DOMENICA PRIMA DOPO EPIFANIA (2023)

DOMENICA I DOPO EPIFANIA (2023)

FESTA DELLA SACRA FAMIGLIA.

Doppio maggiore. – Paramenti bianchi.

« Non conviene forse – dice Leone XIII – celebrare la nascita regale del Figlio del Padre Supremo? Non forse la casa di David, e i nomi gloriosi di questa antica stirpe? È più dolce per noi ricordare la piccola casa di Nazaret e l’umile esistenza che vi si conduce: è più dolce celebrare la vita oscura di Gesù. Lì il Fanciullo Divino imparò l’umile mestiere di Giuseppe e nell’ombra crebbe e fu felice di essere compagno nei lavori del falegname. Il sudore – egli dice – scorra sulle mie membra, prima che il Sangue le bagni; che questa fatica del lavoro serva d’espiazione per il genere umano. Vicino al divino Fanciullo è la tenera Madre; vicino allo Sposo, la Sposa devota, felice di poter sollevare le pene agli affaticati con cura affettuosa. O voi, che non foste esenti dalle pene e dal lavoro, che avete conosciuto la sventura, assistete gl’infelici che l’indigenza affligge e che lottano contro le difficoltà della vita  » (Inno di Mattutino). – In questa umile casa di Nazaret Gesù, Maria e Giuseppe consacrarono, con l’esercizio delle virtù domestiche, la vita familiare (Or.). Possa la grande Famiglia che è la Chiesa ed ogni focolare cristiano esercitare in terra le virtù che esercitò la Sacra Famiglia, per meritare di vivere nella sua santa compagnia in cielo (Or.). – Benedetto XV, volendo assicurare alle anime il beneficio della meditazione e dell’imitazione delle virtù della Sacra Famiglia, ne estese la solennità alla Chiesa universale e la fissò alla Domenica fra l’Ottava dell’Epifania o al sabato che la precede.

Incipit

In nómine Patris, ✝et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Prov XXIII: 24; 25
Exsúltat gáudio pater Justi, gáudeat Pater tuus et Mater tua, et exsúltet quæ génuit te.

[Esulti di gaudio il padre del Giusto, goda tuo Padre e tua Madre, ed esulti colei che ti ha generato].


Ps LXXXIII: 2-3
Quam dilécta tabernácula tua, Dómine virtútum! concupíscit et déficit ánima mea in átria Dómini.

 [Quanto sono amabili i tuoi tabernacoli, o Signore degli eserciti: anela e si strugge l’ànima mia nella casa del Signore]

Exsúltat gáudio pater Justi, gáudeat Pater tuus et Mater tua, et exsúltet quæ génuit te.

[Esulti di gàudio il padre del Giusto, goda tuo Padre e tua Madre, ed esulti colei che ti ha generato].

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére onobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio9

Orémus.
Dómine Jesu Christe, qui, Maríæ et Joseph súbditus, domésticam vitam ineffabílibus virtútibus consecrásti: fac nos, utriúsque auxílio, Famíliæ sanctæ tuæ exémplis ínstrui; et consórtium cónsequi sempitérnum:

[O Signore Gesú Cristo, che stando sottomesso a Maria e Giuseppe, consacrasti la vita domestica con ineffabili virtú, fa che con il loro aiuto siamo ammaestrati dagli esempii della tua santa Famiglia, e possiamo conseguirne il consorzio eterno].

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános.
Rom XII: 1-5
Fratres: Obsecro vos per misericórdiam Dei, ut exhibeátis córpora vestra hóstiam vivéntem, sanctam, Deo placéntem, rationábile obséquium vestrum. Et nolíte conformári huic sǽculo, sed reformámini in novitáte sensus vestri: ut probétis, quæ sit volúntas Dei bona, et benéplacens, et perfécta. Dico enim per grátiam, quæ data est mihi, ómnibus qui sunt inter vos: Non plus sápere, quam opórtet sápere, sed sápere ad sobrietátem: et unicuique sicut Deus divísit mensúram fídei. Sicut enim in uno córpore multa membra habémus, ómnia autem membra non eúndem actum habent: ita multi unum corpus sumus in Christo, sínguli autem alter alteríus membra: in Christo Jesu, Dómino nostro.


[Vi esorto, o fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi in sacrificio vivo, santo, accettevole a Dio: ad offrire il vostro culto ragionevole. Non vi conformate a questo secolo; anzi riformatevi, rinnovando il vostro spirito, affinché conosciate quale sia la volontà di Dio buona, accettevole e perfetta. Perciocché in virtù della grazia concessami, io dico a tutti voi di non farla da savi più di quello che conviene, ma di essere savi con modestia secondoché Dio dà a ciascuno la misura della fede. Poiché come in un corpo abbiamo molte membra, ma non tutte le membra hanno la stessa operazione, così in molti siamo un corpo solo in Cristo, e ciascuno è membro l’uno dell’altro „]

P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

COME SI TRATTA IL CORPO.

… Le parole con cui San Paolo esorta i Romani a trattare il loro corpo per trattarlo cristianamente sono tali da stupire più di uno fra coloro che le leggono per la prima volta o per la prima volta le ascoltano. « Vi scongiuro, o fratelli, in nome della misericordia che Dio ci ha usata, di offrire i vostri corpi come un’ostia viva, santa, che piace al Signore ». E in realtà queste parole senza essere menomamente strane, sono mirabilmente nuove nella storia del pensiero morale dell’umanità. La quale non ha mai potuto e non può eliminare il problema del corpo, della materia. Che fare di questo povero corpo? come trattarlo? C’è un trattamento igienico del corpo che non si può dire epicureo, che non si può neanche dire vizioso e non è virtuosamente eroico, eroicamente virtuoso. Consiste nel far star bene il corpo nel conservarlo sano. « Mens sana in corpore sano ». È un programma tutt’altro che ignobile. Fu il programma classico dell’antichità. Noi lo ripetiamo ancora talvolta ai nostri giovani. E Dio volesse che la preoccupazione almeno della o, dell’igiene, fosse sempre viva e vittoriosa nell’anima della nostra gioventù! Quanti peccati e quante vergogne essa ci risparmierebbe. Ma quando la preoccupazione dello star bene, igienicamente bene, diventi suprema; diventa la grande ispiratrice, la sola e non ci solleva molto in alto, può anche essere egoisticamente bassa. Siamo in un epicureismo sottile e cauto, senza la imprudenza dell’epicureismo volgare: più intelligente dunque dell’epicureismo comune, non più nobile. Più cristiana certo l’austerità scettica di cui abbbiamo una traccia, una formula, anche in San Paolo quando ci dice: « castigo corpus meum et in servitutem redigo ». Voglio dominare, è fiero, dignitoso, alto. Programma imperiale, non dell’imperialismo di esportazione, dell’imperialismo di importazione; non esteriore, ma intimo, che è il più vero. E il mezzo è bellicoso: tratto male il mio corpo: lo picchio, lo fo digiunare, gli misuro avaramente la bevanda dolce, gli interdico il più inebriante (abstinuit vino). È tutto un decalogo austero che sa di stoicismo. Non è stoico nel senso che lo riassorbe anche il Cristianesimo, è stoico nel senso che anche lo stoicismo ci era giunto e vi ci si era fermato. Il Cristianesimo va più in su. Arriva al misticismo. Il corpo penetrato di spiritualità ma in nome e per amore di Dio. Lì è la discriminante, nella finalità suprema, definitiva. Perché siano salvi i diritti dell’uomo, è la finalità stoica. Perché sia salva la dignità dell’uomo la quale non si salva per certo capovolgendo i rapporti tra il corpo e lo spirito, condannando questo alla schiavitù, verso di quello. Bella figura umana la figura di chi serve collo spirito alla carne! di chi si anticipa con quella attitudine la morte! Il corpo deve servire, esso deve spiritualizzarsi, e non lo spirito materializzarsi, ma, nel Cristianesimo tale processo deve compiersi nel nome e per la gloria di Dio. Per offrire a Lui in questo corpo radiosamente spiritualizzato un’Ostia nuova, Ostia viva e non come quella dei vecchi sacrifici che erano carogna, cadavere: Ostia santa, qualche cosa di più che semplicemente buona; santa, tale da piacere a Dio. Il trattamento religioso, divino del corpo! Non si può andare né più in là, né più in su. E tutto questo non riservato a pochi eletti, ma messo alla disposizione di tutti… ecco il Cristianesimo. Ma è il nostro, fratelli?…

Graduale

Ps XXVI: 4
Unam pétii a Dómino, hanc requíram: ut inhábitem in domo Dómini ómnibus diébus vitæ meæ.


[Una sola cosa ho chiesto e richiederò al Signore: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita.]

Alleluja

Beáti, qui hábitant in domo tua, Dómine: in sǽcula sæculórum laudábunt te. Allelúja, allelúja,

[Beati quelli che àbitano nella tua casa, o Signore, essi possono lodarti nei secoli dei secoli. Allelúia, allelúia.]

Isa XLV: 15
Vere tu es Rex abscónditus, Deus Israël Salvátor. Allelúja.

[Tu sei davvero un Re nascosto, o Dio d’Israele, Salvatore. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum S. Lucam.
S. Luc II: 42-52
Cum factus esset Jesus annórum duódecim, ascendéntibus illis Jerosólymam secúndum consuetúdinem diéi festi, consummatísque diébus, cum redírent, remánsit puer Jesus in Jerúsalem, et non cognovérunt paréntes ejus. Existimántes autem illum esse in comitátu, venérunt iter diéi, et requirébant eum inter cognátos et notos. Et non inveniéntes, regréssi sunt in Jerúsalem, requiréntes eum. Et factum est, post tríduum invenérunt illum in templo sedéntem in médio doctórum, audiéntem illos et interrogántem eos. Stupébant autem omnes, qui eum audiébant, super prudéntia et respónsis ejus. Et vidéntes admiráti sunt. Et dixit Mater ejus ad illum: Fili, quid fecísti nobis sic? Ecce, pater tuus et ego doléntes quærebámus te. Et ait ad illos: Quid est, quod me quærebátis? Nesciebátis, quia in his, quæ Patris mei sunt, opórtet me esse? Et ipsi non intellexérunt verbum, quod locútus est ad eos. Et descéndit cum eis, et venit Názareth: et erat súbditus illis. Et Mater ejus conservábat ómnia verba hæc in corde suo. Et Jesus proficiébat sapiéntia et ætáte et grátia apud Deum et hómines.

[Quando Gesù raggiunse i dodici anni, essendo essi saliti a Gerusalemme, secondo l’usanza di quella solennità, e, passati quei giorni, se ne ritornarono, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, né i suoi genitori se ne avvidero. Ora, pensando che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di cammino, dopo di che lo cercarono tra i parenti e i conoscenti. Ma non avendolo trovato, tornarono a cercarlo a Gerusalemme. E avvenne che dopo tre giorni lo trovarono nel Tempio, mentre sedeva in mezzo ai Dottori, e li ascoltava e li interrogava, e tutti gli astanti stupivano della sua sapienza e delle sue risposte. E, vistolo, ne fecero le meraviglie. E sua madre gli disse: Figlio perché ci ha fatto questo? Ecco che tuo padre ed io, addolorati, ti cercavamo. E rispose loro: Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi di quel che spetta al Padre mio? Ed essi non compresero ciò che aveva loro detto. E se ne andò con loro e ritornò a Nazareth, e stava soggetto ad essi. Però sua madre serbava in cuor suo tutte queste cose. E Gesù cresceva in sapienza, in statura e in grazia innanzi a Dio e agli uomini].

OMELIA

[Francesco Maria Zoppi Vesc. di Massa e Carrara: Omelie, Panegirici e Sermoni, t. I -Milano, 1861)

DOVERI DEI GENITORI VERSO I FIGLIUOLI.

La storia dell’odierno Vangelo ne porge ampio argomento d’istruire tanto i genitori, quanto i figliuoli ne’ più importanti loro doveri, e di presentare sì agli uni che agli altri i più eccellenti loro esemplari. Ricorda ai primi l’obbligo speciale di educare i loro figliuoli nella santa Religione, di conservarveli con vigilanza, di richiamarveli con sollecitudine: ricorda ai secondi il dovere d’essere soggetti prima a Dio, poi ai loro genitori in ogni cosa, in ogni maniera, in ogni età. Presenta ai genitori il grande esempio della saggia educazione che danno Maria e Giuseppe al fanciullo loro Gesù: presenta ai figliuoli l’esempio divino di Gesù medesimo, che tutto si occupa degli interessi dell’eterno suo Padre, e nel resto vive soggetto a Maria e Giuseppe. Ma perché sarebbe per me troppo difficil cosa lo spiegare distintamente e come si conviene tutti questi doveri e molti e gravissimi in breve spazio di tempo, permettetemi, o dilettissimi, ch’io divida quasi in due parti l’odierno Vangelo, e prenda secondo l’ordine a spiegarvi in oggi la prima ed a parlarvi de’ doveri de’ genitori, e rimandi ad altro tempo lo spiegarvi la seconda ed il discorrere de’ doveri de’ figliuoli: permettetemi anzi, che fra i doveri de’ genitori io scelga a trattare di due soltanto che verrò a riscontrare nell’esempio di Maria e di Giuseppe, dell’obbligo cioè di educare i figliuoli loro nella santa Religione, e di richiamarveli quando se ne allontanano: il qual doppio obbligo poi si riduce all’unico e grande di allevarli e conservarli al Signore. Quando i genitori abbiano adempito questo esattamente, ben possono lusingarsi d’averne adempiti tutti gli altri. – Io prendo a trattare questa mattina; come voi vedete, un argomento limitato e ristretto ad uno stato particolare di persone. È nondimeno questo uno stato nel quale penso che la maggior parte di voi debba essere compresa, perché o aveste già o avete al presente o avrete nell’avvenire. de’ figliuoli ad educare. L’ascoltarmi adunque non sarà inutil cosa ai primi per conoscere i loro falli e piangerli, ai secondi per piangerli e correggerli, agli ultimi per prevenirli. – I parenti di Gesù, dice l’odierno Vangelo, andarono a Gerusalemme, come erano soliti di fare nel giorno della festa, cioè nella solennità della Pasqua, e vi condussero seco Gesù già fatto grandicello, e giunto all’età di dodici anni: Cum factus esset Jesus annorum duodecim, ascendentibus illis Jerosolymam secundum consuetudinem diei festi. Quante utili riflessioni avete a fare, o padri, o madri, su questo piccolo tratto del Vangelo! Al tempio come vedete, e non altrove Maria e Giuseppe conducono il loro Gesù, e ad un tempio che non è vicino alla loro casa, come il sono i nostri templi alle vostre; ad un tempio che non è nemmeno posto nella loro città; al tempio di Gerosolima, dove non vi possono arrivare se non dopo di avere camminato a piedi per ben tre giorni: e là il conducono fin da fanciullo per avvezzarlo alle pratiche della Religione; ve lo conducono a celebrare la grande solennità della Pasqua, che non è di sì breve durata, come le sacre nostre funzioni, ma che dura per ben sette giorni; e lo conducono in quella città che non ardiscono di abitare per timore di Archelao, preferendo ora, dice sant’Agostino, il timor di Dio e l’osservanza della legge al timor del tiranno; e non lo affidano ad altri, ma eglino stessi ve lo conducono, se lo tengono sotto gli occhi, e gli presentano in sé stessi l’esempio della religione a cui lo vogliono accostumare.Sebbene che dico io mai? Perdonatemi, o mio buon Gesù, se di voi parlo come d’uno de’ nostri fanciulli che abbisogna di guida, di istruzione, di esempi, di religione; di voi che siete Dio, che siete la via, la verità, l’esemplare, anzi lo scopo di tutta la Religione. Ma è la vostra umiltà che vuol appunto coprire la vostra divinità col velo di una fanciullezza umana agli occhi degli stessi vostri genitori, perché, siccome tutti i figliuoli in voi, così in Maria e Giuseppe tutti i genitori ravvisino il modello della loro condotta. L’esempio luminoso adunque che Maria e Giuseppe quivi presentano, o padri e madri, vi ricorda il primo, il più essenziale de’ vostri doveri, e direi quasi l’unico, perché gli altri tutti o vanno a riferirsi o devono essere subordinati a questo, di allevare cioè sino da’ loro primi anni i vostri figliuoli nella santa Religione; e però di far loro conoscere per tempo Gesù Cristo e la fede e la dottrina di Lui, di inspirare loro sentimenti di pietà; di avvezzarli di buon’ora a venire alla Chiesa, ad assistere con assiduità e divozione al santo Sacrificio, alla divina parola ed agli altri divini misteri e di impiegarveli non solo co’ vostri inviti, comandi ed esempi, ma col condurveli voi stessi. Fa pur consolazione, o dilettissimi, l’ascoltare que’ ben educati figliolini, che slegano la loro lingua balbettando appena per invocare il nome di Dio e di Gesù, che imparano a parlare imparando a pregare, che quasi non conoscono ancora sé stessi, e già conoscono la loro fede, loro religione, il loro Dio. Fa pure consolazione vedere nella buona madre preceduta dalle sue figlioline, quel buon padre e fiancheggiato da’ suoi piccoli figli recarsi dalla casa alla chiesa per presentare queste anime innocenti al Signore, a cui si ricordano d’esserne debitori, e qui porger loro l’acqua benedetta, istruirli a farsi il segno della santa Croce, far loro piegare le ginocchia per riverenza alla maestà del Dio vivente, e, dispostili di poi d’intorno a sé in guisa d’averseli tutti vicini e sotto gli occhi, comporne il loro esteriore nell’atto della maggiore modestia e divozione, e quando suggerire all’orecchio or dell’uno or dell’altro e salutari ricordi ed opportune istruzioni e santi eccitamenti alla fede ed alla pietà, quando alternare con tutti la santa preghiera, quando appagare l’innocente curiosità di ciascuno risvegliata dalle cose sensibili e dalle esteriori cerimonie che loro presenta la santa Religione nella chiesa.Alza l’un d’essi gli occhi, e dimanda che faccia quel Sacerdote all’altare: Sappi, risponde il buon padre, la buona madre, che là si rinnova il grande sacrificio di espiazione offerto già da Gesù Cristo sul Calvario per i nostri peccati: uniamo il nostro spirito a quello del Sacerdote, e rendiamone con lui al Signore i più fervidi ringraziamenti. — Gira l’altro d’intorno gli occhi e chiede di chi sono quelle immagini. Sono le immagini de’ santi che furono fedeli al Signore: quello ha spesa la sua vita in opere di carità, quella in orazioni e penitenze; questo sparse il suo sangue piuttosto che negare la fede di Gesù Cristo, questa piuttosto che perdere la purità: sono nostri avvocati in cielo, nostri esemplari in terra: raccomàndati a loro e prendili ad imitare. – Rivolge questi lo sguardo all’intorno, e chiede che cosa sia questo fonte. Quest’è il sacro fonte del Battesimo, qui si racchiudono le acque salutari che ti hanno mondato dalla colpa originale; qui giurasti eterna fedeltà al Signore; qui ricevesti la stola dell’innocenza che Gesù Cristo ti richiederà nel giorno del tuo giudizio: ah, figliuol mio, guàrdati bene di macchiarla, ovver di perderla; vada il tutto piuttosto che perdere questo tesoro. — Abbassa l’altro gli occhi e domanda della pietra mobile che si vede sotto de’ piedi. Questo sasso chiude le ceneri di tanti e tanti che visser già, e visser sani come tu; tutti abbiamo a finire così; essi ci hanno preceduti; io vi andrò d’appresso; tu non tarderai a seguirmi; non v’ha se non la pietà, se non la virtù che non muoia mai.— E così rispondendo ad ogni altra curiosa loro dimanda; ed eccitandoli con santa industria a farne sempre delle nuove, li avvezzano per tempo a penetrare e gustare, dirò così, lo spirito delle preghiere, de’ riti augusti, de’ santi misteri e fanno loro prendere sino dai primi anni una sincera affezione per la Chiesa, per le sacre funzioni, per la santa religione. – Sì, fanno veramente consolazione, o dilettissimi, queste sante famiglie. E perché non sono frequenti queste consolazioni? Perché tutti i genitori non prendono così a cuore la religione de’ loro figliuoli? Ma vi sono pure di que’ spensierati genitori, i quali o non se ne curano punto, o ne lasciano il pensiero ad altri. Se parliamo delle persone agiate, altri considerano i loro figliuoli come un imbarazzo, e per tenerseli lontani, affidano la loro educazione a persone straniere, e credono poter sgravare la loro coscienza dell’obbligo di istruirli ed educarli nella santa Religione, coll’aggravarne quella o di una donzella priva di lumi per istruirli, di autorità per farsi rispettare e di talenti necessari per riuscire in una sì difficile impresa, o di un servitore mancante per lo più di educazione, e qualche volta anche di religione, capace di guastare l’indole la più felice con discorsi licenziosi, con cattivi esempi; con vili adulazioni, e intento solamente a fare il suo interesse anche col solleticare le passioni e fomentare i vizi del mal affidatogli figliuolo, o di un precettore mercenario, il. quale, purché provveda al suo bisogno, od è indifferente o non si interessa che debolmente della buona riuscita dello sgraziato discepolo. – Altri poi, non curando molto di formare il cuore dei loro figliuoli alla pietà ed alle virtù cristiane, pensano piuttosto ad ornare il loro spirito di quelle scienze profane, che sono inutili per lo più, e molte volte son anzi perniciose all’anima ed alla coscienza: pensano piuttosto ad istruirli minutamente in tutte quelle usanze ed urbanità ed artifici d’eleganza, onde si figura e si piace nel mondo; e chi, dice s. Bernardo, chi procaccia a’ suoi figliuoli onorevole grado nella milizia, chi rango distinto nella magistratura, chi grandi ricchezze e collocamento vantaggioso, e nessuno pensa ad assicurar, loro l’innocenza e la grazia di Dio: Alii militias, alii honores, alii divitias filiis provident, nemo filiis providet Deum. Che se parliamo della povera gente, v’han  tali, che, divenuti genitori prima di saperne i doveri, non possono istruire i loro figliuoli nella Religione che ignorano eglino stessi; e han tali, che, credendo quasi d’aver fatto abbastanza coll’averli generati, li lasciano vagare qua e là in abbandono a sè stessi appena quasi che possono reggersi in piedi e li lasciano marcire nella più crassa ignoranza; v’hanno persino tali, che invece di allevare i loro figliuoli nella Religione; li scandalizzano colla loro condotta; presentano loro l’esempio del vizio e loro insegnano ad offendere Dio prima quasi che lo conoscano. Ecco, o miei cari, la sorgente fatale della depravazione universale de’ costumi, ecco la funesta causa della rovina di tante famiglie e di intere popolazioni. – Ma benché i genitori educassero i loro figliuoli sino dai teneri anni nella Religione e nel santo timor di Dio; avrebbero fatto il più, non avrebbero però fatto ancora il tutto. È per lo più prosperata questa prima e principale loro sollecitudine, e non è sì facile che figliuoli educati per tempo religiosamente si vadano a perdere. Pure avviene che anche i figliuoli meglio allevati siano poi o sedotti od ingannati e divertano dalla buona strada, sulla quale camminavano co’ saggi loro genitori. Bisogna dunque richiamarveli subito; o genitori. Che hanno dunque questi a fare per richiamarveli? Anche in ciò hanno per loro maestri e modelli Maria e Giuseppe. Passati i giorni della festa, prosegue il santo Vangelo, allorquando Maria e Giuseppe se ne ritornavano alla volta di Nazaret, rimase in Gerusalemme Gesù, senza che essi se ne avvedessero: Consummatis diebus, cum redirent, remansit puer Jesus in Jerusalem, et non cognoverunt parentes ejus. Fecero il cammino di un giorno sempre pensando che Gesù fosse colla compagnia; ma arrivata la sera il ricercarono ansiosi tra i congiunti ed i conoscenti, e nessuno seppe darne loro notizia: Existimantes autem illum esse in comitatu, venerunt iter diei, et requirebant eum inter cognatos et notos. Quanto penetrasse il cuore d’entrambi un colpo sì doloroso, lo spieghi chi può misurare il loro amore verso Gesù. Qual dura veglia passarono in quella notte! quanti sospiri amari trassero dal fondo del loro cuore! Tanto non li contristarono i furori di Erode ed i pericoli dell’Egitto. Incominciò fin d’allora Maria a provare il dolore di quella spada che, come le aveva predetto il vecchio Simeone, doveva trapassarle l’anima. Al primo albeggiare del nuovo giorno ripigliarono il viaggio verso Gerusalemme: Et non invenientes, regressi sunt in Jerusalem requirentes eum. Giunti colà, non così premurosa la donna evangelica andò in traccia della perduta gemma per ogni angolo della casa, come solleciti Maria e Giuseppe girano la città in cerca del loro Gesù, ripetendo ad ognuno più col cuore che colle labbra le pietose parole della Sposa de’ cantici: Avete voi forse veduto l’oggetto dell’amor mio? Numquid quem diligit anima mea, vidistis? Dopo tre giorni finalmente venne loro fatto di ritrovarlo nel tempio che sedeva in mezzo ai dottori e li ascoltava, e li interrogava: Et factum est, post triduum invenerunt illum in templo, sedentem in medio doctorum, audientem illos et interrogantem eos. Maria e Giuseppe non aveano colpa alcuna per quello smarrimento di Gesù: Egli non erasi smarrito né per negligenza né per dimenticanza loro. Come potevano infatti dimenticare l’oggetto della loro compiacenza continua e di tutti i pensieri ed affetti loro? Gli avevano soltanto accondisceso che si scostasse talvolta da loro per ricreare or l’uno or l’altro coll’amabilissima sua presenza. Maria e Giuseppe non avevano a temer nulla di male del loro Gesù: avevano già indubitate prove della sapienza di cui era ripieno e della grazia di Dio che era con Lui: n’erano troppo recenti le testimonianze degli Angeli, de’ pastori, de’ Magi, di Anna. E difatti dove il trovano essi mai? Nel tempio. A che fare? Alla pubblica istruzione, ad ascoltare ed interrogare i dottori. E che dicono di lui questi dottori e chiunque lo ascolta? Restano tutti meravigliati, dice il santo Vangelo, della sapienza e delle risposte di lui: Stupebant autem omnes, qui cum audiebant, super prudentia et responsis ejus. Tutto ciò non ostante voi già udiste quanto fosse vivo il rammarico di Maria e di Giuseppe per averlo smarrito; quanto fosse grande la loro sollecitudine nel ricercarlo. – E voi, o padri e madri, che cosa fate per non perdere spiritualmente i vostri figliuoli, che si possono perdere e si perdono certamente? che cosa fate per ricercarli e recuperarli? Vi sono pure genitori così indolenti che vedono i loro figliuoli piegar tosto e sortire dalla giusta strada, e non porgerebbero loro la mano per rimetterli in sentiero, e non darebbero loro la voce che loro darebbe la carità di uno straniero gridando, O figliuol mio, voi fallate la strada. Sanno che quel figliuolo, anziché recarsi alla chiesa od alla scuola, si perde per le strade e per le piazze oziosamente, che si trova spesse volte con quel compagno di sospetta o dubbia condotta, e già il vedono odiare la fatica e la ritiratezza, amare soltanto la dissipazione, l’ozio, il divertimento, il vedono correre di gran passo a traviare miseramente: eppure soffrono il tutto e il lasciano vivere a capriccio per una soverchia indulgenza, per una barbara pietà. Sanno che quella figlia è sovvertita da quel giovane troppo frequente pella casa: che v’hanno fra loro incontri concertati anche fuori di casa; che fervido n’è il fermento, e già ne provano gli effetti nella svogliatezza della figlia, nella trascuranza di tutte le faccende domestiche, nell’allontanamento dalla Chiesa, dall’orazione e dai santi Sacramenti; e la vedono sotto gli occhi loro proprj pericolare; pure se ne tacciono, perché il partito sarebbe o conveniente o il solo per lei, ed arrischiano di vedere la loro figlia perdere malamente la sua innocenza e ripararla peggiormente con un infelice matrimonio. Che se i vostri figliuoli sono già traviati, qual è il vostro dolore, o padri e madri? quale la premura di richiamarli sulla buona strada? Se voi siete di quei genitori ch’ebbero cuore di educarli cristianamente, so bene che non v’ha spada che possa trapassarvi le viscere più crudelmente di questa; so che adoperate e le dolci maniere e le preghiere e le lagrime; so che interponete l’opera de’ parenti, degli amici, de’ conoscenti, le esortazioni e l’autorità delle persone probe e saggie; so che non cessate di mandare sospiri al cielo per riacquistare i perduti vostri figliuoli: e consolatevi pure, ché non saranno inutili le presenti vostre ricerche, e non avrete per l’addietro gettato invano nel loro cuore i semi della virtù, del santo timor di Dio, di una cristiana educazione. Ritornerà, sì, ritornerà la pecorella sviata a rientrare nell’ovile; verrà pentito il prodigo figliuolo a bagnare del più amaro pianto le ginocchia del suo genitore. Un rovescio, la morte di un amico lo colpirà; un’età più matura ammorzerà la passione, richiamerà la riflessione e rianimerà quel sentimento di religione che sino dagli anni teneri gli avete instillato. E se la disgrazia, se gli avvisi altrui non ve lo ridoneranno, se nol troverete tra’ parenti, tra’ conoscenti, il troverete nel tempio, e voglio dire che Dio non sarà insensibile alle orazioni vostre, ai vostri gemiti, alle vostre lagrime: queste vi renderanno lo sviato figliuolo, come già resero a santa Monica il suo Agostino: Non peribit filius istarum lacrymarum. – Ma sgraziati voi e veramente infelici, quando abbiate traviato, o figliuoli di que’ genitori che non ebbero mai a cuore la religione dei loro figliuoli. Chi mai vi richiamerà dalla strada dell’iniquità e della perdizione? I vostri genitori non muoveranno un passo per venirvi a ricercare: vi vedranno con occhio asciutto e tranquillo correre al precipizio. Non isperate ch’essi vi porgano la mano per ritirarvene; non isperate ch’essi vi diano un buon consiglio, un opportuno avvertimento. Se i vostri falli venissero a toccare il loro interesse, avreste bene ad aspettarvi i più pronti ed amari rimproveri; ma perché vanno a ferire solamente il Signore, siate certi del loro silenzio: quant’è da loro potete offendere pure Iddio, ch’essi ve lo lasciano offendere senza turbarvi. Oppure se alzano la voce per riprendervi, non sarà questa la voce di una amorevole, paziente, mansueta correzione, ma la voce di una furia che mena rumore per la casa e per tutto il vicinato; la voce di mille orride imprecazioni; una voce che vi provoca allo sdegno e vi inspira l’odio e la disperazione; una voce che vi getta fuori di strada del tutto, quando già non lo foste; e voi, o figliuolo, sarete obbligato a prendere i partiti più disperati per sottrarvi dalle importune invettive di un indiscreto genitore; e voi, o figliuola, anteporrete qualsivoglia scapestrato giovane piuttosto che patire di continuo i mali trattamenti di una madre furiosa. Oh snaturati genitori! Se l’Apostolo san Paolo dichiara che ha rinunziato alla fede; ed è peggiore di un infedele chi non ha cura de’ suoi, e massime di que’ di sua casa; che avrebbe letto di que’ genitori che, trascurando di allevare i loro figliuoli nella santa Religione, trascurano l’eterna loro salute? Che di que’ genitori, che li lasciano miseramente perire sotto i loro propri occhi? Che di que’ genitori, che sono o l’occasione o ben anco la barbara cagione della perdizione dei loro figliuoli? Che direbbe di que’ mostri che, fattisi nemici della croce di Gesù Cristo, prendono a sacrificare al demonio le anime redente col preziosissimo sangue di Gesù, e scelgono a sacrificare quelle de’ propri figliuoli, delle proprie figliuole? Immolaverunt filios suos et filias suas dæmoniis. Tolgami il cielo ch’io neppur sospetti esservi tra miei uditori alcuno di codesti mostri, e non per altro ho fatto menzione di costoro se non per accrescervi l’orrore in cui già li avete, e perché mandiate fervide preghiere al Signore per la conversione di questi traditori del proprio sangue, che pur troppo vi sono in questa città, e per la salute de’ traditi loro figliuoli. Ma sappiate, o padri e madri, che qualunque vostra trascuranza nell’educare i vostri figliuoli cristianamente, o più o meno partecipa di questa crudeltà. Tenetevi dunque sempre presente il bell’esempio della cura che Maria e Giuseppe si prendono del loro fanciullo Gesù, benché non ne avesse alcun bisogno; e ricevete l’avviso di san Paolo a vostra direzione: Educate, egli dice, i vostri figliuoli nella disciplina del Signore; ma educateli di buon’ora; insegnate loro per tempo i misteri della Religione e le regole del vivere cristiano; maneggiate questi cuori finché sono di cera; coltivate queste pianticelle finché sono tenere ed arrendevoli, e coltivatele pel celeste Padrone. Che se incominciano a piegar malamente e a torcere dalla retta strada, raddrizzateli subito, arrestateli sui primi passi, non tardate a correggerli, ma non per costume, non per mal umore, non per trasporto di collera, sebbene sempre con ragione; con moderazione, e convincendoli dolcemente de loro falli: educateli insomma, e correggeteli nel Signore: Educate illos in disciplina et correptione Domini.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
S. Luc II:22
Tulérunt Jesum paréntes ejus in Jerúsalem, ut sísterent eum Dómino.

[I suoi parenti condussero Gesú a Gerusalemme per presentarlo al Signore.]

Secreta

Placatiónis hostiam offérimus tibi, Dómine, supplíciter ut, per intercessiónem Deíparæ Vírginis cum beáto Joseph, famílias nostras in pace et grátia tua fírmiter constítuas.

[Ti offriamo, o Signore, l’ostia di propiziazione, umilmente supplicandoti che, per intercessione della Vergine Madre di Dio e del beato Giuseppe, Tu mantenga nella pace e nella tua grazia le nostre famiglie.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de Epiphania Domini

Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Quia, cum Unigénitus tuus in substántia nostræ mortalitátis appáruit, nova nos immortalitátis suæ luce reparávit. Et ídeo cum Angelis et Archángelis, cum Thronis et Dominatiónibus cumque omni milítia cœléstis exércitus hymnum glóriæ tuæ cánimus, sine fine dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: Poiché quando il tuo Unigénito apparve nella nostra natura mortale, ci riparò con la luce nuova della sua immortalità. E perciò con gli Angeli e gli Arcangeli, con i Troni e le Dominazioni, e con tutta la milizia dell’esercito celeste, cantiamo l’inno della tua gloria, dicendo senza fine:]

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster,

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

S. Luc. II: 51
Descéndit Jesus cum eis, et venit Názareth, et erat súbditus illis.

[E Gesú se ne andò con loro, e tornò a Nazareth, ed era loro sottomesso.]

Postcommunio

Orémus.
Quos cœléstibus réficis sacraméntis, fac, Dómine Jesu, sanctæ Famíliæ tuæ exémpla júgiter imitári: ut in hora mortis nostræ, occurrénte gloriósa Vírgine Matre tua cum beáto Joseph; per te in ætérna tabernácula récipi mereámur:

[]O Signore Gesú, concedici che, ristorati dai tuoi Sacramenti, seguiamo sempre gli esempii della tua santa Famiglia, affinché nel momento della nostra morte meritiamo, con l’aiuto della gloriosa Vergine tua Madre e del beato Giuseppe, di essere accolti nei tuoi eterni tabernacoli.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

FESTA DELL’EPIFANIA (2023)

FESTA DELL’EPIFANIA (2023)

Stazione a S. Pietro

Doppio di I classe con Ottava privil. di II Ord.- Paramentti, bianchi.

Questa festa si celebrava in Oriente dal III secolo e si estese in Occidente verso la fine del IV secolo. La parola “Epifania” significa: manifestazione. Come il Natale anche l’Epifania è il mistero di un Dio che si fa visibile; ma non più soltanto ai Giudei, bensì anche ai Gentili, cui in questo giorno Dio rivela il suo Figlio (Or.). Isaia scorge in una grandiosa visione, la Chiesa, rappresentata da Gerusalemme, alla quale accorrono i re, le nazioni, la moltitudine dei popoli. Essi vengono di lontano con le loro numerose carovane, cantando le lodi del Signore e offrendogli oro e incenso (Ep.). – I re della terra adoreranno Dio e le nazioni gli saranno sottomesse • (Off.). Il Vangelo mostra la realizzazione di questa profezia. – Mentre il Natale celebra l’unione della divinità con l’umanità di Cristo, l’Epifania celebra l’unione mistica delle anime con Gesù. – Oggi – dice la liturgia – la Chiesa è unita al suo celeste Sposo, poiché, oggi Cristo ha voluto essere battezzato da Giovanni nel Giordano: oggi una stella conduce i Magi con i loro doni al presepio: oggi alle nozze l’acqua è stata trasformata in vino. Ad Alessandria d’Egitto pubblicavasi ogni anno, il 6 gennaio, l’Epistola Festalis, lettera pastorale in cui il Vescovo annunziava la festa di Pasqua dell’anno corrente. Di qui nacque l’uso delle lettere pastorali in principio di Quaresima. In Occidente, il IV sinodo d’Orléans (541) ed il sinodo d’Auxerre (tra il 573 ed il 603) introdussero la stessa usanza. Nel Medioevo vi si aggiunse la data di tutte le feste mobili. Il Pontificale Romano prescrive di cantar oggi solennemente, dopo il Vangelo, detto annunzio (Liturgia, Paris, Bloud et Gay, 1931, pag. 628 sg.).

Incipit

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Malach 3:1 – 1 Par XXIX:12
Ecce, advénit dominátor Dóminus: et regnum in manu ejus et potéstas et impérium

[Ecco, giunge il sovrano Signore: e ha nelle sue mani il regno, la potestà e l’impero.]

Ps LXXI:1
Deus, judícium tuum Regi da: et justítiam tuam Fílio Regis.

[O Dio, concedi al re il tuo giudizio, e la tua giustizia al figlio del re.]

Ecce, advénit dominátor Dóminus: et regnum in manu ejus et potéstas et impérium

[Ecco, giunge il sovrano Signore: e ha nelle sue mani il regno, la potestà e l’impero.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.
Deus, qui hodiérna die Unigénitum tuum géntibus stella duce revelásti: concéde propítius; ut, qui jam te ex fide cognóvimus, usque ad contemplándam spéciem tuæ celsitúdinis perducámur.
y

[O Dio, che oggi rivelasti alle genti il tuo Unigenito con la guida di una stella, concedi benigno che, dopo averti conosciuto mediante la fede, possiamo giungere a contemplare lo splendore della tua maestà.]

Lectio

Léctio Isaíæ Prophétæ.
Is LX:1-6
Surge, illumináre, Jerúsalem: quia venit lumen tuum, et glória Dómini super te orta est. Quia ecce, ténebræ opérient terram et caligo pópulos: super te autem oriétur Dóminus, et glória ejus in te vidébitur.
Et ambulábunt gentes in lúmine tuo, et reges in splendóre ortus tui. Leva in circúitu óculos tuos, et vide: omnes isti congregáti sunt, venérunt tibi: fílii tui de longe vénient, et fíliæ tuæ de látere surgent. Tunc vidébis et áfflues, mirábitur et dilatábitur cor tuum, quando convérsa fúerit ad te multitúdo maris, fortitúdo géntium vénerit tibi. Inundátio camelórum opériet te dromedárii Mádian et Epha: omnes de Saba vénient, aurum et thus deferéntes, et laudem Dómino annuntiántes.

[“Levati, o Gerusalemme, e sii illuminata, perché la tua luce è venuta, e la gloria del Signore è e è sorta su te. Poiché, ecco le tenebre ricoprono la terra e l’oscurità avvolge le nazioni; su te, invece, spunta il Signore, e in te si vede la sua gloria. Le nazioni cammineranno; alla tua luce, e i re allo splendore della tua aurora. Alza i tuoi occhi all’intorno, e guarda: tutti costoro si son radunati per venire a te. I tuoi figli verranno da lontano, e le tue figlie ti sorgeranno a lato. Allora vedrai e sarai piena di gioia; il tuo cuore si stupirà e sarà dilatato, quando le ricchezze del mare si volgeranno verso di te, quando verranno a te popoli potenti. Sarai inondata da una moltitudine di cammelli, di dromedari di Madian e di Efa: verranno tutti insieme da Saba, portando oro e incenso, e celebrando le glorie del Signore”]

GESÙ CRISTO RE

Isaia, il profeta suscitato da Dio a rimproverare e a consolare il popolo eletto in tempo di grande afflizione, ci dipinge in esilio, prostrato a terra, immerso nel dolore per voltate le spalle a Dio. È bisognoso d’una consolazione; e il profeta questa parola la fa sentire. Gerusalemme risorgerà. Il Messia vi comparirà come un faro risplendente sulla sponda di un mare in burrasca. E nella sua luce accorreranno le nazioni uscendo dalle tenebre dell’idolatria. Gerusalemme deve alzar gli occhi e contemplar lo spettacolo consolante dei suoi figli dispersi che ritornano, e dei popoli della terra che verranno ad essa, cominciando da quei dell’Oriente, recando oro ed incenso, annunziando le lodi del Signore. Questa profezia ha compimento nel giorno dell’Epifania, poiché in questo giorno comincia il movimento delle nazioni verso la Chiesa, la nuova Gerusalemme. I Magi che venuti dall’Oriente domandano ove è il nato Re dei Giudei, ci invitano a far conoscenza con questo Re.

[A. Castellazzi, La scuola degli Apostoli, Artig. Pavia, 1929]

Graduale

Isa LX: 6;1
Omnes de Saba vénient, aurum et thus deferéntes, et laudem Dómino annuntiántes.

[Verranno tutti i Sabei portando oro e incenso, e celebreranno le lodi del Signore.]

Surge et illumináre, Jerúsalem: quia glória Dómini super te orta est. Allelúja, allelúja.

[Sorgi, o Gerusalemme, e sii raggiante: poiché la gloria del Signore è spuntata sopra di te.]

Allelúja.

Allelúia, allelúia
Matt II:2.
Vídimus stellam ejus in Oriénte, et vénimus cum munéribus adoráre Dóminum. Allelúja.

 [Vedemmo la sua stella in Oriente, e venimmo con doni per adorare il Signore. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Matthǽum
Matt II:1-12

Cum natus esset Jesus in Béthlehem Juda in diébus Heródis regis, ecce, Magi ab Oriénte venerunt Jerosólymam, dicéntes: Ubi est, qui natus est rex Judæórum? Vidimus enim stellam ejus in Oriénte, et vénimus adoráre eum. Audiens autem Heródes rex, turbatus est, et omnis Jerosólyma cum illo. Et cóngregans omnes principes sacerdotum et scribas pópuli, sciscitabátur ab eis, ubi Christus nasceretur. At illi dixérunt ei: In Béthlehem Judæ: sic enim scriptum est per Prophétam: Et tu, Béthlehem terra Juda, nequaquam mínima es in princípibus Juda; ex te enim éxiet dux, qui regat pópulum meum Israel. Tunc Heródes, clam vocátis Magis, diligénter dídicit ab eis tempus stellæ, quæ appáruit eis: et mittens illos in Béthlehem, dixit: Ite, et interrogáte diligénter de púero: et cum invenéritis, renuntiáte mihi, ut et ego véniens adórem eum. Qui cum audíssent regem, abiérunt. Et ecce, stella, quam víderant in Oriénte, antecedébat eos, usque dum véniens staret supra, ubi erat Puer. Vidéntes autem stellam, gavísi sunt gáudio magno valde. Et intrántes domum, invenérunt Púerum cum María Matre ejus, hic genuflectitur ei procidéntes adoravérunt eum. Et, apértis thesáuris suis, obtulérunt ei múnera, aurum, thus et myrrham. Et re sponso accépto in somnis, ne redírent ad Heródem, per aliam viam revérsi sunt in regiónem suam,”

[Nato Gesù, in Betlemme di Giuda, al tempo del re Erode, ecco arrivare dei Magi dall’Oriente, dicendo: Dov’è nato il Re dei Giudei? Abbiamo visto la sua stella in Oriente e siamo venuti per adorarlo. Sentite tali cose, il re Erode si turbò, e con lui tutta Gerusalemme. E, adunati tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo, voleva sapere da loro dove doveva nascere Cristo. E questi gli risposero: A Betlemme di Giuda, perché così è stato scritto dal Profeta: E tu Betlemme, terra di Giuda, non sei la minima tra i prìncipi di Giuda: poiché da te uscirà il duce che reggerà il mio popolo Israele. Allora Erode, chiamati a sé di nascosto i Magi, si informò minutamente circa il tempo dell’apparizione della stella e, mandandoli a Betlemme, disse loro: Andate e cercate diligentemente il bambino, e quando l’avrete trovato fatemelo sapere, affinché io pure venga ad adorarlo. Quelli, udito il re, partirono: ed ecco che la stella che avevano già vista ad Oriente li precedeva, finché, arrivata sopra il luogo dov’era il bambino, si fermò. Veduta la stella, i Magi gioirono di grandissima gioia, ed entrati nella casa trovarono il bambino con Maria sua madre qui ci si inginocchia e prostratisi, lo adorarono. E aperti i loro tesori, gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti poi in sogno di non passare da Erode, tornarono al loro paese per un altra strada.]

Omelia

[Mons. Geremia Bonomelli: Misteri Cristiani, vol. I –  Brescia, ed. Queriniana, 1894]

Tre vie che conducono alla verità. Come ne usarono i Magi.

I grandi misteri della nostra Religione, massimamente quelli che si riferiscono alla Persona adorabile di Gesù Cristo, sono miniere, dalle quali con lieve fatica si può cavare in abbondanza l’oro purissimo delle più belle e sublimi verità. In questo giorno faustissimo la Chiesa ricorda con gioia come i Magi, ossia sapienti, o fors’anche principi, partiti dal lontano Oriente, giunsero a Gerusalemme e di là si incamminarono a Betlemme, dove videro e adorarono il celeste Infante, offrendogli i mistici doni d’oro, incenso e mirra, come leggiamo nel Vangelo. Eccovi da una parte la divina bontà, che per mezzo d’una stella, o segno celeste, qual che si fosse, chiama alla fede i primi gentili, e dall’altra la docilità, la prontezza e la generosità d’animo di questi savi, che ubbidiscono alla voce del Cielo. In questi uomini, primizie dei gentili, noi dobbiamo ammirare le vie, per le quali la Provvidenza suol condurre le anime al conoscimento della verità. Essi, prevenuti e mossi dalla grazia, senza la quale non si può far nulla, usarono della loro ragione, e, raffrontando le tradizioni antiche, compresero che l’aspettato Messia era nato. Ma la sola ragione, ancorchè aiutata dalle tradizioni, non poteva far loro conoscere dov’era il Messia. Ecco apparire la stella, o segno celeste, che li guida, ed essi, i Magi, docilmente lo seguono. Se non che, giunti a Gerusalemme, quel segno si eclissa o scompare ed essi, non sanno dove trovarlo. Allora quegli uomini ammirabili non abbandonano l’impresa, non si smarriscono d’animo e chiedono umilmente lume a chi credevano potesse darlo, ad Erode, e gli dicono: « Dov’è nato il Re de’ Giudei? Perocché in Oriente abbiam vista la sua stella. La stella ci ha scorti sin qui; or tu compi l’opera; tu, che il devi sapere, dicci: Dov’è il Salvatore? » – Erode è re; ma non sacerdote; non sa, o non osa rispondere. Raccoglie il gran Consiglio de’ Giudei, i capi del sacerdozio e muove a loro la domanda, che i Magi avevano fatta a Lui: – Dove ha da nascere il Cristo? – E il Sacerdozio prontamente e chiaramente risponde, spiegando così il segno celeste e interpretando la Sacra Scrittura: – In Betlemme -. Cittadini, cortigiani, Erode e Magi s’acquetano all’oracolo del Sacerdozio; a Betlemme adunque si cerchi il Figliuol di Dio fatto uomo; e quelli che colà lo cercano, i Magi, lo trovano e con Lui e per Lui trovano la vita. – Questo fatto registrato nel Vangelo condanna due errori gravissimi, nei quali caddero e cadono oggi ancora milioni di nostri fratelli e ci mostra la via regia, che ci conduce alla verità. È ciò che mi propongo di mostrarvi in questo ragionamento, che merita tutta la vostra attenzione. L’uomo è fatto per la verità. I fiumi scendono dai monti, fremono tra le rocce e i burroni, che contendono loro il passo, poi attraversano le pianure e dopo lungo cammino, s’adagiano in seno al mare; gli astri si muovono silenziosi intorno all’astro polare per ricevere da esso il moto e la luce; così gli uomini cercano sempre e dovunque la verità e in essa si acquetano; se non la trovano, se altri loro la contendono, se ostacoli sorgono sulla via e ne impediscono il possesso, si turbano, si agitano, né si danno pace finché non l’abbiano afferrata e fatta propria. Udiste mai un uomo, un solo uomo, che dica: Io non cerco la verità? È impossibile. Egli, se traviato e perverso, potrà bene cercare l’errore, volerlo, predicarlo, farsene apostolo e fino ad un certo punto, anche martire; ma protesterà sempre, ch’egli cerca, ama e predica la verità. La natura, più forte della perversità sua, l’obbliga a mentire a se stesso e a chiamare verità quella ch’egli sa essere menzogna. Tanta è la forza della verità! Che se l’uomo ha la naturale tendenza a conoscere qualunque verità, l’ha fortissima a conoscere quelle verità, che lo interessano personalmente, che devono essere la norma del suo credere e del suo operare, e colle quali è congiunta la sua sorte presente e futura. Tali sono senza dubbio le verità fondamentali dell’ordine morale e religioso, l’esistenza di Dio, la creazione,  l’origine dell’uomo, l’immortalità dell’anima, la vita futura, la sorte riserbata ai buoni ed ai cattivi e andate dicendo. In faccia a queste verità di ordine naturale e base della Religione, qual uomo mai può vivere indifferente? A me, diceva bene Pascal, poco importa che il sistema di Tolomeo sia vero o falso; ma mi importa assai sapere se vi è Dio, se ho un’anima e se questa sia immortale. » – Ora per quali vie, con quali mezzi può l’uomo pervenire al conoscimento di Dio, delle sue perfezioni, della propria origine, del proprio fine, dei doveri, che deve adempire verso Dio, verso se stesso, verso i suoi simili? Non vedo che tre vie sole: la via della ragione di ciascun uomo; lo studio d’un libro, dato da Dio stesso ad ogni uomo, che insegni le verità a lui necessarie, e un ceto di uomini, stabilito da Dio e che tiene da Lui l’ufficio di ammaestrare tutti gli uomini in queste verità. Sono le tre vie della ragione sola, della Bibbia in mano di ciascun uomo, e l’Autorità vivente, infallibile della Chiesa. Al primo mezzo si appigliano tutti i razionalisti, al secondo i protestanti, al terzo ci atteniamo noi tutti Cattolici. Esaminiamoli spassionatamente al lume della sola ragione. – Il razionalismo antico, e più il moderno, proclama alto: – L’uomo colla sola ragione può conoscere Dio, il proprio fine e tutto ciò che è necessario e bastevole per vivere onestamente; non vi è bisogno alcuno di ammaestramento superiore o di rivelazione divina -. Per fermo, non saremo noi Cattolici quelli de negano le forze della ragione umana o ne restringono soverchiamente i confini. Noi conosciamo e volentieri riconosciamo i suoi trionfi in tutti i rami dello scibile; noi facciamo plauso alle sue scoperte, ai suoi progressi meravigliosi, alle sue creazioni quasi incredibili nelle scienze astronomiche, fisiche, matematiche, meccaniche, e ce ne rallegriamo con voi, che ne siete gli entusiasti cultori e vi gridiamo di cuore: – Più ancora! Più ancora! Sempre avanti! – Ma diteci in fede vostra: Questa vostra ragione quanto a ciò che maggiormente importa e interessa in sommo grado ciascuno, Dio, l’anima, la vita avvenire, la regola della morale condotta, che cosa fece, che cosa può essa fare? Da sé sola può essa bastare all’uomo a condurlo al conoscimento certo ed efficace di quelle verità senza delle quali l’uomo non è uomo, ma un enigma, una manifesta contraddizione? Senza esitare un istante rispondo: No, e cedo l’onore della dimostrazione a S. Tommaso. Ascoltiamolo riverenti (Allorché con s. Tommaso affermiamo l’impotenza della ragione umana individuale e collettiva a conoscere le verità dell’ordine naturale necessarie ad ogni uomo, intendiamo sempre di parlare della impotenza morale, non assoluta, come dichiara il Concilio Vaticano, perché è certo che la sola ragione potrebbe e dovrebbe conoscere sufficientemente queste verità; ma di fatto e in pratica non le conosce; è una potenza che non passa all’atto se non forse per alcune intelligenze elette; e qui si tratta delle verità necessarie a tutti e a ciascun uomo.). – Gettiamo uno sguardo sulla società, in mezzo alla quale viviamo. Che vi troviamo noi rispetto alla capacità intellettuale? Una gradazione sterminata. Moltissimi sono forniti di una povera intelligenza; dotati di forze fisiche, essi svolgono la dura gleba, sudano nelle officine, maneggiano instancabili la pialla, la sega, il martello; sulle robuste spalle portano pietre e travi. Avvicinateli; provatevi a ragionar loro di cose che non si veggono, né si toccano, di Dio, della sua natura, dell’anima, de’ diritti, di virtù, di rapporti con Dio, con se stessi, coi loro simili; essi crederanno alle vostre parole, ammetteranno tutto ciò che voi affermate loro; ma del comprendere queste cose è nulla o quasi nulla. Come volete che questa moltitudine (è per lo meno il quarto della società), abbandonata a se stessa si sollevi agli alti concetti, alle grandi verità, che sono il fondamento della Religione e della morale? Come volete che questi uomini avvezzi alle dure fatiche della vita attendano allo studio, sfoglino libri ed entrino in sottili argomenti, nei quali sì spesso si smarriscono i più acuti ingegni? Se ammaestrati con lungo e paziente lavoro sono impotenti a penetrare queste verità, come volete che le comprendano da sé? Chi ha fior di ragione, intende, alla maggior parte degli uomini far difetto l’acume della mente necessario per sollevarsi all’altezza di queste verità e conoscerle per guisa da tenerle qual norma del vivere e applicarle a se stessi nei casi particolari (S. Tommaso contr. Gent. c. 4). Prosegue il sommo Dottore, che non ebbe l’eguale nello studio della natura umana. Vedete, egli dice, questi uomini; gran numero di loro non pure difetta d’ingegno pronto e atto alle profonde speculazioni delle cose invisibili, ma per le necessità comuni della vita ne sono impediti. Le cure della famiglia, i negozi, le industrie, il lavoro quotidiano, i mille affari, ai quali non possono o non vogliono sottrarsi; il vortice sociale, che volenti o nolenti li trascina seco senza tregua, non concede loro il tempo necessario per occuparsi con calma di quei veri, dai quali dipende la regola del pensare e operare ad ogni uomo. In mezzo all’incessante rumore delle cose mondane, che li assorda, camminano a guisa di storditi e quasi di ebbri, ignari dell’origine e del fine proprio, intesi solo a godere e ai mezzi per godere per trovarsi un giorno, al termine della vita, inconsci di ciò che hanno fatto e dell’ignoto, in cui stanno per gittarsi. Credere che costoro si ritirino dal mondo, lascino lo strepito, che li circonda e quasi li fa delirare, per ridursi in un luogo tranquillo e attendere allo studio degli alti problemi morali e religiosi, che domandano una pronta e decisiva soluzione, è la più strana delle illusioni. Chi conosce alquanto la natura umana e ciò che avviene intorno a noi, converrà meco. V’ha di più, continua S. Tommaso. L’uomo è soggetto all’impero, aggiungo, alla prepotenza dei sensi. La ragione è chiara. La vita dei sensi precede di molti anni lo sviluppo della ragione e questa non può far senza di quelli: di qui il predominio dei sensi sulla ragione e la ripugnanza grande nella maggior parte degli uomini a meditare le cose soprasensibili ed astratte, ad assorgere ai principii, a spaziare nei campi delle pure verità. Ora Dio, l’anima, i doveri, la giustizia, la virtù, il vizio, il bene ed il male sono cose che trascendono i sensi, che non si vedono, non si toccano, che sfuggono a qualunque esperienza, perciò la mente umana prova noia in considerarla, si stanca, sì disgusta e come uccello, che dopo avere per qualche tempo volteggiato per l’aria, sente il bisogno di calare sulla terra e si getta nel mondo sensibile e vi trova il suo diletto e vi dimora. Voi troverete che le moltitudini non si stancano mai di passatempi, di spettacoli, di balli, di musiche, di canti, di conviti, di conversazioni ed anche di lavoro materiale e se si stancano, passano dall’una all’altra di queste cose per riposarsi; ma rarissimamente troverete un uomo, se pure lo troverete, che si raccolga da solo, che metta la testa tra le mani e domandi sinceramente a se stesso: donde vengo, dove vado? Che devo fare per adempire i miei doveri? Chi è Dio? Che cosa è la virtù? Che cosa è il vizio? Qual sarà la mia sorte eterna? E badate che questo fanno pochi uomini ora che la voce del Maestro posto da Dio in mezzo a noi, che è la Chiesa, si fa udire continuamente: che sarebbe se fossimo abbandonati alle sole nostre forze? Chi leverebbe gli occhi dalla terra per fissarli in cielo e leggervi il proprio destino? Ditelo voi, o fratelli miei. Ma voglio concedere che alcuni pochi, di grande ingegno e dotati d’una natura felice e sciolti dalle cure terrene possano consacrarsi allo studio di queste verità ed acquistarne il conoscimento. Parvi egli possibile che a questo conoscimento perverranno in breve tempo? Nessuno che conosca anche solo mezzanamente le difficoltà grandissime di questo studio potrà crederlo. Prima di giungere al conoscimento chiaro ed intimo di queste verità, molti e molti anni dovranno trascorrere. E in questo tempo abbastanza lungo, nel quale la mente dell’uomo dovrà ondeggiiare tra il sì ed il no, tra il vero ed il falso, potrà egli regolare la sua condotta? Sarà necessariamente incerto, come nave sul mare senza stella e senza bussola. L’uomo, appena è capace di ragionare e acquista la coscienza della sua responsabilità, deve anche conoscere la via da battere, i doveri da adempire, il bene da fare, il male da cessare: lo vuole la sua natura d’essere ragionevole e morale; ma ciò è al tutto impossibile, anche agli ingegni privilegiati e alle volontà più elette, se la conquista delle verità necessarie deve essere il frutto degli sforzi di ciascuno. Oltre di che chiunque conosca la debolezza della nostra mente e la incostanza della nostra volontà di leggeri comprenderà che dubbi frequenti e gravissimi si affacceranno e turberanno lo spirito più retto. Le verità che riguardano Dio, l’anima, l’ordine morale e andate dicendo, non sono come quelle, che acquistiamo coi sensi; non sono come le verità matematiche, delle quali non è possibile il dubbio: nessuno può dubitare dell’esistenza della terra, dei monti, dei fiumi, delle città che ha viste; nessuno può dubitare che due parallele non si incontreranno mai e che cinque aggiunto a cinque ci darà dieci. Ma la cosa corre ben altrimenti allorché si tratta dell’ordine morale e religioso: qui il dubbio rampolla troppo spesso a piè del vero, le difficoltà si accumulano, massime in certi momenti di prove, quando le passioni più violenti vengono alle prese con queste verità, che le condannano. Che sarà allora dell’uomo, che per tener ferme quelle verità dovrà mettersi in guerra terribile colle sue passioni? Volentieri e facilmente ci liberiamo di un padrone molesto, che ci siam dati noi stessi e tali sono queste verità: nulla di più naturale che allora i dubbi crescano, piglino il sopravvento e finiscano col velare al tutto quelle verità divenute moleste e quasi nemiche. Ed eccovi l’uomo senza guida sicura in balia di se stesso. – Finalmente – osserva S. Tommaso, – sarà quasi miracolo che l’uomo colle verità conquistate dopo lunghi sforzi non frammischi qualche errore; così col cibo della verità, che dà la vita, avrà il veleno dell’errore, che dà la morte, colla luce mescolate le tenebre, colla virtù il vizio e troncato il cammino della salvezza. Se quei sublimi intelletti di Platone, di Aristotele, di Socrate, di Marco Tullio, dopo essere incanutiti nella meditazione di questi grandi veri, caddero in tanti e sì gravi errori, che vorrà essere della comune degli uomini? – Che se rimanesse ancora qualche dubbio sulla impotenza morale della ragione umana per ciò che spetta queste verità a tutti indispensabili, esso si dilegua dinanzi alla prova irrefragabile dei fatti, volete dell’antica, volete della moderna istoria. I più grandi pensatori dell’antichità greca e romana ci hanno lasciato il frutto dei loro studii e delle loro profonde ed acute lucubrazioni. Scorriamo quei libri, che per la forma e per la sostanza ottennero l’ammirazione del mondo: scorriamo tutti i libri di Platone e di Aristotele, di Epiteto, di Cicerone, di Marco Aurelio, di Seneca: voi non troverete in quegli scritti un sommario delle verità più necessarie a tutti, massime al popolo, per vivere virtuosamente: troverete sparse in molte pagine alcune verità, esposte in forma elegante, miste a molti errori, e quasi sempre avvolte nel dubbio. Essi poi per conto proprio e quel poco di buono e vero, che insegnano, lo propongono come trovato da sé, ve lo mettono innanzi, non come un dovere, ma come un consiglio: nessuna autorità superiore, che lo prescriva a tutti, sempre, egualmente, nessuna sanzione certa e determinata per chi pratica la virtù e per chi si abbandona al vizio. E non dimenticate che a quei sommi doveva pur giungere in qualche modo l’eco delle antiche tradizioni rivelate e dell’insegnamento mosaico. E se que’ grandi sapienti si smarrirono miseramente e non seppero costruire l’edificio della verità più comune e più necessaria a tutti, che sarebbe stato e che sarebbe del nostro povero popolo abbandonato alle sole forze della sua ragione? – Che più? Ponete mente ai dotti del nostro secolo, ai quali sarebbe ingiustizia negare ingegno e studio e che vivono in mezzo alla luce delle verità cristiane. Quanti tra di loro mettono in dubbio od anche francamente negano le verità prime, che si riferiscono a Dio, alla legge morale, alla vita futura! Il razionalismo antico e moderno ha fatto le sue prove per tanti secoli, le fa sotto i nostri occhi e per mezzo di uomini superiori ad ogni eccezione, che avevano tutti i mezzi desiderabili e non riuscirono ad edificar nulla, anzi riuscirono a demolire ciò che la fede aveva edificato. Il razionalismo ha ucciso se stesso ed aspettare dalla sola ragione la face, che ci rischiari la via del presente e dell’avvenire, è aspettare che le lucciole producano il giorno e che la luna riscaldi la terra e la copra di fiori e di messi. I Magi colla sola loro ragione non si sarebbero mossi dall’Oriente, non sarebbero giunti al conoscimento di Cristo. Essi lasciarono l’Oriente, mossero verso Cristo allorché in cielo brillò la misteriosa stella, simbolo della fede e della parola divina; la loro ragione, rischiarata da quella luce sovrumana, si scosse, la loro volontà sentissi attratta a Cristo ed essi fecero il primo passo verso di Lui. Ebbene, qui sottentrano ai razionalisti i fratelli nostri protestanti, e dicono: Noi l’abbiamo la stella, che ci guida infallibilmente a Cristo; essa è la parola di Dio registrata nei Libri Santi; essa risplende sempre in tutta la sua luce, non si eclissa mai; tutti la possono e debbono vedere; tutti possono e debbono camminare alla sua luce. La Bibbia, la sola Bibbia, essa basta a tutti, e come i Magi, seguendo la stella, pervennero al conoscimento della verità, così noi seguendo la Bibbia -. Vediamolo. – Perché la Bibbia sia la vostra stella sicura e bastevole per guidarvi a Cristo, voi, o fratelli protestanti, dovete conoscere con certezza assoluta, scevra d’ogni dubbio, che questo Libro, tutto, in ogni sua parte, è dato da Dio stesso. Il minimo dubbio su ciò fa crollare la base della fede. Ora chi vi dice ch’esso viene e tutto viene da Dio solo? Forse il Libro stesso? Allora dovreste credere che anche il Corano ed altri parecchi libri vengono da Dio, perché lo dicono essi. Bisogna dunque che ricorriate alla autorità di altri monumenti, di uomini, che vi assicurino, la Bibbia essere Libro dato da Dio stesso e in tal caso la Bibbia non basta e dovete ammettere un’altra autorità eguale alla Bibbia, fuori della Bibbia, che fa fede della Bibbia istessa e allora crolla dalla base la vostra dottrina: – La sola Bibbia ci basta -. Più: se la sola Bibbia basta, tutti devono leggerla e meditarla. Ma che sarà di quei tanti milioni che non sanno leggere? – Si rivolgano a quelli che la sanno leggere e intendere. – Ma allora mi appoggio ad uomini; e se questi errano, io cadrò con essi nell’errore. La sola Bibbia! Sia; ma essa è scritta parte in ebraico, parte in caldaico, parte in aramaico e parte in greco. – E se non conosco queste lingue, non potrò conoscere le verità racchiuse nella Bibbia. – Ci sono le traduzioni. – Ottimamente. – Ma se i traduttori si ingannarono o mi vollero ingannare? Erano essi infallibili e impeccabili? – No.- Dunque posso dubitare che nelle versioni per ignoranza o per malizia siasi alterata la verità e allora la mia fede vacilla. E poi: – Questo Libro conta diciannove, venticinque, fin quaranta secoli; le copie fatte sono senza numero e passarono per infinite mani; non sarebbero mai state per avventura, in qualsiasi modo, alterate sostanzialmente? Chi ne sta garante? E nel dubbio, che sarà della vostra fede che tutta e unicamente su quel Libro si appoggia? – Ma diasi che tutte queste difficoltà insuperabili siano da tutti superate. Voi, Fratelli protestanti, leggerete attentamente tutta la Bibbia. Non v’è libro al mondo più difficile di questo ad intendersi, sia per la lingua e per lo stile degli scrittori antichi e orientali, sia per le verità sovrumane che vi si contengono, sia per le contrarie interpretazioni date dagli eretici. Come distinguere in quel Libro le cose necessarie da credersi da quelle che non lo sono? Come sceverare quelle di obbligo da quelle di consiglio? Quelle abrogate da Cristo da quelle da Lui conservate e sancite? Nei dubbi come regolarsi? Allorché i dotti stessi non si accordano, a qual tribunale indirizzarsi per chiarire la cosa? Come mai ciascuno da sé solo, leggendo la Bibbia, dai suoi 34.000 versetti potrà rilevare con sicurezza ciò che deve credere, fare e fuggire per salvarsi? Voi comprendete, non la difficoltà, ma l’assoluta impossibilità, che ciascuno possa fare tutto questo immenso lavoro, e per conseguenza comprendete, come la sola Bibbia interpretata da ciascuno a suo modo possa essere la stella che conduce a Cristo e al conoscimento sicuro,  facile a tutti delle verità per Lui insegnate. – Resta dunque che i fratelli nostri protestanti convengano con noi Cattolici, che veneriamo con essi la Bibbia, la accettiamo come Libro divino, contenente la massima parte delle verità rivelate, ma non tutte; resta ch’essi con noi ricevano questo Libro dalle mani della Chiesa, che esisteva prima di esso, e che lo ricevette dagli Apostoli e da Cristo istesso; resta infine ch’essi con noi ne ricevano la spiegazione dalla Chiesa istessa, che ne è l’interprete naturale e infallibile costituito da Gesù Cristo. Non vi è società che non abbia il suo codice; ma l’interpretazione autentica del medesimo non è lasciata a ciascun cittadino; essa è riservata ai legittimi tribunali. Similmente noi Cattolici abbiamo nella Bibbia il codice datoci da Dio e nel tribunale supremo della Chiesa abbiamo il suo autorevole interprete. Qual cosa più semplice e naturale? Noi Cattolici seguiamo l’esempio de’ Magi; essi seguirono la stella fino a Gerusalemme; ma con essa sola non avrebbero trovato il Salvatore. Fu il Sacerdozio, che, interrogato da Erode, spiegò non solo il significato della stella, ma indicò il luogo, dove Gesù doveva nascere, e diede la interpretazione sicura del Vaticinio di Michea. L’insegnamento della Chiesa, ossia del Sacerdozio sotto la guida del suo Capo Supremo, il Romano Pontefice, è per noi tutti il mezzo spedito e sicuro per intendere la Bibbia e sapere tutto ciò che dobbiamo credere e fare; questo mezzo è alla portata di tutti, dissipa ogni dubbio pareggia tutti i credenti in faccia al Maestro, che tiene il luogo di Dio. Noi dunque, o fratelli carissimi, pur ringraziando Iddio del lume della ragione, che viene da Lui e pel quale siamo uomini fatti a sua immagine, terremo come dogma certissimo, ch’essa non basta a riconoscere le verità spettanti all’ordine naturale, quanto più quelle dell’ordine sovrannaturale! E perciò teniamo necessaria la rivelazione divina, ossia la fede, che risplende sopra di noi come la stella sopra i Magi. Inoltre, pur sempre ringraziando Iddio, che ci abbia dato i Libri santi qual luce che ci rischiara, terremo per fede che questi non sono bastevoli ai nostri bisogni; che li dobbiamo ricevere dalle mani della Chiesa e con essi ricevere dalla Chiesa istessa la loro interpretazione. È questa la via della verità

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps LXXI:10-11
Reges Tharsis, et ínsulæ múnera ófferent: reges Arabum et Saba dona addúcent: et adorábunt eum omnes reges terræ, omnes gentes sérvient ei.

[I re di Tharsis e le genti offriranno i doni: i re degli Arabi e di Saba gli porteranno regali: e l’adoreranno tutti i re della terra: e tutte le genti gli saranno soggette.]

Secreta

Ecclésiæ tuæ, quǽsumus, Dómine, dona propítius intuere: quibus non jam aurum, thus et myrrha profertur; sed quod eisdem munéribus declarátur, immolátur et súmitur, Jesus Christus, fílius tuus, Dóminus noster:

[Guarda benigno, o Signore, Te ne preghiamo, alle offerte della tua Chiesa, con le quali non si offre più oro, incenso e mirra, bensì, Colui stesso che, mediante le medesime, è rappresentato, offerto e ricevuto: Gesù Cristo tuo Figlio e nostro Signore]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de Nativitate Domini

Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Quia per incarnáti Verbi mystérium nova mentis nostræ óculis lux tuæ claritátis infúlsit: ut, dum visibíliter Deum cognóscimus, per hunc in invisibílium amorem rapiámur. Et ídeo cum Angelis et Archángelis, cum Thronis et Dominatiónibus cumque omni milítia cæléstis exércitus hymnum glóriæ tuæ cánimus, sine fine dicéntes.

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: Poiché mediante il mistero del Verbo incarnato rifulse alla nostra mente un nuovo raggio del tuo splendore, cosí che mentre visibilmente conosciamo Dio, per esso veniamo rapiti all’amore delle cose invisibili. E perciò con gli Angeli e gli Arcangeli, con i Troni e le Dominazioni, e con tutta la milizia dell’esercito celeste, cantiamo l’inno della tua gloria, dicendo senza fine:]

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster,

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Matt II:2
Vídimus stellam ejus in Oriénte, et vénimus cum munéribus adoráre Dóminum.

[Vedemmo la sua stella in Oriente, e venimmo con doni ad adorare il Signore.]

Postcommunio

Orémus.
Præsta, quǽsumus, omnípotens Deus: ut, quæ sollémni celebrámus officio, purificátæ mentis intellegéntia consequámur.

[Concedici, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente, che i misteri oggi solennemente celebrati, li comprendiamo con l’intelligenza di uno spirito purificato.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

FESTA DEL SS. NOME DI GESÙ (2023)

MESSA DELLA FESTA DEL SS. NOME DI GESÙ (2023).

Doppio di II cl. – Paramenti bianchi.

La Domenica tra la Circoncisione e l’Epifania, oppure il 2 di Gennaio se in tale tempo non cade la domenica.

Dopo averci manifestato l’Incarnazione del Figlio di Dio, la Chiesa ci rivela tutta la grandezza del suo nome. Durante il rito della Circoncisione i Giudei davano un nome ai bambini. Cosi la Chiesa usa lo stesso Vangelo del giorno della Circoncisione, insistendo sulla seconda parte, che dice: « il Bambino fu chiamato Gesù » (Vang.) « come Dio aveva ordinato che si chiamasse » (Or.) ». (L’Angelo Gabriele fu mandato da Dio a Maria e le disse: lo Spirito Santo scenderà sopra di te, « partorirai un figliuolo e gli porrai nome Gesù » (S. Luca, 1, 31). « Un Angelo del Signore gli apparve in sogno, dicendo: Giuseppe, ciò che in Maria tua sposa è stato concepito, è dallo Spirito Santo. Ella partorirà un figlio al quale vorrai nome Gesù; perché Egli libererà il suo popolo dai peccati » – S. Matteo. I, 20). Questo nome significa Salvatore poiché spettava a Gesù di salvarci; «nessun altro nome è stato dato dagli uomini con il quale noi dovessimo essere salvati » (Ep.). Le prime origini di questa festa risalgono al XVI secolo, e la si celebrava nell’ordine di S. Francesco. Nel 1721 la Chiesa, retta da Innocenzo XIII, estese al mondo intero questa solennità. Se vogliamo « rallegrarci di vedere i nostri nomi scritti con quello di Gesù nel cielo » (Postc.) abbiamolo spesso sulle nostre labbra quaggiù. Venti giorni d’indulgenza sono accordati a quelli che curvano il capo con rispetto pronunciando o ascoltando il nome di Gesù e di Maria, e Pio X ha concesso 300 giorni a quelli che li invocheranno piamente con le labbra o almeno con il cuore.

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Phil II:10-11
In nómine Jesu omne genu flectátur, cœléstium, terréstrium et infernórum: et omnis lingua confiteátur, quia Dóminus Jesus Christus in glória est Dei Patris [Nel Nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi, in cielo, sulla terra e nell’inferno, e ogni lingua confessi che il Signore Gesù Cristo regna nella gloria di Dio Padre.]
Ps 8:2.
Dómine, Dóminus noster, quam admirábile est nomen tuum in univérsa terra!

[Signore, Signore nostro, quant’è ammirabile il Nome tuo su tutta la terra!]


In nómine Jesu omne genu flectátur, cœléstium, terréstrium et infernórum: et omnis lingua confiteátur, quia Dóminus Jesus Christus in glória est Dei Patris

[Nel Nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi, in cielo, sulla terra e nell’inferno, e ogni lingua confessi che il Signore Gesù Cristo regna nella gloria di Dio Padre.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.
Deus, qui unigénitum Fílium tuum constituísti humáni géneris Salvatórem, ei Jesum vocári jussísti: concéde propítius; ut, cujus sanctum nomen venerámur in terris, ejus quoque aspéctu perfruámur in cœlis.

[O Dio, che l’Unigenito tuo Figlio hai costituito Salvatore del genere umano, e hai voluto chiamarlo Gesù, concedici propizio di volerci beare in cielo della vista di Colui di cui sulla terra veneriamo il santo Nome.]

Lectio

Léctio Actuum Apostolorum
Act IV: 8-12
In diébus illis: Petrus, replétus Spíritu Sancto, dixit: Príncipes pópuli et senióres, audíte: Si nos hódie dijudicámur in benefácto hóminis infírmi, in quo iste salvus factus est, notum sit ómnibus vobis et omni plebi Israël: quia in nómine Dómini nostri Jesu Christi Nazaréni, quem vos crucifixístis, quem Deus suscitávit a mórtuis, in hoc iste astat coram vobis sanus. Hic est lapis, qui reprobátus est a vobis ædificántibus: qui factus est in caput ánguli: et non est in alio áliquo salus. Nec enim aliud nomen est sub cœlo datum homínibus, in quo opórteat nos salvos fíeri.

[In quei giorni: Pietro, pieno di Spirito Santo, disse loro: Capi del popolo e anziani, ascoltate: Giacché oggi siamo interrogati sul bene fatto ad un uomo ammalato, per sapere in qual modo sia stato risanato, sia noto a tutti voi e a tutto il popolo di Israele, che in virtù del Nome del Signore nostro Gesù Cristo Nazareno, che voi crocifiggeste e Iddio risuscitò dai morti, costui sta ora qui sano alla vostra presenza. Questa è la pietra rigettata da voi, costruttori, la quale è divenuta testata d’angolo. Né c’è salvezza in alcun altro. Poiché non vi è sotto il cielo altro nome dato agli uomini in virtù del quale possiamo salvarci.]

Graduale

Ps CV: 47

Salvos fac nos, Dómine, Deus noster, et cóngrega nos de natiónibus: ut confiteámur nómini sancto tuo, et gloriémur in glória tua.

[Sàlvaci, o Signore, Dio nostro, e raccoglici di mezzo alle nazioni: affinché celebriamo il tuo santo Nome e ci gloriamo della tua gloria. ].

Isa LXIII:16

Tu, Dómine, Pater noster et Redémptor noster: a sǽculo nomen tuum. Allelúja, allelúja

[Tu, o Signore, Padre nostro e Redentore nostro: dall’eternità è il tuo Nome. Allelúia, allelúia].

Ps CXLIV: 21

Laudem Dómini loquétur os meum, et benedícat omnis caro nomen sanctum ejus. Allelúja.

[La mia bocca annuncerà la lode del Signore: e ogni vivente benedirà il suo santo Nome. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Lucam
Luc II:21
In illo témpore: Postquam consummáti sunt dies octo, ut circumciderétur Puer: vocátum est nomen ejus Jesus, quod vocátum est ab Angelo, priúsquam in útero conciperétur.

[In quel tempo: Passati gli otto giorni, il bambino doveva essere circonciso, e gli fu posto il nome Gesù: come era stato indicato dall’Angelo prima di essere concepito.]

Omelia

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956)

« Gesù », Cioè il « Salvatore »

Nessuno poteva dare un vero nome al figlio di Dio fatto uomo, se non l’eterno Padre, perché Egli lo conosceva. E l’eterno Padre gli diede un nome che è sopra ogni altro nome, e per mezzo d’un Arcangelo lo comunicò alla Vergine Madre: « Il Figlio che nascerà da te, lo chiamerai Gesù » . Jesus! Perciò, dopo otto giorni dalla sua mnascita, fu circonciso secondo la legge di Mosè e gli fu imposto il nome di Gesù. Jesus! Gli altri uomini assai spesso hanno nomi a cui la realtà non corrisponde: 98 tutti quelli che si chiamano Fortunato sono poi nella vita fortunati; né tutti quelli che si chiamano Carlo sono poi valorosi come Carlo Magno, o santi come il Borromeo. Non così il Figlio di Dio: quel suo nome disceso dal cielo non è parola vuota, ma significò il valore della sua vita terrena fin dal primo istante. Fin dal primo istante della incarnazione, egli poté dire al Signore: « Padre, i sacrifici delle bestie e degli uomini non ti furono graditi, ma la tua giustizia volle il sacrificio del tuo Figliuolo per salvare il mondo. Eccomi, son qui, io sono il Salvatore del mondo ». Orbene la parola Salvatore tradotta in ebraico suona: Gesù. Jesus! L’umanità era caduta nell’abisso: una distanza incolmabile disgiungeva Dio dall’uomo peccatore. Ed ecco un ponte divino fu lanciato tra noi e il Signore sdegnato: questo ponte è Gesù. Per lui solo fu rifatta la strada che permette di ascendere dalla disperazione mondana alla salvezza eterna. Gesù stesso parlando ai suoi discepoli svelò a loro il significato del proprio nome: « Io sono colui ch’è venuto a salvare ciò ch’era perito » (Mt., XVIII, 11). Venit salvare quod perierat. – Per meglio comprendere il mistero racchiuso in questo nome, facciamoci due domande: – che cosa era perito?; – come fu salvato? – 1. QUOD PERIERAT. Noi non possiamo rifarci all’origine delle nostre disgrazie senza che sulle labbra ci torni un nome. Adamo. Quando Iddio creò Adamo, il primo uomo, non solo volle farlo uomo perfetto, ma volle adottarlo per suo figlio. Pensate quale sublime dignità entrare a far parte della famiglia delle Tre infinite Persone, partecipare a quella divina società, essere destinati a godere del loro gaudio stesso! Ma per poter essere a dottati è necessario appartenere alla medesima specie dell’adottante: l’uomo non può adottare se non uomini, e Dio non poteva adottare se non esseri divini. Ora l’uomo non era della natura di Dio: anzi la natura umana è lontana da Dio molto più di quanto una bestia disti da noi. E allora? … allora ecco Dio infondere una forza interiore e inerente all’anima nostra, la quale, pur lasciandoci uomini, ci fa degli esseri divini, partecipi della vita di Dio, e per ciò da Lui adottabili in figli: la grazia. O Signore! come furono inesauribili le tue ricchezze e come impensabili le tue vie d’amore! – La grazia! essa fa dell’uomo un figlio di Dio. Notate: Se voi adottate un trovatello, voi lo dichiarate figlio, non lo fate figlio vostro perché non potrete far scorrere in lui il vostro sangue e la vostra vita. La grazia invece immette nell’anima nostra una partecipazione della stessa vita di Dio, per cui gli diventiamo veri figli, benché non per natura, ma per adozione. Videte, qualem charitatem dedit nobis Deus ut filii Dei nominemur et simus (I Joan., III, 1). La grazia! non solo fa l’uomo figlio di Dio, ma gliene dà pure tutti i diritti. Come i figli hanno il diritto di ereditare i beni del padre, così l’uomo in grazia ha diritto di ereditare il regno del Padre celeste, il Paradiso, ove si gode il godimento di Dio. La grazia! non solo fa l’uomo figlio di Dio, ma gliene dà pure tutti i diritti così che Dio stesso n’è rapito. Quando il patriarca, presago della morte vicina, abbracciò Giacobbe per benedirlo, sentì che dai vestimenti del suo figliuolo, tra piega e piega, si svolgeva un profumo deliziosissimo. In un rapimento di gioia esclamò: « Sento l’olezzo di un campo di fiori: io t’amo, figlio mio. Su te la rugiada del cielo! E te la fecondità della terra! Per te il frumento e il vino! Maledetto chi ti maledirà e benedetto chi ti benedirà » . Questa scena ti può rappresentare la delizia di Dio quando abbraccia un’anima in grazia. Davanti a queste verità, noi possiamo comprendere la vertiginosa dignità a cui l’uomo fu elevato, ma possiamo anche misurare l’abisso in cui è poi decaduto. Ah, il peccato d’Adamo quale tesoro ci ha fatto perdere! – Non più figliuoli di Dio, ma uomini soltanto, e per giunta maledetti. Non più vita divina in noi, ma soltanto vita umana, e per giunta amareggiata da passioni prepotenti e da croci pesanti. Non più grazia, luce, profumo, soprannaturale bellezza nell’anima, ma invece la macchia del peccato originale che, con la natura umana, da Adamo si trasmetteva di generazione in generazione. Non più diritti alla divina eredità del Paradiso. Ecco quello che avevamo perduto: Quod perierat. L’uomo sentiva ancora una angosciosa brama verso il destino soprannaturale da cui si era escluso: ma gli mancavano assolutamente i mezzi per ritornarvi: sospirava alla vetta del monte baciata dal sole e carezzata dall’azzurro, ma egli era nel profondo d’un baratro, affondato nel fango, avvolto dalle nebbie. Questo era il dramma dell’umanità. E venne il Salvatore. – 2. VENIT SALVARE. Il peccato è un’ingiuria fatta a Dio: e la giustizia divina esigeva che fosse espiata. Ma l’uomo, semplice creatura, è incapace di soddisfare a un debito contratto col Signore per una colpa la cui malizia è infinita. Infatti la gravità d’un’ingiuria si misura dalla dignità della persona offesa, e qui l’offeso era Dio: Dio solo dunque poteva dare una giusta riparazione. D’altra parte, per riparare occorre soffrire umiliazione e sacrificio: e Dio necessariamente beato non poteva soffrire per noi. E allora? La soluzione dell’arduo problema venne attuata dal nostro Salvatore. Il quale si fece uomo come noi per poter soffrire, e rimase Dio per dare alla sua sofferenza un valore infinito che bastasse alla riparazione dell’offesa divina. Dunque sia a gloria a Gesù, il Salvatore! 1) Egli è il figlio di Dio che s’è fatto uomo, perché l’uomo tornasse ad essere figlio di Dio, che prese la nostra natura perché noi fossimo partecipi della sua natura divina; che visse la nostra vita umana perché noi vivessimo la sua vita divina. Gloria a Gesù, il 9Salvatore! 2) Egli è l’innocente che s’è messo al posto del malfattore. Toccava a Barabba, l’assassino, morire in croce, ma Gesù, il Figlio di Dio, s’è messo al suo posto tra due ladroni. Toccava all’uomo espiare il peccato, ma Gesù prese sopra le sue spalle e peccato e pena. Gloria a Gesù, il Salvatore! 3) Egli è l’eterno beato che si è fatto l’uomo dei dolori. Vedetelo nascere nel gelo della notte invernale, in una stalla; vedetelo dopo otto giorni che già versa sangue nella circoncisione; vedetelo in tutta la sua vita d’umiltà e di dolore, ma specialmente vedetelo nella sua morte. In tutta la sua carne appesa al patibolo non v’è una fibra intatta, ed un soldato con la lancia gli apre il fianco. – Da quel fianco squarciato ascese al cielo la soddisfazione per noi; attraverso a quel fianco squarciato poté discendere all’umanità il perdono e la salvezza. Sia gloria a Gesù, il Salvatore! Per lui noi siamo liberi di raggiungere il fine soprannaturale a cui fummo elevati; per lui noi abbiamo riavuto la grazia che ci fa figli di Dio, che ci dà diritto al Paradiso, che ci rende templi della Divinità. Dio è tornato ad abitare nell’uomo. Si racconta che quando Temistocle, eroe di Atene, si rifugiò presso il re dei Persiani, fu tale la gioia di questo sovrano che l’andava dicendo a tutti. E nella notte balzava in sonno a gridare: « Ho meco Temistocle Ateniese ». Pensate, Cristiani, che dopo la salvezza portataci da Gesù, noi abbiamo nel nostro cuore non un mortale, ma Dio stesso immortale. Eppure ce ne dimentichiamo! E ci sono di quelli che scacciano l’Ospite divino con nuovi peccati per ritornare nella schiavitù del demonio! – Quando S. Bernardino ebbe la grazia di comprendere il mistero racchiuso nel nome di Gesù, lo prese tanta ardenza d’amore che parve pazzo. « Gesù! Gesù!» andava dicendo migliaia di volte al giorno. E per le piazze di Firenze, di Ferrara, di Padova spessissimo predicò il nome di Gesù. Ed istillò da per tutto la devozione, sì che gli italiani ponevano questo Nome celeste sulle loro case, sulle loro porte, sul loro cuore. Sul nostro cuore mettiamolo anche noi, per tutti i giorni della vita, e ci sia fatta grazia di ripeterlo come ultima parola, morendo: « Gesù ». E il Salvatore ci salverà dall’inferno. — IL NOME DI GESÙ E LA VITA SOPRANNATURALE. Capita non di rado che dalla bocca d’un bambino escano parole profonde e vere che stupiscono i grandi e i sapienti. Or questo avvenne in una scuola elementare d’Italia. Aveva insegnato il maestro a distinguere i tre regni della natura: minerale, vegetale e animale. Toccava con la mano la pietra nera della lavagna e chiedeva alla scolaresca: « A che regno? ». E tutti prontamente: « Al regno minerale ». Additava il pioppo che si alzava dal cortile sottostante fino a guardar con la vetta dentro la finestra dell’aula, e tutti. « Al regno vegetale ». Poi colla punta dell’indice posata sull’allievo del primo banco, ripeté l’interrogazione. E la risposta fu ancora pronta e piena: « Al regno animale ». Ma l’allievo del primo banco, alzatosi in piedi rosso rosso, scoppiò a piangere. E diceva tra i singhiozzi: « Non voglio; Non voglio! ». Tutti risero. Anche il maestro: ma poi riprese, e cercò di convincerlo, spiegandogli che non c’era timore di venir confuso coi conigli e coi gatti perché possedeva la ragione che da sola bastava a collocarlo molto più in alto. Ma l’altro non si consolava, e persisteva, benché con più rari singhiozzi, nella medesima protesta: « Non voglio ». « Allora, dillo tu a che regno vorresti appartenere » . E l’allievo d’impeto rispose: « Al regno di Dio ». Fosse ispirazione di Dio che si compiace di parlare per la bocca di candidi fanciulli, o fosse il germe deposto in quel cuore dal santo Battesimo che, non soffocato dalle colpe, in quel momento prendeva coscienza di sé, certo l’allievo del primo banco disse una grande realtà: la più grande, la più consolante realtà del mondo. In ogni uomo battezzato che è senza peccato mortale c’è una vita divina per cui trascende tutti i regni della natura e partecipa del regno e della famiglia di Dio. Chi ci ha dato questa realtà? Gesù. Sia benedetto in eterno questo Nome. « Avrai un figliuolo, — diceva l’Arcangelo alla Vergine Maria, — e lo chiamerai Gesù… » perché Gesù in ebraico vuol dire Salvatore. Egli appunto ci salvò dalla morte dandoci la Vita. Che vita? Quella soprannaturale, quella divina, che ci fa appartenere al regno di Dio. Chi non capisce questa vita, non capisce il Nome di Gesù: per lui è un bisillabo senza senso. Chi non ama questa vita, non ama il Nome di Gesù: per lui è un nome d’un illustre forestiero. Cerchiamo con opportuni pensieri di capire e di amare la vita soprannaturale. – 1. CAPIRE IL NOME DI GESÙ: CIOÈ LA VITA SOPRANNATURALE. Nel Nome di Gesù i due Apostoli Pietro e Giovanni, avevano guarito lo storpiato che elemosinava sulla porta del tempio. Per questo fatto, furono messi in prigione. Davanti al Sinedrio che voleva condannarli, Pietro, infiammato dallo Spirito Santo, esclamò: « Faccio noto a tutti voi, e a tutto il popolo, che nel Nome del Signore nostro Gesù Cristo, quello che voi uccideste e che poi risuscitò, lo storpio è qui davanti a voi, diritto e sano. E sappiate pure che sotto la volta del cielo non c’è nessun altro nome in cui gli uomini possano sperare la salvezza » (Atti, IV, 1-12). Infatti Gesù stesso aveva detto: « Io sono la Vita ». Se solo Gesù è la salvezza e la vita, senza di Lui o fuori di Lui c’è la morte e la perdizione. E in altra occasione aveva pur detto: « Io sono venuto a portare la Vita e a portarne tanta ». (Giov., X, 19). Che vita? Forse quella per cui respiriamo, mangiamo, lavoriamo, e poi moriamo? Questa è la vita naturale, ed essa pure viene in origine da Dio, ed a ciascuno di noi è comunicata per tramite dei suoi genitori. Ma non era necessario, perché vivessimo di questa vita, che il Figlio dell’Onnipotente si facesse creatura come noi, prendendo umana carne nel seno di una Vergine. Che vita allora? una nuova e diversa vita, incomparabilmente più intensa, infinitamente più preziosa, e che perciò chiamiamo vita soprannaturale: essa è la stessa vita divina che nella sua pienezza è contenuta in Gesù, e che Gesù fa defluire in quelli che si uniscono a Lui. C’è dunque nell’uomo redento una duplice vita: naturale e soprannaturale. Come l’uomo redento ha una doppia vita, così ha una duplice nascita. Per la prima nasce dai suoi genitori figlio d’Adamo; per la seconda nasce figlio di Dio da Gesù Cristo. Una notte Gesù aveva concesso un colloquio ad una persona istruita ed influente, a Nicodemo; e gli diceva: « Se non rinasci, non ti salvi » . Si meraviglia il saggio Nicodemo e risponde: « Come faccio a ritornare nel grembo di mia madre, se ho già tanti anni sulle spalle?! ». « Hai tanti anni sulle spalle, ma di vita naturale; c’è però un’altra vita, la mia vita divina, e in questa non sei ancor 0nato. Per nascervi, bisogna farsi battezzare. Nelle acque del Battesimo, per virtù dello Spirito Santo, la mia vita divina viene in te, tu vivi con la mia vita, tu pure diventi figlio di Dio… ». (Giov., III, 3-6). Il Battesimo è un atto di morte e di vita. Di morte, al ceppo d’Adamo, il padre decaduto, dal quale siamo rampollati; di vita nel Corpo di Cristo, viventi in Lui, come il tralcio vive della linfa che sale nel tronco della vite, come la mano vive della vita che viene dalla testa e dal cuore. Due vite, due nascite, due diverse dignità. Ma che cosa sono i valori e le dignità umane anche le più alte in confronto a quelle della vita soprannaturale? San Paolo ha detto che sono « una spazzatura ». S. Tommaso ha detto che la più piccola particella di questa vita soprannaturale vale di più dell’universo intero. Perciò meglio è perdere tutto, anche la vita naturale, ma non la Grazia. – 2. AMARE IL NOME DI GESÙ: CIOÈ LA VITA SOPRANNATURALE. S. Paolo ritornava in Gerusalemme da un lungo viaggio. Essendosi fermato in Cesarea a riposare in casa d’un amico, venne quivi un profeta di nome Agabo a fargli una dolorosa profezia. Agabo infatti si fece dare da Paolo la cintura, e mentre tutti guardavano stupefatti, si legò le mani e i piedi; poi disse all’Apostolo: « L’uomo a cui appartiene questa cintura così sarà legato dai Giudei di Gerusalemme e consegnato ai Gentili ». Si può immaginare la costernazione che la strana profezia sparse in quella casa, tra i compagni e gli amici di Paolo. Parecchi non poterono tenere le lagrime, e lo scongiurarono a non andare a Gerusalemme. Ma Paolo disse: « Perché piangete, perché mi straziate il cuore così? Io per me sono pronto non solo a essere legato, ma anche a morire in Gerusalemme per il Nome del Signore Gesù ». Propter nomen Domini Jesu. E pronunciò il Nome di Gesù con una tale forza d’amore, che tutti compresero che non c’era più speranza di rimuoverlo dal suo proposito, e mormorarono: « Sia fatto quello che Dio vuole ». (Atti, XXI, 8-14). Questa di Paolo è la vera devozione al Nome santo di Gesù. « Dio — scriveva ai Filippesi (II, 9-10) — ha dato al nostro Salvatore un nome che è sopra ogni altro nome ». E perciò egli ha voluto amarlo sopra ogni altra cosa: a costo d’ogni tribolazione, d’ogni angustia, a costo d’andare in giro per il mondo affannato, nudo, perseguitato, cercato a morte (Rom. VIII, 35-36; II Cor., XI, 23-33). Di fronte alla devozione di Paolo, ognuno consideri quale e quanta sia la propria devozione a questo Nome divino. . Il Nome di Gesù stia come un sigillo sul nostro cuore, sulle nostre labbra, sulle nostre mani. Sul nostro cuore: a conservare la vita soprannaturale della Grazia, da ogni assalto del mondo, delle passioni, del demonio. Sulle nostre labbra: ad avvalorare le nostre preghiere, a impedire qualsiasi parola contro la carità o la purità. Sulle nostre mani: perché possiamo eseguire i nostri doveri con cristiana onestà e dignità. Dobbiamo imitare San Vincenzo de’ Paoli, chiedendoci spesso: « Che cosa farebbe Gesù se fosse al mio posto? ». – I sette figliuoli di certo Sceva, sacerdote ebreo, avendo visto che Paolo operava miracoli invocando il Nome di Gesù, credettero anch’essi con quel Nome di guarire ammalati ed ossessi e guadagnare mucchi di denaro. Il primo caso che loro capitò era di un povero indemoniato. Cominciarono lo scongiuro: « In nome di quel Gesù che Paolo predica, esci da questo corpo ». Ma lo spirito malvagio rispose: « Conosco Gesù, e conosco Paolo, ma voi chi siete? » . E improvvisamente l’ossesso saltò addosso a quei sette disgraziati, stracciò i loro panni, li picchiò a sangue. A stento riuscirono a scamparla fuggendo. (Atti, XIX, 13-17). Cristiani, non c’è altro Nome di salvezza che quello di Gesù. Non basta però non bestemmiarlo, per salvarsi. – E neanche basta ripeterlo con le labbra, per salvarsi; come non è bastato ai sette figli di Sceva. Che gioverà dire « Gesù, Gesù! » se poi si sta placidamente in peccato mortale? Se non si vive in Grazia, se non si distacca il cuore dalle abitudini peccaminose, non gioveranno neanche i nove primi venerdì del mese. « Conosco Gesù; — dirà il demonio; — conosco San Paolo e tutti i Santi e i buoni Cristiani che si sono salvati invocando con la sincerità della vita questo Nome divino. Ma tu sei mio: sulla tua anima c’è il mio nome e il segno del mio possesso ». E travolgerà l’illuso nella perdizione eterna.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps LXXXV: 1; 5
Confitébor tibi, Dómine, Deus meus, in toto corde meo, et glorificábo nomen tuum in ætérnum: quóniam tu, Dómine, suávis et mitis es: et multæ misericórdiæ ómnibus invocántibus te, allelúja.

[Confesserò Te, o Signore, Dio mio, con tutto il mio cuore, e glorificherò il tuo Nome in eterno: poiché Tu, o Signore, sei soave e mite: e misericordiosissimo verso quanti Ti invocano, allelúia.]

Secreta

Benedíctio tua, clementíssime Deus, qua omnis viget creatúra, sanctíficet, quǽsumus, hoc sacrifícium nostrum, quod ad glóriam nóminis Fílii tui, Dómini nostri Jesu Christi, offérimus tibi: ut majestáti tuæ placére possit ad laudem, et nobis profícere ad salútem.

[O clementissimo Iddio, la tua benedizione, che dà vita d’ogni creatura, santífichi, Te ne preghiamo, questo nostro sacrificio, che Ti offriamo a gloria del Nome del Figlio tuo e Signore nostro Gesù Cristo: affinché torni gradito e di lode alla tua maestà e profittevole alla nostra salvezza.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de Nativitate Domini

Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Quia per incarnáti Verbi mystérium nova mentis nostræ óculis lux tuæ claritátis infúlsit: ut, dum visibíliter Deum cognóscimus, per hunc in invisibílium amorem rapiámur. Et ídeo cum Angelis et Archángelis, cum Thronis et Dominatiónibus cumque omni milítia cæléstis exércitus hymnum glóriæ tuæ cánimus, sine fine dicéntes.

veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: Poiché mediante il mistero del Verbo incarnato rifulse alla nostra mente un nuovo raggio del tuo splendore, cosí che mentre visibilmente conosciamo Dio, per esso veniamo rapiti all’amore delle cose invisibili. E perciò con gli Angeli e gli Arcangeli, con i Troni e le Dominazioni, e con tutta la milizia dell’esercito celeste, cantiamo l’inno della tua gloria, dicendo senza fine:]

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster,

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps LXXXV:  9-10
Omnes gentes, quascúmque fecísti, vénient et adorábunt coram te, Dómine, et glorificábunt nomen tuum: quóniam magnus es tu et fáciens mirabília: tu es Deus solus, allelúja.

[Tutte le genti che Tu hai fatto, o Signore, vengono e Ti adorano e glorificano il tuo Nome: poiché grande Tu sei e fai meraviglie: Tu solo sei Dio, allelúia.]

Postcommunio

Orémus.
Omnípotens ætérne Deus, qui creásti et redemísti nos, réspice propítius vota nostra: et sacrifícium salutáris hóstiæ, quod in honórem nóminis Fílii tui, Dómini nostri Jesu Christi, majestáti tuæ obtúlimus, plácido et benígno vultu suscípere dignéris; ut grátia tua nobis infúsa, sub glorióso nómine Jesu, ætérnæ prædestinatiónis titulo gaudeámus nómina nostra scripta esse in cœlis.

[Onnipotente eterno Iddio, che ci hai creati e redenti, guarda propizio i nostri voti: e degnati di ricevere benignamente il sacrificio della Vittima salutare che offriamo alla tua maestà in onore del Nome del tuo Figlio, Gesù Cristo, nostro Signore; affinché, per la tua grazia, in virtù del glorioso Nome di Gesù, godiamo di vedere i nostri nomi scritti in cielo in eterno.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

MESSA DI CAPODANNO 2023

MESSA DI CAPODANNO (2023)

CIRCONCISIONE DI N. SIGNORE E OTTAVA DELLA NATIVITÀ.

Stazione a S. Maria in Trastevere

Doppio di II classe. – Paramenti bianchi.

La liturgia celebra oggi tre feste: La prima è quella che gli antichi sacramentari chiamano « nell’Ottava del Signore ». Gesù è nato da otto giorni. Così la Messa ha numerosi riferimenti a quelle di Natale. La seconda festa ci ricorda che, dopo Dio, noi dobbiamo Gesù a Maria. Cosi un tempo si celebrava in questo giorno una seconda Messa in onore della Madre di Dio nella Basilica di Santa Maria Maggiore. Ne è rimasta una traccia nella Orazione, nella Secreta e nel Postcommunio, che sono prese dalla Messa votiva della SS. Vergine, e nei Salmi dei Vespri, tolti dal suo Officio. – La terza festa, infine, è quella della Circoncisione, che si celebra dal VI secolo. Mosè imponeva questo rito purificatore a tutti i bambini Israeliti, l’ottavo giorno dalla loro nascita (Vang.). È una figura del Battesimo per il quale l’uomo è circonciso spiritualmente. « Tu vedi, dice S. Ambrogio, che tutta la legge antica è stata la figura di quello che doveva venire; infatti anche la circoncisione significa espiazione dei peccati. Colui che è spiritualmente circonciso con la correzione dei suoi vizi, è giudicato degno dello sguardo del Signore » (1° Notturno). Così, parlando del primo sangue divino che il Salvatore versò per lavare le nostre anime, la Chiesa insiste sul pensiero della correzione di quello che di cattivo è in noi. « Gesù Cristo ha dato se stesso per riscattarci da ogni iniquità e purificarci » (Ep.). « Degnati, Signore, con questi celesti misteri, di purificarci » (Secr.). « Fa, o Signore, che questa Comunione ci purifichi dei nostri peccati » (Postcom.).

Incipit

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Isa. IX: 6
Puer natus est nobis, et fílius datus est nobis: cujus impérium super húmerum ejus: et vocábitur nomen ejus magni consílii Angelus.

 [Ci è nato un bambino, ci è stato dato un figlio, il cui impero poggia sugli ómeri suoi: e il suo nome sarà: Angelo del buon consiglio.

Ps XCVII:1
Cantáte Dómino cánticum novum: quia mirabília fecit.

[Cantate al Signore un cantico nuovo: perché ha fatto cose mirabili.]

Puer natus est nobis, et fílius datus est nobis: cujus impérium super húmerum ejus: et vocábitur nomen ejus magni consílii Angelus.

[Ci è nato un bambino, ci è stato dato un figlio, il cui impero poggia sugli ómeri suoi: e il suo nome sarà: Angelo del buon consiglio.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.
Deus, qui salútis ætérnæ, beátæ Maríæ virginitáte fecúnda, humáno géneri praemia præstitísti: tríbue, quǽsumus; ut ipsam pro nobis intercédere sentiámus, per quam merúimus auctórem vitæ suscípere, Dóminum nostrum Jesum Christum, Fílium tuum: 

[O Dio, che mediante la feconda verginità della beata Maria, hai conferito al genere umano il beneficio dell’eterna salvezza: concédici, Te ne preghiamo: di sperimentare in nostro favore l’intercessione di Colei per mezzo della quale ci fu dato di ricevere l’autore della vita: il Signore nostro Gesú Cristo, tuo Figlio]

Lectio

Léctio Epístolæ beati Pauli Apóstoli ad Titum.
Tit 2: 11-15
Caríssime: Appáruit grátia Dei Salvatóris nostri ómnibus homínibus, erúdiens nos, ut, abnegántes impietátem et sæculária desidéria, sóbrie et juste et pie vivámus in hoc saeculo, exspectántes beátam spem et advéntum glóriæ magni Dei et Salvatóris nostri Jesu Christi: qui dedit semetípsum pro nobis: ut nos redímeret ab omni iniquitáte, et mundáret sibi pópulum acceptábilem, sectatórem bonórum óperum. Hæc lóquere et exhortáre: in Christo Jesu, Dómino nostro.

[“Carissimo: La grazia di Dio nostro Salvatore si è manifestata per tutti gli uomini, insegnandoci che, rinunciata l’empietà e i desideri mondani, viviamo con temperanza; con giustizia e con pietà in questo mondo, in attesa della beata speranza e della manifestazione gloriosa del grande Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo; il quale ha dato se stesso per noi, per redimerci da ogni iniquità, e formarsi un popolo puro che gli fosse accetto, zelante delle buone opere. Così insegna ed esorta in Cristo Signor nostro”] (Tit. II, 11-15). –

IL PROGRAMMA DELLA NOSTRA VITA

[A, Castellazzi: Alla Scuole degli Apostoli. Ed. Artigian. Pavia, 1929]

Quando S. Paolo si recò nell’isola di Creta col suo discepolo e collaboratore Tito, vi trovò parecchi gruppi di Cristiani, che non erano organizzati in una gerarchia regolare. Non potendo l’Apostolo trattenersi a lungo nell’isola, vi lasciò Tito a organizzare quella Chiesa. Più tardi gli scrive una lettera. In essa gli dà norme da seguire nell’adempimento del suo ufficio pastorale rispetto agli uffici ecclesiastici, ai doveri delle varie classi di persone e ai doveri generali dei Cristiani. Nel brano riportato, avendo prima stabiliti i doveri secondo i differenti stati, reca la ragione per la quale i Cristiani sono tenuti a questi doveri. Sono tenuti perché Dio, che nella sua bontà è sceso dal cielo per tutti, ha insegnato a tutti a rinunciare all’empietà e ai desideri del secolo per vivere nella moderazione, nella giustizia, nell’amor di Dio. Così vivendo saranno consolati dalla presenza della venuta del Redentore, il quale ha dato in sacrificio se stesso per riscattarci dal peccato, e così formare di noi un popolo veramente eletto, tutto dato alle buone opere. Sul cominciare dell’anno la Chiesa ripete a noi questo insegnamento, per esortarci a vivere secondo: Pietà, Temperanza, Giustizia.

 « Chiunque, vuol pervenire al regno celeste, viva con temperanza verso se stesso, con giustizia verso il prossimo, con pietà perseverante verso Dio » (S. Fulgenzio, De remiss. Pacc. L. 1 c. 23). Cominciamo subito da quest’oggi a mettere in pratica questo programma affinché, se il Signore volesse chiamarci al rendiconto nel corso di quest’anno, in qualunque momento ci chiami abbia a trovarci pronti.Mons. Francesco Iannsens, Vescovo di Nuova Orleans,venerato dai suoi figli come un santo, viaggiando sopra un piroscafo alla volta d’Europa, è colpito improvvisamente dalla morte. Non gli rimane che il tempo di inginocchiarsi in cabina e dire: «Mio Dio, vi ringrazio che son pronto» (La Madre Francesca Zaverio Cabrini; Torino 1928, p. 144-45). Che d’ora innanzi la nostra vita sia tale, da poter anche noi dare questa risposta alla divina chiamata, in qualunque momento e in qualunque circostanza si faccia sentire!

Graduale

Ps XCVII:3; 2
Vidérunt omnes fines terræ salutare Dei nostri: jubiláte Deo, omnis terra.
V. Notum fecit Dominus salutare suum: ante conspéctum géntium revelávit justitiam suam. Allelúja, allelúja.

[Tutti i confini della terra videro la salvezza del nostro Dio: acclami a Dio tutta la terra.
V Il Signore ci fece conoscere la sua salvezza: agli occhi delle genti rivelò la sua giustizi. Alleluia, alleluia.]
Heb I:1-2


Multifárie olim Deus loquens pátribus in Prophétis, novíssime diébus istis locútus est nobis in Fílio. Allelúja.

[Un tempo Iddio parlò in molti modi ai nostri padri per mezzo dei profeti, ultimamente in questi giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio. Allelúia.]

Evangelium

Luc II:21
In illo témpore: Postquam consummáti sunt dies octo, ut circumciderétur Puer: vocátum est nomen ejus Jesus, quod vocátum est ab Angelo, priúsquam in útero conciperétur.
[In quel tempo: Passati gli otto giorni, il bambino doveva essere circonciso, e gli fu posto il nome Gesú: come era stato indicato dall’Angelo prima di essere concepito.]

OMELIA

[Mons. J. Billot; Discorsi Parrocchiali – Cioffi ed. Napoli, 1840]

DISCORSO PEL PRIMO GIORNO DELL’ANNO

Sopra il buon impiego del tempo

Renovamini spiritu mentis vestræ et induite novum hominem, qui secundum Deum creatus est in iustitia et sanctitate veritatis.

Eph. IV.

Per ben cominciare quest’ anno, fratelli miei, e procurarvelo felice, voi non potete far meglio che seguire l’avviso che vi dà l’Apostolo s. Paolo. Rinnovatevi dunque nello spirito del Cristianesimo, imitando Gesù Cristo vostro modello, cui dovete essere conformi per trovarvi nel numero dei predestinati. Si tratta di spogliarvi dell’uomo vecchio, per servirmi delle parole dello stesso Apostolo, cioè rinunziare a tutte le vostre inclinazioni perverse, e fare a Dio in questo nuovo anno il sacrificio di tutte le vostre passioni. Bisogna che coll’anno che avete finito finisca altresì il regno del peccato: che con lui finiscano l’empietà, l’irreligione, le bestemmie, le imprecazioni, gli odi, le vendette, le ingiustizie, le impurità, le intemperanze, gli scandali, in una parola tutti i delitti che si sono commessi: possano essi rimanere sepolti in un eterno obblio! e che in loro vece rinascere si vedano in questo nuovo anno la pietà, la religione, la temperanza, la modestia, la carità, l’unione dei cuori. Tale è, fratelli miei, il compendio della morale rinchiusa nelle parole del grande Apostolo; Renovamini etc. – Se l’anno che voi cominciate si passa nella pratica delle virtù cristiane; se è un anno santo, egli sarà per voi fortunato. Invano accompagnato verrebbe dalla felicità più perfetta secondo il mondo, invano vi presenterebbe tutto ciò che può appieno appagare le vostre brame nei piaceri e negli onori passeggieri; se non è un anno cristiano, sarà egli per voi disgraziato. Se all’opposto voi santamente il passate, fosse ben egli altronde attraversate da qualunque sinistro accidente, egli sarà sempre favorevole, perché vi condurrà alla felicità eterna. Profittatene dunque nel disegno che Dio ve lo dà, cioè per operare la vostra salute; destinatene tutti i momenti a questo beato fine. Per indurvi a questo, voglio proporvi alcune riflessioni sopra il buon impiego del tempo: Quali sono i motivi che debbono indurvi a ben impiegare il tempo? primo punto: come dovete voi impiegarlo? secondo punto. –

I Punto: Quando più prezioso e necessario si è un bene che ci viene offerto, tanto più dobbiamo noi stimarlo. Più è limitato l’uso che ci vien dato, più dobbiamo affrettarci di metterlo a profitto, principalmente quando dopo di averlo perduto non è più in nostro potere ricuperarlo per trarne vantaggio. – Ora tale è la natura del tempo di nostra vita; egli è prezioso, egli è breve, egli è irreparabile: tre ragioni che c’impegnano a ben impiegarlo. – Il tempo è prezioso e per riguardo al fine per cui ci è dato e per riguardo a quel che ne ha costato a Gesù Cristo per procurarcelo. Per qual fine, infatti, Dio vi ha dato, fratelli miei, e vi dà ancora del tempo a vivere sulla terra? È egli forse per accumular ricchezze, innalzarvi agli onori, appagar le vostre passioni? No, fratelli miei, no, ma bensì per guadagnare il cielo. Il tempo deve condurvi all’eternità, e la vostra eternità sarà felice o sgraziata secondo il buono o cattivo uso che avrete fatto del tempo. Voi potete ad ogni istante guadagnare un’eternità di gloria, perché non evvi alcun istante nella vita in cui non possiate entrare in grazia di Dio, se siete peccatori; ovvero, se siete in istato di grazia, meritar potete tanti gradi di gloria, quante buone opere farete: ecco perché dire si può che da un momento l’eternità dipende, perché basta un momento per meritarla o perderla. Se voi passar lasciate questo momento che vi è dato; se voi non profittate del tempo presente, dopo la morte voi non potrete più meritare: Tempus non erit amplius (Apoc. X). Dopo la morte non vi sarà più perdono dei vostri peccati ad ottenere; più opera alcuna che possa essere nel cielo ricompensata. I reprobi nell’inferno non potranno mai, con tutti i pianti che verseranno, con tutti i tormenti che soffriranno, ottenere il perdono di un solo peccato; i Santi nel cielo non potranno mai, con tutto l’amore che avranno per Dio, accrescere un solo grado della loro beatitudine perché fuori della vita non avvi più merito. Oh quanto è dunque prezioso il tempo della vita e quanto importa il profittarne! poiché ciascun momento vale, per così dire, il possesso di un Dio, vale una felicità eterna. – Ma quale stima ancora non dobbiamo noi fare del tempo, se consideriamo quanto ha costato a Gesù Cristo per procurarcelo? Gli è per meritarci questo tempo che questo Dio salvatore è nato in una stalla, si è assoggettato ai rigori delle stagioni, agl’incomodi della fame e della sete, ai patimenti e alla morte ignominiosa della croce: gli è per meritarci il tempo di far penitenza ch’Egli si è offerto alla giustizia del Padre suo, il che non ha fatto per gli angeli ribelli, che non hanno avuto un solo istante per rialzarsi dalla loro caduta, nel mentre che il Signore ci dà dei giorni, dei mesi, degli anni per cancellare i nostri peccati, calmare la sua giustizia, meritare i doni della sua misericordia. A chi siamo noi debitori di questo favore? Ai meriti, ai patimenti, ed alla morte di Gesù Cristo. Quante volte Iddio, sdegnato contro il peccatore, ha alzato il braccio della sua giustizia per recidere questo albero infruttuoso, e quanti di questi alberi sterili sarebbero già nel fuoco, se Gesù Cristo, il mediatore supremo, non avesse per essi domandata grazia, pregando suo Padre di aspettare ancora per dar loro tempo di portar frutto? Dimitte illam et hoc anno (Luc. XIII). Ah! Signore, aspettate ancora un anno, che quest’albero produca frutti, e se egli non ne produrrà, Voi lo taglierete. Ecco, o peccatori, ciò che domanda Gesù Cristo per voi; e di questo tempo, che è il frutto dei suoi patimenti e della sua morte, quale stima ne fate? in che l’impiegate? Dio ve lo dà per salvarvi, voi ve ne servite per perdervi: questo tempo ha costato la vita di un Dio, e lungi dal metterlo a profitto, voi ne fate un malvagio uso. Gli uni lo passano senza far niente: nihil agentibus. Sono quelle persone oziose e sfaccendate cui fare si può il rimprovero che faceva il padre di famiglia agli operai che se ne stavano in piazza e non si curavano di andare al lavoro: Quid hic statis tota die (Matt. XX)? Si passano i giorni, le settimane, i mesi interi senza far nulla per la salute. Non sappiamo che cosa fare, dicono essi, troviamo il tempo ben lungo; bisogna dunque cercare di ricrearsi e sollazzarsi; e a questo fine il passano in divertimenti frivoli, in render visite, in ispacciar novelle, trattenersi in cose vane ed inutili, andar e venir da una compagnia all’altra, giuocare, andar al passeggio; perché, dicono essi, convien poi passar il tempo in qualche cosa. Ah insensati! voi dite di non avere cosa alcuna a fare? Trovate voi il tempo lungo? Oh quanto la discorrete male, dice s. Bernardo, dicendo che convien cercare di passar un tempo che vi è dato per fare penitenza, per ottenere il vostro perdono, per meritare la grazia, per procurarvi una felicità eterna! Ah! che dovete voi fare? — Non bisogna pregare, far delle buone opere, visitar le chiese, gl’infermi, ammaestrarvi con leggere libri di pietà? Non avete voi doveri ad adempire, virtù a praticare? Ah! se voi foste ben persuasi che avete un affare importante, qual è quello della salute, e che non avete se non il tempo della vita per faticarvi intorno, ben lungi dal trovarlo lungo, vi sembrerebbe troppo breve; per assicurarvi la riuscita di questo affare importante, voi ne mettereste sollecitamente a profitto tutti i momenti. Se i dannati dell’inferno avessero, non dico tutto il tempo, ma solamente una parte di quello di cui voi abusate, con qual precauzione non ne userebbero? – Altri si abusano ancora del tempo a fare tutt’altro che ciò che far dovrebbero: aliud agentibus. Moltissimi si occupano nel mondo, l’uno passa tutti i suoi giorni ad avvantaggiare i suoi negozi, l’altro a proseguire le sue liti, questi a condurre affari stranieri, quegli a fare azioni che non sono né del suo stato né della sua professione. Gli uni rovinano la loro sanità coll’applicazione della mente, gli altri coi travagli del corpo; ma quasi nessuno pensa alla sua salute. Ciò non ostante questi giorni sì pieni sono interamente vuoti di buone opere; si fa tutt’altro che quel che far si dovrebbe; e a che serve lavorar per gli altri, se non si lavora per sé? Questo è faticar inutilmente, questo è perdere il suo tempo: aliud agentibus. – Ma l’abuso peggiore che si fa del tempo, si trova in quelli che lo passano in far del male: male agentibus. Abuso che pur troppo è comune tra gli uomini. Basta vedere quel che passa tra di essi. Gli uni non pensano dalla mattina alla sera che ai mezzi di contentare una rea passione, di mantenere una pratica, di soddisfare la loro cupidigia, la loro sensualità colle delizie e coll’abbondanza del riposo. Gli altri avidi di arricchirsi, commettono tante ingiustizie, quante occasioni trovano di usurpare l’altrui; tutta la loro vita la passano a meditar i mezzi di soppiantar gli uni e d’ingannar gli altri, di distruggere coloro che resister non gli possono. A che si riducono la maggior parte delle conversazioni? A parlar di affari progettati o conchiusi per la soddisfazione delle sue passioni, a spacciar novelle per lo meno inutili, a passar in rivista tutti gli stati, tutte le condizioni, a ricercare scrupolosamente i doveri di ciascuno, fuorché i loro propri; a censurare senza discrezione quei che impiegati sono nelle diverse cariche della società. M’inganno forse? Nulla è di tutto questo? Sarebbero dunque discorsi contro la Religione, contro i costumi? Finalmente, per la disgrazia più deplorabile, non si vede, non si ode parlar dappertutto che di scelleratezze e di disordini: male agentibus; cioè, del mezzo che Dio loro dà per santificarsi, per meritar il cielo, se ne servono per consumare la loro riprovazione. Quale accecamento e quale insensibilità per i suoi interessi! Poiché questo tempo sì prezioso che ci vien dato per salvarci è sommamente breve. – Secondo motivo che deve indurci a metterlo a profitto. Infatti, fratelli miei, che cosa è la vita dell’uomo? È un sogno che sparisce nell’istante in cui uno si sveglia; è, dice il santo Giobbe, una foglia che il vento trasporta, un fumo che si dissipa nell’aria. Appena l’uomo è venuto al mondo che conviene pensare a lasciarlo. Non evvi, per così dire, che un passo dalla culla al sepolcro. La maggior parte degli uomini vive poco; e che compaiono alfine della vita gli anni di quei medesimi che vivono lungo tempo? Mille anni, dice il profeta, non sono innanzi a Dio che come il giorno di ieri che è passato: Mille anni tanquam die hesterna quæ præteriit (Ps.LXXXIX). La vita più lunga, a paragone dell’ eternità, è meno che una gocciola d’acqua vi pare, fratelli miei, dei venti, quaranta, sessant’anni che vissuto avete sopra la terra? Che cosa vi sembra dell’anno che ora è passato? É un giorno, è un momento: tutti i vostri anni passeranno nella stessa guisa, e voi vi troverete al fine come se pur allora incominciaste a vivere. Insensato è colui che si attacca alle cose transitorie di questo mondo, che cerca la sua felicità in una vita sì breve e che non se ne profitta per assicurarsi una più durevole felicità. – Dio ci ha dato il tempo della vita come un bene ad affitto, che ci toglierà dopo un certo tempo. I nostri corpi sono case che cadono ogni giorno in rovina e che ci tocca fra poco abbandonare; la nostra vita si accorcia tutti i giorni, di modo che più abbiamo noi vissuto, meno ci resta a vivere. Verrà fra breve l’ultimo giorno, in cui nulla vi sarà più a contare. Affrettiamoci di profittare di un tempo che se ne fugge veloce e la cui perdita è inoltre irreparabile. Ed invero, il tempo perduto non ritornerà più, gli anni che noi abbiamo vissuto sulla terra non sono più in nostro potere. Felici noi, se li abbiamo ben passati, sono altrettanti tesori di merito che abbiamo acquistati e che sussistono: mentre la virtù è il solo bene che sia sicuro dall’ingiuria del tempo; le nostre preghiere, i nostri digiuni, le nostre limosine, tutto ciò noi troveremo alla morte e nell’eternità. Ma se noi abbiamo passati male i giorni di nostra vita, la perdita che fatta abbiamo, è senza rimedio. Possiamo, è vero, ricuperar la grazia di Dio che abbiamo perduta nel tempo passato, ma non ricupereremo giammai quei momenti favorevoli cui aveva Iddio annesse certe grazie che forse non ci darà più e che deciso avrebbero di nostra predestinazione. Il nostro fervore può supplire ancora al numero delle buone opere che non abbiamo fatte; noi possiamo ancora, come gli operai della vigna che vennero all’ultima ora, meritare la ricompensa che fu data ai primi; ma non raccoglieremo giammai quell’abbondanza di frutti che tutti i momenti di un costante fervore ci avrebbero prodotti. – Qual sarà dunque alla morte il rammarico di coloro che abusato avranno del tempo? Qual sarà il cordoglio di quei peccatori che vedranno fuggiti quei bei giorni che non dipendeva che da essi l’impiegare pel cielo? Quei bei giorni in cui la grazia li sollecitava a staccarsi dalla creatura, a rompere quegli attacchi illeciti che li soggettavano al loro impero. Vedranno i loro piaceri passati col tempo; desidereranno di aver ancora quel tempo; ma con tutte le loro lagrime e i loro tormenti, non potranno giammai far ritornare un solo di quei momenti che avrebbero bastato per preservarli dall’eterna disgrazia. – Aspetterete voi, fratelli miei, a questo stesso momento per riflettere sul prezzo del tempo e sospirare quello che perduto avrete? Oimè! di quanti momenti non vi siete voi già abusati? Interrogate su di ciò la vostra coscienza e domandate a voi medesimi: da poi che io sono sopra la terra, che cosa ho fatto per la mia salute? Molto ho lavorato per gli altri, e nulla ho fatto per me; forse che se io dovessi al presente comparire innanzi a Dio, presentargli non potrei una sola azione degna delle sue ricompense: all’opposto tutte le azioni di mia vita non meritano che i suoi castighi. Ah! ormai è tempo che io esca dal letargo in cui ho sin adesso vissuto, che incominci a vagliare per me, e che ripari il passato con un santo uso, del tempo. E qual deve essere quest’uso? Ecco il secondo punto.

II. Punto. Per fare un sant’uso del tempo, dice s. Bernardo, convien considerarlo per riguardo al passato, al presente ed al futuro. Bisogna riparar il passato, regolar il presente, cautelarsi contro l’avvenire e non contarvi sopra. – Quantunque non sia in poter nostro far ritonare il tempo già passato, possiamo nulladimeno ripararlo, o, per servirmi delle parole di s. Paolo, riscattarlo: redimentes tempus etc. Ora che cosa è riscattare un podere nel commercio del mondo? É pagare, per ritirarlo, il prezzo che ne abbiamo ricevuto, è soddisfar un debito che abbiamo contratto. Voi avete venduto, prostituito il vostro tempo al mondo e alle vostre passioni, voi avete alienato questo fondo che Dio aveva confidato alla vostra economia; e per cattivo uso da voi fattone, avete contratto dei debiti verso la giustizia di Dio. Ora quali sono questi debiti? Sono i peccati che avete commessi. Questi peccati sono passati, è vero; i piaceri da voi gustati nel commetterli non sussistono più, ma il vostro delitto sussiste ancora nella macchia che ha impressa nella vostra anima, che la rende difforme agli occhi di Dio e ne fa l’oggetto delle sue vendette: questa macchia rimarrà sempre, sin tanto che non sia cancellata con le lagrime della penitenza. Alla penitenza dunque convien ricorrere per purificarvi; e a questo fine entrate nei sentimenti di un re penitente, il quale riandava nell’amarezza del suo cuore gli anni della sua vita: Recogitabo illi omnes annos meos in amaritudine animæ meæ [Isai. XXXVIII). Oimè! dovete voi dire, sono tanti anni che io vivo alla terra, e nulla ho ancora fatto per la mia salute; a nient’altro ho pensato che a far fortuna in questo mondo, che a soddisfar le mie passioni. Di quei beni che ho ricercato, di quei piaceri che ho gustato,, che cosa mi resta? Una trista rimembranza, che mi trafigge l’anima, ma di pungenti rimorsi. Vane apparenze di dolcezze, che vi siete dileguate come un sogno, voi null’altro più siete che un’ombra che svanì. Ah! tempo infelice in cui vi ricercai! tempo infelice in cui tanto vi amai! O mio Dio, che siete una bellezza sempre antica e sempre nuova, ah quanto sono stato cieco ed insensato a cercare altra contentezza che quella che gustasi nell’amarvi e nel servirvi. Io ne ho il cuor penetrato dal più vivo dolore; e giacché voi mi date ancor tempo di riparare le mie disgrazie, io voglio profittarne per non attaccarmi che a Voi solo e risarcirvi col mio fervore l’ingiuria che vi ho fatta coll’abusarmi del tempo che Voi mi avete dato. – Se voi siete, fratelli miei, in questi sentimenti e li metterete in pratica, voi, meriterete che Dio vi tenga conto di quegli anni che prostituiste al mondo, al demonio e al peccato: Reddam vobis annos quos, comedit locusta, bruchus et rubigo (Joel. 2). Con questo riparerete le vostre perdite, riscatterete il tempo che avete perduto, ma si tratta di fare in primo luogo un santo uso di quello che presentemente si trova in vostra disposizione. Voi dispor più non potete del tempo passato, perché più non esiste; neppure dispor potete del tempo avvenire, perché non esiste ancora e forse voi non l’avrete: non evvi dunque che il tempo presente, che è in vostre mani ed ancora vi fugge nello stesso momento che ne parlate; profittate adunque con diligenza di quel che avete, perché è il solo su cui potete contare, è un talento che Dio vi dà, non lasciatene perdere la minima parte: Particula boni doni non defraudet te ( Ecli. XIV). Può essere che Dio abbia attaccato al momento che è adesso in vostra disposizione certe grazie speciali da cui dipende la vostra eterna salute. – Se voi sicuri foste di non aver più che quest’anno, questo giorno a vivere, come, io vi domando, come lo passereste voi? Non l’impieghereste tutto nella pratica delle buone opere?… Rimarreste voi un sol momento in peccato? Ebbene vivete in questa guisa, e voi farete un santo uso del tempo. Dite a voi medesimi: questo forse è l’ultimo anno di mia vita, convien dunque che lo passi come se lo fosse in realtà; e voi lo passerete santamente. Perciocché finalmente, fratelli miei, ne verrà uno che sarà l’ultimo, e qual è? Potete voi assicurarvi che non sia questo? Quanti ve ne sono stati che, cominciato avendo lo scorso anno in ottima sanità, non ne han veduto il fine! Quanti cominciano questo e non lo sappiamo vedranno finire! Chi viver crede ancora molti anni forse è colui che morrà il primo e fra poco. Se alcuno avesse detto a quell’uomo, a quella donna, che sono stati sotto gli occhi vostri sepolti nei sepolcri dei loro padri: Voi non avete più che quest’anno a vivere, come passato l’avrebbero? Si dice a voi la medesima cosa al principio di questo: egli sarà per qualcheduno l’ultimo, e non evvi alcuno che dir non possa: forse lo sarà per me, forse a me toccherà di andar in quest’anno alla sepoltura; perché posso io lusingarmi di andarvi più tardi che un altro? Ah bisogna dunque, senza esitare, metter ordine alla mia coscienza, restituire quella roba mal acquistata, riconciliarmi con quel nemico, corregger quel cattivo abito, dire addio al peccato, allontanare quell’occasione pericolosa, quell’oggetto che mi seduce, bisogna finalmente che io faccia tutto il bene che da me dipende, che io fatichi alla mia salute, mentre ne ho il tempo: Dum tempus habemus, operemur bonum (Gal. 6). – Tali sono, fratelli miei, le salutevoli risoluzioni che suggerir vi debbono la brevità del tempo e l’importanza della buona riuscita nell’affare della vostra salute. Voi potete lasciar il restante a terminare ai vostri eredi, lasciar loro quella fabbrica a perfezionare, quella lite a finire, ma non già la vostra salute; se voi non vi ci siete adoperato nel tempo, non potrete più farlo dopo la morte, né altri vi faticherà per voi. Profittate dunque, torno a dirvi, del momento che se ne fugge per non ritornare giammai, ed occupatevi incessantemente nella pratica delle buone opere che vi seguiranno nell’eternità: Quodcumque potest manus tua, instanter operare (Eccl. 9). Distribuite il vostro tempo ad adempiere i doveri del vostro stato, regolate si bene i vostri esercizi di pietà che ciascheduna cosa abbia il suo tempo: che la preghiera, la Messa, la lettura di pietà, l’adorazione del Santissimo Sacramento, la visita dei poveri trovino luogo nella distribuzione che voi ne farete. Date pure le vostre attenzioni ai vostri affari temporali, al governo della vostra famiglia: ma la vostra salute tenga sempre il primo posto, e tutti gli altri a lei rapportino. Cosi i vostri giorni si troveranno pieni, la vostra anima sarà carica di meriti pel cielo, e vi precauzionerete per l’avvenire, sul quale voi contar non dovete. E come, infatti, contar si può sopra un tempo che è così incerto? Iddio non ce l’ha promesso, né il vigore dell’età né la forza del temperamento possono assicurarcelo; poiché vediamo sovente persone giovani e robuste colpite dalla morte così presto, come le inferme e le vecchie. Tale che si promette di vivere ancora un gran numero d’anni morrà fra poco: ciò che è ben certo si è che si muore più presto di quel che si pensa. Bisogna dunque preveder l’avvenire ed operare come se non dovessimo averlo. È lo stesso che arrischiare la sua eterna salute, l’esporla all’incertezza di un tempo avvenire. Ah! non fate così, fratelli miei, quando si tratta di affari temporali! Quando trovate l’occasione di arricchirvi, voi la cogliete avidamente, niente vi distoglie dal profittarne; se si presenta un buon acquisto a fare, voi non aspettate all’indomani, per tema che un altro più pronto di voi non vi prevenga. Eh! Perché non fate lo stesso per la vostra salute? Potete voi in quest’oggi convertirvi, riconciliarvi con Dio. Non differite di più; forse non avvi domani per voi. La prudenza richiede che voi pensiate all’avvenire; e perciò voi fate provvisione di quanto vi sarà necessario per sussistere un numero di anni che credete ancora vivere sulla terra e per una stagione in cui non potete più lavorare. Ah! forse non sarete più in quest’anno, per cui fate tanti cumuli e non pensate a far provvisioni per l’eternità, ove sarete per sempre. Qual follia! Qual accecamento! Al vedervi sembra che abbiate da star sempre sulla terra, e che convenuti vi siate, per così dire, con la morte, affinché ella non vi colpisca se non quando piacerà a voi. Ah! insensati! voi morrete forse prima di aver terminato un solo dei vostri affari, e la vostra gran disgrazia sarà di morire senza aver operato la vostra salute! Imitate un viaggiatore che trattenuto si è nel suo cammino in frivoli divertimenti, e, vedendo il fine del giorno, raddoppia i suoi passi per riparare il tempo perduto e giungere al termine del suo viaggio. Voi arrestati vi siete alle bagattelle del secolo; i beni, i piaceri hanno occupato tutte le vostre sollecitudini; e voi non avete ancora pensato alla soda felicità: nondimeno il sole s’abbassa. Inclinata est iam dies (Luc. XXIV). Eccovi al fine di vostra vita; forse voi toccate il momento che deve farvi passare dal tempo all’eternità. Profittate dunque del tempo che vi resta, camminate sinché la luce vi rischiara, perché la notte s’avvicina, in cui nulla più potrete operare per la salute; precipitate il vostro corso, poiché vi resta ancora molta strada a fare.

Pratiche. Il più importante ed il più premuroso per voi è di uscire dallo stato del peccato per riconciliarvi con Dio con una buona confessione, che rinnoverà in voi la immagine dell’uomo nuovo: Renovamìni etc. Non potete voi meglio cominciar l’anno che con questa santa pratica. Correggete i vostri cattivi abiti e riformate tutto ciò che conoscete di difettoso nella vostra condotta. Tale è la circoncisione spirituale che Gesù Cristo domanda da voi in questo giorno, in cui ha Egli sofferto la circoncisione corporale per la vostra salute. Dopo aver Egli tanto sofferto per esser vostro Salvatore, non vorrete voi fare cosa alcuna per esser salvi? Giacché si è per voi sacrificato, non dovete voi altresì fargli un qualche sacrificio col troncare tutto ciò che in voi gli dispiace? – Ringraziate Iddio dei beni che vi ha fatti negli anni scorsi; fate a questo fine una visita a Gesù Cristo, offeritegli i pochi anni che vi restano per impiegarli nel suo servizio. Vivete questo anno, questo giorno stesso, come se non aveste più che quest’anno, che questo giorno a vivere; fate ogni mattina questa risoluzione. Ravvivate il vostro fervore nel servizio di Dio con quelle parole di s. Paolo: Dum tempus habemus, operemur bonum (Gal. VI); facciamo del bene mentre ne abbiamo il tempo, per raccoglierne il frutto nell’eternità. Così sia.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps LXXXVIII: 12; 15
Tui sunt cæli et tua est terra: orbem terrárum et plenitúdinem ejus tu fundásti: justítia et judícium præparátio sedis tuæ.

[Tuoi sono i cieli e tua è la terra: Tu hai fondato il mondo e quanto vi si contiene: la giustizia e l’equità sono le basi del tuo trono].

Secreta

Munéribus nostris, quǽsumus, Dómine, precibúsque suscéptis: et coeléstibus nos munda mystériis, et cleménter exáudi.

[Ti preghiamo, o Signore, affinché gradite queste nostre offerte e preghiere, Ti degni di mondarci con questi celesti misteri e pietosamente di esaudirci.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de Nativitate Dominica
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Quia per incarnáti Verbi mystérium nova mentis nostræ óculis lux tuæ claritátis infúlsit: ut, dum visibíliter Deum cognóscimus, per hunc in invisibílium amorem rapiámur. Et ídeo cum Angelis et Archángelis, cum Thronis et Dominatiónibus cumque omni milítia cæléstis exércitus hymnum glóriæ tuæ cánimus, sine fine dicéntes.

veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: Poiché mediante il mistero del Verbo incarnato rifulse alla nostra mente un nuovo raggio del tuo splendore, cosí che mentre visibilmente conosciamo Dio, per esso veniamo rapiti all’amore delle cose invisibili. E perciò con gli Angeli e gli Arcangeli, con i Troni e le Dominazioni, e con tutta la milizia dell’esercito celeste, cantiamo l’inno della tua gloria, dicendo senza fine:]

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus:

Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:


Pater noster,

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps XCVII:3

Vidérunt omnes fines terræ salutáre Dei nostri.

[Tutti i confini della terra videro la salvezza del nostro Dio.]

Postcommunio

Orémus.
Hæc nos commúnio, Dómine, purget a crímine: et, intercedénte beáta Vírgine Dei Genetríce María, cæléstis remédii fáciat esse consórtes.

[Questa comunione, o Signore, ci purífichi dal peccato e, per intercessione della beata Vergine Maria Madre di Dio, ci faccia partecipi del celeste rimedio.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

DOMENICA FRA L’OTTAVA DELLA NATIVITÀ (2022)

DOMENICA FRA L’OTTAVA DELLA NATIVITÀ DEL SIGNORE. (2022)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semidoppio. – Paramenti bianchi.

La Messa ci dice che « il Verbo disceso dal Cielo durante la notte  di Natale (Intr.) è « il Figlio di Dio venuto per renderci partecipi della sua eredità come figli adottivi » (Ep.). Prima di Lui, l’uomo era infatti come « un erede, che, nella sua minorità, non differisce da un servo » (Ep.). Ora invece che la legge nuova l’ha emancipato dalla tutela dell’antica, « egli non è più servitore, ma figlio » (Ep.). – Rivelandoci questa paternità soprannaturale di Cristo, che colpisce più specialmente le nostre anime in questo tempo di Natale, la liturgia fa risplendere ai nostri occhi la Divinità sotto l’aspetto di Paternità. Cosi il culto dei figli di Dio si riassume in questa parola, detta con Gesù, con labbra pure e retto cuore: « Padre!». (Ep.).Il Vangelo ci mostra anche quale sarà in avvenire la missione grandiosa di questo Bambino che comincia a manifestarsi oggi nel tempio. « È il Re » (Grad.) « il regno del quale » (All.) « penetrerà fino all’intimo dei cuori » (Vang.). Per tutti sarà una pietra di salvezza; pietra d’inciampo per quelli che lo perseguiteranno (Com.) pietra angolare «per molti in Israele » (Vang.). L’Introito parla della notte nella quale l’Angelo di Dio colpi i primogeniti degli Egiziani, preparando la liberazione d’Israele, immagine della notte santa nella quale la Beatissima Maria mise alla luce il Salvatore, venuto per liberare l’umanità.

Incipit 

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus 

Sap. XVIII:14-15.
Dum médium siléntium tenérent ómnia, et nox in suo cursu médium iter háberet, omnípotens Sermo tuus, Dómine, de cœlis a regálibus sédibus venit

[Mentre tutto era immerso in profondo silenzio, e la notte era a metà del suo corso, l’onnipotente tuo Verbo, o Signore, discese dal celeste trono regale.]

Ps XCII: 1
Dóminus regnávit, decórem indútus est: indútus est Dóminus fortitúdinem, et præcínxit se.

[Il Signore regna, rivestito di maestà: Egli si ammanta e si cinge di potenza.]

Dum médium siléntium tenérent ómnia, et nox in suo cursu médium iter háberet, omnípotens Sermo tuus, Dómine, de coelis a regálibus sédibus venit.

[Mentre tutto era immerso in profondo silenzio, e la notte era a metà del suo corso, l’onnipotente tuo Verbo, o Signore, discese dal celeste trono regale.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio 

Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, dírige actus nostros in beneplácito tuo: ut in nómine dilécti Fílii tui mereámur bonis opéribus abundáre.

[Onnipotente e sempiterno Iddio, indirizza i nostri atti secondo il tuo beneplacito, affinché possiamo abbondare in opere buone, in nome del tuo diletto Figlio]

Lectio 

Lectio Epístolæ beati Pauli Apostoli ad Gálatas.
Gal IV: 1-7
Patres: Quanto témpore heres párvulus est, nihil differt a servo, cum sit dóminus ómnium: sed sub tutóribus et actóribus est usque ad præfinítum tempus a patre: ita et nos, cum essémus párvuli, sub eleméntis mundi erámus serviéntes. At ubi venit plenitúdo témporis, misit Deus Fílium suum, factum ex mulíere, factum sub lege, ut eos, qui sub lege erant, redímeret, ut adoptiónem filiórum reciperémus. Quóniam autem estis fílii, misit Deus Spíritum Fílii sui in corda vestra, clamántem: Abba, Pater.
Itaque jam non est servus, sed fílius: quod si fílius, et heres per Deum.

[Fratelli: Fin quando l’erede è minore di età, benché sia padrone di tutto, non differisce in nulla da un servo, ma sta sotto l’autorità dei tutori e degli amministratori, fino al tempo prestabilito dal Padre. Così anche noi, quando eravamo minori d’età, eravamo servi degli elementi del mondo. Ma quando venne la pienezza dei tempi, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, affinché redimesse quelli che erano sotto la legge, e noi ricevessimo l’adozione in figli. Ora, poiché siete figli, Iddio ha mandato lo spirito del suo Figlio nei vostri cuori, il quale grida: Abba, Padre. Perciò, ormai nessuno è più schiavo, ma figlio, e se è figlio, è anche erede, per la grazia di Dio.]

S. Paolo insegna così ai Galati che, essendo passati dal Giudaismo al Cristianesimo, sono affrancati dalla servitù dell’antica legge, e sotto la nuova debbonsi riguardar come figli di Dio, e chiamarlo Abba, cioè caro Padre, perché ha dato loro per fratello il suo Figlio Gesù Cristo La nostra felicità nel diventar Cristiani è stata ancora più grande di quella dei Giudei, perché i nostri padri erano pagani. Ringraziamo ogni giorno il Signore di sì gran benefizio, ed attestiamogli la nostra riconoscenza, con la fede, la carità, la confidenza, la pazienza e con la più esatta vigilanza per evitare il peccato, l’unico male, che privandoci del titolo di figli di Dio, e di tutti i privilegi a questo uniti, ci sottoporrebbe di nuovo alla schiavitù del demonio.

(L. Goffiné, Manuale per la santificazione delle Domeniche e delle Feste; trad. A. Ettori P. S. P.  e rev. confr. M. Ricci, P. S. P., Firenze, 1869).

Graduale

Ps XLIV:3; 44:2
Speciósus forma præ filiis hóminum: diffúsa est gratia in lábiis tuis.

[Tu sei bello fra i figli degli uomini: la grazia è diffusa sulle tue labbra.]

V. Eructávit cor meum verbum bonum, dico ego ópera mea Regi: lingua mea cálamus scribæ, velóciter scribéntis.

[V. Mi erompe dal cuore una buona parola, al re canto i miei versi: la mia lingua è come la penna di un veloce scrivano.]

Alleluja

Allelúja, allelúja
Ps 92:1.
Dóminus regnávit, decórem índuit: índuit Dóminus fortitúdinem, et præcínxit se virtúte. Allelúja.

 [Il Signore regna, si ammanta di maestà: il Signore si ammanta di fortezza e di potenza. Allelúja]

Evangelium 

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secundum Lucam.
R. Gloria tibi, Domine!
Luc II:33-40
In illo témpore: Erat Joseph et Maria Mater Jesu, mirántes super his quæ dicebántur de illo. Et benedíxit illis Símeon, et dixit ad Maríam Matrem ejus: Ecce, pósitus est hic in ruínam et in resurrectiónem multórum in Israël: et in signum, cui contradicétur: et tuam ipsíus ánimam pertransíbit gládius, ut reveléntur ex multis córdibus cogitatiónes. Et erat Anna prophetíssa, fília Phánuel, de tribu Aser: hæc procésserat in diébus multis, et víxerat cum viro suo annis septem a virginitáte sua. Et hæc vídua usque ad annos octogínta quátuor: quæ non discedébat de templo, jejúniis et obsecratiónibus sérviens nocte ac die. Et hæc, ipsa hora supervéniens, confitebátur Dómino, et loquebátur de illo ómnibus, qui exspectábant redemptiónem Israël. Et ut perfecérunt ómnia secúndum legem Dómini, revérsi sunt in Galilæam in civitátem suam Názareth. Puer autem crescébat, et confortabátur, plenus sapiéntia: et grátia Dei erat in illo.

[“In quel tempo il padre ela madre di Gesù restavano meravigliati delle cose, che di lui si dicevano. E Simeone li benedisse, e disse a Maria, sua madre: Ecco che questi è posto per ruiua e per risurrezione di molti in Israele, e per bersaglio alla contraddizione; e anche l’anima tua stessa sarà trapassata dal coltello, affinché di molti cuori restino disvelati i pensieri. Eravi anche una profetessa, Anna figliuola di Fanuel, della tribù di Aser: ella era molto avanzata in età, ed era vissuta sette anni col suo marito, al quale erasi sposata fanciulla. Ed ella era rimasta vedova fino agli ottantaquattro anni, e non usciva dal tempio, servendo Dio notte e giorno con orazioni e digiuni. E questa, sopraggiungendo in quel tempo stesso, lodava anch’essa il Signore, e parlava di Luì a tutti coloro, che aspettavano la redenzione d’Israele. E soddisfatto che ebbero a tutto quello che ordinava la legge del Signore, se ne tornarono nella Galilea alla loro città di Nazaret. E il Bambino cresceva, e si fortificava pieno di sapienza: e la grazia di Dio era in lui”]

OMELIA

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956)

LA NOSTRA VITA

Che cos’è la nostra vita? Questa domanda, che già S. Giacomo (IV; 15) rivolgeva ai primi Cristiani, ha un sapore speciale sulle nostre labbra in quest’ultima domenica dell’anno. Qualche giorno ancora, e l’anno che ci si presentava — pare ieri — radioso o lusinghiero di speranze, svanirà come un sogno per sempre. Dove sono le gioie che attendevamo? Quante delusioni, quanti ricordi amari e rimorsi pungenti si levano su come nebbia dai dodici mesi ormai vissuti! E questo è forse tutto quello che ci resta dell’anno che muore. Qualche giorno ancora ed un anno nuovo ci verrà innanzi; e noi, come fanciulli ingenui, torneremo a farci illudere da chi sa quali speranze, ci procureremo ancora amarezze e rimpianti. E, forse, nel libro di Dio è scritto che la morte ci dovrà sorprendere prima che l’anno nuovo finisca il corso delle sue settimane. Che cos’è dunque la nostra vita? questa vita che sfugge irreparabilmente come l’acqua del fiume, che dileguasi come la stella che scivola sul cielo oscuro? Domandate all’artigiano perché tutti i giorni fatica e suda tra la polvere e il fracasso, e vi risponderà: « per guadagnarmi la vita ». Domandate a un malato perché si lascia dolorosamente incidere dal ferro del chirurgo e vi risponderà: « per salvare la vita ». Domandate all’uomo di mondo perché tanta smania di divertimento lecito e illecito, e vi risponderà: « per godere la vita ». Domandate al Santo perché tante preghiere, tante penitenze non viste da nessuno fuori che da Dio, e vi risponderà: « per santificare la vita ». Tutti dunque s’attaccano a questo gran dono, che ad ogni momento si consuma, e tutti vorrebbero impedire che si consumasse. L’unico che ci ha rivelato il mistero della vita e il modo per non perderla è il Signore. Egli ha detto: « Chi dà la vita per mio amore, quegli la ritroverà. Chi non la dà per mio amore, quegli la perderà ». Spieghiamo queste parole col Vangelo odierno. Viveva a Gerusalemme un uomo chiamato Simeone: aveva passato tutti i giorni della sua non breve età nel timore di Dio e nella fede alle sue promesse. I compagni, gli amici suoi, dimenticando la parola e la legge del Signore, s’erano dati al commercio e al godimento e lo riguardavano forse con occhi compassionevoli. Ma egli sentiva nel cuore la voce dello Spirito Santo confortarlo e sorreggerlo: « Coraggio! tu non morirai senza aver visto il Salvatore ». – Viveva pure in quel tempo a Gerusalemme una nobildonna di nome Anna, figlia di Phanuel della tribù di Aser. Aveva ottantaquattro anni: sette appena ne aveva vissuti accanto allo sposo che la morte le rapì innanzi tempo. Giovane ancora, bella, nobile e ricca s’era chiusa nei veli della vedovanza con tenace proposito di non levarseli fino alla morte. Chissà quante donne la compiangevano e quante bramavano d’essere al suo posto per darsi a un nuovo partito, per correre dietro ai piaceri, agli onori, agli spassi d’una vita spensierata! Ma ella, no: ella aveva preferito ritirarsi nella penombra e nel silenzio del tempio, passare gli anni come un angelo, lasciare sfiorir l’età bella nei digiuni e nelle veglie notturne. Perché? Perché Simeone ha preferito così ed Anna ha preferito così? Perché ci sono due maniere di vivere la vita: la maniera del mondo e la maniera di Cristo. – « Ma io vi dico che solo chi dà la vita per mio amore, quegli la troverà; ma chi non la darà per mio amore, quegli la perderà ». – VITA MONDANA. Il mondo, coronato di rose, fosforescente di lusinghe, passa in mezzo agli uomini e lancia il suo appello insidioso come la canzone delle sirene: « Venite con me: inebriamoci di tutte le ebbrezze; gettiamoci su tutti i piaceri; domani, forse, non saremo più a tempo ». « Quale moltitudine innumerabile egli trascina dietro alle sue seduzioni! Sono bestemmiatori che sui treni, per le strade, in casa, in officina lanciano contro il cielo la parola ingiuriosa e oscena: e non hanno rimorso. Sono compagnie di profanatori della domenica: hanno tramutato il giorno del sacro riposo e della preghiera fiduciosa e della pace familiare, in una giornata d’avarizia, di peccato, di vorticoso movimento. – Sono schiere di sposi trasgressori delle leggi sante che governano la famiglia: invano soffocano i rimorsi della coscienza violata, invano aspettano le misericordie di Dio, invano si lamentano nell’ora del dolore. Sono turbe di giovani che voglion godere la giovinezza: e invece la gettano in ogni pozzanghera. Genitori senza fede, figli ribelli, donne dal cuore vano, tutti schiavi di satana, tutti arruolati nell’esercito del mondo. Voi li vedete, anche di questi giorni, spegnere i rimorsi nei balli, nei veglioni, nei teatri, nei rumori pagani, nella dissipazione, nell’indifferenza. Povera gente, come sarà pagata dal mondo a cui ha venduto la libertà e la vita? Prima da una manata di piaceri, ma di quei delle bestie e poi dalla morte eterna. Non s’accorgono dell’inganno? Non sentono d’avvilire la loro dignità di figli di Dio fino a diventare figli di satana?… Non capiscono di barattare l’eterna vita per un’ora di sogno inquieto? – Dice la Storia Sacra che quelli della regione di Galaad andarono a supplicare l’Ammonita affinché li accettasse nella sua alleanza. E l’Ammonita rispose: « Io farò alleanza con voi a questo patto: che io cavi a tutti l’occhio destro e vi renda l’obbrobrio di tutto Israele » (I Re, XI, 2). Così è di tutti coloro che hanno fatto alleanza col mondo: si sono lasciati strappare l’occhio destro, quello che guarda al cielo, alla vita eterna, alle cose vere e belle, ed ora non vedono se non con l’occhio sinistro, quello di bruti, che guarda alla terra e vede solo il fango e i vermi. – VITA Cristiana. Gesù coronato di spine, con le mani trafitte dai chiodi passa sulla terra, e lancia il suo appello di bontà, di pazienza, di fede: « Se qualcuno vuol venire dietro a me, prenda la sua croce e mi segua: arriveremo nell’eterna casa della gioia, dove godremo quello che Dio gode ». Chi è Gesù Cristo? È il vero Padrone di noi tutti e delle cose tutte: niente senza di Lui è stato fatto, niente senza di Lui vive. È il vero Redentore degli uomini: non l’oro o l’argento ci ha riscattati dalla schiavitù del Maligno, ma il suo sangue dolorosamente versato dalle piaghe del suo corpo. È il vero Rimuneratore: colui che vede le nostre più segrete pene e conta i nostri sospiri; colui che può e vuole donarci un premio che sorpasserà ogni aspettativa. Chi sono quelli che lo seguono? Sono i veri Cristiani, che hanno conformato la propria vita alla sua parola divina. – Uomini che, pur vivendo nel mondo, non hanno macchiato il labbro di bestemmie e di turpiloquio. Donne che sono l’angelo della casa in cui vivono, diffondono un profumo di modestia, una luce di umiltà e di rassegnazione, un desiderio di preghiera. Genitori che sentono la propria dignità e responsabilità, che temono il Signore, che rispettano il suo comandamento. Figliuoli che crescono ubbidienti, amorosi, devoti. Seguono Cristo tutti quelli che soffrono e sopportano; tutti quelli che nel campo dell’Azione Cattolica e delle pie confraternite lavorano per la propria santificazione e per quella del prossimo. – S. Policarpo, Vescovo di Smirne, fu arrestato dal proconsole Quadrato e condotto al tribunale: « Maledetto il tuo Cristo! » urlò ad un certo punto il proconsole adirato. Il Santo vegliardo, tremante di vecchiaia ma impavido di fede, disse: « Sono ottantasei anni che lo servo, e ne sono lietissimo. Ah, io lo benedirò fino all’estremo sospiro ». Allora gli fu preparato il rogo: ed egli sorrise. Le fiamme non lo toccarono. Allora fu colpito di spada e Policarpo vide il Signore. Quando si serve Cristo, quando la vita è cristiana, entra nel nostro cuore la gioia dei figli di Dio e più nulla ci può spaventare. Neppure la morte: perché è la porta della gioia e della vita, dietro alla quale si vede il Signore. – Torniamo, per finire, al Vangelo. Nel tempio, Simeone e Anna erano invecchiati: ma invecchiati erano pure quelli che li avevano guardati con occhio di compassione quasi fossero incapaci di godersi la vita. Ma a costoro che restava? dopo i fugaci anni di godimento e di spensieratezza restava solo l’amarezza e la disperazione. Non così per Simeone ed Anna: dopo i digiuni, le preghiere, le mortificazioni; a queste due anime buone e pure restava la cosa più bella che uomo possa desiderare: Vedere il Signore. Ed ecco che un giorno videro un’umile comitiva entrare nel cortile del tempio: era un uomo povero dalle mani incallite sulla pialla, era una donna giovane e modestissima che portava due tortorelle per la sua purificazione, era un bambino ancora in fasce. Il loro cuore sobbalzò; lo Spirito Santo li illuminò; essi conobbero che quel bambino era il Signore. « Signore! — esclamarono — ora facci pure morire, perché i nostri occhi videro la tua faccia e il nostro paradiso è incominciato ». Cristiani! in quest’ultima domenica dell’anno io concludo rivolgendovi il gemito dello Spirito Santo: « Ne des annos tuos crudeli » (Prov., V, 9). Non date gli anni vostri al maligno! Così giunti al termine della vita, non troverete amarezza e disperazione, ma come Simeone ed Anna, vedrete il Volto di Gesù che vi beatificherà nei secoli dei secoli. — LA PROFEZIA DI SIMEONE. Secondo la legge mosaica la donna a cui il cielo avesse largito un figliuolo; dopo il quarantesimo giorno, doveva salire al tempio a chiedere la sua purificazione. Se poi il bambino era il primogenito, esso pure veniva portato per essere simbolicamente consacrato al Signore. E quantunque Maria avesse concepito; non come le altre donne, ma miracolosamente per opera di Spirito Santo, per umiltà volle sottostare alle leggi comuni. Ella, dunque, venne alla porta del tempio, si fece aspergere da un sacerdote e poi offrì l’offerta dei poveri: due tortorelle; ché la Madre di Dio non possedeva tanto da poter offrire un agnello, ch’era l’offerta dei ricchi. La cerimonia volgeva al termine, quando apparve Simeone, il vegliardo del tempio. Fedele credente, vedeva da lungo tempo con dolore e con profonda indignazione i peccati d’Israele e la schiavitù sotto il giogo straniero. Ma pure in cuor suo aveva ricevuto promessa da Dio che non avrebbe chiuso gli occhi senza vedere il Messia. Ora la promessa si compiva. Tremando di gioia prese il neonato tra le sue vecchie braccia e profetò: « O Signore, lascia pure il tuo servo andare in pace, come gli hai promesso: ho visto la salvezza che salverà tutti i popoli, ho visto la luce che illuminerà tutte le genti ». Giuseppe e Maria nell’ascoltarlo furono colti da ammirazione, ma il santo vecchio li guardò e, dopo averli benedetti, soggiunse: « Questo Bambino è il segno della contraddizione posto alla rovina e alla resurrezione di molti. Una spada affilata poi trapasserà l’anima di sua Madre ». Quando in una famiglia nasce qualcuno, quanti sogni si fabbricano su quella piccola testa ignara! Crescerà sano e robusto ovvero piegherà sullo stelo prima ancora di sbocciare? Sarà un uomo coscienzioso e probo o invece un ignobile e disonesto? Amerà gli studi o preferirà il commercio o le armi? Sarà la gloria e la gioia di sua madre o il disonore e il dispiacere? Nessuno lo sa; ma il santo vegliardo del tempio di Gerusalemme aveva letto bene la storia dell’avvenire e la sua parola s’avverò. Questo bambino sarà il segno di contraddizione. Il cuore di sua madre sarà trapassato dal dolore. – IL SEGNO DI CONTRADDIZIONE. Conterò una storia che Eusebio di Cesarea ci assicura d’aver raccolta dalle labbra di Costantino stesso. Mentre l’imperatore si preparava a marciare contro Massenzio, gli apparve nel cielo una croce sulla quale si leggeva: « Con questa vincerai ». Costantino, ancora pagano, sorpreso della meravigliosa visione, promisedi farsi Cristiano se avesse ottenuto vittoria. Intanto ordinò che sul vessillo da portare in battaglia, si dipingesse la croce, così come l’aveva veduta. Massenzio, che aveva saputo qualcosa, ordinò alle sue legioni di mirare tutti contro il vessillo fatato. L’alfiere che lo portava, sentendo sibilare intorno a lui le frecce, s’accorse d’essere fatto bersaglio da tutti i nemici, e spaventato gettò via il vessillo e riparò in mezzo alle file; un compagno, visto quest’atto di debolezza, si spoglia delle armi e, afferrata l’insegna, si slancia in testa ai manipoli, avanzando a gran corsa verso il nemico. I dardi, fischiando densi come una grandinata, foravano la bandiera, lasciando illeso l’intrepido alfiere. I nemici compresero che Dio combatteva con l’armata di Costantino, e presi da spavento si rovesciarono indietro, ed ebbero una sconfitta completa e decisiva dove Massenzio stesso perì. Agli inni della vittoria non partecipò il primo alfiere. Qualcuno l’avea visto colpito nel cuore da uno strale. – Questo fatto ci offre due insegnamenti, a) Ed il primo è che tutti quelli che combattono Cristo, o la sua Chiesa o i ministri della sua religione periscono, come Massenzio perì. Voltiamoci indietro a guardare la storia: il primo persecutore di Gesù è Erode l’infanticida, ma fu anche il primo a sperimentare la vendetta divina. Arso lentamente da una febbre maligna, straziato da coliche che gli laceravano le viscere, gonfio e livido mostruosamente in tutto il corpo, contorto da’ convulsioni spasmodiche, esalava un fetidissimmo puzzo e nelle sue carni marcenti già brulicavano i vermi. L’altro Erode, l’Antipa, quello che nel giorno della passione trattò Gesù da pazzo, morì in esilio; e Pilato pure dovette fuggire, ramingare di paese in paese fin che sì uccise di propria mano. Giuda Iscariota si appese alla ficaia e scoppiò. Tutti gli imperatori romani, che perseguitarono i martiri, finirono violentemente, così che lo scrittore Lattanzio Firmiano potè formare un libro: « La morte dei persecutori ». Caligola fu trucidato. Nerone, vedendosi raggiunto dalla coorte mandata ad ucciderlo, si cacciò egli stesso il pugnale nel cuore. Domiziano fu ucciso da quei di sua famiglia. Commodo fu strangolato. Eliogabalo è ammazzato dai suoi soldati. Valeriano è scoiato. Diocleziano muore di fame. Giuliano l’apostata, ferito in guerra, si strappa le bende, e lanciando una manata di sangue contro il cielo, bestemmia: « Galileo, hai vinto ». Poi morì, come morirono e morirono tutti i nemici della fede nostra. Cristo invece regna, impera, trionfa; ieri, oggi, domani, sempre. – b) Un secondo insegnamento deriva a noi dal fatto che ho narrato. Tutti quelli che dopo aver ricevuto il Battesimo e servito a Gesù Cristo per qualche tempo, gli voltano le spalle, lo insultano coi loro peccati, avranno la peggio come l’ebbe il primo alfiere. Quelli invece che, armati di confidenza e di coraggio, lo servono, lo difendono; soffrono per Lui, saranno fortunati quaggiù e nell’eternità, come lo fu il secondo alfiere. – Cristo è il segno della contraddizione: o risorgere con Lui, o contro di Lui perire. Chi, desiderando d’essere sapiente, disprezzò il Vangelo per studiare altri libri, non capì più nemmeno quello che capiscono anche i bambini. E chi rifiutò il giogo del Signore per vivere secondo i capricci delle sue passioni, non trovò che delusioni, rimorsi, disperazione e condanna eterna. Invece quelli che per amor di Cristo rinunciarono alla fatua sapienza del mondo, alle bugiarde gioie del mondo, ai fugaci beni del mondo, ricevettero cento volte più di quello che avevano lasciato, e per giunta la vita eterna (Mt., XIX, 29). – LA MADRE DOLOROSA. È l’Annunciazione. Un Angelo discende nella casa umile d’una povera fanciulla del popolo, e, le porta il desiderio dell’Onnipotente. « Non temere, Maria, accetti tu d’essere la Madre di Dio? ». E la Madonna, sospirando come a una cosa a cui ci si rassegna dopo un lungo tentennare, rispose semplicemente: « Io sono l’ancella del Signore. Sia fatto in me secondo la tua parola ». Ma come? Perché non irrompere in un grido di gaudio infrenabile? Proprio lei, che non conosceva che il tempio e la sua casa, veniva eletta alla più alta dignità possibile a semplice creatura umana, e non esultava d’ebrezza; ma trepidamente diceva: « Io sono l’ancella del Signore: fiat! ». Era perché la Madonna sapeva che Madre di Dio vuol dire Madre d’un Crocifisso. Sapeva che in ogni giorno della sua vita sarebbe stata accompagnata dalla visione della croce, fin tanto che il suo Unigenito inchiodato e sanguinante davanti ai suoi occhi materni non fosse spirato davvero. Da quel momento la sua anima fu trafitta con una spada a taglio doppio. Quattro cose, dice S. Tommaso, fecero amara la passione di Cristo alla Vergine Madre. – Primo, la bontà del Figlio: perdere un figlio è gran dolore, ma perdere un Figlio ch’era Dio, è quello che nessun’altra madre provò né proverà. – Secondo, la crudeltà dei crocifissori; a Lui, che bruciava di sete nell’agonia, non vollero dare una stilla d’acqua; e sua Madre neppure gliela poteva dare, ché non lo permettevano; e neppure poteva placargli l’arsura con i suoi baci, ché era sospeso in alto. – Terzo, l’infamia della pena: moriva il Figlio di Dio tra due ladroni quasi che anch’Egli fosse un ladrone, moriva per mano della giustizia, la giustizia più ingiusta, che aveva osato perfino condannare a morte il Creatore del cielo e della terra e dei giudici. – Quarto; la ferocità del martirio: insultato, flagellato, inchiodato. E morto, quasi non bastasse, fu squarciato nel petto con una lancia: Egli non la sentì perché era già spirato, ma la sentì sua Madre che vedeva. O vos omnes qui transitis per viam, attendite et videte si est dolor sicut dolor meus (Thren., I, 12). – Era la festa dell’Assunta del 1856. A Spoleto si faceva una solenne processione, con l’immagine taumaturgica dell’Addolorata. Era la Madre che, come si usava ogni anno in quel giorno, passava tra i figli suoi: e non v’era ginocchio che non piegasse a terra davanti a lei. La processione, tra canti e incensi, si svolge lenta e giunge davanti a un giovane elegantissimo di nome Francesco Possenti. Già due volte, ammalato da morire, aveva promesso di cambiare vita; davanti al cadavere di sua sorella morta sì giovane l’aveva giurato ancora; e non si era deciso mai a strapparsi dalle voluttuose spire del mondo. Ora, ritto ai margini della strada, guardava la processione snodarsi davanti. Quando l’immagine della Madre dolorosa gli fu vicina, sentì battergli il cuore come mai. Gli parve che la Vergine girasse lo sguardo su lui e lo guardasse in una luce divina. Intanto una voce gli gridava dentro: « Francesco, il mondo non è più per te ». Qualche tempo dopo correva un mormorio per la città: « Sai, il ballerino si è fatto frate ». « Francesco Possenti vuoi dire? ». « Sì: ed ha preso il nome di Gabriele dell’Addolorata ». Quante volte, e con grazie e con disgrazie, la Madonna ci ha fatto capire di abbandonare il peccato e riprendere una vita più 9cristiana, più mortificata: e fu sempre invano. Oggi, che è l’ultima domenica di quest’anno che finisce, la Madonna Addolorata ci guardi con quegli occhi suoi misericordiosi. Ci guardi come ha guardato una volta il giovane Francesco Possenti: e noi con l’anno nuovo riprenderemo una vita nuova: di pietà, di carità e di bontà.

  IL CREDO

 Offertorium 

Orémus
Ps XCII:
1-2
Deus firmávit orbem terræ, qui non commovébitur: paráta sedes tua, Deus, ex tunc, a sæculo tu es.

[Iddio ha consolidato la terra, che non vacillerà: il tuo trono, o Dio, è stabile fin da principio, tu sei da tutta l’eternità.]

Secreta 

Concéde, quǽsumus, omnípotens Deus: ut óculis tuæ majestátis munus oblátum, et grátiam nobis piæ devotiónis obtineat, et efféctum beátæ perennitátis acquírat.

[Concedi, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente, che questa offerta, presentata alla tua maestà, ci ottenga la grazia di una fervida pietà e ci assicuri il possesso della eternità beata.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de sanctissima Trinitate

Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui cum unigénito Fílio tuo et Spíritu Sancto unus es Deus, unus es Dóminus: non in uníus singularitáte persónæ, sed in uníus Trinitáte substántiæ. Quod enim de tua glória, revelánte te, crédimus, hoc de Fílio tuo, hoc de Spíritu Sancto sine differéntia discretiónis sentímus. Ut in confessióne veræ sempiternǽque Deitátis, et in persónis propríetas, 9et in esséntia únitas, et in majestáte adorétur æquálitas. Quam laudant Angeli atque Archángeli, Chérubim quoque ac Séraphim: qui non cessant clamáre quotídie, una voce dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: che col Figlio tuo unigénito e con lo Spirito Santo, sei un Dio solo ed un solo Signore, non nella singolarità di una sola persona, ma nella Trinità di una sola sostanza. Cosí che quanto per tua rivelazione crediamo della tua gloria, il medesimo sentiamo, senza distinzione, e di tuo Figlio e dello Spirito Santo. Affinché nella professione della vera e sempiterna Divinità, si adori: e la proprietà nelle persone e l’unità nell’essenza e l’uguaglianza nella maestà. La quale lodano gli Angeli e gli Arcangeli, i Cherubini e i Serafini, che non cessano ogni giorno di acclamare, dicendo ad una voce:]

Sanctus,

Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster,

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio 

Matt II:20
Tolle Púerum et Matrem ejus, et vade in terram Israël: defúncti sunt enim, qui quærébant ánimam Púeri.

[Prendi il bambino e sua madre, e va nella terra di Israele: quelli che volevano farlo morire sono morti.]

Postcommunio 

Orémus.
Per hujus, Dómine, operatiónem mystérii, et vitia nostra purgéntur, et justa desidéria compleántur.

 [Per l’efficacia di questo mistero, o Signore, siano distrutti i nostri vizii e compiuti i nostri giusti desiderii.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

SANTO NATALE – TERZA MESSA DURANTE IL GIORNO (2022)

SANTO NATALE – TERZA MESSA DURANTE IL GIORNO (2022)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Staz. a S. Maria Maggiore

In principio era il Verbo, e il Verbo era con Dio. Tutte le cose sono state fatte da Lui» (Vang.). « Tu, o Signore, in principio hai creato la terra: i cieli sono opera delle tue mani » (Ep.). « Tuoi sono i cieli e la terra, sei tu che hai creato l’Universo e tutto ciò che contiene » (Off.). L’uomo, che è stato creato da Dio, da Lui sarà ristabilito nella primitiva dignità. Così «il Verbo Si fece carne ed abitò fra noi» (Vang.). « Iddio, in questi ultimi tempi (cioè nei giorni messianici) ci ha parlato nella persona del Figlio, che è lo splendore della sua gloria » (Ep.). – Così la Chiesa canta oggi che una gran luce è discesa sulla terra (Allel.). Questa luce ha brillato nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta, perché il Verbo è venuto nel mondo, ma i suoi non l’hanno ricevuto. A quelli invece che l’hanno accolto ha dato il potere di divenire figli di Dio (Vang.). « È infatti per liberarci dalla schiavitù del peccato, per purificarci dalle nostre colpe (Secr.) e per farci nascere alla vita divina (Postc.) che l’Unigenito di Dio è nato secondo la carne » (Ep.). – Più di settecento anni prima di questa nascita, Isaia esaltava già la potenza dell’Uomo-Dio. « Un bambino ci è nato, egli porterà i segni della sua regalità ». E i prodigi ch’Egli operò sono raffigurati in quelli che Dio fece quando liberò gli Israeliti dalla schiavitù d’Egitto (Vers. dell. Intr.). Così, oggi come allora, «tutti i confini della terra sono testimoni della salvezza che Dio operò per il suo popolo » (Grad. Comm.). La salvezza che Cristo ha realizzato nel suo primo avvento, la compirà alla fine dei tempi. « Dopo che Gesù ebbe operato la purificazione dai peccati, spiega l’Apostolo Paolo, salì in Cielo, dove è assiso alla destra della Maestà divina » (Ep.). La sua umanità glorificata partecipa dunque del trono dell’Eterno: «Il tuo trono, o Dio, è nei secoli dei secoli: scettro del tuo regno è uno scettro di giustizia » (Ep.) o le basi del tuo trono » (Offert.). « E un giorno, dice S. Luca, il Figlio dell’Uomo verrà nella sua gloria e in quella del Padre e degli Angeli suoi a rendere a ciascuno secondo le proprie opere ». Quando Dio manderà di nuovo (cioè alla fine del mondo) il suo Primogenito sulla terra dirà: « tutti gli Angeli lo adorino » (Ep.). E ci sarà allora una trasformazione di tutte le creature, perché il Figlio di Dio, che non muta, rinnoverà le creature come si fa di un vestito vecchio (Ep.). E l’Apostolo in una settima citazione delle Sacre Scritture, che segue quelle che troviamo oggi nell’Epistola, aggiunge che « Iddio farà allora dei nemici di Cristo uno sgabello ai suoi piedi ». Sarà il trionfo finale del Verbo incarnato che punirà, nella sua seconda venuta quelli che non l’avranno accolto nella prima; mentre farà partecipi della sua immortalità quelli che saranno nati da Dio, avendo questi accolto con fede e con amore il Verbo incarnato, come lo hanno accolto i Re Magi, venuti da lontano per adorarlo (Vangelo dell’Epifania, letto come ultimo Vang.). Ed essendo Gesù presente anche nell’Eucaristia come lo era a Betlemme, adoriamolo sull’Altare, vera mangiatoia dove si trovò il Bambino Gesù, perché  in questo tempo di Natale la liturgia, grazie al Messale, ci rappresenta  l’Ostia nel quadro di Betlemme. È nella gran Chiesa della Vergine, che a Roma rappresenta Betlemme, che si celebra la Messa del giorno di Natale, come si è celebrata quella di mezzanotte.

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Isa IX: 6
Puer natus est nobis, et fílius datus est nobis: cujus impérium super húmerum ejus: et vocábitur nomen ejus magni consílii Angelus.

[Ci è nato un Bambino e ci è stato dato un Figlio, il cui impero poggia sugli omeri suoi: il suo nome sarà Angelo del buon consiglio.]

Ps XCVII
Cantáte Dómino cánticum novum, quia mirabília fecit.

[Cantate al Signore un cantico nuovo: poiché ha fatto cose mirabili.]
V. Glória Patri, et Fílio, et Spirítui Sancto.
R. Sicut erat in princípio, et nunc, et semper, et in sǽcula sæculórum. Amen.
Puer natus est nobis, et fílius datus est nobis: cujus impérium super húmerum ejus: et vocábitur nomen ejus magni consílii Angelus.

[Ci è nato un Bambino e ci è stato dato un Figlio, il cui impero poggia sugli omeri suoi: il suo nome sarà Angelo del buon consiglio.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.
Concéde, quǽsumus, omnípotens Deus: ut nos Unigéniti tui nova per carnem Natívitas líberet; quos sub peccáti jugo vetústa sérvitus tenet. P
er eúndem ….

[Concedici, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente, che la nuova nascita secondo la carne del tuo Unigenito, liberi noi, che l’antica schiavitù tiene sotto il gioco del peccato]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Hebrǽos.
Hebr 1:1-12

Multifáriam, multísque modis olim Deus loquens pátribus in Prophétis: novíssime diébus istis locútus est nobis in Fílio, quem constítuit herédem universórum, per quem fecit et sǽcula: qui cum sit splendor glóriæ, et figúra substántia? ejus, portánsque ómnia verbo virtútis suæ, purgatiónem peccatórum fáciens, sedet ad déxteram majestátis in excélsis: tanto mélior Angelis efféctus, quanto differéntius præ illis nomen hereditávit. Cui enim dixit aliquándo Angelórum: Fílius meus es tu, ego hódie génui te? Et rursum: Ego ero illi in patrem, et ipse erit mihi in fílium? Et cum íterum introdúcit Primogénitum in orbem terræ, dicit: Et adórent eum omnes Angeli Dei. Et ad Angelos quidem dicit: Qui facit Angelos suos spíritus, et minístros suos flammam ignis. Ad Fílium autem: Thronus tuus, Deus, in sǽculum sǽculi: virga æquitátis, virga regni tui. Dilexísti justítiam et odísti iniquitátem: proptérea unxit te Deus, Deus tuus, óleo exsultatiónis præ particípibus tuis. Et: Tu in princípio, Dómine, terram fundásti: et ópera mánuum tuárum sunt cœli. Ipsi períbunt, tu autem permanébis; et omnes ut vestiméntum veteráscent: et velut amíctum mutábis eos, et mutabúntur: tu autem idem ipse es, et anni tui non defícient.

[Iddio, che nei tempi antichi aveva parlato a più riprese e in molte maniere ai nostri padri per mezzo dei profeti, in questi ultimi tempi ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che costituì erede di tutte le cose, mediante il quale ha anche creato il mondo. Questo Figlio è l’irradiazione e l’immagine della sua gloria, è l’impronta della sua sostanza e tutte le cose sostenta con la sua potente parola; Egli, dopo averci purificati dai peccati, si è assiso alla destra della divina maestà nell’alto dei cieli: fatto di tanto superiore agli Àngeli, quanto è più eccellente del loro il nome da Lui avuto. Infatti: a quale mai degli Àngeli Dio ha detto: Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato? e ancora: Io gli sarò padre ed egli mi sarà figlio? E di nuovo, quando introduce il primogénito nel mondo, dice: Lo adòrino tutti gli Àngeli di Dio. Quanto poi agli Àngeli, Egli dice: Colui che fa suoi messaggeri gli spiriti, e suoi ministri le fiamme di fuoco. Al suo Figlio invece dice: Il tuo trono, o Dio, sussiste nei sécoli del sécoli, lo scettro del tuo regno è scettro di equità: tu hai amato la giustizia e odiato l’iniquità, perciò ti unse il Signore Dio tuo con olio di letizia sopra i tuoi colleghi. E ancora: Fin da principio, o Signore, tu fondasti la terra, e i cieli sono opera delle tue mani: essi periranno ma tu rimani, e tutti invecchieranno come un vestito, e tu li muterai come un mantello, ed essi cambieranno, tu invece rimani sempre lo stesso e gli anni tuoi non verranno meno.]

Graduale


Ps XCVII: 3; 2
Vidérunt omnes fines terræ salutare Dei nostri: jubiláte Deo, omnis terra.

[Tutti i confini della terra vídero la salvezza del nostro Dio: tutta la terra acclàmi a Dio.]

V. Notum fecit Dominus salutare suum: ante conspéctum géntium revelávit justitiam suam. Allelúja, allelúja.

[V. Il Signore ci fece conoscere la sua salvezza: agli occhi delle genti rivelò la sua giustizia. Allelúia, allelúia.]


V. Dies sanctificátus illúxit nobis: veníte, gentes, et adoráte Dóminum: quia hódie descéndit lux magna super terram. Allelúja.

[V. Un giorno sacro ci ha illuminati: venite, genti, e adorate il Signore: perché oggi discende gran luce sopra la terra. Allelúia.]

Evangelium
Initium sancti Evangélii secúndum Joánnem.
R. Glória tibi, Dómine.
Joann 1:1-14
In princípio erat Verbum, et Verbum erat apud Deum, et Deus erat Verbum. Hoc erat in princípio apud Deum. Omnia per ipsum facta sunt: et sine ipso factum est nihil, quod factum est: in ipso vita erat, et vita erat lux hóminum: et lux in ténebris lucet, et ténebræ eam non comprehendérunt. Fuit homo missus a Deo, cui nomen erat Joánnes. Hic venit in testimónium, ut testimónium perhibéret de lúmine, ut omnes créderent per illum. Non erat ille lux, sed ut testimónium perhibéret de lúmine. Erat lux vera, quæ illúminat omnem hóminem veniéntem in hunc mundum. In mundo erat, et mundus per ipsum factus est, et mundus eum non cognóvit. In própria venit, et sui eum non recepérunt. Quotquot autem recepérunt eum, dedit eis potestátem fílios Dei fíeri, his, qui credunt in nómine ejus: qui non ex sanguínibus, neque ex voluntáte carnis, neque ex voluntáte viri, sed ex Deo nati sunt. Hic genuflectitur Et Verbum caro factum est, et habitávit in nobis: et vídimus glóriam ejus, glóriam quasi Unigéniti a Patre, plenum grátiæ et veritátis.

[In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio. Tutto è stato fatto per mezzo di Lui, e senza di Lui nulla è stato fatto di ciò che è fatto. In Lui era la vita e la vita era la luce degli uomini. E la luce splende tra le tenebre e le tenebre non l’hanno accolta. Ci fu un uomo mandato da Dio, il cui nome era Giovanni. Questi venne come testimonio, per rendere testimonianza alla luce, affinché tutti credessero per mezzo di lui. Egli non era la luce, ma era per rendere testimonianza alla luce. Era la luce vera che illumina ogni uomo che viene in questo mondo. Era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di Lui, e il mondo non lo conobbe. Venne nella sua casa, e i suoi non lo accolsero. Ma a quanti lo accolsero diede il potere di diventare figli di Dio: a loro che credono nel suo nome: i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono nati. Genuflettiamo E il Verbo si fece carne Ci alziamo, e abitò tra noi: e noi abbiamo visto la sua gloria, gloria come di Unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità..]

Omelia

(Mons. G. Bonomelli: Misteri cristiani, vol. I – tipog. Queriniana, Brescia, 1894)

Chi è Gesù Cristo?

Tra i vari popoli, quasi ultimo, è il popolo di Giuda; e piccola borgata di Giuda è Betlemme; e a Betlemme, la più miserabile capanna, o piuttosto, la più squallida grotta è quella dove oggi si è ricoverata una verginella ignota in tutto Israele: e questa verginella oggi ci ha largito un pargolo. Gli angeli ne annunziano il nascimento cantando: — gloria a Dio ne’ cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà —. E come ciò, o carissimi? Colui che tiene il vertice degli esseri, l’Essere primo, l’Essere infinito, che crea e lancia negli spazii immensurabili del cielo, quasi fossero minutissima polvere d’oro e d’argento, innumerevoli astri, discende su questa povera aiuola della terra, si impiccolisce a Betlemme, si nasconde in una grotta, si fa bambino, l’ultimo dei bambini d’Israele, perché io credo che nessuno di loro fosse nato in una grotta. Sì, alla vista di tanta umiliazione comprendo come la ragione umana orgogliosa si sdegni e gridi coll’antico Marcione «Aufer a nobis pannos et dura præsepia — Levaci dinnanzi queste fasce e questa dure mangiatoia »: tutto ciò è indegno di Dio, Creatore e Signore dell’universo. Ma la fede a sua volta con voce ancora più alta grida « Et Verbum caro factum est ». Colui, che è primo, conveniva che fosse anche l’ultimo « Primus et novissimus ». Colui che è l’alfa doveva essere l’omega « Alfa et Omega ». Il principio era mestieri diventasse anche fine « principium et finis »; perché tutto per lui fosse compiuto « ut impleret omnia ». Vi è una legge sovrana in cielo e in terra ed è questa – Chi si abbassa sarà esaltato – Dio solleva gli umili – e Dio, che l’ha stabilita, l’applica a se stesso. Egli, il Sommo, l’Infinito, che i cieli non comprendono, scende giù giù per la scala degli esseri usciti dalla sua mano creatrice: come raggio di luce attraversa le Gerarchie celesti: – può scendere ancora e scende: attraversa tutti i soli e gli astri, centri di luce – : può scendere ancora e scende: scende fin su questa terra, priva di luce propria, quasi ultimo lembo del creato. Su questa terra esiste un essere, spirito nella parte più nobile, materia nella parte men nobile: in questa si appuntano pressoché tutti gli elementi corporei e vengono a contatto immediato collo spirito. Egli, che sta sopra tutte le cose e tutte le crea, le conserva e le governa, discende sin qui, unisce a sé questo spirito, e con esso unisce a sé questo corpo, ultima eco e quasi sfumatura dell’essere, per rifar poi la via e risalire la scala percorsa, trascinandosi dietro l’universo tutto, corpi, anime e Angeli e tutto riconducendo ai piedi di Dio. — Come raggio, direbbe il principe de’ poeti, che ritorna: Dritto pur su al principio, onde si parte. Chi vuol tirare a sé una cosa la piglia pel lembo estremo; chi con una leva vuol sollevare un corpo, punta la leva sopra un piccolo punto e al lato estremo del corpo che vuol sollevare. È ciò che fece il Verbo divino, collocandosi su questo punto minimo del creato, pigliando l’uomo, spirito e corpo, per sollevare con esso il tutto al di sopra degli altri e il tutto ricondurre a Dio. Eccolo, fratelli, questo Primo ed Ultimo, questo Alfa ed Omega, questo Principio e Fine, questo Dio ed Uomo; vedetelo quasto pargolo fra le braccia d’un’umile verginella, in una stalla, nel cuor della notte, tremante del freddo, egli che è la Luce eterna, che infiamma i Serafini!

O Figlio, o Tu, cui genera / L’Eterno eterno seco / Qual ti può dir de’ secoli / Tu cominciasti meco? – Nel tuo annientamento, o Figlio di Dio, o Salvatore del mondo, o Dio-Uomo, prostrato nella polvere, ti riconosco e ti adoro e ti chiedo perdono, se oggi, dinanzi a questo popolo devoto, oserò fissare l’occhio nel mistero dei misteri, nelle nozze ineffabili della divina ed umana natura nell’unità della tua adorabile Persona. — Vi ho annunziato l’assunto che imprendo a trattare. – A chi, rischiarato dalla fede, contempla e studia Gesù Cristo necessariamente si affacciano tre termini distinti, ma tra loro inseparabili e sono: 1° Dio, o più propriamente la seconda Persona dell’augusta Trinità, il Verbo del Padre, che assume l’umana natura; 2° l’umana natura istessa dal Verbo divino assunta; 3° il modo, con cui fu assunta, che è quanto dire il vincolo, che unisce l’umana natura al Figlio di Dio. Pelago sterminato, sparso, di scogli, che devo percorrere sopra fragile navicella; buon per me e per voi, che in alto, sopra i nostri capi, splende l’astro della fede, che mai non si eclissa, né vela: fissi gli occhi in quell’astro, spieghiamo arditamente le nostre vele. – Il primo termine, che in Gesù Cristo ci si presenta, è il Verbo divino, il Figlio dell’Eterno. Ebbene: chi è desso? Formidabile domanda, a cui rispondo, condensando in poche parole l’insegnamento della fede e le ultime deduzioni della stessa umana ragione. Parlando di Dio, se vogliamo intendere qualche cosa, conviene tener sempre l’occhio sulla sua immagine più bella, più perfetta, a noi più vicina, che è l’uomo, che siamo noi stessi. Fermiamo adunque l’occhio della mente ciascuno sopra se stesso. La prima cosa che in noi si offre allo sguardo, è il corpo co’ suoi sensi; non curiamoci di esso; perché non è che l’involucro d’un’altra sostanza incomparabilmente più nobile, che dicesi anima. Valichiamo la soglia dell’anima, penetriamo in questo santuario; ne’ suoi recessi misteriosi; spingiamoci fin là dove nasce e brilla il pensiero. Che è desso? È una emanazione perenne dell’anima, è figlio della mente e ci presenta l’immagine di essa e di tutto ciò che essa pensa; è lo specchio fedele, in cui l’una dopo l’altra passano le immagini di tutte le cose che esistono nel mondo visibile e nel mondo invisibile. Questo pensiero è distinto dall’anima, che lo genera da sé, che lo produce senza fatica, senza separazione, che è dentro di essa e fuori di essa, e che con essa forma una sola cosa tantoché essa dice con verità: Io penso; io e il mio pensiero sono una cosa sola e nessuna forza potrà disgiungerlo da me. L’anima si vede, si contempla nel suo pensiero, tutta in esso si attua, ed esso la dice tutta qual è. L’anima nostra, o fratelli, produce da sé innumerevoli pensieri; chi li potrebbe contare? Chi potrebbe dire: questo è l’ultimo de’ suoi pensieri e qui si esaurisce la sua fecondità? Questa molteplicità inesauribile dei pensieri dell’anima nostra se mostra la sua fecondità, mostra pure la sua debolezza. Perocché quanto più un essere riduce all’unità le sue forze e concentra la sua attività e tanto più esso è perfetto. L’uomo di genio in un lampo abbraccia le cose più disparate e ne conosce i rapporti: egli non va passo passo, di ragionamento in ragionamento, deducendo o inducendo: guarda e giudica con occhio sicuro. Più, l’uomo ha la mente acuta e pronta e più abbrevia, condensa i suoi pensieri e si accosta all’uno: più l’ha fiacca e pigra e più è lento il suo cammino e più numerosi sono i passi, ossia i suoi pensieri: il numero supplisce necessariamente il difetto di intensità. Se noi potessimo con pochissimi pensieri, anzi con un solo pensiero comprendere tutte le cose che comprendiamo con tanti pensieri, non saremmo noi più perfetti? La condizione di colui, che con un solo salto rapidissimo dalle vette dell’Alpi passasse sulla vetta dell’Himalaia non sarebbe immensamente migliore di colui, che tutto quello spazio dovesse valicare passo a passo? Ebbene: Dio, perché infinita perfezione, riduce tutti i suoi atti interni all’unità massima: ha un solo pensiero, eterno, infinito, immutabile, sostanziale, che comprende, con somma perfezione, tutti i pensieri, tutte le cognizioni, sempre in atto: è il figlio della sua mente, il suo Verbo, che emana dalla sua sostanza, tutta la esprime e tutto dice ciò che è fuori di essa. È un solo Pensiero semplicissimo e non può essere che un solo, perché  tutti li contiene e a tutti basta. Volete conoscere più chiaramente questo mistero dell’uomo e di Dio? Seguitemi colla vostra mente. Schieratevi intorno tutte le opere, poniamo, uscite dalla mano di Michelangelo, tutte le figure effigiate da Raffaello: vedete questo tempio magnifico con tutte le sue parti massime e minime; tutte queste opere, queste figure, questo tempio, prima di esistere, erano in tutti i loro più minuti Particolari nella mente, nel pensiero di Michelangelo, di Raffaello, dell’architetto costruttore. Chi ne può dubitare? come vi erano? Vi erano tutte in un solo Punto, e insieme distintissime, ben più perfettamente che non sia l’albero nel suo seme. E in quanto erano nella loro mente, erano invisibili e formavano colla mente una sola cosa; ed anche dopo che furono esternamente attuate non cessarono d’essere nella mente, che le ideava. Tutto questo è d’una evidenza incontestabile. Ora a noi, o fratelli carissimi. Girate il Vostro sguardo sulla terra tutta quanta; penetrate nelle sue viscere e negli abissi del mondo: scorrete col pensiero le Creature tutte, dal sottile filo d’erba, che spunta sul prato, alla quercia annosa che sfida le procelle: dai microbi che a mille e a mille navigano in una gocciola d’acqua, all’aquila che spazia nei campi de’ cieli: ricordate i milione i miliardi di esseri viventi nell’aria, nell’acqua, nel seno della terra: pensate al loro organismo invisibile all’occhio nudo eppure in ogni parte perfettissimo: pensate che quello che vediamo sulla terra non è la milionesima parte di ciò che deve essere se minato nei tanti e sì vasti mondi dell’universo creato. Non basta: pensate ai miliardi di uomini che furono e saranno sulla terra, alla fecondità della intelligenza loro: pensate ai miliardi di spiriti angelici e a tutti i pensieri che sgorgano dalla loro intelligenza come raggi dal sole: pensate a tutti i corpi, a tutte le anime, a tutti gli spiriti, che esistono ed esisteranno, a tutto ciò che fecero e faranno. Quanta grandezza! Qual ordine! Quali armonie! Quali bellezze! La mente rimane attonita, oppressa, schiacciata. Tutto questo, o fratelli carissimi, prima di svolgersi per l’universo, dov’era? Tutte queste creature, ciascuna delle quali è una meraviglia di perfezione e bellezza, con tutte le loro forze e proporzioni stupende erano e sono tutte senza eccezione nella Mente divina; Essa le contiene tutte in sé quali sono e con una perfezione ineffabile ridotte nella sua mente ad una sovrana unità. E non dimenticate che quella Mente, quel Pensiero infinito ed eterno potrebbe produrre altri esseri senza numero, belli e più belli dei creati, che conosciamo. Ecco chi è il Figlio di Dio, il Verbo del Padre; Esso il Candore dell’eterna luce, lo Specchio della sua bontà, l’Immagine vera e reale, lo Splendore della sostanza di Lui; Egli è quell’unico, eterno e semplicissimo atto con cui Dio pensa se stesso e tutte le cose, che ha creato e può creare. Ma di questo Verbo Divino ragionerò più distesamente più innanzi, allorché verremo considerando il mistero della Santa Trinità. – Ora che alcun poco sapete chi sia il Verbo Divino, che. assume, è da vedere qual sia la natura umana che è assunta. L’uomo perfetto consta delle due sostanze, anima e corpo, come insegna la filosofia. L’anima, perché più simile a Dio, a Lui si unisce meglio del corpo e in ordine, non di tempo, ma di dignità e di causa, è assunta prima del corpo; come insegna S. Tommaso. Dio – Trinità, Padre, Figliuolo e Spirito Santo, con un atto eterno, semplicissimo della mente concepisce un’anima umana la più perfetta, che a lui sia possibile, e concependola, coll’atto eterno e semplicissimo della sua volontà la crea dal nulla. In quest’anima, supremo capolavoro della sapienza e potenza creatrice, brilla in tutto il suo fulgore l’intelligenza, quale si convien la sua perfezione. Congiunta a questa intelligenza sovrana svolgesi la volontà, degna esecutrice della intelligenza: volontà sì alta, sì retta, che non può volere che il bene. Mentre Dio crea quest’anima forma un corpo che le deve essere degno compagno: e perché sia degno compagno di tant’anima, non vuole che uomo vi abbia parte alcuna. Egli stesso, Dio-Trinità, Causa d’ogni causa, coll’infinita sua virtù, immediatamente nel seno d’una vergine, preservata da ogni infezione di colpa, forma un corpo d’una perfezione quale era possibile a Lui onnipotente. E questo corpo, che dovette essere un miracolo di proporzioni e di bellezza, congiunge all’anima, che lo informa, lo fa suo. Fra quest’anima e questo corpo non vi è nulla di mezzo, non forma subalterna, non anima vegetativa, non anima sensitiva: È l’anima umana, razionale, creata da Dio, ed unita al corpo forma una sola natura. Queste corpo non discende di cielo, non è formato d’altra sostanza qualsiasi: esso non era che un germe rudimentale, che da Adamo, passando di generazione in generazione, pervenne nella Vergine e in Ella per virtù divina fiorì corpo perfetto, abitacolo degno di quell’anima che verrà disposata al Verbo divino – Et Verbum caro factum est -. Fratelli carissimi! Abbiamo un’anima, adorna di tutte le sue doti e potenze, intelligenza, volontà, libertà in sommo grado: abbiamo un corpo egualmente fornito di tutte le qualità più perfette, opera immediata di Dio: abbiamo l’unione di quest’anima e di questo corpo, compiutasi nell’istante medesimo, in cui quella creata e questo formato: che avveniva in quell’istante medesimo? Quali rapporti si stabilivano tra questa natura umana e la Persona del Figlio di Dio? Mi tarda di dirvelo, perché ogni indugio mi fa temere che voi possiate immaginare la natura umana già esistente prima della sua unione col Verbo divino e perciò abbrevio e quasi tronco a mezzo a mezzo la seconda parte del mio assunto per passare alla terza, che la compie e la spiega. Vi domando tutta l’attenzione perché si tratta di vedere, per quanto è dato a noi, il nodo, che congiunge le sue nature. Per aiutare la nostra povera mente, ritorniamo all’uomo, all’immagine più viva di Dio sulla terra, seguendo la via segnata da S. Agostino e da S. Fulgenzio. – Uomo, entra ancora in te: ferma l’occhio sulla punta dello Spirito, dove si genera il pensiero. Forma un pensiero, un’idea qualunque, poniamo l’idea della luce. Questa idea della luce è lì nella tua mente, distinta dall’anima tua, da te, che la vagheggi: nessuno la vede, non la può nemmeno sospettare. Tu puoi tenerla entro te stesso; nessuno ti costringe a manifestarla. Tu liberamente, come e quando vuoi, pronunci la parola luce. Che è avvenuto? L’idea della luce rimane ancora tutta intera nella tua mente e nello stesso tempo essa si è in modo per noi inesplicabile congiunta col suono della tua voce, ed è uscita, ed io l’ho udita, ho pensato alla luce come te ed ho conosciuto il tuo pensiero. Vedi, l’idea della luce non si è partita dalla tua mente, che l’ha generata; si è come incarnata nel suono, divenuto suo involucro ed è rimasta dentro, si è fatta conoscere e non si è mutata, è diventata sensibile ed è ancora invisibile ed è ancora invisibile; il suono, in cui si chiude, è ristretto, si scioglie, ma l’idea non è ristretta, né si scioglie. Similmente il Verbo, Idea sostanziale del Padre, resta sempre in Lu, eppure Esso assume l’umana natura e si fa conoscere agli uomini: Egli, invisibile in sé, diventa visibile nella natura assunta: Egli è immutabile, infinito in sé, e diventa mutabile, finito in quanto si unisce all’umana natura: Egli è nel seno del Padre e nel seno della madre e un solo in lui come un solo nella natura che prende. Pensaci, o uomo; e in qualche modo comprenderai come avvenne l’unione fra le due nature. – Ma proseguiamo e svolgiamo più ampiamente il mistero. Vedete un ferro: ponetelo in un fuoco ardente: si arrossa, si infuoca: non vi è punto di quel ferro che non sia penetrato e investito dal fuoco; fuoco e ferro formano per poco una cosa sola. È questa l’unione del Verbo divino coll’umana natura? No: questa è unione accidentale, temporaria, cresce, scema e cessa: quella, compiutasi in un istante, durerà eterna e sempre eguale. L’unione delle sostanze tra loro diverse è tanto più intima e perfetta quanto più nobile e perfetta è la loro natura: qual natura più perfetta della natura divina e della natura umana assunta dal Verbo e perciò quale unione di quella maggiore? Vedete quest’albero: esso ha le radici, il tronco, i rami, le foglie: attraverso ai suoi innumerevoli e sottilissimi filamenti filtra l’umore e con esso la vita, che si spande con equa misura in tutte le parti anche minime ed invisibili: il succo vitale e la pianta sono distinti tra loro, ma pure formano una sola cosa tantoché voi dite: Eccovi una pianta. È tale l’unione delle due nature in Gesù Cristo? No: bisogna salire più alto. Vedete la mente umana: essa è fatta per la verità, che è l’oggetto suo naturale. Allorché la verità si presenta alla mente, questa l’afferra, la fa sua e in essa si riposa. Tra la verità e la mente si forma un connubio mirabile; tantoché l’una è nell’altra e l’unione è massima. È tale l’unione tra l’umana e la divina natura in Gesù Cristo? No: quella non è unione di due nature, non costituisce una sola persona e il vincolo si può rallentare e sciogliere. Quante volte la verità si separa dalla mente! Dio nelle anime sue più elette versa senza misura la luce della verità e l’effluvio della sua grazia: quella investe la mente e l’avvolge negli splendori della verità come il sole investe e fa lucida la nube, su cui vibra i suoi raggi; questo penetra e trasforma la volontà, la eleva, la feconda e la rende atta alle opere più sublimi ed eroiche. Supponete che questa luce e questo effluvio della grazia divina versata in un’anima cresca, cresca sempre: supponete che tutte le grazie concesse agli Angeli, ai Patriarchi, ai Profeti, agli Apostoli, alla stessa Madre di Dio, sia unita a fusa insieme in una sola grazia; supponete che questa grazia sia raddoppiata, centuplicata mille volte, mille milioni di volte e poi versatela tutta in un’anima sola. Grande Iddio! Qual miracolo di santità e di perfezione! Quest’anima deve possedere tutti i tesori della scienza, della virtù e della santità: contemplandola, per poco noi vediamo dileguarsi in lei tutto ciò che è umano e creato e non apparisce che il divino: l’essere suo ci sembra meno di un impercettibile atomo travolto nei vortici luminosi dell’astro del giorno. È questa; o fratelli, l unione della divina e umana natura nel Figlio di Maria? No, no: se fosse questo Gesù Cristo sarebbe sempre un santo, il sommo dei santi, un prodigio di virtù e perfezione, ma sarebbe sempre un uomo, un semplice uomo, mentre la fede ci grida, ch’Egli è Dio. Non sarebbe il Verbo che si fa uomo, ma l’uomo che si solleva e si avvicina a Dio. L’elemento primo intorno a cui si condensa tutto questo oceano di luce e di perfezioni sarebbe l’uomo e Cristo non sarebbe che un uomo. – Quale dunque è codesta unione? Forseché la natura umana si perde tutta nella divina, come una goccia di latte si perde nel mare, o come una stilla di rugiada è bevuta dal sole? Ma allora l’essenza divina acquisterebbe alcunché e si muterebbe; allora la natura umana sarebbe annientata e non avremmo l’unione delle due nature, ma sì il cessamento d’una di esse e l’incarnazione e la riparazione nostra resa impossibile. – Ma dunque dimmi, o fede, come posso io concepire l’unione dell’umana e della divina natura nel mio Salvatore, Gesù Cristo? Parla, ch’io ti ascolto riverente. Apro un libro, che mi mette tra mano la Chiesa: trovo il simbolo di S. Atanasio, lo scorro e leggo tra le altre queste parole: « Come ragionevole l’anima e il corpo è un solo uomo, così Dio e l’uomo è un solo Cristo – Sicut anima rationalis et caro unus est homo, ita Deus et homo unus est Christus ». Il simbolo della fede per farci pur comprendere alcunche dell’inarrivabile mistero ci riconduce all’uomo, immagine imperfetta sì, ma sempre la più bella dei due grandi misteri della Trinità e della Incarnazione. O uomo, fissa ancora l’occhio della mente sopra te stesso e nell’essere tuo scorgi adombrato il mistero dell’unione dell’umana colla divina natura di Cristo. Tu hai un corpo: in esso tu vedi, odi, gusti, tocchi altri corpi e senti: per esso tu fai conoscere i tuoi pensieri e i tuoi affetti e per esso conosci tutto ciò che avviene fuori di te. Questo corpo occupa un piccolo spazio, ha mille bisogni di cibo e di bevanda; ha bisogno di coprirsi, di difendersi dal freddo e dal caldo. Tu hai un’anima: essa ragiona e discute, giudica, vuole, approva, disapprova, ama, odia, non ha bisogno di cibo e di bevanda, ma ha fame e sete inestinguibile del vero, del bello, del bene: il corpo tuo si muta ogni giorno e in pochi anni del corpo d’oggi tu non serberai più un solo atomo; l’anima tua, nella sua sostanza, è oggi quel che era dieci, trenta, cinquant’anni or sono. L’anima tua e il tuo corpo sono due sostanze differentissime; questo è fitto qui sulla terra, in un punto della terra; quella spazia dove vuole nei campi del cielo, sulla distesa immensa de’ mari e nei campi ben più vasti del vero. Tu hai il corpo, tu hai l’anima; dimmi: sei tu un solo? Sei tu due? Tu mi rispondi prontamente: Io, io sono un solo, un solo uomo; io sono nel corpo, e vedo, odo, parlo, mangio, bevo, lavoro: io sono nell’anima e intendo, ragiono, voglio, distinguo il vero dal falso, il bene dal male: io sono composto e semplice, visibile e invisibile, limitato in un punto dello spazio e illimitato, sono mortale e immortale; io sono corpo e spirito, e sono un solo, indivisibile io – Anima et caro unus est homo -. L’anima mia tutto pervade il mio corpo, lo avviva, lo muove, lo informa, è tutta in ogni suo punto, lo fa sussistere, ordinando e svolgendo le sue membra, disponendo il suo meccanismo ammirabile e imprigionando in esso tutti gli elementi più disparati, che senza la sua presenza ed energia, quasi sudditi impazienti di freno, fuggirebbero. Tu, uomo, sei dunque un solo io in due sostanze affatto differenti, tutto nell’una e tutto nell’altra e ciò in modo stabile sicché nessuno mai potrà persuaderti che in te esiste un doppio io, una doppia persona, perché hai una doppia sostanza. A chi volesse persuadertelo, tu risponderesti sempre: Io sono un solo to e ne ho la più assoluta e più incrollabile certezza. – Eccoti, uomo, in te stesso una immagine del mistero che oggi celebriamo e adoriamo compiuto in Gesù Cristo. Il Verbo divino, con un atto comune al Padre e allo Spirito Santo, crea dal nulla un’anima, fornita della propria intelligenza, della propria volontà e libertà in tal grado di perfezione, che trascende ogni umano e angelico comprendimento; nello stesso istante per virtù sua forma nel grembo della Vergine un corpo egualmente perfetto e l’unisce all’anima e nel momento stesso, il Verbo piglia pieno possesso di quest’anima e di questo corpo, li fa suoi e dice: – Sono miei! Questa è l’anima mia; questo è il mio corpo, ed io, che sono Dio col Padre e collo Spirito Santo, ora sono anche uomo, vero Dio e vero uomo, un solo io: io Figlio dell’Eterno, io Figlio di Maria! – Ciò che soprattutto in questo mistero vuolsi accuratamente tener sempre innanzi agli occhi della mente è di non dare esistenza all’anima e al corpo di Cristo prima della loro unione colla Persona del Verbo: dobbiamo attenerci serupolosamente a questa formula di S. Leone. « Il Verbo creò l’anima e formò il corpo nello assumerli, e li assunse, creandoli ». Se l’anima e il corpo di Cristo avessero avuto l’esistenza un istante solo prima dell’unione, era inevitabile l’esistenza della persona umana e Cristo sarebbe stato un uomo congiunto a Dio, non mai l’Uomo-Dio: sarebbe stato un uomo, che si solleva fino a Dio, non mai Dio che si fa uomo; la persona umana sarebbe stata coperta, avvolta negli splendori del Verbo, ma non avrebbe mai potuto dire: Io e il Padre siamo una cosa sola. (Giovanni, X, 30). Era necessario che il Verbo, se mi è lecito il dir così, che il Verbo prevenisse lo sviluppo naturale della persona umana nell’assunta natura, ne pigliasse il posto, congiungendo le due nature nella propria Persona in guisa ch’Egli fosse Dio, e insieme Uomo, come noi siamo corporei e spirituali, mortali e immortali nelle due sostanze, onde risulta la nostra natura – Sicut anima rationalis unus est homo, ita Deus et homo unus est Christus. La radice del corpo è l’anima ragionevole; la radice dell’anima ragionevole in Cristo è la Persona divina del Verbo, che corpo ed anima compenetra e possiede e dice: – Io sono Dio: io sono Uomo! – Mistero d’unione, che non ha l’uguale né in terra né in cielo, che riempie di stupore i celesti e nel quale si imperniano i misteri della fede e che, incomprensibile in se stesso, irradia della sua luce infinita tutte le opere di Dio. – Riverenti raccogliamo ancora per pochi istanti gli sguardi della nostra fede sopra l’Homo-Dio, che ci sta dinanzi. L’unica Persona divina del Verbo, che rinserra in sé le due nature, versa senza misura l’oceano delle sue ricchezze nella natura assunta tantoché in quell’istante, in cui la tocca, la stringe a sé e la fa sua, ne è ripiena e riboccante per modo, che più non né potrà avere giammai. La perfezione dell’anima di Cristo non potrà mai per volgere di secoli crescere d’un apice: tutta la sua capacità è svolta e ricolma. La sua intelligenza nell’atto dell’unione vede tutto, comprende tutto e si affisa immediatamente nel mare della divina essenza e d’essa si bea. La nostra mente nel conoscimento della verità cammina lentamente e monta con fatica la scala della scienza un gradino dopo l’altro; la intelligenza di Cristo la sale tutta in un lampo; non un dubbio, non un punto oscuro, non un progresso, non una deduzione, non una nuova scoperta; — in un baleno ha conosciuto tutto ciò che le era possibile conoscere: in essa non è rimasto un punto, un solo filo in potenza, che attende il momento di passare all’atto. Similmente la volontà dell’anima di Cristo nell’istante dell’unione tutte sviluppò le ineffabili sue energie e toccò il vertice possibile d’ogni virtù e santità, togliendole di poter salire più alto, poiché non esiste maggiore altezza. Una comparazione aiuterà la vostra mente a concepire tanto mistero di perfezione. Voi tenete sulla palma della mano un piccolo seme, ponete d’un cedro del Libano. In quel seme sì piccolo si racchiude certamente l’albero magnifico, che un dì giganteggerà su quella vetta superba; ma quanti anni, quanti secoli dovranno trascorrere prima che tutte si svolgano le forze che si contengono nel seme! Quante volte si rinnoveranno le sue foglie e i suoi fiori! Quanta luce e rugiada dovrà bere, quanti umori succhierà dalla terra! Chi di noi può conoscere e determinare tutte le sue evoluzioni, cominciando dal momento, in cui fu affidato alla terra, fino a quello, in cui compie l’ultimo sviluppo della sua potenza? Non è egli vero, che Dio onnipotente, abbreviando il lungo e penoso lavoro della natura, avrebbe potuto in un istante solo sviluppare tutta la potenza di quel tenue seme e trasformarlo nell’albero perfetto, che è l’orgoglio del Libano? Chi ne dubita? Ebbene ciò avvenne nell’anima di Cristo in quel punto ch’essa facea il suo connubio col Verbo: la sua intelligenza e la sua volontà in un attimo fiorirono, fruttificarono, svolsero tutte le loro forze sotto l’azione diretta della Persona divina, e l’una e l’altra nella visione beatifica e nell’immediata unione raggiunsero il termine ultimo di ogni perfezione. Tutte le azioni di questa intelligenza e di questa volontà, che sono e rimangono sempre umane,  diventano divine, perché è sempre la Persona divina, che le muove e governa. Il corpo, strumento dell’anima, riceve anch’esso per mezzo dell’anima l’azione immediata del Verbo divino e, benché soggetto alle debolezze proprie dell’essere suo, è corpo del Verbo e gli atti suoi anche minimi sono fatti propri del Verbo e rigorosamente sono divino – umani. E poiché il valore e il merito delle azioni dipendono necessariamente dalla persona operante e la persona operante nell’umana natura di Cristo è il Verbo, il valore e il merito di essa è divino ed infinito. Ogni atto di questo pargolo benedetto, ogni palpito del suo cuore, ogni suo sospiro, ogni sua lagrima basta ad espiare tutte le colpe dei figli di Adamo e rende a Dio un onore degno di Lui. – O Verbo divino, che tutta esprimete la divina essenza e che siete l’archetipo sovrano di tutte le cose! Noi vi abbiamo contemplato e adorato nel seno del Padre vostro! Oggi vi contempliamo ed adoriamo nella povera nostra natura, che vi degnaste di sposare alla vostra! Voi siete vero Dio, voi siete vero Uomo, un solo Cristo! Noi vi adoriamo sulla terra come gli Angeli e i beati vi adorano in cielo, o benedetto nei secoli dei secoli. Amen

IL CREDO

Offertorium

Orémus.
Ps LXXXVIII: 12; 15
Tui sunt cœli et tua est terra: orbem terrárum et plenitúdinem ejus tu fundásti: justítia et judícium præparátio sedis tuæ.

[Tuoi sono i cieli, e tua è la terra: tu hai fondato il mondo e quanto vi si contiene: giustizia ed equità sono le basi del tuo trono.]

Secreta

Obláta, Dómine, múnera, nova Unigéniti tui Nativitáte sanctífica: nosque a peccatórum nostrórum máculis emúnda. Per eundem …

[Santifica, o Signore, con la nuova nascita del tuo Unigénito, i doni offerti, e puríficaci dalle macchie dei nostri peccati.]

Præfatio de Nativitate Domini

Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Quia per incarnáti Verbi mystérium nova mentis nostræ óculis lux tuæ claritátis infúlsit: ut, dum visibíliter Deum cognóscimus, per hunc in invisibílium amorem rapiámur. Et ídeo cum Angelis et Archángelis, cum Thronis et Dominatiónibus cumque omni milítia cæléstis exércitus hymnum glóriæ tuæ cánimus, sine fine dicéntes.

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: Poiché mediante il mistero del Verbo incarnato rifulse alla nostra mente un nuovo raggio del tuo splendore, cosí che mentre visibilmente conosciamo Dio, per esso veniamo rapiti all’amore delle cose invisibili. E perciò con gli Angeli e gli Arcangeli, con i Troni e le Dominazioni, e con tutta la milizia dell’esercito celeste, cantiamo l’inno della tua gloria, dicendo senza fine:

Santo, Santo, Santo il Signore Dio degli eserciti, i cieli e la terra sono pieni della tua gloria. Osanna nell’alto dei cieli. Benedetto colui che viene nel nome del Signore. Osanna nell’alto dei cieli.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster,

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps XCVII: 3
Vidérunt omnes fines terræ salutáre Dei nostri.

[Tutti i confini della terra hanno visto la salvezza del nostro Dio.]

Postcommunio

Præsta, quǽsumus, omnípotens Deus: ut natus hódie Salvátor mundi, sicut divínæ nobis generatiónis est auctor; ita et immortalitátis sit ipse largítor:
Qui tecum vivit et regnat ….

[Fa’, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente, che il Salvatore del mondo, oggi nato, come è l’autore della nostra divina rigenerazione, così ci sia anche datore dell’immortalità.
Lui che è Dio, e vive e regna con te,…. ]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

PRIMA MESSA DEL SANTO NATALE – DURANTE LA NOTTE (2022)

PRIMA MESSA del SANTO NATALE DURANTE L A NOTTE. (2022)

Doppio di I cl. con ottava privileg. di III ord. – Paramenti bianchi.

Stazione a S. Maria Maggiore all’altare del Presepe.

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Il Verbo, generato nell’eternità del Padre, (Com. Grad.) ha elevato fino all’unione personale con sé il frutto benedetto del seno verginale di Maria, ciò che significa che la natura umana e la natura divina sono legate in Gesù nell’unità di una sola Persona, che è la seconda Persona della SS. Trinità. E, come quando si parla di figliolanza, è la persona che si designa, si deve dire che Gesù è il Figlio di Dio perché la sua persona è divina; è il Verbo incarnato. Perciò Maria è la Madre di Dio; non perché essa abbia generato il Verbo, ma perché ha generato l’umanità che il Verbo si è unito nel mistero dell’Incarnazione; mistero di cui la nascita di Gesù a Betlemme fu la prima manifestazione al mondo. Si comprende allora perché la Chiesa canti ogni anno a Natale: « Puer natus est nobis et Filius datus est nobis»; un fanciullo è nato per noi, un figlio ci viene dato, (Intr., Allei.). Questo Figlio è il Verbo incarnato, generato come Dio dal Padre nel giorno dell’eternità: Ego hodie genui te, e che Dio genera come uomo nel giorno dell’Incarnazione: Ego hodie genui te; perché con l’assunzione della sua umanità in Dio « assumptione humanitatis in Deum » (Simbolo di S. Atanasio), il Figlio di Maria è nato alla vita divina, ed ha Dio stesso per Padre, perché Egli è unito ipostaticamente a Dio Figlio. – «Con grande amore, dice S. Leone, il Verbo incarnato ha ingaggiato la lotta contro satana per salvarci, perché l’onnipotente Signore ha combattuto con il crudelissimo nemico non nella maestà di Dio, ma nella debolezza della nostra carne » (5a Lez.). E la vittoria che ha riportato, malgrado la sua debolezza, mostra che Egli è Dio. – Fu nel mezzo della notte, che Maria mise al mondo il Figlio primogenito e lo depose in una mangiatoia. Cosi la Messa si celebra a mezzanotte nella Basilica di S. Maria Maggiore, dove si conservano le reliquie della mangiatoia. – Questa nascita in piena notte è simbolica. È il « Dio da Dio, luce da luce » (Credo) che disperde le tenebre del peccato. « Gesù è la vera luce che viene a illuminare il mondo immerso nelle tenebre » (Or.). «Col Mistero dell’Incarnazione del Verbo, dice il Prefazio, un nuovo raggio di splendore del Padre ha brillato agli occhi della nostra anima, perché, mentre conosciamo Iddio sotto una forma visibile, possiamo esser tratti da Lui all’amore delle cose invisibili ». « La bontà del nostro Dio Salvatore si è dunque manifestata a tutti gli uomini per insegnarci a rinunciate alle cupidigie umane, per redimerci da ogni bassezza e per fare di noi un popolo gradito, e fervente di buone opere» (Ep.). «Si è fatto simile a noi perché noi diventiamo simili a Lui (Secr.) e perché dietro il suo esempio possiamo condurre una vita santa » (Postcom.). « È cosi che vivremo in questo mondo con temperanza, giustizia e pietà, attendendo la lieta speranza e l’avvento della gloria del nostro grande Iddio Salvatore e nostro Gesù Cristo » (Ep.). Come durante l’Avvento, la prima venuta di Gesù ci prepara dunque alla seconda.

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Ps II:7.
Dóminus dixit ad me: Fílius meus es tu, ego hódie génui te

(Il Signore disse a me: tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato).
Ps II:1
Quare fremuérunt gentes: et pópuli meditáti sunt inánia?

[Perché si agitano le genti: e i popoli ordiscono vani disegni?]

Dóminus dixit ad me: Fílius meus es tu, ego hódie génui te.

[Il Signore disse a me: tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato].

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.
Deus, qui hanc sacratíssimam noctem veri lúminis fecísti illustratióne claréscere: da, quǽsumus; ut, cujus lucis mystéria in terra cognóvimus, ejus quoque gáudiis in coælo perfruámur:

[O Dio, che questa notta sacratissima hai rischiarato coi fulgori della vera Luce, concedici, Te ne preghiamo, che di Colui del quale abbiamo conosciuto in terra i misteriosi splendori, partecipiamo pure i gaudii in cielo:]

Lectio

Léctio Epístolæ beati Pauli Apóstoli ad Titum
Tit II: 11-15
Caríssime: Appáruit grátia Dei Salvatóris nostri ómnibus homínibus, erúdiens nos, ut, abnegántes impietátem et sæculária desidéria, sóbrie et juste et pie vivámus in hoc sǽculo, exspectántes beátam spem et advéntum glóriæ magni Dei et Salvatóris nostri Jesu Christi: qui dedit semetípsum pro nobis: ut nos redímeret ab omni iniquitáte, et mundáret sibi pópulum acceptábilem, sectatórem bonórum óperum. Hæc lóquere et exhortáre: in Christo Jesu, Dómino nostro.

[Carissimo: La grazia salvatrice di Dio si è manifestata per tutti gli uomini e ci ha insegnato a rinnegare l’empietà e le mondane cupidigie, e a vivere in questo mondo con temperanza, giustizia e pietà, aspettando la lieta speranza e la manifestazione gloriosa del nostro grande Iddio e Salvatore nostro Gesù Cristo. Egli ha dato sé stesso per noi, a fine di riscattarci da ogni iniquità, e purificare per sé un popolo suo proprio, zelante per buone opere. Insegna queste cose e raccomandale: in nome del Cristo Gesù, Signore nostro.]

Aspirazione. Siate benedetto, o mio divin Salvatore, che vi siete degnato di scendere dal cielo e rivestirvi di nostra carne mortale, per venire ad insegnarmi il cammino giustizia! Riconoscente a sì grande amore e per  profittare di un sì gran benefizio, rinunzio ad ogni empietà e ad ogni inimicizia, ai piaceri della carne ed a tutte le azioni, parole, pensieri che potessero dispiacervi, e prometto fermamente di vivere con temperanza, giustizia e pietà. Deh! la vostra grazia, o mio Dio, mi renda fedele ai disegni che essa m’ispira! (Goffinè: Manuale per la santif. della Domenica, etc …)

Graduale

Ps CIX:3; 1
Tecum princípium in die virtútis tuæ: in splendóribus Sanctórum, ex útero ante lucíferum génui te.
[Con te è il principato dal giorno della tua nascita: nello splendore dei santi, dal mio seno ti ho generato, prima della stella del mattino.]

V. Dixit Dóminus Dómino meo: Sede a dextris meis: donec ponam inimícos tuos, scabéllum pedum tuórum. Allelúja, allelúja.

[V. Disse il Signore al mio Signore: Siedi alla mia destra: finché ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi. Allelúia, allelúia.]

Ps II:7
V. Dóminus dixit ad me: Fílius meus es tu, ego hódie génui te. Allelúja.

[V. Il Signore disse a me: tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secundum Lucam
Luc 2:1-14
In illo témpore: Exiit edíctum a Cæsare Augústo, ut describerétur univérsus orbis. Hæc descríptio prima facta est a præside Sýriæ Cyríno: et ibant omnes ut profiteréntur sínguli in suam civitátem. Ascéndit autem et Joseph a Galilæa de civitáte Názareth, in Judæam in civitátem David, quæ vocatur Béthlehem: eo quod esset de domo et fámilia David, ut profiterétur cum María desponsáta sibi uxóre prægnánte. Factum est autem, cum essent ibi, impléti sunt dies, ut páreret. Et péperit fílium suum primogénitum, et pannis eum invólvit, et reclinávit eum in præsépio: quia non erat eis locus in diversório. Et pastóres erant in regióne eádem vigilántes, et custodiéntes vigílias noctis super gregem suum. Et ecce, Angelus Dómini stetit juxta illos, et cláritas Dei circumfúlsit illos, et timuérunt timóre magno. Et dixit illis Angelus: Nolíte timére: ecce enim, evangelízo vobis gáudium magnum, quod erit omni pópulo: quia natus est vobis hódie Salvátor, qui est Christus Dóminus, in civitáte David. Et hoc vobis signum: Inveniétis infántem pannis involútum, et pósitum in præsépio. Et súbito facta est cum Angelo multitúdo milítiæ coeléstis, laudántium Deum et dicéntium: Glória in altíssimis Deo, et in terra pax hóminibus bonæ voluntátis.

[In quel tempo: Uscì un editto di Cesare Augusto che ordinava di fare il censimento di tutto l’impero. Questo primo censimento fu fatto mentre Quirino era preside della Siria. Recandosi ognuno a dare il nome nella propria città, anche Giuseppe, appartenente al casato ed alla famiglia di Davide, andò da Nazareth di Galilea alla città di Davide chiamata Betlemme, in Giudea, per farsi iscrivere con Maria sua sposa, ch’era incinta. E avvenne che mentre si trovavano lì, si compì per lei il tempo del parto; e partorì il suo figlio primogenito, lo fasciò e lo pose in una mangiatoia, perché non avevano trovato posto nell’albergo. Nello stesso paese c’erano dei pastori che pernottavano all’aperto e facevano la guardia al loro gregge. Ed ecco apparire innanzi ad essi un Angelo del Signore e la gloria del Signore circondarli di luce, sicché sbigottirono per il gran timore. L’Angelo disse loro: Non temete, perché annuncio per voi e per tutto il popolo un grande gaudio: infatti oggi nella città di Davide è nato un Salvatore, che è il Cristo Signore. Questo sia per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, giacente in una mangiatoia. E d’un tratto si raccolse presso l’Angelo una schiera della Milizia celeste che lodava Iddio, dicendo: Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà.]

Omelia

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956)

LA SANTA NOTTE

La notte tenebrosa gravava come una lunga maledizione sul mondo assopito nel sonno. Tutti dormivano: si dormiva a Roma, si dormiva a Gerusalemme, si dormiva a Betlem, dove una moltitudine era accorsa da ogni villaggio per dare il nome al censimento di Cesare Augusto. Solo qualche pastore vegliava nei dintorni, accanto a fuochi morenti, mentre custodiva il gregge. – Ed ecco squarciarsi l’oscurità e sfociare giù dall’alto fiumi di luce e tutto il cielo ardere come una fiamma e sopra i paesi assonnati passare cori invisibili, cantando parole non mai udite sopra la terra: « Gloria a Dio nei cieli più alti; pace agli uomini di buona volontà ». Balzarono attoniti i pastori vigili presso il loro branco di pecore ed una luce li investì. Nella luce videro l’Angelo fulgidissimo del Signore. Si spaventarono; ma l’Angelo disse loro: « Non temete: è una gioia grande per voi e per tutti, che noi portiamo: è nato il Salvatore ». Dunque, il tempo di piangere era finito, la maledizione era passata, la schiavitù del demonio era infranta. – « Gioia grande!» diceva l’Angelo ai pastori prostrati nella luce celeste. « Gioia grande: è nato nella città di Davide Cristo Signore. Vi dò un segno per trovarlo: vedrete un bambino involto in pochi panni, adagiato in una greppia ». Come gli Angeli sparirono, i pastori si guardarono l’un l’altro muti, poi dissero: « Andiamo a Betlem, e vedremo ». Transeamus usque in Betlehem et videamus. Lasciarono le pecore a ruminare sotto la rugiada presso i fuochi ormai spenti,e corsero.Lasciamo ogni altra cura anche noi e corriamo dietro a loro col cuore pienodi fede, col cuore pieno di gioia.Giungono, ansimanti. Et venerunt festinantes. Trovano Maria, trovano Giuseppee, in una greppia, un Bambino. Gioia grande! Dio si è fatto bambino. La divinitàofferta e l’umanità peccatrice si sono abbracciate nel corpicino di Gesù Cristo. Gaudium magnum.Adoriamo anche noi il Bambino e pensiamo:Il padrone del mondo s’è fatto povero, senza casa, senza culla.Il forte, il Dio delle armate, s’è fatto debole e infermo.L’infinito, per il quale son troppo piccoli i cieli, è raccolto in una greppia.Chi ha dato alla terra la virtù di produrre il pane, e alle piante la virtù di produrrefrutti, patisce la fame.Il regolatore delle stagioni e del freddo nasce d’inverno, intirizzito dall’ariarigida.  Quelle piccole mani arrossate dalla gelida notte hanno sollevato nei cieli il sole, la luna e tutte le stelle. Ed è per noi, sapete che Dio s’è reso così; per noi Propter nos egenus factus est, cum esset dives (II Cor., VIII, 9). S’è reso così perché noi gli volessimo bene: è il pensiero di S. Pier Crisologo: « sic nasci voluit qui voluit amari ». S’è reso così perché l’imitatissimo: è il pensiero di Tertulliano: « ut homo divine agere doceretur ».Allora diciamogli, con le lacrime agli occhi: « Bambino Gesù! noi ti ameremo,noi ti imiteremo ».NOI TI AMEREMOElena imperatrice, la madre di Costantino il grande, aveva avuto da Dio labella missione di ritornare al culto dei fedeli i luoghi santificati dalla vita e dallamorte di Nostro Signore.Quando arrivò a Betlem ed entrò nella grotta della santa nascita, emise ungrido d’indignazione. Quel luogo santo era stata profanato: al posto della greppialà dove Cristo aveva vagito per la nostra salvezza s’ergeva la statua infamedi Adone.L’imperatore Adriano, acre nemico di nostra fede, con un gusto diabolico l’avevaeretta là, perché il demonio ridesse dove Cristo aveva pianto.La pia regina, con le lacrime, comandò che abbattessero quel diabolico simulacro;ed ella stessa, con le sue mani, godeva di frantumarlo. Poi vi fè edificareun sontuosissimo tempio, che custodisse quell’umile posto, scelto da Dio per venireal mondo. –  È Natale: Dio nasce nei cuori. E c’è forse qualcuno che nel suo cuore, nelluogo dove Cristo deve nascere tien eretto il simulacro del demonio, il peccato?Alessandro il Macedone per conquistarsi l’animo dei Persiani, ha voluto vestirsicome loro, imitare in tutto quelle barbare costumanze; Dio per conquistare ilnostro cuore, per farsi amare dagli uomini si è fatto uomo in tutto come noi: habitu inventus ut homo; ha voluto patire come noi e più di noi, e noi non gli vogliamobene? Noi daremo il nostro cuore al demonio, ma non a lui?Nessuno sarà così pazzo e crudele da far questo. Come Elena regina frantumiamoil peccato dentro di noi, ed una bella confessione purifichi l’anima nostra,e la nascita di Cristo segni il principio di una nuova vita d’amore, di preghiera,di purezza.« Bambino Gesù! » diciamogli sinceramente « io t’amo ».Se la nostra vita passata ci dicesse che queste parole sono una bugia, perchénon siamo capaci d’amarlo con le opere, diciamogli così: « Bambino Gesù, se nonti amo, desidero però d’amarti assai ». E se anche questo non fosse vero, perché  il nostro cuore è più attaccato alla roba di questo mondo che al Signore, diciamoglialmeno: « Bambino Gesù! mi piacerebbe tanto desiderare d’amarti ».NOI TI IMITEREMO.A Giovanni II, re di Portogallo, annunciarono che stava male un servo, a luitanto caro.Il re si turbò, poi volle egli stesso scendere dal suo palazzo nella casa del servo.Nel varcare la soglia dell’ammalato, chiese, come si suole, dello stato dell’infermo.Gli risposero che il male era gravissimo, ma il peggio era che l’ammalato non silasciava indurre a prendere medicine.Quel mattino stesso i medici gli avevano imposto una medicina amara ma tanto salutare. La prese nelle sue mani, e senza indugio, egli stesso ne bevve parecchi lunghisorsi. Poi, accostandola alla bocca del malato gli disse: «Io il re, sanissimo, ho preso quest’amara bevanda solo per tuo amore, e tu, il servo, ammalato, non prenderai questo poco che resta per amor mio e per tua salute? ».  Il vassallo tese di slancio le mani verso la medicina, e disse: « Datemele: ora la berrei d’un fiato, foss’anche tossico ». Noi siamo servi ammalati: ammalati di superbia perché ci crediamo un gran che e siamo niente; ammalati di collera perché non vogliamo dimenticare e perdonare le offese; ammalati d’avarizia perché non pensiamo che a roba e a danaro; ammalati nella mente, nel cuore di pensieri e di desideri cattivi. È necessaria la medicina amara dell’umiliazione, della povertà, della mortificazione. Il nostro re, il Bambino Gesù, oggi è venuto a trovarci in casa nostra e ce ne dà l’esempio. Egli santissimo Dio, s’è fatto umile nel presepio, povero in una stalla, mortificato dal freddo. E noi non vorremmo portare la nostra croce? Ci lamenteremo ancora della Provvidenza? – Simone Maccabeo, una notte che conduceva l’armata contro i nemici, si trovò la strada tagliata da un torrente gonfio per le piogge recenti. I soldati s’arrestarono, poiché nessuno osava guardare in quel posto. Simone non fece parola, slanciò il cavallo nell’acqua e passò per il primo: transfretavit primus (I Macc., XVI, 6). Tutti allora gli andarono dietro. Ebbene: il nostro capitano Gesù oggi, per il primo, si slancia attraverso il torrente del dolore, della povertà, della mortificazione: a noi non resta che andargli dietro. Bambino Gesù! noi ti imiteremo. Disse l’Angelo ai pastori: « Evangelizo vobis gaudium magnum ». Vi porto una gioia grande. Lungi da noi, dunque, ogni pensiero di tristezza. Che cosa possiamo temere se il Verbo si è fatto carne, se Dio s’è fatto bambino? Quando Dio è con noi, chi può essere contro di noi? Gioia grande! – Il capitano Alfonso d’Albuquerque fu sorpreso da una procella furiosa, in mezzo al mare. La povera nave flagellata dalle onde rabbiose, squassata dal vento, cigolava in ogni connessura quasi volesse sfasciarsi. Le nubi basse e cupe avevano fatto l’oscurità sull’acque; i lampi guizzavano in quella tenebra con un bagliore di sangue. Le donne urlavano; perfino i vecchi marinai piangevano di paura. Il capitano, pazzo dal terrore, strappò dal seno d’una madre un bambino di pochi mesi, salì sulla tolda in alto, e protese verso la rabbia delle nubi quella fragile creaturina: «E se, — diceva — siam tutti peccatori, questo bimbo, o Dio, risparmialo perché è senza peccati ». Subito tacque il vento, si chetò l’acqua, s’aperse il cielo: e attraverso lo squarcio d’una nube discese l’arcobaleno. – Nelle disgrazie della vita, nelle tentazioni, nell’ora della morte e nel giorno del giudizio, quando intorno alla navicella della nostra anima sarà come una fragorosa burrasca, ricordiamoci di questo Bambino che oggi c’è dato, che oggi per noi è nato; innalziamolo a Dio e si farà la pace e la gioia intorno a noi. Tra pochi istanti, quando la Messa sarà all’elevazione, io stesso tra le mie mani prenderò Gesù Bambino ed elevandolo verso il cielo, mi ricorderò delle parole di Alfonso d’Albuquerque: « Se tutti noi siamo peccatori, o Dio, questo Bambino risparmialo perché è senza peccati! ». \\Per la sua innocenza noi tutti saremo salvati.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps XCV: 11:13
Læténtur cæli et exsúltet terra ante fáciem Dómini: quóniam venit.

[Si allietino i cieli, ed esulti la terra al cospetto del Signore: poiché Egli è venuto.]

Secreta

Acépta tibi sit, Dómine, quǽsumus, hodiérnæ festivitátis oblátio: ut, tua gratia largiénte, per hæc sacrosáncta commércia, in illíus inveniámur forma, in quo tecum est nostra substántia:

[Ti sia gradita, o Signore, Te ne preghiamo, l’offerta dell’odierna solennità: affinché, aiutati dalla tua grazia, mediante questi sacrosanti scambi, siamo ritrovati conformi a Colui nel quale la nostra sostanza è unita alla Tua:]

Prefatio de Nativitate Domini

Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Quia per incarnáti Verbi mystérium nova mentis nostræ óculis lux tuæ claritátis infúlsit: ut, dum visibíliter Deum cognóscimus, per hunc in invisibílium amorem rapiámur. Et ideo cum Angelis et Archángelis, cum Thronis et Dominatiónibus cumque omni milítia coeléstis exércitus hymnum glóriæ tuæ cánimus, sine fine dicéntes: Sanctus …

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: Poiché mediante il mistero del Verbo incarnato rifulse alla nostra mente un nuovo raggio del tuo splendore, cosí che mentre visibilmente conosciamo Dio, per esso veniamo rapiti all’amore delle cose invisibili. E perciò con gli Angeli e gli Arcangeli, con i Troni e le Dominazioni, e con tutta la milizia dell’esercito celeste, cantiamo l’inno della tua gloria, dicendo senza fine:]

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster,

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps CIX:3
In splendóribus Sanctórum, ex útero ante lucíferum génui te.

[Nello splendore dei santi, dal mio seno ti ho generato, prima della stella del mattino.]

Postcommunio

Orémus.
Da nobis, quǽsumus, Dómine, Deus noster: ut, qui Nativitátem Dómini nostri Jesu Christi mystériis nos frequentáre gaudémus; dignis conversatiónibus ad ejus mereámur perveníre consórtium:

[Concedici, Te ne preghiamo, o Signore Dio nostro, che celebrando con giubilo, mediante questi sacri misteri, la nascita del Signore nostro Gesù Cristo, meritiamo con una vita santa di pervenire al suo consorzio:]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

FAR FRUTTI DEGNI DI PENITENZA

FRUTTI DEGNI DI PENITENZA

(Da un’omelia di p. Francesco Maria Zoppi  sulle parole di S. Giovanni Battista “facite ergo fructos” in Ev. S. Luca III, 8; in Omelie, prediche sermoni. – Milano, 1841)

Prendendo Giovanni il figliuolo di Zaccaria a preparare le strade al venturo Messia, ad appianarle e raddrizzarle in compimento della profezia di Isaia, a disporre cioè gli uomini tutti a ricevere con un cuore umile, retto e mansueto il loro Salvatore; non fa altro che gridare e nel deserto e per tutto il paese che circonda il Giordano, la penitenza per la remissione de peccati, giusta l’ordine del Signore: Fauctum est verbum Domini super Joannem Zachariæ filium, in deserto: et venit in omnem regionem Jordanis prædicans baptismum pœnitentiæ in remissionem peccatorum. Questo è l’unico argomento di tutta la sua predicazione. E ben di leggieri potremmo da ciò solo argomentare di quanta importanza sia la virtù che predica. Ma egli stesso non esorta o consiglia solo a praticarla, ma il comanda apertamente? Facite ergo fructus dignos pœnitentiæ: e sì la reputa necessaria e indispensabile, che dichiara vana la confidenza in altro merito benché singolarare, in altro protettore, benché il più potente: Ne cœperitis dicere, Patrem habemus Abraham. Né si accontenta egli di una penitenza qualunque, ma esige una penitenza, che renda de’ frutti buoni, che si mostri ne’ fatti, che risponda il più che sia possibile al numero e al peso delle colpe, alla forza degli abiti malvagi inveterati; alla misura della collera provocata e della irritata giustizia di Dio: Fructus dignos pœnitentiæ: Vuole finalmente che la penitenza sia altrettanto pronta, quanto perfetta ed efficace; non accorda un sol momento di indugio, ed assomigliando coloro che non fanno compiuta penitenza ad alberi i quali, non dando alcun buon frutto, si tagliano e si gettano nel fuoco, intima loro che la scure è già levata sopra la loro radice, e che loro è imminente il taglio fatale: Jam securis ad radicem arborum posita est. – Cose tutte son queste che io vi ho già fatto rimarcare; allorché presi a spiegarvi questa prima predica del santo Precursore registrata nell’odierno. Vangelo, esortandovi io pure caldamente ed anche in nome di Dio altamente comandandovi di fare penitenza. Ma lo avrò io fatto con qualche profitto? Posso io lusingarmi d’averne riportato tanto da ascoltatori cristiani, quanto egli ne l’importò da ascoltatori pagani? Questo è invero il fine a cui ardentemente aspiro, o miei devoti, né so bramare compenso più consolante per qualunque mio ministero. Poiché adunque il santo Precursore vi fu già maestro della necessità, perfezione e prontezza onde si deve praticare la penitenza; gli ascoltatori di lui sianvi oggi maestri della docilità di mente e di cuore; onde dovete prestarvi alla voce di chi ve la predica e ve la comanda. Anche a’ Giudei era stata predicata da’ profeti la penitenza: ma ben di raro avevano essi ascoltate di queste prediche: si era da qualcuno di loro anche praticata, ma ben da pochi. Quindi novello quasi e certamente duro doveva sembrar loro il sermone, che lor tenne sulla penitenza Giovanni Battista; e sì che il santo predicatore non usò, come sogliono fare gli oratori; né di arte per persuaderlo, né di grazie per raddolcirlo anzi pare che li rimbrottasse ben aspramente allorché, secondando l’impeto del suo zelo, diceva loro liberamente: o razza di vipere, chi vi ha insegnato a fuggire lo sdegno del Signore che vi sovrasta? Fate adunque frutti degni di penitenza: Genimina viperarum, quis ostendit vobis fugere a ventura ira? Facite ergo fructus dignos pœnitentiæ. – Nondimeno qual breccia fece sull’animo loro questo parlare? Lo hanno appena ascoltato che gli si affollarono all’intorno per essere da lui battezzati, e sollecitamente lo interrogarono, Che cosa adunque abbiamo a fare? Quid ergo faciemus? Come se volessero dire: Sì, che temiamo la collera del Signore; ed Egli il sa, se noi bramiamo di fuggirla: diteci solo che cosa abbiamo a fare, ed eccoci pronti ad obbedirvi: Quid ergo faciemus? E non fu soltanto taluno di cuore o tenero o timido, che parlasse così; no, ma fu tutta la turba degli ascoltatori: Interrogabant cum turbæ dicentes, Quid ergo feciemus? Ma furono i finanzieri, avvezzi alle animosità ed alleestorsioni: Venerunt et publicani ut baptizarentur, et dixerunt ad illum, Magister, quid faciemus? Ma furono gli stessisoldati, che sogliono avere il cuore incallito dal frequentemirare ed esercitare le stragi: interrogabant eum et milites dicentes, Quid faciemus et nos? – Qual consolazione pel santo Precursore al vedere turbe intere cangiate quasi in altrettanti suoi figliuoli, che non attendevano se son i cenni di lui per onorarli ed eseguirli prontamente? al vedere uomini per condizione i più duri ed i più fieri, resi dalle sue parole più docili e mansueti degli agnelli, al vederli tutti avidi di sapere e di intraprendere un genere di vita poco conosciuto, meno praticato, austero, ripugnante alla corrotta loro natura, e molto più alle passioni signore già dei loro cuori? – Toccò pure simile consolazione ne’ primi giorni della Chiesa al principe degli Apostoli, a suoi colleghi, e di tempo in tempo a qualcuno de’ suoi successori. Ma avviene mai, che tocchi a qualcuno de’ sacri predicatori della penitenza a’ nostri giorni? Eppure parliamo a Cristiani ben educati, e parliamo di una virtù la più celebrata non meno dalla bocca di chi l’ha predicata, che dall’esempio di chi l’ha praticata; e ne parliamo colle maniere più dolci e le più atte a nasconderne od a toglierne le asprezze. Ma sospendiamo per poco i rimproveri, mentre io amo per ora che gli ascoltatori di Giovanni ci siano piuttosto maestri che censori. – Che cosa ci insegnano adunque colla sollecita domanda, che gli uni dopo gli altri si affrettano di fare al novello loro predicatore, dicendo questi, Che cosa dunque abbiamo a fare? Quid ergo faciemus? e tosto ripigliando quelli, È noi che cosa abbiamo a fare? Quid faciemus et nos? Come meglio potremmo conoscere, che tutti erano veramente tocchi da Dio; e che per loro era giunto il tempo della misericordia? E da chi meglio potremmo apprendere, quale debba essere lo spirito di un vero penitente? Io vi scorgo qui primieramente uno spirito umile, che o rinunziando ai propri lumi, o non fidandosene, o dandosi anche per cieco, si abbandona interamente ai lumi ed alla guida altrui. – Eccoci il primo importante ammaestramento che ci danno codesti veri penitenti, d’essere cioè docili di mente ai giudizi ed alle istruzioni de nostri direttori, scelti che li abbiamo secondo il voler di Dio, illuminati, saggi, disinteressati. E per verità non sono eglino per una parte da Dio destinati pel carattere della loro vocazione ad illuminare il mondo? Voi siete la luce del mondo, dice loro Gesù Cristo: vos estis lux mundi. E non dobbiamo noi credere che Dio sparga sopradi loro questa luce, perché essi la diffondano in quelli chesono da loro diretti; e che più copiosa e più splendida lasparga, dove più dense sono le tenebre che hanno a diradare,dove più scabrosi e più difficili sono i casi a cui devonoprovvedere? Non dobbiamo noi credere, che, non avendoeglino verun interesse di ingannare, avendo anzi tutto il doveree l’interesse di guidare rettamente per non rendersi appressoDio colpevoli delle loro direzioni, delle quali sonopresso Lui responsali, siano imparziali e giusti i loro documentied i loro giudizj?Dall’altra parte per quanto illuminati si credano i penitenti,devono pur confessare di non esserlo per l’ordinario tantoquanto il dev’essere chi è da Dio posto sul candeliere, e daLui trascelto ad essere dottore in Israele. Quanto è facileinoltre che parziali siano. questi giudici che giudicano incausa propria? Quanto è facile che ne’ loro esami e nelle loro sentenze non abbia qualche parte il loro amor proprio;benché si propongano di sorvegliare sopra di lui e di contrariarlo?Quanto è da temere che quelle passioni stesse chehanno gettato tante volte il loro spirito nel bujo della notte,benché siano ora da loro castigate e frenate, non oscurinoalquanto ancora i lumi della ragione e della fede? Quantoèda temere che non si prendano i falsi lumi per veri, lelucciole notturne per ardenti lucerne, e le immagini d’una riscaldatafantasia per divine illustrazioni, e per sante ispirazionile suggestioni affatto umane? Siccome adunque sarebbetemerità il volersi dirigere secondo i propri lumi scarsi edincerti; così diviene necessario che i penitenti, pronti a volersottomettere pienamente il loro giudizio a quello del direttore,e ricevere da lui la legge; si gettino nelle braccia dilui e a lui domandino umilmente; Che cosa abbiamo a fare: Quid faciemus?Ma, mentre predichiamo la penitenza, abbiamo noi la bellasorte di piegare e guadagnarci per egual maniera le menti de’nostri ascoltatori? Accade pur talvolta che il Signore benedicele fatiche del nostro ministero, e ci conduce ai piedi qualchenostro ascoltatore, tocco dalle nostre parole, o a dir megliodalla grazia divina. Ma depone poi egli sempre a’ nostri pieditutti i suoi pregiudizi? Al che spesso dobbiamo col più vivonostro rammarico persuaderci, che molti penitenti siano guidatia noi piuttosto da un timor vano e passeggero, che da unsincero pentimento, perciò appunto che ci spiegano prevenzionitroppo favorevoli alle particolari loro opinioni, e ideefalse e sinistre del nostro ministero! Ah che spesso dobbiamoaccorgerci, che non si presentano a noi come a loro giudici,ma tutt’al più ci reputano loro consiglieri, riservandosi inoltreil pieno arbitrio di accettare e rifiutare a loro piacere inostri consigli! Ah che spesso ci tengono al confessionaleun linguaggio, che forse non ardirebbero di tenerci in casa,o nella conversazione, dove fossero da altre persone prudentiascoltati; e chiunque li ascoltasse, non li direbbe già ammalati,che si mettono nelle mani del medico per essere da luiguariti, ma medici che sono a consulta con altri medici!O se pure alle prime ci danno la consolazione di vederliavanti noi genuflessi a chiederci nell’aria la più umile, Checosa abbiamo a fare: Quid faciemus? e mostrano di abbandonarsi ciecamente alle nostre direzioni, e ci pregano a consigliarli non solo, ma a non risparmiare loro i comandi, eci protestano di voler fedelmente attenersi a quanto loro prescriveremo; sono poi senza alcuna loro replica le nostre ammonizioni, i nostri suggerimenti, gli stessi nostri. Comandi? Quante volte un momento dopo li sottopongono al sindacatodelle loro passioni? Quante volte ci sentiamo rispondere, chei nostri consigli non sono atti alla loro indole e condizione,e che le nostre medicine non sono fatte per la loro malattiae pel loro temperamento? Quante volte dobbiamo argomentaredalle loro risposte, che ci hanno in conto di direttori oignoranti o rigidi o scrupolosi? Quante volte la voglionocon noi disputare nel tribunale di penitenza, quasi fosseroin un contraddittorio innanzi ad un tribunale umano? Voilo sapete, o Signore, qual pericolo corre talvolta la pazienzae la prudenza de’ vostri ministri posta da costoro a cimento,se non fosse sostenuta dalla vostra divina grazia; e da quelluogo ove non dovremmo che porgervi ringraziamenti perle vittorie riportate sugli ammolliti loro cuori, voi il sapetequante preghiere vi mandiamo perché rompiate la pertinaciadelle caparbie loro menti.Tuttavia, non è così frequente il caso di chi porta al tribunaledi penitenza una cervice sì dura quanto di chi vireca un cuore incirconciso. E che razza di penitenti sono quelli che, quantunque siano docili di mente, nol sono di cuore? La docilità del cuore è tanto essenziale al penitente, che senza di essa ogni altra dimostrazione di pentimento è finta e bugiarda; e questo è il secondo e più importante ammaestramento che ci danno gli ascoltatori di Giovanni Battista coll’offerirglisi pronti a fare tutto quanto avrebbe loro ordinato, dicendo tutti e quasi a gara richiedendo, Che cosa abbiamo a fare: Quid faciemus? – Come infatti si potrebbe dire che un penitente sia veramente convertito di cuore, se pretendesse ancora regolarsi secondo i suoi voleri? Per qual altra via si è egli reso colpevole, se non col ripugnare alla volontà di Dio per fare la propria? Per qual altra via adunque potrà egli dimostrarsi veramente pentito delle sue colpe, se non col negare pienamente la propria volontà per fare in tutto quella di Dio? Ciò costa, ciò è amaro, ma sana. Altrimenti che direste voi di un ammalato; che ricusasse di ricevere le medicine certamente efficaci per guarirlo? Costui, direste, ama di restar ammalato. Chi ama veramente di guarire, non v’ha medicina benché amarissima che non sia disposto a ricevere. Che direste se un reo di morte non volesse dare al giudice la soddisfazione che gli impone a sconto del delitto e a scampo della morte? Non è vero, direste, che a costui dolga veramente di aver commessi i suoi misfatti: chi vuole davvero placare la giustizia e conseguire perdono, non v’ha pena anche grave che non sia pronto a sopportare. – Sia dunque duro quanto si voglia il comando che vi fa un direttore discreto e prudente che vi conosce per ogni riguardo appieno, sia aspra quanto più il possa essere la penitenza che vi ingiunge; qual ragione potete addurre a dispensarvene? Se dite che le prescrizioni di lui non vi sembrano necessarie, o in tutto conformi al volere di Dio, voi mostrate ben poco docilità di mente: se dite che troppo ripugnano alla vostra volontà, voi mostrate ben poca docilità di cuore: se per l’una e per l’altra pretesa vostra ragione ricusate di obbedire: al comando e di compiere la penitenza, voi mostrate di non avere un pentimento verace delle vostre colpe. – Eppure troviamo tutta la docilità ne’ nostri penitenti, finché non ingiungiamo loro che la recita di alcuni Pater o del piccolo Rosario, o di altre brevi orazioni; ma sono pur pochi quelli che, disposti a fare ogni cosa per espiare i loro peccati, ci dicano come conviene, e coll’animo col quale il dicevano i penitenti del santo Precursore, Che cosa fa bisogno che noi facciamo? Siamo pronti a tutto: Quid ergo faciemus? O per lo meno sono ben pochi che pur dicendolo, e avendo anche in animo di farlo, siano poi fedeli, fermi e  costanti nell’adempirlo. Oh strano rovescio di cose! – Succede pur troppo nel tribunale di penitenza ciò che forse non succede mai ne’ tribunali profani, che il colpevole cioè, anziché chinare il capo sotto gli ordini del giudice, e dimandargli, Che cosa devo io fare? pretenda che il giudice assecondi il genio di lui, e gli dica, Che cosa volete voi fare? Se non sono queste le parole, questa è certamente la disposizione dell’animo di coloro che per propri direttori sì scelgono, a bello studio de maestri di una morale facile ed arrendevole, i quali sogliono mettere de capezzali sotto il capo e de cuscinetti sotto ogni gomito de loro penitenti, per valermi delle immagini del profeta Ezechiele; di coloro che a forza di eccezioni forse immaginarie, di scuse chi sa se veraci, e di pretesti mendicati, cercano di sottrarsi dalla severità del santo Vangelo, e di entrare quasi col sacro ministro in umani accomodamenti; di coloro i quali, perché il medico spirituale trova necessario di adoperare nelle loro invecchiate ed incancrenite loro piaghe il ferro o il fuoco a prevenire un guasto maggiore ed una certa morte, partono da lui disgustati, né più ritornano a lui. – Ma succede ancor. di peggio. V’hanno pur di quelli che, invece di chiedere con sommessione al sacro giudice, Che cosa abbiamo a fare: Quid ergo fuciemus? replicano col fatto, e talvolta anche in faccia al comando di lui, No, nol voglio fare; e tanto ardire spiegano avanti il giudice eterno Gesù Cristo, quanto non ne spiegherebbe mai colpevole qualunque avanti un giudice umano. E non sarà già che rispondano così perché li carichiamo di troppo rigida penitenza. Così rispondono quando pure li vogliamo richiamare al solo e preciso loro dovere; quando, esigiamo da’ Cristiani penitenti nulla più di quanto esigesse il santo, Precursore da’ Giudei, da’ pubblicani, da’ soldati. Che cosa rispose egli alla premurosa domanda che gli fecero le turbe? Chi ha due vesti, una ne dia a chi n’è senza, e lo stesso faccia chi ha da mangiare: Qui habet. Duas tunicas, det non habenti, et qui habet escas, similiter faciat. Ora si provi un ministro del Signore di ordinare a certiricchi o avari od inumani; che facciano limosina, che vestanoil nudo con qualcuna delle vesti onde vanno piene le loroguardarobe, che ristorino il famelico con qualche vivandaond’è copiosamente imbandita la loro mensa; certo che costuinon sarà più il loro confessore.Che cosa rispose il santo Precursore ai pubblicani? Non esigetedi più di quello che vi è stato stabilito: Nihil amplius quam quod constitutum est vobis, faciatis. Ebbene ordini ilconfessore a certi genitori, padroni o superiori di usare carità.discrezione nel comandare ai loro figliuoli, servitori osubalterni, e di non imporre loro più di quanto possanoportare le loro spalle. Forse non replicano parola, ma giuntia casa, proseguono a comandare a bacchetta come prima, ed a misurare gli ordini loro non dalle forze altrui, ma dalleindiscrete loto voglie.Che cosa rispose finalmente il santo Precursore ai soldati? Non togliete cosa per forza né con frode ad alcuno, e contentatevidella vostra paga: Neminem concutiatis, neque, calumniam faciatis; sed contenti estote stipendiis vestris. Oracomandi il confessore al negoziante ed al padron di bottega dinon commettere usure ed estorsioni, e di moderare i suoi guadagnie i suoi desiderj tra i limiti della giustizia e dell’onestà.Forse il promette, ma, tornato appena al negozio od alla bottega,seguita ad abusare della semplicità e della buona fededegli avventori, e a cavar loro la pelle come prima. E voiben vedete che codeste non sono penitenze o arbitrarie otroppo severe che loro impongono i confessori, ma indispensabiliobbligazioni che già sono tenuti di adempiere. Ah mieicari, non potrebbe dirsi perciò a ragione, che l’indocilità. de’penitenti sia una delle cause principali degli ostinati mali ondeil Signore ci castiga a’ nostri giorni, e ci manifesta ognora lasua collera?Siate adunque docili di mente e di cuore nell’attendere umilmenteil giudizio, e nel compiere esattamente il comando de’vostri direttori e dove aspre e dure vi sembrino le penitenzeche vi ingiungono, misurate solo, se il potete, l’onta che voifaceste al Signore, e poi ditemi, se v’ha penitenza che possiatericusare. Chi vi ha insegnato a fuggire altrimenti la colleradi Dio? Aspre penitenze appunto vi vogliono ad allontanarla,così, interpretando le parole del santo Precursore, diceva sanBernardo, co’ sentimenti. del reale Profeta, a’ suoi tempi noncertamente peggiori de’ nostri: Apprehendite disciplinam, ne quando irascatur Dominus; immaginatevi poi se vi voglia dimeno per placarla. Sia dunque il vostro direttore che vi percuota,sia Dio stesso, sopportate la verga che corregge, perché  non abbiate a sentire il martello che stritola: Sustinete Virgam corripientem, ne sentiatis malleum conterentem.

DOMENICA IV DI AVVENTO (2022)

IV DOMENICA DI AVVENTO. (2022)

Stazione alla Chiesa dei 12 Apostoli.

Dom. privil. Semid. di II cl. Paramenti violacei.

Come tutta la liturgia di questo periodo, la Messa della Quarta Domenica dell’Avvento, ha lo scopo di prepararci al doppio Avvento di Cristo, avvento di misericordia a Natale, nel quale noi commemoriamo la venuta di Gesù, e avvento di giustizia alla fine del mondo. L’Introito, il Vangelo, l’Offertorio e il Communio fanno allusione al primo, l’Epistola si riferisce al secondo, e la Colletta, il Graduale e l’Alleluia possono applicarsi all’uno e all’altro. Le tre grandi figure delle quali si occupa la Chiesa durante l’Avvento ricompaiono in questa Messa. Isaia, Giovanni Battista e la Vergine Maria. Il Profeta Isaia annuncia di S. Giovanni Battista, che egli è: « … la voce di colui che grida nel deserto: preparate la via del Signore, appianate tutti i suoi sentieri, perché ogni uomo vedrà la salvezza di Dio ». E la parola del Signore si fece sentire a Giovanni nel deserto: ed egli andò in tutti i paesi intorno al Giordano e predicò il battesimo di penitenza (Vang.). « Giovanni, spiega S. Gregorio, diceva alle turbe che accorrevano per essere battezzati da lui: Razza di vipere, chi vi ha insegnato a fuggire la collera che sta per venire? La collera infatti che sovrasta è il castigo finale, e non potrà fuggirlo il peccatore, se non ricorre al pianto della penitenza. « Fate dunque frutti degni di penitenza. In queste parole è da notare che l’amico dello sposo avverte di offrire non solo frutti di penitenza, ma frutti degni di penitenza. La coscienza di ognuno si convinca di dover acquistare con questo mezzo un tesoro di buone opere tanto più grande quanto egli più si fece del danno con il peccato » (3° Nott.). « Iddio, dice anche S. Leone, ci ammaestra Egli stesso per bocca del Santo Profeta Isaia: Condurrò i ciechi per una via ch’essi ignorano e davanti a loro muterò le tenebre in luce, e non li abbandonerò. L’Apostolo S. Giovanni ci spiega come s’è compiuto questo mistero quando dice: Noi sappiamo che il Figlio di Dio è venuto e ci ha dato l’intelligenza perché possiamo conoscere il vero Iddio ed essere nel suo vero Figlio » (2° Nott.). – Per il grande amore che Dio ci porta ha inviato sulla terra il Suo unico Figlio, che è nato dalla Vergine Maria. Proprio questa Vergine benedetta ci ha dato di fatto Gesù; così, nel Communio, la Chiesa ci ricorda la profezia di Isaia: « Ecco che una Vergine concepirà e partorirà l’Emmanuele », e nell’Offertorio Ella unisce in un solo saluto le parole indirizzate a Maria dall’Arcangelo e da Santa Elisabetta, che troviamo nei Vangeli del mercoledì e del venerdì precedenti: « Gabriele, (nome che significa « forza di Dio »), è mandato a Maria — scrive S. Gregorio — perché egli annunziava il Messia che volle venire nell’umiltà e nella povertà per atterrare tutte le potenze del mondo. Bisognava dunque che per mezzo di Gabriele, che è la forza di Dio, fosse annunciato Colui che veniva come il Signore delle Virtù, l’Onnipotente e l’Invincibile nei combattimenti, per atterrare tutte le potenze del mondo » (35° Serm.). La Colletta fa allusione a questa «grande forza» del Signore, che si manifesta nel primo Avvento, perché è nella sua umanità debole e mortale che Gesù vinse il demonio, come anche ci parla dell’apparizione della sua «grande potenza» che avverrà al tempo del suo secondo Avvento, quando, come Giudice Supremo, verrà nello splendore della sua maestà divina, a rendere a ciascuno secondo le sue opere (Ep.). Pensando che, nell’uno e nell’altro di questi avventi, Gesù, nostro liberatore, è vicino, diciamogli con la Chiesa « Vieni Signore, non tardare ».

Incipit

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Exod XVI :16; 7
Hódie sciétis, quia véniet Dóminus et salvábit nos: et mane vidébitis glóriam ejus.

[Oggi saprete che verrà il Signore e ci salverà: e domattina vedrete la sua gloria.]


Ps XXIII: 1
Dómini est terra, et plenitúdo ejus: orbis terrárum, et univérsi, qui hábitant in eo.

[Del Signore è la terra e quanto essa contiene; il mondo e e tutti quelli che vi abitano.]

Hódie sciétis, quia véniet Dóminus et salvábit nos: et mane vidébitis glóriam ejus.

[Oggi saprete che verrà il Signore e ci salverà: e domattina vedrete la sua gloria.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria


Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio  

Oremus.
Excita, quǽsumus, Dómine, poténtiam tuam, et veni: et magna nobis virtúte succúrre; ut per auxílium grátiæ tuæ, quod nostra peccáta præpédiunt, indulgéntiæ tuæ propitiatiónis accéleret:

[O Signore, Te ne preghiamo, súscita la tua potenza e vieni: soccòrrici con la tua grande virtú: affinché con l’aiuto della tua grazia, ciò che allontanarono i nostri peccati, la tua misericordia lo affretti.]

Lectio

Lectio Epístolæ beati Pauli Apostoli ad Corinthios
1 Cor IV: 1-5
Fratres: Sic nos exístimet homo ut minístros Christi, et dispensatóres mysteriórum Dei. Hic jam quaeritur inter dispensatóres, ut fidélis quis inveniátur. Mihi autem pro mínimo est, ut a vobis júdicer aut ab humano die: sed neque meípsum judico. Nihil enim mihi cónscius sum: sed non in hoc justificátus sum: qui autem júdicat me, Dóminus est. Itaque nolíte ante tempus  judicáre, quoadúsque véniat Dóminus: qui et illuminábit abscóndita tenebrárum, et manifestábit consília córdium: et tunc laus erit unicuique a Deo.

[ “Fratelli miei, così ci consideri ognuno come ministri di Cisto, e dispensatori dei misteri di Dio. Del resto poi ciò che si richiede ne’ dispensatori è che sian trovati fedeli. A me pochissimo importa di esser giudicato da voi, o in giudizio umano; anzi nemmeno io giudico di me stesso. Poiché non ho coscienza di nessun male; ma non per questo sono giustificato; e chi mi giudica, è il Signore. Onde non vogliate giudicare prima del tempo, finché venga il Signore: il quale rischiarerà i nascondigli delle tenebre, e manifesterà i consigli de’ cuori, ed allora ciascuno avrà lode da Dio”.]

A qual fine la Chiesa fa leggere oggi questa lettera?

Per avvertire quelli che ieri ricevettero i sacri ordini a distinguersi per la fedeltà ai loro doveri e per la santità della vita, quanto sono distinti per l’alta dignità del loro stato; per ispirare il rispetto dovuto ai Sacerdoti. che sono i ministri di Gesù Cristo, e i dispensatori dei divini misteri; ed in ultimo per ricordare ai Fedeli questa seconda venuta del Figliuolo dell’uomo; ed invitarli così a giudicarsi da se stessi, a purificare il loro cuore per la festa del Natale, ed a ricevere degnamente Gesù Cristo come Salvatore, sicché non l’abbiamo a temer come Giudice.

Perché S. Paolo non voleva giudicar se stesso?

Perché non sapeva come Dio lo giudicava, sebbene di niente gli rimordesse la coscienza: senza una rivelazione di Dio, nessuno sa se sia degno d’amore o d’odio. Dio scandaglia i cuori e le reni; nulla può sfuggire al suo sguardo, ed i giudizi di Lui sono ben differenti da quelli degli uomini, che accecati dall’amor proprio e dalla passione, spesso non vedono il male che fanno; nascondono sé a se stessi, e si giustificano quando dovrebbero condannarsi. Tale si crede innocente e si riguarda come santo, che al giorno poi del giudizio sarà ricoperto di confusione, quando Dio svelerà in faccia all’universo tutte le azioni di lui e tutti gli interni segreti. Non giudichiamo gli altri; di loro ci è ignoto l’interno; ma giudichiamo noi stessi: esaminiamoci accuratamente, pesiamo tutte le nostre azioni, scendiamo nel fondo della nostra coscienza, frugando tutte le pieghe e i nascondigli del nostro cuore; ed imiteremo s. Paolo che si giudicava così da se stesso; ma imitiamo parimente s. Paolo che in un altro senso non si giudicava da sé, cioè se dopo un’esatta ricerca, non troviamo nulla di riprensibile in noi, senza troppo fidarci del nostro giudizio, rimettiamo a Dio il giudizio definitivo, ed affatichiamoci per la nostra salvezza con timore e tremito, ponendo la confidenza nella misericordia del Signore.

(L. Goffiné, Manuale per la santificazione delle Domeniche e delle Feste; trad. A. Ettori P. S. P.  e rev. confr. M. Ricci, P. S. P., Firenze, 1869).

Graduale 

Ps CXLIV:18; CXLIV:  21
Prope est Dóminus ómnibus invocántibus eum: ómnibus, qui ínvocant eum in veritáte.

[Il Signore è vicino a quanti lo invocano: a quanti lo invocano sinceramente.]


V. Laudem Dómini loquétur os meum: et benedícat omnis caro nomen sanctum ejus.

[La mia bocca dia lode al Signore: e ogni mortale benedica il suo santo Nome.]

Alleluja

Allelúja, allelúja,
V. Veni, Dómine, et noli tardáre: reláxa facínora plebis tuæ Israël. Allelúja

[Vieni, o Signore, non tardare: perdona le colpe di Israele tuo popolo. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secundum Lucam.
R. Gloria tibi, Domine!
Luc III:1-6
Anno quintodécimo impérii Tibérii Cæsaris, procuránte Póntio Piláto Judæam, tetrárcha autem Galilaeæ Heróde, Philíppo autem fratre ejus tetrárcha Ituraeæ et Trachonítidis regionis, et Lysánia Abilínæ tetrárcha, sub princípibus sacerdotum Anna et Cáipha: factum est verbum Domini super Joannem, Zacharíæ filium, in deserto. Et venit in omnem regiónem Jordánis, praedicans baptísmum pæniténtiæ in remissiónem peccatórum, sicut scriptum est in libro sermónum Isaíæ Prophétæ: Vox clamántis in desérto: Paráte viam Dómini: rectas fácite sémitas ejus: omnis vallis implébitur: et omnis mons et collis humiliábitur: et erunt prava in dirécta, et áspera in vias planas: et vidébit omnis caro salutáre Dei.”

“L’anno quintodecimo dell’impero di Tiberio Cesare, essendo procuratore della Giudea Ponzio Pilato, e tetrarca della Galilea Erode, e Filippo suo fratello tetrarca della Galilea Erode, e Filippo suo fratello, tetrarca dell’Idurea della Traconitide, e Lisania tetrarca dell’Abilene, sotto i Pontefici Anna e Caifa, il Signore parlò a Giovanni figliuolo di Zaccaria, nel deserto. Ed egli andò per tutto il paese intorno al Giordano, predicando il battesimo di  penitenza per la remissione dei peccati: conforme sta scritto nel libro dei sermoni d’Isaia profeta: Voce di uno cbe grida nel deserto: Preparate la via del Signore; raddrizzate i suoi sentieri: tutte le valli si riempiranno, e tutti i monti e le colline si abbasseranno: e i luoghi tortuosi si raddrizzeranno, e i malagevoli si appianeranno: e vedranno tutti gli uomini la salute di Dio”.

OMELIA

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956)

VOCE NEL DESERTO: PREPARATE LA VIA

Quando gli esploratori della terra promessa ritornarono da Mosè con gli occhi ancora dilatati dalla meraviglia, dissero: « Abbiamo veduto degli uomini giganteschi, in confronto dei quali noi parevamo grilli » (Num., XIII, 34). Il medesimo stupore prende anche le anime nostre, leggendo il Vangelo di questa domenica d’Avvento, davanti all’eroica figura di San Giovanni Battista: egli è un gigante della santità in confronto del quale noi siamo dei grilli. – Probabilmente era l’anno 27 dell’era volgare, quando fra le dune e i tamerischi del deserto la voce di Dio risuonò per bocca di Giovanni, figlio di Zaccaria. Era coperto con una pelle di cammello, stretta alle reni da una cinghia di cuoio. Molti anni aveva trascorso nella solitudine sconfinata, fra le pietre e le belve… Molti anni s’era cibato appena di miele selvatico e di locuste e s’era dissetato appena di acqua. Solo un uomo cresciuto così può avere la forza di varcare la soglia d’un re incestuoso, di gridargli in faccia il suo delitto, di lasciarsi troncare il capo. Tra i nati da donna egli è il più santo. La sua voce possente risonava nei dintorni del Giordano, attirando da ogni parte gente al battesimo e alla remissione dei peccati. Voce di gridatore nel deserto: preparate la via del Signore. Spianate i sentieri: dove adergono, livellate; dove sprofondano, colmate; dove serpeggiano, raddrizzate. Così ogni uomo vedrà il Salvatore. Fermiamoci a una frase soltanto e commentiamola nelle sue due parti: Voce che grida nel deserto: preparate la via del Signore.. 1. VOCE NEL DESERTO. Dice S. Tommaso da Villanova che l’anima del peccatore è un deserto. Ne ha infatti tutto l’aspetto: è arida e incolta, non produce frutto alcuno di vita, è ingombra dei rovi di cattivi pensieri, delle spine di cattivi desideri, delle ghiande di passioni immonde. E neppure mancano i serpenti, che sono i demoni. E poi, quanta solitudine dove Dio manca! quanta siccità dove la grazia non piove!… Ebbene, in questo deserto Dio non cessa di parlare per chiamarci al battesimo della penitenza e alla remissione dei peccati. E ci chiama con la voce della predicazione e con quella dell’ispirazione: con la voce del beneficio e con quella del castigo. a) Voce della predicazione. — Come in quei tempi il Signore si fece preparare i cuori dalle prediche del Battista, così attraverso i secoli Egli si è sempre servito della parola dei Sacerdoti. La predicazione è come l’acqua fecondatrice: ove essa non discende, vi è terra dura e sterile. La predicazione è come la manna alimentatrice: chi non ne raccoglierà morirà di fame spirituale. La predicazione è come l’olio che nutre la lampada: chi non se ne procura, rimarrà al buio. S. Ilario d’Arles vide una volta alcune persone che, appena ebbe cominciata la spiegazione del Vangelo, si dileguarono fuori di chiesa per sottrarsi alla noia d’una predica. Il santo allora gridò verso di quelli: « Uscite pure: ora potete fuggire dalla chiesa, ma verrà tempo che non potrete fuggire dall’inferno ». – b) Voce dell’ispirazione. — Ma talvolta il peccatore è così indurito che nessuna voce esteriore può penetrarlo, nessun grido può risvegliare il suo deserto. E allora Dio, buono e misericordioso, parla direttamente a quel cuore, parla quella sua parola viva, più acuta della spada a due tagli, che penetra gelida e rovente fino alle più intime compagini dell’anima (Hebr., IV, 12). « Dio! Dio! Dio! Se lo vedessi! Se lo sentissi! Dov’è questo Dio?» diceva l’Innominato dei Promessi Sposi, quell’uomo che aveva riempito di spavento e di delitto una intera regione. E a lui il Card. Federico Borromeo rispondeva così: «Voi me lo domandate? voi? E chi più di voi l’ha vicino? Non ve lo sentite in cuore, che v’opprime, che non vi lascia stare, e nello stesso tempo v’attira, vi fa presentire una speranza di quiete, di consolazione, d’una consolazione che sarà piena, immensa, subito che voi lo riconosciate, lo confessiate, l’imploriate? ». – c) Voce dei benefici. — Ci sono certi periodi della vita in cui Dio ci manda ogni fortuna: salute, danaro, onori; ed aspetta quasi che l’uomo dica: « Anima mia, serviamo un Padrone così buono e generoso: non vedi che meritiamo pene e ci dà gioie? ». Ma invece l’uomo non riconosce attraverso le creature la voce del suo Padrone: Il cielo grida: « O uomo, io giro per tuo comodo e utilità ». Il sole grida: « O uomo, io ti riscaldo e ti fortifico: io, a primavera, rinnovo la terra e l’adorno come un paradiso; io faccio crescere i frutti sulle piante e le piante sul suolo ». Grida la terra: « O uomo, io ti lavo, rinfresco, e fecondo ogni cosa ». E tutte insieme dicono le creature: « Riconosci dunque, e ringrazia il tuo generoso Signore ». L’uomo non ode. E Dio si lamenta: « anche il bue è grato all’uomo che lo nutre, anche l’asino riconosce che la stalla è del suo padrone: solo Israele non ha conosciuto me, solo il mio popolo lascia cadere nel deserto la mia voce » (Is., I, 3). – d) Voce dei castighi. — Come un padre che ama suo figlio ricorre ai castighi quando non è ubbidito, così il Padre eterno fa con noi. Anche i suoi castighi sono un segno del suo grande e tenero amore. Se la malattia non lo avesse costretto a letto, Ignazio di Loyola forse non sarebbe diventato mai Santo. Se una ostinatissima piaga non avesse travagliato Camillo de Lellis, egli non sarebbe forse mai diventato il grande amico degli ammalati. Se la morte non avesse rapito crudelmente il marito a Margherita di Cortona, noi ora non la venereremmo. E se la miseria e la tribolazione non avessero colpito i fratelli di Giuseppe, essi non si sarebbero giammai pentiti del loro peccato orribile ». « Merito hæc patimur, — dicevano, — quia peccavimus în fratrem nostrum » (Gen. XLII, 21). I veri Cristiani che non sono sordi alla voce di Dio così devono dire nei dolori: « Soffro giustamente, perché ho peccato contro il mio fratello Gesù Cristo ». – 2. PREPARARE LA STRADA DEL SIGNORE. La strada per la quale il Signore deve venire nel nostro cuore, al prossimo Natale, ora impedita, forse, dalle colline del peccato, dalle valli che simboleggiano la mancanza delle buone opere, dai sentieri tortuosi che invece di mirar diritto al fine si perdono nei piaceri e nelle lusinghe del mondo. – a) Abbattiamo i colli del peccato con una sincera confessione. Sarebbe un’ironia crudele per un Cristiano festeggiare la venuta del Salvatore, mentre il suo cuore è già occupato dal demonio. Una buona confessione dunque! Non come quella di Saul che disse a Samuele: « Ho peccato!» e si sentì rispondere: « Il Signore ti ha rigettato », perché non era pentito; ma una confessione sincera e dolorosa come quella di David che disse a Nathan: « Ho peccato! »  e si sentì rispondere: « Il Signore ha già distrutto il tuo peccato ». – b) Non basta la confessione, se poi non si continua, con le opere buone, a camminare sulla strada intrapresa. Le opere buone che ci preparano meglio al santo Natale sono la preghiera e la elemosina: la preghiera perché senza di essa noi siamo come una città senza difesa; l’elemosina perché in cielo è preferita a qualsiasi penitenza corporale: « Non sapete quale sia il digiuno che io prediligo? dice il Signore Iddio: Spezzare il proprio pane con l’affamato, albergare i poveri senza asilo, vestire chi si trova ignudo, non sottrarsi alle necessità. del proprio fratello. Allora la tua luce spunterà come l’aurora… ». (Is., LVIII, 6-8) – c) Ed infine viviamo un po’ più ritirati; amiamo un poco anche noi il deserto, come S. Giovanni Battista. Lontani dai divertimenti pericolosi, lontani dai ritrovi rumorosi, lontani dalle compagnie corrompitrici; noi vivremo dolcemente, cristianamente tra la nostra casa e la nostra chiesa. Senza questa volontà di isolamento le antiche abitudini cattive ci riprenderanno facilmente. Quando S. Antonio passò da Alessandria, il governatore d’Egitto voleva fermarlo per qualche giorno. Gli rispose il santo: « Capita al monaco quello che capita al pesce: l’uno muore se lascia l’acqua, l’altro muore se lascia la sua solitudine ». Capita anche al Cristiano quello che capita al pesce: l’uno muore: se lascia l’acqua, l’altro muore alla grazia se lascia la solitudine della sua casa e della sua chiesa, e si espone ai pericoli e alle seduzioni del mondo. – Compariremo un giorno al tribunale; di Dio. E Cristo; giudicandoci, ci dirà: «Vieni, o benedetto! Ero pellegrino, e mi accogliesti ». « Quando, Signor mio; vi ho incontrato pellegrino. per accogliervi? ». «Ti ricordi del Natale 19…? Io camminavo, allora sulla terra, e stanco passavo per la strada del tuo cuore. Tu. allora hai spianato i colli del peccato con una sincera confessione; tu hai colmato le valli delle omissioni con opere buone; tu hai raddrizzato nella solitudine il sentiero; così ho potuto trascorrere nella tua cara compagnia questa festa santa ». «Avete ragione, Signore mio buono ». –

PREPARAZIONE AL SANTO NATALE. Molti secoli or sono, proprio in questi giorni, una giovane donna e il suo Sposo erano in viaggio verso le montagne di Giuda. Venivano da molto lontano, dalla Galilea, e andavano alla città dei loro vecchi, a Betlemme, per dare il nome al gran censimento dell’imperatore Ottaviano Augusto. Una folla immensa era accorsa in città, per ciò Maria e Giuseppe passarono di porta in porta bussando e chiedendo con lagrime un po’ di posto, invano. Nessuno li accolse. E nella notte, mentre Erode adagiato tra gli ori e la porpora terminava il sontuoso banchetto, mentre per le vie ormai deserte si spegneva l’ultima acclamazione al feroce Idumeo e all’usurpatore Romano, in una stalla nasceva il Re dei re. Perché questo delitto d’ingratitudine più non si rinnovi nel mondo ora che il Re dei re sta per tornare tra noi nel suo Natale, ecco che la Chiesa manda avanti San Giovanni Battista ad avvisarci di preparare il cuore.  « Voce di uno che nel deserto grida: preparate la strada al Signore. Se la via è tortuosa: per monti e per valli, colmando le valli e spianando i monti rendetela dritta; se la via è malagevole per triboli e pietre, togliendo ogni scabrosità rendetela liscia… » et erunt prava in directa et asperas in vias planas. Nella regione selvaggia ove il Giordano precipita nel Mar Morto, il Precursore gridava queste parole; ma il suo monito sorpassa i secoli; sorpassa le vicende degli uomini, il trambusto della vita materiale, la nostra dissipazione: e giunge fino a noi: « Voce di uno che nel deserto grida: preparate la via del Signore ». Ormai, Gesù sta alla porta dell’anima mostra e bussa. Anche noi, come quei di Betlemme, gli chiuderemo l’uscio in faccia e lo costringeremo a nascere in una stalla? Nessuno, vorrà essere crudele così. Ma in che maniera potrà venire dentro di noi se il nostro cuore è una strada impraticabile? Se il peccato vi ha scavato burroni scoscesi e vi ha innalzato greppi rocciosi e nudi? Ecco: una bella Confessione prima del santo Natale colmerà ogni valle e spianerà ogni colle per fare nel nostro cuore una strada diritta: Et erunt pravas in directa. In altri cuori invece la strada del Signore c’è già, non essendoci il peccato mortale. Però è una strada pietrosa e scomposta che fa sanguinare i piedi al pellegrino: costoro hanno soltanto da lisciarla, col togliere la tiepidezza e i molti attacchi mondani. Et erunt aspera in vias planas. Ecco i due pensieri: I peccatori si devono preparare al Santo Natale col togliere il peccato; i giusti col togliere ogni più piccolo difetto. – RADDRIZZARE LA VIA PRAVA: TOGLIERE IL PECCATO. a) In casa vostra, in questi giorni; tutto diventa nitido e profumato: le pareti sono sbiancate, il pavimento è scopato; ogni ragnatela è levata. Anche la cucina del più povero si adorna con qualche ramo di sempreverde alloro; e di qualche frutto colorito. Fra tanto nitore, soltanto l’anima vostra rimarrà nera.. e sporca di peccato? Fra tanto profumo soltanto l’anima vostra, morta alla grazia; esalerà un fetore cadaverico? No, Cristiani: inutilmente v’affaccendate a tergere e abbellire la vostra dimora, quando prima non vi curate di tergere ed abbellire la vostra coscienza! – b) In casa vostra in questi giorni c’era molta abbondanza e un lusso discreto: ognuno si procura abiti nuovi o almeno ben ripuliti; si acquistano carni e vivande squisite, si prepara un vino più vecchio e più schietto, si comperano dolci inconsueti. Ma, dite, a che vale tutto questo quando l’anima che di noi è la parte più preziosa, muore di fame e si dispera per la sete? O peccatori, non la sentite dentro di voi l’anima vostra piangere a lungo e singhiozzare pietosamente perché ha fame e ha sete del suo Dio e voi glielo negate crudelmente, e glielo negate anche in questi giorni di feste quando nulla rifiutate al vostro corpo? No, Cristiani: non siate cattivi, con l’anima vostra, che è tanto preziosa ed immortale! – c) In casa vostra, in questi giorni, c’è molta letizia. Gli affanni della vita sembrano più leggeri, ogni lavoro pare meno pesante: .. c’è nell’aria una diffusa allegria che si respira con soave piacere. Beate, poi, le famiglie dove ci sono bambini! Contano i giorni che ci separano dalla grande solennità, pregano con più innocenza, aspettano i doni, sognando il Pargolo divino che passa… Soltanto il vostro cuore resterà cupo, o peccatori? Soltanto l’anima vostra resterà amara? Perché non diverrete anche voi lieti come i vostri bambini? che cosa vi manca? L’innocenza perduta nel peccato. Ricordate la parola del Vangelo: « Chi non si farà come uno di questi piccoli, non entrerà nel regno dei cieli ». No, Cristiani, non resistete più all’amore di Dio: confessatevi e riavrete la vostra innocenza, e diventerete anche voi, come i vostri figliuoli, lieti. Forse il demonio vi spaventa col timore delle difficoltà che dovrete affrontare per togliere i vostri peccati, distruggere le vecchie abitudini, ricominciare una vita nuova. Sentite. Camminava Sansone per una strada solitaria e boschiva: ecco un improvviso ruggito, un lampo rossastro, un tonfo. Un grosso leone era balzato fuori dalla selva sulla strada e gli muoveva incontro con negli occhi la brama della sua carne. Fu una lotta tremenda, corpo a corpo, tra l’uomo e la belva. Sansone era inerme, ma investito dallo Spirito con le sue mani afferrò il leone per la gola e lo strozzò come un capretto. Madido di sudore, macchiato di sangue, a lunghi passi proseguì ansimando il cammino. Ma quando ritornò per quella strada, trovò la massa inerme del leone che nella bocca aveva un dolce e profumato favo di miele (Giudici, XIV, 8). – Così è anche di voi, o peccatori: è dura la lotta corpo a corpo col demonio e con la passione, ma dopo che avrete vinto, là dove c’era il peccato trovetere il miele; e sentirete com’è soave la vita quando si è in grazia di Dio! Sentirete anche voi, come in quella notte i pastori innocenti, oltrepassare nel cielo di Natale le schiere angeliche, cantando: « Gloria a Dio nell’altissimo cielo, pace in terra agli uomini di buona volontà ». E potrete dire: « Angeli, anche a me un po’ di pace, perché ora anch’io sono uomo di buona volontà ». – 2. LASCIARE LA VIA SCABROSA: PURIFICARSI DALLA TIEPIDEZZA. Ora parlo a quelli che già sono in grazia di Dio. – a) Che cosa sono quei piccoli odî che nutrite contro il vostro vicino? Quella superbia con quelli di casa vostra, quell’antipatia tra cognati e cognati, tra parenti e parenti, che cosa è? È una pietra aguzza sulla strada del vostro cuore, che pungerà i piedi del Bambino Celeste quando verrà. Orsù toglietela via generosamente. Che importa se la ragione è nostra e il torto è degli altri, che importa se ci toccherà umiliarci, che importa se perderemo del nostro, quando il Signore entrerà volentieri in noi e ci colmerà di grazie eterne che valgono migliaia di volte più di quelle inezie che per suo amore abbiamo sacrificato? – b) Che cosa sono quelle trascuratezze nelle opere di pietà, quell’omettere facilmente il santo Rosario, quella negligenza nel mandar i figliuoli all’Oratorio, quel vivere intere giornate senza una giaculatoria e una comunione spirituale? Sono tutti indizi che il nostro cuore è più attaccato al mondo che a Dio. Bisogna lisciar via i maligni attacchi. – c) Che cosa sono quelle negligenze nel respingere i pensieri cattivi e nel mortificare gli occhi e la lingua, quelle intemperanze nel bere, nel mangiare, nel fumare? Sono le spine della sensualità che ingombrano la strada su cui Gesù dovrà passare per giungere a noi. Bisogna strapparle. In questi ultimi giorni che ci separano dal Santo Natale sforziamoci con entusiasmo di lisciare la via al Signore levando ogni più piccola scabrosità e lordura che possa offendere il suo piede od il suo sguardo. – S. Rosa da Lima si era appassionata con troppa sollecitudine a una pianticella di basilico. All’alba, appena desta, correva ad esporla perché ricevesse i primi raggi umidi di rugiada: Quando il sole montava verso il mezzodì, Rosa pronta la ritirava perché l’eccessivo calore non l’inaridisse. Quando al tramonto le ombre si allungavano e di lontano ogni montagna s’imporporava, Rosa tornava ad esporla, bramosa che si ristorasse negli ultimi tepori del giorno; ma al sopraggiungere della notte, subito la nascondeva perché le brine troppo fredde non la danneggiassero. Così in Chiesa, e in cella, e in parlatorio, e in cortile, sempre il pensiero della verde e olezzante pianticella era con lei. Ma una mattina svegliandosi trovò l’amata pianticella divelta e gettata al suolo a marcire. Non poté trattenere il pianto: « Qual mano — esclamò — fu così invidiosa da troncare la vita ad una pianta così innocente? Perché mi sono affannata a salvarla dalla brina e dall’arsura, se poi doveva finire così? ». Mentre si lamentava, ecco apparirle Gesù. Era mesto negli occhi e senza sorriso: « Non l’invidia, ma Io divelsi il tuo basilico con la mia mano. Potevo forse sopportare che una parte di quell’amore e di quei pensieri che a me sono dovuti, andassero ad una creatura vile come era la tua pianta? ». – O Cristiani, quando nel santo Natale verrà nel nostro cuore, che non sia mesto negli occhi, che non sia senza sorriso! che non trovi dentro di noi pensieri e affetti inutili e pericolosi verso le cose e le persone di quaggiù! Anche un solo peccato veniale potrebbe fargli tanto dispiacere. – I ladroni Amaleciti erano venuti a predare nei campi del popolo di Israele. Ma nel tumulto della fuga, un povero schiavo abbandonato dal suo padrone perché ammalato, era rimasto disteso sulla nuda terra a morire di febbre e sfinimento. Ed ecco passarono di là i soldati del re Davide, che lo videro sdraiato nella campagna come un morto. Lo portarono dal re, il quale n’ebbe compassione e ordinò che gli dessero pane da mangiare e acqua da bere, e una parte di fichi e alcuni grappoli d’uva. L’infelice schiavo a poco a poco rinvenne e si ristorò. « Non più schiavo, ma libero sarai. In guerra combatterai al mio fianco da valoroso, e in pace vivrai onorato con molte ricompense ». Così gli parlò il re Davide, condusse seco a far grande strage di nemici. (I Re, XXX, 11-16). Cristiani, lo schiavo Amalecita è un simbolo dell’anima nostra. Essa ha servito il demonio, predatore e assassino dei cuori, e stanca e febbricitante per i peccati e per gli affetti mondani, è rimasta a languire sulla strada della vita. Ma ecco che già viene il nostro re Gesù: viene col suo santo Natale. – O Gesù, salvatore! non siate meno pietoso di quello che già Davide fu col suo suddito. Ristorateci col vostro cibo e con la vostra bevanda, riscaldateci con l’alito del vostro amore. Poi conduceteci sempre al vostro fianco: in guerra e in pace, in questa e nell’altra vita.E un’altra volta è vicino il Natale del Signore. In questa solennità, alcuni vedono una festa di piacere. Già stanno organizzando veglie danzanti, spettacoli lussuriosi, ricevimenti mondani, e trascorreranno la notte santa in cui il Salvatore venne al mondo per redimerli, nell’ebbrezza dei sensi, sprofondando sempre più nel fango e nel peccato. – Altri vedono invece nel Natale una festa di benessere corporale. Anche i più poveri per un giorno almeno all’anno possono nutrirsi a sazietà e con cibi succulenti e con bevande corroboranti; quelli poi che non son poveri imbandiscono la loro mensa con inconsuete e laute vivande. Sicché c’è della gente che tutta questa settimana sarà indaffarata per il pranzo di Natale, senza trovare tranquillità e tempo per pensieri diversi da quelli gastronomici. – Vi sono altri ancora che vedono nel Natale una festa sportiva. Alla vigilia o all’antivigilia, con maglioni e calzettoni per difendersi dal rigore invernale, partiranno per la montagna, a sciare. « Ah che religiosità commovente — dicono — contemplare dalle finestre d’un albergo alpino le stelle della notte natalizia scintillanti sugli abeti coperti di neve! che senso di pace e di purezza volar tutto il giorno come Angeli sui campi immacolati!». E la Messa di Natale? « Probabilmente non mancherà. Forse verrà lassù un prete a celebrare ». Così tutta la santificazione della grande solennità cristiana si esaurisce in una ipotetica Messa. E nessuno, che non sia maligno, sospetti ipotetiche profanazioni. Altri, infine nel Natale non vedono che una festa di poesia domestica. Nessuno manca della famiglia, anche i lontani sono ritornati, almeno per un giorno. È gioia del cuore raccogliersi in casa, dove tutto luccica per la recente pulizia, e arde il focherello sul camino; e c’è l’albero fosforescente di cordelline e di dolciumi, e c’è il presepio, e c’è qualche fanciullo che declama un complimento in rima stringendo nelle mani i doni del Bambino Gesù. – Ma non è Natale veramente e compitamente cristiano se non quello in cui si vede con la fede il Signore. « E vedrà ogni uomo la salvezza di Dio ». Questo è l’insegnamento che S. Giovanni Battista ci dà nel Vangelo odierno. Infatti, prima che Gesù incominciasse la vita pubblica, Egli si mosse a preparargli la strada, e predicando la penitenza, diceva: « Preparate la via al Signore che viene! Ogni valle si colmi; ogni colle si spiani, ogni tortuosità si rettifichi. Così vedrà ogni uomo la salvezza in Dio ». Bisogna dunque prepararci al Santo Natale in modo tale da meritare di vedere spiritualmente il Signore. Ma per meritare tanta grazia occorre prepararci con la purità dell’anima, con la bontà delle opere. Quando a Presburgo, in Ungheria, nel 1207, nacque, S. Elisabetta, un poverello malato e cieco s’avvicinò alla culla e toccando quella bambina riebbe improvvisamente la vista. Se la nascita dei Santi è accompagnata spesso da simili prodigi, maggiori meraviglie può operare in noi la nascita di Colui che è la stessa Santità. E se il peccato ci ha resi miseri e ciechi, avviciniamoci con cuore preparato alla culla del pargolo divino, e otterremo la grazia di vederlo, adesso con la fede, e, un giorno, senza veli nella gioia del suo regno.1. PURITÀ DELL’ANIMA. È l’anima che Vede Dio; ma per vedere ha bisogno di luce e di igiene. – a) Luce dell’anima è la grazia. Cristiani, che il Santo Natale non vi trovi immersi nelle tenebre. Luminosa è la casa tutta ripulita, luminosi i vostri vestiti nuovi, tutto è luminoso al di fuori: e dentro c’è il buio del peccato mortale? Questo sarebbe un’ipocrisia peggiore di quella dei Farisei che pulivano il piatto all’esterno e nell’interno lo lasciavano insudiciato. « Che unione ci può essere tra la luce e le tenebre, tra il giorno e la notte, tra la vita e la morte? » esclama S. Paolo; e come può illudersi d’avvicinarsi a Gesù, colui che tiene il peccato sulla coscienza? Gesù è la luce, egli è tenebre; Gesù il giorno, egli è notte! Gesù è la vita, egli è morte. – b) Igiene dell’anima la custodia dei sensi, specialmente della vista. Chi vuole vedere il Signore con l’anima, preservi gli occhi del corpo dalle mondane vanità. Ci sono dei bambini che mettono in bocca tutto. Quello che scovano negli angoli più remoti della dispensa, quello che viene loro donato per strada o in visita presso qualche famiglia, quello che colgono dalle piante del giardino o a passeggio lungo una siepe. Dopo scontano la vorace imprudenza con dolori lancinanti alle viscere. Milioni e miliardi di microbi ingeriscono, e non sospettano mai che forse tra quelli c’è uno che supererà le forze di resistenza dell’organismo, si moltiplicherà, disgregherà il sangue o i tessuti interni, produrrà la morte. Ci sono dei figliuoli, delle figliuole, dei giovani, degli uomini che sono peggiori dei bambini. Essi guardano tutto, qualsiasi giornale, cartolina, illustrazione, libro che capiti tra mano; qualsiasi figura reclamistica sui muri della via, o sulle stecconate intorno alle case in costruzione, o nelle luminose vetrine dei negozi; entrano in qualsiasi sala da spettacoli, vedono qualsiasi proiezione. Poi sono dolori! Sì, perché gli occhi sono la bocca dell’anima, e l’anima ha pure la sua igiene che va rispettata come e meglio dell’altra per lo stomaco. Perché hanno continuamente l’anima ottenebrata da nuvole dense di pensieri e desideri perversi, e non possono più pregare con gusto e fervorosa attenzione, e non possono più credere con la gioia e la spontaneità di quando erano piccoli? Perché i loro occhi non sono stati custoditi. Bisognerebbe cavar fuori tutte le figuracce vedute, le novelle e i romanzi letti, le scene provocanti dei cinema, le cronache nere, gli scherni religiosi raccolti sui giornali. Siate meticolosi nell’igiene dell’anima! Specialmente in questi giorni d’attesa santa, conservate mondi i vostri occhi, quelli dei vostri figli, perché possano vedere il Signore.2. BONTÀ DELLE OPERE. Perché l’anima veda Iddio, non basta colmare le valli del peccato con una sincera confessione, non basta spianare ogni ostacolo opaco con la custodia dei sensi: occorre che Dio viva nell’anima con le opere buone. Verso il Natale del 396, l’ultimo che gli restava da vivere in terra; S. Ambrogio si sentiva stanco e alla fine delle sue eroiche fatiche; ma aveva il cuore pieno d’una pace vasta e serena com’è quella del colono, quando in certe domeniche d’autunno contempla beato la sua campagna colma di frutti, mentre in lontananza campane suonano a distesa. In quei giorni appunto, a Paolino, il suo fedele segretario, dettava queste parole: « Cristo vive in me: cioè, vive quel Pane vivo che discese dal cielo e nacque a Betlemme, vive la sua carità, vive la sua pace, vive la sua giustizia, vive la sua sapienza ». Mirabili espressioni, che ci suggeriscono con quali buone opere Cristo deve nascere in noi nel prossimo Natale. Vive in me quel Pane vivo, la prima opera, la più bella e cara a Lui che sta per venire: è la santa Comunione. – I pastori si ritennero fortunatissimi in quella notte in cui lo poterono vedere e forse baciare. I re magi fecero lunghissimo e pericoloso viaggio per poterlo trovare. Il vecchio Simeone per i molti anni della sua vita non desiderò altro; e come lo poté stringere tra le sue braccia tremanti, disse che non gli importava di morire, perché il suo cuore non chiedeva più nulla. La gioia dei pastori, dei magi, di Simeone, ci è vicina: perché non ne approfitteremo? È vero che siamo peccatori e oppressi d’infinite miserie, però se un rincrescimento profondo delle nostre colpe, se un desiderio vivo di farci più puri per più vedere il Signore c’è dentro di noi, quel Dio che venne al mondo in una stalla, non sdegnerà il nostro povero cuore. – Vive in me la sua carità: Non può gustare il Natale cristiano chi si priva della consolazione di fare in questi giorni un po’ di carità, con le opere di misericordia corporali e spirituali. I poveri pastori e i ricchi magi non si presentarono a mani vuote al Celeste Bambino, ma ciascuno con un dono proporzionato alla propria condizione: agnellini, frutti agresti, formelline di tenero cacio erano i doni dei poveri, oro, incenso, mirra erano i doni dei re. Così tutti noi, poveri e ricchi, dobbiamo avvicinarci alla culla di Gesù col nostro dono proporzionato. È dato al Dio nato poverissimo e inerme tutto quanto è donato senza ostentazione ai poveri e agli infermi. Vive in me la sua pace. Colui che nasce fu vaticinato come il Principe della pace. Egli stesso ha detto: « Io vi dono la mia pace: ma non ve la dono come fa il mondo » (Giov. XIV, 27). Il mondo, quando vuol sembrare buono, fa la pace con quelli che la meritano; i Cristiani, che vogliono essere buoni, fanno pace con tutti, anche con quelli che non la meritano e da cui sono stati offesi. Perciò nessuna scusa è valevole, nessuna ragione è plausibile, perché tra noi si conservi anche un solo rancore durante il santo Natale. Vive in me la sua giustizia: Quand’Egli nacque gli Angeli dissero agli uomini: « Non temete più: vi annunciamo una grande gioia ». Ora che il suo Natale ritorna, c’è forse qualcuno che non può gioire per colpa nostra? Nessuno dei nostri fratelli può accusarci d’ingiustizia nei danari, nella roba, nei commerci, nei contratti, nei debiti e nei crediti? Non abbiamo nulla con noi che invoca il suo legittimo padrone? – Vive in me la sua sapienza: Ascoltiamo e meditiamo volentieri in questi giorni santi la parola di Dio per poter capire qualche cosa almeno dell’infinita sapienza nascosta nel mistero della natività del Salvatore. Se vi si offre il tempo e l’occasione, leggete nel Vangelo il racconto della nascita di Gesù, così lo potrete raccontare alla sera ai vostri figliuoli, che sono avidissimi d’ascoltarlo dalle vostre labbra.Un giorno Napoleone passava in rivista le sue truppe. Un umile soldato anziano attirò il suo sguardo, per alcune cicatrici che gli apparivano sul volto. L’imperatore si fermò davanti a lui, e, con un gesto consueto gli pose una mano sulla spalla; poi, guardandolo negli occhi gli rivolse brevissime domande. « Tu, a Ulm? ». « C’ero ». « A Austerlitz? ». « C’ero ».  « A Iena? ». « C’ero ». –  « A Wagram? ». « C’ero ». – « A Dresda? ». « C’ero ».  « Bene, capitano! ». L’altro, ch’era soltanto soldato, voleva correggere il grado credendo fosse uno sbaglio. Ma l’imperatore, senza correggersi, aggiunse: « Capitano, decreto per voi la grande croce della legione d’onore ». Quando preparate le strade secondo il consiglio di Giovanni Battista, il nostro Re divino giungerà nel santo suo Natale e passerà in rivista i suoi fedeli; felice colui che potrà rispondere alle sue domande franco e ardito come quel soldato napoleonico.  « Alla dottrina cristiana? ». « C’ero ». – « Alla messa festiva? ». « C’ero ». – « Al confessionale? ». « C’ero ».« Alla balaustra? ». « C’ero » – « Nella resistenza aspra contro latentazione? ». « C’ero ». – « Nella professione coraggiosa della fede in faccia a chiunque? ». « C’ero ». – « Bene, servo buono e valoroso: perché nel poco sei stato fedele, ti darò autorità sul molto, e verrai nella gioia del tuo Re ».

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Luc 1: 28
Ave, María, gratia plena; Dóminus tecum: benedícta tu in muliéribus, et benedíctus fructus ventris tui.

Secreta

Sacrifíciis pæséntibus, quǽsumus, Dómine, placátus inténde: ut et devotióni nostræ profíciant et salúti.

[O Signore, Te ne preghiamo, guarda benigno alle presenti offerte: affinché giovino alla nostra devozione e alla nostra salvezza.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de sanctissima Trinitate

Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui cum unigénito Fílio tuo et Spíritu Sancto unus es Deus, unus es Dóminus: non in uníus singularitáte persónæ, sed in uníus Trinitáte substántiæ. Quod enim de tua glória, revelánte te, crédimus, hoc de Fílio tuo, hoc de Spíritu Sancto sine differéntia discretiónis sentímus. Ut in confessióne veræ sempiternǽque Deitátis, et in persónis propríetas, et in esséntia únitas, et in majestáte adorétur æquálitas. Quam laudant Angeli atque Archángeli, Chérubim quoque ac Séraphim: qui non cessant clamáre quotídie, una voce dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: che col Figlio tuo unigénito e con lo Spirito Santo, sei un Dio solo ed un solo Signore, non nella singolarità di una sola persona, ma nella Trinità di una sola sostanza. Cosí che quanto per tua rivelazione crediamo della tua gloria, il medesimo sentiamo, senza distinzione, e di tuo Figlio e dello Spirito Santo. Affinché nella professione della vera e sempiterna Divinità, si adori: e la proprietà nelle persone e l’unità nell’essenza e l’uguaglianza nella maestà. La quale lodano gli Angeli e gli Arcangeli, i Cherubini e i Serafini, che non cessano ogni giorno di acclamare, dicendo ad una voce:]

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis
Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster,

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Is. VII:14
Ecce, Virgo concípiet et páriet fílium: et vocábitur nomen ejus Emmánuel.

[Ecco la Vergine concepirà e partorirà un figlio: e si chiamerà Emanuele.]

Postocommunio

Orémus.
Sumptis munéribus, quǽsumus, Dómine: ut, cum frequentatióne mystérii, crescat nostræ salútis efféctus.

[Assunti i tuoi doni, o Signore, Ti preghiamo, affinché frequentando questi misteri cresca l’effetto della nostra salvezza.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

DOMENICA III DI AVVENTO (2022)

III DOMENICA DI AVVENTO (2022)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Stazione a S. Pietro

Semid. Dom. privil. di II cl. – Paramenti rosacei o violacei.

Il Signore è già vicino, venite, adoriamolo (Invitatorio). 1° Avvento. È Maria che ci dà Gesù: « Tu sei felice, o Maria, perché tutto quello che è stato detto dal Signore, si compirà in te » (Ant. Magn.). « Da Bethlem verrà il Re dominatore, che porterà la pace a tutte le Nazioni » (2° resp.) « e che libererà il suo popolo dal dominio dei suoi nemici » (4° resp.). Le nostre anime parteciperanno in un modo speciale a questa liberazione nelle feste di Natale, che sono l’anniversario della venuta in questo mondo del vincitore di satana. « Fa’, chiede la Chiesa, che la nascita secondo la carne del tuo unico Figlio ci liberi dall’antica schiavitù che ci tiene sotto il giogo del peccato ». (Messa del giorno, 25 dic.). S. Giovanni Battista prepara i Giudei alla venuta del Messia: egli ci prepara anche all’unione, ogni anno più intima, che Gesù contrae con le nostre anime a Natale. « Appianate la via del Signore » dice il Precursore. Appianiamo dunque le vie del nostro cuore, e Gesù Salvatore vi entrerà per darci le sue grazie liberatrici. – 2° Avvento. S. Gregorio fa allusione alla venuta di Gesù alla fine del mondo allorché, spiegando il Vangelo, dice: «Giovanni, il Precursore del Redentore, precede Gesù nello spirito e nella virtù d’Elia, che sarà il precursore del Giudice » (9a Lezione). Dell’avvento di Gesù come Giudice parlano l’Epistola e l’Introito. Se proviamo gran gioia nell’avvicinarsi alle feste del Natale, che ci ricordano la venuta dell’umile Bambino della mangiatoia, quanto più il pensiero della sua venuta in tutto lo splendore della sua potenza e della sua maestà, non deve empirci di santa esultanza, perché  allora soltanto la nostra redenzione sarà compiuta. S. Paolo scrive ai Cristiani: « Godete, rallegratevi nel Signore, ve lo ripeto ancora, perché il Signore è vicino ». E come nella Domenica Lætare (Questa pia pratica in uso per la benedizione della rosa a Roma, nella Domenica Lætare, si è estesa a tutti i Sacerdoti che ne hanno desiderio per la celebrazione della Messa ed è passata alla Domenica Gaudete, perché queste due domeniche cantano la nostra liberazione dalla schiavitù del peccato per opera di Cristo), i Sacerdoti che lo desiderano celebrano oggi con paramenti rosa, colore che simboleggia la gioia della Gerusalemme celeste, dove Gesù ci introdurrà alla fine dei tempi. « Gerusalemme, sii piena di gioia, perché il tuo Salvatore sta per venire » (2a Ant. vesp.). Desideriamo dunque questo avvento, che l’Apostolo dice vicino, e, invece di temerlo, auguriamoci con santa impazienza che si realizzi presto. « Muovi, o Signore, la tua potenza, e vieni a soccorrerci » [« Ecco — dice l’Apocalisse — il Signore apparirà e con Lui milioni di Santi e sulla sua veste porterà scritto: Re dei Re e Signore dei Signori » (1° resp.). « Il Signore degli eserciti verrà con grande potenza » (4° resp.). « Il Suo Regno sarà eterno e tutte le Nazioni Lo serviranno » (6° resp.). (All). « Vieni, o Signore, non tardare » (Ant. delle Lodi). « Per adventum tuum libera nos, Domine »].

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Phil IV:4-6
Gaudéte in Dómino semper: íterum dico, gaudéte. Modéstia vestra nota sit ómnibus homínibus: Dóminus enim prope est. Nihil sollíciti sitis: sed in omni oratióne petitiónes vestræ innotéscant apud Deum.

[Godete sempre nel Signore: ve lo ripeto: godete. La vostra modestia sia manifesta a tutti gli uomini: il Signore è vicino. Non siate ansiosi per alcuna cosa, ma in ogni circostanza fate conoscere a Dio i vostri bisogni]

Ps LXXXIV: 2
Benedixísti, Dómine, terram tuam: avertísti captivitátem Jacob.

[Hai benedetto, o Signore, la tua terra: hai liberato Giacobbe dalla schiavitù].

Gaudéte in Dómino semper: íterum dico, gaudéte. Modéstia vestra nota sit ómnibus homínibus: Dóminus enim prope est. Nihil sollíciti sitis: sed in omni oratióne petitiónes vestræ innotéscant apud Deum.

[Godete sempre nel Signore: ve lo ripeto: godete. La vostra modestia sia manifesta a tutti gli uomini: il Signore è vicino. Non siate ansiosi per alcuna cosa, ma in ogni circostanza fate conoscere a Dio i vostri bisogni.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.
Aurem tuam, quǽsumus, Dómine, précibus nostris accómmoda: et mentis nostræ ténebras, grátia tuæ visitatiónis illústra:

[O Signore, Te ne preghiamo, porgi benigno ascolto alle nostre preghiere e illumina le tenebre della nostra mente con la grazia della tua venuta.]

Lectio

Lectio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Philippénses

Philipp IV: 4-7
Fratres: Gaudéte in Dómino semper: íterum dico, gaudéte. Modéstia vestra nota sit ómnibus homínibus: Dóminus prope est. Nihil sollíciti sitis: sed in omni oratióne et obsecratióne, cum gratiárum actióne, petitiónes vestræ innotéscant apud Deum. Et pax Dei, quæ exsúperat omnem sensum, custódiat corda vestra et intellegéntias vestras, in Christo Jesu, Dómino nostro.
R. Deo gratias.

[“Rallegratevi sempre nel Signore: da capo ve lo dico, rallegratevi. La vostra benignità sia nota a tutti gli uomini: il Signore è vicino. Non siate ansiosi di nulla: ma in ogni cosa le vostre domande siano manifestate a Dio nell’orazione, nella preghiera e nel rendimento di grazie. E la pace di Dio, che supera ogni mente, custodisca i vostri cuori e le vostre menti in Gesù Cristo „ (Ai Pilipp. IV, 4-7]

(L. Goffiné, Manuale per la santificazione delle Domeniche e delle Feste; trad. A. Ettori P. S. P.  e rev. confr. M. Ricci, P. S. P., Firenze, 1869).

Che significa rallegrarsi nel Signore?

Significa ringraziare Dio del benefizio che ci ha dato di una felice eternità, e della continua protezione che ci presta: e rallegrarsi dei mali e delle persecuzioni che si possono avere a sopportare per il Signore, come se ne rallegrarono gli Apostoli, e specialmente s. Paolo. – Docili all’esortazione di s. Paolo, la nostra vita sia esemplare, e mai la nostra sollecitudine per i beni temporali sia eccessiva; confidiamoci nella Provvidenza: gratissimi a Dio per i suoi benefizi esponiamo a Lui le nostre necessità. E può questo Dio di bontà, che ha cura dei più piccoli animali abbandonare i suoi figli, se ricorrono a Lui come al migliore dei padri?

SERVITE DOMINO IN LÆTITIA!

Ecco un testo latino, biblico, molto popolare, forse troppo, nel senso che forse c’è chi, malignamente o ingenuamente (non importa), lo fraintende. Però, a parte gli equivoci e i malintesi, il testo in sé è bello ed è di indubbia marca religiosa, giudeo-cristiana. Un’onda di letizia corre dal Vecchio al Nuovo Testamento, dalla Legge al Vangelo di Gesù Cristo. Nostro Signore non è il maestro arcigno e burbero, non è l’asceta truce o il filosofo altero. No. Di fronte ai discepoli del Battista, che digiunano troppo, i suoi discepoli digiunano meno, poco. Di fronte ai Farisei accigliati per ostentazione di virtù o per piccineria di spirito, il volto del Maestro, Gesù, e dei suoi discepoli è non solo sereno; addirittura ilare. E San Paolo riprende questa tradizione evangelica, come Egli suole, quando grida nell’Epistola che oggi leggiamo, ai Filippesi: allegri, allegri in Dio. « Gaudete, iterum dico gaudete. » Il quale cristiano gaudio non è — sarebbe quasi superfluo il dirlo se io non volessi circoscrivere bene questa gioia cristiana di fronte ad altri stati spirituali affini ma non da confondersi con essa — l’incomposta rumorosa sfrenata ilarità del mondo: una ilarità fatta di incoscienza e di voluttà più o meno accentuata. La gioia cristiana sta molto più in qua, sta molto più in su della follia pagana. Quella è divina, questa è brutale. Quella si esprime nel sorriso, nel riso magari; questa nella sghignazzata. Paolo la descrive benissimo con due tratti contrastanti: la letizia nostra è: divina; in Domino e composta, « modestia vestra nota sit omnibus hominibus. » Ma come la gioia cristiana si oppone alle accigliatezze o tristezze farisaiche e alla gioia pagana, così non va confusa colla serenità pura e semplice, colla imperturbabilità — per usare la frase precisa — del filosofo stoico, greco. Non turbarsi mai. Nell’alto cielo non arrivano i turbamenti atmosferici della terra. Ma questa imperturbabilità oltreché tutta umana, oscilla, nello stoicismo, tra l’egoismo e l’orgoglio; egoista la imperturbabilità se nutrita dal desiderio di non soffrire; orgogliosa se ispirata da desiderio di parere; è qualcosa di negativo, di freddo; anche il marmo non si turba mai, nella sua glaciale, marmorea freddezza e durezza. Il Cristianesimo ha portato al mondo l’attività di fronte alla passività, la possibilità di fronte alla negabilità. Quello che è la carità attiva e calda del Cristianesimo di fronte alla inerte compassione buddistica, questo è la gioia cristiana di fronte alla stoica imperturbabilità. Il Cristianesimo ci vuole, sì, sereni, della serenità di un bel viso terso, ma ci vuole anche lieti, giocondi, allegri, positivamente contenti. Non gli basta che noi non si maledica; vuole che benediciamo, e molto, la vita. Non solo non dobbiamo essere corrucciati coi nostri fratelli, ma dobbiamo verso di loro nutrire la nostra benevolenza. Il nostro non deve essere un viso olimpico, serenamente olimpico per disprezzo di tutti e di tutto, disprezzo altezzoso e quasi corrucciato, o disprezzo umoristico, disprezzo sempre…Noi non dobbiamo disprezzare nulla e nessuno. Dobbiamo amar tutti e tutto, meno il male. – Una luce divina deve nutrire questa nostra gioia: la luce della bontà di Dio. Il mondo, per noi che lo vediamo in quella luce divina del Dio Creatore, Creatore buono, il mondo è bello. – Per noi che vediamo la storia nella luce di Dio, il Dio Redentore, caritatevole, l’avvenire è santo. Non siamo dei fatui che non vedono le ombre nel quadro, nel mondo e nella vita: ma su quella ombra grandeggia la luce di Dio. La luce trionfa. Lietamente noi abbracciamo la vita — non dice l’accettiamo, che è di nuovo una espressione di passività: l’abbracciamo, che vuol dire attività — colle sue lotte e coi suoi sacrifici e dolori. Alla lotta andiamo giocondi, sicuri della vittoria; i sacrifici li accettiamo lieti, sicuri della ricompensa. « Servite Domino in Lætitia: » ripetiamolo pure il vecchio ritornello, con nuova e più lucida coscienza, e, soprattutto, applichiamolo.

(P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939. – Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

Graduale

Ps LXXIX: 2; 3; 79:2

Qui sedes, Dómine, super Chérubim, éxcita poténtiam tuam, et veni.

[O Signore, Tu che hai per trono i Cherubini, súscita la tua potenza e vieni.]

Qui regis Israël, inténde: qui dedúcis, velut ovem, Joseph.

[Ascolta, Tu che reggi Israele: che guidi Giuseppe come un gregge. Allelúia, allelúia.]

Alleluja

Allelúja, allelúja,

Excita, Dómine, potentiam tuam, et veni, ut salvos fácias nos. Allelúja.

[Suscita, o Signore, la tua potenza e vieni, affinché ci salvi. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Joánnem

Gloria tibi, Domine!

Joann l: XIX-28

“In illo tempore: Misérunt Judæi ab Jerosólymis sacerdótes et levítas ad Joánnem, ut interrogárent eum: Tu quis es? Et conféssus est, et non negávit: et conféssus est: Quia non sum ego Christus. Et interrogavérunt eum: Quid ergo? Elías es tu? Et dixit: Non sum. Prophéta es tu? Et respondit: Non. Dixérunt ergo ei: Quis es, ut respónsum demus his, qui misérunt nos? Quid dicis de te ipso? Ait: Ego vox clamántis in desérto: Dirígite viam Dómini, sicut dixit Isaías Prophéta. Et qui missi fúerant, erant ex pharisæis. Et interrogavérunt eum, et dixérunt ei: Quid ergo baptízas, si tu non es Christus, neque Elías, neque Prophéta? Respóndit eis Joánnes, dicens: Ego baptízo in aqua: médius autem vestrum stetit, quem vos nescítis. Ipse est, qui post me ventúrus est, qui ante me factus est: cujus ego non sum dignus ut solvam ejus corrígiam calceaménti. Hæc in Bethánia facta sunt trans Jordánem, ubi erat Joánnes baptízans.”

“In quel tempo i Giudei mandarono da Gerusalemme a Giovanni i sacerdoti ed i leviti, per domandargli: Chi sei tu? Ed ei confessò, e non negò, e confessò: Non son io il Cristo. Ed essi gli domandarono: E che adunque? Se’ tu Elia. Ed ei rispose: Noi sono. Se’ tu il profeta? Ed ei rispose: No. Gli dissero pertanto: Chi se’ tu, affinché possiamo render risposta a chi ci ha mandato? Che dici di te stesso? Io sono, disse, la voce di colui che grida nel deserto: Raddrizzate la via del Signore, come ha detto il profeta Isaia. E questi messi erano della setta de’ Farisei. E lo interrogarono, dicendogli: Come adunque battezzi tu, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta? Giovanni rispose loro, e disse: Io battezzo nell’acqua; ma v’ha in mezzo a voi uno, che voi non conoscete: questi è quegli che verrà dopo di me, il quale è prima di me; a cui io non son degno di sciogliere i legaccioli delle scarpe. Queste cose successero a Betania di là dal Giordano, dove Giovanni stava battezzando”.

(Jo. I, 19-28).

Omelia

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956)

LO SCONOSCIUTO

Il mondo era stanco d’attendere. Eran secoli e secoli che i Patriarchi e i Profeti l’avevano annunciato, ed ogni giorno il popolo scrutava i confini del deserto per vedere se venisse verso Sion il Dominatore della terra (Is., XVI, 1), ed ogni alba alzava le mani verso l’alto e scongiurava che si squarciasse alfine il cielo e il Salvatore discendesse (Is., LXIV, 1). Ed ecco che fuori dalle lande desolate della Perea esce un uomo; e si ferma sulla riva sinistra del Giordano, presso Betania, a battezzare e a predicare. L’asprezza del suo abito, fatto con peli di cammello e stretto ai fianchi con cinghia di cuoio, l’austerità del suo volto e della sua vita, che sostentava di radiche amare e di miele silvestre, la sua parola minacciosa e sdegnosa fece balenare a molti l’idea ch’egli fosse il Messia atteso. I Giudei di Gerusalemme lo mandarono ad interrogare per bocca di autorevoli rappresentanti: sacerdoti e leviti. « Sei tu il Cristo? ». Ma il Battezzatore protestò e confessò: « No: io, non sono il Cristo ». « Allora sarai Elia? o almeno un profeta? ». « Né Elia io sono, né un Profeta. Sono l’eco della Sua parola che s’alza dal deserto; sono l’ombra della Sua figura che s’avanza; sono indegno di essergli schiavo e di curvarmi a sciogliergli i legacciuoli dei calzari ». Quelli disillusi protestarono: « Allora perché battezzi? ». « In acqua soltanto io battezzo. Ma in mezzo a voi c’è Uno che voi non conoscete ». Medius autem vestrum stetit quem vos nescitis. Ed in mezzo a quella gente, ignoto, c’era il Figliol di Dio, incarnato per la salute del mondo. Portava vesti d’operaio, mangiava carne e beveva vino coi peccatori, lo chiamavano il figlio del fabbro. Sì, figlio del fabbro: ma di quel fabbro che edificò il mondo non col martello, ma con il comando della sua volontà, di quel fabbro che compagnò con ordine gli elementi dell’universo, di quel fabbro che accese il sole e le stelle con fuoco non terreno, di quel fabbro che, all’impeto della sua voce, fece balzare dal nulla ogni cosa. Medius autem vestrum stetit quem vos nescitis Questo rimprovero può essere rivolto anche ad un gran numero di Cristiani, ai nostri tempi. Quel Gesù che era presente e sconosciuto in mezzo ai Giudei ai giorni del Battista, è pure presente e sconosciuto in mezzo a noi. Il piccolo catechismo c’insegna che nell’Eucaristia vi è lo stesso Gesù che nacque dalla Vergine Maria; che vi è vivente e immortale come lo è in Paradiso; che vi è certamente perché ce l’assicurò Egli medesimo quando disse: questo è il mio corpo. Da fanciulli imparammo queste verità, le credemmo, e le crediamo ancora; ma in pratica Gesù Eucaristico è uno sconosciuto tra gli uomini. Perché i Cristiani sentono così poco desiderio della S. Comunione? Perché a stento e non tutti riescono ad ascoltare una Messa alla settimana? Perché le chiese sono sempre silenziose e deserte, mentre tutta la vita ferve nei teatri, nelle osterie, nelle piazze? Perché Gesù Eucaristico è in mezzo a noi come uno sconosciuto: 1 – sconosciuto nella S. Comunione – sconosciuto nella S. Messa – sconosciuto nel S. Tabernacolo. Oggi, davanti a Lui che ci guarda e ci vede fin nel profondo del cuore, esaminiamo in proposito la nostra coscienza. – 1. GESÙ È SCONOSCIUTO NELLA COMUNIONE. Una tempesta improvvisa colse la nave su cui viaggiava Satiro, fratello di S. Ambrogio quando già all’orizzonte s’intravvedeva il profilo scialbo del porto. Il vento gonfiava le onde enormemente e le nubi erano discese in giro alla nave come una coltre grigia densa. Il fragore dell’acque copriva l’ululo delle donne e il pianto dei bambini. Qualche mercante s’era buttato sopra le sue casse, piene di prodotti oltremarini, quasi per strapparle alla furia selvaggia dell’elemento, o per sommergersi con esse in fondo al mare. Satiro, quando vide che la nave, sbattuta contro uno scoglio, faceva acqua da ogni parte e calava a picco, dimenticò la sua roba e i suoi denari, e gridò ad alcuni Cristiani: « Datemi l’Eucaristia ». Quelli portavano seco il Sacramento come permetteva la liturgia del tempo. Ma Satiro non poteva far la Comunione, ché ancora non era battezzato: perciò, posta e sul cuore l’Ostia santa, si gettò in mare. Che cosa può fare un uomo contro l’infinita rabbia del mare? Ma quest’uomo portava Gesù, il dominatore del mare, e toccò la sponda della salvezza.  Ogni giorno quante persone fan naufragio nella vita! Sono giovani travagliati dalla passione impura, che a loro suscita in mente una fosca nuvolaglia di pensieri, che a loro ridesta in cuore rabbiose ondate di desideri, e deboli e stanchi della dura lotta si abbandonano agli istinti cattivi disperatamente. Sono fanciulle che dopo aver cercato di resistere alle frivolezze della moda, dei divertimenti, delle compagnie, sfiduciate si lasciano trascinare dalla corrente vorticosa, del male verso la rovina eterna. Sono uomini che non si sentono capaci di liberarsi dalla bestemmia, dal gioco, dal vino, dal furto, da un affetto proibito e impuro. Sono madri di famiglia che hanno perso la pazienza e la forza di portar la croce: e non sanno più educare i figliuoli, e s’imprecano la morte ogni giorno, e più volte al giorno. »: Povera gente! Avete in mezzo a voi colui che può salvarvi dalla bufera, e voi non lo conoscete, non lo volete conoscere. Perché v’attaccate a mille cose di quaggiù, come quei mercanti che speravano di salvarsi gettandosi sopra le casse delle loro merci? Imitate piuttosto l’esempio di Satiro; gridate anche voi: « Datemi l’Eucaristia ». Con essa nel cuore non temerete né il demonio, né le passioni; con la forza che in voi metterà Gesù Eucaristico trionferete di ogni vizio, porterete ogni croce e la serenità della vita ritornerà ancora sopra il vostro cielo. – Alcuni credono di aver toccato la perfezione se una volta all’anno, a Pasqua, non tralasciano la Comunione. Oh quanto poco conoscono Gesù! Valeva forse la pena, allora, di rimanere tra noi sotto le specie di pane? « Si panis est — dice S. Ambrogio — quomodo illum post annum sumis? ». Se questo pane celeste avesse virtù di prolungare per molti anni la vita terrena, o soltanto di guarire dalle infermità corporali, in folla il popolo si accosterebbe alla sacra mensa. Ma la vita e la salute dell’anima non sono da più di quelle del corpo? Ma Gesù Cristo non è il dono che supera ogni dono? Sì: ma troppi Cristiani ignorano. Medius vestrum stetit quem vos nescitis. – 2. GESÙ SCONOSCIUTO NELLA MESSA. Circa l’ora nona d’un Venerdì, lontano ormai nei secoli, moriva in croce il Salvatore del mondo. Era disceso dal cielo in una notte rigida d’inverno, era cresciuto nel lavoro e nell’umiltà, per tre anni aveva camminato senza requie predicando e facendo miracoli, ed infine perseguitato e calunniato e flagellato moriva come un delinquente, lui il Figlio di Dio, per la salvezza degli uomini. E gli uomini non se ne davano pensiero. – A Roma forse in quell’ora tutto il popolo era assembrato nella cavea del circo, urlando di gioia belluina ad ogni gladiatore che gettasse il rantolo dell’agonia. Ad Atene la gente non pensava che a danzare e a mangiare allegramente. Ad Alessandria, ad Antiochia affluivano i mercanti non desiderosi d’altro che di perle e di profumi orientali. A Gerusalemme stessa la maggior parte della popolazione attendeva alle solite faccende d’ogni giorno. E Gesù, intanto, spasimava e agonizzava per tutti costoro. – Sul Calvario c’erano delle persone. Ma i più erano là indifferenti e curiosi. Stabat populus spectans (Lc., XXIII, 35). E Gesù moriva per loro. I ricchi e i caporioni lo beffavano: « Alios salvos fecit, se salvum faciat ». E Gesù moriva per loro. Anche i soldati lo prendevano in giro, e gli umettavano le labbra riarse con l’aceto: « Si tu es rex, salvum te fac ». E Gesù moriva per loro. Perfino il ladro, a sinistra crocifisso, lo scherniva: « Si tu es Christus, salvum fac temetipsum et nos ». E Gesù moriva per lui. Cristiani, questa tragedia che non ha confronti, nel mondo, si ripete ancora e spesso tra noi. Che cosa è la S. Messa? è il Sacrificio della croce, — risponde il catechismo, — che si rinnova sui nostri altari realmente quantunque senza spargimento di sangue. È ancora Gesù che si sacrifica al suo divin Padre per la salute di noi peccatori. « Prendimi, o Dio — sembra che dica ogni volta che il sacerdote leva l’ostia e il calice in alto — prendimi, salva gli uomini ».— Fra tutte le azioni più sacre e venerande della fede, non ve n’ha alcuna che possa paragonarsi al sacrificio della Messa: questa è il compendio di tutta la nostra santissima Religione. Eppure gli uomini, ancora come in quel venerdì ormai lontano nei secoli, se ne danno così poco pensiero! Come gli antichi Romani, come gli Ateniesi, come i commercianti di Alessandria e d’Antiochia, gli uomini anche oggi hanno tempo per tutto: per i teatri, per i balli, per le chiacchere, per gli affari; ma per la Santa Messa, no. Quanti Cristiani hanno il coraggio di non trovare, nemmeno alla festa, il tempo per ascoltare la S. Messa. I selvaggi, convertiti dai missionari, fanno giornate di cammino, attraverso foreste senza sentieri, per udire una S. Messa; e noi non sappiamo balzare dal letto qualche tempo prima, e noi non abbiamo la forza di fare un piccolo sacrificio per ricevere tanto bene. Medius vestrum stetit quem vos nescitis. Oh se lo si conoscesse Gesù che s’immola ogni giorno sull’altare, sarebbe ben diverso il nostro contegno durante la S. Messa! Molti vi assistono di malavoglia e nei giorni d’estate si ama rimanere fin sul sagrato per divagarsi meglio con la gente che passa. Si mormora del prete che nel celebrare non è frettoloso come si desidera. Si girano gli occhi su tutto e su tutti con un’aria curiosa e maliziosa. Si cerca un amico per scambiare qualche chiacchiera o qualche sorriso. Si viene alla chiesa: a sfoggiare il lusso delle vesti, l’acconciatura del volto e della persona. Così, così han fatto i Giudei sotto la croce. Intanto sull’altare Gesù muore un’altra volta per noi!… S. Giovanni Crisostomo, accortosi un giorno che durante il Santo Sacrificio stavano taluni in piedi e cianciavano, in un impeto di zelo così li apostrofò: « Qui stanno tremanti perfino gli Angeli e voi, in piedi, cianciate? Mi meraviglio come non vi colpisca un fulmine, o sacrileghi. Mentre il sangue dell’Agnello leva al Padre per i Cristiani voci di misericordia, contro voi lancia una voce terribile di vendetta e maledizione ». Non così, o Cristiani, rechiamoci ad ascoltare la S. Messa, ma coi sentimenti di Tommaso apostolo quando disse: « Andiamo anche noi e moriamo con lui! » (Giov., XI, 16). Con Cristo che rimuore sull’altare, moriamo al peccato e al mondo. – 3. GESÙ SCONOSCIUTO NEL TABERNACOLO. Assalonne, privato da Davide suo padre dell’onore di comparire alla sua presenza, non sa trovar pace. Che gli vale essere sfuggito alla morte, se vivo gli è proibito di vedere il volto di suo padre? Che sollievo potevano dargli, in questo stato, le parole degli amici da cui era corteggiato e l’abbondanza dei beni che possedeva? Cupo di giorno, inquieto di notte, s’aggira come un’ombra singhiozzante intorno alla reggia, penetra furtivamente nelle anticamere, e scongiura qualcuno che gli ottenga il sospirato favore. Un giorno, non potendone più, ferma Gioab e gli dice: « Recati innanzi al re mio padre e digli che da due anni languisco. Che non mi neghi più di vedere la sua faccia! E se il mio delitto è tale da non lasciarmi sperar perdono, o Gioab, digli che mi è più dolce morire che vivere senza vederlo ». Obsecro ergo ut videam faciam regis; quod si memor est iniquitatis meæ, interficiat me (II Reg.,XIV, 32).Quale stridente confronto, o Cristiani, tra noi e quel figlio sgraziato! Gesù nel Santo Tabernacolo ove s’è fatto eterno prigioniero d’amore, non ci proibisce d’andare a lui, anzi c’invita: «Voi che faticate, voi che siete angosciati, venite da me che vi ristorerò» (Mt., XI, 28). «O assetati, venite all’acqua! » (Is. LV, 1). Eppure le chiese per tutta la giornata sono sempre silenziose e deserte come una tomba. Quante volte si passa davanti alla chiesa e perché non si entra almeno un minuto a salutare Gesù?— Non si ha tempo — si dice; ma se s’incontra un amico per strada, nonostante tutta la fretta che ci sospinge, ci si indugia per delle mezz’ore. Perché nei lunghi pomeriggi le buone donne di casa non sanno correre da Gesù per una visitina? Perché si va, a poco a poco, dimenticando la bella consuetudine di passare da Gesù, dopo il lavoro della giornata, a prendere la perdonanza? Medius vestrum stetit quem vos nescitis. Quando il rimorso dei peccati vi stringe il cuore, voi cercate il rimedio nelle dissipazioni: e in mezzo a voi c’è Uno che vi può guarire, e non lo conoscete. Quando qualche disgrazia, qualche calunnia, qualche discordia vi strazia l’anima,voi cercate conforto tra gli amici, che non vi sanno comprendere, né vi possono aiutare; e in mezzo a voi c’è Uno che vi può consolare e non lo conoscete. – Nella notte di Natale, S. Gaetano da Thiene vegliava in preghiera ardente davanti al presepio nella basilica di S. Maria Maggiore. Con la sua fede rifaceva la storia di quella notte santa, e gli pareva d’esser lui pure un pastore a cui l’Angelo annunciasse la grande gioia. E gli pareva d’accorrere anche lui giù per le stradette rupestri verso la grotta di Betlemme, ove con un fil di voce gemeva l’Onnipotente nato bambino. Ed ecco, mentre così meditava, gli apparve davvero la Vergine Maria che portava il Bambino. E venne da lui e reclinò sulle sue braccia aperte e tremanti il piccolo Figlio di Dio. E Gaetano lo guardava, e stringeva al suo cuore di povero uomo quel Cuore di Dio, e gustava il paradiso. (Brev. Ambr., 9 Agosto). – Cristiani, in tempo d’Avvento, ravviviamo il nostro amore e la fede verso il santissimo e divinissimo Sacramento: Che Gesù Eucaristico non sia più per noi lo Sconosciuto! Allora nella Comunione di Natale, che tutti vorremmo ricevere, sarà la Madonna che metterà tra le nostre braccia, nel nostro cuore tremante di poveri peccatori il suo piccolo Figlio di Dio. E gusteremo un presagio di paradiso. — PREPARIAMOCI AL S. NATALE CON UMILTÀ. Davanti alla rude umiltà di San Giovanni Battista viene spontanea questa osservazione: Il primo peccato nell’universo fu di superbia. A redimere il mondo rovinato dalla superbia ci volle l’umiltà di Colui che, essendo Dio per natura, s’abbassò fino alla nostra misera condizione di uomini. Volendo poi mandare avanti chi gli preparasse la strada, era conveniente che scegliesse un uomo come Giovanni, che sapeva stare al suo posto. Questi infatti non s’arrogò il posto di Dio: « No, io non sono il Cristo ». Questi infatti non s’arrogò il posto del prossimo: « No, io non sono Elia; no, io non sono il profeta ». Umiltà con Dio, umiltà col prossimo prepareranno nel nostro cuore la strada al Signore che viene nel santo Natale. – 1. UMILTÀ con Dio. Nella Storia Sacra si racconta che a Nabucodonosor venne in mente di farsi una statua d’oro e di innalzarla in mezzo a un vasto piano. Nel giorno dell’inaugurazione fece dare questo bando: « Magistrati e Popolo, siete avvisati: appena udrete la poderosa orchestra suonare con trombe, flauti, arpe, cetre, zampogne, sull’istante vi butterete per terra adorando la statua del Re. Se qualcuno non lo farà, una fornace di fuoco inestinguibile già arde per lui ». Evidentemente una folle superbia spingeva Nabucodonosor a credersi Dio, e a scimmiottare il castigo divino dell’inferno. Non passò molto tempo che la vendetta del Signore lo raggiunse. Fu preso da un male strano e bestiale per cui urlava e morsicava come una belva, mangiava fieno come un bue, e gli crescevano sulle dita le unghie come artigli. Chi volle farsi Dio, si trovava ad essere bestia. (Dan., III, 1-7; IV, 26-30). L’orgoglio è quella profonda depravazione che induce l’uomo a mettersi al posto di Dio. – a) Sono io il Messia! gridano tante anime, non a parole ma con la pratica della vita: ad esempio, con lo spirito d’indipendenza dalle leggi di Dio. Perché il Signore deve proibirmi questo piacere? Che c’entra Lui con l’uso che del matrimonio io credo di fare nel segreto della mia famiglia? Così della propria volontà si fanno una statua d’oro da adorare. b) Sono io il Messia! gridano tante anime con il loro spirito d’egoismo che le inclina ad operare per sé, come se fossero fine a se stesse. Perché devo perdere un guadagno se mi viene da un lavoro di festa? Che mi viene in tasca a frequentare la Chiesa, le prediche? Così, del proprio interesse si fanno una statua d’oro da adorare. – c) Sono io il Messia! gridano tante anime con il loro spirito di vana compiacenza che si diletta nelle proprie qualità come se Dio non ne fosse l’autore; che si vanta per qualche opera buona come se essa non fosse, prima di tutto, principalmente il risultato dell’azione divina in loro. Così della propria stima si fanno una statua d’oro da adorare. – E in conclusione, tante anime, arrogandosi il posto di Dio, misconoscendo la loro realtà di creature che devono ubbidire, servire, adorare il Signore, sono diventate più felici, più elevate? Né più felici, né più elevate. Dio le vede cadute nell’abbiezione di Nabucodonosor. Si sono preclusa la comprensione e la grazia dell’umile nascita di Gesù nella stalla di Betlemme. – 2. UMILTÀ COL PROSSIMO. San Giovanni Battista ricusò di innalzarsi nella stima dei suoi contemporanei, proclamandosi Elia o il Profeta. Quanti invece tenendosi per grandi uomini, disprezzano il prossimo col cuore, con la parola, con gli atti. – a) Col cuore perché hanno invidia dei buoni successi altrui; si rattristano come di un torto fatto a loro; e giungono perfino a desiderarne il male. Essi sono il grande Elia, il Profeta atteso, e guai a chi fa ombra su di loro. – b) Con la parola perché vedendo il prossimo sbagliare, lo diffamano ripetendo a tutti con maligna mormorazione quel che hanno veduto o saputo. E non vedono i loro sbagli e i loro peccati; si credono zelanti come Elia, santi come il Profeta. – c) Con gli atti perché non riconoscono nessuna superiorità più in su della loro, e vogliono a tutti soprastare. Se si ricordassero che coi loro peccati hanno meritato l’inferno, e dovrebbero stare sotto i piedi del demonio, con quanta più delicata carità tratterebbero il prossimo. Ma essi si credono come Elia destinati al Paradiso prima ancora di morire. – Il santo Natale s’avvicina. Moviamo incontro a Gesù Bambino col sentimento della nostra nullità e miseria. Egli è colui che redimendoci dalla maledizione e dalla schiavitù ci ha riaperto le porte del paradiso, di cui avevamo smarrito la chiave. A S. Gerardo Maiella, quand’era fanciullo, capitò un caso tanto bello che quasi non parrebbe vero, ma è degno di fede perché fu esaminato e riconosciuto dalla Chiesa quando si trattò la causa della sua beatificazione. Gerardo faceva da servitorello al Vescovo di Lacedonia. Un giorno fu visto con la faccia pallida e piena di spavento vicino al grande pozzo sulla piazza del mercato. Con negli occhi una muta angoscia guardava in quell’oscura profondità. Neppur lui sapeva dire come fu: ad un certo momento udì un tonfo, ed erano le chiavi di casa sgusciategli dalle dita. E adesso che fare? che cosa gli avrebbe detto il suo padrone, malaticcio e nervoso? Forse l’avrebbe messo alla porta. Dove sarebbe andato, solo, senza lavoro, senza tetto? Di colpo gli balenò un’idea. Attraversa correndo la piazza, entra nella cattedrale, e prende, dalla cuna in cui giaceva, la statuetta del Bambino Gesù. « Bambino Gesù — supplica Gerardo quasi stringesse non una figura di gesso, ma proprio Lui di carne, vivo e respirante. — Tu soltanto puoi aiutarmi. Tu e nessun altro: fammi dunque ripescare la chiave! ». Poi legò il Bambino Gesù alla corda del pozzo e lo fece calare dolcemente. Come lo sentì nell’acqua gli gridò dentro con tutta la forza della sua speranza: « Bambino Gesù! portami su la chiave ». E cominciò a ritirare la corda. – Un grido di gioia: già sull’orlo era apparso il Bambino Gesù e nella manina teneva la chiave. Gerardo la prese da Lui, e poi sospinto come da un vento di allegrezza e di riconoscenza corse a riportarlo nella sua cuna. Cristiani, questo fatto è la conclusione più bella al Vangelo che abbiamo spiegato in questa terza settimana d’Avvento. – Gli uomini per la loro superbia avevano perduto la chiave della loro casa, cioè del Paradiso. Il demonio con l’astuzia e con la menzogna l’aveva fatta sgusciare dalle loro mani, e con riso beffardo l’aveva gettata in un abisso, donde era impossibile riprenderla. – Venne Gesù Bambino, ci ripescò la chiave, e ci riaprì il cielo: non da noi, ma solo da Lui venne la nostra salvezza. Umiliamoci! Il triste tempo della chiave perduta è finito: la chiave del Paradiso c’è per tutti che la vogliono. Rallegriamoci con riconoscenza amorosa! E se qualcuno sentisse di non potersi rallegrare perché nel suo cuore s’è spalancato ancora un pozzo di peccati e la chiave di nuovo gli è caduta dentro, con una umile, sincera confessione faccia calare Gesù Bambino in quel suo pozzo. Riavrà la chiave. — PREPARATE LA STRADA DEL SIGNORE. Anche a noi che ci prepariamo al Santo Natale, S. Giovanni grida: Dirigite viam Domini. Gesù Bambino è per venire e la via per cui verrà è il nostro cuore: bisogna prepararglielo. Per preparare la strada all’ingresso d’un re prima la si eguaglia, poi la si netta da ogni lordura, infine la si adorna. Eguagliar la via del cuore significa, dunque, togliere ogni occasione di caduta in peccato. – Nettare il cuore da ogni lordura significa purificarlo da ogni colpa. Infine adornarlo non è altro che abbellirlo d’opere buone. Queste son le tre cose che verrò spiegando un poco, son le tre cose che dobbiamo fare prima che giunga Natale. – 1. TOGLIERE LE Occasioni. Gerolamo il dalmata, un giorno, sparì dalle liete brigate romane: lo si cercò alle terme, al circo, ai divertimenti; invano. Per lunghi anni non si seppe più nulla di lui, così allegro, così intelligente. Ma una volta Vigilanzio lo scovò in una grotta in Palestina presso Bethlem, sfinito dalla penitenza, colla faccia sulla terra, pregante. Lo chiamò: « Gerolamo! Perché ti sei rintanato come un orso in questa spelonca, di che temi? ». Si rizzò il santo sulle ginocchia e, guardandolo, gli disse: « Vigilanzio; sai di che temo? temo di tanti pericoli tra i quali tu vivi, temo i discorsi oziosi, le liti, l’avarizia sordida, temo gli occhi della donna mondana ». Poi ritornò a poggiare la testa sul suolo di quella grotta dove quattro secoli prima era nato Gesù, il Salvatore. « Questo è un fuggir da vigliacco, — insistè Vigilanzio, — e non un vincere da glorioso. Bello è saper resistere al male pur vivendone in mezzo! ». « Basta, Vigilanzio. Se questa mia è debolezza, confesso d’esser debole. Confiteor imbecillitatem meam. Preferisco fuggire per vincere, che rimanere per perdere ». L’unico modo, dunque, di toglier le occasioni è quello di fuggirle. Se un santo, già disfatto dalle penitenze, assicura di non saper resistere in mezzo alle occasioni, come pretenderemo noi di non vedere senza lasciar quella compagnia, senza abbandonar quel ritrovo, quella relazione, senza bruciar quel libro? S. Bernardo dice che la nostra natura è troppo debole, e perciò è più facile risuscitare un morto che vivere nelle occasioni senza peccare. Via adunque quella lettura, via quella persona, via quel gioco. Il Signore viene, bisogna preparargli la strada. – 2. TOGLIERE IL PECCATO. Era un giorno arioso d’aprile quando Gesù uscito dalla casa di Marta prese la via di Gerusalemme. Il mezzogiorno dorato si stendeva sopra la città affollata d’ogni gente accorsa per la celebrazione della Pasqua vicina. La notizia si diffuse rapidamente e la moltitudine cominciò ad affluire. Irrompeva giù dall’Oliveto incontro al Signore, agitando rami di palma, frasche di mortella, ciocche d’ulivi. Alcuni gettavano sotto al suo passo i propri mantelli. E Gesù avanzava: mite e solenne come un trionfatore, cavalcando un asino non mai aggiogato. Tutti che l’accompagnavano si sentivano esaltare in quell’ora di trionfo luminoso. « Benedetto chi viene in nome di Dio! » gridò qualcuno; tutta la folla rispose con urlo impetuoso: « Osanna, osanna! ». « Benedetto il re d’Israele che viene! » gridarono altri che sopraggiungevano allora e tutti in un rapimento sovrumano risposero: « Osanna, Osanna! ». Non era questo il giorno più bello per Gesù? Eppure, come dall’alto della costa Gesù vide Gerusalemme bianca di marmo e piena di sole, scoppiò in pianto sopra di essa. Videns civitatem, flevit super illam (Lc., XIX, 41). Buon Dio! Ora che la città è tutta in festa dentro le sue mura, ora che tutto il popolo corre ad incontrarlo con fronde e con grida, Gesù piange. Gesù, che non ha pianto quando quelli del suo paese lo buttarono fuori dalla sinagoga; che non ha pianto quando gli gridarono dietro ch’era indemoniato; che non ha pianto quando tolsero su i sassi per lapidarlo, piange ora, nel giorno suo più bello. Videns civitatem flevit super illam. Perché? Egli intravvedeva sotto le fronde di palma e d’ulivo il tradimento: distingueva tra osanna e osanna il terribile crucifige di pochi giorni dopo; e quei mantelli sotto il suo passo gli erano immagine delle sue vesti di cui l’avrebbero tra poco spogliato. Per questo piangeva. Or ecco, Cristiani, che Gesù sta ancora per venire. Nel santo Natale Gesù entra nel mondo, entra nei nostri cuori. Io so che in tutte le famiglie all’avvicinarsi di questa solennità c’è molta preparazione. Le massaie fan rilucere il rame; il capo di famiglia pensa ai vestiti nuovi per i figliuoli; i figliuoli sognano i regali; ogni soglia s’adorna con vischio, con fronde di alloro, con piccoli abeti. Tutto questo va bene: ma forse son come le palme agitate dai Giudei, son come gli osanna d’allora. Tutta esteriorità e sotto c’è il peccato. Gesù Bambino venendo nelle nostre case, nei nostri cuori, Egli che vede fino in fondo alla coscienza, forse scoppierà in pianto. Videns… flevit. Vede che abbiamo dimenticato i nostri doveri di famiglia: che abbiamo trascurato l’educazione dei figli; che li abbiamo considerati come un fastidio da evitare. Vede la nostra passione per il gioco, per il vino; vede quell’amicizia indegna, vede i cattivi desideri, i pensieri. Vede che da mesi e mesi non ci confessiamo mentre sulla coscienza pesano certi peccati, certi sacrilegi, certe confessioni mal fatte. Gesù Bambino vede e piange. Come fa pena un bimbo che piange! quando di notte, svegliandoci, s’ode il suo vagito passare nel tenebroso silenzio, ci si stringe il cuore, non possiamo riprendere sonno e mormoriamo: « Ma perché lo lasciamo piangere?!… ». Allora, perché non ci farà pena il vagito di un Dio Bambino, perché lo lasceremo piangere? – Purifichiamoci con una bella confessione! che non li veda più i nostri peccati! Sorriderà. – 3. ORNIAMO IL CUORE. È commovente leggere nella Storia Sacra con quale desiderio bruciante i patriarchi invocavano la nascita del Messia. Quando qualche disgrazia li opprimeva, dicevano: « Gocciate o cieli, dall’alto; s’aprano le nubi e discenda il Giusto » (Is., XLV, 8). Quando la tirannia di qualche re li angariava, sognavano il soavissimo regno di Cristo: « Signore, dicevano, manda il tuo Agnello a regnare su Gerusalemme » (Is., XVI, 1). E quando Mosè ebbe l’incarico di liberare il popolo dalla schiavitù, e tremava di spavento, gli sgorgò l’invocazione sublime: « Signore, manda colui che devi mandare, che m’aiuti » (Esodo, IV, 13). – In questi giorni che precedono il Santo Natale facciamo nostre queste aspirazioni; ripetiamole mattino e sera, ma soprattutto nei momenti della tentazione. Ripetiamole quando l’adempimento del nostro dovere ci pesa: quando l’osservanza della legge del Signore ci sembra dura e difficile. Solo così, con la preghiera e con le opere buone, si può adornare il nostro cuore. Gesù venendo non troverà in noi lo squallore della stalla di Bethlem, ma un’abitazione calda d’affetto. – L’anima diletta dei Sacri Cantici, nel cuore della notte, udì strepere vicino alla sua porta. Si sveglia e tende l’orecchio. Sentì una voce che la chiamava: « Aprimi, sorella mia, amica, colomba!» Ella, sorpresa così tra la veglia e il sonno, pensava: «Devo proprio vestirmi e scendere ad aprire che fa freddo, che è notte, che ho sonno? » E si voltò dall’altra parte. Ma poiché la voce insisteva a chiamarla, poiché alla sua porta s’insisteva a bussare, dopo un poco decise di scendere ad aprire. Ma quando fu aperta la porta, non trovò più nessuno. S’accorse, disperata, che di là era passato il suo Signore, che aveva bussato proprio alla sua porta, ch’ella, per pigrizia, non gli aveva aperto, ed Egli se n’era andato lontano. Lo chiamò allora, con quanto fiato avesse in gola, perché tornasse; ma la sua voce velata di pianto tremava nella notte senza stelle, e nessuno le rispondeva: vocavi et non respondit mihi. Lo cercò allora, correndo come una pazza in giro per la città, interrogando le sentinelle, ma non lo trovò: quæsivi eum et non inveni (Cant., V, 6). – Il Santo Natale è vicino, e Gesù Cristo già bussa alla porta dell’anima nostra. Ci scuote dal sonno dei peccati e ci dice: « Aprimi! scaccia fuori il demonio e apri al Signore ». Temiamo che se ne vada via per sempre da noi. Forse è l’ultima volta che Gesù ci chiama a convertirci; poi ci abbandonerà in balia delle nostre passioni. Forse è l’ultimo Natale della nostra vita, poi verrà la morte. E nel momento della morte saremo noi che busseremo alla casa di Gesù; ma se adesso non gli apriamo, neppure Egli aprirà a noi, allora.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps LXXXIV:2
Benedixísti, Dómine, terram tuam: avertísti captivitátem Iacob: remisísti iniquitatem plebis tuæ.

[Hai benedetto, o Signore, la tua terra: liberasti Giacobbe dalla schiavitù: perdonasti l’iniquità del tuo popolo.]

Secreta

Devotiónis nostræ tibi, quǽsumus, Dómine, hóstia iúgiter immolétur: quæ et sacri péragat institúta mystérii, et salutáre tuum in nobis mirabíliter operétur.

[Ti sia sempre immolata, o Signore, quest’ostia offerta dalla nostra devozione, e serva sia al compimento del sacro mistero, sia ad operare in noi mirabilmente la tua salvezza.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de sanctissima Trinitate


Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui cum unigénito Fílio tuo et Spíritu Sancto unus es Deus, unus es Dóminus: non in uníus singularitáte persónæ, sed in uníus Trinitáte substántiæ. Quod enim de tua glória, revelánte te, crédimus, hoc de Fílio tuo, hoc de Spíritu Sancto sine differéntia discretiónis sentímus. Ut in confessióne veræ sempiternǽque Deitátis, et in persónis propríetas, et in esséntia únitas, et in majestáte adorétur æquálitas. Quam laudant Angeli atque Archángeli, Chérubim quoque ac Séraphim: qui non cessant clamáre quotídie, una voce dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: che col Figlio tuo unigénito e con lo Spirito Santo, sei un Dio solo ed un solo Signore, non nella singolarità di una sola persona, ma nella Trinità di una sola sostanza. Cosí che quanto per tua rivelazione crediamo della tua gloria, il medesimo sentiamo, senza distinzione, e di tuo Figlio e dello Spirito Santo. Affinché nella professione della vera e sempiterna Divinità, si adori: e la proprietà nelle persone e l’unità nell’essenza e l’uguaglianza nella maestà. La quale lodano gli Angeli e gli Arcangeli, i Cherubini e i Serafini, che non cessano ogni giorno di acclamare, dicendo ad una voce:]

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis


Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster,

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Is XXXV: 4.
Dícite: pusillánimes, confortámini et nolíte timére: ecce, Deus noster véniet et salvábit nos.

[Dite: Pusillànimi, confortatevi e non temete: ecco che viene il nostro Dio e ci salverà.]

Postcommunio

Orémus.
Implorámus, Dómine, cleméntiam tuam: ut hæc divína subsídia, a vítiis expiátos, ad festa ventúra nos præparent.

[Imploriamo, o Signore, la tua clemenza, affinché questi divini soccorsi, liberandoci dai nostri vizii, ci preparino alla prossima festa.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

Ite, Missa est.
R. Deo gratias.