns eum, misericórdia motus est. Et apprópians, alligávit vulnera ejus, infúndens óleum et vinum: et impónens illum in juméntum suum, duxit in stábulum, et curam ejus egit. Et áltera die prótulit duos denários et dedit stabulário, et ait: Curam illíus habe: et quodcúmque supererogáveris, ego cum redíero, reddam tibi. Quis horum trium vidétur tibi próximus fuísse illi, qui íncidit in latrónes? At ille dixit: Qui fecit misericórdiam in illum. Et ait illi Jesus: Vade, et tu fac simíliter.”

[“In quel tempo Gesù disse a’ suoi discepoli: Beati gli occhi che veggono quello che voi vedete. Imperocché vi dico, che molti profeti e regi bramarono di vedere quello che voi vedete, e no videro; e udire quello che voi udite, e non l’udirono. Allora alzatosi un certo dottor di legge per tentarlo, gli disse: Maestro, che debbo io fare per possedere la vita eterna? Ma Egli disse a lui: Che è quello che sta scritto nella legge? come leggi tu? Quegli rispose, e disse: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuor tuo, e con tutta l’anima tua, e con tutte le tue forze, o con tutto il tuo spirito; e il prossimo tuo come te stesso. E Gesù gli disse: Bene hai risposto: fa questo e vivrai. Ma quegli volendo giustificare se stesso, disse a Gesù: E chi è mio prossimo? E Gesù prese la parola, e disse: Un uomo andava da Gerusalemme a Gerico, e diede negli assassini, i quali ancor lo spogliarono; e avendogli date delle ferite, se n’andarono, lasciandolo mezzo morto. Or avvenne che passò per la stessa strada un sacerdote, il quale vedutolo passò oltre. Similmente anche un levita, arrivato vicino a quel luogo, e veduto colui, tirò innanzi: ma un Samaritano, che faceva suo viaggio, giunse presso lui; e vedutolo, si mosse a compassione. E se gli accostò, e fasciò le ferite di lui, spargendovi sopra olio e vino; e messolo sul suo giumento, lo condusse all’albergo, ed ebbe cura di esso. E il dì seguente tirò fuori due danari, e li diede all’ostiere, e dissegli: Abbi cura di lui: e tutto quello che spenderai di più te lo restituirò al mio ritorno. Chi di questi tre ti pare egli essere stato prossimo per colui che diede negli assassini? E quegli rispose: Colui che usò ad esso misericordia. E Gesù gli disse: Va’, fa’ anche tu allo stesso modo.”]

OMELIA

~DISCORSI DI SAN G. B. M. VIANNEY CURATO D’ARS

Vol. III, Marietti Ed. Torino-Roma, 1933~ Visto nulla osta alla stampa.

Torino, 25 Novembre 1931. Teol. TOMMASO CASTAGNO, Rev. Deleg. – Imprimatur. C . FRANCISCUS PALEARI, Prov. Gen.

Proprietà della traduzione (23-XI-07-10- 29-XII-32-15).

Sull’amore del prossimo.

“Vade, et tu fac similiter”.

(Luc. X, 37).

Un dottore della legge, narra S. Luca, si presentò a Gesù Cristo dicendogli per tentarlo: “Maestro, che cosa bisogna fare per ottenere la vita eterna?„ Gesù Cristo gli rispose: u Che cosa sta scritto nella legge, che cosa vi leggi?„ E l’altro rispose: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l’anima tua, con tutte le tue forze: ed il prossimo tuo come te stesso.„ — “Hai risposto bene, gli replicò Gesù Cristo: va, fa questo, ed avrai la vita eterna.„ Il dottore gli domandò poi chi fosse il suo prossimo, e chi dovesse amare come se stesso. Gesù Cristo gli propose questa parabola: “Un uomo andava da Gerusalemme a Gerico: cadde fra le mani dei ladri che non contenti di averlo spogliato, lo copersero di ferite e lo lasciarono mezzo morto sulla strada. Per caso passò di là un sacerdote che scendeva per la medesima via. Avendolo visto in così misero stato, non lo guardò nemmeno. Poi un levita, avendolo scorto, passò via parimente: ma un Samaritano che faceva la stessa strada, avendolo visto gli si avvicinò, e ne fu vivamente mosso a compassione: discese dal cavallo, e si mise ad aiutarlo con ogni suo mezzo. Lavò le sue ferite con olio e vino, le fasciò, e messolo sul suo cavallo lo condusse ad un albergo, dove ordinò al padrone di prenderne cura, dicendogli che se il danaro datogli non bastava, al ritorno gli darebbe ciò che avesse speso di più. „ Gesù Cristo disse al dottore “Quale dei tre credi tu sia stato prossimo a |quest’uomo che cadde nelle mani dei ladri?„ Il dottore gli rispose: “Credo sia colui che gli ha usato misericordia.„ — “Ebbene va, gli disse Gesù Cristo, fa altrettanto ed avrai la vita eterna.„ Ecco F. M., il modello perfetto della carità che dobbiamo avere pel nostro prossimo. Vediamo quindi, F. M., se abbiamo questa carità che ci assicura la vita Eterna. – Ma, per meglio farvene sentire la necessità, vi mostrerò che tutta la nostra religione non è che falsità, e tutte le nostre virtù non sono che larve, e noi non siamo che ipocriti davanti a Dio, se non abbiamo questa carità universale per tutti senza distinzione: cioè per i buoni come per i cattivi, per i poveri come per i ricchi, per tutti coloro che ci fanno del male come per coloro che ci fanno del bene. No, F . M., non vi è virtù che meglio della carità ci faccia conoscere se siamo figli di Dio! e l’obbligo che abbiamo di amare il nostro prossimo è così grande, che Gesù Cristo ce ne fa un comandamento, che mette subito dopo quello col quale ci ordina di amar Lui con tutto il nostro cuore. Ci dice che tutta la legge ed i profeti son compresi nel comando di amare Dio e il prossimo.(Matt. XXII, 40). Sì, F. M., dobbiamo considerare questo dovere come il più universale, il più necessario ed essenziale alla religione e alla nostra salvezza; perché adempiendo questo comandamento adempiamo tutti gli altri. S. Paolo ci dice che gli altri comandamenti ci proibiscono l’adulterio, il furto, le ingiurie e il dire il falso in testimonio: se amiamo il nostro prossimo non faremo niente di tutto questo, perché l’amore che portiamo al nostro prossimo non può soffrire che gli facciamo alcun male (Rom. XIII, 9, 10). Dico anzitutto, che: – 1° questo comandamento che ci ordina di amare il nostro prossimo, è il più necessario alla nostra salvezza, poiché S. Giovanni ci dice che se non amiamo i nostri fratelli, cioè gli uomini, siamo in istato di riprovazione. Vediamo altresì che Gesù Cristo ha tanto a cuore l’adempimento di questo comandamento, che ci dice che solo dall’amore che avremo gli uni per gli altri Egli ci riconoscerà per suoi figli (Giv. XIII, 35). – 2° Affermo inoltre, F. M., che questo obbligo così grande di amarci gli uni gli altri, ci è imposto perché abbiamo tutti il medesimo Creatore, tutti la stessa origine; siamo tutti d’una stessa famiglia, della quale Gesù Cristo è il padre, e tutti portiamo la sua immagine e somiglianza; siamo tutti creati per uno stesso fine, che è la gloria eterna; e tutti fummo redenti dalla passione e morte di Gesù Cristo. Dopo di ciò, F. M., non possiamo rifiutarci di amare il nostro prossimo, senza offendere Gesù Cristo in persona che ce lo comanda sotto minaccia di dannazione eterna. S. Paolo ci dice che avendo tutti una stessa speranza, la vita eterna, uno stesso Signore, una stessa fede, uno stesso battesimo ed uno stesso Dio che è Padre di tutti gli uomini, dobbiamo amare tutti gli uomini come noi stessi se vogliamo piacere a Gesù Cristo e salvare le anime nostre (Ephes. IV, 2-6). Ma, forse chiederete, in che consiste adunque l’amore che dobbiamo al nostro prossimo?

— F. M., esso consiste in tre cose:

1 ° nel voler il bene di tutti; 2° nel farne loro ogni qual volta il possiamo; 3° nel sopportare, scusare e nascondere i loro difetti. Ecco, F. M., la vera carità dovuta al prossimo, ed il vero segno d’una vera carità, senza la quale non possiamo né piacere a Dio né salvare le anime nostre.

1° Dobbiamo desiderare bene a tutti, e sentirci afflitti davvero quando sappiamo che accade al nostro prossimo qualche sventura, perché dobbiamo considerare tutti gli uomini, anche i nemici, come nostri fratelli: dobbiamo usare maniere belle ed affabili verso tutti: non invidiare coloro che stanno meglio di noi; amare i buoni per le loro virtù, ed i cattivi perché diventino buoni: augurare la perseveranza ai primi e la conversione ai secondi. Se un uomo è gran peccatore, possiamo odiare il peccato che è opera dell’uomo e del demonio; ma bisogna amare l’uomo che è immagine di Dio.

2° Dobbiamo far del bene a tutti, almeno quanto possiamo: e lo si fa in tre maniere, che si riferiscono ai beni del corpo, dell’onore e dell’anima. Riguardo ai beni del corpo non dobbiamo mai recar danno al prossimo, né impedirgli di fare un guadagno anche se questo potesse esser nostro. Non vi sono cristiani così accetti a Dio come quelli che hanno compassione pei disgraziati. Vedete S. Paolo: ci dice che piangeva coi piangenti, e gioiva con chi era contento. Quanto all’onore del prossimo, dobbiamo guardarci bene dal nuocere alla sua riputazione con maldicenze e molto meno con calunnie. Se possiamo impedire quelli che parlano male, dobbiamo farlo; se non possiamo, dobbiamo lasciarli od almeno dire tutto il bene possibile di quelle persone. Ma quanto ai beni dell’anima, che sono cento volte più preziosi di quelli del corpo, possiamo loro procurarli pregando per loro, allontanandoli dal male coi nostri consigli, e soprattutto coi buoni esempi: vi siamo specialmente obbligati verso coloro coi quali viviamo. I padri e le madri, i padroni e le padrone vi sono obbligati in modo particolare per il conto che dovranno rendere a Dio dei loro figli e dei loro servi. Ahimè! F. M., si può dire che i padri e le madri amano i loro figli, quando li vedono vivere così indifferenti per ciò che riguarda la salvezza delle anime loro, e non muovono un dito? Ahimè! F. M., un padre ed una madre, che avessero la carità che debbono avere pei loro figli, potrebbero vivere senza piangere dì e notte sullo stato miserando dei loro figliuoli che sono in peccato, che vivono, purtroppo, da reprobi, che non sono più pel cielo, ma sono invece per l’inferno? … Ahimè! F. M., come desidereranno di procurare la loro salvezza se non pensano neppure alla propria? Davvero, F. M., quanti padri e madri che dovrebbero gemere e pregare continuamente per la condizione dei loro miseri figli, li distraggono invece dal bene e li avviano al male parlando ad essi dei torti, delle offese, delle ingiurie, che hanno loro detto o fatto i vicini, della lor mala fede, dei mezzi impiegati per vendicarsi: il che spinge spesso i figli a volersi essi pure vendicare, od almeno a conservare l’odio nel cuore. Oh! F. M., quanto i primi Cristiani erano ben lontani da ciò, perché comprendevano il valore di un’anima! F. M., se un padre ed una madre conoscessero il valore d’un’anima, potrebbero con tanta indifferenza lasciar perdere quelle dei loro figli o domestici? Potrebbero far loro trascurare la preghiera, per farli lavorare? Avrebbero il coraggio di farli mancare alle sacre funzioni? Mio Dio! che risponderanno a Gesù Cristo quand’Egli mostrerà loro che hanno preferito una bestia all’anima dei loro figli? Ah! che dico? un pugno di fieno! O povera anima, quanto poco sei stimata! No, no, F. M., questi padri e queste madri ciechi ed ignoranti, giammai hanno compreso che la perdita dell’anima è un male più grande che la distruzione di tutte le creature che esistono sulla terra. Giudichiamo, F. M., della dignità d’un’anima da quella degli Angeli: un Angelo è così perfetto che quanto vediamo sulla terra od in cielo è meno d’un grano di polvere in confronto al sole: eppure per quanto perfetti siano gli Angeli, non hanno costato a Dio che una parola: mentre un’anima ha costato il prezzo del suo Sangue adorabile. Il demonio per tentare il Salvatore gli offerse tutti i regni del mondo, dicendogli: “Se vuoi prostrarti davanti a me, ti darò tutti questi beni (Matt. IV, 9): „ il che ci mostra che un’anima è infinitamente più preziosa agli occhi di Dio, ed anche del demonio, che non tutto l’universo con quanto contiene (Matt. XVI, 26). Ah! quale vergogna per questi padri e queste madri che stimano l’anima dei loro figli meno di quanto le stima il demonio stesso! Sì, F. M., la nostra anima ha un valore così grande che, dice S. Giovanni Crisostomo, se vi fosse stato anche un sol uomo sulla terra, la sua anima è così preziosa agli occhi di Gesù Cristo, che non avrebbe stimato indegno di sé il morire per salvarla. ” Sì, dice egli, un’anima è sì cara al suo Creatore, che, se essa l’amasse, Egli annienterebbe i cieli piuttosto che lasciarla perire.„ — ” 0 mio corpo, esclamava S. Bernardo, quanto sei onorato di albergare un’anima così bella! „ Ditemi, F. M., se foste stati ai piedi della croce, ed aveste raccolto in un vaso il Sangue adorabile di Gesù Cristo, con qual rispetto l’avreste conservato? Ora, F. M., dobbiamo avere altrettanto rispetto e cura per conservare l’anima nostra, perché essa è costata tutto il sangue di Gesù Cristo. “Dacché ho riconosciuto, ci dice S. Agostino, che la mia anima è stata redenta col sangue d’un Dio, ho deciso di conservarla a costo pure della mia vita, e di non ridonarla mai al demonio col peccato. „ Ah! padri e madri, se foste ben convinti che siete i custodi delle anime dei figli vostri, potreste lasciarle perire con tanta indifferenza? Mio Dio, quante persone dannate per aver lasciato perdere qualche povera anima, ciò che, volendo, avrebbero potuto impedire! No, F . M., non abbiamo la carità che dovremmo avere gli uni per gli altri, e soprattutto pei nostri figli e domestici. – Leggiamo nella storia che al tempo dei primi Cristiani, quando gli imperatori pagani li interrogavano per sapere chi fossero, rispondevano: “Ci domandate che cosa siamo, eccolo: non formiamo che un solo popolo ed una sola famiglia, unita insieme dai vincoli della carità: Quanto ai nostri beni, sono tutti in comune: chi ha dà a chi non possiede; nessuno si lamenta, nessuno si vendica, nessuno dice male dell’altro o fa male ad alcuno. Noi preghiamo gli uni per gli altri, ed anche per i nemici; invece di vendicarci facciamo del bene a chi ci fa del male, benediciamo quelli che ci maledicono. „ Ah! F. M., dove sono quei tempi felici? Ahimè! quanti Cristiani al presente non hanno che amore per se stessi, niente pel prossimo! –  Volete sapere, F. M., che cosa sono i Cristiani dei nostri giorni? Ecco, ascoltatemi. Se due persone maritate sono del medesimo umore, dello stesso carattere, ovvero hanno le medesime inclinazioni, voi le vedete che amandosi vivono insieme: questo non è cosa rara. Ma se l’umore od il carattere non si accordano, non v’è più pace, amicizia, carità, prossimo. Ahimè! F. M., sono Cristiani che non hanno che una falsa religione: amano il loro prossimo solo quando esso possiede le loro inclinazioni, o favorisce i loro sentimenti ed interessi, altrimenti non possono più vedersi, né tollerarsi in compagnia: bisogna separarsi, si dice, per avere la pace e salvare l’anima propria. Andate, poveri ipocriti, andate, separatevi da quelli che non sono, come dite, del vostro carattere, e coi quali non potete vivere: non potete allontanarvi tanto da essi quanto già lo siete da Dio. Andate, la vostra religione non è che apparenza, e voi stessi non siete che dei riprovati. Non avete mai conosciuto né la vostra religione, né ciò che vi comanda, nè la carità che dovete avere pel vostro fratello per piacere a Dio e salvarvi. Non è difficile amare quelli che ci amano, e che sono del nostro parere in quanto diciamo o facciamo, perché in ciò non facciamo nulla di più dei pagani, che facevano altrettanto. S. Giacomo ci dice (Giac. II, 2, 3): “Se fate bella accoglienza ad un ricco, e disprezzate il povero; se salutate con garbo chi vi ha fatto del bene, mentre appena salutate chi vi ha insultato, voi né adempite la legge, né avete la carità che dovete avere: non fate niente di più di coloro che non conoscono il buon Dio. „ — Ma, mi direte, come dobbiamo adunque amare il nostro prossimo? — Eccolo. S. Agostino ci dice che dobbiamo amarlo come Gesù Cristo ci ama: Egli non ha ascoltato né la carne né il sangue, ma ci ha amati per santificarci e meritarci la vita eterna. Noi dobbiamo augurare e desiderare al nostro prossimo tutto il bene che possiamo desiderare per noi stessi. Sì, F. M., non conosceremo di essere sulla strada del cielo e di amare veramente il buon Dio, se non quando trovandoci con persone interamente opposte al nostro carattere e che sembrano contraddirci in tutto, tuttavia le amiamo come noi stessi, le vediamo di buon grado, ne parliamo bene e mai male, cerchiamo la loro compagnia, le preveniamo, e rendiamo loro servizi, a preferenza di tutti quelli che ci interessano e non ci contraddicono in nulla. Se facciamo questo, possiamo sperare che l’anima nostra sia nell’amicizia di Dio, e che amiamo il nostro prossimo cristianamente. Ecco la regola ed il modello che Gesù Cristo ci ha lasciato e che tutti i santi hanno riprodotto: non inganniamoci, non v’ha altra via che ci conduca al cielo. Se non fate questo, non dubitate un solo istante che voi camminate per la via della perdizione. Andate, poveri ciechi: pregate, fate penitenza, assistete alle funzioni sacre, frequentate i Sacramenti tutti i giorni, se vi piace: date tutta la vostra sostanza a quelli che vi amano, non per questo sfuggirete d’andar a bruciare nell’inferno dopo la vostra vita! Ahimè!F. M., quanto è scarsa la vera divozione, quante divozioni invece di capriccio, d’inclinazione! Vi sono di quelli che danno tutto, e sono pronti a tutto sacrificare, quando si tratta di persone che loro convenga di trattar così o che essi amano. Ahimè! pochi hanno quella carità che piace a Dio e conduce al cielo! F. M., volete un bell’esempio dicarità cristiana? eccovene uno che potrà servirvi di modello per tutta la vostra vita. Si racconta nella storia dei Padri del deserto (Vita dei Padri del deserto, t. IV, pag. 23. Storia di Eulogio d’Alessandria e del suo lebbroso), che un solitario incontrò un giorno per via un povero storpio, coperto di ulceri e di putredine: era in istato così miserabile da non poter né guadagnarsi la vita, e neppur trascinarsi. Il solitario, mosso a compassione, lo portò nella sua colletta, e gli diede tutti i conforti possibili. Avendo il povero riprese le forze, il solitario gli disse: “Volete, fratello mio, restare con me? farò quanto potrò per nutrirvi, e pregheremo e serviremo il buon Dio insieme. „ — “Oh! qual gioia mi date., dissegli il povero; quanto son felice di trovare nella vostra carità un sollievo alla mia miseria!„ Il solitario che stentava già tanto a guadagnarsi da vivere, raddoppiò il lavoro per poter nutrire il povero il meglio che potesse, ed assai meglio di se stesso. Ma, dopo qualche tempo, il povero cominciò a mormorare contro il suo benefattore, lamentandosi che lo nutriva troppo male. ” Ahimè! caro amico, gli disse il solitario, vi nutro meglio di me, non posso fare di più per voi. „ Alcuni giorni dopo, l’ingrato ricominciò i suoi lamenti, e lanciò contro il benefattore un torrente d’ingiurie. Il solitario soffrì tutto con pazienza, senza rispondere. Il povero si vergognò d’aver parlato in tal modo ad un uomo così santo, che non gli faceva che del bene, e gli domandò scusa. Ma ricadde bentosto nelle stesse impazienze, e concepì un tal odio contro il buon solitario, che nol poteva più sopportare. “Sono stanco di vivere con te, voglio che tu mi riporti dove m’hai trovato; non son uso ad esser nutrito così male… Il solitario gli domandò perdono, promettendogli che cercherebbe di trattarlo meglio. Il buon Dio gli ispirò d’andare da un caritatevole benestante vicino per domandargli del cibo migliore pel suo storpio. Il benestante, mosso a compassione, gli disse di venire ogni giorno a prendere il vitto. Il povero sembrò contento: ma dopo alcune settimane, ricominciò a fare nuovi e pungenti rimproveri al solitario. ~ Va, gli diceva, tu sei un ipocrita, fai mostra di cercar l’elemosina per me, ed invece lo fai per te: tu mangi la parte migliore di nascosto, e non mi dai che i tuoi avanzi. „ — “Ah! amico mio, dissegli il solitario, mi fate torto. vi assicuro che non domando mai niente per me , che non tocco neppur un briciolo di quanto mi si dà per voi: se non siete contento dei servizi che vi rendo, abbiate almeno pazienza per amore di Gesù Cristo, aspettando ch’io faccia meglio. „ — ” Va, rispose il povero, non ho bisogno delle tue esortazioni, „ e, preso un sasso, lo scagliò alla testa del solitario, che appena poté evitarlo. Di poi il tristo preso un grosso bastone, di cui servivasi per trascinarsi, gli diede un colpo così forte da gettarlo a terra. “Il buon Dio vi perdoni, dissegli il solitario; da parte mia, per amor di Gesù Cristo vi perdono i cattivi trattamenti che mi usate. „ — “Dici che mi perdoni, ma non è che a fior di labbra; perché so che tu vorresti vedermi morto. „ — “Vi assicuro, amico mio, dissegli dolcemente il solitario, che è con tutto il mio cuore che vi perdono. „ E volle abbracciarlo per dimostrargli che l’amava. Ma il miserabile lo prese alla gola, gli graffiò il viso colle unghie, e tentava strangolarlo. Essendosi il solitario svincolato dalle sue mani, il povero gli disse: “Va pure, ma non morrai che per mano mia. „ Il solitario, sempre preso da compassione e ripieno di carità veramente cristiana, portò pazienza con lui per tre o quattro anni. Durante questo tempo, Dio solo seppe quanto ebbe a soffrire da parte del povero. Questi gli diceva ad ogni momento di riportarlo al luogo dove l’aveva trovato, che preferiva morir di fame o di freddo, od esser divorato dalle belve piuttosto che vivere con lui. Il solitario non sapeva a qual partito appigliarsi: da una parte, la carità gli dimostrava che, riportandolo al posto dove l’aveva trovato, sarebbe morto di miseria: dall’altra, temeva di perder la pazienza nella prova. Pensò d’andar a consultare S. Antonio sul partito da prendere per essere più accetto a Dio: non temeva né le pene, né gli oltraggi che riceveva in cambio dei suoi benefizi; ma voleva soltanto conoscere la volontà di Dio. Arrivato da sant’Antonio, prima ancora di parlare, questi inspirato dallo Spirito Santo, gli disse : “Ah! figlio mio, so che cosa ti conduce qui, e perché vieni a trovarmi. Guardati bene dal seguire il pensiero che hai di mandar via quel povero: è una cattiva tentazione del demonio che vuol rapirti la corona: se avessi la sventura di abbandonarlo, figlio mio, non l’abbandonerebbe il buon Dio. „ Sembrava, a quanto dissegli S. Antonio, che la sua salvezza dipendesse dalle cure che aveva pel poveri. “Ma, padre mio, dissegli il solitario, temo di perdere la pazienza. „ — ” E perché la perderesti, figliuol mio? gli replicò S. Antonio: non sai che è appunto verso quelli che ci trattano peggio, che dobbiamo esercitare la nostra carità più generosamente? Figlio mio dimmi, qual merito avresti esercitando la pazienza con chi non ti facesse mai alcun male? Non sai tu che la carità è una virtù coraggiosa, che non guarda i difetti di chi ci fa soffrire, ma invece guarda Iddio solo? Quindi, figlio mio, ti impegno assai a custodire questo povero: più è cattivo, più devi averne pietà: quanto gli farai per carità, Gesù Cristo lo riterrà fatto a se stesso. Mostra colla tua pazienza che sei discepolo d’un Dio che ha patito. Ricordati che dalla pazienza e dalla carità si conosce il Cristiano. Considera questo povero come quegli di cui vuol servirsi Iddio per farti guadagnare la tua corona. „ Il solitario fu soddisfattissimo di udire da quel gran santo ch’era volontà di Dio ch’ei custodisse il suo povero, e che quanto faceva per luì era assai accetto al Signore. Ritornò presso il suo povero, e dimenticando tutte le ingiurie ed i maltrattamenti ricevuti sino allora, mostrò verso di lui una carità senza limiti, servendolo con una umiltà ammirabile, e non cessando di pregare per lui. Il buon Dio vide nel giovane solitario tanta pazienza e carità che gli convertì il povero: e con questo mostrò al suo servo, quanto gli fosse gradito tutto quello che aveva fatto, perché concesse all’infelice la conversione e la salvezza. Che ne pensate, F. M.? E questa una carità cristiana, sì o no? Oh! quanto quest’esempio nel gran giorno del giudizio confonderà i Cristiani che non vogliono neppur soffrire una parola, sopportare per otto giorni il cattivo carattere d’una persona senza mormorare, e forse volerle male. Bisogna lasciarsi, si dice bisogna separarsi per aver la pace. O mio Dio, quanti Cristiani si dannano per mancanza di carità! No, no, F. M., faceste anche miracoli, non andrete mai salvi, se non avete la carità. F. M., non aver carità è non conoscere la propria religione: è avere una religione di capriccio, stravagante, e volubile. Andate, non siete che ipocriti e riprovati! Senza la carità giammai vedrete Dio, giammai vedrete il cielo… Date i vostri beni, fate grandi elemosine a quelli che v’amano o vi piacciono, ascoltate tutti i giorni la santa Messa, comunicatevi anche, se vi piace ogni dì: non siete che ipocriti e riprovati: continuate la vostra strada e ben presto vi troverete all’inferno! … Non potete sopportare i difetti del vostro prossimo, perché è troppo noioso, non vi piace starvene con lui. Andate, andate pure, disgraziati, non siete che ipocriti, non avete che una falsa religione, la quale, con tutto il bene che fate, vi condurrà all’inferno. Mio Dio! Come è rara questa virtù! Ahimè! è così rara come sono rari quelli che andranno in cielo. Non amo vederli, mi direte: in chiesa, mi causano distrazioni con ogni loro atto. — Ah! disgraziato; di’ piuttosto che non hai carità, che sei un miserabile, che ami solamente quelli che s’accordano coi tuoi sentimenti od interessi, che non ti contraddicono in nulla, e ti adulano per le tue buone opere, che usano ringraziarti dei tuoi benefici, e ti ricambiano con la riconoscenza. – Voi farete di tutto per costoro, non vi rincresce neppur di privarvi del necessario por soccorrerli: ma se vi disprezzano, se vi contraccambiano con ingratitudini, non li amate più, non volete più vederli, fuggite la loro compagnia: nei colloquii che avete con loro, tagliate corto. Mio Dio! quante false divozioni che devono condurci tra i riprovati! Se ne dubitate, F. M., ascoltate S. Paolo, che non può ingannarvi: “Se donassi, egli dice, ogni mio avere ai poveri, se facessi miracoli risuscitando i morti, ma non avessi la carità, non sono altro che un ipocrita (1 Cor. XIII, 3). „ Ma per meglio convincervene, percorrete tutta la passione di N. Signore Gesù Cristo, vedete tutte le vite dei Santi, non ne troverete alcuno che non abbia questa virtù, cioè che non abbia amato quelli che lo ingiuriavano, che gli volevan male, che lo ricambiavano d’ingratitudine nei suoi benefizi. No, no, non ne vedrete uno, che non abbia preferito far del bene a chi gli abbia fatto qualche torto. Vedete S. Francesco di Sales, che ci dice che se avesse un’opera buona soltanto da fare, sceglierebbe chi gli ha fatto qualche oltraggio, piuttosto che uno da cui avesse ricevuto qualche servigio. Ahimè! F. M., una persona che non ha la carità quanto va innanzi nel male! Se alcuno le ha fatto qualche torto, vedetela esaminare ogni sua azione: le giudica, le condanna, le volge in male, credendo sempre d’aver ragione. — Ma, mi direte, tante volte, si vede che agiscono male, non si può pensar diversamente. — Amico mio, non avendo carità, credi che facciano male: ma se avessi la carità, penseresti ben diversamente, perché crederesti sempre che puoi ingannarti, come spesso avviene: e per convincervene, eccovi un esempio, che vi prego di non iscancellar dalla vostra mente, specialmente quando vi verrà il pensiero che il vostro prossimo faccia male. – Si racconta nella storia dei Padri del deserto (Vita dei Padri del deserto, t. VIII, pag. 244, S. Simeone, soprannominato Sal, o Salus. cioè lo Stravagante), che un solitario chiamato Simeone, dopo essere stato più anni nella solitudine, ebbe il pensiero di andare nel mondo: ma domandò a Dio che giammai gli uomini potessero conoscere le sue intenzioni. Avendogli Dio accordata questa grazia, andò nel mondo. Faceva il pazzo, liberava gli ossessi dal demonio, guariva gli ammalati: entrava nelle case delle donne di mala vita, faceva loro giurare che non avrebbero amato altri che lui, dando loro tutto il denaro che aveva. Ognuno lo teneva per un solitario impazzito. Si vedeva ogni giorno quest’uomo, che aveva più di settant’anni, giuocare coi fanciulli per le vie: altre volte si gettava in mezzo ai balli pubblici per danzare cogli altri, dicendo loro qualche parola che mostrasse il male che facevano. Ma tutto ciò si considerava come cosa che veniva da un pazzo, non raccoglieva che disprezzi. Altre volte saliva sui teatri, e gettava pietre su quelli ch’erano sotto. Quando vedeva qualche ossesso dal demonio, si metteva in sua compagnia e imitava l’ossesso come se lo fosse egli pure. Lo si vedeva correre per le osterie, accompagnarsi cogli ubbriachi: nei mercati si rotolava per terra, e faceva mille altre cose assai stravaganti. Tutti lo condannavano, lo disprezzavano; gli uni lo stimavano pazzo, gli altri un libertino ed un cattivo soggetto, meritevole solo della prigione. Eppure, F. M., malgrado ciò, era un santo, che cercava solo il disprezzo, e di guadagnare anime a Dio, sebbene il mondo lo giudicasse male. Il che ci mostra che sebbene le azioni del nostro prossimo ci appariscano cattive, non dobbiamo giudicarle male. Spesso le giudichiamo cattive, mentre agli occhi di Dio non sono tali. Ah! chi avesse la fortuna di possedere la carità, questa bella ed incomparabile virtù, si guarderebbe dal giudicare il suo prossimo e dal volergli male! — Ma, direte, il suo carattere: è troppo cattivo, non si può sopportarlo. — Voi non potete sopportarlo, amico mio; credete dunque d’essere un santo e senza difetti? povero cieco! vedrete un giorno che ne avete fatto soffrire più voi a coloro che vi stanno intorno, che non essi a voi. Ècosa solita che i cattivi credono di non far soffrire nulla agli altri, e che debbono tutto soffrire dagli altri. Mio Dio, quanto l’uomo è cieco, quando la carità non trovasi nel suo cuore! D’altra parte, se non aveste nulla da soffrire da coloro che vivono con voi, che cosa avreste da presentare al buon Dio? — Quando, dunque, si potrà conoscere di essere sulla strada che conduce al cielo? — No, no, F. M., finché non amerete coloro che sono d’umore, di carattere differente dal vostro, ed anche coloro che vi contraddicono in quanto fate, sarete solo un ipocrita, mai un buon cristiano. Fate, finché volete tutte le altre opere buone; esse non vi impediranno d’andar dannati. Del resto vedete la condotta che tennero i santi, e come si diportarono col prossimo: ed eccovi un esempio che ci mostra come questa virtù sola, sembra assicurarci il cielo. Narrasi nella storia che un solitario, il quale aveva condotto una vita assai imperfetta, almeno in apparenza ed agli occhi del mondo. si trovò all’ora della morte così contento e consolato, che il superiore ne fu sorpreso. Pensando fosse un inganno del demonio, gli domandò donde potesse venirgli tale contentezza, sapendo benissimo che la sua vita non poteva troppo rassicurarlo, considerato che i giudizi di Dio sono così terribili, anche pei più perfetti. “È vero, Padre mio, dissegli il morente; io non ho fatto opere straordinarie, anzi quasi nulla di bene: ma ho cercato in tutta la mia vita di praticare quel gran precetto del Signore, che è quello d’amar tutti, di pensar bene di tutti, di sopportare i difetti, di scusarli, di render loro servizi; io l’ho fatto tutte le volte che n’ebbi occasione: ho procurato di non far mai male ed alcuno, di non parlar male, e di pensar bene di tutti: ecco, Padre mio, ecco quanto forma tutta la mia consolazione e speranza in questo momento, e che, malgrado le mie imperfezioni, mi dà fiducia che il buon Dio avrà pietà di me. „ Il superiore ne fu così meravigliato, che esclamò con trasporto di ammirazione: “Mio Dio! quanto questa virtù è bella e preziosa agli occhi vostri. „ — “Andate, figlio mio, disse al solitario, avete tutto fatto ed adempiuto osservando questo comandamento: andate, il cielo per voi è sicuro. „ Ah! F. M., se conoscessimo bene questa virtù, e quale ne sia il valore davanti a Dio, con quanta premura coglieremmo tutte le occasioni per praticarla, poiché essa racchiude tutte le altre, e ci assicura così facilmente il cielo! No, no, F. M., non saremo che ipocriti, finché questa virtù non accompagnerà tutte le nostre azioni. Ma, penserete tra voi, donde nasce che non abbiamo questa carità, mentr’essa ci rende felici anche in questo mondo per la pace e l’unione che regnano tra coloro che hanno la gran fortuna di possederla ? — F. M., tre cose ce la fanno perdere, cioè: l’avarizia, l’orgoglio e l’invidia. — Ditemi: perché non amate quella persona? — Ahimè! perché non ne avete alcun interesse: avrà detto qualche parola o fatto qualche cosa che non vi piacque: ovvero le avete domandato qualche favore che vi ha rifiutato: ovvero avrà fatto qualche guadagno che speravate voi: ecco ciò che vi impedisce d’amarla come dovreste. E non pensate che, finché non amerete il vostro prossimo, cioè tutti gli uomini, come vorreste essere amati voi, siete un, che se aveste a morire sareste dannato. Eppure vi piace ancora nutrire nel vostro cuore sentimenti che non son davvero caritatevoli; fuggite quelle persone; ma badate bene, amico mio, che anche il buon Dio non vi fugga. Non dimenticate che finché non amate il vostro prossimo, Dio è in collera con voi: se veniste a morire, vi precipiterebbe subito nell’inferno. Mio Dio! si può vivere coll’odio nel cuore ? Ahimè! amico mio, voi siete davvero abbominevole agli occhi di Dio, se siete senza carità. È perché vedete dei grandi difetti nel vostro vicino? Ebbene, amico mio, siate ben persuaso che ne avete anche voi; e forse più grandi agli occhi di Dio, e che non conoscete. E vero che non dobbiamo amare i difetti ed i vizi del peccatore; ma dobbiamo amare la persona; perché sebbene peccatore, non cessa d’essere una creatura di Dio, fatta a sua immagine. Se non volete amare che coloro che non hanno difetti, non amereste nessuno, perché nessuno è senza difetti. Ragioniamo, F. M., un po’ più da Cristiani: più un Cristiano è peccatore, più è degno di compassione e d’aver un posto nel nostro cuore. No, P. M., per quanto cattivi siano coloro coi quali viviamo, non dobbiamo odiarli: ma, ad esempio di Gesù Cristo, amarli più di noi stessi. Vedete come Gesù Cristo, nostro modello, si è comportato coi suoi nemici: ha pregato per loro, e per loro è morto. Chi ha indotto gli apostoli attraversare i mari, ed a finire la vita col martirio? Non fu l’amore per gli uomini? Vedete la carità di S. Francesco Zaverio, che abbandona la patria ed i beni, per andar ad abitare tra i barbari, che gli fanno soffrire quanto è possibile far soffrire ad un Cristiano, salvo la morte. Vedete S. Abramo, un solitario, che abbandona la solitudine per andare a predicare la fede in un paese, dove nessuno aveva potuto farla ricevere. Non fu la sua carità causa ch’ei fosse battuto, e trascinato per terra fino ad esservi abbandonato mezzo morto? Non poteva lasciarli nella loro cecità? Sì, senza dubbio; ma la carità, il gran desiderio di salvare quelle povere anime gli fece soffrire tutte queste ingiurie (Vita dei Padri del deserto, t. VIII, pag. 165, s. Abramo, prete e solitario). Sì, F. M., chi ha la carità non vede i difetti del fratello, ma soltanto la necessità di aiutarlo a salvar l’anima a qualunque costo. Aggiungo inoltre, che se amiamo davvero il nostro prossimo ci guarderemo dallo scandalizzarlo, o far cosa che possa distoglierlo dal bene e portarlo al male. Sì, F. M., dobbiamo amar tutti, e a tutti far del bene quanto possiamo e per l’anima e pel corpo: perché Gesù Cristo ci dice, che quando facciamo qualche bene al prossimo nel suo corpo, lo facciamo a Lui stesso: quindi, a più forte ragione, quando l’aiutiamo a salvar l’anima. Non dimentichiamo mai queste parole che Gesù Cristo ci dice nel Vangelo: “Venite, benedetti del Padre mio, ebbi fame, e mi deste da mangiare, ecc. (Matt. XXV, 34). „ Vedete la carità di san Serapione, che lasciò il suo abito per donarlo ad un povero: ne incontrò un altro, gli diede la sottoveste: non restandogli che il libro del Vangelo, va a venderlo per poter ancora dare. Un discepolo gli domandò chi l’avesse cosi spogliato. Rispose, che avendo letto nel suo libro: “Vendete, date quanto avete ai poveri, ed avrete un tesoro in cielo: perciò ho venduto anche il libro. „ Andò ancora più innanzi, diede se stesso ad una povera vedova perché lo vendesse, e ne ricavasse di che nutrire i suoi figli: e, condotto fra i barbari, ebbe la lieta sorte di convertirne buon numero. Oh! bella virtù! se avessimo la felicità di possederti, quante anime condurremmo al buon Dio!… Quando S. Giovanni l’Elemosiniere pensava a questa bella azione di S. Serapione: “Credetti, diceva a’ suoi amici, d’aver fatto qualche cosa, dando tutto il mio denaro ai poveri: ma ho riconosciuto che non ho ancora fatto nulla, perché non ho dato me stesso come il beato Serapione, che si vendé per nutrire i figli della vedova „ (Vita dei Padri del deserto, t. IV, pag. 49. S. Serapione il Sindonita). – Concludiamo, P . M., che la carità è una delle più belle virtù, e che più d’ogni altra ci assicura l’amicizia del buon Dio: colle altre virtù, possiamo essere ancora sulla strada dell’inferno: ma con la carità, che è universale, che non fuge, che ama i nemici come gli amici, che fa del bene a chi cifa del male, come a chi ci fa del bene! Chi la possiede è sicuro che il cielo è suo!… È la felicità ch’io vi auguro.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Exod XXXII: 11;13;14

Precátus est Moyses in conspéctu Dómini, Dei sui, et dixit: Quare, Dómine, irascéris in pópulo tuo? Parce iræ ánimæ tuæ: meménto Abraham, Isaac et Jacob, quibus jurásti dare terram fluéntem lac et mel. Et placátus factus est Dóminus de malignitáte, quam dixit fácere pópulo suo. [Mosè pregò in presenza del Signore Dio suo, e disse: Perché, o Signore, sei adirato col tuo popolo? Calma la tua ira, ricordati di Abramo, Isacco e Giacobbe, ai quali hai giurato di dare la terra ove scorre latte e miele. E, placato, il Signore si astenne dai castighi che aveva minacciato al popolo suo.]

Secreta

Hóstias, quǽsumus, Dómine, propítius inténde, quas sacris altáribus exhibémus: ut, nobis indulgéntiam largiéndo, tuo nómini dent honórem. [O Signore, Te ne preghiamo, guarda propizio alle oblazioni che Ti presentiamo sul sacro altare, affinché a noi ottengano il tuo perdono, e al tuo nome diano gloria.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps CIII: 13; 14-15

De fructu óperum tuórum, Dómine, satiábitur terra: ut edúcas panem de terra, et vinum lætíficet cor hóminis: ut exhílaret fáciem in oleo, et panis cor hóminis confírmet.

[Mediante la tua potenza, impingua, o Signore, la terra, affinché produca il pane, e il vino che rallegra il cuore dell’uomo: cosí che abbia olio con che ungersi la faccia e pane che sostenti il suo vigore.]

 Postcommunio

Orémus.
Vivíficet nos, quǽsumus, Dómine, hujus participátio sancta mystérii: et páriter nobis expiatiónem tríbuat et múnimen.

[O Signore, Te ne preghiamo, fa che la santa partecipazione di questo mistero ci vivifichi, e al tempo stesso ci perdoni e protegga.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: “SUI COMANDAMENTI DI DIO”

(Discorsi di s. G. B. M. VIANNEY Curato d’Ars – vol. II, 4° ed. Torino, Roma; Ed. Marietti, 1933)

Sui Comandamenti di Dio.

Diliges Dominum Deum tuum ex toto corde tuo.

(Deut. VI, 5).

Perché, Fratelli miei, il Signore ci fa un precetto di amarlo con tutto il nostro cuore, cioè senza restrizioni, e come egli stesso ci ha amati, con tutta l’anima nostra e con tutte le nostre forze; promettendoci una ricompensa eterna, se saremo fedeli, ed una eterna punizione se verremo meno? Per due ragioni:

1° per mostrarci la grandezza del suo amore;

2° per farci intendere che non possiamo essere felici se non amandolo, giacché in sostanza questo amore non consiste in altra cosa che nell’adempire i suoi comandamenti. Sì, F. M., se tanti mali ci opprimono in questo mondo è perché noi violiamo i comandamenti di Dio: poiché Egli stesso ci dice: “Se voi osserverete fedelmente i miei comandamenti io vi benedirò in mille maniere; ma se li trasgredirete, sarete maledetti in ogni opera vostra (Deuter. XXVIII)„ Perciò, F. M., se vogliam o essere felici in questo mondo, almeno per quanto è possibile l’esserlo, non abbiamo altro mezzo che osservare con fedeltà i comandamenti di Dio: all’incontro, finche ci allontaneremo dal sentiero che i suoi comandamenti ci hanno segnato saremo sempre infelici nell’anima e nel corpo, in questo mondo e nell’altro. Eccovi adunque ciò ch’io intendo dimostrarvi, F. M., che la nostra felicità è legata alla nostra fedeltà nell’osservare i comandamenti che Dio ci ha dati.

I . — Se apriamo i Libri santi, F. M., troviamo che tutti coloro che si fecero un dovere di osservare con esattezza quello che i comandamenti di Dio prescrivevano furono sempre felici; perché è certissimo che il buon Dio non abbandonerà mai chi fa tutto ciò ch’Egli comanda. Il nostro primo padre, Adamo, ce ne dà un bell’esempio. Finché restò fedele nell’osservare gli ordini del Signore, fu felice sotto ogni rapporto: il suo corpo, la sua anima, il suo spirito e tutti i suoi sensi non avevano altra aspirazione che Dio: gli angeli medesimi discendevano volentieri dal cielo per tenergli compagnia. Così avrebbe continuato il benessere dei nostri progenitori, se fossero stati fedeli ai loro obblighi: ma questa felicissima condizione non durò a lungo. Il demonio, invidioso di tale felicità, li rovinò ben presto, lasciandoli privi di tutti quei beni che dovevano durare per tutta l’eternità. Da quando sventuratamente trasgredirono i comandi del Signore, tutto andò a rovescio per loro: gli affanni, le malattie, il timore della morte, del giudizio e di un’altra vita infelice presero il posto della loro prima felicità: la loro vita non fu altro che una vita di lagrime e di dolori. Il Signore disse a Mosè: “Di’ al mio popolo che se esso è fedele nell’osservare i miei comandamenti, io lo colmerò di ogni benedizione: ma se osa trasgredirli, io l’opprimerò con ogni sorta di mali.„  (Drut. XXVIII). Il Signore disse ad Abramo: “Perché tu sei fedele nel custodire i miei comandi, io ti benedirò in tutto: io moltiplicherò i tuoi figli come i grani di sabbia che sono sulla riva del mare. Benedirò tutti coloro che ti benediranno: maledirò tutti coloro che ti malediranno: dalla tua schiatta nascerà il Salvatore del mondo.„ (Gen. XXII, 16). Egli fece dire al suo popolo quando stava per entrare nella terra promessa: « I popoli che abitano questa terra hanno commesso grandi peccati: perciò voglio scacciarli per mettervi al loro posto. Ma guardatevi bene dal violare i miei comandamenti. Se voi sarete fedeli nell’osservarli vi benedirò in tutto e dappertutto. – Quando sarete nei vostri campi, nelle vostre città e nelle vostre case, benedirò i vostri figli, i quali vi ameranno, vi rispetteranno, vi obbediranno e vi daranno ogni sorta di consolazioni. Benedirò i vostri frutti ed il vostro bestiame. Comanderò al cielo di darvi la pioggia a tempo opportuno, quanta ne occorrerà per innaffiare le vostre terre ed i vostri prati: tutto vi sarà favorevole „ In altro luogo, Egli dice loro: “Se custodirete fedelmente i miei comandi, io veglierò sempre alla vostra conservazione: voi starete senza timore nelle case vostre; impedirò alle bestie feroci di nuocervi, dormirete in pace e niente potrà turbarvi. Sarò sempre in mezzo a voi. Camminerò con voi. Sarò il vostro Dio, e voi sarete il mio popolo.„ (Lev. XXVI, 3-12). Più avanti dice a Mose: “Di’ al mio popolo che se osserva bene le mie leggi, io lo libererò da tutti i mali che lo affliggono. „ E lo Spirito Santo stesso ci dice: “che colui che ha la felicità di osservare esattamente i comandi del Signore è più felice che se possedesse tutte le ricchezze della terra. „ (Ps. CXVIII, 14). – Ditemi, avreste mai pensato che il buon Dio avesse tanto a cuore di farci osservare i suoi ordini, e che ci promettesse tante ricompense se saremo abbastanza fortunati di bene osservarli? Voi converrete dunque con me che dobbiamo far consistere tutta la nostra felicità nell’osservare fedelmente i suoi comandi. Per meglio convincervi, F. M., che trasgredendo gli ordini di Dio non possiamo essere che infelici, vedete quanto successe a Davide. Finché fu fedele nel camminare per la via che i comandi di Dio gli avevano tracciata, tutto andò bene per lui: era amato, rispettato ed ascoltato dai suoi vicini. Ma dal momento in cui volle lasciare l’osservanza dei comandamenti di Dio, allora la sua felicità finì, ed ogni sorta di mali gli piombarono addosso. Le inquietudini, i rimorsi della coscienza presero il posto di quella pace e di quella calma di cui godeva: le lagrime ed il dolore furono il suo pane di tutti i giorni. Un dì in cui egli piangeva e gemeva forte sui suoi peccati, gli si annunciò che suo figlio Ammone era stato pugnalato mentr’era ubbriaco dal fratello Assalonne (II Reg, XIII, 28). Assalonne cercò perfino di soppiantare il padre suo, di insidiargli la vita per regnare in sua vece, e Davide fu costretto a nascondersi nelle foreste per sfuggire la morte (ibid. 15). La peste gli tolse un numero quasi sterminato di sudditi (ibid. XXIV). Se andate più innanzi, vedete Salomone: finché fu fedele nell’osservare i comandi di Dio, egli era la meraviglia del mondo: la sua fama giungeva fino all’estremità della terra, e, voi lo sapete, la regina di Saba venne così da lontano per essere testimonio delle meraviglie che il Signore operava in lui (II Reg. X): ma noi vediamo che quando ebbe la disgrazia di non seguire più i comandi di Dio, tutto andò male per lui. (ibid. XI). Dopo tante prove tolto dalla sacra Scrittura, converrete con me, F. M., che tutti i nostri mali provengono da questo che non osserviamo fedelmente i comandamenti di Dio, e che se vogliamo sperare qualche felicità e qualche consolazione in questo mondo (almeno quanto è possibile averne, poiché questo mondo non è altro che un intreccio di mali e di dolori), il solo mezzo di procurarci questi beni è di fare tutto quello che potremo per piacere a Dio adempiendo quanto ci ordina coi suoi comandamenti. – Ma se passiamo dall’Antico Testamento al Nuovo, le promesse non sono men grandi. Al contrario, vediamo che Gesù Cristo ce le fa tutte pel cielo, perché niente di creato è capace di accontentare il cuore di un Cristiano, il quale non è fatto che per Iddio e che Dio solo può soddisfare [Fecisti nos ad te, et ìnquietum est cor nostrum donec requiescat in te – ci facesti per Te e perché il nostro cuore riposi in Te – (S. Agost. Conf. lib. II, c. 1). Gesù Cristo ci invitavivamente a disprezzare le cose di questomondo per attaccarci soltanto a quelle delcielo, le quali non finiscono mai. Si legge nelVangelo che trovandosi Gesù Cristo un giornocon alcuni che sembravano pensar solo ai bisognidel corpo, disse loro: “Non prendetevitroppa cura di ciò che mangerete e di ciò dicui vi vestirete.„ E per far meglio comprendereloro che è ben poca cosa ciò che riguardail corpo:  “Considerate, disse, i giglidel campo: essi non tessono e non hanno curadi sé; eppure il Padre vostro celeste pensa avestirli: io vi assicuro che Salomone in tutta lasua ricchezza e la sua potenza non fu mai cosìben vestito come uno di essi. Vedete altresìgli uccelli dell’aria, essi non seminano, némietono, né raccolgono nei granai, eppure ilPadre vostro celeste ha cura di nutrirli. Uomini di poca fede, non siete voi da più diessi? Cercate prima di tutto il regno di Dio;cioè osservate fedelmente i miei comandamenti: e tutto il resto vi sarà dato con abbondanza„. (Matth. VI, 25-53). Che cosa vogliono dire queste parole, F. M.?Che ad un Cristiano il quale cerca solo di piacerea Dio e salvar l’anima propria, non mancheràmai il necessario ai bisogni del corpo.—Ma, forse mi direte, non c’è nessuno che ci aiutiquando noi non abbiamo nulla. — Anzitutto, vi dirò che ogni cosa che noi abbiamo ci viene dalla bontà di Dio, e che da noi medesimi non abbiamo nulla. Ma ditemi, F. M., come volete che Dio faccia miracoli per noi? Forse perché alcuno osa spingere la propria incredulità ed empietà fino a voler credere che Dio non esiste, cioè che non vi è Dio; forse perché altri meno empì, senza esser perciò meno colpevoli, dicono che Dio non si cura di quanto avviene sulla terra, e non si dà pensiero di cose tanto piccole? o forse perché altri non vogliono ammettere che questa grande Provvidenza dipende dall’osservanza dei comandamenti di Dio, e quindi contano appena sul loro lavoro e sulla loro fatica? Questo mi sarebbe assai facile dimostrar velo col vostro lavoro della domenica, che prova ad evidenza che non fate alcun assegnamento su Dio, ma solo su di voi e sulle vostre fatiche. Vi sono però taluni che credono a questa grande Provvidenza, ma le oppongono |una barriera in superabile coi loro peccati. Volete voi, F. M., toccar con mano la grandezza della bontà di Dio verso Je sue creature? Procurate di osservare con esattezza! “tutto quanto vi ordinano i suoi comandamenti, e sarete meravigliati di vedere come Dio si prende cura di coloro che non cercano altro che di piacergli. Se ne volete le prove, F. M. aprite i Libri santi, e ne sarete perfettamente convinti. Leggiamo nella S. Scrittura che il profetaElia fuggendo la persecuzione della regina Gezabele, si nascose in un bosco. Il Signore lo lascerà morir di fame, là, sprovvisto d’ogni soccorso umano? No, di certo, F. M., il Signore dall’alto de’ cieli non toglie lo sguardo dal suo servo fedele. Quindi gli manda un Angelo celeste per consolarlo e portargli quanto gli occorre per nutrirsi (II Reg. XIX). Vedete la cura che ha il Signore di nutrire la vedova di Sarepta. Egli dice al suo Profeta: Va a trovare quella buona vedova, che mi serve ed osserva con fedeltà i miei comandamenti: tu moltiplicherai la sua farina, perché non abbia a soffrire la fame.„ (ibed. XVII, 14) Vedete come ordina all’altro profeta Abacuc di portar da mangiare ai tre fanciulli che erano stati settati nella fornace di Babilonia (Il profeta Abacuc fu mandato non ai tre fanciulli che erano nella fornace di Babilonia, ma bensì a Daniele chiuso nella fossa dei leoni. Dan. XIV, 38). Se passate dall’antica alla nuova Legge, le meraviglie che il buon Dio opera per coloro che osservano i suoi comandamenti non sono meno grandi. Vedete come Egli nutre migliaia di persone con cinque pani e due pesci (Matt. XIV, 19): e lo si comprende; costoro cercavano anzitutto il regno di Dio e la salute delle loro anime seguendo Gesù Cristo. — Vedete come si prende cura dì nutrire S. Paolo eremita, per quarant’anni, servendosi d’un corvo: prova ben chiara questa che Dio non perde mai di vista chi lo ama per fornirlo del necessario. Quando S. Antonio andò a trovare S. Paolo Dio mandò doppia quantità di cibo (Vita dei Padri del deserto, t. I, pag. 21). O mio Dio! Quanto amate quelli che vi amano! quanto avete paura che abbiano a soffrire! Ditemi, F. M., chi comandò al cane di portare ogni giorno la piccola provvista a S. Rocco nel bosco? Chi ordinò alla capra di offrire tutti i giorni il suo latte al bambino di Genoveffa di Brabante nella sua solitudine? Non è forse, F. M., il Signore? E perché, F. M., Dio si prende tanta cura di nutrire tutti questi santi, se non perché erano fedeli nell’osservanza di tutti i comandamenti che Egli ha dato? Sì, F. M., possiamo dire che i santi facevano consistere tutta la loro felicità nell’osservanza dei comandamenti di Dio, e che avrebbero sofferto ogni sorta di tormenti, piuttosto che violarli: possiamo dire altresì che tutti i martiri furono tali perché non vollero trasgredire i comandamenti di Dio. Infatti, domandate a S. Regina perché sopportò tanti tormenti, il più acerbo dei quali fu che suo padre le era carnefice? Carnefice crudele che la fece appendere pei capelli ad un albero, e percuotere con verghe finché il suo povero corpicciuolo innocente fu tutto una piaga. Dopo queste crudeltà, che fecero fremere persino i pagani presenti, la fece condurre in prigione, nella speranza che si piegherebbe ai suoi voleri. Vedendola irremovibile, la fece ricondurre presso lo stesso albero, e fattala come la prima volta attaccare pei capelli, ordinò che fosse scorticata viva. Quando la pelle fu staccata dal suo corpo, la fece gettare in una caldaia d’olio bollente, dove senza pietà alcuna la osserva abbrustolire. Mi domandate, F. M., perché sopportò ella tante crudeltà? Ah! eccolo. Perché non volle trasgredire il sesto comandamento di Dio, che proibisce ogni impurità. (Ribadeneira, Vita di s. Regina Martire e Vergine, 7 sett.)  — Perché la casta Susanna, non volle acconsentire ai desiderii di due vecchi infami, preferendo piuttosto la morte? (Dan. XIII) Non fu per la medesima ragione? Perché il casto Giuseppe fu screditato, calunniato presso Putifar, suo padrone, e messo in prigione (Gen. XXXIX)? non fu ancora per lo stesso motivo ? Perché S. Lorenzo si lasciò stendere sopra i carboni accesi? Non fu perché non volle trasgredire il primo comandamento della legge di Dio, che ci ordina di adorare Dio solo e di amarlo più di noi stessi? Sì, F. M., se noi scorriamo un po’ i libri che contengono gli atti dei santi, troviamo gli esempi meravigliosi della fedeltà loro nell’osservare i comandamenti di Dio, e vediamo che essi, piuttosto che mancavi preferirono soffrire tutto quanto i carnefici poterono inventare.Leggiamo nella storia dei martiri del Giappone che l’imperatore fece arrestare in una sol volta 24 Cristiani a cui si fece quanto poté suggerire la rabbia dei pagani. I martiri si dicevano a. vicenda: “Badiamo di non violare i comandamenti di Dio per obbedire all’imperatore, facciamoci coraggio; il cielo vale bene alcune sofferenze che durano pochi istanti; speriamo fermamente, ed il buon Dio, pel quale vogliamo soffrire, non ci abbandonerà. ,, Quando furono condotti al luogo dell’interrogatorio, colui che ve li aveva guidati, facendo l’appello e credendo che mancasse alcuno, gridò ad aita voce: “Matteo, dov’è Matteo? „ Un soldato che da lungo tempo desiderava dichiararsi Cristiano, esclamò: “Eccomi, del resto che importa l’individuo? Anch’io mi chiamo Matteo e sono Cristiano  come l’altro. „ Il giudice infuriato gli domandò se diceva sul serio. ” Sì, rispose il soldato, da molto tempo professo la religione cristiana e spero di non lasciarla: io non desideravo che il momento di professarla pubblicamente.„ Subito il giudice lo fece mettere nel numero dei martiri. Egli ne fu così contento che spirò di gioia, prima di morire fra i tormenti. Nel numero di quei martiri vi era un fanciullo di dieci anni. Il giudice vedendolo così giovane non volle per un po’ iscriverlo tra quelli che dovevano morire per Gesù Cristo. Il fanciullo era inconsolabile nel vedersi privato di sì grande fortuna: protestò così energicamente che mai avrebbe mutato pensiero e che sarebbe morto nella sua religione, e tanto fece che obbligò, per così dire, il giudice a metterlo nel numero dei martiri. Ne provò allora tanta gioia che sembrava fuori di sé: voleva sempre essere il primo, rispondere sempre per tutti: avrebbe voluto avere il cuore di tutti gli uomini per sacrificarli tutti a Gesù Cristo. Un signore pagano, avendo saputo che il fanciullo era destinato a morire con gli altri Cristiani, ne fu mosso a compassione. Andò egli stesso dall’imperatore per pregarlo di aver pietà del fanciullo, dicendo ch’egli non sapeva ciò che si facesse. Il fanciullo, che l’intese, si voltò a lui, dicendogli: “Signore, tenete per voi la vostra compassione: pensate invece a farvi battezzare ed a far penitenza, se no andrete ad abbruciare coi demoni. „ Questo signore, vedendolo così risoluto a morire, lo lasciò i n pace. Il fanciullo, trovandosi presente quando fu letta la sentenza che ordinava fossero loro tagliate le orecchie ed il naso, e venissero condotti su carri attraverso la città per ispirare maggior orrore per la religione cristiana, e perché i pagani li colmassero di ingiurie, ne provò tanta gioia che sembrava gli fosse stato annunciato il possesso di un regno. Gli stessi pagani erano sorpresi che un ragazzo così giovane avesse tanto coraggio, e provasse tanta gioia di morire pel suo Dio. Essendo venuti i carnefici per eseguire gli ordini dell’imperatore, tutti quei santi martiri si presentarono per farsi mutilare con tanta tranquillità e gioia, come se fossero stati condotti ad un festino. Si lasciarono tagliare il naso e le orecchie con la stessa calma come se avessero loro reciso un lembo di vestito. Il loro povero corpo era coperto di sangue e metteva orrore anche ai pagani presenti, che di tanto in tanto si udivano gridare: “Oh! quale crudeltà! quale ingiustizia far tanto soffrire chi non ha fatto alcun male! Vedete, si dicevano gli uni gli altri, vedete qual coraggio dà loro la religione che professano. „ Ogni volta che venivano interrogati rispondevano soltanto che erano Cristiani; che sapevano di dover soffrire e morire, ma giammai avrebbero trasgrediti i comandamenti del loro Dio, perché facevano consistere tutta la loro felicità nell’esservi fedeli. Ahimè! poveri martiri! Condotti per la città su carri, il loro corpo era tutto grondante sangue: le pietre ne erano macchiate, e la terra pure tutta irrorata del sangue che colava in abbondanza dalle loro ferite. Poiché la loro sentenza li condannava a morire crocifissi, colui che li aveva condotti la prima volta ne fece la ricognizione. Ciò che lo commosse assai fu la vista di quel fanciullo di dieci anni. Gli si avvicinò dicendogli: “Figliuol mio, sei ben giovane; è troppo duro morire in età così tenera: se vuoi, m’incarico io di ottenere per te la grazia presso l’imperatore ed anche una grande ricompensa.„ Il fanciullo, sentendolo così parlare, sorrise, dicendogli che lo ringraziava tanto: ma che conservasse tutte per sé le sue ricompense, giacché egli non poteva sperarne per l’altra vita: per conto suo egli disprezzava tutto ciò come cosa troppo da poco; il solo suo timore era di non avere la fortuna di morire, anch’egli come gli altri martiri, per Gesù Cristo. — La madre sua, presente a tutto era inconsolabile, sebbene cristiana, di vedere il figliuol suo morire sulla croce. Il fanciullo, vedendola così desolata, la chiamò vicino, dicendole ch’era poco edificante che una madre cristiana piangesse tanto la morte di un figlio martire, come se non conoscesse tutto il valore di un tal sacrificio: avrebbe anzi dovuto incoraggiarlo e ringraziare il buon Dio di sì grande favore. Questo figlio di benedizione, un momento prima di morire, disse cose così belle e commoventi sulla felicità di coloro che muoiono per Gesù Cristo, che i pagani al pari dei Cristiani piangevano tutti. Quando s’avvicinò alla croce, prima di esservi appeso l’abbracciò, la baciò, la bagnò di lagrime, tanta era la gioia che sentiva sapendo che davvero stava per morire pel suo Dio. Quando furono tutti confitti sulle croci s’intese un coro di Angeli che cantavano Laudate, pueri, Domìnum nella loro musica celeste: e li udirono pure tutti i pagani. Quale spettacolo! F. M., il cielo ammirato! la terra meravigliata! gli astanti piangenti, ed i martiri giubilanti perché abbandonano la terra, cioè tutte le sofferenze e le miserie della vita, per andare a prendere possesso d’una felicità che durerà quanto Dio stesso, eternamente. Ebbene! F. M., ditemi: chi indusse questi martiri a perseverar tanto nei patimenti? Non fu perché non vollero venir meno ai comandamenti di Dio? Qual vergogna per noi, F. M., quando Gesù Cristo ci confronterà con loro! noi che sì spesso un semplice rispetto umano, un maledetto che cosa si dirà? ci fa arrossire, o piuttosto ci fa sconfessare d’esser Cristiani per metterci nel numero dei rinnegati.

II. — Ma esaminiamo la cosa un po’ più da vicino, F. M., e vedremo che se il buon Dio ci ordina di osservare fedelmente i suoi comandamenti, questo Egli fa solo per nostro bene. Ci dice Egli stesso che sono facili da adempiere (Joan. V, 3), e che se li osserviamo vi troveremo la pace delle anime nostre (Ps. CXVIII, 165). Se nel primo comandamento Dio ci ordina di amarlo, di pregarlo e di non attaccarci che a Lui, e se dobbiamo pregarlo sera e mattina e spesso durante la giornata, ditemi, F. M., non è questa la più grande delle fortune per noi, che il buon Dio ci. permetta di presentarci tutte le mattine davanti a Lui, per domandargli le grazie che ci sono necessarie per passare santamente la giornata? Non è un favore che ci fa? e questo favore che Dio ci fa ogni mattina, non rende tutte le nostre azioni meritorie pel cielo? non fa sì che le troviamo meno dure? Se questo medesimo comandamento ci ordina di amare Dio solo e di amarlo con tutto il nostro cuore, non è perché sa che Egli solo può contentarci e renderci felici in questo mondo? Vedete una casa ove non si vive che per Iddio: non è un piccolo paradiso? Convenite dunque con me, F. M., che questo precetto è davvero dolce e consolante per chi ha la fortuna d’osservarlo con fedeltà. Se passiamo al secondo, che ci proibisce ogni giuramento, ogni bestemmia, ogni imprecazione e maledizione e qualsiasi sfogo di collera, raccomandandoci la dolcezza, la carità e la cortesia con tutti quelli che ci avvicinano, ditemi, F. M., chi sono i più felici: coloro che si lasciano andare a questi eccessi di collera, di furore e di maledizioni, o coloro che in tutto ciò che fanno o dicono, mostrano padronanza del loro spirito, e si studiano continuamente di fare la volontà degli altri? Vediamo pertanto che questo comandamento contribuisce a render felici noi e quelli che vivono con noi. – Se veniamo al terzo, che ci ordina di santificare la Domenica, lasciando ogni lavoro servile per non occuparci che di ciò che riguarda il servizio di Dio e la salute dell’anima nostra, ditemi, F. M., non è esso pure pel nostro bene? giacché cessando di lavorare per questo mondo, che è nulla e nel quale viviamo brevissimo tempo, e consacrandoci alla preghiera e a fare opere buone, accumuliamo pel cielo un tesoro che non perderemo mai, e attiriamo sul lavoro di tutta la settimana ogni sorta di benedizioni? Non è questo un mezzo per la nostra felicità? Questo medesimo comandamento ci ordina altresì di impiegare questo santo giorno a piangere i nostri peccati della settimana, purificarcene con la virtù dei Sacramenti: e non è questo, F. M.,s forzarci, per così dire, a cercare il nostro bene, la nostra beatitudine, la nostra felicità eterna? Non siamo noi più contenti quando abbiamo passato bene il santo giorno di Domenica occupati a pregare Iddio, che non se avessimo avuto la disgrazia di passarlo nei piaceri, nei giuochi e nei disordini? Il terzo comandamento adunque non è che consolante e vantaggioso per noi. – Se passiamo al quarto, che ordina ai figli di onorare i loro genitori, di amarli, rispettarli, aiutarli e procurar loro tutto il bene che possono; ditemi: non è questa una cosa giusta e ragionevole? I genitori hanno fatto tanto per i loro figli! non è ragionevole che questi li amino, e diano loro tutte le consolazioni possibili? Se questo comandamento fosse ben osservato, le famiglie non sarebbero un piccolo paradiso pel rispetto, l’amore che i figli avrebbero per i loro genitori? E se questo medesimo comandamento ordina ai genitori d’aver cura delle anime dei loro figli, e dice loro che un giorno ne renderanno conto rigoroso, non è questa una cosa giusta, poiché queste anime hanno costato tanto a Gesù Cristo per salvarle, ed esse saranno la gioia e la gloria dei genitori durante tutta l’eternità? Se questo medesimo comandamento ordina ai padroni ed alle padrone d’aver gran cura dei loro dipendenti, di considerarli come loro figli, questi padroni non devono stimarsi felici di poter favorire la salvezza di anime che hanno costato tanti tormenti ad un Dio fattosi uomo per noi? Dirò ancor di più, F. M., se questo comandamento fosse bene osservato, il cielo non discenderebbe sulla terra per la pace e felicità che vi si godrebbe? – Venendo poi al quinto, che ci proibisce di danneggiare il nostro prossimo nei suoi beni, nella riputazione e nella persona, non è cosa più che giusta, poiché dobbiamo amarlo come noi stessi; ed una cosa insieme assai vantaggiosa per noi, poiché Gesù Cristo ci dice che mai chi detiene roba d’altri entrerà in cielo? Voi vedete che questo comandamento non ha niente di duro, poiché con esso ci assicuriamo il cielo. – Se passiamo al sesto comandamento, che ci proibisce ogni impurità nei pensieri, nei desiderii e nelle azioni: non è per la nostra pace e felicità che il buon Dio ci proibisce tutte queste cose? Se abbiamo la disgrazia di abbandonarci a qualcuno di questi infami peccati, la nostra povera anima non è come in un inferno? non ne siete voi tormentato giorno e notte? D’altra parte, il vostro corpo e l’anima vostra non sono destinati ad essere la dimora della Ss. Trinità, non debbono, aggiungo, passare l’eternità con gli Angeli, vicino a Gesù Cristo che è la stessa purità? Vedete adunque che questo comandamento non ci è dato che pel nostro bene e per la nostra felicità anche in questo mondo? Se il buon Dio ci dice, F. M., per la bocca della sua Chiesa: “Vi  comando di non lasciar passare più di un anno senza confessarvi, „ ditemi: questo comandamento non ci mostra la grandezza dell’amor di Dio per noi? Ditemi: quand’anche la Chiesa non avesse fatto questo precetto, si può viver tranquilli col peccato nel cuore ed il cielo chiuso per noi, esposti a piombare ad ogni istante nell’inferno? Se il buon Dio ci comanda di accostarci a riceverlo a Pasqua, ahimè! F. M., può forse un’anima vivere, cibandosi una volta sola all’anno? Mio Dio, quanto poco conosciamo il nostro bene, il nostro interesse! – Se la Chiesa ci ordina di non mangiar carne, di digiunare in certi giorni, è forse una cosa ingiusta, mentre, peccatori come siamo, dobbiamo necessariamente far penitenza in questo mondo o nell’altro? E non è questo un cambiare con piccole pene o privazioni i tormenti ben più rigorosi dell’altra vita? Non converrete dunque con me, F. M., che se il buon Dio ci ha fatto dei comandamenti e ci obbliga di osservarli, non è che per renderci felici in questo mondo e nell’altro? Di modo che, F. M., se vogliamo sperare delle consolazioni e dei conforti nelle nostre miserie, non le troveremo che osservando con fedeltà gli ordini di Dio: e finché li violeremo, saremo infelici, anche in questo mondo. Sì, F. M., quand’anche alcuno fosse padrone di mezzo mondo, se non fa consistere tutta la sua felicità nel ben osservare i comandamenti di Dio, egli non sarà che uno sventurato. – Vedete, F . M., quale dei due era più felice: S. Antonio nel deserto, datosi a tutti i rigori della penitenza, o Voltaire con tutti i suoi beni e piaceri, come dice san Luca, nell’abbondanza e nella crapula (Luc. XXI, 34). S. Antonio vive felice, muore contento, ed ora gode una felicità che non finirà mai più: mentre l’altro vive infelice con tutti i suoi beni, muore disperato ed ora, secondo ogni apparenza, senza volerlo giudicare, soffre qual riprovato. Perché, F. M., questa grande differenza? Perché l’uno fa consistere tutta la sua felicità nell’osservare fedelmente la legge di Dio, e l’altro mette tutte le sue cure nel violarla, e farla disprezzare: l’uno nella povertà è contento, l’altro nell’abbondanza è miserabile: il che ci mostra, F. M., che Dio solo e nessun’altra cosa può farci paghi. Vedete la felicità che godiamo se osserviamo fedelmente i comandamenti di Dio; poiché leggiamo nell’Evangelo che Gesù Cristo disse: “Chi osserva i miei comandamenti mi ama, echi mi ama sarà amato dal Padre mio: noi verremo a lui e in lui porremo la nostra dimora. „ (Giov. XIV, 23). Vi può essere fortuna più grande, egrazia più preziosa? osservando i comandamenti di Dio, attiriamo in noi tutto il cielo. Il santo re Davide aveva ben ragione d’esclamare: “O mio Dio, quanto sono felici coloro che vi servono!„ (Ps. CXVIII, 1). Vedete inoltre come Dio benedice le case di coloro che osservano le sue leggi. Leggiamo nell’Evangelo che il padre e la madre di S. Giovanni Battista osservavano i comandamenti cosi perfettamente che nessuno poteva rimproverar loro il minimo fallo (Luc. I, 6): perciò Dio in ricompensa diede loro un figliuolo che fu il più grande di tutti i Profeti. Un Angelo venne dal cielo per annunciar loro la lieta novella: l’eterno Padre gli diede il nome di Giovanni, che vuol dire, figlio di benedizione e di felicità. Appena Gesù Cristo fu concepito nel seno di Maria, andò in persona in quella casa, per spandervi ogni sorta di benedizioni. Santificò il bambino prima ancora che fosse nato, e riempì il padre e la madre di Spirito Santo. (Luc. I, 39). Volete, F. M., che il buon Dio vi visiti e vi colmi di ogni benedizione? procurate di mettere ogni vostra cura nell’osservare i comandamenti di Dio, e tutto andrà bene in casa vostra. – Leggiamo nel Vangelo che un giovane domandò a Gesù Cristo che cosa dovesse fare per avere la vita eterna. Il Salvatore gli rispose: “Se vuoi avere la vita eterna, osserva con fedeltà i miei comandamenti.„ (Matt. XIV, 19). Nostro Signore trattenendosi un giorno coi suoi discepoli sulla felicità dell’altra vita disse che è assai stretta la strada che conduce al cielo, che ben pochi la cercano davvero, e, fra quelli che la trovano, ben pochi la seguono. “Non tutti quelli che dicono: Signore, Signore, saranno salvi, ma solo quelli che fanno la volontà del Padre mio, custodendo i miei comandamenti. Molti diranno nel giorno del giudizio: “Signore, noi abbiamo profetato in vostro nome, abbiamo scacciato i demoni dal corpo degli ossessi, ed abbiamo fatto grandi miracoli.„ Ed io risponderò loro: “Ritiratevi da me, artefici d’iniquità. Voi avete fatto grandi cose: ma non avete osservato i miei comandamenti: non vi conosco.„ (Matt., VII, 14-23) Gesù Cristo disse al discepolo prediletto: “Sii fedele fino alla fine, e ti darò la corona di gloria.„ (Apoc. II, 10). Vedete dunque, F. M., che la nostra salute è assolutamente attaccata ai comandamenti di Dio. Se vi agita il dubbio intorno alla vostra salvezza, prendete i comandamenti di Dio, e confrontateli colla vostra condotta. Se vedete che camminate per la via che essi vi hanno tracciata, non pensate ad altro che a perseverare: ma se vivete in maniera affatto opposta, avete ragione di inquietarvi; voi vi dannerete senza fallo. (Prov. XV, 15).[S. Girolamo. Risposta ad una domanda che gli rivolse una dama romana per sapere se si sarebbe salvata – Nota del Beato).

III. — Se vogliamo avere la pace dell’anima dobbiamo osservare i comandamenti di Dio, perché lo Spirito Santo ci dice che chi ha la coscienza pura è come in una festa continua. (Act. XXVI, 29). È certissimo, F. M., che chi vive secondo le leggi di Dio è sempre contento, e di più nulla lo può turbare. S. Paolo (II Cor. VII, 14) 3 ci dice che era più felice e contento nella sua prigione, tra i suoi patimenti, le sue penitenze e la sua povertà, che i suoi carnefici nella libertà, nell’abbondanza e nelle gozzoviglie: che la sua anima era piena di tanta gioia e consolazione, che traboccava da ogni parte. S. Monica ci dice d’aver vissuto sempre contenta, sebbene fosse frequentemente maltrattata da suo marito, che era pagano. (S. Aug. Conf. IX, IX). S. Giovanni della Croce dice di aver passato i giorni più felici di sua vita proprio quando aveva maggiormente sofferto. ” Ma, al contrario, dice il profeta Isaia, chi non vive secondo le leggi del Signore non sarà né contento né felice. La sua coscienza sarà simile ad un mare agitato da furiosa tempesta, le inquietudini ed i rimorsi lo seguiranno dappertutto.„ Se costoro vi dicono che sono in pace, non credete, mentiscono, perché il peccatore non avrà mai pace (Isa. LVII, 20). Vedetene la prova, F. M., in Caino. Dacché ebbe la sventura di uccidere il fratello Abele, il suo peccato f u per tutta la vita il carnefice dell’anima sua, non l’abbandonò mai sino alla morte, per trascinarlo poi nell’inferno (Gen. IV, 14). Vedete i fratelli di Giuseppe (Gen. XLII). Vedete anche Giuda: dopo aver venduto il suo divin Maestro, si sentì così tormentato dai rimorsi, che s’appiccò ad un fico; tanto gli pesava la vita (Matt. XXV, 5). Leggiamo nella storia che un giovane in un eccesso di furore, uccise il padre suo. Il suo peccato non gli die’ più pace né dì né notte. Gli sembrava udir suo padre gridargli: “Ah! figlio mio, perché mi hai tu ucciso?„ Andò egli stesso a denunciarsi perché lo facessero morire, pensando che l’inferno non sarebbe stato più duro di quel rimorso. Ahimè! F. M., se abbiamo la disgrazia di non osservare i comandamenti di Dio, mai saremo contenti, anche possedendo le maggiori ricchezze. Vedete Salomone, ecc. Ma, cosa strana, F. M., l’uomo può ben essere tormentato dai rimorsi e conoscere i rimedi che occorrono per avere la pace col suo Dio e con se stesso; egli preferisce cominciare quaggiù il suo inferno, piuttosto che ricorrere ai rimedi che Gesù Cristo gli ha preparato. Siete ben infelice, amico mio, ma perché volete restare in questo stato ? Ritornate a Gesù Cristo, e ritroverete quella pace dell’anima, (Matt. XI, 29). che i vostri peccati vi hanno rapita.

IV. — Dico inoltre, F. M., che se non osserviamo i comandamenti della legge di Dio saremo infelici per tutti i giorni di nostra vita. Vedetene la prova in Adamo. Dopo il peccato il Signore gli disse: “Poiché tu hai violata la mia legge, la terra sarà maledetta per te, non produrrà da sola che triboli e spine. Mangerai il tuo pane col sudore della tua fronte, e questo per tutti i giorni di tua vita.„ (Gen. III, 17-19) Vedete Caino: il Signore gli disse: ” Caino, il sangue di tuo fratello grida vendetta; andrai errante, vagabondo, fuggitivo per tutti i giorni di tua vita (Gen. IV, 10-12).„ Vedete altresì Saul … Sicché, F. M., dall’istante in cui cessiamo di eseguire ciò che i comandamenti di Dio impongono, dobbiamo aspettarci ogni sorta di mali spirituali e temporali. Padri e madri, volete voi esser felici? Cominciate ad osservar bene i comandamenti della legge di Dio voi stessi, per poter offrirvi come modelli ai vostri figli ed aver sempre diritto di dir loro: “Fate come me. „ Se volete che facciano bene la loro preghiera, datene ad essi l’esempio. Volete che siano raccolti e devoti in chiesa? Datene loro l’esempio: teneteli al vostro fianco. Volete che osservino il santo giorno di Domenica? cominciate a santificarlo voi stessi. Volete che siano caritatevoli? siatelo voi anzi tutto. Ahimè! F. M.; se tanti mali ci opprimono, cerchiamone la ragione soltanto nella moltitudine dei peccati che commettiamo, trasgredendo i comandamenti di Dio. Compiangiamo, F. M., quelli che verranno alcuni secoli dopo di noi. Ahimè, lo stato di cose sarà peggiore, peggiore assai! Vogliamo, F. M., che Dio cessi di castigarci? cessiamo di offenderlo: facciamo come i santi che hanno tutto sacrificato piuttosto che violare le sue sante leggi. Vedete S. Bartolomeo e S. Regina che furono scorticati vivi per non aver voluto offender Dio. Vedete S. Pietro e S. Andrea che furono confitti ad una croce. Vedete quelle turbe di martiri che hanno sopportato mille tormenti per non trasgredire i comandamenti. Vedete tutte le lotte che hanno sostenuto i santi Padri del deserto contro il demonio e le loro inclinazioni. Trovandosi S. Francesco d’Assisi su d’una montagna a pregare, gli abitanti dei dintorni vennero a supplicarlo di liberarli colle sue preghiere da una quantità di belve feroci che divoravano tutto ciò che essi possedevano. Il santo disse loro: “Figli miei, tutto questo deriva dall’aver voi violato i comandamenti della legge di Dio: ritornate a Dio e sarete liberati.„ Infatti, appena ebbero cambiato vita, furono liberati. Parimente, finendo, dico che se vogliamo che i nostri mali spirituali e temporali finiscano, dobbiamo cessare di offendere Dio: di trasgredire i suoi comandamenti. Cessate, F. M., di dare il cuore, lo spirito e fors’anche il corpo all’impurità. Cessate di frequentare i giuochi, le osterie, i luoghi di divertimento. Cessate il lavoro in Domenica. Cessiamo di star lontani dai Sacramenti. Cessiamo, F. M., di considerare cosa da nulla il violare le leggi del digiuno e dell’astinenza: abbandoniamo la via che seguono i pagani, ai quali i comandamenti sono ignoti. Cerchiamo il nostro vero benessere, che non può trovarsi che in Dio solo, osservando fedelmente i suoi precetti. Cessiamo, F. M., di faticare a prepararci la nostra sventura per tutta l’eternità. Ritorniamo a Dio, ricordiamoci che siamo Cristiani e che, per conseguenza, dobbiamo combattere le nostre inclinazioni cattive ed il demonio, fuggire il mondo ed i suoi piaceri, vivere nelle lagrime, nella penitenza ed umiltà. Diciamo come il santo re Davide: “Sì, mio Dio, io mi sono allontanato dai vostri comandamenti eoi miei peccati; ma, aiutatemi, ritornerò a voi con le lagrime e con la penitenza, e camminerò tutti i giorni della mia vita nella via dei vostri comandamenti, che mi condurranno fino a Voi, per non perdervi mai più. „ Felice, F. M., colui che imiterà questo santo re, il quale tornato a Dio, non lo abbandonò mai più! Ecco, F. M., quanto vi auguro…

FESTA DELLA BEATA VERGINE MARIA ASSUNTA IN CIELO (2021)

15 AGOSTO (2021)

Assunzione della B. V. M.

[D. G. LEFEBVRE O. S. B.: Messale romano – L.I.C.E. –R. BERRUTI, TORINO 1936]

In questa festa, la più antica e la più solenne del Ciclo Mariano (VI secolo), la Chiesa invita tutti i suoi figli sparsi nel mondo a unire la loro gioia (Intr.), la loro riconoscenza (Pref.) a quella degli Angeli che lodano il Figlio di Dio, perché sua Madre è entrata in questo giorno, con il corpo e con l’anima, nel cielo (All.). Nella Basilica di Santa Maria Maggiore si celebra a Natale il Mistero, che è il punto di partenza di tutte le glorie della Vergine ed ancora si celebra oggi l’Assunzione, che ne è l’ultimo. Maria, porta in sé l’umanità di Gesù al momento dell’incarnazione del Verbo; oggi è Gesù, che riceve a sua volta il corpo di Maria in cielo. Ammessa a godere le delizie della contemplazione eterna, la Madre ha scelto ai piedi del suo divin Figlio la miglior parte, che non le sarà giammai tolta (Vang., Com.). – In altri tempi si leggeva il Vangelo della Vigilia, dopo quello del giorno, a fine di dimostrare che la Madre di Gesù è la più fortunata tra tutte, perché meglio d’ogni altra, « Ella ascoltò la parola di Dio ». Questa Parola, questo Verbo, questa Sapienza divina che stabilisce, sotto l’Antica Legge, la sua dimora nel popolo d’Israele (Ep.), è discesa sotto la Nuova Legge in Maria. Il Verbo si è incarnato nel seno della Vergine e ora negli splendori della celeste Sion egli l’ha colmata delle delizie della visione beatifica. Come Marta, la Chiesa sulla terra si dedica alle sollecitudini delle quali necessita la vita presente ed ancora come Marta, la Chiesa reclama l’aiuto di Maria (Or., Secr., Postc). Una processione fu sempre fatta nel giorno della festa dell’Assunzione. A Gerusalemme era formata dai numerosi pellegrini che andavano a pregare sulla tomba della Vergine e contribuirono così all’istituzione di questa solennità. Il clero di Costantinopoli faceva anch’esso nel giorno della festa dell’Assunzione di Maria una processione. A Roma, dal VII al XVI secolo, il corteo papale, al quale prendevano parte le rappresentanze del Senato e del popolo, andava in quel giorno dalla chiesa di San Giovanni in Laterano a quella di Santa Maria Maggiore. Questo si chiamava fare la Litania.

Assunzione della Beata Maria Vergine.

[Appendice al Messale ut supra]

Doppio di classe con Ottava Comune. – Paramenti bianchi.

La credenza nell’Assunzione corporea di Maria SS. era già radicata da secoli nel cuore dei fedeli, profondamente persuasi che la Vergine, sin dal momento del suo transito da questa terra al Cielo, era stata glorificata da Dio anche nel corpo, senza che dovesse attendere che questo risorgesse, insieme con quello di tutti gli altri, alla fine del mondo. Cosi la festa dell’Assunzione, celebrata già verso il 500 in Oriente, costituì la più antica e la maggiore solennità dell’anno in onore di Maria SS. Tuttavia la realtà dell’Assunzione corporea di Maria in Cielo non fu oggetto di una solenne definizione da parte del Papa se non il 1° novembre 1950. In tale giorno, il Sommo Pontefice Pio XII proclamò dogma di fede che « Maria, terminata la carriera della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste quanto all’anima e quanto al corpo. – Questa definizione, maturata lentamente, ma incessantemente nei diciannove secoli che seguirono al beato transito di Maria da questa terra, ha ed avrà un’eco incalcolabile nella dottrina come nella vita cristiana. – Una delle sue conseguenze pratiche sarà quella di attirare vieppiù l’attenzione dei fedeli sulla futura glorificazione nostra non solo quanto all’anima, ma anche quanto al corpo. Come Adamo ci rovinò nell’una e nell’altro, così Gesù ci redense non solo quanto all’anima, ma anche quanto al corpo, cosicché l’anima del giusto è destinata ad una beatitudine immensa mediante la visione beatifica di Dio, ed il corpo alla sua volta verrà risuscitato, trasformato e configurato a quello glorioso del Cristo. Per Maria SS. la glorificazione corporea avvenne alla fine della sua carriera mortale; per gli altri giusti non avverrà che alla fine del mondo; ma se devono attenderla, non possono però dubitarne; la loro redenzione è certissima e sarà completa e perfetta (Rom. VIII, 23; Ef. IV, 30). Avendo già realizzato pienamente in se stessa il disegno divino della nostra redenzione, Maria SS. è per noi, colla sua Assunzione corporea, un altro modello, oltre quello di Gesù, della divinizzazione dell’anima mediante la visione beatifica e della glorificazione del corpo cui tutti siamo chiamati e che tutti dobbiamo meritare con le buone opere e con le sofferenze di questa vita cristianamente sopportate. Come del Cristo, così saremo coeredi di Maria SS., se soffriremo con Lei e come Lei (Rom. VIII, 17). – D’altra parte, l’Assunta non soltanto ci ricorda quale sia la nostra meta soprannaturale e la via per raggiungerla, ma ci presta anche il suo validissimo aiuto. A quel modo che una buona mamma mira sempre a rendere partecipi della sua felicità tutti i suoi figli, così la Madre nostra celeste regna in Paradiso sempre sollecita della salvezza di tutti gli uomini. S. Paolo ci rappresenta Gesù che vive alla destra del Padre, sempre pregando per noi (Rom. VIII, 34; Ebr. VII, 25); la Chiesa, alla sua volta, ci dice che la Vergine è stata assunta in cielo, affinché fiduciosamente s’interponga presso Dio per noi peccatori (Segreta della Vigilia).

Affine di perpetuare anche nella Liturgia il ricordo della definizione del dogma dell’Assunzione di Maria SS., la Santa Sede ha pubblicato una nuova Messa in onore dell’Assunta, ordinando di inserirla nel Messale il giorno 15 d’agosto, in luogo di quella antica (A. A. S. 1950, pag. 703-5).

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ap XII:1
Signum magnum appáruit in cœlo: múlier amicta sole, et luna sub pédibus ejus, et in cápite ejus coróna stellárum duódecim

[Un gran segno apparve nel cielo: una Donna rivestita di sole, con la luna sotto i piedi, ed in capo una corona di dodici stelle].
Ps XCVII:1
Cantáte Dómino cánticum novum: quóniam mirabília fecit.

[Cantate al Signore un càntico nuovo: perché ha fatto meraviglie].


Signum magnum appáruit in coelo: múlier amicta sole, et luna sub pédibus ejus, et in cápite ejus coróna stellárum duódecim

[Un gran segno apparve nel cielo: una donna rivestita di sole, con la luna sotto i piedi, ed in capo una corona di dodici stelle].

Oratio

Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, qui Immaculátam Vírginem Maríam, Fílii tui genitrícem, córpore et ánima ad coeléstem glóriam assumpsísti: concéde, quǽsumus; ut, ad superna semper inténti, ipsíus glóriæ mereámur esse consórtes.

[Onnipotente sempiterno Iddio, che hai assunto in corpo ed ànima alla gloria celeste l’Immacolata Vergine Maria, Madre del tuo Figlio: concédici, Te ne preghiamo, che sempre intenti alle cose soprannaturali, possiamo divenire partecipi della sua gloria].

Lectio

Léctio libri Judith.
Judith XIII, 22-25; XV:10

Benedíxit te Dóminus in virtúte sua, quia per te ad níhilum redégit inimícos nostros. Benedícta es tu, fília, a Dómino Deo excelso, præ ómnibus muliéribus super terram. Benedíctus Dóminus, qui creávit coelum et terram, qui te direxit in vúlnera cápitis príncipis inimicórum nostrórum; quia hódie nomen tuum ita magnificávit, ut non recédat laus tua de ore hóminum, qui mémores fúerint virtútis Dómini in ætérnum, pro quibus non pepercísti ánimæ tuæ propter angústias et tribulatiónem géneris tui, sed subvenísti ruínæ ante conspéctum Dei nostri. Tu glória Jerúsalem, tu lætítia Israël, tu honorificéntia pópuli nostri.

[Il Signore ti ha benedetta nella sua potenza, perché per mezzo tuo annientò i nostri nemici. Tu, o figlia, sei benedetta dall’Altissimo piú che tutte le donne della terra. Sia benedetto Iddio, creatore del cielo e della terra, che ha guidato la tua mano per troncare il capo al nostro maggior nemico. Oggi ha reso cosí glorioso il tuo nome, che la tua lode non si partirà mai dalla bocca degli uomini che in ogni tempo ricordino la potenza del Signore; a pro di loro, infatti, tu non ti sei risparmiata, vedendo le angustie e le tribolazioni del tuo popolo, che hai salvato dalla rovina procedendo rettamente alla presenza del nostro Dio. Tu sei la gloria di Gerusalemme, tu la gloria di Israele, tu l’onore del nostro popolo!]

Graduale

Ps XLIV:11-12; XLIV:14
Audi, fília, et vide, et inclína aurem tuam, et concupíscit rex decórem tuum.

[Ascolta, o figlia; guarda e inclina il tuo orecchio, e s’appassionerà il re della tua bellezza.]

V. Omnis glória ejus fíliæ Regis ab intus, in fímbriis áureis circumamícta varietátibus. Allelúja, allelúja.

[V. Tutta bella entra la figlia del Re; tessute d’oro sono le sue vesti. Allelúia, allelúia].


V. Assumpta est María in cælum: gaudet exércitus Angelórum. Allelúja.  

[Maria è assunta in cielo: ne giúbila l’esercito degli Angeli. Allelúia.]

Vangelo

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Lucam.
Luc 1:41-50
“In illo témpore: Repléta est Spíritu Sancto Elisabeth et exclamávit voce magna, et dixit: Benedícta tu inter mulíeres, et benedíctus fructus ventris tui. Et unde hoc mihi ut véniat mater Dómini mei ad me? Ecce enim ut facta est vox salutatiónis tuæ in áuribus meis, exsultávit in gáudio infans in útero meo. Et beáta, quæ credidísti, quóniam perficiéntur ea, quæ dicta sunt tibi a Dómino. Et ait María: Magníficat ánima mea Dóminum; et exsultávit spíritus meus in Deo salutári meo; quia respéxit humilitátem ancíllæ suæ, ecce enim ex hoc beátam me dicent omnes generatiónes. Quia fecit mihi magna qui potens est, et sanctum nomen ejus, et misericórdia ejus a progénie in progénies timéntibus eum.”

[In quel tempo: Elisabetta fu ripiena di Spirito Santo, e ad alta voce esclamò: Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo seno! Donde a me questo onore che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, infatti, che appena il tuo saluto è giunto alle mie orecchie, il bimbo ha trasalito nel mio seno. Beata te, che hai creduto che si compirebbero le cose che ti furono dette dal Signore! E Maria rispose: L’ànima mia magnifica il Signore, e il mio spirito esulta in Dio mio salvatore, perché ha guardato all’umiltà della sua serva; ed ecco che da ora tutte le generazioni mi diranno beata. Perché grandi cose mi ha fatto colui che è potente, e santo è il suo nome, e la sua misericordia si estende di generazione in generazione su chi lo teme.]

OMELIA

[I Sermoni del B. GIOVANNI B. M. VIANNEY, trad. It. di Giuseppe D’Isengrad P. d. M. – vol. IV, Torino, Libreria del Sacro Cuore – 1908- imprim. Can. Ezio Gastaldi-Santi, Provic. Gen., Torino, 8  apr. 1908]

SULLE GRANDEZZE DI MARIA.

Quia retpexit humilitatem ancillæ suæ.

[Perché il Signore ha riguardato la bassezza della sua ancella].

(S. LUCA I, 48).

Se noi vediamo, fratelli miei, la SS. Vergine abbassarsi nella sua umiltà al disotto d’ogni creatura, vediamo pure quest’umiltà innalzarla al di sopra di tutto ciò che non è Dio. No, non i grandi della terra l’han sollevata al sommo grado di dignità nella quale abbiamo oggi la lieta ventura di contemplarla. Le tre Persone della SS. Trinità l’han posta su quel trono di gloria; l’han proclamata Regina del cielo e della terra, facendola depositaria di tutti i tesori celesti. No, miei fratelli, non riusciremo mai ad intender sufficientemente le grandezze di Maria, e il potere conferitole dal suo divino Figliuolo; non potremo mai conoscer bene quanto desidera di farci felici. Ci ama come figli: e si rallegra del potere datole da Dio, perché può così giovarci di più. Sì, Maria è nostra mediatrice; essa presenta tutte le nostre preghiere, le nostre lacrime, i nostri gemiti al suo divin Figlio; Ella attira su noi le grazie necessarie alla nostra salute. Lo Spirito Santo ci dice che Maria è, tra tutte le creature, un prodigio di grandezza, un prodigio di santità e un prodigio d’amore. Quale felicità per noi, miei fratelli, e quale speranza per la nostra salute! Ravviviamo dunque la nostra fiducia in questa buona e tenera Madre, considerando: 1° la sua grandezza; 2° il suo zelo per la nostra salute; 3° ciò che dobbiam fare per piacerle e meritarne la protezione.

I. — Parlar delle grandezze di Maria, miei fratelli, è voler impicciolire l’idea grande che ve ne fate; poiché dice S. Ambrogio che Maria è innalzata a sì alto grado di gloria, d’onore e di potenza, cui neppur gli Angeli son capaci di comprendere: ciò è riservato a Dio solo. Quindi concludo che quanto potrete udire, sarà nulla o quasi nulla a confronto di ciò che è Maria agli occhi di Dio. Il più bell’elogio, che possa farcene la Chiesa, è dirci che Maria è Figlia dell’eterno Padre, Madre del Figliuol di Dio salvatore del mondo, e Sposa dello Spirito santo. Se l’eterno Padre ha scelto Maria qual sua Figlia privilegiata, qual torrente di grazie non dovette Egli versar nell’anima sua? Ella sola ne ricevette più che tutti insieme gli Angeli e i Santi. Innanzi tutto, la preservò dal peccato originale, grazia concessa soltanto a Lei. L’ha confermata in questa grazia, con piena certezza che mai la perderebbe. Sì, miei fratelli, l’eterno Padre l’arricchì de’ doni celesti a proporzione dell’alta dignità, a cui doveva innalzarla. Ne formò un tempio vivo delle tre Persone della SS. Trinità. – Diciamo meglio ancora: fece per Ella quanto poteva farsi per una creatura. Se l’eterno Padre ebbe sì gran cura di Maria, sappiamo che lo Spirito Santo scese pure ad abbellirla in tal grado, che, fin dall’istante del suo concepimento, divenne oggetto delle compiacenze delle tre divine Persone. Maria soltanto ha la bella sorte d’esser Figlia privilegiata dell’eterno Padre, ed ha pur quella d’esser Madre del Figliuolo e Sposa dello Spirito Santo. Per tale dignità incomparabile si vede congiunta alle tre divine Persone per formare il corpo adorabile di Gesù Cristo. Di Lei Dio doveva servirsi per abbattere e rovinare l’impero del demonio. Di Lei si valsero le tre Persone divine per salvare il mondo dandogli un Redentore. Avreste pensato mai che Maria fosse un tale abisso di grandezza, di potenza e d’amore? Dopo il Corpo adorabile di Gesù Cristo Ella è il più bello ornamento della corte celeste. Possiam dire che il trionfo della SS. Vergine in cielo è il compimento di tutti i meriti di quest’augusta Regina del cielo e della terra. In quell’istante ricevette l’ultimo ornamento della sua incomparabile dignità di Madre di Dio. Dopo aver per qualche tempo tollerato le molteplici miserie della vita e incontrato poi le umiliazioni della morte, andò infine a godere della vita più gloriosa e più felice di cui possa godere una creatura. Talora ci meravigliamo che Gesù, il quale amava tanto sua Madre, l’abbia lasciata dopo la sua resurrezione così a lungo sulla terra. La ragione fu che voleva con questo ritardo procurarle maggior gloria; d’altra parte, gli Apostoli avevano ancor bisogno di Lei per essere consolati e guidati. Maria, infatti, rivelò agli Apostoli segreti più grandi della vita nascosta di Gesù Cristo. Maria pure spiegò il vessillo della verginità, ne fece conoscere tutto lo splendore, tutta la bellezza, e ci mostra l’inestimabile premio riserbato a uno stato sì santo. Ma rimettiamoci in via, fratelli miei, e continuiamo a seguire Maria fino al momento, in cui abbandona questo mondo. Gesù Cristo volle, che, prima d’essere assunta al cielo, potesse anche una volta rivedere gli Apostoli. Tutti, eccetto S. Tommaso, furono miracolosamente trasportati intorno al suo povero letto. Per un atto profondissimo di quell’umiltà, che aveva spinto sempre al più alto grado, Maria volle baciare a tutti i piedi, e chiese loro la benedizione. Quest’atto era apparecchio all’altissima gloria, a cui il suo Figliuolo doveva innalzarla. Quindi Maria diede a tutti la sua benedizione. È impossibile far intendere quante lacrime abbiano allora versato gli Apostoli per la perdita che stavano per fare. Dopo il Salvatore la SS. Vergine non era loro unica felicità, loro sola consolazione? Per mitigare un po’ la loro pena, Ella promise che non li dimenticherebbe dinanzi al suo divino Figliuolo. Si crede che l’Angelo medesimo, da cui le era stato annunziato il mistero dell’Incarnazione, venisse a indicarle, a nome del suo Figliuolo l’ora della sua morte. La SS. Vergine rispose all’Angelo: « Ah! qual felicità! E come desideravo questo momento! » Dopo sì lieta notizia volle fare il suo testamento che fu presto fatto. Aveva due vesti e le diede a due vergini, che da lungo tempo la servivano. Si sentì allora infiammata di tanto amore, che l’anima sua, simile ad accesa fornace, non poté più rimanere nel corpo. Beato momento! È possibile, fratelli miei, considerar le meraviglie, che accompagnarono tal morte, e non sentir ardente desiderio di viver santamente per santamente morire? Certo non dobbiamo aspettarci di morir d’amore, ma almeno abbiamo speranza di morir nell’amor di Dio. Maria non teme punto la morte, poich’essa la metterà a possesso della perpetua felicità. Sa che l’aspetta il paradiso, e ch’Ella ne sarà uno de’ più belli ornamenti. – Il suo Figliuolo e tutta la corte celeste si fanno anzi per celebrare così splendida festa; i santi e le sante del cielo aspettano solo gli ordini di Gesù, per venir in cerca di questa Regina e condurla trionfalmente nel suo regno. In cielo tutto è apparecchiato per riceverla; essa riceverà onori superiori a quanto può immaginarsi. Per uscir da questa vita Maria non ebbe a soffrir malattia, perché esente da peccato. Non ostante la sua età, il suo corpo non fu mai deperito, come quello degli altri mortali, anzi sembrava prendere nuovo splendore a misura che si avvicinava alla fine. S. Giovanni Damasceno ci dice che Gesù Cristo in persona venne in cerca della Madre sua. Così spariva questo bell’astro, che per settantadue anni aveva rischiarato il mondo. Sì, miei fratelli, Maria rivide il suo Figliuolo, ma in aspetto ben diverso da quello in cui l’aveva visto, quando, tutto coperto di sangue, era confitto alla croce. O Amor divino, ecco la più bella delle tue vittorie e delle tue conquiste! Non potevi far di più, ma neppure avresti potuto far di meno! Sì, miei fratelli, se la Madre d’un Dio doveva morire, non poteva morire che in un impeto d’amore. O bella morte! o morte beata! o morte desiderabile! Ah! Ella è pur compensata di quel torrente d’umiliazioni e di dolori, di cui la sua sant’anima fu inondata nel corso della sua vita mortale! Sì, essa rivede il suo Figliuolo, ma ben diverso da ciò che era il giorno in cui l’aveva visto nel tempo della sua dolorosa passione, tra le mani de’ suoi carnefici, sotto il peso della croce senza poterlo sollevare. Oh! no: non lo vede più in sì triste apparato, capace di annichilare una creatura un po’ sensibile; ma lo vede, dico, splendente di tanta gloria, ch’è la gioia e la felicità del cielo: vede gli Angeli e i Santi che lo circondano, lo lodano, lo benedicono e l’adorano fino ad annientarsi dinanzi a Lui. Sì, rivede quel tenero Gesù, esente da tutto ciò che può farlo patire. Ah! chi di noi non vorrà lavorare per andare a raggiungere Madre e Figlio in quel luogo di delizie? Pochi momenti di combattimento e di patimenti sono larghissimamente ricompensati. – Ah! miei fratelli, che morte beata! Maria non teme nulla, perché ha sempre amato il suo Dio: non rimpiange nulla, perché non possedette mai altro che il suo Dio. Vogliamo morire senza timore? Viviamo nell’innocenza come Maria; fuggiamo il peccato, ch’è nostra sola sventura nel tempo e nell’eternità. Se avemmo la grande sventura di commetterlo, piangiamo, conforme all’esempio di S. Pietro, fino alla morte, e il nostro dolore termini solo colla vita. Imitando l’esempio del santo re David, scendiamo nella tomba versando lacrime: e nell’amarezza del nostro pianto laviamo le anime nostre (Ps. VI, 7). Vogliamo, come Maria, morire senza rammarico? Viviamo com’Ella senza attaccarci alle cose create; facciamo com’Ella, amiamo Dio solo, Lui soltanto desideriamo, e cerchiamo unicamente di piacergli in tutto ciò che facciamo. Beato il Cristiano, che non lascia nulla e ritrova tutto!… Accostiamoci ancora un momento a quel povero letticciuolo, che ha la bella sorte di reggere questa perla preziosa, questa rosa sempre fresca e senza spine, questo globo di luce e di gloria, che deve dare nuovo splendore a tutta la corte celeste. Gli Angeli, si dice, intonarono un cantico d’allegrezza nell’umile casetta ov’era il sacro corpo, ed essa era imbalsamata d’odore sì gradito, che pareva vi fossero scese tutte le dolcezze del paradiso. Andiamo, fratelli miei, accompagniamo questo sacro corteo; teniam dietro a questo tabernacolo in cui l’eterno Padre aveva rinchiuso tutti i suoi tesori, e che, per qualche tempo starà nascosto, come fu nascosto il corpo del suo divino Figliuolo. Il dolore e i gemiti resero senza parola gli Apostoli e i fedeli venuti in grandissimo numero a vedere anche una volta la Madre del loro Redentore. Ma, riavutisi, cominciarono a cantare inni e cantici per onorare il Figlio e la Madre. Degli Angeli una parte salì al cielo per condurre in trionfo quest’anima senza pari; l’altra restò sulla terra per celebrar le esequie del suo corpo. Or vi chiedo, fratelli miei, chi potrà esser capace di dipingerci sì bello spettacolo? Da una parte s’udivano gli spiriti celesti usar tutto la loro arte di paradiso per manifestare la gioia ond’erano pieni per la gloria della loro Regina; dall’altra si vedevano gli Apostoli e gran numero di fedeli levare anch’essi le loro voci per accompagnare le armonie di quei divini cantori. S. Giovanni Damasceno ci dice che, prima di mettere nel sepolcro il santo corpo, tutti ebbero la sorte felice di baciare quelle mani sacrosante, che avevan tante volte portato il Salvatore del mondo. In quell’istante non vi fu infermo che non fosse guarito; non vi fu alcuno in Gerusalemme, che non chiedesse a Dio qualche grazia per intercessione di Maria e non l’ottenesse. Dio volle così per farci intendere che tutti coloro, i quali poi avrebbero ricorso a Lei, erano certi di tutto ottenere. Poiché ciascuno, dice il medesimo santo, ebbe soddisfatto alla sua pietà, e ottenuto ciò che chiedeva, si pensò alla sepoltura della Madre di Dio. Gli Apostoli, secondo l’usanza de’ Giudei, ordinarono che si lavasse e s’imbalsamasse il sacro corpo. Incaricarono di quest’ufficio due vergini, ch’erano ai servizi di Maria. Queste, per miracolo, non poterono veder, né toccare il santo corpo. Si credette riconoscere in questo il volere di Dio, e il corpo fu sepolto con tutte le sue vesti. Se Maria fu sulla terra umile in guisa che non ebbe pari, anche la sua morte e la sua sepoltura non ebbero eguale per la grandezza delle meraviglie che vi accaddero. Gli Apostoli in persona portarono quel prezioso deposito, e il sacrosanto corteo traversò la città di Gerusalemme fino al luogo della sepoltura, ch’era nel borgo di Gethsemani nella valle di Giosafat. Tutti i fedeli l’accompagnarono con fiaccole in mano, molti si univano per via a quella pia folla, che portava l’arca della nuova alleanza e la conduceva al luogo del suo riposo. Dice S. Bernardo che gli Angeli facevano anch’essi la loro processione, precedendo e seguendo il corpo della loro Sovrana con cantici d’allegrezza: tutti gli astanti udivano il canto degli Angeli, e, dovunque passava, quel sacro corpo spandeva una fragranza deliziosa, come se tutte le dolcezze e i profumi celesti fossero discesi sulla terra. Vi fu, aggiunge il santo, un disgraziato Giudeo, che, consumato dalla rabbia nel vedere che si rendevano sì grandi onori alla Madre di Dio, si scagliò sul santo corpo per farlo cadere nel fango; ma appena l’ebbe toccato, ambe le mani gli caddero inaridite. Pentito pregò S. Pietro a farlo accostare al corpo della SS. Vergine; e nell’atto in cui lo toccava, le sue due mani si rimisero a posto da sé in modo che pareva non fossero state mai separate dal braccio. Il corpo della Madre di Dio essendo stato rispettosamente deposto nel sepolcro, i fedeli tornarono a Gerusalemme; ma gli Angeli continuarono a cantar per tre giorni le lodi di Maria, gli Apostoli venivano, gli uni dopo gli altri, ad unirsi agli Angeli che se ne stavano sopra la tomba. In capo a tre giorni S. Tommaso, il quale non aveva assistito alla morte della Madre di Dio, chiese a S. Pietro la consolazione di vedere anche una volta quel corpo verginale. Andarono dunque al sepolcro; ma non vi trovarono più che le vesti. Gli Angeli l’avevano trasportata in cielo, poiché non si sentivano più i loro canti. Per farvi una fedele descrizione della sua entrata gloriosa e trionfante in cielo, bisognerebbe, fratelli miei, ch’io fossi Dio medesimo, che in quel momento volle prodigare alla Madre sua tutte le ricchezze del suo amore e della sua riconoscenza. Possiam dire che allora raccolse quant’era capace di abbellirne il celeste trionfo. « Apritevi, porte del cielo, ecco la vostra Regina che abbandona la terra per adornare i cieli colla grandezza della sua gloria, coll’immensità de’ suoi meriti e della sua dignità ». Quale stupendo spettacolo! Il cielo non aveva visto mai entrare nel suo recinto creatura sì bella, sì compita, sì perfetta, sì ricca di virtù. « Chi è costei – dice lo Spirito Santo – che s’innalza dal deserto di questa vita ricolma di delizie e d’amore, appoggiata al braccio del suo Diletto?… » (Cant. C. VIII, 5). Avvicinatevi: le porte del cielo si schiudono, e tutta la corte celeste si prostra dinanzi a Lei come a sua Sovrana. Gesù Cristo in persona la conduce in mezzo alla gloria del suo trionfo, e le fa sedere sul più bel trono del suo regno. Le tre persone della SS. Trinità le mettono in capo una splendente corona e la rendono depositaria di tutti i tesori del cielo. Oh! miei fratelli, qual gloria per Maria! Ma insieme quale argomento di speranza per noi saperla elevata a sì alta dignità, e conoscer quanto ardentemente desideri di salvare le anime nostre!

II. — Quale amore non ha Maria per noi? Ci ama come figli; se fosse stato necessario, sarebbe stata pronta a morire per noi. Rivolgiamoci a Lei con grande fiducia, e saremo sicuri che, per quanto siamo meschini, ci otterrà la grazia della conversione. Ha tanta cura della salute delle anime nostre, e desidera tanto la nostra felicità!… Nella vita di S. Stanislao, devotissimo della Regina del cielo (Ribadeneira: 15 Agosto), leggiamo che, mentre un giorno pregava, chiese alla SS. Vergine che volesse una volta lasciarsegli vedere insieme al bambino Gesù. Tale preghiera riuscì così gradita a Dio, che nell’istante medesimo Stanislao vide apparirgli dinanzi la SS. Vergine, la quale teneva tra le braccia il santo Bambino. Un’altra volta, essendo infermo e in casa di luterani che non volevano permettergli di ricevere la Comunione, si rivolse alla SS. Vergine e la pregò di procacciargli tanta felicità. Finita appena la sua preghiera vide venire un Angelo, che gli recava l’Ostia santa, accompagnato dalla SS. Vergine. L’istesso gli accadde in circostanza quasi simile: un Angelo gli recò Gesù Cristo e gli diede la santa Comunione. Vedete, fratelli miei, quanta cura ha Maria della salvezza di chi confida in Lei? Siam pur felici d’aver una Madie che ci ha preceduto nella pratica delle virtù, di cui dobbiamo essere adorni, se vogliamo piacere a Dio e giungere al cielo! Ma badiamo bene di non far poco conto di Lei e del culto che le si rende! S. Francesco Borgia ci narra che un gran peccatore sul letto di morte non voleva udir parlare né di Dio, né d’anima, né di confessione. S. Francesco, ch’era allora nel paese di quel disgraziato, si mise a pregare Iddio per lui; e, mentre pregava piangendo, udì una voce che gli disse: « Va’, Francesco, va a portar la mia croce a quest’infelice, esortalo alla penitenza ». S. Francesco corse presso il malato ch’era già in braccio alla morte. Ohimè! aveva già chiuso il cuore alla grazia. S. Francesco lo scongiuro’ d’aver pietà dell’anima sua, di chiedere perdono a Dio; ma no: per lui tutto era perduto; il santo udì ancor due volte la stessa voce che gli disse: « Va’, Francesco, a portar la croce a questo sciagurato ». Il santo gli mostrò ancora il suo crocifisso, che si trovò tutto coperto di sangue, il quale grondava da ogni parte; disse al peccatore che quel sangue adorabile gli otterrebbe il perdono, purché volesse chieder misericordia. Ma no: per lui tutto fu vano; e morì bestemmiando il nome di Dio. – La sua sventura veniva di qui: che aveva schernita e spregiata la SS. Vergine negli onori che le si rendono. Ah! fratelli miei! badiamo bene di non dispregiar nulla di ciò che si riferisce al culto di Maria, di questa Madre sì buona, così inclinata ad aiutarci alla minima confidenza che si riponga in Lei. Ecco alcuni esempi, dai quali apparirà manifesto che, se saremo fedeli anche alla più piccola pratica di devozione verso la SS. Vergine, Essa non permetterà mai che moriamo in peccato. – È riferito nella storia che un giovane libertino si abbandonava senza rimorso a tutti i vizi del suo cuore. Una malattia venne ad interrompere i suoi disordini. Per quanto libertino non aveva lasciato mai di dire ogni giorno un’Ave Maria: era la sua sola preghiera, ed anche mal fatta: era ormai una mera abitudine. Quando si seppe che la sua malattia era disperata, si andò in cerca del Curato che venne a visitarlo e l’esortò a confessarsi. Ma il malato gli rispose, che, se aveva da morire, voleva morir com’era vissuto; e che, se riusciva a scamparla, voleva continuare a vivere com’era vissuto fino allora. Egual risposta diede a tutti coloro che vollero parlargli di confessione. Tutti erano grandemente costernati: niuno osava più parlargliene per timore d’essergli occasione di vomitar le stesse bestemmie e le stesse empietà. Frattanto uno de’ suoi compagni, ma più assennato di lui, e che l’aveva spesso ripreso de’ suoi disordini, venne a trovarlo. Dopo avergli parlato di varie altre cose, gli disse senza giri di parole: « Compagno mio, dovresti pur pensare a convertirti ». — « Amico, rispose l’infermo, sono troppo gran peccatore: sai bene qual vita ho menato ». — « Ebbene, prega la SS. Vergine, ch’è rifugio de’ peccatori ». — « Ah! ho ben detto ogni giorno un’Ave Maria; ma son qui tutte le preghiere che ho fatto. Credi forse che questo debba giovarmi a qualche cosa? » — « Eccome, replicò l’altro: ti gioverà per tutto. Non le hai chiesto che preghi per te all’ora della morte? Adesso dunque pregherà per te ». — « Poiché credi che la SS. Vergine preghi per me, va a cercare il signor Curato perch’io faccia una buona confessione ». Così dicendo cominciò a versare torrenti di lacrime. « Perché piangi? » gli chiese l’amico. « Ah! potrò pianger mai abbastanza, rispose, dopo aver menato una vita così peccaminosa, dopo aver offeso un Dio così buono, che vuole ancora perdonarmi? Vorrei poter piangere a lacrime di sangue per mostrare a Dio quanto mi duole d’averlo offeso: ma troppo impuro è il mio sangue e non è degno d’essere offerto a Gesù Cristo in espiazione dei miei peccati. Mi consola il pensare che Gesù Cristo ha offerto il suo al Padre per me: in Lui è posta la mia speranza ». L’amico, udendo queste parole e vedendo le sue lacrime grondare copiose, cominciò a pianger di gioia con Lui. Tale cangiamento era sì straordinario che l’attribuì alla protezione della SS. Vergine. In quell’istante tornò il Curato, e, meravigliato assai di vederli piangere ambedue, chiese che cosa fosse accaduto. — « Ah! Signore, rispose il malato, piango i miei peccati! Ohimè! Ho cominciato a piangerli troppo tardi! Ma so che sono infiniti i meriti di Gesù Cristo e che senza confini è la sua misericordia; perciò spero che Dio avrà ancora pietà di me ». – Il prete, stupito, gli chiese chi avesse operato in lui sì gran cangiamento. « La SS. Vergine, rispose l’infermo, ha pregato per me; e ciò m’ha fatto aprire gli occhi sul misero mio stato ». — « Volete ben confessarvi? » — « Oh! sì, Signore, voglio confessarmi, e pubblicamente; poiché ho dato scandalo colla mia vita cattiva, voglio che tutti siano testimoni del mio pentimento ». Il Sacerdote gli disse che ciò non era necessario; ma bastava, per riparazione dello scandalo, che si sapesse com’egli aveva ricevuto i Sacramenti. Si confessò con tanto dolore e tante lacrime, che il sacerdote dovette più volte fermarsi per lasciarlo piangere. Ricevette i Sacramenti con segni sì grandi di pentimento, che si sarebbe creduto ne dovesse morire. – Non aveva ragione S. Bernardo di dire che, chi è sotto la protezione della SS. Vergine è sicuro; e che non s’è vista mai la SS. Vergine abbandonare chi ha fatto in suo onore qualche atto di pietà? No, miei fratelli, ciò non s’è visto e non si vedrà mai. Vedete in che modo la SS. Vergine ha ricompensato un’Ave Maria che quel giovine aveva detto ogni giorno? E come la diceva! Tuttavia, avete visto che fece un miracolo, anziché lasciarlo morire senza confessione! Qual felice sorte è per noi invocare Maria, poich’Ella ci salva così e ci fa perseverare nella grazia! Qual motivo di speranza è il pensare che, non ostante i nostri peccati, si offre continuamente a Dio per implorarci il perdono! Sì, miei fratelli, Maria ravviva la nostra speranza in Dio. Ella presenta a Lui le nostre lacrime, e ci trattiene dal cadere nella disperazione alla vista delle nostre colpe. – S. Alfonso de’ Liguori racconta che un suo compagno prete vide un giorno entrare in una chiesa un giovane, il cui aspetto rivelava un’anima straziata da’ rimorsi. Il prete s’accostò al giovane e gli disse: « Volete confessarvi, amico mio? » Egli rispose di sì, ma ad un tempo chiese che la sua confessione fosse ascoltata in luogo recondito, perché va esser lunga. Quando furono soli, il nuovo penitente parlò così: « Padre mio, son forestiero e gentiluomo; ma credo di non potere esser mai oggetto delle misericordie d’un Dio, che ho tanto offeso con una vita così colpevole. Per tacere gli omicidi e le infamie, di cui sono reo, vi dirò, che, disperando della mia salvezza, mi sono lasciato andare ad ogni maniera di colpe, meno per contentare le mie passioni, che per oltraggiare Iddio e far pago l’odio mio contro di Lui. Portava indosso un crocifisso, e l’ho gettato via per disprezzo. Questa mattina istessa mi sono accostato alla sacra Mensa per commettere un sacrilegio, ed era mia intenzione calpestar l’Ostia santa, se non me avesse trattenuto la presenza degli astanti »; e così dicendo, consegnò al sacerdote l’Ostia consacrata che aveva conservata in una carta. « Passando dinanzi a questa chiesa, continuò, mi son sentito muovere ad entrarvi a segno che non ho potuto resistere: ho provato rimorsi così violenti, e straziavano talmente la mia coscienza, che, di mano in mano ch’io m’accostava al vostro confessionale, cadeva in grandissima disperazione. Se non foste uscito per accostarvi a me, me ne sarei andato via di chiesa: non so davvero come sia andata ch’io mi trovi adesso a’ vostri piedi per confessarmi ». Ma il prete gli disse: « Avete forse fatto qualche opera buona che vi abbia meritato tal grazia? Avete forse offerto qualche sacrifizio alla santissima Vergine, o implorata l’assistenza di Lei, poiché tali conversioni sono, d’ordinario, effetto della potenza di questa buona Madre? » — « Padre mio, siete in errore: avevo un crocifisso, e l’ho gettato via per disprezzo ». — « Eppure… riflettete bene, questo miracolo non s’è compiuto senza qualche ragione ». — « Padre, disse il giovane accostando la mano al suo scapolare, quest’è quanto ho conservato ». — « Ah! mio buon amico, gli disse il prete abbracciandolo, non vedete che la SS. Vergine appunto v’ha ottenuto la grazia, v’ha tratto in questa chiesa a Lei consacrata? ». A quelle parole il giovane ruppe in amaro pianto; narrò tutti i particolari della sua vita di peccato, e, crescendo sempre il suo dolore, cadde come morto ai piedi del confessore: riavutosi, terminò la sua confessione. Prima d’uscir di chiesa promise che avrebbe narrato dappertutto la misericordia che Maria aveva ottenuto dal suo Figliuolo per lui.

III. — Siam pure avventurati, fratelli miei, d’avere una Madre sì buona, e così intenta a procurare la salute delle anime nostre! Tuttavia non bisogna contentarsi di pregarla, bisogna altresì praticare tutte le altre virtù, che sappiamo essere gradite a Dio. Un gran servo di Maria, S. Francesco di Paola, fu un giorno chiamato da Luigi XI, che sperava di ottener da lui la guarigione. Il santo riconobbe nel re ogni maniera di pregi: attendeva a molte buone opere e preghiere ad onor di Maria. Diceva ogni giorno il Rosario, faceva molte limosine per onorare la santissima Vergine, portava indosso parecchie reliquie. Ma sapendo che non era abbastanza modesto e riserbato nel parlare, e che tollerava presso di sé gente di mala vita, S. Francesco di Paola gli disse piangendo: « credete forse, o principe che tutte codeste vostre devozioni siano gradite alla SS. Vergine? No, no, principe: imitate innanzi tutto Maria, e sarete sicuro che vi porgerà la mano ». Invero avendo fatto una buona confessione generale, ricevette tante grazie ed ebbe tanti mezzi di salute, che morì d’una morte edificantissima, dicendo che Maria con la sua protezione gli era valsa il cielo. Il mondo è pieno di monumenti che attestano le grazie ottenuteci dalla SS. Vergine; vedete tanti santuari, tanti quadri, tante cappelle in onor di Maria. Ah! miei fratelli, se avessimo una tenera devozione verso Maria, quante grazie otterremmo tutti per la nostra salute? Oh! padri e madri, se ogni mattina metteste tutti i vostri figli sotto la protezione della SS. Vergine, Maria pregherebbe per loro, li salverebbe e salverebbe voi con essi. Oh! il demonio come teme la devozione alla SS. Vergine!… Un giorno si lamentava altamente con S. Francesco che due classi di persone lo facevano soffrire assai: prima quelli che concorrono a diffondere la divozione alla SS. Vergine, e poi quelli che portano il santo Scapolare. Ah! miei fratelli, non basta questo per ispirarci grande fiducia nella Vergine Maria e desiderio vivo di consacrarci interamente a Lei, mettendo tra le sue mani la nostra vita, la nostra morte e la nostra eternità? Quale consolazione per noi ne’ nostri affanni, nelle nostre pene, sapere che Maria vuole e può soccorrerci! Sì, possiam dire che chi ha la lieta ventura d’aver gran fiducia in Maria ha assicurato la sua salute; e mai non si udì né si udirà dire che sia andato dannato colui che aveva posto la sua salvezza nelle mani di Maria. All’ora della morte riconosceremo quanti peccati ci abbia fatto sfuggire la Vergine SS., e quanto bene ci abbia fatto fare, che senza la sua protezione non avremmo fatto. Prendiamola per nostro modello, e saremo sicuri di camminar veramente per la via del cielo. Ammiriamo in Lei l’umiltà, la purezza, la carità, il disprezzo della vita, lo zelo per la gloria del suo Figliuolo e per la salute delle anime. Sì, miei fratelli, diamoci tutti e consacriamoci a Maria per l’intera nostra vita. Beato chi vive e muore sotto la protezione di Lei! Il paradiso è per lui assicurato: il che vi desidero.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Gen III:15
Inimicítias ponam inter te et mulíerem, et semen tuum et semen illíus.

[Porrò inimicizia tra te e la Donna: fra il tuo seme e il Seme suo.]

Secreta

Ascéndat ad te, Dómine, nostræ devotiónis oblátio, et, beatíssima Vírgine María in coelum assumpta intercedénte, corda nostra, caritátis igne succénsa, ad te júgiter ádspirent.
[Salga fino a Te, o Signore, l’omaggio della nostra devozione, e, per intercessione della beatissima Vergine Maria assunta in cielo, i nostri cuori, accesi di carità, aspirino sempre verso di Te.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Luc 1:48-49
Beátam me dicent omnes generatiónes, quia fecit mihi magna qui potens est.

[Tutte le generazioni mi diranno beata, perché grandi cose mi ha fatto colui che è potente.]

Postcommunio

Orémus.
Sumptis, Dómine, salutáribus sacraméntis: da, quǽsumus; ut, méritis et intercessióne beátæ Vírginis Maríæ in coelum assúmptæ, ad resurrectiónis glóriam perducámur.
[Ricevuto, o Signore, il salutare sacramento, fa, Te ne preghiamo, che, per i meriti e l’intercessione della beata Vergine Maria Assunta in cielo, siamo elevati alla gloriosa resurrezione.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

I DISCORSI DELL’AQUILA DI MEAUX: LA BEATA VERGINE ASSUNTA IN CIELO

LA BEATA VERGINE ASSUNTA IN CIELO

[J. B. BOSSUET: LA MADONNA – DISCORSI NELLE SUE FESTE – Vittorio Gatti ed. Brescia, 1934]

Quæ est ista quæ ascendit de deserto  deliciis affluens, innixa super dilectum suum.

I misteri della religione cristiana hanno tra di loro un rapporto meraviglioso: quello che oggi noi celebriamo, è legato, in modo tutto particolare, colla incarnazione del Verbo divino. È ben giusto che se Maria ricevette in terra Gesù Salvatore, Gesù suo Figlio riceva in cielo la beata Vergine! Non disdegnò farsi suo figliolo, prender carne nel suo seno, disdegnerebbe oggi di elevarla così a sé, da farla entrare nella sua gloria? Per questo non deve affatto meravigliarci se una luce fulgida circonda la tomba dalla quale la Vergine sale alla gloria e se il suo passaggio all’eternità ha tutta la magnificenza d’un trionfo!… Gesù, oggi, restituisce la vita a Colei dalla quale l’ebbe … è la riconoscenza del Figlio, Uomo-Dio, a sua Madre; Dio è sempre magnifico nei suoi gesti: ricevuta dalla creatura una vita mortale, la ricambia con la vita gloriosa immortale. Così i due misteri, l’Incarnazione del Verbo e l’Assunzione della Vergine si collegano completandosi: e, quasi a render più sublime il rapporto, il collegamento, gli Angeli vengono a congratularsi con la Vergine, essi che avevan annunciato a Lei il grande mistero di un Dio che in Lei si sarebbe fatto Uomo. È giorno di trionfo… fratelli e sorelle mie, mettiamoci anche noi nel grande corteo, alziamo anche noi la povera nostra voce per esaltare Maria! Ma la nostra voce d’uomini forse stona nel grande canto degli Angeli, usiamo anche noi le parole d’un Angelo e cantiamo alla Vergine, pregando — Ave Maria! — Il cielo e la terra hanno le loro solennità, feste, trionfi, cerimoniali speciali per questi giorni di entrate trionfali… magnifici spettacoli proprio di paradiso! Voglio esser più preciso: la terra usurpa questo aggettivo per dar maggior splendore alle sue piccole e meschine pompe. Solo nella nostra patria, nella santa e celeste Gerusalemme, è la realtà della gloria e del trionfo senza fine! Voi, siete certo persuasi che tra tutti questi giorni di festa trionfale, quello che oggi ricordiamo deve essere stato il più luminosamente grande. Gli Angeli belli e gli Spiriti beati certamente non videro mai nulla di più splendido dell’entrata di Maria in cielo, quando vi salì per seder sul trono che Dio Padre, Gesù suo Figlio, lo Spirito Santo suo Sposo, le avevan preparato!… giorno più solenne, (bisogna parliamo di giorni, noi, per capire, mentre l’eternità non ha misura), giorno più solenne non Vi fu certo in cielo! Vorrei, per descrivere questo ingresso trionfale, poter descrivervi e la folla plaudente ripetere le grida acclamanti, i canti di lode e di gioia che avranno risuonato da ogni coro degli Spiriti beati, dalla corte celeste… vorrei poter andar più alto colla mia parola e ritrarvi il momento solenne in cui Gesù avrà presentato al trono del Padre, Maria la sua Vergine Madre, perché la incoronasse!.. Dev’essere stato un momento di gioia tale da far delirare il cielo intero!… Vorrei, ma la parola è povera e la mente nostra è troppo meschina per comprendere queste meraviglie! Il mio ministero però, mi impone di parlare, di dirvi qualche cosa di questo mistero: lo dovrò fare servendomi di similitudini, di esempi. Io penso di presentarvi di descrivervi il viaggio trionfale della Vergine seguita soltanto dalle sue virtù… penso mostrarvela splendente solo della gloria fulgida di queste virtù. A dir vero, la virtù di questa Principessa è quella che più merita d’esser contemplata nel giorno del suo trionfo! È la sua virtù che lo prepara. Lo fa risplendere lo fa perfetto questo giorno trionfale! Voglio dirvi tutto ciò; ma mettiamo un poco d’ordine per dire meglio e capire di più. – Maria entra nella gloria: bisogna, prima di tutto, che le togliamo di dosso la misera nostra mortalità… è un abito sconosciuto nel cielo! e poi bisogna vestirla, anima e corpo: d’immortalità: è questo il manto regale, l’abito del trionfo: vestita così, la faremo sedere in trono; su di un trono al di sopra dei cherubini e dei serafini… al di sopra di ogni creatura! Ecco il mistero di questo giorno! Ed io sento che tre furono le virtù di questa nostra Regina, che compirono l’opera trionfale! Bisognava toglierla al corpo di morte: fu questa l’opera dell’amore; il suo candore verginale sparse nella sua stessa carne una luce d’immortalità; fatti da queste due virtù, direi quasi i preparativi, ecco venir la sua umiltà per collocarla sul trono della gloria dove riceverà nei secoli e nell’eternità l’omaggio degli Angeli e degli uomini. Questo vorrebbe fare la mia povera parola coll’aiuto della grazia divina.

I° punto.

Natura e grazia concorrono a fissare una necessità per l’uomo: morire. È legge di natura: ogni mortale è soggetto al tributo di morte: la grazia stessa non strappa gli uomini a questa triste condizione, poiché il Figlio di Dio che s’era proposto la vittoria e la distruzione della morte, pose come condizione di passar sotto il suo giogo per sfuggirle poi: scender nella tomba per risuscitarne, morire una volta per trionfare completamente della mortalità. La pompa sacra, che oggi io bramo descrivervi, bisogna la cominci dal transito della Vergine: è un momento necessario del trionfo di questa Regina: subir la legge di morte per lasciar nelle sue mani e nelle sue braccia quanto in Lei era di misera mortalità. – Diciamo subito, fratelli, dovendo sottostare Maria a questa legge comune, non lo fece in modo comune! Tutto è soprannaturale nella Vergine … un fatto prodigioso doveva riunirla al suo Figlio divino: una morte in cui splendeva il divino. Doveva chiudere questa vita seminata di prodigi e meraviglie celesti! – Chi opererà questa morte meravigliosa? Non la pensate voi fratelli? sarà l’amore materno; l’amore divinamente bello di Maria che compirà quest’opera! Esso, spezzando i lacci del corpo che le ritardan di abbracciare il Figliolo, stringerà in cielo quelli che solo una violenza estrema poteva separare. Non la possiamo certo comprendere questa morte misteriosa, se non cerchiamo, almeno quanto lo può la nostra pochezza, comprendere quale sia stata la natura dell’amore della Vergine santa: quale la sua origine: quali i suoi slanci, quali le sue manifestazioni, infine quali ferite le produsse nel cuore. – Un santo Vescovo, Amedeo di Losanci, offre una grande immagine di questo amore materno, nella sua omelia in lode della Vergine in due sole parole: « a formare l’amore della Vergine, si fusero in uno due amori. — « Duæ dilectiones in unam convenerant; ex duobus amoribus factus est amor Unus ». Qual è di grazia l’anello di congiunzione di questi amori? Lo spiega lo stesso santo Vescovo: La Vergine amava Gesù dello stesso amore di cui amava un Dio ed insieme amava Dio dell’amore di cui una madre (e che Madre!) amava il suo Figliolo. « Cum Virgo mater Filio divinitatis amorem infunderet, et in Deo amorem Nato exiberet », Studiate bene queste parole, o fratelli, e vedrete che nulla di più grande, di più forte, di più sublime può ritrarre l’amore della Vergine. Le parole di questo santo Vescovo, dicono che grazia e natura concorsero a destare nel cuore di Maria le vibrazioni più forti dell’amore. – Nulla di più forte, direi prepotente, dell’amore per i propri figlioli, ed insieme nulla di più ardente dell’amore che la grazia sveglia nelle anime verso Dio. Questi amori sono due abissi di cui né è possibile scandagliare il fondo né misurarne la estensione. Possiamo ripetere qui la frase del Salmista: « Abyssus abyssum invocat! — L’abisso domanda abisso!… » poiché vediamo che per formar l’amore di Maria dovette fondersi, e quanto la natura ha di più delicatamente tenero, e la grazia di più efficacemente fattivo! La natura, poiché si trattava d’un Figlio di Dio, dovette sentirsi abisso… non è questo però che passa i limiti della nostra immaginazione: è che natura e grazia, così come sono, non bastano: la natura non può pensare ad un Figlio di Dio, e la grazia, almeno ordinaria, non può far amare Dio in un nato da donna. Andiamo allora più in alto a cercare: andremo più in alto, me lo permettete, nevvero, fratelli? più in alto, al disopra della grazia e della natura: cercheremo la sorgente di questo amore nel seno del Padre celeste. – Mi trovo costretto a dire che Dio e Maria hanno un figlio comune, del resto lo disse l’Angelo: « Quegli che nascerà da te, sarà Figlio di Dio » – Maria diventando Madre del suo unigenito si unisce a Dio Padre in questa generazione: si unisce a Dio Padre in questa generazione: « cum eo solo tibi est generatio ista communis ». (S. Bernardo – Discorso sull’Annunciazione). Più alto ancora: vediamo da dove le venga quest’amore: cioè come Maria generò il vero Figlio di Dio. Non fu certo per la sua fecondità naturale: come donna non poteva che dar vita ad un uomo … perché desse vita al Cristo… dovette lo Spirito Santo coprirla della sua virtù. « Virtus Altissimi obumbrabit tibi»: ecco come Maria è associata a Dio nella generazione del Verbo incarnato. Ma questo Dio che volle darle un Figliolo, comunicando a Lei la sua virtù, e parteciparLe la sua fecondità per compiere l’opera misteriosa d’un Dio-uomo, dovette necessariamente far cadere nel suo cuore, accendervi qualche scintilla di quell’amore con cui ama il suo Verbo Unigenito, splendore della gloria del Padre e vivente immagine della sua sostanza. Nacque così l’amore della Vergine, cioè non fu che una effusione una comunicazione fattale dal Padre. celeste, che le dava l’amore come l’aveva fatta capace di esser madre e le aveva dato un figlio. Povera ragione nostra, avresti qualcosa da dire? pretenderesti comprendere quale vincolo stringa Gesù, figlio di Dio, e Maria Madre del Figlio di Dio? Ma v’è forse un vincolo che abbia qualcosa dell’unione che stringe il Padre al suo Verbo, in una unità perfetta? – Cessiamo fratelli dallo scandagliare che sia questo amore materno le cui origini sono così alte, e che altro non è che una emanazione dell’amore che Dio Padre porta al suo Verbo! – Incapaci di comprenderne la forza, la veemenza, credete che potremo immaginarne i movimenti, gli slanci, i trasporti? Non lo possiamo fratelli: l’unica cosa che possiamo è immaginare la tensione dell’anima di Maria, tensione colla quale costantemente aspirava ad unirsi al suo Gesù, tensione che supera ogni sforzo di anima, e per contrasto quindi non poté esservi separazione più violenta, che abbia lacerato un cuore, della separazione che Maria soffri negli anni in cui attese che il suo Gesù la chiamasse a sé. – Dopo l’ascensione trionfante di Gesù, e la discesa dello Spirito Santo promesso, lo sappiamo, la Vergine rimase ancora lungo tempo sopra la terra. Quali fossero i pensieri della sua mente, gli affetti del suo cuore in questo ultimo tratto del suo pellegrinaggio terreno, io credo non lo possa dire labbro umano. Se amare Gesù ed essere da lui amati, attira le divine benedizioni, quale abisso di benedizioni e grazie celesti non si sarà, lasciamelo dire, rovesciato ed avrà inondato l’anima di Maria? Chi potrà descrivere l’ardenza di questo reciproco amore in cui la natura metteva quanto aveva di più tenero, la grazia di più fattivo? – Gesù non ha mai un istante in cui non si sente amato da Maria, e questa Madre celeste non crede amar mai abbastanza questo suo unico Diletto: a lui altro mai non domanda che d’amarlo di più, e questa sua brama ardente attira nuove grazie e nuove benedizioni sulla sua anima. Un’idea, si sa molto grossolana, noi possiamo farcela di questi prodigi: ma, quale ardore veemente abbia avuta la fiamma di amore che Gesù riversava nel cuore di Maria e questa ricambiava a Gesù, non noi, ma nemmeno i serafini celesti. brucianti d’amore, potranno comprenderlo mail! Ed allora vorremo noi misurare su l’amore della Vergine la impaziente brama della sua anima d’esser riunita al suo Figlio? Lo vorremmo, ma lo potremmo? Oh no! Un desiderio bruciante torturò tutta la vita del Salvatore… esser battezzato di un battesimo di sangue… quel battesimo che doveva lavare tutte le nostre iniquità!… e non ebbe pace il suo cuore se non quando — tutto fu compiuto! — Se tanta impazienza agitava il Cristo di morire per noi, quale agitazione impaziente non avrà sconvolto il cuore di Maria per vivere con il suo Gesù! – Se l’Apostolo, vaso d’elezione, bramò esser liberato dal corpo di morte, d’essere distrutto per unirsi al suo Maestro lassù alla destra del Padre (Filippesi, I, 21-23) quale sussulto non avrà sconvolto il sangue materno di Maria? Un anno d’assenza del giovane Tobia lacerò di crudo dolore il cuore di sua madre: fratelli quale differenza tra Tobia e Gesù, tra la madre di Tobiolo e la Madre di Gesù, quale differenza tra i dolori di queste due madri! Oh! che non avrà detto la Vergine in cuor suo, quando vide partire da questo mondo l’uno o l’altro dei nuovi credenti nella parola del suo Gesù!… quando vide salire l’anima di Stefano il primo martire… Ah Figliol mio, avrà gridato, perché ancor mi lasci… dovrò esser ultima tra i tuoi fedeli a ritornare a te? Ah se occorre sangue ad aprir le porte del cielo, Figliol mio, che traesti la tua carne ed il tuo sangue dal mio, oh, tu lo sai… il mio sangue è pronto… vuol esser versato tutto per te!… Io lo ricordo, là nel tempio, il vecchio Simeone dopo averti abbracciato, non bramò che andarsene a dormire eternamente in pace… tanta era stata la sua gioia per un istante della tua presenza!… Ed io, non dovrò io desiderare di riabbracciarti, o Figlio mio, mio Dio, là sul trono della tua gloria?… mi conducesti sul Calvario… volesti che ti vedessi morire… ed ora perché mi vuoi tanto ritardare di vederti regnare?… non porre ostacoli, non ammorzare la fiamma del mio amore per ritardarne l’azione distruttrice… lasciala bruciare e presto, subito brucerà i lacci del corpo, e porterà la mia anima a Te per cui solo vivo! Credetemelo, anime cristiane che mi ascoltate… sarebbe cercar invano… il cercar altra causa della morte di Maria! fu l’amore: un amore sì forte, sì ardente sì bruciante che non le permetteva mandar un solo sospiro senza che scuotesse, fino a spezzarli quasi, i lacci del corpo di morte; di mai provare una pena che non bastasse a sconvolgere tutta l’anima, che mai fosse un desiderio che innalzandosi al cielo non portasse con sé l’anima di Maria! Io dissi che fu un prodigio la morte di Maria; ma non dissi bene… devo dire che colla morte cessò il prodigio… il prodigio fu che Maria abbia potuto continuare a vivere senza il suo Diletto! – Ma potrò io descrivervi come cessasse questo prodigio, e come l’amore abbia dato il colpo di desiderio più ardente, qualche slancio più affettuoso, qualche trasporto più violento venne a liberare quest’anima dai legami della carne? Se voi mi lasciate dire, fratelli, quanto penso, io vi dico che non fu affatto uno slancio più violento d’amore… ma la perfezione stessa dell’amoremdella Vergine. Nel suo cuore, l’amore regnava senza ostacolo, occupava ogni pensiero, dominava ogni desiderio: aumentando la sua attività veniva giorno per giorno perfezionandosi: e perfezionandosi aumentava si moltiplicava fino a che questo continuo aumentare giunse ad una perfezione tale che non era più della terra… la terra non lo poté contenere. – «Vai, diceva quel re greco al suo figliolo, vai figlio mio porta più lontano le tue conquiste dilata i tuoi confini… è troppo piccolo il mio regno per tenerviti rinchiuso ». Oh amore di Maria, o ardente amore della Vergine, tu sei troppo ardente, troppo vasto… un Corpo mortale non può trattenerti… è troppo bruciante il tuo ardore perché possa celarsi sotto questa povera cenere! Vai… brilla nell’eternità, vai ardi brucia davanti al trono di Dio… spegniti, moltiplicati nel seno di questo Dio solo capace di contenerti. – Quando l’amore della Vergine non poteva più esser contenuto nel corpo di morte la Vergine rese la sua anima, la consegnò nelle mani del Figlio: non vi fu bisogno d’uno sforzo speciale: per un piccolo soffio d’aria si stacca d’autunno la foglia secca e la fiamma volgesi all’alto, così fu staccata quest’anima per essere trasportata in cielo: morì così la Vergine: in un atto d’amor divino e la sua anima su l’ali di santi desideri fu Portata in cielo! Fu allora che gli Spiriti celesti si domandavano meravigliati: chi è mai costei che sale dal deserto come nuvoletta di fumo di mirra e d’incenso brucianti? Figura, similitudine meravigliosa che ci ritrae al vivo il modo tranquillo e beato di questo morire! – Una nube di fumo profumato… quale potremmo gustare da profumi bruciati; nube che s’alza tranquilla, non strappata non spinta con violenza… ma delicatamente Vaporizzata da un calore dolce e temperato che la fa innalzarsi spontaneamente! Non una scossa violenta staccò l’anima di Maria: il calore della carità dolcemente la staccava dal corpo avviandola al Paradiso in un’onda di desiderio ardente del suo Amato! Impariamo, Cristiani, a desiderare Gesù Cristo: Egli è infinitamente amabile! Ma cosa desidererai tu o Gesù?… Vi sarà tra questi miei uditori un cuore che brami esser liberato da questo corpo di morte? Ah fratelli e sorelle mie, raramente questi casti desideri si trovan nel mondo! … Segno evidente che Gesù è poco desiderato e che si mette la felicità nei beni della terra, siate sinceri, fratelli quando la fortuna vi arride ed avete ricchezze per procurarli, salute per goderli i piaceri, siate sinceri sognate che vi sia un altro paradiso? pensate almeno che vi possa essere un’altra felicità? Se parla il cuore, voi dovete rispondere che vi trovate bene… che una tal vita vi basta!… ma allora parlo anch’io e vi dico: Voi non siete Cristiani! Meravigliate?.. non volete questa offesa? È subito fatto: mutate giudizio, e persuadetevi che quando dite d’aver tutto vi manca proprio tutto! Bisogna che, circondati da quanto piace alla natura nostra, abbiate a gemere cercando la pace, la tranquillità, pace e tranquillità che non avrete mai fino a quando non sarà in voi Gesù Cristo. – Ci avverte S. Agostino: « Qui non gemit peregrinus non gaudebit civis » — non godrà la gioia della patria, chi non pianse, viaggiatore, sospirandola —. Cioè non saremo mai felici abitanti del cielo se non l’abbiamo bramato in terra: rifiutando di camminar verso la patria non vi giungeremo mai, non ne avremo la gioia… chi s’arresta quando occorre camminare non giungerà mai alla fine del suo viaggio. – Maria ci dà l’esempio: nella sua vita sospirò il cielo, la patria vera: il suo cuore non aveva, non poteva aver pace lontano dal suo Diletto… i suoi sospiri, gli incessanti desideri la condussero, la portarono a Lui facendola passare attraverso la tomba. Facendola passare, poiché Ella non vi rimase nella tomba: la verginità immacolata della sua carne sarà, per il corpo mortale, scintilla di vita nuova: ecco il …

II° punto.

Il corpo immacolato della Vergine, trono della Purezza, tabernacolo della Sapienza divina, strumento di opere meravigliose nelle mani dello Spirito santificatore, sede della Trinità Santissima, non poteva, non doveva rimanere nella tomba! Il trionfo della Vergine non sarebbe stato completo, se la carne sua immacolata non vi avesse avuto parte: fu la sua carne la sorgente della sua gloria!La verginità la preserva dalla corruzione, conservando nel suo corpo la vita: anzi esercita sulla carne una influenza celestiale che la risuscita prima della grande resurrezione restituendole la vita;  infine circondandola di uno splendore celestiale, le dona la gloria. Ecco per ordine quanto vi voglio dire. Devo, prima di tutto, persuadervi che la Verginità in Maria, fu come un balsamo che ne preservò il corpo dalla corruzione. Non sarà molto difficile: ponete mente a quale perfezione s’innalzò la purezza immacolata di Maria! – Per farcene un’idea, richiamiamo una verità: Gesù, nostro Salvatore, essendo proprio per la carne unito intimamente alla Vergine, doveva esigere che tale unione fosse accompagnata da una completa somiglianza con Lui, Doveva cercare qualcuno che lo rassomigliasse: ed ecco che lo Sposo dei Vergini si elegge a Madre una vergine: quasi per fare di questa rassomiglianza la base, il fondamento della unione del corpo della Vergine in cui avrebbe preso carne umana. Questa verità ci avverte che è impossibile pensare ad una purità che possa sostenere un confronto con la purezza di Maria! Non è possibile avere un’idea precisa ,,, pensiamo che questa purezza operò in Maria una perfetta integrità d’animo e di corpo! – Tale azione faceva dire al grande S. Tomaso (p. III, q. 27) che una grazia straordinaria diffuse su di Lei una celeste rugiada che non solo mitigò, come negli altri eletti, ma distrusse, annientò addirittura il fomite della concupiscenza. Vuol dire che, non solo distrusse le opere cattive che sono come la ramificazione, la produzione della concupiscenza, i desideri cattivi che sono la fiaccola che agita per incendiare, e le cattive inclinazioni esca all’incendio, ma fu spento addirittura il braciere, il focolaio, il fomes peccati, la radice cioè più profonda, la causa più intima del male, in Maria. Non poteva quindi esser corrotta la carne della Vergi.ne in cui la verginità di anima e di corpo, e la perfetta somiglianza col Cristo spensero il germe della concupiscenza e con esso ogni, principio di corruzione! – Ricordatelo, o fratelli, la corruzione non dobbiamo noi considerarla come l’anatomico od il medico, conseguenza naturale del composto o di una miscela: noi dobbiamo elevare più alto il nostro pensiero, e credendo all’insegnamento della fede, persuaderci che ciò che spinge la carne nostra alla corruzione è la tendenza sua al male, sorgente di cattive brame, che fa della nostra una carne di peccato, come si esprime S. Paolo. Anche in tutti gli altri eletti doveva essere distrutta questa carne: una carne di colpa e peccato non può essere riunita ad un’anima ed entrare nel regno di Dio di purezza infinita! « Caro et sanguis regnum Dei non possidebunt ». Bisognerà che, cessando dalla sua prima forma, si rinnovelli e perduto il suo primo essere un altro ne riceva dalla mano di Dio! Come si lascia sfasciare o si demolisce pietra per pietra un vecchio palazzo, non più adatto o errato nelle forme, per innalzarne un altro, secondo norme più adatte di arte e di architettura, così si deve riformare, ricostruire questa povera carne vecchia e deformata: È Dio stesso che la lascia ruinare: perché vuol rifarla sul disegno suo primo: quello con cui l’aveva creata. A questo modo, che è basato sui principi della Scrittura Santa, noi dobbiamo parlare della corruzione della nostra carne: imparando che la carne è condannata a ritornare in polvere perché servì al peccato… mentre quella di Maria tutta pura ed immacolata non doveva esser pasto della corruzione. Per questa stessa ragione la sua carne doveva godere dell’immortalità con una risurrezione anticipata: Dio ha segnato è vero, il giorno della risurrezione finale ed universale: ma chi o che cosa può impedire ch’Egli deroghi a questa data e l’anticipi in favore della Vergine? Il sole matura ogni frutto alla sua stagione: ma vi sono terreni così ben coltivati che anticipano, o meglio hanno una azione fruttifera più rapida e pronta e danno frutti precoci. Allo stesso modo: sono molte le piante fruttifere nel giardino del Padre Celeste: ma la carne di Maria era già così pronta, così ben preparata che proprio non aveva bisogno d’attendere il giorno fissato per la risurrezione universale, per produrre i suoi frutti di immortalità. La sua purezza verginale esercitò su di lei una influenza tutta particolare, e la sua somiglianza con Gesù Cristo la fece più rapida a produrre gli effetti della sua azione vivificatrice. La sua purezza può ben attrarre al cielo la Vergine quando fu capace di attrarre a Lei il Verbo di Dio, che scese in questa carne affascinato dal candore della purità… e fece sua dimora il corpo di Maria per nove mesi, e si legò tanto ad esso che da Lei trasse la sua stessa carne — in utero radicem egit — dice Tertulliano. Sarà dunque possibile che il suo Figlio lasci questa carne nella tomba, questa carne tanto amata?… ah no, Egli la trasporterà in cielo ornandola d’una gloria immortale. – Ancora un dono farà la verginità alla Vergine… le preparerà l’abito del giorno del trionfo. Descrivendoci Gesù, nel suo Vangelo, la gloria dei corpi risuscitati dice questa espressiva parola: « Erunt sicut angeli Dei — saranno come Angeli del Signore —: e Tertulliano trae una conseguenza e parlando della carne risuscitata la dice: carne angelicata … angelificata caro —. Tra le virtù di un’anima quella che più è capace di produrre questa spiritualizzazione della carne è la verginità: essa forma Angeli sulla terra, e S. Agostino dice che nella carne produce qualcosa che non è carne: « Habet aliquid jam non carnis in carne » (Della Verginità). Di modo che chi la possiede è più Angelo che uomo. Ed allora questa virtù capace di formare gli Angeli in terra sarà capace, non vi pare, di formarli nella vita futura? Dunque avevo ragione, io, quando vi affermai che la verginità ha una forza speciale per contribuire alla gloria dei corpi risuscitati. Vuoi tu ora Cristiano, immaginare, lo puoi? Di quale splendore sarà circondato il corpo della Vergine la cui purezza eguaglia e supera la purezza degli Angeli del cielo? Le Scritture Sante cercando descriverci questo splendore, par che nel mondo non trovin raggi luminosi abbastanza, ricorrono alla stessa sorgente della luce dicendo di Maria: — Mulier amicta sole — tanto lo scrittore ispirato dovette sentire che una luce grande doveva ornare di gloria questa carne immacolata! O anime che in un voto santo, in un bisogno di cielo avete consacrata la vostra purezza a Gesù, gioite; pensate quali onori la purità santa prepara al vostro stesso corpo: lo purifica, lo consacra, spegne in esso la concupiscenza, mortifica i cattivi desideri e preparatolo così, dispone questa carne mortale ad una luce che non verrà mai meno. – Stimiamolo questo grande tesoro, che noi portiamo in vasi di terra! Rimondiamo, rinnovelliamo quotidianamente il nostro amore alla purezza… praticamente: non sopportando che mai ombra di impurità tocchi il nostro corpo: gelosi della purezza del corpo siamolo altrettanto, anzi più ancora della purezza dello spirito. Così saremo degni figli e compagni alla Vergine, così non saremo indegni della sua divisa… puri nella mente e nel cuore seguiremo più da vicino il carro di trionfo su cui sale al trono della gloria eterna la nostra Madre! – Su avanti… Ella già s’avvia per salire al cielo… tutto è pronto per il viaggio trionfale: l’amore le tolse di dosso la mortalità, la purezza verginale la vesti d’un abito regale… ecco le si fa incontro l’umiltà e la prende per mano per guidarla al trono di gloria.  Contempliamo l’ultima scena del trionfo.

III° punto.

L’umiltà fece trionfare Gesù, l’umiltà fa trionfare la Vergine: per nessun’altra strada Ella avrebbe potuto entrar alla gloria, che per quella tracciata e battuta dal suo Figliolo. Caratteristica propria dell’umiltà, voi lo sapete, è di impoverirsì, lasciatemi parlar così, spogliarsi d’ogni proprio utile: ma, come di rimbalzo, mentre si spoglia arricchisce: poiché si rende più sicuro quello che pare perda. Mai come all’umiltà si possono applicare con esattezza le parole di S, Paolo: tanquam nihil habentes omnia autem possidentes — nulla ha ma tutto possiede. Potrei esporre qui una teoria solida basata al Vangelo:ma è più opportuno alla nostra solennità, ed all’ordine del mio discorso: mostrarne l’attuazione pratica in Maria. –  Tre doni preziosissimi aveva la Vergine: una sublime dignità; una purezza ammirabile di corpo e di anima; e quel che supera ogni tesoro, Ella possedeva Gesù Cristo. Aveva un Figlio diletto nel quale abitava, secondo la frase di S. Paolo, la pienezza di Dio: plenitudo divinitatis. – Eccola alta più d’ogni creatura ma la sua umiltà. La spoglierà di tutto: elevata al di sopra d’ogni creatura per la sua dignità di Madre di Dio si stima umile serva. Separata, o meglio innalzata su tutte le creature per la sua purezza, si confonde coi peccatori ed al tempio unita alle altre mamme attende la purificazione… possiamo pensare uno spogliamento più completo di ogni prerogativa? Eccovi qualcosa di più: perde, sacrifica volontariamente il suo tesoro, il suo Gesù: non solo perché lo vide morire d’una morte crudele là sul Calvario, ma lo perde, direi costantemente, perché se lo vede sostituire con un altro con le parole: — Donna eccoti il figlio tuo — a Lei dette da Lui mentre coll’occhio indicava Giovanni. – Riflettiamo bene fratelli: lo so, il pensiero è un po’ arduo ma so però che è bene posato sulla Scrittura. Pare quasi che Gesù non la riconosca neppur più per sua madre: la dice — donna — non — madre! — Non ne fa alcun mistero: coperto di un cumulo d’umiliazione Egli stesso, vuole con Lui la sua Madre. Gesù ha un Dio per Padre, Maria ha un Dio per Figlio. Gesù Salvatore ha perduto il suo Padre: udite che gli grida: «Dio! Dio mio perché mi hai abbandonato? » Anche Maria perde il suo Figlio: non si sente più chiamar Madre… la chiama — Donna! — Ma l’umiliazione si fa più grande ancora… alla Vergine che perde il Figlio, se ne dà un altro; come se il suo vero Figlio cessi di esserlo, come se il vincolo santo che univa Madre e Figlio si spezzi per sempre! — Ecce filius tuus!… Giovanni! — Nella sua vita mortale Gesù tributò alla Vergine tutte le tenerezze e gli ossequi d’un figlio innamorato: era la sua consolazione, sarebbe stato il suo appoggio nella vecchiaia. Ma ora che sta per entrare nella gloria pare prenda sentimenti degni d’un Dio, par lasci ad un altro il dovere della pietà che la natura vuole nei figli verso la madre! Non è un mio pensiero, fratelli miei; lo prendo da S. Paolino Vescovo nella sua Epistola III° ad Agostino. — Jam Salvator ab humana fragilitate, qua erat natus ex fœmina, per erucis mortem demigraus in æternitatem Dei, delegat homini jura pietatis humanæ —. Vicino a passar dalla fragilità umana, per cui era nato da donna, alla gloria ed alla eternità del suo Padre… che fa?… delegat — trasmette — dà S. Giovanni per figlio a Maria, ed a lui uomo mortale passa i sentimenti naturali della pietà umana. Ecco che Maria non ha più figlio… Gesù la lasciò nelle mani di Giovanni! Quanti anni passa in questo misero stato! Se ne dovette certo rammaricare col suo Gesù. « Ah Salvatore, Gesù, mia consolazione perché mi lasci così a lungo? » Gesù pare che non l’ascolti: e Maria rimane affidata a Giovanni: viva dunque con lui, che è il figlio datole da Gesù… È tuo figlio donna, par ripeta, confortati nel suo amore. Qual cambio! esclama S. Bernardo: le si dà Giovanni per Gesù: il discepolo al posto del Maestro, il servo al posto del padrone… il figlio di Zebedeo al posto del Figlio di Dio! — Il suo Gesù la vuol umiliare, gode nel vederla umili0ata, e Giovanni si prende la libertà di riconoscerla per madre: e Lei l’accetta l’umile sostituzione, umilmente, e l’amor suo materno avvezzo ad accarezzare un Uomo-Dio, non rifiuta di abbassarsi ad amare un uomo. « Non lo meriterebbe questo uomo il mio amore, lo so bene; ma anch’io non meritavo d’esser la Madre di Dio » e così profondamente s’abbassa s’umilia si sottomette!,., – Riassumiamo, fratelli miei, tutti questi atti di umiltà in uno solo… la  grandezza della Vergine scompare… pare che la oscuri completamente l’ombra della sua servitù… ancilla Domini — la sua purezza è offuscata… si presenta, come le segnate da colpa, bisognose di purificazione: giunge ad abbandonare. ad esser privata del suo unico Figlio… e ne accetta. in cambio, un altro. Tutto è perduto… la sua umiltà l’ha completamente spogliata… non ha più nulla « tanquam nihil habentes » ma togliamoci Presto da questo incubo angoscioso: vediamo, fratelli miei, avverarsi per la stessa umiltà l’omnia possident… vediamo l’umiltà che tutto le restituisce centuplicato! – O Madre del mio Gesù, vi chiamaste la serva del Signore nella vostra umiltà: ed oggi l’umiltà vostra vi erige un trono… Salite i gradini di questo trono sul quale riceverete l’omaggio di tutte le creature di cui siete Signora! O Vergine, tutta pura, tutta innocente, il cui candore oscura i raggi fulgidi del sole… vi presentaste, confusa colle madri ed i peccatori, a domandare la purificazione… ma ecco che l’umiltà vostra rivendica il vostro candore…: innocente e pura, voi sarete l’avvocata dei poveri peccatori; sarete il loro rifugio, la speranza di vita più grande dopo il vostro Gesù: « Refugium peccatorum… spes nostra! » Finalmente… Voi perdeste il Figlio vostro unico: anzi parve quasi ch’Egli vi abbia abbandonata, tanto vi lasciò ad attender la sua chiamata qui in terra! Ma la paziente sottomissione con cui sopportaste questa angoscia, muove il Figlio vostro a rivendicare i suoi diritti sul vostro cuore materno… li aveva ceduti a Giovanni per un poco di tempo; oggi li riprende: lo vedo tendervi le braccia, correre ad incontrarvi preceduto dalla corte celeste estasiata, nel contemplarvi salire al Cielo appoggiata al vostro Diletto: « Innixa super Dilectum suum ». – Oh davvero voi siete appoggiata al vostro Diletto: da Lui viene ora la vostra gloria, come fu base ai vostri meriti la sua misericordia. – Cieli… se davvero nell’ammirabile vostra armonia voi raccogliete e moltiplicate le armonie dell’universo, intonate un inno nuovo di lode, di gloria… un inno trionfale. La mano celeste che vi muove e guida vi spinge a questo canto… a dire cantando la vostra gioia. – Se io, piccolo uomo, posso portare il mio piccolo pensiero alto e unirlo ai secreti celesti… mi par vedere Mosè, che più non può frenarsi estasiato davanti allo splendore del trionfo di questa Regina e ripete: « Orietur stella ex Jacob et consurget virga de Israel » (Num: XXIV-17) la grande profezia lasciataci nei suoi libri. Un’estasi meravigliosa inebria Isaia che pieno dello Spirito del Signore ripete il grido che riempiva di gioiosa attesa i secoli: « Ecce Virgo concipiet et pariet Filium » (VII, 14). Ezechiele mira estatico Maria entrare nel cielo: « riconosce in Lei la porta chiusa per la quale nessuno mai entrò nè uscì, e solo vi passò trionfante il Signore Iddio degli Eserciti » (XLIV, 2). – Ed ecco il Re cantore: Davide, l’ispirato, cantare nei salmi: riprende la sua arpa melodiosa e danzando canta davanti alla sua Regina l’ammirabile canto: « Alla tua destra, o mio Re, siede vestita d’oro e di meravigliosa bellezza una Regina: né tutta appare, che, figlia di re, intima è la sua gloria… e sono d’oro i lembi del suo manto. Uno stuolo di fanciulle pure, dietro a Lei correndo l’accompagneranno alla Reggia: e sarà introdotta con gaudio immenso nel Santuario del Re ». (Salmo XLIV). – Ma ecco che la Vergine stessa impone silenzio agli spiriti beati, ed ancora una volta il canto si sprigiona dal cuore e l’anima sua canta: Magnificat anima mea Dominum: il mio cuore trabocca di gioia nel suo Dio Salvatore, poiché guardò al nulla della sua serva e le fece cose grandi… e tutte le genti mi chiameranno beata. Eccovi, fratelli e sorelle mie, eccovi l’entrata trionfante della Vergine… il corteo è sciolto, tacciono i canti trionfali, Maria siede sul suo trono tra le braccia del suo Figlio… « in medio æterno » dice S. Bernardo: è questa l’opera glorificatrice dell’umiltà! – E noi che ci stiamo a fare?… abbiamo contemplato la nostra Regina salire al Cielo, la contempliamo sul suo trono… presto presentiamole i nostri omaggi: siede tra le braccia del suo Gesù il nostro Salvatore… oh su preghiamola di assisterci colla sua potente intercessione. È di lei che dice S. Bernardo, che nessuno fuor che a Lei tocca di parlare al cuore di Gesù nostro Signore: « Quis tam idoneus ut loquatur ad cor Domini Nostri Jesu Christi ut tu, felix Maria? » Lassù vi sarà, io penso, una gara: l’amor materno in domandare, l’amor figliale nel prevenire le domande della Madre. Su, preghiamola perché parli a questo cuore divino e ci ottenga la santa umiltà. – O Vergine Santa, che con Gesù, godendo di una felicità eterna godete della sua benefica famigliarità, parlate per noi al suo cuore: parlate Egli vi ascolta! Non domandiamo grandezze umane: bramiamo quell’umiltà santa che circondò voi di gloria: ottenetela a me, a queste vostre figlie, a tutti quelli che ascoltarono la mia parola! Oh fate, Vergine Santa, che tutti coloro che celebrarono la vostra Assunzione mirabile, penetrino in questo grande mistero, cosicché nulla più vedano, nulla più stimino grande se non quanto nasce e prospera nell’umiltà! Comprendiamo tutti, fatelo o Vergine, che solo l’umiltà prepara trionfi e corone di vittoria: perché nessuna parola mai suonò più vera della parola del vostro Gesù: « Chi si umilia sarà esaltato, chi si abbassa sarà innalzato » a quella felicità eterna dove ci attendono, guidano, invitano il Padre il Figlio, lo Spirito Santo,

Amen.

DOMENICA XI DOPO PENTECOSTE (2021)

DOMENICA XI DOPO PENTECOSTE (2021)

Semidoppio – Paramenti verdi.

La Chiesa nella liturgia di questo giorno ci insegna come Dio accordi il suo aiuto divino a tutti quelli che lo domandano con confidenza. Ezechia guarì da una malattia mortale, grazie alla sua preghiera, come pure liberò il suo popolo dai nemici; mercè la sua preghiera sulla croce, Gesù cancella i nostri peccati (Ep.) e risuscita il suo popolo a nuova vita mediante il Battesimo di cui è simbolo la guarigione del sordo muto, dovuta pure alla preghiera di Cristo (Vang.). Così, dato che per la virtù dello Spirito Santo, Gesù caccio il demonio dal sordo muto e che i sacerdoti di Cristo cacciano il demonio dall’anima dei battezzati, si comprende come questa XI Domenica dopo Pentecoste si riferisca al mistero pasquale ove, dopo aver celebrata la risurrezione di Gesù si celebra la discesa dello Spirito Santo sulla Chiesa, e si battezzano i catecumeni nello Spirito Santo e nell’acqua affinché, come insegna S. Paolo seppelliti con Cristo, con Lui resuscitino. – Il regno delle dieci tribù (regno d’Israele) durò 200 anni circa (938-726) e contò 19 re. Quasi tutti furono malvagi al cospetto del Signore e Dio, allora, per castigarli, dette il loro paese ai nemici. Salmanassar, re d’Assiria, assediò Samaria e trascinò Israele schiavo in Assiria nell’anno 722. I pagani, che presero il posto nel paese; non si convertirono totalmente al Dio d’Israele e furono detti samaritani dal nome di Samaria. — Il regno di Giuda durò 350 anni circa (938-586) ed ebbe 20 re. Una sola volta questa stirpe regale fu per perire, ma venne salvata dai sacerdoti che nascosero nel tempio Gioas, al tempo di Atalia. Parecchi di questi re furono malvagi, altri finirono come Salomone nel peccato, ma quattro furono, fino alla fine, grandi servi di Dio. Questi sono Giosafat, Gioathan, Ezechia, Giosia. L’ufficio divino parla in questa settimana di Ezechia, tredicesimo re di Giuda. Egli aveva venticinque anni quando diventò re e regnò in Gerusalemme per ventinove anni. Durante il sesto anno del suo regno Israele infedele fu tratto in schiavitù. « Il re Ezechia, dice la Santa Scrittura, pose la sua confidenza in Jahvè, Dio d’Israele e non vi fu alcuno uguale a lui fra i re che lo precedettero o che lo seguirono; così Jahvè fu con lui ed ogni sua impresa riuscì bene ». Allorché Sennarerib, re d’Assiria, voleva impadronirsi di Gerusalemme, Ezechia salì al Tempio e innalzò una preghiera a Dio, pura come quelle di David e Salomone. Allora il profeta Isaia disse a Ezechia di non temere nulla poiché Dio avrebbe protetto il suo regno. E l’Angelo di Jahvè colpì di peste centottantacinque mila uomini nel campo degli Assirii. Sennacherib, spaventato, ritornò a marce forzate a Ninive ove morì di spada. Dio accordò più di cento anni di sopravvivenza al regno di Giuda pentito, mentre aveva annientato il regno d’Israele impenitente. — Ma Ezechia cadde gravemente malato e Isaia gli annunciò che sarebbe morto: « Ricordati, o Signore, disse allora il re a Dio, che io ho proceduto avanti a te nella verità e con cuore perfetto, e che ho fatto ciò che a te è gradito » (Antifona del Magnificat). E Isaia fu mandato da Dio ad Ezechia per dirgli: « Ho intesa la tua preghiera e viste le tue lacrime; ed ecco che ti guarisco e fra tre giorni tu salirai al Tempio del Signore ». Ezechia infatti guarì e regnò ancora quindici anni. Questa guarigione del re che uscì, per cosi dire, dal regno della morte il terzo giorno, è una figura della risurrezione di Gesù. Così la Chiesa ha scelto oggi l‘Epistola di S. Paolo nella quale l’Apostolo ricorda che il Salvatore è « morto per i nostri peccati, è stato seppellito ed è resuscitato « nel terzo giorno » e che per la fede in questa dottrina noi saremo salvi come l’Apostolo stesso. Per questo stesso motivo è preso per l’Introito il Salmo 67, nel quale lo stesso Apostolo ha visto la profezia dell’Ascensione (Ephes., IV, 8).

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps LXVII: 6-7; 36


Deus in loco sancto suo: Deus qui inhabitáre facit unánimes in domo: ipse dabit virtútem et fortitúdinem plebi suæ.

[Dio abita nel luogo santo: Dio che fa abitare nella sua casa coloro che hanno lo stesso spirito: Egli darà al suo popolo virtú e potenza.]
Ps LXVII: 2
Exsúrgat Deus, et dissipéntur inimíci ejus: et fúgiant, qui odérunt eum, a fácie ejus.

[Sorga Iddio, e siano dispersi i suoi nemici: fuggano dal suo cospetto quanti lo odiano.]


Deus in loco sancto suo: Deus qui inhabitáre facit unánimes in domo: ipse dabit virtútem et fortitúdinem plebi suæ.

[Dio abita nel luogo santo: Dio che fa abitare nella sua casa coloro che hanno lo stesso spirito: Egli darà al suo popolo virtú e potenza.]

Oratio

Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, qui, abundántia pietátis tuæ, et merita súpplicum excédis et vota: effúnde super nos misericórdiam tuam; ut dimíttas quæ consciéntia metuit, et adjícias quod orátio non præsúmit.

[O Dio onnipotente ed eterno che, per l’abbondanza della tua pietà, sopravanzi i meriti e i desideri di coloro che Ti invocano, effondi su di noi la tua misericordia, perdonando ciò che la coscienza teme e concedendo quanto la preghiera non osa sperare.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corínthios.
1 Cor XV: 1-10
“Fratres: Notum vobis fácio Evangélium, quod prædicávi vobis, quod et accepístis, in quo et statis, per quod et salvámini: qua ratione prædicáverim vobis, si tenétis, nisi frustra credidístis. Trádidi enim vobis in primis, quod et accépi: quóniam Christus mortuus est pro peccátis nostris secúndum Scriptúras: et quia sepúltus est, et quia resurréxit tértia die secúndum Scriptúras: et quia visus est Cephæ, et post hoc úndecim. Deinde visus est plus quam quingéntis frátribus simul, ex quibus multi manent usque adhuc, quidam autem dormiérunt. Deinde visus est Jacóbo, deinde Apóstolis ómnibus: novíssime autem ómnium tamquam abortívo, visus est et mihi. Ego enim sum mínimus Apostolórum, qui non sum dignus vocári Apóstolus, quóniam persecútus sum Ecclésiam Dei. Grátia autem Dei sum id quod sum, et grátia ejus in me vácua non fuit.”

[“Fratelli: Vi richiamo il Vangelo che vi ho annunziato, e che voi avete accolto, e nel quale siete perseveranti, e mediante il quale sarete salvi, se lo ritenete tal quale io ve l’ho annunciato, tranne che non abbiate creduto invano. Poiché in primo luogo vi ho insegnato quello che anch’io appresi: che Cristo è morto per i nostri peccati, conforme alle Scritture; che fu seppellito, e che risuscitò il terzo giorno, conforme alle Scritture; che apparve a Cefa, e poi agli undici. Dopo apparve e più di cinquecento fratelli in una sol volta, dei quali molti vivono ancora, e alcuni sono morti. Più tardi appare a Giacomo, e quindi a tutti gli Apostoli. Finalmente, dopo tutti, come a un aborto, appare anche a me. Invero io sono l’ultimo degli Apostoli, indegno di portare il nome d’Apostolo, perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per la grazia di Dio, però sono quel che sono; e la sua grazia in me non è rimasta infruttuosa.”].

LA SINTESI DEL CREDO IN S. PAOLO.

Una delle cose che ci stupiscono davanti a certi monumenti costrutti dalla mano dell’uomo, monumenti materiali, è la loro antichità. Quando dinanzi all’arco di Tito, ancora così ben conservato nelle sue linee maestose, e anche in certi, in molti particolari secondarî, possiamo dire: ha duemila anni circa… ci pare d’aver fatto un grande elogio. Eppure questo è monumento morto. Noi ci troviamo oggi dinanzi a un monumento vivo, una costruzione ideale, cioè di idee, di concetto, di verità: il Credo, quello che voi sentite cantare ogni domenica. Ebbene il Credo ha duemila anni di vita. E noi ci troviamo oggi davanti al primo Credo, quale lo insegnava Paolo ai suoi convertiti. Non c’è tutto, c’è però la sostanza, il midollo centrale. Alcuni articoli sono sottintesi come presupposto necessario e implicito: altri saranno da lui stesso accennati altrove come corollari, ma il nucleo centrale è il Cristo Gesù, e Gesù è crocifisso e risorto. La sostanza, il centro del Vangelo è lì. Dio, Dio Creatore fa parte del credo religioso; cioè proprio di ogni religione che voglia essere appena appena non indegnissima di tal nome. Anche i Giudei credono in Dio Creatore e Signore del cielo e della terra. San Paolo non ricorda questo articolo, qui dove sintetizza il suo Credo, il Credo dei suoi Cristiani, non perché  essi possano impunemente negare Dio, ma perché è troppo poca cosa per noi l’affermarlo Creatore. Il nostro Credo incomincia dove finisce il Credo della umanità religiosa. Ed eccoci a Gesù Cristo. Uomo-Dio, Dio incarnato, Uomo divinizzato, mistero di unione che non è confusione e non è separazione. Ebbene, questi due aspetti che in Gesù Cristo Signor nostro si sintetizzano, San Paolo li scolpisce, da quel maestro che è, nella Crocifissione e nella Resurrezione di Lui. « Io, dice Paolo ai suoi fedeli — suoi… da lui istruiti, da lui battezzati, da lui organizzati, — io vi ho prima di tutto trasmesso quello che ho ricevuto anch’io, vale a dire: che Cristo è morto per i nostri peccati, come dicono le Scritture, che fu sepolto ». È il poema, grandioso poema, e vero come la più vera delle prose, delle umiliazioni di N. S. Gesù Cristo: l’affermazione perentoria e suprema della sua vera e santa umanità: patire, morire, patir sulla Croce, morire sulla Croce. – San Paolo tutto questo lo ha predicato ai Corinzi, come egli stesso dice altrove, con santa insistenza. A momenti pareva che non lo sapessero: era inebriato della Croce; ossessionato dal Crocefisso. Lo predicava con entusiasmo. E veramente questo Gesù che soffre e muore è così nostro. È così vicino a noi. Non potrebbe esserlo di più. « In labore hominum est: » è anch’egli soggetto al travaglio degli uomini. Travaglio supremo, supremo flagello: la morte. Tanto più ch’Egli è morto non solo come noi, ma per noi, per i nostri peccati e per la nostra salute; per i nostri peccati, causa la nostra salute, scopo e risultato della Redenzione. Ma per le loro cause sono morti anche gli eroi: Gesù Cristo è quello che è, quello che Paolo predica, la Chiesa canta nel Credo: Figlio di Dio unigenito, e la prova, la dimostrazione: la Sua Resurrezione. Uomo muore, Dio vive di una vita che vince la morte, e va oltre di essa immortale. Perciò Paolo continua: «Vi ho trasmesso che Cristo risuscitò il terzo giorno, come dicono le Scritture ». E della Resurrezione cita i testimonî classici, primo fra tutti Cepha, ultimo lui, Paolo, ultimo degli Apostoli, indegno di portarne il nome, ma Apostolo come gli altri. La morte univa Gesù a noi, la vita non lo separa da Noi. Gesù Crocifisso è il nostro amore mesto e forte. Gesù Risorto è la nostra grande speranza, primogenito quale Egli è di molti fratelli. Da venti secoli la Chiesa canta questo inno di fede, di speranza, d’amore.

P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

Graduale

Ps XXVII: 7 – :1
In Deo sperávit cor meum, et adjútus sum: et reflóruit caro mea, et ex voluntáte mea confitébor illi.

[Il mio cuore confidò in Dio e fui soccorso: e anche il mio corpo lo loda, cosí come ne esulta l’ànima mia.]


V. Ad te, Dómine, clamávi: Deus meus, ne síleas, ne discédas a me. Allelúja, allelúja

[A Te, o Signore, io grido: Dio mio, non rimanere muto: non allontanarti da me.]

Alleluja

Allelúia, allelúia
Ps LXXX:2-3
Exsultáte Deo, adjutóri nostro, jubiláte Deo Jacob: súmite psalmum jucúndum cum cíthara. Allelúja.

[Esultate in Dio, nostro aiuto, innalzate lodi al Dio di Giacobbe: intonate il salmo festoso con la cetra. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Marcum.
Marc VII:31-37
In illo témpore: Exiens Jesus de fínibus Tyri, venti per Sidónem ad mare Galilaeæ, inter médios fines Decapóleos. Et addúcunt ei surdum et mutum, et deprecabántur eum, ut impónat illi manum. Et apprehéndens eum de turba seórsum, misit dígitos suos in aurículas ejus: et éxspuens, tétigit linguam ejus: et suspíciens in coelum, ingémuit, et ait illi: Ephphetha, quod est adaperíre. Et statim apértæ sunt aures ejus, et solútum est vínculum linguæ ejus, et loquebátur recte. Et præcépit illis, ne cui dícerent. Quanto autem eis præcipiébat, tanto magis plus prædicábant: et eo ámplius admirabántur, dicéntes: Bene ómnia fecit: et surdos fecit audíre et mutos loqui.

[“In quel tempo Gesù, tornato dai confini di Tiro, andò por Sidone verso il mare di Galilea, traversando il territorio della Decapoli. E gli fu presentato un uomo sordo e mutolo, e lo supplicarono a imporgli la mano. Ed egli, trattolo in disparte della folla, gli mise le sua dita nelle orecchie, e collo sputo toccò la sua lingua: e alzati gli occhi verso del cielo, sospirò e dissegli: Effeta, che vuol dire: apritevi. E immediatamente se gli aprirono le orecchie, e si sciolse il nodo della sua lingua, e parlava distintamente. Ed egli ordinò loro di non dir ciò a nessuno. Ma per quanto loro lo comandasse, tanto più lo celebravano, e tanto più ne restavano ammirati, e dicevano: Ha fatto bene tutte lo cose: ha fatto che odano i sordi, e i muti favellino!”


Omelia

(Discorsi di s. G. B. M. VIANNEY Curato d’Ars – vol. II, 4° ed. Torino, Roma; Ed. Marietti, 1933)

La maldicenza.

Solutum est vinculum linguæ ejus, et loquebatur recte.

(MARC. VII, 35).

Quanto sarebbe desiderabile, F. M., che si potesse dire di ciascuno di noi, quello che l’Evangelo dice di quel muto, che, guarito da Gesù Cristo, parlava speditamente. Ahimè! F. M., non ci si potrebbe invece rimproverare che parliamo quasi sempre male, quando parliamo specialmente del nostro prossimo? Infatti, qual è la condotta della maggior parte dei Cristiani odierni? Eccola: Criticare, censurare, denigrare, e condannare quanto fa e dice il prossimo: ecco il più comune di tutti i vizi, il più universalmente diffuso, e forse il peggiore di tutti. Vizio che non si potrà mai detestare abbastanza; vizio che produce le più funeste conseguenze, che porta dappertutto il disordine e la desolazione. Ah! mi concedesse Iddio uno dei carboni, che servirono all’Angelo per purificare le labbra del profeta Isaia (Is. VI, 6-7), vorrei purificare con esso la lingua degli uomini tutti! Oh! quanti mali verrebbero banditi dalla terra, se si potesse scacciarne la maldicenza! Potessi, F. M., infondervene un tale orrore, che vi procurasse la fortuna di correggervene per sempre! Qual è dunque il mio assunto, F. M.? eccolo: — Vi farò conoscere: 1° Che cos’è la maldicenza; 2° quali ne sono le cause e gli effetti; 3° la necessità e difficoltà di ripararvi.

I. — Non vi mostrerò la enormità e l’odiosità di questo vizio che fa tanto male: che è causa di tante dispute, odii, omicidi, ed inimicizie le quali spesso durano tutta la vita, e che non risparmia né i buoni né i cattivi! mi basta dirvi che è uno dei vizi che trascinano più anime all’inferno. Credo sia più necessario farvi conoscere in quanti modi possiamo rendercene colpevoli; perché conoscendo il male che fate, possiate correggervene, ed evitare i tormenti preparati nell’altra vita. Se mi domandate: che cos’è una maldicenza? vi rispondo: è far conoscere un difetto od una colpa del prossimo in modo da nuocere più o meno alla sua riputazione; e questo avviene in parecchi modi.

1° Si mormora quando si attribuisce al prossimo un male che non ha fatto, od un difetto che non ha; e questa è calunnia, peccato gravissimo, eppure molto comune. Non illudetevi, F. M., dalla maldicenza alla calunnia non v’è che un passo. Se esaminiamo bene le cose, vediamo che quasi sempre si aggiunge o si esagera nel male che si dice del prossimo. Una cosa passata per parecchie bocche non è più la stessa, chi l’ha detta per primo non la riconosce più, tanto è cambiata od ampliata. Ne concludo quindi che un maldicente è quasi sempre un calunniatore, ed ogni calunniatore è un infame. Un santo Padre ci dice che si dovrebbero scacciare dalla società degli uomini i calunniatori, come tante bestie feroci.

2° Si mormora quando si esagera il male fatto dal prossimo. Avete visto qualcuno commettere uno sbaglio: che fate voi? invece di coprirlo col manto della carità, od almeno diminuirlo, voi lo esagerate. Vedrete un domestico che si riposa un istante, ovvero un operaio: se qualcuno ve ne parla, voi dite senza altro che è un ozioso, che ruba il denaro del padrone. Vedrete alcuno passare per una vigna od un orto, prendere qualche grappolo o frutto, cosa che certamente non dovrebbe fare: ebbene voi andate a raccontare a quanti incontrate che egli è un ladro, che bisogna guardarsene, sebbene non abbia mai rubato nulla: e cosi di seguito… E questa è maldicenza per esagerazione. Ascoltate S. Francesco di Sales: “Non dite, così questo santo ammirabile, che il tale è un ladro ed un ubbriacone, avendolo visto rubare od ubbriacarsi una volta. Noè e Lot si ubbriacarono una volta, eppure né l’uno né l’altro erano ubbriaconi. S. Pietro non fu bestemmiatore, perché in una occasione ha bestemmiato.

2 . Una persona non è viziosa perché è caduta una volta nel vizio; e vi cadesse pure parecchie volte, v’è sempre pericolo di mormorare accusandola. Questo precisamente accadde a Simone il lebbroso, quando vide Maddalena ai piedi del Signore, che bagnava colle sue lagrime: “Se costui, disse tra sé, fosse un profeta, com’egli afferma, conoscerebbe certamente che costei è una peccatrice.„ (Luc. VII, 39). Si sbagliava grossolanamente: Maddalena non era più una peccatrice, ma una santa penitente, perché i suoi peccati le erano stati perdonati. Vedete ancora quel fariseo orgoglioso, che in mezzo al tempio sfoggiava tutte le sue pretese opere buone, ringraziando Iddio di non essere del numero degli adulteri, ingiusti, ladri, come il pubblicano. Diceva  che costui era un ladro: mentre nel medesimo tempo era stato giustificato. (Matt. XVIII, 11-14) Ah! figli miei, aggiunge l’amabile S. Francesco di Sales, se la misericordia di Dio è così grande, che le basta un sol momento per perdonarci i maggiori delitti del mondo, come oseremo noi dire che chi era un gran peccatore ieri, lo sia ancor oggi? „ Concludo dicendo che quasi sempre ci inganniamo nel giudicar male del prossimo, qualsiasi apparenza di verità abbia il fatto sul quale basiamo il nostro giudizio.

3° Si mormora quando senza legittima ragione si fa conoscere un difetto nascosto del prossimo, od uno sbaglio non conosciuto. Alcuni s’immaginano che quando sanno qualche male del prossimo, possono dirlo ad altri ed occuparsene. Vi ingannate, amico mio. Quale cosa v’è nella nostra santa religione più raccomandata della carità? La ragione stessa ci ispira di non fare agli altri ciò che non vorremmo fosse fatto a noi. Esaminiamo la cosa un po’ più davvicino: saremmo proprio contenti se alcuno avendoci visto commettere uno sbaglio andasse a raccontarlo a tutti? no, senza dubbio: anzi se avesse la carità di tenerlo celato, gliene saremmo ben riconoscenti. Vedete quanto vi spiace che si dica qualche cosa sul conto vostro o della vostra famiglia: dov’è adunque la carità e la giustizia? Sinché lo sbaglio del vostro prossimo sarà nascosto, egli conserverà la sua riputazione: ma facendolo conoscere, voi gli togliete la riputazione, e quindi gli fate maggior torto che non togliendogli parte dei suoi beni: perchè lo Spirito Santo ci dice che una buona riputazione vale più delle ricchezze (Prov. XXII, 1).

4° Si mormora quando s’interpreta in mala parte le buone azioni del prossimo. Alcuni assomigliano al ragno, che cambia in veleno anche le cose migliori. Un povero disgraziato, se cade una volta sotto la lingua dei maldicenti, è simile ad un grano di frumento sotto la macina del mulino. Vien stritolato, schiacciato, interamente distrutto. Coloro vi attribuiranno intenzioni da voi mai avute, avveleneranno ogni vostra azione, ogni vostra parola. Se vi date alla pietà, ed adempite fedelmente le vostre pratiche di religione, non siete che un ipocrita, santo in chiesa e demonio in casa. Se fate opere buone, penseranno che è solo per orgoglio, per farvi vedere. Se fuggite il mondo, diranno che volete essere singolare, mentre siete di spirito debole: se avete cura delle cose vostre, non siete che un avaro: insomma, F. M., la lingua del maldicente è come un verme che rode i frutti buoni, cioè le azioni migliori degli altri, e cerca di interpretarle malamente. La lingua del maledico è un bruco che insozza i fiori più belli, lasciandovi la traccia disgustosa della sua bava.

5° Si mormora anche non dicendo nulla; ed ecco come. Si loda alla presenza vostra uno, e tutti sanno che voi lo conoscete: ma voi non dite nulla, o lo lodate solo debolmente: il vostro silenzio e la vostra riserbatezza fanno pensare che sappiate sul suo conto qualche cosa di male, che vi induce a tacere. Altri mormorano quasi compassionando. Conoscete, nevvero, la tale? sapete, avete udito che cosa le è accaduto? che peccato siasi lasciata ingannare! … certo, al par di me, non l’avreste creduto!… S. Francesco ci dice che questa maldicenza è simile ad un dardo velenoso che si intinge nell’olio perché penetri più addentro. Infine, un gesto, un sorriso, un ma, un muover del capo, una piccola aria di disprezzo: tutto fa molto dubitare di colui del quale si parla. – Ma la maldicenza più brutta, e più funesta nelle sue conseguenze, è il riferire ad alcuno quanto si è detto o fatto contro di lui. Queste informazioni producono i mali più terribili, fanno nascere sentimenti di odio, di vendetta, che durano spesso fino alla morte. Per mostrarvi quanta colpevolezza vi sia in questo, ascoltate che cosa ci dice lo Spirito Santo: “Sei cose odia Iddio, ma la settima la detesta, cioè le mormorazioni„ Ecco press’a poco, F. M., in quanti modi si può peccare di maldicenza. Scandagliate il vostro cuore, e vedrete se siete per nulla colpevoli in questa materia. Vi dirò altresì, che non devesi facilmente credere il male che si dice degli altri, e se una quand’è accusata non si difende, non devesi credere per questo, che quanto si dice di lei sia ben certo: eccone un esempio che vi mostrerà come possiamo tutti ingannarci, e che non dobbiamo credere se non difficilmente al male che ci vien detto degli altri. Narrasi nella storia che un vedovo avendo una figlia unica assai giovane, la raccomandò ad un suo parente, e si fece religioso in un monastero di solitari. La sua virtù lo fece amare da tutti i religiosi. Da parte sua era assai contento della sua vocazione: ma, dopo un po’ di tempo, la tenerezza che sentiva pensando alla sua figliuola, lo riempì di dolore e di tristezza per averla così abbandonata. Il padre abate se ne accorse, ed un giorno gli disse: “Che avete, fratel mio, da essere così afflitto? „ — ” Ahimè! padre mio, rispose il solitario, ho lasciato in città una mia creatura giovanissima: ecco la causa della mia pena.„ L’abate non sapendo che era una figliuola, credendo fosse un figlio, dissegli: “Andate a cercarlo, conducetelo qui ed allevatelo con voi.„ Tosto egli parte, considerando ciò come un’ispirazione del cielo, e va a trovare la sua figliuola, chiamata Marina. Le disse di prendere il nome Marino, proibendole di non far mai conoscere di essere una fanciulla, e la condusse nel suo monastero. Il padre si diede tanta cura di mostrarle la necessità della perfezione in chi lasciava il mondo per darsi a Dio, che in poco tempo ella divenne un modello di virtù, benché così giovane, anche pei religiosi più vecchi. Prima di morire, il padre le raccomandò di nuovo caldamente di non mai dire chi ella fosse. Marina non aveva ancora diciassette anni quando le morì il padre: tutti i religiosi non la chiamavano che col nome di fratel Marino. L’umiltà sua così profonda, e la perfezione così poco comune, la fecero amare e rispettare da tutti i religiosi. Ma il demonio geloso di vederla avanzar tanto rapidamente nella virtù, o piuttosto Iddio, volendo provarla, permise che fosse calunniata nel modo più infame. Le sarebbe stato facile mostrare la propria innocenza, ma non lo fece. Vedete come un’anima che ama davvero Iddio, riguarda tutto quello che accade per divina permissione, anche la maldicenza e la calunnia, come ordinato soltanto a nostro bene. I frati usavano andare al mercato in certi giorni della settimana per fare le loro provvigioni: ed il fratello ve li accompagnava. Il padrone dell’albergo aveva una figliuola, che s’era lasciata sedurre da un soldato. Scoperto il disonore, il padre ne volle sapere l’autore: e la giovane, piena di malizia, inventò la più infame maldicenza, e la più infame calunnia, dicendogli che era stato proprio fratel Marino a sedurla, e che con questi era caduta in peccato. Il padre, furibondo, venne a lamentarsi coll’abate, che restò ben sorpreso d’una tal cosa da parte di fratel Marino, che era stimato un gran santo. L’abate fece venire alla sua presenza fratel Marino, domandandogli che cosa avesse fatto, quale enorme errore commesso, disonorando in tal guisa la religione! Il povero fratel Marino, levando il suo cuore a Dio, pensò che cosa dovesse rispondergli, ed anziché diffamare la giovane impudica, si accontentò di dire: “Sono un peccatore, che merita di far penitenza. „ L’abate non esaminò oltre, e credendo Marino colpevole del delitto di cui era accusato, lo fece castigare severamente, e lo scacciò dal monastero. Ma la povera giovane, a somiglianza di Gesù Cristo, ricevette i colpi e gli affronti senza aprir bocca per lamentarsi, né fece riconoscere la sua innocenza, mentre le sarebbe stato così facile. Restò per tre anni alla porta del monastero, riguardata da tutti i religiosi come un’infame: quando passavano, essa si prostrava davanti a loro a domandar il soccorso delle loro preghiere ed un pezzo di pane per non morir di fame. La figlia dell’albergatore partorì e tenne per un po’ di tempo il bambino: ma appena slattato lo mandò a fratel Marino come a chi ne era padre. Senza neppur fare apparire la sua innocenza, essa lo ricevette come fosse suo figlio, e lo nutrì per due anni, dividendo seco lui le poche elemosine che riceveva. I religiosi, commossi da tanta umiltà pregarono l’abate d’aver pietà di fratel Marino, mostrandogli che da cinque anni faceva penitenza alla porta del convento, e che bisognava riceverlo e perdonargli per amor di Gesù Cristo. L’abate, fattolo chiamare lo rimproverò aspramente: “Il padre vostro era un santo, dissegli, e voi aveste la sfacciataggine di disonorar questa casa col delitto più detestabile: tuttavia, vi permetto di rientrare col bambino, del quale siete l’indegno padre, e per espiazione del vostro peccato vi condanno alle opere più vili e più basse, ed a servire tutti gli altri fratelli.„ Il povero fratel Marino, senza un lamento si sottomise a tutto, sempre contento e risoluto di non dir mai nulla che potesse rivelare che egli non era affatto colpevole. Il nuovo lavoro affidatogli che solo un uomo robusto avrebbe potuto sostenere, non lo scoraggiò. Dopo qualche tempo però, oppresso dalla fatica e dalle austerità dei digiuni, dovette soccombere, e poco appresso morì. L’abate caritatevolmente ordinò che gli si rendessero gli estremi onori come ad ogni altro religioso: ma che per ispirar maggior orrore per quel vizio, fosse sepolto lontano dal monastero, sicché se ne perdesse anche la memoria. Dio però volle far conoscere l’innocenza, tenuta nascosta per tanto tempo. Nel disporre la salma avendo scoperto che era una giovane: “O mio Dio, esclamarono i religiosi percuotendosi il petto, come poté questa santa figliuola soffrir con sì grande pazienza tanti obbrobri ed afflizioni, senza lamentarsi, mentre le era così facile giustificarsi?„ Corsero dall’abate, e con alte grida e lagrime in abbondanza: “Venite, padre, gli dissero, venite a vedere il fratel Marino. „ L’abate, meravigliato di quelle grida e di quelle lagrime, accorse e vide la povera giovane innocente. Fu colpito da sì vivo dolore che si gettò in ginocchio, prostrando la fronte a terra e versando torrenti di lagrime. Tutti insieme, egli ed i religiosi, esclamarono piangendo: “O santa ed innocente giovane, vi scongiuriamo per la misericordia di Gesù Cristo, di perdonarci tutte le pene e gli ingiusti rimproveri che vi abbiamo inflitti!,, — Ahimè, esclamava l’abate, io fui nell’ignoranza; voi aveste abbastanza pazienza per tutto soffrire, ed io troppo pochi lumi per riconoscere la santità della vostra vita.„ Fatto deporre il corpo della santa giovane nella cappella del monastero, ne recarono notizia al padre della giovane che aveva accusato fratel Marino. La povera disgraziata che aveva accusato falsamente santa Marina, era dal tempo del suo peccato ossessa dal demonio: venne tutta desolata a confessare il suo delitto ai piedi della santa, domandandole perdono. E all’istante fu liberata per sua intercessione. Vedete, F. M., come la calunnia e la maldicenza fanno soffrire poveri innocenti! quanti poveretti sono, anche nel mondo, accusati falsamente, e che nel dì del giudizio riconosceremo innocenti. Tuttavia, coloro che sono accusati in questo modo debbono riconoscere che è Dio che lo permette, e che il miglior rimedio per loro è di lasciare la propria innocenza nelle mani del Signore, e non tormentarsi di quanto può soffrirne la loro reputazione: quasi tutti i santi fecero così. Vedete anche S. Francesco di Sales, accusato davanti a molti di aver fatto uccidere un uomo per vivere con la moglie di lui. Il santo rimise tutto nelle mani di Dio, non preoccupandosi della sua reputazione. A chi gli consigliava di difenderla, rispondeva che a Colui che aveva permesso che la sua reputazione fosse diffamata lasciava l’incarico di ristabilirla quando gli piacesse. Siccome la calunnia è qualche cosa di ben doloroso, Dio permette che quasi tutti i santi vengano calunniati. Credo che la miglior cosa per noi in tali circostanze sia di non dir nulla, e domandare al buon Dio di tutto soffrire per amor suo, e pregare pei calunniatori. D’altra parte, Dio nol permette che per coloro sui quali ha grandi viste di misericordia. Se una persona è calunniata, è perché Dio ha stabilito di farla pervenire ad un’alta perfezione. Dobbiamo compiangere coloro che denigrano la nostra reputazione, e rallegrarci per nostro conto: perché sono ricchezze che aduniamo pel cielo. – Ritorniamo all’argomento, perché mio scopo principale è di far conoscere il male che il maldicente fa a se stesso. Vi dirò che la maldicenza è un peccato mortale, quando trattasi di cosa grave; perché S. Paolo lo mette nel numero di quelli che ci escludono dal regno dei cieli (I Cor. VI, 10). Lo Spirito Santo ci dice che il maledico è maledetto da Dio, che è abbominato da Dio e dagli uomini (Abominatio hominum detractor. – Prov. XXIV, 9). – La maldicenza è altresì più o meno grave, secondo la qualità e la dignità delle persone che colpisce, o le loro relazioni con noi. Quindi è maggior peccato far conoscere le colpe ed i vizi dei superiori, come del padre e della madre, della moglie, del marito, dei fratelli, delle sorelle, dei parenti, che non quelli degli estranei, perché si deve avere più carità per loro che per gli altri. Il parlar male delle persone consacrate e dei ministri della Chiesa, è ancora maggior peccato per le conseguenze così funeste per la religione che ne derivano e per l’oltraggio che si fa al loro carattere. Ascoltate quanto ci dice lo Spirito Santo per bocca del suo profeta: “Chi parla male dei miei ministri tocca la pupilla dei miei occhi;„ (Zacc. II, 8) cioè niente può oltraggiarlo in modo così sensibile; delitto quindi sì grande è questo, che non lo potrete mai comprendere. Anche Gesù Cristo ci dice: “Chi disprezza voi, disprezza me.„ (Luc. X, 16). Perciò, F. M., quando siete con persone di altra parrocchia, che parlano sempre male del loro pastore, non dovete partecipare ai loro discorsi, ritiratevi, se potete, altrimenti tacete. Dopo ciò, F. M., converrete con me che per fare una buona confessione non basta dire che abbiamo parlato male del prossimo; bisogna anche dire se per leggerezza, per odio, per vendetta tentammo nuocere alla sua reputazione: dire di quali persone abbiamo parlato: se d’un superiore, d’un eguale, del padre, della madre, dei parenti, di persone consacrate a Dio: davanti a quante persone: tutto ciò è necessario per fare una buona confessione. Molti si ingannano su di questo: si accuseranno, è vero, d’aver parlato male del prossimo, ma senza dire di chi, né con quale intenzione; ciò che è causa di molte confessioni sacrileghe. Altri ancora, interrogati, vi risponderanno che queste maldicenze non recarono danno al prossimo. — Amico mio, vi ingannate: ogni volta che avete detto una cosa ignota a chi vi ascoltava, avete portato danno al prossimo, perché avete diminuito la buona riputazione che quegli ne poteva avere. — Ma, mi direte, quando una colpa è pubblica, non v’è nulla di male. — Amico mio, quando la cosa è pubblica, è come se alcuno avesse il corpo tutto coperto di lebbra, tranne una piccola parte, e voi diceste che poiché quel corpo è quasi tutto coperto di lebbra, bisogna ricoprirnelo interamente. È la stessa cosa. Se è un fatto pubblico, dovete anzi aver compassione del povero disgraziato, nascondere e diminuire la sua colpa quanto potete. Ditemi, sarebbe giusto se, vedendo una persona ammalata sull’orlo d’un precipizio, si approfittasse della sua debolezza e dell’esser presso a cadere per spingervela? Ebbene: ecco quanto avviene quando si rammenta ciò che è già pubblico. — Ma, mi direte, e se lo si dice ad un amico, con la promessa di non palesarlo? — Vi ingannate ancora: come volete che gli altri tacciano, se non ne siete stati capaci voi? E come se diceste a qualcheduno: “Ecco, amico mio, voglio dirvi una cosa; vi prego di essere più saggio e discreto di me, di aver più carità di me; non ripetete a nessuno quanto vi dico.„ Credo che il mezzo migliore sia di non dir nulla: qualsiasi cosa si dica o si affermi degli altri non occupatevene, e pensate solo di guadagnarvi il cielo. Niuno si pente mai di aver detto nulla; invece, ci pentiamo quasi sempre d’aver parlato troppo. Lo Spirito Santo ci dice: “Chi parla tanto, spesso falla.„ (In multiloquio non deerit peccatum. Prov. X, 19).

II— Vediamo ora le cause e gli effetti della maldicenza. Parecchi sono i motivi che ci portano a mormorare del prossimo. Alcuni lo fanno per invidia, quando specialmente persone di ugual professione vanno a gara per attirarsi la clientela: diranno male degli altri: che le loro merci non valgono nulla; ovvero che imbrogliano, che non hanno nulla in casa, che è impossibile vendere le merci ad un tal prezzo: che molti se ne lamentano che si vedrà bene che non faranno buona riuscita … ovvero che vi manca il peso o la misura. Un giornaliero dirà che un altro non è un buon operaio: che va in tante case, ma non restano contenti: egli non lavora, si diverte: ovvero, non sa il suo mestiere. “Non bisogna riferire quanto vi dirò, soggiunge, altrimenti ne avrebbe danno. „ Dovete rispondere: “Era ben meglio che non aveste parlato voi: sarebbe stato più presto fatto.„ Un contadino vede che i terreni del vicino prosperano meglio dei suoi; ciò lo affligge, ne parlerà male. Altri sparlano dei loro vicini per vendetta; se avete detto o fatto qualche cosa ad alcuno, sia pur per dovere o per carità, cercheranno di screditarvi, di inventare molte cose contro di voi per vendicarsi. Se si parla bene di colui pel quale hanno avversione, se ne affliggono, e vi diranno: “È come gli altri, egli pure ha i suoi difetti: ha fatto questo, ha detto quest’altro: non lo conoscete? è perché non avete mai avuto relazione con lui. Parecchi mormorano di orgoglio, credono di innalzarsi abbassando gli altri, dicendone male: faranno valere le loro pretese qualità buone: quanto dicono e fanno è tutto bene, e quanto dicono o fanno gli altri è male. Ma la maggior parte mormora per leggerezza, per una certa smania di parlare, senza esaminare se ciò che dicono sia vero o no: bisogna che parlino. Quantunque costoro siano meno colpevoli degli altri, di coloro cioè che parlano male per odio, per invidia o vendetta, non sono però senza peccato: qualsiasi motivo li faccia agire, feriscono sempre la riputazione del prossimo. – Credo che il peccato della maldicenza racchiuda quanto v’ha di più malvagio. Sì, F. M., questo peccato contiene il veleno di tutti i vizi, la piccineria della vanità, il tossico della gelosia, il rancore della collera, il fiele dell’odio, e la leggerezza così indegna di un Cristiano: ciò fa dire a S. Giacomo apostolo: “La lingua del maldicente è piena di veleno mortale, è un male ribelle.„ (Giac. III, 8).  E se vogliam darci la pena di esaminarlo, nulla è più facile a comprendersi. Non è infatti la maldicenza che quasi dappertutto semina la discordia, la disunione tra gli amici, impedisce la riconciliazione tra i nemici, turba la pace delle famiglie, inasprisce il fratello contro il fratello, il marito contro la moglie, la nuora contro la suocera, il genero contro il suocero? Quante famiglie in buona armonia, messe sossopra da una lingua cattiva, e i loro membri non possono più né vedersi né parlarsi. Quale la causa? Solo la lingua cattiva del vicino o della vicina … Sì, F. M., la lingua del maldicente avvelena tutte le buone azioni, e svela tutte le cattive. Essa tante volte, getta sopra una famiglia intera macchie che passano di padre in figlio, da una ad altra generazione, e forse non si cancelleranno mai più! La lingua maledica va a frugare anche nelle tombe dei morti, smuove le ceneri di questi poveri infelici, facendone rivivere, cioè rammentando i loro difetti, sepolti con essi nella tomba. Quale enormità, F. M.! Di quale indignazione non sareste accesi, se vedeste un miserabile accanirsi contro un cadavere, straziarlo, dilaniarlo? Ciò vi farebbe inorridire. Ebbene, è assai più grande il delitto di chi rammenta le colpe d’un povero morto. Quante persone hanno l’abitudine parlando di un morto: “Ah! ne ha fatte ai suoi tempi! era un ubbriacone perfetto, un furbo matricolato, insomma un essere cattivo.„ Ahimè, amico mio, probabilmente vi ingannate; e fosse anche come dite, egli ora è forse in cielo, il buon Dio gli ha perdonato. Ma dove è la vostra carità? Non vedete che dilacerate la reputazione dei suoi figli, se ne ha, o dei parenti? Sareste contento che si parlasse così dei vostri cari, che son morti? Se portassimo in cuore la carità, non avremmo nulla da dire di nessuno; cioè ci affanneremmo ad esaminare soltanto la nostra condotta, e non quella del prossimo. Ma se lasciate da parte la carità, non troverete un uomo sulla terra, nel quale non sia facile scoprire qualche difetto: e la lingua del maldicente trova sempre da criticare. No, F. M., conosceremo solamente nel gran giorno delle vendette il male fatto da una lingua maledica. Vedete: la sola calunnia da Aman fatta contro i Giudei, perché Mardocheo non volle piegare il ginocchio davanti a lui, aveva determinato il re a far morire tutti i Giudei (Esther III, 6). Se la calunnia non fosse stata scoperta, la nazione giudaica sarebbe stata distrutta: era il progetto di Aman. O mio Dio! quanto sangue sparso per una calunnia! Ma Dio, che non abbandona mai l’innocente, permise che quel perfido perisse dello stesso supplizio da lui destinato ai Giudei (Ibid, VII, 10). – Ma senza andare tant’oltre, quanto male non fa chi ad un figlio dirà male di suo padre, della madre sua o dei padroni! Gliene avete dato un cattivo concetto, egli li guarderà con disprezzo: se non temesse di venir punito, li oltraggerebbe. I padri, le madri, i padroni, le padrone li malediranno, li maltratteranno: chi fu la causa di tutto ciò? La vostra cattiva lingua. Avete parlato male dei sacerdoti, e forse del vostro parroco: avete affievolito la fede in chi vi ascoltava, ed essi hanno abbandonato i Sacramenti, vivono senza religione: di chi la colpa? della vostra cattiva  lingua. E per vostra causa che questo negoziante e quell’operaio non hanno più i loro clienti; voi li avete diffamati. Quella donna, cosi in buona armonia col suo marito, l’avete calunniata presso di lui: ora egli non la può più soffrire; sicché dopo le vostre delazioni, v’è solo odio e maledizioni in quella casa.

III. Se gli effetti della maldicenza, F. M., sono così terribili, la difficoltà di ripararvi non è meno grande. Quando la maldicenza è considerevole, F. M., non basta confessarsene: non voglio dire di non confessarsene: no, – F. M., se non confessate le vostre maldicenze sarete dannati nonostante tutte le penitenze, che possiate fare: ma voglio dire che confessandole, bisogna assolutamente, se si può, riparare il danno che la calunnia ha causato al prossimo: e come il ladro che non restituisce la cosa rubata non vedrà mai il cielo, così chi avrà tolto la riputazione al prossimo, non entrerà mai in cielo, se non fa quanto dipende da lui per riparare la riputazione del prossimo offesa. Ma, mi direte, come si deve fare per riparare la riputazione del prossimo offesa ? — Ecco. Se quanto è stato detto contro di lui è falso, bisogna assolutamente andare da tutti quelli coi quali abbiamo parlato male, dicendo che quanto abbiamo detto era falso, era per odio, per vendetta o per leggerezza; anche se dovessimo passare per bugiardi, ingannatori, impostori, dobbiamo farlo. Se quanto abbiamo detto è vero, non possiamo disdirci, perché non è permesso di mentire: ma si deve dire tutto il bene che si conosce di quella persona, affine di riparare al male raccontato. Se questa maldicenza, questa calunnia hanno prodotto qualche danno, si è obbligati di ripararlo più che si può. Giudicate da questo, F. M., quanto è difficile riparare gli effetti della maldicenza. Vedete, F. M., quanto è faticoso il pubblicare che siamo bugiardi, eppure, se quanto dicemmo è falso, bisogna farlo, altrimenti noi non si va in cielo! Ahimè, F. M., questa mancanza di riparazione dannerà il mondo! Il mondo è ripieno di maldicenti e di calunniatori, e quasi nessuno ne fa riparazione: e quindi quasi nessuno si salverà. È come riguardo alle cose rubate; andremo dannati, se, potendolo, non vogliamo restituire. Ebbene, F. M., comprendete voi ora il male che fate colla lingua, e la difficoltà di ripararvi? Bisogna però capire che non tutto è maldicenza, quando si fanno conoscere le colpe d’un figlio ai genitori, d’un domestico al padrone, purché si faccia perché si correggano, e se ne parli a chi può rimediarvi; e sempre guidata da motivi di carità. Finisco dicendo che non solo è male il mormorare e il calunniare, ma anche l’ascoltar con piacere la maldicenza e la calunnia: perché se nessuno ascoltasse, non vi sarebbero i maldicenti. Così facendo ci rendiamo complici di tutto il male che fa il maldicente. S. Bernardo ci dice che è ben difficile sapere chi è più colpevole chi sparla o chi ascolta: l’uno ha il demonio sulla lingua, l’altro nelle orecchie. — Ma, mi direte, che si deve fare quando ci troviamo in una compagnia di maldicenti? — Ecco. Se è un inferiore, cioè una persona al di sotto di voi, dovete imporgli silenzio subito; mostrandogli il male che fa. Se è una persona di ugual condizione, dovete destramente cambiare il discorso parlando di altra cosa, o facendo mostra di non sentire quanto dice. Se è un superiore, cioè una persona al disopra di voi, non bisogna riprenderla: ma tenere un contegno serio e triste, che gli riveli il vostro dispiacere, e, se potete andarvene, dovete farlo. – Che dobbiam concludere da tutto ciò, F . M.? Ecco: non prendiamo l’abitudine di parlare della condotta altrui; pensiamo che molto si potrebbe dire sul nostro conto, se ci conoscessero quali siamo; e fuggiamo le compagnie del mondo quanto possiamo, dicendo spesso come S. Agostino: “Mio Dio, fatemi la grazia di conoscermi quale sono.„ Fortunato! Mille volte fortunato chi adoprerà la lingua solo per domandare a Dio perdono de’ suoi peccati e cantare le lodi del Signore! È quanto io …

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps XXIX:2-3
Exaltábo te, Dómine, quóniam suscepísti me, nec delectásti inimícos meos super me: Dómine, clamávi ad te, et sanásti me.

[O Signore, Ti esalterò perché mi hai accolto e non hai permesso che i miei nemici ridessero di me: Ti ho invocato, o Signore, e Tu mi hai guarito.]

Secreta

Réspice, Dómine, quǽsumus, nostram propítius servitútem: ut, quod offérimus, sit tibi munus accéptum, et sit nostræ fragilitátis subsidium.

[O Signore, Te ne preghiamo, guarda benigno al nostro servizio, affinché ciò che offriamo a Te sia gradito, e a noi sia di aiuto nella nostra fragilità.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Prov III: 9-10
Hónora Dóminum de tua substántia, et de prímitus frugum tuárum: et implebúntur hórrea tua saturitáte, et vino torculária redundábunt.

[Onora il Signore con i tuoi beni e con l’offerta delle primizie dei tuoi frutti, allora i tuoi granai si riempiranno abbondantemente e gli strettoi ridonderanno di vino.]

Postcommunio    

Orémus.
Sentiámus, quǽsumus, Dómine, tui perceptióne sacraménti, subsídium mentis et córporis: ut, in utróque salváti, cæléstis remédii plenitúdine gloriémur.

[Fa, o Signore, Te ne preghiamo, che, mediante la partecipazione al tuo sacramento, noi sperimentiamo l’aiuto per l’ànima e per il corpo, affinché, salvi nell’una e nell’altro, ci gloriamo della pienezza del celeste rimedio.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

FESTA DELLA TRASFIGURAZIONE DI N. S. GESÙ CRISTO (2021)

FESTA DELLA TRASFIGURAZIONE DI N. S. GESÙ CRISTO (2021)

Doppio di 2^ classe – Paramenti bianchi.

La festa della Trasfigurazione di Gesù era da molto tempo celebrata il 6 agosto in diverse chiese d’Oriente e d’Occidente. Per commemorare la vittoria che arrestò, presso Belgrado, nel 1457, la marea invadente dell’Islamismo, e di cui giunse notizia a Roma precisamente il 6 agosto, Callisto III estese questa solennità a tutta la Chiesa. Pio IX l’innalzò al grado di doppio di II classe.

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps LXXVI:19
Illuxérunt coruscatiónes tuæ orbi terræ: commóta est et contrémuit terra.
Ps LXXXIII:2-3

[I lampi sfolgoravano sul mondo, e la terra si è scossa ed ha tremato].


Quam dilécta tabernácula tua, Dómine virtútum! concupíscit, et déficit ánima mea in átria Dómini.

[Quanto amabili sono le tue dimore, o Signore degli eserciti! L’anima mia spasima ed anela verso il tempio del Signore.]


Illuxérunt coruscatiónes tuæ orbi terræ: commóta est et contrémuit terra.

[I lampi sfolgoravano sul mondo, e la terra si è scossa ed ha tremato].

Oratio

Orémus.

Deus, qui fídei sacraménta in Unigéniti tui gloriósa Transfiguratióne patrum testimónio roborásti, et adoptiónem filiórum perféctam, voce delápsa in nube lúcida, mirabíliter præsignásti: concéde propítius; ut ipsíus Regis glóriæ nos coherédes effícias, et ejúsdem glóriæ tríbuas esse consórtes.

[O Dio, che nella gloriosa trasfigurazione del tuo unico Figlio hai confermato i misteri della fede con la testimonianza dei profeti; e hai mirabilmente preannunciato, con la voce uscita dalla nube luminosa, la nostra definitiva adozione a tuoi figli: concedi a noi di diventare coeredi del re della gloria e partecipi del suo trionfo.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Petri Apóstoli
2 Petri 1:16-19
Caríssimi: Non doctas fábulas secúti notam fecimus vobis Dómini nostri Jesu Christi virtútem et præséntiam: sed speculatores facti illíus magnitudinis. Accipiens enim a Deo Patre honórem et glóriam, voce delapsa ad eum hujuscemodi a magnifica glória: Hic est Fílius meus diléctus, in quo mihi complacui, ipsum audíte. Et hanc vocem nos audivimus de cœlo allatam, cum essemus cum ipso in monte sancto. Et habémus firmiórem propheticum sermónem: cui bene facitis attendentes, quasi lucérnæ lucénti in caliginóso loco, donec dies elucescat et lucifer oriátur in córdibus vestris.

 [Carissimi, noi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del Signore nostro Gesù Cristo, non seguendo favole ingegnose, ma dopo aver visto con i nostri occhi la sua grandezza. Egli, infatti, ricevette onore e gloria da Dio Padre, quando dalla gloria maestosa discese a lui una voce: «Questo è il mio figlio diletto, nel quale ho posto la ·mia compiacenza: ascoltatelo». Questa voce noi l’abbiamo udita venire dal cielo, quando eravamo insieme con lui sul santo monte. Così, manteniamo più ferma la parola dei profeti, alla quale voi fate bene a prestare attenzione, volgendovi come ad una lampada che risplenda in un luogo tenebroso: finché spunti il giorno, e la stella del mattino sorga nei vostri cuori.]

Graduale

Ps XLIV:3;2
Speciosus forma præ fíliis hóminum: diffúsa est grátia in lábiis tuis.
V. Eructávit cor meum verbum bonum: dico ego ópera mea Regi. Allelúja, allelúja
[Tu sei il più bello tra i figli dell’uomo, la grazia è riversata sopra le tue labbra.
V. Il mio cuore vibra un piacevole motivo, io recito a un re la mia composizione. Alleluia, alleluia.]

Eccli VII:26
Candor est lucis ætérnæ, spéculum sine mácula, et imago bonitátis illíus. Allelúja.

[Egli è splendore della luce eterna, egli è specchio senza macchia e immagine della divina bontà. Alleluia.]

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Matthǽum
Matt XVII:1-9
In illo témpore: Assúmpsit Jesus Petrum, et Jacóbum, et Joánnem fratrem ejus, et duxit illos in montem excélsum seórsum: et transfigurátus est ante eos. Et resplénduit fácies ejus sicut sol: vestiménta autem ejus facta sunt alba sicut nix. Et ecce, apparuérunt illis Moyses et Elías cum eo loquéntes. Respóndens autem Petrus, dixit ad Jesum: Dómine, bonum est nos hic esse: si vis, faciámus hic tria tabernácula, tibi unum, Móysi unum et Elíæ unum. Adhuc eo loquénte, ecce, nubes lúcida obumbrávit eos. Et ecce vox de nube, dicens: Hic est Fílius meus diléctus, in quo mihi bene complácui: ipsum audíte. Et audiéntes discípuli, cecidérunt in fáciem suam, et timuérunt valde. Et accéssit Jesus, et tétigit eos, dixítque eis: Surgite, et nolíte timére. Levántes autem óculos suos, néminem vidérunt nisi solum Jesum. Et descendéntibus illis de monte, præcépit eis Jesus, dicens: Némini dixéritis visiónem, donec Fílius hóminis a mórtuis resúrgat.

[In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello, e li condusse in disparte, su un alto monte; e, davanti a loro, si trasfigurò. II suo volto si fece splendente come il sole, le sue vesti divennero candide come la neve. Ed ecco, apparvero Mosè ed Ella, in colloquio con lui. Pietro allora, prendendo la parola, disse a Gesù: «Signore, è bene per noi stare qui. Se vuoi, facciamo qui tre tende: una per te, una per Mosè e una per Elia». Mentr’egli ancora parlava, ecco una nube luminosa li avvolse, e una voce dalla nube disse: «Questo è il mio Figlio diletto, nel quale ho riposto la mia compiacenza: ascoltatelo». A questa voce, i discepoli caddero faccia a terra, e furon presi da grande spavento. Ma Gesù si accostò a loro, li toccò e disse: «Alzatevi e non abbiate timore». Ed essi, alzati gli occhi, non videro più alcuno, all’infuori di Gesù. Mentre scendevano dal monte, Gesù diede loro quest’ordine: «Non fate parola ad alcuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo sia risorto dai morti».]

OMELIA

[F. M. Zoppi: Omelie, panegirici e sermoni;; t. III – Milano 1863 ; Imprim. 17 sett. 1841]

SCOPO DELLA TRASFIGURAZIONE DI GESÙ CRISTO E FIDUCIA CH’ELLA DEVE DESTARE IN NOI.

Grandi ed utilissimi misteri oggi ci porge a meditare la Chiesa, festeggiando la trasfigurazione di nostro Signor Gesù Cristo sul monte Tabor, e a ben comprenderli giova; o dilettissimi, che prendiamo la cosa un po’ da lontano. Stabilendo Gesù Cristo quella fede che richiama gli empj alla giustizia e i morti alla vita, dice il pontefice s. Leone, tutto dirigeva e la sua dottrina e i suoi miracoli a far credere a’ suoi discepoli ch’Egli era ad un tempo e l’Unigenito di Dio ed il Figliuolo dell’uomo, perché una cosa senza dell’altra non giovava alla salute. Quindi o volesse confermarli in questa fede salutevolissima, o volesse indagar quale opinione avessero di lui, come se non iscorgesse l’animo loro, già li aveva interrogati così: Chi dicono gli uomini ch’io mi sia? — Gli uni dicono, risposero essi schiettamente, che voi siete Giovanni Battista, altri Geremia, altri uno degli antichi profeti risorto. — Ma e voi, soggiunse Egli, chi dite voi ch’io sia? — E fu allora che l’Apostolo il più zelante della gloria di lui, quegli che avea ad essere il primo e il capo gli Apostoli e di tutti i seguaci di Gesù Cristo e per la bocca e sulla cattedra del quale avea a parlare a tutti lo Spirito Santo, voglio dire s. Pietro, diede la sempre memorabile risposta: Voi siete il Messia, il Figliuolo di Dio vivente. – Qual poteva Gesù Cristo aspettarsi testimonianza più chiara, qual più gloriosa confessione? Ben gli manifestò Egli perciò tosto la sua piena compiacenza, e lo ricompensò ben largamente, dicendogli, Te beato, o Simone, te beato, cui non la carne e il sangue, ma il mio Padre celeste diede questi lumi divini: tu sarai la pietra immobile sulla quale fabbricherò la mia Chiesa, e contro di cui tutti gli sforzi dell’inferno saranno sempre vani; tu ne sarai il capo, tu sarai sulla terra l’arbitro de’ poteri del cielo. Ma non così avevasi a credere glorificata in Cristo l’umana natura, che soggetto fosse a supplicio e morte. Non potendo perciò Gesù Cristo tacergli quanto di triste gli stava per accadere, “sono, gli disse, sono sì il Messia, il Figliuolo di Dio vivente, e Dio io stesso; ma per la salvezza degli uomini, conviene che fra poco io vada a Gerosolima, che vi soffra molto per parte de senatori,  de principi dei sacerdoti e degli scribi, che vi sia messo a  morte, e da morte risorga il terzo dì. Ma ahimè! che a siffatto annunzio pare che non regga la fede ancor bambina di Pietro. Caldo egli della testimonianza resa al Figliuol di Dio, reputa cosa santa il rigettare ogni idea di supplicio, d’ignominia e di morte, liberamente e così fermamente che conviene che Gesù Cristo lo corregga dolcemente, che lo esorti a partecipare della sua passione, che lo incoraggi a dare per Lui anco la vita. Ma come sostenere se stesso ed anche i suoi compagni in questa fede e in questa fortezza d’animo, sicché non abbiano né ad arrossire né a temere della croce del loro Maestro? Qua appunto ‘mira, come vi dimostrerò la prodigiosa di Lui trasformazione, e qua ne sia diretta l’odierna nostra considerazione. – Come avea Gesù sin da prima promesso ai suoi discepoli, che alcuni di loro non sarebbero morti se prima non lo  avessero veduto pieno di maestà e di celeste splendore; così  non passarono che sei giorni, e ne compì la promessa sopra quanto avrebbero essi potuto immaginare. Presi seco i tre suoi discepoli favoriti, Pietro, Giacomo e Giovanni di lui fratello, li condusse in disparte su di un’alta montagna: et post dies sex assumpsit Jesus Petrum et Jacobum et Joannem, fratrem ejus, et duxit illos in montem excelsum seorsum. Si mise colà a pregare, e nel fervore della su: orazione si trasfigurò alla loro presenza, Et trasfiguratus est ante eos, scoprendo così la sua gloria sul monte Tabor a coloro che sul monte degli ulivi dovevano ben presto vedere i suoi languori e le sue ignominie. – Svela Egli pertanto a questi eletti testimoni la sua gloria, e quel suo corpo, che nella forma era affatto comune agli altri, lo veste e circonda di tanta luce, che ne appare visibilmente l’anima sua beata e divina. Compare Egli tutt’ad un tratto non più semplice uomo, ma Uomo-Dio; Tutt’altra da quella di prima è l’aria del suo volto; pare che nulla più in esso si scorga di terreno e di mortale: risplende come il sole e sparge d’ogni intorno vivissimi raggi di luce incantatrice; splendongli pure in dosso le vesti; e candide divengono al pari di neve, e candide sì, come dice s, Marco, che più candide tinger non le saprebbe arte qualunque; e il vago intreccio di sì tersa luce e di sì bel candore rapisce dolcemente, e immobili tiene gli sguardi degli avventurati Apostoli ammiratori: Et resplenduit facies ejus sicut sol, vestimenta autem ejus facta sunt alba sicut nix. Oh la grande, l’ammirabile sapienza del divin Redentore! – Apostoli prediletti, che dite ora del vostro Maestro alla vista di tante maraviglie? potete voi non iscorgere in Lui chiaramente la divinità? Che ne direte un giorno? potrete voi non rammentarvi tanto splendore e tanta gloria, quando il vedrete fra le angosce e gli obbrobri, sotto i colpi de’ nemici, in braccio alla morte? Ecco dunque lo scopo grande, a cui il divin Redentore indirizzò principalmente il mistero che celebriamo. Si trasfigurò Egli principalmente, dice il nostro Sommo Pontefice, per togliere dagli animi de’ suoi discepoli un’occasione di scandalo per la sua croce, e discoprendo loro in adesso l’eccellenza della nascosta sua dignità, impedì che in allora non venisse turbata la loro fede dall’umiliazione della volontaria sua passione: Ut de cordibus discipulorum crucis scandalum tolleretur, nec conturbaret eorum fidem voluntariæ humilitas passionis, quibus revelata esset absconditæ excellentia dignitatis. – Che se per sì saggia maniera Gesù Cristo confermò la fede nei suoi Apostoli, con non minore provvidenza, prosegue a dire il santo Pontefice, stabilì e sostiene la speranza della santa Chiesa. Perocché tutto il Corpo mistico di lei da qui deve conoscere in quale splendido e glorioso stato sarà trasmutato un giorno. Da qui ogni membro di questo Corpo ha a promettersi che un giorno avrà parte a quell’onore, onde già risplendette il suo Capo. E per verità, quando Gesù Cristo parla della maestà onde tornerà a venire, parla pure della gloria a cui saranno elevati i suoi membri fedeli: Risplenderanno in allora i giusti, Egli dice, al pari del sole nel regno di mio Padre: Tunc justi fulgebunt sicut sol in regno Patris mei. Quale argomento, o miei dilettissimi, perché non prendiamo mai scandalo veruno dalla croce di Gesù Cristo? Quale stimolo anzi a sostenere con fermezza d’anima per Lui ogni disprezzo; ogni obbrobrio o pena, a portare noi pure la croce di Lui? Che paragone v’è tra tutto ciò che noi possiamo patire in questo mondo e la gloria futura che si manifesterà in noi? Io credo che non ve ne abbia alcuno, dice il grande Apostolo:. Eristimo quod non sunt condignæ passiones hujus temporis ad futura gloriam quæ revelabitur in nobis. Che cosa ci deve perciò importare se qui viviamo nell’oscurità e nell’abiezione, se siamo contati per nulla? abbiamo anzi a reputarci perciò fortunati. Perocché voi avete a riguardarvi qui come se foste morti, dice lo stesso Apostolo, e la vostra vita dev’essere nascosta in Dio con Gesù Cristo; quando poi Cristo, che è la vera vita, tornerà a comparire, allora voi pure comparirete con Lui nella gloria: Mortui estis, et vita vestra ascondita est cum Christo in Deo: cum Christo  apparuerit, vita vestra, tunc et vos apparebitis cum illo in gloria. – Ma a meglio confermare gli animi degli Apostoli e a levarli ad ogni cognizione più sublime, così continua a flettere sull’odierno mistero il grande s. Leone, s’aggiungono sul monte Tabor le meraviglie alle meraviglie. Non è Gesù solo che colà compaia trasformato e tutto luminoso di gloria; ma con lui compaiono due uomini investiti dello stesso splendore della sua gloria, e stanno seco Lui ragionando: e l’uno è Mosè, il gran legislatore dei Giudei, l’altro è Elia, l’antico padre de profeti: Et ecce apparuerunt illis Moyses et Elias cu meo loquentes. Attoniti gli Apostoli veggono questi venerandi personaggi rendere omaggio al loro Maestro; conoscono ch’essi ravvisano e adorano il Lui il fine della legge e dei Profeti, la verità che succede alle ombre ed alle figure; il compimento d’ogni promessa e predizione; li ascoltano parlare con Lui, e di che mai? Della morte di Lui, dice s. Luca, ch’era per avvenire in Gerusalemme, di quella morte che aveva a compiere i voleri del divin Padre, a recare la salute a tutti gli uomini, ad essere il fine di d’ogni legge e profezia: et dicebant excessum ejiu, quem completurus erat in Jerusalem.  – Che cosa v’ha di più sodo: e di più fermo di questo linguaggio, soggiunge il santo Pontefice, nel quale s’accorda il nuovo col vecchio testamento, l’antica legge col Vangelo? E quello che sotto il velo de’ misteri era promesso in figura, si rende manifesto e chiaro dallo splendore della presente gloria, perché, siccome disse s. Giovanni, la legge è stata data da Mosè, la grazia e la verità venne recata da Gesù. Cristo, ne quale si compie e la promessa delle profetiche figure, e la ragione dei legali precetti; mentre Egli e colla sua presenza dimostra la verità della profezia, e colla sua grazia rende praticabili i precetti: Diem et veram docet prophetiam per sui praesentiam, et possibilia facit mandata per gratiam. Qual prova più grande della divinità di Cristo! quanta forza deve quindi prendere la fede degli Apostoli in ogni cimento! Quanta fermezza il loro coraggio in ogni prova! quanta lena il loro zelo per compiere l’opera del loro Maestro! lo vedranno confuso tra i malfattori, lo vedranno crocifisso tra due ladri sul Calvario; ma si rammenteranno d’averlo veduto tutto risplendente di gloria fra il primo de’ legislatori e il più antico dei profeti sul monte Tabor. È se tanto basta a sostenere la fede, ad animare il coraggio, ad impegnare lo zelo degli Apostoli, noi che siamo nella piena luce della verità, posti. A qualche cimento o a qualche prova, avremo noi rossore di confessare Gesù Cristo ed il suo Vangelo? –  Ma il giocondo e meraviglioso spettacolo che si presenta agli occhi degli Apostoli favoriti sul Tabor, non è soltanto la prova della divinità di Gesù Cristo, che li preserva dallo scandalo della croce; è altresì un raggio di quella gloria che formerà il premio de’ servi fedeli di Lui nel paradiso. E perciò l’apostolo s. Pietro, tutto preso e mosso da queste dolcissime rivelazioni già sprezza il mondo, prosegue a dire il santo Pontefice, già nausea ogni cosa di questa terra, e sentesi tutto rapire da vivissimo desiderio. delle cose eterne, e pieno della celeste visione, ivi brama restarsene con Gesù, ove tutto il rallegra la manifesta gloria di Lui. Seguendo perciò il primo impeto del vivace e fervido suo spirito, « Signore – egli grida, quasi uomo tutto trasportato in estasi di gioja – Signore, oh quanto bene ce ne stiamo qui! dovremmo rimanercene per sempre: consentite che qui innalziamo tre tende: l’una per voi, l’altra per Mosè, la terza per Elia: Domine, bonum est nos hic esse: si vis faciamus hic tria tabernacula: tibi unum, Moysi unun et Eliæ unum. – Ah miei dilettissimi, se un raggio solo della gloria e della maestà del Figliuolo di Dio rapisce d’ammirazione e ricolma d’una gioja sì pura, sì squisita, sì pien coloro che hanno la sorte d’esserne testimonj, che ne deve essere in Paradiso, ove vedesi Dio faccia a faccia, nella pienezza della sua maestà e della sua gloria? Se Pietro è tutto fuori di se stesso  per aver assaporata una piccolissima goccia delle beatifiche dolcezze del cielo sul monte Tabor, che ne sarà di quel torrente di delizie onde saranno. Inondati gli eletti nella sua città? Comprendete da qui, o miei cari, perché la speranza della gloria del Paradiso abbia potuto sostenere i Santi nelle  fatiche più gravi, nelle più severe austerità di questa vita e renderli contenti e felici in mezzo al vilipendio, alle persecuzioni, ad ogni sorta di guai. Eh torna bene a conto soffrir cosa qualunque per conseguire questa gloria, ed essere per sempre con Gesù Cristo su quella beata montagna, ove sparge senza misura sopra i Santi i suoi favori. – Qual proporzione, io torno a dirvi con l’Apostolo, tra tutte le afflizioni ed i mali di questa vita e la gloria e la felicità futura? Che stoltezza adunque il non curare questa gloria e questa felicità piena, la cui minima parte basta ad inebriare ad inebriare lo spirito di celeste soavità, e merita di essere preferita ad ogni vanagloria del mondo, e a quanti piaceri languidi e vuoti si possono qui provare? Qui, dissi, ove i beni turbano lo spirito al pari dei mali, ove non si sa se più tranquillo sia il poverello oppure il ricco, l’onorato o l’abietto; o se più disgustano i piaceri o i dolori, i casi prosperi ovvero gli avversi. No, miei cari, non è che in Paradiso ove non v’abbia né male né turbamento né pena, ove la pace sia pura e piena; non v’ha  che lassù, ove dir si possa con Pietro: Egli è bene per noi lo starcene qui: Bonum est nos hic esse. – Se non che, lasciandosi Pietro trasportare dalla piena delle consolazione, ond’era inondato il suo cuore, non sapeva che cosa sì dicesse, dice s. Marco. non perché fosse cattivo il desiderio di lui, come riflette s. Leone, ma perché era fuori di ordine. Egli bramava la felicità fuori di luogo, non essendo la terra il luogo del godimento; la bramava innanzi tempo, non potendosi salvare il mondo, se non per la morte di Cristo; e dovendo precedere per tutti il merito al premio, tutti dovevano prima dimostrare la loro fede col seguire l’empio del loro Signore. No, non v’ha ragione alcuna di dubitare della promessa dell’eterna beatitudine, continua a dire il santo Pontefice, ma fra le tentazioni di questa vita fa d’uopo dimandar la pazienza prima della gloria, perché la felicità di regnare non può prevenite il tempo di patire: Quia tempora patiendi non potest felicitis prævenire regnandi. – Epperò Gesù Cristo, invece di rispondere all’ardente domanda di Pietro, con altro stupendo miracolo rassoda la fede di lui, de’ suoi compagni e di tutti i Cristiani contro lo scandalo della sua croce; e a tatti insegna il grande, l’unico mezzo onde si consegue la sua gloria. Parlava Pietro ancora, quand’ecco, scesa dal cielo luminosa nube, investe e seco avvolge Mosè, Elia è Gesù, e li nasconde allo sguardo degli attoniti Apostoli spettatori; ed ecco che dalla nube essa sorte una chiara voce e divina che alto grida, Questi è il mio Figliuolo diletto, nel quale mi sono compiaciuto: tutto ciò ch’Io amo, lo amo per Lui: Lui ascoltate: non ascoltate altri in fuori di Lui: ascoltatelo come vostro Maestro; obbeditegli come vostro Re: Adhuc eo loquente, ecce nubés lucida obumbravit eos: Et ecce vox de nube dicens, Hic est Filius meus dilectus, in quo mihi bene complacui: ipsim audite. All’udire di questa vote; furono talmente percossi gli Apostoli, che caddero col viso contro terra; ed ebbero gran paura, e non temettero solo dalla maestà del Padre, ma quella pur anco del Figlio; come riflette san Leone, avendo essi per alto sentimento compreso, che l’uno e l’altro sono un Dio solo, e perché non vi fu esitanza nel credere, perciò non vi fu distinzione nel temere: Altiori enim sensu unam utriusque intellexerunt deitatem; et quia in fide non erat hæsitatio, non fuit in timore discretio. E da quel punto sparì dal monte ogni splendore, ogni gloria; e restò solo Gesù il quale, dopo aver rialzati e confortati gli Apostoli, scendendo dal monte comandò loro di non dire a chicchessia quanto avevano veduto colà, prima ch’egli fosse risorto da morte. –  Ben ampia e molteplice fu dunque la testimonianza data qui alla divinità di Cristo, così soggiunge il santo Pontefice, di cui vi ho resi sin qui i sentimenti, ma d’ora innanzi vi renderò le parole stesse; tanto sono acconce al nostro proposito e piene di celeste dottrina: ben ampia; io dissi, e molteplice ne fu la testimonianza, e più che dal suono della prodigiosa voce, si comprende dalla virtù delle parole divine! Perocché, dicendo il Padre; Questi è l’amato mio Figliuolo, questi l’oggetto di tutte le mie compiacenze; ascoltatelo; ben si scorge ad evidenza, ch’Egli vuol dire, Questi è l’amato mio Figliuolo, che viene da me e meco si trova senza conoscer tempo, non esistendo il genitore prima del generato, né il generato dopo del genitore: questi è l’amato mio Figliuolo, che non divide da me né la divinità né la podestà né l’eternità; Figliuolo non adottivo; ma proprio; non d’altronde creato, ma generato da me; non d’altra natura reso simile a me, ma nato dalla mia essenza e a me eguale: questo è l’amato mio Figliuolo, da cui sono tutte le cose, e senza di cui non v’ha cosa alcuna, perché tutto ciò ch’Io faccio, lo fa Egli pure, tutto ciò ch’Io opero, Egli pure l’opera meco inseparabilmente e senza differenza alcuna, essendo il Padre nel Figlio, e nel Figlio il Padre, né mai dividendosi la nostra unità: questo è l’amato mio Figliuolo, che non riputò rapina né per usurpazione presunse d’essermi eguale, ma per eseguire il comune disegno di redimere il genere umano, conservandosi nella forma della mia gloria abbassò l’incommutabile divinità sino alla forma di servo. Costui adunque, nel quale Io mi compiaccio per ogni cosa, per la predicazione del quale Io sarò conosciuto, e per le umiliazioni glorificato; Costui ascoltate sempre, perché Egli è la verità e la vita; Egli la mia forza e la mia sapienza: ascoltatelo, ch’Egli è Colui che fu preannunciato dai misteri della legge e predetto dalle bocche dei Profeti: ascoltatelo, ch’Egli è Colui che redime il mondo col suo sangue, incatena il demonio e gli toglie i vasi d’abbominazione, cancella il chirografo del peccato, rompe i patti della prevaricazione: ascoltatelo, ch’Egli è Colui che vi apre la strada al cielo, e col supplizio della sua croce vi prepara la scala onde ascendiate al regno della sua gloria. E che, temete d’essere redenti? Essendo feriti avete paura d’essere sanati? Facciasi ciò che, volendo Io, Cristo vuole: gettate via ogni timore carnale, ed armatevi di fede e di costanza;. Perché ella è cosa indegna che temiate nella passione del Salvatore ciò che per la grazia di Lui non temerete in fine nemmeno in voi stessi: Fiat quod me volente vult Christus: abjicite carnalem formidinem, et fideli armate vos constantia; indignum est enim ut in Salvatoris passione timeatis, quod ipsius munere nec in fine vestro metuetis. – Ma queste cose, o dilettissimi, così chiudeva il gran: pontefice la sua omelia, queste cose non sono state dette solo a vantaggio di quei che le hanno ascoltate colle proprie loro orecchie; ma in que’ tre Apostoli favoriti, tutta la Chiesa imparò quanto essi hanno e veduto co’ loro occhi e udito co’ loro orecchi. Sia dunque ferma la fede: di tutti sopra i santi Vangeli, e nessuno arrossisca della croce di Cristo, per la quale è stato redento il mondo; né per ciò che non si passa al riposo se non per la fatica, né alla vita se non per la morte, nessuno o tema di patire per la giustizia, e diffidi della promessa retribuzione, dacché tutta la nostra debolezza se’ la. prese Colui, nella confessione e nell’amore del quale se noi siamo costanti e vinciamo ciò ch’Egli ha vinto e riceviamo ciò ch’Egli ha promesso. – A Lui dunque prestiamo orecchio e facciamo il sordo alle voci delle, passioni, che vorrebbero o raddolcirci o scemarci i precetti di Lui; a quelle della prudenza del secolo, che vorrebbe sottrarci da ogni prova; a quelle di certi maligni, che osano fingere la voce di Lui. Trattisi o di adempire il santo Vangelo o di soffrire dure prove, per Gesù Cristo, ci risuoni sempre agli orecchi la voce del divin Padre, Hic est Filius dilectus, in quo mihi bene complacui: Ipsum audite. Lui ascoltiamo, non ascoltiamo altri che Lui, e dove Egli parla, vada roba, umana riputazione, vita, ma Lui siu ascolti, si obbedisca a Lui: Ipsum audite.

IL CREDO

Offertorium

Orémus.
Ps CXI:3
Glória et divítiæ in domo ejus: et justítia ejus manet in sǽculum sǽculi, allelúja.


[I beni e l’abbondanza colmano la sua dimora, e la sua giustizia dura in eterno, alleluia.]

Secreta

Obláta, quǽsumus, Dómine, múnera gloriósa Unigéniti tui Transfiguratióne sanctífica: nosque a peccatórum máculis, splendóribus ipsíus illustratiónis emúnda.
[Santifica, Signore, queste offerte: con la gloriosa trasfigurazione del tuo unico Figlio, e con lo splendore della sua luce mondaci dalle macchie del peccato.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Matt XVII:9
Visiónem, quam vidístis, némini dixéritis, donec a mórtuis resúrgat Fílius hóminis.

[A nessuno farete parola di questa visione fino a quando il Figlio dell’Uomo non sia risorto dai morti]

Postcommunio

Orémus.
Præsta, quǽsumus, omnípotens Deus: ut sacrosáncta Fílii tui Transfiguratiónis mystéria, quæ sollemni celebrámus offício, purificáta mentis intellegéntia consequámur

[Concedi, o Dio onnipotente, che con interiore purezza di spirito, possiamo comprendere i sacrosanti misteri della trasfigurazione del tuo Figlio, che con solenne rito celebriamo.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

DOMENICA X DOPO PENTECOSTE (2021)

X DOMENICA DOPO PENTECOSTE (2021).

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semidoppio. – Paramenti verdi.

La liturgia di questa Domenica ci insegna il vero concetto dell’umiltà cristiana che consiste nell’attribuire alla grazia dello Spirito Santo la nostra santità; poiché le nostre azioni non possono essere soprannaturali, cioè sante, se non procedono dallo Spirito Santo, che Gesù mandò agli Apostoli nel giorno della Pentecoste e che dona a tutti quelli che glielo chiedono. Dunque la nostra santificazione è impossibile se vogliamo raggiungerla da soli, perché, abbandonati a noi stessi noi non siamo che impotenti e peccatori. Dobbiamo a Dio se evitiamo il peccato, se ne otteniamo il perdono, se riusciamo a fare il bene, poiché nessuno può pronunciare neppure il santo nome di Gesù con un atto di fede soprannaturale, che affermi la sua regalità e divinità, se non mediante lo Spinto Santo. L’orgoglio è, dunque, il nemico di Dio, perché si appropria dei beni che solo lo Spirito Santo distribuisce a ciascuno nella misura che crede conveniente e impedisce alla potenza divina di manifestarsi nelle nostre anime in modo da farci credere che noi bastiamo a noi stessi. Come Dio potrebbe perdonarci (Oraz.), se noi non vogliamo riconoscerci colpevoli? Come potrebbe aver compassione di noi ed esercitare su noi la sua misericordia (Oraz.), se nel nostro cuore non vi è nessuna miseria riconosciuta cui il suo Cuore divino possa compatire? L’umile, invece, riconosce il proprio nulla perché sa che solo a questa condizione discenderà su lui la virtù di Cristo. Mentre la Chiesa sviluppa in questa Domenica tali pensieri, le letture, che fa durante questa settimana nel Breviario, danno due esempi di orgoglio e di grande umiltà. Dopo la figura del profeta Elia che si oppone così fortemente a quella di Achab e di Iezabele, dei quali nell’ufficio è ricordato il terribile castigo, vi è quella del giovane Gioas che contrasta fortemente con quella di Atalia. Figlia di Achab e di lezabele, empia come sua madre, Atalia sposa il re di Giuda loram, che morì poco dopo. Allora la regina si trovò padrona del regno di Giuda e per esserlo per sempre fece massacrare tutta la famiglia di David. Ma losabeth, sposa del gran sacerdote Joiada tolse dalla culla l’ultimo nato della famiglia reale e lo nascose nel Tempio. Questi si chiamava Gioas. Per sei anni Atalia regnò ed innalzò templi in onore del dio Baal perfino nell’atrio del Tempio. Nel settimo anno il gran sacerdote attorniato da uomini risoluti e armati, mostrò Gioàs che allora aveva sette anni e disse: « Voi circonderete il fanciullo regale e se qualcuno cercherà di passare fra le vostre file, lo ucciderete! ». E quando il popolo si riversò nell’atrio, all’ora della preghiera, Joiada fece venire avanti Gioas, l’unse e lo coronò al cospetto di tutta l’assemblea che applaudi e gridò: «Viva il Re!». Quando Atalia intese queste grida, uscì dal palazzo ed entrò nell’atrio e quando vide il giovane re assiso sul palco, circondato dai capi e acclamato dal popolo col suono delle trombe, stracciò le sue vesti e gridò: «Congiura! Tradimento!». Il gran sacerdote ordinò di farla uscire dal sacro recinto e quando essa giunse nel suo palazzo venne uccisa. La folla allora saccheggiò il tempio di Baal e non lasciò pietra su pietra. E il re Gioas si assise sul trono di David, suo avo; regnò quarant’anni a Gerusalemme e si dedicò a riparare e abbellire il Tempio (All., Com.). La Scrittura fa di lui questo bell’elogio: «Gioas fece quello che è giusto agli occhi di Dio» È questa l’Antifona del Magnificat dei Vespri alla quale fa eco quella dei II Vespri che è tratta dal Vangelo di questo giorno: « Questi (il pubblicano) ritornò a casa sua giustificato e non quello (il fariseo), poiché chi si esalta sarà umiliato e chi s’umilia sarà esaltato ». – « Quelli che si innalzano sono visti da Dio da lontano, dice S. Agostino. Egli vede da lontano i superbi, ma non perdona loro. « L’umile invece, come il pubblicano, si riconosce colpevole! ». Egli si batteva il petto, si castigava da sé, e Dio perdonava a quest’uomo perché confessava la sua miseria. Perché meravigliarsi che Dio non veda più in lui un peccatore dal momento che si riconosce da sé peccatore? Il pubblicano si teneva lontano ma Dio l’osservava da vicino » (Mattutino). Così l’umile fanciullo Gioas fu gradito a Dio perché la sua condotta avanti a Lui era quale doveva essere. Egli fece ciò che era giusto agli occhi del Signore. Atalia, invece, orgogliosa ed empia, non fece ciò che era giusto avanti al Signore, e sdegnò e insultò quelli che facevano il loro dovere, poiché l’orgoglio verso Dio si manifesta ogni giorno nel disprezzo verso il prossimo. Dice Pascal che vi sono due categorie di uomini: quelli che si stimano colpevoli di tutte le mancanze: i Santi; e quelli che si credono colpevoli di nulla: i peccatori. I primi sono umili e Dio li innalzerà glorificandoli, i secondi sono orgogliosi e Dio li abbasserà castigandoli. « Il diluvio, dice S. Giovanni Crisostomo, ha sommerso la terra, il fuoco ha bruciato Sodoma, il mare ha inghiottito l’esercito degli Egiziani, poiché non è altri che Dio, il quale abbia inflitto ai colpevoli questi castighi. Ma, dirai tu, Dio è indulgente. Tutto ciò allora non è che parola vana? E il ricco che disprezzava Lazzaro non fu punito? … e le vergini stolte non furono discacciate dallo Sposo? E quegli che si trova nel banchetto con le vesti sordide non verrà legato mani e piedi e non morrà? E colui che richiederà al compagno i cento denari non sarà dato al carnefice? Ma Dio si fermerà solo alle minacce? Sarebbe molto facile provare il contrario e dopo quello che Dio ha detto e fatto nel passato possiamo giudicare quello che farà nell’avvenire. Abbiamo piuttosto sempre in mente il pensiero del terribile tribunale, del fiume di fuoco, delle catene eterne nell’inferno, delle tenebre profonde, dello stridore dei denti e del verme che avvelena e rode » (2° Nott.). Questo sarà il mezzo migliore per rimanere nell’umiltà, che ci fa dire con la Chiesa: « Ogni volta che io ho invocato il Signore, questi ha esaudita la mia voce. Mettendomi al sicuro da quelli che mi perseguitavano, li ha umiliati, Egli che è prima di tutti i tempi » (lntr.). « Custodiscimi, o Signore, come la pupilla dei tuoi occhi, perché i tuoi occhi vedono la giustizia » (Grad.). « Signore, io ho innalzata l’anima mia verso te, i miei nemici non mi derideranno perché quelli che hanno confidenza in te non saranno confusi » (Off.).

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps LIV: 17; 18; 20; 23
Dum clamárem ad Dóminum, exaudívit vocem meam, ab his, qui appropínquant mihi: et humiliávit eos, qui est ante sæcula et manet in ætérnum: jacta cogitátum tuum in Dómino, et ipse te enútriet.

[Quando invocai il Signore, esaudí la mia preghiera, salvandomi da quelli che stavano contro di me: e li umiliò, Egli che è prima di tutti i secoli e sarà in eterno: abbandona al Signore ogni tua cura ed Egli ti nutrirà.]


Ps LIV: 2
Exáudi, Deus, oratiónem meam, et ne despéxeris deprecatiónem meam: inténde mihi et exáudi me.

[O Signore, esaudisci la mia preghiera e non disprezzare la mia supplica: ascoltami ed esaudiscimi.]

Dum clamárem ad Dóminum, exaudívit vocem meam, ab his, qui appropínquant mihi: et humiliávit eos, qui est ante sæcula et manet in ætérnum: jacta cogitátum tuum in Dómino, et ipse te enútriet.

[Quando invocai il Signore, esaudí la mia preghiera, salvandomi da quelli che stavano contro di me: e li umiliò, Egli che è prima di tutti i secoli e sarà in eterno: abbandona al Signore ogni tua cura ed Egli ti nutrirà.]

Oratio

Orémus.
Deus, qui omnipoténtiam tuam parcéndo máxime et miserándo maniféstas: multíplica super nos misericórdiam tuam; ut, ad tua promíssa curréntes, cœléstium bonórum fácias esse consórtes.

[O Dio, che manifesti la tua onnipotenza soprattutto perdonando e compatendo, moltiplica su di noi la tua misericordia, affinché quanti anelano alle tue promesse, Tu li renda partecipi dei beni celesti.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corínthios.
1 Cor XII: 2-11
Fratres: Scitis, quóniam, cum gentes essétis, ad simulácra muta prout ducebámini eúntes. Ideo notum vobisfacio, quod nemo in Spíritu Dei loquens, dicit anáthema Jesu. Et nemo potest dícere, Dóminus Jesus, nisi in Spíritu Sancto. Divisiónes vero gratiárum sunt, idem autem Spíritus. Et divisiónes ministratiónum sunt, idem autem Dóminus. Et divisiónes operatiónum sunt, idem vero Deus, qui operátur ómnia in ómnibus. Unicuíque autem datur manifestátio Spíritus ad utilitátem. Alii quidem per Spíritum datur sermo sapiéntiæ álii autem sermo sciéntiæ secúndum eúndem Spíritum: álteri fides in eódem Spíritu: álii grátia sanitátum in uno Spíritu: álii operátio virtútum, álii prophétia, álii discrétio spirítuum, álii génera linguárum, álii interpretátio sermónum. Hæc autem ómnia operátur unus atque idem Spíritus, dívidens síngulis, prout vult.

[“Fratelli: Voi sapete che quando eravate gentili correvate ai simulacri muti, secondo che vi si conduceva. Perciò vi dichiaro che nessuno, il quale parli nello Spirito di Dio dice: «Anatema a Gesù»; e nessuno può dire: «Gesù Signore», se non nello Spirito Santo. C’è, sì, diversità di doni; ma lo Spirito è il medesimo. Ci sono ministeri diversi, ma il medesimo Signore; ci sono operazioni differenti, ma è il medesimo Dio che opera tutto in tutti. A ciascuno poi è data la manifestazione dello Spirito, perché sia d’utilità. Mediante lo Spirito a uno è data la parola di sapienza, a un altro è data la parola di scienza, secondo il medesimo Spirito. A un altro è data nel medesimo Spirito la fede; nel medesimo Spirito a un altro è dato il dono delle guarigioni: a un altro il potere di far miracoli; a un altro la profezia; a un altro il discernimento degli spiriti; a un altro la varietà delle lingue, a un altro il dono d’interpretarle. Ma tutte queste cose le opera l’unico e medesimo Spirito, il quale distribuisce a ciascuno come gli piace”].

UNITA’ NELLA VARIETA’ E VICEVERSA.

Gli uomini piccoli si rivelano colle loro unilateralità. C’è chi al mondo non vede, non vuole, non ama che la unità, una unità esagerata che diviene, né essi se ne dolgono, uniformità; c’è chi non vede, non vuole, non ama che la varietà, la diversità, una diversità che diviene, così esagerata, del che ad essi non cale, confusione babelica, caos. Per i primi tutti dovrebbero pensare allo stesso identico modo in tutto e per tutto, fare tutti la stessa cosa, farla tutti allo stesso modo. Per gli altri il rovescio, tutti pensare e agire diversamente. Estremismi opposti, figli della stessa micromania. Il Vangelo, il Cristianesimo ci si rivela grande e divino anche per quella formula « unitas in varietate » che è la sua divisa. N. S. Gesù ha detto una parola nella quale è lo spunto di quello che oggi dice San Paolo nel brano domenicale della Epistola prima ai Corinzi: « nella casa di mio Padre vi sono molte dimore. » La Casa è una, una la Chiesa, Casa di Dio, edificio classico e prediletto di Gesù Cristo; una per unità di culto. Se non fosse così, non sarebbe divina. Una nelle cose essenziali, sostanziali. Ma in questa bellissima e forte e compatta e vigorosa unità non si esaurisce la vita della Chiesa; se no saremmo, nell’uniformità plumbea. La casa è una e le stanze, anzi i piani sono molti e diversi. San Paolo riprende il pensiero evangelico e dice testualmente così: « Or vi sono (nella Chiesa) distinzioni (ossia varietà) di doni, ma non c’è che un medesimo Spirito; e c’è distinzione nei ministeri, ma non c’è che un medesimo Signore; e c’è distinzione nei modi di operare, ma non c’è che un medesimo Dio, il quale opera ogni cosa in tutti». Varietà, continua l’Apostolo, utile al corpo sociale, come, dico io, la varietà dei cibi è utile al corpo umano. Di questa varietà non bisogna né scandalizzarsi, né abusare. Alcuni estremisti se ne sono scandalizzati. Per esempio: i Greci, che poi si separarono dalla Chiesa, si scandalizzarono quando fu aggiunta una paroletta « Filioque » al Credo di Nicea, senza domandarsi se essa stonava o sintetizzava, armonizzava col Credo nel suo insieme, nel suo spirito. Altri ne abusano e vorrebbero portare la diversità dappertutto, dappertutto le novità, dimenticando l’aureo principio: «in necessariis unitas ». Varietà che nel campo pratico, l’operare e il modo dell’operare sono ben altrimenti ricche e accentuate che non siano nel campo teorico. Quante diversità, salva la unità essenziale, nei riti! Quante nell’azione dei Santi! Ecco qua dei Santi e delle spirituali famiglie dei Santi che son tutto calcolo e prudenza; altri e altre che sono tutta spontaneità e ingenuità. Santi che edificano monasteri grandiosi come spirituali reggie, quasi ad affermare la maestà dello spirito, e santi che fabbricano modestissimi conventini; Santi che sono tutto zelo e severità, altri il cui zelo realissimo è fatto di mansuetudine. Paolo che va a destra, Barnaba che va a sinistra e camminano per le vie di un unico apostolato. Ma lo Spirito è uno; lo Spirito di Dio, Spirito di verità d’amore. Rallegriamoci di questa varietà che è ricchezza e rispettiamola; rallegriamoci di questa unità e cerchiamola, lieti per conto nostro ciascuno del posto che gli è toccato nella casa del Padre, nella vigna del Signore, non smaniosi di cambiarlo, avidi solo di occuparlo degnamente.

P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

Graduale

Ps XVI: 8; LXVIII: 2
Custódi me, Dómine, ut pupíllam óculi: sub umbra alárum tuárum prótege me.

[Custodiscimi, o Signore, come la pupilla dell’occhio: proteggimi sotto l’ombra delle tue ali.]

V. De vultu tuo judícium meum pródeat: óculi tui vídeant æquitátem.

[Venga da Te proclamato il mio diritto: poiché i tuoi occhi vedono l’equità.]

Alleluja

Allelúja, allelúja

 Ps LXIV: 2
Te decet hymnus, Deus, in Sion: et tibi redde tu votum in Jerúsalem. Allelúja.

[A Te, o Dio, si addice l’inno in Sion: a Te si sciolga il voto in Gerusalemme. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum S. Lucam.
Luc XVIII: 9-14.
In illo témpore: Dixit Jesus ad quosdam, qui in se confidébant tamquam justi et aspernabántur céteros, parábolam istam: Duo hómines ascendérunt in templum, ut orárent: unus pharisæus, et alter publicánus. Pharisæus stans, hæc apud se orábat: Deus, grátias ago tibi, quia non sum sicut céteri hóminum: raptóres, injústi, adúlteri: velut étiam hic publicánus. Jejúno bis in sábbato: décimas do ómnium, quæ possídeo. Et publicánus a longe stans nolébat nec óculos ad cœlum leváre: sed percutiébat pectus suum, dicens: Deus, propítius esto mihi peccatóri. Dico vobis: descéndit hic justificátus in domum suam ab illo: quia omnis qui se exáltat, humiliábitur: et qui se humíliat, exaltábitur.” 

 [“In quel tempo disse Gesù questa parabola per taluni, i quali confidavano in se stessi come giusti, e deprezzavano gli altri: Due uomini salirono al tempio: uno Fariseo, e l’altro Pubblicano. Il Fariseo si stava, e dentro di sé orava così: Ti ringrazio, o Dio, che io non sono come gli altri uomini, rapaci, ingiusti, adulteri; ed anche come questo Pubblicano. Digiuno due volte la settimana; pago la decima di tutto quello che io posseggo Ma il Pubblicano, stando da lungi, non voleva nemmeno alzar gli occhi al cielo; ma si batteva il petto, dicendo: Dio, abbi pietà di me peccatore. Vi dico, che questo se ne tornò giustificato a casa sua a differenza dell’altro: imperocché chiunque si esalta, sarà umiliato; e chi si umilia, sarà esaltato”].

Omelia

(Discorsi di s. G. B. M. VIANNEY Curato d’Ars – vol. II, 4° ed. Torino, Roma; Ed. Marietti, 1933)

L’orgoglio.

Non sum sicut cæteri hominum.

(Luc. XVIII, 11).

È questo, F. M., il linguaggio ordinario della falsa virtù, e quello dell’uomo orgoglioso che, soddisfatto di se stesso, è sempre pronto a criticare e censurare la condotta degli altri. È questo altresì il linguaggio dei ricchi che considerano i poveri come se fossero di natura differente dalla loro, e li trattano secondo questo modo di pensare. Anzi, aggiungo, F. M., questo è il linguaggio di quasi tutti gli uomini. Ve ne sono pochissimi, anche nelle più misere condizioni, che non siano vittime di questo maledetto peccato, che non abbiano buona stima di sé, mettendosi completamente al disopra dei propri simili, e che non spingano questo detestabile orgoglio fino a credere ch’essi valgono più di tanti altri. Ed io ne concludo che l’orgoglio è la sorgente di tutti i vizi, e la causa di tutti i mali presenti e futuri, e che noi portiamo sì innanzi il nostro accecamento che, spesso, ci gloriamo di ciò che dovrebbe coprirci di confusione. Gli uni si gloriano perché credono d’avere più spirito; gli altri per un palmo di terra o per un po’ di danaro; mentre dovrebbero tremare per il terribile conto che Dio ne domanderà loro un giorno. Ah! F. M., quanti avrebbero bisogno di fare quella preghiera che rivolgeva a Dio S. Agostino: “Dio mio, fatemi conoscere quello che sono; e non ho bisogno di altro per coprirmi di confusione e di disprezzo di me stesso, „ (Noverim me. ut oderim me). – Vi mostrerò dunque:

1° quanto l’orgoglio accechi l’uomo e lo renda odioso agli occhi di Dio e degli uomini;

2° in quanti modi ce ne rendiamo colpevoli;

e 3° ciò che dobbiamo fare per correggercene.

I. — Sì, F . M., per darvi un’idea di questo maledetto peccato, bisognerebbe che Dio mi permettesse di strappare Lucifero dal fondo degli abissi, e di trascinarlo qui al mio posto, e che egli stesso vi dipingesse gli orrori di questo delitto, mostrandovi i beni che questo peccato gli ha rapito, cioè il cielo, ed i mali che gli ha attirato, cioè le pene dell’inferno. Ahimè! F. M., per un peccato d’un momento una punizione che durerà tutta un’eternità! Ed il peggio si è che più ne siamo presi, meno ce ne crediamo colpevoli. Infatti, un orgoglioso non vorrà mai persuadersi di esserlo, né riconoscere d’aver torto: quello che fa e dice è ben fatto e ben detto. Volete formarvi un’idea dell’enormità di questo peccato, F. M.? Vedete quanto ha fatto Iddio per espiarlo. Perché ha Egli voluto nascere da poveri genitori, vivere nell’oblio, passare nel mondo non come uno di mediocre condizione, ma come persona da nulla? Perché vedeva che questo peccato aveva talmente oltraggiato il Padre suo, che Egli non avrebbe mai potuto espiarlo se non abbandonandosi allo stato il più umiliante e spregevole qual è quello della povertà; giacché basta il non possedere nulla per essere disprezzato dagli uni e rigettato dagli altri. – Vedete, F. M., quanto sono grandi i mali arrecati da questo peccato. Senza questo peccato non vi sarebbe l’inferno. Senza questo peccato Adamo sarebbe ancora nel paradiso terrestre, e noi tutti felici, senza malattie, e senza tutte le altre miserie che ogni giorno ci opprimono: non la morte, non il giudizio che ha fatto tremare i più grandi santi; non eternità infelice da temere; il cielo ci sarebbe assicurato. Felici in questo mondo e più ancora nell’altro: la nostra vita sarebbe passata nel benedire le grandezze, le bontà del nostro Dio, e saremmo poi andati in corpo ed anima a continuare in cielo questa felice occupazione. Ah! che dico, F. M., senza questo malaugurato peccato Gesù Cristo non sarebbe morto! Oh, quanti tormenti risparmiati a questo divin Salvatore!… Ma, mi direte, perché questo peccato ha causato più male che gli altri? — Perché? Eccovelo. Se Lucifero e gli altri angeli ribelli non fossero stati orgogliosi, non vi sarebbero stati i demoni, e, per conseguenza, nessuno avrebbe tentato i nostri progenitori, e questi avrebbero avuto la fortuna di perseverare. So bene che tutti i peccati oltraggiano Dio, che tutti i peccati mortali meritano un’eterna punizione: un avaro che cerca solo di accumulare, e sacrifica la salute, l’onore e la stessa vita per mettere assieme un po’ di danaro per l’avvenire, ingiuria certamente la Provvidenza di Dio, il quale ci ha promesso che se lo serviremo ed ameremo, avrà cura di noi. Un ubriacone che si abbandona agli eccessi del bere perdendo la ragione, mettendosi al di sotto dei bruti, fa un grande oltraggio a Dio che gli ha dato dei beni solo perché ne facesse buon uso, consacrando le proprie forze e la propria vita a servirlo. Un vendicativo che si vendica delle ingiurie fattegli, arreca una sanguinosa ingiuria a Gesù Cristo che, da tanti mesi o da tanti anni lo tollera sulla terra, e per di più, gli dà tutto ciò che gli è necessario, mentre non meriterebbe che di essere gettato nelle fiamme. Un impudico avvoltolandosi nel fango della passione, si mette al di sotto dei bruti, perde la propria anima e dà la morte al suo Dio, fa del tempio dello Spirito Santo il ricettacolo del demonio, “fa che le membra di Gesù Cristo diventino le membra di un’infame meretrice„ Tollens ergo membra Christi, faciam membra meretricis? Absit (I Cor. VI, 15), da fratello del Figlio di Dio diviene non solo fratello dei demoni, ma schiavo di satana. Questi sono delitti di cui nessuna parola potrà esprimere l’orrore, né la grandezza delle pene che meritano. Ebbene! F. M., io vi dico che questi peccati sono lontani dall’orgoglio, per l’oltraggio ch’essi arrecano a Dio, quanto il cielo lo è dalla terra: seguitemi, e vedrete che nulla è più facile ad intendersi. Quando commettiamo gli altri peccati, ora violiamo i comandamenti della legge di Dio, ora disprezziamo i suoi benefizi; oppure, se volete, rendiamo inutili tutte le fatiche, i dolori e la morte di Gesù Cristo. Ma costui, cioè l’orgoglioso, fa come un suddito che, non contento d’aver disprezzato e messo sotto i piedi le leggi e gli ordini del suo sovrano, spinge il suo furore fino a tentare di piantargli un pugnale nel petto, lo strappa dal trono, lo calpesta sotto i piedi, e prende il suo posto. Può darsi un’atrocità più grande, F. M.? Ebbene! ecco ciò che fa chi s’inorgoglisce quando riesce in ciò che tenta, o in ciò che brama. Mio Dio! quanto grande è il numero di costoro! Ascoltate, F. M., ciò che ci dice lo Spirito Santo parlando dell’orgoglioso: “Egli sarà in abbominazione davanti a Dio e davanti agli uomini. Poiché il Signore detesta l’orgoglioso ed il superbo. „ Gesù Cristo stesso ci dice “che ringraziava il Padre d’aver nascosto i suoi segreti agli orgogliosi „ (Matth. XI, 25). Infatti se scorriamo la sacra Scrittura vediamo che i mali con cui Dio opprime l’orgoglioso sono sì grandi e sì spaventosi da sembrare ch’Egli esaurisca il suo furore e la sua potenza per punirli, e vediamo pure che Dio sembra pigliar diletto nell’umiliare i superbi a mano a mano ch’essi vogliono innalzarsi. Spesso vediamo che l’orgoglioso cade in qualche vizio detestevole che lo disonora davanti al mondo. (Rodriguez racconta (tom. III), che il demonio sotto la forma d’una donna sedusse Palladio, religioso stimatissimo per le sue austerità, ma di spirito assai orgoglioso. – Nota del Beato). – Il grande Nabucodònosor ce ne offre un bell’esempio. Quel principe era così orgoglioso, aveva così buona stima di sé, che voleva essere considerato come un Dio. Nel momento in cui era gonfio della grandezza di sua potenza, ode d’improvviso una voce dal cielo dire che il Signore non poteva più tollerare il suo orgoglio, e che, per fargli conoscere che v’era un Dio padrone dei regni, il suo regno gli sarebbe tolto e dato ad un altro; egli verrebbe cacciato dalla società degli uomini, dimorerebbe tra le belve selvagge, mangerebbe erba e strame come una bestia da soma. Ed in quell’ora stessa Dio gli sconvolse talmente il cervello, ch’egli credette d’essere una bestia e si rifugiò nelle foreste, fino a quando riconobbe di essere un nulla (Dan. IV, 27- 34).Vedete i castighi che il Signore fece subire a Core, Dathan ed Abiron e a duecento fra i più ragguardevoli Israeliti. Pieni d’orgoglio, essi dicono a Mosè ed Aronne: “E perché non avremo anche noi l’onore di offrire l’incenso al Signore al pari di voi? „ Il Signore disse a Mosè e ad Aronne di segregarli con tutto ciò che loro apparteneva; perché voleva punirli… Ed appena essi furono segregati la terra s’aprì sotto i loro piedi, e li inghiottì vivi nell’inferno (Nm XVI). Vedete Erode che fece morire S. Giacomo ed imprigionare S. Pietro. Egli era così orgoglioso che un giorno vestito del suo paludamento regale ed assiso sul trono, parlando al popolo con grande enfasi, giunse a dire: “No, no, non è un uomo che vi parla, ma un Dio. „ E sull’istante un Angelo lo colpì con una malattia sì spaventosa, che i vermi lo corrosero vivo, morì disperato. Egli voleva essere onorato come un Dio, e fu consumato dal più vile degli insetti (Act. XII, 21-23). Vedete ancora Aman, quel celebre orgoglioso, il quale aveva comandato che tutti i sudditi si inginocchiassero davanti a lui. Infuriato perché Mardocheo lo disprezzava fece innalzare un patibolo per impiccarvelo; ma Iddio, che ha in orrore gli orgogliosi, permise che egli stesso vi venisse appeso (Esther VII, 10). Leggiamo nella storia che un solitario pieno d’orgoglio, volle mostrare la grandezza della sua fede. Essendo andato da S. Palemone, questi vedendolo far mostra del suo orgoglio, caritatevolmente gli osservò che era ben difficile avere la fede che egli diceva; che non avendo in noi nulla di buono, non possiamo far altro che umiliarci, gemere davanti a Dio o domandargli la grazia di non abbandonarci. Ma quel povero cieco, lungi dall’approfittare del caritatevole avviso, corse a gettarsi su di un braciere di fuoco, e Dio per mettere il colmo al suo orgoglio, permise che non sentisse neppure l’ardore del fuoco. Ma poco tempo dopo il religioso cadde in un vergognoso peccato contro la santa virtù della purità. Il demonio gli si presentò sotto forma di donna la quale seduta accanto a lui, tanto lo sollecitò ch’egli volle abbracciarla. Il demonio allora si gettò su di lui, lo percosse con ripetuti colpi e lo lasciò semivivo steso sul pavimento. Il disgraziato riconosciuto il suo fallo, cioè il suo orgoglio, ritornò da S. Palemone e gli confessò piangendo il proprio peccato. Cosa strana, F. M., mentre egli stava parlando, il demonio s’impadronì di lui, alla presenza di S. Palemone, lo trascinò con furore e lo precipitò in una fornace ardente, dove perdette la vita (Vita dei padri del deserto, t. I, p. 256). Sì, F. M., vediamo dappertutto che Dio si compiace di confondere gli orgogliosi. Non solo un orgoglioso è in abbominazione davanti a Dio, ma è altresì insopportabile agli uomini. — Perché? mi direte. — Perché egli non può intendersi con nessuno: ora vuol levarsi al di sopra dei suoi uguali, ora uguagliare quelli che gli sono superiori, di modo che non può andar d’accordo con nessuno. Così gli orgogliosi sono sempre in lite con alcuno, e perciò tutti li odiano, li fuggono, li disprezzano. No, F. M., non v’è peccato che operi un più grande cambiamento in chi lo commette; poiché l’Angelo, la creatura più bella, diventò per esso orribile demonio; ed esso, rese l’uomo, che era figlio di Dio, schiavo del demonio.

II. — Questo peccato, mi direte, è veramente orribile; bisogna che chi lo commette non conosca né il bene che perde, né i mali che si attira, né infine gli oltraggi che arreca a Dio ed alla propria anima. Ma in che modo si può sapere d’esserne diventati colpevoli? — In che modo, amico? Eccolo. Possiamo dire che questo peccato si trova in ogni parte, accompagna l’uomo in tutto ciò che fa e dice; è una specie di condimento che sta dappertutto. Ascoltatemi un momento e lo vedrete. Gesù Cristo ce ne dà un esempio nel Vangelo, dicendo che un fariseo essendo andato nel tempio per far orazione stava in piedi davanti a tutti, dicendo ad alta voce: “Vi ringrazio, o Signore, perché non sono come gli altri uomini, coperto di peccati; io passo la mia vita nel fare il bene e nel piacere a Voi. „ Ecco il vero tipo dell’orgoglioso: invece di ringraziare Dio perché è stato così buono da servirsi di lui per compiere il bene e d’essergliene riconoscente, considera tutto come cosa propria e non di Dio. Entriamo in qualche particolare, e vedrete che quasi nessuno ne va esente. Vecchi e giovani, poveri e ricchi; ognuno si loda e si vanta di ciò che non è e di ciò che non ha fatto. Ciascuno s’applaude ed ama d’esser applaudito; ciascuno s’affretta a mendicare le lodi degli uomini, e ciascuno lavora per attirarsele. Tale è la vita della maggior parte dei nostri simili. La porta per cui l’orgoglio entra con maggiore abbondanza è la porta delle ricchezze. Quando una persona comincia ad accrescere i suoi beni, voi la vedete cambiar modo di vivere; essa fa, come dice Gesù Cristo dei farisei: “Costoro bramano d’esser chiamati maestri, d’esser salutati, vogliono i primi posti: e amano comparire vestiti più riccamente. (Matth. XXIII, 5-6). „ Essa abbandona quell’aria di semplicità; salutata china appena il capo, senza levare il cappello; cammina a testa alta, e parlando cerca le parole più belle, di cui spesso non conosce il significato; ed ama ripeterle. Quell’uomo vi romperà la testa narrandovi le eredità avute, per farvi sapere che la sua sostanza s’è aumentata. Ogni sua cura è riposta nel cercare di farsi stimare e lodare. Sarà riuscito in qualche lavoro? s’affretta di pubblicarlo per far mostra del suo preteso talento. Se ha detto qualche cosa di cui è stato applaudito, non cessa di rompere le orecchie a quelli che gli sono dattorno fino ad annoiarli ed a farli ridere. Ha fatto qualche viaggio? Lo sentite dire cento volte più di ciò che ha fatto, detto e veduto: il che mette compassione a quelli che lo ascoltano. Stima di esser tenuto per persona di spirito, mentre nel loro interno tutti lo disprezzano. Nessuno può fare a meno di dire tra sé: Ecco un grande orgoglioso; poveretto è persuaso che si creda tutto ciò ch’egli dice!… Vedete una persona del mestiere che esamina il lavoro d’un altro, vi troverà mille difetti e dirà: “Che volete? non sa far di più! „ Ma siccome l’orgoglioso non abbassa mai gli altri senza innalzare se stesso, s’affretterà subito a parlare di qualche lavoro suo, che il tale ha trovato così ben fatto che ne ha parlato a molti. Un orgoglioso, vedendo più persone che parlano assieme, pensa si dica male o bene di lui. Una giovane avrà belle fattezze? o almeno crede d’averle? La vedete studiare il passo, con un’affettazione, con un orgoglio che sembra voler salire fino alle nubi. Ha camicie e vesti? lascerà l’armadio aperto per farle vedere. S’inorgoglisce delle sue galline e della sua casa. Si vanta di sapere confessarsi bene, di pregar bene il buon Dio, d’essere assai modesta in chiesa. Una madre s’inorgoglisce de’ suoi figli; un contadino perché le sue terre sono in migliore stato che quelle degli altri, che egli disprezza, e si vanta del suo sapere. Un giovane ha un orologio in tasca, e forse anche spesso non ha che la catena con cinque soldi in tasca? lo sentite dire: “Non so se è tardi, „ affinché gli si dica di guardare l’orologio, perché si sappia che egli ne ha uno. Se si giuoca d’azzardo, non avrà che due soldi da metter fuori, prenderà in mano tutto ciò che ha, e spesso anche, tutto ciò che non è suo; oppure dirà di più di quanto ha. Quanti domandano a prestito, per andar a partite di piacere, abiti e denaro. Una persona entra in una compagnia dove crede essere sconosciuta? la vedrete subito parlare della sua famiglia, dei suoi beni, dei suoi talenti e di tutto ciò che può distinguerla, e far conoscere ciò ch’essa è, o piuttosto quello che non è. No, F. M., non v’è nulla di così ridicolo e sciocco quanto il parlare sempre di ciò che si ha e di ciò che si fa. Ascoltate un padre di famiglia, quando le sue figlie sono in età di accasarsi. In tutte le compagnie in cui si trova, lo si sente dire: “Ho dato tante migliaia di lire in prestito, le mie ricchezze mi rendono tanto „ e poi domandategli cinque soldi per i poveri, egli non ha nulla. Un sarto od una sarta saranno riusciti bene a fare un vestito; se vedono passare quella persona che lo porta, e alcuno dice: come sta bene, non so chi l’ha fatto. „ — “L’ho fatto io „ subito diranno. E perché l’hanno detto? per far vedere la loro abilità. Ma se non sono riusciti bene, si guardano purtroppo dal parlarne, per timore d’essere umiliati. Le donne nella loro casa… e vi dirò che questo peccato è ancora più da temere in quelle persone che sembrano far professione di pietà. Eccone un bell’esempio. – Questo maledetto peccato dell’orgoglio s’infiltra anche nelle professioni più umili. Un agricoltore o un taglia legna, se sono vicini alla strada, metteranno nel loro lavoro tutte le cure “affinché – dicono – quando alcuno passerà non trovi ch’io non so lavorare. „ Questo peccato s’infiltra anche nel delitto e nella virtù; si vedono alcuni che si vantano d’aver fatto il male. Ascoltate la conversazione di parecchi ubriaconi. “Ah! dicono, mi sono trovato un giorno col tale; ha voluto scommettere con me, a chi bevesse di più, senza ubbriacarsi; ed io assai presto l’ho vinto!„ È altresì orgoglio il desiderio di diventare più ricco e l’invidiare quelli che lo sono, perché si vedono i ricchi rispettati ed onorati. Si troveranno altri che, nel loro linguaggio, saranno estremamente umili, ed anche si disprezzeranno, facendo pubblicamente la confessione di loro debolezze. Ma dite loro qualche cosa che li punga un po’. Alla prima parola li vedete scaldarsi, rispondervi a dovere, fino al punto di diffamarvi e ledere la vostra riputazione, per un preteso affronto ricevuto. Avranno una grande umiltà, in apparenza, finché sono lodati ed onorati. Qualche volta se sentiamo parlare bene di un altro davanti a noi, proviamo fastidio, ci pare di restarne umiliati; mostriamo aria triste, oppure diciamo: Ma che? egli è come gli altri, ha fatto questo, ha detto quello, non ha tanta abilità come voi dite, voi non lo conoscete!… „ Io dico che l’orgoglio s’infiltra anche nelle nostre opere buone. Vi sono molti che fanno l’elemosina e rendono servizi al prossimo solo per essere stimati persone dabbene, persone caritatevoli. Se faranno l’elemosina davanti a qualcheduno, daranno di più che non se fossero soli. Vorranno far sapere che hanno fatto un po’ di bene, o reso qualche servizio al vicino e cominceranno a dire: “ Il tale è ben disgraziato, non ha di che vivere; è venuto un giorno da me, mi ha raccontato la sua miseria, ed io gli ho dato la tal cosa.„ Un orgoglioso non vuol mai essere rimproverato, egli ha sempre ragione: ciò che egli dice è ben detto, ciò che egli fa è ben fatto. E lo vedete esaminare continuamente la condotta degli altri; dappertutto trova difetti; non v’è in loro nulla di ben detto e di ben fatto. Una persona farà un’azione colle migliori intenzioni del mondo, eccolo che, colla sua lingua velenosa, la interpreta male. E quanti non ve ne sono che per orgoglio, inventano tutto? Se raccontano ciò che hanno fatto, diranno assai più di quanto hanno fatto. Altri mentiscono per timore d’essere umiliati. Dirò di più; i vecchi si gloriano di ciò che non hanno fatto; a sentirli, sembrano i più grandi conquistatori del mondo, si direbbe che essi hanno percorso l’intero universo; ed i giovani si lodano di ciò che non faranno mai: tutti mentiscono, tutti corrono dietro al fumo dell’onore. Così va oggi il mondo, F. M., mettete la mano sulla vostra coscienza, scrutate il vostro cuore, e riconoscerete che quanto dico è vero. Ma la cosa più triste è che questo peccato getta le anime in tenebre così dense, che nessuno mai se ne crede colpevole. Conosciamo, è vero, quando gli altri falsamente si lodano, e si attribuiscono onori non meritati; ma quanto a noi crediamo di meritarli sempre. Io dico, F. M., che chiunque cerca la stima degli uomini è cieco. — Perché? mi direte. — Eccone la ragione, amico. Non dirò che egli perde tutto il merito di ciò che fa e che tutte le sue carità, tutte le sue preghiere e penitenze non saranno per lui che motivo di condanna. Egli crederà d’aver fatto qualche bene; e troverà tutto guastato dall’orgoglio. Ma io dico inoltre che egli è cieco. Se vuol meritare la stima di Dio e degli uomini, deve fuggirli invece di cercarli, deve persuadersi che è nulla, che merita nulla; allora è sicuro d’aver tutto. Vediamo ad ogni momento che più una persona vuol innalzarsi e più Dio permette ch’essa venga umiliata; e più essa vuol nascondersi, e più Dio ne fa conoscere la riputazione. Basta farvi attenzione per toccar con mano questa verità. Un orgoglioso si affanna a mendicare le lodi degli uomini; ed è conosciuto appena nella sua parrocchia! Ma chi si nasconde, quanto può, e si disprezza, andate lontano venticinque o cinquanta miglia, e vedrete pubblicate le sue buone qualità. Dirò di più: il suo onore vola ai quattro angoli del mondo: più egli si nasconde e più è conosciuto; e più l’altro vuol mostrarsi e più si affonda nelle tenebre, e perciò quasi nessuno lo conosce ed egli meno ancora conosce se stesso. Se il fariseo, come avete veduto, è il vero ritratto dell’orgoglioso, il pubblicano è l’immagine sensibile d’un cuore sinceramente penetrato del proprio nulla, dei suoi pochi meriti e della grande confidenza che bisogna avere in Dio. Gesù Cristo ce lo presenta come il perfetto modello al quale possiamo conformarci. Il pubblicano, ci dice S. Luca, dimentica tutto il bene che forse ha fatto durante la sua vita, per non occuparsi che della sua miseria spirituale e della sua indegnità; non osa comparire davanti ad un Dio sì santo. Lungi dall’imitare il fariseo, che si mette in un luogo dove può esser veduto da tutti e riceverne le lodi, il povero pubblicano, appena entrato nel tempio si nasconde in un canto, si considera come solo davanti al suo giudice, colla faccia verso terra, col cuore spezzato dal dolore, cogli occhi pieni di lagrime, non osa guardare l’altare, tanto è coperto di confusione alla vista dei suoi peccati e della santità di Dio, davanti al quale si trova indegno di comparire. E nella più grande amarezza del cuore grida: “Mio Dio, di grazia, abbiate pietà di me, perché sono un gran peccatore!„ Quest’umiltà commosse talmente il cuore di Dio, che, non solo gli perdonò tutti i suoi peccati, ma lo lodò pubblicamente, dicendo a tutti che quel pubblicano, sebbene peccatore, per la sua umiltà, gli era stato più gradito che il fariseo con tutta la sua mostra di buone opere: “poiché vi dico, sono parole di Gesù Cristo, che quel pubblicano ritornò a casa senza peccati, mentre il fariseo uscì dal tempio più colpevole di quando v’era entrato. Concludo quindi che chi si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato. „ Abbiamo visto, F. M., che cos’è l’orgoglio, quanto sia orribile questo vizio, quanto esso oltraggia il buon Dio, e finalmente come il Signore si compiace di punirlo. Vediamo che cos’è l’umiltà, la virtù contraria.

III. — Se “l’orgoglio è la sorgente di ogni vizio„ possiamo dire che l’umiltà è la sorgente ed il fondamento di ogni virtù (Prov. XV, 33); essa è la porta per la quale Iddio fa giungere a noi le sue grazie; essa perfeziona tutte le nostre azioni, e comunica loro tanto valore che le rende accette a Dio; finalmente essa ci fa padroni del cuore di Dio, il quale diventa, per così dire, nostro servo; poiché mai Iddio ha potuto resistere ad un cuore umile (1 Piet. V, 5). — Ma, mi direte, in che cosa consiste questa umiltà, che ci merita tante grazie? — Eccolo, amico. Ascoltatemi: voi avete già dovuto conoscere se siete presi dall’orgoglio; vedrete ora se avete la fortuna di possedere sì bella e rara virtù; se l’avete in tutta la sua integrità, il cielo è vostro. L’umiltà, ci dice S. Bernardo, consiste nel conoscere noi stessi, nel disprezzo di noi medesimi. L’umiltà è una fiaccola che ci mostra nettamente le nostre imperfezioni; essa, dunque, non consiste nelle parole, né nelle opere; ma nella conoscenza di noi stessi, conoscenza che ci fa scoprire un’infinità di difetti che il nostro orgoglio ci aveva nascosti fino ad ora. Io dico che questa virtù ci è assolutamente necessaria per andare in cielo; ascoltate ciò che ci dice Gesù Cristo nel Vangelo: “Se non sarete simili ad un fanciullo, non entrerete nel regno de’ cieli. In verità vi dico, che se non vi convertite, se non abbandonate quei sentimenti d’orgoglio e di ambizione, così naturali nell’uomo, non entrerete in cielo. „ (Math. XVIII, 3). “, ci dice il Savio, l’umiltà ottiene tutto.„ (Ps. CI, 18). Volete ricevere il perdono dei vostri peccati? Presentatevi a Dio nella persona dei suoi ministri, coperti di confusione, come indegni di ottenere la grazia che domandate, siete sicuri del perdono. Siete tentati? umiliatevi della vostra miseria, e riconoscete che da soli non potete che perdervi: siete allora sicuri d’esser liberati. O bella virtù quanto rendi cara un’anima a Dio! Gesù Cristo stesso non poteva darci una più bella idea della grandezza del suo merito, che dicendoci d’aver voluto prendere “la forma di servo, „ (Phil. II, 7), che è la più vile condizione. Che cosa rese la santa Vergine così cara a Dio se non la sua umiltà e il disprezzo che aveva di se stessa? – Leggiamo nella storia (Vita dei Padri del deserto, t. I, pag. 52) che S. Antonio ebbe una visione, nella quale Dio gli fece vedere il mondo tutto coperto da una rete, tenuta ai quattro capi dai demoni. “Ah! esclamò il santo, chi non potrà cadere in quella rete? „ — “Antonio, gli disse il Signore, l’umiltà sola basta: cioè, se riconoscete di nulla meritare, di non esser capaci di nulla, sarete vittoriosi.„ Un amico di S. Agostino, gli domandava qual era la virtù che bisognava praticare per essere più cari a Dio, ed egli rispose: “L’umiltà sola basta. Ho ben faticato per conoscere la via più sicura per andare a Dio, ma non ne ho trovato altra. „ Ascoltate ciò che ci dice la storia: S. Macario, ritornando con una bracciata di legna, trovò il demonio armato di una falce tutta infiammata, che gli disse: “Macario, quanto mi fai soffrire per non poterti maltrattare; perché mi fai tanto patire? tutto ciò che tu fai io lo faccio meglio di te: se tu digiuni io non mangio mai; se tu vegli io non dormo; non v’è che una sola cosa che tu hai più di me e per la quale mi hai vinto. „ Sapete, F. M,, la cosa che era in S. Macario e che il demonio non aveva? Ah! amici miei, era l’umiltà. O bella virtù, quant’è felice e capace di grandi cose chi ti possiede! Infatti, F. M., quando pure aveste tutte le altre virtù e non questa, non avete nulla. Date le vostre ricchezze ai poveri, piangete i vostri peccati per tutta la vostra vita, fate penitenza finché il vostro corpo potrà resistere, vivete nel ritiro durante tutta l’esistenza vostra; se non avete l’umiltà non lascerete di dannarvi (Se non avete l’umiltà, non lascerete di dannarvi, „ cioè se non avete l’umiltà che il buon Dio domanda da voi vi esporrete al pericolo di dannarvi). Perciò vediamo che tutti i Santi hanno lavorato tutta la loro vita per acquistarla o per conservarla. Più Iddio li colmava di favori e più essi si umiliavano. Vedete S. Paolo, innalzato fino al terzo cielo, egli considera se stesso come un grande peccatore, un persecutore della Chiesa di Gesù Cristo, « un miserabile, un aborto, indegno del posto che occupa » (I Tim. I, 13; – 1 Cor. xv, 8, 9). Vedete S. Agostino, S. Martino: non osavano entrare in chiesa senza tremare, tanto li spaventava la loro miseria spirituale. E tali devono essere le nostre disposizioni se vogliamo essere cari a Dio. Vediamo, F . M., che più un albero è carico di frutti, e più i suoi rami si abbassano; così, più noi facciamo buone opere, più dobbiamo umiliarci riconoscendoci indegni che il buon Dio si serva d’un sì vile strumento per fare il bene. F. M., non possiamo conoscere un buon Cristiano se non dall’umiltà. Ma, mi direte, come si può conoscere se un Cristiano è umile? — Niente di più facile, e lo vedrete. Dapprima io dico che una persona veramente umile non parla mai di se stessa, né in bene né in male, ella si accontenta di umiliarsi davanti a Dio che la conosce. Non guarda che alla propria condotta, geme nel vedersi tanto colpevole: lavora a rendersi più degna di Dio. Non la sentite mai giudicare la condotta degli altri, ha buona opinione di tutti. Disprezza qualcheduno? disprezza solo sé medesima. Interpreta bene tutto quello che fanno i suoi fratelli; è persuasissima che ella sola è capace di far male. Quindi se parla del suo prossimo, ne parla solo in bene; se non ha nulla in bene da dire, tace; se vien disprezzata, pensa che riceve solo quanto si merita, e che dopo aver disprezzato Dio, essa merita ben di più: se si vede lodata arrossisce, e fugge, addolorandosi perché nel giorno del giudizio disingannerà quelli che la credono persona dabbene, mentre invece è tutta coperta di peccati. Ella ha tanto in orrore le lodi quanto gli orgogliosi amano le umiliazioni. Quelli che le fanno conoscere i suoi difetti saranno sempre suoi amici. Se ha del bene da dare, cercherà sempre di farlo a colui che l’ha calunniata o disprezzata. Gli orgogliosi cercano la compagnia di quelli che li adulano, e li stimano, ella invece li fuggirà per andare con quelli che sembrano avere cattiva opinione di lei. Il suo piacere sta nell’esser sola con Dio, mostrandogli la propria miseria e domandando pietà. Si trovi pur sola od in compagnia, non vedete nessun cambiamento nelle sue preghiere, né nel suo modo d’agire. Non facendo tutte le sue azioni che per poter piacere a Dio, non guarda affatto a quello che pensano o dicono gli altri. Lavora per piacere a Dio, e, quanto al mondo, può dire che lo mette sotto i piedi. Così pensano e fanno quelli che tengono come lor porzione, l’umiltà… – Gesù Cristo non sembra far distinzione tra il Sacramento del Battesimo, quello della Penitenza e l’umiltà. Ci dice che senza Battesimo non entreremo mai nel regno dei cieli, senza quello della Penitenza, dopo il peccato, non avremo il perdono, e dice poi, che senza l’umiltà, non entreremo in cielo (Matt. XVIII). Sì, F. M., se abbiamo l’umiltà, quand’anche fossimo coperti di peccati, siamo sicuri d’esser perdonati; e senza l’umiltà, se avessimo anche fatto tutte le buone opere possibili, non ci salveremo mai. Ecco un esempio che ve lo mostrerà nel miglior modo possibile. Si legge nel libro dei Re (III Re, XXI), che il re Acabbo era il più abominevole che avesse regnato fino allora; non credo che se ne possa dir di più di quello che dice lo Spirito Santo: ascoltate. “Era un re dato ad ogni sorta d’impudicizie, che metteva impunemente le mani su tutti i beni dei suoi sudditi; fece ribellare a Dio gli Israeliti, sembrava uomo venduto ed impegnato a fare ogni sorta di male: insomma coi suoi delitti superò quelli che l’avevano preceduto. Perciò Iddio, non potendo più tollerare i suoi delitti, ed avendo deciso di punirlo, chiama il suo profeta Elia, gli comanda di andare dal re e dirgli le sue decisioni: “Digli che i cani mangeranno le sue carni e berranno il suo sangue; farò cadere su di lui tutti i fulmini delle mie vendette; non gli risparmierò nulla, anche per mezzo di quei cani, farò sentire l’eccesso del mio furore.„ Osservate qui quattro cose, F. M.: 1° Si vide mai uomo più malvagio di lui? 2° Si vide mai una più chiara determinazione di far morire un uomo che merita tanto di esser punito? – 3 ° Si diede mai un ordine più preciso? – 4° In questo luogo, disse il Signore, tutto ciò avverrà.„ Si è mai visto nella storia un uomo condannato ad un supplizio più infame di quello di Acabbo, cioè di far mangiare la sua carne, e bere il suo sangue dai cani? Ah! F. M., chi potrà strapparlo dalle mani di un nemico così potente che ha già cominciata la sua vendetta? – Acabbo, sentito il profeta, si stracciò le vesti. Ascoltate ciò che gli dice il Signore: “Va, non sei più in tempo, hai aspettato troppo, ora mi rido di te. „ Ed Acabbo si copre di cilicio: “Tu forse credi, continua il  Signore, di muovermi a pietà e di far così revocare il mio comando; ora digiuni; bisognava digiunare pel sangue di tante persone che hai fatto morire.„ Allora gettatosi per terra, si coprì di cenere, e quando doveva uscir fuori, camminava colla testa nuda e cogli occhi a terra. “Profeta, disse il Signore, hai veduto come Acabbo si è umiliato, e prostrato colla faccia a terra? Ebbene! va a dirgli che, giacché si è umiliato, io non lo punirò, e non farò cadere su di lui la folgore e la vendetta che avevo preparata. Digli che la sua umiltà mi ha commosso, mi ha fatto revocare gli ordini, ed ha disarmata la mia collera. „ (III Reg., XXI). Ebbene, F. M., non avevo io ragione di dirvi che l’umiltà è la più bella e la più preziosa di tutte le virtù, che essa è onnipotente presso Dio, e che Dio nulla sa rifiutarle? Possedendola, avremo tutte le altre; senza di essa tutte le altre valgono nulla. Concludo, F. M., dicendo che conosceremo se un Cristiano è veramente tale dal disprezzo ch’egli ha di se stesso e di tutto ciò che fa, e se interpreta in bene tutto ciò che fa o dice il suo prossimo. E con questo, F. M., possiamo star sicuri che il nostro cuore gusterà la felicità sulla terra e che il cielo sarà per noi…

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps XXIV: 1-3
Ad te, Dómine, levávi ánimam meam: Deus meus, in te confído, non erubéscam: neque irrídeant me inimíci mei: étenim univérsi, qui te exspéctant, non confundéntur.

[A Te, o Signore, ho innalzata l’anima mia: o Dio mio, in Te confido, che io non abbia ad arrossire: che non mi irridano i miei nemici: poiché quanti a Te si affidano non saranno confusi.]

Secreta

Tibi, Dómine, sacrifícia dicáta reddántur: quæ sic ad honórem nóminis tui deferénda tribuísti, ut eadem remédia fíeri nostra præstáres.

[A Te, o Signore, siano consacrate queste oblazioni, che in questo modo volesti offerte ad onore del tuo nome, da giovare pure a nostro rimedio.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps L: 21.
Acceptábis sacrificium justítiæ, oblatiónes et holocáusta, super altáre tuum, Dómine.

[Gradirai, o Signore, il sacrificio di giustizia, le oblazioni e gli olocausti sopra il tuo altare.]

Postcommunio

Orémus.
Quǽsumus, Dómine, Deus noster: ut, quos divínis reparáre non désinis sacraméntis, tuis non destítuas benígnus auxíliis.

[Ti preghiamo, o Signore Dio nostro: affinché benigno non privi dei tuoi aiuti coloro che non tralasci di rinnovare con divini sacramenti.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA