LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (11)

LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (11)

LA GRAN BESTIA SVELATA AI GIOVANI

dal Padre F. MARTINENGO (Prete delle Missioni

SESTA EDIZIONE – TORINO I88O

Tip. E Libr. SALESIANA

III.

GRANDI ITALIANI NEMICI DELLA GRAN BESTIA.

Speranza, ho detto, non certezza, perché, perché…. ecco un altro avviso, a mio credere rilevantissimo, ed è questo. Nonostante tutte le vostre risoluzioni e la buo a volontà di mandarle ad effetto, non ostante tutto l’orrore da voi concepito per la GRAN Besta e fin per la sua coda, e lo sdegno generoso per quei miserabili che a lei si votano devotissimi schiavi; si danno certe circostanze nella vita, e certe sorprese, che talvolta anche un animo risoluto vacilla e cade. Sentite questa che è accaduta a me. Avrò avuto un dodici anni, quando una sera in sul pormi a cena con tutta la famiglia, venuto a mancare certo bocconcino in dispensa, grazie alla fama che meritamente godevo, di ghiottoncello, tutti gli occhi mi furono addosso. Ma quella volta davvero, io non avea tocco di niente; di che al babbo, che più volte ebbe ad interrogarmi, risposi fermo più volte del no. Fui tenuto bugiardo, e vista la mia ostinazione, cacciato dalla mensa comune in un cantuccio del mio stanziolino a piagnucolare ed a rodermi, pensando: — Sono innocente, non ho detto che la santa verità, e mi tocca star senza cena!… Oh vedete, giovani miei! non aver tanto giudizio da pensare: — Valga per quelle volte che l’ho fatta franca. Ma già certe buone ragioni non sovvengono che quando si è grandi. Breve; mi toccò andare a letto incenato, e checché dica il proverbio: Chi va a letto senza cena Tutta notte si dimena, a me pare che dormissi saporitamente sino al mattino: quando all’improvviso, mentre sognavo appunto di trionfarmi un bel piatto di maccheroni, mi sento afferrar per un braccio e darmi una grande strappata, che mi rizzò ginocchione sul letto. Apro appena gli occhi e travedo il babbo con una verga in una mano, che scuotendomi pel braccio coll’altra m’intimava, minacciando, ritrattassi la bugia detta la sera innanzi, e confessassi la mia colpa. A quell’intimazione, a quelle minacce, specie poi a quella verga che vedevo agitarsi nell’aria; e già me la sentivo nelle carni…. Dite, giovanotti: che avreste fatto voi?… Io commisi una viltà; confessai la colpa che non avevo commessa, e cessai così la paura di peggio. Che se alcuno di Voi, cari giovani, pensa che avrebbe fatto altrettanto, dica: non è vero, che si dan certe sorprese nella vita, a cui non s’è mai abbastanza preparati? Or bene, e se qualche volta, come feci io, doveste darvi del naso, ecco l’avviso: non avvilitevi, cari giovani, non fatevi perduti; ma caduti una volta, prontamente risorgete. Fate come ha fatto quel diritto, quel degno, quell’onestissimo uomo che fu (cavatevi il cappello) Cesare Balbo. Che ve ne conti?… Sentite. Giovine ancora di primo pelo in que’ burrascosi tempi delle prepotenze napoleoniche, gli toccava, come segretario della consulta di Roma, firmare un proclama, che dichiarava scaduto il Pontefice, e Roma dipartimento francese. A tal atto la sua coscienza ripugnava; pure costretto, sopraffatto firmò. Or bene, di quest’atto di debolezza provò tale un sentimento di sdegno e di rimorso; che. se ne volle dare la penitenza più dura, più difficile all’amor proprio; pubblicarlo, detestarlo per le stampe. Sentite come ne parla nella sua autobiografia. « Ricevetti un dispaccio e l’apersi; era la mia nomina a segretario della Consulta di Roma…. Fui quasi colpito da un fulmine, destandosi ad un tratto in me la coscienza di quella brutta usurpazione alla quale  servivo…. Qui lo spogliato era il Papa capo di mia Religione, a cui venerare ed amare ero stato allevato… Ne fui atterrato, addolorato oltre ogni dire, disperato; e pur non seppi resistere… Partii con Janet e in poche ore fummo a Roma. Pio VII v’era ancora; anzi non era spogliato tuttavia. Il proclama della Consulta fu quello che consumò la spogliazione. Epperciò io voleva pur salvarmi dal firmarlo, ed allegai che il segretario non c’entrava. Ma uno della Consulta osservò imperiosamente che la firma mia era pur necessaria: ed io, scusandomi meco, che questa non aggiungeva forza all’atto, ma solamente attestava l’altre firme, la diedi. Debolezza….. che mi fece comprendere nella scomunica, la quale apparve subito affissa sulle porte delle chiese maggiori a dispetto e quasi a sfida della forza aperta e della polizia segreta degli spogliatori…. » Udiste, giovani miei? Anche lui, Cesare Balbo, si lasciò un tratto azzannare dalla mala Bestia. Ma fu la sola colpa (nota egli stesso) la sola colpa di che abbia a dolermi nella mia vita pubblica; fui debole una volta (notate, giovani miei, una volta) a diciannove anni, rimpetto a Napoleone. » E difatti appena provò il dente della BESTIA, se ne risentì cosiffattamente, che non tardò un istante a vendicarsene rompendole le corna e troncandole di netto la coda. Attendete: seguiterò, quanto posso, a narrare colle sue stesse parole. – Detto della cattura di Pio VII operata poche settimane appresso dal generale Miollis. coll’aiuto del capo della gendarmeria francese Radet, seguita così: « Il Radet, appena tornato dalla triste accompagnatura, scese quasi a casa mia e m’entrò in camera tra ridente e serio, dicendo che ne avea sapute delle belle di me; che io andava a messa ogni domenica, e via via. Io gli risposi (attenti giovinotti, come piglia bene la rivincita!) gli risposi che vi andavo per lo più ai Santi Apostoli in faccia al suo alloggio; ma che d’ora innanzi vi andrei sempre, affinché ei mi potesse sorvegliare più facilmente. » Che ne dite, giovani miei? È egli stato franco questa volta il nostro giovane di diciannove anni? E pensare ch’ei parlava così a un capo di polizia francese, che poteva ficcarlo in gattabuia in quattro e quattr’otto! E giacché sono arrivato fin qui, permettetemi d’accennarvi, sempre colle sue parole, da che esempi il nostro Balbo attingesse un sì meraviglioso coraggio. « Io mi vergognavo più che mai (continua) allo spettacolo rimproveratore della fortezza di que’ preti. Incominciai a sospettare che questi così disprezzati, fossero pure i più forti, o i soli forti uomini d’Italia. Forse se avessi avuto prima il grande e salutare esempio, l’avrei saputo imitare. » E dice vero: tutta Italia, che dico tutta Italia? anzi tutta Europa, inginocchiata al fortunato tiranno, gli bruciava incensi: i preti soli, dritti in piedi, gl’intimavano il non Licet. E questa è storia. – Ma andiamo innanzi. ancora un poco e vediamo quella prima vittoria del giovine Balbo, come fosse feconda! Tre anni dopo, trovandosi a Parigi, membro del Consiglio di Stato, in una radunanza della sezione di finanze, fu invitato a riferire intorno alla liquidazione di Roma. Si pretendeva che in un giorno, o poco più, facesse l’estratto d’un monte di carte alto mezzo metro e più; ed egli rispose chiaro che non si sentiva. Gli si rise in faccia; ma tenne fermo e non ne fu nulla. – Sentite quest’altra. Quando già Napoleone disponevasi alla sciagurata campagna di Russia, il ministro Savary volle fargli accettare un impiego, cui la sua coscienza ripugnava; e Balbo a rispondergli in faccia lo sdegnoso suo no. Savary s’inquieta, comanda, minaccia; e Balbo duro. Cionondimeno il ministro, non ancora disperato di vincerlo, gli manda il biglietto di nomina a casa. E Balbo a rimandarlo con una fede del medico che attestava (ed era vero) della sua debole sanità. Savary, che volea vincerla ad ogni patto, lascia correr pochi giorni in capo ai quali gli manda ordine di presentarsi a dar giuramento: « Ed io (scrive Balbo) non ci andai. M’aspettava i gendarmi a ogni tratto; non ne fu altro. Il coraggio (conchiude) è sovente più facile che non si crede. » – E in sì bei sentimenti perseverò tutta quanta la vita. Vecchio di sessant’anni, al Parlamento Piemontese (seduta 28 febbraio 1849) ove incominciavano a manifestarsi i primi umori contro il Papa e il suo temporale dominio, ei ricordava la giovenile sua colpa con queste parole: — « Quaranta anni sono, nel 1809, io ebbi la sventura e la colpa di partecipare all’abbattimento della potenza temporale di un altro gran Papa, Pio VII. » E sconsigliava si rinnovasse lo scandalo.  Or che ne dite, giovani miei? L’aveva imparata per bene la lezione dei preti di Roma?… E così, francatosi fin dai primi suoi anni da ogni soggezione alla GRAN BESTIA e troncatale per tempo la Coda, operando e scrivendo, immacolata trasse la vita intera; e lasciò dietro sé bella fama di buon Cattolico, di valente scrittore e di sincero italiano. – Non posso finir questo capo, senza darvi un cenno d’altri grandi italiani, che in circostanze simili a quelle del Balbo, ci diedero esempio d’eguale franchezza. – Del famoso abate Parini, di cui spero avrete letto e gustato il bellissimo poemetto il Giorno, si conta, che nominato membro della municipalità di Milano al tempo della Repubblica francese, e accortosi al primo entrare, che dalla sala comunale era levato via il crocifisso, si die’ a soffiare e brontolare di mala grazia. Cittadino Parini (allora si chiamavano tutti cittadini alla rinfusa, sguatteri e principi, dottori e citrulli; tanto fa!) cittadino Parini, che avete? gli domandarono. Che cittadino, che cittadino? (rispose pieno di nobile dispetto l’uomo venerando) sapete che ho a dirvi? dove non può stare il cittadino Cristo, e nemmeno il cittadino Parini ci può stare. Disse, tolse il cappello, e via. – Alcun che di simile fece a Roma l’immortale scultore Canova; che nella prima adunanza dell’Istituto delle scienze tenuta sotto gli auspici francesi nelle sale Vaticane, sentita a proporsi una formola di giuramento che incominciava: giuro odio ai Sovrani, egli, beneficato tutta la vita dai Papi, si levò tutto sconcertato dal suo scanno, e pronunciando nel suo patrio dialetto: mi non odio nissun, mi non odio nissun, se la svignò. Saputo poi che i liberalastri infranciosati d’allora (adesso s’usano i liberali tedescanti), gliene volean dare un solenne carpiccio, montò sulle poste, se la filò a Possagno, sua patria, e buona sera a loro signori! –  E del nostro grand’astronomo Oriani è fieramente bella la lettera al capo del Direttorio della Repubblica Cisalpina, che pretendeva da lui, come  impiegato, un simile giuramento. Leggete: ei vi parla di sé in terza persona.  Barnaba Oriani stima e rispetta tutti i governi bene ordinati, né sa comprendere come per osserva le stelle sia necessario giurare odio eterno a questo o quel governo. Egli è stato in età di ventitré anni impiegato alla specola di Brera da un governo monarchico, e si acquistò qualche nome coi mezzi che gli vennero dal medesimo governo somministrati. Sarebbe dunque il più ingrato degli uomini, se ora giurasse odio a chi non gli ha fatto che del bene. Pertanto, ei dichiara che, non potendo giurar odio al governo dei re, chi non gli ha fatto che del bene, si sottomette alla legge che lo priva del suo impiego, e malgrado questo castigo, non cesserà mai di fare i più fervidi voti per la prosperità della sua patria. » – Fate tesoro di sì belli esempi, o cari giovani, che anche a’ dì nostri i tempi corron torbidi e grossi. E se, come al Balbo, vi accada la disgrazia d’una prima giovenile caduta, rilevatevi tosto, col fermo proposito di rendervi degni di quei grandi e generosi italiani. –

IV

ANCHE UN BELL’ESEMPIO DI FRANCIA E LO DÀ UN GRAN VESCOVO.

Avete mai osservate le madri quando addestrano lor bimbi a camminare da sé? Un poco li guidano a mano, poi li lasciano, e correndo alcuni passi innanzi, li chiamano, allargando loro le braccia. Oh quante volte l’avrà fatto con noi la nostra buona mamma! Ma chi se ne ricorda? E così, come queste affettuose lezioni, abbiam messo probabilmente nel dimenticatoio anche la pena che talvolta ci saranno costate: ché sovente il bambino, mentre, malfermo ancora sulle gambucce, s’affretta per gittarsi tra le braccia della mamma, gli smuccia un piede e…. tàffete, per terra! Allora sapete che fa? Se è un’indole fiacca, e melensa (quali li fanno a volte le mamme a furia di moine) s’avvilisce, dà in una sonora ragliata, e dibattendosi a terra, aspetta la mamma che lo levi di peso, gli forbisca occhi, naso e bocca, lo raccheti colle chicche o colle ciambelle. Ma se il bambino è d’indole fiera e animosa, non s’avvilisce, no, non piange; tutt’al più qualche singhiozzo forzato ch’ei reprime perché ne ha vergogna; e intanto, aiutandosi di mani e di piedi, s’affretta a levarsi da sé. Or bene, s’io avessi a dire quale di questi due bambini sarà più animoso da grande a combatter la BESTIA dell’umano rispetto, direi il secondo, non il primo. Qualcheduno di voi riderà; eppure, credete a me, nel fanciullo ci è l’uomo. Checché pensiate del resto di questo pronostico, non mi potrete certo negare, o cari giovani, che quel non avvilirsi dopo una prima caduta, ma volersene tosto rilevare, fa segno di forza e nobiltà d’animo ben fatto. L’avete veduto poc’anzi in un grande italiano; vo’ farvelo ora vedere in un grande Francese, non foss’altro, a farvi intendere che la virtù non è soltanto frutto de’ nostri orti, ma là sempre attecchisce dove trova anime ben disposte. – Avrete sentito a parlare, m’immagino, di quel dottissimo ed eloquentissimo uomo che fu il Vescovo di Cambrai, Fénélon, uomo, dico, di petto veramente apostolico, che mettendo la verità innanzi a tutto, persino ai re sapeva dire di quelle parole, che dan la scossa e fanno impallidire. Togliete ad esempio ciò che osava scrivere al re più potente e più adulato d’Europa, cristianissimo di nome, pagano di fatti, che fu Luigi XIV. Citerò pochi tratti della lunga sua lettera, che gli costò vessazioni e dispiaceri non pochi. Leggete. — « Voi siete nato, o Sire, con un cuor buono, ma i vostri educatori ve l’hanno guasto, inspirandovi la diffidenza, la gelosia, l’orgoglio, l’amor di voi stesso… Avete immiserita la Francia per introdurre un lusso mostruoso nella. Vostra corte… I vostri ministri vi hanno avvezzo a tali adulazioni, che sanno d’idolatria, e che voi dovevate rigettare con disdegno… Il vostro nome è divenuto odioso ai francesi, insopportabile ai vicini… Quanto alle vostre conquiste, avete bel dirle necessarie. Ciò che è d’altri non ci è necessario mai, o Sire; sola veramente necessaria é la giustizia.. » E tira giù, tira giù un bel tratto, per conchiudere intimando al gran re: — « Dovete preferire il bene de’ vostri popoli a una falsa ombra di gloria, riparare i mali che avete fatti alla Chiesa, e pensar. seriamente a’ rendervi vero Cristiano prima che morte vi sorprenda. » — Che ne dite? Questo è un uomo, eh? Anzi un eroe, un apostolo, un Vescovo, un prete simile a quelli dai quali il Balbo confessa d’aver tanto imparato. – Or bene, questo grand’uomo ebbe una grande disgrazia. Stomacato della morale rilassata che prevaleva a’ suoi tempi, massime a cagione degli scandali della corte, scrisse con quella penna d’oro, onde va superba la Francia, un libro, intitolato delle Massime dei Santi, nel quale dal fervor del suo zelo lasciossi trarre qua e là a proposizioni d’eccessivo rigore. Di che, denunziato a Roma quello scritto, venne da Roma imparziale condannato. Fu un fulmine pel dottissimo e piissimo prelato!… Pure udite coraggio e virtù con che seppe vincere ad un tempo e l’amor proprio e l’umano rispetto. – Salito una domenica sul pulpito della sua Cattedrale accalcata di popolo, con ferma voce e tono pacato e tranquillo annunziò a’ suoi fedeli, che Roma aveva condannato il suo libro delle Massime dei Santi; gli esortò, si guardassero dal procacciarlo o dal leggerlo, o se già il possedessero, darlo incontanente alle fiamme: tal essere il loro stretto dovere. — Quanto a me (conchiuse) mi stimerei indegno della dignità, che porto, di vostro Pastore, se alla voce del sommo Pontefice non mi piegassi docile come l’ultima delle mie pecorelle. — E non basta: di questa sua generosa sottomissione volle lasciare alla sua chiesa un monumento duraturo, regalandola d’un ostensorio, il cui raggio veniva sostenuto da una figura della Fede in atto di calcar co’ piedi il libro, che Roma, maestra della fede, aveva condannato! — O viva il Vescovo Fénélon! Come onora il grande uomo questa franca e leale condotta!… E dico onora, perché il disdire un errore, il rilevarsi d’una caduta è sempre azione da uomo e da uomo onorato. Eppure, guardate pregiudizi! V’ha non pochi al mondo, che dicono precisamente il contrario. Avete errato? Guardatevi dal farvene accorgere, dal ritrattarvi, dal correggervi; n’andrebbe del vostro onore. — Che è quanto dire, che se uno per disgrazia è caduto nel fango, il suo onore porta che tutta la vita, se fa mestieri, se ne stia a brancolare nel fango; e se vi si è malamente inzaccherate e mani e faccia e vesti, si guardi bene dal pulirsi, se vuol farci la bella figura. — Che ve ne pare, giovinetti? È ragionare cotesto? Oh! quanto meglio l’han pensata i Balbo, i Fénélon… E qui mi sovviene un altro grande, ma antico, vo’ dire quel potentissimo ingegno di s. Agostino, il quale, non contento d’avere nel suo libro delle Confessioni condannati i traviamenti di sua gioventù, volle in fin di vita, ai tanti libri dottissimi che scrisse in difesa della religione, aggiungerne uno di Ritrattazioni, nel quale spiega, rettifica, e parte ritratta ciò che, esaminando accuratamente tanti scritti suoi, gli parve men consentaneo alla verità. — Or che ve ne pare, giovani miei? in ciò fare, fu vile e disonorato s. Agostino? Furon vili e disonorati con lui un Balbo e un Fénélon?.. Ebbene, con costoro, se occorra, saremo vili e disonorati anche noi.

VIVA CRISTO RE (15)

CRISTO-RE (15)

TOTH TIHAMER:

Gregor. Ed. in Padova, 1954

Imprim. Jannes Jeremich, Ep. Beris

CAPITOLO XVIII

CRISTO, RE DEGLI AFFLITTI (I)

La sera della prima domenica di Pasqua, quando la tristezza e la paura invadevano gli animi degli Apostoli riuniti nel Cenacolo, Gesù Cristo risorto apparve all’improvviso e disse loro: “La pace sia con voi” (Gv XX,19). E subito la pace inondò le loro anime. Questa è la scena che mi sembra più appropriata per presentare Gesù Cristo come Re che dispensa la sua consolazione agli afflitti, e per parlare di uno dei più grandi problemi dell’umanità: la sofferenza. È vero che il tema della sofferenza è sempre stato attuale, ma non lo è mai stato come oggi. “Vivere è soffrire”. Per sfuggire alla sofferenza, l’uomo ha provato di tutto, ma invano. Ha provato tutte le forme di governo, ha cambiato le diverse organizzazioni sociali, ha cercato di soffocare la sofferenza attraverso l’ubriachezza, la dimenticanza…. Invano; l’uomo non può dimenticare il versamento di lacrime e, purtroppo, possiamo affermare che non ne sarà mai libero. La sofferenza e la vita umana vanno di pari passo. Se non possiamo liberarci dalla sofferenza, proviamo almeno a chiederci: a cosa serve la sofferenza e come dobbiamo affrontarla nella nostra vita cristiana; nel prossimo capitolo mi chiederò: quale aiuto ci dà Cristo, Re dei tribolati, nella sofferenza?

I

La prima domanda che attende la mia risposta, e che racchiude le lamentele e le angosce di tanti fratelli sofferenti, è la seguente: perché Dio ci manda tante disgrazie, tanti mali, tante prove in questa vita terrena? E perché Egli colpisce giustamente me, io che ho sempre voluto servirlo lealmente, io che ho rispettato i suoi Comandamenti in ogni modo? Come può essere così “duro”, così “severo”, così “crudele” con noi? Sentiamo continuamente lamentele di questo tipo. Gli uomini che lottano con le difficoltà economiche, quelli che sono delusi, quelli che portano la croce di un matrimonio infelice, quelli che sono spezzati dalla sventura, mormorano: Quanto è severo Dio, che ci visita con tanta sofferenza! Perché Dio è così “severo”, perché è così “duro”? Ma non sapete che non è Dio a mandarci la maggior parte delle sofferenze, cioè che non vuole che l’uomo soffra così tanto? – Come lo capisci? Vi spiego. Il mondo attuale non è come Dio l’ha voluto nel suo primo progetto, non è come Dio l’ha creato, ma l’uomo ha sconvolto il suo sublime piano, e per questo tutto il mondo ora geme sotto le conseguenze del peccato originale: la natura inanimata, così come gli esseri viventi. Anche se la Chiesa non insegnasse nulla sulla caduta dell’uomo e sulle sue conseguenze, cioè sul peccato originale, sentiremmo, a causa delle innumerevoli contraddizioni e delle terribili ingiustizie della vita, che qualcosa è all’opera, che qualcosa non è in ordine, che la vita umana non può uscire dalle mani del Creatore in questo modo, che deve esserci stato qualche errore già all’inizio della nostra storia. Dobbiamo affermare con decisione e apertamente che ci sono state e ci sono sulla terra innumerevoli sofferenze che Dio non ha voluto e non vuole, e la cui unica causa è l’uomo, l’uomo peccatore, l’avidità umana, l’egoismo, l’orgoglio. Devo fare qualche esempio? Solo uno o due, presi a caso. – Ho visto a Roma l’immenso Colosseo, il Circo, orrendo anche nelle sue rovine. Ci fu un tempo in cui il popolo, ubriaco di sangue, e l’imperatore stesso, udirono la sera il tragico saluto dei gladiatori che combattevano fino alla vita e alla morte: Ave Caesar, morituri te salutant! “Ave Caesar, i moribondi ti salutano! Allora i gladiatori si attaccarono l’un l’altro; combatterono… gli uomini… per uccidersi l’un l’altro; e gli altri, anch’essi uomini, si rallegrarono di tale spettacolo. In verità, Dio non voleva questo! Il vecchio mercato degli schiavi è visibile ancora oggi a Tunisi, e i bastoni e gli anelli di ferro a cui erano legate le catene di quegli uomini infelici – uomini come noi, con anime immortali! -E Catone, il saggio Catone, scrive: “Bisogna saper vendere a tempo debito le bestie e gli schiavi anziani!” Orrore, prima le bestie, poi gli schiavi! Non è certo questo l’intento di Dio! Che questi esempi sono antichi, che oggi non ci sono né gladiatori né schiavi? Bene, allora. Ecco alcuni esempi moderni. – Una vedova che soffre disperatamente ha un figlio che fa sempre baldoria, che le chiede sempre più soldi, eppure non ha una sola parola di affetto per la madre…. Come può Dio volere questo? Un padre ha sei figli, sei figli che non hanno nulla da mangiare. Accetta qualsiasi lavoro, qualsiasi cosa gli capitai a tiro. Ma non lo vogliono da nessuna parte. E i bambini, affamati, piangono a casa…. Come può Dio volere questo? Dio è “troppo duro” per mandare tante sofferenze all’uomo? È Lui che le manda? No, e mille volte no! La causa di questi innumerevoli dolori, sofferenze e dispiaceri è l’uomo, la sua natura umana decaduta e degradata. Sì, nella maggior parte dei casi è l’uomo il responsabile dell’amarezza di questa vita terrena. So benissimo che mi verranno mosse delle obiezioni: anche se Dio non vuole la maggior parte delle sofferenze, tuttavia le permette, le tollera, acconsente che l’uomo debba soffrire così tanto. Perché acconsente? Questo è un altro discorso. In realtà, Dio potrebbe sospendere l’ordine e le leggi della natura: perché non lo fa? – È la domenica di Pasqua del 1927. Una delle chiese di Lisbona è affollata di gente. All’improvviso… la cupola crolla… e l’urlo di quattrocento feriti riecheggia nell’aria. La chiesa è crollata! Dio non avrebbe potuto sostenere il muro che si stava rompendo? Così facendo, non ha salvato quattrocento uomini! Avrebbe potuto salvare quattrocento uomini! Sì, avrebbe potuto! E non l’ha fatto. Non ci libera da tutti i mali. Ci permette di soffrire.  Dobbiamo forse dire che Dio non ci ama? No. Diciamo piuttosto: se permette che le sue creature predilette versino tante lacrime amare, se Dio permette che la vita umana trabocchi di sofferenza, allora ha ragioni potenti per non farlo, uno scopo elevato che non conosciamo. – Vediamo: qual è la caratteristica più bella dell’anima cristiana? Non soffrire? Che sarà mai! Anch’essa soffre e… piange. Ma non si lamenta, non si ribella, non si dispera; bensì cerca di scoprire cosa Dio vuole da lei, permettendo che le capiti questa o quella disgrazia. Dio è il mio Padre benevolo, e se le permette di soffrire così tanto, deve avere le sue ragioni.

II

Studiamo ora quali sono i piani che Dio può avere con le nostre sofferenze. Anche alla luce naturale della ragione, posso già scoprire alcuni motivi. Perché Dio ci permette di soffrire così tanto? Perché attraverso la sofferenza spesso difende la nostra vita corporea e la nostra salute. Perché un dente malato fa male? Perché se non facesse male, nessuno si preoccuperebbe se i denti si rovinano o meno. Perché una scottatura fa male? In modo da essere prudenti e non bruciarci. Faccio un passo avanti e chiedo: perché c’è la morte, la più grande di tutte le sofferenze terrene? Affinché possiamo avere una maggiore stima della vita che passa. Se la morte non fosse così terribile, quanti si suiciderebbero! Questa è la risposta della semplice ragione. – Ah, ma questa è una piccola risposta, non è vero? La fede cristiana mette a fuoco il problema in modo più profondo. Vediamo la sua soluzione: che cos’è la sofferenza, la disgrazia, nel piano di Dio? Forse è l’ultima risorsa per salvare la mia anima. Ho appena toccato una piaga viva di molti uomini moderni. Ci sono persone che si perdono perché stanno troppo bene su questa terra. Uomini che arrivano a sedersi nella loro regalità in questa vita, e solo in vista di un benessere effimero; uomini che non vogliono credere che su questa terra tutto sia un continuo inizio, una prova imperfetta, un’opera incompiuta. Sono sordi e ciechi a tutto ciò che non sia denaro, fortuna o piacere, a tutto ciò che ci parla di Dio, dell’anima, della Religione, della vita eterna. Non conosciamo tutti una persona così, che sta troppo bene e che si preoccupa di tutto – delle sue scarpe, del suo cagnolino, del suo cappotto, della sua auto, del suo ombrello, di tutto… – tranne che della sua povera, unica, anima immortale? – Quando Augusto venne a conoscenza dell’atrocità di Erode, che fece uccidere il proprio figlio per paura che gli sottraesse il trono, esclamò: “Preferirei essere un maiale che un figlio di Erode! 1 MACROBIO (Satis., II. 41) è il primo a riferire nell’anno 410 questa testimonianza, peraltro sospetta; infatti tutti i figli di Erode erano già maggiorenni e alcuni di loro avevano figli. (N. dell’E.) Se avesse conosciuto l’uomo moderno, avrebbe detto: preferisco essere un cagnolino che l’anima dell’uomo moderno, perché l’uomo moderno si preoccupa più del cane che dell’anima. Ebbene, se Dio vuole portare questi uomini alla conversione, cosa può fare? Egli può servirsi delle prove e delle sofferenze. – Una signora distinta andò un giorno a lamentarsi con un direttore spirituale anziano e molto esperto: Padre, questo mondo mi assorbe quasi completamente e, qualunque cosa faccia, non riesco a liberarmi dalle mie vecchie e grandi colpe. Ho provato di tutto: esercizi spirituali, confessione… Tutto inutile. C’è ancora salvezza per me? Cos’è che può ancora salvarmi? Cosa può salvarvi? Solo una grande disgrazia, rispose il vecchio sacerdote. La signora non capì la risposta. Ma non le ci volle molto per capire. Perse la maggior parte delle sue ricchezze, molti dei suoi uomini morirono e, alla luce di tante disgrazie, quell’anima fuorviata trovò Dio. – Così, la sofferenza può essere nelle mani di Dio un aratro che apre solchi profondi, che rimuove e allenta il terreno che il benessere ha indurito. Ci sono moltissime persone che, dopo essersi allontanate per lunghi anni da Dio, sono state riportate a Lui dalla sofferenza. Molti potrebbero dire con CHATEAUBRIAND: “Ho creduto perché ho sofferto”. Molti uomini si comportano nei confronti di Dio come si comportano nei confronti della cucina: durante l’inverno sono vicini ad essa, durante l’estate la dimenticano completamente. Le stelle sono sempre nel cielo, ma le vediamo solo di notte; allo stesso modo, molte persone pensano alla vita eterna solo quando la sofferenza irrompe nella loro vita. Ma io non sono un miscredente”, mi direte; “non penso che Dio si serva della sofferenza per farmi camminare sulla retta via. Che cosa vuole Dio da me quando sono colpito da una disgrazia?”. Potrebbe avere altri scopi. Potrebbe voler plasmare, abbellire, lucidare la vostra anima con la sofferenza. La sofferenza purifica, abbellisce l’anima e la rende profonda quando viene sopportata e offerta per amore di Dio e dei peccatori. Il continuo benessere rende l’uomo volgare, orgoglioso, sfrenato, ambizioso; la sofferenza, invece, lo rende compassionevole e umile…, lo rende più simile a Cristo! Sì: la sofferenza può essere l’opera dell’artista che Dio fa sul marmo della mia anima. Anche il marmo vorrebbe piangere quando si frantuma sotto i colpi del martello dello scultore. Ma se l’artista “trattasse bene il blocco di marmo”, sarebbe in grado di ricavarne un capolavoro? – La sofferenza può essere il lavoro del minatore con cui Dio scava nella mia anima. Dio cerca l’oro in noi; e l’oro di solito non si trova in superficie, ma deve essere scavato dalle profondità, a costo di un duro lavoro. Ma la sofferenza può anche essere una punizione per mano di Dio. La giustizia esige che colui che ha peccato debba soffrire. È un fatto che non ammette repliche: da qualche parte deve essere punito, in questa vita o nell’altra. “Come oso dire che non ho peccato? Ho espiato i miei peccati? Lo dico a tutti i fratelli: voi che soffrite, non dimenticate mai che è meglio espiare il peccato quaggiù. È meglio dire con sant’Agostino: “Qui, qui, punisci, brucia, visitami, Signore, purché tu mi usi misericordia nell’eternità!”. – FRANÇOIS COPPÉE è stato uno scrittore francese di fama mondiale. Per molto tempo ha vissuto da non credente, poi si è convertito. Soffrì atrocemente sul letto di morte, e pregò forse di porre fine ai suoi dolori? Al contrario. Ha detto: “Je veux une longue agonie…”. “Signore, concedimi una lunga agonia” e, dopo un attimo di silenzio, aggiunse: “… car je crois en Dieu et á l’iminzortalité de l’áme”. “… perché credo in Dio e nell’immortalità dell’anima”. – “Che la sofferenza sia anche una punizione per mano di Dio?” Beh, lo capisco. Ma non capisco come spesso siano i buoni a soffrire di più, quelli che non hanno peccato; e, d’altra parte, i criminali più famosi, che sembrano aver fatto una sola buona azione nella loro vita, si danno la vita migliore che si possa pensare. Come si spiega questo? Dov’è la giustizia? È vero, chi riflette in questo modo ha ragione…, se con questa vita è tutto finito. In questo caso, non c’è soluzione al problema; se così fosse, non c’è davvero giustizia. Ma se credo che la vita continui dopo la morte, allora non sarà difficile trovare la risposta. “Gli uomini giusti soffrono molto in questa vita”, perché non devono soffrire nella vita eterna, e qualsiasi peccato abbiano commesso – nessuno può affermare di essere completamente esente dal peccato – è già stato espiato in questa vita. “I malvagi hanno prosperità in questa vita”, perché nell’altra vita dovranno soffrire, mentre la ricompensa per quel poco di bene che possono aver fatto – possono aver fatto qualcosa, anche se si tratta di un’inezia – la ricevono già in questa vita. – Il problema, allora, è questo: come conciliare la marea di mali che ci inonda con la bontà del Padre celeste, che veglia sull’universo? E la risposta è questa: Dio non trova piacere nella sofferenza degli uomini, così come i genitori non trovano piacere nel dover negare qualcosa ai loro figli o nel doverli punire. Se devono farlo, è perché hanno tutte le ragioni per educare, emendare o rimproverare la loro cattiva condotta, evitando così che i loro figli peggiorino. Questo getta già un po’ di luce sul problema del dolore. Solo un po’ di luce? Sì, una certa luce. Infatti, anche dopo tutte le riflessioni e le spiegazioni, dobbiamo confessare che non abbiamo raggiunto una chiarezza assoluta e che qui c’è un mistero, un segreto, che l’uomo non può penetrare. Spesso siamo costretti a dire: non capisco, non capisco. Perché non siamo noi i creatori dell’universo. Quello che ho fatto io stesso lo capisco; quello che hanno fatto gli altri è più difficile per me. Trovo più difficile capire quello che hanno fatto gli altri, e ci sono molte cose al mondo che io non ho fatto. Solo il Creatore può comprendere appieno gli eventi del mondo. Già Sant’Agostino esprimeva questo pensiero quando paragonava la vita dell’uomo a un arazzo di ricchi colori, di cui vediamo solo il rovescio. Guardate un bellissimo arazzo persiano: fiori, figure, colori, si fondono in un’armonia artistica. Sì, ma se vediamo solo il rovescio della medaglia, ci sembra un’orditura senza ragione od ordine. Lo stesso vale per la vita. Noi vediamo il rovescio; il dritto, cioè il grande pensiero unificatore che riunisce tutti i fili e i dettagli secondo un piano prestabilito, lo vede solo Dio. Accanto al telaio della vita umana c’è il Dio eterno, di cui non conosciamo i disegni, i cui pensieri non sono i nostri pensieri e le cui vie non sono le nostre vie. Ma se siamo nelle mani di Dio, se un uccello non cade dal tetto senza che Dio lo sappia, se non cade un capello dal nostro capo senza il piacere dell’Altissimo, nessuna disgrazia, nessuna sofferenza o dolore potrà strapparmi a Dio… è una verità indiscutibile che voglio sempre professare.

* * *

Una volta ho incontrato un conoscente, un giudice, che non vedevo da diversi mesi. Il suo unico figlio, studente universitario, era un mio discepolo, per giunta eminente. Tutta la famiglia ha trascorso l’estate in una località balneare. I genitori si stavano riposando in riva al lago; il bambino stava nuotando. All’improvviso…, senza una parola, senza un solo lamento, si tuffò… lì, in piena vista dei suoi genitori…. Fu trovato il giorno dopo in acqua…; era morto…. Il loro unico figlio, robusto, di diciannove primavere! …. Era la prima volta che incontravo il padre dopo il disastroso evento. In queste occasioni, abbiamo istintivamente cercato qualche parola di consolazione…. Ma non ce n’era bisogno. Con voce affannosa, con un non so che di ammirevole, con la voce tremante di un uomo che lotta contro il dolore, mi disse: “Padre, in mezzo a questa terribile disgrazia, ringrazio Dio per essere stato così misericordioso con il nostro Giovanni…”. La mattina stessa si era confessato e aveva ricevuto la Comunione…. Da allora, io e sua madre andiamo a confessarci e a fare la Comunione ogni mese nello stesso giorno…. Ci conoscono già e ci guardano tutti con sorpresa; non capiscono come possiamo sopportare una tale disgrazia…”. Avrei voluto gridare a tutti: “Uomini, fratelli che soffrono, che sono oppressi, tutti voi, venite a imparare da questo padre tormentato! Fratello, la vita è difficile per te e sei nel mezzo di una notte che sembra non avere fine? Fratello, sei stanco di versare lacrime? Poi guardate: inginocchiatevi davanti a Dio, chinate il viso e appoggiatelo sulle sue mani, sulle mani del vostro Padre celeste, e cercate di pronunciare lentamente, rendendovi conto di ciò che state dicendo, le seguenti parole: “Sia fatta la tua volontà, Signore, ovunque io sia. Sia fatta la tua volontà, Signore, anche se non la capisco. Sia fatta la tua volontà, Signore, per quanto io possa essere turbato”. Signore, sia fatta la tua volontà in ogni cosa; Signore, ti sarò sempre fedele. “Chi può separarci dall’amore di Cristo? La tribolazione, l’angoscia, la fame, la persecuzione, la spada…? Sono certo che né la morte, né la vita, né gli Angeli, né i Principati, né le Virtù, né le cose presenti, né quelle a venire, né la potenza, né alcunché di più alto, né alcunché di più profondo, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è fondato su Gesù Cristo, nostro Signore” (Rm VIII,35.38-39).

CAPITOLO XIX

CRISTO, RE DEGLI AFFLITTI (II)

Nel capitolo precedente ho proposto un tema molto difficile: il problema della sofferenza umana. Forse non c’è altro argomento che interessi di più gli uomini, dal momento che tutti, o quasi, avranno sentito nel loro cuore lo sguardo terribile della sventura e del dolore. La sofferenza è la compagna inseparabile dell’uomo che vaga in questa “valle di lacrime”; un mistero tremendo per la mente pensante e una pietra di paragone per l’anima religiosa. Non si può scherzare con la sofferenza. È una cosa dura, grave, amara; ed è spesso una prova, apparentemente senza scopo, insopportabile; tuttavia, come abbiamo visto nel capitolo precedente, la Sacra Scrittura dice con la sua mirabile saggezza: “Chi non è stato tentato, che cosa può sapere?” In altre parole, la tribolazione è un prerequisito per l’equilibrio della vita giusta. – Chi non ha sofferto non capisce come il nostro “io” migliore, la nostra anima, il nostro Dio, che dimentichiamo quando il benessere ci sorride, si possa trovare sul sentiero roccioso della sofferenza. Chi non ha sofferto non sa come si possano comprendere i mali degli altri guardandoli attraverso la propria miseria; come si possano tagliare con le forbici del dolore acuto tutti i nodi che legano la rete dell’egoismo, della piccolezza d’animo; come ci si possa trasformare in anime morbide, comprensive, piene di perdono. Chi non ha sofferto non sa come la sofferenza possa purificarci dal peccato, espiare la colpa, recuperare il tempo perduto. Certo, la sofferenza sopportata con forza ci rende più coraggiosi, l’impotenza ci rende più malleabili, l’umiliazione ci innalza; in una parola, la sofferenza sopportata in unione con Dio ci rende più profondi, più spirituali. La sofferenza sopportata in unione con Dio! La sofferenza santifica, purché sia vissuta nello spirito di Cristo. Allora l’anima diventa più delicata e profonda, più comprensiva e più forte.Ci sono infatti coloro che si confondono e si disperano nella sofferenza, perché non soffrono nello spirito di Cristo. Questi, invece di aiutarli, si disumanizzano. Questo ci porta al tema del presente capitolo: tutti dobbiamo soffrire, perché fa parte della nostra condizione umana. Ma come possiamo soffrire secondo gli insegnamenti di Nostro Signore Gesù Cristo? Come possiamo avere Cristo come nostro Maestro, il Re degli afflitti, in momenti così dolorosi?

I

“Cristo è il re dei tribolati”. Che cosa significa questo nella vita pratica? Quale forza ottengo se, nei giorni bui, sotto le disgrazie che mi sommergono, penso che Cristo abbia già percorso la stessa strada che io devo percorrere? Si dice che in primavera, quando la vite fiorisce, anche il vino comincia a muoversi, a fermentare, a sentire in un certo modo la fioritura della vite da cui proviene. Si potrebbe dire che esiste una sorta di “simpatia” tra il vino e la vite. Simpatia significa “partecipazione alla sofferenza di un altro, compassione, comunità di sentimenti”. Si dice anche che quando un uragano scatenato sferza il grande oceano, allo stesso tempo la superficie liscia dei laghi dolci e tranquilli, situati tra le montagne scoscese, comincia a muoversi; essi sentono in un certo modo le lotte dell’immenso mare, poiché provengono da esso. C’è simpatia tra il lago e il mare. C’è anche una certa simpatia tra le sofferenze di Cristo e le mie. Se “Cristo soffre”, io soffro. Se io soffro, Cristo soffre con me. Questa simpatia o “compassione” reciproca è in grado di mitigare e lenire la mia anima dolorante, persino di attenuare la paura della morte. Questo quando sarò in grado di soffrire con Cristo, avendo un cuore compassionevole per Lui, soffrendo con Cristo. – La vita a volte è molto dura e si è tentati di dire: “questo è il massimo e non un passo in più”, non ho più forza, non ce la faccio più. Così, quando vi sembra di non farcela più, invece di prendere una pistola per uccidervi, prendete un piccolo crocifisso, mettetelo davanti a voi e pensate a ciò che il Signore ha dovuto soffrire per voi. Quando la notte terribile vi avvolge, quando soffrite l’indicibile, pensate: Cristo ha sofferto molto di più per me. Consolatevi con il pensiero: quanto deve aver sofferto il Signore! – Un prete tedesco incontrò una vecchietta sulle rive del Reno e le chiese: “Come va, signora? “La mia casetta è stata distrutta da un incendio, i miei figli sono andati a vivere in America, io sono in grande miseria…”. Il Sacerdote voleva dirle qualche parla di consolazione ma l’anziana donna lo interruppe e disse con un sorriso gentile: “Nostro Signore Gesù Cristo è stato senza fissa dimora per tutta la vita, e io non sono ancora arrivata a quel punto; Lui ha dovuto andare a piedi nudi, io non ancora; ha dovuto portare una corona di spine, e io no!…”. Non sentiamo forse tutti che Cristo è veramente il Re dei tribolati e che il Cristianesimo è, senza dubbio, il grande benefattore dell’umanità afflitta? Oh, se solo l’olio dello spirito cristiano ungesse tutte le nostre ferite! – La vita è spesso terribile e crudele. Sembra che a ogni passo mi capiti una tragedia dopo l’altra. Ma se mi aggrappo alla croce di Cristo, la mia vita avrà un senso. Non potrò evitare la malattia, non potrò evitare che il mio matrimonio non vada bene; il mio marito severo non cambierà, il figliol prodigo non tornerà, la lotta quotidiana per uscire dalla miseria non sparirà; ma… l’imitazione di Cristo rende più facile la sofferenza. Ha scelto una vita piena di sofferenza per poterci dire: “Ascoltate e considerate se c’è un dolore come il mio dolore!”. (Lamentazioni di Geremia 1,12). Quello che dovete soffrire ora, io l’ho già sofferto, l’ho sofferto di più e l’ho sofferto per voi. Siete poveri? Ho scelto la povertà. Sacrificano la tua dignità e il tuo prestigio? Perché cosa mi hanno fatto? Sapete che sono stato schiaffeggiato. Sapete che in attitudini di disprezzo sono stato presentato a Erode. Guardatemi sulla croce. Lì sono stato abbandonato da tutti, anche dal cielo stesso. Piangete? Ebbene, mescolate le vostre lacrime con le mie, e perderanno la loro amarezza. La vostra croce è pesante? Portatela un po’ sulle mie spalle; la sopporteremo entrambi più facilmente. Siete pungolati dalle spine della vita? Guardate quelle che porto sulla testa. “Ma a volte i sentieri lungo i quali il Signore ci conduce sono troppo difficili, troppo rocciosi, troppo pieni di spine”, potrebbe dire qualcuno. Oh, sì, fratello, chi potrebbe negarlo? Ma sono impossibili? No. Sono impossibili solo per chi non ha fede. Se ho fede e credo che tutto ciò che mi accada nella vita è nelle mani di Dio; se ho fede e credo che c’è Qualcuno che non mi dimentica, anche quando tutti gli altri mi abbandonano; che mi ama quando nessuno mi ama; che veglia su di me quando tutti gli altri dormono…, la mia vita avrà un senso. Quale forza ha la nostra fede proprio nella sofferenza! Se nelle ambasce del dolore abbraccio il Cristo sofferente, la vita continuerà ad essere una “valle di lacrime”, ma la mia anima non cadrà nello sconforto. Continuerò a lamentarmi, ma le mie lamentele saranno orazioni, una preghiera sublime.  Continuerò a soffrire, ma non dispererò, e si sa che “non è il dolore che uccide, ma la disperazione; e non è la forza che dà la vita, ma la fede”.

II

Con quanto detto abbiamo appena risposto a un’obiezione che può essere sollevata da uomini superficiali: è lecito per un vero Cristiano lamentarsi, è lecito per lui fuggire dalla malattia, dalla morte? Risponderò a questa domanda senza mezzi termini. Sappiamo che la natura umana teme il dolore, sappiamo che vorrebbe fuggire dalla sofferenza e dalla morte. Morte! Morire! Questo pensiero travolge tutti gli uomini, anche i più favoriti dalla fortuna, quelli che non provano nessun altro dolore nella loro vita (se esiste un uomo del genere al mondo!). Chi non ha sentito la minaccia più o meno affrettata di morire? Un giorno o l’altro ci accorgiamo con spaventosa chiarezza di quanto il mondo sia effimero…. – Possiamo riassumere la storia dell’uomo in tre parole. Il vostro, come il mio: “Nasciamo, soffriamo, moriamo”. I secoli vengono e i secoli passano; gli uomini nascono e gli uomini muoiono; le città sorgono e altre scompaiono; le dinastie di re brillano e cadono…: tutto, tutto è in via di estinzione… C’è stato un giorno in cui anch’io sono entrato nel mondo con un grido alla nascita…, e ci sarà un altro giorno in cui con un altro grido o lamento lascerò questa vita. Che cosa terrificante, se questa fosse la fine di tutto, se la vita non fosse altro che questo! Sappiamo che non è così, eppure rabbrividiamo al pensiero della morte. E non dobbiamo scandalizzarci per questo, perché è Dio stesso che ha messo l’amore per la vita nei nostri cuori. – Un giornalista non credente si recò a Lourdes e scrisse in seguito le sue impressioni. Era stupito e scandalizzato da una cosa che gli sembrava incomprensibile: che uomini devoti e ferventi vadano in pellegrinaggio al santuario mariano per chiedere di essere guariti, per chiedere di allungare la vita. Non vogliono forse andare in paradiso, visto che sono così credenti? Non è illogico? O voi che fate questa domanda, non siete mai stati gravemente malati? Non avete mai passato una notte insonne con trentanove o quaranta gradi di febbre? Si vorrebbe dormire, dormire… anche solo per cinque minuti… ma non si riesce quasi a dormire… le gambe non riescono a stare ferme… si guarda l’orologio: le dodici e mezza! Oh, quanto tempo passerà prima che arrivi l’alba…. Ma ditemi, non siete mai stati malati? Se lo siete stati, infatti, non vi stupirete del fatto che in un caso del genere un uomo si aggrappi alla qualsiasi pagliuzza che possa dargli sollievo e… non per questo deve rinnegare la sua fede cattolica. Lo stesso GESÙ CRISTO ha cercato sollievo nel mezzo del suo grande dolore: “Padre mio, se è possibile, non farmi bere questo calice” (Mt XXVI, 39; Mc. XIV 14,36; Lc XXII, 42). E voi volete che il buon Cristiano non senta il dolore? Volete che colui che crede nell’eternità non si commuova davanti alla tomba dei suoi cari? No, no! Questa non è la fede cristiana. Anche noi ci pieghiamo sotto il peso del dolore, ma… non ci spezziamo. Anche noi piangiamo sulle tombe… ma non disperiamo, e così poniamo sulle tombe la croce di Cristo, che precede la risurrezione…. – Cristo crocifisso è la più grande consolazione per l’uomo che soffre! Le disgrazie, le sofferenze, arrivano anche a me; mi fanno male, ma non perdo mai la fede: “Quello che Dio prende, lo restituisce in abbondanza”. Quando? Non lo so. Ma so che tutto ciò che mi restituisce lo fa in abbondanza. Sono Cattolico eppure soffro; ma in mezzo a tutte le difficoltà sento le parole del Signore, piene di consolazione: “Conosco le tue opere, le tue fatiche e le tue sofferenze….. E che hai avuto pazienza, che hai sopportato per amore del mio nome e non sei venuto meno” (Apocalisse II: 2-3). E non dobbiamo dimenticare l’altra grande verità: il Signore non abbandona chi non lo abbandona per primo, ed è con noi anche quando non sembra essere attento a noi. – Santa Caterina da Siena, in una fase della sua vita, fu tormentata da terribili tentazioni; sudò quasi sangue nella dura lotta contro le tentazioni. Alla fine vinse, e la dolce gioia del trionfo le inondò il cuore. “O Signore”, si lamentò allora con Gesù Cristo, “dov’eri quando ero alle prese con tentazioni così terribili?” E il Signore gli rispose: “Nel tuo cuore”. “Ma come è possibile? – esclamò stupita la Santa: “Il mio cuore era pieno dei più turpi pensieri e Tu eri in esso?”. Allora il Salvatore chiese: “Quelle tentazioni ti sono piaciute o ti hanno fatto soffrire?” “Ah, quanto mi hanno fatto soffrire”, rispose CATERINA. “Vedi, figlia mia, che questi pensieri ti abbiano ferito e non hanno scalfito il tuo cuore, è stata opera mia. Ero nel tuo cuore anche allora, e ho permesso le tentazioni perché dovevano essere proficue per te. Tutti gli uomini soffrono, ma solo i Cristiani sanno soffrire; tutti muoiono, ma solo i Cristiani sanno morire.

* * *

Chiudo il capitolo con il caso di uno scrittore mistico medievale, TAULERO. Questo scrittore, profondamente religioso, incontrò un giorno un mendicante. Lo salutò calorosamente: “Buongiorno”. Il mendicante rispose: “Buongiorno? Io non ho mai avuto una giornata cattiva. Taulero si è giustificato: “Intendevo dire che Dio ti dia fortuna”. Ma il mendicante obiettò di nuovo: “Sono sempre fortunato”. Taulero spiegò di nuovo: “Intendevo dire che tutto accada secondo i tuoi desideri…”. “Ma tutto mi accade come desidero, e sono felice”, rispose l’uomo cencioso e affamato. Taulero era stupito. “Ma sei felice? … nemmeno chi non manca di nulla è felice…”. “Eppure sono contento. So di avere un Padre in cielo che mi ama. Quando la fame o il freddo mi tormentano, quando la gente di strada senza cuore si prende gioco di me, dico solo questo: “Padre, lo vuoi, perché anch’io lo voglio! In questo modo tutto ciò che voglio si realizza…”. “E se Dio ti gettasse all’inferno, vorresti comunque ciò che Dio vuole, ha chiesto Taulero? E il mendicante rispose: “Anche allora! Perché ho due braccia: la conformità alla volontà di Dio e l’amore. E se Dio volesse gettarmi all’inferno, abbraccerei Dio con queste due braccia e non lo lascerei andare, lo trascinerei con me all’inferno. E preferirei essere con Dio all’inferno che senza Dio in paradiso? La nostra vita sulla terra è sofferenza, dolore, ma non è un inferno. E anche se lo fosse! Se Dio è con me… – Dobbiamo afferrare la mano di nostro Signore Gesù Cristo! E dobbiamo dire: “Sì, mio Signore, soffro, ma persevero”. Voglio esservi fedele fino a quando la fede si trasformerà in visione, il desiderio in possesso, la breve sofferenza terrena in gloria eterna, questa vita così piena di sofferenze nella corona incomparabile della vita eterna.

LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (10)

LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (10)

LA GRAN BESTIA SVELATA AI GIOVANI

dal Padre F. MARTINENGO (Prete delle Missioni)

SESTA EDIZIONE – TORINO I88O

Tip. E Libr. SALESIANA

AI 20 MILA CHE COMPRARONO E A1 100 MILA CHE LESSERO IL LIBRO DELLA GRAN BESTIA: DUE PAROLE.

Dio vi benedica gli occhi, le mani e le tasche, o carissimi giovani, che correste in tanta folla a vedere la Gran Bestia, e faceste sì buon viso, non dico a lei brutta e schifosa che è, ma a me, che mi sono ingegnato di dirvene tutto il male che si merita. Ma voi non vi siete accorti, o cari giovani, d’ una cosa. Tutti attenti, curiosi, incantati, cogli occhi tondi e colla bocca aperta a guardar di faccia il mostro, rivederne il pelo, osservar le zanne e gli artigli …. vi siete dimenticati di dargli una giratina per di dietro. Vi sareste accorti che gli mancava la Coda. Oh perché mo? lasciarlo senza coda il bestione? Forse che non ne ha da natura? — Oh si che ne ha! e come lunga! Ma la fu colpa della mia fretta; colpa, dico, che ora intendo correggere, appiccando alla BESTIA, con questo altro libretto, la sua brava Cona; e così avrete tutta la BESTIA intera e nel suo genere perfetta. Leggete e divertitevi. Se anche questo mio lavoretto vi torna gradito, spero non tarderemo a rivederci.

F. MARTINENGO, P. D. M.

I.

PRINCIPIIS OBSTA.

Vecchia sentenza, nata ancor prima che nascesse la nostra lingua italiana (e di fatto è scritta in latino); e vuol dire, cari giovani, che in tutte cose convien badar bene ai principii, e se trattisi di male semenze, soffocarle tosto in sul primo germogliare. Più vecchio ancora (e più autorevole; perché scritturale) quel detto: qui spernit modica paulatim decidet. Sprezzi le piccole cose, il piccolo male? Bada! a poco a poco crescerà, diverrà grande e ti trarrà in rovina. A che consuona quel che dice con espressiva metafora un Apostolo: Quantus ignis quam magnam sylvam incendit! che Dante traduce: Poca scintilla gran fiamma seconda. Insomma è la storiella del zolfino, che perpetuamente in mille guise si ripete. Tonio sta novellando sull’aia cogli amici, accende la pipa, e il zòlfino mezzo acceso butta là, senza pensare che proprio là c’è il pagliaio. Di li a poco pagliaio, stalla, casuccia tutto una fiamma. Dio mio! Quantus ignis quam magnam sylvam incendit! – Ma a che mira tutto questo preambolo? Ad avvertirvi, miei cari giovani, che se volete che la GRAN BESTIA non vi metta l’ugne sul groppone, vi bisogna star desti con tanto d’occhi aperti ai primi assalti che la vi darà. V’ho già detto che a combatterla dovete incominciar subito; ora aggiungo, che dovete combatterla non solo nel molto, ma anche nel poco: non solo allorché aprendo la bocca e mostrando le zanne, minaccia divorarvi, ma anche quando, traendo la lingua, dà vista di volervi soltanto leccare. La è una bestia traditora, proprio come è il gatto, vedete! Scherzate col gatto, e se non è oggi è dimani, una buona sgraffiata non potrà mancarvi. Ma a me piace persuadervi per via di fatti. Sentite. Bertino, giovinetto di buon? Indole e di migliori costumi, usava famigliarmente con un suo cugino maggiore due o tre anni di lui. Chiamavasi Angelo, ma era ben altro; ché non tardò ad entrargli in certi propositi, i quali….non istavan mica bene. Bertino, ben educato, n’ebbe pena, e non volle più andarci con quell’impudente: ma la mamma che il teneva per uno stinco di santo, tanto bene sapeva infingersi! n’ebbe dolore, e se ne corrucciò col suo Bertino: . – Che non vai più col cuginetto?.. Già due volte che viene a chiamarti nel passeggio, e tu….— Che ci voleva a rispondere: Guarda, mamma mia buona; la cosa sta così e così? Bertino invece non n’ebbe il coraggio e tornò coll’Angelo cattivo. O giovanetti, se avete una mamma buona, come la penso io; una di quelle mamme, che nei figli, più che la grazia fallace e la vana bellezza, amano l’innocenza e la virtù, e tremano al sol pensarli viziosi e corrotti…. giovani cari, per una mamma cosiffatta non abbiate segreti: è l’angelo visibile che Dio vi ha dato: guai, se le chiudeste il cuore! Così fece pur troppo Bertino, e contro coscienza tornò a trattare col tristo compagno, contro coscienza ne udì cattivi discorsi e peggiori consigli, contro coscienza ne accettò un libro…. Quando il cugino gliel’offerse, il primo pensiero fu di rifiutarlo; la coscienza dentro gridava: no, non devi pigliarlo; il compagno insisteva: piglia, piglia…. Purché nol veda tua madre… che hai paura ti abbruci le tasche? — Be, lo piglierò’ (pensò allora Bertino), lo piglierò per cessar l’ importunità; non fia però mai vero che lo legga. — Ma quando l’ebbe addosso, gli parve averci l’inferno; lottò due giorni contro la. Tentazione d’aprirlo; finalmente (era da prevedersi) la curiosità. vinse. Una sera, assicuratosi che la mamma dormiva, si chiuse nel suo stanziolino, accese il lume, aperse tremando il libro, e vi stette sopra gran parte della notte. Il dimani. a ora tarda si levava pallido, col volto contraffatto, con due occhi che facevano paura. Quel libro maledetto gli aveva abbruciato; non: le tasche, ma l’anima. Povero Bertino; povero Bertino! Fu quello il principio di sua rovina. A venticinque anni, consunto nel vizio, morì. – Or  che ne dite della Bestia, giovinetti? L’ha la coda lunga si o no? Oh se l’infelice avesse avuto coraggio di troncarla risolutamente fin da principio!.. Tant’è, principiis obsta e « Poca scintilla, gran fiamma seconda! » … tenetelo a mente! Ma via! che vengo a contristarvi con esempi funesti? Voi sarete giovani franchi, di coscienza non solo, ma di coraggio: voi imiterete quel bravo giovinotto di nome Cesare, che io conobbi, or ha parecchi anni, studente all’università. Com’era bel giovane e ardito che figurava tra i primi, avean pigliato ad aliargli dattorno certi corbacci, coll’intento di tirarlo a una loro società, che dicevano di beneficenza, e non era in sostanza che la Massoneria. Ma Cesare, che sapeva per bene dove il diavolo tien la coda: — Sentite (disse ai compagni che l’importunavano) di ‘società io ne ho già tre, dalle quali non posso levarmi: la mia famiglia, la mia patria, la Chiesa. Ho quindi legami e doveri, come figlio, come italiano e come Cristiano. Più di così (confesso la mia debolezza) non posso portarne. Sicché abbiatemi per iscusato, e più non se ne parli. — I compagni non s’ardirono rifiatare, e Cesare fu libero per sempre dalla loro importunità. Felice, che seppe opporsi ai principii del male, e spegnerne prontamente la prima scintilla. Quell’atto di franchezza il rese libero e franco per tutta la vita. –  Attenti dunque, o giovanetti, attenti ai primi assalti della BESTIA; non arrestatevi a disputare con lei, voi non dovete concederle nulla, assolutamente nulla; ella è bestia Lig si DE 3 sì spietata e vorace, che se le darete il mignolo, v’abbranchera la mano, tutto il braccio e, tira, tira, vi strascinerà in perdizione.

II.

IL VISIBILE E L’INVISIBILE.

Gran danno, che Dio, coscienza, onestà, virtù sian cose che non si veggono nè si toccano; di che, quando vengono nel nostro spirito a battibecco con ciò che vediamo cogli occhi e tocchiam colle mani, pue troppo, il più delle volte ne vanno al disotto. Così è; il sensibile ci assorbe, ci rapisce così, che non ci lascia pensare a ciò che è sovrasensibile e spirituale. E questa è appunto la principale cagione per cui l’uomo sovente lasciasi imporre da altri nomini di quelle cose che fanno a sassate con Dio, colla coscienza. e col dovere; – Dio! … dov’è Dio? chi lo vede? chi lo tocca?.. E il dovere…. di che colore è egli il dovere? E la coscienza?… è vero che è fatta a maglia?… Pur troppo! Ce n’ha tante di cosiffatte!… Or bene, se abborrite, o cari giovani, dall’avere una coscienza cosiffatta, bisogna v’atteniate sodi a questo gran principio: che nostra regola di pensare e d’operare non dobbiamo cavarla dal sensibile, da ciò che si vede, si sente e si tocca; ma dai principii eterni della verità e della giustizia, i quali partendo, quai raggi luminosi, da Dio che non muta si riflettono nell’anima nostra immortale fatta a somiglianza di Dio. Per tal modo riesce l’uomo a formarsi Una coscienza e quindi un abito di operare diritto, uniforme e costante e poi quello che fa i caratteri forti ed elevati, de’ quali, mi pare, v’ho parlato nell’altro mio libretto della BESTIA. Ma se al contrario torrete a regola del pensare e dell’operar vostro il sensibile, come esso varia e si muta continuamente; così mutabile e vario sarà l’operar vostro; abbraccerete oggi come bene ciò che ieri fuggivate per male, e viceversa; e così, lascia e tira, tira e lascia, vi formerete la coscienza che abbiam detto di sopra, una vera maglia, anzi una rete maledetta, nella quale finirete col rimanere voi stessi malamente arreticati. –  Dicono che la volpe dorme con gli occhi aperti. Io nol so, che non ho mai vedute volpi a dormire; ma ben posso dirvi, cari giovani, che gli occhi aperti dovete tenerli ben voi, e dico gli occhi dell’anima; acciocché nel vivere e nell’operar vostro non v’accada di lasciarvi così, allucinare dalle cose visibili e mutabili di questa bassa terra, da dimenticarvi che sopra il vostro capo si spiega cotesto magnifico padiglione de’ cieli. — È un ricordo che davami a suo modo quel buon vecchio di mio nonno (Dio lo riposi!), il quale, fattomi osservare certe galline, che, appena spiovuto, uscivano in cortile e correvano ai laghetti qua e là lasciati dalla pioggia: — Guarda, guarda che fanno, mi diceva. — Bevono, risposi. — Bevono si; ma osserva il modo che tengono nel bere: chinano il capo; mettono il becco in molle, poi si levano su…. vedi, vedi!… Ed io che vedeva: — o perché fanno così, nonno? — Per insegnarci, Cecchino mio, che noi Cristiani non s’ha a star sempre con gli occhi o col capo all’in giù, come il porco, che pur rificca il grifo nel brago, ma ogni tanto levarci col pensiero e cogli affetti al cielo, dove sta di casa il Signor nostro Iddio. — Questo ricordo vorrei teneste bene a mente, miei cari giovani; abituandovi a pensar qualche cosa che non sia materia e fango; per esempio: Dio, l’anima, la virtù… e delle stesse cose sensibili che vi cadono sotto gli occhi servirvi come di tanti scalini da salire in alto, come v’ammonisce il poeta là dove dice, che le cose belle di quaggiù Sono scala al Fattor, chi ben l’estima. E già ce n’aveva avvisati un filosofo dell’antichità, il quale, benché pagano, tutta la sua filosofia riepilogava in questo grande ammonimento: sequere Deum. — Ma come seguir Dio (mi domandate) s’Ei non si vede? — Appunto guardandolo con. gli occhi dell’anima (vi rispondo); e così avvezzarci a contemplarlo come nostro Signore, anzi buon Padre, che sempre ci vede e ci benefica e ci ama: temer quindi d’offendere gli occhi suoi, più che gli occhi di qualsivoglia mortale. Di che ci lasciò bell’esempio Abramo, il gran patriarca lodato da s. Paolo, perché camminava sempre alla presenza di Dio invisibile, come se cogli occhi realmente il vedesse: invisibilem tamquam videns sustinuit. — E così il pensiero di quel grand’occhio aperto sopra di voi, vi sarà d’un possente aiuto a salvarvi fin dalle prime e più lievi tentazioni dell’umano rispetto: vinta la BESTIA al primo assalto, vi darà buona speranza. di vincerla sempre.

LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (11)

VIVA CRISTO RE (14)

CRISTO-RE (14)

TOTH TIHAMER:

Gregor. Ed. in Padova, 1954

Imprim. Jannes Jeremich, Ep. Beris

CAPITOLO XVII

CRISTO, RE CROCIFISSO

Venerdì Santo!

Non c’è giorno più importante dell’anno! In questo giorno celebriamo che Nostro Signore Gesù Cristo è morto crocifisso per noi! Non ha lasciato questo mondo dopo una vita agiata; non ha terminato la sua vita in un letto morbido, circondato dai suoi cari; è morto su un patibolo ignominioso, sulla croce. Su di essa spirò, tra risate di scherno; su di essa terminò la sua vita mortale, sfinita dalle sofferenze dello spirito e del corpo, abbandonata da tutti. Sulla croce soffre per diverse ore. Sulla croce soffre e muore per noi. E ogni Venerdì Santo attira l’attenzione di tutti per un giorno. Allora l’uomo sente che non c’è meta più alta nella vita, non c’è missione umana più alta, non c’è dovere più santo di quello che ci mostra la croce di Cristo: salvare l’anima. – Il sacrificio del Venerdì Santo mi sta dicendo molto chiaramente: I. Come mi ha amato! Quanto mi ha amato e II. Quanto poco Lo amo.

I

Quanto mi ha amato!

Quanto? È morto per me! “Mi ha amato e ha dato se stesso per me!”. Questo è amore. Gesù Cristo muore inchiodato a una croce. Non aveva un cuscino dove appoggiare il capo, coronato di spine. Gli abbiamo trafitto le mani e i piedi con chiodi affilati. Gli abbiamo dato da bere fiele e aceto. Invece di ricevere consolazione, ha ricevuto disprezzo e bestemmia… O Gesù, è questo che hai meritato da noi? Tu, Figlio di Dio, che sei sceso dall’alto dei cieli per darci il regno eterno del Padre tuo? E noi ti abbiamo inchiodato sulla croce! Come mi hai amato! – Sei stato tra cielo e terra, per coprire ogni uomo con il tuo corpo insanguinato e ferito, per coprire la mia anima peccatrice e nascondermi così dall’ira di Dio; per deviare, con le tue braccia tese in alto, i raggi della giustizia divina; per implorare il perdono per noi. Implorate il cielo per avere misericordia: “Padre, perdona loro…”, loro, tutti, senza eccezione. Non ti preoccupi di te stesso, non pensi al tuo dolore, pensi solo a me. Quanto mi ami! – Mi hai amato…, mi hai amato…. Ma chi può aspettarsi un tale eccesso di amore? Conoscevamo già le promesse del Messia che sarebbe venuto, fatte da Dio all’uomo nel Paradiso. Quando il Bambino di Betlemme sorrideva guardandoci negli occhi, quando il Figlio di Dio viveva in mezzo a noi come un fratello, sentivamo che il suo cuore ardeva di una luminosissima fiamma d’amore per l’umanità. Quando abbiamo ascoltato le sue parabole del buon samaritano, del figlio prodigo, del buon pastore alla ricerca della pecora smarrita, abbiamo sentito l’ardore dell’amore del Cuore di Gesù. Ma quell’amore senza limiti e senza misura, che l’ha portato a sopportare per noi, senza pronunciare una parola di lamentela, i colpi rudi, le flagellazioni, le pene e le ingiurie, la flagellazione, lo sputo, la corona di spine, i dolori della croce…, non potevamo sospettarlo.

Quanto ci ama Gesù!

Si lascia inchiodare alla croce per dirmi quanto mi ama. In questo modo conquista la mia anima. Sto ai piedi della croce, sopraffatto dalla vista di tanto eccesso d’amore, e aspetto che il suo sangue prezioso, quel sangue divino, cada su di me e lavi i miei grandi peccati. Vorrei piangere amaramente, ma non posso; questo Gesù amoroso mi affascina, la sua parola mi costringe a guardarlo, non posso distogliere lo sguardo da Lui. Ma se lo guardo, sento che mi dice: “Guarda quanto ti ho amato…, e tu mi ami…? Questa croce macchiata di sangue non mi dice solo quanto mi ama, ma anche quanto poco lo amo. – Dal Venerdì Santo di duemila anni fa, la croce è stata eretta e tutti gli uomini passano intorno ad essa. Ci sono uomini dal cuore duro che passano oltre senza accorgersene, per i quali la morte del Signore non significa nulla, né la sua vita né la sua dottrina, la cui unica preoccupazione è il denaro, la tavola piena e il godimento dei piaceri…. Anima? Religione? Dio? preghiera? croce?…: queste parole sono incomprensibili per loro…. – Ci sono altri che per un momento guardano con entusiasmo alla croce e al Sacrificio cruento di Gesù Cristo…, ma sono spaventati dalle ripercussioni che comporta. “No, no; Gesù, nonostante tutto, non possiamo unirci al tuo partito. Dovremmo essere disposti a morire come Te? Morire ai nostri desideri disordinati, ai nostri istinti primordiali. Questo significherebbe una lotta incessante contro noi stessi, una vigilanza continua. No! Non è possibile. Combattiamo abbastanza. Combattiamo per le nostre mogli, per i nostri figli, per il nostro pane quotidiano, per la nostra posizione sociale, per il nostro futuro…. No, no; Gesù, non ti offendere; ma per Te, per la nostra anima, non abbiamo più tempo, non abbiamo più coraggio, non abbiamo più energie… Non siamo cattivi, abbiamo già portato la nostra croce…”. – Esiste un terzo gruppo. Sono gli uomini che si inginocchiano e pregano davanti alla croce. Non solo, ma condividono le loro disgrazie e sofferenze con quelle del Crocifisso…, con quelle di Colui che ha portato sulle sue spalle l’angoscia e il peccato dell’umanità. Apparteniamo a questo gruppo? O almeno, prendiamo la ferma risoluzione di arruolarci sotto la sua bandiera? Poiché il vessillo della Santa Croce è stato innalzato tra cielo e terra, tutti devono schierarsi. Guardate il Padre celeste: ora riceve il Sacrificio di suo Figlio. Guardate gli Angeli: commossi adorano il nostro Signore crocifisso. Guardate i suoi nemici: come lo bestemmiano, come lo maledicono! Guardati, fratello: dove ti trovi? Dimmi: tra i nemici di Cristo, tra coloro che lo odiano, che lo maledicono? Forse siete tra i soldati che si sono seduti ai piedi della croce e che, mentre accanto a loro si svolgeva la più grande tragedia della storia del mondo, se ne stavano seduti, come se nulla fosse, a giocare a dadi? Fratello, pensaci, non sei forse tra questi soldati? – “Cristo è morto per me. Ma io non parlo così”, mi dici, “ma non parlo così”. No, non parlate così, ma pensate e vivete come se Cristo vi fosse completamente estraneo, come se Cristo non avesse importanza per voi. Non vi interessa che sia stato flagellato nella notte; ma vi interessa che dobbiate rovinare un po’ meno il vostro corpo e che non possiate concedergli tutto ciò che chiede, anche se è qualcosa di peccaminoso. – Non vi dispiace che Cristo sia stato fatto bersaglio della derisione del mondo, che sia stato presentato alla folla bestemmiatrice come un pazzo; ma vi dispiacerebbe molto se qualcuno vi deridesse perché prendete sul serio la vostra fede. Non vi dispiace che Cristo sia stato coronato di spine acuminate; ma vi dispiacerebbe dover frenare i vostri capricci e sottomettere i vostri istinti. – Non vi importa che Cristo abbia versato tutto il suo sangue per voi; ma quanto vi pesa spendere un’ora ogni domenica per partecipare alla Santa Messa. Non vi dispiace che Cristo abbia dovuto strisciare, portando la croce, sulla strada rocciosa del Calvario, ma sarebbe un peccato se voi doveste scalare l’impegnativo sentiero della virtù. – Non vi importa che Gesù Cristo sia stato inchiodato alla croce e che il suo cuore sia stato trafitto da una lancia; ma sarebbe molto difficile soffrire per Lui e adempiere ai suoi precetti. Avete così poca pietà per questo Cristo che soffre così tanto per voi? Non lo compatite? Se lo compatiste davvero, non vivreste come fate.

* * *

Gesù! La vostra povertà deve essere la mia povertà. Il vostro dolore deve essere la causa del mio emendamento. La vostra corona di spine deve unire due cuori: il vostro e il mio. Le vostre lacrime e il vostro preziosissimo sangue riformeranno la mia vita. Il vostro amore ardente scioglierà il mio cuore duro, o Signore! Quando hai sofferto, la mia anima è stata purificata. Quando hai versato il tuo sangue, il mio castigo è stato mitigato. Quando ti sei immerso nel mare della sofferenza, sono stato salvato dalla dannazione. Quando Tu sei morto, io ho cominciato a vivere! – Mi interessa la Sua Passione; mi interessano i colpi e le frustate che ha ricevuto; mi interessa la croce su cui è stato inchiodato. E non mi importa di dover lottare per vivere senza peccare. Anche se dovessi combattere fino alla morte, non mi arrenderò, Signore! Farò tutto il possibile, mio Cristo crocifisso, per farvi regnare nella società, nelle famiglie, in ogni casa, in tutti i luoghi da cui siete stati cacciato. Dovete tornare a regnare nell’anima dei giovani. Gesù, che ci ha amati fino alla morte, ha il diritto di regnare in tutto il mondo. Egli ha il diritto che noi, che siamo stati redenti dal suo sangue, gli offriamo con gratitudine tutta la nostra vita. Ti adoriamo, o Cristo, e ti benediciamo, perché con la tua santa Croce hai redento il mondo!

VIVA CRISTO RE (15)

VIVA CRISTO RE (13)

CRISTO-RE (13)

TOTH TIHAMER:

Gregor. Ed. in Padova, 1954

Imprim. Jannes Jeremich, Ep. Beris

CAPITOLO XVI

CRISTO, RE DEI DOLORI

« All’udire ciò, presero molte pietre per scagliarle contro di Lui; ma Gesù si nascose e uscì dal tempio » (Gv VIII, 59). Quale profonda tragedia si cela dietro queste parole! La tragedia degli uomini di allora e degli uomini di oggi: l’abitudine di lapidare chi ci fa del bene. Guardare dall’alto in basso i migliori. È l’incredibile ostinazione con cui gli uomini hanno lanciato in faccia al nostro Salvatore il grido di ribellione: « Non vogliamo che quest’uomo sia il nostro Re! » Il Signore rifiutato deve nascondersi e andarsene. Quanto lontano andrà l’umanità quando si separerà da Cristo! Al punto da raccogliere pietre da scagliare contro il loro Re. Nostro Signore è il Re dei dolori. Non è solo il testardo popolo giudaico che voleva lapidarlo, oggi lo lapidano anche per i molti peccati che vengono commessi. Eppure, questo Re dei dolori è l’unica speranza dell’umanità, che procede a tentoni perché ha perso la bussola. Se guardiamo alla storia dell’umanità, quante volte si è ripetuta la scena: « Non vogliamo che questo sia il nostro Re ». « Non lo vogliamo! », gridano i coniugi; « la Religione non ha il diritto di interferire nel nostro matrimonio; saremo felici a modo nostro ». « Non lo vogliamo! », grida un giovane frivolo e affamato di piacere. « Il sesto comandamento? Non fa per noi!  ». « Non lo vogliamo! » gridano i politici; « la Religione non ha nulla a che fare con la politica; lo Stato moderno non può tenere conto della religione ». « Non lo vogliamo! », gridano molti scienziati; « la scienza è al di sopra della morale ». « Non lo vogliamo! », gridano gli artisti, le star del cinema…. « Non lo vogliamo! », gridano gli intellettuali, i finanzieri, gli imprenditori, gli operai. « Non vogliamo seguire i dieci comandamenti ». Povero Cristo, Tu, Re dei dolori, ci guardi dalla croce. Tutti sono contro di Te? Quanti pochi Ti seguono! Cosa rimane per Te? Solo le chiese, i tabernacoli! E se i malvagi ti lapidano anche lì, non c’è più un solo rifugio per te. Ma ecco che Gesù Cristo rimane saldo in quest’ultimo rifugio…. Il tabernacolo è ancora suo; e cosa vediamo? Il Re del dolore parte da lì per il suo cammino di conquista. Quando sembrava che l’intera società avesse bandito Cristo; quando sembrava che non ci fosse più posto per Lui su questa terra; quando pensavamo che la croce di Cristo giaceva a terra ed era sepolta sotto la polvere dell’oblio e la spazzatura della malvagità; quando la società erigeva i suoi nuovi idoli invece di prostrarsi davanti alla croce di Cristo; allora, nei nostri giorni, Cristo inizia a riconquistare il mondo…. I Romani presero la città di Gerusalemme nel 70 d.C. e la distrussero completamente, e con essa i luoghi sacri della cristianità. Distrussero il sepolcro di Nostro Signore e sul Golgota, dove aveva sofferto ed era morto, eressero un tempio a Venere e a Giove e collocarono le loro statue sulla cima del Calvario. Sul luogo stesso della croce di Cristo, le statue degli dei pagani!…. Fino all’arrivo dell’imperatore Costantino il Grande e dell’imperatrice Sant’Elena, che fecero distruggere il tempio pagano e scavare per cercare di ritrovare i luoghi sacri… Dopo un lungo e faticoso lavoro, finalmente apparve la tomba…, e non lontano da essa tre croci…, e i chiodi e l’iscrizione. Tre croci! Ma non sapevano quale fosse la croce di Cristo. Sicuramente è uno delle tre, ma quale? Non sapevano… Infine, hanno toccato un uomo gravemente malato con le tre croci. E al tocco della terza croce il malato guarì. Abbiamo trovato la croce di Cristo, fu il grido trionfale che passò di bocca in bocca in tutta la cristianità. Abbiamo la croce di Cristo! La croce di Cristo ha toccato un malato ed è stato guarito. Ci sono malati oggi? Non c’è solo una persona malata, ma l’intera società. Anche oggi vediamo idoli al posto della croce di Cristo? Vogliamo essere curati? Non c’è altro modo: innalziamo la croce di Cristo in tutti i luoghi dove un tempo si trovava e da dove è stata sostituita dagli idoli del paganesimo.

Prima di tutto, dobbiamo innalzare la croce nella nostra anima, nella nostra vita più intima. La conseguenza sarà questa: se la croce di Cristo è saldamente piantata nella mia anima, nulla potrà abbattermi. Cristo Re è stato crocifisso. Sembrava che tutta l’opera della sua vita sarebbe stata distrutta e buttata giù. Ha forse fallito? Niente affatto! Poi prese possesso del Suo trono. Voi soldati senz’anima, che lo avete incoronato di spine, sapevate quello che stavate facendo? No! Voi che avete piegato le ginocchia davanti a Lui in segno di scherno; Pilato, che ha fatto scrivere sulla croce: “Gesù di Nazareth, Re dei Giudei”… sapevate quello che stavate facendo? No. Non sospettavate che in quel momento l’impero di Roma stava vacillando e che il potere sovrano del Cristo crocifisso stava prendendo il suo posto. – Quanti milioni di persone hanno cercato nella Santa Croce il conforto, la pace e la forza di cui avevano bisogno… O Santa Croce! Ci ha sollevato dalle nostre passioni e ci ha liberato dalla nostra schiavitù. San Venceslao, il re santo, in una fredda notte d’inverno camminava a piedi nudi per le strade coperte di neve visitando le chiese. Era accompagnato da un servitore, che si lamentava per il freddo che faceva. « Guarda: cammina sui miei passi e vedrai che non hai freddo », disse Venceslao. Il servo lo fece e da quel momento non ebbe più freddo. – « Figlio, figlia – dice anche a te il nostro Re crocifisso – sei triste? Ti lamenti che il cammino della tua vita è terribilmente difficile? Guarda: segui i miei passi, aggrappati alla mia croce e non cadrai mai ». Prima di tutto, dobbiamo innalzare la croce nella nostra anima!

2° – In secondo luogo, quindi, sollevarla in famiglia! Molte famiglie si vergognano della croce; idolatrano il denaro, l’orgoglio, la vanità, la vita comoda, i piaceri… insomma, i sette peccati capitali…; è logico che poi sorgano gravi litigi e si creino molti problemi. C’è stato un tempo in cui la croce era l’ornamento di ogni casa cristiana; davanti agli occhi del Crocifisso cresceva il bambino; dal crocifisso traeva forza il marito stremato dal lavoro; serviva da incoraggiamento alla madre oberata dalle faccende di casa. Ma oggi la croce non presiede più le nostre case, perché? Perché la croce può rimanere solo dove vive lo spirito del Crocifisso. Ma questo spirito è uno spirito di amore e di sacrificio, mentre in molte famiglie regnano solo il disamore e l’egoismo. Cosa ci dice il crocifisso? « Prima gli altri, poi io! » E cosa ci dice invece l’egoismo? « Prima io, poi… io, e solo dopo gli altri! » Possiamo conciliare questi due spiriti? La famiglia cristiana è molto diversa da quella pagana. La famiglia cristiana si basa sullo spirito di sacrificio. Cosa significa essere un padre cristiano? Lavorare dalla mattina alla sera per la famiglia! Cosa significa essere una madre cristiana? Lavorare dall’alba al tramonto per la famiglia! Cosa significa essere un figlio cristiano? Obbedire ai miei genitori con rispetto e amore, prima ai miei genitori e solo dopo a me. Ma com’è la famiglia dove regna l’egoismo. Non c’è nessun crocifisso sulle pareti, perché? Perché tutta l’atmosfera è tale che il crocifisso, araldo di una vita di sacrifici, non ci starebbe bene. Sacrifici? « Bah! Dobbiamo divertirci il più possibile e sacrificarci il meno possibile ». Questo è il motto. Per questo i genitori evitano di avere figli; per questo non educano i figli ad essere esigenti e ad avere spirito di sacrificio….  Dobbiamo prendere la croce in famiglia!

E anche nella scuola! La maggior parte delle scuole e delle università europee sono state fondate dalla Chiesa. Ma l’educatore principale dei bambini e dei giovani è la famiglia, quindi, a chi spetta la responsabilità dell’educazione spirituale dei bambini e dei giovani? Al padre, alla madre e al Sacerdote: dove troviamo la forza di educare all’amore per il lavoro, alla purezza di vita, alla coerenza di vita, alla costanza nel fare il bene…? Dall’esempio di Cristo inchiodato alla croce. – Più di 40.000 studenti maomettani studiano all’Università del Cairo. E qual è la materia più importante che viene insegnata? Il Corano. Per loro questo libro è filologia ed etica, storia e diritto, filosofia e archeologia… E quando una volta uno straniero espresse il suo stupore per questo modo di pensare, la guida gli sussurrò all’orecchio: « La chimica è importante, ma Allah è più importante ». In un certo senso aveva ragione: la chimica è importante, importante, anche la tecnologia, la medicina; tutte le scienze sono importanti…, ma Dio è il più importante! Un tempo anche noi la pensavamo così. Nelle città, nei villaggi, l’edificio più visibile di tutti era la Chiesa, e sopra di essa la croce di Cristo sulla sua torre. Oggi non è più così, i grandi edifici sono le banche, le aziende, le fabbriche… Ma questo non sarebbe importante se la conoscenza scientifica non fosse spesso usata e manipolata per combattere la Religione. – Cosa ci succederà se adoriamo la scienza e la tecnologia, se non riconosciamo che ci può essere qualcosa di più prezioso, se non riconosciamo Dio, il Creatore dell’intero universo? Vedremo come l’uomo, che nega Dio, finirà per distruggere se stesso.

Alzare la croce in officina, in fabbrica. – Per le corporazioni del Medioevo la fede religiosa era la cosa più importante, ed è per questo che la croce presiedeva tutti i luoghi in cui si lavorava. L’artigiano doveva solo guardare la croce per trarne forza, incoraggiamento e perseveranza per fare un lavoro ben fatto; e quando la guardava, la persona in autorità imparava da essa ad essere giusta, ad amare i suoi subordinati, a trattarli come meritavano. All’ombra della croce non potevano esserci imbrogli, frodi sul lavoro, odio, lotta di classe, avidità, abbassamento dei salari, trattamenti disumani. – Poi è arrivata la rivoluzione industriale e i padroni assetati di profitto hanno preferito lasciare da parte la Religione, perché serviva solo a frenare la loro avidità. « La Religione non ha nulla a che fare con la finanza e il mondo degli affari… via il crocifisso… » e lo hanno tolt!. Qual è stato il risultato? La lotta di classe, che tante volte ha messo i popoli gli uni contro gli altri e che ha dato origine a tante guerre. Ma la questione sociale non sarà risolta finché non vedremo tutti Cristo inchiodato alla croce come modello da seguire, perché Cristo è il Re del lavoro!

***

Quando lo scrittore svedese Strindberg, dopo aver condotto una vita di totale traviamento e vizio, sentì che la sua fine si avvicinava, chiese che venisse posta una croce sulla sua tomba, con questa iscrizione: Ave Crux spes unica! « Ave, Santa Croce, nostra unica speranza ». Sì, anche oggi la nostra unica speranza è la croce di Cristo Re; è il nostro unico orgoglio, la nostra unica consolazione quando la sofferenza ci attanaglia. « Non mi vanto di conoscere altro… se non Gesù Cristo e lui crocifisso » (I Cor II, 2). Nel crocifisso è contenuta tutta la nostra teologia dogmatica e morale; c’è il nostro Catechismo; da esso scaturisce la nostra forza, la nostra speranza, la nostra felicità. La gentilità moderna ha seppellito la croce di Cristo; le statue pagane del disamore, del dio denaro e dell’immoralità risorgono sulla croce. Siamo Cristiani, ma abbiamo perso la croce.

VIVA CRISTO RE (14)

LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (9)

LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (9)

LA GRAN BESTIA SVELATA AI GIOVANI

dal Padre F. MARTINENGO (Prete delle Missioni

SESTA EDIZIONE – TORINO I88O

Tip. E Libr. SALESIANA

XVII.

VÆ SOLI.

Dunque siamo intesi. Primo mezzo a vincer la bestia e farvi uomini, in cominciar subito, incominciar fin d’ora nelle vostre case, nella famiglia, nelle scuole, nei convitti, ovunque vi accada trovarvi. Se non cominciate fin d’ora probabilmente non ne farete più nulla. Badatevi! dalla vostra condotta presente può dipendere il diventar liberi o schiavi per tutta la vita. – Un secondo mezzo ve l’ha accennato quel bravo studente, di cui or ora vi ho riferite le parole. L’uomo, e più il giovine, non ha a star solo; lo disse Dio: Non est bonum hominem esse solum; e væ soli! ci dice la Sapienza, quia si ceciderit non habet sublevantem se. Guai a chi è solo! se cade chi aiuterà ad alzarsi? Finché il giovinetto sta in famiglia, della compagnia ne ha d’avanzo; ma lontano da essa ha bisogno di qualche amico, che l’aiuti, il consoli, lo sorregga. Voi dunque, se vi toccherà vivere lontano da’ cari vostri, fate come quel buon giovane; prima di tutto non v’affidate a chi ben non conoscete; ma volgete gli occhi in intorno a voi, esaminate quali giovani vi paiano più ingenui, più rispettosi, meglio educati; pesatene le parole, osservatene la condotta, e se un ne trovate di cui il cuore, dopo sì lungo esame, vi dica: egli è un giovine per bene, un cuor d’oro, un angelo; gettatevi pure nelle sue braccia. Uniti l’uno all’altro in santa e dolce amicizia, percorrerete animosi e senza intoppo la via della virtù, v’aiuterete l’un l’altro a farvi uomini davvero. – Studiava non ha molti anni all’università di Parigi un giovane figlio d’ottimi genitori lionesi; il quale, volendo serbar intatto nel cuor suo il tesoro della fede e della pietà, e pur vedendosi stretto intorno da centinaia di giovani increduli e scostumati, che il tacciavano d’inetto e dappoco perché mostravansi Cristiano, raccozzò tra’ compagni sette giovani di sicura virtù e disse loro: — Voi vedete come costoro; in odio alla fede che professiamo, bertano, trattandoci da inoperosi ed imbecilli. Or bene, mentr’essi bestemmiano e si corrompono nel vizio, e noi santifichiamoci coll’esercizio della carità. Parmi il mezzo più acconcio a chiuder loro la bocca, e confermare vieppiù noi stessi nella fede. — Il giovane che così parlava era Federico Ozanam, che non tardò ad empire la Francia del suo nome, delle sue buone opere, de’ suoi scritti; e que’ sette compagni divennero la società di s. Vincenzo de’ Paoli, che dopo appena vent’anni da quegli umili principii, cresciuta e sparsa in ogni parte del mondo civile, nella sola Parigi contava già due mila giovani associati, e soccorreva cinque mila povere famiglie del popolo. – Io v’auguro, o cari giovani, che imitiate Federico Ozanam, e v’esorto quanto so e posso, a studiarne la vita, dalla quale potrete apparare assai bene l’arte di farvi uomini qual desiderate. Soprattutto poi vi raccomando di seguirne il consiglio, d’aggregarvi alla società ch’egli ha fondata. E non badate, che il mondo ne svilisca i giovani generosi col nome di Paolotti, e li tacci di non so qual mene politiche. Menzogna! La politica di questi giovani è qual la definiva fin da principio il loro fondatore: — rispondere alle vane ciance degli increduli con le opere della carità, e coll’esercizio di sì bella virtù rinvigorire il sentimento della fede. — E invero, se basta a volte un solo amico a rinvigorire fra gli assalti del mondo maligno la giovanile fiacchezza, che conforto non Vorrà essere ai vostri cuori quel vedervi associati a centinaia di giovani pari vostri, viventi di fede, ardenti di carità! – Ma se compagni ed amici cosìfatti, stretti con voi in unione di cari fratelli, varranno a mirabilmente rinfrancarvi nel bene, sentirete pure, presto o tardi, il bisogno d’un amico di diversa specie, d’un uomo di senno e d’autorità, che adempiendo verso di voi l’ufficio di padre, vi consigli, vi illumini, vi guidi fra mezzo alle difficoltà ed all’incertezze della vita. Questo è quell’amico di cui ci dice lo Spirito Santo: — Amicus fidelis protectio forti; medicamentum vitæ et immortalitatis… qui invenit illum invenit thesaurum. – Quest’amico lo trovò quel buon Tobiuzzo, di cui ci narra la sacra storia, che in procinto di avviarsi, mandato dal padre, ad un paese lontano, s’abbatté in un bel giovane splendente in volto di grazia e maestà, succinto nelle vesti, con in mano il bastone in atto di far viaggi. To biuzzo l’interroga, lo prega, e l’altro cortese risponde e s’offre a fargli da scorta. Partono: Tobia sen va sicuro al suo fianco, ne ammira la sapienza, ne ascolta i consigli, cessa la noia, tempera la stanchezza, sfugge ai pericoli della via, e sen torna ricco e fortunato a consolare il vecchio padre del don della vista, che da più anni aveva perduto. Che meraviglia? La guida ch’egli avea scelta era, nascosto sotto umano sembiante, l’Angelo di Dio. – Ora anche voi, miei buoni giovani, avete a intraprendere un lungo pellegrinaggio. Inesperti qual siete della via e de’ suoi molti pericoli, non v’affidate al vostro povero senno. Sceglietevi anche voi un buon Angelo, che in nome del cielo vi accompagni; a lui aprite tutto il cuor vostro, a lui ricorrete ne’ dubbi, nelle ansietà, negli affanni della vita; ascoltatene docilmente e mettetene in opera i consigli, ed egli sarà veramente per voi ciò che dice la Scrittura: un forte e fedel protettore della vostra giovanile debolezza: un farmaco soave ai mali e alle tristezze della vita, e da ultimo una scorta sicura, che dopo avervi confortato a rendervi uomini veri e veri Cristiani, vi aprirà le porte della beata immortalità.

XVIII.

CARATTERE.

Pazientate, sopportatemi ancora un poco, o cari giovani. A francarvi dalla servitù dell’umano rispetto, ho ancora un mezzo a suggerirvi, ed è che attendiate con ogni sforzo a formarvi un carattere franco e sincero. Lungi da voi ogni dissimulazione, ogni finzione ed inganno Quel che avete in cuore non arrossite mostrarlo alle parole, ai fatti. La fronte non si abbassa, non arrossisce che per vergogna, e vergogna non deve aversi che del male. Già ve l’ho detto e ora vel ripeto, portate la fronte alta, parlate chiaro, guardate la gente in faccia. Non potete credere quanto un far libero e franco svilisca i tristi. – Alla franchezza unite il buon umore e la cordialità; vogliate bene a tutti e mostratelo alle parole e ai fatti. Se vi dà l’occasione di rendere altrui servizio, fatelo di buona grazia, anche a costo d’incomodarvi, fatelo anche per coloro che d’opinioni e di condotta vi fossero avversi: ma s’ei tentassero la vostra fede o la vostra virtù, fate lor vedere che non vi fanno paura. San Francesco di Sales era all’università di Bologna il più compito cavaliere e il più cordiale giovane di questo mondo. Assalito una sera a tradimento da una man di giovinastri, che ne insidiavano il pudore, voltò ardito la fronte, trasse la spada, li sgominò, li mise in fuga…. D’ allora in poi più non s’ardirono tentarlo. – Se l’indole vostra v’inclina al frizzo pensate che l’attitudine a far ridere è un dono pericoloso; servitevene rado e a tempo, più per difesa che per offesa. E anche quando fosse a vostra difesa, ricordatevi, che altro è vellicare e pungere a fior di pelle, altro è lacerare e far sangue. Chi così morde, foss’anche a ragione, si accatta odio e malevoglienza. – Cionondimeno e’ si dà caso che un frizzo pungente torni acconcio a liberarvi da una noiosa ed ingiusta vessazione, ed umiliare l’oltracotanza di chi spudorato insulta alla virtù. – Raccontano d’una semplice contadinella, che recatasi dalla campagna in città per non so qual festa della Madonna, e non sapendo la chiesa, ne dimandò un panciuto che stavasi assiso sulla panca d’un caffè fra un branco di lions, fumandosi beatamente la sua pipa. — Che chiesa, che chiesa? (rispose l’interrogato) andate a divertirvi, povera ragazza, che meglio per voi. Guardate me; io non entro mai in chiesa, eppure son cresciuto grande, grasso e sano, qual mi vedete. – La contadina lo squadrò così un poco di sbieco, e con un suo risolino a fior di labbra: — Mio padre ci ha un par di bovi, che son più grassi e grossi di lei: neppur essi entrano mai in chiesa. — Fu un seroscio di risa di quanti udirono la risposta, e un batter di mani e un gridar di brava! den detto! Alla contadina. Il panciuto poté dire con Dante: Io non morii e non rimasi vivo. – Sentitene un’altra. Un consigliere liberale fece un discorso contro non so qual processione religiosa. Ad ogni tratto aveva in bocca libertà, libertà! E conchiudeva colla solita  logica  de’ nostri padroni, che in nome della libertà quella processione dovesse proibirsi. Finito il discorso, gli amiconi. a far ohi una Salva d’applausi. Un consigliere cattolico che sedev dalla banda opposta s’alza, e: — Bravo! applaudo anch’io: il messere ama proprio di cuore la libertà; tanto è vero, che la vorrebbe tutta Per sé e pe’ suoi. — Bastò questo frizzo a mandare: monte la deliberazione. – Ma questa del frizzo, torno a dire, è arma pericolosa e difficile a trattare; e in man vostra, o giovani, potrebbe nuocere non poco a quel discreto riserbo, e a quella cara modestia, che stanno tanto bene alla vostra età. Attenti però a non iscambiare la modestia e il riserbo colla dapocaggine e colla viltà d’animo. Solo un’onesta franchezza vi renderà dai tristi rispettati e sicuri. – E ci ha de’ giovani d’indole timida, peritosi, impacciati. a’ quali riesce difficile, e per poco direi, impossibile. un fare disinvolto e spigliato. Costoro, se son buoni e buoni desiderano conservarsi, non si mettano in  tal ginepraio, da cui poi riesca loro difficile il cavarsi con onore. Mi spiego. Per un giovane franco, quale io lo vorrei, certe compagnie non portano pericolo: e’ sa pararsi le mosche. Ma voi, giovinottino mio, che d’un nonnulla sbigottite, e v’impacciate ad ogni incontro come un pulcin nella stoppia, abbiate rispetto all’indole vostra, alla vostra debolezza, e se in certe compagnie sentite di non poterci stare con decoro, cessatevene pel vostro meglio. – San Luigi e santo Stanislao erano nel bene così francamente risoluti, che i licenziosi parlatori al sopragiunger loro ammutivano. Per costoro non c’era, sto per dire, compagnia pericolosa. Ma voi? avete voi la franchezza di quei due? avete voi la franchezza e la virtù de’santi?…

XIX

DIO LO VUOLE.

Voi conoscete, suppongo, la storia della prima Crociata, e sapete che l’eremita Pietro fu il primo ad accendere in petto ai padri nostri quel fuoco, che gli spinse a versarsi sì come torrente sulla lontana Palestina e strappare dalle mani dei Turchi la gran città consacrata e santificata dal sangue d’un Dio. – Volete intendere come cominciò a divampare quell’incendio? Venite con me nella gran pianura di Clermont. Vedete quante migliaia di persone! che ondeggiare, che fremere, che agitarsi! Paion l’onde del mar quando rugge da lontano la burrasca. Qui son principi, duchi, baroni con le lor corti e loro milizie; qui Vescovi, monaci, Sacerdoti accorsi da tutte le parti di Francia e d’Italia; qui un’onda immensa di popolo d’ogni età, d’ogni sesso e d’ogni condizione. Guardate là in fondo quel loggiato che sorge all’ombra di quel boschetto. Là è Papa Urbano II col suo numeroso corteggio. Tra i porporati che il circondano, voi vedete un barbuto in rozza tonaca con un mantellaccio rattoppato che gli pende dalle spalle. Guardate quel capo calvo, quella fronte corrugata, quelle guance scarne, quegli occhi che si volgono irrequieti ed ardenti, e paiono mandar lampi. È Pietro l’eremita, che or ora farà tuonar sua voce all’orecchio delle assembrate moltitudini. Squilla una tromba, cessa il muggito dei popoli, si fa grande silenzio. – Il Pontefice si leva, dichiara aperto il Concilio di Clermont, ne espone le ragioni, ne dichiara lo scopo: liberare il sepolcro di Cristo dalle mani degli infedeli. Indi accenna a Pietro, che calatosi dal loggiato, e salito sur un masso lì presso, da dove può più facilmente essere scorto ed udito da tutti, incomincia colla sua voce rauca e concitata, col gesto ,imperioso, e con quel suo tono da ispirato, ad arringare le turbe. – Narra dapprima ciò ch’egli stesso cogli occhi suoi ha veduto, la città santa in man dei cani, e i luoghi santificati dal sangue di Cristo orribilmente profanati. Narra la baldanza degli infedeli, e l’oppressione dei Cristiani abitanti Gerusalemme, schiacciati sotto un di ferro, taglieggiati, oltraggiati, vilipesi nelle guise più atroci. Narra le angosce ed i patimenti dei pellegrini devoti, che recatisi di lontanissime contrade alla santa città fra mille stenti e travagli, pur colla speranza di bagnare di lor lagrime quella terra tutta inzuppata del sangue del Redentore, e coprirne di fervidi baci il sepolcro, ne venivano da man brutale respinti, oltraggiati, battuti e morti, ed i cadaveri lasciati insepolti (miserando spettacolo) per le vie della santa città, e gettati alla campagna orrido pasto alle belve feroci. – Dipinto così al vivo lo stato della santa città, e il patir de’ Cristiani, pon mano ad accendere i cuori della brama vendicar l’onta di Cristo,  e del nome cristiano; ed è tanto efficace ed infiammato il suo dire, che un grido solo di tutti il seconda, e fa rintronare le valli e i monti lontani: — A Gerusalemme, a Gerusalemme! Dio lo vuole, Dio lo vuole! E al grido Dio lo vuole, si crociavano a migliaia, abbandonavano la patria, la famiglia, il regno, superavano i disagi della lunghissima via, si slanciavano contro i nemici; davano l’assalto alla santa città, piantavano sulle sue mura il vessillo della croce, adoravano, baciavano libero e glorioso il sepolcro di Cristo. – Or vengo a voi, miei giovani amici. Voi dovete farvi uomini ad ogni costo: Dio lo vuole, Dio lo vuole! Tutto dovete fare, tutto sacrificare a questo pensiero, a questa, che può dirsi per voi, l’impresa più grande di tutta la vostra vita. E voglio dire che l’idea del dovere (e che altro è insomma il dovere se non la volontà, di Dio?) la portiate sempre in cima di tutti i vostri pensieri, e in essa teniate sempre fisso lo sguardo,  come nella sua stella il navigante. — Perisca il mondo (diceva quel tale) ma si faccia la giustizia. E perisca il mondo, ripetete voi, ma il dovere si adempia. Ricchezze, onori, piaceri, privato interesse, amor proprio, egoismo, passioni, da, tutto ceda, tutto si sacrifichi, tutto svanisca davanti a questa grande idea del dovere, come svaniscono su pel cielo le stelle all’apparire del sole. Il dovere innanzi tutto: Dio lo vuole, Dio lo vuole! Con questo grido in cuore anche voi, come quei valorosi crociati, pigliate l’armi, e slanciatevi animosi alla battaglia. La vittoria sarà vostra. – Non per altro l’età nostra è tanto povera di virili e risoluti caratteri, e tanto feconda di fiacchi ed incostanti, se non perché allo svanir delle idee religiose, e all’affievolirsi della fede, s’è pure illanguidita ne’ più l’idea del dovere. Ma, grazie a Dio, non è per anco tanto in basso caduta questa nostra cara e infelice Italia, che ci vengano affatto meno i generosi esempi. – Giovani miei, volgete gli occhi a Roma, al Vaticano. Guardato a quel santo vecchio che chiamasi Pio IX. Quello è il più grande e il più forte degl’italiani, l’uomo e l’italiano per eccellenza. Oh le battaglie ch’Egli ha combattuto! Oh l’onte e l’ingiurie ch’Ei sostiene! Oh l’amarissimo calice che gli porgono a bere gl’ingrati figliuoli! – Che non han tentato gli empi per vincerlo e trarlo dalla loro! Dapprima l’imebriarono d’applausi, 1’innalzarono alle stelle, voleano (o fingevano)  mettergli in mano lo scettro di tutta Italia. Poi, volti in maledizioni gli applausi, l’han saziato d’obbrobri, l’han dato favola alle genti, l’han circonvenuto d’insidie. Finalmente gli hanno strappato di capo la secolare corona, pur dichiarandolo re, ma re da burla a guisa del divin Nazareno. – Or bene, tra tante battaglie, che da tanti anni sostiene, il santo vecchio non ha indietreggiato d’un passo, non ha mutato la sua parola, che è parola di verità, non ha cambiato il suo volto d’angelo che sorride e prega e perdona. Imperversino ancora i suoi nemici, gli sì accalchino attorno da ogni parte, gli si gettino addosso come cani arrabbiati, gli tolgano, non pur l’onore, non pure il regno, ma l’istessa vita; Pio Nono anche nell’agonie della morte ripeterà, come il Battista, il non licet, e colla parola della verità sulle labbra, consegnerà la grand’anima a Dio. – Giovani miei, prostratevi dinanzi a questa, che, volere o no, sarà sempre la più grande, la più sublime figura del nostro secolo; ma nel prostrarvi dite a voi stessi: — Ciò che tanto sublima Pio nono e lo rende al secolo nostro il più grande degli uomini, il primo degli italiani, è la santa, la divina idea del dovere. Con quest’ idea sempre fissa nel cuore, sempre fissa nella mente, anch’io vo’ rendermi degno del nome che porto d’uomo, d’italiano, di Cristiano. —

VIVA CRISTO RE (12)

CRISTO-RE (12)

TOTH TIHAMER:

Gregor. Ed. in Padova, 1954

Imprim. Jannes Jeremich, Ep. Beris

CAPITOLO XIV

CRISTO, RE DELLA FAMIGLIA (III)

FEDELTÀ CONIUGALE

A causa della guerra di Troia, Ulisse dovette allontanarsi da casa per vent’anni. E durante tutto questo tempo sua moglie, Penelope, fu assediata da centootto pretendenti. E per liberarsi di loro, pose questa condizione: “Quando avrò finito di tessere questa tela, sceglierò uno di voi”. Di giorno, sotto gli occhi dei pretendenti, lavorava pazientemente, tessendo senza sosta; ma di notte disfaceva tutto ciò che aveva tessuto durante il giorno. In questo modo, riuscì a guadagnare tempo fino al ritorno del marito dopo vent’anni. Un vero esempio di fedeltà coniugale, di vero amore.  Che cosa è necessario, soprattutto, per mantenere la fedeltà coniugale? Innanzitutto, i coniugi devono essere fermamente decisi ad osservare i Comandamenti di Dio. In una famiglia di questo tipo, ci possono essere divergenze di opinione e lievi attriti – ce ne saranno sempre, perché siamo uomini – ma soprattutto ci sarà la pace, perché ci saranno l’amore abnegante ed il perdono magnanimo, nessun litigio grave e nessun rancore.  “I mariti devono amare le loro mogli come il proprio corpo” (Ef V, 28), cioè amarle come se stessi. “Mariti, amate le vostre mogli e non trattatele duramente” (Col III, 19). Lei vi è stata data da Dio come compagna, non come schiava.  “Le mogli siano sottomesse ai loro mariti come al Signore; l’uomo infatti è capo della moglie, come Cristo è capo della Chiesa (Ef V, 22-23). Ma l’osservanza dei Comandamenti di Dio, e quindi la fedeltà, non può essere improvvisata, ma deve essere vissuta anche prima del matrimonio. Ciò richiede amore per Dio, controllo delle proprie passioni, abnegazione e spirito di sacrificio. Da qui l’importanza di educare i giovani in questo senso. L’esperienza ci dice che nella maggior parte dei casi, quando ci sono gravi divergenze tra i coniugi, è semplicemente perché non si trattano con delicatezza e gentilezza, perché non sono comprensivi l’uno con l’altro e non sanno perdonare le imperfezioni e le differenze dell’altro. Quindi educhiamo i giovani fin da piccoli a comprendere e tollerare le debolezze e i difetti dell’altro. Educhiamoli affinché non si abituino a dire sempre: “è stato lui a cominciare”, “la colpa è sua”; ma che sappiano confessare semplicemente: è colpa mia. Educhiamo i ragazzi a non aspettare che l’altro faccia ammenda per primo, ma a provare a chiedere perdono per primi. Educhiamoli a essere sempre pronti a cercare non i propri interessi, ma quelli degli altri. Si capisce bene che due giovani di questo tipo, se si sposano, vivranno in armonia e saranno fedeli l’uno all’altro, perché nessuno dei due cercherà la propria felicità, ma quella dell’altro. Molte discussioni e litigi in famiglia sono dovuti al fatto che uno dei coniugi ha un temperamento pignolo che non è stato tenuto a freno, è capriccioso, impaziente e irascibile all’estremo. – A volte il problema è causato dalla moglie, che è capricciosa e vanitosa, che ha desideri irrealistici e grandi pretese al di sopra delle sue possibilità. Per esempio, quando si tratta di abiti e cosmetici, tutto le sembra troppo poco. Pensa solo a brillare e a farsi notare. E non si rendono conto che i bravi giovani prestano più attenzione alla bellezza dell’anima che all’aspetto esteriore: che sia semplice e altruista, gentile e comprensiva. …. Per questo motivo, soprattutto le ragazze devono essere educate alla modestia e alla semplicità. I giovani dovrebbero anche essere educati ad essere pazienti e a saper superare i loro stati d’animo, i loro sentimenti, senza dare loro l’importanza che non hanno. – Si racconta che in una certa occasione Xanthippa cominciò a rimproverare il marito Socrate molto presto al mattino…; tuoni e fulmini continuavano a cadere su di lui. Alla fine Socrate, stanco di tutte queste angherie, uscì di casa. La moglie, infuriata, gli gettò un catino d’acqua in testa dalla finestra. Socrate si fermò, guardò in alto, e così com’era, bagnato fino alle ossa, disse con calma: “Senza dubbio, dopo il tuono di solito piove…”. È anche difficile per i coniugi essere fedeli nel matrimonio se prima non hanno vissuto la castità, rimanendo vergini fino al matrimonio. Per questo è importante che i genitori educhino i figli alla purezza prima del matrimonio.

***

Vicino a Gerusalemme, a Betania, viveva una buona famiglia, composta da tre fratelli e sorelle: Marta, Maria e Lazzaro. Il Signore ha contraddistinto questa casa felice con la sua speciale amicizia. Dopo il duro lavoro, andava a riposare presso questa famiglia, e in queste occasioni le due sorelle facevano il possibile per prendersi cura di lui. La felicità regnava in questa famiglia? Quanto è benedetta la famiglia che sa coltivare questa calda e sincera amicizia con Nostro Signore Gesù Cristo! Le disgrazie possono arrivare di tanto in tanto – può esistere una famiglia che non abbia giorni tristi? – ma non si disperano né perdono la pace, perché in quei momenti si rivolgono a Gesù Cristo per trovare la forza e la grazia di cui hanno bisogno. Anche la famiglia di Betania subì un duro colpo: a chi si rivolse allora? A Gesù Cristo, l’amico della famiglia. Contempliamo la scena. Lazzaro si ammala gravemente, Cristo è lontano. Le sorelle si occupano con timore e affetto del malato, le cui condizioni peggiorano sempre di più…. “Signore, guarda, la persona che ami è malata”: questo è il messaggio che inviano a Gesù. Il Signore non viene – spesso sembra che non ascolti nemmeno me. Lazzaro entra in agonia; le sorelle, addolorate, attendono con ansia l’arrivo di Gesù. Non viene. Lazzaro muore e il Signore non è ancora venuto. Gesù non amava questa famiglia? Oh sì, eppure ha permesso che la sfortuna li visitasse. Per darci una lezione: Egli è consapevole di ciò che ci accade e, nonostante ciò, spesso non lo fa. Egli ha un piano migliore per noi, anche se non lo comprendiamo. Il Signore vuole che non perdiamo la fede in Lui, anche se a noi può sembrare il contrario.

CAPITOLO XV

CRISTO, RE DELLA FAMIGLIA (IV)

IL DIVORZIO

I miei lettori conoscono la storia di Caterina Jagello, moglie di un principe finlandese? Chi era Catherine Jagello? La moglie di Giovanni Wasa, principe di Finlandia. Gli svedesi imprigionarono il principe e lo condannarono all’ergastolo a Stoccolma. Caterina si precipitò a Stoccolma e disse al re di Svezia: “Permettetemi, Maestà, di essere imprigionata con mio marito”. Ma che razza di idea è questa? – Erich, il re svedese, esclamò: “Sai che tuo marito non vedrà mai più il sole?” Lo so, Vostra Maestà. E sapete, inoltre, che sarà trattato non come un principe, ma come un ribelle che ha commesso un reato di lesa-maestà? – Lo so. Ma libero o prigioniero, innocente o colpevole, John Wasa è mio marito. Il re viene spostato. – Ma credo – dice a Catherine – che la condanna di tuo marito spezzi i legami che ti legano a lui…. Siete liberi… Per tutta risposta, Caterina si tolse la fede dal dito e disse semplicemente: “Leggete, Vostra Maestà.” Sull’anello erano incise solo due parole: “Fino alla morte”. Caterina entrò in prigione e visse per diciassette anni accanto al marito, finché Erich, il re svedese, morì e Giovanni Wasa poté riacquistare la libertà…. – Fino alla morte; solo la morte può separarmi da lui. Robusto o malato, ricco o povero, esile o debole, bello o brutto, gentile o capriccioso…, non importa; è mio marito e nulla mi separerà da lui…, solo la morte. – Catherine Jagello è un modello di fedeltà coniugale per il mondo di oggi, dove tante famiglie sono distrutte dal flagello del divorzio. Quanto siamo caduti in basso, quanta poca stima viene data al matrimonio! Purtroppo vediamo che ciò che Cristo ha elevato alla dignità di sacramento, ciò che San Paolo chiama “un grande mistero”, viene iniquamente disprezzato. L’onore e il rispetto per il matrimonio, quanto poco è valutato nel nostro tempo! Abbiamo quasi raggiunto lo stato pietoso della decadenza di Roma, quando le donne si vantavano del numero di mariti che avevano avuto. – Osserviamo cosa succede spesso. Marito e moglie litigano. Non c’è niente di speciale. Debolezze umane. Ma litigano per ogni futilità…; e la fine? “Beh, se non ti piace, divorziamo!” Sì, “divorziamo!”. Incontrate una dolce coppietta. Vogliono “sposarsi”. E, con sconcertante ingenuità, dicono che lui era già sposato con un’altra e lei con un’altro ancora; che la situazione era insopportabile; per questo… hanno semplicemente divorziato, ed ecco il documento ufficiale rilasciato dallo Stato. “Hanno semplicemente divorziato” e ora vogliono risposarsi…  – Un nuovo vicino si trasferisce in paese o un nuovo dipendente arriva nella piccola città di provincia. Fa visita al parroco e il parroco ricambia la visita. Poi viene a conoscenza del caso: il signore ha avuto due mogli; la signora ha avuto un marito prima di questo matrimonio…; dichiarano di essere molto interessati a partecipare alla vita della parrocchia. Per il resto, tutto è in regola…, secondo la legge civile: “erano semplicemente divorziati”. Semplicemente! – Due quindicenni camminano per strada e parlano con la massima naturalezza…. Di cosa stanno parlando? Matematica? Ah, no! Ascoltate cosa si dicono l’un l’altro: “Sai, se hai un marito così…, beh, semplicemente…, è meglio divorziare…”. Cosa dice Nostro Signore Gesù Cristo sul divorzio? – Non c’è dubbio che Dio Creatore abbia istituito il matrimonio come alleanza indissolubile tra un uomo e una donna. Nell’Antico Testamento c’era il libello del ripudio; ma a quel tempo il matrimonio non era un Sacramento e Dio lo tollerava solo per motivi particolari. Ma Gesù Cristo ha elevato il matrimonio alla dignità di Sacramento e lo ha riportato al suo stato originario di purezza ideale, alla sua unità e indissolubilità. – La legge di Mosè permetteva il divorzio in alcuni casi, e così i farisei chiesero al Signore: “È lecito a un uomo allontanare la propria moglie per qualsiasi motivo?” Allora NOSTRO SIGNORE pronunciò le parole memorabili per sempre: “A causa della durezza del vostro cuore, Mosè vi ha permesso di rimandare le vostre mogli, ma da principio non era così” (Mt XIX: 8). “Ciò che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi” (Mt XIX, 6). “Perciò io dichiaro che chi divorzia dalla propria moglie… e ne sposa un’altra, commette adulterio; e chi sposa colei che è divorziata commette adulterio” (Mt XIX, 9). E che questo sia il modo in cui gli Apostoli l’hanno inteso è dimostrato dalle parole di SAN PAOLO: “La donna sposata è legata dalla legge al marito finché egli vive… per questo è considerata adultera se, mentre il marito vive, sposa un altro uomo” (Rm VII, 2.3). È possibile parlare più chiaramente?  – L’unica cosa che la Chiesa può fare in caso di profondi disaccordi tra i coniugi è permettere ai coniugi di separarsi, ma questo non scioglie il matrimonio in modo tale che i coniugi possano contrarne uno nuovo. “Agli sposi, non io, ma il Signore comanda che la moglie non si separi dal marito; che se si separa, non si risposi o si riconcili con il marito”, dice SAN PAOLO (1 Cor VII,10). Se meditiamo con calma su questo criterio seguito dalla Chiesa, la stessa ragione ci dice che non è possibile procedere in altro modo. La dignità dell’uomo, il bene della società e la sicurezza dei figli si oppongono rigorosamente al divorzio. La dignità dell’uomo. Nel matrimonio, due esseri si donano l’uno all’altro, in un’unione così stretta da non poterne concepire una più profonda. “Io sono tutto tuo come tu sei tutto mio”, si dicono con orgoglio gli sposi. Ma cosa ne sarebbe della dignità dell’uomo, dell’onore dell’uomo, se questa rinuncia fosse fatta per un certo periodo di tempo? Se il marito può separarsi dalla moglie come da un abito usato, allora l’uomo viene abbassato al livello di una merce; e se il matrimonio viene sciolto per capriccio, nel mondo in cui trionfa la malvagità, la dignità umana scompare. La società ha smesso di essere “società umana”. Togliete i cerchi dalla canna… e si sgretolerà in mille pezzi. Il cerchio della società è il matrimonio indissolubile. Se la famiglia crolla, la società si sgretola. Non ci può essere una resa completa, una fiducia reciproca per formare una famiglia, se entrambe le parti devono continuamente temere: quando l’altro mi lascerà? – E arriviamo a uno dei punti più tristi: che ne sarà dei bambini i cui genitori hanno divorziato? Sento il mio cuore tremare ogni volta che incontro questi poveri bambini sulla mia strada. Questo caso è capitato a un catechista. Ha incontrato un’ex discepola, una ragazza di sedici anni. Le chiese: -Come stai? Come stai? Bene, grazie. -Cosa c’è di nuovo a casa? – Non sono stata a casa per molto tempo. Come sapete, vivevo con mia madre, che ha divorziato e si è risposata. Mi sono trovato bene con il patrigno. Ma mia madre divorziò di nuovo e si risposò per la terza volta. Non ero più disposto a seguirla nella nuova casa. – La cosa migliore è che tu torni da tuo padre. – Impossibile. Mio padre è sposato, ha altri figli e non vuole vedermi.  – E con chi vivi ora? – Con un amico. E non so per quanto tempo. -E una lacrima scivolò sul viso della povera ragazza. Avete mai visto un uccellino che è stato spinto fuori dal suo nido dal vento? Come soffre, come guarda con timore il mondo che lo circonda! I figli dei divorziati si sentono abbandonati: chi cercherò, mio padre? ma accanto a lui c’è un’altra donna; mia madre? ma l’uomo accanto a lei non è mio padre. Poveri figli, i loro genitori sono ancora vivi, eppure si sentono orfani! Come si sentono tristi! Padri – quelli di voi che stanno pensando al divorzio – pensate ai vostri figli!

III

Ora sappiamo cos’è il divorzio. “Ma lo sapevamo già”, mi obietta qualcuno; “i principii possono essere molto alti, ma la vita reale è molto diversa! La vita ride dei principii”. Sappiamo che l’ideale è che il matrimonio sia indissolubile; questo va benissimo. Ma cosa succede se il matrimonio non era quello giusto, e anche in questo caso è indissolubile? A volte ci troviamo in situazioni terribili. Non c’è sofferenza su questa terra, non c’è inferno come quello di un marito ed una moglie che litigano sempre. E non si può sciogliere? Almeno in questi casi il divorzio dovrebbe essere consentito. Una brava donna sposa un uomo rude e alcolizzato; un marito diligente e laborioso sposa una donna viziosa ed egoista? In questi casi la vita non è altro che un inferno, e non si può sciogliere il matrimonio? – Lo ammettiamo, nella vita ci sono casi terribili. Tuttavia, il matrimonio è indissolubile. Il divorzio non può essere permesso, il legame non può essere spezzato in modo tale da rendere lecito in seguito un altro matrimonio, perché se fosse permesso una volta, la rovina sarebbe presto completa. Se una veste comincia a lacerarsi, chi può evitare che si strappi del tutto? Mariti e mogli si abbandonavano nei momenti più critici: quando l’altro aveva più bisogno, in caso di malattia, nella vecchiaia. Gli esempi non mancano: le moderne leggi civili rendono molto facile il divorzio e più è facile, più aumentano i divorzi. Se tutti sapessero che non possono divorziare, che devono vivere insieme fino alla morte, allora dovrebbero accettarsi a vicenda. D’altra parte, quando il divorzio è permesso, basta il minimo dispiacere per far sì che la gente si lamenti: “Non ti piace? Se non ti piace, divorziamo!”  – E c’è una cosa che non dobbiamo dimenticare: il matrimonio è un Sacramento. Gli sposi ricevono una grazia speciale per essere forti nella felicità e nella disgrazia, purché abbiano buona volontà; e così, con la grazia di Dio, anche i matrimoni che sembrano un disastro, che non sono abbastanza felici, possono essere sopportati con pazienza e comprensione.  – “Ma se non amo più il mio coniuge? Dovrò soffrire tutta la vita con lui? O non ho diritto alla felicità? Che ne sarà della mia vita? Non è forse un’ingiustizia, una crudeltà? È l’amarezza che ti impone queste parole; non sai, fratello, cosa stai dicendo. Parlate come se non credeste nella vita eterna. Il Signore può essere crudele, può essere ingiusto? Egli sapeva bene quanta sofferenza ci sarebbe stata nel matrimonio, eppure ha voluto che fosse indissolubile. Nostro Signore Gesù Cristo non è crudele; ci chiede solo di fare dei sacrifici. E non solo su questo punto, ma in tutti gli aspetti della vita. Vuole che soffriamo piuttosto che peccare: vuole che soffriamo piuttosto che rinnegare la nostra fede. A volte chiede il nostro sangue, la nostra vita, come nel caso dei martiri; a volte chiede la sofferenza, come nel caso dei coniugi che non vanno d’accordo. E non lo fa per mero capriccio, né per il proprio interesse, ma per il bene comune, per il bene dell’umanità. “Il bene comune? Ma la mia felicità viene prima di tutto! Che mi importa della società? La mia vita è la cosa più importante, voglio essere felice”. Non hai ragione. Ad ogni passo vediamo che l’individuo deve fare sacrifici per il bene comune. Sei un medico, sei un prete? Dovete curare i malati contagiosi, anche a rischio della vostra vita. Siete un soldato? Dovete fare il vostro dovere, anche a rischio della vostra vita. Ci sono tempi di pace, ma anche tempi di guerra. Lo stesso vale per il matrimonio: è lecito dirsi belle parole d’amore quando tutto va bene e, quando sorgono disaccordi e difficoltà, abbandonare le buone intenzioni e “scappare”? No. Il matrimonio non può essere sciolto. – “Quindi la Chiesa non la scioglie mai? Eppure ho un conoscente che si è sposato una seconda volta. In Chiesa? Sì: in una Chiesa cattolica…. Ed eccoli lì, l’artista è su …. E anche il suo matrimonio è stato sciolto; ci vogliono molti soldi per questo…”.  – Si sentono spesso argomentazioni di questo tipo. Voglio parlare con franchezza. La Chiesa non ha mai sciolto un matrimonio valido e consumato. “Ma il fatto è che la persona di cui parlo ha avuto successo e si è sposata una seconda volta…”. Sì, si è sposato, ma il suo primo matrimonio non è stato sciolto, ma la Chiesa ha dichiarato che non è mai stato valido; non era valido perché c’era qualche impedimento dirimente. Pertanto, anche se ci sono persone che si sposano una seconda volta in Chiesa vivendo il proprio consorte, il fatto significa solo che il primo matrimonio non era valido. Non c’è un solo caso in tutti i duemila anni di storia della Chiesa in cui un matrimonio valido e consumato sia stato sciolto.

***

Questo è l’insegnamento della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio. – La drammatica scena tra San Giovanni Battista ed Erode si ripete giorno dopo giorno nella storia. Erode Antipa ripudiò la moglie legittima e cercò di sposare la moglie di suo fratello, Erodiade, mentre era ancora vivo. San Giovanni gettò in faccia al tiranno l’accusa:  “Non ti è lecito prendere in moglie la moglie di tuo fratello” (Mc VI, 18). E cosa è successo? San Giovanni Battista fu imprigionato e poi decapitato. Doveva subire il martirio e dare la vita per l’indissolubilità del matrimonio? – In questi duemila anni scene simili si sono ripetute spesso. La Chiesa è rimasta ferma; e in molte occasioni ha dovuto fulminare anatemi a favore dell’indissolubilità del matrimonio, anche quando sapeva che avrebbe dovuto subire la perdita di intere nazioni, e anche quando sapeva che con la sua fermezza si sarebbe guadagnata la derisione, l’incomprensione e la perdita di molti fedeli. Non importa. Non poteva fare altrimenti. Fare diversamente sarebbe stato apostatare da Cristo. – Dobbiamo ringraziare la Chiesa per il suo atteggiamento fermo e incrollabile. Per quanto la legge possa essere esigente, essa non scende a compromessi. E tutti gli uomini di buona volontà dovrebbero riconoscerlo. In un mondo in cui regnano l’egoismo, la pusillanimità, la mancanza di impegno e il relativismo, la Chiesa è sola nella sua convinzione; e quando la società decadente dice: divorziamo; quando tutte le altre chiese e religioni ripetono: divorziamo…, è la sola Chiesa Cattolica che osa difendere le parole di GESÙ CRISTO: “Ciò che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi”. La Chiesa sa bene che a causa dell’indissolubilità del matrimonio si verificano molte tragedie e sofferenze. Ma sa anche che, se il matrimonio potesse essere sciolto, ne seguirebbero mali peggiori, e che su questa terra non possiamo vivere senza la croce di Nostro Signore.  Oggi la terribile frase viene pronunciata con leggerezza: “Se non ti piace, divorziamo! Ah, sì, divorziamo? E non ricordate il giuramento che avete fatto davanti all’altare, davanti alla croce di Cristo, pienamente consapevoli di ciò che stavate dicendo? Vogliamo divorziare? E non vedete le grandi tragedie causate da questo passo disperato? Vogliamo divorziare? E non vedete come i vostri figli vi guardano, con gli occhi che lacrimano, pregandovi di non farlo? Bambini che sapranno cosa significa essere orfani mentre i loro genitori sono ancora vivi? Vogliamo divorziare? E non sentite che se la famiglia perisce, anche l’intera società perirà irrimediabilmente? Vogliamo divorziare? No, non vogliamo il divorzio.  Non dire: “Abbiamo litigato, non ci sopportiamo, è meglio andare per la nostra strada…”, ma: “Dammi la mano, vieni con me, e ora andiamo tutti e due a Cristo…”. – Gesù Cristo è il medico a cui bisogna rivolgersi quando le cose in famiglia non vanno bene. Egli vi darà la forza di amare. È il re della famiglia, non dimenticatelo.

LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (8)

LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (8)

LA GRAN BESTIA SVELATA AI GIOVANI

dal Padre F. MARTINENGO (Prete delle Missioni)

SESTA EDIZIONE – TORINO I88O

Tip. E Libr. SALESIANA

XV.

IL MODELLO DELL’UOMO E DEL CRISTIANO.

Povero Gesù! fu dunque l’umano rispetto che l’uccise! Questo tutti sanno o dovrebber sapere: ma più ancora saper dovrebbero e meditare sovente le dottrine e gli esempi che l’Uomo-Dio ci ha lasciati per francarci dalla viltà e dalla paura e farci veri uomini col renderci veri Cristiani. V0i ho già sopra ricordato, cari giovani, quelle belle parole: — Non temete coloro che uccidono il corpo; ma Colui solo temete, che l’anima e il corpo può dannare ai tormenti dell’inferno. — E avete veduto come sapessero farne lor prò in ogni tempo i martiri e i perfetti Cristiani. Oh avessimo cuore d’imitarli! Ora poi vo’ ricordarvi di Cristo quell’altra sentenza: — Guardatevi dal fare il vostro bene davanti agli uomini, per esser veduti da loro. Quei che fanno il bene a questo fine, hanno già ricevuto la loro mercede: cioè, hanno cercato il piacere, gli applausi del mondo; il mondo li paghi, non io. E segue confortandoci ad operare il bene sotto quell’occhio che sempre amoroso ci guarda, l’occhio, dico, del gran Padre che sta nei cieli, il quale, fedele alle sue promesse, ce ne serberà intatta la ricompensa; sì, foss’anche un bicchier d’acqua dato in suo nome, ce ne darà la ricompensa. Ma in suo nome, notate! Non in nome e per rispetto dell’uomo. E questo è il primo passo a cui dovete attentamente guardarvi, o cari giovani; perché d’ordinario va così: s’incomincia dal far il bene per rispetto dell’uomo, poi, per lo stesso rispetto, il bene, o si fa di nascosto vergognando, o si smezza, o dirittura s’intralascia; da ultimo, sempre per umano rispetto, sì giunge a commettere il male. E che male!… L’abbiamo veduto e basta. – Per umano rispetto erano usi d’operare i Farisei, e Cristo non poté mai aver pace con essi.  A loro i rimproveri più acerbi, le minacce più spaventose, a loro l’ira e la maledizione di Dio, per loro l’agnello mansuetissimo diventa leone furioso e rugge: Væ vobis! Væ vobis! E quel che disse colla parola, ce l’insegnò ancor più efficacemente coll’esempio. Venuto al mondo per salvarci, due cose ebbe costantemente presenti al pensiero: la volontà del Padre e la nostra salvezza; e per la volontà del suo Divin Padre, e per la salvezza delle anime, non isbigottì, non s’arretrò davanti ad alcun sacrificio, neppure innanzi a quello della fama e dell’onore. — Visse povero e sconosciuto fin dai primi anni; poi quando venne l’istante di farsi conoscere, volle assoggettarsi agli scherni, alle persecuzioni, alle calunnie degli uomini ingrati; da ultimo mori nudo sopra una croce fra due ladri, come il più infame tra loro, e pur morendo confitto al durissimo legno sostenne in pace da’ suoi nemici orribili scherni. – Giovani miei, siete voi Cristiani?… Se siete, levate un tratto gli occhi della fede a Gesù crocifisso fatto obbrobrio e maledizione per noi, e dite: si può essere Cristiani e aver paura degli obbrobri e delle maledizioni del mondo? Aver vergogna di Lui, che tanta vergogna sostenne per salvarci? Oh Dio! un discepolo vanta di buon maestro, il servo si gloria del suo padrone, il soldato va fiero della sua divisa e dell’armi, fiero e superbo delle insegne del suo re: e solo il Cristiano avrà vergogna di Colui, che è ad un tempo suo maestro, suo Signore, suo re? che per salvarlo abbracciò volontario l’infamia della croce?.. Maledizione al vigliacco! maledizione! E qual maledizione? sentitela dalla bocca istessa di Gesù Cristo. — Se alcuno avrà avuto vergogna di me dinanzi agli uomini, ed Io avrò vergogna di lui al cospetto del mio Padre celeste; dirò loro: andate, non vi conosco. E Cristo ha ragione. Si, viva Cristo, il nemico eterno dei vigliacchi! Viva Cristo, l’amico dei generosi e dei forti! Viva Cristo nostro capitano e nostro re!… Quanto a noi, vogliam seguitarlo a fronte alta, santamente superbi d’appartenergli e di servirlo. Dietro ai suoi passi, ci slanceremo animosi alla battaglia, gridando cogli Apostoli: eamus et moriamur cum eo. Animo, figliuoli! non che gli scherni e il disprezzo del mondo, la morte stessa soffriremo per Colui che ci amò fino a morire infamato sopra una croce.

XVI.

I CANI CHE ABBAIANO.

Tante cose vi ho detto della gran bestia dell’umano rispetto, che ormai ne dovete essere e stomacati ed atterriti; e non dubito che più volte in cuor vostro avrete detto: — Oh io non voglio che tal bestia mi metta gli unghioni addosso mai: è troppo sozza e crudele. Non voglio imbrancarmi coi vigliacchi: son già tanti al mondo! Sarò uomo, uomo vero, sarò franco e libero Cristiano. Dio vi benedica, cari giovani, di sì bella risoluzione; ma come altro è risolvere, altro mettere in pratica, permettetemi che prima di finire vi suggerisca qualche mezzo a facilitarvi l’adempimento de’ vostri buoni desideri. – E innanzi tutto, incominciate fin d’ora; incominciate, dico, ad operar francamente pel bene, senza seconde intenzioni, senza darvi pensiero della lode o del biasimo altrui, dicendo con s. Paolo: Qui judicat me Dominus est. Che mi fa a me delle chiacchere altrui? A me basta tenermi in buona regola con Colui che deve giudicarmi. Vivete voi in famiglia? Penso nonvi sarà difficile il farvi uomo. Vi ci aiuteranno i vostri buoni parenti, che null’altro meglio desiderano. Almeno, mi piace sperare. Che se per disgrazia i parenti vostri… Oh Dio! mi fa male il pensarlo, eppure è un caso che si dà, bisogna parlarne. Se dunque i vostri stessi genitori divenissero nemici della vostra virtù, vi raccomando, giovani miei di meditare ed imitare, occorrendo, la condotta che tenne l’angelico s. Luigi col padre suo il duca Ferrante Gonzaga, che volle attraversargli la strada della Religione, cui sentivasi supernamente chiamato. Sempre docile, sempre rispettoso e tranquillo, sostenne più d’un anno l’ira e i castighi di lui, finché la mansuetudine la vinse sull’ira, e il padre riconobbe piangendo, insieme col suo fallo, le sante ragioni del figliuolo. Tanto è vero, che i mansueti, come dice Cristo, possidebunt terram; finiscono sempre col diventar padroni del campo. – Che se non dai parenti, potrete talvolta aver noia da parte de’ fratelli (dalle sorelle non suppongo: son tanto dolci e buone !). Pur troppo l’invidia e la gelosia han facile presa ne’ giovanetti cuori; testimonio l’antiche storie d’ Abele e di Giuseppe. Voi guardatene bene i vostri cuori; e se per caso, alcuno dei fratelli vostri animato a sì biechi sentimenti, s’attentasse di mettere in deriso la vostra virtù, vince in bono malum, e in mezzo alla tribolazione che dovrete sostenere vi stia sempre davanti al pensiero l’esempio de’ due giusti che ho nominati. – Se poi vivete in collegio, troverete forse difficoltà maggiori, ma insieme occasioni più frequenti e più acconce a formarvi un carattere fermo e virile. Qui vi sarà forza convivere con ogni maniera di giovani, fra quali, è quasi certo. non mancheranno gli schernitori e i maligni. Ragazzacci di poca testa e men cuore, non han forza nè coraggio di primeggiare nel bene, guardano biechi a qualunque sale più alto, e si vendicano della sua superiorità collo schizzargli addosso il veleno onde han gonfio il cuore. Per questi miserabili vi consiglio gran compassione, e trattarli con bontà, e dissimulare la malignità di loro parole. Ma compassione non meritano quegli altri, che non contenti al veleno dello scherno, cercano schizzarvi addosso anche quello della corruzione. A costoro, se ardissero tentare la vostra virtù, mostrate i denti.; e responde stulto iuxta stultitiam suam. Li vedrete avvilirsi e tacere a misura che alzerete la testa e li guarderete in faccia. Fanciullo ancora, ricordo d’una gran paura che avevo dei cani. Un dì che tornavo dalla campagna con mio padre in sul far della sera, eccoti, nel passar vicino a una cascina, sbucarci incontro, non uno, ma tre di cotesti importuni animali, e con le fauci spalancate e grandi abbaiamenti, come sogliono far atto di volerci azzannare. Oh Dio! sento ancora lo spavento di quell’assalto. Fuor di me per la paura, mi svincolai dalla man di mio padre che mi teneva, saltai il fosso della strada, e corsi fuggendo e urlando pei campi; e i cani sempre dietro, abbaiando più forte, e addentandomi a volte fin la falda dell’abito; tantoché io mi tenevo già per bello e divorato: quando, alle mie grida i contadini, richiamarono, ammansirono i cani, ed io, quetata quella grande paura, ripresi il cammino a’ fianchi del babbo. – Il quale, quando mi vide tranquillo, incominciò a favellarmi così: Sai Cecchino mio, perché quei cani ti corsero tanto dietro? Perché ti sei dato a fuggire. – Anzi (osservai alla mia volta) e’ mi pare ch’io son fuggito, perché e’ mi venivano dietro. – Sì, ma se appena ci comparvero a fare il saluto, tu non la davi a gambe con tanto gridare, come hai fatto, avrebbero abbaiato un poco e poi t’avrebbero lasciato in pace. Guarda me, che mi rimasi tranquillo sulla strada. Vedendomi, i cani han pensato: costui è un galantuomo, e non mi han dato il menomo fastidio; ma veduto te a fuggire: questo è il ladro, dissero, e: dagli al ladro, dagli al ladro! ti son corsi addosso con tanta rabbia, che per poco non ti addentarono per le gambe. — Queste parole di mio padre, così fanciullo com’io era, mi fecero grande impressione, e mi persuasi che la cosa stesse proprio così, com’e’ mi diceva. Intanto, cammina, cammina, si giunse a passare da un’altra cascina; già sentivansi i cani ad abbaiare, e il cuore mi martellava forte, ma avvinghiandomi stretto alla mano del babbo: — Ora non voglio più fuggire, dissi; e mantenni la parola. Giunsero i cani, salta di qua, abbaia di là: quando videro che né io né il babbo ce ne davamo per intesi, continuandoci alla nostra via, senza neppure voltarci, se ne tornarono colla coda bassa al loro covo. Non saprei dire quanto piacere presi allora di quella vittoria riportata sulla mia paura. — Vedi, vedi (mi diceva il buon babbo): que’ cani ti han veduto andartene tranquillo alla tua via, e han detto: costui è un buon figliuolo; andiamocene a dormire. — E di li a un poco in tono solenne aggiungeva: — Impara, Cecchino mio, ad andartene sempre diritto per la buona strada. Troverai dei cani d’altra razza che ti abbaieranno incontro; e tu fa’ con loro come con questi. T’assicuro che in breve si acquieteranno, e tu non n’avrai danno di sorta. Tanto vale saper vincere la paura. — Allora (ricordo) a capire bene questa. cosiffatta moralità, mi ci vollero non poche dimande mie, ed altrettante risposte del babbo. Ma per voi, cari giovani, non abbaia d’altra spiegazione; la moralità è chiara abbastanza. – Tornando a bomba, aggiungerò ancora una cosa. Peggio assai che in famiglia, peggio che in convitto, potrà accadervi all’Università, se vi toccherà un giorno l’andarvi. Ma se all’Università possono trovarsi cani arrabbiati più che altrove, vo’ dire giovani più perversi, parmi anche debba riuscirvi più facile il cansarli. All’Università si è più al largo, più al largo che in famiglia, più al largo che in un convitto. Fra la turba di due, tre, quattrocento giovani di ogni risma e d’ogni colore, uno facilmente ci si perde e ci si nasconde. Chi vi obbliga a far relazioni? Chi vi impedisce, terminata la lezione, di svignarvela destramente e andarvene pe’ fatti vostri? – Io conosco un bravo giovane già mio scolaro (ora è prete e mi fa la barba a me), il quale, prima d’entrare nella carriera ecclesiastica, studiò tutto il corso di legge, ebbe la laurea, ed uscì dall’università pio, innocente, come eravi entrato. Eppure viveva in una grande città, lontano da’ parenti od amici che potessero sorvegliarlo. Avendolo domandato un giorno, che vita ei menasse colà: — Studiavo molto (mi rispose) studiavo davvero, non per mostra, come fanno i più. I primi mesi m’astenni da qualunque relazione co’ compagni: credo che la maggior parte non sapessero pure chi io mi fossi. Mi guardavano, passandomi vicino, come si guarda a una cosa nuova, e io guardava loro senza dir nulla. Una volta li sentii rider tra loro e darmi del selvatico: io feci orecchie di mercante, e via. Ma in capo a qualche mese incominciai a sentirmi troppo solo. Oh un amico! pensava. E incominciai a por mente ai più studiosi e ai più riservati tra i compagni, finché, scortone due che mi piacevano, mi accostai loro, e così ci legammo a poco a poco di così pura e dolce amicizia, che ne ringrazierò Dio finché campo.

LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (9)

VIVA CRISTO RE (11)

CRISTO-RE (11)

TOTH TIHAMER:

Gregor. Ed. in Padova, 1954

Imprim. Jannes Jeremich, Ep. Beris

CAPITOLO XII

CRISTO, RE DELLA FAMIGLIA (I)

IL BANCHETTO DI NOZZE DI CANA

Cristo è il Re della vita familiare, l’unico capace di rinnovare la vita familiare, oggi così attaccata e oltraggiata. Ogni momento vediamo e sperimentiamo come la vita familiare scricchioli alle fondamenta e minacci di crollare. Tutti sentiamo che la società è malata. Sono state approvate molte leggi per ripulire la situazione. Tutto ciò va bene, ma tutto questo è solo un bendaggio per la piaga che sanguina. Dobbiamo andare alla causa: la disgregazione della vita familiare. C’è chi crede che l’importante sia ripulire il Parlamento, il Congresso…, le imprese, l’istruzione…, i media…. Sì, tutto questo è importante, è vero, ma non è la cosa più importante. Dove sta il futuro dell’umanità? Nella famiglia! È la salvaguardia della vita sociale, dello Stato e della religione. Ed è proprio perché la malattia ha attaccato la vita familiare che è così scioccante e spaventoso vedere quanto sia cattiva la società di oggi. Se volessimo riassumere in tre parole le cose che assicurano la felicità della vita familiare, sceglieremmo queste tre: fede, armonia e fedeltà. – In un piccolo villaggio della Galilea, chiamato Cana, una coppia giovane e sconosciuta si sposò e invitò Nostro Signore Gesù Cristo ad un evento così importante. Egli accetta l’invito e partecipa volentieri alle nozze, portando con sé sua Madre e i suoi Apostoli. Per tirare fuori dai guai gli sposi compie il suo primo miracolo? Questa è in sostanza la semplice e incantevole storia…. Ma quali insegnamenti profondi si nascondono sotto queste semplici apparenze! Gli sposi vogliono sposarsi e invitano Nostro Signore Gesù Cristo al loro matrimonio. Potremmo chiederci: gli sposi di oggi, quando commettono il primo errore che poi avrà gravi conseguenze negative sul loro matrimonio? Quando invitano al loro matrimonio parenti, conoscenti, colleghi di ufficio, amici, tutti… tranne Gesù Cristo. È solo il Signore che dimenticano.  Questo è il male principale di molti matrimoni oggi: fanno a meno di Gesù.  – E nel dire questo non penso a coloro che hanno contratto solo un matrimonio civile, né penso a coloro che divorziano e cercano di risposarsi. Questo modo di agire, tra i Cristiani, è davvero incomprensibile. È incomprensibile come un Cristiano possa osare creare una nuova famiglia senza aver chiesto la grazia al Signore prima di prendere una decisione così importante. C’è un detto: “Stai andando in pellegrinaggio? Vi imbarcate in un pellegrinaggio? Pregare due. Sposarsi? Pregate cento. Attenzione: non siamo ingenui. La vita matrimoniale è piena di sacrifici e di responsabilità: come posso essere sicuro di poterli gestire? Ricorrendo alla grazia soprannaturale che nostro Signore Gesù Cristo ha meritato per noi. Il Sacrificio di Cristo nella Santa Messa, per amore della Chiesa, è un campanello d’allarme per gli sposi che devono anch’essi dare la vita e fare sacrifici per amore l’uno dell’altro e per il bene della famiglia che hanno formato. Per queste ragioni, Gesù Cristo ha elevato il matrimonio al rango di sacramento, affinché dall’altare scaturisca una nuova vita familiare e la grazia abbondante necessaria per essa. Infatti, è solo con l’aiuto della grazia divina che la fedeltà coniugale può essere garantita fino alla morte. È vero che al momento del matrimonio i due cuori vibrano con veemenza per la forza della reciproca infatuazione, ma la fiamma della passione più ardente alla fine si spegne; eppure, la fedeltà e l’amore non devono mai spegnersi nella vita matrimoniale. Non si spegneranno se il matrimonio è costruito su fondamenta sicure, sull’amore incommensurabile dell’amore di Gesù Cristo, vero Dio e vero Uomo, che si è dato per noi fino a dare tutto il suo sangue, amore fedele fino alla fine.  Ma perché un matrimonio sia cristiano, non basta che lo sia esteriormente. Può capitare che il matrimonio sia esteriormente sfarzoso e sontuoso, con un’entrata in chiesa sfavillante, mentre viene suonata la marcia nuziale di Mendelson…, eppure gli sposi si uniscono in un matrimonio cristiano senza rendersi veramente conto di cosa significhi: un cammino di santificazione a cui Dio li chiama. Infatti, ci possono essere Cattolici che considerano il matrimonio con gli stessi criteri pagani con cui coloro che non hanno fede considerano il matrimonio civile. Non come un vincolo sacro, ma come un semplice contratto in cui “do per ricevere”. – Non come una vocazione che dia molta gloria a Dio, ma come un’unione temporanea “finché andiamo d’accordo”. Non come un impegno definitivo ad amarsi e ad essere fedeli l’uno all’altro fino alla morte, ma come un modo di vivere insieme e di godere della reciproca compagnia. Non con l’intenzione di formare una nuova famiglia in cui l’arrivo di ogni figlio sia una benedizione di Dio, ma al contrario: con l’intenzione di avere il minor numero possibile di figli, o addirittura nessuno. È la mentalità pagana di chi pensa che avere molti figli sia da idioti, e non essere consapevoli di come va il mondo? Non si chiede come Rachele: “Dammi dei figli, altrimenti muoio” (Genesi XXX, 1). – Per la Chiesa, il matrimonio cattolico è qualcosa di molto serio e sublime. a) Rappresenta niente di meno che la relazione d’amore che esiste tra Cristo e la sua Chiesa; b) È una vocazione a formare la Chiesa domestica, in cui gli sposi si santificano aiutandosi a vicenda; c) È una partecipazione all’opera creativa di Dio. Qualcosa di molto superiore alla semplice biologia e al semplice contratto naturale…. – Il Signore vuole che gli sposi partecipino alla procreazione di nuovi esseri umani, chiamati ad essere figli di Dio in questo mondo e nell’eternità. Ecco perché la scelta del marito o della moglie dovrebbe essere fatta non tanto in base alla bellezza o alla fortuna, cose di secondaria importanza, ma in base al fatto che questo giovane uomo sarà un buon marito e padre, o questa giovane donna sarà una buona moglie e madre, con cui condividere la vita e aspirare alla santità. – È vero che l’uomo non può vivere d’aria; e non è sbagliato che gli sposi valutino se hanno le condizioni economiche giuste per garantirsi minimamente il futuro? Ma l’economia non deve essere messa al primo posto, anteponendola ai valori spirituali. Al contrario, la concezione pagana del matrimonio considera i figli come un ostacolo, non come una benedizione di Dio, e quindi pone ogni possibile ostacolo alla loro nascita. Convinciamoci che il matrimonio contratto senza Cristo non garantisce una felicità duratura, né tantomeno la fedeltà fino alla morte. Non c’è da stupirsi che ci siano così tanti divorzi e rotture nella vita familiare. – Se i coniugi non conducono una vita di pietà, se non dedicano ogni giorno del tempo alla preghiera, è impossibile che Cristo sia il centro della casa. – Solo quando il Cuore di Gesù presiede al centro della casa, quando Cristo è il Re della famiglia, la fede si mantiene, c’è gioia nei cuori, felicità in mezzo alle prove? Perché Cristo deve santificare tutta la vita familiare: le faccende, le conversazioni, i divertimenti. In questo modo la casa sarà un’anticipazione del paradiso; e quando ci saranno molti cieli di questo tipo, la società inizierà a migliorare. Cristo salverà la famiglia, se la famiglia lo accetta come Re.

CAPITOLO XIII

CRISTO, RE DELLA FAMIGLIA (II)

NAZARETH

“Bisogna che ci sia scandalo”, ha detto una volta il Signore; ma quando lo scandalo diventa un fatto quotidiano, un’abitudine, che attanaglia migliaia di famiglie, è il segno terrificante della disgregazione della società. Non dobbiamo infatti dimenticare che i popoli sono costituiti da famiglie e muoiono con le famiglie. E non sarebbe così grave se vedessimo il male solo nelle famiglie non credenti, che si vantano di essere agnostiche e di non avere fede. In fondo, potremmo dire: non hanno scelta. Ma la cosa grave è che questo male colpisce anche le famiglie cristiane: giovani che si avviano al matrimonio senza amarsi, spinti solo dalla passione, coniugi che non mantengono la fedeltà reciproca e che non vogliono avere figli, o non li educano, se li hanno, come dovrebbero…. Non c’è problema più angosciante della crisi della vita familiare. Eppure il Padre ha dato “tutto” a Cristo. Ma se “tutto” è stato dato a Lui, allora anche la famiglia appartiene a Cristo. È nella famiglia che nasce la vita, sia corporea che spirituale; è nella famiglia che si sviluppa la vita morale e religiosa, così come quella immorale e degradata. Tutto dipende dalla famiglia. Dal seno della famiglia provengono gli uomini onesti, laboriosi, puliti…, e da essa provengono anche i criminali, gli increduli, gli oziosi, i corrotti…. È terribile vedere quante famiglie si disgregano! Dove trovare un rimedio? Dove? A Nazareth, nella vita della Sacra Famiglia. – Il Figlio di Dio ha vissuto nascosto in una casa per trent’anni; dei trentatré anni della sua vita mortale, ne ha trascorsi trenta nella casa dei suoi genitori. Cosa ci mostra con questo esempio? È la migliore predica agli uomini di oggi: Uomini, state a casa! Gesù Cristo ha trascorso trent’anni a Nazareth: padri, madri, giovani…, amiamo la vita familiare. Questo è ciò che ci insegnano Gesù, San Giuseppe e la Beata Vergine. – Mamme, mogli, dovete fare il possibile per rendere la casa davvero calda e accogliente, in modo che marito e figli non debbano lasciarla, tentati dal caffè, dal bar, dalle feste… Santa casetta di Nazareth, casa traboccante di gioia e felicità! – Se marito e moglie vivono davvero una vita di unione con Dio, se Cristo è il Re della famiglia, ci sarà felicità in casa. A volte il padre di famiglia ha una bella casetta, anche se modesta; figli sani e un po’ monelli; uno stipendio sufficiente, ma non abbastanza per le cose superflue…, abbastanza per condurre una vita dignitosa. Ma lui non ci fa caso e cerca la felicità altrove: divertimenti, feste con i compagni, alcol… Prova di tutto per anni, alla ricerca di una felicità che non arriva mai. Ma invano… Finché alla fine, a volte troppo tardi, lo trova nella sua stessa casa, nella sua stessa abitazione.  – Dobbiamo scoprire la felicità della vita familiare! Brilla negli occhi del bambino, nel primo balbettio delle sue labbra, quando dice: “Papà, mamma…”; quando prova il suo primo passo…, quando salta di gioia davanti alla culla…, quando unisce le mani per pregare con la mamma…, quando recita una poesia per il compleanno del padre…, quando racconta le impressioni del suo primo giorno di scuola…, della sua prima Comunione…, quando termina gli studi universitari…, quando si sposa e forma una nuova casa….  “Ma tu non conosci la vita! – Sì, ci sono piccoli momenti di felicità, ma ci sono molte più sofferenze che dobbiamo attraversare”. Sì, c’è anche la sofferenza. E a volte è colpa degli stessi coniugi – gelosia, litigi più o meno gravi, egoismo, capricci, spese superflue… – non possono essere imputati alla sfortuna, sono cose che si potevano evitare. In questi casi possiamo applicare a noi stessi la risposta data da Gesù Cristo a Pietro: Tu mi chiedi: quante volte devi perdonare al tuo fratello quando pecca contro di te? Fino a sette volte? Non vi dico sette volte, ma fino a settanta volte sette (Mt XVIII, 22).  – Nel matrimonio ci sono giorni di calma e giorni di tempesta; ma se Cristo lo ha benedetto, gli uragani più furiosi non possono distruggerlo.  Ci sono anche sofferenze che non possiamo evitare: malattie, disgrazie inaspettate, contrattempi, morte di persone care; ma se avete una fede profonda in Dio Padre riuscirete sempre a trovare la giusta consolazione e a ritrovare la pace. – E se manca la fede?  Allora è un caso senza speranza. Assistere al capezzale di un figlio morente, senza fede; vedere morire il proprio coniuge, senza fede; subire i piccoli e grandi martiri della vita, senza fede… è l’inferno in terra. Chi non ha una fede viva, manca dei fondamenti, qualcosa che non può essere sostituito da nulla. Se non avete fede, è difficile superare il vostro egoismo e amare i vostri parenti, essere comprensivi nei loro confronti… quindi è logico che non sarete felici a casa.  Per questo la Chiesa è contraria ai matrimoni misti tra due persone di religione diversa, dove non ci può essere una completa unione di spirito, o dove questa può essere raggiunta solo con difficoltà. Molti rimproveri vengono mossi alla Chiesa Cattolica per questo. La Chiesa Cattolica è accusata di essere “intollerante”, di “disprezzare coloro che appartengono ad altre religioni”, di “mancare di compassione”…. Eppure, se ci pensiamo con calma, capiremo che la Chiesa non può procedere in altro modo.  Esaminiamo con calma: perché la Chiesa è contraria ai matrimoni misti? 1° Per il bene dei coniugi stessi e 2° Per il bene dei figli. I coniugi devono vivere in armonia, condividere lo stesso spirito, avere lo stesso ideale. Il matrimonio deve rifiutare l’equazione matematica 2 = 2; il matrimonio deve dire 2 = 1; cioè, ci sono due persone, ma hanno un solo cuore, una sola volontà, un solo desiderio, un solo ideale. Come ha detto qualcuno: due cuori, ma uno che “batte all’unisono”. Questa perfetta concordia o armonia è tutt’altro che impossibile in un matrimonio misto. La perfetta armonia non può regnare se il marito è un professore universitario e la moglie è analfabeta; se la contessina sposa un contadino; se la differenza di età tra i due è molto marcata…. Tutti questi matrimoni sono pericolosi. Perché se differiscono molto per posizione sociale, per cultura, per età, è difficile che diventino una stessa anima, che abbiano un rapporto di cuori. Ma la Chiesa non mette mano a questa materia, non proibisce questi matrimoni, perché in essi l’armonia, anche se difficile, non è impossibile; e uno spirito di benevolenza e di amore cristiano può colmare le differenze. Se, invece, gli sposi sono in disaccordo sulla questione principale della religione, questo è spesso un ostacolo così grande all’unione degli spiriti che è quasi impossibile rimuovere le differenze; così la Chiesa è costretta a dichiarare che la differenza di religione è un impedimento al matrimonio. – Se guardiamo la questione in questo modo, troveremmo nella posizione della Chiesa un motivo di offesa, intolleranza, disprezzo per i fedeli di un’altra religione? Devo amare mia moglie… donandomi completamente a lei; devo amare Dio… anche Lui completamente, senza riserve. Ma se non abbiamo la stessa religione, questo è quasi impossibile. O non amerò completamente mia moglie, o non amerò la mia fede. La grande difficoltà di superare queste insidie è evidente. – La Chiesa ha ragione nel proibire i matrimoni misti e, tra le altre ragioni, lo fa per paura che i coniugi non riescano a raggiungere la perfetta armonia. Perché questa armonia è così difficile? Partiamo dal concetto di matrimonio. La parte cattolica sa, per fede, che il matrimonio è una cosa sublime e santa, uno dei Sacramenti istituiti da Nostro Signore Gesù Cristo. E la parte non cattolica? Crede, con Lutero, che il matrimonio sia una cosa meramente civile, o con Calvino, che il matrimonio sia tanto lontano dalla dignità di un sacramento quanto l’agricoltura o il mestiere del barbiere. Il Cattolico segue la parola del Signore: “Quello che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi” (Mt XIX, 6; Mc X, 9); cioè, il Cattolico confessa che il matrimonio è indissolubile. Il non cattolico, invece, ritiene che possa essere sciolto. E se lo stato d’animo o l’interesse lo impongono, lascerà il partito cattolico nei guai. Nei matrimoni misti, la parte cattolica è quella che rischia di più, perché l’altra parte può, secondo i suoi sentimenti, risposarsi, mentre la parte cattolica sa di essere legata per tutta la vita. Né si trovano d’accordo sulle questioni più importanti di come affrontare la propria vita. Marito e moglie devono aiutarsi e amarsi a vicenda. Ma come può essere possibile se c’è un abisso invalicabile tra loro sulle questioni più importanti? Il marito cattolico non vuole mangiare carne il venerdì; il non cattolico, invece, lo esige. Il Cattolico vuole pregare l’Ave Maria; il non cattolico, invece, non acconsente a tale “idolatria”. Il Cattolico vuole confessarsi; il non cattolico ride di questa “superstizione”! Passano la vita insieme, si vedono insieme per strada, nei divertimenti…; ma quando arrivano alla porta della Chiesa, è proprio in quel momento che devono separarsi: ciò che è sacro per una delle parti è materia di riso per l’altra; ciò che è una festa per l’una è un giorno di lavoro per l’altra. “No, ma non è così”, mi si obietta. L’uomo educato e affabile non disconosce mai le convinzioni religiose di un’altra persona. Possono vivere bene ed essere felici, senza criticare la religione dell’altro…”.  Non sto dicendo di no. In effetti, ci sono casi di coniugi educati e affabili che evitano delicatamente nelle loro parole qualsiasi allusione alla differenza che li separa. Ma una tale situazione può essere considerata ideale? Quando, per amore della pace, si devono mettere a tacere i sentimenti più intimi, quando si deve rinunciare a condividere le proprie convinzioni più profonde per il resto della vita, è possibile cantare le lodi? Inoltre, se i coniugi non possono esprimere le loro convinzioni religiose, se devono continuamente trattenersi negli esercizi di pietà per paura di offendere l’altro, quale sarà il risultato? Questo accade abbastanza spesso nei matrimoni misti: entrambe le parti diventano fredde nei confronti della propria religione e finiscono per non essere né calde né fredde, né carne né pesce, né cattoliche né protestanti, ma due persone che hanno perso la certezza della propria fede.  – La Chiesa ha un’altra ragione per condannare i matrimoni misti, anche nei casi in cui si promette che tutti i figli saranno Cattolici. Qual è quest’altra ragione? L’educazione dei bambini. Infatti, se i coniugi stessi soffrono le conseguenze di non avere le stesse convinzioni religiose, i figli nati da matrimoni misti le sentiranno molto di più. Sottolineo: anche se tutti i bambini devono essere Cattolici!  Supponiamo il primo caso: il padre li cresce nella fede cattolica. Quanto più i bambini sono profondamente religiosi, tanto più rapidamente la triste domanda salirà sulle loro labbra quando, ad esempio, la madre li saluterà alla porta della Chiesa: “Mamma, perché non entri?”  – E ancora più frequente è quest’altro caso. Il bambino riceve contemporaneamente due diverse educazioni: una cattolica, l’altra non cattolica, opposte tra loro. Qual è la conseguenza? L’educazione cattolica e quella non cattolica, entrambe tiepide, vengono mescolate insieme… e ne risulta una totale indifferenza religiosa. Non credi, lettore? Una coppia di anziani coniugi, davvero molto simpatici, viveva in una piccola casa con un giardino…. Un giorno di primavera la moglie pensò: “Il mio vecchio ama molto i fagioli; gli farò una sorpresa, seminerò fagioli in tutto il giardino… Come ne sarà felice!” E così fece. Il marito, invece, pensava: “Ecco l’orto senza alcun raccolto…; seminerò i piselli…, è il piatto preferito della mia signora…”. E ha anche messo in pratica il suo piano. Dopo qualche giorno, la donna andò nell’orto e guardò con curiosità se i fagioli stavano spuntando. “Qualcosa di verde spunta qui…; vediamo, vediamo…; sono fagioli?…; deve essere un’erbaccia…”, e tirò su tutto con cura. Non passò molto tempo prima che anche l’uomo si intrufolasse nell’orto per vedere se i piselli avevano già spuntato la testa. “Qui c’è qualcosa, ma non sono piselli…”, e anche lui tirò su la pianta che gli sembrava un’erbaccia. E il buon marito e la buona moglie possono aspettare… e aspettano anche oggi… il raccolto! – È necessario applicare la stessa storia ai matrimoni misti e difendere il criterio della Chiesa? Anche i protestanti seri lo capiscono e lo accettano! – Quando il caso è grave, per evitare mali maggiori, la Chiesa concede la dispensa dall’impedimento, permette i matrimoni misti; e poi impone la condizione che tutti i figli siano Cattolici. Chi non vuole accettare questa condizione, o fare una promessa formale di adempierla, non può sposarsi lecitamente; e se deve ricevere la benedizione nuziale in una chiesa non cattolica, la Chiesa lo scomunica e lo esclude dal numero dei suoi figli. “Questo è troppo”, risponderanno alcuni, “è una crudeltà”. Non lo è. Infatti, se credo che la Religione Cattolica sia la vera religione, non posso cedere nemmeno uno dei miei figli a un’altra religione. Nella storia di Salomone, la falsa madre avrebbe dato metà del figlio all’altra; non così la vera madre. E tale è la Chiesa. “Ma la scomunica non è una crudeltà? Non posso confessarmi, né posso essere sepolto secondo la mia religione!”. Ah, ma chi ha iniziato, non ha abbandonato la sua religione, non è entrato in un tempio non cattolico, non ha rinunciato ai suoi figli e ai figli dei suoi figli? Non hai forse consegnato i tuoi figli e nipoti e tutti i loro discendenti ad un’altra religione? Non ti sembra crudele la punizione della Chiesa per un atto così grave? Non puoi confessarti? E non ti fa male? E non ti fa male aver consegnato tuo figlio a un’altra religione, in cui né lui, né i suoi figli, né i suoi nipoti, né nessuno dei suoi discendenti remoti può confessarsi? Che il Sacerdote cattolico non ti seppellisca? E ti sembra troppo? Non vuole seppellire nemmeno vostro figlio… e la colpa è vostra.  – Non è per crudeltà o per odio verso le altre religioni che la Chiesa dà questa nota di fermezza e severità; è perché il permesso senza condizioni sarebbe una resa inammissibile, e anche con i precedenti e dovuti requisiti, la Chiesa lo concede malvolentieri, perché sa, per triste esperienza, qual sia l’esito di solito. – La Chiesa ha già perso migliaia di bambini a causa dei matrimoni misti, ed un numero ancora maggiore di anime si è raffreddato; per questo motivo sta in guardia ed evita per quanto possibile la causa di tanti mali. – “Ma perché, se tutti i bambini sono Cattolici, quanto è degno di pietà il bambino la cui madre non è cattolica! Non voglio sminuirla, Dio non voglia. Se crede profondamente e rispetta la sua religione, la rispetto; può essere una madre ideale sotto molti aspetti; ma c’è un punto su cui non possa esserlo: nella preghiera; questa madre non può pregare con il suo bambino.

* * *

Nelle grandi città, le piccole luci delle case sante brillano di notte. E brillano anche le insegne luminose ed allettanti nelle strade, nei caffè, nei bar, nei cinema, nei locali notturni. E sapete quale potrebbe essere la rovina dell’umanità moderna? Che le piccole luci della casa siano sconfitte dalle esche che brillano nella strada e che seducono l’uomo a lasciare la casa. – Salviamo la vita familiare, invitiamo il Redentore, Cristo, e allora avremo trovato l’unica medicina efficace per il nostro male. Quale medicina? Questa: rendere la casa un paradiso. I nostri primi genitori avevano il paradiso come casa; gli sposi di oggi che amano Cristo faranno della loro casa un paradiso. E il giorno in cui la casa sarà un paradiso, guarirà il nostro mondo malato.

VIVA CRISTO RE (12)

LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (7)

LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (7)

LA GRAN BESTIA SVELATA AI GIOVANI

dal Padre F. MARTINENGO (Prete delle Missioni

SESTA EDIZIONE – TORINO I88O

Tip. E Libr. SALESIANA

XIV.

CONTINUA A MOSTRARSI LA FEROCIA DELL’ ORSO.

Voi conoscete senza dubbio la storia del Battista: uomo di tale innocenza e santità di vita, che gli stessi Giudei lo pigliavano in iscambio dell’aspettato Messia, di tal zelo e coraggio, che in faccia Erode ripetea franco il suo non licet, come in faccia all’ultimo dei soldati: tanto che esso Erode (per quanto malvagio) ne fa grande stima, e lo temeva e molte cose facea secondo i suoi consigli. Vedete, giovani miei, l’uomo franco e sicuro come sa farsi rispettare anche dai tristi! Ma Erode era uno dei molti, un debole, vo’ dire, che lasciavasi dominare all’umano rispetto. Fra le danze e l’ebbrezza d’un convito giura a sua figlia di farle qual grazia fosse per dimandargli, e la figlia, istigata dalla madre, chiede il capo del Battista. Il re all’audace dimanda si turba, si contrista. Giovanni è un santo (pensa); come mai permetterò io che si versi il suo sangue? — Ma la figlia insiste, i convitati secondano, applaudono … Il re ha giurato (dicono), è obbligato a mantenere: battono le mani alle ripetute istanze d’Erodiade. Ed ecco Erode soffocare i rimorsi, e per un vile rispetto dei suoi convitati, ce l’ attesta chiaro il Vangelo, propter simul discumbentes, consentire alla scellerata dimanda. Di lì a poco il capo insanguinato del Battista era a in giro in un vassoio fra i canti e le danze… Quel sacro labbro è chiuso finalmente; ma Erode il guarda (dice s. Ambrogio) e ancor ne ha paura. Oh se egli avesse avuto un po’ di quel coraggio, che tanto ammirava nel Battista! – Né solo il Precursore di Cristo, ma Cristo stesso, può dirsi, fu ucciso dall’umano rispetto. L’avarizia è vero, il tradì, la rabbia, la gelosia, l’odio, l’invidia lo trascinarono ai tribunali, lo coprirono di piaghe, lo colmarono d’obbrobrii e di scherni, ma l’umano rispetto fece ancora di più, l’umano rispetto lo condannò alla morte, fu cagione del più grande delitto che mai siasi commesso, che mai si possa commettere sulla terra: uccidere un Dio! un Dio venuto per salvarci!.. Ponete mente a ciò che ne racconta s. Giovanni nel suo Vangelo. Gesù vien tratto al tribunale di Pilato: i sacerdoti, e i principi della sinagoga col popolazzo da loro sedotto, fan ressa intorno al Pretorio, vogliono Cristo condannato alla morte. Ma Pilato sa ch’Egli è innocente, sa che per invidia l’han tradito nelle sue mani, ed è risoluto di liberarlo. Vediamo come si destreggia. — Di che accusate quest’uomo? — dimanda ai Giudei; ed essi: — se non fosse un malfattore non te l’avremmo dato nelle mani. — Che bella ragione! (dovea risponder loro Pilato) e pretendete che sulla vostra parola condanni un uomo alla morte? Suvvia! quale è il suo delitto? Fuori le prove, fuori i testimoni Nulla di ciò; ma come s’accorge che a ogni modo vogliono morto Gesù, cerca sbrigarsene, abbandonando Gesù alla lor discrezione. — Se è un malfattore, pigliatevelo voi e giudicatelo secondo la vostra legge. — Ma i Giudei che di tal morte volevano gettar tutta l’odiosità sopra il Preside Romano: — a noi non è lecito sentenziare alcuno di morte; — rispondono. – Il Preside allora entra nel pretorio chiama davanti a sé il reo, e come avea sentito certe voci che l’accusavano di farsi re, l’interroga: Sei tu proprio il re de’ Giudei? E Cristo non nega, anzi il conferma, dichiarandogli la natura del suo regno, che non ha nulla di simile co’ regni di questo mondo, come quello, che essendo spirituale, non mira ad altro che alla salute dell’anime e al trionfo della verità sulla terra. Pilato ch’era uno scettico bell’e buono: Quid est veritas? gli dimanda crollando le spalle; e senz’aspettare altra risposta, pianta li Gesù, esce sul loggiato del pretorio e dice a’ Giudei: ——. Io non trovo in lui alcun delitto. — Ma siccome i Giudei insistono e vogliono ad ogni modo la sua condanna. Pilato immagina un suo espediente, una di quelle che si chiamano mezze misure, che tanto piacciono ai devoti dell’umano rispetto. I Giudei per la Pasqua avevano il privilegio di liberare un lor prigioniero qual volessero. Ora, trovandosi appunto in prigione un tal Barabba macchiato di sedizioni, di furti e d’omicidi: — E uomo così sozzo e scellerato costui (pensò Pilato), che Gesù vi guadagnerà immensamente al paragone; e volto ai Giudei: — Chi volete che io vi rilasci? Barabba o Gesù? — Ma il ripiego gli andò fallito; ché i sacerdoti, i principi, e con essi tutto il popolo (udite plebiscito!) gridarono a’ una voce: — Non hunc, sed Barabbam! Ma e che farò di Gesù? – Alla croce! alla croce! viva Barabba, morte a Gesù! — A Pilato cadde il cuore. Ei conosceva (già l’abbiam detto) l’innocenza di Gesù, e non avrebbe voluto condannarlo per tutto l’oro del mondo. Era  un onest’uomo Pilato, un buon impiegato; chi ne dubita?… Ma impiegato (avverte Tommaseo) è parola che ti dice implicamenti ed impicci. E quali impicci ? Da una parte ti bisogna contentare il padron che ti paga, pensar come lui, parlar come lui…. insomma baciar basso. Dall’altra, palpare, adulare il popolo che sta sotto, guardarsi dall’irritarlo, dal contradirlo… Cosicché, tra chi sta sopra e chi sta sotto, il povero impiegato si trova come tra due morse di una tanaglia… Giovani miei, non vi fa gola la sua sorte? Pensateci un poco per quando dovrete scegliervi una carriera; io torno al mio Governatore della Giudea. Il quale, sentendo ingrossar la burrasca, e fallito il primo ripiego, ne trovò subito un altro, non solo inutile questa volta, ma crudele. — Si flagelli Gesù; così  data una satisfazione all’odio e alla rabbia popolare, potrò metterlo in libertà. — Gesù dunque è orribilmente flagellato, poi abbandonato alle mani d’una vile e barbara soldataglia, che l’incoronano di spine, lo mascherano da re, lo caricano di percosse, il satollano di scherni… E Pilato? Pilato, quando il vede sì malconcio… da una parte credo in cuore ne fremesse, ma dall’altra si consola un poco e dice: – Ora i suoi nemici saranno contenti! — E pigliato per un braccio Gesù, lo trae alla loggia, e lo presenta al popolo affollato. Povero Gesù! era così malconcio e sfigurato che quasi più non si conosceva. Di che Pilato nel presentarlo: — ecco l’uomo che m’avete condotto (disse loro) Ecce homo! Quasi dir volesse: guardate se vi par più quello! E se alcuna colpa è in lui, non l’ho castigato d’avanzo? Or bene, sappiate ch’io ve l’ho condotto qui per ripetervi, ch’io non trovo in lui di che condannarlo alla morte. — Ma a queste parole i pontefici, i ministri, tutto il popolo di nuovo con più alte grida: — Alla croce! alla croce! — E Pilato: — Ma io non me la sento di condannare un innocente. Se assolutamente morto il volete, io non entro, pigliatevelo, condannatelo voi. — E il popolo più forte ancora: — alla croce! alla croce! tu devi condannarlo alla croce, perché ei s’è fatto figlio di Dio. — A queste grida ripetute Pilato, (dice il Vangelo) magis timuit. Gli venne la tremarella, la solita tremarella di chi si fa schiavo dell’umano rispetto. Pure la giustizia, la dignità, la coscienza… Ah la coscienza gridava ancor più alto del popolo e gridava a favor di Gesù. Pilato non ha pace, chiama di nuovo Gesù così piagato, insanguinato, col volto pallido, gli occhi spenti… Avrebbe dovuto gettarsi a’ suoi piedi, chiedergli perdono d’averlo così trattato dopo averlo più volte e riconosciuto e dichiarato innocente … Invece si mette sul fiscaleggiare. Pare che sul punto di darsi vinto all’umano rispetto sperasse con ulteriori interrogatori trovar tanta colpa in Gesù da poter dire a se stesso: – Ora posso condannarlo in buona coscienza. – Perciò l’interroga: – Unde es tu? – Donde ci sei venuto?.. Pilato più non meritava risposta, e Gesù tacque.. Questo silenzio punse la vanità e la boria dell’alto impiegato: — Ah sì neh? non ti degni rispondermi? Non sai tu forse che sta in man mia il crocifiggerti o il metterti in libertà? — Qui Gesù buono volle fargli ancora una grazia, dargli un’ultima lezione : — Non avresti potere alcuno sopra di me se non ti fosse dato dal cielo. — Vedete! Lo richiama a serii pensieri, come volesse dirgli: — Bada, o Pilato: tu stai per cedere a coloro che mi gridano la morte. Ma sappi: che lassù c’è Uno da cui tieni il comando, Uno che, se tu condanni me nel tempo, condannerà te nella eternità: perocché, grande peccato sarebbe il tuo, benché maggiore sia quello di chi mi ti ha dato nelle mani. — Divina minaccia, che rispondeva agli intimi pensieri di Pilato, il quale in procinto di condannare Gesù, già cercava farsi una falsa coscienza, rovesciando ogni colpa, come fece più tardi colla sciocca mostra di lavarsi le mani, sui nemici di Gesù. Pilato ancora una volta ne è scosso; l’accento di quest’uomo misterioso, che in mezzo agli strazi del suo corpo par non soffra, par non tema che per lui, e gli parla con tanta pace e maestà, gli è un lampo di luce… ei nicchia, ei dubita ancora. Ma i sacerdoti scaltri, che ben conoscevano il lato debole del Presidente: — Gesù vuol farsi re: (gli gridano); se tu il salvi, ti fai nemico di Cesare; e allora?… addio la sua grazia, addio l’impiego. — Pilato più non regge, Pilato s’arrende; siede pro tribunali, fa per scrivere… ma la mano gli trema, è pallido come un cadave, ha gli occhi stravolti … Di nuovo si alza, di nuovo presenta Gesù ai Giudei: — Ecco, dicendo loro, il vostro re. — Ma essi urlano da capo: — Tolle, tolle, crucifige eum. — E Pilato: —Crocifiggerò io il vostro re? — Chere? (rispondono gli invasati) non abbiamoaltro re che Cesare, noi. —A tal parole Pilato si dà vinto. Coidue spauracchi davanti alla mente,del popolo da una parte e di Cesaredall’altra, e pur maledicendoin cuor suo e Cesare e il popolo adun tempo, preme dentro un istantel’angoscia e i rimorsi, di nuovosiede e scrive con rapidità febbrilel’iniqua sentenza: — Gesù sia crocifisso!. Orrore! Un Dio condannatoa morte, per paura dell’uomo!

LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (8)