DOMENICA V. DOPO EPIFANIA (2022)

DOMENICA V DOPO EPIFANIA – (2022)

Semidoppio. Paramenti verdi.

Nei Vangeli delle precedenti Domeniche dopo l’Epifania la divinità di Gesù Cristo appariva nei suoi miracoli; oggi essa si afferma nella sua dottrina che « riempì di ammirazione » i Giudei di Nazaret (Com.). Gesù è nostro Re (Vers., Intr., All.), perché accoglie nel suo regno non solo i Giudei, ma anche i Gentili. Chiamati per pura misericordia a far parte del Corpo mistico di Cristo, bisogna dunque che anche noi usiamo misericordia al prossimo, perché noi facciamo in Gesù una cosa sola con Lui (Ep.). Perciò bisogna esercitarsi nella pazienza; perché nel regno di Dio, qui sulla terra, ci sono buoni e cattivi, e verranno separati per sempre gli uni dagli altri solo quando Gesù verrà per giudicare gli uomini.

Incipit


In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus


Jer XXIX :11; 12; 14

Dicit Dóminus: Ego cógito cogitatiónes pacis, et non afflictiónis: invocábitis me, et ego exáudiam vos: et redúcam captivitátem vestram de cunctis locis.

[Dice il Signore: Io ho pensieri di pace e non di afflizione: mi invocherete e io vi esaudirò: vi ricondurrò da tutti i luoghi in cui siete stati condotti.]


Ps LXXXIV: 2

Benedixísti, Dómine, terram tuam: avertísti captivitátem Jacob.

[Hai benedetta la tua terra, o Signore: hai distrutta la schiavitú di Giacobbe]

Dicit Dóminus: Ego cógito cogitatiónes pacis, et non afflictiónis: invocábitis me, et ego exáudiam vos: et redúcam captivitátem vestram de cunctis locis.

 [Dice il Signore: Io ho pensieri di pace e non di afflizione: mi invocherete e io vi esaudirò: vi ricondurrò da tutti i luoghi in cui siete stati condotti.]

Oratio

Orémus.
Famíliam tuam, quǽsumus, Dómine, contínua pietáte custódi: ut, quæ in sola spe grátiæ cœléstis innítitur, tua semper protectióne muniátur.

 [Custodisci, o Signore, Te ne preghiamo, la tua famiglia con una costante bontà, affinché essa, che si appoggia sull’unica speranza della grazia celeste, sia sempre munita della tua protezione.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Colossénses
Col III: 12-17

Fratres: Indúite vos sicut electi Dei, sancti et dilecti, víscera misericórdiæ, benignitátem, humilitátem, modéstiam, patiéntiam: supportántes ínvicem, et donántes vobismetípsis, si quis advérsus áliquem habet querélam: sicut et Dóminus donávit vobis, ita et vos. Super ómnia autem hæc caritátem habéte, quod est vínculum perfectionis: et pax Christi exsúltet in córdibus vestris, in qua et vocáti estis in uno córpore: et grati estóte. Verbum Christi hábitet in vobis abundánter, in omni sapiéntia, docéntes et commonéntes vosmetípsos psalmis, hymnis et cánticis spirituálibus, in grátia cantántes in córdibus vestris Deo. Omne, quodcúmque fácitis in verbo aut in ópere, ómnia in nómine Dómini Jesu Christi, grátias agéntes Deo et Patri per Jesum Christum, Dóminum nostrum.

[“Come eletti di Dio, santi e bene amati, vestite viscere di misericordia, benignità, umiltà, mitezza, pazienza, sopportandovi gli uni gli altri e perdonando, se alcuno ha querela contro di un altro; come il Signore ha perdonato a voi, voi pure così. Ma più di tutto vestite la carità, che è il vincolo della perfezione. E la pace di Cristo, alla quale foste chiamati in un sol corpo, regni nei vostri cuori e siate riconoscenti. La  parola di Cristo abiti riccamente in voi con ogni sapienza, istruendovi ed ammonendovi tra voi con salmi ed inni e cantici spirituali, cantando con la grazia nei cuori vostri a Dio. Quanto fate in parole ed opere, tutto fate nel nome del Signore Gesù Cristo, rendendo grazie a Dio Padre per lui „ ].

I SEGRETI DELLA CARITA’.

E’ uno dei tasti, questo della carità, che San Paolo batte più spesso e più volentieri. Nel che egli imita e persegue la tattica del Maestro divino Gesù. Pel Maestro la carità riassume la lettera della Legge e lo spirito dei Profeti: per il discepolo la carità è l’intreccio delle perfezioni. E la carità reciproca, pel discepolo come pel maestro, deve spingersi, per essere carità fino al perdono. Se non arriva lì, se deliberatamente si ferma più in qua, non è carità: è un surrogato, una imitazione, una contraffazione, forse non è carità cristiana, carità vera. Sopportarci a vicenda dobbiamo, dice con grande senso della realtà vera, quotidiana della vita; sopportarci dobbiamo se vogliamo essere caritatevoli. La sopportazione concerne i nostri difetti, grazie ai quali ci si urta l’un l’altro. È una forma di pazienza necessaria, perché gli urti nella vita sono facili, anche indipendentemente dalla nostra volontà. Pensate che per uno può diventare difetto ciò che per un altro è pregio. La calma del flemmatico è di fastidio alla vivacità del temperamento impulsivo. Bisogna sopportarci per amare. La carità è viva a prezzo di pazienza. Perciò altrove San Paolo enumerando le qualità che la carità deve avere, pone in alto, in prima linea la pazienza: «Charitas patiens est ». – Ma non basta essere tolleranti dei difetti altrui, la carità esige da noi il perdono, la condonazione. Qui non si tratta più di difetti del prossimo, cioè di qualità altrui che spiacciono a noi. Non ci sono solo le vivacità che offendono la mia flemma, ci sono gli sgarbi veri e proprî che irritano la mia coscienza; umiliazioni che offendono la mia dignità, ma le parole che so di non meritare. Ci sono le offese meditate, calcolate, volute, gratuite, dannose. Provocano lo sdegno. L’istinto grida vendetta. E all’istinto fa eco un certo senso molto egoistico di giustizia. Vendetta? No, dice il Vangelo; no, dice Paolo in nome della carità, il programma nuovo del Cristianesimo: bisogna perdonare, condonare: « Sopportatevi l’un l’altro (sono le parole testuali dell’Apostolo nell’odierna Epistola) e condonatevi l’un l’altro, se avete motivo di lagnarvi ». Ma l’Apostolo dice anche il perché di questo precetto nuovo: ci insegna il segreto, la molla di questa virtù eroica. « Come Dio ha condonato a voi, così voi reciprocamente ». Terribile motivo, travolgente. Ogni giorno abbiamo bisogno del perdono di Dio, ogni giorno facciamo appello alla Sua misericordia, per ottenerla. «Perdonaci » gridiamo nella preghiera. « Dimitte nobis debita nostra». Ma allora bisogna essere logici: non negare agli altri, ciò che si vuole, quasi si pretende per se stessi. E la preghiera. quotidiana continua implacata ed implacabile:«Sicut et nos dimittimus debitoribus nostris ». Come anche noi perdoniamo, condoniamo a chi si è fatto, si è reso nostro debitore offendendoci iniquamente. Atto eroico, atto difficilissimo questo del perdono ai nostri offensori, meno difficile quando se ne considera la misteriosa e reale giustizia e, sempre sulla scorta di San Paolo, un frutto prezioso e provvidenziale la pace. La pace è il sospiro dell’anima umana; la pace è l’atmosfera normale della vita: la pace è l’atmosfera normale della vita e della gioia.La guerra stessa, che ha i suoi fanatici non vale se non in quanto serve alla pace. Non si fa la guerra per la guerra, si fa la guerra perla vittoriosa pace, la pace nella vittoria.Ma la pace, non è, non sarà mai l’epilogo della vendetta. La vendetta ha un meccanismo fatto a catena. Una violenza, una ingiustizia produce l’altra: « Abjssum invocat … ».Il tuo schiaffo genera, in linea vendicativa, il mio pugno, il mio pugno il tuo bastone, il tuo bastone la mia rivoltella e così fino all’infinito. Dove e quando la vendetta fu costume e legge, la pace fu un mito astratto, un desiderio pio, una invocazione vana. Questa catena maledetta e infinita di rappresaglie la tronca il perdono. È un punto fermo, è un cambiamento di registro, e l’intimazione efficace di un basta colle lagrime e col sangue. Alle anime veramente caritatevoli, perché caritatevoli fino al perdono, Paolo annuncia, come ricompensa la pace di Cristo, pace lieta tripudiante. « Et pax Christi exultet in cordibus vestris.» Perché, fratelli se vogliamo la pace sappiamo come e dove procurarcela. Col perdono imparato alla scuola di Gesù Cristo. Carità, perdono, pace sono tre fili di una sola, magnifica, infrangibile corda.

P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

Graduale

Ps XLIII:8-9
Liberásti nos, Dómine, ex affligéntibus nos: et eos, qui nos odérunt, confudísti.

[Ci liberasti da coloro che ci affliggevano, o Signore, e confondesti quelli che ci odiavano.

V. In Deo laudábimur tota die, et in nómine tuo confitébimur in saecula. Allelúja, allelúja
.

[In Dio ci glorieremo tutto il giorno e celebreremo il suo nome in eterno. Allelúia, allelúia.]

Ps: CXXIX: 1-2
De profúndis clamávi ad te, Dómine: Dómine, exáudi oratiónem meam. Allelúja.

[Dal profondo Ti invoco, o Signore: o Signore, esaudisci la mia preghiera. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Matthǽum.
Matt XIII: 24-30

In illo témpore: Dixit Jesus turbis parábolam hanc: Símile factum est regnum cœlórum hómini, qui seminávit bonum semen in agro suo. Cum autem dormírent hómines, venit inimícus ejus, et superseminávit zizánia in médio trítici, et ábiit. Cum autem crevísset herba et fructum fecísset, tunc apparuérunt et zizánia. Accedéntes autem servi patrisfamílias, dixérunt ei: Dómine, nonne bonum semen seminásti in agro tuo? Unde ergo habet zizánia? Et ait illis: Inimícus homo hoc fecit. Servi autem dixérunt ei: Vis, imus, et collígimus ea? Et ait: Non: ne forte colligéntes zizánia eradicétis simul cum eis et tríticum. Sínite utráque créscere usque ad messem, et in témpore messis dicam messóribus: Collígite primum zizania, et alligáte ea in fascículos ad comburéndum, tríticum autem congregáta in hórreum meum.

[“Gesù disse questa parabola: Il regno dei cieli è simile ad un uomo, che seminò seme buono nel suo campo. Ma mentre gli uomini dormivano, venne il suo nemico e soprasseminò zizzania nel mezzo del grano e se ne andò. E quando l’erba fu nata ed ebbe fatto frutto, apparvero anche le zizzanie. E i servi del padre di famiglia vennero a lui e gli dissero: Padrone, non seminasti tu buona semenza nel campo? Donde adunque le zizzanie? Ed egli disse loro: Un qualche nemico ha fatto ciò. Ed essi a lui: Vuoi dunque che andiamo a raccoglierla? Ma egli disse: No! perché talora, raccogliendo le zizzanie, insieme con esse non abbiate a svellere anche il grano. Lasciate crescere insieme le une e l’altro fino alla mietitura, e allora dirò ai mietitori: Raccogliete prima le zizzanie e legatele in fasci per bruciarle: il grano poi riponete nel mio granaio „ ].

OMELIA

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956)

IL NEMICO, IL SUO SEME E LA SUA ORA

Un uomo aveva seminato, nel suo campo, frumento di prima qualità. Ma intanto che gli agricoltori dormivano, il nemico passò sui solchi a gettarvi la grama zizzania. Nessuno s’accorse della vendetta. Giunse la buona stagione e i grani germogliati crebbero in erba. Un giorno, tornando dai campi; gli agricoltori corsero dal padrone, pallidi per la dolorosa sorpresa. Signore nostro, tu seminasti grano scelto ed è venuto su frumento e zizania … ». «È stato il nemico! » rispose tristemente. E quelli bruciando dall’ira: «Noi ritorniamo indietro, e sterpiamo ogni mala pianta. Lo vuoi? ». « No, che mi rovineresti anche la buona pianta. Lasciate che l’una e l’altra crescano sino alla mietitura; allora io dirò ai mietitori: « Il tempo è venuto: su sterpate prima la zizzania e legatela in fasci che daremo alle fiamme. Il grano invece riponetelo nel mio granaio ». – La parabola è bella chiara. Gesù Cristo è il padrone, il mondo è il suo campo. Per questo suo campo non ha lesinato sudori e sangue e neppure la vita. Ma noi fermiamoci a discorrere del nemico, del suo seme, della sua ora. – Il nemico più forte e più accanito della nostra anima è il demonio. Inimicus autem est diabolus (Mt., XIII, 39). Egli si avvicina alle anime, — lo dice S. Giovanni — per derubarle, per ferirle, per ucciderle. Infatti, egli è il ladro del tesoro più prezioso che ciascuno porta con sé: la grazia. Egli è il feritore che aperse in noi piaghe mortali e pressoché incurabili; il peccato. Egli ancora è la perdizione di molte anime, che, sedotte dalle sue astuzie, precipitano nelle fiamme eterne. Non bisogna credere però che il demonio ci venga attorno di persona. È troppo furbo per far questo: sa di essere orribile e noi fuggiremmo da lui lontano per lo spavento. Si trasfigura in mille maniere, e più spesso sotto le apparenze di un uomo, amico o compagno o vicino di casa. Inimicus homo. – S. Teresa, già suora al convento dell’Incarnazione in Avila, s’era stretta in amicizia con una persona di cui ella non ha voluto scrivere il nome: senza dubbio era di condizione nobile, gran signora e gran dama della città. Di grave nulla vi era, ma con quella persona trascorreva lunghe ore in parlatorio, dimenticando così i rigori della sua vita monastica. Già più volte ne aveva sentito rimorso, già più volte aveva anche promesso a Dio di troncare con un taglio netto quell’amicizia: ma il suo cuore vi era così attaccato che al momento decisivo veniva a mancarle il coraggio e cedeva. «Una volta — ella narra nella sua autobiografia, — trovandomi ancora con quella persona in parlatorio, vedemmo venire verso di noi, (ed altre persone che erano là lo videro egualmente) qualcosa che assomigliava ad un enorme rospo, ma molto più leggero di quanto siano di solito questi animali. Non posso ancora comprendere come mai in pieno giorno, in quel luogo, vi potesse entrare una bestia di quella specie, né seppi mai donde venisse ». Comunque, n’ebbe tanto spavento che quella dolce e pericolosa amicizia, che le impediva i suoi doveri e la sua santificazione, fu troncata per sempre. Esaminiamo le nostre amicizie: sono tutte buone? in fondo a quella familiarità con persona di diverso sesso, non c’è forse il rospo schifoso dell’inferno? Se avessimo la grazia di S. Teresa, forse anche noi lo vedremmo avvicinarsi paurosamente dopo certi colloqui, in certe passeggiate, in certi ritrovi. Non è forse per quel compagno, per quell’amicizia che noi tante volte abbiamo peccato, tante volte abbiamo tralasciato i doveri religiosi? – Già nella coscienza abbiamo sentito rimorso, già in qualche confessione abbiamo promesso a Dio. Poi il coraggio ci è mancato. È troppo piacevole quella compagnia, è tanto dolce quell’amicizia… – Vi ricorderò la scellerata astuzia che quelli di Ioppe usavano con i Giudei ingenui. Invitarono dunque i Giudei a salire con loro sulle barche per una gita di piacere in mare: era tanta l’allegria, l’affabilità, l’amore che quei di Ioppe dimostravano, che essi entrarono in barca con le mogli e i figli, e senza alcun sospetto cantavano e ridevano. D’improvviso, tra i canti e i suoni, i falsi amici di Ioppe presero gli Ebrei e li scaraventarono in mare. Gli annegati non furono meno di duecento. (II Macc., XII, 3-4). – Al demonio quest’astuzia non è ignota. In mezzo ai canti, alle risa, ai piaceri, nelle gite di falsi amici, quanti improvvisamente han sentito la loro anima sprofondare nell’abisso del peccato e dell’inferno! – Il cuore dell’uomo è il mistico campicello di Dio. In esso ogni giorno vi semina ispirazioni buone e propositi santi, in esso frequentemente lascia cadere la sua parola che scende dalla bocca dei sacerdoti, in esso lo Spirito Santo prega e geme senza interruzione; in esso vi sono gli Angeli a custodia. Eppure, per colpa nostra, il nemico si avvicina e può scagliare la sua maligna semenza. Semenza di ribellione a Dio. « Perché gli obbedisci? — insinua il serpente nel cuore di Adamo — mangia il frutto proibito e diverrai indipendente e sovrano come lui ». Perché, insinua ancora il serpente nel nostro cuore, rispetti le leggi della Chiesa, santifichi la domenica, preghi mattino e sera?… fa quello che vuoi e sarai padrone di te. – Semenza di discordia in famiglia. « Perché il tuo fratello Abele deve essere sempre preferito, e tu lasciato in disparte? Non vedi che il suo mestiere di pasturare le greggi è senza fatiche e tu invece devi vangare la terra dura e bagnarla di sudore? uccidilo e avrai la sua parte… ». Variata, a seconda delle circostanze, ma è ancora questa la semenza che egli getta in molte case, dove i fratelli odiano i fratelli, i figli non amano i genitori, le nuore non sopportano i vecchi. – Semenza di parole cattive. Le bestemmie, i discorsi osceni, i libri impuri, i giornali senza pudore né fede, son tutta semenza dell’uomo nemico. Semenza di vizi disonesti. La storia del figlio prodigo che abbandona la casa del padre sospinto dagli amici dietro ai piaceri della carne, è vera anche ai nostri tempi. Ci sono famiglie che piangono, ci sono poveri cuori che soffrono, ci sono anime in cui il buon frumento di Dio è stato soffocato dalla zizzania delle passioni impure. – È ora di notte. Gesù è il padrone della semina nella luce del giorno pieno; ma il nemico sceglie per le sue vendette le ore della notte. Cum autem dormirent homines. « L’omicida si leva prima dell’alba e nelle tenebre compie i suoi latrocini. L’occhio dell’adultero brama l’oscurità, e nascondendo nel buio la sua faccia, dice: nessuno mi vedrà. Di notte i tristi sfondano le porte segnate di giorno. Per questa gente, come per i gufi, il giorno è noioso al pari della morte » (Giobbe, XXIV, 14-17). Quando poi Giuda si decide ad uscire dal cenacolo, per correre a vendere il Salvatore, il Vangelo osserva: « Erat autem nox ». Di notte fu compiuto dunque il peccato più grave che mai vide la terra. È ora di ozio. Ma l’ora del nemico non è appena quella della notte, ma anche quella dell’ozio. Cum autem dormirent omnes. C’è il sonno che sana e ristora le forze perdute; e c’è un’altra specie di sonno che debilita e rovina l’anima e il corpo: l’ozio. Nessuna ora è tanto propria del demonio quanto quella dell’ozio. Le immaginazioni cattive ci assalgono nei momenti di ozio. Come spiegate voi l’atto sacrilego degli Ebrei che si abbassarono ad onorare il vitello d’oro? Ce lo confida S. Paolo: «Il popolo sedette in ozi a mangiare, a bere, a divertirsi ». — E come spiegate la rovina di Davide, il re secondo il cuore di Dio? cadde nell’ora dell’ozio. Udite che arguta frase ha detto S. Tommaso da Villanova: « David in bello sanctus, in otio adulter et homicida ». Nelle opere di guerra Davide si conservò santo, nell’ora dell’ozio divenne adultero ed omicida. È ora di negligenza. Infine, l’ora del nemico, non solo è nelle tenebre e nell’ozio, ma è pure nella trascuratezza. Cum dormirent omnes. Dormono molti Cristiani e non fanno più penitenza, né dicono più alcuna preghiera: intanto il demonio semina in loro quelle tentazioni a cui non potranno resistere. Dormono molti genitori, né più si curano di custodire con pazienza i figli e le figlie: e ad un certo momento s’accorgono che non sono più né ubbiditi né amati. S’accorgono che i figli non vanno all’oratorio né alla chiesa, che le figlie fanno parlare malamente di sé. Raccogliete il monito di S. Paolo: « Vigilate et orate et state in fide » (I Cor., XVI, 13). Solo così il nemico che s’aggira attorno al nostro campo non vi potrà gettare il seme maligno. Solo così il buon frumento di Dio crescerà in spighe d’oro per il Paradiso.

– Il campo dove frumento e zizzania crescono insieme è questo mondo in cui i buoni sono misti ai cattivi, e la mistura durerà fino alla fine del mondo; gli Angeli sono i mietitori che allora faranno la grande spartizione. Questa è l’interpretazione della parola che Gesù stesso diede agli Apostoli. – Eppure, non molto tempo dopo, Giacomo e Giovanni se ne dimenticarono. Sdegnati della malignità dei Samaritani che non li lasciavano passare sul loro territorio, dissero a Gesù: « Vuoi che comandiamo al fuoco del cielo di cadere su loro e incenerirli all’istante? ». Si sentirono rispondere: « Non sapete di che spirito siete » (Lc., IX, 54-55). A quanti Cristiani, ancora oggi dopo due millenni di Cristianesimo, Gesù potrebbe ripetere il rimprovero fatto ai due figli di Zebedeo! Quando vi lamentate e dite quasi di perdere la fede perché Dio permette che i cattivi sconvolgano le nazioni, distruggano le chiese, massacrino preti e monache, violino i sepolcri, non sapete di che spirito siete. Quando vi meravigliate che Dio non faccia morire o almeno non mandi un malanno a certi impudichi, sacrileghi contenziosi che mettono scandalo e discordia tra le buone famiglie, non sapete di che spirito siete. Perché, dunque, questa sopportazione divina da lasciare crescere la zizzania in mezzo a grano fino alla mietitura? Per misericordia verso i cattivi. Per amore verso i buoni. – Un istruttivo episodio è raccontato da S. Dionigi in una lettera. C’erano in una città due pessimi soggetti che angariavano in ogni guisa un uomo pacifico ed onesto di nome Carpo. Non potendo ottenere rispetto e giustizia dagli uomini, il perseguitato la invocava da Dio, supplicandolo incessantemente a mandare la morte che gli togliesse di mezzo i due iniqui. Dio invece andò in sogno al buon Carpo. Gli pareva di vedere la bocca spalancata d’un abisso dal quale, in mezzo a fumo e a fiamme, montavano immani serpenti per avvinghiare due uomini e strapparli dall’orlo giù nel baratro. Quei due uomini erano i suoi nemici e Carpo tremava di gioia nell’attesa di vederli da un momento all’altro precipitare. Ma sollevando un poco lo sguardo vide una mano nuda, forata in mezzo alla palma e sanguinante, che si protendeva in aiuto dei due sciagurati. Capì subito che quella mano era di Cristo crocifisso, di cui nel sonno udiva anche la voce: « Sono pronto ancora a morire per la vostra salvezza ». Quando si svegliò, Carpo non fece più la preghiera per la morte degli iniqui, e non si scandalizzò più della sopportazione divina che lascia vivere i cattivi in mezzo ai buoni, che lascia trionfare a volte l’ingiusto sopra il giusto. Aveva capito tre cose che anche da noi è necessario siano capite. A noi le anime non sono costate nulla, ma al Redentore sono costate il sangue e la vita. Egli le amò fino a morire sulla croce in mezzo a spasimi atroci, ed il suo tenerissimo cuore non può lasciarle cadere nella dannazione infernale senza aver prima tentato tutte le vie per salvarle. Non vuole la punizione ma il perdono, non vuole la morte del peccatore ma che si converta e viva. Il buon pastore ha forse battuto ed ucciso la pecorella traviata? Ha forse lasciato lapidare la donna adultera? Qual è il medico che non tenta ogni risorsa fino all’ultimo per guarire l’ammalato? Gesù è il paziente medico venuto per guarire le anime malate dei peccatori. Come deve sentirsi triste e incompreso quando intorno a Lui si grida: «Falli morire! liberaci dal loro disturbo! ». Ancora risponde amaramente come ai figli di Zebedeo: « Non sapete di che spirito siete ». –  Bisogna inoltre riflettere che se Dio facesse giustizia con la impazienza voluta da molti, e lasciasse cadere nell’inferno ogni uomo appena lo meritasse, non mancherebbero poi gli scandalizzati per l’esagerata severità del Signore. Che direbbero allora quelli a cui l’inferno sembra già un supplizio incompatibile con la divina bontà? Gli uomini, agitati come sono dalle passioni, passano da un eccesso all’altro nel loro giudizio. Dio invece possiede il perfetto equilibrio dell’amore e della giustizia. Egli solo conosce tutta l’atrocità e l’eternità delle pene dell’inferno, e conosce anche la fragile tempra della nostra natura; perciò sopporta i cattivi aspettando con paterno amore la loro conversione. Ma la sua pazienza ha pure un limite, e venuto il tempo della mietitura in essa farà lampeggiare la falce della sua giustizia. La pazienza di Dio è dunque una manifestazione del suo amore e della sua giustizia. – Infine c’è da riflettere che anche noi siamo stati in qualche momento cattivi nella vita, per giorni, per anni forse, siamo stati zizzania nel campo della Chiesa. Dio non voglia che la coscienza in questo momento ci accusi d’esserlo ancora. Se l’impazienza dei servi venisse ascoltata, se la zizzania fosse sradicata nell’istante in cui è scoperta, che sarebbe di noi ora? Dove saremmo? Sia ringraziata e benedetta la misericordiosa sopportazione del Signore. – « No, aspettate! — disse il padrone del campo; — altrimenti, sradicando subito la zizzania, ne soffrirebbe pure il buon grano ». Dunque, è anche per amore del buon grano che il padrone comanda d’aspettare. Ci sono infatti dei vantaggi per i buoni nella convivenza coi cattivi. a) Il primo vantaggio è nella possibilità di una conquista d’anime. Con la preghiera, con la mansuetudine, e massime col buon esempio possono persuadere il peccatore della bellezza delle virtù, della pace misteriosa ed intima che si prova nel vivere col Signore; possono indurlo a dire: « Si isti et istæ cur non ego? ». Non è necessario salpare l’oceano per salvare anime. Nella nostra casa forse, tra i nostri parenti ed amici; tra le persone con cui ci mette in contatto la nostra professione o il nostro lavoro ci sono anime smarrite nel buio dell’incredulità, anime assetate di gioia che fanno il male nell’illusione di sentirsi felici. Che grande onore se Dio ci usasse come strumenti di redenzione e di salvezza! Che grande gloria e ricompensa in cielo se riuscissimo a convertire un cuore! « Chi farà che un peccatore si converta dal suo traviamento, salverà l’anima sua dalla morte e coprirà la moltitudine dei suoi peccati » (Giac., V, 20). b) Un altro vantaggio che deriva ai buoni dalla comunanza coi peccatori è l’esercizio e lo stimolo della virtù. La vicinanza gravosa del peccatore è la cote su cui s’affila la pazienza e la costanza del giusto. Si ode spesso dire: « Tutti i miei peccati, i miei disordini, i miei dispiaceri provengono dall’aver a che fare continuamente con un consorte ubriacone o iroso, con figliuoli ribelli, con parenti invidiosi, con padroni esosi e ingiusti, con compagni libertini e irreligiosi, con gente sfrenata nelle passioni ». Bisogna condolerci con le persone che si lamentano così, perché soffrono tutti gli incomodi di questa grave e noiosa società dei peccatori, senza però ricavarne nessun merito. Non hanno forse l’occasione di farsi simili al loro Maestro e Capo, l’Uomo umile e mite di cuore, il Dio fattosi agnello di espiazione che perdonò a tutti e pregò per coloro che lo mettevano in croce? Perché non ne approfittano? Tutto coopera al bene di quelli che amano il Signore: anche le mormorazioni, le calunnie, l’odio, le ingiustizie dei cattivi perché attraverso a simili tribolazioni, i buoni si purificano e s’innalzano. – Nel campo del Signore la zizzania cresce in mezzo al grano, e così sarà fino al giorno della mietitura. Sull’aia del Signore i chicchi di frumento son frammisti a molta paglia e pula: e così sarà fino al momento del ventilabro. Intanto domandiamoci: il Signore che scruta i cuori, mi vede come grano o come zizzania nella sua Chiesa? come chicco di frumento o come pula? Se ci vede come buon grano, ricordiamoci di vigilare per non diventare zizzania. Benché costretti a vivere in mezzo ai corrotti, teniamoci separati da loro col cuore e coi sentimenti; di sopportare con carità e con silenzio. Anche Dio ha sopportato noi quando fummo cattivi, ed ancora adesso ci sopporta perché al suo sguardo nessuno può dirsi buono; di dare buon esempio. « Siate irreprensibili e sinceri figliuoli di Dio, scevri di colpa in mezzo ad una nazione prava e corrotta, fra cui risplendete come luminari del mondo » (Phil., II, 15). – Se invece in questo momento ci vedesse come pula sulla sua aia, o come zizzania nel suo campo, convertiamoci subito. Ci sproni:

— l’esempio e la gioia dei buoni;

— l’amorosissima pazienza con cui Dio ci ha aspettati finora, ed ancora ci aspetta per stringerci al suo cuore paterno;

— il timore che il giorno della mietitura, che il momento del ventilabro sia per noi imminente. Forse sarà domani. Forse oggi stesso. – La parabola della zizzania si può benissimo applicare alla tragedia che avvenne all’inizio della storia umana. Dio è il padrone e il suo campo coltivato e seminato con amore era l’umanità. Aveva infatti creato un uomo pieno d’armonia: tutte le forze e i sensi del corpo ubbidivano all’anima, e l’anima a sua volta ubbidiva a Dio. Anzi aveva voluto abbellirlo con doni singolari di intelligenza e di volontà; non solo, ma per un atto di intelligenza ed amore immenso e incomprensibile aveva voluto farlo partecipe della sua vita divina. – Ma ecco che il nemico, in un momento di solitudine, colse l’uomo e lo indusse al peccato: il primo peccato, la prima ribellione a Dio sulla terra. La zizzania ormai era seminata. Da allora, ogni uomo che viene al mondo, sente di essere in uno stato di disarmonia e di squilibrio: i sensi tendono a ribellarsi all’anima, l’anima sedotta tende a ribellarsi a Dio. È una lotta sorda tra corpo e anima, tra anima e Dio; è una mistione di bene e di male, un ondeggiamento di luce e tenebre, una concrescita di grano e zizzania nel solco umano. – Il peccato originale è una realtà d’ogni giorno. (Ecco il primo pensiero da meditare). Di fronte a questa dolorosa realtà come si comportano gli uomini? (Ecco il secondo pensiero). Alcuni con esagerato ottimismo, altri con uno sfiduciato pessimismo. I primi proclamano che tutto è buono quel che è in noi; i secondi proclamano che tutto è necessariamente corrotto quel che è in noi. E gli uni e gli altri, per diverso motivo, s’accordano nel rinunciare alla lotta: perché  non c’è nemico da vincere, dicono i primi; perché tutto è fatalmente perduto, dicono i secondi. Gesù si pone in mezzo a costoro, e agli esagerati ottimisti dice: « Vigilate e fate penitenza »; e agli sfiduciati pessimisti dice: « Chi crede in me ha la vittoria e la vita eterna». – a) Osservate un bambino. Egli viene al mondo e i suoi buoni genitori lo circondano d’intelligenti e affettuose cure; allontanano da lui ogni cosa, ogni parola, ogni esempio che lo potrebbe male impressionare. Cresce sano e buono, già ripete con dolce trasporto le prime preghiere, già corrisponde con tenerissimo affetto all’affetto dei suoi cari; ma già si manifestano anche tendenze egoistiche, disobbedienze, bugie, pigrizie, capricci, che vuol dire questo? Non erano stati messi nel cuore soltanto semi buoni? Perché appaiono le male erbe? È che il cuore del bambino non è più una terra vergine. Il peccato originale vi ha disseminato la zizzania delle cattive inclinazioni che affiorano nell’animo quando meno ci si pensa. È verissimo che il Battesimo toglie il peccato originale, ridonando la vita divina ch’era perduta, ma ne restano le conseguenze; come quando guariti da un grave male ci trasciniamo dietro le debolezze della convalescenza. – d) Osservate un giovanetto. È vissuto finora ingenuo e pio, con negli occhi la luce delle cose belle, con nel cuore il desiderio spontaneo delle cose pure. Poi, una volta egli avverte rumore strano in sé: proprio dal fondo di quel suo cuore buono si sommuove qualcosa di torbido, e viene adagio adagio a galla, e appare nella sua laidezza accanto ai fiori dell’innocenza. Egli, per primo, è spaventato di ciò che gli è venuto in mente, lo detesta; non l’ha voluto e l’ha discacciato. Discacciato, dunque. Eppure il suo cuore già trema in un altro punto: ecco, accanto ad un gentile desiderio è sbocciato un desiderio perverso, malefico, inconfessabile. Lo vede, e s’attrista la luce delle sue pupille; egli non lo vuole, lo odia, eppure, suo malgrado, avverte una curiosità insana, una voluttà d’indugio, un fascino nefasto! – Oh! l’angoscia di questa scoperta! si ripete la dolorosa sorpresa del padrone quando intuì che nel suo campo era stata seminata la zizzania. Il peccato originale ha seminato la zizzania della concupiscenza nei profondi solchi del nostro cuore. c) Osservate un uomo. Quest’uomo sia uno dei più nobili e santi che la storia conosca: Paolo di Tarso. Grandiosi pensieri, sovrumani affetti lo trasportano a mirabili gesta, lo esaltano fino al martirio; si sente maggiore di se stesso, capace di far tutto. « Omnia Possum!». Eppure, a momenti, si ferma e trema: «Io non capisco — esclama — quello che avviene in me. Si desta una forza contro me, che vorrebbe trascinarmi a fare ciò che non voglio, e mi impedisce di fare ciò che voglio. Io, di mia vera e libera volontà, non voglio che osservare la legge di Dio; ma dalla mia carne si leva un vento furioso che cerca di rapinarmi e gettarmi contro la legge del Signore che amo. Orbene, se io faccio ciò che non voglio, c’è qualcuno in me che m’induce a farlo: chi è questo qualcuno? È il peccato… Chi mi libererà da esso? » (Rom., VII, 15-24). – Tra poco vedremo la risposta a questa implorazione pietosa; ora ci preme constatare che il peccato originale non è un male sospeso all’inizio dello storia umana, ma fluisce incessantemente nelle nostre vene. Ma come si comportano gli uomini? A) Agli esagerati ottimisti: vigilare e lottare! Tolstoi racconta un episodio infantile, profondamente psicologico. Vola, un fanciullo di otto anni, va tutto felice per incarico della mamma a portare un dolce alla nonna. Ma poco dopo il fratello maggiore trova Vola nel corridoio, che piange con un piatto vuoto fra le mani. « Perché piangi? » gli domanda. «Io — risponde il piccolo singhiozzando — io non avevo intenzione… e tutto a un tratto… per caso… (si badi a questo « per caso ») l’ho mangiato ». E la mamma credeva che tu fossi contento di portarlo alla nonna, e non desiderassi che di vederla sorridere del dono!… ». « Ma. sì, — protesta il piccino, — io ero contento davvero, e non volevo che quello. Soltanto, a un tratto, per caso… mi venne in mente di assaggiarlo. Credimi, di assaggiarlo appena… Poi, non ricordo più come sia andata… Ecco che è SUCCESSO ». E torna a piangere: i goccioloni cadono sul piatto vuoto. Il grande scrittore russo ha toccato un punto essenziale della psicologia umana: «per caso »; e v’insiste tanto bene che nella sconfitta del piccino di otto anni, noi scorgiamo in germe tanti drammi della vita. Infatti, quelli che pretendono d’agire come se la nostra natura fosse tutta integra e sana, come se il peccato originale non vi stesse in agguato per travolgerci al male, cadono nell’ingenuità di quel bambino; ma poi piangono per motivi assai più seri e per cadute assai più deplorevoli. «Io vado al cinema, alle commedie, ai balli, senza nessuna intenzione di male, soltanto per. svagarmi un poco… ». Ma poi, tutto ad un tratto, « … per caso », non si può neanche dire come avviene… una scintilla balza da sotto la cenere, una gran fiamma, e, addio virtù! si torna a casa con l’anima disfatta e con l’amarezza che opprime. «Io vado all’appuntamento sola con lui solo, passeggiamo per vie meno usate; ma non c’è nessuna intenzione cattiva, perché siamo fidanzati e i genitori lo sanno, si fidano di noi che tanto spesso ci lasciano soli in casa… ». Ma, poi, tutto ad un tratto (per caso…) e, addio virtù! verrà il giorno delle nozze e si presenteranno all’altare due cuori sciupati, infangati, insozzati; e s’illuderanno che Dio su di cuori siffatti possa fabbricare la salda struttura di una buona famiglia. «Io leggo certi giornali, certe riviste, certi romanzi, non per gusto di male ma soltanto per passatempo, per cultura… ». Ma poi c’è un punto, e si sprigiona un narcotico morboso e l’anima, non si sa come, cede. Cede e non l’intendeva, non lo voleva. Si arriva fino al punto di non distinguere più il bene dal male, il frumento dalla zizzania, e si fa d’ogni erba fascio. « È un’esigenza della natura… Soffocarla è un immiserire la vita…. A tanta perversione di giudizio conduce l’aver dimenticato che in noi ci sono le conseguenze del peccato originale, e che tutta la vita dell’uomo richiede vigilanza e mortificazione. B) Agli sfiduciati pessimisti: possiamo e dobbiamo vincere. Opposto, al comodo ottimismo di quelli che dimenticando il peccato originale giustificano tutti gli istinti della natura, v’è il pessimismo di quelli che li credono invincibili e s’abbandonano alla loro tirannia come a una fatalità. Anzitutto la fede c’insegna che il nostro Salvatore Gesù, morendo sulla croce, ci ha liberati dalla colpa originale infondendo nelle anime che credono in Lui la sua vita divina. Inoltre, ci ha meritato una tale abbondanza di grazia che ci rende capaci di superare tutte le conseguenze di una natura decaduta. Per quanto forti siano le passioni, per quanto profonde le tare ereditarie, sempre ci assiste un aiuto divino che, se vi collaboriamo con la buona volontà facendo tutto quanto ci è possibile, ci rende capaci di trionfare del male. «Chi mi libererà dalle tendenze corrotte della mia natura?» chiedeva angosciato S. Paolo. E udiva nel suo cuore la risposta che gli assicurava la certezza della liberazione: «La grazia del Signor Nostro Gesù Cristo». Con la grazia si sentiva capace di tutto: «Omnia possum». Un giorno alcuni malvagi, volendo uccidere S. Benedetto, gli presentarono da bere una coppa di vino avvelenato. Il santo fece il segno della croce sulla coppa e questa si spezzò e il vino mortifero si sparse per terra. – Un altro giorno S. Cunegonda si risvegliò per un eccessivo calore che sentiva nel sonno. Fece il segno della croce e il fuoco si spense, lasciandola illesa. Cristiani, dopo che il Figlio di Dio morì per noi sulla croce, dalla croce ci viene una forza infinita per la salvezza. Se il mondo e il demonio ci offrono la coppa avvelenata delle loro seduzioni, se le passioni provocano l’incendio intorno a noi, attacchiamoci a Cristo Crocifisso: con la preghiera, la mortificazione e la buona volontà invochiamo l’aiuto divino della sua croce, e il male non prevarrà giammai sulla nostra anima. Ma perché Gesù con la sua preziosa e sovrabbondante redenzione non ci ha liberati anche dalle perverse inclinazioni? Perché il Battesimo che ci lava dal peccato originale, non monda il nostro cuore anche dalla ripullulante zizzania? Perché bisogna ancora farsi tanta violenza per conquistare il cielo? Anche l’indemoniato di Gerasa (Mc. V, 1-20), liberato da Gesù, rivolse al Signore domande impazienti come le nostre; lo ricordate questo infelice, invaso da una «legione» di demoni, che i suoi compaesani legavano, nudo, con catene di ferro in mezzo ai sepolcri, come se si trattasse di bestia feroce? Gesù lo liberò dai molti demoni che aveva indosso; i quali s’abbatterono su una mandria di porci e la gettarono nel lago dove affogò. Quando il giovane liberato vide Gesù che se ne andava, si mise ai suoi piedi e sollevando a Lui gli occhi pieni di lacrime implorava: « Conducimi via di qui! Conducimi con te!» Ma Gesù gli rispose di restare per dar gloria a Dio in quel selvaggio suo paese. Così, Cristiani, come la sorte di quel giovane, è la nostra. Gesù è venuto, ci ha liberati dal demonio, ha infranto le catene che ci legavano al sepolcro della morte eterna, ci ha rivestiti con lo splendore dei suoi meriti, ma non ci ha ricondotti nel paradiso terrestre. – Ci ha lasciati qui a lottare, su questa terra piena di seduzione, con questo fragile nostro cuore di cui non possiamo mai fidarci. Perché? È difficile dirlo, perché la sapienza delle disposizioni divine è spesso così profonda che alla nostra mente riesce misteriosa. Certo è per un nostro più grande bene, per una sua gloria maggiore. Inoltre, bisogna riflettere che Dio non ha voluto salvarci quasi non fossimo persone dotate d’una loro volontà e capaci d’una loro azione; quasi fossimo cose inanimate e non uomini. L’Amore infinito ebbe un gran rispetto della nostra personalità; ci dona la redenzione, ma insieme ce la fa conquistare; ci offre la salvezza, ma senza toglierci l’onore e la gioia di meritarla. Pertanto, rivestiamoci con le armi della luce e della giustizia, e combattiamo senza vili compromessi, nell’attesa del suo ritorno. Quand’Egli tornerà, beato l’uomo che avrà trovato al suo posto, fedele e vigile in arme!

IL CREDO

Offertorium

Ps CXXIX:1-2

De profúndis clamávi ad te, Dómine: Dómine, exáudi oratiónem meam: de profúndis clamávi ad te, Dómine.

[Dal profondo Ti invoco, o Signore: o Signore, esaudisci la mia preghiera: dal profondo Ti invoco, o Signore.]

Secreta

Hóstias tibi, Dómine, placatiónis offérimus: ut et delícta nostra miserátus absólvas, et nutántia corda tu dírigas.

[Ti offriamo, o Signore, ostie di propiziazione, affinché, mosso a pietà, perdoni i nostri peccati e diriga i nostri incerti cuori.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Marc XI:24

Amen, dico vobis, quidquid orántes pétitis, crédite, quia accipiétis, et fiet vobis.

[In verità vi dico: tutto quello che domandate, credete di ottenerlo e vi sarà dato.]

Postcommunio

Quǽsumus, omnípotens Deus: ut illíus salutáris capiámus efféctum, cujus per hæc mystéria pignus accépimus.

[Ti preghiamo, onnipotente Iddio: affinché otteniamo l’effetto di quella salvezza, della quale, per mezzo di questi misteri, abbiamo ricevuto il pegno.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

DOMENICA IV DOPO L’EPIFANIA (2022)

Domenica IV dopo l’EPIFANIA (2022)

Semidoppio. – Paramenti verdi.

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Il Vangelo è tratto dallo stesso capo del Santo Vangelo della terza Domenica dopo l’Epifania. È il racconto di un nuovo miracolo. Gesù manifesta la sua divinità comandando ad elementi potenti ed indocili come le acque sconvolte ed i venti scatenati. E « l’Evangelista fa risaltare l’importanza del prodigio, opponendo alla grande agitazione delle onde », « la grande calma che ne segue » (Vang.). Ma è nella Chiesa che si esercita la regalità divina di Gesù; così i Padri hanno visto nei venti che soffiano in tempesta un simbolo dei demoni di cui l’orgoglio suscita le persecuzioni contro i Santi, e nel mare tumultuoso le passioni e la malvagità degli uomini; cause delle trasgressioni ai comandamenti e delle lotte fraterne. Nella Chiesa, al contrario, regna la gran legge della carità perché, se i tre primi precetti del Decalogo ci impongono l’amore di Dio, altri sette ci impongono, come conseguenza logica, l’amore del prossimo (Ep.). Dio infatti è nel prossimo perché, mediante la grazia siamo in certo modo il complemento del corpo di Cristo. È questo il mistero dell’Epifania. Gesù si rivela Figlio di Dio e tutti quelli che riconoscendolo tale, lo riconoscono loro Capo, divengono membri del suo Corpo mistico. Formando tutti un solo corpo nel Cristo, i Cristiani devono anche amarsi reciprocamente. Questa barca, dice S. Agostino, rappresenta la Chiesa la quale manifesta nei secoli la divinità di Cristo. È infatti alla protezione del Salvatore che Essa deve « malgrado la sua fragilità » (Or. Sec), se non è inghiottita in mezzo a tanti pericoli che la minacciano (Or.). Gesù, dice S. Giov. Crisostomo, sembra che dorma per costringerci a ricorrere a Lui, e salva sempre quelli che lo invocano.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XCVI:7-8 Adoráte Deum, omnes Angeli ejus: audívit, et lætáta est Sion: et exsultavérunt fíliæ Judae.

[Adorate Dio, voi tutti Angeli suoi: Sion ha udito e se ne è rallegrata: ed hanno esultato le figlie di Giuda.]

Ps XCVI:1 Dóminus regnávit, exsúltet terra: læténtur ínsulæ multæ.

[Il Signore regna, esulti la terra: si rallegrino le molte genti.]

Orémus

. Deus, qui nos, in tantis perículis constitútos, pro humána scis fragilitáte non posse subsístere: da nobis salútem mentis et córporis; ut ea, quæ pro peccátis nostris pátimur, te adjuvánte vincámus.

[O Dio, che sai come noi, per l’umana fragilità, non possiamo sussistere fra tanti pericoli, concédici la salute dell’anima e del corpo, affinché, col tuo aiuto, superiamo quanto ci tocca patire per i nostri peccati.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános.

Rom XIII: 8-10

Fratres: Némini quidquam debeátis, nisi ut ínvicem diligátis: qui enim díligit próximum, legem implévit. Nam: Non adulterábis, Non occídes, Non furáberis, Non falsum testimónium dices, Non concupísces: et si quod est áliud mandátum, in hoc verbo instaurátur: Díliges próximum tuum sicut teípsum. Diléctio próximi malum non operátur. Plenitúdo ergo legis est diléctio.

[Lettura della Lettera del B. Paolo Ap. ai Romani. Rom XIII:8-10 – Fratelli: Non abbiate con alcuno altro debito che quello dell’amore reciproco: poiché chi ama il prossimo ha adempiuta la legge. Infatti: non commettere adulterio, non ammazzare, non rubare, non dire falsa testimonianza, non desiderare, e qualunque altro comandamento, si riassumono in questo: Amerai il tuo prossimo come te stesso. L’amore del prossimo non fa alcun male. Dunque l’amore è il compimento della legge.]

L’Apostolo aveva esortato i Fedeli di Roma ad obbedire ai principi della terra, a pagar loro il tributo, e rendere a ciascuno tutto quanto gli si deve: perciò conclude così: non vi resti altro debito con nessuno, se non quello dell’amore che ci dobbiamo sempre gli uni agli altri: La carità è un debito perpetuo, che il vero Cristiano paga sempre, né se ne affranca mai. Non vi è nessuno dei nostri fratelli che noi non dobbiamo amare; nessuno che non dobbiamo amar sempre. Può alcuno rendersi indegno della mia affezione per i suoi portamenti sregolati, viziosi, da ingrato, anche scandalosi, ma non potrebbe liberarmi dall’obbligo di amarlo: posso io disapprovare i fatti suoi, condannarne i mali costumi, ma non sono meno obbligato d’amare la sua persona. È un dovere di religione, da cui nulla può dispensarmi; è un comandamento eguale a quello di amare Dio, così positivo, così determinato, così permanente e così fermo.

Aspirazione. O divino Gesù, versate in cuore a noi lo spirito dì carità, sicché, la vostra grazia facendoci camminare sulle vostre orme, noi adempiamo fedelmente il precetto dell’amore del prossimo.

(L. Goffiné, Manuale per la santificazione delle Domeniche e delle Feste; trad. A. Ettori P. S. P.  e rev. confr. M. Ricci, P. S. P., Firenze, 1869).

Graduale

Ps CI:16-17 Timébunt gentes nomen tuum, Dómine, et omnes reges terræ glóriam tuam.

[Le genti temeranno il tuo nome, o Signore: tutti i re della terra la tua gloria.]

Quóniam ædificávit Dóminus Sion, et vidébitur in majestáte sua. Allelúja, allelúja.

[Poiché il Signore ha edificato Sion: e si è mostrato nella sua potenza. Allelúia, allelúia]

Alleluja

Ps XCVI:1 Dóminus regnávit, exsúltet terra: læténtur ínsulæ multæ. Allelúja.

[Il Signore regna, esulti la terra: si rallegrino le molte genti. Allelúia.

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthaeum.

Matt VIII:23-27

“In illo témpore: Ascendénte Jesu in navículam, secúti sunt eum discípuli ejus: et ecce, motus magnus factus est in mari, ita ut navícula operirétur flúctibus, ipse vero dormiébat. Et accessérunt ad eum discípuli ejus, et suscitavérunt eum, dicéntes: Dómine, salva nos, perímus. Et dicit eis Jesus: Quid tímidi estis, módicæ fídei? Tunc surgens, imperávit ventis et mari, et facta est tranquíllitas magna. Porro hómines miráti sunt, dicéntes: Qualis est hic, quia venti et mare oboediunt ei?”

[In quel tempo: Gesù montò in barca, seguito dai suoi discepoli: ed ecco che una grande tempesta si levò sul mare, tanto che la barca era quasi sommersa dai flutti. Gesù intanto dormiva. Gli si accostarono i suoi discepoli e lo svegliarono, dicendogli: Signore, salvaci, siamo perduti. E Gesù rispose: Perché temete, o uomini di poca fede? Allora, alzatosi, comandò ai venti e al mare, e si fece gran bonaccia. Onde gli uomini ne furono ammirati e dicevano: Chi è costui al quale obbediscono i venti e il mare?]

OMELIA

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956)

LA TRIBOLAZIONE

Giù dalle colline di Tiberiade e di Magdala precipitò improvviso un colpo di vento che si rovesciò sul lago. Corse un fremito per tutto lo specchio dell’acqua; una povera barca sorpresa remeggiava disperatamente per raggiungere la sponda. Il primo colpo di vento fu ben presto seguito da un secondo, da un terzo, e l’uragano diventò spaventoso. Pochi minuti prima; com’era delizioso il lago di Genezareth! L’ora del tramonto, la quiete dei colli in giro, la. frescura vespertina e non so quale profumo di purezza e di poesia riempivano l’anima di un vago benessere. E Gesù s’era messo in barca con gli Apostoli e poi s’era sdraiato appoggiando il capo sul cuscino dei rematori: la stanchezza d’una giornata operosa, il ritmico batter dei remi gli conciliarono il sonno e s’addormentò. E dormiva anche allora che la selvaggia tempesta mugghiava, e la notte era discesa a far più terribile quell’ora. Ad un tratto la barca, trascinata in un vortice, fece acqua da tutte le parti: i discepoli, per quanto avvezzi al mare, presi dallo spavento si gettarono sul Maestro scotendolo dal sonno, « Signore! salvaci che affondiamo ». Gesù rispose: « Gente di poca fede, di che avete paura? ». Senza turbarsi, si levò nel vento e nell’oscurità della burrasca, e disse: « Placati! ». E fu la bonaccia. – La vita è come un mare che dobbiamo attraversare su d’una fragile barchetta per raggiungere, all’altra sponda, il nostro eterno destino. Ma più spesso che sul mare, intorno a noi si scatena la tempesta delle tribolazioni e cerca di sommergerci. Ci sono delle ore in cui viene spontaneo il grido disperato dell’Idumeo: « Maledetto il giorno in cui si disse: è nato un uomo ». Ci sono delle ore così fosche che la fede nella Provvidenza vacilla e s’odono Cristiani, e perfino delle buone mamme di famiglia, bestemmiare contro la giustizia di Dio, negarne l’esistenza, buttarsi in preda alla disperazione. « Che cosa ho fatto di male? Dio è ingiusto. — Meglio fare il Barabba che si è più fortunati. — Se Dio è buono perché non m’aiuta? — Oh, se ci fosse davvero questo Dio… ». Non le avrete forse pronunciate anche voi, nella vostra vita, queste bestemmie? Modicæ fidei! gente di poca fede. – Per trovare la forza di sopportare le tribolazioni bisogna aver tanta e viva fede, poiché la fede ci persuade di due cose: la tribolazione viene da Dio, la tribolazione riconduce a Dio. LA TRIBOLAZIONE VIENE DA DIO. Non si parla mai di tribolazione senza ricorrere all’antico esempio di Giobbe. Come mai questo patriarca, che pur era un uomo come noi, seppe portare santissima pazienza e rassegnazione fra tutte le sciagure che l’opprimevano? Un giorno gli arriva in casa, trafelatissimo, un servo e gli dice: «I Sabei hanno rapito i buoi che aravano e gli asini che pasturavano; hanno passato a fil di spada i tuoi servi: io solo sfuggii per miracolo ». Parlava ancora costui che ne arrivò un altro: « Un fulmine ha incendiato il tuo ovile con tutte le pecore e con tutti i servi: io solo sono qui per miracolo ». Non aveva ancora finito che ne sopraggiunge un terzo: « Mentre i tuoi figli e le tue figlie banchettavano in casa del loro fratello maggiore, il vento ha rovesciato la casa seppellendoli sotto: io solo fui salvo, per miracolo ». Allora Giobbe stracciò il suo mantello, si prostrò a terra, adorò il Signore e disse: « Nudo son nato e nudo morrò. Il Signore ha dato, il Signore ha tolto: sia benedetto il Signore » (Iob., 1,21); il Signore! dunque non i Sabei, non il fulmine, non il vento, ma Dio gli mandava i dolori. E quando perderà la salute, che perfin la moglie lo deriderà per la sua fiducia nella Provvidenza, egli saprà risponderle: « Tu parli come una donna stolta. Come dalle mani di Dio riceviamo volentieri le consolazioni, così dalle mani di Dio dobbiamo ricevere volentieri anche le tribolazioni ». Ecco il segreto che diede forza a Giobbe, che può dar forza anche a noi: ogni tribolazione vien da Dio, e dalle mani di Dio tutto si deve prendere volentieri perché è nostro padrone ed è nostro padre. Dio è Padrone: di noi, dei nostri cari, dei nostri beni; ed il padrone delle sue cose può far ciò che vuole, darne a noi o togliercele; donarci la salute e privarcene; metterci a fianco una persona amata e riprenderla quando a lui piace. Noi, sue povere creature, dobbiamo dire sempre: sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra. – Dio è Padre: che ci ama, che vuole il nostro bene anche quando ci tormenta e ci fa piangere. Ho assistito una volta ad una vaccinazione di bambini. Le mamme stesse li portavano: ma i piccoli strillavano, sferravano i piedini come per fuggire dalle braccia materne, graffiavano, piangevano: « Mamma, cattiva cattiva ». Ma le mamme non si lasciavano commuovere e denudavano le braccine rosee e le sottoponevano alla lancetta pungente del dottore, perché le scalfisse fino al sangue. Così Dio fa con noi: ci sottopone alla vaccinazione del dolore, perché sa che è necessaria per scampare dalla malattia del peccato. Sotto l’angoscia noi, come un bambino che non capisce ancora, ci rivoltiamo contro Lui quasi a graffiarlo, ma il Signore che, come una mamma, vede più in là di quel che possiamo veder noi, non si lascia commuovere. Noi, quando entreremo in Paradiso e conosceremo ogni cosa, esclameremo: « Benedetta la severità di Dio! ». – Gesù Cristo, fratello nostro maggiore, ha sopportato tribolazioni infinite: la fatica, il disprezzo, la calunnia, il tradimento, la flagellazione, gli sputi negli occhi, la croce. Chi l’ha sostenuto nell’atroce martirio? Chi gli ha dato animo a bere l’amarissimo calice fino alla feccia? Il pensiero che quel calice glielo dava da bere suo Padre Iddio. Calicem quem dat mihi pater non bibam? – LA TRIBOLAZIONE CI RITORNA A DIO. Manasse, salito al trono di Giuda a dodici anni, corteggiato ed onorato da un popolo, nell’abbondanza dei favori divini, fece il male in cospetto al Signore. Alzò altari a Baal, piantò boschetti per gli idoli, riedificò le statue del demonio distrutte già da Ezechia, suo padre. Giunse perfino a mettere sulle braccia infocate di Moloch un suo figlio, e a lasciarlo bruciare in sacrificio al mostro. Il Signore allora suscitò gli Assiri che invasero il regno dell’empio re. Manasse, colto d’improvviso, fu vinto, preso, legato, trascinato a Babilonia. Nell’esilio obbrobrioso, il re prigioniero, solo e disprezzato, s’accorse che la mano di Dio gravava sopra il suo capo. Allora soltanto si ricordò del Signore, e si rivolse a Lui e lo scongiurò ad usargli misericordia. Postquam coangustatus est, oravit ad Dominum Deum suum. (II Par., XXXIII, 12). Così è di noi pure: quando siamo fortunati, quando la salute è buona e gli affari vanno bene, ci dimentichiamo di Dio come di una cosa inutile; e spesso calpestiamo la sua legge e viviamo lontani da Lui che ci ha creati. Ci vogliono le tribolazioni per aprirci gli occhi, per ricondurci a Dio. Non fu così, e sempre, anche del popolo di Israele? Quando Dio lo colmava di favori, il popolo cadeva nell’idolatria: incrassatus, impinguatus dereliquit Deum Factorem suum (Deut. XXXI, 15). Ma poiché il Signore riempì di tribolazione e di morte il suo cammino, ritornò a rifugiarsi nel suo Dio.Talvolta Iddio manda la tribolazione ad innocenti bambini, a uomini vissuti sempre nella giustizia; allora essa è una prova che Dio manda per accrescere i meriti dei suoi amici. Dio è come un padrone che fa lavorare molto quelli che vuol compensare molto.La tribolazione può essere anche un purgatorio terreno, col quale Iddio purifica le anime elette da ogni ombra di colpa, per riserbare ad essi nient’altro che gioia e premio; mentre la prosperità degli empi è un piccolo premio del poco bene che han fatto quaggiù, e dopo morte non avranno che dolore e castigo. – Dopo il martirio di S. Stefano, scoppiò in Palestina una persecuzione contro i Cristiani. Lazzaro, il resuscitato, le sorelle Maria Maddalena e Marta, avevano venduto la loro casa e i loro beni per beneficare i poveri e giravano di paese in paese predicando il Vangelo del Signore. Ben presto furono presi e imprigionati e poiché essi non volevano desistere dal predicare, e d’altra parte i Giudei non sapevano come farli tacere, li misero, legati, sopra una barcaccia vecchia e sconnessa e con loro posero anche Cedonio, il cieco nato guarito da Gesù; e poi li tirarono in alto mare. E là, smarriti sulle acque, legati nella barca che cigolava per ogni connessura, senza remi e senza vela, li abbandonarono alla mercé delle onde. Vennero le tenebre, soffiarono i venti, muggirono le procelle, ma sulla barca vi erano dei sinceri Cristiani che avevano in cuore una fede, e non perirono. Un mattino nel golfo di Marsiglia entrava una vecchia barcaccia, senza vela e senza remo. I curiosi che accorsero, videro legate in essa alcune persone preganti, con la serenità negli occhi e sulla fronte. Tirarono a secco la barca ed estrassero i prigionieri, Lazzaro, il risuscitato, le sorelle Maria e Marta, Cedonio, il cieco nato che riebbe la vista. Appena toccarono terra elevarono al cielo le mani e gridarono: « Gesù! ». Cristiani, quand’anche noi in qualche giorno della vita ci trovassimo come in un alto mare di tribolazioni, senza vela e senza remo, non perdiamoci di fede. Quella fede che ci fa conoscere come il dolore viene da Dio per ricondurci a Dio sarà la nostra forza, la nostra rassegnazione, la pazienza nostra fin che non entreremo nel porto del regno del cielo. Allora, toccando quella gioia senza confine, proromperemo in un grido di riconoscenza e d’amore: « Gesù! ».

– GESÙ E LE TEMPESTE DELLA CHIESA. La barca del lago di Genezareth, montata da Gesù e dai suoi primi discepoli, guidata da Pietro, rappresenta bene la Chiesa che ha ricevuto la missione divina di raccogliere nel suo grembo le anime, di condurle dalla riva della terra alla beata riva del cielo, senza lasciarle naufragare nei flutti ringhiosi e minacciosi provocati dalle passioni, « venti contrari alla vita serena ». Appena la navicella della Chiesa fu allestita e i primi passeggeri furono a bordo, già una furiosa tempesta l’assaliva. Era la collera dei Giudei che, illusi d’aver soffocato il Cristianesimo, avendo crocifisso il Cristo, non potevano sopportare di vederlo crescere ed espandersi sotto i loro occhi. S. Giovanni e S. Pietro furono imprigionati, S. Giacomo ucciso, Santo Stefano lapidato. A pochi passi dalla riva, la nave della Chiesa già pareva dovesse venir travolta. Ma Gesù si svegliò e fece un segno: Giovanni e Pietro evasero dalla prigione, dal sangue di Giacomo e Stefano germogliarono innumerevoli Cristiani. Paolo si convertì. Intanto da Roma giungevano le legioni imperiali a distruggere nel fuoco e nel sangue la nazione giudaica. E la barca della Chiesa prendeva il largo e continuava il suo cammino. Ed ecco una seconda tempesta, assai più violenta e lunga. Quella Roma che aveva rovesciato tutti i troni e i regni del mondo, aveva giurato di sommergere anche la barca di Pietro. Per tre secoli la Chiesa fu combattuta come la peggior nemica dell’Impero Romano; per tre secoli fu sparso il sangue dei Cristiani. Ma Gesù si risvegliò e fece un segno; allora l’imperatore Giuliano vinto e moribondo sul deserto orientale si strappa le bende e lancia in alto una manata di sangue, confessando la propria sconfitta. « Galileo, hai vinto tu! »; allora l’imperatore Costantino a Roma vede nel cielo sfolgorante la croce col motto: « Con questo segno vincerai », e proclama la libertà della Religione Cristiana. Intanto dalle nebbie e dalle selve nordiche discendono le orde barbariche a punire l’orgoglio romano. E la Chiesa? prende il largo sempre più, e procede per il suo cammino provvidenziale. L’islamismo sollevò un’altra paurosa procella contro la Chiesa, e s’avanzava per terra e per mare, minacciando di travolgere tutta la civiltà cristiana. Ma Gesù sì risvegliò e fece un segno: a quel segno l’Europa tutta si raduna e si precipita contro il colosso maomettano, l’arresta, l’infrange. Sulle acque di Lepanto la barca di Pietro passava vittoriosa, verso nuove conquiste. E già c’era sull’orizzonte una nuova bufera. Lutero, Calvino, Zuinglio avevano strappato dall’unità della fede popoli interi, bruciando chiese, devastando monasteri, insultando e massacrando preti e religiosi. La Germania; l’Inghilterra, la Svezia, la Danimarca, si levano contro la Chiesa. Ma Gesù si sveglia e fa un segno: ecco numerosi Santi rinnovarono lo spirito della carità e della verità; ecco un Concilio, il più grande di quanti ve ne furono, si raduna a Trento, condanna l’errore, definisce nettamente la verità e la morale religiosa. Intanto da Roma partono drappelli di missionari per l’Asia e l’America a conquistare nuove provincie all’impero dell’Amore, e la barca di Pietro si riempie di nuovi passeggeri, più numerosi dei disertori, prosegue la traversata dei secoli, sicura e possente. Ed ecco, poco più di duecento anni or sono, una filosofia incredula e una sanguinosa rivoluzione assaltare di nuovo la Chiesa con scaltrezza, disprezzo, calunnie, lenze inimmaginabili. E poi ecco un Cesare, Napoleone, novello arbitro del mondo, che sogna d’incatenare Pietro e la Chiesa e di avvinghiarli al carro del suo trionfo. Gesù si sveglia: Napoleone muore sull’isolotto di S. Elena e pensa al Dio invincibile davanti al quale aveva osato misurarsi, folle d’orgoglio; e il Papa a Roma guida di nuovo la barca della salvezza ai porti predestinati. Oggi ancora la Chiesa di Dio è assalita da ogni parte, in ogni maniera. Il Santo Padre, vecchio e dolente, leva il suo fievole gemito che fa tremare i cuori di tutti gli uomini. « Dagli estremi confini dell’Oriente sino all’ultimo Occidente — dice il Papa — giunge a noi il grido dei popoli, in cui Re e Governi veramente hanno congiurato insieme contro il Signore e contro la sua Chiesa. Vedemmo calpestati i diritti divini ed umani, i templi distrutti dalle fondamenta, religiosi e le sacre vergini scacciate dalle loro case, imprigionati, affamati, afflitti da obbrobriose sevizie; le schiere dei fanciulli e delle fanciulle strappate al grembo della Madre Chiesa, spinte a negare e a bestemmiare Cristo, e condotte ai peggiori delitti della lussuria; tutto il popolo cristiano minacciato, oppresso, in continuo pericolo di apostasia della Fede e di morte anche la più atroce ». (Da un discorso di Pio XI). – Quando si sveglierà Gesù? Noi non sappiamo né quando, né come Gesù si sveglierà. Forse tra poco e forse ancora fra molto. Questo è certo: che si sveglierà e le porte dell’inferno non prevarranno. In questa fermissima certezza noi gemiamo nella speranza, attendiamo, nella rassegnazione il giorno della vittoria e dell’amore. – GESÙ E LE TEMPESTE DELL’ANIMA. La vita dell’uomo è ben simile alla traversata, più o meno lunga, d’un lago: ogni momento ci stacchiamo remando da questa riva del tempo e ci avviciniamo alla sponda dell’eternità. Questa navigazione da principio è calma e felice come fu per gli Apostoli sul lago di Genezareth. In realtà gli anni della fanciullezza sono pieni di dolci sogni popolati da immagini soavi e gioconde. La terra è un paradiso terrestre per l’ingenuo fanciullo, a cui ogni cosa par nuova e bella, ed ogni giorno porta una promessa. I venti delle passioni e i marosi delle preoccupazioni dormono ancora, e le acque della vita scintillano tranquille e serene. Ma vien poi la giovinezza con i tumulti interiori, con i desideri violenti; viene la virilità con gli sconforti e crucci. Dal lago del cuore, che nella fanciullezza innocente pareva un limpido specchio, sono balzati rapidi venti, le onde grosse e minacciose: l’anima sbigottita si è trovata impotente di fronte a tanta forza avversa, si è sentita rapita verso l’abisso. Chi nella sua giovinezza non ha tremato per queste tempeste? Chi non fa tuttora la dura esperienza delle tentazioni e delle tribolazioni? E forse un giorno, l’anima s’è dimenticata di svegliare Gesù, e s’è lasciata trasportare da un furiosa ventata fuori della barca. Può darsi che siano anni e anni e molte anime naufragano in balìa delle passioni, senza più nessuna forza di resistenza, senza più nessuna speranza. Nel loro cuore il Gesù dell’infanzia felice, il che sulle ginocchia della madre hanno pregato, che hanno visto nei puri sogni a fanciullezza, che hanno atteso nella notte santa del Natale trattenendo il respiro nella speranza che si lasciasse scorgere nel deporre i doni, quel Gesù è sepolto in un sonno profondo che pare di morte. Sarà possibile risvegliarlo ancora dopo tant’anni? E se non sì risvegliasse più, che sarebbe ormai la vita? un naufragio. Non so dove l’abbia letto, ma in mente mi sta un racconto assai significativo. Quando i briganti Cinesi invasero il villaggio di Fiordaprile, il missionario dovette fuggire, ed ogni segno di religione fu cancellato. Anche la chiesetta fu ridotta ad abitazione del capo dei briganti. Dopo decine d’anni quel villaggio era ritornato pagano e più nessuno aveva memoria della santa Religione cristiana. Solo era rimasta una strana costumanza, che i padri insegnavano ai figli, e si tramandava di generazione in generazione. Passando davanti a un fianco di quella che era stata una chiesa, tutti si fermavano un istante, inchinavano rispettosamente la testa, e poi proseguivano; ma nessuno sapeva dare spiegazione. Un giorno passò nel villaggio di Fiordaprile un nuovo missionario e intuì in un fabbricato, nonostante le deformazioni, le linee d’una chiesa cristiana; e fece scrostare cautamente la calce da quel punto del muro verso il quale tutti solevano inchinarsi. Apparve la figura di Gesù sorridente, con le braccia aperte all’amplesso. – Cristiani, se le passioni come briganti selvaggi hanno invaso il villaggio dell’anima vostra, se il peccato ha detronizzato Iddio, ha cancellato ogni santo segno, non di meno voi non avete cessato dal rendere omaggio, tratto tratto almeno, alla Religione della vostra fanciullezza. Era un desiderio in certi momenti più forte di ogni cupidigia, era un’aspirazione insoffocata del cuore che a volte tornava a galla. Come il missionario della terra cinese, io scopro oggi in tante anime naufragate nella loro coscienza le linee del tempio di Dio, i segni sommersi del loro Battesimo. Raccoglietevi, Cristiani, scrostate con un buon esame di coscienza, con una santa confessione la calce del peccato e delle abitudini cattive. Riapparirà Gesù sorridente con le braccia aperte all’amplesso. Da troppo tempo Egli dorme, sommerso nelle profonde dimenticanze del vostro cuore; risvegliatelo coi gridi di una preghiera veemente e fiduciosa. Se Egli si sveglia, sarete salvi dalla tempesta. Nel Vangelo, si legge di alcune barche che seguivano sul lago quella di Gesù: Et aliæ naves erant cum illo (Mc., IV, 36). Di esse che è avvenuto? Non si sa. Fin che il lago restò in bonaccia esse, probabilmente, seguirono Gesù; ma al primo discatenarsi dei venti l’abbandonarono. C’è da temere che siano state travolte. Con Gesù si teme e si soffre per la tempesta, ma alla fine c’è salvezza e felicità. Quelli che per timore dei sacrifici al momento della tentazione o della tribolazione scappano indietro verso la riva del piacere trovano la morte e l’infelicità eterna. – Si dice che durante i temporali, S. Tommaso si rifugiasse in chiesa e si tenesse abbracciato al tabernacolo. Fuori il vento selvaggio ululava, la grandine crepitava sui tetti e contro i vetri, tra lampo e lampo rombavano paurosamente i tuoni. Ma egli stava sereno e sicuro: era con Gesù. Non altrimenti dobbiamo fare noi, o Cristiani, quando nel cielo della vita passano le burrasche: bisogna stringersi a Gesù. Egli non può perire, perciò tutti quelli che a Lui s’attaccano saranno salvi. Questo è il principale insegnamento che dobbiamo ricavare dal Vangelo che oggi leggiamo.  La navicella fragile è il simbolo dell’anima nostra che naviga sull’acque della vita; talvolta le tentazioni con una rabbia violenta sollevano la burrasca intorno ad essa, minacciandola di sprofondarla nel peccato. Guai se in quegli istanti non s’aggrappa a Gesù! Navicella fragile è anche la nostra famiglia che naviga sui flutti degli anni e delle vicende umane: ma talvolta le tribolazioni con soffocante assiduità sollevano la burrasca e cercano di sprofondarla nella disperazione. Guai se in certe ore di dolore e di lacrime amare non si avesse la fede in Gesù. Navicella fragile che porta Pietro e gli Apostoli è specialmente la Chiesa Cattolica; ma talvolta le persecuzioni, con diabolica perfidia, sollevano la burrasca per travolgerla, e sconquassarla se fosse possibile. Una volta fu la burrasca di sangue, poi quella delle eresie, oggi è quella dell’immoralità e del materialismo ateo. Guai se tutti i giorni Gesù non fosse con Essa! Ecco, dunque, tre pensieri da meditare: tre tempeste. Tempesta nell’anima: la tentazione. Tempesta nella famiglia: la tribolazione. Tempesta nella Chiesa: la persecuzione. – Ma noi accontentiamoci di indugiare sulle prime due. LA TENTAZIONE. Questa procella minacciosa per la nostra salvezza può essere agitata dal demonio, dalla carne, dal mondo. – Il demonio. Molti non ci credono più e lo dicono una fandonia dei nostri vecchi, ma non sanno quegl’infelici che l’ultima astuzia del demonio è quella di farsi credere morto. Raccontano che nell’Africa ci sono degli orsi che vanno alla caccia delle scimmie; ma queste, assai più snelle, come vedono le irsute fiere avanzarsi, si rifugiano sulla cima degli alberi. L’orso impotente, che fa allora? Distende la sua massa carnosa sotto la pianta e fa il morto. Ma appena le improvvide scimmie discendono al basso, di scatto si rizza, le azzanna, le sbrana. Io non so se gli orsi fan proprio così, ma son certo che proprio così fa il demonio a divorare le anime. E quelle che di lui non hanno più paura, e non temono di annegare nella burrasca delle sue tentazioni, credetelo, sono già sua preda sicura. Il demonio odia Iddio che per lui ha creato l’inferno, ma contro Dio nulla può fare. Odia gli uomini che, inferiori a lui per natura, potranno un giorno entrare in quel Paradiso da cui fu scacciato: ma contro di essi egli può molto, e se l’ascoltano, quando mette in mente laide fantasie e dubbi e bestemmie, può rovinarli per sempre. Non temiamo: alle tempeste del demonio ci salveremo sempre se con giaculatorie e preghiere desteremo Gesù che dorme sulla fragile navicella dell’anima nostra. Guardate il figliuolo di Tobia: in cammino verso un paese lontano, era entrato nel Tigri a lavarsi i piedi. Quando ecco un mostro discendere lungo la corrente per avventarsi contro lui e divorarlo. « Signore! — invocò il giovane — salvami, che mi viene addosso ». Bastò questo grido a salvarlo. Basta anche una giaculatoria, se detta con fede e amore, a salvarci dal nemico che come mostro discende contro di noi per divorarci: Resistite fortes in fide! – La carne. Dopo il peccatore originale la nostra carne cerca di ribellarsi al nostro spirito. E come un’acqua in tempesta, così essa si solleva a ondate contro di noi; e vuol soddisfare ai piaceri della gola fino a sentirsi male; e vuol soddisfare alla quiete floscia della pigrizia fino a trascurare il dovere; e vuol soddisfare alla bassa sensualità fino ai peccati più nefandi. Per salvarci dalla tempesta della nostra carne bisogna risvegliare Gesù con la mortificazione. Mortificare la gola con qualche rinuncia volontaria, col fuggire l’intemperanza, l’ubriachezza. Mortificare la pigrizia con alzarsi presto alla mattina per venire ogni giorno, se è possibile, alla Messa, con vincere il sonno alla sera per recitare devotamente il rosario e le preghiere. Mortificare soprattutto la passione impura. – Il mondo. Il demonio è un gran nemico, ma il mondo è più terribile ancora. Il mondo è tutto in malignità (I Giov., V, 19). Il mondo è un mare d’impudicizia ove annegano e l’anime e i corpi. È un mare più spaventoso di quello in cui una volta perì Faraone, sepolto nei flutti con tutta l’armata. Gesù per tutti ha pregato, per gli amici e per i nemici, perfino per i suoi crocifissori; solo per uno ha negato la sua preghiera: per il mondo. Non pro mundo rogo (Giov., XVII, 9). Ed il mondo ha mille mezzi per sommergere nella sua onda limacciosa la navicella dell’anima nostra. Ha le compagnie cattive, più maligne del demonio, perché non si possono mettere in fuga con le giaculatorie; ha i libri e le illustrazioni immorali che non arrossiscono nel dipingere le scene più corrotte; ha i divertimenti, i balli, i ritrovi… Chi vuole scampare dal naufragio, deve fuggire il mondo per accorrere a Gesù. E Gesù dorme nel silenzio della Chiesa, nella pace della nostra casa. Fortunati quelli che conoscono soltanto la strada della casa. e della Chiesa! – LA TRIBOLAZIONE. Ecco un’altra specie di tempesta che frequentemente solleva i suoi marosi in giro alla nostra famiglia, e ci fa tremare e ci fa piangere. Ora è la malattia, ora è la morte che si porta via le persone più care; or sono gli affari imbrogliati, ora è la miseria; talvolta sono le calunnie, il disonore, l’odio. Ricordiamo innanzi tutto che la tribolazione viene da Dio. Un servo si lamentava col suo padrone di essere dimenticato, di essere mal ricompensato, di essere mal tratatto. Il padrone ascoltò tutto in silenzio, e poi gli rispose: « Senti, cosa vuoi di più? Ti ho sempre trattato come il mio figliuolo, anzi meglio in certe occasioni, e ti lamenti? con qual coraggio? ». Davvero che a tante donne, a tanti Cristiani che imprecano la Provvidenza, Iddio potrebbe rispondere con le parole di quel padrone: « Senti, cosa vuoi di più? Ti ho sempre trattato come il mio Figliuolo Gesù Cristo, anzi meglio: a te non ho dato la corona di spine, non ho dato la flagellazione, la morte di croce. Tu sei più ricco di Lui che non aveva un sasso per dormire, tu sei più onorato di Lui ché non ti hanno ancora chiamato rivoluzionario e non ti hanno ancora sputato negli occhi. Che cosa vuoi di più? ». Ricordiamo anche che la tribolazione è per nostro bene. S. Ambrogio, sorpreso dalla notte cadente sul suo cammino; bussò ad una porta, chiedendo ospitalità. Fu accolto; discorrendo col capo di famiglia, venne a sapere che là non capitava mai la più piccola tribolazione. Il Santo ne fu spaventato e non volle più fermarsi nemmeno a dormire. « Fuggiamo di qua, — disse, — perché la collera di Dio è sopra questa casa ». E aveva ragione. Quando non ci sono dolori, l’anima s’attacca ai beni del mondo come se fosse stata creata solo per essi. Quando non ci sono dolori, l’anima prega poco e niente e quasi si persuade di non aver più bisogno di Dio. Quando non ci sono tribolazioni, l’uomo monta in superbia e s’illude di essere privilegiato sopra ogni altro, e disprezza chi soffre e non soccorre chi ha bisogno. Quando non c’è nulla da pensare, le nostre passioni diventano più furiose e facilmente ci travolgono nei peccati di impurità. Dopo tre giorni di deserto gli Israeliti assetati, giunsero alla fontana di Mara. Ma appena si intinsero le labbra, dovettero risputarla fino all’ultima stilla, perché era amarissima. Tutto il popolo gemette lungamente. « Dovremo dunque morire di sete? » Mosè allora si raccomandò a Dio, che gli indicò un legno: appena questo fu gettato nell’acqua tutti poterono dissetarsi in dolcezza (Ex., XV, 25). Ecco come noi possiamo vincere la tempesta della tribolazione. Non lamentandoci continuamente, non invidiando quelli che in apparenza stanno meglio di noi, non imprecando alla giustizia di Dio, ma ricorrendo a questo legno miracoloso: Il legno della pazienza, è il legno della rassegnazione, è il legno dell’accettazione. È il legno della croce su cui sta inchiodato Gesù. – Mentre sopra, nella luce del sole sfolgorante, la Roma pagana cercava di adescare i primi convertiti della Religione di Cristo, mentre nel circo e negli orti imperiali i Cristiani versavano il sangue e la vita in testimonio della loro fede, giù nelle catacombe, nella penombra mistica degli ambulatori, fra le arche dei martiri, un pittore con mano tremula di speranza e di salute, dipingeva: Ecco le onde di un lago in tempesta, sotto a un cielo rannuvolato; una barchetta con la vela squarciata rema alacremente; Qualcuno affoga… Ma il pilota s’è levato sulla prora e tende le braccia in alto. Ad un tratto le nubi si aprono, e attraverso il varco s’allunga la mano di Dio onnipotente. che li terrà galleggianti sui flutti (WILPERT, Le Catacombe, II, 445). – A noi, che dopo tanti secoli ridiscendiamo nelle Catacombe, quale tremito di commozione ridesta quella pittura ingenua e incerta. Chissà con che fiducia serena la guardavano, passando i neofiti che al giorno dopo dovevano essere uccisi! Chissà con quale proposito fermo a lei si volgevano quelli che erano costretti a vivere e lavorare tra i pericoli di quella Roma in corruzione! Anche per noi quella pittura dice ancora una profonda parola di fede: «Va, Cristiano! Per quante burrasche urtino contro la nave della tua anima e della tua famiglia, non temere! Leva le tue braccia al Cielo, «soffri, combatti e prega » che la mano di Dio non mancherà di salvarti.

 IL CREDO

Offertorium

Ps CXVII:16; CXVII:17

Déxtera Dómini fecit virtutem, déxtera Dómini exaltávit me: non móriar, sed vivam, et narrábo ópera Dómini.

[La destra del Signore ha fatto prodigi, la destra del Signore mi ha esaltato: non morirò, ma vivrò e narrerò le opere del Signore.]

Secreta

Concéde, quaesumus, omnípotens Deus: ut hujus sacrifícii munus oblátum fragilitátem nostram ab omni malo purget semper et múniat.

[O Dio onnipotente, concedici, Te ne preghiamo, che questa offerta a Te presentata, difenda e purifichi sempre da ogni male la nostra fragilità.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Luc IV:22 Mirabántur omnes de his, quæ procedébant de ore Dei.

[Si meravigliavano tutti delle parole che uscivano dalla bocca di Dio.]

Postcommunio

Orémus. Múnera tua nos, Deus, a delectatiónibus terrenis expédiant: et coeléstibus semper instáurent aliméntis.

[I tuoi doni, o Dio, ci distolgano dai diletti terreni e ci ristorino sempre coi celesti alimenti.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

DOMENICA III DOPO L’EPIFANIA (2022)

DOMENICA III DOPO L’EPIFANIA (2022)

Semidoppio. – Paramenti verdi.

Le Domeniche III, IV, V, e VI dopo l’Epifania hanno il medesimo Introito, Graduale, Offertorio e Communio, che ci manifestano che Gesù è Dio, che opera prodigi, e che bisogna adorarlo. La Chiesa continua, infatti, in questo tempo dopo l’Epifania, a dichiarare la divinità di Cristo e quindi la sua regalità su tutti gli uomini. E il Re dei Giudei, è il Re dei Gentili. Così la Chiesa sceglie in San Matteo un Vangelo nel quale Gesù opera un doppio miracolo per provare agli uni e agli altri d’essere veramente il Figlio di Dio. – Il primo miracolo è per un lebbroso, il secondo per un centurione. Il lebbroso appartiene al popolo di Dio, e deve sottostare alla legge di Mosè. Il centurione, invece, non è della razza d’Israele, a testimonianza del Salvatore. Una parola di Gesù purifica il lebbroso, e la sua guarigione sarà constatata ufficialmente dal Sacerdote, perché sia loro testimonianza della divinità di Gesù (Vang.). Quanto al centurione, questi attesta con le sue parole umili e confidenti che la Chiesa mette ogni giorno sulle nostre labbra alla Messa, che Cristo è Dio. Lo dichiara anche con la sua argomentazione tratta dalla carica che egli ricopre: Gesù non ha che da dare un ordine, perché la malattia gli obbedisca. E la sua fede ottiene il grande miracolo che implora. Tutti i popoli prenderanno dunque parte al banchetto celeste nel quale la divinità sarà il cibo delle loro anime. E come nella sala di un festino tutto è luce e calore, le pene dell’inferno, castigo a quelli che avranno negato la divinità di Cristo, sono figurate con il freddo e la notte che regnano al di fuori, da queste « tenebre esteriori » che sono in contrasto con lo splendore della sala delle nozze. Alla fine del discorso sulla montagna « che riempi’ gli uomini d’ammirazione » S. Matteo pone i due miracoli dei quali ci parla il Vangelo. Essi stanno dunque a confermare che veramente « dalla bocca di un Dio viene questa dottrina che aveva già suscitato l’ammirazione » nella Sinagoga di Nazaret (Com.). –Facciamo atti di fede nella divinità di Gesù, e, per entrare nel suo regno, accumuliamo, con la nostra carità, sul capo di quelli die ci odiano dei carboni di fuoco (Ep.), cioè sentimenti di confusione che loro verranno dalla nostra magnanimità, che non daranno ad essi riposo finché non avranno espiato i loro torti. Così realizzeremo in noi il mistero dell’Epifania che è il mistero della regalità di Gesù su tutti gli uomini. Uniti dalla fede in Cristo, devono quindi tutti amarsi come fratelli. « La grazia della fede in Gesù opera la carità » dice S. Agostino (2° Notturno).

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XCVI: 7-8
Adoráte Deum, omnes Angeli ejus: audívit, et lætáta est Sion: et exsultavérunt fíliæ Judae.

[Adorate Dio, voi tutti Angeli suoi: Sion ha udito e se ne è rallegrata: ed hanno esultato le figlie di Giuda]


Ps XCVI: 1
Dóminus regnávit, exsúltet terra: læténtur ínsulæ multæ.

[Il Signore regna, esulti la terra: si rallegrino le molte genti.]

Adoráte Deum, omnes Angeli ejus: audívit, et lætáta est Sion: et exsultavérunt fíliæ Judae.

[Adorate Dio, voi tutti Angeli suoi: Sion ha udito e se ne è rallegrata: ed hanno esultato le figlie di Giuda]

Oratio

Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, infirmitatem nostram propítius réspice: atque, ad protegéndum nos, déxteram tuæ majestátis exténde.

[Onnipotente e sempiterno Iddio, volgi pietoso lo sguardo alla nostra debolezza, e a nostra protezione stendi il braccio della tua potenza].

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános.
Rom XII: 16-21
Fratres: Nolíte esse prudéntes apud vosmetípsos: nulli malum pro malo reddéntes: providéntes bona non tantum coram Deo, sed étiam coram ómnibus homínibus. Si fíeri potest, quod ex vobis est, cum ómnibus homínibus pacem habéntes: Non vosmetípsos defendéntes, caríssimi, sed date locum iræ. Scriptum est enim: Mihi vindícta: ego retríbuam, dicit Dóminus. Sed si esuríerit inimícus tuus, ciba illum: si sitit, potum da illi: hoc enim fáciens, carbónes ignis cóngeres super caput ejus. Noli vinci a malo, sed vince in bono malum.

“Fratelli: Non vogliate essere sapienti ai vostri propri occhi: non rendete a nessuno male per male. Procurate di fare il bene non solo dinanzi a Dio, ma anche dinanzi a tutti gli uomini. Se è possibile, per quanto dipende da voi, siate in pace con tutti gli uomini. Non fatevi giustizia da voi stessi, o carissimi, ma rimettetevi all’ira divina, poiché sta scritto: A me la vendetta; ripagherò io », dice il Signore. Anzi, se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare; se ha sete, dagli da bere; perché, così facendo, radunerai sul suo capo carboni ardenti. Non lasciarti vincere dal male; al contrario vinci il male con il bene”. (Romani XII, 16-21).

 P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

LA VITTORIA DEL BENE SUL MALE.

Questa volta bisogna proprio che ve la legga questa lettera o porzione di lettera di S. Paolo ai Romani, ve la leggo e niente altro. È troppo delicato l’argomento che tratta, è troppo importante lo sviluppo che gli dà. Del resto, purtroppo la sentite così di rado la parola di San Paolo, il grande predicatore della verità. Continua l’Apostolo a dare ai romani i consigli morali più tipicamente cristiani; li chiamo consigli, pensando al tono che è d’esortazione, ma si tratta di precetti belli e buoni. L’Apostolo insiste sul tasto delicato e forte della carità cristianamente intesa, così diversa e superiore alla filantropia. « Non fate del male a nessuno, e fate del bene a tutti gli uomini » frase molto chiara e dove l’accento cade su quel nessuno e quel tutti. Cristiani battezzati di fresco, Cristiani troppo freschi per essere Cristiani profondi, potevano credere che la carità nella sua doppia espressione di non fare del male e di fare del bene, potesse e dovesse restringersi nell’ambito dei fedeli. Per gli infedeli, pei pagani doveva essere, poteva essere un altro conto, un altro affare. Ebbene, no. S. Paolo dissipa l’equivoco. Male un Cristiano non deve fare a nessuno, neanche al più scomunicato dei pagani, e bene a tutti. Ma se non dovendo fare e non facendo del male a nessuno il buon Cristiano non può mettersi in contrasto con nessuno, purtroppo possono gli altri mettersi in contrasto con lui, rompendo quello stato pacifico nel quale sfocia logicamente la carità. L’Apostolo lo sa e perciò soggiunge: « se è possibile e per quanto dipende da voi. Siate in pace con tutti ». Soggiunge così per continuare il filo logico del suo discorso ai Cristiani in caso di confitti che altri (non essi) abbiano suscitato, turbando il pacifico equilibrio della carità. In questo caso il dovere del Cristiano, offeso, oltraggiato, danneggiato è di non farsi giustizia da sé: « non vi vendicate, dice il testo, e continua: rimettetevi alla giustizia di Dio, giusta la frase del V. T.: « È mia la giustizia, penserò io a farla ». Dove tocchiamo un’altra volta con mano il mirabile equilibrio del Cristianesimo contrario alla vendetta, ma pieno d’ardore per la giustizia, anzi tanto più dalla vendetta aborrente quanto più alla giustizia devoto. Ogni vendetta individuale rischia di essere un’ingiustizia, perché si fa giudice chi è parte in causa. La giustizia, questa idealità obbiettiva, cristiana per sua natura, non può essere soggettivizzata; o ci si rinuncia, o la si affida a Dio. – Affidato a Dio l’esercizio eventuale, eventualmente necessario, della giustizia, il buon Cristiano anche nel caso di ingiuria sofferta deve riprendere verso il suo offensore l’esercizio della carità. La quale nella fattispecie esercitata verso un nemico, verso chi l’ha demeritata diventa perdono. « Ci penso io alla giustizia, a mettere a posto il malvagio », dice il Signore, e allora a noi non resta che continuare per il solco radioso della carità. E perciò: « se — riprende la parola l’Apostolo Paolo — il tuo nemico (colui che ha voluto essere tale per te) viene ad avere fame, tu, da buon fratello, perché non sei, non puoi, non devi essere altro, tu dagli da mangiare, se ha sete dagli da bere. Lo richiamerai così, collo spettacolo vivo, edificante della tua bontà indomita ed indomabile, a coscienza più chiara e cosciente della sua malvagità ». – E qui senza tradire il concetto dell’Apostolo Paolo ho dovuto modificare un po’ le sue parole. Ma il concetto come è bello e profondo! Quando uno ti picchia, tu, secondo la morale del mondo, dovresti, devi picchiarlo: al gesto violento e brutale rispondere con un altro gesto egualmente brutale e violento, scendere anche tu su quel terreno bestiale e brutale, dove si è collocato lui. Dare a lui un cattivo esempio, come egli lo ha dato a te. Il Cristianesimo ragiona ben altrimenti. A chi si brutalizza, bisogna dare esempio di umanità; il Cristiano rimanga al suo posto, alto e nobile, e potrà condurvi l’avversario. E così avrà una vittoria non di Pietro su Cesare, dell’uomo sull’uomo, del più forte e violento sul più debole, no; si avrà la vittoria, una vittoria del bene sul male, del bene che lo ferma sul male che vorrebbe continuare le sue gesta. La Vittoria del bene sul male, il segno e il programma del Cristianesimo che Paolo riafferma a conclusione del suo discorso: « non ti far vincere dal male, ma vincilo tu il male e vincilo col bene, la sola arma efficace all’uomo, « noli vinci a malo, sed vince in bono malum ».

Graduale

Ps CI: 16-17
Timébunt gentes nomen tuum, Dómine, et omnes reges terræ glóriam tuam.

[Le genti temeranno il tuo nome, o Signore: tutti i re della terra la tua gloria.]

V. Quóniam ædificávit Dóminus Sion, et vidébitur in majestáte sua
.

[V. Poiché il Signore ha edificato Sion: e si è mostrato nella sua potenza. Allelúia, allelúia.]

Alleluja

Allelúja, allelúja.
Ps XCVI: 1
Dóminus regnávit, exsúltet terra: læténtur ínsulæ multæ. Allelúja.

[Il Signore regna, esulti la terra: si rallegrino le molte genti. Allelúia].

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Matthæum.
Matt VIII: 1-13
In illo témpore: Cum descendísset Jesus de monte, secútæ sunt eum turbæ multæ: et ecce, leprósus véniens adorábat eum, dicens: Dómine, si vis, potes me mundáre. Et exténdens Jesus manum, tétigit eum, dicens: Volo. Mundáre. Et conféstim mundáta est lepra ejus. Et ait illi Jesus: Vide, némini díxeris: sed vade, osténde te sacerdóti, et offer munus, quod præcépit Móyses, in testimónium illis.
Cum autem introísset Caphárnaum, accéssit ad eum centúrio, rogans eum et dicens: Dómine, puer meus jacet in domo paralýticus, et male torquetur. Et ait illi Jesus: Ego véniam, et curábo eum. Et respóndens centúrio, ait: Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur puer meus. Nam et ego homo sum sub potestáte constitútus, habens sub me mílites, et dico huic: Vade, et vadit; et alii: Veni, et venit; et servo meo: Fac hoc, et facit. Audiens autem Jesus, mirátus est, et sequéntibus se dixit: Amen, dico vobis, non inveni tantam fidem in Israël. Dico autem vobis, quod multi ab Oriénte et Occidénte vénient, et recúmbent cum Abraham et Isaac et Jacob in regno coelórum: fílii autem regni ejiciéntur in ténebras exterióres: ibi erit fletus et stridor déntium. Et dixit Jesus centurióni: Vade et, sicut credidísti, fiat tibi. Et sanátus est puer in illa hora.

[“In quel tempo, sceso che fu Gesù dal monte, lo seguirono molte turbe. Quand’ecco un lebbroso accostatosegli lo adorava, dicendo: Signore, se vuoi, puoi mondarmi. E Gesù, stesa la mano, lo toccò, dicendo: Lo voglio; sii mondato. E fu subito fu mondato dalla sua lebbra. E Gesù gli disse: Guardati di dirlo a nessuno; ma va a mostrarti al sacerdote, e offerisci il dono prescritto da Mose in testimonianza per essi. Ed entrato che fu in Capharnaum, andò a trovarlo un centurione, raccomandandosegli, e dicendo: Signore, il mio servo giace in letto malato di paralisi nella mia casa, ed è malamente tormentato. E Gesù gli disse: Io verrò, e lo guarirò. Ma il centurione rispondendo, disse: Signore, io non son degno che tu entri sotto il mio tetto; ma di’ solamente una parola, e il mio servo sarà guarito. Imperocché io sono un uomo subordinato ad altri, e ho sotto di me dei soldati: e dico ad uno: Va ed egli va; e all’altro: Vieni, ed egli viene; e al mio servitore: Fa la tal cosa, ed ei la fa. Gesù, udite queste parole, ne restò ammirato, e disse a coloro che lo seguivano : In verità, in verità vi dico, che non ho trovato fede sì grande in Israele. E Io vi dico, che molti verranno dall’oriente e dall’occidente, e sederanno con Abramo, e Isacco, e Giacobbe uel regno de’ cieli: ma i figliuoli del regno saranno gettati nelle tenebre esteriori: ivi sarà pianto e stridore di denti. Allora Gesù disse al centurione: Va, e ti sia fatto conforme hai creduto. E nello stesso momento il servo fu guarito”.]

OMELIA

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956)

SALVIAMO L’ANIMA DAL PECCATO

Il Vangelo della Messa odierna ci propone due miracoli che insegnano come efficacemente possiamo ottenere da Gesù la salvezza dell’anima nostra, e la salvezza dell’anim:a di qualche nostro prossimo. – IL LEBBROSO E LA SALVEZZA DELL’ANIMA NOSTRA. Il primo miracolo è di un lebbroso che corse coraggiosamente ai piedi di Gesù, e, adorandolo, gli disse: « Se vuoi, tu puoi guarirmi »; Era proibitissimo ai colpiti dall’orrendo inguaribile male avvicinarsi all’abitato, accostare i sani; e similmente chiunque avesse toccato un lebbroso, tosto era dichiarato immondo, per legge di Mosè e veniva segregato dal consorzio civile. Ma il lebbroso era così certo nella sua fede, che già si vedeva guarito e non badò più a nessun divieto legale. E Gesù si sentiva talmente superiore ad ogni legge e ad ogni contagio che distese la sua bianca mano divina a toccare quella carne tumefatta e imputridita. «Se vuoi, tu puoi guarirmi ». «Lo voglio, e sii guarito ». Istantaneamente la lebbra scomparve. Voi lo sapete, Cristiani, la lebbra del corpo è figura di un’altra lebbra più disastrosa, che colpisce la parte migliore dell’uomo: voglio dire il peccato che è perdizione dell’anima. Vorrei che tutti quelli che si sentissero oppressi da questo orrendo male, l’unico vero male, salvassero la loro anima, imitando il lebbroso evangelico in due cose: nella decisione della volontà, e nel coraggio della sincerità. – a) Decisione della volontà. Il lebbroso ebbe quel desiderio e quella decisa volontà di guarire, che spezza ogni indugio, supera ogni difficoltà. È questo che dovrebbero avere i peccatori se conoscessero il loro male: invece sono freddi e indifferenti. Par che stimino sventura da poco la lebbra spirituale, e per conseguenza par che stimino fortuna da poco l’essere mondati. Dicono: «un giorno o l’altro, voglio anch’io fare la mia confessione; adesso ho tante altre brighe che mi disturbano; se mi riesce di mettere a posto quell’affare, poi verrò a mettere a posto anche i conti coll’anima ». Ma è volontà decisa, questa? La salvezza dell’anima, la pace con Dio viene dunque per ultima nell’ordine dei vostri desideri? – Una sorella di S. Tommaso d’Aquino avendo saputo della fama di santità e di sapienza che circondava il fratello, gli scrisse una lettera, nella quale lo pregava di indicarle il modo sicuro per diventare santa. S, Tommaso, per provare il suo desiderio, non risponde. La sorella gli scrive una seconda e una terza volta. Finalmente le invia un biglietto con due parolette di risposta: « Si vis ». Se vuoi! – b) Coraggio della sincerità. Tanta era nel lebbroso la decisione della volontà che gli levò la vergogna, che naturalmente doveva sentire, di mostrarsi così schifoso com’era davanti a Gesù e alle altre persone che erano con Lui. A molti invece il coraggio di aprire le piaghe e le cancrene della loro coscienza viene meno. E non osano, non dico in pubblico, ma neppure nel secreto della confessione, manifestarsi a Gesù rappresentato dalla persona del suo ministro. Pare ad essi troppo gravoso il confessare schiettamente i loro peccati, e per mancanza di coraggio nella sincerità o non si confessano o si confessano male. Così non salvano la loro anima dalla orribile lebbra. – IL CENTURIONE E LA SALVEZZA DEL PROSSIMO. Il secondo miracolo è la guarigione d’un servo del Centurione di Cafarnao e c’insegna come dobbiamo interessarci anche per la salvezza dell’anima del nostro prossimo. I Centurioni erano ufficiali dell’esercito che avevano sotto di sé un centinaio circa d’uomini. Uno di questi, di presidio a Cafarnao, aveva uno schiavo morente, che egli amava tanto. Avendo udito parlare di Gesù, forse avendo anche veduto parecchi suoi miracoli, pensò che soltanto Lui glielo avrebbe potuto guarire, purché volesse. Ma, essendo pagano, non osò fare direttamente la domanda al Messia; degli amici la fecero in vece sua. – Alcuni anziani e maggiorenti si incaricarono della cosa, e si presentarono a Gesù: « Merita che tu gli guarisca il servo, perché è un uomo che ama la nostra nazione e ha costruito a sue spese una sinagoga ». Rispose a loro Gesù: « Verrò Io e glielo guarirò ». E subito si pose in cammino. – Quando il Centurione seppe che il Signore si degnava di venire in casa sua, fu talmente commosso, che gli mosse incontro per fermarlo: « Non incomodarti così che è troppo! Signore, io non sono degno che tu entri nella mia casa, ma dì una sola parola e il mio servo sarà guarito ». E aggiunse un paragone pieno di vita. « Anch’io, Signore, sono uomo di qualche potere e posso farmi ubbidire dai soldati e servi che ho sotto di me. Se dico a uno: « va! » ed egli va; e se dico a un altro: « vieni!, ed egli viene. Ma tu hai tutto sotto di te, le cose e le forze, la vita e la morte, e ciò che comandi viene eseguito sempre ». Gesù, davanti a un’anima leale ed aperta che di colpo si elevava a riconoscere in Lui un potente sovrano sull’universo, meravigliato e commosso, si rivolse alla gente che lo circondava ed esclamò: « Non ho mai trovato tanta fede neppure in Israele ». Poi disse al Centurione: « Torna a casa, che già è stato fatto come hai creduto ». In quel momento stesso, il suo servo guariva. Nel Centurione ci sono tre cose che devono essere imitate: il suo interessamento per la salvezza del servo, le sue buone opere, l’umiltà del suo cuore. Bisogna interessarsi dell’anima del nostro prossimo, specialmente delle persone che sono legate a noi da vincoli particolari o di parentela, o di servizio, o d’amicizia. Vedete come il Centurione in un tempo e in una società in cui di solito i padroni trattavano gli schiavi come cose, si affligge e si adopra per il suo servo morente come fosse un suo figliuolo. Perché altrettanto interesse e premura non vengono adoperati dai genitori per i figliuoli, dai padroni per i servi e i dipendenti, dai superiori per i sudditi, quando sanno che han l’anima morente o fors’anche già morta? «Ho provato ogni mezzo, — si scusano alcuni, — ma non ho ottenuto nulla. Non vuol sapere di mutar vita, continua come prima, e peggio di prima ». Non avete però provato i mezzi del Centurione: le buone opere e l’umiltà. Bisogna compiere opere buone e fare buone preghiere per avere presso Dio dei potenti intercessori. Se gli Angeli della vostra parrocchia, se le anime del purgatorio, se i poveri potessero ripetere a Gesù quelle parole che già gli anziani e i maggiorenti dissero a favore del Centurione, otterreste la guarigione e la salvezza di quante anime vorreste: « Signore, merita che tu gli converta quella persona per cui ti prega: ama e sostiene le opere parrocchiali (potessero dire gli Angeli della Parrocchia!); si ricorda sempre di noi e ascolta e fa celebrare molte sante Messe in nostro suffragio (potessero dire le anime purganti!); è compassionevole e generoso davanti ad ogni nostra miseria e sofferenza (potessero dirlo i poveri!) ». Bisogna infine essere molto umili. Non confidare sui nostri meriti, quasi ne avessimo, e quasi fossero tali da obbligare Dio a chinarsi verso di noi. Ricordiamo sempre le belle parole che l’umiltà pose sulle labbra del Centurione e che la Chiesa ha rese popolari e immortali nella sua liturgia: « Domine, non sum dignus… » L’umile, quando prega, non ha pretese, ma implora; se non ottiene subito non si sgomenta né desiste, ma dolcemente insiste; e se dopo anni di continuate preghiere non vede frutto alcuno, non dispera, ma crede che le sue preghiere non andranno perdute anche s’egli non ne vedrà mai l’effetto. Chi può intuire quello che avviene nei cuori? Forse all’ultimo istante della vita per quelle umili, ripetute, disinteressate preghiere, la grazia vincerà la resistenza del cuore indurito, e l’anima si salverà. – « Se vuoi, tu puoi guarirmi da un male inguaribile » dice il lebbroso. «Se vuoi, con una parola soltanto che tu dica, tu puoi salvare il mio servo agonizzante » dice il Centurione. Due belle e profonde professioni di fede in Gesù, Figlio di Dio, e Dio stesso onnipotente. – Orbene, moriva tant’anni fa il servo di un principe il quale aveva per tutta la sua lunga vita adempiuto il suo ufficio con la massima fedeltà. Il principe lo andò a visitare che già era agli ultimi istanti. Il morente allora aprì gli occhi già torbidi e lo guardò a lungo con una straziante supplicazione. «Che hai? qualunque cosa desideri, dimmela, e l’avrai ». « Principe, non lasciarmi morire! ». « Questo, non te lo posso fare ». « Allora allungami la vita d’un anno, d’un mese almeno… ne ho bisogno per riabbracciare il mio figlio lontano ». « Questo, non te lo posso fare ». « Allora, provvedimi di buona scorta per il viaggio ch’io sto per fare all’eternità; almeno levami un poco di quest’orrore della morte che mi fa tutto tremare… ». « Non posso, non posso » Il servo sospirando dolorosamente, come chi s’accorga d’un grande inganno che gli sia stato fatto, disse: « Me infelice! ecco che dopo una vita di continuo e pesante servizio, il mio padrone non può darmi nemmeno una delle ricompense di cui ho desiderio e bisogno. Ho dunque sciupato la vita». E spirò. – Dalla parabola di questo misero servo, impariamo a non servire quei padroni che non possono né salvarci dalla morte eterna, né darci la piena felicità a cui aspira l’anima nostra. Da questo momento senza più infedeltà poniamoci al servizio del Signor nostro Gesù, il quale può tutto ciò che vuole. Con una sua parola, può tramutare il nostro cuore, da incostante, egoistico, pauroso del sacrificio com’è, in un cuore forte nel bene, generoso nell’amore, coraggioso nelle difficoltà. – Che bel carattere d’uomo questo Centurione! Da una parte sentiva la necessità di Gesù, per non lasciar morire in atroce spasimo quel servo che gli era prezioso come un figlio, dall’altra tremava al pensiero di vedere Dio con i suoi occhi impuri, di parlargli colla sua bocca profanata da tante parole non giuste, non buone, di riceverlo nella sua casa ove ancora forse stava eretto qualche idolo nelle nicchie. Questi devono essere i sentimenti di tutti i Cristiani davanti a Gesù nella Comunione. – Il desiderio e la necessità devono spingerci continuamente a Lui; il timore di riceverlo indegnamente ci deve far tremare ogni volta, prima di toccare la sacra mensa. Chi non mangia di questo Pane, non ha la vita. Ma chi ne mangia male, avrà la morte. Probet autem se ipsum homo (I Cor., XI, 28). – a) Desiderio della Comunione per ottenere la forza di sopportare le tribolazioni e le fatiche. – All’albeggiare Giosuè levò il campo e comandò all’esercito e al popol di passare il Giordano. La primavera e le piogge avevano ingrossato il fiume fino al  colmo, e l’acque correndo vertiginosamente mandarono un rombo cupo che s’udiva da lontano. Ma appena i portatori dell’Arca santa misero piede nell’onda, le acque superiori s’irrigidirono e s’accumularono come un monte, mentre le acque inferiori scolarono al mare, lasciando secco il fondo (Giosuè, III). – Anche noi dobbiamo attraversare il fiume vorticoso della vita: sono le acque della fatica quotidiana, sono le acque delle tribolazioni che si susseguono senza finire mai quaggiù, sono le acque delle malattie che colpiscono noi o i nostri cari e della morte che tratto tratto fa un vuoto in giro al nostro povero cuore. Non disperiamo; se i soldati e le genti di Giosuè ebbero l’arca, noi abbiamo qualche cosa di infinitamente più grande e più divino: la Santa Comunione. Con essa l’uomo attraversa sicuro la vita e tocca la sponda beata della terra promessa: il Paradiso. – b) Desiderio della Comunione per vincere le tentazioni. – Era notte di battaglia. I Madianiti e gli Amaleciti e tutti i popoli d’oriente armati contro Israele giacevano sparsi nella valle come una moltitudine di cavallette; i cammelli erano innumerevoli come l’arena che è sul lido del mare. Gedeone, a spiare il campo nemico. Il vento gli porta un bisbiglio umano; si ferma e ascolta. Era un soldato nemico che raccontava al suo vicino un sogno misterioso che lo turbava. « Ascoltami — diceva quella voce nell’oscurità — ho avuto un sogno e mi pareva di vedere come un pane d’orzo cotto sotto la cenere rotolare contro di noi: faceva stramazzare i soldati, faceva traballare le tende, tutti morivano ». Gedeone raggiante di gioia tornò al suo campo e gridò: « Sorgete! Il Signore ci ha dato nelle mani tutti i nemici » (Giud., VII, 13-15). – La nostra vita, o Cristiani, è tutta una battaglia, molti nemici ci combattono, ogni momento. Il demonio con le tentazioni, il mondo col mal esempio e con gli scandali e coi piaceri, la nostra carne con le sue passioni. C’è un misterioso Pane col quale potremo rovesciare tutti gli inganni e vincere il terribile combattimento spirituale da cui dipende la nostra salvezza: la Santa Comunione. – c) Desiderio della Comunione per la salvezza eterna. Giorno terribile fu quello della distruzione di Gerico. Le sette trombe squillavano, il popolo intiero non era più che un’unica bocca per gridare l’anatema contro la città che Dio voleva abbattere. Ed ecco le mura e le torri e i palazzi scrosciare con fragore in una nube immensa di polvere: ogni abitante, uomo o donna, vecchio o fanciullo era ucciso; perfino i buoi e le pecore e gli asini erano messi a fil di spada. Intanto sul cielo saliva, tutta rossa come una paurosa macchia di sangue, l’aurora d’un nuovo giorno. In quella rovina solo una donna fu salvata: Rahab la peccatrice. Perché essa aveva bene ricevuto nella sua casa due esploratori di Israele, in quel giorno le venne usata misericordia! Ma dite: quando allo squillare delle trombe angeliche questo vecchio mondo scroscerà nella rovina finale, e tutti gli uomini morranno, e verrà la terribile giustizia di Dio, volete che il Signore non abbia misericordia di quelli che l’hanno ben ricevuto nella santa Comunione, Egli che salvò dalla rovina di Gerico la peccatrice Rahab solo perché aveva dato alloggio a due esploratori? – Questi sono i principali motivi che ci devono far bruciare di desiderio per la Eucarestia; questo, e la parola che disse David nei suoi salmi: « Chi s’allontana da te, muore » (Ps., LXXII 27). – È spaventoso quello che si narra nella Sacra Scrittura (Lev., X). Nadab e Abiu, figli d’Aronne, presi i turiboli vi misero del fuoco profano e dell’incenso e con quello, contro il divieto di Dio, entrarono a far profumi nel tabernacolo santo. Fu un attimo: un fuoco sprigionatosi dall’altare li investì e li abbruciò. I loro cadaveri, così come erano, furono gettati via; fu proibito di scoprirsi il capo in segno di lutto, di stracciarsi le vesti in segno di pianto. – Tremendo castigo: ma pensate quanto più tremendo sarà quello dei Cristiani che osano accostarsi alla Comunione indegnamente. I due figliuoli di Aronne avevano profanato il luogo santo che Dio con segni speciali aveva benedetto; ma coloro che con fuoco profano, ossia col peccato e coll’irriverenza nel cuore, ricevono l’Eucarestia, profanano il Corpo e il Sangue di Dio stesso. Di Giuda il traditore è scritta una parola terribile nel Vangelo di San Giovanni: « Et post buccellam introivit in eum satanas » Così è dei sacrileghi: aprono la bocca per ricevere Gesù e ingoiano il demonio. Tornano a casa e il rimorso li dilania, e non comprendono più la strada della redenzione, e vanno nella notte. Cum ergo accepisset ille buccellam exivit continuo: erat autem nox (XIII, 30).A Mosè, per accostarsi al roveto dov’era Dio, fu imposto che si levasse i calzari; ma agli Apostoli, prima di ricevere la Comunione, fu imposto non soltanto di togliersi i calzari, ma di lasciarsi lavare i Piedi da Gesù stesso, per significare la mondezza che Dio vuole da noi quando ci avviciniamo al banchetto degli Angeli. Come sono lontani da questa purezza coloro che si comunicano dopo una confessione senza dolore, fatta alla rinfusa! come sono lontani quelli che si comunicano senza raccoglimento, senza fede, senza dire una preghiera! come sono lontani quelli che si comunicano con rancori nell’anima, con passioni conservate in fondo alcuore. – Allora — concluderà qualcuno — meglio comunicarsi una volta all’anno, o al più una volta ogni sei mesi. – Ma se dopo i peccati di otto o quindici giorni ve ne stimate indegni, dopo quelli di un anno o quasi in qual modo sperate di diventarne degni? Meglio seguire il consiglio che S. Agostino rivolgeva ai Cristiani del suo tempo: « Deposto ogni affetto al peccato, sforzatevi tutte le domeniche di rendervi degni della Santa Comunione ».

Ecco simboleggiati due sacramenti: nella guarigione del lebbroso, la confessione che ci monda dalla lebbra del peccato: nelle parole del centurione, l’Eucaristia che guarisce da ogni paralisi spirituale e ci dà la forza a correre sulla via dei comandamenti del Signore. Quando, nei secoli del Medio evo, la nostra patria fu spartita a brani, ed ogni brano aveva un principe, ed ogni principe con grande apparato di vessilli, di cavalli, di armi, di trombe usciva in guerra per conquistare altri regni ed altri uomini, ci fu chi amò lanciare in mezzo al folto della mischia uno stendardo magnifico con queste parole: « Qui v’è il cuore e la mano ». Iddio pure, movendo alla conquista delle nostre anime coi due sacramenti della confessione e della comunione, può dire: « qui v’è il mio cuore e la mia mano ». Solo l’amore di Dio poteva perdonarci i peccati. Solo l’onnipotenza di Dio poteva darci in cibo la sua carne e in bevanda il suo sangue. – L’AMORE MISERICORDIOSO DI DIO NELLA CONFESSIONE. Cesare Augusto venne a sapere che Lucio Cinna, cavaliere romano, congiurava nell’ombra contro di lui. Fremette e già meditava lo sterminio del cospiratore e della sua famiglia, quando mutò consiglio. Fece chiamare il colpevole, che s’illudeva nella segretezza della sua trama, lo condusse nella sala più recondita del palazzo imperiale, e tutto solo con lui, così gli parlò. « Lucio! non hai nulla da dirmi? ». « Nulla. » – « Allora ti dirò io qualche cosa. Quando con le mie armi occupavo l’impero, tu e la tua famiglia mi eravate nemici, vi siete nascostamente opposti; io sapevo e non vi ho puniti. Quando tutto il mondo mi proclamò imperatore, tu mi hai chiesto un posto onorevole nella repubblica: altri me lo domandavano, e più degni, eppure a te, non a loro io lo concessi. Non è vero? ». «Verissimo », rispose il cavaliere. « È per questo, allora, che tu congiuri, che tu mi vuoi uccidere? ». « Falso! falso!» urlò Cinna. « Lucio! taci che so tutto. So la notte in cui hai convocato i traditori, so il luogo, so i nomi, so le parole che dicesti. So che nella tua casa sono nascoste le armi per uccidermi;… negalo, se puoi ».  Lucio Cinna tremava come una foglia di pioppo. Dopo una pausa, Cesare ripigliò cupamente: Se ti facessi pugnalare col tuo pugnale stesso e ti gettassi nella cloaca massima sarebbe troppo poco. Se con la tua moglie e i tuoi figli ti chiudessi in carcere, senza luce né respiro, se ti lasciassi morire a goccia a goccia sarebbe ancora troppo poco, troppo poco sempre. Or ecco invece che a te, mio nemico nel passato e mio traditore nel presente, lascio la vita, lascio la famiglia, i beni, la libertà, il grado. E non mi basta; ti faccio quello che non hai sognato di essere mai: console ». – Lucio vinto dalla bontà di Augusto ruppe in pianto chiedendo perdono. La dolcezza d’Augusto è poca cosa in confronto a quella del Signore nel sacramento della penitenza. Non ci rinfaccia i nostri peccati; non una volta sola, ma sempre ci perdona e ci ama di nuovo. Ci ridà la grazia santificante, si fa nostro amico, nostro padre, e ci prepara, dopo la morte, un trono di gloria in paradiso. Quanto amore! Al lebbroso guarito Gesù aveva imposto di offrire al tempio il dono prescritto da Mosè: due passeri. Il sacerdote giudaico, ricevendoli, ne uccideva uno e col sangue appena sgorgato aspergeva l’altro, che solo così veniva lasciato in libertà. Il passero che vien ucciso per la salute dell’altro è un simbolo di Gesù Cristo che muore per il peccatore. Nella confessione siamo lavati dal sangue sgorgato dal cuore di Gesù, e questo sangue ci monda dal peccato e ci libera dalla schiavitù del demonio. – L’AMORE ONNIPOTENTE DI DIO NELLA COMUNIONE. Nostro Signore apparve a S. Paola Maria di Gesù, carmelitana scalza, e le disse così: « Fra tutte le mie opere, la più grande, la più potente, la più rara, è l’invenzione del santissimo Sacramento ». Infatti: se Dio fu potente quando trasse dal nulla le cose e con le sue mani plasmò l’uomo, più potente è quando converte tutta la sostanza del pane e del vino nel corpo e nel sangue di Gesù Cristo. – Se fu buono quando nell’Incarnazione nascose lo splendore della sua divinità nel velame della carne umana, più misericordioso ancora è nell’Eucaristia ove nasconde la maestà divina e l’affabilità umana nell’apparenza di un po’ di pane bianco. Se fu sapiente Dio quando mise nella vite la forza che trasforma gli umori della terra in rosso vino, più sapiente è certamente quando diede al sacerdote la potestà di consacrare il vino nel suo sangue, ripetendo la miracolosa parola della consacrazione. Dio nell’Antico Testamento, quando faceva piovere fuoco, quando divideva le acque del mar Rosso, quando dettava la sua legge dal Sinai, soleva mostrare la sua potenza nella grandezza e nella forza. Nel Nuovo Testamento, istituendo l’Eucaristia, preferì mostrare la sua potenza nell’umiltà e nella debolezza. Ha preferito ridurre la sua vita al minimo perché noi potessimo avere la nostra vita al massimo. E da Dio forte si è fatto debole nell’Eucaristia perché noi che siamo deboli divenissimo forti. – Dice, infatti, S. Giovanni Grisostomo che quando ritorniamo dalla Sacra Mensa, siamo come leoni spiranti fiamme, terribili allo stesso demonio. Ut leones flammam spirantes; terribiles effecti diabolo. E Dio si è fatto pane, perché noi mangiando di questo pane diventassimo come Dio. – « Eritis sicut dii » aveva promesso il demonio quando offrì ad Eva il frutto proibito: se ne accorse ben presto, l’incauta, quanto bugiarda fosse una tale promessa, e quanto funesta. Eppure, Gesù Cristo, Redentore nostro, ha voluto renderla vera con un altro frutto: la S. Comunione. Chi la riceve vivrà della vita divina: « Vivet propter me ». – Geremia udì questo lamento del Signore: « Stupite, o cieli, stupite, o Angeli! E fuggiam via inorriditi dalle porte degli uomini. Due mali ha fatto il popolo: abbandonò la fontana dell’acqua viva e si scavò delle cisterne, delle cisterne avvelenate e rotte che non sanno contenere neppure una stilla d’acqua buona ». Dereliquerunt fontem acquæ vivæ et foderunt sibi cisternas, cisternas dissipatas quæ continere non valent acquas (Geremia, II, 13). Fontana non d’acqua viva, ma di preziosissimo sangue sono i due sacramenti della Confessione e della Comunione: ci furono dati solo a prezzo della vita di un Dio. Ma noi li abbiamo abbandonati, o tutt’al più ci accostiamo assai di rado; ma noi ci siamo scavati nel peccato la nostra cisterna avvelenata che par che ci disseta mentre invece ci cuoce dentro col rimorso e ci cuocerà poi per sempre nell’inferno. Figlio mio — ci ripete Gesù con voce lamentosa — perché m’hai tu fatto due mali? Hai abbandonato la fontana dell’acqua viva e ti sei scavato la cisterna dell’acqua marcia ». – Nella preghiera di questi due bisognosi, sentite quanta fede nella potenza di Gesù. Il lebbroso dice: Tu puoi guarirmi! ed il Centurione a sua volta: Basta che tu comandi e tutto andrà bene! Notate ancora quale rassegnazione alla volontà del Signore. L’ammalato di lebbra non domanda subito la grazia, ma dice: Se tuo vuoi, cioè sta a te il decidere della mia salute. Il comandante romano poi non chiede neppure che il suo servo guarisca, solo espone il suo triste caso, così come è: tocca poi a Gesù volere che il suo servo guarisca. Fede e rassegnazione sono le caratteristiche delle preghiere del Vangelo di oggi, fede e rassegnazione devono essere le doti delle nostre preghiere di ogni giorno. – FEDE. Una santa giovinetta della quale fu scritta la vita davvero edificante, un giorno faceva alla mamma questa domanda: « Mi permetti che alla Messa preghi senza servirmi del libro? ». « Per qual ragione mi fai questa domanda? ». « Perché spesso quando leggo mi distraggo. Invece non sono mai distratta quando parlo col buon Gesù, sai, mamma, quando parlo con Lui è come quando si discorre con qualcuno; si sa bene quello che si dice ». – Questa figliuola aveva capito che vuol dire pregare con fede. Non sono necessari libri, non è necessaria tanta istruzione, tanta scienza, no. Ci sono delle povere persone ignoranti che non sanno forse neppure leggere e sanno pregare benissimo. Basta credere che il Signore sia una persona viva vera e presente e l’orazione diventa facile. « Cos’è la fede? », fu domandato un giorno al Curato d’Ars. « C’è la fede quando si parla a Dio come si farebbe con un uomo » rispose. Comprese bene questa verità quel buon contadino d’Ars che se ne stava tanto tempo inginocchiato in chiesa. « Cosa fate, cosa dite — gli domandò il Santo Curato — quali sono le vostre preghiere? », « Io guardo il mio Dio e Dio guarda me! ». Ecco, o Cristiani, che cosa vuol dire pregare con fede. Bisogna guardare Dio, bisogna parlare con Dio. – Affinché la nostra preghiera sia davvero uno sguardo e una parola rivolta a Dio con pienezza di fede, mi pare che pregando dobbiamo essere convinti di tre cose: a) Anzitutto che Dio è grande. Egli è infinitamente più grande di come lo possiamo immaginare con la nostra piccola testa. Egli è il Creatore di ogni cosa, colui che trasse dal nulla anche la nostra vita. – b) Poi, dobbiamo essere convinti che Dio è buono, ed ha promesso di donarci qualunque cosa gli chiederemo. Nessun padre ama e aiuta i suoi figli come il Padre Celeste. Una volta Dio adirato sta per lanciare lo sterminio contro il popolo d’Israele; Mosè prega: e Dio ritira la sua vendetta. Un’altra volta il popolo eletto, dopo una giornata di battaglia, è sorpreso dalla sera senza aver potuto dare il colpo decisivo; eppure era necessario che il nemico avesse una notte in mezzo da potersi rifare. Allora Giosuè prega: ed ecco il sole arrestarsi sull’orizzonte e prolungare la giornata di qualche ora. I tre fanciulli innocenti, gettati nella fornace ardente, sono risparmiati perché  hanno pregato; Daniele nella fossa dei leoni rimane incolume perché ha saputo innalzare la sua mente al Signore. – c) Infine, pregando ci dobbiamo unire a Gesù. Distaccati da Lui noi siamo peccatori, indegni d’ogni sguardo misericordioso da parte di Dio. Ma uniti a Lui, con la grazia e con l’amore, noi siamo suoi fratelli, figli di Dio, teneramente amati dal Padre Celeste. Uniti a Cristo, è Cristo che prega per noi ed offre al Padre le sue suppliche, i suoi meriti, il suo Sangue. A tanto imploratore potrà forse Dio ricusarsi? Son fatte così le nostre preghiere? Pensiamo queste verità mentre preghiamo? Se non è questa la nostra preghiera, non lamentiamoci di essere sempre distratti, di non provarci nessun gusto; non lamentiamoci soprattutto di non ottenere nulla. – RASSEGNAZIONE. Quando con fede sentita domandiamo al Signore le grazie che riguardano il bene dell’anima, le nostre preghiere hanno infallibile effetto. Di questo noi dobbiamo essere sicuri: altrimenti non sarebbero vere le tante promesse che Gesù Cristo ci ha fatto di essere ascoltati quando chiediamo al Padre il Regno dei cieli. Invece non sempre otteniamo le grazie che riguardano il corpo, perché esse non sempre giovano al nostro vero bene. Ed ecco la necessità della rassegnazione alla santa volontà di Dio, rassegnazione che diventa facile quando si vive di fede. Se, con la vivezza della nostra fede, crediamo che Dio è infinitamente sapiente, e conosce il passato, il presente ed il futuro, comprendiamo allora che soltanto il Signore sa quello che è utile per la nostra vita, per la salvezza della nostra anima. Dunque fidiamoci di Dio. – Si portò un giorno da S. Giovanni Elemosinario, Patriarca di Alessandria, un ricchissimo uomo che aveva un figliuolo gravemente malato. Gli recava una grossa somma di denaro da distribuire ai poveri perché con le loro orazioni gli ottenessero che suo figlio guarisse. Ma appena distribuito il denaro e fatte molte preghiere il fanciullo morì. Se ne lamentò il Santo amorosamente con Dio osservando che a questa maniera i fedeli non avrebbero stimolo a fare elemosine ai poveri e poi perderebbero la fede nelle loro preghiere. – Invece il Signore gli rivelò che quella morte era stata appunto l’effetto della elemosina del padre e delle preghiere di poveri. Se quel ragazzo fosse guarito, si sarebbero dannati tutt’e due: il padre a motivo della troppa avarizia per lasciar ricco il figliuolo; e questi perché avrebbe dissipato il patrimonio in stravizi e in disordini. Dunque chiediamo pure a Dio le grazie materiali; ma poi lasciamo fare a Dio, che ci vuol sempre bene. Se un Cristiano vive di fede, dal suo labbro non dovrebbero mai uscire i lamenti. « Perché — dicono alcuni — mi ha messo in tanta povertà? ». E se con tante ricchezze avessi perduto l’anima? Fidiamoci di Dio, che non sbaglia mai! – S. Bernardo, quando si recava in chiesa, era solito dire a se stesso, stando sulla porta: « Pensieri di mondo e di affari terreni, fermatevi qui e aspettate finché sarò uscito. Allora tornerò a riprendervi ». E dalla preghiera, dalla unione con Dio trasse la forza per compiere un bene immenso. Sono pochi gli uomini che come S. Bernardo hanno esercitato un così largo influsso. Sapete perché le nostre orazioni riescono male ed ottengono poco? Perché ci manca il raccoglimento. Sforziamoci davvero, quando preghiamo, di tenere la mente rivolta al Signore: facilmente allora ci sarà la fede nella grandezza e nella bontà di Dio; ci sarà la rassegnazione ai voleri di Dio e se Iddio è con noi di che cosa possiamo temere? Abituiamoci a parlare con Dio e la grazia più bella che noi otterremo sarà di migliorarci ogni giorno sul cammino del bene, verso il Paradiso. – Cristiani, se con sofferenze spirituali o dolori materiali le braccia e le mani di Gesù ci venissero a percuotere, ricordiamoci che esse possono diventare per noi un ascensore. Esse ci portano al cielo: basta che noi ci lasciamo trasportare colla stessa confidenza di un bambino quando è sulle braccia di suo padre.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps CXVII: 16;17
Déxtera Dómini fecit virtutem, déxtera Dómini exaltávit me: non móriar, sed vivam, et narrábo ópera Dómini.

[La destra del Signore ha fatto prodigi, la destra del Signore mi ha esaltato: non morirò, ma vivrò e narrerò le opere del Signore.]

Secreta

Hæc hóstia, Dómine, quǽsumus, emúndet nostra delícta: et, ad sacrifícium celebrándum, subditórum tibi córpora mentésque sanctíficet.

[Quest’ostia, o Signore, Te ne preghiamo, ci mondi dai nostri delitti e, santificando i corpi e le ànime dei tuoi servi, li disponga alla celebrazione del sacrificio.]

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/comunione-spirituale/

Communio

Luc IV: 22
Mirabántur omnes de his, quæ procedébant de ore Dei.

[Si meravigliavano tutti delle parole che uscivano dalla bocca di Dio.]

 Postcommunio

Orémus.
Quos tantis, Dómine, largíris uti mystériis: quǽsumus; ut efféctibus nos eórum veráciter aptáre dignéris.

[O Signore, che ci concedi di partecipare a tanto mistero, dégnati, Te ne preghiamo, di renderci atti a riceverne realmente gli effetti.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

DOMENICA II DOPO L’EPIFANIA (2022)

DOMENICA II DOPO L’EPIFANIA (2022)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semidoppio – Paramenti verdi.

Fedele alla promessa che aveva fatta ad Abramo ed ai suoi discendenti, Dio inviò il Figlio suo per salvare il suo popolo. E nella sua misericordia, Egli volle anche riscattare tutti i pagani. Gesù è il Re che tutta la terra deve adorare e celebrare come suo Redentore (Intr., Grad.). Morendo sulla croce Gesù è diventato il nostro Re, e col S. Sacrifizio – ricordo del Calvario – applica alle nostre anime i meriti della sua redenzione ed esercita quindi la sua regalità su di noi. Cosi col miracolo delle Nozze di Cana – simbolo dell’Eucaristia – Gesù manifesta per la prima volta in modo aperto ai suoi Apostoli la sua divinità, cioè il suo carattere divino e regale, ed è allora che « i suoi discepoli credono in Lui ». – La trasformazione dell’acqua in vino è il simbolo della transustanziazione, che S. Tommaso chiama il più grande di tutti i miracoli, e in virtù del quale il vino Eucaristico diviene il Sangue dell’Alleanza di Pace (Or.) che Dio ha stabilito con la sua Chiesa. E poiché il Re divino vuole sposare le nostre anime, è con l’Eucaristia che si celebra questo sposalizio mistico, poiché essa aumenta la fede e l’amore che ci fanno membri viventi di Gesù nostro Capo. (« L’unità del corpo mistico è prodotta dal vero corpo ricevuto sacramentalmente » – S. Tommaso). Le nozze di Cana raffigurano anche l’unione del Verbo con la Chiesa sua sposa. « Invitato alle nozze – dice S. Agostino – Gesù vi andò per confermare la castità coniugale e per mostrare che Egli è l’autore del Sacramento del Matrimonio e per rivelarci il significato simbolico di queste nozze, cioè l’unione del Cristo con la sua Chiesa. In tal modo anche quelle anime che hanno votato a Dio la loro verginità, non sono senza nozze, partecipando esse con tutta la Chiesa a quelle nozze in cui lo Sposo è Cristo».

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps LXV: 4

Omnis terra adóret te, Deus, et psallat tibi: psalmum dicat nómini tuo, Altíssime.

[Tutta la terra Ti adori, o Dio, e inneggi a Te: canti salmi al tuo nome, o Altissimo.]

Ps LXV: 1-2

Jubiláte Deo, omnis terra, psalmum dícite nómini ejus: date glóriam laudi ejus.

[Alza a Dio voci di giubilo, o terra tutta: canta salmi al suo nome e gloria alla sua lode.]

Omnis terra adóret te, Deus, et psallat tibi: psalmum dicat nómini tuo, Altíssime.

[Tutta la terra Ti adori, o Dio, e inneggi a Te: canti salmi al tuo nome, o Altissimo.]

Oratio

Orémus.

Omnípotens sempitérne Deus, qui coeléstia simul et terréna moderáris: supplicatiónes pópuli tui cleménter exáudi; et pacem tuam nostris concéde tempóribus.

[O Dio onnipotente ed eterno, che governi cielo e terra, esaudisci clemente le preghiere del tuo popolo e concedi ai nostri giorni la tua pace.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános.

Rom XII: 6-16

“Fratres: Habéntes donatiónes secúndum grátiam, quæ data est nobis, differéntes: sive prophétiam secúndum ratiónem fídei, sive ministérium in ministrándo, sive qui docet in doctrína, qui exhortátur in exhortándo, qui tríbuit in simplicitáte, qui præest in sollicitúdine, qui miserétur in hilaritáte. Diléctio sine simulatióne. Odiéntes malum, adhæréntes bono: Caritáte fraternitátis ínvicem diligéntes: Honóre ínvicem præveniéntes: Sollicitúdine non pigri: Spíritu fervéntes: Dómino serviéntes: Spe gaudéntes: In tribulatióne patiéntes: Oratióni instántes: Necessitátibus sanctórum communicántes: Hospitalitátem sectántes. Benedícite persequéntibus vos: benedícite, et nolíte maledícere. Gaudére cum gaudéntibus, flere cum fléntibus: Idípsum ínvicem sentiéntes: Non alta sapiéntes, sed humílibus consentiéntes.

[Fratelli, avendo noi dei doni differenti secondo la grazia che ci è stata donata, chi ha la profezia (l’eserciti) secondo la regola della fede; chi il ministero, amministri, chi l’insegnamento, insegni; chi ha l’esortazione, esorti; chi distribuisce (lo faccia) con semplicità; che fa opere di misericordia, con ilarità. La vostra carità non sia finta. Odiate il male; affezionatevi al bene. Amatevi scambievolmente con amore fraterno, prevenendovi gli uni gli altri nel rendervi onore. Non pigri nello zelo, ferventi nello spirito, servite al Signore. Siate allegri per la speranza, pazienti nella tribolazione, assidui nella preghiera. Provvedete ai bisogni dei santi; praticate l’ospitalità. Benedite quelli che vi perseguitano: benedite e non vogliate maledire. Rallegratevi con chi gioisce; piangete con chi piange, avendo gli stessi sentimenti l’uno per l’altro. Non aspirate alle cose alte, ma adattatevi alle umili.]

 P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

LA CARITÀ PIÙ DIFFICILE.

San Paolo in materia di carità è un Maestro straordinario; grande in tutto, è grandissimo in questo. Assurge al grido più sublime, discende alle considerazioni più pratiche e in questo terreno pratico che pare umile, spiega un’abilità, una finezza che lo mette in contrasto, vittorioso da parte sua, con le idee che hanno più facile e maggior voga nella società. Ecco qua un binomio nel quale si riassume l’esercizio pratico della carità: « gaudere cum gaudentibus, flere cum flentibus ». Dove il consiglio o precetto di piangere con chi piange appare a tutti un precetto caritatevolissimo. Non è egli giusto e bello compiangere chi soffre? aiutarlo, per stimolo di compassione sincera a non soffrire più? a superare il suo dolore? È così bella e caritatevole questa funzione del piangere coi dolenti che per molti la carità predicata da Cristo si riduce lì. La carità per lo meno più autentica, più meritevole è questa. Gli altri, quelli che non soffrono né punto né poco anzi godono, se la scialano, se la ridono, che bisogno hanno di carità? O come la possiamo esercitare verso di loro? Come possiamo essere con loro e verso di loro caritatevoli? Domanda che S. Paolo non ammette in quanto tendono a rimpicciolire l’esercizio della carità nel campo della miseria umana. La carità spazia in termini più vasti. È possibile anche coi felici, solo che è più difficile. È molto difficile. Impietosirsi cogli infermi è più facile. Strano, ma vero. E neanche strano. Il nostro egoismo in fondo è carezzato, vellicato, soddisfatto quando vede soffrire gli altri, quando incontra il dolore. E assumiamo volentieri l’attitudine della pietà perché è un’attitudine universalmente apprezzata, facciamo il gesto del soccorso perché esso pare a tutti un bel gesto. Ci dà una doppia superiorità, la superiorità di chi non soffre e quella di chi benefica. Impalcatura psicologica che crolla quando il nostro prossimo è fortunato; quando invece di passare lagrimando dalla gioia al dolore, dalla ricchezza alla povertà, dalla salute alla malattia, passa allegramente, ridendo, cantando dal dolore alla gioia, e per esempio dalla povertà alla ricchezza. Quando una famiglia ricca per un rovescio diventa povera, quanti dicono, e abbastanza sinceramente: povera gente! e piangono e aiutano. Ma quando accade il rovescio, quando il povero diventa ricco sono molti che si rallegrano sinceramente? Attenti a questo sinceramente! Perché la commedia delle congratulazioni la recitano molti, troppi: ma è una commedia. Sotto sotto, dentro di sé, in realtà crepano d’invidia. Il buon Cristiano, il vero caritatevole si rivela in quel « gaudere cum gaudentibus » prima e più che nel « flere cum flentibus », nel partecipare alle altrui gioie prima e più che nel dividere gli altrui dolori.

Graduale

Ps CVI: 20-21

Misit Dóminus verbum suum, et sanávit eos: et erípuit eos de intéritu eórum.

[Il Signore mandò la sua parola e li risanò: li salvò dalla distruzione.]

V. Confiteántur Dómino misericórdiæ ejus: et mirabília ejus fíliis hóminum. 

[V. Diano lode al Signore le sue misericordie e le sue meraviglie in favore degli uomini. ]

Alleluja

Allelúja, allelúja

Ps CXLVIII: 2

Laudáte Dóminum, omnes Angeli ejus: laudáte eum, omnes virtútes ejus. Allelúja.

[Lodate il Signore, voi tutti suoi Angeli: lodatelo, voi tutte milizie sue. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Joánnem. [Joann II: 1-11]

In illo témpore: Núptiæ factæ sunt in Cana Galilaeæ: et erat Mater Jesu ibi. Vocátus est autem et Jesus, et discípuli ejus ad núptias. Et deficiénte vino, dicit Mater Jesu ad eum: Vinum non habent. Et dicit ei Jesus: Quid mihi et tibi est, mulier? nondum venit hora mea. Dicit Mater ejus minístris: Quodcúmque díxerit vobis, fácite. Erant autem ibi lapídeæ hýdriæ sex pósitæ secúndum purificatiónem Judæórum, capiéntes síngulæ metrétas binas vel ternas. Dicit eis Jesus: Implete hýdrias aqua. Et implevérunt eas usque ad summum. Et dicit eis Jesus: Hauríte nunc, et ferte architriclíno. Et tulérunt. Ut autem gustávit architriclínus aquam vinum fáctam, et non sciébat unde esset, minístri autem sciébant, qui háuserant aquam: vocat sponsum architriclínus, et dicit ei: Omnis homo primum bonum vinum ponit: et cum inebriáti fúerint, tunc id, quod detérius est. Tu autem servásti bonum vinum usque adhuc. Hoc fecit inítium signórum Jesus in Cana Galilaeæ: et manifestávit glóriam suam, et credidérunt in eum discípuli ejus.

[In quel tempo: Vi furono delle nozze in Cana di Galilea, e li vi era la Madre di Gesù. E alle nozze fu invitato anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, la Madre di Gesù disse a Lui: Non hanno più vino. E Gesù rispose: Che ho a che fare con te, o donna? La mia ora non è ancora venuta. Disse sua Madre ai domestici: Fate tutto quello che vi dirà. Orbene, vi erano lì sei pile di pietra, preparate per la purificazione dei Giudei, ciascuna contenente due o tre metrete. Gesù disse loro: Empite d’acqua le pile. E le empirono fino all’orlo. Gesù disse: Adesso attingete e portate al maestro di tavola. E portarono. E il maestro di tavola, non appena ebbe assaggiato l’acqua mutata in vino, non sapeva donde l’avessero attinta, ma i domestici lo sapevano; chiamato lo sposo gli disse: Tutti servono da principio il vino migliore, e danno il meno buono quando sono brilli, ma tu hai conservato il vino migliore fino ad ora. Così Gesù, in Cana di Galilea dette inizio ai miracoli, e manifestò la sua gloria, e i suoi discepoli credettero in lui.]

OMELIA

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956)

GESÙ A NOZZE

Tre cose sono care allo Spirito Santo: l’amore tra fratelli, la carità verso il prossimo, un marito e una moglie che vadano ben d’accordo. Et vir et mulier bene sibi consentientes (Eccl., XXV, 2). O mille volte beata quella casa, dove si trova la terza di tali cose, cioè la lieta corrispondenza tra coniugati (dove lo sposo. alla superiorità e alla previdenza di capo, aggiunge un grande amore ed una scrupolosa fedeltà; dove la sposa ubbidisce fedelmente a suo marito, come a Dio, e ne cerca di indovinare i gusti e desideri!). Fu appunto perché in tutte le famiglie regnasse questa divina armonia di bene e d’amore, che Gesù accettò un invito a nozze, in Cana di Galilea. Vi giunse co’ suoi discepoli quando le feste erano già incominciate. L’arrivo di Gesù, amico di famiglia e, credo, anche parente, perché vi si trovava invitata anche Maria, portò un’ondata d’allegrezza devota nella brigata già lieta. L’aggiungersi di sei nuovi convitati, il protrarsi della conversazione, contribuì non poco a finire la provvista di vino. Maria attenta e compitissima se n’era accorta per la prima: « Gesù, non hanno più vino » E Gesù fece il miracolo: sei anfore d’acqua divennero vino. E squisito. Tanto che il direttore del banchetto disse allo sposo: « Tutti gli altri offrono prima il vino buono e serbano in fine quello che ha preso il fusco o lo spunto; ma tu invece dopo il buono dài il migliore ». – Gesù amava talvolta frammischiarsi alle gioie del mondo per santificarle, come spesso frequentava la compagnia dei pubblicani e dei peccatori per convertirli. Ma non era appena per questo che andò a nozze; non era appena per rivelarsi Dio nella conversione dell’acqua in vino; fu, soprattutto, per elevare il matrimonio alla dignità di Sacramento. Come il Sacramento del Battesimo ci dà le grazie per essere Cristiani, e la Cresima le grazie per essere valorosi soldati di Cristo, l’Eucaristia nutrisce le anime per la vita eterna, il Sacramento del Matrimonio dà agli sposi l’aiuto necessario per lo stato coniugale. – Sacramentum hoc magnum est, dico ego in Christo et in Ecclesia (Efes., V, 32). Cristo, dunque, lo ha reso grande facendolo un sacramento efficace di grazia, Cristo lo ha reso grande facendolo simbolo della sua mistica unione con la Chiesa. Per ciò, come Gesù andò alle nozze in Cana di Galilea, è necessario che venga alle nozze di tutti i Cristiani. Ora voglio soltanto dire come s’invita Gesù alle nostre nozze, e perché si debba invitarlo. COME S’INVITA GESÙ A NOZZE. A Rages, città della Media, ove si era recato a riscuotere una somma a nome di suo padre, il giovane Tobia trovò un cugino: Raguele. Costui l’invitò a casa sua a ristorarsi per alcuni giorni, ma il giovane Tobia avendo già sentito parlare di Sara, figliuola di questo suo parente, così disse: « Da te, oggi, io né mangio né bevo, se prima non mi prometti tua figlia in isposa ». Raguele dopo alcune titubanze acconsentì alla sua domanda. Allora Tobia disse a Sara: « Sara, preghiamo Dio, oggi, domani e dopo, perché  dobbiamo vivere insieme. Noi siamo figli di santi e non dobbiamo unirci come quelli che ignorano Dio ». Poi levati gli occhi in alto aggiunse: «Signore, Dio dei nostri maggiori, vi benedicano il cielo e la terra, il mare e i fiumi e tutte le creature. Voi che formaste Adamo col limo della terra e gli deste Eva in aiuto, sapete bene ch’io piglio questa mia congiunta non per accontentare le passioni, ma per desiderio di buoni figliuoli che attraverso i secoli lodino il vostro Nome » (Tob., VIII, 4-9). Sublime preghiera che la Sacra Scrittura ci ha conservato perché ogni Cristiano imparasse quali sentimenti lo devono spingere al matrimonio, se alle sue nozze vuol avere Gesù! – Gesù s’invita con la preghiera: è il catechismo che la inculca. Bisogna pregare per conoscere da prima se realmente siamo chiamati allo stato matrimoniale; bisogna pregare perché Dio ci illumini nella scelta della persona; bisogna pregare, infine, per ottenere le grazie necessarie per lo stato in cui si sta per entrare. Gesù s’invita quando non si allaccia una relazione all’insaputa dei genitori. Gesù s’invita con qualche mortificazione, con qualche elemosina, con la retta intenzione riguardo all’avvenire della vita coniugale. Quelli che nel contrarre matrimonio si lasciano unicamente guidare dalla bellezza del corpo e dal denaro, non invitano Gesù. La bellezza è un fiore che dissecca, il danaro favorisce la discordia e la superbia; ed in fondo non rimarrà che l’infelicità. Quelli che prima dello sposalizio tengono una cattiva condotta di tratti e di parole, non invitano Gesù. Le nozze che cominciano coll’impuro piacere del senso finiscono nel pianto. – Indubbiamente non invitano Gesù quelli che s’accostano al gran Sacramento in disgrazia di Dio. Che direste voi di chi invita a una festa una persona di riguardo, e poi, quand’è giunta, gli chiude l’uscio in faccia? questo è il modo di agire di coloro che ascendono l’altare a contrarre matrimonio e hanno un peccato mortale sul cuore. Eppure non sono pochi quelli che s’accostano indegnamente a questo gran sacramento: o senza confessione, o con una confessione fatta per forza senza esame di coscienza, senza sincerità, senza dolore. Infelici anche nei momenti più austeri e solenni della loro vita, non sanno quel che si fanno. PERCHÈ SI DEVE INVITARE GESÙ. Gesù non aveva ancora messo piede nelle contrade della Perea, che subito i Farisei gli furono intorno a fargli una questione; « Maestro, è permesso al marito ripudiare la moglie per un qualsiasi motivo? ». Si era nella tetrarchia di Erode Antipa che aveva rimandata la sua donna legittima per sposare la moglie del suo fratellastro e quella domanda era assai imbarazzante. Una risposta audace poteva mettere nel rischio di fare la fine del Battista. Ma Gesù non aveva paura di nessuno, e parlò aperto. «Non avete letto — rispose a quelli che l’avevano interrotto, — che Dio creò da principio l’uomo e la donna, e disse: per ciò lo sposo lascerà il padre e la madre per star unito alla sua sposa, e i due saranno una sola carne? Ebbene, poiché non sono due ma una sola carne, non divida l’uomo quel che Dio ha congiunto ». I Farisei osarono sussurrare: « Perché allora Mosè ha prescritto di dare alla donna il libello di ripudio e così divorziare? ». « Ah, — esclamò Gesù — fu in conseguenza della durezza dei vostri cuori che Mosè ha permesso questo. In principio non fu così. Ed io vi dico: quando un uomo manda via la moglie per prenderne un’altra, è sempre un adultero ». La severità dell’ultime parole del Salvatore parve terribile; i discepoli stessi meravigliati sussurrarono: « Quand’è così, non conviene sposarsi ». Il Maestro, udendo questo mormorìo, non lo disapprovò, perché sapeva bene le tribolazioni e le croci della vita familiare. Questo episodio del santo Vangelo, o Cristiani, non è tanto per metterci spavento del Sacramento del Matrimonio, quanto per farci apprendere la necessità dell’assistenza e dell’aiuto di Dio, per bene adempierne gli obblighi. Senza Gesù, com’è possibile portare un giogo non lieve ed accettarne i quotidiani sacrifici? – Le nozze cristiane sono un nodo indissolubile, che priva della libertà personale e rende l’uno signore dell’altro. Impongono un amore rispettoso, poiché una familiarità senza rispetto insensibilmente ma infallibilmente porta al dispregio. Impongono un amore fedele sino ad abbandonare il padre e la madre, sino alla completa rottura di ogni altro vincolo che possa legare il cuore o anche solo la mente. Impongono un amore costante, che deve resistere agli anni, alle amarezze, alle gelosie, sempre e solo. Ora come è possibile tutto questo senza la grazia di Gesù? Non basta: considerate ancora quale peso deriva dalla diversità di carattere, che soventemente s’incontra tra marito e moglie. Un marito saggio e modesto con una moglie svagata e dissipatrice; una moglie esemplare e quieta con un marito dissoluto ed empio: che croce, che pazienza! Se Gesù non è invitato a levigare le asprezze di queste nozze, ad aiutare a portar la croce, questi crucci domestici sembreranno insopportabili e l’odio e la disperazione invaderebbero due anime che avevan creduto di trovare insieme la felicità, escludendo la Religione. Ma non c’è bisogno di costruire casi tragici; l’inevitabile diversità di carattere fra due persone impone un vicendevole e continuo spirito di comprensione, di arrendimento, di generosità: per avere un’atmosfera di amabile convivenza. Infine, quale sorgente inesausta di sofferenze è l’educazione dei figli. La Sacra Scrittura dice che un figlio buono è la gioia di suo padre, mentre un figlio cattivo è l’amarezza della madre sua. Questo è vero, ma in un altro senso tutti i figli, o buoni o cattivi, per i genitori che li debbono allevare son sempre un peso. Che tormento quando nella miseria si teme che il pane manchi! Che dispiacere aver numerosi figli e non poterli collocare bene! Quanto piangere se vengon le malattie, se vien la morte a strapparcene qualcuno fuor dalle braccia, via dal nostro cuore! Ma quello che costa più è l’allevare figliuoli che si mostrano indocili e ingrati: non ubbidiscono, non accettano correzioni, scialacquano, non aiutano, sono ingrati, disonorano la casa. « Con questo — diceva S. Ambrogio — non intendo sconsigliare lo stato matrimoniale, ma espongo i vantaggi della dignità consacrata al Signore ». Chi si sposa fa bene, ma si prepari a portare la sua croce. Tribulationem tamen carnis habebunt huiusmodi (I Cor., VII, 28). Se così gravi sono i pesi dello stato nuziale, è pur necessaria la Grazia divina che ci sostenti. – Alle nozze di Cana vi erano sei pile d’acqua piene fino al sommo: simbolo queste di tutte le lagrime, di tutti gli affanni, di tutti i pesi dello stato coniugale. Ecco arriva Gesù, e le tramutò in sei pile di ottimo vino, piene fino al sommo. Voi tutti che sentite il peso della vostra famiglia, voi che la discordanza di carattere, o la gelosia, o il lavoro della casa, o i figli, riempiono di tristezza o di stanchezza, e, comunque, di ansie e preoccupazioni, chiamate Gesù. Che Egli venga alle vostre nozze! L’acqua si tramuterà in vino che letifica, e le vostre angustie in gioie. – LA MADONNA A NOZZE. A Cana, paese della Galilea, si sposava forse un parente di S. Giuseppe. Si capisce quindi come tra gl’invitati ci fosse anche la Madre di Gesù. S. Giuseppe, con ogni probabilità, era premorto e perciò di lui non si fa cenno in questo avvenimento. Notate subito che, dove c’è la Madonna, ivi non può mancare il suo Figlio divino. Forse fu Lei che suggerì agli sposi novelli d’invitarlo. Gesù, che in quei giorni cominciava la sua vita pubblica, vi arrivò con alcuni discepoli; e cominciarono le feste. Ma sul più bello del banchetto venne a mancare il vino; l’imbarazzo fu subito intuito dalla Vergine, la quale si fece premura d’avvertire il Figlio: « Non hanno più vino ». « Che importa a me e a te? — le rispose Gesù, ed aggiunse: — la mia ora non è ancora venuta ». Queste parole non parvero a Maria un rifiuto, se poi con suadente accortezza avvisò gl’inservienti di tenersi pronti ai cenni di suo Figlio. Il quale comandò di colmare d’acqua le sei pile che v’erano là per lavare le mani e i piatti secondo gli usi giudaici. Tutta quell’acqua fu poi tramutata in vino eccellente come non s’era mai bevuto. Perfino il direttore del banchetto ne fu meravigliatissimo, tanto che disse allo sposo: « Tutti servono da principio il miglior vino, e fan passare il meno buono quando i convitati sono brilli, ma tu hai serbato il migliore per ultimo ». – Questo fu il primo miracolo di Gesù ed accadde alla presenza di Maria, per sua intercessione. A considerarlo attentamente, si rivela la bontà e la potenza di Maria. – LA BONTÀ DI MARIA – a) La Madonna è la prima ad accorgersi del serio imbarazzo in cui si trovano sposi. Essi, forse, non lo sapevano ancora, e già il cuore della Madre divina è trepidante per loro: le pare già di assistere alla delusione, alla meraviglia e alle proteste dei convitati che si trovano senza vino nel momento in cui lo si desidera maggiormente; di assistere allo sgomento e alla vergogna degli sposi novelli che si vedono offuscata anche l’ora più gioiosa della vita. Ella si preoccupa e soffre come di una sventura sua, capitata nella propria casa. Noi, chiusi nel cerchio dei nostri interessi personali, noi egoisti e dimentichi di chi soffre nell’anima e nel corpo, come siamo indegni d’essere figli d’una Madre così buona! Sappiamo che ci sono nazioni intere a cui manca il vino della fede, e ci sono missionari estenuati e insufficienti perché senza mezzi; sappiamo che anche nelle mostre parrocchie il male e l’ignoranza trionfano perché i sacerdoti non bastano, se non sono aiutati; eppure viviamo nella beata indifferenza, come se fossero bisogni le pene che non ci riguardano. Sappiamo che non lontano da noi c’è una famiglia in miseria, c’è un infermo, c’è una disgrazia; sappiamo che, mentre cade la neve e tira il vento freddo, c’è gente senza casa, o senza coperte, o senza fuoco, o senza scodella di minestra calda; noi bene pasciuti, ben riscaldati, allegri e sani, ci chiudiamo nella felicità di casa nostra. Non si arriva talvolta a provare un istintivo e malvagio senso di gioia per qualche infelicità toccata agli altri, quasi che l’umiliazione altrui aumenti la nostra gloria, quasi che il dolore altrui aumenti il nostro benessere? E, per contrario, non si arriva a provare un istintivo e malvagio senso di pena per la fortuna toccata ad altri? Perfino nella preghiera, portiamo il nostro egoismo, la grettezza del nostro cuore, e, pregando non ci ricordiamo che dei nostri dolori, dei nostri bisogni. La vera preghiera dei figli di Dio non è egoistica, ma s’impietosisce anche dei dolori e alle disgrazie altrui, allarga le braccia verso i peccatori, gli infedeli, le anime purganti, la gerarchia ecclesiastica, il Papa, la Chiesa universale, la gloria immensa di Dio. Non viviamo soli al mondo, Cristiani, ma siamo uniti tutti in una sola famiglia che è la Chiesa, siamo membri di un sol corpo che è il mistico Corpo di Cristo. Niente è più contrario alla religione dell’individualismo egoistico. Torniamo alla Madonna, e aggiungiamo un’altra riflessione sul suo buon cuore. – b) La Madonna non sa criticare. Un’altra persona al suo posto, vedendo mancare il vino, avrebbe fatto due sorta di ragionamenti. Avrebbe detto: « Che gente irriflessiva, senza giudizio, senza avvedutezza! Ti fanno un banchetto, invitano gente, e non pensano a provvedere almeno l’indispensabile. Se adesso resteranno scornati, se lo sono meritato: un’altra volta ci penseranno meglio ». Oppure avrebbe detto: «Che spilorci! come si fanno compatire in una circostanza in cui anche i più miserabili sanno apparire signori! Pretendevano che si venisse a festeggiarli bevendo più acqua che vino ». Simili pensieri non attraversarono mai, neppure lontanamente, il cuore di Maria. Ella non sa criticare, sa provvedere e aiutare, Invece sono moltissimi che sanno inasprire le sofferenze altrui con i loro giudizi, le loro assennate disapprovazioni, i loro pareri per l’avvenire, ma non muovono un dito per correre efficacemente. Oh; sapessero almeno tacere! – c) La Madonna non sa tardare. Un’altra persona al suo posto non si sarebbe mossa, dicendo fra sé e sé: « Aspettiamo che me lo dicano ». Invece la Madonna non sa aspettare: benché non informata, Ella indovina la situazione; benché non pregata, soccorre liberamente. La bontà di Maria vede due cose nel nostro cuore. La prima è che spesso siamo così distratti, così pieni di sonno, che non ci accorgiamo neppure d’essere sull’orlo dell’abisso; come i due sposi non s’accorgevano che non c’era più vino. Siamo tutti come i bambini che si mettono nei pericoli senza saperlo. Ma una madre non aspetta che il suo fanciullo la chiami, ma ella accorre quando un veicolo, una bestia, o qualsiasi altro accidente minaccia la sua vita. Chissà quante volte la Madonna è accorsa a salvarci, ha interceduto e pianto per noi! Se avesse aspettato sempre che la pregassimo, a quest’ora forse saremmo già all’inferno. – Come sei buona, dolce madre Maria, non ho parole per ringraziarti! La Madonna sa un’altra cosa di noi. Ed è che ci brucia terribilmente aprire agli altri la nostra miseria, abbassarci a chiedere aiuto: si preferirebbe soffrire, anche morire. E Maria, la buona, la dolce Regina, c’insegna che la carità migliore si deve fare senza essere richiesti e senza umiliare, e, se fosse possibile senza farsi conoscere da nessuno, neppure dal beneficato. Nei « Promessi Sposi » gran libro di sapienza cristiana, c’è un buon sarto che doveva aver imparato dalla Madonna a far la carità. Era povero, ma sapeva di una persona più povera di lui, benché non gli avesse detto nulla. Un giorno di festa mise insieme in un piatto delle vivande che erano sulla tavola, e aggiuntovi un pane, mise il piatto in un tovagliolo, e preso questo per quattro cocche, disse alla sua bimbetta maggiore: « Va’ qui da Maria vedova; lasciale questa roba, e dille che è per stare un po’ allegra co’ suoi bambini. Ma con buona maniera ve’: che non paia che tu le faccia l’elemosina. E non dir niente, se incontri qualcheduno; e guarda di non rompere ». (cap. XXIV). – Osservate il delicato accorgimento di accettare qualcosa dai bambini. Cristiani, mandate spesso i vostri bambini a fare l’elemosina. Osservate ancora che saggi avvisi dà il sarto, soprattutto non dimenticate le parole: « che non paia che tu le faccia l’elemosina ». Cristiani, dobbiamo essere riconoscenti ai poveri quando si degnano d’accettare il nostro superfluo, perché essi ci arricchiscono nel cuore di bene essenziali. – LA POTENZA DI MARIA. La parte più interessante del miracolo di Cana è in quel sommesso dialogo di Maria con Gesù. C’è come un combattimento tra la misericordia e la giustizia, tra l’ansioso cuore d’una Madre e la volontà imperscrutabile dell’Onnipotente, tra la Madonna e Dio. Il meraviglioso è che vince la Madonna. O Vergine potentissima, vinci, anche per noi, così! Dice Maria sottovoce: « Gesù, non hanno più vino ». Risponde Gesù: « Né Io, né tu abbiamo colpa; noi non c’entriamo ». La Madonna non è contenta: il suo amore non si volge soltanto a quei casi dove in qualche modo è interessata; la sua carità non cerca mai il proprio tornaconto. Ripete Maria sottovoce: « Gesù, non hanno più vino ». Risponde Gesù: «Lascia andare! Non è questo il momento per farmi conoscere Figlio di Dio ». Solo una madre sa capire perfettamente le parole di un figlio; e la Madonna sentì che sotto a quel no, in fondo in fondo tremava un sì. Subito ne approfittò con un atto che diremmo audace, se non fosse della Vergine prudentissima. – Chiamò i servi e li mandò davanti al Figlio pronti a ricevere ordini. E Gesù disse loro: « Riempite d’acqua le sei pile ». Come Ella udì, tremò tutta di gioia. Aveva vinto. Aveva ottenuto di far lieti due cuori. La Madonna è vittoriosa! E che vittoria! Ciascuna pila conteneva più di cento litri: bastava dunque che l’acqua d’una sola fosse tramutata in vino. Ma la Madonna non fa le grazie su misura, Ella abbonda e sovrabbonda, è magnificentissima. Le sei pile si trovarono tutte colme di gustoso e redolente vino. I due sposi ne ebbero per quel giorno e per un anno intero. Cristiani, nella nostra vita manca forse il vino del fervore, dell’amore di Dio. Purtroppo, da tanti e tanti l’amor di Dio non si conosce neppure. Amore alla carne, amore ai danari, amore agli onori, amore a questo mondo bugiardo: ecco quel che hanno in cuore. Se ci troviamo in questo numero, preghiamo Maria perché per noi si rivolga a dire al suo Gesù: « Non hanno più vino ». Pregatela così, e sentirete un generoso vino, dolce e forte, riempire i vostri cuori, e vi troverete cangiati da quei di prima. – Può darsi che qualcuno, pur convinto della bontà e della onnipotenza di Maria, non osi invocarla per sé, perché da moltissimo tempo in balìa del vento d’ogni più brutto piacere, più non l’ha pregata e forse l’ha oltraggiata. Ora è triste in fondo al cuore, vorrebbe ritornare, ma dispera. Per costui voglio ricordare una graziosa leggenda tessuta intorno a un convento di Vienna, detto il convento della Celeste Portinaia. Si racconta che, moltissimo tempo fa, la suora portinaia di quel convento, disamorata della vita claustrale, fu presa da una forte smania di ritornare al mondo e appressare le sue smunte labbra al vino della felicità mondana, Una notte, che tutte le suore dormivano nella pace purissima, ella non poteva dormire per la veemenza di quel desiderio. La sciagurata non era cattiva ma debole, e ad un certo momento non seppe più resistere. Si alzò, discese in portineria, aprì; poi prese la chiave e il suo velo di suora e li depose dietro la statua della Vergine Maria che stava vicino alla porta, con queste parole: « Regina del Cielo, ecco la chiave; fate di buona guardia al convento… » E, senza voltarsi, uscì. La notte oscura era senza stelle. Per sette anni visse nel mondo e bevve al suo calice lunghi sorsi, ma non erano di felicità. Il mondo è cattivo, bugiardo, ingannatore; non era vino quello che dava alla sua sete, ma liquidi melmosi e piccanti ed esasperanti. La delusione fu terribile. Dopo sett’anni quella povera suora senza velo, umiliata, distrutta, pentita, con la promessa d’una severa penitenza, colla volontà d’un totale rinnovamento, s’avvicinò al suo chiostro. Era ancora notte, ma una notte piena di stelle. Il cuore le batteva forte. Fece per bussare alla porta, ma era aperta: dietro la statua della Vergine c’era un velo e le chiavi. Il suo velo e le sue chiavi. Al giorno dopo riprese il suo ufficio di portinaia, senza che alcuno facesse meraviglie del suo ritorno o le dicesse alcunché. Nessuno si era accorto della sua lontananza perché la Vergine benedetta s’era messa ogni giorno il suo velo, aveva preso la sua sembianza, ed aveva fatto al suo posto la portinaia. Cristiani, se delusa dagli avvelenati piaceri del demonio e del mondo, un’anima vuol ritornare a bere il vino casto della pace e della gioia di Dio, per quanto male abbia commesso, non abbia disperazione o timore veruno. Troverà la porta aperta. Una dolce Madre, da tanto tempo, gliela tiene aperta, aspettando, piangendo, pregando.

Questo è uno dei sette miracoli raccontati in tutto il Vangelo di S. Giovanni; è il primo miracolo con cui Gesù inizia la vita pubblica, e ci richiama quello con cui la terminerà, quando non l’acqua in vino ma il vino tramuterà in sangue suo. Nel brano evangelico la figura che più risalta è quella della Madonna: Ella appare qual è, Regina e Madre, potente e clemente. Regina potente fino ad indurre il Signore, quasi contro voglia, a compier fuor di tempo un miracolo. Madre clemente fino a diventare la confidente nei crucci della casa; fino a interessarsi del vino per risparmiare un disonore agli sposi; fino a far le cose con tale discrezione che neppure il direttore del banchetto sulle prime se ne avvide. Infatti, nella sala dove si beveva, s’udì la sua voce risonare: « Sposo, tu hai fatto diverso da tutti: gli altri servono da principio il vino migliore e mandano alla fine, quando s’è già brilli, lo scadente. Ma tu hai serbato l’ultimo fino ad ora ». E non sapeva l’architriclino che quello era il vino della Madonna: frutto della sua potenza regale verso Dio e della sua materna clemenza verso gli uomini. – REGINA POTENTE. Salomone, re d’innumerabile popolo e d’inestimabile ricchezza, accanto al suo trono fece innalzare un nobile seggio per la madre sua, a cui disse: « Non mi è più possibile opporre un rifiuto a qualsiasi desiderio tuo ». Questo fatto della Sacra scrittura, la Chiesa e i Santi l’hanno più volte applicato a Maria santa: e giustamente. Accanto al trono di Cristo Re dei secoli, un altro seggio è, in mezzo al Paradiso, innalzato: quello della Regina del cielo e della terra. Qualsiasi desiderio suo è sempre esaudito. Ella è potente perché tutta santa. Nessuna macchia ha potuto contaminarla mai, neppure la macchia originale che ogni figlio d’Eva contrae nascendo. E non solo non conobbe peccato, ma la sua anima è adorna della luce d’ogni virtù; è umilissima, purissima, pazientissima. La santità di tutti i santi che furono e che saranno, non raggiunge quella di Maria. Perciò Iddio è rapito nella contemplazione del capolavoro della sua abilità santificatrice e non può resistere alle sue preghiere. Ella è potente perché Regina degli Angeli e dei Santi: tutto il paradiso a lei s’inchina. Le schiere angeliche attendono il suo cenno per accorrere in nostro aiuto. » tutti i santi sono felici d’eseguire il suo comando. Ella è potente perché invincibile contro il demonio: col suo calcagno ha schiacciato il capo al serpente antico il quale non ha potuto mai nulla contro di Lei. Con la luce dei suoi occhi ha fulminato tutte le eresie, e col solo suo Nome ha messo in fuga lo spirito delle tenebre. « Terribilis ut acies ordinata! ». Ella è potente perché Madre di Dio. Le madri possono tutto ottenere dai figli; i figli non sanno nulla negare alle madri. Se la Madonna supplica, se piange per noi, come potrà il suo Figlio divino lasciarla inconsolata? A parole oserà rispondere: « Donna, che cosa importa a me e a te di quei peccatori? », ma poi farà come Ella vuole. – Se in tante famiglie manca il vino dell’amore e della concordia e il giogo maritale è divenuto una catena penosa per gli sposi e uno scandalo per i figli, è perché in quella famiglia la Madonna è stata dimenticata, è stata scacciata. Altrimenti saprebbe Lei, la Madre clemente, rinnovare il miracolo di Cana. Se tanti uomini non sono capaci di portare la loro croce, e nel dolore perdono la speranza e imprecano di disperazione, è perché nel loro cuore la Madonna è stata dimenticata, è stata scacciata. Quando a Santa Teresa morì la mamma, ella, appena dodicenne, singhiozzando si gettò ai piedi di una statua della Vergine e la supplicò di essere la madre sua… Con questa confidenza, nei grandi dolori della vita; noi dobbiamo ricorrere a Maria. – Se l’amore della Madonna ci accompagnasse nei giorni della vita, non avremmo nulla da temere neppure nel giorno della morte. Entrando nel regno dei beati dove Ella è Signora, le diremmo con eterna riconoscenza: « Madre clemente! ». – Fanciullo ancora, Giovanni Maria Vianney, che fu poi il curato d’Ars, andava a lavorare la terra con suo fratello maggiore il quale, più robusto di lui, dissodava zone più vaste e lo lasciava indietro per un buon tratto. Giovanni ne aveva rimproveri e vergogna. Allora per eccitarsi al lavoro portava alla vigna una statuetta della Madonna che issava sopra un bastone a qualche metro davanti a sé. Poi, un colpo di vanga e uno sguardo a Maria, lavorava con la brama d’arrivare presto a Lei che poi, di nuovo, trasportava di qualche metro più avanti. Così riusciva a sorpassare il fratello che dissodava una zona di terreno accanto. Come il giovane Vianney così noi tutti, o Cristiani, dobbiamo dissodare il campo della vita: non perdere mai di vista la Regina potente, la Madre clemente. Ad ogni fatica, a ogni pericolo, ad ogni dolore, ad ogni giorno, almeno uno sguardo a Lei. Quante belle devozioni non hanno saputo trovare le anime gentili per la Madonna? Alcuni santi, ogni giornata, recitano tre « Ave Maria » per ottenere la purezza. Che cosa sono tre « Ave Maria? ». Eppure, per esse, confessarono d’aver vinto tutte le tentazioni della carne. Molte famiglie hanno conservato la bella tradizione dell’« Angelus » mattina, mezzodì e sera. In molte altre non manca mai il Rosario quotidiano. Case fortunate dove la Madonna è amata! Io vorrei conchiudere queste parole col raccomandare a ciascuno di scegliersi una propria devozione alla Vergine: sia quella di privarsi della frutta o del vino altro; sia quella di salutarla con una giaculatoria ad ogni scoccar d’ore; o quella di recitare un’« Ave » tutte le volte che s’entra o si esce di casa, o quella ancora di comunicarsi ad ogni sua festa. Ognuno deve avere la sua devozione a Maria. – IL CONTRATTO MATRIMONIALE TRASMUTATO IN SACRAMENTO. S. Francesco di Sales aveva ospite in casa da alcuni giorni un suo amico. Ed ogni sera, fatto un poco di conversazione, lo accompagnava fino alla sua camera. L’altro protestava e non voleva che un Vescovo si disturbasse tanto per un laico. « Amico mio, non siete voi sposato? ». « Non ancora ». Allora avete ragione di protestare: vi tratterò con più confidenza e minori riguardi ». Per il santo dunque una persona sposata doveva essere circondata di una maggior venerazione. Perché? per la dignità del sacramento del matrimonio che conferisce agli sposi una grazia che li rende capaci d’amarsi soprannaturalmente, e di educare i figli per il Paradiso, e di sopportare con serenità i pesi del loro stato. – Appunto per santificare le nozze, Gesù volle trovarsi a quelle di Cana. Come ha preso la lavanda a simboleggiare e a conferire la grazia che lava dal peccato originale, nel Battesimo, così ha preso il mutuo e perpetuo impegno degli sposi a donarsi l’uno all’altra per simboleggiare la sua unione con la Chiesa e per conferire la grazia d’amarsi indissolubilmente come Egli e la Chiesa si amano. Perciò in Cristo e nella Chiesa il matrimonio è diventato un grande sacramento. Se è un Sacramento, ed un Sacramento dei vivi, bisogna prepararsi con retta intenzione; accostarsi con pura coscienza; perdurarvi secondo la legge di Dio. – a) Prepararsi con retta intenzione: non per calcoli umani, né per stimoli unicamente passionali. « Stammi a sentire: — diceva l’angelo Raffaele al giovane Tobia — io ti mostrerò chi sono quelli sui quali può prevalere il demonio. Quelli che vanno al matrimonio dimenticando Dio, solo per sfogare la propria libidine, come il cavallo ed il mulo che non hanno intelletto: su quelli il demonio ha potestà ». Ma Tobia pregava: «Signore, tu sai ch’io prendo moglie non per lussuria, ma per desiderio di figli nei quali il tuo Nome sia benedetto nei secoli dei secoli » (Tob., VI, 16 – 17; VIII, 9). – b) Perdurarvi secondo la legge di Dio: non significa appena la condanna di ogni infedeltà, ma anche la condanna di ogni uso del matrimonio che non rispetti il fine per cui il Signore l’ha istituito. – Quel Gesù che alle nozze di Cana trasmutò l’acqua fredda e insapore in vino, forte e generoso, nelle mistiche nozze della Divinità con la umanità avvenute nella sua Incarnazione trasmutò noi da poveri decaduti figli di Adamo in figli di Dio. Come rami di un ulivo selvatico siamo stati staccati dal vecchio e maligno tronco, siamo stati innestati nel divino ulivo Gesù, ed ora assorbiamo la linfa della sua vita, e uniti a Lui possiamo produrre frutti degni della Santissima Trinità. Orbene, ogni innesto richiama una doppia ferita: una nel tronco che deve ricevere il ramo, l’altra nel ramo che deve essere tagliato via dal ceppo maligno. Cristo ricevette la sua ferita sul Calvario. Noi dobbiamo infliggercela di giorno in giorno per strapparci ai desideri e alle opere dei figli del secolo, per vivere soltanto nei desideri e nelle opere di figli di Dio. – Ricordate la meravigliata espressione del direttore di tavola: « Tutti bevono prima il vino migliore e serbano per ultimo lo scadente… tu hai fatto il contrario ». Sono gli stolti seguaci del mondo che eleggono il vino buono e allegro per questa vita e nell’altra si riserbano lo scadente… Noi Cristiani, seguaci dello Sposo divino Gesù, in riconoscenza delle preziose trasmutazioni che per nostro amore ha operata, eleggiamo per questa vita il vino amaro della mortificazione, ed Egli nell’altra ci riserberà quello ottimo del gaudio eterno.

IL CREDO

Offertorium

Orémus

Ps LXV: 1-2; 16

Jubiláte Deo, univérsa terra: psalmum dícite nómini ejus: veníte et audíte, et narrábo vobis, omnes qui timétis Deum, quanta fecit Dóminus ánimæ meæ, allelúja.

[Alza a Dio voci di giubilo, o terra tutta: cantate un salmo al suo nome: venite, e ascoltate, voi tutti che temete Iddio, e vi racconterò quanto Egli ha fatto per l’anima mia. Allelúia.]

Secreta

Oblata, Dómine, múnera sanctífica: nosque a peccatórum nostrórum máculis emúnda.

[Santifica, o Signore, i doni offerti, e mondaci dalle macchie dei nostri peccati.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Joann II: 7; 8; 9; 10-11

Dicit Dóminus: Implete hýdrias aqua et ferte architriclíno. Cum gustásset architriclínus aquam vinum factam, dicit sponso: Servásti bonum vinum usque adhuc. Hoc signum fecit Jesus primum coram discípulis suis.

[Dice il Signore: Empite d’acqua le pile e portate al maestro di tavola. E il maestro di tavola, non appena ebbe assaggiato l’acqua mutata in vino disse allo sposo: Hai conservato il vino migliore fino ad ora. Questo fu il primo miracolo che Gesù fece davanti ai suoi discepoli.]

Postcommunio

Oremus.

Augeátur in nobis, quǽsumus, Dómine, tuæ virtútis operatio: ut divínis vegetáti sacraméntis, ad eórum promíssa capiénda, tuo múnere præparémur.

[Cresca in noi, o Signore, Te ne preghiamo, l’opera della tua potenza: affinché, nutriti dai divini sacramenti, possiamo divenire degni, per tua grazia, di raccoglierne i frutti promessi.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

FESTA DELLA SACRA FAMIGLIA (2022)

DOMENICA I DOPO EPIFANIA (2022)

FESTA DELLA SACRA FAMIGLIA.

Doppio maggiore. – Paramenti bianchi.

« Non conviene forse – dice Leone XIII – celebrare la nascita regale del Figlio del Padre Supremo? Non forse la casa di David, e i nomi gloriosi di questa antica stirpe? È più dolce per noi ricordare la piccola casa di Nazaret e l’umile esistenza che vi si conduce: è più dolce celebrare la vita oscura di Gesù. Lì il Fanciullo Divino imparò l’umile mestiere di Giuseppe e nell’ombra crebbe e fu felice di essere compagno nei lavori del falegname. Il sudore – egli dice – scorra sulle mie membra, prima che il Sangue le bagni; che questa fatica del lavoro serva d’espiazione per il genere umano. Vicino al divino Fanciullo è la tenera Madre; vicino allo Sposo, la Sposa devota, felice di poter sollevare le pene agli affaticati con cura affettuosa. O voi, che non foste esenti dalle pene e dal lavoro, che avete conosciuto la sventura, assistete gl’infelici che l’indigenza affligge e che lottano contro le difficoltà della vita  » (Inno di Mattutino). – In questa umile casa di Nazaret Gesù, Maria e Giuseppe consacrarono, con l’esercizio delle virtù domestiche, la vita familiare (Or.). Possa la grande Famiglia che è la Chiesa ed ogni focolare cristiano esercitare in terra le virtù che esercitò la Sacra Famiglia, per meritare di vivere nella sua santa compagnia in cielo (Or.). – Benedetto XV, volendo assicurare alle anime il beneficio della meditazione e dell’imitazione delle virtù della Sacra Famiglia, ne estese la solennità alla Chiesa universale e la fissò alla Domenica fra l’Ottava dell’Epifania o al sabato che la precede.

Incipit

In nómine Patris, ✝et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Prov XXIII: 24; 25
Exsúltat gáudio pater Justi, gáudeat Pater tuus et Mater tua, et exsúltet quæ génuit te.

[Esulti di gaudio il padre del Giusto, goda tuo Padre e tua Madre, ed esulti colei che ti ha generato].


Ps LXXXIII: 2-3
Quam dilécta tabernácula tua, Dómine virtútum! concupíscit et déficit ánima mea in átria Dómini.

 [Quanto sono amabili i tuoi tabernacoli, o Signore degli eserciti: anela e si strugge l’ànima mia nella casa del Signore]

Exsúltat gáudio pater Justi, gáudeat Pater tuus et Mater tua, et exsúltet quæ génuit te.

[Esulti di gàudio il padre del Giusto, goda tuo Padre e tua Madre, ed esulti colei che ti ha generato].

Oratio

Orémus.
Dómine Jesu Christe, qui, Maríæ et Joseph súbditus, domésticam vitam ineffabílibus virtútibus consecrásti: fac nos, utriúsque auxílio, Famíliæ sanctæ tuæ exémplis ínstrui; et consórtium cónsequi sempitérnum:

[O Signore Gesú Cristo, che stando sottomesso a Maria e Giuseppe, consacrasti la vita domestica con ineffabili virtú, fa che con il loro aiuto siamo ammaestrati dagli esempii della tua santa Famiglia, e possiamo conseguirne il consorzio eterno].

Lectio
Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános.
Rom XII: 1-59
Fratres: Obsecro vos per misericórdiam Dei, ut exhibeátis córpora vestra hóstiam vivéntem, sanctam, Deo placéntem, rationábile obséquium vestrum. Et nolíte conformári huic sǽculo, sed reformámini in novitáte sensus vestri: ut probétis, quæ sit volúntas Dei bona, et benéplacens, et perfécta. Dico enim per grátiam, quæ data est mihi, ómnibus qui sunt inter vos: Non plus sápere, quam opórtet sápere, sed sápere ad sobrietátem: et unicuique sicut Deus divísit mensúram fídei. Sicut enim in uno córpore multa membra habémus, ómnia autem membra non eúndem actum habent: ita multi unum corpus sumus in Christo, sínguli autem alter alteríus membra: in Christo Jesu, Dómino nostro.
[Vi esorto, o fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi in sacrificio vivo, santo, accettevole a Dio: ad offrire il vostro culto ragionevole. Non vi conformate a questo secolo; anzi riformatevi, rinnovando il vostro spirito, affinché conosciate quale sia la volontà di Dio buona, accettevole e perfetta. Perciocché in virtù della grazia concessami, io dico a tutti voi di non farla da savi più di quello che conviene, ma di essere savi con modestia secondoché Dio dà a ciascuno la misura della fede. Poiché come in un corpo abbiamo molte membra, ma non tutte le membra hanno la stessa operazione, così in molti siamo un corpo solo in Cristo, e ciascuno è membro l’uno dell’altro „]

P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

COME SI TRATTA IL CORPO.

… Le parole con cui San Paolo esorta i Romani a trattare il loro corpo per trattarlo cristianamente sono tali da stupire più di uno fra coloro che le leggono per la prima volta o per la prima volta le ascoltano. « Vi scongiuro, o fratelli, in nome della misericordia che Dio ci ha usata, di offrire i vostri corpi come un’ostia viva, santa, che piace al Signore ». E in realtà queste parole senza essere menomamente strane, sono mirabilmente nuove nella storia del pensiero morale dell’umanità. La quale non ha mai potuto e non può eliminare il problema del corpo, della materia. Che fare di questo povero corpo? come trattarlo? C’è un trattamento igienico del corpo che non si può dire epicureo, che non si può neanche dire vizioso e non è virtuosamente eroico, eroicamente virtuoso. Consiste nel far star bene il corpo nel conservarlo sano. « Mens sana in corpore sano ». È un programma tutt’altro che ignobile. Fu il programma classico dell’antichità. Noi lo ripetiamo ancora talvolta ai nostri giovani. E Dio volesse che la preoccupazione almeno della salute, dell’igiene, fosse sempre viva e vittoriosa nell’anima della nostra gioventù! Quanti peccati e quante vergogne essa ci risparmierebbe. Ma quando la preoccupazione dello star bene, igienicamente bene, diventi suprema; diventa la grande ispiratrice, la sola e non ci solleva molto in alto, può anche essere egoisticamente bassa. Siamo in un epicureismo sottile e cauto, senza la imprudenza dell’epicureismo volgare: più intelligente dunque dell’epicureismo comune, non più nobile. Più cristiana certo l’austerità scettica di cui abbiamo una traccia, una formula, anche in San Paolo quando ci dice: « castigo corpus meum et in servitutem redigo ». Voglio dominare, è fiero, dignitoso, alto. Programma imperiale, non dell’imperialismo di esportazione, dell’imperialismo di importazione; non esteriore, ma intimo, che è il più vero. E il mezzo è bellicoso: tratto male il mio corpo: lo picchio, lo fo digiunare, gli misuro avaramente la bevanda dolce, gli interdico il più inebriante (abstinuit vino). È tutto un decalogo austero che sa di stoicismo. Non è stoico nel senso che lo riassorbe anche il Cristianesimo, è stoico nel senso che anche lo stoicismo ci era giunto e vi ci si era fermato. Il Cristianesimo va più in su. Arriva al misticismo. Il corpo penetrato di spiritualità ma in nome e per amore di Dio. Lì è la discriminante, nella finalità suprema, definitiva. Perché siano salvi i diritti dell’uomo, è la finalità stoica. Perché sia salva la dignità dell’uomo la quale non si salva per certo capovolgendo i rapporti tra il corpo e lo spirito, condannando questo alla schiavitù, verso di quello. Bella figura umana la figura di chi serve collo spirito alla carne! di chi si anticipa con quella attitudine la morte! Il corpo deve servire, esso deve spiritualizzarsi, e non lo spirito materializzarsi, ma, nel Cristianesimo tale processo deve compiersi nel Nome e per la gloria di Dio. Per offrire a Lui in questo corpo radiosamente spiritualizzato un’Ostia nuova, Ostia viva e non come quella dei vecchi sacrifici che erano carogna, cadavere: Ostia santa, qualche cosa di più che semplicemente buona; santa, tale da piacere a Dio. Il trattamento religioso, divino del corpo! Non si può andare né più in là, né più in su. E tutto questo non è riservato a pochi eletti, ma messo alla disposizione di tutti… ecco il Cristianesimo. Ma è il nostro, fratelli?…

Graduale

Ps XXVI: 4
Unam pétii a Dómino, hanc requíram: ut inhábitem in domo Dómini ómnibus diébus vitæ meæ.


[Una sola cosa ho chiesto e richiederò al Signore: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita.]

Alleluja

Beáti, qui hábitant in domo tua, Dómine: in sǽcula sæculórum laudábunt te. Allelúja, allelúja,

[Beati quelli che àbitano nella tua casa, o Signore, essi possono lodarti nei secoli dei secoli. Allelúia, allelúia.]

Isa XLV: 15
Vere tu es Rex abscónditus, Deus Israël Salvátor. Allelúja.

[Tu sei davvero un Re nascosto, o Dio d’Israele, Salvatore. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum S. Lucam.
S. Luc II: 42-52
Cum factus esset Jesus annórum duódecim, ascendéntibus illis Jerosólymam secúndum consuetúdinem diéi festi, consummatísque diébus, cum redírent, remánsit puer Jesus in Jerúsalem, et non cognovérunt paréntes ejus. Existimántes autem illum esse in comitátu, venérunt iter diéi, et requirébant eum inter cognátos et notos. Et non inveniéntes, regréssi sunt in Jerúsalem, requiréntes eum. Et factum est, post tríduum invenérunt illum in templo sedéntem in médio doctórum, audiéntem illos et interrogántem eos. Stupébant autem omnes, qui eum audiébant, super prudéntia et respónsis ejus. Et vidéntes admiráti sunt. Et dixit Mater ejus ad illum: Fili, quid fecísti nobis sic? Ecce, pater tuus et ego doléntes quærebámus te. Et ait ad illos: Quid est, quod me quærebátis? Nesciebátis, quia in his, quæ Patris mei sunt, opórtet me esse? Et ipsi non intellexérunt verbum, quod locútus est ad eos. Et descéndit cum eis, et venit Názareth: et erat súbditus illis. Et Mater ejus conservábat ómnia verba hæc in corde suo. Et Jesus proficiébat sapiéntia et ætáte et grátia apud Deum et hómines.

[Quando Gesù raggiunse i dodici anni, essendo essi saliti a Gerusalemme, secondo l’usanza di quella solennità, e, passati quei giorni, se ne ritornarono, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, né i suoi genitori se ne avvidero. Ora, pensando che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di cammino, dopo di che lo cercarono tra i parenti e i conoscenti. Ma non avendolo trovato, tornarono a cercarlo a Gerusalemme. E avvenne che dopo tre giorni lo trovarono nel Tempio, mentre sedeva in mezzo ai Dottori, e li ascoltava e li interrogava, e tutti gli astanti stupivano della sua sapienza e delle sue risposte. E, vistolo, ne fecero le meraviglie. E sua madre gli disse: Figlio perché ci ha fatto questo? Ecco che tuo padre ed io, addolorati, ti cercavamo. E rispose loro: Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi di quel che spetta al Padre mio? Ed essi non compresero ciò che aveva loro detto. E se ne andò con loro e ritornò a Nazareth, e stava soggetto ad essi. Però sua madre serbava in cuor suo tutte queste cose. E Gesù cresceva in sapienza, in statura e in grazia innanzi a Dio e agli uomini].

OMELIA

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956)

LA FAMIGLIA DI GESÙ E LA NOSTRA

Gli occhi di un mondo corrotto e crudele erano rivolti a Roma dove Ottaviano Augusto e dove Tiberio governavano tutta la terra soggiogata all’impero romano. Gli occhi di Dio invece erano rivolti altrove: sulla povera casa incavata nella pietra della collina, confusa tra le altre che s’addossavano a formare la borgatella di Nazareth. – Per chi non sa vedere che le apparenze, niente v’era quivi di straordinario: un operaio, un’umile donna, un fanciullo. L’operaio aveva nome Giuseppe: uno dei tre o quattro falegnami del paese. Chi lo vedeva nella sua bottega lavorare in pace da mane a sera, chi lo vedeva per la strada curvo sotto il peso di qualche asse, certo non immaginava ch’egli avesse avuto frequenti colloqui con gli Angeli, e che nella sua casa tirava grande il Figlio di Dio, e insegnava il mestiere al Creatore del cielo e della terra. Proprio a lui, cui nel suo lavoro non toccava mai che meschini affari di poche decine di lire, era stato confidato il secreto e l’affare più grande di tutta la storia umana: quello della redenzione. – La donna si chiamava Maria. Quando la vedevano alla fontana o al lavatoio, a chi poteva passar per la mente che essa era vergine, e che aveva generato il Messia per opera dello Spirito Santo? Filava la tela, cuciva le vesti, preparava il cibo, faceva pulizia: e tutti i giorni da capo così. Eppure era Quella a cui l’Angelo rivolse un saluto unico al mondo: « Ave, o piena di grazia; il Signore è con te, tu sei la benedetta fra tutte le donne… ». Era Quella che, accesa di Spirito Santo, davanti a sua cugina Elisabetta esclamò: « Tutte le generazioni mi proclameranno beata! ». – Il fanciullo si chiamava Gesù. Era molto buono, ed era anche molto intelligente. Ma non si manifestava così da rilevare il suo essere straordinario. Al suo paese c’erano altri, della sua età, che sembravano buoni e intelligenti come lui. Solo una volta, l’anno dodicesimo di sua vita, avendolo i suoi condotto a Gerusalemme, sua madre lo ritrovò nel tempio che ascoltava e interrogava i Maestri della Sacra Scrittura; e dava risposte tanto assennate che tutti ne stupivano. Tornato però a casa, riprese la vita consueta: lavorava nella bottega con suo padre, ubbidiva, cresceva di statura e di grazia presso Dio e presso gli uomini. A sua madre l’Arcangelo aveva annunziato: « Avrai un figlio che sarà grande: sarà chiamato figlio dell’Altissimo, e Dio gli darà il trono di Davide, ed il suo regno non avrà fine». Ora ella, ogni sera, lo vedeva rientrare nella povera cucina stanco, come sono stanchi tutti gli operai dopo una giornata di lavoro; e non lo vedeva già sopra un trono, ma accoccolato su di uno sgabello, accanto alla cenere del focolare. Era quello il figlio dell’Altissimo? il Messia atteso da secoli? Il re e giudice dei vivi e dei morti? Era Quello; e Maria e Giuseppe l’adoravano, e nella pace della loro casa meditavano in silenzio i misteri del Signore. Ecco com’era la Sacra Famiglia, la famiglia di Dio. La società nostra estremamente bisognosa di una rinnovazione che parta dal focolare domestico, deve rivolgersi ad essa ed imitarla. Sotto due aspetti è specialmente necessario che la famiglia moderna si rispecchi nella famiglia di Nazareth: nel santo timor di Dio, nel santo amore vicendevole.

1. NEL SANTO TIMOR DI DIO

Nella casa di Nazareth prima di tutto e soprattutto, ad ogni costo, la volontà del Padre che sta nei cieli. Sia che la Volontà del Padre imponga sacrifici ordinari: il digiuno; la santificazione del sabato con la frequenza alla Sinagoga; il pellegrinaggio annuale per la Pasqua fino a Gerusalemme, cioè 280 chilometri di strada tra l’andata e il ritorno. Sia che la Volontà del Padre imponga sacrifici straordinari: il censimento in Betlemme, la fuga, l’esilio. Gesù stesso, a Giuseppe e a Maria che gli muovevano rimprovero d’esser rimasto senza dir nulla a Gerusalemme, mentr’essi erano già partiti, rispose: « Non dimenticate che bisogna far sempre ciò che desidera il Padre ». E per conoscere la Volontà del Padre, Maria e Giuseppe facevano tesoro di ogni circostanza, raccoglievano ogni parola che Gesù dicesse e le meditavano in cuor loro, lungamente.

E per aver la forza di eseguirla pienamente e fedelmente, ogni giorno c’era la preghiera. Non sempre la sega strideva e il martello batteva nel laboratorio di Giuseppe: ad una certa ora cominciava il riposo serale, si chiudevano le finestre e la porta, e tutti e tre si raccoglievano a rinnovare le forze del corpo con lo stesso pane, e sollevare le forze dello spirito con la stessa preghiera. Nella stagione migliore, secondo il costume dei Giudei, salivano sul tetto a terrazza della loro casa, e pregavano insieme a Gesù! Se parla suo Figlio, come Dio potrà non ascoltare?… Ora osserviamo se nella famiglia moderna, prima di tutto e soprattutto, ad ogni costo, si teme il Signore e si fa la sua volontà. In quante famiglie, invece che la legge di Dio, domina la legge della carne e della passione impura. Così l’atmosfera della famiglia è perennemente inquinata dal fetore del peccato, ed in quell’aria ammorbata da satana forse ci si illude che gli scarsi figli crescano pii ed ubbidienti… Il punto fondamentale è qui: tutto il resto, verrà di conseguenza. Verrà di conseguenza anche la fedeltà alle leggi della Chiesa, la santificazione della domenica con la S. Messa e la Dottrina e il riposo festivo. La Madonna e S. Giuseppe raccoglievano e meditavano ogni parola di Gesù: e Gesù parla ancora ai genitori con la bocca del parroco e dei sacerdoti. Se la predica non è ascoltata seriamente, non è meditata lungamente, non è meraviglia che la volontà di Dio sia misconosciuta nelle famiglie moderne. Infine occorre la quotidiana preghiera, non la preghiera dei singoli, ma quella di tutta la famiglia raccolta assieme: il Rosario. Uniti non appena per il boccone ma anche per l’orazione. S’eleverà allora. da ogni casa la gloria di Dio Padre. Pater noster! Padre di quelli che hanno dato la vita, Padre di quelli che l’hanno ricevuta; Padre la cui gloria riluce sulla fronte dei genitori. Padre la cui immagine è impressa nell’anima dei figli. Padre di tutti noi, figli adottivi e Padre del suo Unigenito Gesù che in quel momento prega con noi.

2. NEL SANTO AMORE VICENDEVOLE

Amore non significa cercare il proprio bene ed il proprio piacere; ma donare se stessi per il vero bene per la gioia degli altri. Nella casa di Nazareth ciascuna persona vive per le altre dimentica di sé. Infatti, S. Giuseppe lavora per mantenere Gesù e Maria: si affanna e soffre per custodire salvo il Figlio di Dio e la verginità di sua Madre. Quando il suo compito è finito, non aspetta quaggiù ricambio e ricompensa, ma chiude gli occhi nel sonno della morte. – Maria non vive che per Gesù e per lo sposo castissimo. I suoi pensieri, i suoi atti, il suo lavoro, la sua giornata è per loro. Che nulla a loro manchi; che trovino la casa pulita, riposante, ristoratrice… Gesù par che dimentichi d’essere il Creatore e si fa suddito delle sue creature: attento ai loro cenni, premuroso in ogni cosa, attento a prevenire i loro desideri. Nella famiglia moderna, nella nostra famiglia vi è davvero questo dono generoso di sé per il bene e la gioia degli altri? Purtroppo, capita che il padre comincia ad essere il despota egoista che vuol essere servito, e vuol godere. Se lavora, una larga parte del guadagno è prelevata per i suoi divertimenti e per i suoi capricci. Capita che la madre, per protesta, si rivendichi la sua parte di libertà, la sua parte di godimento. Di qui i contrasti, la discordia; non due cuori si fondono, ma due egoismi vengono a conflitto. E così i figli sono allevati, non già rispettando in loro i diritti di Dio che ha posto col Battesimo in loro il suo sigillo, ma per la vana soddisfazione dei genitori. Da piccoli accarezzati, viziati, considerati come idoletti, da giovani divengono ribelli, insofferenti, crudeli. – Le persone della famiglia di Nazareth amavano la loro casa. Gesù trent’anni su trentatré volle rimanere nella sua casa. Dove c’è vicendevole e santo amore è bello restare. Invece al tempo nostro molte case sono come un albergo. Non ci si ritrova che per mangiare e per dormire, manca l’amore. – C’è una leggenda assai gentile che merita d’essere ricordata nel giorno della Sacra Famiglia. Stava, una sera afosa, la Vergine Maria, seduta alla porta con il Bambino addormentato sulle ginocchia. Passò un coro di giovani allegri che andavano a divertirsi: e il Bambino dormendo non li udì. Passò un corteo di nozze con fiaccole e gridi festosi: e il Bambino dormendo non li udì. La Vergine Maria pensava in quel momento alla parola che Simeone, il vecchio del tempio, le aveva detto; a quella spada pensava che le avrebbe trapassato il cuore. Intanto una lacrima le tremò sospesa un poco tra le ciglia, e poi le scivolò giù per la guancia. Il Bambino sobbalzò nel sonno, e aprì gli occhi. « Che hai, piccino! » le disse curvandosi maternamente: « Mamma! ho udito un tonfo come di qualche cosa che mi cadesse in cuore ». Tra i tumulti del mondo, le lagrime silenziose delle madri di famiglia, dei padri di famiglia, ancora fanno sobbalzare il cuore del figlio di Dio.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
S. Luc II:22
Tulérunt Jesum paréntes ejus in Jerúsalem, ut sísterent eum Dómino.

[I suoi parenti condussero Gesú a Gerusalemme per presentarlo al Signore.]

Secreta

Placatiónis hostiam offérimus tibi, Dómine, supplíciter ut, per intercessiónem Deíparæ Vírginis cum beáto Joseph, famílias nostras in pace et grátia tua fírmiter constítuas.

[Ti offriamo, o Signore, l’ostia di propiziazione, umilmente supplicandoti che, per intercessione della Vergine Madre di Dio e del beato Giuseppe, Tu mantenga nella pace e nella tua grazia le nostre famiglie.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

S. Luc. II: 51
Descéndit Jesus cum eis, et venit Názareth, et erat súbditus illis.

[E Gesú se ne andò con loro, e tornò a Nazareth, ed era loro sottomesso.]

Postcommunio

Orémus.
Quos cœléstibus réficis sacraméntis, fac, Dómine Jesu, sanctæ Famíliæ tuæ exémpla júgiter imitári: ut in hora mortis nostræ, occurrénte gloriósa Vírgine Matre tua cum beáto Joseph; per te in ætérna tabernácula récipi mereámur:

[]O Signore Gesú, concedici che, ristorati dai tuoi Sacramenti, seguiamo sempre gli esempii della tua santa Famiglia, affinché nel momento della nostra morte meritiamo, con l’aiuto della gloriosa Vergine tua Madre e del beato Giuseppe, di essere accolti nei tuoi eterni tabernacoli.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

FESTA DELL’EPIFANIA (2022)

MESSA DELLA FESTA DELL’EPIFANIA (2021)

Stazione a S. Pietro

Doppio di I classe con Ottava privil. di II Ord.- Pararti, bianchi.

Questa festa si celebrava in Oriente dal III secolo e si estese in Occidente verso la fine del IV secolo. La parola “Epifania” significa: manifestazione. Come il Natale anche l’Epifania è il mistero di un Dio che si fa visibile; ma non più soltanto ai Giudei, bensì anche ai Gentili, cui in questo giorno Dio rivela il suo Figlio (Or.). Isaia scorge in una grandiosa visione, la Chiesa, rappresentata da Gerusalemme, alla quale accorrono i re, le nazioni, la moltitudine dei popoli. Essi vengono di lontano con le loro numerose carovane, cantando le lodi del Signore e offrendogli oro e incenso (Ep.). – I re della terra adoreranno Dio e le nazioni gli saranno sottomesse (Off.). Il Vangelo mostra la realizzazione di questa profezia. – Mentre il Natale celebra l’unione della divinità con l’umanità di Cristo, l’Epifania celebra l’unione mistica delle anime con Gesù. – Oggi – dice la liturgia – la Chiesa è unita al suo celeste Sposo, poiché, oggi Cristo ha voluto essere battezzato da Giovanni nel Giordano: oggi una stella conduce i Magi con i loro doni al presepio: oggi alle nozze l’acqua è stata trasformata in vino. Ad Alessandria d’Egitto pubblicavasi ogni anno, il 6 gennaio, l’Epistola Festalis, lettera pastorale in cui il Vescovo annunziava la festa di Pasqua dell’anno corrente. Di qui nacque l’uso delle lettere pastorali in principio di Quaresima. In Occidente, il IV sinodo d’Orléans (541) ed il sinodo d’Auxerre (tra il 573 ed il 603) introdussero la stessa usanza. Nel medioevo vi si aggiunse la data di tutte le feste mobili. II Pontificale Romano prescrive di cantar oggi solennemente, dopo il Vangelo, detto annunzio (Liturgia, Paris, Bloud et Gay, 1931, pag. 628 sg.).

Incipit

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Malach 3:1 – 1 Par XXIX :12
Ecce, advénit dominátor Dóminus: et regnum in manu ejus et potéstas et impérium

[Ecco, giunge il sovrano Signore: e ha nelle sue mani il regno, la potestà e l’impero.]

Ps LXXI: 1
Deus, judícium tuum Regi da: et justítiam tuam Fílio Regis.

[O Dio, concedi al re il tuo giudizio, e la tua giustizia al figlio del re.]

Ecce, advénit dominátor Dóminus: et regnum in manu ejus et potéstas et impérium

[Ecco, giunge il sovrano Signore: e ha nelle sue mani il regno, la potestà e l’impero.]

Oratio

Orémus.
Deus, qui hodiérna die Unigénitum tuum géntibus stella duce revelásti: concéde propítius; ut, qui jam te ex fide cognóvimus, usque ad contemplándam spéciem tuæ celsitúdinis perducámur.

[O Dio, che oggi rivelasti alle genti il tuo Unigenito con la guida di una stella, concedi benigno che, dopo averti conosciuto mediante la fede, possiamo giungere a contemplare lo splendore della tua maestà.]

Lectio

Léctio Isaíæ Prophétæ.
Is LX:1-6
Surge, illumináre, Jerúsalem: quia venit lumen tuum, et glória Dómini super te orta est. Quia ecce, ténebræ opérient terram et caligo pópulos: super te autem oriétur Dóminus, et glória ejus in te vidébitur.
Et ambulábunt gentes in lúmine tuo, et reges in splendóre ortus tui. Leva in circúitu óculos tuos, et vide: omnes isti congregáti sunt, venérunt tibi: fílii tui de longe vénient, et fíliæ tuæ de látere surgent. Tunc vidébis et áfflues, mirábitur et dilatábitur cor tuum, quando convérsa fúerit ad te multitúdo maris, fortitúdo géntium vénerit tibi. Inundátio camelórum opériet te dromedárii Mádian et Epha: omnes de Saba vénient, aurum et thus deferéntes, et laudem Dómino annuntiántes.

“Levati, o Gerusalemme, e sii illuminata, perché la tua luce è venuta, e la gloria del Signore è sorta su te. Poiché, ecco le tenebre ricoprono la terra e l’oscurità avvolge le nazioni; su te, invece, spunta il Signore, e in te si vede la sua gloria. Le nazioni cammineranno; alla tua luce, e i re allo splendore della tua aurora. Alza i tuoi occhi all’intorno, e guarda: tutti costoro si son radunati per venire a te. I tuoi figli verranno da lontano, e le tue figlie ti sorgeranno a lato. Allora vedrai e sarai piena di gioia; il tuo cuore si stupirà e sarà dilatato, quando le ricchezze del mare si volgeranno verso di te, quando verranno a te popoli potenti. Sarai inondata da una moltitudine di cammelli, di dromedari di Madian e di Efa: verranno tutti insieme da Saba, portando oro e incenso, e celebrando le glorie del Signore”

[Artig. Pavia, A. Castellazzi, La scuola degli Apostoli, Pavia, 1929]

GESÙ CRISTO RE

Isaia, il profeta suscitato da Dio a rimproverare e a consolare il popolo eletto in tempo di grande afflizione, ci dipinge in esilio, prostrato a terra, immerso nel dolore per voltate le spalle a Dio. È bisognoso d’una consolazione; e il profeta questa parola la fa sentire. Gerusalemme risorgerà. Il Messia vi comparirà come un faro risplendente sulla sponda di un mare in burrasca. E nella sua luce accorreranno le nazioni uscendo dalle tenebre dell’idolatria. Gerusalemme deve alzar gli occhi e contemplar lo spettacolo consolante dei suoi figli dispersi che ritornano, e dei popoli della terra che verranno ad essa, cominciando da quei dell’oriente, recando oro ed incenso, annunziando le lodi del Signore. Questa profezia ha compimento nel giorno dell’Epifania, poiché in questo giorno comincia il movimento delle nazioni verso la Chiesa, la nuova Gerusalemme. I Magi che venuti dall’oriente domandano ove è il nato Re dei Giudei, ci invitano a far conoscenza con questo Re.

Graduale

Isa LX: 6;1
Omnes de Saba vénient, aurum et thus deferéntes, et laudem Dómino annuntiántes.

[Verranno tutti i Sabei portando oro e incenso, e celebreranno le lodi del Signore.]

Surge et illumináre, Jerúsalem: quia glória Dómini super te orta est. Allelúja, allelúja.

[Sorgi, o Gerusalemme, e sii raggiante: poiché la gloria del Signore è spuntata sopra di te.

Allelúja.

Allelúia, allelúia
Matt II:2.
Vídimus stellam ejus in Oriénte, et vénimus cum munéribus adoráre Dóminum. Allelúja.

 [Vedemmo la sua stella in Oriente, e venimmo con doni per adorare il Signore. Allelúia.]

Evangelium


Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Matthǽum
Matt II:1-12

Cum natus esset Jesus in Béthlehem Juda in diébus Heródis regis, ecce, Magi ab Oriénte venerunt Jerosólymam, dicéntes: Ubi est, qui natus est rex Judæórum? Vidimus enim stellam ejus in Oriénte, et vénimus adoráre eum. Audiens autem Heródes rex, turbatus est, et omnis Jerosólyma cum illo. Et cóngregans omnes principes sacerdotum et scribas pópuli, sciscitabátur ab eis, ubi Christus nasceretur. At illi dixérunt ei: In Béthlehem Judæ: sic enim scriptum est per Prophétam: Et tu, Béthlehem terra Juda, nequaquam mínima es in princípibus Juda; ex te enim éxiet dux, qui regat pópulum meum Israel. Tunc Heródes, clam vocátis Magis, diligénter dídicit ab eis tempus stellæ, quæ appáruit eis: et mittens illos in Béthlehem, dixit: Ite, et interrogáte diligénter de púero: et cum invenéritis, renuntiáte mihi, ut et ego véniens adórem eum. Qui cum audíssent regem, abiérunt. Et ecce, stella, quam víderant in Oriénte, antecedébat eos, usque dum véniens staret supra, ubi erat Puer. Vidéntes autem stellam, gavísi sunt gáudio magno valde. Et intrántes domum, invenérunt Púerum cum María Matre ejus, hic genuflectitur ei procidéntes adoravérunt eum. Et, apértis thesáuris suis, obtulérunt ei múnera, aurum, thus et myrrham. Et re sponso accépto in somnis, ne redírent ad Heródem, per aliam viam revérsi sunt in regiónem suam,”

[Nato Gesù, in Betlemme di Giuda, al tempo del re Erode, ecco arrivare dei Magi dall’Oriente, dicendo: Dov’è nato il Re dei Giudei? Abbiamo visto la sua stella in Oriente e siamo venuti per adorarlo. Sentite tali cose, il re Erode si turbò, e con lui tutta Gerusalemme. E, adunati tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo, voleva sapere da loro dove doveva nascere Cristo. E questi gli risposero: A Betlemme di Giuda, perché così è stato scritto dal Profeta: E tu Betlemme, terra di Giuda, non sei la minima tra i prìncipi di Giuda: poiché da te uscirà il duce che reggerà il mio popolo Israele. Allora Erode, chiamati a sé di nascosto i Magi, si informò minutamente circa il tempo dell’apparizione della stella e, mandandoli a Betlemme, disse loro: Andate e cercate diligentemente il bambino, e quando l’avrete trovato fatemelo sapere, affinché io pure venga ad adorarlo. Quelli, udito il re, partirono: ed ecco che la stella che avevano già vista ad Oriente li precedeva, finché, arrivata sopra il luogo dov’era il bambino, si fermò. Veduta la stella, i Magi gioirono di grandissima gioia, ed entrati nella casa trovarono il bambino con Maria sua madre qui ci si inginocchia e prostratisi, lo adorarono. E aperti i loro tesori, gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti poi in sogno di non passare da Erode, tornarono al loro paese per un altra strada.]

Omelia

FESTA DELL’EPIFANIA

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956)

I RE. Gi Israeliti ormai erano in cospetto della terra Promessa; solo il Giordano li separava ancora. – Ma il re di Moab, Spaventato dall’irruenza della nuova gente che distruggeva ogni popolo in suo cammino, mandò à chiamare con gran premura l’indovino Balaam. Con dipinto sul volto il terrore, gli disse: « Ecco, un popolo è uscito dall’Egitto, e copre la faccia della terra, e s’accampa dirimpetto à me. Io so che è benedetto colui che tu benedici, e maledetto colui che tu maledici: Va, e Scaglia su lui la maledizione pessima ». Balaam, il falso profeta, prese la via per maledire Israele; ma Iddio s’impossessò di lui, e quando apri bocca per gridare contro le tende del Popolo eletto accampato nelle steppe di Moab, gli uscirono questi accenti: « Parola di Balaam figlio di Beor. Parola dell’uomo che ha l’occhio chiuso. Parola di colui che scorge la visione dell’Onnipotente. Io lo vedo, ma non adesso: io lo contemplo, ma non da vicino. Una stella spunterà da Giacobbe, e uno 8cettro si leverà da Israele ». Orietur Stella ex Iacob et consurget virga de Israel (Num. XXIV, 17). – Quindici secoli dopo, grande, lucida, nuova, apparve nel cielo una Stella. Gesù, che nel Vangelo è chiamato luce del mondo, nascendo si fa annunciare da una Stella che s’accende, e morendo dal sole che si spegne.

Intanto, in regioni straniere i Magi la vedono e dicono: «Se la Stella è spuntata, anche il Re deve essere nato: andiamo a trovarlo ». E vanno. Chi sono i Magi? Alcuni dissero ch’erano re. Altri dissero che re non erano, ma comandavano agli stessi re, perché, più sapienti di tutti, essi possedevano i segreti della terra e del cielo e scrutavano il futuro e il destino. – Donde vengono i Magi? Forse da Ecbatana o forse dalle Sponde del mar Caspio? In groppa dei cammelli e dei dromedari avevano varcato i deserti, guadato i fiumi, divorato la Strada lunghissima in pochi giorni, o invece la Stella era apparsa a loro prima che nascesse Gesù perché potessero giungere in tempo? Quanti erano i Magi? La tradizione, basandosi sui doni ha fissato il loro numero a tre, e ricorda tre nomi: Gaspare, Baldassare, Melchiorre. Ma quanti erano il Vangelo non lo dice, né la Chiesa lo decide. Che importa a noi di queste questioni? a noi interessa considerare come i Re si muovono e tutti s’agitano in cerca di un Bambino avvolto in poveri panni, che vagisce: chi cerca per adorarlo, chi cerca per ucciderlo. Così fu allora. Così fu di secolo in secolo, così oggi, e sarà così sempre perché s’adempia quella parola che disse il Santo Vecchio nel tempio: « Questo fanciullo sarà il segno della rovina e della salvezza ». È sorprendente però come la medesima luce susciti negli uomini opposte impressioni: per gli uni è luce che letifica e illumina, per gli altri è luce che irrita e acceca. La medesima Stella trova nei re Magi un cuore docile e sincero, e in Erode un cuore indurito e corrotto. Meditiamo il Vangelo, ché non poche cose ci possono insegnare i re dell’Epifania. –

I RE MAGI- Sulle contrade d’oriente, una notte che il cielo netto e profondo ostentava tutte le sue fiamme, ecco una strana luce raggiare il suo lume nuovo. Fu un grido di gioia che eruppe dal cuore dei Magi: « Ecco è sorta da Giacobbe la Stella aspettata ». Vidimus stellam in oriente. Ma perché solo i Magi, e pochi altri forse, la videro quando era tanto in alto che tutti i popoli avrebbero potuto facilmente scorgerla? Perché solo essi levavano gli occhi in alto emettevano i loro pensieri nel cielo: tutti gli altri guardavano sul fango della terra e nelle cose basse. Seppellivano ogni aspirazione. La luce di Dio non appare agli uomini curvi sui piaceri, attaccati alle cose che duran poco, ma solo a quelli che scrutano il cielo, e pensano alle cose eterne. – Appena i Magi videro l’astro, senza indugio accorsero. Vidimus et venimus. Anch’essi avevano una famiglia: e la diletta consorte scarmigliata e piangente si sarà distesa sulla soglia per non lasciarli passare; e i figliuoli avran proteso le mani innocenti per trattenere il padre che li abbandonava. Eppure partirono: vidimus et venimus. Anch’essi avevano affari urgenti: il governo di tutto un popolo, i nemici da respingere, il trono da rassicurare. Eppure partono: che importa a loro se al ritorno non troveranno più casa, più trono, e scherniti da tutti dovranno esulare mendicando? E vanno: Vidimus et venimus. Anch’essi sapevano ben valutare la difficoltà e i pericoli dell’impresa; avevano una reggia di marmo e d’oro, e si mettevano in cammino per selve e deserti, sotto la pioggia e il sole. Avevano guardie ed eserciti e si esponevano quasi inermi agli assassini della strada e delle tenebre. Avevano cibi squisiti e vini profumati e andavano incontro alla fame e alla sete e anche alla morte. Vidimus et venimus. Così operarono i Magi: ma a confrontar noi con essi, quanti rimorsi dovremmo sentire! È da anni che Dio ci chiama e noi gli resistiamo perché non sappiamo rinunciare ai legami del sangue e dell’amicizia, ai piaceri della vita, agli abiti cattivi. – Vanno i Magi: il rumore della loro carovana che passa sotto le case addormentate sveglia qualcuno. Viene alla finestra, guarda quei viandanti che corrono, nella notte scura e fredda, dietro a una stella. « Sono matti » dice e torna a letto. Vanno i Magi: e traversano villaggi in festa. La folla che danza, che suona, che canta, che mangia, li guarda passare grigi di polvere e li deride. Ma quelli non si fermano: avanti, avanti verso la cuna del Re dei re. Noi, invece, quante volte ci siamo fermati dal compiere un’opera buona, un atto di fede, perché qualcuno ha osato insultarci o schernirci. – Nell’entrare in Gerusalemme la stella disparve: i Magi si trovarono sperduti, dopo tanto cammino e tanta fatica, in una terra straniera e ostile. Il Dio che cercavano li ripagava adunque così?… Non erano questi i sentimenti dei Magi: essi senza tremar nella fede si rivolsero ai sacerdoti domandarono dov’era nato il Re dei re. Ubi est qui natus est rex Judeorum? Bell’esempio di tranquillità nelle tribolazioni! – Finalmente, in una povera casa trovarono il Fanciullo divino con Maria sua madre. Invenerunt puerum, cum Maria matre eius. È impossibile trovare Gesù senza Maria. Quelli che non vogliono bene alla Madonna, non troveranno mai Gesù. Inginocchiati, dentro ai lussuosi manti reali, sulla paglia dello  strame, i tre potenti venuti da lontano, offrirono i doni: Oro, incenso e mirra. Tre doni anche noi offriamo alla culla del Bambino Redentore: l’oro delle opere buone, ché le parole e i propositi non bastano; l’incenso della Preghiera che ogni giorno dal nostro cuore come un turibolo sale in alto, la mirra amara dei nostri peccati. Si, anche i nostri peccati offriamogli, perché li perdoni: e ci faccia in petto un cuor nuovo e nelle viscere uno Spirito nuovo. –

RE ERODE. Erode, il barbaro Idumeo, figlio di un traditore, a tradimento aveva raggiunto la corona regale della Giudea. Questo mostro di perfidia, che per ingiusti sospetti aveva fatto ammazzare Mariamne sua moglie, che aveva trucidato Alessandra sua suocera, che aveva fatto strangolare due suoi figli per timore che insorgessero a vendicare la madre, che aveva fatto affogare il cognato Aristobulo e sgozzare il cognato Giuseppe, quando conobbe che dal fondo della Caldea erano giunti tre Magi a cercare il nuovo Re dei Giudei sobbalzò di spavento. Tremebondo come un malfattore che si sente la giustizia alle calcagna, chiamò i Magi, con tutta segretezza, al suo palazzo e s’informò da loro sul tempo in cui era apparsa la stella: poi li congedò, dicendo: « Andate, trovate il Bambino: poi ditemi dove sia, ch’io pure venga e l’adori! ». Ma l’impostore già covava il tradimento. Ecco l’arte con cui ancor oggi si perseguita Gesù nelle anime: sotto la vernice di una falsa pietà e con l’astuzia si trascinano alla perdizione. Ad una persona che adempie fedelmente i suoi doveri religiosi il mondo dice: « Tu sei un esagerato: non à necessario tutto quello che fai per salvarti; è troppo, è troppo ». Ad una persona che vive mortificata e premurosa per la sua famiglia, il mondo dice: « Ma perché vuoi amareggiarti la vita? perché ti ostini à vivere come un frate? Il Signore ci ha fatti di carne per godere nell’allegria, come fan tutti ». Guai a quelli che si lasciano ingannare da queste lusinghe, e sfiduciati si voltano indietro verso il mondo: tradirebbero il Bambino Gesù in mano ad Erode. – Costui, non vedendo tornare i Magi a rivelargli il luogo dove era apparso il nuovo erede del trono di Davide, s’accorse d’essere stato beffato. In un impeto bestiale di ferocia comandò che si uccidessero tutti i fanciulli. Occidit omnes pueros a bimatu et infra. Ma l’inerme Re dei re era già in salvo, verso l’Egitto. Il solo ricordo della crudeltà di questo principe ci fa orrore e non possiamo immaginare che un esempio così barbaro trovi ancora in mezzo a noi degli imitatori. Eppure ii mondo è pieno di questa razza di persecutori, e se la Chiesa non è più afflitta da tiranni sanguinari, è dilaniata dagli scandali che rinnovano la strage degli innocenti. Certe Stampe più o meno illustrate o certe mode più o meno immodeste, certi discorsi blasfemi e scurrili che altro sono se non le spade con cui si tenta di uccidere spiritualmente tutte le nuove generazioni con un’educazione atea e pagana? Lo scandalo ivi è diventato collettivo e comandato. – O seandalosi, dice S. Agostino, voi perseguitate nei vostri fratelli ciò che Erode stesso non ha perseguitato: egli non spegneva che la vita, voi spegnete l’innocenza e la virtù: egli non violava che i corpi, voi violate le anime. – Un ultimo insegnamento ci danno i re dell’Epifania. Il lussurioso e superstizioso Erode, che pur di godere la vita, fece guerra a Cristo non ebbe più un istante di pace né in Giudea né dentro di sé. Herodes rex turbatus est, et omnis Ierosolyma cum illo. I tre Magi che, Pur di adorare Cristo, avevano rinunziato a tutti i godimenti che può dare la vita, trovarono la vera gioia che disseta l’anima per sempre. Gavisi sunt gaudio magno valde. Chi cerca Gesù, cerca la propria felicità: e chi lo trova, trova la felicità. – Tiburzio, figlio di Cromazio prefetto di Roma fu imprigionato per la fede. « O adori gli idoli o cammini sopra carboni accesi. Rispose il martire:  « Meglio sui carboni accesi correre incontro à Gesù ». Si fece il segno della croce, poi a Piedi nudi andò sul fuoco. Mentre le sue carni friggevano abbrustolendosi, egli sorrise beatamente e disse: « Mi par d’andare sopra petali di gigli e di rose ». – Cristiani! cerchiamo Gesù, viviamo per Lui. In ogni ora della vita, lieta o triste, ci parrà d’andare sopra un prato fiorito di consolazioni intime, di pace profonda e insospettata.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps LXXI:10-11
Reges Tharsis, et ínsulæ múnera ófferent: reges Arabum et Saba dona addúcent: et adorábunt eum omnes reges terræ, omnes gentes sérvient ei.

[I re di Tharsis e le genti offriranno i doni: i re degli Arabi e di Saba gli porteranno regali: e l’adoreranno tutti i re della terra: e tutte le genti gli saranno soggette.]

Secreta

Ecclésiæ tuæ, quǽsumus, Dómine, dona propítius intuere: quibus non jam aurum, thus et myrrha profertur; sed quod eisdem munéribus declarátur, immolátur et súmitur, Jesus Christus, fílius tuus, Dóminus noster:

[Guarda benigno, o Signore, Te ne preghiamo, alle offerte della tua Chiesa, con le quali non si offre più oro, incenso e mirra, bensì, Colui stesso che, mediante le medesime, è rappresentato, offerto e ricevuto: Gesù Cristo tuo Figlio e nostro Signore:

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Matt II:2
Vídimus stellam ejus in Oriénte, et vénimus cum munéribus adoráre Dóminum.

[Vedemmo la sua stella in Oriente, e venimmo con doni ad adorare il Signore.]

Postcommunio

Orémus.
Præsta, quǽsumus, omnípotens Deus: ut, quæ sollémni celebrámus officio, purificátæ mentis intellegéntia consequámur.

[Concedici, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente, che i misteri oggi solennemente celebrati, li comprendiamo con l’intelligenza di uno spirito purificato.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

FESTA DEL SANTISSIMO NOME DI GESÙ (2022)

MESSA DELLA FESTA DEL SS. NOME DI GESÙ (2022).

Doppio di II cl. – Paramenti bianchi.

La Domenica tra la Circoncisione e l’Epifania, oppure il 2 di Gennaio se in tale tempo non cade la domenica.

Dopo averci manifestato l’Incarnazione del Figlio di Dio, la Chiesa ci rivela tutta la grandezza del suo Nome. Durante il rito della Circoncisione i Giudei davano un nome ai bambini. Cosi la Chiesa usa lo stesso Vangelo del giorno della Circoncisione, insistendo sulla seconda parte, che dice: « il Bambino fu chiamato Gesù » (Vang.) « come Dio aveva ordinato che si chiamasse » (Or.) ». (L’Angelo Gabriele fu mandato da Dio a Maria e le disse: lo Spirito Santo scenderà sopra di te, « partorirai un figliuolo e gli porrai nome Gesù » – S. Luca, 1, 31. « Un Angelo del Signore gli apparve in sogno, dicendo: Giuseppe, ciò che in Maria tua sposa è stato concepito, è dallo Spirito Santo. Ella partorirà un figlio al quale vorrai nome Gesù; perché Egli libererà il suo popolo dai peccati » – S. Matteo. I, 20). Questo nome significa Salvatore poiché spettava a Gesù di salvarci; «nessun altro nome è stato dato dagli uomini con il quale noi dovessimo essere salvati » (Ep.). Le prime origini di questa festa risalgono al XVI secolo, e la si celebrava nell’ordine di S. Francesco. Nel 1721 la Chiesa, retta da Innocenzo XIII, estese al mondo intero questa solennità. Se vogliamo « rallegrarci di vedere i nostri nomi scritti con quello di Gesù nel cielo » (Postc.) abbiamolo spesso sulle nostre labbra quaggiù. Venti giorni d’indulgenza sono accordati a quelli che curvano il capo con rispetto pronunciando o ascoltando il Nome di Gesù e di Maria, e Pio X ha concesso 300 giorni a quelli che li invocheranno piamente con le labbra o almeno con il cuore.

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Phil II:10-11
In nómine Jesu omne genu flectátur, cœléstium, terréstrium et infernórum: et omnis lingua confiteátur, quia Dóminus Jesus Christus in glória est Dei Patris

[Nel Nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi, in cielo, sulla terra e nell’inferno, e ogni lingua confessi che il Signore Gesù Cristo regna nella gloria di Dio Padre.]


Ps VIII: 2.
Dómine, Dóminus noster, quam admirábile est nomen tuum in univérsa terra!

[Signore, Signore nostro, quant’è ammirabile il Nome tuo su tutta la terra!]


In nómine Jesu omne genu flectátur, cœléstium, terréstrium et infernórum: et omnis lingua confiteátur, quia Dóminus Jesus Christus in glória est Dei Patris

[Nel Nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi, in cielo, sulla terra e nell’inferno, e ogni lingua confessi che il Signore Gesù Cristo regna nella gloria di Dio Padre.]

Oratio

Orémus.
Deus, qui unigénitum Fílium tuum constituísti humáni géneris Salvatórem, ei Jesum vocári jussísti: concéde propítius; ut, cujus sanctum nomen venerámur in terris, ejus quoque aspéctu perfruámur in cœlis.

[O Dio, che l’Unigenito tuo Figlio hai costituito Salvatore del genere umano, e hai voluto chiamarlo Gesù, concedici propizio di volerci beare in cielo della vista di Colui di cui sulla terra veneriamo il santo Nome.]

Lectio

Léctio Actuum Apostolorum
Act IV: 8-12
In diébus illis: Petrus, replétus Spíritu Sancto, dixit: Príncipes pópuli et senióres, audíte: Si nos hódie dijudicámur in benefácto hóminis infírmi, in quo iste salvus factus est, notum sit ómnibus vobis et omni plebi Israël: quia in nómine Dómini nostri Jesu Christi Nazaréni, quem vos crucifixístis, quem Deus suscitávit a mórtuis, in hoc iste astat coram vobis sanus. Hic est lapis, qui reprobátus est a vobis ædificántibus: qui factus est in caput ánguli: et non est in alio áliquo salus. Nec enim aliud nomen est sub cœlo datum homínibus, in quo opórteat nos salvos fíeri.

[In quei giorni: Pietro, pieno di Spirito Santo, disse loro: Capi del popolo e anziani, ascoltate: Giacché oggi siamo interrogati sul bene fatto ad un uomo ammalato, per sapere in qual modo sia stato risanato, sia noto a tutti voi e a tutto il popolo di Israele, che in virtù del Nome del Signore nostro Gesù Cristo Nazareno, che voi crocifiggeste e Iddio risuscitò dai morti, costui sta ora qui sano alla vostra presenza. Questa è la pietra rigettata da voi, costruttori, la quale è divenuta testata d’angolo. Né c’è salvezza in alcun altro. Poiché non vi è sotto il cielo altro nome dato agli uomini in virtù del quale possiamo salvarci.]

Graduale

Ps CV: 47

Salvos fac nos, Dómine, Deus noster, et cóngrega nos de natiónibus: ut confiteámur nómini sancto tuo, et gloriémur in glória tua.

[Sàlvaci, o Signore, Dio nostro, e raccoglici di mezzo alle nazioni: affinché celebriamo il tuo santo Nome e ci gloriamo della tua gloria. ].

Isa LXIII:16

Tu, Dómine, Pater noster et Redémptor noster: a sǽculo nomen tuum. Allelúja, allelúja

[Tu, o Signore, Padre nostro e Redentore nostro: dall’eternità è il tuo Nome. Allelúia, allelúia].

Ps CXLIV: 21

Laudem Dómini loquétur os meum, et benedícat omnis caro nomen sanctum ejus. Allelúja.

[La mia bocca annuncerà la lode del Signore: e ogni vivente benedirà il suo santo Nome. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Lucam
Luc II:21
In illo témpore: Postquam consummáti sunt dies octo, ut circumciderétur Puer: vocátum est nomen ejus Jesus, quod vocátum est ab Angelo, priúsquam in útero conciperétur.

[In quel tempo: Passati gli otto giorni, il bambino doveva essere circonciso, e gli fu posto il nome Gesù: come era stato indicato dall’Angelo prima di essere concepito.]

Omelia

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956)

« OLEUM EFFUSUM NOMEN TUUM »

Quando, nella notte, scocca il grido rapido della sentinella che vigila invisibile, il viandante di colpo s’arresta e rabbrividisce. «Chi va là? ». « Sono io ». L’altro non s’acquieta e nuovamente leva la voce. « Fermati, o tiro. Non dal tuo nome ti posso conoscere, bensì dalla parola d’ordine. La sai? ». Tace: l’ignora. Perciò non può e non potrà mai passare da quella strada, che è l’unica strada per dove fatalmente è diretto. Dove sono dirette le anime nostre, o Cristiani, è il Paradiso; ma al tenebroso traguardo della morte io immagino come sentinella un Angelo che, ad ogni anima che passa, richiede la parola d’ordine: « Gesù ». Infelice chi in vita non l’avrà imparata bene poiché non entrerà giammai nel regno del Cielo. Nec enim aliud nome est sub cælo datum hominibus, in quo oporteat nos salvos fieri (Atti, IV, 12). Queste belle parole di S. Pietro mi fanno ricordare un’altra similitudine, anch’essa. espressiva. Vigeva costumanza presso gli antichi Romani di nascondere in bocca ai loro morti una moneta senza di cui, non potendo pagarsi il traghetto sul fiume dell’oltre tomba, i morti sarebbero rimasti sventuratamente esclusi dai luoghi beati. La nostra vera fede ha distrutto questa superstizione; non è però superstizione credere che nessuna anima potrà farsi trasportare dagli Angeli in Paradiso se nella sua bocca non porterà il nome di Gesù. Nec enim aliud nomen est sub cælo datum hominibus, in quo oporteat nos salvos fieri. Conoscere il Nome di Gesù come parola d’ordine, averlo sulle labbra: non significa altro che l’aver creduto nel nostro Salvatore, l’averlo teneramente amato, l’averlo fedelmente servito. Or dunque ascoltate volentieri qualche riflessione su questo santissimo Nome di cui oggi la Chiesa celebra la festa: io applicherò soltanto — seguendo le orme di S. Bernardo, — una frase della Sacra Scrittura: «Il tuo Nome è un olio diffuso”. L’olio è luce nella lampada; è forza al nostro corpo; l’olio è calma sulla piaga. Così il Nome di Gesù alle anime che l’adorano: è luce, è forza,  è pace. – IL NOME DI GESÙ È LUCE. Che cos’era infatti il mondo prima di Gesù? che cosa sono i popoli che non lo conoscono ancora? che cosa diventano gli uomini quando lo dimenticano? Ecco tre domande, a cui è molto utile rispondere. – a) Il mondo prima di Gesù era tutto una densa tenebra spirituale. A prescindere in parte dal popolo di Israele che visse sempre nel crepuscolo della remota aurora divina, tutte le nazioni antiche ci hanno dato esempi di corruzione vergognosa, di crudeltà inaudibile, di errori fatali. Ad Atene e a Roma erano state deificate le più basse passioni dell’uomo: la lussuria in Venere, l’intemperanza in Bacco, l’astuzia in Mercurio. Ad Atene e a Roma, la schiavitù era qualche cosa di essenziale alla compagine dello Stato: migliaia e migliaia di uomini venivano allevati come bestie, condannati come bestie ai lavori più duri senza umana ricompensa, trattati come bestie. Nessun diritto potevano vantare; venduti sui mercati passavano da una regione all’altra; il figlio era strappato alla madre, la sposa allo sposo; mutavano paese e padrone ma non il loro miserando destino. Ad Atene e a Roma, che pur si vantavano centri di sapienza, si ignorava che l’anima nostra è immortale, che viene da Dio, che a Dio tende: si ignorava che Dio è uno solo. – b) Volgiamo adesso la nostra mente ai popoli che non conoscono ancora il Nome di Gesù; essi, dopo tanti secoli, sono rimasti nella barbarie. Non mai vi è capitato tra le mani qualche giornaletto missionario? Non avete mai sentito raccontare nei villaggi dell’Asia ove ancora i genitori gettano i loro bambini nei boschi e nella campagna deserta? Non vi è giunta mai notizia delle tribù africane che vivono di rapina e di strage? Povere anime in preda alle più sciocche superstizioni e alle più raccapriccianti stregonerie! onorano il serpente, la mucca, la pianta; credono paurosamente ai maghi a cui prestano rigorosa ubbidienza; tremano al pensiero dei maligni spiriti a cui, in placazione, offrono sangue d’armenti e sangue di uomini. Talvolta alle loro capanne costrutte a sghembo con foglie e con fango giunge stanco e inerme il Missionario stringendo sul cuore il Crocifisso: ha viaggiato per mesi in acqua e in terra lontano dalla sua mamma, dalla sua casa, dalla sua patria verso un plaga ignota bruciata dal sole o ghiacciata dal freddo. E talvolta è una Suora che giunge fin là: una donna che per amore divino si è sentita il coraggio di passare oceani, fiumi e monti, tra i pericoli di belve e briganti. Con tanta brama, che recano essi? Ai popoli viventi nelle tenebre della morte essi portano il Nome della luce: Gesù. – c) In fine pensiamo che cosa diventano gli uomini quando dimenticano questo Nome. Pensate, o Cristiani, a quello in cui foste ridotti, se mai, scordando il Nome di Gesù: vi siete abbandonati al peccato. Più ciechi di Esaù, avete venduto la primogenitura di figli di Dio per un pugnello di lenticchie; più stolti del figliol prodigo, siete fuggiti dal cuore di Cristo centro di ogni tesoro e di ogni delizia per riempirvi il ventre con le ghiande dei porci. L’anima vostra subito è inaridita come un tralcio reciso dal tronco. Subito il demonio si è impossessato di voi come di uno schiavo. Il Paradiso si è chiuso sul vostro capo, l’Inferno s’è spalancato sotto ai vostri piedi. Gli Angeli della giustizia han gridato contro di voi: « Precipitalo o Signore! Perché ha dimenticato il Nome, fuori del quale salute non v’ha ». IL NOME DI GESÙ È FORZA. È forza d’’irresistibile misericordia davanti a Dio; è forza d’irresistibile minaccia davanti al demonio. – a) Il Maestro divino, insegnando agli Apostoli la maniera di ottenere grazie dal Cielo, disse: « Pregate nel mio Nome. Tutto quello che domanderete in mio Nome, vi sarà senza fallo concesso ». Ecco perché tutte le orazioni del Messale, del Breviario e di ogni altro libro della Chiesa Cattolica termina sempre così: « Questa grazia, o Signore, noi te la domandiamo in Nome del Figlio tuo Gesù Cristo che, con lo Spinto Santo e con Te, vive e regna nei secoli dei secoli. Amen! » – Qualche volta immagino di vedere il Signore mentre ascolta la nostra preghiera e mi par che dica: « No, per quanto la mia bontà sia infinita, non avrai la grazia che mi domandi. Troppo con la tua ingratitudine, troppo con la tua infedeltà, troppo con i tuoi peccati, offendesti tu vermiciattolo della terra l’inaccessibile mia grandezza … ». Ma ecco che noi gli diciamo: « Signore, non è per i nostri meriti e per quel che vale tutta la nostra persona, che osiamo domandarti questa cosa; ma è soltanto nel Nome di Gesù ».  A questa parola Dio non sa più resistere: gli sta davanti l’umanità, la pazienza, il martirio sanguinoso del Figlio suo, e cede. « Che cosa potrà mai negarci, — esclama San Paolo, — se Egli ci ha donato perfino il suo Unigenito? ». – b) Se davanti a Dio è forza d’irresistibile misericordia, davanti al demonio il Nome di Gesù è forza d’irresistibile minaccia. Non so sfuggire alla lusinga di spiegarvi questo pensiero con l’esempio dei martiri Cipriano e Giustina, come è raccontato nel Breviario ambrosiano (XXVI Nov.)». Viveva in Antiochia una fanciulla devota pura e bella, di nome Giustina. E c’era un giovane, di nome Cipriano, che tutto aveva tentato per indurla al male, perfino gli incantesimi e la magia; e sempre inutilmente. Rabbioso per il rifiuto e sospinto dalla passione, consultò allora il demonio e gli chiese perché ancora non l’avesse aiutato in quell’impresa. Gli rispose lo spirito infernale: « Io non ti posso far nulla. Giustina conosce una parola che rompe ogni mia suggestione e mi travolge via sconfitto ». – « Dimmi questa parola, ch’io l’impari! ». – « Non la posso dire tanto mi fa paura. Solo il Vescovo Antimo te la può insegnare ». Cipriano vi si recò subito, e lo scongiurò che gli dicesse quella parola potente e misteriosa. Ed il santo Vescovo gli disse che volentieri gliel’avrebbe insegnata, ma perché la potesse imparare a ripetere bisognava prima che diventasse puro, buono, e Cristiano. Infine, gli confidò la santa e terribile parola: Gesù. – Come il gladiatore si ungeva le membra con l’olio prima della lotta, così noi o Cristiani, armiamoci di questo Nome potente contro le tentazioni. Ci sono anime che piangono talora perché si sentono trascinate prepotentemente verso il peccato; invochino con amore, con fede il Nome di Gesù ed ogni incantesimo del demonio si infrangerà. Come sono maestose le parole con cui termina il Vangelo di San Marco! Gesù manda i discepoli alla conquista del mondo senza nulla fuorché il Nome: « Andate! nel mio Nome scaccerete il demonio; nel mio Nome calpesterete i serpenti; nel mio Nome anche il veleno non vi farà nocumento » (Mc., XVI, 17-18).  – IL NOME DI GESÙ È PACE. Come l’olio lenisce lo spasimo delle piaghe, così il Nome di Gesù placa l’angoscia delle tribolazioni, e allevia il peso delle fatiche. Contardo Ferrini quand’era stanco di studiare, quando non gli riusciva di raggiungere qualche verità astrusa, scriveva in margine al suo libro: « Gesù! » Gli pareva poi di sentirsi incoraggiato e lieto. – I fastidi, le fatiche, le sventure, le malattie sono cose inevitabili in questo mondo d’esilio e di pianto. Forse anche quest’oggi il nostro cuore, la nostra casa è oppressa da una croce grossa… Imprecare è inutile, liberarcene è impossibile: oh se sapessimo invocare il Nome di Gesù, sentiremmo le nostre pene raddolcite e le renderemmo utili per una vita migliore. Poveri uomini costretti sempre tra la polvere e il fumo dell’officina per mantenere la vostra famigliola, imparate ad invocare il Nome di Gesù! Gli Angeli, tra il fragore delle macchine o dei martelli sapranno cogliere la vostra giaculatoria e trasportarla al cielo donde vi riserberà coraggio e benedizione. Povere donne su cui si addossa una grande parte della croce familiare, e forse non siete comprese nei vostri sacrifici, non corrisposte dai vostri figli, imparate ad invocare il Nome di Gesù e troverete la forza e la pazienza a compiere il vostro martirio oscuro e lento. Il Nome di Gesù sia invocato dagli ammalati e dagli infermi da anni crocifissi in un letto, esclusi dalla vita, di peso a sé e agli altri: proveranno un gran sollievo nella loro carne tribolata e una gran pace nella loro anima contristata. Il Nome di Gesù sia invocato da coloro che piangono per un lutto recente: l’orfano, la vedova, la madre senza più il figlio, sentiranno colmato quel gelido vuoto che la morte ha fatto intorno ad essi. Il Nome di Gesù sia invocato da tutti quelli che soffrono per la giustizia, da tutti i calunniati, i disprezzati, i poveri; e tutti sentiranno di esser stati, nel dolore, preceduti dal Figlio di Dio, che li attende al di là del dolore, per coronarli con la sua corona, per rallegrarli della sua allegrezza. – Se un re ci donasse una medaglia d’oro, o un anello prezioso, sollecitamente noi metteremmo il dono in una scatola finissima e lo mostreremmo a tutti con molto piacere. Quando Mosè ottenne la manna dal Cielo subito ne pose qualche vaso nel tabernacolo santo perché rimanesse in perpetua memoria; e quando ricevette le tavole della legge le custodì nell’arca, fabbricata con incorruttibile legno e con lamine d’oro. Ma oggi da Dio noi abbiamo ricevuto un dono che è sopra ogni altro dono: il Nome di Gesù. Che cosa fu la manna, che cosa fu la legge, se le confrontiamo col Nome di Gesù? Quei che mangiarono la manna, quei che ricevettero quelle tavole sono morti, ma chi avrà invocato il Nome di Gesù avrà ogni grazia sulla terra, e poi vivrà beato in eterno.

        C’è un « Nome che è sopra ogni nome » (Filipp., II, 9). Solo «chi l’invocherà, sarà salvo» (Rom., X, 13); poiché «sotto il cielo non è dato nessuno altro nome che ci possa salvare » (Atti, IV, 12), « A tutti quelli poi che sanno invocarlo, il cuore si riempie di grazia e di pace» (I Cor., I, 2) e con quel Nome possono ottenere tutto quello che domandano. S. Bernardo sapeva bene questo Nome, e ci lasciò scritto ciò che a dirlo, provava: « … illumina l’intelletto, fortifica la volontà, smorza le vampe della concupiscenza, mitiga le ambasce, purifica tutti i desideri « Lo sapeva anche S. Francesco d’Assisi, e quando lo ripeteva, il cuore gli palpitava così soavemente che dal volto gli traspariva l’intera consolazione, e faceva lieto chi lo guardava. Lo sanno anche tutti i buoni Cristiani e ne sperimentano i mirabili effetti. Qual è questo Nome? Per anni e secoli gli uomini dell’Antico Testamento avevano desiderato di saperlo, e con gli occhi in alto esclamavano: « Apri, o Signore, il cielo e discendi, affinché a noi sia noto il tuo santo Nome ». Ma Dio non rivelò il suo Nome se non con perifrasi oscure, dicendo, d’essere Colui che è, oppure il Dio degli eserciti; prevedeva che se l’avesse a loro rivelato non l’avrebbero sempre pronunciato con il rispetto necessario. Agli uomini invece del Nuovo Testamento quel Nome dolcissimo e salvifico fu rivelato. Hanno essi almeno saputo pronunciarlo sempre con l’adorazione che si merita? Purtroppo, no! Quanti disgraziati lo pronunciano con un indifferente intercalare, o peggio come un grido di rabbia, oppure (oh l’orrendo delitto della bestemmia!) come un nome di bestia e di maledizione. Dio lo prevedeva; ma, nonostante il previsto oltraggio dei cattivi, non seppe resistere all’amore suo verso gli uomini. Qual è questo Nome? È un Nome che un Arcangelo portò dal cielo a Maria, perché lo imponesse a Colui che per opera dello Spirito Santo sarebbe nato dal grembo verginale. È il Nome che un Angelo nel sonno rivelò a Giuseppe, soggiungendone anche il significato: « vuol dire Salvatore, e lo imporrai al Bambino che nascerà da Maria appunto perché salverà il suo popolo dal peccato » (Mt., I, 21). Infatti, dopo otto giorni dalla nascita, nella cerimonia della circoncisione, com’era costumanza giudaica, il Bambino venne per la prima volta chiamato con quel Nome: Gesù! Questo è un Nome d’impero eterno: sia dunque lodato Gesù. Questo è un Nome d’amore immenso: sia dunque amato Gesù. – NOME D’IMPERO ETERNO. Da poco era stato pronunciato nella circoncisione, che già quel Nome faceva muovere i re della terra. Naturalmente doveva succedere così poiché era il Nome del Re dei re, Nome d’impero eterno. Cuius imperii nomen est in æternum (Dalla Liturgia). E voi vedete un re malvagio e geloso che lo cerca per ucciderlo; ma vedete anche altri re che vengono da molto lontano per riconoscere in Lui il loro sovrano, per sapere il suo Nome e adorarlo. Seguirono trent’anni durante i quali quel Nome parve caduto in oblìo: lo ricordava solo una donna che lo diceva per invitare il suo figliuolo ai pasti; lo ricordava solo un modesto operaio che lo diceva nell’insegnare il mestiere del legno a un giovinetto; forse lo ricordavano anche i fanciulli di Nazareth che lo gridavano per chiamare il loro compagno ai giochi. Vennero quindi alcuni mesi in cui quel Nome era sulla bocca di tutti, come il Nome di un profeta, del più grande Profeta. Ma poi fu scritto su un patibolo come il nome d’un delinquente che avesse tentato di farsi re. Jesus Nazarenus, rex Iudeorum. Appunto con trent’anni di nascondimento con le fatiche della vita pubblica, colla morte di croce, il Nome diventava una realtà: Gesù effettivamente diventava il Salvatore degli uomini. Ma dopo che fu scritto sulla croce, fu Nome decisamente di impero. Allo zoppo che sulla porta del tempio domandava l’elemosina Pietro e Giovanni dissero: « Guardaci. Non possediamo né oro né argento, ma ti diamo quel che abbiamo: In Nome di Gesù Cristo Nazareno, alzati e cammina ». In un attimo gli sì raddrizzarono e consolidarono gli stinchi, e camminò dritto (Atti, III, 4-6). Per mezzo di quel Nome; la Chiesa nascente cominciava ad operare segni e prodigi. Pensate alla potenza del Nome di Gesù ancora oggi nella Chiesa. Nel Nome di Gesù sono scacciati i demoni dal cuore degli uomini, nel Sacramento della confessione. Dominus noster Jesus Christus te absolvat… Nel Nome di Gesù è comunicata ed aumentata la grazia nelle anime in tutti i Sacramenti, in tutte le benedizioni. Nel Nome di Gesù è avvalorata la nostra domanda in tutte le preghiere. Per Dominum nostrum Jesum Christum. Nel Nome di Gesù sono predicate le verità eterne. I profeti antichi, quando parlavano al popolo, s’introducevano dicendo: « Dice il Signore, Iddio degli eserciti…»; ma ora i sacerdoti non hanno altra introduzione se non il Nome di Gesù:« Dice il Signor nostro Gesù Cristo… che c’è la risurrezione della carne, il giudizio, il paradiso e l’inferno ».Nel Nome di Gesù sono promulgate le leggi della salvezza; non è in un Nome qualunque, ma nel Nome di Gesù, o Cristiano, che ti è imposto di essere puro nei tuoi pensieri e nei tuoi atti, di essere giusto nei rapporti sociali col tuo prossimo, di perdonare ai nemici, di soccorrere i bisognosi, di essere docile al Vescovo e al Papa.Nel Nome di Gesù i Missionari portano la fede ai popoli pagani. Come gli esploratori di una terra sconosciuta, come i conquistatori di un paese nemico dichiara sulle mani che beneficano. È portato come una fiamma che non incendia, ma riscaldavano solennemente che ne prendevano possesso nel Nome di Gesù. Ma questo Nome non è da loro portato sulla punta della spada o sulla bocca del fucile, ma nel cuore che ama, scalda e rischiara. Per dovunque con quel Nome arrivano, essi trionfalmente gridano: « La notte è finita, l’inverno è passato: è finita la notte dell’idolatria e dei vizi, è passato l’inverno della barbarie e della crudeltà. Sorge l’aurora e vien la primavera: l’aurora della civiltà, la primavera dell’amore ».Nel Nome di Gesù ogni Cristiano combatte e vince le lotte spirituali. Quando gli eserciti si precipitano sul campo di battaglia, se la sorte delle armi pare indecisa, un Nome vien gridato d’improvviso e quel grido diventa subito un coro di frenetiche urla, che desta l’ardore sopito: è il Nome più caro che, come una bandiera sonora, ondeggia sull’esercito in lotta. Quante belle battaglie han combattuto i nostri soldati al grido di « Italia! ». Ebbene, anche nelle lotte spirituali l’anima ha bisognod’invocare un Nome che le infonda la forza e la certezza della vittoria. Questo Nome è quello di Gesù. Cristiani, invocatelo con tutto il cuore nei momenti della tentazione. – NOME D’AMORE IMMENSO. Il vecchio Vescovo di Antiochia, trascinato a Roma per essere condannato a morire in bocca alle belve, ripeteva continuamente il Nome di Gesù. E alla imposizione di tacere, rispose ai carnefici parole che rivelavano un amore senza misura: « Voi potrete spegnere questo Nome sulle morenti mie labbra; ma cancellarlo dal mio cuore ancora caldo, ancora. palpitante, non potrete mai ». In realtà nessun altro Nome sulla terra ha dato ed ha ricevuto tanto amore come il Nome di Gesù. Pensate alle migliaia di martiri che l’hanno pronunciato con l’ardore del Vescovo Ignazio. Quando la natura non poteva più sopportare in silenzio l’atrocità dei tormenti, invece di gemiti sgorgava dalle loro labbra il nome di Gesù. Ed era come olio sparso sulle loro ferite. Pensate alle migliaia di anacoreti che, abbandonato tutto, sono andati a vivere nelle grotte e nei deserti, non d’altro provveduti che di questo nome. Quando nel profondo del deserto, la potenza delle tenebre si scatenava contro di loro, quando il demonio li tormentava con le più orride suggestioni, dal loro cuore sconvolto sgorgava il Nome di Gesù. Ed era come uno squillo di tromba che dà il segnale della vittoria nelle loro tentazioni. Pensate allora alle migliaia di monaci, di suore, di frati che hanno dimenticato ogni altro nome, perfino il proprio per amore del Nome di Gesù. Quando la solitudine del chiostro alla natura pareva irrespirabile, quando lo squallore gelido della loro cella pareva inabitabile, quando il loro cuore umano invocava un po’ di affetto terreno e sensibile per tirare innanzi, hanno pronunciato il Nome di Gesù. Ed era come una dolce musica di consolazione: Gesù! Nome confortante per l’uomo che soffre. L’uomo che soffre la povertà nel Nome di Gesù, si sente beato perché possiederà il regno dei cieli: « beati i poveri! »; l’uomo che soffre persecuzioni e ingiustizie nel Nome di Gesù si sente beato perché gli sarà fatta una più grande giustizia e gli sarà dato un più grande onore: « beati quelli che sono maledetti, perseguitati, calunniati, per cagion mia! »; l’uomo che piange e dice il Nome di Gesù, si sente beato perché le sue lagrime saranno asciugate non da una mano qualsiasi, ma dalla stessa mano di Dio: « beati quelli che piangono! ». – Nome vivificante per l’uomo caduto in peccato. Per quanta miseria ci sia in un cuore, per quanta nefandità abbia commesso, se in un momento di lucidità si accorge della propria vergognosa rovina e ne prova orrore con desiderio di risorgere, non disperi ma invochi il Nome di Gesù. Udrà in cuore queste parole: « Figlio, i tuoi peccati ti saranno rimessi, se vuoi. Sta in pace, ma non peccare mai più! ». Nome rallegrante per l’uomo buono, che vive in grazia. Quando dice Gesù, egli si sente crescere a dismisura, si sente maggiore di sé: non più semplice uomo, ma uomo divinizzato, fratello a Cristo, figlio vero di Dio. Quando, dicendo Gesù, guarda al cielo, prova un intenso affetto, un indicibile moto del cuore che lo fa sospirare: « È mio. Lassù è la mia dimora felice; lassù sono atteso da un Amore infinito » – E verrà il momento per ciascuno di noi, Cristiani, d’esulare dalla fallace scena di questo mondo, e di battere alla porta del mondo verace ed eterno « Chi batte? » diranno gli Angeli che vi stanno a custodia. « Lasciatemi passare: sono io il famoso inventore, il letterato rinomatissimo del secolo, il medico, il professore, l’avvocato, il sindaco, il pilota d’aeroplano celebre per il suo ardimento, il calciatore irresistibile… ». – « Nomi vani. C’è un sol Nome che ti può far aprire la porta della infinita pace ». Et non est in alio aliquo salus. « Ditemi, ditemi, questo Nome ». « Chi arriva a questa soglia senza averlo imparato, non lo può più imparare. O Cristiani, l’abbiamo imparato noi? Lo sanno già i nostri pensieri, i nostri desideri, le nostre parole, i nostri atti? Forse siamo già a due passi, a un passo solo da quella porta fatale: un piccolo urto e ci troveremo davanti ad essa. – Fortunata quell’umile donna del popolo, massaia di casa, silenziosa e laboriosa, che per tutta la vita, con tutta l’anima aveva ripetuto quel Nome d’eterno impero e d’immenso amore: sul letto di morte, ella chiese al ministro di Dio che l’incoraggiava, qual saluto avrebbe rivolto al Signore, al primo vederlo, al primo incontrarlo nella gloria e nella maestà. – « Non salutarlo diversamente da come sei sempre stata solita ». «Dunque gli dirò: Sia lodato Gesù Cristo! ». « Così! ». Poi la sua faccia piano piano si scolorò, chiuse gli occhi, e restò immota. Solo le labbra ebbero ancora un tremito impercettibile, e s’atteggiarono a un sorriso ineffabile. Forse in quel momento l’anima sua stava dicendo il grande, il dolce saluto.

      In un tempo in cui gli uomini erano diventati molto cattivi e i vizi rovinavano la gioventù, l’avarizia dissanguava i poveri, gli empi corrompevano con i loro errori le anime ingenue, Iddio suscitò dalla nobile famiglia dagli Albizzeschi un santo per convertire le anime. Ma come egli solo poteva avere il coraggio per tanta impresa? Con quale parola avrebbe persuaso la gente a ritornare al Vangelo? Con quale arma avrebbe guerreggiato col demonio e con i tristi? Fu Dio che lo ispirò: « Prendi con te il mio Nome e ti basterà ». Il santo Nome di Gesù! In ogni predica lo ripeteva centinaia di volte, e lo gridava in mezzo alle piazze e lungo le vie perché tutti, anche quelli che non andavano in Chiesa, potessero udire quel Nome di salvezza. Lo faceva ripetere da tutti i bambini che incontrava, lo faceva stampare in mezzo a raggi d’oro e voleva che lo si mettesse sui campanili e sulle torri, sulle porte delle città, sugli usci di casa. – Con questo Nome S. Bernardino da Siena riuscì a salvare moltissime anime e a rinnovare il secolo. Ma gli uomini ancora sono ritornati cattivi, ancora la gioventù si perde dietro i piaceri del senso, ancora gli empi diffondono gli errori tra le anime ingenue. E la santa Chiesa ancora, ogni anno vuole che si celebri la festa santa del Nome di Gesù. Essa ha fiducia che con questo Nome potremo di nuovo vincere il demonio e tutti i suoi nemici: « In tutto il mondo non c’è altro Nome nel quale sia possibile sperare vittoria e salvezza » (Atti, IV, 12). Gesù è Nome di cielo. Dal cielo gli Angeli lo portarono in terra: è Gabriele che volando a Nazareth dice alla Madonna così: « Ecco concepirai e darai alla luce un Figlio e lo chiamerai col Nome di Gesù (Lc., I, 31). È pure un Angelo che avvisa S. Giuseppe di non chiamarlo se non con questo Nome: « Lo chiamerai Gesù, perché salverà il suo popolo » (Mt., I, 21). Gesù è una parola ebraica che tradotta in nostra lingua significa appunto Salvatore, Gesù dunque è proprio il Nome che conveniva. Che cosa era venuto a fare sulla terra se non per salvare ciò che era perduto? E salvò tutti gli uomini. Li salvò non da un male temporaneo, ma dalla morte eterna. Li salvò con la propria morte. Tutto questo è compreso nel Nome di Gesù: Salvatore. Intorno a questo Nome non è mai stata possibile l’indifferenza, ma si è sempre svolta una grande battaglia: sono urla di imprecazioni, e sono trepide acclamazioni di gioia, di ringraziamento. Esso è una bandiera di contraddizione, è il segno d’inestinguibil odio e d’indomato amor. – D’INESTINGUIBIL ODIO. S. Giovanni nell’estasi vide salire dal mare una paurosa visione: una bestia simile in tutto al leopardo fuori che nei piedi, ch’erano di orso, fuor che nella bocca, ch’era di leone. Aveva sette teste, aveva dieci corna, e sopra ciascuno aveva una corona. A questa bestia il serpente aveva prestato la potenza del suo veleno. Ed ecco aprì la sua bocca a bestemmiare contro Dio; e bestemmiò il suo Nome. Aperuit os… blasphemare Nomen eius (Apoc., XIII, 1-10). Chi può essere questa belva che osa bestemmiare il Nome di Dio se non il mondo a cui satana, maligno serpente, ha imprestato la sua bava velenosa? Il demonio, per il primo, non può soffrire il Nome di Gesù. Al sentirlo pronunciare egli trema e fugge. Ricordate con quanto entusiasmo gli Apostoli tornando da un viaggio di predicazione dissero al Maestro: « Sai! anche i demoni ci sono soggetti nel tuo Nome » (Lc., X, 17). Gli altri che odiano e bestemmiano il santo Nome di Gesù sono tutti amici del demonio. I primi in questa sciagurata serie furono i maggiorenti della sinagoga di Gerusalemme che, avendo ascoltato le ardenti prediche di Pietro e di Giovanni ed avendo veduto coi loro occhi i miracoli che sapevano compiere nel Nome di Gesù, li fecero chiamare in tribunale: « Guai a voi! — minacciarono — se pronunziate ancora questo Nome. Guai a voi! se ancora l’insegnerete ad altri ». Ma i due Apostoli impavidi risposero: « Minacciateci pure, ma noi quel Nome lo ripeteremo sempre. Non possiamo tacere » (Atti, IV, 5-21). … neque docerent in Nomine Jesu. In queste parole si compendia tutto un disegno satanico che dura anche ai nostri tempi: vogliono dimenticata e distrutta tutta la dottrina, tutta l’opera, tutta la Religione. Ed ecco le popolazioni che. non vogliono più ascoltare il catechismo e la predica; ecco i giovani che abbandonano le associazioni cattoliche per frequentare altre compagnie dove il Nome di Gesù non si ripete con adorazione; ecco. le ingenue anime dei nostri fanciulli che bramano sentir parlare di Gesù, e mancano di chi potrebbe e dovrebbe a loro ripeterlo con religioso amore. Dall’ignorare il Nome di Gesù al bestemmiarlo, non c’è che un passo, che l’esperienza ci dimostra molto breve. Aperuit os blasphemare Nomen eius! E lo bestemmiamo gli uomini all’officina, quasi che anch’Egli non avesse passato all’officina tutta la vita. E lo bestemmiano anche le donne, e spesso lo nominano senza reverenza. E lo bestemmiano perfino i fanciulli che un giorno il divin Maestro si stringeva sul cuore palpitante d’amore infinito. – E D’INDOMATO AMOR. Gli Apostoli non avevano né oro né argento, ma avevano il Nome di Gesù che stimavano il più grande di tutti i tesori. « Non abbiamo danaro — dissero Pietro e Giovanni a uno storpio che mendicava sulla porta Speciosa — ma abbiamo il Nome di Gesù. E nel Nome di Gesù, alzati e cammina » (Atti, III, 6). Il Nome di Gesù non solo era la ricchezza ma anche la forza degli Apostoli. E quando i Giudei si meraviglieranno dei prodigi compiuti da Pietro, egli dirà loro: « Gente d’Israele!… È il Nome di Gesù che ha fortificato questo povero uomo che vi sta davanti» (Atti, III, 16). S. Paolo in quattordici lettere scrisse 237 volte il Nome di Gesù e 417 il Nome di Cristo. E quando sulla via Ostiense gli troncarono la testa, la tradizione vuole che il suo capo tagliato, balzando tre volte sulla terra, abbia ripetuto ancora tre volte: « Gesù! ». Gesù! era l’ultimo sospiro di tutti i martiri divorati dalle belve nei circhi, o  abbruciati negli orti, o immersi in fontane ghiacciate, o soffocati nell’olio bollente. S. Francesco d’Assisi pronunziando questo divin Nome si forbiva le labbra per dolcezza. –  S. Caterina da Genova, nobil donna della famiglia Fieschi, con mirabile sollecitudine assisteva gli ammalati nell’ospedale. Essendovi una volta ricoverata una vecchia gravemente inferma di febbre pestifera, la quale stette otto giorni in agonia senza parlare, la santa spesso visitandola le diceva: « Chiama Gesù ». Ma quella non potendo proferire la voce, moveva le labbra onde si congetturava che lo chiamasse come poteva. Quando Caterina le vide la bocca « piena di Gesù », non potendosi più contenere la baciò con grand’affetto del cuore, per questo ne contrasse la febbre pestilenziale così che ne fu per morire. Eppure era tutta lieta perché aveva baciato il Nome di Gesù. – E PER NOI CHE SEGNO È? Che segno è il Nome di Gesù per la nostra famiglia? « Dove saranno due o tre uniti insieme nel mio Nome, in mezzo a loro sarò anch’Io ». Così ha, detto il Signore. Ubi sunt duo congregati in Nomine meo… (Mt., XVIII, 20). Questi due possono essere lo sposo e la sposa. Scendete nelle catacombe di Roma e spesso troverete inciso sulle pareti il simbolo eloquente del matrimonio cristiano: due mani congiunte insieme e al di sopra il nome Gesù. In questo Nome gli sposi devono educare santamente i figli.

2) Che segno è il Nome di Gesù in mezzo ai nostri amici? » Dove due o tre sono congregati nel mio Nome, in mezzo a loro sarò anch’io ». Ma Gesù forse non può venire in mezzo alle nostre compagnie, perché si bestemmia, perché si parla disonesto, perché si sta ai ritrovi e ai divertimenti invece di recarci alla Messa e alla spiegazione della Dottrina; in una parola perché non ci raduniamo nel suo Nome!

3) Che segno è il Nome di Gesù per il nostro cuore? È scritto: « Qualunque cosa domanderete al Padre nel mio Nome, l’avrete » (Giov., XVI, 23). Noi invece siamo pigri nelle orazioni, distratti, svogliati. È scritto: «Io sono pronto a farmi legare e a morire in Gerusalemme per il Nome di Gesù» (Atti, XXI, 13). Noi invece non siamo capaci della più piccola mortificazione; ci lamentiamo delle croci; ci disperiamo contro la divina Provvidenza. È scritto ancora: « Chiunque nel mio Nome avrà dato a un povero anche un bicchier d’acqua fredda, non sarà senza mercede » (Mc., IX, 40). Noi invece siamo gretti con i poveri, li trattiamo in modo spregevole; noi, prima d’offrire un soldo per la Chiesa, per le Missioni, per le opere buone, si fa mille calcoli; mentre per i divertimenti non si tiene misura. Infine sta scritto: « Qualunque cosa facciate, o in opere o in parole, fate nel Nome del Signore Gesù Cristo » (Colos., III, 17). Noi invece si passa delle giornate, delle settimane intere senza ricordarci nemmeno una volta del Nome di Gesù. – Una debole fanciulla di Lorena che non sapeva altro che condurre i greggi a pasturare, un giorno prese una bandiera, vi scrisse il nome di Gesù e corse a combattere contro gli eserciti inglesi che avevano occupato la Francia. E vinse. – Come Giovanna d’Arco, anche noi siamo deboli e paurosi; anche noi abbiamo l’anima assediata da terribili eserciti nemici: l’esercito delle passioni nostre, l’esercito delle lusinghe mondane, l’esercito dei demoni. Il Nome di Gesù sia la nostra bandiera: questo Nome ci accompagni ogni giorno; questo Nome ci assista nell’ora della tentazione, nell’ora della tribolazione; questo Nome sia l’ultimo sospiro dell’anima nostra nell’ora della morte.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps LXXXV: 1; 5
Confitébor tibi, Dómine, Deus meus, in toto corde meo, et glorificábo nomen tuum in ætérnum: quóniam tu, Dómine, suávis et mitis es: et multæ misericórdiæ ómnibus invocántibus te, allelúja.

[Confesserò Te, o Signore, Dio mio, con tutto il mio cuore, e glorificherò il tuo Nome in eterno: poiché Tu, o Signore, sei soave e mite: e misericordiosissimo verso quanti Ti invocano, allelúia.]


Secreta

Benedíctio tua, clementíssime Deus, qua omnis viget creatúra, sanctíficet, quǽsumus, hoc sacrifícium nostrum, quod ad glóriam nóminis Fílii tui, Dómini nostri Jesu Christi, offérimus tibi: ut majestáti tuæ placére possit ad laudem, et nobis profícere ad salútem.

[O clementissimo Iddio, la tua benedizione, che dà vita d’ogni creatura, santífichi, Te ne preghiamo, questo nostro sacrificio, che Ti offriamo a gloria del Nome del Figlio tuo e Signore nostro Gesù Cristo: affinché torni gradito e di lode alla tua maestà e profittevole alla nostra salvezza.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps LXXXV:  9-10
Omnes gentes, quascúmque fecísti, vénient et adorábunt coram te, Dómine, et glorificábunt nomen tuum: quóniam magnus es tu et fáciens mirabília: tu es Deus solus, allelúja.

[Tutte le genti che Tu hai fatto, o Signore, vengono e Ti adorano e glorificano il tuo Nome: poiché grande Tu sei e fai meraviglie: Tu solo sei Dio, allelúia.]

Postcommunio

Orémus.
Omnípotens ætérne Deus, qui creásti et redemísti nos, réspice propítius vota nostra: et sacrifícium salutáris hóstiæ, quod in honórem nóminis Fílii tui, Dómini nostri Jesu Christi, majestáti tuæ obtúlimus, plácido et benígno vultu suscípere dignéris; ut grátia tua nobis infúsa, sub glorióso nómine Jesu, ætérnæ prædestinatiónis titulo gaudeámus nómina nostra scripta esse in cœlis.

[Onnipotente eterno Iddio, che ci hai creati e redenti, guarda propizio i nostri voti: e degnati di ricevere benignamente il sacrificio della Vittima salutare che offriamo alla tua maestà in onore del Nome del tuo Figlio, Gesù Cristo, nostro Signore; affinché, per la tua grazia, in virtù del glorioso Nome di Gesù, godiamo di vedere i nostri nomi scritti in cielo in eterno.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

MESSA DI CAPODANNO (2022)

MESSA DI CAPODANNO (2022)

CIRCONCISIONE DI N. SIGNORE E OTTAVA DELLA NATIVITÀ.

Stazione a S. Maria in Trastevere

Doppio di II classe. – Paramenti bianchi.

La liturgia celebra oggi tre feste: La prima è quella che gli antichi sacramentari chiamano « nell’Ottava del Signore ». Gesù è nato da otto giorni. Così la Messa ha numerosi riferimenti a quelle di Natale. La seconda festa ci ricorda che, dopo Dio, noi dobbiamo Gesù a Maria. Cosi un tempo si celebrava in questo giorno una seconda Messa in onore della Madre di Dio nella Basilica di Santa Maria Maggiore. Ne è rimasta una traccia nella Orazione, nella Secreta e nel Postcommunio, che sono prese dalla Messa votiva della SS. Vergine, e nei Salmi dei Vespri, tolti dal suo Officio. – La terza festa, infine, è quella della Circoncisione, che si celebra dal VI secolo. Mosè imponeva questo rito purificatore a tutti i bambini Israeliti, l’ottavo giorno dalla loro nascita (Vang.). È una figura del Battesimo per il quale l’uomo è circonciso spiritualmente. « Tu vedi, dice S. Ambrogio, che tutta la legge antica è stata la figura di quello che doveva venire; infatti anche la circoncisione significa espiazione dei peccati. Colui che è spiritualmente circonciso con la correzione dei suoi vizi, è giudicato degno dello sguardo del Signore » (1° Notturno). Così, parlando del primo sangue divino che il Salvatore versò per lavare le nostre anime, la Chiesa insiste sul pensiero della correzione di quello che di cattivo è in noi. « Gesù Cristo ha dato se stesso per riscattarci da ogni iniquità e purificarci » (Ep.). « Degnati, Signore, con questi celesti misteri, di purificarci » (Secr.). «Fa, o Signore, che questa Comunione ci purifichi dei nostri peccati » (Postcom.).

Incipit

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Isa. 9:6
Puer natus est nobis, et fílius datus est nobis: cujus impérium super húmerum ejus: et vocábitur nomen ejus magni consílii Angelus.

 [Ci è nato un bambino, ci è stato dato un figlio, il cui impero poggia sugli ómeri suoi: e il suo nome sarà: Angelo del buon consiglio.]
Ps XCVII:1


Cantáte Dómino cánticum novum: quia mirabília fecit.

[Cantate al Signore un cantico nuovo: perché ha fatto cose mirabili.]


Puer natus est nobis, et fílius datus est nobis: cujus impérium super húmerum ejus: et vocábitur nomen ejus magni consílii Angelus.

[Ci è nato un bambino, ci è stato dato un figlio, il cui impero poggia sugli ómeri suoi: e il suo nome sarà: Angelo del buon consiglio.]

Oratio

Orémus.
Deus, qui salútis ætérnæ, beátæ Maríæ virginitáte fecúnda, humáno géneri praemia præstitísti: tríbue, quǽsumus; ut ipsam pro nobis intercédere sentiámus, per quam merúimus auctórem vitæ suscípere, Dóminum nostrum Jesum Christum, Fílium tuum: 

O Dio, che mediante la feconda verginità della beata Maria, hai conferito al genere umano il beneficio dell’eterna salvezza: concédici, Te ne preghiamo: di sperimentare in nostro favore l’intercessione di Colei per mezzo della quale ci fu dato di ricevere l’autore della vita: il Signore nostro Gesú Cristo, tuo Figlio:

Lectio

Léctio Epístolæ beati Pauli Apóstoli ad Titum.
Tit 2:11-15
Caríssime: Appáruit grátia Dei Salvatóris nostri ómnibus homínibus, erúdiens nos, ut, abnegántes impietátem et sæculária desidéria, sóbrie et juste et pie vivámus in hoc saeculo, exspectántes beátam spem et advéntum glóriæ magni Dei et Salvatóris nostri Jesu Christi: qui dedit semetípsum pro nobis: ut nos redímeret ab omni iniquitáte, et mundáret sibi pópulum acceptábilem, sectatórem bonórum óperum. Hæc lóquere et exhortáre: in Christo Jesu, Dómino nostro.

[“Carissimo: La grazia di Dio nostro Salvatore si è manifestata per tutti gli uomini, insegnandoci che, rinunciata l’empietà e i desideri mondani, viviamo con temperanza; con giustizia e con pietà in questo mondo, in attesa della beata speranza e della manifestazione gloriosa del grande Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo; il quale ha dato se stesso per noi, per redimerci da ogni iniquità, e formarsi un popolo puro che gli fosse accetto, zelante delle buone opere. Così insegna ed esorta in Cristo Signor nostro”] (Tit. II, 11-15). –

IL PROGRAMMA DELLA NOSTRA VITA

[A, Castellazzi: Alla Scuole degli Apostoli. Ed. Artigian. Pavia, 1929]

Quando S. Paolo si recò nell’isola di Creta col suo discepolo e collaboratore Tito, vi trovò parecchi gruppi di Cristiani, che non erano organizzati in una gerarchia regolare. Non potendo l’Apostolo trattenersi a lungo nell’isola, vi lasciò Tito a organizzare quella Chiesa. Più tardi gli scrive una lettera. In essa gli dà norme da seguire nell’adempimento del suo ufficio pastorale rispetto agli uffici ecclesiastici, ai doveri delle varie classi di persone e ai doveri generali dei Cristiani. Nel brano riportato, avendo prima stabiliti i doveri secondo i differenti stati, reca la ragione per la quale i Cristiani sono tenuti a questi doveri. Sono tenuti perché Dio, che nella sua bontà è sceso dal cielo per tutti, ha insegnato a tutti a rinunciare all’empietà e ai desideri del secolo per vivere nella moderazione, nella giustizia, nell’amor di Dio. Così vivendo saranno consolati dalla presenza della venuta del Redentore, il quale ha dato in sacrificio se stesso per riscattarci dal peccato, e così formare di noi un popolo veramente eletto, tutto dato alle buone opere. Sul cominciare dell’anno la Chiesa ripete a noi questo insegnamento, per esortarci a vivere secondo: Pietà, Temperanza, Giustizia.  « Chiunque, vuol pervenire al regno celeste, viva con temperanza verso se stesso, con giustizia verso il prossimo, con pietà perseverante verso Dio» (S. Fulgenzio, De remiss. Pacc. L. 1 c. 23).Cominciamo subito da quest’oggi a mettere in pratica questo programma affinché, se il Signore volesse chiamarci al rendiconto nel corso di quest’anno, in qualunque momento ci chiami abbia a trovarci pronti.Mons. Francesco Iannsens, Vescovo di Nuova Orleans,venerato dai suoi figli come un santo, viaggiando sopra un piroscafo alla volta d’Europa, è colpito improvvisamente dalla morte. Non gli rimane che il tempo di inginocchiarsi in cabina e dire: «Mio Dio, vi ringrazio che son pronto» (La Madre Francesca Zaverio Cabrini; Torino 1928, p. 144-45). Che d’ora innanzi la nostra vita sia tale, da poter anche noi dare questa risposta alla divina chiamata, in qualunque momento e in qualunque circostanza si faccia sentire!

Graduale

Ps XCVII:3; 2
Vidérunt omnes fines terræ salutare Dei nostri: jubiláte Deo, omnis terra.
V. Notum fecit Dominus salutare suum: ante conspéctum géntium revelávit justitiam suam. Allelúja, allelúja.

[Tutti i confini della terra videro la salvezza del nostro Dio: acclami a Dio tutta la terra.
V Il Signore ci fece conoscere la sua salvezza: agli occhi delle genti rivelò la sua giustizi. Alleluia, alleluia.]
Heb I:1-2


Multifárie olim Deus loquens pátribus in Prophétis, novíssime diébus istis locútus est nobis in Fílio. Allelúja.

[Un tempo Iddio parlò in molti modi ai nostri padri per mezzo dei profeti, ultimamente in questi giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio. Allelúia.]

Evangelium

Luc II:21
In illo témpore: Postquam consummáti sunt dies octo, ut circumciderétur Puer: vocátum est nomen ejus Jesus, quod vocátum est ab Angelo, priúsquam in útero conciperétur.

OMELIA

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956)

LA CIRCONCISIONE DI CRISTO E LA NOSTRA

Geremia, il profeta doloroso, uscì un giorno in un triste lamento: « È passato il tempo dei frutti e dei raccolti, anche l’estate è finita, e noi, miseri non ci siamo salvati» Transiit messis, finita est æstas et nos salvati non sumus (VIII, 20). Questo gemito ritorna spontaneo al nostro labbro se dalla punta dell’anno nuovo che oggi incomincia, ci voltiamo indietro a considerare l’anno vecchio che ieri finì. Un altro anno se n’è volato via, altri trecento sessanta cinque giorni che non rivivremo più. Pensate: se ogni giorno avessimo ascoltato la S. Messa, se ogni giorno avessimo detto bene il S. Rosario, se ogni settimana avessimo elargito una piccola elemosina alla Chiesa o ai poveri, oppure avessimo fatto una piccola mortificazione di gola, di lingua o di pensiero per amor di Cristo, quale abbondante messe di preziosissimi frutti avremmo ora da raccogliere! Invece la stagione dei frutti passò, l’estate finì, e noi restiamo con vuote entrambe le mani. Transiit messis, finita est æstas et nos salvati non sumus. – Chi sa quanti ieri, tirando i conti, avranno detto: « Godi, anima mia: quest’anno abbiamo messo buona roba in granaio e buon danaro nel portafoglio, abbiamo acquistato terreni e abbellito la casa… ». Va bene, godete pure. Ma, e l’anima vostra l’avete abbellita? e nei granai dell’eternità avete messo buon frumento che l’umidità non ammuffisce e che i topi non rosicchiano? O, forse, abbiamo aggiunto miserie a miserie, abbiamo peccato contro noi, contro la nostra famiglia, contro Dio e l’anima nostra è scesa più giù per una china fangosa fino alla perdizione? Chi adesso ci potrà stendere una mano pietosa, strapparci dai nostri peccati, avviarci con l’anno nuovo per un cammino nuovo? Gesù Cristo: il Salvatore. Si legge, nel Vangelo di questa festa, così: « Trascorsi otto giorni, il Fanciullo di Dio fu circonciso e fu chiamato Gesù, ossia Salvatore ». Misteriosa coincidenza: è dalla circoncisione che il Dio-Uomo vien detto Gesù, perché solo nel dolore Egli ci ha salvati. Senza spargimento di sangue, è scritto, non c’è salvezza; e solo il Sangue doveva essere suggello della nuova alleanza tra il peccatore e Dio, tra la terra e il cielo. Cristo per salvarci si è circonciso: ecco il primo pensiero. Ma poi che Dio non ha voluto salvarci senza la nostra cooperazione, ne deriva, per tutti, la necessità della circoncisione. Ma non una circoncisione materiale come quella dei Giudei, bensì una circoncisione spirituale del cuore: ecco il secondo pensiero. – CRISTO PER SALVARCI SI È CIRCONCISO. Nel libro dei Re è descritta la famosa lotta tra Elia, profeta del Signore, e i sacerdoti di un superstizioso idolo chiamato Baal. « Ci siano dati due buoi » esclamò Elia in faccia a tutto il popolo. « I sacerdoti di Baal ne scelgano uno per loro e, fattolo in pezzi, lo pongano sopra la legna, ma non vi mettano sotto il fuoco. Io ne sceglierò un altro per me, lo porrò sopra la legna, ma non vi metterò sotto il fuoco. Invochino essi, allora, i nomi dei loro dei, io chiamerò il nome del mio Signore. Il Dio che esaudirà per mezzo del fuoco, quello è vero ». I sacerdoti di Baal accettarono e tutto il popolo disse: « Sì ». A mezzo giorno si vide uno spettacolo raccapricciante. Poi che sull’altare dell’idolo non s’accendeva mai la fiamma, i sacerdoti avevano cominciato ad ululare e poi con lancette e coi coltelli si facevano nel volto e nella persona lunghi tagli e profonde incisioni sino a bagnarsi di sangue. E Baal era sordo a quelle grida disperate, era cieco a quel sangue espresso da ogni scalfittura. Non una scintilla scoccava, tra la legna, sotto il bue sacrificato. – S. Agostino, pensando a questa dolorosa scena esclama commosso: « Oh! Miei fratelli, quale contrasto tra Cristo e Baal, tra gli adoratori di Baal e quelli di Cristo! Nel tempio di Baal gli uomini spargevano il proprio sangue per il loro idolo; nel tempio del vero Dio, è Dio medesimo che, nella Circoncisione, versò il proprio sangue per gli uomini ». Là un popolo idolatra lacerava la sua carne per compiacere ad una bugiarda divinità; qui, Dio incarnato si lascia tagliare la propria carne perché ne sgorghino le prime gocce di quel sangue che doveva redimere il mondo. Oh sì! una grande maledizione gravava sul mondo, e gli uomini per il peccato d’Adamo e per i loro peccati erano fatalmente rovinati e per sempre. C’era bisogno d’un pacificatore che valesse a calmare la vendetta di Dio, c’era bisogno d’un prezzo infinito che bastasse a soddisfare la giustizia del Signore. Il pacificatore fu Cristo e il prezzo della pace fu il sangue che versato a gocce nella Circoncisione doveva sgorgare a fiotti nel giorno della Crocifissione. E ci ha salvati. – Ci ha salvati, perdonandoci i peccati: e sarebbe bastato che ce li avesse perdonati una volta sola, la prima, per essere nostro Salvatore. Invece ce li ha perdonati settanta volte sette, cioè sempre che noi ci mettiamo ai piedi del Confessore nel Sacramento della penitenza. Ci ha salvati col fortificarci con la sua grazia l’anima nostra debole assai. Basta una piccola occasione, uno sguardo, un pensiero, una parola per farla tremare e cadere, per la qual cosa se il Signore non ci aiuta è impossibile resistere. Ci ha salvati con aprirci il paradiso. Quando ci ammaleremo per l’ultima volta e stenderemo nel letto dell’agonia le nostre membra faticate, quando il mondo intorno svanirà come una nave che si allontani, quando non udremo più il singhiozzo dei cari parenti perché il nostro corpo starà per dissolversi, come un mantello vecchio, allora lo vedremo il Salvatore che verrà a prendere l’anima nostra e portarla in Paradiso: Egli stesso con le sue mani piagate dai chiodi ce lo schiuderà davanti. – DOBBIAMO PER SALVARCI CIRCONCIDERE IL CUORE. Gli scribi e i farisei di Gerusalemme dissero una volta a Gesù: « Perché, Maestro, i tuoi discepoli trasgrediscono le nostre costumanze? Non ti sei accorto ch’essi non si lavano le mani prima di mangiare il pane? ». « Ipocriti! — rispose Gesù, — che v’affannate per queste odiose prescrizioni e che poi, senza scrupolo, rifiutate un tozzo di pane a vostra madre affamata; ben ha detto di voi Isaia che amate Dio con la bocca mentre avete il cuore lontano da Lui. » Poi chiamò le turbe a sé e disse: « Udite! Ascoltate! Non ciò che entra per la bocca, ma ciò che dalla bocca esce insozza l’anima dell’uomo ». Nessuno ci capì; Pietro osò supplicarlo: « Signore! Spiegaci questa tua parabola ». E Gesù, buono, spiegò. « Quel che dalla bocca esce vien dal cuore: è dal cuore che sorgono i cattivi pensieri, gli omicidi, gli adulteri, i furti, le false testimonianze, le calunnie, È questo che rovina l’uomo ». Quæ autem procedunt de corde, ea coinquinant hominem (Mt., XV, 18). Conviene adunque che non il corpo, ma il cuore sia circonciso, se vogliamo partecipare alla grazia della Redenzione. Per chi è avaro, questa santa circoncisione, consiste nel frenare l’esagerato amore al danaro con la giustizia dei propri guadagni, con l’elemosina verso i bisognosi. Per chi è superbo, questa santa circoncisione consiste nel soffocare l’invidia del bene altrui, quell’invidia che tramuta per noi in un dolore ogni gioia del prossimo, e ci fa odiare quelli che dal Signore sono più benedetti. Per chi è impudico, questa santa circoncisione consiste nel fuggire il gioco e il vino; i luoghi e le persone pericolose; nell’amare la preghiera e la santa Eucaristia. È dolorosa questa circoncisione del cuore. Lo so; e prima di noi lo sapeva Gesù Cristo che ce l’ha imposta. Ma è necessaria.  Chi la rifiuta, riceverà il rimprovero di S. Stefano: « Gente dura di mente e incirconcisa di cuore! voi resistete sempre allo Spirito Santo ». – Finalmente il popolo d’Israele, dopo lunghe giornate di caldura soffocante, di fame, di sete, di malattie, di guerre arrivava a quella terra promessa da Dio, intravista nei sogni, sospirata per anni e anni. Già tutti sentivano la fragranza del latte e del miele stillante in quella beata regione, già la vedevano, già correvano ad entrarvi. Ma Giosuè fermò d’un tratto le dodici tribù, gridando l’ordine di Dio: « Nessuno può entrare nella terra promessa se prima non sia circonciso ». Quel paese felice è una figura del Paradiso. Quella circoncisione materiale è un simbolo della circoncisione spirituale del cuore. Nessuno può entrare in Paradiso senza questa circoncisione del cuore. Circumcisio cordis in spiritu, non littera. –  Quanti, forse senza di essa, sono morti nell’anno finito ieri! E chissà che questo non sia per noi l’ultimo di vita; l’anno che decida dell’inferno o del Paradiso per l’anima nostra? Tutti vediamo il primo giorno, ma non tutti ne vedremo l’ultimo. Dio sa quelli che di noi morranno. Qualcuno, in verità potrebbe dire: « Quest’anno morrò: che sarà di me? ». Al Salvatore, a Cristo circonciso per le nostre anime, gridiamo oggi la preghiera di Davide: « Salvami, Dio, dalla corruzione del mondo! Che le sue acque, che i falsi piaceri, che le bugiarde teorie non tocchino l’anima mia. Salvami Dio, perché affondo nel fango, e non trovo un sostegno ».

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps LXXXVIII:12; 15
Tui sunt cæli et tua est terra: orbem terrárum et plenitúdinem ejus tu fundásti: justítia et judícium præparátio sedis tuæ.

[Tuoi sono i cieli e tua è la terra: Tu hai fondato il mondo e quanto vi si contiene: la giustizia e l’equità sono le basi del tuo trono].

Secreta

Munéribus nostris, quǽsumus, Dómine, precibúsque suscéptis: et coeléstibus nos munda mystériis, et cleménter exáudi.

[Ti preghiamo, o Signore, affinché gradite queste nostre offerte e preghiere, Ti degni di mondarci con questi celesti misteri e pietosamente di esaudirci.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps XCVII:3


Vidérunt omnes fines terræ salutáre Dei nostri.


[Tutti i confini della terra videro la salvezza del nostro Dio.]

Postcommunio

Orémus.
Hæc nos commúnio, Dómine, purget a crímine: et, intercedénte beáta Vírgine Dei Genetríce María, cæléstis remédii fáciat esse consórtes.

[Questa comunione, o Signore, ci purífichi dal peccato e, per intercessione della beata Vergine Maria Madre di Dio, ci faccia partecipi del celeste rimedio.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

DOMENICA FRA L’OTTAVA DELLA NATIVITÀ (2021)

DOMENICA FRA L’OTTAVA DELLA NATIVITÀ DEL SIGNORE. (2021)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semidoppio. – Paramenti bianchi.

La Messa ci dice che “il Verbo disceso dal Cielo durante la notte  di Natale” (Intr.) è « il Figlio di Dio venuto per renderci partecipi della sua eredità come figli adottivi » (Ep.). Prima di Lui, l’uomo era infatti come « un erede, che, nella sua minorità, non differisce da un servo » (Ep.). Ora invece che la legge nuova l’ha emancipato dalla tutela dell’antica, « egli non è più servitore, ma figlio » (Ep.). – Rivelandoci questa paternità soprannaturale di Cristo, che colpisce più specialmente le nostre anime in questo tempo di Natale, la liturgia fa risplendere ai nostri occhi la Divinità sotto l’aspetto di Paternità. Cosi il culto dei figli di Dio si riassume in questa parola, detta con Gesù, con labbra pure e retto cuore: « Padre!». (Ep.).Il Vangelo ci mostra anche quale sarà in avvenire la missione grandiosa di questo Bambino che comincia a manifestarsi oggi nel tempio. « È il Re » (Grad.) « il regno del quale » (All.) « penetrerà fino all’intimo dei cuori» (Vang.). Per tutti sarà una pietra di salvezza; pietra d’inciampo per quelli che lo perseguiteranno (Com.), pietra angolare «per molti in Israele» (Vang.). L’Introito parla della notte nella quale l’Angelo di Dio colpì primogeniti degli Egiziani, preparando la liberazione d’Israele, immagine della notte santa nella quale la Beatissima Maria mise alla luce il Salvatore, venuto per liberare l’umanità.

Incipit 

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus 

Sap XVIII:14-15.
Dum médium siléntium tenérent ómnia, et nox in suo cursu médium iter háberet, omnípotens Sermo tuus, Dómine, de cœlis a regálibus sédibus venit
.

[Mentre tutto era immerso in profondo silenzio, e la notte era a metà del suo corso, l’onnipotente tuo Verbo, o Signore, discese dal celeste trono regale.]

Ps XCII:1
Dóminus regnávit, decórem indútus est: indútus est Dóminus fortitúdinem, et præcínxit se.

[Il Signore regna, rivestito di maestà: Egli si ammanta e si cinge di potenza.]

Dum médium siléntium tenérent ómnia, et nox in suo cursu médium iter háberet, omnípotens Sermo tuus, Dómine, de coelis a regálibus sédibus venit.

[Mentre tutto era immerso in profondo silenzio, e la notte era a metà del suo corso, l’onnipotente tuo Verbo, o Signore, discese dal celeste trono regale.]

Oratio 

Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, dírige actus nostros in beneplácito tuo: ut in nómine dilécti Fílii tui mereámur bonis opéribus abundáre.

[Onnipotente e sempiterno Iddio, indirizza i nostri atti secondo il tuo beneplacito, affinché possiamo abbondare in opere buone, in nome del tuo diletto Figlio]

Lectio

 Lectio Epístolæ beati Pauli Apostoli ad Gálatas.
Gal IV: 1-7
Patres: Quanto témpore heres párvulus est, nihil differt a servo, cum sit dóminus ómnium: sed sub tutóribus et actóribus est usque ad præfinítum tempus a patre: ita et nos, cum essémus párvuli, sub eleméntis mundi erámus serviéntes. At ubi venit plenitúdo témporis, misit Deus Fílium suum, factum ex mulíere, factum sub lege, ut eos, qui sub lege erant, redímeret, ut adoptiónem filiórum reciperémus. Quóniam autem estis fílii, misit Deus Spíritum Fílii sui in corda vestra, clamántem: Abba, Pater.
Itaque jam non est servus, sed fílius: quod si fílius, et heres per Deum.

[Fratelli: Fin quando l’erede è minore di età, benché sia padrone di tutto, non differisce in nulla da un servo, ma sta sotto l’autorità dei tutori e degli amministratori, fino al tempo prestabilito dal padre. Così anche noi, quando eravamo minori d’età, eravamo servi degli elementi del mondo. Ma quando venne la pienezza dei tempi, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, affinché redimesse quelli che erano sotto la legge, e noi ricevessimo l’adozione in figli. Ora, poiché siete figli, Iddio ha mandato lo spirito del suo Figlio nei vostri cuori, il quale grida: Abba, Padre. Perciò, ormai nessuno è più schiavo, ma figlio, e se è figlio, è anche erede, per la grazia di Dio.]

S. Paolo insegna così ai Galati che, essendo passati dal Giudaismo al Cristianesimo, sono affrancati dalla servitù dell’antica legge, e sotto la nuova debbonsi riguardar come figli di Dio, e chiamarlo Abba, cioè caro Padre, perché ha dato loro per fratello il suo Figlio Gesù Cristo. La nostra felicità nel diventar Cristiani è stata ancora più grande di quella dei Giudei, perché i nostri padri erano pagani. Ringraziamo ogni giorno il Signore di sì gran benefizio, ed attestiamogli la nostra riconoscenza, con la fede, la carità, la confidenza, la pazienza e con la più esatta vigilanza per evitare il peccato, l’unico male, che privandoci del titolo di figli di Dio, e di tutti i privilegi a questo uniti, ci sottoporrebbe di nuovo alla schiavitù del demonio. (L. Goffiné, Manuale per la santificazione delle Domeniche e delle Feste; trad. A. Ettori P. S. P.  e rev. confr. M. Ricci, P. S. P., Firenze, 1869).

Graduale

Ps XLIV:3; 44:2
Speciósus forma præ filiis hóminum: diffúsa est gratia in lábiis tuis.

[Tu sei bello fra i figli degli uomini: la grazia è diffusa sulle tue labbra.]

V. Eructávit cor meum verbum bonum, dico ego ópera mea Regi: lingua mea cálamus scribæ, velóciter scribéntis.

[V. Mi erompe dal cuore una buona parola, al re canto i miei versi: la mia lingua è come la penna di un veloce scrivano.]

Alleluja

Allelúja, allelúja
Ps XCII: 1.
Dóminus regnávit, decórem índuit: índuit Dóminus fortitúdinem, et præcínxit se virtúte. Allelúja.

 [Il Signore regna, si ammanta di maestà: il Signore si ammanta di fortezza e di potenza. Allelúja]

Evangelium 

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secundum Lucam.
R. Gloria tibi, Domine!
Luc II:33-40
In illo témpore: Erat Joseph et Maria Mater Jesu, mirántes super his quæ dicebántur de illo. Et benedíxit illis Símeon, et dixit ad Maríam Matrem ejus: Ecce, pósitus est hic in ruínam et in resurrectiónem multórum in Israël: et in signum, cui contradicétur: et tuam ipsíus ánimam pertransíbit gládius, ut reveléntur ex multis córdibus cogitatiónes. Et erat Anna prophetíssa, fília Phánuel, de tribu Aser: hæc procésserat in diébus multis, et víxerat cum viro suo annis septem a virginitáte sua. Et hæc vídua usque ad annos octogínta quátuor: quæ non discedébat de templo, jejúniis et obsecratiónibus sérviens nocte ac die. Et hæc, ipsa hora supervéniens, confitebátur Dómino, et loquebátur de illo ómnibus, qui exspectábant redemptiónem Israël. Et ut perfecérunt ómnia secúndum legem Dómini, revérsi sunt in Galilæam in civitátem suam Názareth. Puer autem crescébat, et confortabátur, plenus sapiéntia: et grátia Dei erat in illo.

[“In quel tempo il padre e la madre di Gesù restavano meravigliati delle cose, che di lui si dicevano. E Simeone li benedisse, e disse a Maria, sua madre: Ecco che questi è posto per ruina e per risurrezione di molti in Israele, e per bersaglio alla contraddizione; e anche l’anima tua stessa sarà trapassata dal coltello, affinché di molti cuori restino disvelati i pensieri. Eravi anche una profetessa, Anna figliuola di Fanuel, della tribù di Aser: ella era molto avanzata in età, ed era vissuta sette anni col suo marito, al quale erasi sposata fanciulla. Ed ella era rimasta vedova fino agli ottantaquattro anni, e non usciva dal tempio, servendo Dio notte e giorno con orazioni e digiuni. E questa, sopraggiungendo in quel tempo stesso, lodava anch’essa il Signore, e parlava di Luì a tutti coloro, che aspettavano la redenzione d’Israele. E soddisfatto che ebbero a tutto quello che ordinava la legge del Signore, se ne tornarono nella Galilea alla loro città di Nazaret. E il Bambino cresceva, e si fortificava pieno di sapienza: el a grazia di Dio era in lui”]

OMELIA

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956)

L’INSEGNAMENTO DI SIMEONE, ANNA E MARIA VERGINE PER LA FINE DELL’ANNO

Viveva ancora in Gerusalemme, tra la corruzione del popolo d’Israele, un integerrimo vegliardo. Egli vedeva come la patria, così splendida una volta, era caduta sotto gli artigli dell’aquile romane ed era governata dagli idolatri; vedeva come nell’anima de’ suoi connazionali erano morte le antiche promesse, ed ognuno, dimenticando la legge di Dio, pensava soltanto agli affari, al commercio, alle ricchezze: perfino il tempio marmoreo, che i padri con gemiti e lacrime avevano costruito, era diventato una spelonca di truffatori e di mercanti. Tutto questo e le prevaricazioni d’Israele e la schiavitù sotto il giogo straniero, il vecchio Simeone vedeva con profondo dolore.. Ma il suo cuore era pieno di luce e di speranza, poiché il Signore gli aveva detto: « Ancora un poco e il Messia arriverà; tu non morrai senz’averlo veduto ». Dopo questa rivelazione non visse che per aspettarlo: e nell’attesa i suoi capelli s’erano fatti bianchi, e le sue membra logore e tremanti di vecchiaia. Un giorno, guidato da un’ispirazione celeste, era entrato nel tempio. Accanto all’altare una giovane madre offriva al sacerdote il suo primogenito neonato: in quell’istante il mistero gli fu rivelato. Tremante di gioia prese il Bambino tra le sue braccia e lo baciò esclamando nell’estasi: « Signore! Fammi pur morire, ora! i miei occhi, come l’hai promesso, hanno visto il Salvatore, il Salvatore che innalzasti davanti ai popoli come un faro potente che illuminerà le umane stirpi e glorificherà i tuoi figli ». – La giovane madre Maria attonita guardava. Il vegliardo le disse: « Madre! Se questo tuo Figlio diverrà il segnacolo della contraddizione e intorno a Lui l’odio e l’amore, la rovina e la resurrezione cozzeranno, una spada affilata aprirà nel tuo cuore uno squarcio grande ». La Madre di Dio, senza tremare, ascoltava e taceva. Ed ecco avanzarsi la profetessa Anna, la figlia di Phanuel della tribù di Aser, quella che dopo solo sett’anni perdette il marito e rimase vedova per sempre. Era di età avanzatissima, e viveva nel tempio, e pregava e digiunava e serviva il Signore giorno e notte. Ella adorò il Messia deposto sull’altare delle offerte, e a tutti parlava di Lui e della salvezza che Egli portava. Questo è il mistero della Presentazione. Il suo significato più vero è di offerta. Gesù, fin dai primi giorni di sua vita, si offre a Dio per noi: ma la sua offerta non gioverà alla nostra salute se noi non offriamo qualche cosa di nostro con Lui. – Comprendete ora l’insegnamento della Chiesa che facendoci leggere questo Vangelo nell’ultima domenica dell’anno sembra quasi volerci dire: « La vostra offerta dov’è? Nulla avete raccolto in tutto quest’anno da poter offrire con Gesù? Su, offrite ». – « Che cosa dobbiamo offrire? » penseranno alcuni tra voi. Che cosa dobbiamo, avremmo dovuto offrire, ce lo insegnano le tre persone in giro all’altare su cui, candida offerta per il mondo, sta il piccolo Figlio di Dio: Simeone, Anna, Maria. Simeone offrì la sua vita, distaccata da ogni bene terreno, e tutta vissuta nell’aspettare Iddio. Anna offrì la sua vedovanza, distaccata da ogni pensiero mondano e da ogni piacere sensuale. Maria offrì il suo cuore materno, trafitto da una spada affilata. – 1. SIMEONE, OSSIA DEL DISTACCO DAI BENI TERRENI. Ecce homo exspectans… ecco un uomo che viveva nell’attesa di un bene eterno con appassionata speranza. Il suo cuore non si era ingolfato, come quello di molti Giudei, nell’avarizia e nella smania della roba e del denaro, il suo cuore non si era acquietato alla schiavitù dei Romani. Un gran desiderio ogni giorno l’assetava di più: vedere il Messia. Fissare i suoi occhi lagrimosi in quegli occhi che portavano in terra l’immagine del Paradiso, abbracciare quella Carne che avrebbe sfamato in tutti i secoli le anime, baciare quella bocca che avrebbe detto la verità… Volgiamoci indietro, Cristiani, e osserviamo se in questi dodici mesi anche noi siamo vissuti in questo desiderio, in questa ricerca, in questa attesa di Dio. Abbiamo avuto sete e golosità del vino e d’ogni bevanda, e non dell’Acqua viva che sale all’eterna vita. – Abbiamo cercato le medicine per guarire e preservarci dai mali del corpo, e abbiamo disprezzato la Medicina per guarire e preservarci dai mali dell’anima. Abbiamo voluto il nostro paradiso in terra; e del vero Paradiso, quello nel cielo, quello al di là della morte, non abbiamo saputo che farne. Et Spiritus Sanctus erat in eo. Lo Spirito Santo, che abita in quelle persone che non hanno il peccato mortale, abitava nel giusto Simeone. Ed in quest’anno, dite, lo Spirito Santo ha potuto abitare in voi? Gli avete fatto un po’ di posto? Forse in voi c’era quell’affare, quel contratto, quella frode, quel grasso guadagno, ma lo Spirito Santo: non c’era; poiché l’avevate scacciato coi peccati gridandogli: « Via di qua!… che non ti conosco »; in quel momento il demonio è entrato ad occupare il posto di Dio; e forse, ci sta ancora. Et venit in Spiritu in templum. L’uomo timorato: che viveva aspettando il Signore andava al tempio attratto dallo Spirito Santo. In quest’anno che muore, quante volte le campane ti chiamarono in Chiesa alla dottrina cristiana e tu infilavi la strada che mena all’osteria, al cinema; ai campi sportivi. Quante volte, la mattina, le campane ti svegliavano per la Messa, per qualche bella divozione, per il suffragio dei morti, e tu nel letto; ti voltavi dall’altra parte. E quando ti recavi in Chiesa, era lo Spirito Santo che ti guidava, o qualche altro spirito? Non era forse lo spirito della vanità, della leggerezza, della lussuria, dell’interesse? Esamina i sentimenti che in Chiesa occupavano il tuo spirito ed avrai la risposta. Se ti confessavi era senza dolore: tu capivi il dolore quando gli affari minacciavano disastri, quando la tempesta distruggeva il raccolto, quando la malattia entrava in famiglia; ma non capivi come si potesse sentir dispiacere d’aver offeso Dio. Se ti comunicavi era senza fervore: tu capivi il fervore nel gioco, nel conchiudere lucrosi contratti, nel lavoro che fa guadagnare; ma non capivi quale intima gioia si dovesse provare nel ricevere in cuore il Padrone del mondo. Se qualche rara volta ascoltavi una predica, era senza attenzione: tu capivi come si potesse leggere avidamente il listino dei prezzi; i giochi di borsa, l’alto e basso dei cambi; ma quegli interessi dell’anima, quegli affari a lunga scadenza del dopo morte e del giudizio universale, ti facevano sbadigliare. – Se talvolta ti mettevi a pregare, era soltanto per chiedere a Dio i beni e le grazie di questa terra. Per l’anima non avevi nulla da domandare; per vincere le tentazioni bastavi da solo. – ANNA, OSSIA DELLA SENSUALITÀ DOMATA. Et hæc vidua usque ad annos octoginta quattuor. Ecco una donna che rimasta vedova nel fior degli anni, rinunziò ad ogni lusinga del mondo, e si conservò illibata fino alla più tarda età. In questo momento essa c’invita ad esaminarci, come noi abbiamo saputo domare la passione impura, che, quasi leone, rugge nelle nostre membra. – Se i 365 giorni di quest’anno potessero sfilarci davanti e parlare!… « Tu ci hai fatto arrossire con le tue parole oscene — ci direbbero — tu ci hai contaminato coi pensieri disonesti e coi desideri che assecondavi nel tuo cuore. Tu ci hai macchiato con azioni senza nome, ingiuriose a Dio e alla natura! ». E forse tra questi 365 giorni ce n’è uno che è il più brutto della vita, uno che potrebbe insorgere e gridarci: «Io ho visto morire la tua innocenza. Io ho raccolto i petali di un giglio sgualcito, sporcato, disfatto. Io ho raccolto quei petali macchiati per sempre, mentre gli Angeli in lontananza si coprivano con le ali il volto e singhiozzavano ». « Bisognerebbe non essere di carne e di sangue, — si scusano alcuni, — per essere immuni da questi peccati insuperabili ». Non è vero: bisognerebbe soltanto difendersi con quei mezzi che usò Anna, la figlia di Phanuel della tribù di Aser. E quali sono questi mezzi? 1) Non discedebat de templo: non s’allontanava dal tempio. Anche la vostra famiglia, se è cristiana; è un tempio: ebbene, non allontanatevi da quella se volete conservarvi puri. I gigli non crescono in mezzo alla strada; e neppure nell’osteria, e meno ancora nell’afa dei teatri, delle veglie danzanti, dei cinema pestilenziali, ma crescono nelle valli solatie e raccolte. In queste ultime sere dell’anno, il mondo ispirato dal suo amico, il demonio, organizza spettacoli e sfrenati balli: non si dorme più per godere, per mangiare, per rinvoltarsi nel fango. E l’anno nuovo troverà migliaia di persone senza virtù, inebetite dal vino e dai peccati, in una nuvola grassa di fetore che esala dall’anima loro morta. Cristiani! non allontanatevi dal tempio della vostra casa, se volete conservare la vostra innocenza … Genitori, i responsabili del candore dei vostri figli, siete voi! Teneteli dunque con voi. 2) Ieiuniis et orationibus: ecco due armi invincibili per tener lontano il demonio impuro che devasta la mistica vigna. Con la mortificazione degli occhi e della gola, con la preghiera fervorosa e con le giaculatorie nei momenti dell’assalto, ci si libera da questo genere di demoni. – MARIA, OSSIA DEL DOLORE RASSEGNATO. La Madonna fu quella che nella Presentazione ha offerto di più: tutto il suo cuore squarciato da una gelida lama. Ma chi sa quanti tra voi, in quest’anno, si sono sentiti trapassare il cuore dalla gelida lama del dolore! Voi beati, se come la Madonna non avete imprecato, ma avete baciato la vostra croce con rassegnazione: in quest’ultima domenica non vi mancherà certo una bella offerta da unire a quella di Gesù. Beati voi, poveri infermi; che in letto, fra i dolori e la noia, ad uno ad uno avete contati i mesi di quest’anno che non passavano mai; che ad una ad una avete contato le ore della notte oscura e muta come una fossa, senza poter requiare un momento dai vostri spasimi; che avete visto gli altri ridere allegri, andare ai divertimenti, mentre il vostro male vi condannava tra le quattro mura della vostra squallida dimora. Oggi la Madonna vi bacia in fronte e vi fa passare attraverso lo squarcio del suo cuore materno; come attraverso a una porta, che mette in Paradiso. – Beate voi, povere famiglie, che in quest’anno siete state visitate dalla morte. Quest’irrequieta pellegrina dall’occhiaia senza pupilla, dalle mani senza calore, dai passi senza rumore ha salito le vostre scale, ha varcato la vostra soglia, vi ha portato via una persona carissima. Oh settimane di tensione spasimosa, oh giornate di pianto, oh lunghissime ore di solitudine, senza più godere della persona amata!…. Coraggio, Cristiani; anche a voi non manca un’offerta in quest’ultima Domenica dell’anno e bella. Coraggio che la Madre dolorosa soffre con voi e vi benedice. Oh beati tutti quelli che nei giorni di quest’anno gustarono l’amarezza della sventura, patirono sempre con sommessa volontà. Beati tutti quelli che hanno sofferto e che soffrono ancora! Adesso, quando all’Offertorio innalzerò l’ostia bianca che diverrà il Corpo vivo di Gesù Cristo, sulla patena d’oro offrirò insieme a Dio tutti i vostri dolori perché siano accetti per la vita eterna. –  Così un anno è passato. È passato un altr’anno di quei pochi che formano la nostra vita: l’anno del Signore, l’anno della salvezza, 2021. Anno del Signore: e forse noi l’abbiamo fatto l’anno del demonio. Anno della salvezza: e forse per l’anima nostra è stato l’anno della perdizione. Che dal profondo del nostro cuore, sincero, doloroso, rinnovatore, erompa il grido davidico: « Signore, pietà di me!» Miserere mei, Deus. – Che cos’è la nostra vita? Questa domanda, che già S. Giacomo (IV; 15) rivolgeva ai primi Cristiani, ha un sapore speciale sulle nostre labbra in quest’ultima domenica dell’anno. Qualche giorno ancora, e l’anno che ci si presentava — pare ieri — radioso o lusinghiero di speranze, svanirà come un sogno per sempre. Dove sono le gioie che attendevamo? Quante delusioni, quanti ricordi amari e rimorsi pungenti si levano su come nebbia dai dodici mesi ormai vissuti! E questo è forse tutto quello che ci resta dell’anno che muore. Qualche giorno ancora ed un anno nuovo ci verrà innanzi; e noi, come fanciulli ingenui, torneremo a farci illudere da chi sa quali speranze, ci procureremo ancora amarezze e rimpianti. E, forse, nel libro di Dio è scritto che la morte ci dovrà sorprendere prima che l’anno nuovo finisca il corso delle sue settimane. Che cos’è dunque la nostra vita? questa vita che sfugge irreparabilmente come l’acqua del fiume, che dileguasi come la stella che scivola sul cielo oscuro? Domandate all’artigiano perché tutti i giorni fatica e suda tra la polvere e il fracasso, e vi risponderà: « per guadagnarmi la vita ». Domandate a un malato perché si lascia dolorosamente incidere dal ferro del chirurgo e vi risponderà: « per salvare la vita ». Domandate all’uomo di mondo perché tanta smania di divertimento lecito e illecito, e vi risponderà: « per godere la vita ». Domandate al santo perché tante preghiere, tante penitenze non viste da nessuno fuori che da Dio, e vi risponderà: « per santificare la vita ». Tutti dunque s’attaccano a questo gran dono, che ad ogni momento si consuma, e tutti vorrebbero impedire che si consumasse. L’unico che ci ha rivelato il mistero della vita e il modo per non perderla è il Signore. Egli ha detto: «Chi dà la vita per mio amore, quegli la ritroverà. Chi non la dà per mio amore, quegli la perderà ». Spieghiamo queste parole col Vangelo odierno. Viveva a Gerusalemme un uomo chiamato Simeone: aveva passato tutti i giorni della sua non breve età nel timore di Dio e nella fede alle sue promesse. I compagni, gli amici suoi, dimenticando la parola e la legge del Signore, s’erano dati al commercio e al godimento e lo riguardavano forse con occhi compassionevoli. Ma egli sentiva nel cuore la voce dello Spirito Santo confortarlo e sorreggerlo: « Coraggio! tu non morirai senza aver visto il Salvatore ». – Viveva pure in quel tempo a Gerusalemme una nobildonna di nome Anna, figlia di Phanuel della tribù di Aser. Aveva ottantaquattro anni; sette appena ne aveva vissuti accanto allo sposo che la morte le rapì innanzi tempo. Giovane ancora, bella, nobile e ricca s’era chiusa nei veli della vedovanza con tenace proposito di non levarseli fino alla morte. Chissà quante donne la compiangevano e quante bramavano d’essere al suo posto per darsi a un nuovo partito, per correre dietro ai piaceri, agli onori, agli spassi d’una vita spensierata! Ma ella, no: ella aveva preferito ritirarsi nella penombra e nel silenzio del tempio, passare gli anni come un angelo, lasciare sfiorir l’età bella nei digiuni e nelle veglie notturne. Perché? Perché Simeone ha preferito così ed Anna ha preferito così? Perché ci sono due maniere di vivere la vita: la maniera del mondo e la maniera di Cristo. – « Ma Io vi dico che solo chi dà la vita per mio amore, quegli la troverà; ma chi non la darà per mio amore, quegli la perderà ». – VITA MONDANA. Il mondo, coronato di rose, fosforescente di lusinghe, passa in mezzo agli uomini e lancia il suo appello insidioso come la canzone delle sirene: « Venite con me: inebriamoci di tutte le ebbrezze; gettiamoci su tutti i piaceri; domani, forse, non saremo più a tempo ». « Quale moltitudine innumerabile egli trascina dietro alle sue seduzioni! Sono bestemmiatori che sui treni, per le strade, in casa, in officina lanciano contro il cielo la parola ingiuriosa e oscena: e non hanno rimorso. Sono compagnie di profanatori della domenica: hanno tramutato il giorno del sacro riposo e della preghiera fiduciosa e della pace familiare, in una giornata d’avarizia, di peccato, di vorticoso movimento. – Sono schiere di sposi trasgressori delle leggi sante che governano la famiglia: invano soffocano i rimorsi della coscienza violata, invano aspettano le misericordie di Dio, invano si lamentano nell’ora del dolore. Sono turbe di giovani che voglion godere la giovinezza: e invece la gettano in ogni pozzanghera. Genitori senza fede, figli ribelli, donne dal cuore vano, tutti schiavi di satana, tutti arruolati nell’esercito del mondo. Voi li vedete, anche di questi giorni, spegnere i rimorsi nei balli, nei veglioni, nei teatri, nei rumori pagani, nella dissipazione, nell’indifferenza. Povera gente, come sarà pagata dal mondo a cui ha venduto la libertà e la vita? Prima da una manata di piaceri, ma di quei delle bestie e poi dalla morte eterna. Non s’accorgono dell’inganno? Non sentono d’avvilire la loro dignità di figli di Dio fino a diventare figli di satana?… Non capiscono di barattare l’eterna vita per un’ora di sogno inquieto? – Dice la Storia Sacra che quelli della regione di Galaad andarono a supplicare l’Ammonita affinché li accettasse nella sua alleanza. E l’Ammonita rispose: « Io farò alleanza con voi a questo patto: che io cavi a tutti l’occhio destro e vi renda l’obbrobrio di tutto Israele » (I Re, XI, 2). Così è di tutti coloro che hanno fatto alleanza col mondo: si sono lasciati strappare l’occhio destro, quello che guarda al cielo, alla vita eterna, alle cose vere e belle, ed ora non vedono se non con l’occhio sinistro, quello di bruti, che guarda alla terra e vede solo il fango e i vermi. – VITA CRISTIANA. Gesù coronato di spine, con le mani trafitte dai chiodi passa sulla terra, e lancia il suo appello di bontà, di pazienza, di fede: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, prenda la sua croce e mi segua: arriveremo nell’eterna casa della gioia, dove godremo quello che Dio gode ». Chi è Gesù Cristo? È il vero Padrone di noi tutti e delle cose tutte: niente senza di Lui è stato fatto, niente senza di Lui vive. È il vero Redentore degli uomini: non l’oro o l’argento ci ha riscattati dalla schiavitù del maligno, ma il suo sangue dolorosamente versato dalle piaghe del suo corpo. È il vero Rimuneratore: colui che vede le nostre più segrete pene e conta i nostri sospiri; colui che può e vuole donarci un premio che sorpasserà ogni aspettativa. Chi sono quelli che lo seguono? Sono i veri Cristiani, che hanno conformato la propria vita alla sua parola divina. – Uomini che, pur vivendo nel mondo, non hanno macchiato il labbro di bestemmie e di turpiloquio. Donne che sono l’angelo della casa in cui vivono diffondono un profumo di modestia, una luce di umiltà e di rassegnazione, un desiderio di preghiera. Genitori che sentono la propria dignità e responsabilità, che temono il Signore, che rispettano il suo comandamento. Figliuoli che crescono ubbidienti, amorosi, devoti. Seguono Cristo tutti quelli che soffrono e sopportano; tutti quelli che nel campo dell’Azione Cattolica e delle pie confraternite lavorano per la propria santificazione e per quella del prossimo. – S. Policarpo, Vescovo di Smirne, fu arrestato dal proconsole Quadrato e condotto al tribunale: « Maledetto il tuo Cristo!» urlò ad un certo punto il proconsole adirato. Il santo vegliardo, tremante di vecchiaia ma impavido di fede, disse: « Sono ottantasei anni che lo servo, e ne sono lietissimo. Ah, io lo benedirò fino all’estremo sospiro ». Allora gli fu preparato il rogo: ed egli sorrise. Le fiamme non lo toccarono. Allora fu colpito di spada e Policarpo vide il Signore. Quando si serve Cristo, quando la vita è cristiana, entra nel nostro cuore la gioia dei figli di Dio e più nulla ci può spaventare. Neppure la morte: perché è la porta della gioia e della vita, dietro alla quale si vede il Signore. – Torniamo, per finire, al Vangelo. Nel tempio, Simeone e Anna erano invecchiati: ma invecchiati erano pure quelli che li avevano guardati con occhio di compassione quasi fossero incapaci di godersi la vita. Ma a costoro che restava? dopo i fugaci anni di godimento e di spensieratezza restava solo l’amarezza e la disperazione. Non così per Simeone ed Anna: dopo i digiuni, le preghiere, le mortificazioni; a queste due anime buone e pure restava la cosa più bella che uomo possa desiderare: vedere il Signore. Ed ecco che un giorno videro un’umile comitiva entrare nel cortile del tempio: era un uomo povero dalle mani incallite sulla pialla, era una donna giovane e modestissima che portava due tortorelle per la sua purificazione, era un bambino ancora in fasce. Il loro cuore sobbalzò; lo Spirito Santo li illuminò; essi conobbero che quel bambino era il Signore. « Signore! — esclamarono —. ora facci pure morire, perché i nostri occhi videro la tua faccia e il nostro paradiso è incominciato ». Cristiani! in quest’ultima domenica dell’anno io concludo rivolgendovi il gemito dello Spirito Santo: « Ne des annos tuos crudeli » (Prov., V, 9). Non date gli anni vostri al maligno! Così giunti al termine della vita, non troverete amarezza e disperazione, ma come Simeone ed Anna, vedrete il Volto di Gesù che vi beatificherà nei secoli dei secoli. – Secondo la legge mosaica la donna a cui il cielo avesse largito un figliuolo; dopo il quarantesimo giorno, doveva salire al tempio a chiedere la sua purificazione. Se poi il bambino era il primogenito, esso pure veniva portato per essere simbolicamente consacrato al Signore. E quantunque Maria avesse concepito; non come le altre donne, ma miracolosamente per opera di Spirito Santo, per umiltà volle sottostare alle leggi comuni. Ella dunque venne alla porta del tempio, si fece aspergere da un sacerdote e poi offrì l’offerta dei poveri: due tortorelle; ché la Madre di Dio non possedeva tanto da poter offrire un agnello, ch’era l’offerta dei ricchi. La cerimonia volgeva al termine, quando apparve Simeone, il vegliardo del tempio. Fedele credente, vedeva da lungo tempo con dolore e con profonda indignazione i peccati d’Israele e la schiavitù sotto il giogo straniero. Ma pure in cuor suo aveva ricevuto promessa da Dio che non avrebbe chiuso gli occhi senza vedere il Messia. Ora la promessa si compiva. Tremando di gioia prese il neonato tra le sue vecchie braccia e profetò: « O Signore, lascia pure il tuo servo andare in pace, come gli hai promesso: ho visto la salvezza che salverà tutti i popoli, ho visto la luce che illuminerà tutte le genti ». Giuseppe e Maria nell’ascoltarlo furono colti da ammirazione, ma il santo vecchio li guardò e, dopo averli benedetti, soggiunse: « Questo Bambino è il segno della contraddizione posto alla rovina e alla resurrezione di molti. Una spada affilata poi trapasserà l’anima di sua Madre ». Quando in una famiglia nasce qualcuno, quanti sogni si fabbricano su quella piccola testa ignara! Crescerà sano e robusto ovvero piegherà sullo stelo prima ancora di sbocciare? Sarà un uomo coscienzioso e probo o invece un ignobile e disonesto? Amerà gli studi o preferirà il commercio o le armi? Sarà la gloria e la gioia di sua madre o il disonore e il dispiacere? Nessuno lo sa; ma il santo vegliardo del tempio di Gerusalemme aveva letto bene la storia dell’avvenire e la sua parola s’avverò. Questo bambino sarà il segno di contraddizione. Il cuore di sua madre sarà trapassato dal dolore. – IL SEGNO DI CONTRADDIZIONE. Conterò una storia che Eusebio di Cesarea ci assicura d’aver raccolta dalle labbra di Costantino stesso. Mentre l’imperatore si preparava a marciare contro Massenzio, gli apparve nel cielo una croce sulla quale si leggeva: « Con questa vincerai ». Costantino, ancora pagano, sorpreso della meravigliosa visione, promise di farsi Cristiano se avesse ottenuto vittoria. Intanto ordinò che sul vessillo da portare in battaglia, si dipingesse la croce, così come l’aveva veduta. Massenzio, che aveva saputo qualcosa, ordinò alle sue legioni di mirare tutti contro il vessillo fatato. L’alfiere che lo portava, sentendo sibilare intorno a lui le frecce, s’accorse d’essere fatto bersaglio da tutti i nemici, e spaventato gettò via il vessillo e riparò in mezzo alle file; un compagno, visto quest’atto di debolezza, si spoglia delle armi e, afferrata l’insegna, si slancia in testa ai manipoli, avanzando a gran corsa verso il nemico. I dardi, fischiando densi come una grandinata, foravano la bandiera, lasciando illeso l’intrepido alfiere. I nemici compresero che Dio combatteva con l’armata di Costantino, e presi da spavento si rovesciarono indietro, ed ebbero una sconfitta completa e decisiva dove Massenzio stesso perì. Agli inni della vittoria non partecipò il primo alfiere. Qualcuno l’avea visto colpito nel cuore da uno strale. – Questo fatto ci offre due insegnamenti, a) Ed il primo è che tutti quelli che combattono Cristo, o la sua Chiesa o i ministri della sua Religione periscono, come Massenzio perì. Voltiamoci indietro a guardare la storia: il primo persecutore di Gesù è Erode l’infanticida, ma fu anche il primo a sperimentare la vendetta divina. Arso lentamente da una febbre maligna, straziato da coliche che gli laceravano le viscere, gonfio e livido mostruosamente in tutto il corpo, contorto da convulsioni spasmodiche, esalava un fetidissimmo puzzo e nelle sue carni marcenti già brulicavano i vermi. L’altro Erode, l’Antipa, quello che nel giorno della passione trattò Gesù da pazzo, morì in esilio; e Pilato pure dovette fuggire, ramingare di paese in paese finché sì uccise di propria mano. Giuda Iscariota si appese alla ficaia e scoppiò. Tutti gli imperatori romani, che perseguitarono i martiri, finirono violentemente, così che lo scrittore Lattanzio Firmiano poté formare un libro: « La morte dei persecutori ». Caligola fu trucidato. Nerone, vedendosi raggiunto dalla coorte mandata ad ucciderlo, si cacciò egli stesso il pugnale nel cuore. Domiziano fu ucciso da quei di sua famiglia. Commodo fu strangolato. Eliogabalo è ammazzato dai suoi soldati. Valeriano è scuoiato. Diocleziano muore di fame. Giuliano l’apostata, ferito in guerra, si strappa le bende, e lanciando una manata di sangue contro il cielo, bestemmia: « Galileo, hai vinto ». Poi morì, come morirono e perirono tutti i nemici della fede nostra. Cristo invece regna, impera, trionfa; ieri, oggi, domani, sempre. – b) Un secondo insegnamento deriva a noi dal fatto che ho narrato. Tutti quelli che dopo aver ricevuto il Battesimo e servito a Gesù Cristo per qualche tempo, gli voltano le spalle, lo insultano coi loro peccati, avranno la peggio come l’ebbe il primo alfiere. Quelli invece che, armati di confidenza e di coraggio, lo servono, lo difendono; soffrono per Lui, saranno fortunati quaggiù e nell’eternità, come lo fu il secondo alfiere. – Cristo è il segno della contraddizione: o risorgere con Lui, o contro di Lui perire. Chi, desiderando d’essere sapiente, disprezzò il Vangelo per studiare altri libri, non capì più nemmeno quello che capiscono anche i bambini. E chi rifiutò il giogo del Signore per vivere secondo i capricci delle sue passioni, non trovò che delusioni, rimorsi, disperazione e condanna eterna. Invece quelli che per amor di Cristo rinunciarono alla fatua sapienza del mondo, alle bugiarde gioie del mondo, ai fugaci beni del mondo, ricevettero cento volte più di quello che avevano lasciato, e per giunta la vita eterna (Mt., XIX, 29). – LA MADRE DOLOROSA. È l’Annunciazione. Un Angelo discende nella casa umile d’una povera fanciulla del popolo, e le porta il desiderio dell’Onnipotente. « Non temere, Maria, Accetti tu d’essere la Madre di Dio? ». E la Madonna, sospirando come a una cosa a cui ci si rassegna dopo un lungo tentennare, rispose semplicemente: «Io sono l’ancella del Signore. Sia fatto in me secondo la tua parola ». Ma come? Perché non irrompere in un grido di gaudio infrenabile? Proprio Lei, che non conosceva che il tempio e la sua casa, veniva eletta alla più alta dignità possibile a semplice creatura umana, e non esultava d’ebrezza; ma trepidamente diceva: « Io sono l’ancella del Signore: fiat! ». Era perché la Madonna sapeva che Madre di Dio vuol dire Madre d’un Crocifisso. Sapeva che in ogni giorno della sua vita sarebbe stata accompagnata dalla visione della croce, fin tanto che il suo Unigenito inchiodato e sanguinante davanti ai suoi occhi materni non fosse spirato davvero. Da quel momento la sua anima fu trafitta con una spada a taglio doppio. Quattro cose, dice S. Tommaso, fecero amara la passione di Cristo alla Vergine Madre. – Primo, la bontà del Figlio: perdere un figlio è gran dolore, ma perdere un Figlio ch’era Dio, è quello che nessun’altra madre provò né proverà. – Secondo, la crudeltà dei crocifissori; a Lui, che bruciava di sete nell’agonia, non vollero dare una stilla d’acqua; e sua Madre neppure gliela poteva dare, ché non lo permettevano; e neppure poteva placargli l’arsura con i suoi baci, ché era sospeso in alto. – Terzo, l’infamia della pena: moriva il Figlio di Dio tra due ladroni quasi che anch’Egli fosse un ladrone, moriva per mano della giustizia, la giustizia più ingiusta, che aveva osato perfino condannare a morte il Creatore del cielo e della terra e dei giudici. – Quarto; la ferocità del martirio: insultato, flagellato, inchiodato. E morto, quasi non bastasse, fu squarciato nel petto con una lancia: Egli non la sentì perché era già spirato, ma la sentì sua Madre che vedeva. O vos omnes qui transitis per viam, attendite et videte si est dolor sicut dolor meus (Thren., I, 12). – Era la festa dell’Assunta del 1856. A Spoleto si faceva una solenne processione, con l’immagine taumaturgica dell’Addolorata. Era la Madre che, come si usava ogni anno in quel giorno, passava tra i figli suoi: e non v’era ginocchio che non piegasse a terra davanti a lei. La processione, tra canti e incensi, si svolge lenta e giunge davanti a un giovane elegantissimo di nome Francesco Possenti. Già due volte, ammalato da morire, aveva promesso di cambiare vita; davanti al cadavere di sua sorella morta sì giovane l’aveva giurato ancora; e non si era deciso mai a strapparsi dalle voluttuose spire del mondo. Ora, ritto ai margini della strada, guardava la processione snodarsi davanti. Quando l’immagine della Madre dolorosa gli fu vicina, sentì battergli il cuore come mai. Gli parve che la Vergine girasse lo sguardo su lui e lo guardasse in una luce divina. Intanto una voce gli gridava dentro: « Francesco, il mondo non è più per te ». Qualche tempo dopo correva un mormorio per la città: « Sai, il ballerino si è fatto frate ». « Francesco Possenti vuoi dire? ». « Sì: ed ha preso il nome di Gabriele dell’Addolorata ». Quante volte, e con grazie e con disgrazie, la Madonna ci ha fatto capire di abbandonare il peccato e riprendere una vita più cristiana, più mortificata: e fu sempre invano. Oggi, che è l’ultima domenica di quest’anno che finisce, la Madonna Addolorata ci guardi con quegli occhi suoi misericordiosi. Ci guardi come ha guardato una volta il giovane Francesco Possenti: e noi con l’anno nuovo riprenderemo una vita nuova: di pietà, di carità e di bontà.

  IL CREDO

 Offertorium 

Orémus
Ps XCII:1-2
Deus firmávit orbem terræ, qui non commovébitur: paráta sedes tua, Deus, ex tunc, a sæculo tu es.

[Iddio ha consolidato la terra, che non vacillerà: il tuo trono, o Dio, è stabile fin da principio, tu sei da tutta l’eternità.]

Secreta 

Concéde, quǽsumus, omnípotens Deus: ut óculis tuæ majestátis munus oblátum, et grátiam nobis piæ devotiónis obtineat, et efféctum beátæ perennitátis acquírat.

[Concedi, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente, che questa offerta, presentata alla tua maestà, ci ottenga la grazia di una fervida pietà e ci assicuri il possesso della eternità beata.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio 

Matt II:20
Tolle Púerum et Matrem ejus, et vade in terram Israël: defúncti sunt enim, qui quærébant ánimam Púeri.

[Prendi il bambino e sua madre, e va nella terra di Israele: quelli che volevano farlo morire sono morti.]

Postcommunio 

Orémus.
Per hujus, Dómine, operatiónem mystérii, et vitia nostra purgéntur, et justa desidéria compleántur.

 [Per l’efficacia di questo mistero, o Signore, siano distrutti i nostri vizii e compiuti i nostri giusti desiderii.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

SANTO NATALE 2021 – TERZA MESSA DURANTE IL GIORNO

TERZA MESSA DURANTE IL GIORNO

Staz. a S. Maria Maggiore

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

In principio era il Verbo, e il Verbo era con Dio. Tutte le cose sono state fatte da Lui» (Vang.). « Tu, o Signore, in principio hai creato la terra: i cieli sono opera delle tue mani » (Ep.). « Tuoi sono i cieli e la terra, sei tu che hai creato l’Universo e tutto ciò che contiene » (Off.). L’uomo, che è stato creato da Dio, da Lui sarà ristabilito nella primitiva dignità. Così «il Verbo Si fece carne ed abitò fra noi» (Vang.). « Iddio, in questi ultimi tempi (cioè nei giorni messianici) ci ha parlato nella persona del Figlio, che è lo splendore della sua gloria » (Ep.). – Così la Chiesa canta oggi che una gran luce è discesa sulla terra (Allel.). Questa luce ha brillato nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta, perché il Verbo è venuto nel mondo, ma i suoi non l’hanno ricevuto. A quelli invece che l’hanno accolto ha dato il potere di divenire figli di Dio (Vang.). « È infatti per liberarci dalla schiavitù del peccato, per purificarci dalle nostre colpe (Secr.) e per farci nascere alla vita divina (Postc.) che l’Unigenito di Dio è nato secondo la carne » (Ep.). – Più di settecento anni prima di questa nascita, Isaia esaltava già la potenza dell’Uomo-Dio. « Un bambino ci è nato, egli porterà i segni della sua regalità ». E i prodigi ch’Egli operò sono raffigurati in quelli che Dio fece quando liberò gli Israeliti dalla schiavitù d’Egitto (Vers. dell. Intr.). Così, oggi come allora, «tutti i confini della terra sono testimoni della salvezza che Dio operò per il suo popolo » (Grad. Comm.). La salvezza che Cristo ha realizzato nel suo primo avvento, la compirà alla fine dei tempi. « Dopo che Gesù ebbe operato la purificazione dai peccati, spiega l’Apostolo Paolo, salì in Cielo, dove è assiso alla destra della Maestà divina » (Ep.). La sua umanità glorificata partecipa dunque del trono dell’Eterno: «Il tuo trono, o Dio, è nei secoli dei secoli: scettro del tuo regno è uno scettro di giustizia » (Ep.) o le basi del tuo trono » (Offert.). « E un giorno, dice S. Luca, il Figlio dell’Uomo verrà nella sua gloria e in quella del Padre e degli Angeli suoi a rendere a ciascuno secondo le proprie opere ». Quando Dio manderà di nuovo (cioè alla fine del mondo) il suo Primogenito sulla terra dirà: « tutti gli Angeli lo adorino » (Ep.). E ci sarà allora una trasformazione di tutte le creature, perché il Figlio di Dio, che non muta, rinnoverà le creature come si fa di un vestito vecchio (Ep.). E l’Apostolo. in una settima citazione delle Sacre Scritture, che segue quelle che troviamo oggi nell’Epistola, aggiunge che « Iddio farà allora dei nemici di Cristo uno sgabello ai suoi piedi ». Sarà il trionfo finale del Verbo incarnato che punirà, nella sua seconda venuta quelli che non l’avranno accolto nella prima; mentre farà partecipi della sua immortalità quelli che saranno nati da Dio, avendo questi accolto con fede e con amore il Verbo incarnato, come lo hanno accolto i Re Magi, venuti da lontano per adorarlo (Vangelo dell’Epifania, letto come ultimo Vang.). Ed essendo Gesù presente anche nell’Eucaristia come lo era a Betlemme, adoriamolo sull’Altare, vera mangiatoia dove si trovò il Bambino Gesù, perché  in questo tempo di Natale la liturgia, grazie al Messale, ci rappresenta  l’Ostia nel quadro di Betlemme. È nella gran Chiesa della Vergine, che a Roma rappresenta Betlemme, che si celebra la Messa del giorno di Natale, come si è celebrata quella di mezzanotte.

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Isa IX: 6
Puer natus est nobis, et fílius datus est nobis: cujus impérium super húmerum ejus: et vocábitur nomen ejus magni consílii Angelus.

[Ci è nato un Bambino e ci è stato dato un Figlio, il cui impero poggia sugli omeri suoi: il suo nome sarà Angelo del buon consiglio.]

Ps XCVII
Cantáte Dómino cánticum novum, quia mirabília fecit.

[Cantate al Signore un cantico nuovo: poiché ha fatto cose mirabili.]


V. Glória Patri, et Fílio, et Spirítui Sancto.
R. Sicut erat in princípio, et nunc, et semper, et in sǽcula sæculórum. Amen.


Puer natus est nobis, et fílius datus est nobis: cujus impérium super húmerum ejus: et vocábitur nomen ejus magni consílii Angelus.

[Ci è nato un Bambino e ci è stato dato un Figlio, il cui impero poggia sugli omeri suoi: il suo nome sarà Angelo del buon consiglio.]

Oratio

Orémus.
Concéde, quǽsumus, omnípotens Deus: ut nos Unigéniti tui nova per carnem Natívitas líberet; quos sub peccáti jugo vetústa sérvitus tenet. P
er eúndem ….

[Concedici, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente, che la nuova nascita secondo la carne del tuo Unigenito, liberi noi, che l’antica schiavitù tiene sotto il gioco del peccato]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Hebrǽos.
Hebr 1:1-12

Multifáriam, multísque modis olim Deus loquens pátribus in Prophétis: novíssime diébus istis locútus est nobis in Fílio, quem constítuit herédem universórum, per quem fecit et sǽcula: qui cum sit splendor glóriæ, et figúra substántia? ejus, portánsque ómnia verbo virtútis suæ, purgatiónem peccatórum fáciens, sedet ad déxteram majestátis in excélsis: tanto mélior Angelis efféctus, quanto differéntius præ illis nomen hereditávit. Cui enim dixit aliquándo Angelórum: Fílius meus es tu, ego hódie génui te? Et rursum: Ego ero illi in patrem, et ipse erit mihi in fílium? Et cum íterum introdúcit Primogénitum in orbem terræ, dicit: Et adórent eum omnes Angeli Dei. Et ad Angelos quidem dicit: Qui facit Angelos suos spíritus, et minístros suos flammam ignis. Ad Fílium autem: Thronus tuus, Deus, in sǽculum sǽculi: virga æquitátis, virga regni tui. Dilexísti justítiam et odísti iniquitátem: proptérea unxit te Deus, Deus tuus, óleo exsultatiónis præ particípibus tuis. Et: Tu in princípio, Dómine, terram fundásti: et ópera mánuum tuárum sunt cœli. Ipsi períbunt, tu autem permanébis; et omnes ut vestiméntum veteráscent: et velut amíctum mutábis eos, et mutabúntur: tu autem idem ipse es, et anni tui non defícient.

[Iddio, che nei tempi antichi aveva parlato a più riprese e in molte maniere ai nostri padri per mezzo dei profeti, in questi ultimi tempi ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che costituì erede di tutte le cose, mediante il quale ha anche creato il mondo. Questo Figlio è l’irradiazione e l’immagine della sua gloria, è l’impronta della sua sostanza e tutte le cose sostenta con la sua potente parola; Egli, dopo averci purificati dai peccati, si è assiso alla destra della divina maestà nell’alto dei cieli: fatto di tanto superiore agli Àngeli, quanto è più eccellente del loro il nome da Lui avuto. Infatti: a quale mai degli Àngeli Dio ha detto: Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato? e ancora: Io gli sarò padre ed egli mi sarà figlio? E di nuovo, quando introduce il primogénito nel mondo, dice: Lo adòrino tutti gli Àngeli di Dio. Quanto poi agli Àngeli, Egli dice: Colui che fa suoi messaggeri gli spiriti, e suoi ministri le fiamme di fuoco. Al suo Figlio invece dice: Il tuo trono, o Dio, sussiste nei secoli del secoli, lo scettro del tuo regno è scettro di equità: tu hai amato la giustizia e odiato l’iniquità, perciò ti unse il Signore Dio tuo con olio di letizia sopra i tuoi colleghi. E ancora: Fin da principio, o Signore, tu fondasti la terra, e i cieli sono opera delle tue mani: essi periranno ma tu rimani, e tutti invecchieranno come un vestito, e tu li muterai come un mantello, ed essi cambieranno, tu invece rimani sempre lo stesso e gli anni tuoi non verranno meno.]

Graduale

Ps XCVII: 3; 2
Vidérunt omnes fines terræ salutare Dei nostri: jubiláte Deo, omnis terra.

[Tutti i confini della terra vídero la salvezza del nostro Dio: tutta la terra acclàmi a Dio.]

V. Notum fecit Dominus salutare suum: ante conspéctum géntium revelávit justitiam suam. Allelúja, allelúja.

[V. Il Signore ci fece conoscere la sua salvezza: agli occhi delle genti rivelò la sua giustizia. Allelúia, allelúia.]

V. Dies sanctificátus illúxit nobis: veníte, gentes, et adoráte Dóminum: quia hódie descéndit lux magna super terram. Allelúja.

[V. Un giorno sacro ci ha illuminati: venite, genti, e adorate il Signore: perché oggi discende gran luce sopra la terra. Allelúia.]

Evangelium

Initium sancti Evangélii secúndum Joánnem.
R. Glória tibi, Dómine.
Joann 1:1-14
In princípio erat Verbum, et Verbum erat apud Deum, et Deus erat Verbum. Hoc erat in princípio apud Deum. Omnia per ipsum facta sunt: et sine ipso factum est nihil, quod factum est: in ipso vita erat, et vita erat lux hóminum: et lux in ténebris lucet, et ténebræ eam non comprehendérunt. Fuit homo missus a Deo, cui nomen erat Joánnes. Hic venit in testimónium, ut testimónium perhibéret de lúmine, ut omnes créderent per illum. Non erat ille lux, sed ut testimónium perhibéret de lúmine. Erat lux vera, quæ illúminat omnem hóminem veniéntem in hunc mundum. In mundo erat, et mundus per ipsum factus est, et mundus eum non cognóvit. In própria venit, et sui eum non recepérunt. Quotquot autem recepérunt eum, dedit eis potestátem fílios Dei fíeri, his, qui credunt in nómine ejus: qui non ex sanguínibus, neque ex voluntáte carnis, neque ex voluntáte viri, sed ex Deo nati sunt. Hic genuflectitur Et Verbum caro factum est, et habitávit in nobis: et vídimus glóriam ejus, glóriam quasi Unigéniti a Patre, plenum grátiæ et veritátis.

[In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio. Tutto è stato fatto per mezzo di Lui, e senza di Lui nulla è stato fatto di ciò che è fatto. In Lui era la vita e la vita era la luce degli uomini. E la luce splende tra le tenebre e le tenebre non l’hanno accolta. Ci fu un uomo mandato da Dio, il cui nome era Giovanni. Questi venne come testimonio, per rendere testimonianza alla luce, affinché tutti credessero per mezzo di lui. Egli non era la luce, ma era per rendere testimonianza alla luce. Era la luce vera che illumina ogni uomo che viene in questo mondo. Era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di Lui, e il mondo non lo conobbe. Venne nella sua casa, e i suoi non lo accolsero. Ma a quanti lo accolsero diede il potere di diventare figli di Dio: a loro che credono nel suo nome: i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono nati. (Genuflettiamo) E il Verbo si fece carne Ci alziamo, e abitò tra noi: e noi abbiamo visto la sua gloria, gloria come di Unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità..]

Omelia

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956)

NATALE DI NOSTRO SIGNORE

La notte tenebrosa gravava come una lunga maledizione sul mondo assopito nel sonno. Tutti dormivano: si dormiva a Roma, si dormiva a Gerusalemme, si dormiva a Betlem, dove una moltitudine era accorsa da ogni villaggio per dare il nome al censimento di Cesare Augusto. Solo qualche pastore vegliava nei dintorni, accanto a fuochi morenti, mentre custodiva il gregge. – Ed ecco squarciarsi l’oscurità e sfociare giù dall’alto fiumi di luce e tutto il cielo ardere come una fiamma e sopra i paesi assonnati passare cori invisibili, cantando parole non mai udite sopra la terra: « Gloria a Dio nei cieli più alti; pace agli uomini di buona volontà ». Balzarono attoniti i pastori vigili presso il loro branco di pecore ed una luce li investì. Nella luce videro l’Angelo fulgidissimo del Signore. Si spaventarono; ma l’Angelo disse loro: « Non temete: è una gioia grande per voi e per tutti, che noi portiamo: è nato il Salvatore ». Dunque, il tempo di piangere era finito, la maledizione era passata, la schiavitù del demonio era infranta. – « Gioia grande!» diceva l’Angelo ai pastori prostrati nella luce celeste. « Gioia grande: è nato nella città di Davide Cristo Signore. Vi dò un segno per trovarlo: vedrete un bambino involto in pochi panni, adagiato in una greppia ». Come gli Angeli sparirono, i pastori si guardarono l’un l’altro muti, poi dissero: « Andiamo a Betlem, e vedremo ». Transeamus usque in Betlehem et videamus. Lasciarono le pecore a ruminare sotto la rugiada presso i fuochi ormai spenti,e corsero. Lasciamo ogni altra cura anche noi e corriamo dietro a loro col cuore pieno di fede, col cuore pieno di gioia. Giungono, ansimanti. Et venerunt festinantes. Trovano Maria, trovano Giuseppe e, in una greppia, un Bambino. Gioia grande! Dio si è fatto bambino. La divinità offerta e l’umanità peccatrice si sono abbracciate nel corpicino di Gesù Cristo. Gaudium magnum. Adoriamo anche noi il Bambino e pensiamo: Il padrone del mondo s’è fatto povero, senza casa, senza culla. Il forte, il Dio delle armate, s’è fatto debole e infermo. L’infinito, per il quale son troppo piccoli i cieli, è raccolto in una greppia. Chi ha dato alla terra la virtù di produrre il pane, e alle piante la virtù di produrre frutti, patisce la fame. Il regolatore delle stagioni e del freddo nasce d’inverno, intirizzito dall’aria rigida.  Quelle piccole mani arrossate dalla gelida notte hanno sollevato nei cieli il sole, la luna e tutte le stelle. Ed è per noi, sapete che Dio s’è reso così; per noi Propter nos egenus factus est, cum esset dives (II Cor., VIII, 9). S’è reso così perché noi gli volessimo bene: è il pensiero di S. Pier Crisologo: « sic nasci voluit qui voluit amari ». S’è reso così perché l’imitatissimo: è il pensiero di Tertulliano: « ut homo divine agere doceretur ».Allora diciamogli, con le lacrime agli occhi: « Bambino Gesù! noi ti ameremo,noi ti imiteremo ».NOI TI Ameremo. Elena imperatrice, la madre di Costantino il grande, aveva avuto da Dio la bella missione di ritornare al culto dei fedeli i luoghi santificati dalla vita e dalla morte di Nostro Signore.Quando arrivò a Betlem ed entrò nella grotta della santa nascita, emise un grido d’indignazione. Quel luogo santo era stata profanato: al posto della greppia là dove Cristo aveva vagito per la nostra salvezza s’ergeva la statua infame di Adone. L’imperatore Adriano, acre nemico di nostra fede, con un gusto diabolico l’avevaeretta là, perché il demonio ridesse dove Cristo aveva pianto.La pia regina, con le lacrime, comandò che abbattessero quel diabolico simulacro;ed ella stessa, con le sue mani, godeva di frantumarlo. Poi vi fè edificare un sontuosissimo tempio, che custodisse quell’umile posto, scelto da Dio per venire al mondo. –  È Natale: Dio nasce nei cuori. E c’è forse qualcuno che nel suo cuore, nel luogo dove Cristo deve nascere tien eretto il simulacro del demonio, il peccato?Alessandro il Macedone per conquistarsi l’animo dei Persiani, ha voluto vestirsi come loro, imitare in tutto quelle barbare costumanze; Dio per conquistare il nostro cuore, per farsi amare dagli uomini si è fatto uomo in tutto come noi: habitu inventus ut homo; ha voluto patire come noi e più di noi, e noi non gli vogliamo bene? Noi daremo il nostro cuore al demonio, ma non a lui?Nessuno sarà così pazzo e crudele da far questo. Come Elena regina frantumiamo il peccato dentro di noi, ed una bella confessione purifichi l’anima nostra, e la nascita di Cristo segni il principio di una nuova vita d’amore, di preghiera, di purezza.« Bambino Gesù! » diciamogli sinceramente « io t’amo ».Se la nostra vita passata ci dicesse che queste parole sono una bugia, perché non siamo capaci d’amarlo con le opere, diciamogli così: « Bambino Gesù, se non ti amo, desidero però d’amarti assai ». E se anche questo non fosse vero, perché  il nostro cuore è più attaccato alla roba di questo mondo che al Signore, diciamogli almeno: « Bambino Gesù! mi piacerebbe tanto desiderare d’amarti ».NOI TI IMITEREMO. A Giovanni II, re di Portogallo, annunciarono che stava male un servo, a lui tanto caro. Il re si turbò, poi volle egli stesso scendere dal suo palazzo nella casa del servo. Nel varcare la soglia dell’ammalato, chiese, come si suole, dello stato dell’infermo. Gli risposero che il male era gravissimo, ma il peggio era che l’ammalato non si lasciava indurre a prendere medicine. Quel mattino stesso i medici gli avevano imposto una medicina amara ma tanto salutare. La prese nelle sue mani, e senza indugio, egli stesso ne bevve parecchi lunghi sorsi. Poi, accostandola alla bocca del malato gli disse: «Io il re, sanissimo, ho preso quest’amara bevanda solo per tuo amore, e tu, il servo, ammalato, non prenderai questo poco che resta per amor mio e per tua salute? ».  Il vassallo tese di slancio le mani verso la medicina, e disse: « Datemela: ora la berrei d’un fiato, foss’anche tossico ». Noi siamo servi ammalati: ammalati di superbia perché ci crediamo un gran che e siamo niente; ammalati di collera perché non vogliamo dimenticare e perdonare le offese; ammalati d’avarizia perché non pensiamo che a roba e a danaro; ammalati nella mente, nel cuore di pensieri e di desideri cattivi. È necessaria la medicina amara dell’umiliazione, della povertà, della mortificazione. Il nostro re, il Bambino Gesù, oggi è venuto a trovarci in casa nostra e ce ne dà l’esempio. Egli santissimo Dio, s’è fatto umile nel presepio, povero in una stalla, mortificato dal freddo. E noi non vorremmo portare la nostra croce? Ci lamenteremo ancora della Provvidenza? – Simone Maccabeo, una notte che conduceva l’armata contro i nemici, si trovò la strada tagliata da un torrente gonfio per le piogge recenti. I soldati s’arrestarono, poiché nessuno osava guardare in quel posto. Simone non fece parola, slanciò il cavallo nell’acqua e passò per il primo: transfretavit primus (I Macc., XVI, 6). Tutti allora gli andarono dietro. Ebbene: il nostro capitano Gesù oggi, per il primo, si slancia attraverso il torrente del dolore, della povertà, della mortificazione: a noi non resta che andargli dietro. Bambino Gesù! noi ti imiteremo. Disse l’Angelo ai pastori: « Evangelizo vobis gaudium magnum ». Vi porto una gioia grande. Lungi da noi, dunque, ogni pensiero di tristezza. Che cosa possiamo temere se il Verbo si è fatto carne, se Dio s’è fatto bambino? Quando Dio è con noi, chi può essere contro di noi? Gioia grande! – Il capitano Alfonso d’Albuquerque fu sorpreso da una procella furiosa, in mezzo al mare. La povera nave flagellata dalle onde rabbiose, squassata dal vento, cigolava in ogni connessura quasi volesse sfasciarsi. Le nubi basse e cupe avevano fatto l’oscurità sull’acque; i lampi guizzavano in quella tenebra con un bagliore di sangue. Le donne urlavano; perfino i vecchi marinai piangevano di paura. Il capitano, pazzo dal terrore, strappò dal seno d’una madre un bambino di pochi mesi, salì sulla tolda in alto, e protese verso la rabbia delle nubi quella fragile creaturina: «E se, — diceva — siam tutti peccatori, questo bimbo, o Dio, risparmialo perché è senza peccati ». Subito tacque il vento, si chetò l’acqua, s’aperse il cielo: e attraverso lo squarcio d’una nube discese l’arcobaleno. – Nelle disgrazie della vita, nelle tentazioni, nell’ora della morte e nel giorno del giudizio, quando intorno alla navicella della nostra anima sarà come una fragorosa burrasca, ricordiamoci di questo Bambino che oggi c’è dato, che oggi per noi è nato; innalziamolo a Dio e si farà la pace e la gioia intorno a noi. Tra pochi istanti, quando la Messa sarà all’elevazione, io stesso tra le mie mani prenderò Gesù Bambino ed elevandolo verso il cielo, mi ricorderò delle parole di Alfonso d’Albuquerque: « Se tutti noi siamo peccatori, o Dio, questo Bambino risparmialo perché è senza peccati! ». Per la sua innocenza noi tutti saremo salvati. –

Da Nazareth, dove avevano messo su casa, il censimento di Cesare Augusto obbligò Giuseppe e Maria a recarsi fino a Betlemme città dei loro antenati. Per tal modo mentre il padrone dell’Impero col suo decreto metteva in moto umili persone, inconsapevolmente dava compimento alla profezia che annunciava Betlemme come luogo di nascita per il Messia. « Che fate voi principe del mondo! Credeste d’agire secondo le vostre voglie e finite per eseguire i disegni di Uno che è sopra di voi » (BOSSUET). – Quattro giorni viaggiarono i due pellegrini: e si era nella stagione delle piogge e le condizioni della Vergine estremamente delicate. A Betlem, gremita di forestieri accorsi per farsi iscrivere, non trovarono alloggio conveniente; neppure all’albergo. Sicché, quando fredda fredda discese la sera, Giuseppe e Maria andarono a ripararsi in una grotta dove gli uomini del paese cacciavano il bestiame e qualche volta essi pure pernottavano. Unico arnese vi era una mangiatoia per i foraggi e biadumi degli animali. In questa stalla, nel cuor della notte, nacque il Figlio di Dio, Salvatore del mondo. Sua Madre, la sempre Vergine, lo prese nelle sue mani, lo ravvolse in pannicelli, e lo accomodò nella mangiatoia. Di lì, come da un trono prescelto, cominciò a regnare il Signore dei potenti, il Re dei re. E vagiva, con un filo di fiato. E non seppe ch’Egli era nato, Erode il feroce Iduneo che abitava in una fortezza non lontano dalla grotta, e che forse in quell’ora adagiato fra gli ori e la porpora accoglieva gli omaggi de’ suoi cortigiani o si assideva al banchetto sontuose di un festino notturno. E non lo seppe neanche Cesare Augusto: eppure il Dio dei Cieli era nato suddito del suo impero. Invece lo seppero alcuni poveri e buoni pastori che vegliavano a custodia della greggia. Un’improvvisa luce sbocciò davanti ad essi sbalorditi ed un Angelo disse loro: « Non temete, che vi annunzio una gran gioia: è nato il Salvatore. Eccovi il segno per riconoscerlo: troverete un bambino avvolto in panni e posto in una mangiatoia ». In quel momento sulla terra oscura ed ignara, i cieli parvero spalancarsi; stormi innumerevoli d’Angeli trasvolarono lasciando indietro un canto di speranza: « Gloria a Dio! Pace agli uomini! ». Quando disparvero e la notte si ricompose nel silenzio e nelle tenebre, i pastori rinvenuti un poco dalla stupefazione dissero: « Corriamo a Betlemme, e vedremo ciò che il Signore ci ha fatto conoscere ». Vi giunsero in fretta, verificarono il segno preannunciato dall’Angelo, e adorarono Dio in quella creaturina di carne, messa in un greppia, come un oggetto di rifiuto. Cristiani! l’eco del canto angelico ripassa ancora sulle nostre anime, sulle nostre case, sulle nostre chiese: «A Dio gloria, agli uomini pace ». È vero che il fatto della nascita di Gesù dal seno verginale di Maria, avvenuto una volta per sempre venti secoli or sono, più non si ripete. Ma gli effetti di quella nascita, i suoi frutti di grazia e di vita, come un fiume celeste, ancora inondano la terra: oggi specialmente passano accanto a noi. Apriamo i cuori ad accoglierli! Quelli che come Erode si ostinano nelle loro passioni di egoismo e nelle abitudini sensuali, quelli che come Augusto si abbandonano a sogni d’orgoglio e a bramosie di possedere, non sentiranno nel loro animo che è nato il Salvatore. Beati quelli che, come i pastori dalla semplice vita, deposta ogni ingombrante preoccupazione terrena, accorreranno alla culla divina e gusteranno i frutti del santo Natale. Tre sono i principali frutti del ministero che celebriamo:

1) comprendere il sentimento che faceva palpitare il cuore al celeste Bambino: l’Amore;

2) raccogliere dal suo esempio l’insegnamento che illumina ogni uomo che viene al mondo: la Verità;

3) attingere alla sorgente che nascendo ha dischiuso per noi: la Vita divina della Grazia. Insomma, ciò che provarono e videro allora i pastori, noi dobbiamo provarlo e vederlo ora: l’Amore, la Verità, Dio che si fece carne e s’attendò tra noi. – È APPARSO L’AMORE. Dopo il peccato una profonda separazione distaccò l’uomo da Dio. Se Dio parlava, la sua voce faceva tramortire di spavento. « Udii la tua voce — balbettava Adamo — e per la paura mi sono nascosto » (Gen., III, 10). Se Dio s’avvicinava alle punte della terra, i tuoni e le folgori lo avvolgevano. Il popolo atterrito alle falde del Sinai, supplicava Mosè: « Parla tu a noi; ma non ci parli il Signore, perché morremmo » (Es., XX, 19). Gli uomini sentivano d’essere sotto una maledizione e di non poter pensare a Dio se non con terrore. « Le nubi e le tempeste gli stanno intorno; l’incendio lo precede ad abbruciare i suoi nemici. S’egli guarda, la terra sussulta; s’egli guarda, i monti si struggono come fossero di cera » (Ps., XCVI, 2-5). – E sarebbe stato sempre così, perché l’uomo solo doveva riparare, e l’uomo da solo non poteva. Infatti « qual mai tra i nati all’odio, qual era mai persona che al Santo inaccessibile potesse dire: « perdona? » (MANZONI). – Ma un amore infinito, incomprensibile, spinse il Figlio di Dio a prendere la nostra carne umana, che era condannata e che trascinava a morte. Eppure alla morte Egli innocente non doveva nulla. Egli onnipotente avrebbe potuto sottrarsi. Ma non l’ha fatto. E nasce un bambino appunto per morire d’amore e liberarci dal terrore. Perciò dissero gli Angeli ai pastori: « Non temete più… È nato il Salvatore e lo troverete bambino in fasce ». – Sentite. Un antico capitano di nome Temistocle, fuggiasco e sfinito, fu costretto ad approdare alla terra d’un re che aveva un giorno offeso e da cui era ricercato a morte. Folle di spavento entrò nella reggia e corse a nascondersi in una sala. Ecco un rumore dietro a lui: si voltò disperato e deciso a lasciarsi uccidere. Vide un bambino, incerto sui suoi passi, che lo guardava, e gli sorrideva e gli tendeva le manine bianche…: era il figlio del re. Temistocle non seppe resistere allo spettacolo inatteso di quella innocenza: lo prese tra le sue braccia e cominciò a tremare e a piangere. Così, in quest’atteggiamento lo sorprese il re. Come l’ira del re avrebbe potuto colpire, se tra la punta della spada e il nemico c’era di mezzo il suo bambino? Il monarca adunque ripose la spada, e corse ad abbracciare il suo piccolo: ma stretto a lui, fatto quasi una sol cosa con lui, era il colpevole. Non poté disgiungerlo, e se li strinse entrambi al suo cuore confondendoli in un unico amore. O uomo, — grida S. Bernardo, — perché paventi? Perché temi davanti al Signore che viene? Non disperarti, non fuggire! Rivolgiti e guarda: è un Bambino che ancora non sa parlare, che ancora non sa camminare, solo già sa piangere d’amore (Migne, P. L., «In Nativ. Dom. », Sermo I, 3). Detestando sinceramente le nostre colpe, abbracciamo il piccolo Gesù che nasce per noi; con la fede aderiamo a Lui fino a far con Lui una cosa sola. Se Dio vorrà poi giudicarci a morte, noi gli diremo: « Signore fra me e il tuo giudizio, io metto in mezzo quest’innocente creaturina, che è tuo Figlio ». – È APPARSA LA VERITÀ. Pochi anni prima che nascesse Gesù, Ottaviano il futuro padrone del mondo che avrebbe ordinato il censimento, prima di salir sulle navi e muovere a battaglia incontrò un asinaio col suo somaro; la bestia si chiamava Vittorioso. Dopo la battaglia l’imperatore fece innalzare nel tempio una statua di bronzo a quell’asino perché fosse adorato in ricordo della sua vittoria. Quanta superstizione e quanta immersione nella materia vi era negli uomini anche tra le persone più cospicue e civili, perfino nello stesso Imperatore. Il demonio che si faceva adorare negli idoli, traviava l’umanità proponendole come supremo bene il piacere dei sensi, gli onori umani, il possesso del danaro e della roba. – Ma la divina Sapienza si fece carne, e pose la cattedra in una mangiatoia: di lì la Verità illumina ogni uomo che viene al mondo. Alla sensualità il Bambino Gesù oppone l’esempio delle sue sofferenze. Soffre nel corpo il rigore della notte, l’ispidità di quella strana cuna; soffre nell’anima per i nostri peccati, i quali già cominciano a strappargli dagli occhi le lacrime e poi gli strapperanno dalle vene tutto il sangue. – All’orgoglio il Bambino Gesù oppone l’esempio della sua umiliazione. L’uomo vuol sempre apparire da più di quello che è fino a ribellarsi a Dio, e anteporre il suo capriccio al comandamento dell’Eterno. Gesù, vero Dio, si nascose nella natura umana, si annientò facendosi come uno di noi. Gesù, immenso, Dio, che i cieli non possono contenere si restrinse in piccole membra ad avvolgere le quali bastarono pochi decimetri di fasce. Gesù, eterno Dio, che vive nei secoli apparve fragile creatura di poche ore. Gesù l’onnipotente Dio che guida gli astri, sostiene l’universo, giudica i vivi ed i morti, s’abbandonò incapace di reggersi nelle mani di Giuseppe e di Maria, si lasciò prendere e portare dovunque desiderassero, sempre a loro sottomesso. – All’avarizia il Bambino Gesù oppone l’esempio della sua povertà. La bramosia di possedere muove quaggiù individui e popoli, ma il Figlio di Dio nascendo ci ha disillusi, insegnandoci che ogni cosa terrena è una fugace bagatella. Il re dei secoli infatti non volle un palazzo, neppure una camera affittata nell’albergo, neppure una cuna: gli è bastato una mangiatoia e pochi pannicelli. È apparsa dunque la Verità in forma visibile per entusiasmarci dei beni invisibili. I poveri e gli umili non devono più lagnarsi del loro stato che tanto somiglia al suo; i ricchi e i fortunati devono preoccuparsi di aiutare i bisognosi, altrimenti non assomiglieranno mai a Lui, che «da ricco che era, si è fatto per noi povero » (II Cor., VIII, 9). – È APPARSO DIO. Che mirabile scambio è mai avvenuto tra la divinità e l’umanità nel Santo Natale! 1) Dio è apparso in mezzo a noi, si è fatto uomo. Noi gli abbiamo prestata la nostra natura. Contemplate il celeste Bambino, ci sono in Lui due vite: quella di Dio e quella d’uomo. Come uomo giace sul fieno, come Dio regna nei cieli e giudica le anime che compariscono davanti a lui. Jacet in præsepio, et in cælis regnat. Badiamo bene di non macchiare coi peccati quella natura umana che Egli s’è degnato di prendere in prestito da noi. 2) Dio è apparso in mezzo a noi, si è fatto uomo perché l’uomo si facesse Dio. Nascendo Egli ci ha fatto partecipare alla sua natura divina. Considerate, Cristiani, la nostra realtà: ci sono in noi due vite. L’una naturale che ci fu data attraverso l’opera dei nostri genitori; l’altra soprannaturale, divina, che ci fu comunicata nelle acque del battesimo. Non siamo appena figli d’uomini, ma siamo anche figli di Dio, fratelli di Gesù Bambino, degni di godere in paradiso la sua stessa beatitudine e la sua stessa gloria. Di queste due vite, è quella divina che deve dominare in noi, benché noi non la vediamo. Anche in Gesù Bambino la sua vita divina era nascosta, sembrava soltanto un fanciullo come tutti gli altri. Ma un giorno Cristo apparirà nella sua gloria, e noi appariremo con Lui nella nostra realtà divina se non l’avremo soffocata nei peccati. Bisogna finirla una buona volta con tutto ciò che distrugge e intisichisce la vita divina in noi: cioè coi peccati, cogli affetti illeciti alle creature, con le preoccupazioni sregolate per le cose che passano, coi meschini desideri del nostro orgoglio! – Nell’anno 135 l’imperatore Adriano, con empio proposito, profanò la grotta della santa nascita collocandovi la statua di Adone, l’impudico idolo dei pagani. Dove Cristo infante aveva vagito per la salvezza nostra, ivi era tornata a dominare l’immagine della perdizione. Ma più vergognosa profanazione avviene nel cuore di molti Cristiani, nei quali Dio s’è degnato di nascere colla sua grazia, e dai quali è poi discacciato orrendamente e sostituito dalle più basse passioni. –  Sarebbe ingratitudine concludere senza un pensiero amoroso a Colei che fu degna di donarci il Bambino Redentore. Tra i ricordi che della sua infanzia S. Bernardo raccontava, il più dolce era questo. Era giunta la vigilia del Natale, attesa con quel fascino che solo sanno i fanciulli dall’anima bianca. Egli volle ad ogni costo che i suoi lo prendessero seco alla Messa di mezzanotte. Ma quando fu nella chiesa, cullato dal mormorio delle preghiere, avvolto nel tepore della folla, tardando la Messa ad uscire, vinto dal sonno s’addormentò. «Nel sonno vide attraversare i cieli la Vergine Maria che teneva stretto al seno il bellissimo Bambino, appena nato. Con materna mossa curvata su di lui, diceva: « Guarda fra quella gente il mio piccolo Bernardo! ». Il Bambino aprì le palpebre, girò gli occhi, e lo vide. Si sorrisero scambievolmente. O dolce, o santa Madre, quella parola che un giorno dicesti per S. Bernardo, ripetila al tuo Bambino, oggi, anche per noi! Digli che ci guardi. Digli che tu lo rivestisti di poveri panni, perché Egli rivestisse noi con la gloria dell’immortalità. Digli che lo ponesti nell’angusta mangiatoia, perché Egli collocasse noi nella reggia dei cieli immensa. Digli che tu lo adagiasti fra il fiato di due animali, perché Egli sollevasse noi tra il canto degli Angeli. Se così gli dici, così sarà.

IL CREDO

Offertorium

Orémus.
Ps LXXXVIII: 12; 15
Tui sunt cœli et tua est terra: orbem terrárum et plenitúdinem ejus tu fundásti: justítia et judícium præparátio sedis tuæ.

[Tuoi sono i cieli, e tua è la terra: tu hai fondato il mondo e quanto vi si contiene: giustizia ed equità sono le basi del tuo trono.]

Secreta

Obláta, Dómine, múnera, nova Unigéniti tui Nativitáte sanctífica: nosque a peccatórum nostrórum máculis emúnda. Per eundem …

[Santifica, o Signore, con la nuova nascita del tuo Unigénito, i doni offerti, e puríficaci dalle macchie dei nostri peccati.]

Præfatio

de Nativitate Domini


Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Quia per incarnáti Verbi mystérium nova mentis nostræ óculis lux tuæ claritátis infúlsit: ut, dum visibíliter Deum cognóscimus, per hunc in invisibílium amorem rapiámur. Et ídeo cum Angelis et Archángelis, cum Thronis et Dominatiónibus cumque omni milítia cæléstis exércitus hymnum glóriæ tuæ cánimus, sine fine dicéntes.

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: Poiché mediante il mistero del Verbo incarnato rifulse alla nostra mente un nuovo raggio del tuo splendore, cosí che mentre visibilmente conosciamo Dio, per esso veniamo rapiti all’amore delle cose invisibili. E perciò con gli Angeli e gli Arcangeli, con i Troni e le Dominazioni, e con tutta la milizia dell’esercito celeste, cantiamo l’inno della tua gloria, dicendo senza fine:

Santo, Santo, Santo il Signore Dio degli eserciti, i cieli e la terra sono pieni della tua gloria. Osanna nell’alto dei cieli. Benedetto colui che viene nel nome del Signore. Osanna nell’alto dei cieli.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps XCVII: 3
Vidérunt omnes fines terræ salutáre Dei nostri.

[Tutti i confini della terra hanno visto la salvezza del nostro Dio.]

Postcommunio

Præsta, quǽsumus, omnípotens Deus: ut natus hódie Salvátor mundi, sicut divínæ nobis generatiónis est auctor; ita et immortalitátis sit ipse largítor:
Qui tecum vivit et regnat ….

[Fa’, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente, che il Salvatore del mondo, oggi nato, come è l’autore della nostra divina rigenerazione, così ci sia anche datore dell’immortalità.
Lui che è Dio, e vive e regna con te,…. ]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA