MULIER, ECCE FILIUS TUUS

(GIOACCHINO VENTURA: LA MADRE DI DIO, ovvero SPIEGAZIONEDEL MISTERO DELLA SS. VERGINE A PIE’ DELLA CROCE; GENOVA, Presso D. G. ROSSI 1852)

PARTE PRIMA, CAPO X.

Passo importante di Origene sulle parole –

DONNA, ECCO IL TUO FIGLIO

I veri fedeli formano un solo corpo con Gesù Cristo; e questa unione è cominciata sul Calvario. Come Gesù Cristo è Figlio di Maria, cosi i fedeli a lui uniti sono divenuti sul Calvario in Lui e con Lui anche di Maria Figliuoli. I Giudei e gli eretici non intendono questo mistero, e quanto sono perciò infelici. Vantaggio di noi cattolici, che, essendo nella vera Chiesa, soli abbiamo Maria per nostra vera Madre.

È verità fondamentale della cattolica fede che il Figliuolo di Dio per tutti si è incarnato, per tutti ha patito e data la vita, per tutti ha sodisfatto, ha meritato a tutti la riconciliazione e il perdono, a tutti ha acquistalo il diritto ai suoi beni, ai suoi privilegi, alla sua amicizia, alla sua fratellanza, come di tutti avea preso ed espiato i peccati; e che nessuno è stato escluso dalla generosità della sua offerta, né dal merito del suo sacrificio: Pro omnibus mortuus est Christus (II Cor. V.). Ciò nulla ostante però, in fatto, siccome non tutti sono Cristiani, così non tutti sono figliuoli di Dio, né per conseguenza sono tutti veri discepoli, veri amici, veri fratelli di Gesù Cristo: ma quelli solamente son tali che, incorporati con Lui pel Battesimo, rimangono a Luì uniti pei legami della fede, nelle sue dottrine e della fedeltà ai suoi comandamenti. – Al medesimo modo, sebbene Maria per la sua cooperazione alla redenzione, alla nascita spirituale di tutti, come vedremo, sia divenuta di tutti la madre, come Gesù Cristo è il redentore di tutti: pure in fatto essa non è realmente madre se non di coloro di cui Iddio è il vero padre, e Gesù Cristo il vero maestro e fratello; cioè a dire dei veri Cattolici, di quelli che con Gesù Cristo compongono il corpo di cui Egli è il capo, cioè la Chiesa. – Questa verità appunto, tanto preziosa quanto consolante per noi che abbiamo la sorte di appartenere a questa Chiesa, Gesù Cristo ha voluto rammentarci coll’avere detto a Maria, additando Giovanni: Ecco IL VOSTRO FIGLIO, Ecce filius tuus, perché, come abbiamo di sopra osservato, è stato come se avesse dichiarato che in fatto solo coloro, sarebbero i veri figli di Maria ai quali converrebbero i caratteri distintivi di S. Giovanni, che sono quelli dì essere il discepolo fedele di Gesù e l’oggetto del suo tenero amore: Discipulus quem, diligebat Jesus. In diversi luoghi del capo precedente e del presente ancora si è di già accennata questa dottrina, che non si può partecipare a questa porzione dell’eredità di Gesù Cristo, di avere cioè, Maria per Madre, se non entrando ad abitare nei tabernacoli di Sem, ossia nella vera Chiesa: ma qui è il luogo di trattarla con una certa estensione, procurando di penetrare, per quanto ci è possibile, ancora più innanzi nello spirito delle parole di Gesù Cristo. Origene, commentando queste stesse parole del Salvatore crocifisso: Donna, ecco il tuo figlio, fa una osservazione assai bella, che sparge grandissimo lume sulla verità che andiamo spiegando. Nessuno, dice egli, può avere la piena intelligenza del Vangelo di S. Giovanni, né entrare nel suo senso verace, se non ha avuto, come quest’Apostolo, il privilegio di riposare sul petto stesso di Gesù Cristo, e se da Gesù Cristo medesimo non ha ricevuto Maria per madre. – Tutti coloro che hanno sentimenti degni di lei sono pienamente persuasi ch’essa non ha avuto altro figlio fuori di Gesù Cristo, e per conseguenza che, quando Gesù Cristo disse alla sua Madre, in parlando di S. Giovanni: Ecco il vostro figlio; e non già: Eccovi in Giovanni un altro figlio, fu lo stesso che dire: Questi è Gesù, di cui voi siete la Madre: imperciocché chiunque è perfetto non vive altrimenti esso più in sé stesso, ma è Gesù Cristo che vive in lui: Evangelii a Joanne traditi sensum percipere nemo potest, itisi qui supra pectus Jesu recubuerit, vel acceperit a Jesu Mariam, quæ ipsius etiam mater fiat. … Si nullus est Mariæ filius, judicio eorum qui de ipsa bene senserunt. præterquam Jesum, dixitque Jesus Matri: Ecce Filius tuus; et non: Ecce etiam hic est filius tuus; perinde est ac si dixisset: Ecce hic est Jesus quem genuisti; etenim quisque perfectus est, non amplius vivit ipse, sed in ipso vivit Christus (Orig. in Joan.). – Queste parole sono profonde: ma esse sono di una ammirabile esattezza teologica: giacché sono appoggiate ad una verità che è il fondamento della vera fede, e che S. Paolo non ha cessato di spiegare, d’inculcare, di ripetere nelle sublimi sue lettere, cioè a dire che tutti i veri fedeli, tutte le membra della vera Chiesa, non formano con Gesù Cristo che una medesima cosa, un medesimo tutto, un medesimo corpo, un solo e medesimo figliuolo. Gesù Cristo stesso aveva di già manifestata questa grande e gioconda dottrina allora quando nella tenera preghiera diresse al suo Padre per la sua Chiesa pochi momenti prima di andare a morire per essa, gli disse: lo ho comunicato a questi miei discepoli la mia chiarezza, affinché non siano, non compongano che una stessa e medesima cosa con me, come Io e Voi, mio Padre, non siamo che una cosa medesima: Ego claritatem quam dedisti mihi dedit eis, ut sint unum, sicut ego et tu unum sumus (Joan. XVII). S. Paolo, per ispiegare questa misteriosa unità, ricorre alla similitudine del corpo umano. E siccome, dice egli, in un corpo vi sono membra fra loro diverse, come diversi sono gli  usi e i fini cui sono destinati; e, ciò non ostante, membra unite al capo non formano che un sol corpo: così tutti noi con Gesù Cristo non formiamo che un corpo solo: Sicut in uno corpore multa membra habemus, omnia autem membra non eundem actum habent: illa unum corpus sumus in Christo (Rm. XII). Altrove poi, ritornando l’Apostolo sulla stessa similitudine, spiega ancora il modo in cui si opera questa misteriosa unione, cioè pel Battesimo, pel quale entriamo nella Chiesa, siamo incorporati in Gesù Cristo e diveniamo una stessa cosa con Lui, poiché dice: Uno è il corpo, sebbene sia di molte membra composto: giacché queste membra insieme riunite non formano che uno stesso e medesimo corpo. Or così appunto accade di Gesù Cristo. Imperciocché, essendo stati noi battezzati pel medesimo spirito, formiamo con Gesù Cristo un corpo solo, cioè la Chiesa. Voi dunque, o Cristiani, siete le vere membra e il corpo di cui Gesù Cristo è il capo: Sicut corpus unum est et membra habet multa, omnia autem membra corporis, cum sint multa, unum tamen corpus sunt, ita et Christus. Etenim in uno spiritu omnes nos in unum corpus baptizati sumus…. Vos autem eslis corpus Christi et membra de membro (I Cor. XII). Or siccome il capo e le membra in un medesimo corpo, sebbene abbiano forma, uso e destini diversi, pure sono della sostanza medesima: così noi Cristiani, subito che pel Battesimo siamo incorporati a Cristo. diventiamo partecipi della stessa natura di Lui, divinæ consortes naturæ, come afferma S. Pietro: ed è in tal modo che tutti i suoi titoli, le sue ragioni, i suoi privilegi, le sue grazie ci divengon comuni: giacché nel corpo umano al buono stato, alla condizione de! capo partecipano ancora tutte le membra. Perciò come Gesù Cristo è Figlio di Dio, oggetto della sua tenerezza, ed erede della sua gloria: noi ancora, subito che siamo a Gesù Cristo incorporati e formiamo una cosa istessa con Lui, diventiamo per questo, solo, in Gesù Cristo e con Gesù Cristo, figli di Dio. oggetti delle tenerezze di Dio, eredi della gloria di Dio. Sicché come separati da Gesù Cristo non abbiamo nulla, non meritiamo nulla, non siamo nulla: così, uniti a Lui, in Lui  e con Lui abbiamo tutto, meritiamo tutto e siamo tutto quello che è esso stesso: In quo omnia. – Or siccome Gesù Cristo è ancora vero figlio di Maria; così, nell’incorporarci a Lui per mezzo dei sacramenti, nel divenire una stessa cosa con Lui, come appunto l’innesto, secondo S. Paolo, diviene una cosa medesima coll’albero in cui è messo: diveniamo altresì figli di Maria a quel medesimo modo e per quella ragione medesima onde dopo questa unione diveniamo figli di Dio, perché Gesù Cristo di Dio è Figliuolo: Ma questa nostra figliolanza da Dio e da Maria siccome è l’effetto della nostra unione con Gesù Cristo, e non l’otteniamo che in Lui e con Lui: così non formiamo con Lui ed in Lui che un figlio solo di Dio, un figlio solo di Maria, perché in Lui e con Lui formiamo un solo tutto, un solo composto mistico, un solo corpo. Questa unione nostra poi con Gesù Cristo come a nostro capo è vero che si verifica per mezzo dei sacramenti, nei quali cisi applica il merito del suo sangue e il frutto del suo sacrificio: ma siccome questo sangue, dal quale noi rinasciamo ad una novella vita e diventiamo membri di un corpo novello, si sparge sul Calvario, e questo sacrificio si compie sulla croce; così sulla croce e sul Calvario si piantano le basi, si fissano i titoli, si aprono le vie e si apprestano i mezzi di questa nostra misteriosa unione. Anzi essa in Giovanni, che tutti ci rappresenta, in Giovanni che è veramente bagnato dal sangue che piove a rivi da tutto, il corpo di Gesù Cristo, ed è il primo con Maria a sperimentare gli effetti del sacrificio di cui era testimonio, in Giovanni, dico, questa nostra unione comincia effettivamente a compiersi sul Calvario. – Con queste spiegazioni s’intende bene il bel passo di Origene ne testé riportato. In qualità di uomini siamo tutti figli di Maria perché, come vedremo a suo luogo, essa ha cooperato col suo amore e col suo dolore alla nostra nascita spirituale, a quel modo onde Gesù è padre e redentore di tutti perché tutti ci ha redenti e rigenerati col suo sangue. Ma siamo figli di dolore, figli di adozione, figli di grazia, figli diversi, figli distinti da Gesù Cristo. Ma in qualità di Cristiani, di veri discepoli di Gesù Cristo, a Lui uniti, incorporati con Lui e divenuti una stessa cosa con Lui, siamo figli di Maria, come lo è Gesù Cristo: non siamo più da esso distinti; formiamo con Lui come uno stesso corpo, così uno stesso figliuolo. Perciò sebbene Maria abbia a questo titolo tanti figliuoli quanti sono i veri fedeli, pure è vero il dire che Ella non ha che un figlio solo che è Gesù Cristo; poiché Gesù che vive in noi quando gli siamo veramente uniti: e tutti i fedeli non formano con Lui che un solo e medesimo Gesù Cristo, di cui Maria è vera Madre, e perciò è ancora vera Madre nostra. – Ecco dunque, secondo Origene, perché Gesù Cristo nell’additare Giovanni a Maria non le dice: Eccovi in Giovanni un altro figliuolo, un figliuolo diverso, che Io vi lascio in mia vece per supplire alla mia mancanza; ma le dice semplicemente: Ecco, o donna, il vostro figlio, Mulier, ecce filius tuus, poiché fu lo stesso che dirle, Donna Voinon avete che un solo figliuolo, e questi son Io. Ma siccome, pel mistero che al presente Io vado operando, Giovanni a me s’incorpora, a me si unisce e forma una stessa cosa con me, ed è in me, come Io viverò in lui; così, eccovi, o donna, in Giovanni, che sta a piedi della croce il vostro figlio stesso che sta in croce, il vostro Gesù Cristo che avete generato e che si trova tutto nel discepolo, come il capo nelle membra cui è unito. Mirate in lui gli effetti della mia redenzione, le tracce del mio sangue, la comunicazione ineffabile delle mie grazie, la partecipazione persino della stessa natura divina. Nulla gli manca per essere un altro me, una stessa cosa con me; e come Io vi sono Figliuolo, così esso ancora e tutti coloro che avranno i medesimi titoli e si troveranno nelle stesse condizioni di Giovanni, con me ed in me sin da questo momento divengono l’unico vostro figliuolo: Dixit Matri: Ecce filius tuus et non: Ecce etiam hic est filius, perinde ac si dixisset: Ecce hic est Jesus quem genuìsti; etenim quìsque perfectus est, non amplius vivìt ipse, sed in ipso vivit Christus. – Per intendere anche meglio questa sublime dottrina, si osservi che il Padre eterno genera il suo Verbo dalla sua sola sostanza. Questo Verbo di Dio adunque, in quanto generato Verbo nell’eternità è solo Figlio di Dio; ed a questa generazione eterna Maria non ha alcuna parte. Ma questo Verbo medesimo, questa Persona divina, generato di già ab eterno e nato da Dio solo e Dio esso stesso, ha preso e si è formato un corpo umano dal sangue purissimo di Maria; ed a questo corpo si è unito con una unione ipostatica o personale, intima, sostanziale, indissolubile, che, senza confondere le due sostanze, forma di Dio e dell’uomo in Gesù Cristo una sola persona, Non confusione substuntiæ, sed unitate personæ di modo che in Gesù Cristo Iddio è uomo, e l’uomo è veramente Dio. Ora poiché Maria ha generato, ha partorito questo misterioso composto indissolubile, nel quale tutto ciò che si afferma dell’uomo si può in tutto il rigore teologico affermare ancora di Dio; così si dice e si dee dire che Maria ha generato il Verbo di Dio, ha partorito Iddio, ha allevato Iddio, ed è vera genitrice e vera Madre di Dio. Come dunque Maria, sebbene non abbia fatto che somministrare del proprio sangue l’umanità che questo Dio ha assunta ed ha unita in modo sì intimo a se stesso; pure, perché a questa umanità si è unito sostanzialmente Dio, Maria si chiama ed è vera madre di Dio: allo stesso modo nel caso nostro (sempre colla proporzione e coi riserbi dovuti) sebbene Maria non abbia generato naturalmente se non Gesù Cristo, pure, perché questo Gesù Cristo ha unito intimamente a se stesso anche noi, sino a formare di tutti noi con Lui un solo e medesimo corpo di cui è capo, cosi Maria, per questa unione sì intima dell’unico suo Figlio naturale con noi, diviene in Gesù Cristo ancora nostra Madre e noi suoi figliuoli. Ma come il Dio e l’uomo, perché uniti in Gesù Cristo inuna sola Persona per mezzo all’unione ipostatica, non sono due Gesù Cristi e due figli di Maria, ma un solo Gesù Cristo ed un solo Figliuolo; così Gesù Cristo e i veri Cristiani, perché uniti da Lui in un medesimo corpo, non sono che un solo e medesimo figliuolo di Maria;e siccome questa unione nostra con Gesù Cristo si ferma sul Calvario; così sul Calvario siamo divenuti anche noi in Gesù Cristo non già i figli, ma il figlio di Maria; e Gesù Cristo proclama, manifesta questo ineffabile mistero sul Calvario, allorché dice a Maria: Eccovi, o donna, il vostro figlio.– S. Paolo insisteva su questa verità allora quando diceva: ricordatevi che le promesse sse sono state fatte ad Abramo ed al suo figlio; e che non disse già Iddio ai tuoi figli come se si fosse trattato di molti, ma, come se si trattasse di un solo, al tuo figlio, il quale non è che Gesù Cristo: Abrahæ factas sunt promissiones et semini ejus. Et non dicit: Et seminibus, quasi in multis; sed, quasi in uno: Et semini tuo  quod est Christus (Galat. V). – Sul Calvario adunque Dio si mostra il tenero padre di tutti gli uomini, giacché sacrifica ed abbandona alla morte naturale il suo Figlio, per far nascere e crearsi gli .uomini in figli adottivi. Gesù Cristo è ancora ivi di tutti gli uomini il fratello, il redentore, la vittima, perché non solo ha comune con tutti gli uomini l’umana natura ed è come essi vero figlio di Adamo: ma perché per tutti soddisfa, per tutti prega, a tutti stende le sue braccia e tutti chiama a partecipare, del frutto del sangue e dell’eredità del suo amore. Ma questa paternità di Dio, questa fratellanza di Gesù Cristo rispetto a tutti gli uomini è una paternità ed una fratellanza in senso larghissimo, una paternità una fratellanza di compassione, di misericordia e che direbbesi quasi di potenza o di disposizione. In atto poi, in realtà i veri figli di Dio, i veri fratelli di Gesù Cristo, coloro che in fatti costituiscono la sua vera famiglia, la sua casa, il suo corpo, sono solamente i veri Cristiani che sono incorporati a Lui, e che, fin tanto che durano in questo stato, partecipano a tutto quello che Gesù Cristo ha e che Gesù Cristo è in se stesso. – Ora al medesimo modo. Maria per la sua cooperazione all’opera della nostra salute, alla nostra nascita novella, è madre di tutti gli uomini, giacché per tutti gli uomini offri sul Calvario alla morte quel figlio che per tutti avea partorito. Ma questa sua maternità rispetto a tutti gli uomini è pure di disposizione, di potenza, di compassione e di amore. In atto però i suoi veri figli sono quelli soli che in atto sono i veri figli di Dio e fratelli di Gesù Cristo, e formano una cosa sola con Lui. – Non già che questa tenera Madre non s’interessi alla sorte di quegli uomini che sono fuori del corpo della Chiesa, come sono gli infedeli, gli eretici, o di quelli che sono fuori dello spirito della medesima Chiesa, come sono i peccatori: giacché, come Gesù Cristo estende anche a costoro la sua misericordia, chiamandoli al lume della fede o alla vita della grazia, e intercedendo di continuo pei peccatori presso del Padre, come lo affermano S. Giovanni e S. Paolo, e così si mostra di tutti il fratello; così Maria coopera colla sua intercessione, colla sua preghiera alla propagazione della fede, alla conversione dei peccatori; e di essi essendo oltremodo sollecita, mostra per questi infelici ancora viscere e tenerezza di madre, ed è loro madre altresì per compatirli, per aiutarli, per attirarli al bene, per consolarli; anzi di ciò ancora ha ricevuto da Gesù Cristo un incarico particolare. Ciò  nulla ostante però, i suoi figli di giustizia, i suoi figli veraci, che hanno al suo amore un diritto eguale al dritto che vi ha Gesù Cristo, sono coloro in cui, secondo l’espressione di S. Paolo, vive Gesù Cristo medesimo, Vivit vero in me Christus (Galat. II); sono quelli in cui e con cui Gesù Cristo è una stessa e medesima cosa, e perciò in Lui e con Lui, e rispetto a Dio e rispetto a Maria uno stesso e medesimo figliuolo; siamo noi veri Cattolici e veri figli della Chiesa; è la Chiesa stessa che forma un corpo con Gesù Cristo e cogli uomini, di cui Maria è Madre; e questi sono, questo è il figlio vero, il figlio reale, effettivo che in particolar modo le addita Gesù Cristo e le lascia nel suo Giovanni: Ecce filius tuus.

12 SETTEMBRE (2020): SS. NOME DI MARIA

(A. NICOLAS: LA VERGINE MARIA ed il disegno divino;  Milano C. Turati tip. Ed. 1857)

Dall’Introduzione:

… Ma il mistero della maternità divina si conoscerebbe solo materialmente e molto impropriamente se non si vedesse in questa maternità santa altro che una dignità oziosa ed una funzione accidentale, e se non si onorasse che pel fatto solo di aver portato, di aver dato una volta al mondo il frutto di vita. – Anche in questo caso si dovrebbe onorare, come si onora il legno insensibile della croce. Ma quanto diverso sarebbe l’onore renduto a questa croce, se essa fosse stata dotata di sentimento e avesse avuta una parte nelle virtù e nei dolori di cui è stata un mezzo, nel mistero di grazia onde è stata lo strumento! – Or bene, questa parte l’ebbe la santissima Vergine. Una delle grandi cagioni dell’indifferenza che si ha per il suo culto è questa, che gli uomini si figurano che non è Madre di Dio se non per necessità e per caso; perché bisognava una madre a Gesù Cristo; l’immaginano come una madre ordinaria, o come la madre di un grande uomo, che trova di averlo concepito e partorito tale senza volerlo, senza saperlo, e che non ne riceve onore se non dopo e ben tardi, senza merito personale, senza partecipazione anteriore o posteriore alla grandezza di questo Figliuolo, di cui essa non ha che la vana rappresentazione. E anche questa rappresentazione poi si rifiuta aMaria coll’interpretare empiamente la condotta che Gesù Cristo tenne con Lei, mentre Egli non gliela negava se non perché la negava a sé medesimo, voleva renderla più degna di essa, quando l’ora fosse venuta; e disegnava di darle assai più che la rappresentazione della grandezza, di darle la grandezza medesima in merito ed in esercizio.

Sentiam parlare la dottrina: « Io pongo per primo principio, dice Bossuet, che Dio avendo risoluto nell’eternità di darci Gesù Cristo per mezzo di Maria, Egli non si contenta di servirsi di Lei come di un semplice strumento per questo glorioso ministero; Egli non vuole che sia un semplice canale di una tale grazia, ma vuole che sia uno strumento volontario che contribuisca a questa grande opera, non solo colle sue eccellenti disposizioni, ma anche per un moto della sua volontà (Sermone primo pel giorno della Natività della santa Vergine, Terzo punto). » – Bossuet aggiunge, ciò che non è meno importante e che compie la conoscenza dell’uffizio della santissima Vergine. « Avendo Dio stabilito che la volontà della santa Vergine cooperasse efficacemente a dar Gesù Cristo agli uomini, questo primo decreto non si muta più, e noi riceviam sempre Gesù Cristo per mezzo della sua carità (Sermone quarto per la Festa dell’Annunziazione. Primo punto). » – Noi ci riserbiamo a svolgere nel corso dell’opera questa grande e bella verità, che ci fa veder Maria come uno strumento attivo e continuodella grazia di Gesù Cristo, come un canale animato di questa grazia, come una madre le cui viscere sempre aperte non hanno solo una volta generato Gesù Cristo, ma lo generano continuamente e lo genereranno sino alla fine del mondo ne’ suoi membri, che sono i Cristiani; come nostra Madre per conseguenza senso più vivo della parola, la madre dei viventi, la nuova Eva. – Maria non è dunque solamente un segno, è un sacramento. Il Verbo eterno, che ha illuminato il mondo, il Verbo di Dio continua a darsi al mondo per mezzo di Maria. – Questaproposizione sembrerà scandalosa agli spiriti fortio, come si dice ai dì nostri, agli spiriti privilegiati, perché li obbliga a chiamarsi debitori della pura e viva nozione di Dio che li illumina non solamente a Gesù Cristo, ma ancora all’umile Maria. Ei si befferanno della nostra semplicità; ma il fatto risponde per noi alla loro delicatezza, e qual fatto! – Ponno essi negare che il sole della verità divina, della cnoscenza di Dio, non siasi levato, fa or diciotto secoli, nelle alture dell’Oriente, dal seno di quattromila anni di tenebre, e non abbia cessato sino ai nostri giorni di luminare sino i più umili intelletti? – Ponno essi negare che, qualunque sia lo splendor de’ suoi  raggi, se tutti, credenti ed increduli, umili e superbi, fedeli e bestemmiatori, camminano alla sua luce, il centronon ne sia il Cristianesimo, e il disco, per così dire, non ne sia Gesù Cristo; e che se Gesù Cristo, se il Cristianesimo venisse a scomparire, il mondo sarebbe asperso nell’orrore delle tenebre più spaventevoli? – Ponno essi negare che la nozione del Verbo fatto carne, Gesù Cristo, che è il cristianesimo, poggia e si aggira, in certo qual modo su quella della maternità divina di Maria,come sopra il suo asse, e che il culto, che la devozioe alla santissima Vergine, non sia come la matrice dei veri Cristiani? – Ove sono i veri servi di Dio, se non fra i Cristiani? E dove sono i veri Cristiani, se non fra i pii servi di Maria? – Questo è stato vero in tutti i tempi, ma è più vero che mai oggidì. Di fatto, in passato la fede, la divozione generale dellasocietà collegava il Cristianesimo in tutte le sue parti, e il culto della santa Vergine vi prendeva la parte che esso deve avere nell’economia della Religione. L’empietà generale che venne poscia, assalendo ad un tempo tutti i nostri misteri, mantenne per l’universalità della stessa sua bestemmia quel rapporto che li univa, e il culto della santa Vergine, in questo regno dell’empietà generale, come precedentemente in quello della fede, non ebbe una sorte particolare né per conseguenza un’importanza più speciale. Più sottile, più perfido e più pericoloso dell’empietà scatenata del secolo passato, il razionalismo è venuto a penetrar fra i nostri diversi misteri, e li ha disuniti, alterati, decomposti, col farli suoi proprii. La nozione di Dio, quella della Trinità, quella dello stesso Gesù Cristo, sono diventate, sotto la sua azione, filosofiche, panteistiche, anticristiane, antisociali. Una sola nozione, un solo dogma non fu per anco assalito; che la sua umiltà lo ha sottratto dai pericolosi onori dei filosofi, il loro disprezzo lo ha salvato dalla dannosa lor stima; ed è il dogma della santa Vergine. Si fanno da questi alti intelletti i mille sistemi, le mille religioni diverse di Dio e di Gesù Cristo. Abbracciato o rigettato, solamente il culto della santa Vergine è risparmiato. Maria sola è rimasta quella che essa era in passato, e rimanendo ciò che essa era, essa ha mantenuto ciò che era il Cristianesimo. Essa è stata come l’ancora della Religione. Di nuovo la Madre ha salvato il Figliuolo. A Lei bisogna andare oggidì per ridomandarlo, per domandare il vero Gesù, il vero Dio. Di qui l’opportunità di preconizzare oggidì più che mai il culto della santa Vergine, e la provvidenziale sapienza della decisione che l’ha, non ha guari, dichiarata immacolata, perché ciò torna lo stesso che esaltar nel suo culto il culto di Gesù Cristo, il culto di Dio, che oggidì più che mai devono fare graduatamente un solo culto. – Lutero ha detto che non vi era festa cattolica che egli detestasse più di quella del corpo di Gesù Cristo e della Concezione di Maria; e secondo il suo modo di vedere, aveva ragione rii associar così nella sua ripulsa due cose unite nel nostro culto: la Madre ed il Figliuolo. Di fatto, se non v’è Madre non v’è Figliuolo. Ma ciò che si vuole subitamente aggiungere è che se non v’è Figliuolo non v’è Padre. – Gesù Cristo è nostro fratello per la sua filiazione umana, e per conseguenza per Maria; per questo noi facciamo con lui un solo corpo (multi unum corpus sumus in Christo. Rom. XII, 5), ed Egli ci comunica per viadi adozione la qualità che è a Lui naturale di Figliuoldi Dio. Solamente per questo spirito di adozione, comedice s. Paolo, noi siamo i coeredi di Gesù Cristo, i figli di Dio, e rieeviam la grazia d’invocarlo Padre nostro (Rom. VIII, 15). – L’adorazione del Padre in ispirito ed in verità, il culto di Dio, si attien dunque a quello della Madre di Dio.

Chi non ha Maria per madre non potrebbe aver Gesù Cristo per fratello e Dio per padre.

Perciò la Chiesa Cattolica, con un senso profondamente semplice e vero, introduce in tutte le sue preghiere il Pater e l’Ave, unisce il Padre celeste alla Madre terrena di Gesù Cristo, per ricordarci continuamente che per la Madre noi abbiam dei diritti sul Figliuolo, e pel Figliuol noi ne abbiamo sul Padre. E s. Gregorio di Nazianzo non andò troppo oltre allora che, cento anni prima del concilio di Efeso, riepilogava i titoli della Madre di Dio al nostro culto con queste parole, che si dovrebbero scrivere su tutti gli altari lei consacrati: Si quis sanctam Dei Genitricem non confitetur, a Deitate remotus est. « Quegli che non confessa la santa Madre di Dio è separato dalla divinità (Ep. I ad Cledon). » – Gesù Cristo è un fiore, la cui fragranza è Dio ed il cui stelo è Maria. Isaia lo profetava sotto questa graziosa immagine. Indarno si vorrebbe aver la fragranza senza il fiore, e indarno altresì si vorrebbe avere il fiore senza lo stelo; perocché questo stelo non ha portato il fiore solamente una volta, ma lo porta sempre e lo ha fatto fiorir sempre nelle anime. Chiunque pertanto voi siate, dice san Bonaventura, che aspirate alla grazia dello Spirito Santo, cercate il fiore nello stelo; per lo stelo infatti noi giungiamo al fiore, e pel fiore a quello Spirito della Divinità, del quale esso ha imbalsamato la terra. Quicumque Spiritus Sancti gratiam adipisci desiderata florem in virga quærat: per virgam enim ad florem, per florem ad Spiritum pervenimus(inSpec., cap. 6). – Gli uomini, in questo movimento generale che li riconduce oggi alla fede, sono così disposti che veggono ogni modo di contenderle passo a passo il terreno che Ella ripiglia sopra di essi; di far senza di Dio per essere filosofi, di far senza di Gesù Cristo per essere religiosi, e di far senza di Maria per essere Cristiani. Vana fidanza, che riesce a far solo de’ cattivi filosofi, de’ falsi deisti e de’ poveri Cristiani! « A chi fu manifesta la verità senza Dio? – domanda Tertulliano – a chi fu conosciuto Dio senza il Cristo? A chi è stato pienamente rivelato il Cristo senza lo Spirito Santo (Tert. De anim. Cap. 1), senza Maria che è il suo santuario e la più alta espressione della sua fecondità? » La Santissima Vergine adempie così nell’economia del Cristianesimo una funzione attiva e incessante di maternità, generando gli uomini alla vita di Dio, dopo generato Dio alla vita degli uomini. Ministero meraviglioso e incomparabile, di cui noi ci siamo proposto di tentare la contemplazione e di mostrar le sublimi e commoventi armonie. Maquello che vuolsi aggiungere alla gloria sovreminente della Vergine santissima è che la sua grandezza essenziale, ch’io chiamerò il sommo delle sue grandezze, è l’essere stata fatta degna di questa eccelsa maternità; l’esser stata stata non già presa per necessità e per caso fra le donne a fin di adempire questo prodigioso ministero, ma scelta e benedetta da tutta l’eternità fra tutte le creature per questo prodigioso disegno; più ancora, l’essere stata per questo fine, ricolma, abbellita di tutte le virtù e di tutte le grazie che convenivano a questo incomparabile destino, e l’averne a dismisura moltiplicato il numero, corrispondendovi con tutti gli atti, con tutti i sospiri della sua volontà. Grandezza della quale nessuno, né gli uomini, né gli angeli né Maria stessa, nessuno, Dio solo eccettuato, può misurare la sublimità. – E questa è una creazione a parte, è un mondo spirituale: ciò che l’uomo è nell’ordine della natura, ciò che Cristo è nell’ordine della gloria, Maria lo è nell’ordine della grazia; Ella ne è la meraviglia e la Regina; la Regina degli angeli e dei santi. Essa è un Cielo, come la chiama san Giovanni Crisostomo: Quæ igitur Virgo Mater cœlum. Io vorrei aprire agli sguardi questo mondo e questo cielo. – il lettore che non ha mai meditato su questo mistero e che vi reca un occhio velato dalle cose del tempo non comprenderà la verità del mio entusiasmo. Sembrerà a lui che queste parole feriscano il nulla e non echeggino che nel vuoto; che siano una triviale ridondanza ed una sciocca esagerazione tradizionale. Egli, al vedere la semplicità di Maria e la sua oscurità, della quale gli evangelisti, gli Apostoli e lo stesso suo divin Figliuolo sembrano essere stati i complici infino a che Ella è stata sulla terra, domanderà: Che havvi dunque di sì meraviglioso nel destino di questa donna? E non ci seguirà che collo scoraggiamento della diffidenza, colla noja della frivolezza e coll’ orrore dell’inganno. Tutt’al più egli ci riserverà qualche compassione. – Quando il primo uomo vide il primo sole tramontare sull’orizzonte, venir meno la luce del giorno, cancellarsi il magnifico aspetto della creazione e spegnersi da per tutto il rumore insiem colla luce, e il silenzio e la notte occupar l’universo, qual non dovette essere la disperazione della sua anima ignorante! Quale non sarebbe stata la sua diffidenza se una voce gli avesse detto: Preparati all’ammirazione: poiché da questo fondo di oscurità che ti agghiaccia uscirà tale spettacolo la cui magnificenza sarà eguale a quella del giorno! E quale di fatto non dovette essere il suo rapimento allora che il suo occhio scoraggiato vide spuntare una stella sul firmamento velato dal cielo, indi altre e poi accendersi stelle in ogni parte, il cielo empiersi di raggi e il cupo azzurro della sua volta tutto sfavillare di lumi! Quale non dovette essere sopra tutto la sua estasi allora che vide biancheggiar nell’orizzonte, levarsi ed avanzare, qual reina in mezzo alla sua corte, la luna, dal vergineo splendore; ed al suo apparire, sotto il suo misterioso e potente influsso, muoversi l’aere, purificarsi il cielo, i mari sollevarsi e la terra trasformarsi sotto un velo argenteo di luce! – Tale sarebbe certamente la gioja che noi faremmo provare ai nostri lettori se ci fosse dato di poter mostrar loro Colei della quale è stato detto: « Chi è costei che esce fuora come aurora sorgente, bella come la luna, eletta come il sole, terribile come un esercito messo in ordine a battaglia (Cant. VI, 9)? » Noi vorremo almeno tentarlo. Assunto immenso, poiché abbraccia nientemeno che tutta quanta la Religione. Nei nostri primi Studii ci siamo provati di mostrare il Cristianesimo mercé lo splendore di Gesù Cristo; noi vorremmo in questi farlo rivedere alla dolce chiarezza diMaria. (…) La gloria della santa Vergine, quale noi la concepiamo e vorremmo presentarla, è di non poter essere separata, di venire incessantemente ad unirsi con quella di Gesù Cristo e con quella di Dio: di modo che non si può toccarla senza far risuonare, per dir così, la grandezza di Gesù Cristo e la maestà di Dio medesimo; e il più bell’inno che si possa cantare a Gesù Cristo ed alla divinità è Maria, è per Maria. (…) « Ella è cosa per me venerabile e al mio cuore dolcissima l’avere a parlare, o Dio, della Madre del vostro Figliuolo, che solo ha meritato di ricevere in sé il Dio cui Ella doveva generar uomo, di diventare il trono di Dio e il palazzo del Re eterno, secondo che voi ce l’avete insegnato per mezzo di tutti i vostri santi patriarchi, profeti ed Apostoli, in tante figure e discorsi sui quali si appoggiano la nostra fede e la nostra certezza; perché non fu mai che Voi ingannaste, e non avreste cominciato ad ingannarci e a lasciarci ingannare mostrandoci il vostro Figliuolo coeterno a voi e consustanziale, che dovea incarnarsi e si è incarnato nel seno della Vergine, dalla quale ha preso carne Colui che con Voi ha creato tutti gli esseri corporei, che ne è l’Autore, il governatore e il Dio. Di Lei Egli ha preso la nostra natura, non l’origine, avendo il vostro Santo Spirito santificato, purificato e conficcato in Lei un seno umano per la concezione del vostro Figliuolo: meraviglioso effetto di grazia e dignità che il core non potrebbe concepire e che la lingua tenterebbe invano di esprimere. Tale di fatto è stata questa concezione,  tale è stato questo parto, quale conveniva ad un Dio, ad un Dio che veniva a riscattar quelli che aveva voluto creare; creare con la sua potenza, riscattare con la suaumiltà; pigliando dell’umiltà la natura, santa da un corpo santificato, immacolata da un corpo immacolato; poiché Egli coll’essere concepito e col nascere non ritirò da Ella quella grazia ineffabile di santificazione che aveale concessa in vista del suo concepimento. Per esso io vi supplico, o Signore, poiché per esso voi largite ogni bene, e loscegliete per concederlo, io vi supplico di concedermi che senza offendere una tale santità, giunga a favellarne; e che, non lo potendo interamente, il che torna impossibile ad ogni lingua umana, io ne esponga, almeno in parte, il soggetto qual è. Risuoni esso dunque come da sé medesimo; la sua profonda ricchezza echeggi riccamente la sua eminente santità santamente e il suo inestimabile valore fedelmente in quest’opera. E siccome questo sopravanza la ragione umana, il vostro Spirito sia con me e mi inizii atutta la verità che bisogna esporre. Finalmente, siccome io devo rispondere ad un’aspettazione di profondità e di sublimità a cui non potrei giungere, supplico il mio pio lettore che degni anch’esso pregare per me. Che se sopra alcuni punti non sembrassi inferiore al mio soggetto, la sua riconoscenza ne attribuisca il merito a Dio; se troppo sovente io sarò al di sotto, compatisca alla mia insufficienza, perché, per grande che sia, non potrebbe accusare in me difetto di buona volontà (Homilia IV, De Assumptione Virginis.). »

LA NATIVITA’ DELLA SANTISSIMA VERGINE MARIA (8 Settembre 2020)

Natività della Santissima Vergine

[A. NICOLAS: LA VERGINE MARIA secondo il Vangelo – Parte II. Milano, C. Turati ed. 1857]

Noi abbiam percorso tre gradi del destino della santissima Vergine: — la sua predestinazione; — la sua preconizzazione profetica; — la sua Concezione immacolata. Si vuol considerar ora la sua natività. Il Vangelo non fa conoscere nulla di particolare intorno alla natività e all’infanzia della santissima Vergine: si tien pago di dire che si chiamava Maria, che era moglie di Giuseppe, e che Gesù Cristo è nato da Lei: Jacob autem genuit Joseph, virum Maria, de qua natus est JESUS, qui vocatur Christus (Matt. I, 6).V’è anzi questo di straordinario, nel silenzio del Vangelo su tale argomento, che le due genealogie che vi sono date di Gesù Cristo procedono, sia risalendo, sia discendendo, da Giuseppe, padre putativo di Gesù Cristo, ed evitano di mentovare il parentado proprio della santa Vergine. Così, noi sappiamo, dal Vangelo, quali erano gli autori e gli antenati di Giuseppe, e non sappiamo, direttamente almeno, quali erano quelli della santa Vergine. Il che è tanto meno naturale, nelle genealogie di Gesù Cristo, perché Gesù Cristo non ha ricevuto il sangue dei suoi avi che per mezzo di Maria. Da un altro lato, quanto più il Vangelo mette nell’ombra  la filiazione di Maria, e tanto più mette in luce la sua maternità. Saltando di pie pari tutto ciò che risguardala nascita e l’educazione di lei, appena egli ci dice che essa è madre. Il medesimo momento presenta la Madre e il Figliuolo alla nostra attenzione, e noi non intendiamo il nome di Maria senza udire incontanente anche quello di Gesù: Maria de qua natus est Jesus. Tutto ciò non è senza ragione e parla a chi sa intenderlo. – Ciò significa, cosa da noi già riconosciuta nel capitolo precedente, che Maria è tanto la figlia di Adamo quanto la madre di Gesù; che Ella non trae la sua nobiltà da’ parenti, ma che tutto al contrario i suoi parenti sono nobilitati da lei, e non solo i suoi parenti immediati, ma la casa di David, la tribù di Giuda, il popolo ebreo, il genere umano, tutta quanta la creazione; nobiltà che medesima trae da Gesù Cristo. – Conforme a quello che abbiamo detto, che Maria è destinata per essere madre di Dio, e non solamente destinata, ma creata a quest’unico fine da quel Dio medesimo che ha voluto esser fatto da Lei, è vero il dire, non in una maniera generale, ma in un modo tutto particolare, che essa è la figlia di quel Gesù di cui è la madre; la figlia del Dio e la madre dell’uomo; la figlia e la madre dell’uomo-Dio; e che così, come disse felicemente un padre, la sua genealogia comincia dalla Divinità e finisce coll’umanità del suo Figlio. Perciò il Vangelo non poteva parlarci più convenientemente di Maria che tenendo poco conto della sua filiazione naturale, e non parlando che della sua maternità divina, lasciandoci ignorare chi era suo padre, per far risaltare solamente chi era suo figliuolo: Maria, della quale nacque Gesù, chiamato il Cristo (Matt. I, 16); MARIA DI GESÙ, come la chiamavano gli apostoli (Secondo una lettera di sant’Ignazio martire, loro discepolo). Se tutto il Cristianesimo consiste in questa verità, scritta nel sublime principio del Vangelo di san Giovanni, che il Verbo « die il potere di diventar figliuoli di Dio  a tutti que’ che ricevettero, che non sono nati per via di sangue, né per volontà della carne, né per volontà d’uomo, ma da Dio medesimo; e che per ciò il Verbo è stato fatto carne ed abitò tra di noi; » quanto convenientemente è nata da Dio questa Vergine, che la prima, la sola, in una maniera così ineffabile, ha ricevuto in persona il Verbo medesimo, e da cui noi tutti abbiam ricevuto; in cui e da cui questo Verbo si è fatto carne ed abitò fra noi! Essa non ha dovuto rinascere, come noi, per un’azione della grazia, posteriore alla sua nascita naturale. Questa grazia ha prevenuto in lei la natura: ella se n’è impadronita, l’ha penetrata, formata, elevata sin dall’istante della sua concezione, sino a far di lei sua figliuola, nel disegno di renderla acconcia ad essere la madre di Gesù. Essa la faceva sin d’allora con tutte le qualità fisiche e morali ch’Ella doveva, come madre, comunicar poscia all’umanità del suo Figlio. Questo è un pensiero altrettanto sodo che commovente e glorioso per la santissima Vergine. Proviamolo con alcune riflessioni. È nella natura che i figli ritraggano della loro madre, filii matrizant, come dice il proverbio latino; ma quanto più devono ritrarre da una madre vergine! II sangue, gli umori, il latte onde la santissima Vergine ha formato e nutrito Gesù, hanno dovuto produrre in lui ciò che noi li vediam loro produrre naturalmente ne’ figliuoli rispetto alla loro madre: la somiglianza, la trasmissione del temperamento, della complessione, de’ costumi, del carattere, della fisonomia, ma in un grado incomparabilmente perfetto che nelle filiazioni ordinarie; perché Maria sola vi ebbe parte, e perché, nella calma profonda e verginale della sua natura immacolata, nessun turbamento, nessun soffio impuro dal di fuori è venuto a stornare e alterare questa santa trasmissione. – San Paolo dice del Figliuolo di Dio: « Annichilò sé stesso, presa la forma di servo, fatto simile agli uomini, è per condizione riconosciuto qual uomo, » et habitu inventus ut homo (Fil. II, 7). E il medesimo san Paolo fa osservare altrove che il Figliuol di Dio è stato fatto tale, da una donna, factum ex muliere: non nato, ma fatto: espressione energica, la quale mostra che il Figliuol di Dio nonha preso in prestanza il seno di Maria per apparire solamente figliuolo dell’uomo, ma ha voluto essere fatto da Lei medesima, e ha voluto trarre da Lei questa somiglianza e questa fisonomia d’uomo. Dal che si può conchiudere che Egli aveva la fisonomia di Maria, habitu inventus ut Maria, come ciascuno di noi è fatto a somiglianza della propria madre, e molto più ancora per le ragioni che abbiamo or ora accennate. – A dir breve, Gesù Cristo è così perfettamente uomo come è perfettamente Dio: e questa è una verità incontrastabile. La natura umana ha dunque dovuto produrre in Lui i suoi più puri effetti: tanto più puri perché la natura è stata perfezionata dalla grazia in tutta la sua pienezza in Maria. Ora, importando l’effetto della natura umana ria che i figliuoli siano l’immagine de’ loro parenti, Gesù Cristo doveva come uomo essere l’imagine di Maria, come era qual Dio l’immagine del Padre celeste. Così insegna san Tomaso d’Aquino: Filius non minus Matris quam Patris imago est (Cit. da Contenson). Così nel fisico come nel morale, Gesù, fatto da Maria, doveva esserne umanamente il ritratto; si doveva potergli applicare il verso del poeta: Sic oculos, sic ille manus, sic ora ferebat. E questo è certamente ciò che faceva dire ai popoli della Giudea in vedendolo: « Non è ella sua madre quella che chiamasi Maria? » (Matt. XIII, 55). Ma così era perché Maria era essa medesima preventivamente il ritratto di Gesù; perché, come abbiam detto, Ella stessa, la prima, aveva ricevuto dal suo Dio queste qualità, questi costumi, questi lineamenti per trasmetterglieli; così era insomma, perché Ella era stata fatta da Lei in quanto Dio, come Egli aveva voluto essere fatto da Lei in quanto uomo. –  Il Verbo creatore, da cui tutto è stato fatto, si è così preparato Egli stesso la sua umanità nella madre sua. Egli ha voluto, dice san Bernardo, che Ella fosse vergine, perché da Lei senza macchia Egli fosse prodotto senza macchia; Egli ha voluto che Ella fosse umile, perché uscisse da Lei dolce ed umile di cuore. Voluit itaque esse virginem, de qua immaculata immaculatus procederet: voluit et humilem, de qua mitis et humilis corde prodiret. – Così di tutte le altre qualità, di tutte le altre doti che doveva avere la sua umanità, e. di cui Egli aveva messo come la provisione in Maria. – Come un artista la prima cosa comincia a fare in piccolo modello la figura che si propone di eseguire in grande, cosi Dio « fa già apparire nella natività di Maria, dice Bossnet, un Gesù Cristo abbozzato, se così posso dire, un Gesù Cristo cominciato con una espression viva e naturale delle sue perfezioni infinite (I Serm. Sulla natività della santa Vergine). » Ricordando il magnifico pensiero di Tertulliano, che quando Jebova-modellava il primo uomo egli non affezionava sì seriamente a questa formazione se non perché « in quel fango che Egli lavorava, aveva in pensiero il Cristo che si doveva far uomo: » Quodcumque limus exprimebatur, Christus cogitabutur homo futurus. Bossuet fa questa riflessione, che prega i suoi uditori in pesare attentamente: « Se è così che, sin dall’origine del mondo, Dio, creando il primo Adamo, pensasse a disegnar in lui il secondo; se è in vista del Salvatore Gesù Egli forma il nostro primo padre con tanta cura, perché il suo Figliuolo ne doveva uscire dopo una così lunga serie di secoli e di generazioni interposte; oggi che vedo nascere la beata Maria che lo deve portare nelle sue viscere, non ho io maggior ragione di conchiudere che Dio, creando questa divina fanciulla, aveva il suo pensiero in Gesù Cristo e non lavorava che per Lui? Christus cogitabatur » (ibid.). Ricordando al popolo ebreo la sua elezione nella persona di Abramo, Isaia diceva: « Ponete mente alla pietra donde voi foste tagliati e alla sorgente donde voi foste tratti (Is. LI, 1). « Ora, questa pietra informe è primieramente  il genere umano creato da Dio in vista della divina figura di Gesù Cristo che Egli deve estrarne. Ma fra questa prima e quest’ultima operazione, Dio gliene fa sostenere diverse altre che lo raccostano successivamente al suo glorioso fine. Egli lo sgrossa, per così dire, ne trae sulle prime il popolo di Israele, poi la tribù di Giuda, poi la casa di David; e ciascuno di questi abbozzi, avendo di mira Gesù Cristo, nasce per così dire da questo tipo divino in quella appunto che lo attua. Ma infino a questo punto tutto fu collettivo nell’opera di Dio: fu un popolo, una tribù, una famiglia. Fra quest’ultimo stato dell’opera e il suo fine non vi sarà Egli alcun intermediario individuale che sia come l’apprestamento di questa grande opera; che ne nasca per recarla immediatamente ad effetto, e in cui il gran fabbro non abbia a fare altro più che mettervi l’ultima mano: che dico? che a mettervi sé medesimo. È questo il glorioso destino di Maria. Questo è ciò che la distingue da tutti i suoi antenati, da tutto il genere umano, da tutta la creazione, per porla col Figliuolo di Dio in un rapporto unico, incomparabile ed ineffabile, in quanto è individuale, immediato, verginale, materno, divino; il più avanzato di tutti i rapporti dell’umanità con Dio, dopo quello dell’unione ipostatica dell’umanità colla divinità del Verbo. E come, dice un santo dottore, a motivo di questa unione personale colla sua divinità, l’umanità di Gesù Cristo ha dovuto brillare di tutte le perfezioni della natura e della grazia nel loro più alto punto di eccellenza, così conveniva che, dopo la sua propria umanità, Dio adornasse di queste perfezioni la persona della Madre sua come quella che era con lui nella relazione più vicina che si possa concepire, poiché si può dire in certo qual modo che la maternità di Maria è coll’umanità di Gesù Cristo ciò che questa umanità è colla divinità che se l’è unita. È questa, dice il medesimo dottore, la ragione per cui dalla pianta de’ piedi sino al sommo del capo non si dovette ritrovar nulla in Maria che fosse sconveniente, difettoso, ributtante; tutto dovette esser fatto col più grande amore dalla divina sapienza, ammirabilmente scevro da ogni superfluità, lavorato con perfezione e con una squisita delicatezza. E questo è ciò che dice eccellentemente il Vangelo allora che egli chiama Maria piena di grazia, la qual parola nella sua brevità tien luogo d’ogni panegirico; sopra tutto quando si considera che ella non esce dalla bocca di un mortale, ma dalle labbra di un Angelo, ambasciatorc della corte celeste, quale espressione della sua ammirazione e del suo omaggio: AVE, MARIA, GRATIA PLENA. – Per far comprendere tutto il cumulo di grazie e di bellezze spirituali che questa espressione racchiude e che trovar si dovevano in Maria, Gersone ricorre all’allegoria di Pandora, sotto la quale l’antichità pagana aveva dipinto la perfezione della prima donna, donde è venuto tutto il male, non si accorgendo che essa dipingeva meglio la seconda, donde è venuto tutto il bene, Maria, la vera Pandora, che le Persone divine hanno a garììa dotato di tutti i doni, di tutte le grazie, gratia plena (Lasignificazione di Pandora equivale a quella di gratia piena di grazia). – Per mostrare la ricchezza di questa celeste dotazione,anima dunque Gersone tutte le grazie, tutte le virtù le fa venire a gara a ricolmar de’ loro presenti questa Vergine predestinata, figlia del Padre, madre del Figlio, sposa dello Spirito Santo. La purezza in persona si avanza per distendere colle sue mani la materia che deve formare il suo corpo: la previdenza per organizzarlo, la grazia per animarlo. Indi ciascuna parte è rivendicata da ciascuna virtù. La carità forma il suo cuore: la prudenza si applica a disporre il suo cervello; il pudore rotondeggia la sua fronte; l’affabilità versa la soavità sulle suelabbra; la decenza ferma sulle gote di lei la sua sede di predilezione; la modestia e la verginità spandono sopra tutto il suo corpo la grazia e l’incanto; finalmente tutte le virtù concorrono così felicemente a comporre questa Vergine insigne, che esse medesime, stupefatte dell’opera loro, possono appena riconoscerla in questa perfezione prodotta da un concerto cosi unanime, poiché ciò che tutte hanno fatto oltrepassa infinitamente ciascuna di esse. Questa allegoria non fa che tradurre la bellezza della santissima Vergine in linguaggio umano. La tradizione orientale e locale ne ha conservato l’impressione, e testimonianze apostoliche ce l’hanno tramandata. Noi non riferiremo qui cotali testimonianze per serbarci fedeli alla legge che ci siam fatta di non uscire dal Vangelo. In oltre ciò sarebbe superfluo: il Vangelo dice tutto quello che bisogna sapere a chi sa leggerlo sui ginocchi della Chiesa. Qualunque sia stato l’esteriore della santissima Vergine, una cosa non potrebbe esser dubbia, ed è che l’anima che informava il suo corpo doveva comunicarle le grazie di santità onde il Vangelo ci dice che essa era piena e mostrare in alto nel più alto grado questa parola dell’Ecclesiastico: Gratia super gratiam mulier sancta et pudorata. Le sue parole, il suo portamento, i suoi gesti, i suoi movimenti, i suoi atti, accordati, per cosi dire, al tono dell’anima sua, come le corde di una lira tocca dallo Spirito Santo, dovevano rendere i melodiosi accordi delle sue virtù, della sua modestia, della sua verginità, della sua umiltà, della sua dolcezza, della sua pazienza, della sua discrezione, della sua fede, della sua carità, della sua carità, finalmente della sua unione incomparabile con Dio, la più intima dopo quella dell’Uom-Dio. Tutta la sua persona doveva rivelare la verità di questa parola dell’Angelo: “Il Signore è teco. « Dominus tecum. «Parola che si può intendere, dice Nicole, non solamente dell’Incarnazione che poco stava a compiersi, ma ancora dell’abitazione di Dio nella Vergine, come nel suo tempio e sopra il suo trono: perocché egli vi abitava in una maniera particolarissima, empiendo tutta l’intelligenza e la volontà di Lei. essendo il principio di tutti i suoi pensieri, di tutti i movimenti del suo cuore e di tutte le sue azioni, e non permettendo che vi si mescolasse la menoma bruttura che potesse oscurarne la purezza. In guisa che queste parole, Dominus tecum, il Signore è teco, possono essere risguardate come la sorgente di quella pienezza di grazia che l’angelo le aveva attribuita (lib. II, de Virginibus). » – Di qui quel tipo così distinto che ci è rimasto della santissima Vergine, secondo il Vangelo, che esce fuori dal silenzio medesimo e dal raccoglimento di questa figura verginale in mezzo al rumore ed all’agitazione di tutte quelle scene divine che scuotevano il cielo e la terra e che la lasciavano così calma, avendo la parte più grande presso al suo Figliuolo, e la più riservata, la naturale naturale nel soprannaturale, la più iniziata ai misteri del cielo, di cui Ella conservava il segreto nel suo cuore con una fede che nulla smoveva, ed una fedeltà che non si smentiva mai. Tipo unico della Vergine che i gran maestri dell’arte hanno a gara tentato di esprimere, senza poterne mai esaurir la grazia e la maestà profonda, e che sant’Ambrogio dipingeva così in iscorcio: « Nulla di altero nello sguardo, nulla di sconsiderato nelle parole,  di avventato nel gesto, di abbandonato nel portamento, di precipitato nella voce; ma tutto l’aspetto del suo corpo era come il simulacro dell’anima sua e la figura della sua santità. Onde, nessun’altra scorta poteva meglio di sé medesima farla rispettare, mentre si rendeva venerabile collo stesso contegno e incesso, e pareva non tanto imprimere orme col piede quanto presentare esempi di virtù (S. Ambrosius, Lib. II: De virginibus.). –  Tale è l’impressione che risveglia ancora e risveglierà sempre il nome così dolce, così puro, così santamente grazioso di Maria; il più sparso e il meno comune di lutti i nomi; che si presta e non si dà mai a quelle che lo portano, cotanto è rimasto proprio alla Vergine che lo ha santificato, ed alla quale esso risale sempre, puro delle sue applicazioni, come il raggio risale al suo astro. E tale è il significato di questo nome ineffabile di Maria: Stella, stella del mare, stella del mattino, immagine delicata della venuta di Maria nel mondo. Questa è la stella di cui, quindici secoli prima, Balaam prediceva il levarsi, allora che, profetando la dominazione universale del Messia, diceva: « Io lo vedrò, ma non ora; fisserò in lui io sguardo, ma non da vicino: DI GIACOBBE NASCERÀ’ UNA STELLA, e spunterà da Israele una verga e percuoterà i capi di Moab e rovinerà tutti i figliuoli di Seth. (Num. XXIV, 17) » Profezia che gli antichi Ebrei intendevano concordemente del Messia; che, come riferisce Giuseppe, faceva la preoccupazione universale della sua nazione al tempo della venuta di Gesù Cristo, e che, secondo il medesimo storico e il Talmud, favorì il successo passeggero del falso messia Barckochebas, pel significato di questo nome, il quale significa FIGLIO DELLA STELLA. La stella il cui vero Figliuolo regna da milleottocento anni su tutti i figliuoli di Seth (Cioè sulla razza umana, essendo Seth figlio di Adamo), Maria, levandosi sull’orizzonte di questo mondo, è stata come l’alba del mattino della verità, come la punta del giorno della fede, che ha sparso nel mondo Gesù Cristo, luce eterna, come canta la Chiesa, QUÆ LUMEN ÆTERNUM MUNDO EFFUDIT JESUM CHRISTUM (Prefazio nelle Messe della santa Vergine). Ella è stata come l’aurora del Sole di giustizia, che allontana le ombre della legge e tinge il cielo de’ primi fuochi della grazia, come la Chiesa la saluta ancora: Quæ progreditur quasi aurora consurgens. Immagine felice che, meglio assai di tutte le fiacche e sparute applicazioni che ne hanno fatto i poeti, trova in Maria la sua verità, tutta la sua purezza. Di fatto, a quel modo che, subito dopo scorta l’aurora, si vede nascere come dal suo seno il corpo del sole, così Maria non appare nel Vangelo che in un rapporto prossimo con Gesù, Luce del mondo, che nasce da lei: Maria de qua natus est Jesus, simile ancora, per la sua verginità, all’aurora che non perde nulla né della sua purezza né della sua integrità col partorire il re degli astri e coll’essere la madre del giorno. Ma sopra tutto questo simboleggiamento dell’aurora conviene a Maria come espressione della verità che domina in questo studio, che Maria è la figlia della grazia di cui essa partorisce l’autore, come la prima chiarezza del mattino che si chiama l’aurora è prodotta dal sole prima che esso apparisca, prodotto egli stesso dal mezzo, dal seno dell’aurora.

ESERCIZIO DEVOTO IN ONORE DELLA BEATISSIMA SEMPRE VERGINE MADRE DI DIO: MARIA.

UN ESERCIZIO DEVOTO IN ONORE DELLA BEATISSIMA SEMPRE VERGINE MADRE DI DIO

MARIA

CONCEPITA SENZA PECCATO ORIGINALE DAGLI SCRITTI DI SAN BONAVENTURA

Il seguente pio esercizio in onore della Gloriosa e sempre Vergine Madre di nostro Signore è raccolto in gran parte dalle opere del serafico Dottore, San Bonaventura; e fu stampato a Roma nel I860. Le pie e ferventi aspirazioni che esso contiene sono concepite nello spirito e secondo il modello dei Salmi di Davide che sono il fondamento del Divino Ufficio ed il culto quotidiano della Chiesa Cattolica.

INDULGENZE

Papa Pio IX., in un Breve in data 9 Dic. 1856, ha concesso in eterno le seguenti indulgenze ai fedeli che con cuore contrito recitino nella settimana sotto forma di supplica in onore della sempre Beatissima Vergine, ogni giorno:

1. Sette anni e sette quarantene per ogni giorno.

2. Un’indulgenza plenaria nella festa dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine, oppure entro l’ottava; nella festa di San Giuseppe, in quella di San Bonaventura, il 14 luglio; ed in un giorno del mese di maggio a scelta di ognuno, a chi hanno recitato per un intero mese questa devozione ogni giorno, con Confessione sacramentale e Comunione eucaristica, con visita ad una chiesa o ad pubblico oratorio e preghiera secondo le intenzioni del Sovrano Pontefice. Queste Indulgenze possono essere applicate alle anime del Purgatorio.

Qual grande profitto trarrà chi offrirà ogni giorno questo tributo di preghiere alla sempre Beatissima Vergine, non solo ottenendo queste Indulgenze, ma ancor più se otterrà la grazia desiderabilissima di una vita santa, e di una morte tranquilla e felice in Nostro Signore.

Christe, cum sit hinc exire, Da per Matrem me venire ad palmam victoriæ

.

PRÆPARATIO QUOTIDIANA.

1. Humiliabis te in fide ante conspectum Dei.

[Ti umilierai con fede al cospetto di Dio]

2. Putabis te moribundum in lecto, et habentem ante oculos tuos Jesum Christum Crucifixum in Monte Calvario, et juxta Crucem Ejus SS. Virginem doloris gladio transifixam.

[Ti considererai moribondo nel letto avendo davanti agli occhi Gesù Cristo moribondoCrocifisso sul monte Calvario, e presso la sua Croce la SS. Vergine trapassata dalla spada del dolore].

3. Ante Psalmos sequentes preces recitabis.

[Prima dei Salmi reciterai le seguenti preghiere]

ORATIO.

Domine Jesu Christe Crucifixe, per infinitam tuam misericordiam, ac per merita et intercessionem Beatissimæ V. Matris tuæ, adjuva nos, licet indignos, ut in unione totius Curiæ cœlestis, eandem SS. Virginem,  omnibus diebus vitæ nostræ laudare valeamus, et has preces persolvere, ut sancte vivere, ac feliciter mori in tuo amore mereamur. Amen.

AVE MARIA, etc.

V. Illumina oculos meos, ne unquam obdormiam in morte.

R. Ne quando dicat inimicus meus: prævalui adversus eum.

V. Deus in adjutorium meum intende.

R. Domine, ad adjuvandum me festina.

Gloria, etc.

HYMNUS.

Memento, rerum Conditor,

Nostri quod olim corporis

Sacrata ab alvo Virginis

Nascendo formam sumpseris.

Maria Mater gratiæ,

Dulcis Parens dementia,

Tu nos ab hoste protege,

Et mortis hora suscipe.

Jesu Tibi sit gloria,

Qui natus es de Virgine,

Cum Patre, et almo Spiritu

In sempiterna sæcula. Amen.

DIE DOMINICA.

Ad Plagas Jesu, petes gratiam bene disponendi domui tuæ

et sanctificandi tota vita tua Nomen Patris Cœlestis.

Ant. I Conforta Virgo.

PSALM. I.

Beatus vir, qui diligit nomen tuum, Maria

Virgo: gratia tua animam ejus confortabit.

Tanquam lignum aquarum fontibus irrigatum

uberrime: in eo fructum justitiæ propagabis.

Benedicta tu inter mulieres: propter humilitatem

et credulitaten cordis sancti tui.

Universas enim fœminas vincis pulcritudine

carnis: superas Angelos et Arcangelos

excellentia sanctitatis.

Misericordia tua et gratia ubique predicatur:

Deus operibus manum tuarum benedixit.

Gloria, etc.

Ant. 1. Conforta, Virgo Maria, animam ejus, qui invocat nomen tuum: quia misericordia tua et gratia ubique prædicatur.

Ant. 2. Protegat nos.

PSALM. II.

Quare fremuerunt inimici nostri: et adversum

nos meditati sunt inania?

Protegat nos dextera tua, Mater Dei: ut

acies terribilis confundens, et destruens eos.

Venite ad eam, omnes qui laboratis, et tribulati estis:

et dabit refrigerium animabus vestris.

Accedite ad earn in tentationibus vestris:

et stabiliet vos serenitas vultus ejus.

Benedicite illam in toto corde vestro:

misericordia enim illius plena est terra.

Gloria, etc.

Ant. 2: Protegat nos dextera tua, Mater

Dei: et da refrigerium, et solatium animabus

nostris.

Ant. 3: Deduc me.

PSALM. III.

Domina, quid multiplicati sunt, qui tribulant me?

In potentia tua persequeris, et dissipabis eos.

Dissolve colligationes impietatis nostræ:

tolle fasciculos peccatorum nostrorum.

Miserere mei, Domina, et sana infirmitatem

meam: tolle dolorem, et angustiam cordis mei.

Ne tradas me manibus inimicorum meorum: et in die mortis meæ conforta animam meam.

Deduc me ad portum salutis: et spiritum

meum redde Factori, et Creatori meo.

Gloria, etc.

Ant. 3: Deduc me, Domina, ad portum salutis:

et in die mortis meæ conforta animam meam.

Ant. 4: Ne projicias.

PSALM. XIX.

Exaudias nos, Domina, in die tribulationis:

et precibus nostris converte clementem faciem tuam.

Ne projicias nos in tempore mortis nostræ:

sed succurre animæ, cum deseruerit corpus suum.

Mitte Angelum in occursum ejus: per

quem ab hostibus defendatur.

Ostende ei serenissimum Judicem sæculorum:

qui ob tui gratiam veniam ei largiatur.

Sentiat in pœnis refrigerium tuum: et

concede ei locum inter electos Dei.

Gloria, etc.

Ant. 4: Ne projicias nos, Domina, in tempore

mortis nostræ: sed succurre animæ, cum deseruerit corpus suum.

Ant. V Esto Domina.

PSALM. XXIV.

Ad te, Domina, levavi animam meam:

in judicio Dei tuis precibus non erubescam.

Neque illudant mihi adversarii mei:

et enim in te praesumentes de Te roborantur.

Non pnevaleant adversum me laquei mor

tis : et castra malignantium non impediant

gressus meos.

Collide impetum eorum in virtute tna : et

cum mansuetudine occure animae meae.

Ductrix mea esto ad patriam: et me ccetui

angelorum digheris aggregare. Gloria, etc.

Ant. Esto, Domina, ductrix mea ad patri

am : et in die mortis meae, occurre cum

mansuetudine animas meæ.

PRECES.

V. Maria Mater gratiæ, Mater misericordiæ.

R. Tu nos ab. hoste protege, et hora mortis suscipe.

V. Illumina oculos meos, ne unquam obdormia in morte.

R. Ne quando dicat ihimicus meus, prævalui adversus eum.

V. Salva me ex ore leonis.

R. Et de manu canis unicam meam.

V. Salvum me fac in tua misericordia.

R. Domina, non confundar, quoniam invocavi te.

V. Ora pro nobis peccatoribus.

R. Nunc et in hora mortis nostra.

Amen.

V. – Domina exaudi orationem meam.

R. Et Clamor meus ad te veniat.

OREMUS.

Propter terrores illius commotionis, qua

cor tuum contremuit, Virgo Beatissima, quando

audisti Filium tuum dilectissimum ab

impiis captum, ligatum, et ad supplicia tractum

et traditum ; adjuva nos, ut cor nostrum

nunc pro delictis nostris terreatur et moveatur

ad poenitentiam, ne mortis in hora ad

occursum adversarii paveat, aut ad aspectum

tremendi Judicis, accusante conscientia,

contremiscat, sed potius faciem Ejus videntes

in jubilo delectemur, ineffabiliterque laete

mur. Preestante eodem Domino nostro Jesii

Christo Filio tuo, qui cum Patre, et Spirit!

Sancto vivit et regnat in saecula saeculo

rum. Amen.

V. Ora pro nobis Sancta Dei Genitrix.

R. Ut digni efficiamur promissionibus

Christi.

V. Requiescamus in pace. B. Amen.

Canticum S. Bonaventuræ, Te Matrem Dei laudamus, etc.

CANTICUM S. BONAVENTURAE.

Considerabis gloriosum transitum et Assumptionem B. M. V. eamque cum Angelis laudabis, orans, ut cum Jesu et S. Joseph tibi assistat in morte.

Te Matrem Dei laudamus:

Te Mariam Virginem profitemur.

Te Æterni Patris Filiam: omnis terra veneratur.

Tibi omnes Angeli, et Arcangeli: Tibi Throni, et Principatus fideliter deserviunt.

Tibi omnes Potestates, et omnes Virtutes Cœlorum: et universaæ Dominationes obediunt.

Tibi omnes Chori: Tibi Cherubim, et Seraphim exultantes assistunt.

Tibi omnis Angelica creatura: incessabili voce proclamat.

Sancta, Sancta, Sancta: Maria Dei Genitrix, et Mater, et Virgo.

Pleni sunt Coeli, et Terra: Majestatis gloriæ Fructus ventris Tui.

Te gloriosus Apostolorum Chorus: Sui

Creatoris Matrem collaudat.

Te Beatorum Martyrum cœtus Candidatus:

Christi Genetricem glorificat.

Te Gloriosus Confessorum exercitus Trinitatis

Templum appellat.

Te Sanctarum Virginum chorea amabilis:

Virginitatis, et humiliatis exemplum pradicat.

Te tota Cœlestis Curia: Reginam honorat.

Te per universum Orbem: Ecclesia invocando

concelebrat.

Matrem: Divinæ Majestatis.

Venerandam Te veram: Regis Cœlestis puerperam.

Sanctam quoque: dulcem et piam.

Tu Angelorum Domina: Tu Paradisi janua.

Tu Scala Regni Cœlestis et gloriæ.

Tu Thalamus: Tu Arca pietatis, et gratiæ.

Tu vena Misericordias: Tu Sponsa, et

Mater Regis æterni.

Tu templum, et Sacrarium Spiritus Sancti:

totius Beatissimæ Trinitatis nobile triclinium.

Tu mediatrix Dei, et hominum: amatrix

mortalium, Cœlestis illuminatrix.

Tu agonizatrix pugnantium, advocata pauperum:

miseratrix, et refugium peccatorum.

Tu erogatrix munerum; Superatrix, ac

Terror Demonum et superborum.

Tu mundi Domina, Cœli Regina: post

Deum sola Spes nostra.

Tu salus Te invocantium, Portus naufragrantium:

miserorum solatium, pereuntium refugium.

Tu Mater omnium Beatorum, Gaudium

Plenum post Deum: omnium supernorum

Civium Solatium.

Tu Promotrix justorum, Congregatrix errantium:

Promissio Patriarcharum.

Tu Veritas Prophetarum, Præconium, et

Doctrix Apostolorum: Magistra Evangelistarum.

Tu fortitudo Martyrum, Exemplar Confessorum:

Honor, et Festivitas Virginum.

Tu ad liberandum exulem hominem:

Filium Dei sucepisti in uterum.

Per Te, expugnato hoste antiquo: sunt

aperta fidelibus Regna Cœlorum.

Tu cum Filio Tuo sedes:

ad dexteram Patris.

Tu Ipsum pro nobis roga, Virgo Maria:

Quem nos ad judicandum credimus esse venturum.

Te ergo poscimus nobis Tuis famulis subveni:

qui pretioso Sanguine Filii Tui redempti

sumus.

Æterna fac, pia Virgo:

cum Sanctis Tuis nos gloria numerari.

Salvum fac populum Tuum, Domina: ut

simus participes hæreditatis Filii Tui.

Et rege nos: et custodi nos in æternum.

Per singulos dies: O Pia, Te salutamus.

Et laudare Te cupimus:

usque in æternum mente et voce.

Dignare, dulcis Maria: nunc, et semper

nos sine delicto conservare.

Miserere, Pia nobis: miserere nobis.

Fiat misericordia Tua magna nobiscum:

quia in Te, Virgo Maria, confidimus.

In Te, dulcis Maria, speramus:

nos defendas in Æternum.

Te decet laus, Te decet imperium: Tibi

virtus, et gloria in sæcula sæculorum. Amen.

PRECES AD USUM QUOTIDIANUM.

PRO DOMINICA.

Oratio S. Mariae Virgini ex D. Augustino deprompta.

Memorare, O piissima Virgo Maria, non

esse auditum a sæculo, quemquam ad Tua

currentem præsidia, Tua implorantem auxilia.

Tua petentem suffragia a Te esse derelictum,

Ego tali animatus confidentia ad Te, Virgo

Virginum Mater, curro, ad Te venio, coram

Te gemens precator assisto. Noli, Mater

Verbi, verba mea despicere; sed audi propitia,

et exaudi. Amen.

FERIA SECUNDA

Ad Plagas Jesu, petes Regnum Dei in te; et post mortem statim possidere Regnum Cælorum.

[Alle piaghe di Gesù, chiederai il regno di Dio in te, e dopo morte di possedere il Regno dei Cieli]

Præp. quotid. — Ave Maria.

V. Illumina oculos, ut supra.

Ant. 1: In manus Tuas.

SALMO XXX.

In Te, Domina, speravi, non confundar in

æternum: in gratia Tua suscipe me.

Inclina ad me aurem Tuam:

et in mœrore meo lætifica me.

Tu es fortitudo mea, et refugium meum:

consolatio mea, et protectio mea.

Ad Te Domina clamavi,

dum tribularetur cor meum:

et exaudisti me de vertice collium æternorum.

In manus Tuas, Domina, commendo spiritum meum:

totam vitam meam, et die ultimum meum.

Gloria, etc.

Ant.1: In manus Tuas, Domina, commendo spiritum meum; totam vitam meam, et diem ultimum meum.

Ant. 2 :Miserere mei.

PSALM. XXXVIII.

Dixi, custodiam vias meas, O Domina:

cum per Te gratia Christi fuerit mihi data.

Liquore Tuo liquefactum est cor meum:

amore Tuo inflammata sunt viscera mea.

Exaudi orationem meam, Domina,

et contabescant adversarii mei.

Miserere mei de Cœlis, et de altitudine throni Tui:

et ne permittas me in valle miseriæ conturbari.

Custodi pedem meum, ne labatur:

et in fine meo sit præsens gratia Tua.

Gloria, etc.

Ant. 2: Miserere mei de Cœlis, Domina, et

in fine meo sit præsens gratia Tua.

Ant. 3: Sanctæ preces.

PSALM. XLII.

Judica me, Domina, et discerne causam

meam de gente perversa: a Serpente maligno,

et dracone pestifero libera me.

Sancta fæconditas Tua disperdat eum:

beata Virginitas Tua conterat caput ejus.

Sanctas preces tuae corroborent nos contra eum:

sancta merita tua exinaniant virtutem ejus.

Persecutorem animre mere mitte in abyssuni:

puteus infernalis deglutiat eum viventem.

Ego autem, et anima mea in terra captivitatis

mere benedicam nomen Tuum: et glorificabo

Te in sæcula sæculorum.

Gloria, etc.

Ant. 3: Sanctæ preces Tuæ, Domina, corroborent me

contra persecutorem animæ meæ:

et in die mortis meæ a Serpente maligno

libera me.

Ant: 4: Ego autem, Domina.

PSALM. LIV.

Exaudi, Domina, orationem meam:

et ne contemnas deprecationem meam.

Contristatus sum in cogitatione mea: quia

judicia Dei perterruerunt me.

Tenebræ mortis venerunt super me:

et pavor inferni invasit me.

Ego autem in solitudine expecto consolationem Tuam:

et in cubili meo attendo misericordiam tuam.

Glorifica manum, et dexterum brachium

Tuum: ut posternatur a nobis inimici nostri.

Gloria, etc.

Ant. 4: Ego autem, Domina, attendo in cu

bili meo misericordiam Tuam; quia tenebra

mortis venerunt super me.

Ant. 5: Impetra nobis.

PSALM. LXIII.

Exaudi, Domina, orationem meam, cum deprecor:

a pavore crudeli libera animam meam.

Impetra nobis servulis tuis pacem et securitatem:  

in tremendo judicio.

Benedicta Tu super omnes mulieres:

et benedictus fructus ventris Tui.

Illumina Domina, oculos meos: et illustra

cœcitatem meam.

Da mihi in Te confidentiam bonam; et in

vita et in fine meo.

Gloria, etc.

Ant. 5: Impetra nobis, Domina, paceni et

salutem in die novissimo; et da mihi confidentiam

bonam in Te, in vita et in fine meo.

Preces, ut supra.

OREMUS.

Propter gemitus et lacrymas, quibus afficie baris, Virgo dulcissima, quando vidisti Filium tuum dulcissimum judici prasentari, acriter flagellari, variis illusionibus et opprobriis affici; impetra nobis dolorem pro peccatis nostris, et lacrymas salutiferas contritionis; et adjuva nos, ne nobis possit inimicus illudere, neque diversis pro libitu suo tentationibus flagellare, devictosque statuere terribli Judici; sed magis ipsi accusemus, et judicemus nos metipsos de excessibus nostris, et veræ pænitentiæ disciplinis flagellemus, ut veniam et gratiam in tempore necessitatis, tribulationis et angustiæ inveniamus. Præstante eodem Domino nostro Jesu Christo Filio Tuo, etc.

Amen.

V. Ora pro nobis Sancta Dei Genitrix.

R. Ut digni efficiamur promissionibus Christi.

V. Requiescamus in pace. R. Amen.

Canticum S. Bonaventuræ:

Te Matrem Dei laudamus, etc.

PRO FERIA II.

Oratio S. Francisci in Opuscul.fol. 29.

Absorbeat, quæso, Domine mentem meam

ab omnibus, quae sub Cœlo sunt, ignita, et

melliflua vis amoris Tui; ut amore amoris

Tui moriar, qui amore amoris mei dignatus

es mori. Per temetipsum Dei Filium; Qui

cum Patre, etc. Amen.

FERIA TERTIA

Præparibis te ad ultimam Confessionem; et ad plag. Jesu petes donum perfectæ contritionis, et semper faciendi Dei voluntatem.

Præp. quotid. — Ave Maria.

V. Illumina oculos, ut supra.

Ant. 1: Protegat me.

PSALM. LXVI.

Deus misereatur nostri et benedicat nobis:

per illam, quæ Eum genuit.

Miserere nostri, Domina, et ora pro nobis

in sanctam lastitiam converte mæstitiam nostram.

Illumina me, Stella maris: clarifica me

Virgo clarissima.

Extingue ardorem cordis mei:

refrigera me gratia Tua.

Protegat me semper gratia Tua: præsentia

Tua illustret finem meum.

Gloria, etc.

Ant. 1: Protegat me, Domina, gratia Tua semper;

et præsentia Tua illustret finem meum.

Ant. 2: Assiste, Domina.

PSALM. LXXII.

Quam bonus Israel Deus: his, qui Matrem Suam colunt et venerantur.

Ipsa enim est solatium nostrum: in laborious subventio optima.

Obtexit caligine animam meam hostis:

In visceribus meis, Domina, lucem fac oriri.

Avertatur a me ira Dei per Te : placa

Eum meritis, et precibus Tuis.

In Judicio pro me assiste : coram eo suscipe

causam meam, et mea, sis advocata.

Gloria, etc.

Ant. 2:  Assiste, Domina, pro me judicio:

coram Deo est advocata mea, et suscipe causam meam.

Ant. 3: Erige, Domina.

PSALM. LXXVI.

Vocem mea ad Dominam clamavi:

et sua gratia intendit mihi.

Abstulit a corde meo mæstitiam, et mœrorem:

et suavitate sua cor meum dulcoravit.

Formidinem meam erexit in confidentiam bonam:

et suo aspectu mellifluo mentem meam serenavit.

Adjutorio sancto Tuo evasi pericula mor

tis : et de manu crudeli subterfugi.

Gratias Deo, et Tibi, Mater pia, de omni

bus, quae assequutus sum: pietate, et Misericordia Tua.

Gloria, etc.

Ant. 3: Erige, Domina; formidinem meam in

confidentiam bonam: et fac, ut adjutorio

sancto Tuo evadam pericula mortis.

Ant. 4: Expergiscere.

PSALM. LXXIX.

Qui Regis Israel, intende ad me: fac me

digne Matrem Tuam collaudare.

Expergiscere de pulvere, anima mea: perge

in occursum Reginæ Cœli.

Solve vincula colli tui, paupercula anima

mea : et gloriosis laudibus accipc illam.

Odor vitae de ilia progreditur: et omnis

salus de corde illius scaturizat.

Charismatum Suorum fragrantia suavi: animæ

mortuæ suscitantur.

Gloria, etc.

Ant. 4: Expergiscere de pulvere, anima mea;

perge in occursum Reginæ Cœli.

Ant. 5: Ne derelinquas.

PSALM. LXXXIII.

Quam dilecta tabernacula Tua, Domina, virtutum:

quam amabilia tentoria requietionis Tuæ.

Honorate illam, peccatores: et impetrabit

vobis gratiam, et salutem.

Super thus, et balsamum, oratio ejus: incensum

preces Ejus non revertentur vacuæ, nec inanes.

Intercede pro me, Domina, apud Christum

Tuum: nec derelinquas me in vita,

neque in morte.

Benignus est enim spiritus Tuus: gratia

Tua replet orbem terrarum.

Gloria etc.

Ant. 5: Ne derelinquas me, Domina, in vita, neque in morte,

sed intercede pro me apud Christum Tuum.

Preces, ut supra.

OREMUS.

Propter angustias, et cruciatus, quos cor

Tuum sustinuit, Virgo Beatissima, quando

audisti Filium Tuum dilectissimum adjudicatum

morti et Crucis supplicio: succure nobis tempore infirmitatis nostræ,

quando corpus nostrum dolore infirmitatis cruciabitur;

et spiritus noster, hinc propter insidias dæmonum,

illinc propter terrorem districti judicii angustiabitur:

subveni, inquam, nobis, Domina, tunc, ne damnationis æternæ

contra nos proferatur sententia ; aut ne flammis gehennalibus

tradamur æternaliter cruciandi. Præstante

eodem Domino nostro Jesu Christo,

etc. Amen.

V. Ora pro nobis Sancta Dei Genitrix.

R. Ut digni efficiamur promissionibus Christi.

V. Requiescamus in pace. B. Amen.

Canticum S. Bonaventuræ,  Te Matrem Dei laudamus, etc.

PRO FERIA III.

Oratio S. Francisci in Offic. Passionis.

Sancta Maria Virgo, non est Tibi similis

nata in mundo in mulieribus, Filia, et Ancilla

Altissimi Regis Patris Ccelestis ; Mater Sanctissima

Domini nostri Jesu Christi, Sponsa

Spiritus Sancti ; or’a pro nobis cum S. Michæle

Arcangelo et omnibus Sanctis Tuum Sanctissimum

Filium dilectissimum Dominum

nostrum, et Magistrum. Amen.

FERIA QUARTA

Præparabis te ad SS. Viaticum; et ad Plagas Jesu petes hunc Panem quotidianum, nec non fidei, spei et charitatis avgmentum.

[Ti preparerai al SS. Viatico; ed alle piaghe di Gesù chiederai il pane quotidiano non senza un aumento di fede, speranza e carità]

Præp. quotid. — A te Maria.

V. Illumina oculos, ut supra

Ant. 1: Fac, Domina.

PSALM. LXXXVI

Fundamenta vitæ in anima justi: perseverare

in charitate Tua usque in finem.

Gratia Tua relevat pauperem in adversitate:

et invocatio Tui nominis imittit ei confidentiam bonam.

Miserationibus Tuis repletur Paradisus:

et a terrore Tuo hostis confunditur infernalis.

Qui sperat in Te, inveniet thesauros pacis:

et qui Te non invocat in hac vita

non perveniet ad Regnum Dei.

Fac, Domina, ut vivamus in gratia Spiritus Sancti:

et perduc animas nostras ad sanctum finem.

Gloria, etc.

Ant. 1: Fac, Domina, ut vivamus in gratia

Spiritus Sancti; et perduc animas nostras ad

sanctum finem.

Ant. 2: Gratiosus vultus.

PSALM. LXXXVIII

Misericordias Tua Domina: in sempiternum decantabo.

Unguento pietatis Tuæ medere contritis corde:

et oleo misericordiæ Tuæ refove dolores nostras.

Gratiosus vultus Tuus mihi appareat in ex

tremis: et formositas faciei Tua? lætificet

egredientem spiritum meum.

Excita spiritum meum ad amandum bonitatem

Tuam: excita mentam meam ad extollendam

nobilitatem, et pretiositatem Tuam.

Libera me ab omni tribulatione mala: et ab

omni peccato custodi animam meam.

Gloria.

Ant. 2: Gratiosus vultus Tuus mihi appareat

in extremis; et formositas faciei Tua: lætificet

egredientem spiritum meum.

Ant. 3: Qui speraverit.

PSALM. XC.

Qui habitat in adjutorio Matris Dei: in

protectione ipsius commorabitur.

Concursus hostis non nocebit ei:

sagitta volans non tanget eum.

Quoniam liberabit eum de laqueo insidiantis:

et sub pennis suis proteget eum.

Clamate ad illam in periculis vestris:

et flagellum non appropinquabit

tabernaculo vestro.

Fructus gratiæ inveniet, qui speravit in

Illa: porta Paradisi reserabitur ei.

Gloria, etc.

Ant. 3: Qui speraverit in Te, Domina, inveniet fructus gratiæ:

et porta Paradisi reserabitur ei.

Ant. 4: Suscipe.

PSALM. XCIV.

Venite exultemus Dominae nostræ: jubilemus

salutiferæ Mariæ Reginæ nostræ.

Praeocupemus faciem ejus in jubilatione:

et in canticis collaudemus Eam.

Venite adoremus, et procidamus ante Eam:

confiteamur Illi cum fletibus peccata nostra.

Impetra nobis, Domina, indulgentiam plenam

: assiste pro nobis ante Tribunal Dei.

Suscipe, Domina, in fine animas nostras:

et introduc nos in requiem æternam.

Gloria.

Ant. 4: Suscipe, Domina, in fine animas nos

tras ; et introduc nos in requiem feternam.

Ant. 5: Succurre.

PSALM. XCIX.

Jubilate Dominæ nostra, omnes homines

terræ: servite Illi in lætitia, et jucunditate.

In toto animo vestro accedite ad illam:

et in omni virtute vestra conservate vias ejus.

Investigate Illam, et manifestabitur vobis:

estote mundi corde, et apprehendetis Eam.

Quibus auxiliata fueris, Domina, erit refrigerium

pacis : et a quibus averteris vultum

Tuum, non erit spes ad salutem.

Recordare nostri, Domina; et non appre

hendent nos mala: succurre nobis in fine,

ut veniamus ad vitam æternam.

Gloria, etc.

Ant. 5: Succure nobis, Domina, in fine ; et

non apprehendent nos mala, sed inveniemus

vitam æternam.

Preces, ut supra.

OREMUS.

Propter doloris gladium, qui pertransivit

animam Tuam, Virgo dulcissima, quando Filium

Tuum dilectissimum cernebas nudum in

Cruce levatum, clavis perforatum; ac per om

nia laceratum, plagis ac verberibus, nec non

et vulneribus; adjuva nos, ut et cor nostrum

nunc compassionis et compunctionis gladius

per fodiat, divinique amoris lancea vulneret,           

ita ut omnis peccali sanguis effluat a pectore

nostro, et a noxiis vitiis emundemur, virtutum

indumentis decoremur, semperque mente ac

corpore de hac valle miserias levemur ad cœ

lestia, quo tandem cum promissus dies advenerit,

pervenire spiritu et corpore mereamur.

Praestante eodem Domino nostro Jesu Christo

Filio Tuo, etc. Amen.

V. Ora pro nobis Sancta Dei Genitrix.

R. Ut digni efficiamur promissionibus Christi.

V. Requiescamus in pace. R. Amen.

Canticum S. Bonaventuræ, Te Matrem Dei laudamus, etc.

PRO FERIA IV.

Oratio S. D. Bonaventurae in Psalt. B. M. V.

Omnipotens sempiterne Deus, qui pro no

bis de Castissima Virgine Maria nasci dignatus

es ; fac nos Tibi casto corpore servire et humili

mente placare. Qui vivis et regnas, etc.

Amen.

FERIA QUINTA.

Præparabis te ad Extremam Unctionem et Indulgentias; et ad Plagas Jesu petes remissionum omnium debitorum Tuorum, remittendo debitoribus tuis.

Præp. quotid. — Ave Maria.

V. Illumina oculos, ut supra.

Ant. 1: Conforta Domina.

PSALM. C.

Misericordiam, et judicium cantabo Tibi,

Domina: psallam Tibi in exultatione cordis

cum lætificaveris animam meam.

Laudabo Nomen Tuum, et gloriam Tuam:

et præstabis refrigerium animæ meæ.

Zelatus sum amorem, et honorem Tuum:

ideo defendas causam meam

ante Judicem Sæculorum.

Allectus sum gratia, et bonitate Tua: oro

ne frauder a spe, et confidentia bona.

Conforta animam meam in novissimis :

et in came ista fac me conspicere Salvatorem.

Gloria, etc.

Ant. 1: Conforta, Domina, animam meam in

novissimis: et defende causam meam ante

Judicem Sæculorum.

Ant. 2: Da, Domina.

PSALM. CIII

Benedic anima mea Virgini Mariæ: honor

et magnificentia Ejus in perpetuum.

Formositatem, et pulchritudinem induisti:

amicta es, Domina, fulgenti vestimento.

De Te procedit peccatorum medela: et

pacis disciplina ac fervor charitatis.

Imple nos servos Tuos virtutibus Sanctis:

et ira Dei non appropinquet nobis.

Jucunditatem æternam da servis Tuis: et

noli eos oblivisci in certamine mortis.

Gloria, etc.

Ant. 2: Da, Domina, servis Tuis jucundititem

aeternam, et noli eos oblivisci in certamine

mortis.

Ant. 3: Non expavescent.

PSALM. CX.

Confitebor Tibi, Domina, in toto animo

meo: glorificabo Te in tota mente mea.

Opera gratiæ Tuæ commemorabuntur: et

testamentum misericordiæ Tuæ

ante Thronum Dei.

Per Te missa est redemptio a Deo:

populus pœnitens habebit spem salutis.

Intellectus bonus omnibus honorantibus

Te : et sors illorum erit inter Angelos pads.

Gloriosum, et admirabile est Nomen Tuum

: qui illud in corde retinent,

non expavescent in puncto mortis.

Gloria, etc.

Ant. 3: Non expavescent, Domina, in punc

to mortis, qui invocant nomen Tuum: et

sors illorum erit inter Angelos pacis.

Ant. 4:  In exitu.

PSALM. CXIII.

In exitu animæ meæ de hoc mundo:

Occurre illi, Domina, et suscipe eam.

Consolare eam vultu sancto Tuo:

aspectus Dæmonis non conturbet illam.

Esto illi scala ad Regnum Cœlorum: et

iter rectum ad Paradisum Dei.

Impetra ei a Patre indulgentiam pacis; et

sedem lucis inter servos Dei.

Sustine devotos ante Tribunal Christi:

suscipe causam eorum in manibus Tuis.

Gloria, etc.

Ant. 4: In exitu animæ meæ de hoc mundo:

occurre illi, Domina, et suscipe eam.

Ant. 5: Circumdederunt.

PSALM. CXIV

Dilexi Matrem Dei Domini mei: et lux

miserationum Ejus infblsit mihi.

Circumdederunt me dolores mortis:

et visitation Mariæ lætificavit me.

Dolorem et periculum incurri: et recreatus

sum gratia Illius.

Nomen Ejus, et memoriale Illius

sit in medio cordis nostri:

et non nocebit nobis ictus malignantis.

Convertere, anima mea, in laudem ipsius :

et invenies refrigerium in novissimis Tuis.

Gloria, etc.

Ant. 5: Circumdederunt me dolores mortis;

et visitatio Mariæ lætificavit me.

Preces ut supra.

OREMUS.

Propter gravamen, et tormentum quo torquebatur

spiritus Tuus, Virgo sanctissima,

quando juxta Crucem Filium Tuum præ doloribus

voce magna clamantem, Te Matrem

dilectam Joanni commendantem, in manusque

Dei Patris spiritum tradentem attendebas:

succurre nobis in fine vitæ nostræ, et maxime

tunc, quando lingua nostra nequiverit se ad

Te invocandem movere; cum oculi nostri lumine

privabuntur, aures surdescent et obturabuntur,

omnesque vires sensuum nostrorum

deficient. Memento, piisima Domina, tunc,

quod nunc fundimus preces ad aures Tuae

pietatis et clementiæ; et subveni nobis in

ilia hora extremæ necessitatis, ac Filio Tuo

dilectissimo commenda spiritum nostrum, per

Quem Tuo interventu a tormentis, et terroribus

omnibus eruamur, et ad desideratam Cœlestis

patriae requiem perducamur. Præstante

eodem Domino nostro Jesu Christo Filio

Tuo, etc. Amen.

V. Ora pro nobis Sancta Dei Genitrix.

R. Ut digni efficiamur promissionibus

Christi.

V. Requiescamus in pace. R. Amen.

Canticum S. Bonaventuræ, Te Matrem Dei laudamus, etc.

PRO FERIA V.

Alia Oratio ejusdem S. D. in eodem loco.

Oramus etiam Te, piissima Virgo Maria,

mundi Regina, et Angelorum Domina, ut iis,

quos in Purgatorio ignis examinat, impetres

refrigerium, peccatoribus indulgentiam, et

justis perseverantiam in bono: nos quoque

fragiles ab omnibus instantibus defende periculis.

Per Christum, etc. Amen.

FERIA SEXTA

Praeparabis te ad commendationem animæ; et ad Plagas Jesu petes semper vigilare et orare, ut vincas omnes tentationes et bonam mortem consequaris.

[Ti preparerai a commendare l’anima; ed alle piaghe di Gesù chiederai di vigilare e pregare sempre per vincere ogni tentazione e conseguire la buona morte]

Præp. quotid. — Ave Mabia.

V. Illumina oculos, ut supra.

Ant. 1: In die mortis.

PSALM. CXIX.

Ad Dominam cum tribularer, clamavi;

et exaudivit me.

Domina, libera nos ab omni malo:

cunctis diebus vitæ nostræ.

Contere caput inimicorum nostrorum:

pede insuperabilis virtutis Tux.

Ut exultavit spiritus Tuus in Deo salutari Tuo:

sic veram digneris infundere

lætitiam corde meo.

Ad Dominum accede rogatura pro nobis:

ut per Te nostra peccata deleantur.

Gloria, etc.

Ant. 1: In die mortis nostras infunde nobis

Domina, veram laetitiam: sicut exultavit

spiritus Tuus in Deo salutari Tuo.

Ant. 2: Impetra nobis.

PSALM. CXXI.

Lætatus sum in Te, Regina Cœli: quia

Te duce, in domum Domini ibimus.

Hierusalem Cælestis civitas: ad Te, Maria

previa, veniamus.

Pacem, et indulgentiam, Virgo, nobis impetra:

et palmam de hostibus ac triumphum.

Conforta, et consolare cor nostrum;

Tuæ dulcedine pietatis.

Sic Domina nobis Tuam infunde clementiam:

ut devote in Domino moriamur.

Gloria, etc.

Ant. 2: Impetra nobis, Domina, pacem, et

indulgentiam, ut devote in Domino moriamur.

Ant. 3: Releva, Domina.

Qui confidunt in Te, Mater Dei:

non timebunt a facie inimici.

Gaudete et exultate omnes, qui diligitis

eam: quia adjuvabit vos in die tribulationis

vestræ.

Reminiscere miserationum Tuarum Domina:

et releva peregrinationem incolatus nostri.

Convene amabilem vultum Tuum super

nos : confunde, et destrue omnes inimicos

nostras.

Benedicta sint omnia opera manum Tuarum,

Domina: benedicta sint omnia sancta

miracula Tua. Gloria, etc.

Ant. 3: Releva, Domina, peregrinationem in

colatus nostri; et adjuva nos

in die tribulationis.

Ant. 4: Fac, Domina.

PSALM. CXXVIII.

Sæpe expugnaverunt me a juventute mea

inimici mei: libera me Domina,

et vindica me ab ipsis.

Ne des illis potestatem in animam meam:

custodi omnia interiora, et exteriora mea.

Obtine nobis veniam peccatorum: et per

Te Sancti Spiritus gratia nobis detur.

Fac nos digne et laudabilliter pcenitere:

ut beato fine ad Deum veniamus.

Placatum tunc, et serenissimum: nobis

ostende gloriosum fructum ventris Tui. Gloria,

Ant. 4: Fac Domina, ut beato fine ad Deum

veniamus; et ostende nobis tunc placatum

gloriosum fructum ventris Tui.

Ant. 5. Deduc me.

PSALM. CXXIX.

De profundis clamavi ad Te Domina:

Domina, exaudi vocem meam.

Fiant aures Tuæ intendentes: in vocem

laudis, et glorificationis Tuæ.

Libera me de manu adversariorum meorum:

confunde ingenia, et conatus eorum

contra me.

Erue me in die mala: et in die mortis ne

obliviscaris animæ meæ.

Deduc me ad portum salutis: et inter

justos scribatur nomen meum.

Gloria, etc.

Ant. 5: Deduc me, Domina, ad portum salutis:

et in die mortis Tie obliviscaris animae

meæ.

Preces, ut supra.

OREMUS.

Propter planctum acerbi ejulatus,

quem profundo pectoris fonte

manantem abscondere non valebas,

Virgo castissima, quando (ut pie creditur)

in amplexus ruebas exanimum

corpus Filii Tui de cruce depositum, cujus

genas ante nitentes, et ora rutilantia mortis

conspiciebas perfundi palloribus, ipsumque

totum concussum cemebas lividum livoribus,

ac concisum vulnere super vulnus; auxilliare

nobis, ut nunc sic nostra plangamus facinora,

et emplastris pœnitentia peccatorum curemus

vulnera, ut dum corpus nostrum morte deformatur,

nostra tunc utilet anima candore innocentiæ;

quatenus digni simus frui mellifluis

osculis, constringamurque amorosis amplexibus

super omnia dulcissimi Filii Tui Domini

nostri Jesu Christi; qui cum Patre, et Spiritu

Sancto vivit, etc. Amen.

V. Ora pro nobis Sancta Dei Genitrix.

R. Ut digni efficiamur promissionibus

Christi.

V. Requiescamus in pace. R. Amen.

Canticum S. Bonaventuræ, Te Matrem Dei laudamus, etc.

PRO FERIA VI.

Oratio ex Devotionario B. V.

O Domina mea Sancta Maria, me in

Tuam benedictam fidem, ac singularem custodiam,

et in sinum misericordias Tuae hodie et

quotidie, et hora exitus mei, animam meam

et corpus meum Tibi commendo, omnem

spem meam, et consolationem meam, omnes

angustias et miserias meas, vitam et finem vitæ meæ

Tibi committo: ut per Tuam sanctissimam

intercessionem et per Tua merita,

omnia mea dirigantur, et disponantur opera

secundum Tuam, Tuique Filii voluntatem.

Amen.

SABBATO.

Prœparabis te ad Judicium et Præmium servi boni et fidelis; et ad Plagas Jesu propones taliter vivere usque ad mortem, ac petes esse liber a malo omnis peccati et perditionis æternæ.

Praep. quotid. — Ave Maria.

V. Illumina oculos, ut supra.

Ant. 1 Conforta nos.

PSALM. CXXX

Domina non est exaltatum cor meum: ne

que sublimati sunt oculi mei.

Benedixit Te Dominus in virtute Sua:

qui per Te ad nihilum redegit inimicus nostras.

Benedictus sit qui Te a peccato originali

præservavit: et mundam de Matris utero Te

produxit.

Benedictus sit qui Te obumbravit:

et sua gratia Te fæcundavit.

Benedic nos, Domina, et conforta nos in

gratia Tua: ut per Te ante conspectum

Domini præsentemur.

Gloria, etc.

Ant. 1:  Conforta nos, Domina, indie mortis,

ut per Te ante conspectum Domini præsentemur.

Ant. 2: Respiremus.

PSALM. CXXXIV

Laudate nomen Domini: benedicite nomen

Mariæ Matris Ejus.

Mariæ precamina frequentate:

et suscita

bit vobis voluptates sempiternas.

In anima contrita veniamus ad illam : et

non stimulabit nos cupiditas peccati.

Qui cogitat de Ilia in tranquillitate mentis :

inveniet dulcorem, et requiem pacis.

Respiremus ad Illam in omni actione nostra:

et reserabit nobis atria triumphantium.

Gloria, etc.

Ant. 2: Respiremus ad Mariam in die mortis nostra:

et reserabit nobis atria triumphantium.

Ant. 3: In quacumque.

PSALM. CXXXVII

Confitebor Tibi, Domina, in toto corde meo:

quia per Te expertus sum clementiam Jesu Christi.

Audi, Domina, verba mea, et preces meas:

et in conspectu Angelorum cantabo Tibi

laudes.

In quacumque die invocavero Te, exaudi

me: et multiplica virtutem in anima mea.

Confiteantur Tibi omnes tribus, et linguæ:

quia per Te salus restituta est nobis.

Ab omni perturbatione libera servos Tuos:

et fac eos vivere sub pace, et protection Tua.

Gloria, etc.

Ant. 3: In quacumque die invocavero Te,

Domina, exaudi me; et multiplica

virtutem in anima mea.

Ant. 4: Hostis meus.

PSALM. CXLI.

Voce mea ad Dominam clamavi: Ipsamque

humiliter deprecatus sum.

Effudi in conspectu Ejus lacrymam meam:

dolorem meum Ipsi exposui.

Insidiatur hostis calcaneo meo:

Extendit contra me rete suum.

Adjuva me, Domina, ne corruam coram eo:

fac ut conteratur sub pedibus meis.

Educ de carcere animam meam, et confiteatur

Tibi: et psallat Deo forti in perpetuum.

Gloria, etc.

Ant. 4: Hostis meus insidiatur calcaneo meo :

adjuva me Domina, ne corruam coram eo.

Ant. 5:  Cum exierit.

PSALM. CXLV.

Lauda, anima mea, Dominam: glorificabo

Eam quamdiu vixero.

Nolite cessare a laudibus ejus: et per

singula momenta recogitate Illam.

Cum exierit spiritus meus, Domina,

sit Tibi commendatus: et in terra ignota

præsta illi ducatum.

Non conturbent eum culpæ prius commissi:

nec inquietent ipsum concursus malignantis.

Perduc eum ad portum salutarem: ibi

præstoletur secure adventum Redemptoris.

Gloria, etc.

Ant. 5: Cum exierit, Domina, spiritus meus,

sit Tibi commendatus, et in terra ignota præsta

illi ducatum.

Preces ut supra.

OREMUS.

Propter singultus, et suspira, indicibiliaque

lamenta, quibus affligebantur intima Tua,

Virgo Gloriosissima, quando Filium Tuum

Unigenitum animæ Tuæ solatium Tibi sublatum

et sepultum videbas: ad nos exules filios Evæ

ad Te clamantes,  et suspirantes in hac

valle lacrymarum illos Tuos misericordes oculos

converte, et Jesum benedictum fructum

ventris Tui nobis post hoc exilium ostende,

Tuisque suffragantibus meritis, Ecclesiasticis

fac Sacramentis muniri, et fine beato consumari,

et æterno Judici tandem misericorditer

presentari. Prestante eodem Domino nostra

Jesu Christo Filio Tuo, qui cum Patre, etc.

Amen.

V. Ora pro nobis Sancta Dei Genitrix.

R. Ut digni efficiamur promissionibus

Christi.

V. Requiescamus in pace. R. Amen.

CANTICUM S. BONAVENTURÆ

Considerabis gloriosum transitum et Assumptionem B. M. V. eamque cum Angelis laudabis, orans, ut cum Jesu et S. Joseph tibi assistat in morte.

Te Matrem Dei laudamus: Te Mariam

Virginem profitemur.

Te Æterni Patris Filiam: omnis terra veneratur.

Tibi omnes Angeli, et Arcangeli: Tibi

Throni, et Principatus fideliter deserviunt.

Tibi omnes Potestates, et omnes Virtutes

Cœlorum: et universal Dominationes obediunt.

Tibi omnes Chori: Tibi Cherubim, et

Seraphim exultantes assistunt.

Tibi omnis Angelica creatura: incessabili

voce proclamat.

Sancta, Sancta, Sancta : Maria Dei Genitrix,

et Mater, et Virgo.

Pleni sunt Coeli, et Terra: Majestatis

gloriae Fructus ventris Tui.

Te gloriosus Apostolorum Chorus: Sui

Creatoris Matrem collaudat.

Te Beatorum Martyrum ccetus Candidatus:

Christi Genetricem glorificat.

Te Gloriosus Confessorum exercitus Trinitatis

Templum appellat.

Te Sanctarum Virginum chorea amabilis:

Virginitatis, et humiliatis exemplum pradicat.

Te tota Cœlestis Curia: Reginam honorat.

Te per universum Orbem:

Ixclesia invocando concelebrat.

Matrem: Divinæ Majestatis.

Venerandam Te veram:

Regis Cœlestis puerperam.

Sanctam quoque: dulcem et piam.

Tu Angelorum Domina: Tu Paradisi janua.

Tu Scala Regni Cœlestis et gloriæ.

Tu Thalamus: Tu Arca pietatis, et gratiæ.

Tu vena Misericordiæ: Tu Sponsa, et

Mater Regis æterni.

Tu templum, et Sacrarium Spiritus Sancti:

totius Beatissimae Trinitatis nobile triclinium.

Tu mediatrix Dei, et hominum: amatrix

mortalium, Cœlestis illuminatrix.

Tu agonizatrix pugnantium, advocata pauperum

: miseratrix, et refugium peccatorum.

Tu erogatrix munerum; Superatrix, ac

Terror Demonum et superborum.

Tu mundi Domina, Cœli Regina: post

Deum sola Spes nostra.

Tu salus Te invocantium,

Portus naufragrantium:

miserorum solatium, pereuntiumrefugium.

Tu Mater omnium Beatorum, Gaudium

Plenum post Deum: omnium supernorum

Civium Solatium.

Tu Promotrix justorum, Congregatrix errantium:

Promissio Patriarcharum.

Tu Veritas Prophetarum, Praeconium, et

Doctrix Apostolorum: Magistra Evangelistarum.

Tu fortitudo Martyrum,Exemplar Confessorum:

Honor, et Festivitas Virginum.

Tu ad liberandum exulem hominem: Filium

Dei sucepisti in uterum.

Per Te, expugnato hoste antiquo: sunt

aperta fidelibus Regna Cœlorum.

Tu cum Filio Tuo sedes: ad dexteram

Patris.

Tu Ipsum pro nobis roga, Virgo Maria:

Quem nos ad judicandum credimus esse venturum.

Te ergo poscimus nobis Tuis famulis subveni:

qui pretioso Sanguine Filii Tui

redempti sumus.

Æterna fac, pia Virgo: cum Sanctis Tuis

nos gloria numerari.

Salvum fac populum Tuum, Domina: ut

simus participes hæreditatis Filii Tui.

Et rege nos: et custodi nos in æternum.

Per singulos dies: O Pia, Te salutamus.

Et laudare Te cupimus: usque in æternum

mente et voce.

Dignare, dulcis Maria: nunc, et semper

nos sine delicto conservare.

Miserere, Pia nobis: miserere nobis.

Fiat misericordia Tua magna nobiscum:

quia in Te, Virgo Maria, confidimus.

In Te, dulcis Maria, speramus: nos defendas

in Æternum.

Te decet laus, Te decet imperium: Tibi

virtus, et gloria in sæcula sæculorum. Amen.

PRO SABBATO.

Oratio ex eodem Officio.

O Maria Dei Genitrix, et Virgo gratiosa,

omnium desolatorum ad Te clamantium consolatrix

vera, per illud magnum gaudium, quo

consolata es, quando cognovisti Dominum

Jesum die tertia a mortuis impassibilem resurrexisse;

sis consolatrix animae meae, et

apud eundem Tuum, et Dei natum Unigenitum

in die novissimo, quando cum anima et

corpore ero resurrecturus, et de singulis meis

factis rationem redditurus, medigneris juvare,

ut perpetuae damnationis sententiam per Te,

pia Mater et Virgo, valeam evadere, et cum

electis Dei omnibus ad eeterna gaudia feliciter

pervenire. Amen.

* * *

ORATIO S. AUGUSTINI.

Domine Jesu Christe, qui pro redemptione

mundi nasci voluisti, circumcidi, a Judaeis reprobari,

a Juda traditore osculo tradi, vinculis

alligari, sicut agnus innocens ad victimam

duci, atque conspectibus Annas, Caiphæ, Pilati

et Herodis indecenter offerri; a falsis testibus

accusari, flagellis et opprobriis vexari, sputis

conspui. spinis coronorari, colaphis credi,

arundine percuti facie velari, vestibus exui,

Cruci clavis affigi, in Cruce levari, inter latrones

deputari, felle, et aceto potari, et lancea

vulnari. Tu Domine, per has sanctisssmas

poenas Tuas, quas ego indignus recolo, et per

sanctam Crucem, et mortem Tuam, libera

me et omnes animas pretioso Sanguine Tuo

redemptas a poenis inferni: et omnes perducere

digneris quo perduxisti Latronem Tecum

crucifixum. Qui cum Patre, spiritu et Sancto

vivis, et regnas in sæcula sæculorum.

Amen.

Centum dies indulgentiæ quotiescumque sequens oratio

jaculatoria corde contrito devote recitabitur.

Dulcissimum Cor Mariæ sis mihi salus.

Benedicta sit Sancta et Immaculata Conceptio

Beatæ Mariæ Virginis.

V. In Conceptione Tua, Virgo Maria

Immaculata es.

R. Ora pro nobis Deum, cujus Filium

Jesum, conceptum de Spiritu Saneto genuisti.

Ad B. V. Mariam gladio doloris transfixam.

Scribe, Domina, Vulnera Tua in cor meum,

ut in eis legam dolorem et amorem; dolorem

ad sustinendum pro Te omnem dolorem;

amorem ad contendum pro Te omnem

amorem.

Ante SS. Communionem vel pro Communione Spirituali.

O Jesu vivens in Maria

Veni et vive in Famulo Tuo

In spiritus Sanctitatis Tuæ

In plenitudine Virtutis Tuus

In perfectione Viarium Tuarum

Tu veritate Virtutum Tuarum

In communione Mysteriorum Tuorum

Dominare omni adversae potestati in Spiritu

Tuo ad gloriam Patris. Amen.

Post SS. Eucharistiam, e diur. Sac. Ord. Præd.

O Serenissima et Inclyta Mater Domini

nostri Jesu Christi, Virgo Maria, Regina

Mundi, qui eundem creatorem omnium creaturarum

Tuo sanctissimo utero fuisti digna

portare, cujus idem Sacratissimum corpus ct

sanguinem sumpsi, ad ipsum pro me, misero

peccatori intercedere digneris ut quidquid in

hoc ineffabili Sacramento, ignoranter negligenter,

irreverenter et accidentaliter, omisso

vel commisso Tuis precibus sanctissimis milii

indulgere dignetur; Qui vivit et regnat in

sæcula sæculorum. Amen.

Pretiuncula Orationem claudens.

Suscipe, clementissime Deus precibus et

meritis Beatre Marias semper Virginis, et

omnium Sanctorum, officiura servitutis nostras,

et si quid dignum laude egimus, propitius

respice et quod negligenter actum est, clementer

ignosce, qui in Trinitate et unitate

perfecta vivis et regnas in sæcula.

V. Nos cum prole pia,

R. Benedicat Virgo Maria.

Fiant Domine ut complaceant eloquia mea

et meditatio cordis mei in conspectu Tuo semper.

Et Fidelium animæ, per misericordiam Dei

requiescant in pace. Amen.

22 Agosto: FESTA DEL CUORE IMMACOLATO DELLA VERGINE MARIA MADRE DI DIO (2020)

FESTA DEL CUORE IMMACOLATO DELLA VERGINE MARIA (2020)

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

 Hebr IV: 16.
Adeámus cum fidúcia ad thronum grátiæ, ut misericórdiam consequámur, et grátiam inveniámus in auxílio opportúno.
[Accostiamoci al trono delle grazie con piena e sicura fiducia, per avere misericordia e trovare grazia che ci soccorrano al tempo opportuno]

XLIV: 2
Eructávit cor meum verbum bonum: dico ego ópera mea regi.
Adeámus cum fidúcia ad thronum grátiæ, ut misericórdiam consequámur, et grátiam inveniámus in auxílio opportúno.

[Vibra nel mio cuore un ispirato pensiero, mentre al Sovrano canto il mio poema].

Adeámus cum fidúcia ad thronum grátiæ, ut misericórdiam consequámur, et grátiam inveniámus in auxílio opportúno.

[Accostiamoci al trono delle grazie con piena e sicura fiducia, per avere misericordia e trovare grazia che ci soccorrano al tempo opportuno]

Oratio

Orémus.

Omnípotens sempitérne Deus, qui in Corde beátæ Maríæ Vírginis dignum Spíritus Sancti habitáculum præparásti: concéde propítius; ut ejúsdem immaculáti Cordis festivitátem devóta mente recoléntes, secúndum cor tuum vívere valeámus.

[O Dio onnipotente ed eterno, che nel cuore della beata Vergine Maria hai preparato una degna dimora allo Spirito Santo: concedi a noi di celebrare con spirito devoto la festa del suo cuore immacolato e di vivere come piace al tuo cuore].

Lectio

Léctio libri Sapiéntiæ.
Eccli 24:23-31
Ego quasi vitis fructificávi suavitátem odóris: et flores mei, fructus honóris et honestátis. Ego mater pulchræ dilectiónis, et timóris, et agnitiónis, et sanctæ spei. In me grátia omnis viæ et veritátis: in me omnis spes vitæ, et virtútis. Transíte ad me omnes qui concupíscitis me, et a generatiónibus meis implémini. Spíritus enim meus super mel dulcis, et heréditas mea super mel et favum. Memória mea in generatiónes sæculórum. Qui edunt me, adhuc esúrient: et qui bibunt me, adhuc sítient. Qui audit me, non confundétur: et qui operántur in me, non peccábunt. Qui elúcidant me, vitam ætérnam habébunt.
[Come una vite, io produssi pàmpini di odore soave, e i miei fiori diedero frutti di gloria e di ricchezza. Io sono la madre del bell’amore, del timore, della conoscenza e della santa speranza. In me si trova ogni grazia di dottrina e di verità, in me ogni speranza di vita e di virtù. Venite a me, voi tutti che mi desiderate, e dei miei frutti saziatevi. Poiché il mio spirito è più dolce del miele, e la mia eredità più dolce di un favo di miele. Il mio ricordo rimarrà per volger di secoli. Chi mangia di me, avrà ancor fame; chi beve di me, avrà ancor sete. Chi mi ascolta, non patirà vergogna; chi agisce con me, non peccherà; chi mi fa conoscere, avrà la vita eterna].

Graduale

Ps XII: 6
Exsultábit cor meum in salutári tuo: cantábo Dómino, qui bona tríbuit mihi: et psallam nómini Dómini altíssimi.

[Il mio cuore esulta nella tua salvezza. Canterò al Signore perché mi ha beneficato,Inneggerò al nome del Signore, l’Altissimo.]

Ps XLIV: 18
Mémores erunt nóminis tui in omni generatióne et generatiónem: proptérea pópuli confitebúntur tibi in ætérnum. Allelúja, allelúja.

[Ricorderanno il tuo nome di generazione in generazione, e i popoli ti loderanno nei secoli per sempre. Alleluia, alleluia].

Luc 1:46; 1:47

Magníficat ánima mea Dóminum: et exsultávit spíritus meus in Deo salutári meo. Allelúja.

[L’anima mia magnifica il Signore, e si allieta il mio spirito in Dio, mio Salvatore. Alleluia].

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Joánnem.
Joann XIX: 25-27
In illo témpore: Stabant juxta crucem Jesu mater ejus, et soror matris ejus María Cléophæ, et María Magdaléne. Cum vidísset ergo Jesus matrem, et discípulum stantem, quem diligébat, dicit matri suæ: Múlier, ecce fílius tuus. Deinde dicit discípulo: Ecce mater tua. Et ex illa hora accépit eam discípulus in sua.

[In quel tempo, stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa, e Maria Maddalena. Gesù, dunque, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che amava, disse a sua madre: «Donna, ecco tuo figlio». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre». E da quell’ora il discepolo la prese con sé.]

OMELIA

[P. V. STOCCHI, S. J.: “DISCORSI SACRI”, Tipogr. Befani, ROMA, 1884]

DISCORSO XXIV.

SANTISSIMO CUORE DI MARIA

Qui me invenerit, inveniet vitam.

PROV. VIII, 35.

Fino da quando da chi mi tiene il luogo di Dio mi fu posto sopra le spalle il carico alla natura poco soave, di predicare la parola di Dio in tanta iniquità di tempi, il mio cuore e i miei occhi si conversero subito alla stella benedetta del mare, alla Madre immacolata di Dio e Madre nostra Maria, e posi incontanente le mie povere fatiche sotto gli auspici e sotto il patrocinio di Lei, alla quale fino dagli anni primi della mia vita ho dedicato tutte le cose mie e me medesimo. Da Lei madre di grazia, di luce, di fortezza e di verità sperai forza e vigore, da Lei grazia e virtù, da Lei efficacia e dono per condurre le anime a Gesù Cristo, da Lei insomma ogni cosa, e se nulla hanno operato le povere mie fatiche, se qualche frutto ha secondato il sudore e il travaglio della parola di Dio seminata da me, tutto il inerito è stato sempre di Maria della quale la misericordia e il patrocinio e nel corpo e nell’anima tocco tutto giorno con mano. Essendo così, è naturale che io ardentemente desideri di fare alcuna cosa che sia cara a questa Vergine gloriosa per attestarle la mia gratitudine; e fra le altre è mio costume di argomentarmi di tirare a Lei i cuori di tutti persuadendo a tutti che trovata Maria, troveranno la vita conforme a quello: qui me invenerit inveniet vitam. E per riuscire in questo intento soavissimo io ho per costume di non lasciare che trascorra alcun corso di predicazione, nella quale io abbia parte, senza favellare del Cuore benedetto di Maria, additandolo a tutti come porto unico e soavissimo di pace, di sicurezza, di misericordia. Tale io ho trovato il Cuore di Maria per me, tale l’ho sempre mostrato agli altri, tale a voi, se mi udirete, lo mostrerò stamattina signori miei. Vi parlerò del cuore di Maria pianamente e devotamente, quanto mi sarà possibile, cercando di innamorarne tutti e specialmente i poveri tribolati, gli afflitti e i peccatori, e beato me se riuscirò nell’intento. Innamorarsi del Cuore di Maria è come far suo quel Cuore benedetto; chi ha fatto suo il cuore di chi che sia è padrone di tutto l’uomo. E che bramerà di vantaggio chi abbia fatto suo il Cuor di Maria?

1. È cosa che si ripete ogni giorno nella santa Chiesa cattolica, e che mille volte ridetta torna sempre gradita come se nuova fosse al popolo cristiano, che nulla è più amabile più soave più salutare del pensiero, del nome, della memoria della Madre di Dio. Maria! Basta pronunziare questo nome perché palpiti ogni cuore, perché sorrida ogni labbro, perché ogni tristezza si dilegui, perché ogni petto si riempia di giubilo. Come, se dando luogo i nembi, la stella del mattino scintilla tremula nell’azzurro del firmamento, o come se dopo la pioggia si colori tra le nubi la variopinta gloria dell’iride, così dice Bernardo, tra le tenebre di questa terra sgombrano le nuvole, riede il sereno, chetano i turbini e fiorisce la pace, quando s’invoca Maria: Maria nella quale tutto innamora, il nome, il grado, la grazia, la gloria, la dignità. Tutto questo è verissimo e io mi glorio di predicarlo, né tacerò le glorie e le misericordie di tanta Madre, finché il cuore nel petto mi palpita, e si snoda alla parola la lingua. Con tutto ciò dilettissimi dopo avere detto Maria, provatevi a dire Cuore di Maria, voi sentite subito di avere detto qualche cosa di più caro, di più tenero, di più soave che dicendo semplicemente Maria. Accade a noi o Madre benedetta quando menzioniamo il tuo Cuore quello che ci accade quando menzioniamo il Cuore del tuo Figliuolo. Io dico Gesù, e il nome di Gesù è miele alle labbra, melodia alle orecchie, giubilo al cuore, ma se dopo avere detto Gesù passo innanzi e dico Cuore di Gesù, sento l’anima mia essere percossa di affetti insoliti verso il mio Redentore e me ne rendo questa ragione. Quando io dico Gesù, mi si rappresenta al pensiero nella pienezza della sua magnificenza della sua potestà il Verbo incarnato. Lo vedo quindi non solamente uomo ma Dio, non solamente amico e fratello, ma Pontefice e Re, non solamente Padre ma Giudice. Non così quando dico Cuore di Gesù. Il cuore è simbolo dell’amore, è sede dell’amore, è organo dell’amore. Chi dice Cuore dice amore, chi vede il cuore vede l’amore, e quando nomino il Cuore di Gesù, sparisce il giudice, il re, l’onnipotente a cui ogni ginocchio si curva in Cielo ed in terra, e vedo solo l’amante delle anime, il Pastor buono, il vero padre ed amico dell’uman genere morto in croce per me. E anche in questo o Madre benedetta voi vi rassomigliate al vostro Figliuolo. Io dico Maria, e nominandovi vedo Voi tutta quanta. Non vedo solamente la più amabile e misericordiosa creatura che abbia fatto il Signore, ma vedo ancora la augusta Regina della terra e del Cielo, l’innalzata al consorzio della Trinità sacrosanta, la piena e soprappiena di santità. E allora sento di amarvi, ma all’amore si mesce la riverenza, e per alta ammirazione la mia fronte si curva davanti a Voi. Eppure noi abbiamo bisogno di accostarci a Maria con fidanza filiale. E però passiamo avanti e diciamo Cuore di Maria. Ed ecco alla menzione del cuore sparisce la grande, la Regina, la sublime, la tutta santa, e altro più non vediamo fuorché la Madre piena di misericordia e di amore. Vengono quindi al dolce richiamo del tuo cuore vengono gli uomini al tuo cospetto o Maria e ti raccontano i loro dolori e ti partecipano le gioie, ti svelano le proprie miserie e ti chiedono le tue ricchezze, i nostri peccati, i nostri peccati medesimi non ci sgomentano vedendo il tuo cuore, e scoprendoli a te, sentiamo rilevarsi l’anima e speriamo la misericordia e il perdono. E questo è il motivo perché in questi miseri tempi Maria ha svelato straordinariamente il suo cuore. Ha voluto alla nostra generazione pervertita dalla empietà offrire un’esca dolcissima e un porto di salute e di pace. E gli uomini hanno inteso quest’arte di amore, e veduto il Cuor di Maria come trovato avessero un centro di attrazione invincibile, a quello sono corsi e in quello hanno trovato vita, salute, grazia, ogni bene: e più facile sarebbe contare le stelle del cielo e le arene del mare che le misericordie e le grazie d’ ogni maniera, che la devozione al suo cuore ha espugnato a Maria. No, quando si fa capo al suo cuore, Maria non resiste.

2. Ma entriamo alquanto più addentro e scandagliamo la ragione intima di tanta forza di attraimento che esercita sugli uomini il Cuore benedetto di Maria e la troveremo, per cosi dire, naturale nell’ordine soprannaturale della grazia. Mi aiuti Maria Perché il concetto della mente esprima adeguatamente la lingua. Uno degli spettacoli più misteriosi e più teneri che la natura appresenti è l’amore dei figliuoli verso la madre, e viceversa l’amore della madre verso i figliuoli. Ferì questo spettacolo la mente e gli occhi del divino Crisostomo, e lo espresse con viva eloquenza così. Mostra a un pargoletto lattante ancora e ignaro di tutto una regina coronata di gemme e vestita di oro dall’una parte, dall’altra mostragli la sua madre avvolta nei cenci e coperta di povertà e di squallore e vedrai. Nulla intende quel piccioletto nulla conosce, ma con tutto ciò non cura la regina, la sprezza, la sdegna, la risospinge, ma non così colla madre. Si ravviva tutto vedendola, brilla, sorride, e protendendo verso di essa con l’animo la persona, si scaglia e quasi si avventa per abbracciarla. Che è mai questa attrattiva, questo impeto e questa foga che rapisce quell’animo inconsapevole verso la madre? Che sia, non domandare che io non lo so, so che è cosa verissima e potentissima ed è un senso, un istinto ideato dalla mente divina e dalla divina mano inserito nell’anima, che stabilisce, corrobora, illeggiadrisce le relazioni naturali tra figlio e madre, tra madre e figlio. Essendo così, qual luogo tiene Maria nell’ordine mirabile della redenzione e della grazia? Tiene il luogo di madre. Mirabil cosa. Gesù Cristo è venuto in terra per stabilire tra gli uomini una famiglia collegata coi vincoli dell’amore e della fede, la quale in terra si inizi, e si consumi e perfezioni nel Cielo. In questa famiglia è un Padre ed è Pio, un primogenito ed è Gesù Cristo, fratelli moltissimi di ogni popolo, d’ogni tribù, di ogni lingua. Ma alla buona economia della casa è richiesto che ogni famiglia abbia una madre, che divida col padre l’autorità, che vegli con occhio amoroso la prole, e sopraintenda agli uffici più intimi e più delicati di casa. Ora Dio non ha voluto che a questa gran famiglia della sua Chiesa una madre mancasse, ed ottima di tutte le madri le ha dato Maria. E Madre la saluta la Chiesa, e il vocabolo col quale ogni Cristiano appella Maria è il dolce nome di Madre. Né questa è squisitezza o esagerazione mistica, ma verissima dottrina cattolica: e i Padri di tutti i secoli con consenso pienissimo insegnano che come Gesù Cristo è il nuovo Adamo miglior dell’antico, capo del genere umano rigenerato, così è Maria l’Eva novella madre per grazia di tutti quelli che Gesù Cristo rigenerò alla salute; e sono celebri i paralleli che tra Eva e Maria tessono Ireneo, Epifanio, Agostino e Bernardo. Voleva quindi ogni ragione che come nell’ordine della natura Dio inserisce nei figli un attraimento arcano verso la madre per cui anche il pargoletto inconsapevole la discerne tra mille e a lei corre e in lei si abbandona; cosi nell’ordine della grazia un affetto arcano, una propensione quasi istintiva fosse inserita verso Maria. E questo affetto questa propensione lo Spirito Santo medesimo inserisce nei petti cristiani sino da allora che nel santo Battesimo muoiono all’antico Adamo e rinascono al nuovo Adamo che è Gesù Cristo. In quelle acque sacrosante nelle quali veniamo rigenerati, insieme colla grazia santificante e cogli abiti delle virtù soprannaturali che ci si infondono, ci si infonde ancora l’abito dell’amore a Maria. E per negare che questo affetto ce lo troviamo quasi inserito nel cuore bisogna chiudere gli occhi alla luce, bisogna negare quello che ci dice ragionando altamente nel nostro cuore l’intimo senso. Pigliare quel pargoletto e quella pargoletta che pendono ancora dal seno materno, mostrate loro la immagine di Maria. Vedrete un’arcana simpatia, una tenerezza, una propensione, un attraimento di quell’anima innocente verso la benedetta fra le donne. Insegnategli a giungere le tenere mani e a balbettare con labbro infantile Maria, e vedrete con quanta facilità con quanto diletto quel dolce nome si stampa in quella memoria e in quel cuore, e dal cuore viene sul labbro, e sarete costretti a dire che lo Spirito Santo diffuso nei loro cuori generi questo affetto, generato lo nutrisca, nutrito lo perfeziona. Quindi è che questo affetto, se il peccato e l’iniquità non lo spengono, insieme colla fede cresce cogli anni e ci appresenta quello spettacolo che tutto giorno e agli altri porgiamo noi stessi, e noi stessi ammiriamo negli altri. Se ci stringe un pericolo, chi invochiamo per soccorso? Maria. Se ci rallegra insolazione chi ringraziamo per gratitudine? Maria. Se un ci preme, chi invochiamo per refrigerio? Maria. Se ci assedia una necessità a chi ci volgiamo per sovvenimento? A Maria. Si vede, o si vede e si tocca con mano in questa gran famiglia cristiana quello che si vede in ogni ben composta famiglia, e come in quella in ogni necessità, in ogni pena, in ogni consolazione, i figli fanno capo alla madre e tratti quasi da una dolce necessità ne la chiamano a parte; così anche in questa. E come nella famiglia un figlio che non ama la madre, che la disconosce e le fa villania si ha in conto di mostro snaturato e maledetto dagli uomini e da Dio; così fra i Cristiani quelli che non amano, che non curano, che hanno alieno e avverso l’animo da Maria, sono pochi perché sono mostri, e i mostri non sono mai un gran numero. Anche fra i Cristiani di vita prodigata e perduta troverete di rado alcuno che non serbi nel petto qualche scintilla di amore a Maria, e questo è pegno di salute e ancora di misericordia, e basta perché non se ne debba disperare la conversione. Ma se qualcuno se ne trova o Dio guai a lui; fa orrore, mette spavento appunto come un mostro, e fra i segni di riprovazione non ce n’è alcuno che sia più terribile di una non so quale alienazione e avversione di animo da Maria. Questa avversione questo allenamento si è sempre visto negli eresiarchi più atroci e più empì, e Lutero diceva, siccome è noto, tutta l’anima mia si ribella e non posso patire in pace che mi si dica che la mia speranza è Maria. Infelice, cui il demonio invasava il petto del veleno e dell’odio che lo consuma contro la sua nemica. Quest’odio vediamo rinnovellato ai dì nostri nei settari che si sono venduti alle congreghe d’inferno, e fanno guerra a Maria ne bestemmiano il nome, ne distruggono il culto e le immagini, anime reprobe e destinate all’inferno. Da questi infuori regna in tutti i cuori cattolici l’amore, la tenerezza e una propensione filiale verso Maria. Ma che dico solo tra i Cattolici? Domandate donde trae suo principio la conversione degli eretici alla Chiesa Cattolica e sentirete che il primo passo fu un pio affetto che sentirono nascersi in petto verso Maria. Interrogate il missionario che si aggira per le barbare spiagge dell’Australia e della Polinesia come fa ad attrarre a sé quei barbari e di bestie farli uomini e di uomini Cristiani? Sotto un padiglione di verzura adorna di veli e di fiori che dà il paese, campeggia una cara immagine di Maria. Il selvaggio dal folto dei macchioni e dal cupo degli antri dove si intana vede quella cara sembianza e si accosta, e attonito domanda chi sia quella matrona sì augusta e sì amabile? Ode che è la Madre di Dio, e tirato e vinto quasi da catena amorosa dal nome di Maria è condotto a Gesù Cristo e alla Chiesa. Non vi faccia meraviglia. L’anima, disse sapientemente Tertulliano, è naturalmente cristiana, e avendo col Cristianesimo proporzione sì grande, non può non avere propensione naturale verso chi è la Madre di Gesù Cristo e del Cristianesimo, delle membra e del capo. Ma se Maria è la Madre universale andate al suo cuore. La madre più che altro si governa col cuore, e se volete espugnarla ragionate poco e date opera di guadagnarle il cuore: guadagnato il cuore è già vinta. Maria è madre andiamo al suo cuore, preghiamola pel suo cuore, espugniamo il suo cuore: la impresa è facile, ed otterremo ogni cosa.

3. Ma Dio tanto amore ha infuso e propensioni affettuose così mirabili nel cuore del popolo cristiano verso Maria, avrà poi lasciato imperfetta l’opera sua, e non avrà acceso una fiamma di amore corrispondente nel cuore di tanta Madre? Voi intendete bene che questa mia domanda significa questo. Se ci ama Maria, e il nostro cuore ha risposto a quest’ora, se ci ama Maria? E non è il medesimo dire Maria e dire la più tenera e amorosa di tutte le madri? Le opere di Dio sono perfette nell’ordine della natura, ma nell’ordine della grazia sono perfette infinitamente di più. Ora la natura con la sua mano innesta nel petto dei figli l’amore verso la madre, ma nel cuore delle madri inserisce un amore molto più veemente molto più tenero, molto più sviscerato e costante. Vedrete quindi moltissimi figli disamorati delle loro madri, ma madri che non amino i figli le troverete rarissime, e appena qualcuna che vi metterà come snaturata sdegno e ribrezzo. Ora volendo Dio dare in Maria al mondo una madre, inserì nel cuore degli uomini un grande amore di Lei, ma nel cuore di Lei accese verso di noi un amore che non ha paragone altro che coll’amore che per noi arde nel cuore di Gesù. E per questo affetto cominciò il signore l’opera sua fino da quando questa futura Madre di Dio e degli uomini fu concetta, e le collocò in petto un cuore somigliante a quello che da Lei preso avrebbe Gesù, perché Maria, dice sapientemente S. Efrem Siro, è un’opera fatta solamente pel Verbo incarnato, di forma tale che se il Verbo non si fosse dovuto incarnare Maria non sarebbe stata nel mondo introdotta. A questo cuore poi lavorato apposta per amare gli uomini, Gesù medesimo che creato lo aveva, dette colla sua mano stessa la perfezione e la tempera, e lo empié del suo amore medesimo e lo scaldò della sua medesima fiamma. E chi ne può dubitare? Gesù prese carne dei sangui purissimi sgorgati dal Cuore di Maria, Gesù albergò nove mesi nel santuario verginale dell’utero di Maria, e quei due cuori palpitarono di un medesimo palpito e vissero di una medesima vita. Che faceva quei nove mesi che tenne compresso il claustro delle viscere materne, che faceva dico, il Cuore di Gesù? Ardeva di amore smisurato ed ineffabile verso i figliuoli degli uomini. Come dunque non doveva accendere il cuore di Maria del suo medesimo ardore e temperarlo alla fucina delle fiamme che consumavano il suo? Ma che sarà stato poi durante quei trentatré anni che Ella dimorò con Gesù pellegrina celeste sopra la terra? Ci dice il Vangelo che questa Verginella prudente teneva sempre gli occhi in quel modello divino e tutto esaminava notava tutto, e quello che Gesù faceva e quel che diceva, e le comunicazioni mirabili col Padre, e le predilezioni verso i figliuoli degli uomini, e le propensioni, e i desideri e gli affetti, e nulla le sfuggiva e faceva tesoro di tutto, e tutto conservava dentro al suo cuore e tutto ponderava, tutto pensava, tutto seco medesima conferiva con diligenza celeste. Conservabat omnia verba hæc in corde suo. (Luc. II, 51) Avete udito? Teneva assiduamente il suo cuore alla scuola del Cuore di Gesù e lo formava su quel modello divino con sollecitudine tenera, gelosa, assidua, squisita. Conservàbat omnia verba hæc in corde suo. E che altro da quel Cuore poteva imparare il tuocuore o Maria fuor che ad amare quantunque immeritevoli, quantunqueingrati i figliuoli degli uomini? Ma che fa mestieri procedereper argomenti a mostrare l’amore di Maria verso gli uomini?Basta aver occhi per vedere com’Ella tutti mirabilmenteforniscegli uffici di ottima madre. A che prove conoscete se unamadre ama veramente i figliuoli? Alle opere. Vedete non vive altroche per la sua famiglia, altro non cerca, di altro non si briga,non pensa ad altro. Ora in ogni famiglia ben ordinata, chi guardibene vedrà che essendoci una madre e un padre sono tra questoquasi domestico magistrato compartiti gli uffici. L’autorità paterna èun’autorità grave e robusta, la materna, amorosa e soave,il padre sopraintende ai negozi che escono fuori delle pareti domestiche,e regola le relazioni esterne della famiglia, la madre èuna autorità casalinga a cui appartengono le cure tenui ed interne.Alle cure grandi e rilevanti attende il padre, la madre dàopera alle incombenze minute. Però la madre si tiene davanti damane a sera la sua famigliuola e vede tutto, tutto procura, nullale sfugge. Al modo medesimo passano le cose in questa gran famigliadella Chiesa, dice Bernardo. Ci è Dio nostro padre e GesùCristo nostro fratello e da loro scende ogni bone. Ma ci è ancheuna madre a cui appartiene il governo e l’economia domestica di questa famiglia ed essa è Maria. Si tiene Ella però davantitutti i figli della santa Chiesa Cattolica, e tutti ci vede, ci conoscetutti, tutti ci custodisca, tutti ci veglia, vede tutte le nostronecessità, indaga i bisogni e atutti e pensa e provvede. E questopovero figlio è peccatore, è peccatrice questa povera figlia: equesto è tribolato, quest’altra èafflitta: e quale è infermo e qualein pericolo: a questo tende insidie il demonio, quest’altro ilmondo lusinga: questa sta per cedere a un seduttore, quell’altroincatenano i lacci di una occasione: vede Maria vede, il cuorematerno incenerisce, l’amore la sollecita e non ha pace. Si volgeal Figlio, si appresenta al trono della Trinità sacrosanta, e supplicae implora a questo la conversione, la salute a quell’altro,a chi la forza e la grazia, a chi la speranza, a chi la consolazione,a chi lo scampo e la vita, a chi la vittoria contro il malignoin vita e in morte. Però è sempre attorno pel Paradiso, ei santi Padri leggiadramente la chiamano del Paradiso la faccendiera.però come nella famiglia i figlioletti chiamano più la madre che i l padre, così nella Chiesa cattolica si chiama Maria continuamente,Maria Maria. Non udite? Maria si grida dal mare seminaccia procella, e se l’onda è tranquilla le si insegna a salutarla stella del mare: Maria si invoca dalla terra o volgono prosperie felici i successi o corrono torbidi e avversi. Dai letti deldolore si chiama Maria, nelle angustie e nelle distrette Maria s’invoca.Ed Ella? Ed Ella come colei che tota suavis est ac plena misericordiae, che tutta è soave e piena di misericordia, omnibus sese exorabilem, dice Bernardo, omnibus clementissimam præbet, omnium necessitatibus amplissimo quodam miseratur affectu. Con quel suo cuore buono, largo, benfatto, generoso, benefico,a tutti si porge esorabile, clementissima a tutti, e conamplissimo affetto s’intenerisce alle necessità di tutti. Però ognitempio, ogni lido, ogni terra, ogni spiaggia è piena dei monumentie dei voti che attestano, che cuore sia quello di Maria, equei monumeni e quei voti gridano in loro linguaggio, Maria haun cuore grande, tenero, gentile, benefico: chi fa capo a quelcuore non patisce ripulsa: omnium necessitatibus amplissimo quodam miseratur affectu.

4. E perché Maria fosse tale Dio volle esercitare e perfezionare col dolore il cuor suo immacolato, verginale, santissimo, innocentissimo. Avrete sentito dire che Maria dal momento che divenne Madre di Dio divenne madre ancor di dolore, e portò sempre infitta nel mezzo al cuore una spada. È verissimo e cosi fu, e così conveniva che fosse. Perché osservate. Una madre buona e degna di questo nome ama tutti egualmente i figliuoli suoi: non ha parzialità per nessuno: sono tutti frutti delle sue viscere, li ama tutti ad un modo. Ma se tra i figli alcuno ne sia pel quale sperimenti più tenerezza qual’è ? È quello per cui ha molto patito. Il cuore di ogni madre è fatto così, il dolore patito genera amore, e il figliuolo delle lacrime e del dolore è il figliuolo prediletto. Essendo così, Dio che ci ha dato per figli a Maria, e ha costituito Lei nostra madre perché tutti ci avesse in grado di prediletti ha voluto che tutti fossimo per Lei figli di dolore. Già fin da quando aperse le sue viscere al Verbo di Dio intese che quel figliuolo destinato ad essere vittima del genere umano sarebbe per lei figliuolo di lacrime: ma lo intese anche meglio poco di poi. Aveva appena da quaranta giorni partorito Gesù e madre fortunata e incomparabile portava al tempio il frutto delle sue viscere, quando torbido e rabbuffato le si fece incontro un vegliardo per nome Simeone e presole di tra le braccia il bambino, questo bambolo, esclamò, è posto in ruina e in resurrezione di molti, e in bersaglio di contradizione: e tu donna preparati perché per conto di Lui una spada ti trapasserà il cuore da parte a parte. Intese allora Maria tutto il mistero e capi che quel figlio all’età di trentatré anni le morirebbe crocifisso. Povero cuore da quel giorno in poi non ebbe più lieta un’ora, e come Gesù dal presepio al calvario ebbe sempre nel cuore la croce, così tu o Maria avesti sempre nel cuore la spada. Cresceva Gesù, crescendo in età sempre diveniva più vezzoso, più giocondo, più bello, lo irraggiava la sapienza, lo infiorava la grazia, Dio e gli uomini si compiacevano in esso, le spose e le madri di Sion ti predicavano beata, e tu tacevi: ma chi ti avesse letto nel cuore avrebbe letto le parole della desolata Noemi: non mi chiamate felice ma amara perché il Signore mi ha ripiena di amaritudine: e il significato di queste parole si sarebbe inteso quel giorno che ti sarebbe conferito il grado di madre degli uomini. Orsù dilettissimi, rispondete: quando e dove Maria veramente ci partorì e diventò madre noi? Nel gran giorno del dolore là sul Calvario. Stabat iuxta crucem Iesu Mater Eius. (Ioan. XIX, 25.) Pendeva Gesù dalla croce sanguinolento olocausto: ai piedi della croce stava Maria. Presso Maria, rappresentante nostro, stava Giovanni. Maria trambasciava di dolore, Gesù la vide, e additandole Giovanni le disse: ecco il tuo figliuolo, e a Giovanni: ecco la madre tua. Allora divenne Maria madre nostra, e in Giovanni tutti quanti ci accettò per figliuoli, e Gesù consumò l’opera gettandole in petto una parte di quella fiamma che nel suo Cuore allora ardeva per noi. Coraggio o carissimi, coraggio: Maria ci ama, siamo suoi figli e non figli in qualunque modo, ma figli del suo dolore, e però prediletti, e quando ci vede ricordandosi quel che ha patito s’intenerisce, il suo cuore non regge più e dimentica tutto e solo sente le voci dell’amore. Tutta la terra è piena delle misericordie di Maria verso i figliuoli degli uomini che si cantano in ogni lingua, si magnificano da ogni labbro. Come mai in tal Regina tanto amore verso una generazione scortese, ingrata, villana? Non vi stupite gli uomini sono figliuoli del suo dolore. Nessuno dunque abbia temenza di accostarsi a Maria. Ogni temenza sarebbe irragionevole. Andate pure e sappiate che quando un figliuolo la supplica, il cuor suo non resiste. Guardatela ha il cuore in mano e par che vi dica son io sì, son io, son vostra madre, accostatevi e vedrete che cuore è questo.

5. E però è che la anta Chiesa tutti invita, tutti sprona a rifuggire al Cuor di Maria: ma di preferenza appresenta quel cuore ai peccatori, che pei peccatori sembra che sia aperto principalmente in questi tempi novissimi, onde la devozione al Cuore di Maria è ordinata principalmente alla conversione dei peccatori. Intendo, intendo. Datemi una madre tenera, sviscerata quanto volete dei suoi figliuoli, datemela a vostro talento imparziale verso tutti i frutti delle sue viscere, vedrete con tutto ciò, che se uno dei suoi figliuoli o le cade infermo e il morbo si aggrava, o geme prigioniero, o vaga tribolato e ramingo sembra che questa madre muti natura. Non sembra più imparziale né eguale con tutti i figli: sembra invece che dimentichi tutti gli altri, che non li curi: tutte le sollecitudini sembrano essere pel figliuolo che tribola e che patisce, sembra che in lui si concentri tutto l’affetto. La vedete quindi o assisa di dì e di notte alla sponda del letto molcere le angosce e alleviare i dolori del caro infermo: o sollecita di sapere le novelle del prigioniero diletto, e dell’amato ramingo, di altro non favella se parla, ad altro non pensa se tace, non ode volentieri che si parli di altri fuorché di loro. Sono tribolati, hanno ragioni sovrane sul cuor materno. Ora chi sono in questa gran famiglia che Dio ha dato a Maria i poveri peccatori? Sono figli prigionieri, sono figli raminghi, son figli infermi. Infermi della pessima malattia del peccato, raminghi ed esuli dalla casa del Padre, prigionieri del diavolo già condannati all’inferno. Li vede Maria e ne sa la miseria incomparabile, e il suo Cuore materno si strugge e si consuma di dolore e di amore. Poveri figli non sanno quello che fanno, sono ciechi, sono travolti da infelicissimo errore: si perdono e non intendono il loro male. Ah! il Cuor di Maria non ha pace, grida mercé al suo Figlio, li cerca, li scuote, li sollecita, li invita, li alletta, e con tenere voci da mane a sera li chiama, e poiché non ascoltano si volge ai figli fedeli, e voi, dice, voi aiutatemi, se mi amate, aggiungete la vostra voce alla mia, e uniti insieme riconduciamo al Padre questi profughi sconsigliati e cari. Peccatori, sentite a quando a quando quelle voci al cuore, quelle grida della coscienza lacerata, quegli impeti, quegli impulsi a tornare al Padre? Sono le voci di Maria che vi chiama, ah! se avete cuore umano nel petto consolate il dolore e rasserenate il cuore di questa Madre. Su rispondete, parlate. Quem fructum habuistis in quibus nunc erubescitis? (Rom. VI, 21) Vi è messo conto a partirvi dalla casa del Padre? A mettervi per le vie tribolate dell’iniquità? A cambiare il giogo di Gesù colla catena del diavolo? O cari anni della vostra innocenza! O giorni felici della coscienza serena! Allora passavano i dì tranquilli, allora correvano placide e dolci le notti, allora guardavate il cielo con lieto sembiante, allora invocavate con dolce affetto i nomi di Gesù e Maria, il presente era giocondo, non vi atterriva il futuro, la pace del cuore si dipingeva nell’occhio sereno e nel volto. E ora? E ora non ci è più pace. Torbidi i giorni, tetre le notti, la coscienza s’indraga siccome un serpe, pochi momenti di briaca voluttà e poi tempesta e fremito nel cuore, e il tumulto e la rabbia del cuore vi si dipinge negli occhi torvi, nel volto arroncigliato, nelle parole rabbiose, nei modi protervi. Su dunque sorgete, poveri assetati di pace, tornate al Padre. Ma vi manca la lena, il giogo del peccato vi grava verso la terra, vi stringe i piedi la catena inveterata di satana. Ecco vi si apre in buon punto il Cuor di Maria. Alzate gli occhi: guardate quella benedetta sembianza, contemplate quegli occhi, quel cuore, quel dolce atto d’invito e poi non confidate se vi riesce. O sì, sì confidiamo, confidiamo tutti o Maria. Il tuo nome infonde fiducia, rincuora la tua sembianza, ma se contempliamo il tuo Cuore, forza è che ci diamo per vinti, perché esercita un’attrattiva che ci trascina. Trahe nosdunque trahe nos Maria. Mostraci mostraci cotesto Cuore. In odorerm curremus unguentorum, (Cant. IV, 10) correremo all’odore dei tuoi profumi, e riconciliati con Dio e salvi con Te e per Te, cominceremo nel Tempo e continueremo nella eternità a cantare o clemens, o dulcis, Virgo Maria.

CREDO…

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/12/il-credo/

Offertorium

Orémus
Luc. 1: 46; 1: 49
Exsultávit spíritus meus in Deo salutári meo; quia fecit mihi magna qui potens est, et sanctum nomen ejus.

[L’anima mia esulta perché Dio è mio Salvatore, perché il Potente ha operato per me grandi cose e il Nome di Lui è Santo.]

Secreta

Majestáti tuæ, Dómine, Agnum immaculátum offeréntes, quǽsumus: ut corda nostra ignis ille divínus accéndat, cui Cor beátæ Maríæ Vírginis ineffabíliter inflammávit.

[Offrendo alla tua maestà l’Agnello immacolato, noi ti preghiamo, o Signore: accenda i nostri cuori quel fuoco divino che ha infiammato misteriosamente il cuore della beata Vergine Maria.]

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/comunione-spirituale/

Communio

Joann XIX: 27
Dixit Jesus matri suæ: Múlier, ecce fílius tuus: deinde dixit discípulo: Ecce mater tua. Et ex illa hora accépit eam discípulus in sua.

[Gesù disse a sua Madre: «Donna, ecco il Figlio tuo». Poi al discepolo disse: «Ecco la Madre tua». E da quell’ora il discepolo la prese con sé.]

Postcommunio

Orémus.
Divínis refécti munéribus te, Dómine, supplíciter exorámus: ut beátæ Maríæ Vírginis intercessióne, cujus immaculáti Cordis solémnia venerándo égimus, a præséntibus perículis liberáti, ætérnæ vitæ gáudia consequámur.

[Nutriti dai doni divini, ti supplichiamo, o Signore, a noi che abbiamo celebrato devotamente la festa del suo Cuore Immacolato, concedi, per l’intercessione della beata Vergine Maria: di essere liberati dai pericoli di questa vita e di ottenere la gioia della vita eterna.]

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/preghiere-leonine-dopo-la-messa/

https://www.exsurgatdeus.org/2018/09/14/ringraziamento-dopo-la-comunione-2/

https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/

FESTA DI MARIA REGINA (2020)

FESTA DI MARIA REGINA (2020)

Rerum suprémo in vértice
Regína, Virgo, sísteris,
Exuberánter ómnium
Ditáta pulchritúdine.

Princeps opus formósior
Verbo creánti prǽnites,
Prædestináta Fílium,
Qui prótulit te, gígnere.

Ut Christus alta ab árbore
Rex purpurátus sánguine,
Sic passiónis párticeps,
Tu Mater es vivéntium.

Tantis decóra láudibus,
Ad nos ovántes réspice,
Tibíque sume grátulans
Quod fúndimus præcónium.

Jesu, tibi sit glória,
Qui natus es de Vírgine,
Cum Patre et almo Spíritu
In sempitérna sǽcula.
Amen.

[Vergine Regina: sei collocata
al vertice della creazione
e dotata d’una bellezza che supera
la bellezza di tutte le creature.

Opera somma, sei la più bella
ed amabile al Verbo creatore,
predestinata ad esser madre
di quel Figlio che ti creò.

Come Cristo, dall’alto della Croce,
fu vero re nella sua porpora insanguinata,
così tu, partecipe della passione di lui,
sei madre di tutti i viventi.

Splendida per così grandi titoli di onore,
guarda a noi che ti esaltiamo:
accetta l’inno di lode
che t’innalziamo per lodarti.

Sia gloria a te, o Gesù,
che sei nato dalla Vergine;
con il Padre e lo Spirito Santo
per tutti i secoli.
Amen.]

De libro Ecclesiástici

Sir XXIV: 5-11; 14-16; 24-30


5 Ego ex ore Altíssimi prodívi, primogénita ante omnem creatúram:
6 Ego feci in cælis ut orirétur lumen indefíciens, et sicut nébula texi omnem terram:
7 Ego in altíssimis habitávi et thronus meus in colúmna nubis.
8 Gyrum cæli circuívi sola, et profúndum abýssi penetrávi, in flúctibus maris ambulávi,
9 Et in omni terra steti: et in omni pópulo,
10 Et in omni gente primátum hábui:
11 Et ómnium excelléntium et humílium corda virtúte calcávi: et in his ómnibus réquiem quæsívi, et in hereditáte Dómini morábor.

14 Ab inítio, et ante sǽcula creáta sum, et usque ad futúrum sǽculum non désinam, et in habitatióne sancta coram ipso ministrávi.
15 Et sic in Sion firmáta sum, et in civitáte sanctificáta simíliter requiévi, et in Jerúsalem potéstas mea.
16 Et radicávi in pópulo honorificáto, et in parte Dei mei heréditas illíus, et in plenitúdine sanctórum deténtio mea.

 24 Ego mater pulchræ dilectiónis, et timóris, et agnitiónis, et sanctæ spei.
25 In me grátia omnis viæ et veritátis: in me omnis spes vitæ et virtútis.
26 Transíte ad me, omnes qui concupíscitis me, et a generatiónibus meis implémini;
27 Spíritus enim meus super mel dulcis, et heréditas mea super mel et favum.
28 Memória mea in generatiónes sæculórum.
29 Qui edunt me, adhuc esúrient, et qui bibunt me, adhuc sítient.
30 Qui audit me non confundétur, et qui operántur in me non peccábunt: qui elúcidant me, vitam ætérnam habébunt.

[5 Io sono uscita dalla bocca dell’Altissimo, primogenita di tutta la creazione.
6 Io ho fatto sorgere nel cielo una luce indefettibile e come vapore ho coperto tutta la terra.
7 Ho posto la mia tenda in alto: il mio trono è sopra una colonna di nube.
8 Io sola ho percorso la volta del cielo, sono penetrata nelle profondità dell’abisso, ho camminato sui flutti del mare
9 E su tutta la terra: ho preso dominio su ogni popolo
10 E gente:
11 Ho soggiogato, con la mia forza, il capo dei potenti e degli umili; e in tutti questi ho cercato riposo, e mi fermerò nei domini del Signore.

14 Mi creò prima del tempo, dal principio; né tramonterò mai più. Davanti a lui servivo nella sua tenda.
15 E perciò ho preso dimora stabile in Sion, e mi fermai nella città amata; io comando su Gerusalemme.
16 Affondai le radici presso un popolo glorioso, nella porzione del Signore, nella sua eredità.]

24 Io sono la madre del vero amore, del timore e della scienza e della santa speranza.
25 In me è ogni grazia di via e di verità, in me ogni speranza di vita e di virtù.
26 Venite a me, o voi tutti che mi desiderate, e saziatevi dei miei frutti.
27 Perché il pensare a me è dolce più del miele, e il possedermi più del miele e del favo:
28 La mia memoria si perpetuerà nelle successioni dei secoli.
29 Quelli che mi mangiano avranno ancora fame e quelli che mi bevono avranno ancora sete.
30 Chi mi ascolta non avrà da arrossire, e quelli che operano per me non peccheranno. Quelli che mi esaltano, avranno la vita eterna.]

Sermone di s. Pier Canisio presbitero

Su Maria Madre di Dio Vergine incomparabile, lib. 15, c. 13

Seguendo san Giovanni Damasceno, sant’Atanasio e altri, perché non dobbiamo chiamare regina la vergine Maria, quando nelle Scritture sono esaltati il suo antenato David come famoso re e il Figlio suo come re dei re e signore dei dominanti, per l’eternità? Inoltre Maria è regina se la si unisce con coloro che, quasi come re, posseggono il regno dei cieli, assieme con Cristo, il re eterno: infatti essi sono eredi assieme a Gesù e siedono sul suo stesso trono, per usare una frase della Scrittura. Maria è regina non inferiore a nessun altro; anzi, è levata talmente al di sopra degli angeli e degli uomini, che nessuno può essere più alto e più santo di lei: infatti solo lei ha un figlio comune con il Padre. Al di sopra di sé vede solo il Padre e il Figlio, e al di sotto di sé ogni altra creatura.

Il grande sant’Atanasio disse con acutezza: «Maria deve esser ritenuta realmente non solo Madre di Dio, ma anche regina e signora, poiché quel Cristo che nacque da questa vergine Madre, è lui stesso Dio, signore e re». Si può attribuire a questa regina quello che si legge nei salmi: «Alla tua destra si è assisa la regina, vestita in laminato d’oro». Inoltre Maria è regina non soltanto del cielo, ma pure dei cieli, essendo la madre del re degli angeli, e l’amica e la sposa del re dei cieli. O Maria, nobile regina e madre fedele, nessuno ti implora senza essere aiutato e tutti ti siamo riconoscenti per le tue grazie: ti prego e ti supplico con insistenza e con rispetto, di accettare e di approvare questa manifestazione della mia devozione, di tener conto della mia offerta, non badando alla sua consistenza, ma alla mia buona volontà, e di raccomandarmi al tuo Figlio onnipotente.

Dalla Lettera enciclica del papa Pio XII

Enciclica Ad caeli Reginam, 11 Ottobre 1954

Dai monumenti dell’antichità cristiana, dalle preghiere liturgiche, dall’innata devozione del popolo cristiano, dalle opere d’arte, da ogni parte abbiamo potuto raccogliere espressioni ed accenti, secondo i quali la vergine Madre di Dio consta primeggiare per la sua dignità regale; ed abbiamo anche provato come le ragioni che la sacra teologia ha dedotto dal tesoro della fede, confermino pienamente questa verità. Di tali testimonianze riportate si forma un concerto, la cui eco risuona larghissimamente per celebrare il sommo fastigio della regale dignità della Madre di Dio e degli uomini, che è al di sopra di ogni cosa creata, e che è stata «innalzata sopra i cori degli angeli, ai regni celesti». Essendoci poi fatta la convinzione, dopo mature e ponderate riflessioni, che verranno grandi vantaggi alla Chiesa, se questa verità, solidamente dimostrata, risplenderà più evidente davanti a tutti – quasi lucerna più luminosa posta sul suo candelabro – con la nostra autorità apostolica, decretiamo e istituiamo la festa di Maria Regina, da celebrarsi in tutto il mondo il giorno 31 maggio di ogni anno.

Omelia di s. Bonaventura vescovo

Sermone sulla regia dignità della Beata Maria Vergine

La beata vergine Maria è diventata madre del sommo Re mediante una maternità del tutto singolare, secondo quanto si sentì dire dall’angelo: «Ecco, concepirai e darai alla luce un figlio»; e inoltre: «Il Signore gli darà il trono di David suo padre, e regnerà sulla casa di Giacobbe in eterno e il suo regno non avrà fine». È come se dicesse apertamente: Concepirai e darai alla luce un figlio che è re, che eternamente abita sul suo trono regale, e per questo tu regnerai come madre del Re, e come Regina siederai tu pure sul trono regale. Se infatti è giusto che il figlio onori la madre, è altrettanto giusto che partecipi ad essa il trono regale; per questo, per il fatto cioè che la vergine Maria ha concepito colui che porta scritto sul suo femore «Re dei re e Signore dei dominanti», nell’istante stesso in cui concepì il Figlio di Dio, divenne Regina non soltanto della terra, ma anche del cielo. E questo era stato preannunciato nell’Apocalisse dove si dice : «Un grande prodigio apparve nel cielo: una donna vestita di sole, e la luna sotto i suoi piedi, e sul suo capo una corona di dodici stelle».

Anche riguardo alla sua gloria, Maria è regina illustre. Il Profeta esprime ciò in modo adeguato in quel salmo, che si riferisce in modo particolare a Cristo e alla vergine Maria. In esso si afferma in un primo luogo di Cristo: «Il tuo trono, o Dio, è eterno». Poco dopo si dice della Vergine: «Alla tua destra è assisa la regina». Ciò si riferisce alle qualità più elevate, e perciò viene attribuito alla gloria del cuore. Poi il testo prosegue: «Vestita in laminato d’oro»: qui si intende il vestito di quella gloriosa immortalità che Maria acquistò con l’assunzione. Non si può credere che il vestito che aveva circondato il Cristo e che sulla terra era stato santificato totalmente dal Verbo incarnato, fosse distrutto dalla corruzione. Come fu opportuno che Cristo donasse a sua Madre la grazia totale quando ella fu concepita, così fu pure opportuno che donasse la gloria completa con l’assunzione di sua Madre. Ne consegue che è da ritenere vero il fatto che la Vergine, entrata nella gloria con l’anima e con il corpo, sia assisa accanto al Figlio.

Maria è regina e distributrice di grazie: ciò fu. intuito nel libro di Ester, dove è scritto: «La fonte crebbe diventando fiume, e poi si trasformò in luce e in sole». La vergine Maria, raffigurata nella persona di Ester, è paragonata al dilatarsi dell’acqua e della luce, proprio perché diffonde la grazia che aiuta l’azione e la contemplazione. La stessa grazia di Dio che curò l’umanità, fu comunicata a noi attraverso Maria, come attraverso un acquedotto: è un compito della Vergine distribuire la grazia, non perché sia creatrice di grazia, ma perché ce la guadagna con i suoi meriti. Giustamente, quindi, la vergine Maria è regina nobile di fronte al suo popolo, proprio perché ci ottiene il perdono, vince le difficoltà, distribuisce la grazia e finalmente, introduce nella gloria.

REGINA Christianorum … ora pro nobis

IL ROSARIO E LA SANTITÀ

Oggi 13 maggio 2020, anniversario dell’apparizione della Vergine Santissima a Fatima, onoriamo questo evento con un regalo preziosissimo che vogliamo condividere con tutti i nostri lettori. La Vergine non ci ha raccomandato altro che la recita del Rosario, e questa raccomandazione è ancora più opportuna oggi che le forze dell’anticristo, con i suoi adepti, ed in particolare la “sinagoga di satana” (sette, logge, razionalismo ateo, falsa chiesa dell’uomo, partiti “laici”, conventicole e sacrileghe chiesiuole varie) stanno sferrando un attacco formidabile contro i fedeli di Cristo e la sua “vera” Chiesa. La Vergine ha promesso che “… alla fine il mio Cuore Immacolato trionferà“, ribadendo quanto già l’Altissimo aveva rivelato fin dai primordi: ” et IPSA conteret caput tuum“. Il regalo al quale si alludeva, è un libro particolare sul Santo Rosario, di p. E. Hugon, domenicano francese autore di opere spirituali meravigliose quanto mai oggi indispensabili. Lo abbiamo diviso in tre parti, per una migliore visualizzazione, ma lo pubblichiamo in rete tutto intero in questa data memorabile, che cade quest’anno in un momento storico particolarmente drammatico.

 IL ROSARIO E LA SANTITÀ

del R. P. EDOUARD HUGON

DEI FRATELLI PREDICATORI

 P . LETHÌELLEUX – 30, RUE CASSETTE -PARIS FRANCE

APPROVAZIONE:

Abbiamo letto, per ordine del Reverendissimo P. Provinciale, un’opera del R. P. Edouard Hugon con questo titolo: “Il Rosario e la santità”.

È uno studio serio nella sua brevità, con belle e alte idee dottrinali, ed una descrizione interessante e quasi nuova nelle ricchezze delle grazie racchiuse nel Rosario. Le anime pie e gli stessi Predicatori lo leggeranno con utilità e vi troveranno un ampio nutrimento.

Poitiers, 19 luglio 1900.

Fr. Denys MÉZARD dei Fr. Predicatori

Fr. Henri DESQUEYROJS dei Fr. Predicatori 

IMPRIMATUR

Fr. Joseph-Amb. LABORÉ

Prov. provincias Occit. Lugdunensis

IMPRIMATUR

Parisiis, die 9 Augusti 1900

E. THOMAS Vic. gén.

PREMESSA

VEDUTA D’INSIEME SULLE GRANDEZZE DEL ROSARIO

Il profeta Isaia ci invita a far conoscere al popolo le invenzioni di Dio.

“Notas facite in populis adinventiones ejus”

(Is. XII, 4).

Le invenzioni di Dio! Il linguaggio umano a volte è impotente nel celebrare i capolavori del genio, ma quando si tratta di invenzioni divine, l’entusiasmo rimane muto, una spada fredda scende fino all’anima: si ammira e si tace! Tra queste invenzioni ce ne sono tre ineffabili: l’Incarnazione, la Maternità Divina, l’Eucaristia. L’uomo-Dio, la Madre di Dio, il Santissimo Sacramento: davanti a queste tre meraviglie, l’intelligenza annientata non può che gridare: Silenzio! Qui c’è il divino!  Dopo le invenzioni di Dio, ci sono le invenzioni di Maria. Sono tutte sublimi, perché sono invenzioni d’amore; sono innumerevoli, perché si estendono a tutti i tempi e a tutti i Paesi. Tra queste, una delle più eccellenti è sicuramente il Rosario. Fu consegnato al mondo intero dall’Ordine di San Domenico e dalla Francia e, non appena si riseppe, il XIII secolo fu in grado di risuonare l’osanna di un futuro radioso. C’è nell’istituzione del Rosario più che un’opera di genio, troviamo quella saggezza soprannaturale che i teologi ammirano nell’istituzione dei Sacramenti. – Lungi da noi l’equiparare il Rosario ai Sacramenti, ma qui c’è permesso di costatare a tal soggetto, più di un’analogia sorprendente. I Sacramenti sono in perfetta armonia con la natura umana, che è nel contempo sensibile e spirituale. Volere applicare l’uomo ad atti puramente intellettuali significherebbe svezzarlo – per così dire – da un latte indispensabile alla sua felicità. La sua Religione e il suo culto hanno bisogno di nutrimento esterno; i suoi Sacramenti devono, come lui, essere composti da un’anima e da un corpo. I Sacramenti hanno un corpo, perché sono segni sensibili; hanno un’anima, perché contengono l’invisibile virtù dell’Altissimo. Si pronunciano poche parole: e subito il “segno” è invaso dalla maestà divina; Dio passa nei Sacramenti, poiché vi passa la grazia, e nello stesso tempo in cui la grazia ha toccato l’anima, l’anima ha toccato Dio. Allo stesso modo la vera preghiera è quella che abbraccia l’uomo interamente. Ora il Rosario ha un’anima ed un corpo: il corpo è la preghiera vocale; l’anima è il pensiero del mistero, è la virtù celeste che ne scaturisce. Come i Sacramenti, il Rosario ha la sua materia e la sua forma; per il suo lato sensibile rappresenta la Santa Umanità del Salvatore, e parla alla nostra natura corporea; per la sua virtù invisibile ed i suoi misteri sublimi rappresenta la divinità di Cristo, e parla alla nostra natura superiore, attraverso la quale noi giungiamo all’angelo e a Dio.  – Nei Sacramenti il segno sensibile e la virtù delle parole formano un insieme unico, come in Cristo la natura umana e la natura divina sono unite in una sola Persona; la preghiera vocale del Rosario ed il pensiero del mistero formano un insieme indivisibile. Separare la forma dalla materia significa distruggere il Sacramento; separare il mistero dalla recitazione, significa distruggere l’essenza del Rosario. I Sacramenti sono come il prolungamento e la continuazione dell’Incarnazione; sono, per così dire, delle reliquie di Nostro Signore. Nei Sacramenti Gesù passa a benedire e salvare; fa uscire, come in passato, quella virtù che guarisce: « Virtus de illo exibat et sanabat omnes » (Luc. VI, 19). Anche nel Rosario c’è Gesù che passa. Nell’enunciare ogni mistero, potremmo dire: il Figlio di Davide passerà. « … Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me. »  I Sacramenti sono i simboli esteriori che distinguono i Cristiani dagli infedeli; il Rosario è la devozione distintiva dei veri Cattolici. I Sacramenti sono il legame dolce e forte che unisce i figli del Cristo; partecipando agli stessi Sacramenti, i fedeli mostrano di condividere la stessa fede, la stessa speranza, lo stesso amore; attraverso il Rosario i Cavalieri di Maria si uniscono da ogni angolo della terra e confondono le loro voci nello stesso amore e nella stessa speranza. Il Rosario è come lo stendardo che Dio innalza sulle nazioni per raccoglierle dai quattro angoli dell’universo. « Elevabit signum in nationibus… et… colliget a quatuor plagis terræ  » (Is., XI, 12). – Sarebbe facile continuare questo parallelo tra i Sacramenti, un’invenzione di Gesù, e il Rosario, un’invenzione di Maria. Lo riassumiamo in poche parole: l’uomo ha bisogno del sensibile; i Sacramenti e il Rosario sono i segni che elevano l’anima alle altezze da cui contempla gli orizzonti celesti, Dio, l’eternità. L’uomo vuole essere nutrito dallo spirituale; i Sacramenti ed il Rosario aiutano a comprenderlo. L’uomo ha sete dell’infinito; i Sacramenti e il Rosario gli danno Dio. Ma questo è solo un punto di vista pratico; la portata del Rosario è in qualche modo illimitata. – L’uomo tocca il tempo attraverso il suo corpo e le sue fragilità; con le vette della sua anima, per il suo destino soprannaturale, tocca l’eternità. Bene! il Rosario è abbastanza vasto da abbracciare il tempo e la stessa eternità. Esso racchiude in sé tutti i tempi, poiché contiene quegli insondabili misteri che sono il punto centrale di tutti i secoli.  e la cui realizzazione costituisce ciò che San Paolo chiama “la pienezza dei tempi”, plenitudo temporis (Gal. IV, 4.) Esso abbraccia l’eternità. Infatti il Rosario inizia in cielo e nella l’eternità con il mistero dell’Incarnazione, finisce in cielo e nella eternità con i misteri dell’Ascensione di Gesù e dell’Incoronazione di Maria. Lo iniziamo sul cuore dell’adorabile Trinità, lo terminiamo sul cuore della Beata Vergine. Dal cielo al cielo, dall’eternità all’eternità, queste sono le distese del Rosario. Proprio per questo il Rosario è la sintesi di tutto il Cristianesimo. Il dogma intero si riduce al Rosario. Il trattato sulle Persone divine e quello  dell’Incarnazione noi li incontriamo nel primo mistero; abbiamo già toccato il trattato sui Sacramenti; quanto al trattato dell’Eucaristia, tutti sanno che il Rosario è, come il Santo Sacramento e la Santa Messa, il memoriale della vita, della passione, della morte e della Resurrezione di Nostro Signore. Il trattato dei Novissimi è contenuto in modo sorprendente e pratico nei Misteri Gloriosi. Il Rosario, quindi, è la teologia, ma la teologia che prega, che adora, che dice attraverso ciascuno dei suoi dogmi: Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo. La morale, che si occupa dei peccati e delle virtù, si riduce alla nostra grande devozione. L’infinita malizia del peccato mortale si apprezza solo quando vediamo, nei Misteri Dolorosi, la giustizia divina che si riversa sul Cristo innocente, esigendo da Lui quel terribile riscatto della croce, e quando sentiamo Gesù gridare sotto il peso dei nostri crimini: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” Ciascuno dei misteri è una sublime lezione di virtù; non c’è solo eroismo in questi esempi: essi sono le vette più alte della vita mistica. Così il Rosario è la morale che prega, che piange, che espia, che ascende all’eroismo, dicendo a Cristo: « Redemisti nos Deo in sanguine tuo, et fecisti nos Deo nostro regnum et sacerdotes » (Apoc. V, 9, 10.). Nel Rosario è riassunta la storia, poiché questa devozione contiene Colui che è la prima e l’ultima parola di tutti gli eventi, Colui la cui figura radiosa domina entrambi i versanti della storia: l’Antico Testamento e il Nuovo. Ancora una volta, il Rosario è la storia che prega, che porta tutte le nazioni a Cristo, dicendo: Tu sei l’Alfa e l’Omega, l’inizio e la fine. La questione sociale stessa è risolta dal Rosario, come dimostra eloquentemente Leone XIII. (Nell’enciclica del 1893 sul Rosario). Perché le nazioni hanno tremato, perché questi tremori che disturbano la pace delle società? Ci sono tre cause per questo, dice il Sommo Pontefice. La prima è l’avversione per la vita umile e laboriosa, e il rimedio a questo male si trova nei misteri gioiosi.  Il secondo è l’orrore di tutto ciò che ci provoca sofferenza, e il rimedio a questo male si trova nei Misteri dolorosi; il terzo è l’oblio dei beni futuri, oggetto della nostra speranza, e il rimedio a questo male si trova nei Misteri gloriosi. Sì, ancora una volta, il Rosario è la questione sociale risolta da quel grido trionfante: Christus vincit, Christus regnat, Christus imperat! – Si vede, quindi, che meravigliosa flessibilità abbia il Rosario: si adatta a tutti i soggetti, a tutti i tempi, a tutte le persone. Per la sua parte materiale e per il lato esterno dei suoi misteri, è alla portata di tutte le intelligenze, diventa il Salterio dell’ignorante; per le sue profondità divine, è la “Summa” inesauribile del teologo. È, quindi, la grande sintesi del Cristianesimo; tutto è compreso tra l’inizio e la fine del Rosario, così come tutti i tempi sono compresi tra le due sponde dell’eternità. – Sarebbe interessante confrontare il Rosario e la Summa di San Tommaso, il Rosario e i templi cristiani del Medioevo. Tutti e tre sono, ognuno a suo modo, la sintesi del Cristianesimo; tutti e tre sono una poesia in cui si dispiegano le meraviglie del piano divino; tutti e tre sono il grandioso piedistallo che eleva l’anima all’infinito; tutti e tre sono un monumento che ha sfidato i secoli, tutti e tre sono animati dallo stesso respiro divino. Nella Summa, nell’antica cattedrale, nel Rosario, l’anima vive un benessere indefinibile; si sente più vicina alla sua terra natale, è più vicina al cielo, è più vicina a Dio. Infine, tutti e tre sono orientati verso lo stesso Cristo: Gesù domina la Summa di San Tommaso, Gesù domina la cattedrale gotica, Gesù domina il Rosario: tripla sintesi, triplo insegnamento, triplo canto d’amore e di gratitudine allo stesso Dio Salvatore. I primi due sono opera del genio, ma il Rosario è più di un’invenzione del genio: è sapienza soprannaturale; in una parola, è l’invenzione di Maria. I dettagli di questa vasta sintesi dovrebbero essere studiati nei particolari, ma qui possiamo solo darne una panoramica generale; ci stiamo avvicinando a questo studio solo dalle sue vette, vogliamo semplicemente mostrare, in una visione d’insieme, come il Rosario sia la sintesi di tutte le opere di Dio. L’opera di Dio si può riassumere in due parole: creazione e salvezza. Creare e salvare, creare mondi e fare scelte, è qui che si incontrano tutte le meraviglie del reale e dell’ideale. Dopo aver realizzato questi due capolavori, Dio può riposare. Si riposò dopo sei giorni, non perché la sua onnipotenza fosse stanca, ma per contemplare quanto il suo lavoro fosse bello. Et vidit Deus quod esset bonum (Gen.I). Ahimè, per l’opera della salvezza il Gigante dell’eternità deve essersi in qualche modo stancato, deve aver camminato a lungo si è seduto come sopraffatto dalla stanchezza. Quærens me sedisti lassus. Fare un eletto, e anche solo rendere grazia a un’anima, è un’opera ancora più grande,  in un certo senso – secondo Sant’Agostino e San Tommaso – della creazione del cielo e della terra. Vogliamo mostrare come questa grande meraviglia di grazia e di santità sia riassunta nel Rosario. Questa devozione ci rivela l’Autore della santità, i modelli della santità, e ci insegna la pratica della santità. L’autore della santità è Gesù; ma per avere la conoscenza dell’Uomo-Dio, dobbiamo studiarne il Cuore, l’Anima e la divinità, ed è il Rosario che ci dà questa rivelazione. I modelli di santità sono, dopo Gesù, Maria e San Giuseppe, che hanno collaborato all’opera della redenzione, ed è il Rosario che ci fa apprezzare il loro vero ruolo. La pratica della santità abbraccia tutta la perfezione cristiana, dalla carità comune alla carità eroica, ed è il Rosario che ci avvia a tutti questi gradi di vita spirituale.

Il nostro lavoro sarà quindi diviso in tre parti:

1° Il Rosario e l’autore della santità: Gesù.

2. Il Rosario e i modelli della santità: Maria e Giuseppe.

3. Il Rosario e la pratica della santità.

Non ci occupiamo qui del lato canonico o storico del Rosario; molte opere eccellenti hanno esaminato questi argomenti. Né si tratta qui di uno studio dottrinale approfondito; noi esponiamo solo alcune considerazioni teologiche e pie che possono essere utili alle anime interiori, e da un punto di vista abbastanza speciale da non duplicare altre opere apparse sul Rosario. Abbiamo voluto, secondo il desiderio e nell’interesse di alcune persone, che ogni capitolo, pur essendo legato agli altri da un legame logico, fosse completo in sé e costituisse una sorta di meditazione indipendentemente da ciò che segue e da ciò che precede. Questo spiega e giustifica alcune ripetizioni che ci siamo permessi in alcuni punti. Possano queste umili pagine far conoscere e amare meglio la Vergine del Rosario e il suo divin Figlio divino!

PARTE PRIMA

IL ROSARIO E L’AUTORE DELLA SANTITÀ GESÙ, IL SUO CUORE, LA SUA ANIMA, LA SUA DIVINITÀ

CAPITOLO PRIMO

IL ROSARIO ED IL SACRO CUORE DI GESÙ

Dio, che è perfezione infinita, purezza, la stessa santità, bellezza sempre antica e sempre nuova, ha comunicato agli esseri creati, senza perdere di ciò che è in sé medesimo, nemmeno i tratti più accentuati dei suoi attributi divini. Noi, ai quali è stato dato di contemplare e ammirare nelle creature questi riflessi delle perfezioni del loro Autore, notiamo in esse due tipi di bellezza: la bellezza del “grazioso”, la bellezza del sublime. La bellezza del grazioso è la luce, sono i fiori e tutte quelle cose che incantano e deliziano il nostro spirito; la bellezza del “sublime” è il vasto oceano, sono le gigantesche montagne, è l’immensità del cielo. Ma in nessun luogo il “grazioso” è così mirabile come nel cuore umano, nel cuore del bambino, nel cuore della vergine, nel cuore dell’amico devoto. La poesia più dolce e soave è quella del cuore. Allo stesso modo, l’abisso e il sublime dell’oceano è stato spesso paragonato all’abisso e al sublime del cuore. Cos’è più insondabile, l’oceano o il nostro cuore? Non possiamo noi quindi nominare il sublime senza nominare il cuore dell’uomo, e soprattutto il cuore delle madri e il cuore dei Santi. Ora, nel formare il cuore del primo uomo, Dio aveva un esemplare, guardava ad un ideale, pensava al Cuore del suo Cristo, secondo la parola di Tertulliano: Christus cogitabatur homo futurus. Ah! è molto dolce ricordare che Dio, nel giorno della nostra creazione, abbia preso a modello il Cuore di suo Figlio! Così, per avere la sintesi delle meraviglie del nostro mondo, dobbiamo conoscere il cuore umano, e per avere l’ideale del cuore umano, dobbiamo entrare nel profondo del Sacro Cuore di Gesù. Se vogliamo ammirare il “grazioso” con tutto il suo fascino, dobbiamo quindi contemplare il divino Cuore di Nostro Signore: è scritto di Lui: Speciosus forma præ filiis hominum, diffusa est gratia in labiis fuis (Tu sei il più bello dei figli degli uomini, la grazia è riversata sulle tue labbra – Ps. XLIV, 3). Se vogliamo ammirare il “sublime” in tutta la sua bellezza, per capire, come dice San Paolo, qualcosa della sublimità e della profondità, quæ sit sublimitas et profundum (Ephes. III, 18), che è in Gesù Cristo, dobbiamo ancora penetrare nel suo adorabile Cuore. Ora il Rosario ci rivela, nei suoi Misteri, la grazia e il sublime del Sacro Cuore di Gesù. – Considerare il Sacro Cuore in modo astratto e come separato dalla Persona di Cristo è una grave illusione che la teologia riprova. Il Rosario è la vera rivelazione del Sacro Cuore, perché considera il Sacro Cuore nel Tutto divino da cui è inseparabile. Ce lo fa vedere nelle circostanze in cui questo Cuore batte veramente, lo mostra vivo e agente nei tempi e nei luoghi in cui questo Cuore ha veramente agito e vissuto, con tutti i sentimenti che lo hanno fatto agitare: i suoi sentimenti verso il Padre, verso gli uomini, verso se stesso. Nei primi Misteri, c’è il Cuore pieno di tenerezza e di gioia; nei Misteri dolorosi, c’è il Cuore inebriato d’amore, ebbro d’amarezza; nei Misteri gloriosi, c’è il Cuore sempre inebriato d’amore, ma fremente nel suo trionfo. Nei Misteri Gioiosi c’è la bellezza del grazioso; nei Misteri Dolorosi e Gloriosi c’è la bellezza del sublime. Abbiamo detto che il grazioso è particolarmente ammirevole nel cuore del bambino. Dopo il nostro Battesimo, nostro padre e nostra madre, contemplandoci amorevolmente nella nostra culla, hanno detto in un dolce trasporto: Rallegriamoci, un bambino ci è nato, un uomo è stato dato al mondo. Natus est homo in mundum (Jov. XVI, 21). La Famiglia celeste affacciata ancor più teneramente a questa stessa culla ha detto di noi: ci è nato un Dio, rallegriamoci, ci è nato un Dio! La grazia ci aveva reso delle divinità, e il giovane cuore che cominciava a battere era già il tempio della Trinità; gli Angeli, come diceva il poeta, contemplavano la loro immagine in quella culla. Ma cosa sono tutti questi incanti davanti alla mangiatoia di Betlemme, davanti al Cuore del Bambino – Dio? « La grazia, la bontà di Dio nostro Salvatore, è apparsa a tutti gli uomini » dice San Paolo. Nulla di più commovente, ingenuo, dolce, gentile, più grazioso di questi eventi radiosi della notte di Natale: il canto degli Angeli, la visita dei pastori, in una parola questa culla divina che deve salvare il mondo. Vorremmo vedere tutte queste scene che incorniciano il presepe di Gesù in un dipinto … ma questo quadro già esiste: è il Rosario. Il Mistero della Natività è il dipinto principale, gli altri sono raggruppati intorno ad esso come quadri secondari. È veramente lì che il Cuore di Gesù Bambino si rivela con tutte le sue grazie: Apparuit gratia Dei Salvatoris nostri (Tit. II, 11) Solo il linguaggio della poesia è in grado di esprimere questi deliziosi incanti, e per questo lasciamo parlare Sant’Alfonso di Liguori, che li ha cantati in un’atmosfera di grande suggestione. « I cieli sospesero la loro dolce armonia quando Maria ha cantato per addormentare Gesù. Con la sua voce divina, la Vergine di bellezza, più luminosa di una stella, disse così: « Figlio mio, mio Dio, carissimo mio tesoro, tu dormi, e io muoio d’amore per la tua bellezza ». Nel sonno, o mio Dio, non guardar tua madre, ma l’aria che respiri è fuoco per me. I tuoi occhi chiusi mi penetrano con i loro tratti; … cosa sarà di me quando li aprirai! Le tue guance rosee deliziano il mio cuore. O Dio, la mia anima muore per te. Le tue belle labbra attirano i miei baci, perdona, o caro, io non ne posso più. » Ella tace e, premendo l’amato Bambino sul suo seno, pone un bacio sul suo viso. Ma il Bambino si sveglia, e con i suoi bellissimi occhi pieni d’amore guarda la Mamma sua. O Dio, per la madre, questi occhi, questi sguardi, quel tratto d’amore che ferisce e attraversa il suo cuore!  « E tu, anima mia, così dura, non languisci a tua volta, vedendo Maria languire di tenerezza per Gesù? Bellezze divine, vi ho amato tardi; ma d’ora in poi brucerò per voi senza fine. Il Figlio e la Madre, la Madre con il Figlio, la rosa con il giglio, avranno tutto il mio amore per sempre. » (InDom GUÉRANGER. Année liturgique, temps de Noël, tom. I, 27 janvier). – La bellezza del “grazioso” si rivela poi nel cuore delle vergini, di cui ogni sospiro è per Dio, la prima bellezza, la prima vergine. Ma il tipo immacolato di tutto ciò che è verginale è sicuramente il Cuore di Gesù. Gesù, Dio vergine, Figlio di una Madre vergine, sposo di una Chiesa vergine, che bellezza! Le anime sante lo hanno capito bene, rapite da questo puro ideale, essi immoleranno il loro cuore sul seno casto di Gesù e assaporeranno le austere delizie della carità vicino a Lui. Per il vostro fascino, per la vostra bellezza, o divina Sposa delle Vergini! specie tua et pulchritudine tua, regnate su tutti gli uomini!  Finalmente la bellezza del “grazioso” si manifesta nel cuore dell’amico. Amiecus fidelis medicamentum vitæ, dice lo Spirito Santo (Eccli. VI, 16). L’amico fedele è il balsamo della nostra vita, sorride alle nostre gioie, risponde alle nostre grida, asciuga le nostre lacrime. Ora, questo amico sempre fedele, che rimane quando tutto passa, che sorride quando piangiamo, è il Dio del Rosario. L’amicizia vuol dei pari. Nei primi Misteri del Rosario, Dio si fa nostro pari prendendo la nostra natura, e ci fa suoi pari dandoci la sua: è infatti il cuore dolce dell’amico che sentiamo battere in ogni mistero. Quando Gesù sorride ai pastori e ai Magi, quando istruisce i dotti ed i semplici, quando lascia cadere dalle sue labbra questa parola balsamica: « Venite a me, o sofferenti e afflitti, Io vi consolerò! ». Noi sentiamo la dolce voce di un amico, sentiamo il Cuore amorevole e devoto di Colui « che si diletta a stare con i figli degli uomini ». Non insistiamo più su questo lato “grazioso” del Sacro Cuore; la pia contemplazione dei Misteri del Rosario ci farà gustare e assaporare il suo fascino meglio di qualsiasi parola. – Dobbiamo ora considerare nel Sacro Cuore di Gesù la bellezza del “sublime” e dell’eroismo. Quando appare l’eroismo, la natura è come sopraffatta: sentiamo che Dio è lì. In tutti i giusti ci sono semi di eroismo, sono i doni dello Spirito Santo. Appena se ne presenta l’occasione, queste “energie” soprannaturali cominciano a muoversi, l’eroismo nasce spontaneamente, come il fiore dal suo seme: è il sublime che passa. Ecco perché il cuore materno sale così rapidamente al sublime, perché la vita dei santi è come intessuto dell’eroismo. I teologi insegnano che tutte le virtù sono state trovate unite in Gesù Cristo fin dal momento del suo concepimento; esse sono state portate al grado più completo, che è il grado eroico, e qui l’eroismo è divino. Queste virtù perfette che adornano la sua anima sono in qualche modo straripate dal suo Cuore sul mondo per manifestarsi a noi. Possiamo affermare, quindi, che Egli abbia vissuto una vita costante di eroismo, in ognuno dei suoi Misteri, nel presepe come sulla croce. È però nei Misteri dolorosi che il sublime ci appare più chiaro. Esiste al mondo una scena così misteriosa, così profondamente dolorosa, così grandiosa come l’agonia di Gesù? Raccogliete l’angoscia più struggente, l’amarezza più crudele, i sacrifici più dolorosi, la devozione più ammirevole che ha fatto battere il cuore umano: avrete tesori di eroismo, avrete un oceano di afflizioni. Avrete capito cos’è l’agonia dell’uomo, ma non avrete ancora capito cos’è l’agonia del Cuore di un Dio. È una scena ineffabile: si tace e si piange quando si considera un Dio in agonia. Ciò che rende questo mistero così sublime è l’amore sacrificato. – Gesù vedeva prima di tutto che sarebbe stato il grande incompreso, il grande disprezzato, il grande perseguitato; sentiva già la voce dei popoli che gli riecheggiava questa dolorosa eco: l’amore non è amato, l’amore è odiato! Tuttavia, il Cuore di Gesù ha gridato più forte degli oltraggi empi e sacrileghi degli uomini e dei demoni ai quali si è consegnato. Le lacrime gridano, ma soprattutto è l’amore che grida: Clamant lacrymæ, sed super omnia clamat amor! Nella Flagellazione, nella Coronazione di spine, nella salita della croce, c’è lo stesso eroismo. Nel Pretorio, nelle strade di Gerusalemme, sulla via del Calvario, sentiamo le grida della folla, gli insulti dei carnefici, ma soprattutto sentiamo la voce del Sacro Cuore, la voce dell’amore e del sangue, la voce del sublime: Clamant lacrymæ, clamant vulnera, sed super omnia clamat amor! Le tue lacrime gridano, le tue ferite gridano, o Gesù; ma soprattutto è il tuo amore che grida. – Finalmente Dio e la morte si incontrano sul Golgota: Dio e la morte! Che spettacolo solenne e terribile! Dio e la morte, che incontro! Ed è Dio che vuole essere lo sconfitto. Ma la morte, che pensava di essere trionfante, non fa che dare a Gesù solo un nome più bello: Dio è l’amore onnipotente, l’amore creatore; ora ha un nome nuovo: è l’amore vittima! La Crocifissione di Gesù è la perfezione del sublime, poiché è la perfezione dell’amore nella perfezione del sacrificio. Qualche goccia di sangue rimaneva nel Cuore del Crocifisso. Ah! Bisogna che sia tutto versato.. Soldato, vieni ad aprire questo cuore. Et continuo exivit sanguis et aqua (Giov. XIX, 34). Il costato è aperto, e ne fuoriescono sangue ed acqua. Questa volta non c’è più nulla da dare, l’immolazione è totale: è infatti la perfezione dell’amore nella perfezione del sacrificio dell’Uomo-Dio. Così, il sublime è in tutta la Passione di Gesù, sublime divino di cui è impossibile all’uomo ed ad ogni intelligenza creata misurare l’altezza. – Nel mistero della Risurrezione, sono di nuovo Dio e la morte che si incontrano, ma questa volta è Dio il vincitore. Eroico nel lasciarsi spezzare dalla morte, il Cuore di Gesù è ancora una volta sublime nel trionfare sulla morte e sull’inferno per comunicarci la sua vita soprannaturale. Gli ultimi Misteri finiscono in cielo: è il sublime della gloria, il sublime dell’eternità. Qui siamo soprattutto nell’infinito, nel divino: è meglio tacere davanti a questo infinito di cui si dice: « Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo » (1 Cor. II, 9). Ecco in qual modo ammirevole, tutte le bellezze del “grazioso” e del “sublime” sono riassunte nel Cuore di Gesù, e quindi nel Rosario, che ne è la rivelazione. C’è una duplice ragione dunque per contemplare e onorare questo Cuore divino, attraverso la meditazione del Santo Rosario, per ottenere da esso, per intercessione della Madre Immacolata, l’abbondanza delle grazie divine di cui è fonte e pienezza.

CAPITOLO SECONDO

IL ROSARIO E L’ANIMA DI GESÙ

Siamo nel Cuore di Gesù, penetriamo oltre: oltre agli abissi del cuore ci sono gli abissi dell’anima, scendiamo ancora: oltre gli abissi dell’anima ci sono gli abissi della divinità. Il Rosario ci fa così andare di profondità in profondità: dalle profondità e dagli abissi del cuore alle profondità e agli abissi dell’anima; dalle profondità e dagli abissi dell’anima alle profondità e agli abissi della divinità. – Ci sia permesso dapprima di entrare per qualche istante nell’anima santa del Nostro Salvatore. Essa è il capolavoro in cui Dio ha riunito tutte le perfezioni del mondo umano ed angelico. Le ricchezze di questi due mondi si possono riassumere così: scienza o verità, santità o grazia. Il regno degli spiriti è un regno di luce; la scienza è un sole illuminato in cima alle intelligenze; la verità è lo splendore che corona queste cime radiose. ciò che è incomparabilmente più bella della scienza, è una volontà, è una natura trasfigurata in quella di Dio. Questa trasfigurazione è la santità; ciò che la produce è la grazia. Sopra il sole della scienza splende negli Angeli e nell’anima giusta, il sole della grazia. Così, grazia e verità sono il tesoro comune dei due mondi intellettuali. Sarà facile per noi mostrare che la scienza e la grazia di Gesù Cristo sorpassano la scienza e la grazia degli Angeli e degli uomini insieme. Le perfezioni di questi due mondi sono così unite in Gesù; il cielo umano e quello angelico si riflettono pienamente nell’anima adorabile del Salvatore: Plenum gratiæ et veritatis (Giov. I, 14) è pieno di grazia e di verità. Cercheremo di studiare, anche se in modo sommario, la scienza e la grazia di Nostro Signore. San Paolo afferma che tutti i tesori della sapienza e della scienza sono nascosti nel Cristo: In quo sunt omnes thesauri sapientiæ et scientiæ absconditi (Col. II, 3). – Tutta la scienza dell’umanità, tutta la conoscenza dei Cherubini e dei Serafini condensata in un’unica mente formerebbe certamente un ricco e vasto tesoro, ma sarebbe opportuno sondarlo; sarebbe forse un oceano, non sarebbe l’abisso senza limiti. In Gesù Cristo è impossibile raggiungere il fondo; come in un abisso, nuove profondità seguono incessantemente quelle già esplorate, così nella scienza del Verbo incarnato, gli abissi che cerchiamo di sondare sempre e senza fine seguono altre profondità recondite: Absconditi! Questi tesori sono nascosti, sarà impossibile scoprirli nella loro interezza. Senza menzionare la scienza divina, che è infinita, ci sono in Gesù Cristo tre tipi di scienza: la scienza della bellezza, la scienza infusa e la scienza sperimentale. Fin dal primo momento della sua creazione, l’anima di Gesù ha avuto gli occhi aperti sull’infinito, ha contemplato Dio faccia a faccia e si è inebriata di questo torrente di delizie la cui fonte è l’eternità. Poiché tutta la gloria deriva da Cristo, Egli doveva avere prima di tutto ciò che dà agli altri. Ha quindi goduto della gloria fin dal momento del suo concepimento. In virtù della sua scienza beatifica, l’anima del Verbo conosce il passato, il presente e l’avvenire. Padrone assoluto della terra e del cielo, non deve ignorare nulla di ciò che accade nel suo impero; Giudice dei vivi e dei morti, deve conoscere tutto ciò che sarà sottoposto al suo tribunale: ognuna delle nostre azioni, i nostri pensieri più intimi, i movimenti più segreti del nostro cuore. Tutto ciò che è, tutto ciò che è stato, tutto ciò che sarà è presente ai suoi occhi. – La meditazione del Rosario ci ricorderà tutto questo. Nel Mistero dell’Annunciazione, per esempio, Gesù Cristo già mi conosceva, pensava a me, leggeva nella mia mente tutte le mie parole. Conosceva in anticipo tutta la mia ingratitudine, eppure mi amava, mi ha offerto il suo Cuore, e mi ha chiamato dolcemente per nome. È dolce da parte mia aggiungere che conosceva le mie adorazioni, i miei affetti, i miei desideri, mi vedeva arruolato nel grande esercito del Rosario, conosceva l’atto d’amore che avrei compiuto per Lui in questo momento nel recitare questa decina, e mi ha ringraziato in anticipo. Lo stesso vale per gli altri Misteri. Allora, dunque, meditando il Rosario, entreremo nell’anima di Gesù, ci ricorderemo che essa sa tutto quello che le diremo; ha visto quello che abbiamo fatto prima della nostra preghiera, vede come preghiamo in quest’ora, sa cosa faremo dopo il nostro Rosario. Ci sforzeremo allora durante il Rosario di raccoglierci, con il massimo rispetto ed amore e, dopo la nostra recita, di non fare nulla che possa offendere il suo sguardo. Ricorderemo anche che stiamo parlando con un’anima beata che può e vuole darci la felicità eterna. Gli diremo in ogni Mistero:  « O anima santa del mio Salvatore, per le vostre gioie, per le vostre sofferenze, per i vostri trionfi, portateci alla visione beatifica, perché possiamo unirci completamente a Voi, come la fiamma si unisce alla fiamma, come l’amore si unisce all’amore! »  In secondo luogo, nell’anima di Cristo c’è una scienza infusa, alla maniera della conoscenza angelica. Gli uomini sono obbligati a mendicare la loro conoscenza dal mondo esterno; la verità è davvero la manna del nostro spirito, ma dobbiamo raccoglierla a poco a poco e con il duro lavoro nei vasti campi della creazione. Per gli Angeli non è così: la manna è caduta direttamente nelle loro intelligenze; dal mattino della loro creazione, Dio ha impresso in loro delle idee potenti con le quali conoscono l’intero universo. Cristo, Re degli Angeli, non poteva mancare di una perfezione che arricchisce i suoi sudditi. Anche la sua anima aveva, fin dal mattino della sua creazione, una scienza infusa incomparabilmente più estesa della scienza angelica. Gli Angeli, con le loro idee innate, conoscono tutte le cose della natura, ma non conoscono né i decreti della volontà divina, né il futuro, né i segreti del cuore. L’anima del Verbo conosce, mediante la sua scienza infusa, tutto ciò che appartiene al dono della sapienza o della profezia, il passato, il presente, l’avvenire, i segreti dei cuori; in una parola, la sua scienza infusa, in relazione alle cose create, è tanto universale quanto la sua scienza beatifica. Il Rosario, nello stesso momento in cui ci introduce nel santuario di quest’anima beata, ci fa partecipare, in qualche modo, alla sua scienza infusa. Ci avvia verso quei grandi Misteri che gli Angeli hanno conosciuto solo poco a poco: pochi istanti ci insegnano più verità soprannaturali di quelle rivelate agli Angeli nei lunghi secoli che hanno preceduto l’Incarnazione. Tutte le rivelazioni, tutte le profezie dell’Antico Testamento sono contenute nel Rosario, come nella loro realizzazione: la recita di alcune decine ci fa ripassare tutto l’insieme dell’ordine soprannaturale. Le anime privilegiate, che penetrano più a fondo in questa meditazione, a volte ricevono vere comunicazioni celestiali; a forza di entrare nell’anima di Cristo, sono illuminate dalla sua chiarezza e ne conoscono i segreti. La scienza infusa non è un fatto raro negli annali della santità; molti Santi l’hanno attinta dalla meditazione dei Misteri del Rosario. – Non tutti noi possiamo pretendere questi straordinari favori; ma tutti noi, dal momento in cui uniamo la nostra anima all’anima del Salvatore, abbiamo il diritto di sperare in grazie di illuminazione per meglio comprendere le verità che meditiamo: da quest’anima divina scaturiranno sulla nostra intelligenza dei bagliori soprannaturali che illumineranno le profondità di questi misteri. La nostra fede sarà più illuminata dopo la recita della nostra cara preghiera, e in questo modo il Rosario sarà stato una vera partecipazione alla scienza infusa di Cristo. – Infine, c’è in Nostro Signore la scienza acquisita o sperimentale. Le sue due sapienze superiori non hanno spento l’attività naturale del suo spirito. Da un punto di vista puramente umano, Gesù Cristo era il più grande di tutti i geni: tutto ciò che c’è di fecondo e creativo nelle anime dei poeti, di puro e ideale nelle anime degli artisti, di nobile e generoso nelle anime degli oratori, era unito nella sua anima. Egli è il più perfetto rappresentante dell’umanità; altri geni rispetto a Lui non sono neppure ciò che un bambino è davanti ad un gigante, ciò che un oscuro pianeta è rispetto al sole. Il suo spirito penetrante andava direttamente in fondo alle cose, con un solo sguardo coglieva tutta la verità. Egli ha raccolto senza fatica dai campi della creazione questa conoscenza sperimentale che a noi costa tanto lavoro. Solo attraverso la sua scienza acquisita, Egli ha conosciuto tutte le verità a cui la ragione possa elevarsi, sondava tutti i segreti della natura, vedeva in anticipo tutte le meravigliose invenzioni di cui l’uomo è capace. Era Egli stesso il suo maestro; dottore degli Angeli e degli uomini, non doveva imparare nulla da nessuno. La sua scienza beatifica e la sua scienza infusa sono rimaste invariabili, perché erano complete fin dal primo momento; ma c’è stato un vero progresso nella sua scienza sperimentale. Secondo San Tommaso, queste parole del Vangelo devono essere prese alla lettera: « Gesù è progredito in sapienza e in età. » (Luc. II, 52). La sua intelligenza si è sviluppata continuamente fino al giorno in cui si è riposato nella perfezione. Ora, Nostro Signore ha acquisito questa conoscenza attraverso ognuno dei suoi atti e nei principali eventi della sua vita, che i Misteri Gioiosi ci ricordano. La meditazione del Rosario ci mette quindi in contatto con essa, ed è quindi naturale che Gesù, il nostro Dottore, ci comunichi un aiuto abbondante per aiutarci ad acquisire anche la scienza umana necessaria al nostro stato.  Se la nostra vocazione ci impone lo studio, troveremo un potente ausilio nel Salterio di Maria. Recitiamo qualche Ave Maria, entriamo nel profondo di Cristo, il nostro lavoro sarà molto dolce, molto fruttuoso; come Gesù, avanzeremo rapidamente nella scienza e nella saggezza. Fu nel Rosario che dei geni celebri cercarono l’ispirazione. Basti citare qui Michelangelo e Joseph Haydn. Si conservano ancora due grandi rosari di Michelangelo che hanno un aspetto molto consunto. Quanto a Joseph Haydn, conosciamo la sua famosa testimonianza: « Quando la composizione non va più bene, cammino avanti e indietro nella mia stanza, con il mio Rosario in mano, recito qualche Ave Maria, e allora mi ritornano di nuovo le idee in mente ».  Benedetto lo studio così inteso, benedetti i momenti trascorsi vicino all’anima adorabile di Colui che fa geni e santi!

CAPITOLO TERZO

IL ROSARIO E L’ANIMA DI GESÙ – SUA GRAZIA

Siamo stati iniziati dal Rosario alla triplice scienza del Verbo incarnato, ma per avere la rivelazione completa della sua anima, dobbiamo considerare in essa la pienezza della grazia. Plenum gratiæ. È la grazia, soprattutto, che fa la bellezza degli esseri. Un Santo disse: Se vedessimo un’anima in stato di grazia, moriremmo di ammirazione e di gioia, e, secondo San Tommaso, rendere la grazia ad un peccatore è un’opera più grande, in un certo senso, di quanto non lo sia la Creazione del cielo e della terra. (S. Th. Ia IIæ, q. 113, art. IX). Descrivere le bellezze della grazia è dunque descrivere gli splendori dell’anima di Gesù, ed è addirittura impossibile sospettare i tesori di quest’anima adorabile, se non si conosce il pregio della grazia. Per questo cercheremo di descrivere a grandi linee le meraviglie che la grazia ha operato nell’anima del Salvatore; mostreremo poi come la grazia di Cristo ci venga comunicata attraverso il Rosario.  – La grazia è un dono celeste che ci rende esseri soprannaturali, che ci rende in qualche modo divinità, che fa abitare Dio in noi. – Prima di tutto, allarga gli stretti confini della nostra natura, ci eleva al di sopra dell’umanità e persino al di sopra della natura angelica. Se gli Angeli non avessero la grazia, sarebbero sotto di noi, e in cielo i Santi che avessero avuto più grazia degli Angeli, saranno posti più in alto. Anche se Dio creasse esseri più perfetti dei Serafini, dovremmo comunque gridare: Più in alto! Più in alto! Questo non è il soprannaturale. – Il soprannaturale ci mette al livello di Dio, è una seconda natura che si aggiunge alla prima. Nell’ordine naturale abbiamo prima di tutto un’anima: nell’ordine soprannaturale c’è anche un’anima. La grazia – dice sant’Agostino – è l’anima della nostra anima. Nell’ordine naturale abbiamo delle facoltà: l’intelligenza, la volontà, i sensi; nell’ordine soprannaturale abbiamo le virtù infuse come facoltà. Queste sono prima di tutto le virtù teologali, che affondano le loro radici in Dio; le virtù cardinali con le loro innumerevoli ramificazioni; più in alto i doni dello Spirito Santo, che sono come i semi dell’eroismo. E non è tutto. Il soprannaturale ci dà nuove operazioni: le virtù e i doni sono coronati dai dodici frutti dello Spirito Santo, e da quelle che vengono chiamate le beatitudini evangeliche. Tale è, In poche parole, questo meraviglioso insieme del soprannaturale: alla base la grazia, poi le virtù infuse, più in alto i sette doni, più in alto ancora i dodici frutti dello Spirito Santo, alla sommità le beatitudini evangeliche.  – Ma non abbiamo ancora detto nulla; la grazia ci rende divinità. Ego dixi: dii estis! (Ps. LXXXI, 6). Se avessimo uno sguardo abbastanza potente, vedremmo nell’anima del giusto i tratti divini e, per così dire, la figura stessa di Dio. La Grazia, secondo l’espressione dei Santi Padri, è lo specchio luminoso in cui Dio si contempla e si riconosce. Ora, Dio può riconoscere se stesso se non solo in un dio. Sì, se siamo lo specchio del Signore, dobbiamo riflettere in noi i tratti del volto divino. Nel salutare l’anima in stato di grazia, salutiamo la figura di Dio! Divinæ consortes naturæ, dice San Pietro. (II Piet. I, 4)  La grazia ci rende partecipi della natura divina. Quando immergiamo l’oro nella fornace, pur mantenendo le sue proprietà, esso diventa fuoco, assume il colore, il calore, la luce del fuoco. La grazia ci immerge nell’Essere divino, e l’uomo, senza perdere la sua natura, è tutto penetrato da Dio: egli è fiamma come Dio, è amore come Dio, pensa in Dio, agisce in Dio. I re sono orgogliosi del loro sangue; c’è in tutti i giusti un sangue reale, un sangue divino, che discende da Gesù Cristo in noi, così come la vite comunica la sua influenza e la sua vita all’ultima tralcio. Gli eroi dell’antichità pagana volevano spacciarsi per figli di un dio. Queste erano delle favole sacrileghe; per noi invece è una realtà. La nostra genealogia è veramente celeste, possiamo dire con San Paolo: Genus sumus Dei siamo della razza di Dio (Act.XVII, 28, 29). Questa è la nostra particella di nobiltà, e abbiamo il diritto di esserne orgogliosi! Infine, la grazia ci dona la persona stessa di Dio. Questo è il dolce mistero che i teologi chiamano la dimora della Trinità in noi.  – La Grazia consacra la nostra anima con la sua invisibile unzione e ne fa un tempio dove Dio si diletta. Vos estis templum Dei vivi, dice San Paolo, (II Cor. VI, 16) e San Bernardo osserva che le cerimonie del Battesimo assomigliano molto alle cerimonie di consacrazione di una chiesa. Ma un tempio, una chiesa, è fatto perché Dio vi abiti. Bene – dicono le tre Persone – entreremo in quest’anima, e vi porremo la nostra dimora. Ad eum veniemus et mansionem apud eum faciemus (Giov. XIV, 23). La Trinità è dunque tanto presente nell’anima dei giusti quanto Gesù Cristo è presente nelle nostre chiese. – Come il calice dell’altare contiene veramente il sangue di Gesù, così le nostre anime contengono veramente lo Spirito Santo. Calice dell’altare, calice dell’anima santa, in entrambi vi abita un Dio! La dimora della Trinità è la presenza dell’amico con l’amico, dello sposo con la sposa. Se abbiamo delle prove, non è necessario andare molto lontano per trovare un Consolatore: basta entrare nella nostra anima; le tre Persone sono lì per sorridere alle nostre lacrime, per asciugare le nostre lacrime. Trasfigurano la nostra intelligenza, ci fanno vedere tutte le cose con le luci e i colori dell’eternità, così che in tutte le vicende di questo mondo vediamo la via di Dio, e diciamo con la Scrittura: Ecce Dominus transit! Ecco il Signore che passa! (III Re, XIX, 11). Esse trasfigurano la nostra volontà, ci fanno trovare in tutto ciò che ci accade un sapore divino; le prove e la morte stessa diventano una bevanda da assaporare con ebbrezza. Gustare mortem. In fine esse trasfigurano il nostro corpo. C’è, infatti, nei corpi dei Santi una bellezza segreta, uno splendore nascosto, che talvolta si rivela nell’ora della morte. Anche nella tomba, una sorta di maestà divina proteggerà la nostra polvere; anche nella corruzione, ci sarà nelle nostre membra come un’iscrizione invisibile, che dirà: Rispetta questa polvere, è un immortale che si assopisce, queste membra un tempo erano il tempio della Trinità, sono sacre per la risurrezione. –  Parlando di grazia, non abbiamo lasciato Nostro Signore, perché è in Lui che la grazia ha esaurito tutti i suoi tesori. Tutte queste meraviglie soprannaturali, che abbiamo cercato di descrivere, si trovano in Lui ad un livello supremo. Fin dal primo momento della sua creazione, la sua anima benedetta è stata inondata da tutti i torrenti di grazia. Più ci si avvicina a una sorgente, più si partecipa all’abbondanza dei suoi corsi d’acqua; più ci si avvicina ad un focolare, più si sentono gli effetti del suo calore e della sua luce. La sorgente, l’oceano di grazia, la casa, il sole dell’amore, è la divinità. Ma è possibile essere più vicini a Dio di quanto lo fosse l’anima di Nostro Signore? La divinità e quest’anima santa si abbracciano in una stretta ineffabile, così stretta da diventare una sola persona. Toccando così l’oceano di grazia, quest’anima ne è stata inondata, l’oceano si è riversato in essa e ha riempito tutte le sue profondità. Plenum gratiæ. È la pienezza che trabocca; è impossibile aggiungervi qualcosa. Cosa si può aggiungere all’abisso quando l’abisso è riempito? Sotto l’influenza di questa grazia, tutte le virtù sbocciano nell’anima del Verbo, tutte portano quel fiore squisito, che è l’eroismo. Le virtù che appartengono allo stato di imperfezione non hanno posto in questo giardino; ma tutte le altre virtù, le virtù naturali, le virtù infuse, i doni e i frutti dello Spirito Santo, la potenza dei miracoli, il dono della profezia: in una parola, tutto ciò che è di più incantevole nell’ordine soprannaturale vi fiorisce come in una terra vergine fecondata dal sole dell’eternità. Tutto ciò che Dio ha fatto di bello nella natura e nella grazia, lo ha raccolto nell’anima di suo Figlio. Ah, qui è il caso di dire: se noi vedessimo l’anima di Gesù, cadremmo in un’estasi di ammirazione, di ebbrezza e di amore. Dio ci riserva questa estasi per l’eternità, ma il Rosario ce ne può dare un assaggio ora e comunicarci la grazia di Cristo. Per avere la rivelazione di un’anima, è ovviamente necessario studiarla nelle circostanze in cui essa si manifesta, negli eventi in cui si riflette la sua interiorità. In quali circostanze l’interno di Gesù è meglio riflesso  che nei Misteri del Rosario? Cresceva nella grazia – dice il Vangelo – cioè la sua grazia lasciava apparire all’esterno i suoi meravigliosi effetti; in ciascuno dei Misteri essa irradiava attraverso il velo di una carne trasparente. Basta vedere Gesù che agisce, che parla, che insegna, per intravedere qualche lampo di questa grazia nascosta. Ebbene, nella meditazione intima del Rosario, l’anima di Cristo passa davanti a noi, la sua grazia risplende ancora attraverso la corteccia del Mistero; essa viene a noi; noi la penetriamo. Sì, il Rosario è la rivelazione vivente dell’anima di Cristo e dei suoi tesori divini. – C’è di più. Vogliamo soprattutto mostrare che il Rosario ci applica anche la grazia di Nostro Signore. La grazia che il Cristo ha ricevuto lo ha reso capo spirituale dell’umanità e lo ha reso capace di meritare per noi. Non c’è bene soprannaturale che non derivi da questa causa principale. Gesù è il grande serbatoio da cui tutti gli uomini debbano attingere per essere salvati; è il vasto oceano di grazia. Ne attingiamo incessantemente, e l’abisso profondo è sempre pieno. Ma l’Umanità del Verbo ci ha guadagnato la grazia attraverso ciascuno dei Misteri. Vediamo allora che, meditando il Rosario, siamo in contatto con la fonte da cui proviene la salvezza: si stabilisce una comunicazione tra Cristo e noi, la vita divina scaturisce nelle nostre anime con un flusso dirompente. Inoltre, secondo un santo Dottore, ogni Mistero è come il seno fecondo da cui sgorga il latte della grazia; recitando le decine, noi succhiamo, per così dire, il latte del cielo. – Indubbiamente, qui è necessario fare attenzione a non esagerare. Non vogliamo far credere che il Rosario ci applichi direttamente la grazia santificante, alla maniera di un Sacramento; tale efficacia non appartiene né al Rosario né a nessun’altra devozione. Sarebbe un errore pretendere che la recitazione sia sufficiente di per sé a darci un aumento di grazia; ma non c’è alcuna illusione nel credere che, per il fatto stesso di essere pietosamente uniti ai Misteri che hanno portato la nostra salvezza, da questa meditazione scaturiranno le grazie attuali. Secondo il Vangelo, bastava toccare le vesti del Salvatore per essere guariti. Ogni Mistero del Rosario non è forse come una frangia del manto divino? Appena iniziamo le Ave Maria, tocchiamo, per così dire, la frangia divina: non abbiamo il diritto di sperare che qualche virtù ne venga per guarirci? Virtus de illo exibat et sanabat omnes. (Luc. VI, 19). Il Mistero che ha espiato l’orgoglio ci darà un aiuto speciale per praticare l’umiltà; il Mistero che ha espiato il vizio impuro avrà una speciale efficacia nell’applicarci la castità, e così anche gli altri Misteri. Nostro Signore è come un grande sole, che illumina ogni uomo che viene in questo mondo; il Rosario ci espone alla sua luce ed al suo calore. Assistiamo al sorgere di questo sole di giustizia nei Misteri dell’Annunciazione e della Natività; lo contempliamo nella sua luce di mezzodì, in tutto il suo splendore, meditando sui Misteri gloriosi. Il suo calore si irradia su di noi; noi ne riflettiamo lo splendore. La nostra anima è riscaldata dal fuoco stesso della divinità; siamo fiamme come Dio, amore come Dio. Oh, se sapessimo come approfittare della nostra preziosa devozione, quanto velocemente avanzeremmo nelle vie spirituali! È nel Rosario che le grandi anime dell’Ordine di San Domenico hanno trovato il segreto della loro santità così amabile e fecondo. Il nostro Confratello Marie-Raphaël Meysson, di pia e dolce memoria, chiamava il Rosario un segreto di santità. Nascosto nell’anima adorabile del suo Dio, beveva dalla fonte della grazia, ne attingeva un po’ di quell’eroismo che ci stacca dalla terra, assaporava un po’ di quell’ebbrezza ineffabile che è un anticipo del cielo. Possiamo noi, come privilegiati del Signore, scendere ogni giorno nell’anima del nostro Diletto, alle fonti della salvezza e della felicità! Il nemico non potrà mai violare questo asilo, e le tempeste dell’inferno, che scuotono così violentemente le anime mondane, non giungeranno mai a queste profondità luminose dove regna la perpetua serenità.

CAPITOLO QUARTO

IL ROSARIO E LA DIVINITÀ DI GESÙ

Vivere nell’anima del Verbo, è vivere lontano della regione delle tempeste, su un Tabor sempre sereno, su una cima vicino al Cielo dei cieli. Lo splendore di quest’anima si riflette nella nostra, noi camminiamo nella luce di Cristo: questo è la via illuminativa. Ma la vita mistica non si ferma qui: toccare Dio, unirsi a Dio, perdersi in Dio, ecco il fine della santità e della felicità; per questo l’ultima fase della perfezione è la vita unitiva attraverso la quale l’anima si nasconde in Dio. San Paolo ha riassunto tutta questa vita spirituale in un famoso testo: Vita vestra est abscondita cum Christo in Deo (Col.  III, 3). La nostra vita è nascosta nell’anima del Cristo, cum Christo, questa è la via illuminativa; in Deo, siamo nascosti con Cristo nel profondo della divinità, questa è la via unitiva. Il Rosario, che ci ha aperto la via illuminativa, introducendoci nell’anima del nostro Salvatore, ci inizierà ai segreti della via unitiva, facendoci penetrare nell’interno stesso della divinità. L’Apostolo San Giovanni ricordava con un lieve tremito che le sue mani avevano toccato il Verbo di vita: Quod manus nostræ contrectaverunt de Verbo vitæ. (I Giov. I, 1). – Nel Rosario abbiamo una felicità simile; tocchiamo quell’Uomo il cui nome è miele per le nostre labbra, una melodia per le nostre orecchie, una soavità per i nostri cuori, Cristo Gesù, Homo Christus Jesus. Ora, in quest’Uomo, non c’è parte che non sia penetrata nella sua interezza dalla divinità. L’Unione ipostatica è quell’unzione ineffabile che ha consacrato il Cristo; tutto l’olio della divinità si è riversato nell’umanità del Verbo, l’ha inondata, l’ha compenetrata: Unxit te Deus (Ps. XLIV). Sì, o Gesù, la divinità ti ha unto interamente, l’unzione della gioia ha consacrato tutte le parti della tua umanità; il tuo Cuore ha ricevuto l’unzione divina, la tua anima l’ha ricevuta, tutto il tuo essere l’ha ricevuta: Unxit te Deus oleo lœtitiæ. L’olio misterioso è così penetrato ogni azione di Nostro Signore; quando questo Cuore sospira, è un Dio che sospira; quando quest’anima trema, è un Dio che trema. Per andare alla divinità, quindi, non è necessario lasciare il Rosario, basta contemplare l’intero Mistero, così come ci viene presentato, la persona che agisce, l’azione che si compie. La persona è il Verbo eterno; l’azione è teandriaca, cioè divina e umana, ed è tutta profumata dall’unzione gioiosa della divinità. È qui che si può dire veramente: Dio! Ecco Dio! La divinità è lì nel Rosario, Essa è lì che agisce, che anima, che profuma tutto il Mistero. Non fermiamoci dunque alla corteccia, andiamo al midollo: la corteccia è l’evento esterno, il midollo è l’interno di Gesù, il suo cuore, la sua anima, la sua divinità. Così siamo arrivati a Dio. Oh, rifugiamoci per qualche momento in questi adorabili abissi, e forse avremo una piccola parte in quell’unzione di gioia che ha fatto di Gesù il più bello dei figli degli uomini. Il Rosario ci ha introdotto nel santuario della divinità, e molto di più, ci farà sondare le profondità di Dio. Cosa c’è di così sorprendente? I Misteri del Rosario ci sono rivelati da quello Spirito onnipotente che, secondo San Paolo, sonda tutte le profondità, anche quelle di Dio: Nobis autem revelavit Deus per Spiritum Sanctum; Spiritus enim omnia scrutatur, etiam profunda Dei (I Cor. II, 10). Le profondità di Dio sono, prima di tutto, la vita intima di Dio in se stesso, è la Famiglia eterna, l’adorabile Trinità, la prima delle Vergini, come parla San Gregorio di Nazianzo, la prima bellezza e il primo amore: tre Persone divine che si tengono in un abbraccio eterno e che si rimandano l’una all’altra la parola che viene pronunciata e mai sempre ripetuta: Amore, amore, amore! E questo triplice abbraccio non è che un solo abbraccio, e questo triplice amore è che un solo amore. E Hi tres unum sunt. (1 Giov. V, 7). Ecco le profondità di Dio! Ebbene, in ogni Mistero troviamo la Famiglia divina; le tre Persone sono lì in virtù di questa legge ineffabile che le incatena l’una all’altra; solo il Verbo riveste la nostra carne inferma, ma tutte e tre cooperano all’Incarnazione e alla Redenzione. Nel primo Mistero hanno di nuovo consiglio, ripetono la parola creativa: « Ricostruiamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza ». Quando la grande opera è compiuta, quando vedono questa vergine Umanità, tutta raggiante, tutta immacolata, uscire dalle loro mani, dicono, ma questa volta senza ironia: « Ecce Adam quasi unus ex nobis factus est. Ecco, l’uomo è diventato come uno di noi ». (Gen. III, 22) – Infine, quando contemplano questa innocente Umanità attaccata alla croce, pronunciano la formula del perdono: « Ora non colpiremo più l’uomo come abbiamo fatto ». Non igitur ultra percutiam omnem animant viventem sicut feci (Gen. VIII, 21). Siamo entrati nella vita intima e nei consigli della Trinità: continuiamo a sondare gli abissi divini. Le profondità di Dio sono ancora la sua misericordia e la sua giustizia. Come possiamo conciliare questi due attributi: la vendetta infinita del Signore contro il peccato e la sua infinita bontà per il peccatore? Il Rosario ci dà la chiave di questo mistero: basta guardare la croce della seconda serie, dove misericordia e giustizia si danno un bacio eterno. A volte la giustizia degli uomini si indebolisce indignata di fronte alla preghiera ipocrita o alle lacrime; qui la giustizia non si indebolisce mai, anche quando Dio perdona, è giustizia, perché Gesù ha soddisfatto per il colpevole. Amore infinito, soddisfazione infinita, questo è ciò che Dio ha scritto sulla croce con il sangue di suo Figlio. Oh sì, la misericordia e la giustizia possono essere abbracciate su questo trono di sangue. Ed anche noi andiamo alla croce per abbracciare la divinità! Le profondità di Dio sono ancora i misteri della predestinazione e della gloria. Il Rosario non solleva i veli che coprono questi abissi; almeno getta una luce consolante su questa oscurità. Ci dà un’idea di questa predestinazione mostrandoci Gesù, il modello di tutti i predestinati; ci insegna che dobbiamo conformarci a questo ideale celeste: quos prædestinavit conformes fieri imaginis Filii sui (Rom. VIII, 29); ci fa anche intravedere alcuni raggi di gloria nei misteri trionfanti della Risurrezione e dell’Ascensione. Le profondità di Dio sono l’eternità. L’eternità! ma è già cominciata in noi. Il Rosario ha lo stesso potere della Fede, perché il Rosario è la sintesi della Fede in tutta la sua sostanza. Ora, la Fede – dice San Bernardo – ha un grembo abbastanza grande da contenere l’eternità stessa. Attraverso la Fede e il Rosario il futuro esiste già nel presente: i beni che ci aspettiamo riposano nella nostra mente come su un fondamento incrollabile; la Fede è il fondamento immutabile che porta le nostre immutabili speranze: Sperandarum substantia rerum (Heb. III, 14). San Paolo ha altre parole ancora più energiche: La fede, dice, è il principio di Dio: Initium substantiæ ejus (Heb. III, 14). Attraverso la fede e il Rosario c’è nel Cristiano il seme di un Dio, il seme e l’inizio dell’eternità. Ma soprattutto il Rosario ci fa toccare l’eternità, perché il Dio-Uomo che adoriamo in ogni Mistero è, secondo l’espressione di Santa Caterina da Siena, come un ponte tra il tempo e l’eternità; tocca entrambe le rive: le rive del finito attraverso la sua natura umana, le rive eterne attraverso la sua Persona e la sua natura divina. Quando inizieremo la recita, ci uniremo all’Uomo-Dio, ci lasceremo trasportare sugli abissi di questo ponte dell’infinito e, prima di finire la nostra preghiera, avremo raggiunto impercettibilmente l’altra riva, che è la riva dell’eternità. Ecco allora tutte le profondità di Dio esplorate nel Rosario: la vita intima della Famiglia celeste, la misericordia e la giustizia divina, i misteri della predestinazione e della gloria, gli abissi dell’eternità, i segreti dell’infinito. Chi è chiamato ad una vita di unione, potrebbe quindi trovare nel Rosario risorse inestimabili, perché il Rosario è la forma più sublime di contemplazione, la più sicura, la più facile. – La più sublime, poiché ci getta nelle profondità dell’infinito: lasciate che queste anime si immergano incessantemente in questa meditazione, non esauriscono mai le loro ricchezze; c’è sempre qualche nuovo abisso da sondare. È impossibile andare più lontano della divinità, per questo è impossibile andare più lontano e più in alto della meditazione del Rosario. È la più sicura. Ci si illuderebbe nel considerare la divinità in una sorta di vita astratta e come se fosse relegata in una sfera estranea all’uomo; il Rosario ci mostra la vera vita di Dio, le sue vere effusioni con l’umanità: Dio, che mette le sue delizie ad abitare in mezzo a noi, a dialogare con i figli degli uomini. È la più semplice e facile. Il nostro modo naturale di intendere è quello di passare dal sensibile allo spirituale; gli esseri visibili sono come il piedistallo da cui l’anima si slancia verso l’infinito. Nella contemplazione del Rosario, l’Umanità del Verbo è il piedistallo visibile che ci eleva alla divinità invisibile. Non c’è bisogno di una penosa contenzione di spirito; si passa dal Cristo visibile al Cristo Dio, in modo fluido e impercettibile. Per Christum hominem ad Christum Deum. Mentre abbracciamo il Figlio di Maria, abbracciamo Dio stesso, gridiamo in dolce estasi: Quanto è buono, quanto è buono il nostro Dio! quam bonus Israel Deus! (Ps. LXXII, 1). Noi stiamo solo toccando queste bellezze, le anime pie sapranno come completare questo studio e assaporare queste delizie. Esse capiranno anche che il Rosario risponde alle esigenze di tutti. Ci sono quelli per i quali il puro invisibile non ha alcuna attrattiva; anche quando si rivolgono a Dio, la loro pietà ha bisogno di incontrare un cuore di carne come il loro, un cuore che palpita e trasale: questi troveranno nel Rosario il Cuore di Gesù. Ce ne sono altri la cui vigorosa intelligenza è focalizzata sulle bellezze spirituali, il cui sguardo potente è fatto per contemplare il cielo degli spiriti: questi troveranno nel Rosario l’anima di Gesù. Altri scivolano sulle ali di Dio verso le più alte vette della contemplazione, il loro sguardo è capace di guardare il Cielo dei cieli: troveranno nel Rosario la divinità di Gesù. Il Sacro Cuore per i proficienti, l’anima del Verbo per i più avanzati, la divinità per i perfetti. Tuttavia, questi tre stati non devono essere completamente separati: anche i principianti devono andare all’anima e alla divinità di Gesù, e il perfetto non deve mai lasciare quell’anima o quel Cuore. Il cuore, l’anima e la divinità sono tre dimore che dobbiamo abitare contemporaneamente: tria tabernacula (Marc. IX, 4). Oh, come sono deliziose queste tre dimore! È un inizio di paradiso, sono tre tabernacoli eterni: è la santità. La morte non ci allontanerà da questa triplice dimora, ma ci permetterà, al contrario, di abitare più perfettamente nel cuore, nell’anima, nella divinità del nostro Amato. Videbimus, laudabimus, amabimus. Vedremo questo Diletto, lo loderemo, lo ameremo: visione senza nuvole, lode senza interruzione, amore senza condivisione e senza fallimento, questa è la potente trilogia della felicità! La iniziamo qui sulla terra nel Rosario, andremo a finirlo, con l’ultimo Mistero glorioso, sul Cuore di Maria. Con te, o Maria, abiteremo nei tre tabernacoli eterni, il cuore, l’anima e la divinità del tuo Figlio; con te vivremo la sua vita, ameremo con il suo amore. Videbimus, laudabimus, amabimus.

[1. Continua] https://www.exsurgatdeus.org/2020/05/13/il-rosario-e-la-santita-2/

PRATICA DEL SANTO ROSARIO

Come pregare il Rosario in famiglia

La pratica quotidiana di questa devozione nel gruppo familiare, padre, madre e figli, servirà a creare maggiore armonia nella famiglia e porterà ad una maggiore pace e serenità. Aumenterà ulteriormente la pietà ed un maggiore sviluppo spirituale, oltre a far discendere la benedizione di Dio e la cura vigile della Madonna su tutti coloro che partecipano alla sua recita quotidiana.

E’ oltretutto semplice da recitare, e l’ora più conveniente perché tutta la famiglia possa essere presente è la sera, probabilmente subito dopo cena. Ogni membro può alternarsi nel condurre le preghiere.

Si inizia con:

V. Deus in adjutórium meum inténde.

R. Dómine, ad adjuvándum me festína.

1. Dapprima si dice il Credo degli Apostoli tenendo il crocifisso della corona tra le dita. Il conduttore dice: “Credo in Deum …”, poi tutti si uniscono al Credo.

2. Colui che conduce dice la prima metà del Pater sul grano grande della corona e la prima parte dell’Ave Maria sui tre grani piccoli, seguite dal Gloria Patri, mentre gli altri recitano la seconda parte di queste preghiere.

3. Chi conduce poi annuncia: il nome del Primo dei Cinque Misteri Gaudiosi (o Dolorosi, o Gloriosi).

4. Poi, nell’ordine, viene detto il Pater Noster sul grano grande e l’Ave Maria sui grani piccoli, con il Gloria alla fine di ogni decina.

Nota: la Madonna di Fatima il 13 giugno 1917 disse alla veggente Lucia: Dopo il Gloria Patri di ogni decina, tu dirai:

 O Gesù perdonate le nostre colpe, preservateci dal fuoco dell’inferno, portate in cielo tutte le anime, specialmente le più bisognose della vostra misericordia

5. Si concludere l’ultima decina con la Salve Regina. Infine l’oremus.

6. Si può aggiungere la litania.

MISTERI DEL ROSARIO

Misteri gaudiosi

(lunedì, giovedì)

1 – Nel primo mistero gaudioso si contempla l’annunciazione dell’Angelo a Maria SS.

2 – Nel secondo mistero gaudioso si contempla la visita di Maria Vergine a santa Elisabetta.

3 – Nel terzo mistero gaudioso si contempla la nascita di Gesù Bambino nella grotta di Betlemme.

4 – Nel quarto mistero gaudioso si contempla la presentazione di Gesù Bambino al tempio e la purificazione di Maria SS.

5 – Nel quinto mistero gaudioso si contempla ladisputa del fanciullo Gesù con i dottori.

Misteri dolorosi

(martedì, venerdì)

1 – Nel primo mistero doloroso si contempla l’agonia e il sudor di sangue di nostro Signor Gesù Cristo nell’orto.

2 – Nel secondo mistero doloroso si contempla la flagellazione del nostro Signor Gesù Cristo alla colonna.

3 – Nel terzo mistero doloroso si contempla l’incoronazione di spine di nostro Signore Gesù Cristo.

4 – Nel quarto mistero doloroso si contempla la condanna a morte di Gesù e la sua salita al Calvario, portando la croce.

5 – Nel quinto mistero doloroso si contempla la crocifissione, la morte e la sepoltura di nostro Signore Gesù Cristo.

Misteri gloriosi

(mercoledì, sabato, domenica)

1 – Nel primo mistero glorioso si contempla la risurrezione di nostro Signor Gesù Cristo.

2 – Nel secondo mistero glorioso si contempla l’ascensione di nostro Signor Gesù Cristo al cielo.

3 – Nel terzo mistero glorioso si contempla la discesa dello Spirito Santo sopra gli Apostoli con Maria santissima congregati nel cenacolo.

4 – Nel quarto mistero glorioso si contempla la beata dormizione e la gloriosa Assunzione di Maria Santissima in cielo.

5 – Nel quinto mistero glorioso si contempla l’incoronazione in cielo di Maria santissima e la gloria di tutti gli Angeli e i Santi.

Frutti e grazie dei misteri (del Monfort)

Secondo il metodo di S. Luigi Maria Grignon di Montfort per ogni decina del Rosario si può chiedere una grazia particolare cioè un frutto per la nostra anima legato alla contemplazione di tale mistero.

Su ogni decina dopo aver annunciato il mistero si dice:

“Chiediamo per questo mistero la grazia di…”

Gaudiosi:

1 – Profonda umiltà.

2 – Carità verso il nostro prossimo.

3 – Distacco dai beni del mondo.

4 – La virtù della purezza.

5 – La vera sapienza (fare la volontà di Dio).

Dolorosi:

1 – Contrizione dei nostri peccati.

2 – Mortificazione dei nostri sensi.

3 – Disprezzo del mondo.

4 – Pazienza nelle tribolazioni.

5 – La conversione dei peccatori, la perseveranza dei giusti, e il sollievo delle anime del purgatorio.

Gloriosi:

1 – Amor di Dio ed il fervore.

2 – Ardente desiderio del cielo.

3 – Far scendere lo Spirito Santo nelle nostre anime.

4 – Vera e tenera devozione a Maria.

5 – L a Perseveranza finale e la corona di Gloria

Le preghiere del Santo Rosario

IL SEGNO DELLA CROCE

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

IL CREDO APOSTOLICO

Credo in Deum, Patrem omnipoténtem, Creatórem cæli et terræ.
Et in Jesum Christum, Fílium ejus únicum, Dóminum nostrum: qui concéptus est de Spíritu Sancto, natus ex María Vírgine, passus sub Póntio Piláto, crucifíxus, mórtuus, et sepúltus: descéndit ad ínferos; tértia die resurréxit a mórtuis; ascéndit ad cælos; sedet ad déxteram Dei Patris omnipoténtis: inde ventúrus est judicáre vivos et mórtuos.
Credo in Spíritum Sanctum, sanctam Ecclésiam cathólicam, Sanctórum communiónem, remissiónem peccatórum, carnis resurrectiónem, vitam ætérnam. Amen.


PATER NOSTER

Pater noster, qui es in cælis, sanctificétur nomen tuum: advéniat regnum tuum: fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie: et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris: et ne nos indúcas in tentatiónem: sed líbera nos a malo. Amen.


AVE MARIA

Ave María, grátia plena; Dóminus tecum: benedícta tu in muliéribus, et benedíctus fructus ventris tui Jesus. Sancta María, Mater Dei, ora pro nobis peccatóribus, nunc et in hora mortis nostræ. Amen.

GLORIA PATRI

V. Glória Patri, et Fílio, * et Spirítui Sancto.
R. Sicut erat in princípio, et nunc, et semper, * et in sǽcula sæculórum. Amen.


 SALVE REGINA

Salve, Regína, mater misericórdiæ;
vita, dulcédo et spes nóstra, salve.
Ad te clamámus éxsules fílii Hevæ.
Ad te suspirámus geméntes et flentes
In hac lacrimárum valle.
Eja ergo, advocáta nostra,
illos tuos misericórdes óculos ad nos convérte.
Et Jesum, benedíctum fructum ventris tui,
nobis post hoc exsílium osténde.
O clemens, o pia, o dulcis Virgo María.

OREMUS

Deus, cujus Unigenitus, per vitam, mortem, et resurrectionemsuam, nobis salutis œternæ præmia comparavit, concede, quæsumus: ut hæc misteria sanctissimo beatæ Mariæ Virginis Rosario recólentes, et imitemur quod continent, etquod promittunt assequamur. Per eundem Dominum, etc.

LITANIE LAURETANE

KYRIE, eléison.

Christe, eléison.

Kyrie eleison.  

Christe, audi nos.

Christe, exàudi nos.

Pater de cælis, Deus,

             miserere nobis.

Fili, Redémptor mundi, Deus,

              miserere nobis

Spiritus Sancte, Deus,

                 miserere nobis.

Sancta Trinitas, unus Deus,

                  Miserere nobis.

Sancta Maria,

       ora pro nobis

Sancta Dei Genitrix, ora …

Sancta Virgo virginum, ora …

Mater Christi, ora …

Mater divinæ gràtiæ, ora …

Mater purissima, ora …

Mater castissima, ora …

Mater inviolata, ora …

Mater intemerata, ora …

Mater amàbilis, ora …

Mater admiràbilis, ora …

Mater boni consilii, ora …

Mater Creatóris, ora …

Mater Salvatóris, ora …

Virgo prudentissima, ora …

Virgo veneranda, ora …

Virgo prædicànda, ora …

Virgo potens, ora …

Virgo clemens, ora …

Virgo fidélis, ora …

Spéculum iustitiæ, ora …

Sedes sapiéntiæ, ora …

Causa nostræ lætitiæ, ora …

Vas spirituale, ora …

Vas honoràbile, ora …

Vas insigne devotiónis, ora …

Rosa mystica, ora …

Turris Davidica, ora.

Turris ebùrnea, ora …

Domus àurea, ora …

Fcederis arca, ora …

Iànua cæli, ora …

Stella matutina, ora …

Salus infirmórum, ora …

Refùgium peccatórum, ora …

Consolàtrix afflictórum, ora …

Auxilium Christianórum, ora …

Regina Angelórum, ora …

Regina Patriarchàrum, ora …

Regina Prophetàrum, ora …

Regina Apostolórum, ora.

Regina Màrtyrum, ora …

Regina Confessórum, ora …

Regina Virginum, ora …

Regina Sanctórum omnium, ora …

Regina sine labe originali concépta, ora …

Regina in cælum assùmpta, ora …

Regina sacratissimi Rosàrii, ora …

Regina pacis, ora …

Agnus Dei, qui tollis peccata mundi,

       parce nobis, Dòmine.

Agnus Dei, qui tollis peccata mundi,

        exàudi nos, Dòmine.

Agnus Dei, qui tollis peccata mundi,

         miserére nobis.

f. Ora prò nobis, sancta Dei Génetrix.

R:. Ut digni efficiàmur promissiónibus Christi. –

Orèmus.

Oratio

CONCÈDE nos fàmulos tuos, quæsumus, Dòmine Deus, perpètua mentis et córporis sanitàte gaudére: et, gloriósa beatæ Mariæ semper Virginis intercessióne, a præsénti liberàri tristitia, et ætérna pérfrui lætitia.

Per Christum Dóminum nostrum.

R. Amen.


IL ROSARIO E LA SANTITÀ (2)

IL ROSARIO E LA SANTITÀ (2)

del

R. P. EDOUARD HUGON

DEI FRATELLI PREDICATORI

SECONDA PARTE

I MODELLI DELLA SANTITÀ: MARIA E GIUSEPPE

CAPITOLO PRIMO

IL ROSARIO E LA VERGINE SANTISSIMA: MARIA MODELLO DELLA PREDESTINAZIONE

Dopo aver studiato, dal punto di vista del Rosario, il Cuore, l’Anima, la Divinità di Gesù ed aver assaporato le delizie soprannaturali alla loro fonte, è giusto e dolce considerare la Regina del Santo Rosario stessa. Gesù Cristo, prima di morire, ci ha lasciato un doppio testamento: la sua Eucaristia e sua Madre. Maria e l’Eucaristia! A questi due nomi il Sacerdote freme, perché gli rivelano il segreto delle sue più dolci gioie; la vergine freme, perché gli ricordano la fonte da cui attingerà le dolci ed austere delizie della sua verginità; la morente freme, perché gli promettono speranza; la peccatrice freme, perché gli promettono il perdono. Anche per noi, pronunciare questi due Nomi è una gioia. Maria e l’Eucaristia sono il testamento di un moribondo, poiché Gesù ci ha dato la sua Eucaristia alla vigilia della sua morte, e ci ha dato sua Madre poco prima di esalare l’ultimo respiro. Tutto ciò che rimane dei morti è prezioso per noi; l’oggetto più piccolo ha un valore inestimabile, dal momento che è stato consacrato dalla maestà del trapasso, e sembra che non abbiamo più nulla da aggiungere quando diciamo: « Questo è il dono di un moribondo! » Cosa sarà allora quando questo moribondo è un Dio? Oh, allora l’emozione è all’apice, il cuore è rimescolato fin nelle più intime profondità. Bene! Maria e l’Eucaristia sono il testamento di un moribondo che è un Dio! Non ci sarà mai un testamento più augusto di questo. Ah! L’umanità non si è sbagliata; ha avuto per Maria e per l’Eucaristia quell’amore appassionato che si ha per i doni dei moribondi, ha iscritto questo doppio testamento negli annali del cuore, e sappiamo che tali annali non invecchiano mai. No, mai l’amore di Maria potrà essere strappato dal cuore dei Cristiani: finché i cuori batteranno, Maria sarà amata. La devozione alla Santa Vergine è quindi fondamentale e indistruttibile nel Cristianesimo. Il Rosario è la vera forma di questa devozione. Innanzitutto, il Rosario ha il più alto potere di invocazione alla Santa Vergine; noi siamo come il bambino che con le sue ripetute grida obbliga la madre a rispondergli. Cominciamo una “Ave” ed è già un richiamo potente; lo ripetiamo fino a dieci volte per renderlo ancora più eloquente, e quando la decina è finita, ricominciamo di nuovo il grido d’amore; fino a centocinquanta volte questo grido va sempre più ingrandendosi; è diventato quindi la voce sublime che penetra il cielo. In secondo luogo, il Rosario ci fa dare alla Vergine il vero posto che Ella occupa nel piano divino. Nel Rosario andiamo a Dio attraverso Maria, facciamo tutto attraverso Maria, ci aspettiamo tutto da Maria, come se la salvezza ci venisse da Lei. Questo è infatti il ruolo di Maria nell’Incarnazione; è, nel vero senso, causa della nostra salvezza. Per apprezzare pienamente il ruolo di Maria nel Rosario, dobbiamo mostrare qual sia il ruolo di Maria nella grande questione della salvezza dei Cristiani. Nella salvezza ci sono tre cose capitali: la predestinazione, la grazia e la morte. Per formare un eletto, prima di tutto ci deve essere la scelta divina che, da tutta l’eternità, lo separi dalla massa impura dei reprobi; poi ci deve essere la grazia che lo santifica nel tempo, e infine una morte pia che coroni la grazia e metta il sigillo alla predestinazione. Ora, Maria ha un ruolo importante in queste tre fasi della salvezza: Ella è il modello della nostra predestinazione, è il canale della grazia, è la patrona della buona morte. Sapremo quindi abbastanza sul ruolo di Maria nel Rosario e sul suo ruolo nell’opera di salvezza, dopo aver sviluppato questi tre pensieri: Maria, modello di predestinazione; Maria, canale di grazia; Maria, patrona della buona morte. La predestinazione è l’eterna preparazione alla salvezza; è l’atto misericordioso con cui, da tutta l’eternità, Dio ci ha amato gratuitamente, ci ha scelto liberamente, ci ha indirizzato in modo sicuro e infallibile verso la gloria benedetta. La predestinazione ci ha resi scelti, degli eletti e prediletti. Una persona predestinata è quindi una persona amata. Ma nello scegliere il suo amato, Dio aveva un modello, guardava ad un ideale, cioè al suo Prediletto per eccellenza, Cristo-Gesù. Per questo Cristo è chiamato lo stampo di tutti i predestinati. San Tommaso ci insegna una bella e profonda dottrina su questo tema. (III P., q. III, art. VIII). Quando un capolavoro è stato danneggiato, l’artista, per ripararlo, lo riporta all’ideale primitivo, e lo rimette nello stampo da cui proveniva; in questo modo lo stesso stampo viene utilizzato per riformare l’opera e per ripararla. L’uomo, capolavoro divino, era stato deformato dal diavolo; Dio, per ripararlo, lo ha rimesso nel suo stampo. Questo esemplare, questo eterno ideale degli esseri, è il Verbo divino; esso è servito a formarci, e servirà pure a ripararci. Dio ha voluto restaurarci con il Verbo suo, ecco perché il Verbo si è fatto carne. Quindi la salvezza può esserci solo in Cristo; per entrare in cielo dobbiamo somigliare al nostro ideale eterno, e la predestinazione consiste nel renderci conformi all’immagine del Figlio di Dio. « Prædestinavit conformes fieri imaginis Filii sui » (Rom. VIII, 29). Ogni eletto porta i lineamenti, la figura del Cristo; Gesù è lo stampo del predestinato. Ora non possiamo non trasalire nel ricordare le parole di sant’Agostino: « … Lo stampo di Cristo è Maria. » C’è, infatti, una somiglianza ineffabile tra il corpo di Gesù e il corpo di Maria, tra l’anima di Gesù e l’anima di Maria, tra la predestinazione di Gesù e la predestinazione di Maria. Lo stesso atto divino che decretò l’Incarnazione, decretò l’esistenza della Beata Vergine; Dio contemplò originariamente nello stesso dipinto, la figura del suo Cristo e la figura di Maria, ed è vero il dire che Maria è fatta a somiglianza di Gesù, e che Gesù a sua volta è fatto a somiglianza di Maria. Sant’Agostino l’ha detto bene: « Formam Dei »: Maria è lo stampo di Cristo, lo stampo di Dio. Poiché il Padre Eterno ha voluto formare il suo primo Eletto, il Capo di tutti i suoi predestinati, solo attraverso la Vergine Santissima, anche tutti gli altri Santi devono essere gettati in questo stampo verginale, e quando ne fuoriescono sono Cristiani, prediletti, eletti. Così come Dio ci ha predestinati ad essere conformi all’immagine di suo Figlio, così ci ha predestinati ad essere conformi all’immagine di Maria. « Prædestinavit conformi fieri ». Che pensiero dolce! Noi dunque siamo fatti a somiglianza di Maria! Dio, nel crearci, ha preso Maria come modello! C’è in noi qualcosa dei lineamenti di Maria, della sua figura, della sua bellezza! In qualsiasi grado Dio ci abbia posto, o nel mondo, o nella regalità del sacerdozio, o sulle altezze sublimi della vita religiosa, tutti noi siamo stati formati sul modello della Madre nostra. Predestinando i coniugi cristiani, le madri cristiane, Dio guardava a Maria; predestinando le vergini, le suore, Dio guardava a Maria; predestinando i sacerdoti, Dio guardava a Maria. E prima di tutto, quando Dio ha formato i cuori degli sposi cristiani, ha preso Maria a modello; ha voluto mettere negli affetti della famiglia un po’ dell’amore casto con cui Maria amava San Giuseppe. Allo stesso modo, il cuore di Maria è l’ideale secondo il quale Dio ha concepito questo capolavoro che è il cuore materno. Sì, madri cristiane, quando Dio vi ha predestinate, ha preso Maria come modello. Se l’amore di tutte le madri fosse raccolto, sarebbe un tesoro di eroismo, ma non ancora il Cuore di Maria: tutti questi amori, tutte queste gesta eroiche raccolte, sarebbero solo una debole immagine dell’amore e dell’eroismo della Madre di Dio. Ah! Lasciate che le madri si sforzino sempre più di essere sublimi: più sono eroiche, più si avvicineranno al loro ideale celeste, perché sono predestinate a diventare conformi all’immagine di Maria! Quando Dio predestinava le vergini, guardava a Maria. La prima delle vergini è l’adorabile Trinità; per predestinare la Vergine Maria, quindi, la Trinità guardava a se stessa; ma per predestinare le altre vergini, prende il suo modello da Maria. La Chiesa tratta le sue vergini, le sue monache, con il massimo rispetto: come se non bastasse la sola virtù per consacrare una vergine, la Chiesa prescrive una cerimonia solenne per benedire la sposa di Cristo; ha, per lo stato della vergine, quei riguardi che osserva per il calice dell’altare; ha consacrato la suora come ha consacrato il calice. Ma Dio tratta le vergini con ancora più rispetto: le consacra, mettendo in loro qualcosa di radioso e di angelico, la cui vista eleva i loro cuori al cielo; in una parola, vuole che siano quaggiù l’immagine di Maria, la rappresentazione di Maria. Queste vergini andranno dunque in tutto il mondo con a guardia la loro purezza, e i popoli si leveranno davanti a loro come prima di una dolce apparizione di Maria. Questa casta e immacolata generazione è ancora numerosa; ha mani per guarire tutte le ferite, per guarire tutte le miserie, un linguaggio per istruire ogni ignoranza e per ammorbidire l’amarezza di ogni falsa speranza. O vergini, siate fiere della vostra sorte: voi siete state formate sul modello di Maria, siete predestinate a riflettere la sua immagine nel tempo e nell’eternità! Infine, quando Dio ha predestinato i Sacerdoti, ha guardato a Maria. Ci sono analogie sorprendenti tra Maria e il Sacerdote. Entrambi sono posti tra Dio e gli uomini, entrambi sono mediatori: Maria è corredentrice, il Sacerdote è corredentore; in virtù del suo sacro Ministero redime le anime, risuscita i morti donando la grazia attraverso i Sacramenti. Maria e il Sacerdote sono vergini, ed entrambi possono dire a Gesù, anche se in modo molto diverso, le stesse parole: « Filius meus es tu, ego hodie genui te ». Tu sei mio Figlio, oggi ti ho generato. Il sacerdote dà a Gesù, attraverso la Consacrazione, una vera nascita, cioè quell’esistenza sacramentale e misteriosa che Cristo ha sui nostri altari. O gioia divina, o inesprimibile dolcezza! Maria e il Sacerdote si incontrano nella stessa felicità, nella stessa parola: Filius meus es tu: O Gesù, tu sei il mio Dio e mio Figlio! Maria e il Sacerdote generano anche Gesù nelle anime: Maria usa il Sacerdote per dare vita al peccatore, e il Sacerdote ha bisogno di Maria per agire efficacemente. La nostra vocazione è quindi simile a quella di Maria. Grazie, o Dio, per averci formato sul modello di tua Madre, e per averci predestinato a diventare come Lei! Prædestinavit conformes fieri. Questo è il ruolo della Beata Vergine nella predestinazione: mariti, vergini, Sacerdoti, tutti sono gettati in questo stampo immacolato. Ma la predestinazione eterna si realizza nel tempo con la libera collaborazione dell’uomo; l’ideale divino deve realizzarsi in noi con i nostri sforzi; la nostra anima è il quadro in cui dobbiamo dipingere in noi stessi, con l’aiuto di Dio, le fattezze di Maria, Ora, per riprodurre fedelmente un modello, dobbiamo averlo costantemente sotto i nostri occhi. Ebbene, nel Rosario Maria si pone, per così dire, davanti a noi: ognuno dei suoi tratti ci viene rivelato da ciascuno dei Misteri. Sarebbe facile applicare qui ciò che abbiamo detto sul Cuore e l’Anima di Gesù; sì, il Cuore e l’Anima di Maria si manifestano nella sua interezza nei Misteri con tutti i loro tesori e la inesprimibile bellezza. In questo modo è facile per noi realizzare l’ideale della nostra predestinazione: praticando la virtù del Mistero lavoriamo sul quadro divino, ripercorrendo in noi stessi una delle caratteristiche del nostro modello. Sarebbe una buona idea dedicare ogni settimana a dipingere nella nostra anima ciascuna delle virtù ricordate nel Rosario: una settimana per riprodurre in noi l’umiltà di Maria, un’altra settimana, la sua carità e così via. Se una settimana non bastasse, usiamo mesi e anni, ma  sia la nostra preoccupazione quella di trasfigurare noi stessi nel nostro modello. E una volta che uno dei tratti di Maria sia stato inciso, non lasciamo che venga cancellato dalla nostra negligenza; lasciamo che rimanga incessantemente nella nostra anima e che sia sempre in grado di contemplare dentro di noi la figura amata della Madre nostra.

CAPITOLO SECONDO

IL ROSARIO E LA VERGINE SANTISSIMA: MARIA MADRE DELLA GRAZIA

Abbiamo visto come il Rosario ci renda conformi al bellissimo ideale della nostra predestinazione: l’Immacolata Madre di Gesù. La predestinazione si realizza nella nostra anima attraverso l’opera della grazia, per cui dobbiamo ora esaminare quale sia il ruolo della Beata Vergine in relazione alla grazia. Poiché la grazia è una partecipazione della natura divina, un flusso della sua vita feconda, solo Dio può produrla, perché solo Lui può comunicarci la sua natura e la sua vita. Gesù Cristo, come Dio, è l’Autore della grazia allo stesso modo di suo Padre; come Dio e come l’uomo, è la causa meritoria e principale di tutti i beni spirituali. Inoltre, la sua adorabile Umanità ha ancora tutti i giorni un’efficacia intima e misteriosa, essa è lo strumento che Dio usa per la produzione quotidiana della grazia. Il Vangelo ci dice che da Nostro Signore è uscita una virtù per guarire i corpi; dalla Sua Umanità esce anche una potente virtù per guarire le anime, per riversare in esse il dono che santifica. L’Umanità del Verbo è l’atmosfera balsamica dove si formano le gocce della rugiada divina. Se Gesù Cristo è l’unico serbatoio delle acque fertili della salvezza, Maria ne è il canale che le fa arrivare a noi; non è Ella la sorgente, perché Ella stessa ha ricevuto tutto da suo Figlio, ma noi dobbiamo passare attraverso di Lei per arrivare alla sorgente; Ella stessa non produce la grazia, perché la grazia è una partecipazione di Dio, ma è la distributrice delle grazie; le onde divine del vasto Oceano che è Cristo, seguono per giungere fino a noi, il fiume verginale che è Maria. Da qui le famose parole di San Bernardo: « Nulla gratia venit de cœlo ad terram nisi transeat per manus Mariæ ». Nessuna grazia viene dal cielo sulla terra senza essere passata per le mani di Maria (Serm. De acqueducto). Padri e Dottori non hanno abbastanza espressioni per inculcare questa verità. Essi chiamano Maria il serbatoio di tutti i beni, promptuarium omnium honorum, il tesoriere di tutte le grazie, il tesoriere di Gesù Cristo. E prima di loro l’Arcangelo Gabriele aveva detto tutto in una sola parola: « Gratia plena » piena di grazia. È piena di grazia per se stessa, è piena di grazia per noi. Plena sibi, superplena nobis. San Tommaso (Commentario sull’Ave Maria e Commentario su S. Giovanni, cap. I, lect. X) distingue in questo senso una triplice pienezza di grazia. In primo luogo, plenitudo sufficientiæ, la pienezza della sufficienza, comune a tutti i Santi; cioè tutti gli eletti hanno un’abbondanza di grazia sufficiente a far loro osservare la legge divina ed a condurli inesorabilmente alla beatitudine eterna. – In secondo luogo, plenitudo excellentiæ, la pienezza dell’eccellenza. Questa appartiene solo a Gesù Cristo: è la pienezza della sorgente, la pienezza dell’abisso senza limiti; è da essa che tutti ci siamo arricchiti. Da plenitudine ejus nos omnes accepimus (Giov. I, 16). – Al terzo posto, plenitudo redundantiæ, la pienezza della sovrabbondanza. Questa appartiene solo alla Santa Vergine: la sua grazia è così grande che trabocca come un serbatoio stracolmo e si riversa su tutta l’umanità. Maria è piena di grazia per se stessa, sovrabbonda di grazia per noi. Plena sibi, superplena nobis. Possiamo dire di Lei come di suo Figlio, anche se in senso diverso: « De plenitudine ejus nos omnes accepimus. » Siamo stati tutti arricchiti dalla sua pienezza.  – C’è un triplice valore nelle grazie della Beata Vergine: valore meritorio, valore soddisfattorio, valore impetratorio. I suoi meriti, secondo molti santi Dottori, superano quelli di tutti gli Angeli e gli uomini insieme; la soddisfazione e l’impetrazione vanno di pari passo con il merito. Possiamo vedere da questo che i tesori spirituali della nostra augusta Madre raggiungono in ampiezza e profondità proporzioni che la nostra intelligenza non può misurare. C’è da meravigliarsi che trabocchino e si riversino sulle nostre anime? Plenitudo redundantiæ. I suoi tesori soddisfattori sono interamente per noi: essendo Ella libera da ogni minima contaminazione, non ha mai avuto bisogno delle sue soddisfazioni; queste sono quindi cadute nel dominio della Chiesa, che ce le distribuisce attraverso le indulgenze. I suoi meriti non sono applicati direttamente a noi, perché sono di sua inalienabile proprietà. Tuttavia, possiamo dire che Maria è una causa di grazia meritoria. Non ha potuto ottenere la salvezza per noi come giustizia, come ha fatto Gesù Cristo; ma ha potuto meritare per noi questo merito di convenienza (de congruo), questo diritto di amicizia che ha tanto potere sul cuore di Dio. È soprattutto a titolo di impetrazione che Maria è la distributrice delle grazie; tutti i beni celesti passano attraverso le sue mani, cioè vengono a noi per mezzo della sua intercessione. Così intese, le parole di San Bernardo non sono una pia esagerazione, ma esprimono una bella verità che è dolce approfondire. – È necessario qui ricordare quella sublime dottrina che San Paolo ha così magnificamente esposto (Ephes. IV, 16). « La Chiesa è un Corpo mistico di cui Gesù Cristo è il Capo; come nel corpo umano, anche nella Chiesa ci sono nervi potenti che tengono insieme le membra, ed è l’Autorità spirituale; ci sono poi vasi che alimentano la vita, cioè i Sacramenti; infine, c’è la vita stessa, c’è il sangue che ne sostiene la giovinezza e la bellezza. Questa vita, questo sangue della Chiesa, è la grazia. Tutto questo movimento, tutte queste energie scendono dalla testa agli arti. Nel corpo umano c’è una parte che unisce il capo al resto del corpo; nella Chiesa, Cristo è il capo, Maria è l’intermediaria che unisce il capo alle membra: Maria, collum Ecclesiæ. Maria è il collo mistico del Corpo divino che è la Chiesa. Come i movimenti e le energie del capo raggiungono il resto del corpo solo dopo essere passati attraverso “questa colonna mobile” che li collega tra loro, così la vita di Cristo raggiunge i fedeli solo attraverso Maria, l’organo soprannaturale che collega il Capo mistico alle membra del suo Corpo. Da Cristo la grazia scende nella Beata Vergine, da Maria scende nella nostra anima, e da lì risale nell’eternità da dove è venuta. La grazia, così come l’acqua e il sangue, vuole elevarsi all’altezza della sua fonte: la fonte della grazia è l’eternità, la grazia fa parte della vita eterna, deve quindi rimandare nell’eternità i suoi misteriosi riflessi, secondo le parole di Nostro Signore: « Fiet in eo fons aquæ satientis in vitam æternam » (Giov. IV, 14). Essa risale nell’eternità così come ne è discesa: dall’anima fedele risale attraverso Maria, da Maria passa in Cristo, attraverso Cristo raggiunge di nuovo l’eternità. Attraverso Maria c’è nella Chiesa una corrente soprannaturale che scende e sale a sua volta; c’è tra cielo e terra come un flusso e riflusso perpetuo: è il flusso che rinvia il flusso, l’amore che restituisce l’amore. I meriti e i tesori di Gesù ci vengono trasmessi attraverso il Cuore di Maria; i nostri meriti e il nostro amore raggiungono Gesù attraverso il Cuore di sua Madre. Il tuo Cuore Immacolato, o Vergine Benedetta, è il dolce incontro tra Dio e l’uomo, il fiume misterioso che unisce le rive del tempo a quelle dell’eternità.  – Le onde di questa grazia hanno alzato la loro voce, una voce sublime, una voce più ammirevole di quella delle grandi acque, più ammirevole di quella dell’Oceano, e questa voce sembra gridare ad eco eterni: Maria, Mater gratiæ, Maria, Madre della Grazia! Possiamo noi unire l’armonia del nostro cuore a questa armonia per lodare Dio! Questa, quindi, è la parte di Maria nell’economia della salvezza. E il Rosario è un ottimo modo per attingere a questo canale di grazia. Come i tesori di Gesù Cristo ci sono applicati attraverso i Sacramenti, così, mantenendo le proporzioni e accantonando ogni esagerazione, i tesori di Maria ci vengono trasmessi attraverso il Rosario. Dove sono infatti i meriti e le soddisfazioni della Beata Vergine? Il Rosario non è forse la storia della sua vita? È nei Misteri che ha moltiplicato le sue soddisfazioni e i suoi meriti quasi all’infinito. Lo stesso vale per il suo potere di impetrazione: quando intercede per noi, quando comanda a suo Figlio di ascoltarci, ci fa capire il ruolo che ha dovuto svolgere nella triplice serie dei Misteri. Così la meditazione della nostra bella preghiera ci mette in contatto con la fonte da cui Maria ha attinto le sue ricchezze spirituali; come abbiamo detto, parlando dell’anima di Gesù, il Rosario ci fa toccare l’anima e la grazia della Beata Vergine; lampi di luce, colpi di fuoco scaturiscono da quell’anima sulla nostra. Quando recitiamo l’Ave quando diciamo alla nostra Madre: gratia plena, non solo le rinnoviamo il profumo delle sue prime gioie, ma soprattutto le ricordiamo il ruolo che ha nell’affare della salvezza, nell’economia della grazia, e i titoli che può far valere davanti a Dio in nostro favore. Meditare sui Misteri significa tenere la nostra anima unita alla sua, il nostro cuore in uno col suo Cuore; significa dissetarci alla stessa fonte alla quale Ella si è dissetata; significa unire la nostra voce alla voce del tempo e dell’eternità per dirle: Maria, Mater gratiæ! O Maria! O Madre della Grazia, ricordati dei tuoi figli! Maria risponde riversando su di noi nuovi favori e rivolgendoci questa parola: Chi mi trova ha trovato la vita, e attingerà la salvezza dalle fonti del Signore! (Prov. VIII, 35).

TERZO CAPITOLO

IL ROSARIO E LA VERGINE SANTISSIMA: MARIA PATRONA DELLA BUONA MORTE

Ci sono, nel destino del Cristiano, tre giorni grandiosi che hanno la loro solenne risonanza nell’eternità: quello del Battesimo, quello della prima Comunione e quello della morte. Il giorno del Battesimo è il primo dei nostri giorni belli, quando Dio si impadronisce di noi, quando ci segna con il suo dito ed il suo sigillo, e ci incorona re per l’eternità. La Prima Comunione è una festa per il cielo e per la terra. È indubbiamente un momento bellissimo in cui il bambino può baciare il padre e la madre da lungo tempo assenti, ma è incomparabilmente più dolce l’ora in cui il bambino abbraccia il suo Dio per la prima volta. Ora, è attraverso la prima Comunione che diamo a Gesù il nostro primo bacio nell’Eucaristia. Ma il giorno della morte è il più solenne dei tre: è il trionfo o la più terribile disperazione; è il giorno che ci trasfigura per sempre, che suggella la nostra beata predestinazione, o che consuma il più terribile dei disastri. Questi tre giorni sono posti sotto la benedizione di Maria; Ella ci ha sorriso nella nostra culla, ci ha praticamente tenuto in braccio al momento del Battesimo: ci ha benedetto nella Prima Comunione, ci ha condotto Ella stessa al banchetto di suo Figlio; ma soprattutto ci ha benedetto e ci ha sorriso nel giorno della morte. Poiché questo è il più terribile dei tre, se l’è riservato per Lei in modo speciale. La Sacra Scrittura chiama la morte “Il giorno del Signore”, dies Domini; possiamo chiamarlo allo stesso modo: il giorno di Maria. È necessario che sia così. Il peccatore morente è posto tra tre cupe visioni: la cupe visione del passato sono i peccati che ha commesso; la cupe visione del futuro sono le fiamme vendicative che lo attendono; la cupa visione del presente è la Giustizia divina, dalla quale non può sfuggire. Il giudizio inizia sul letto dell’agonia, ed è opinione dei teologi che il luogo della morte sia il luogo stesso del Giudizio. Ah! se il giorno della morte fosse solo il giorno della Giustizia, troppo spesso sarebbe un giorno di terrore. Ma è anche il giorno di Maria, e proprio per questo è il giorno della misericordia e della gioia. Di fronte alle tre cupe visioni, Maria pone tre visioni consolanti, tre visioni ineffabilmente dolci: la dolce visione del passato è la benedizione di Maria dal Battesimo all’ultimo momento della vita; la dolce visione del futuro è il regno eterno dove Maria trionfa con il suo amato; la dolce visione del presente è la misericordia divina, la protezione, spesso anche l’apparizione, il sorriso di Maria. Ovunque si rivolga il moribondo, se è un servo di Maria, è consolato. Se si volge verso il passato, trova la bontà di Maria; se verso il futuro, il regno di Maria; se verso il presente, la benedizione, il sorriso di Maria. O pii figli della Regina del Cielo, non dobbiamo temere la morte, perché è il giorno di Maria! La nostra augusta Madre è per molti versi protettrice della morte, ma soprattutto in due modi: in primo luogo perché ci prepara contro le sorprese della morte, e in secondo luogo perché ci assiste in modo speciale nel nostro doloroso passaggio. Ci prepara contro le sorprese: Unire la morte allo stato di grazia è un grande favore che non possiamo meritare. Solo può unire la morte allo stato di grazia, Colui che è il padrone assoluto della grazia e della morte, cioè Dio stesso. La morte del giusto è quindi un favore del cielo, è l’effetto di una predestinazione speciale: l’amore di Dio ci ha dato la nascita, l’amore di Dio ci fa morire. Lo stesso atto che ci ha chiamati alla gloria ci chiama a morire in questo o in quell’istante. Ecco un bambino che è appena stato battezzato; per un incidente imprevisto cade dalle mani che lo portavano e muore nella caduta. Questo caso ci sembra fortuito, eppure è nell’intenzione di Dio una grazia di scelta: richiedeva una speciale provvidenza, in una parola, una predestinazione. Per ottenere ai suoi figli questo dono della perseveranza, Maria ha infinite delicatezze che ci sfuggono: morire un anno prima, un mese prima, una settimana prima, un giorno prima, un istante prima, è a volte un favore inestimabile che ci procura a nostra insaputa. Sceglie cioè Ella il momento in cui siamo in uno stato di grazia. Dio colpisce, per così dire a caso, i reprobi, che sono il legno morto destinato alle fiamme eterne; ma per i servi di Maria, che sono il legno profumato del giardino delle delizie, Egli osserva le stagioni, secondo l’espressione di un autore pio. La morte può essere improvvisa, ma non li sorprende; un presagio segreto, una specie di voce interiore li aveva avvertiti. Anche quando la morte sembra imprevista, ci si rende conto che, negli ultimi tempi, queste anime erano più ferventi, più raccolte, più unite a Nostro Signore. – In secondo luogo, Maria aiuta i suoi servi in modo speciale al momento del terribile passaggio. Assistendo sul Calvario alla morte del Capo dei Predestinati, acquisì il privilegio, secondo Sant’Alfonso, di assistere tutti gli altri predestinati all’ora della morte. Come Dio ha voluto che il suo Cristo fosse formato da Maria e che morisse sotto gli occhi di Maria, così Dio desidera che tutti gli altri suoi “Cristi” siano formati da Maria e che Maria riceva il loro ultimo respiro. È un momento solenne l’ultimo momento di un predestinato: una sorta di stupore coglie i presenti, si sente che Dio e la morte sono lì, si ammira e si tace. Ma ahimè, c’è più di Dio e della morte, c’è anche il diavolo e i suoi satelliti. satana fa sforzi disperati, sa che gli resta poco tempo, si precipita come un gigante sull’uomo morente, vorrebbe afferrarlo in una stretta potente. Silenzio! … Maria è là! Con uno sguardo Ella ha fulminato il gigante infernale, è più terribile di un esercito schierato in battaglia; « se Ella è per noi, chi sarà contro di noi? » dice sant’Antonino. Si Maria pro nobis, quis contra nos? I santi – ci assicura Sant’Alfonso – hanno visto Maria venire a sedersi accanto al letto funebre dei suoi servi, asciugando il sudore dell’agonia con le sue mani divine, o rinfrescandoli contro l’ardore della febbre. Ella è lì per far loro assaporare la morte. Sì, grazie alla Beata Vergine, la morte diventa una bevanda da assaporare con piacere. Gustare mortem. Gustare la morte. A volte sentiamo persino le anime gridare, come il pio Suarez o come una santa suora domenicana: « Oh, non sapevo ancora che fosse così dolce morire… » Maria mette i suoi figli a dormire dolcemente, come una tenera madre, e i suoi cari muoiono nel bacio del Signore, assaporando sia l’ebbrezza di quel bacio che l’ebbrezza della morte. Gustare mortem! Quando Santa Chiara era nei suoi ultimi istanti, Maria si avvicinò a lei con una truppa di vergini; baciò con dolcezza la serafica morente, le diede il bacio della pace e, nel frattempo, le altre vergini che accompagnavano la Regina del Cielo si disposero intorno a quel letto trionfale e lo coprirono con un lenzuolo dorato. Nell’Ordine di San Domenico, la Salve Regina viene cantata vicino al letto del moribondo, e più di una volta, durante il canto di questa bella antifona, abbiamo visto i religiosi sorridere improvvisamente e poi addormentarsi dolcemente nel Signore, come cullati dalla mano di Maria. Non sappiamo che tipo di morte il Signore abbia in serbo per noi, ma se rimarremo servi di Maria fino alla fine, siamo certi che la nostra ora suprema sarà consolante; qualunque sia l’amarezza della morte, Maria saprà farcela assaporare. Sì, gusteremo la morte come una deliziosa bevanda preparata dalla mano della Madre nostra, e il nostro ultimo giorno sarà un bel giorno, perché sarà il giorno di Maria. – Queste considerazioni non ci hanno allontanato dal Rosario, perché è nei Misteri che Maria ha iniziato il suo ufficio di patrona della morte, ed è attraverso il Rosario che lo continua ogni giorno. Dapprima Ella ha consolato gli ultimi momenti del suo glorioso sposo, San Giuseppe; poi, nel decimo Mistero, la vediamo assistere il Re dei Prescelti. Il Maestro della vita, certo, non aveva bisogno di aiuto per morire; tuttavia, voleva che la presenza della sua tenera Madre addolcisse per Lui l’amarezza del suo crudele sacrificio. Il Rosario ci ricorda la più ineffabile delle morti: la morte di Giuseppe, la morte di Gesù, la morte di Maria. Il Mistero dell’Agonia ci dà la forza divina per trionfare nella lotta suprema; nella Crocifissione, nell’Assunzione, il Re e la Regina degli Eletti santificano la nostra morte con la loro stessa morte; uniamo le nostre disposizioni a quelle di questi divini morenti, attingiamo, dal loro passaggio, le grazie per addolcire le nostre. È in una scuola di questo tipo che si impara a morire. Inoltre, quando arriva la morte, il cavaliere del Rosario la guarda in faccia, come un operaio che ben conosce il suo mestiere. Sì, chi ha meditato bene la Crocifissione e l’Assunzione conosce il mestiere aspro e soave della morte. Non dimentichiamoci in questi due Misteri di chiedere il dono della perseveranza, orientiamo la nostra intenzione verso questo grande fine. La Crocifissione e l’Assunzione sono per eccellenza i misteri della buona morte. Possiamo anche affermare che c’è in ogni Mistero e anche in ogni Ave Maria una grazia di pia e santa morte. Dicendo a Maria: Pregate per noi ora e nell’ora della nostra morte, le chiediamo un appuntamento pubblico e solenne per l’ultimo istante. Oh! Maria sarà fedele a questo appuntamento con l’agonia, verrà a consolare gli associati della sua Guardia d’Onore, e se necessario, a portare loro la grazia del perdono. Si conosce questo tratto della vita di San Domenico, attestata da diversi autori degni di fede: una giovane, su indicazione del Santo, era entrata nella Confraternita del Rosario. Poco dopo muore di morte violenta e il suo corpo viene gettato in un pozzo. Avendo conosciuto questa tragica notizia, Domenico corse al pozzo e chiamò ad alta voce la sfortunata donna: ella ne uscì viva, si confessò in lacrime e visse per altri due giorni. Il Santo le chiese cosa le fosse successo dopo la morte. – « Sarei stato infallibilmente dannata, ma i meriti del Rosario mi hanno ottenuto la grazia della perfetta contrizione ». Questo episodio, anche se messo in dubbio, benché possa essere solo una parabola, ci aiuta a capire come Maria, attraverso il Rosario, eserciti il suo ufficio di patrona della buona morte. Così le glorie di Maria e le glorie del Rosario sembrano inseparabili. – Tre parole, abbiamo detto, riassumono tutta la salvezza: predestinazione, grazia, morte; tre parole riassumono il ruolo della Beata Vergine: Modello di predestinazione, Causa di grazia, Patrona della buona morte; tre parole riassumono il ruolo del Rosario: esso ci fa realizzare il modello della nostra predestinazione, ci comunica le grazie della Beata Vergine, ci ottiene la perseveranza ed un felice trapasso.  È vero, quindi, che il Rosario ci fa dare a Maria il suo vero posto nel disegno di Dio, e quindi è una devozione fondamentale nel Cristianesimo e un mezzo di santità, qualunque cosa abbiano potuto dire i novatori del XVI secolo e i razionalisti degli ultimi tempi.

QUARTO CAPITOLO

IL ROSARIO E SAN GIUSEPPE

Lo Spirito Santo ha voluto che tre nomi fossero scritti insieme sulla prima pagina del Vangelo, e su quella pagina la Chiesa spesso fa cantare i suoi ministri all’altare: Cum esset desponsata mater Jesu, Maria, Joseph. C’è qui una vera delicatezza divina: finché esisterà il Vangelo, questi tre nomi saranno inseparabili; fino alla fine dei tempi la Chiesa avrà la dolce parola ripetuta sull’altare: Mater Jesu, Maria, Joseph – Giuseppe, Gesù, Maria! Dio ha scritto questi tre nomi nel suo libro della vita per significare che dobbiamo iscriverli tutti e tre nel nostro cuore e unirli nel nostro affetto. Né li separeremo nella meditazione del Rosario: il ricordo di Giuseppe è indissolubilmente unito nei Misteri a quello di Gesù e di Maria. Il Rosario, che ci hanno rivelato Maria e suo Figlio, ci rivelerà anche lo sposo di Maria. Possiamo anche dire che il Rosario è la vera storia di San Giuseppe, perché ci fa conoscere: 1° il ruolo del glorioso Patriarca in relazione all’Incarnazione e alla Redenzione; 2° il suo ruolo in relazione alla Chiesa. È su questo doppio punto di vista che mediteremo piamente. Una Trinità vergine aveva creato il mondo, una Trinità vergine aveva la missione di salvarlo. È dolce per noi invocare la Trinità vergine che ci ha creato all’inizio delle nostre azioni: il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo: la Trinità vergine alla quale è stata affidata la missione redentrice, abbiamo imparato ad amarla fin dalla culla; pronunciare il suo nome è una gioia: Gesù, Maria, Giuseppe. Gesù fa parte di questa Trinità della salvezza, perché è il Redentore, Maria ne fa parte perché è la Madre del Redentore, Giuseppe ne fa parte perché ha un rapporto ineffabile con Gesù e con Maria. Tutti e tre sono vergini, tutti e tre sono associati in una vita comune di sofferenze comuni, e si può applicare ad esse, anche se in un altro senso, ciò che si dice della Trinità del cielo: et hi tres unum sunt, questi tre sono una sola. Giuseppe appartiene a Gesù e Maria per sacri legami, ha un vero e proprio diritto su di loro; Gesù e Maria sono in qualche modo di sua proprietà. La sposa appartiene allo sposo: c’è una donazione totale tra l’uno e l’altro, e più l’unione è spirituale, più è forte e più perfetta è la donazione. L’unione di Maria con Giuseppe è tutta spirituale: è una verginità che sposa un’altra verginità. L’unione è quindi perfetta; la donazione è totale: Maria appartiene completamente a Giuseppe. E proprio per questo Gesù diventa proprietà dello sposo di Maria. È facile dimostrarlo con un ingegnoso confronto preso in prestito da San Francesco di Sales. Se una colomba dovesse far cadere un frutto in un giardino, l’albero che nascerà da questo frutto apparterrà senza dubbio al padrone del giardino. Ora Maria è il giardino di San Giuseppe, un giardino sigillato e balsamico per i fiori di verginità. Lo Spirito Santo vi fa cadere dentro un  frutto divino; questo frutto diventa il grande albero che ha guarito e ha protetto tutta l’umanità. Poiché il giardino appartiene a Giuseppe, l’albero nato da questo giardino, cioè il Bambino Gesù, appartiene anche a lui. Come sei ricco, o benedetto Patriarca! I più bei capolavori della creazione, le due meraviglie della grazia vi appartengono.  – Per produrre Maria e Gesù, Dio doveva scuotere il cielo e la terra, secondo la parola del profeta: Commovebo cœlum et terram (Agg. II, 7). L’eternità è stata in qualche modo commossa per realizzare questa meraviglia che si chiama negotium sæculorum, il grande affare dei secoli. E dopo che Dio ha così scosso l’universo, dopo aver dato alla luce questi due capolavori, non ha voluto tenerli per sé, li ha affidati a Giuseppe. La cosa più bella che il Signore ha fatto è sua. Quando guarda Gesù e Maria, può dire loro la stessa cosa: “Voi siete miei, mi appartenete”: ed entrambi gli rispondono: “Sì, sono tua proprietà, tuus sum ego“. Per essere degno di possedere i due tesori più preziosi del Signore, Giuseppe doveva ricevere una grazia supereminente che lo portasse fino alle estreme sommità dell’eroica santità. San Giovanni Crisostomo, riecheggiando la Tradizione, ci assicura che Giuseppe è stato purificato prima della sua nascita dalla contaminazione originaria. Più tardi, il contatto quotidiano con il Verbo Incarnato ha portato nella sua anima insondabili tesori di grazia. – Ricordiamo qui un principio di San Tommaso che abbiamo invocato più volte. Più siamo vicini ad una sorgente, più partecipiamo all’abbondanza delle sue acque. Ma dopo Maria, chi era più vicino all’umanità del Verbo, di Giuseppe? Quando teneva Gesù tra le braccia, quando gli dava un bacio ineffabile, non beveva dalla fonte della santità? L’Umanità di Cristo, oceano di grazia, ha versato le sue onde nell’anima di Giuseppe, l’ha riempita, l’ha fatta traboccare. Ci sono tre abissi nell’Incarnazione: la grazia di Gesù, la grazia di Maria, la grazia di Giuseppe. Tutti e tre sono insondabili, tutti e tre li conosceremo bene solo nell’estasi dell’eternità. Inoltre, la presenza di Maria sarebbe stata sufficiente a santificare suo marito. Prendiamo in prestito un altro paragone da San Francesco di Sales. Supponiamo che uno specchio che riceva raggi del sole direttamente, e che un altro specchio sia posto di fronte ad esso; anche se quest’ultimo riceve questi raggi solo per riverbero, li riflette perfettamente. Maria è lo specchio che riceve direttamente i raggi del sole della giustizia. Giuseppe è lo specchio che riceve i raggi di Maria. Così, lo splendore di Cristo e lo splendore della Beata Vergine si rifletteranno sulla sua anima per rendere tutto luminoso. Tale è l’incomparabile santità di San Giuseppe. È così che egli appartiene al Redentore e alla Madre del Redentore, come è associato a loro nell’opera di salvezza, come è parte della vergine e redentrice Trinità di Nazareth. Ma questo ruolo di Giuseppe nell’Incarnazione, sposo di Maria, padre di Gesù, ci viene mirabilmente rivelato nei Misteri Gioiosi: l’Annunciazione e la Visitazione ci fanno conoscere soprattutto lo sposo di Maria; la Natività, la Purificazione, il Ritrovamento nel Tempio, ci mostrano soprattutto il padre adottivo di Gesù. Le grazie e i sentimenti interiori della sua anima si irradiano attraverso questi Misteri, e questa pia meditazione ci introduce alla storia intima del Beato Patriarca. Infatti, tutta la storia della sua anima è riassunta in sette dolori e sette gioie, e la prima parte del Rosario è il resoconto vivente di questo dramma interiore di sofferenza e di gioia. I Misteri Gioiosi sono come la superficie limpida su cui si riflette il cielo sereno dell’anima di Giuseppe. Ma il ricordo del Santo Patriarca è forse assente dai Misteri Dolorosi? Dopo aver assistito, nella Crocifissione, alla morte del Salvatore, accompagniamo la sua anima nella discesa nel Limbo. Poi, dolce visione, scena incomparabile, l’anima di Gesù e l’anima di Giuseppe si incontrano! C’è qui un momento unico nella storia della felicità. San Tommaso insegna che Nostro Signore, scendendo nel Limbo, ha concesso alle anime sante la visione beatifica. Noi possiamo immaginare quel momento ineffabile in cui, per la prima volta, le anime hanno visto Dio faccia a faccia! Siamo testimoni di queste prime ebbrezze di San Giuseppe, ci congratuliamo con lui, gli diciamo con tenerezza: « Godete! Godete! Ubriacatevi al torrente della voluttà del Signore, e ottenete per noi con le vostre preghiere di bere un giorno dalla vostra stessa sorgente ». – Ci stiamo avvicinando ai Misteri gloriosi, qui ritroveremo nuovamente il nostro amato protettore. Egli fu, senza dubbio, uno dei privilegiati che scortarono l’anima di Cristo il mattino della Risurrezione; il trionfo di Gesù divenne così pure il trionfo di Giuseppe. Il giorno dell’Ascensione, il Padre adottivo ascende con il Figlio, e quando Nostro Signore si sedette sul suo trono eterno per esercitare alla destra dell’Onnipotente il potere del Re e l’ufficio di Giudice, fece sedere accanto a Lui Giuseppe, affidando la cura della sua Chiesa a colui che aveva protetto la sua infanzia. Nel felicitarci con il Salvatore per il trionfante ingresso nel suo regno, ci congratuliamo pure con Giuseppe per essere stato associato all’impero. Più tardi, quando celebreremo le glorie della Beata Vergine negli Ultimi Misteri, sarà dolce per noi pensare allo stesso tempo alle glorie del venerato Patriarca; Maria ci sarà grata per aver unito nella stessa meditazione i trionfi del suo sposo con i suoi stessi trionfi. Pregando la Regina della Chiesa, offriremo il nostro omaggio al patrono e protettore della Chiesa. In questo modo, i Misteri gloriosi ci riveleranno il ruolo di San Giuseppe in relazione alla Chiesa Cattolica. – La Chiesa è stata istituita per perpetuare l’Incarnazione attraverso i secoli; l’Incarnazione e la Chiesa sono il culmine della storia mondiale; la Chiesa è la necessaria estensione dell’Incarnazione; la famiglia cristiana è la continuazione della famiglia di Nazareth. Giuseppe deve quindi avere nella Chiesa un ruolo analogo a quello che gli è stato affidato nell’Incarnazione; deve continuare la missione di tutela che ha esercitato nei confronti della famiglia cristiana: guardiano e protettore della Sacra Famiglia, sarà il guardiano e il protettore del Cristianesimo. La Chiesa ha riconosciuto solennemente questo ruolo del Santo Patriarca nei suoi confronti. È giusto ricordare qui che un religioso domenicano, p. Lataste, aveva offerto la sua vita perché San Giuseppe fosse dichiarato patrono della Chiesa; il sacrificio fu accettato, il religioso morì vittima della sua generosità, ma subito dopo apparve il decreto di Pio IX che proclamava San Giuseppe patrono della Chiesa universale. Abbiamo recentemente celebrato il Giubileo d’argento di questo benedetto patrocinio, e questo giorno è stato veramente una festa del cuore per tutti i fedeli.  – Il ruolo di S. Giuseppe nella Chiesa è quindi quello di esserne il Patrono universale: egli è cioè intercessore per tutte le grazie, patrono di tutte le condizioni. Conosciamo le famose parole di santa Teresa: « L’Altissimo dà una grazia sola ad altri Santi per aiutarci in questo o in quel bisogno, ma il glorioso San Giuseppe, lo so per esperienza, estende il suo potere a tutte ». Abbiamo mostrato come tutti i beni spirituali vengano a noi attraverso Gesù e Maria: Gesù, la fonte delle grazie, Maria, il canale che ce le trasmette. Giuseppe ha un diritto di proprietà su di loro: i legami una volta formatisi sulla terra, non sono stati distrutti, ma piuttosto consacrati in cielo. In paradiso, come a Nazareth, può dire alla moglie e al figlio: « Tu mi appartieni, sei di mia proprietà », ed entrambi gli ripetono la risposta di un tempo: « Tuus sum ego ». Sì, sono tuo. Egli potrebbe quindi comandarli, ma Gesù e Maria non aspettano i suoi ordini; essi prevengono i suoi desideri, e tutti i favori che egli cerca per i suoi privilegiati gli vengono concessi. Per il potere che ha sul cuore del Re e della Regina del Cielo, Giuseppe può essere chiamato il “ministro dei tesori spirituali”, l’amministratore delle finanze divine: le grazie temporali, le grazie dell’eternità, egli ne è l’ammirabile distributore. Abbiamo bisogno di un aiuto temporale? Andiamo da Giuseppe. Una comunità di suore, in America, aveva richiesto una considerevole somma di denaro per un’istituzione a favore dei poveri; una suora aveva composto, in onore di San Giuseppe, un commovente inno che gli anziani cantavano ogni giorno dopo la preghiera serale. Prima della fine della novena, un benefattore ha inviato un’offerta generosa; i poveri hanno continuato a ripetere il loro inno di fiducia; il Santo è stato così gentile da concedere il doppio dell’importo richiesto. Vogliamo la soluzione a una questione difficile? Rivolgiamoci a colui che è il sostenitore delle cause disperate. Una famiglia cristiana fu minacciata da un processo ingiusto; mentre facevano una novena a San Giuseppe, l’avversario si offrì di fermare il processo e di pagare le spese. Ma soprattutto il nostro potente intercessore è lieto di concedere i favori spirituali, le grazie della salvezza. Quante madri cristiane sono venute davanti al suo altare per ringraziarlo della conversione di un figlio o di un marito! Tra tutti i favori, ce n’è uno che si può chiamare la grazia delle grazie; la grazia della perseveranza e della buona morte. Sarò salvato? Sarò dannato? Non c’è domanda più spaventosa di questa; la risposta è ancora più spaventosa: non lo so! Ma Giuseppe, che ha dato la sua anima tra le braccia di Gesù e di Maria, può promettere ai suoi servi una risposta di vita. È stato spesso citato che San Vincenzo Ferrier diceva: Un pio mercante invitava ogni anno tre poveri alla sua tavola in onore della famiglia di Nazareth. Nei suoi ultimi momenti. Gesù, Maria e Giuseppe sono andati da lui, sorridendo e chiamandolo: « Ci hai ricevuto ogni anno nella tua casa; oggi noi ti riceviamo nella nostra ». Se solo potessimo sentire un simile invito alla nostra agonia! Ah! ma almeno, non manchiamo di chiedere al nostro devoto protettore il dono inestimabile della perseveranza. – San Giuseppe è quindi un intercessore per tutte le grazie. È anche il patrono per tutte le condizioni. Patrono dell’infanzia, perché ha protetto il Bambino Gesù sotto il suo manto paterno; patrono delle famiglie cristiane, perché era il capo della famiglia più augusta che sia mai esistita. Egli è in modo speciale il patrono dei lavoratori. Era della stirpe reale di Davide, ma non è in questa veste che è rimasto caro alla pietà dei fedeli; porta nella storia un nome più modesto e venerato: il carpentiere di Nazareth. È il Santo patrono delle vergini: vergine lui stesso, sposo di una Madre Vergine, padre adottivo di un Dio vergine, ha certamente il diritto di essere il custode della verginità. Egli è il Santo patrono delle anime sacerdotali; sia Giuseppe che il Sacerdote hanno avuto la missione di portare Gesù agli uomini, di difenderlo dalle persecuzioni; ad entrambi è stato dato il diritto di godere dell’intimità del buon Maestro, di vivere e morire sul suo cuore. È il Santo patrono degli afflitti, di tutti coloro che piangono, di tutti coloro che soffrono: nei suoi sette dolori e nelle sue sette angosce ha assaporato l’amaro sapore del sacrificio. È il Santo patrono degli esiliati: ha imparato nelle vie dell’Egitto quanto sia duro non poter alzare lo sguardo verso il cielo della sua patria. Non c’è condizione, non c’è stato che non possa trovare in lui un modello, un protettore, un amico; è il Patrono di tutti i Cristiani, perché è il Patrono universale della Chiesa. Questo è, in un semplice e tenue profilo, il ruolo che Gesù Cristo ha affidato al suo padre putativo il giorno dell’Ascensione; ecco come la considerazione di questo mistero può diventare una vera e propria meditazione su San Giuseppe. Leone XIII ha capito bene che c’è un rapporto necessario tra il Rosario e il capo della Sacra Famiglia. Per questo decretò che in tutta la Chiesa, durante il mese del Rosario, che Giuseppe sarebbe stato invocato dopo la sua Immacolata Sposa. Non separiamo ciò che Dio ha unito: d’ora in poi nella recita delle Ave Maria associamo nella nostra meditazione e amiamo la Madre di Gesù, Maria, con Giuseppe, suo sposo: Mater Jesu Maria, Joseph.

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IL ROSARIO E LA SANTITÀ (3)

IL ROSARIO E LA SANTITÀ (3)

del

R. P. EDOUARD HUGON DEI FRATELLI PREDICATORI

TERZA PARTE

IL ROSARIO E LA PRATICA DELLA SANTITÀ

PRIMO CAPITOLO

IL ROSARIO, FONTE DI SANTITÀ

Dio vuole che siamo santi come Lui. La nostra vocazione – dice l’Apostolo – non è l’impurità, la sozzura, ma la vita immacolata. Il Cristiano è una persona consacrata. C’è, infatti, una consacrazione universale che si estende su tutta la nostra esistenza, c’è come una rete divina che ci abbraccia tutti insieme, perché siamo preservati dal contagio del tempo e perché rimaniamo sempre e ovunque una cosa del Signore. Guardate cosa fa la Chiesa per santificarci. Quando arriviamo in questo mondo, Essa ci riceve tra le sue braccia, ci segna e ci consacra: è Essa che si impossessa di noi. Fa delle misteriose unzioni su di noi, ci versa un po’ d’acqua sulla testa: siamo santi!  – Nell’ora della nostra suprema agonia, Essa viene ancora a imprimere sulle nostre membra il sigillo della salvezza; fa un’ultima unzione, ci benedice un’ultima volta: siamo consacrati fino alla morte … benedirà persino la nostra polvere nella tomba; le nostre spoglie conserveranno così una sorta di maestà anche nella corruzione; e Dio si ricorderà che siamo stati consacrati per la risurrezione della gloria. – Ma la Chiesa benedice i suoi figli in modo speciale, quando devono scegliere uno stato di vita. Benedice le sue vergini, affinché il profumo della castità sia più gradevole e il cuore immolato sia una vittima più pura; benedice i suoi monaci, affinché la regalità della vita religiosa non pesi troppo sulla loro testa. E i suoi Sacerdoti?! Quando viene il giorno, « … li mette a terra nelle sue basiliche, versa su di essi una parola e una goccia d’olio »; eccoli santi: ora possono andare in tutto il mondo sotto la protezione della loro consacrazione. Venite anche voi, sposi cristiani: la Chiesa vi consacrerà; benedirà le vostre mani, affinché la vostra alleanza sia più duratura e più stretta; benedirà il vostro cuore, riversandovi un po’ dell’amore fedele con cui Cristo custodisce la sua Chiesa. Questa è la nostra prima santità: la consacrazione, che segna tutti i Cristiani, a qualunque stato appartengano, e scrive sulla loro fronte questo motto che molti, ahimè! rispettano così poco: « Sanctum Domino! Tu sei cosa sacra del Signore! »  – Eppure questa è solo una santità esteriore. La santità propriamente detta è una partecipazione all’Essere stesso di Dio, uno stato dell’anima che ci unisce intimamente al Signore facendoci vivere con la sua vita, amando con il suo amore. Un santo è uno che può dire: « Non sono più io che vivo, è Gesù che vive in me ».  Cercheremo di mostrare come il Rosario ci comunichi questa santità che è la vita stessa di Dio. Gli organi vitali sono la testa e il cuore. Anche nella Chiesa troviamo una testa da cui discendono energie soprannaturali ed un cuore che è l’organo della “circolazione divina”: la testa è Gesù Cristo, il cuore è lo Spirito Santo.  – « Nella testa – dice san Tommaso – ci sono tre cose da notare: l’ordine o il posto che occupa, la perfezione di cui gode, la potenza che esercita. Il suo posto: perché la testa è la prima parte dell’uomo, che inizia dall’alto; la sua perfezione: perché nella testa tutti i sensi, sia interni che esterni, sono uniti, mentre un unico senso – il tatto – è diffuso agli altri membri; la sua potenza, infine: perché l’energia e il movimento degli altri membri e la direzione dei loro atti procedono dalla testa, per la virtù motrice che risiede in essa. – Questo triplice ruolo si addice a Cristo nell’ordine spirituale. Egli ha il primo rango, è più vicino a Dio, la sua grazia è più alta di quella degli altri uomini, poiché questi hanno ricevuto la grazia solo in relazione a Lui. In secondo luogo, Egli ha la perfezione, perché possiede la pienezza di tutte le grazie, secondo le parole di San Giovanni (I, 14): « Lo abbiamo visto pieno di grazia e di verità. » Infine, Egli ha il potere di comunicare la grazia a tutti i membri della Chiesa, secondo le parole dello stesso evangelista: “Siamo stati tutti arricchiti dalla sua pienezza” ». (S. Th. III. P, q. VIII, art. I) – Questo ruolo di capo appartiene a Cristo, per la sua umanità visibile. Il ruolo del cuore, invece, è interiore e nascosto; si adatta quindi bene allo Spirito Santo, il cui funzionamento è segreto e misterioso. Il divino Paraclito esercita un’influenza invisibile ma irresistibile nella Chiesa; ne conserva il calore, la vita, la bellezza e la perpetua giovinezza; la consola e la rafforza. È il fiume impetuoso che rende la città di Dio fertile e gioiosa; in una parola, è il cuore misterioso ma onnipotente che lancia la vita e la grazia all’altezza della loro sorgente, che è l’eternità. – Questa è l’economia della vita soprannaturale, questa è la condizione della santità: per avere la salvezza, per avanzare nella perfezione, bisogna essere uniti nella testa e nel cuore, a Cristo e allo Spirito Santo. – Ora, la meditazione del Rosario non è che una dolce unione con l’uno e con l’altro. Dal primo all’ultimo mistero, tocchiamo l’adorabile Persona di Cristo Gesù; è ancora Lui che passa, è ancora la sua vita, sono le sue azioni che sono davanti a noi con la loro infinita virtù, e possiamo ancora penetrare nella sua anima e nella sua divinità. La nostra testa divina ci imprime il suo movimento; la vita trabocca in noi in una fretta impetuosa, e possiamo dire e sentire che abbiamo un’anima viva: Factus est homo in animam viventem (Gen. II, 7). In ogni mistero ci sorprende pure l’azione dello Spirito Santo; è Lui che fa concepire la Vergine Immacolata coprendola con la sua ombra; è Lui che fa trasalire Giovanni Battista, che trasforma Elisabetta e Zaccaria; è Lui che dirige tutta la trama della Passione e che ancora anima tutta la serie dei misteri gloriosi. – Lo Spirito Santo è veramente la virtù, l’agente, il cuore di ogni mistero. Se sapremo entrare nell’interno di questa devozione, l’adorabile Paraclito diventerà, per così dire, il nostro cuore e ci comunicherà dei battiti abbastanza forti da far scorrere il sangue della nostra anima nell’eternità. – È quindi verissimo che il Rosario ci unisce al Capo e al Cuore della Chiesa. Vivere con Cristo, sussultare ed amare con lo Spirito Santo, o dolci e ineffabili momenti di questa meditazione! Quando siamo con il Figlio ed il Paraclito, siamo anche con il Padre. Eccoci dunque nel grembo amoroso della Trinità, alle sorgenti stesse della vita, dell’amore, della santità e della felicità!

CAPITOLO SECONDO

IL ROSARIO E LA SANTITÀ COMUNE

Per far apprezzare meglio questa influenza del Rosario sulla vita spirituale, considereremo i tre gradi di santità, che sono: la santità comune, la santità perfetta, la santità eroica.  La santità comune consiste nello stato di grazia e nell’osservanza dei precetti; è quella veste nuziale, quella carità primaria senza la quale non si ha accesso alla festa del Padre di famiglia. Per arrivare a questo primo grado di vita spirituale, non è necessario compiere azioni straordinarie, e nemmeno molte azioni. Il Rosario ci offre esempi alla portata di tutti. Gesù Cristo, l’ideale di ogni santità, durante la sua vita a Nazareth ha fatto solo azioni semplici e disadorne; Maria e Giuseppe, che sono alla ricerca di Gesù, i nostri modelli infallibili, hanno condotto una vita molto oscura; le piccole azioni ne costituiscono il tessuto divino. La santità, quindi, non consiste nello straordinario. Poiché la condizione comune dell’umanità può essere riassunta in due parole: lavoro e sofferenza, santificare se stessi è saper lavorare e soffrire. Ora il Rosario è la vera scuola del lavoro e della sofferenza. I Misteri Gioiosi ci portano all’interno di Nazareth, e lì cosa troviamo? L’officina, il padrone e l’operaio. Ci sono qui profondità insondabili. Il Figlio, nato dal Padre negli splendori dell’eternità, non ha voluto regnare su un trono o abitare in un palazzo, ma diventare operaio e farsi chiamare operaio. Gli ebrei dicevano di lui: « Non è forse figlio di un operaio? » (Matt. XIII, 5) – Non è forse un operaio il figlio di Maria? Nonne hic est faber filius Mariæ – (Marc. VI, 3). Sì, era un lavoratore, il nostro adorabile Salvatore, che si guadagnava il pane con il sudore della fronte. Se l’operaio cristiano sapesse capire queste grandi lezioni, potrebbe dire ai grandi uomini di questo mondo: Non invidio la tua condizione, perché Dio non ha voluto rassomigliarti, ma si è fatto piccolo operaio come me!…. Se l’operaio e il suo capo mantenessero il dolce rapporto che univa Gesù e Giuseppe, il problema sociale sarebbe presto risolto e la felicità potrebbe tornare a visitare tante case desolate. Gesù, Maria e Giuseppe, non è questa la trinità della felicità? Se gli insegnamenti del Rosario fossero messi in pratica, tutte le officine assomiglierebbero a quella di Nazareth: la Trinità della felicità entrerebbe in ogni famiglia, ed il mondo potrebbe cantare il ritorno dell’età dell’oro, perché sarebbe il regno della santità. I Misteri Dolorosi ci insegneranno a santificare la sofferenza. Non si ha il coraggio di lamentarsi quando si è compreso il suo Rosario. Sei esausto per la stanchezza, il sudore ti inonda il viso. Avete mai voi, come Gesù Cristo, sudato sangue? Il vostro corpo è prostrato dal dolore: ma è mai stato martoriato da un’atroce fustigazione? La vostra testa è devastata da preoccupazioni: è stata mai incoronata con un diadema sanguinante? Le spine vi hanno lacerato la fronte? I vostri occhi sono stati riempiti di sangue come quelli di Gesù? Le spalle sono piegate sotto pesanti fardelli: sono state mai arate dalla pesante croce del Golgotha? Le mani e i piedi si sono stancati per il lavoro; ma sono stati trafitti da quei terribili chiodi che lacerano le carni ed i nervi? La tua anima è inebriata di angoscia; è mai scesa in quell’abisso di terrore che strappava a Nostro Signore quel grido di angoscia: « Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? » Oh no, chi capisce il suo Rosario non ha la forza di lamentarsi. Ma c’è chi ripete: Se almeno le mie sofferenze fossero meritate! E Nostro Signore aveva forse meritato la sua agonia, la sua fustigazione, la sua crocifissione? Noi non siamo mai così felici se non quando soffriamo senza averlo meritato. La prova meritata è una punizione; l’altra è una grazia di scelta: è la visita e il sorriso di Dio. Non sappiamo cosa stiamo facendo respingendo la Croce. C’è nella sofferenza -dicono i santi Dottori – un triplice potere: di espiazione, di impetrazione e di santificazione. – Potere di espiazione: Niente purifica l’anima come il dolore soprannaturale accettato, e questo è un modo molto efficace di fare del nostro purgatorio in questo mondo. Voi allora che piangete, voi le cui mani sono ferite dal duro lavoro e la cui anima è angosciata a morte, gioite! Siete sul Calvario, siete più vicini al cielo; siete sulla Croce, siete più vicini a Dio! – Potere dell’impetrazione: Dio non può rifiutare nulla a un’anima che gli dice: Io ti do dei miei, perché tu mi dia dei tuoi; ti do le mie sofferenze, perché tu mi dia la tua grazia. – Potere di santificazione: La sofferenza cristiana ci distacca e ci eleva, ci rende partecipi della bellezza del divino Crocifisso, e non c’è nulla di più incantevole qui sulla terra di un’anima trasfigurata dal sacrificio. È così che vediamo il dolore nella Scuola del Rosario. Lo assaporiamo come la bevanda del Cielo, perché troviamo Gesù in fondo a quel calice, e diciamo con il Salmista: Oh, quanto è bello il calice dell’amore in cui la nostra anima è inebriata! Calix meus inebrians quam prœlarus est1 (Sal. XXII,5). In questo modo, e grazie al Rosario, è facile per tutti santificarsi; basta unirsi al Salvatore e innestare ogni nostra azione su ciascuno dei suoi Misteri. Noi sperimentiamo il dolore fisico? … innestiamolo sulla Flagellazione e sulle inenarrabili sofferenze del Verbo fatto carne. È una pena morale? … innestiamolo sull’Agonia e sulla Coronazione di spine, che ci ricordano soprattutto i dolori morali del nostro Salvatore. È un atto di pazienza? … innestiamolo sul Portamento della Croce e sull’ineffabile pazienza dell’Agnello divino. È una preghiera: uniamoci al suo spirito di preghiera. Il nostro dovere è lo studio?: innestiamo tutto questo sulla scienza infinita della Sapienza Incarnata che si rivela tra i dottori, nel Mistero del Ritrovamento nel Tempio. Figli di Maria, cavalieri della sua Guardia d’Onore, il Regno di Dio è veramente in mezzo a voi; la santità è alla vostra portata, e senza ricorrere ad azioni straordinarie, o addirittura a molte azioni, potrete trovare il segreto della perfezione nel vostro Rosario. Uomini di dolore e di lavoro, pensate ai Misteri gioiosi, pensate di essere gli operai dell’eternità, unitevi all’Operaio di Nazareth, e ditegli: O Gesù, che siete stato operaio come noi, alleggerite un po’ il nostro fardello! Uomini di studio, operai del pensiero, perché non alzate un attimo lo sguardo al cielo? Gli occhi dell’anima, infatti, come quelli del corpo, hanno bisogno del cielo per vedere: gli occhi del corpo riposano nel cielo visibile; gli occhi dell’anima hanno bisogno del Cielo dei cieli, cioè di quell’adorabile Trinità che invochiamo nel Rosario. Oh! siate certi che lo spirito e il corpo avranno trovato riposo in questa breve invocazione: « Padre nostro, che sei nei cieli, ti offro la mia stanchezza! » Quando il sudore del lavoro o il sudore dell’angoscia ti inonda il viso, perché non dici al buon Maestro: « O Gesù, io mescolo questo mio sudore con il sudore misto a sangue che il vostro amore versò nell’Orto degli Ulivi! » Se lavorate in questo modo, la vostra giornata sarà veramente fruttuosa, e potrete dire la sera: I covoni che abbiamo raccolto per il cielo sono più ricchi e più belli dei raccolti nei nostri campi, o dei nostri covoni letterari. Se dovete ricevere la visita austera della sofferenza, se più lacrime che sorrisi devono essere colti sul vostro viso, allora entrate nello spirito dei Misteri Dolorosi, dicendo: Dio del Gethsemani e del Golgota, io mescolo il sangue della mia anima con il vostro sangue, le mie lacrime con le lacrime preziose che Voi avete versate, quando avete pronunciato quelle potenti grida che hanno salvato il mondo!  Infine, se non avete né lavoro né dolore da condividere, se la fortuna vi circonda la testa con quell’aureola di un giorno, avete bisogno soprattutto del Rosario, perché siete esposti a lasciarvi accecare. Viaggiatori dell’eternità, non indugiate sulle rive del tempo! I Misteri gloriosi eleveranno i vostri pensieri verso la regione delle grandi e supreme realtà. Il primo Mistero, che ci ricorda il trionfo del Salvatore, ci fa assistere in anticipo alla risurrezione generale, a quel giorno solenne e terribile in cui l’Angelo del Signore griderà sulle rovine del mondo: Tempus non erit amplius! (Apoc. X, 6). « Tutto è finito, non c’è più tempo! » San Girolamo, nel profondo del suo deserto, credeva di aver sentito l’ultima tromba: Morti, sorgete, venite al giudizio! La meditazione del Rosario avrà lo stesso effetto salutare su di noi. Passando per le nostre grandi città, non fermeremo i nostri cuori su queste vanità, diremo con i Santi: Verrà il giorno in cui questa possente città, ora così viva, così inebriata dalla sua voluttà, giacerà nel silenzio e nella morte! Niente più movimento nelle piazze pubbliche; niente più viaggiatori frettolosi o strade affollate; niente più clamorosi canti di festa; è cessato per sempre il rumore degli affari! Non c’è più tempo, non c’è più tempo! Non riposiamoci dunque su queste sabbie mobili: viaggiatori dell’eternità, non soffermiamoci sulle rive del tempo! Appoggiamoci sul Rosario, come su un’ancora immutabile, fissata in alto e che giunge fino Dio. La devozione intesa in questo modo santificherà la ricchezza e la felicità, così come ha santificato il lavoro e la sofferenza. Il Rosario metterà così un’aureola su tutti le fronti. Sulla fronte di chi lavora l’aureola di Nazareth; sulla fronte degli afflitti l’aureola del Golgota; e ai raggi ingannevoli della gloria mondana verrà a contrapporsi l’aureola futura della visione beatifica e della resurrezione trionfante.

CAPITOLO TERZO

IL ROSARIO E LA SANTITÀ PERFETTA

Al di sopra della carità comune, necessaria a tutti coloro che vogliono entrare nel regno dei cieli, c’è una carità più nobile, che non è ancora l’ultimo vertice della vita spirituale, ma che può già essere chiamata la perfezione dell’amore nella perfezione del sacrificio; è la santità dello stato religioso. Gesù Cristo, prima di ascendere al cielo, ha istituito nella sua Chiesa una doppia scuola ufficiale, incaricata di riprodurre, una il suo ruolo di santificatore, l’altra la sua santità personale. Il primo è il Sacerdozio, il secondo è lo stato religioso. Entrambi devono durare fino alla fine dei tempi. Perpetuare nei secoli la missione di santificatore che appartiene a Cristo è il vostro sublime destino, o Sacerdoti! Riprodurre la sua santità personale è il vostro augusto dovere, o religiosi! In virtù della loro professione, le anime consacrate si impegnano ad esprimere in se stesse l’ideale celeste. È necessario che Dio Padre possa riconoscere in essi il suo Figlio, e che Maria possa dire, guardandoli, « Ecco com’era il mio Gesù; questi sono infatti i suoi tratti amati: è infatti la sua dolcezza, la sua carità, la sua umiltà, il suo spirito di rinuncia ». Ma per raggiungere questo tipo immacolato, dovranno lavorare incessantemente per la loro santificazione; e anche dopo lunghi sforzi, non saranno ancora in grado di dire: è sufficiente! Ci sarà sempre nel profondo del loro cuore una voce potente che grida loro: più in alto! Più in alto! Il tuo modello è la perfezione infinita; il quadro della tua anima non è ancora completo; l’immagine non è abbastanza somigliante; devi sempre aggiungerci qualcosa, apportare sempre qualche nuovo ritocco per avvicinarti all’incantevole ideale. Per questo la vita religiosa deve essere una marcia perpetua verso la perfezione. E in cosa dovrebbe consistere questa perfezione? Quando leggiamo la storia dei grandi religiosi, vediamo che hanno pagato il tributo dell’eroismo alla Chiesa, così come i martiri hanno pagato il tributo del sangue. La professione ha creato nell’anima una sete ardente di ideale e un’aspirazione all’eroismo, e più di una volta l’obbedienza ha dato vita al sublime. La santità, però, che è normalmente richiesta ai religiosi, non è una carità eroica: è una carità intermedia, al di sotto dell’eroismo, al di sopra della carità comune; consiste nell’eliminare tutti gli ostacoli che possano frapporsi all’atto dell’amore divino. È una specie di carità perfetta, o, come abbiamo detto, è la perfezione dell’amore nella perfezione del sacrificio. Nostro Signore ci ha amati con il sacrificio; a Lui rispondiamo con la morte ed il sacrificio: la morte ed il sacrificio dell’ambizione e dei beni terreni: è la povertà; la morte e il sacrificio della carne e dei sensi: è la castità; la morte e il sacrificio della volontà: è l’obbedienza. Quando lo spirito ed il cuore sono immolati, quando la volontà, quel grande dominio che rimane anche ai più poveri di questo mondo, è stato abbandonato, si dice l’ultima parola: è la perfezione dell’amore in quella del sacrificio. Un’anima religiosa interamente fedele ai suoi tre voti avrebbe già quella perfetta carità che è vicina all’eroismo. Ma per essere fedele, gli basta evitare il peccato mortale? Senza dubbio, finché non cade in una colpa grave, è ancora, in un certo senso, nello stato di perfezione; tuttavia, la voce divina che grida in lei: “Sii perfetta! Sii perfetta! Sali più in alto!” esige di più, cioè un odio radicale per il peccato veniale. Concedersi a questo peccato significa ferire Nostro Signore nella pupilla dell’occhio, anche se non si vuole ucciderlo. È davvero la perfezione dell’amore e del sacrificio contrariare in questo modo al buon Maestro in ciò che gli è di più sensibile? È evidente, quindi, che il desiderio vero della santità debba andare di pari passo con l’odio per il peccato veniale. Ogni progresso nella perfezione è un trionfo su di esso, e ogni volta che si commette uno di questi difetti volontari, si scade di un passo: non si rimane più su quelle altezze radiose dove planano i veri religiosi. Ogni anima preoccupata della sua perfezione deve avere la ferma e decisa volontà di evitare ogni peccato veniale deliberato, intenzionale. Diciamo intenzionale, perché molte colpe sfuggiranno immancabilmente alla nostra debolezza, ed infatti la Chiesa insegna che è impossibile, senza un privilegio distinto come quello concesso a Maria, evitare ogni peccato veniale per tutta la vita. Inoltre, noi non facciamo voto di essere perfetti, ma solo di lavorare per diventarlo. Non si commette ipocrisia né si mente se si hanno ancora difetti nello stato religioso: sarebbe ipocrisia e menzogna se si perdesse il desiderio di una vita perfetta, e se si dicesse in modo pienamente ponderato: rinuncio alla perfezione d’ora in poi. Questa, insomma, è la santità religiosa: la perfezione dell’amore nella perfezione del sacrificio, che presuppone l’osservanza fedele dei tre voti e richiede un odio profondo per ogni peccato veniale deliberato. Per camminare, senza mai fallire, verso queste vette divine, bisogna essere uniti a Gesù e tenerlo per mano. Il Salvatore, infatti, è il Gigante dell’eternità: se sapremo afferrare la sua possente mano, saremo trasportati senza problemi, e correremo con Lui in questa regale carriera. Exultavit ut gigas ad currendam viam (Psal. XVIII, 6). Il Rosario ci dà questo mezzo per raggiungerlo. Gesù nel Rosario è veramente il nostro modello, la nostra via e la nostra vita. Il nostro modello, perché ci si rivela nei Misteri come il perfetto religioso del Padre celeste; la nostra via, perché ci tende la mano, la mano che indica l’eternità, che sostiene e porta; la nostra vita, perché da questi Misteri sgorgano potenti grazie per farci osservare i nostri voti. Sono considerazioni facili, che sarà piacevole per noi approfondire. Nostro Signore, nel Rosario, è il religioso per eccellenza dell’Eterno Padre. Un religioso è un uomo interamente legato a Dio. La parola religione deriva, infatti, da religare, che significa « legare una seconda volta ». Siamo già legati a Dio dal legame indissolubile della creazione e della conservazione, senza il quale non potremmo sopravvivere un attimo. A questo legame fisico e necessario, noi aggiungiamo un legame morale e volontario. Dio è nostro Principio, siamo legati a Lui dal vincolo dell’adorazione; Dio è il nostro sovrano Padrone, siamo incatenati a Lui dalla sottomissione e dall’obbedienza; Dio è il nostro fine supremo, ci uniamo a Lui con il vincolo dell’amore. Questa dolce catena che ci lega al nostro Principio, al Signore nostro e al nostro fine è la Religione. Tutti coloro che servono Dio – dice San Tommaso – possono in questo senso ampio essere chiamati religiosi; ma questo nome è riservato agli uomini che dedicano tutta la loro esistenza al servizio divino, liberandosi totalmente delle questioni mondane. I loro tre voti completano il loro attaccamento a Dio. La povertà li lega a Dio, Principio di ogni vero bene, la castità al Dio vergine, il Principio di tutto ciò che è puro e bello, e l’obbedienza al Dio Re, il Principio di ogni libertà. Così, in ogni caso, il religioso è l’uomo legato al Signore. Nella triplice serie del Rosario, ammiriamo in Gesù Cristo questa dipendenza assoluta dal Padre suo. Nel testimoniare, attraverso il primo Mistero, la sua partenza dall’eternità e la sua Incarnazione, vediamo l’adorabile Salvatore mettersi alle dipendenze di Dio e diventare, in un certo senso, il suo stesso uomo-servitore. « Eccomi qui – disse – per fare la tua volontà, Ecce venio ut faciam, Deus, volontatem tuam » (Hebr. X, 9), e quando sta per tornare alla sua eternità da cui è sceso, avrà la stessa parola: Fiat voluntas tua. Questo è ciò che ha dominato la sua esistenza quaggiù. Quando si separa da Maria e da Giuseppe e si ritira in mezzo ai dottori della legge, è per occuparsi degli affari del Padre; se passa la notte in ardente preghiera, è per essere interamente al servizio di Colui che lo ha mandato. Trascorrerà tutto il suo tempo consumando il lavoro affidatogli, e potrà dire a fine carriera: Opus consummavi quod dedisti mihi ut faciam (Giov. XVII, 4). Egli è, quindi, in tutto e ovunque il religioso perfetto del Padre suo, l’uomo interamente consacrato e legato a Dio. Oh, che dolce meditazione è considerare nei Misteri Gesù interamente dipendente, Gesù religioso, Gesù povero, Gesù vergine, Gesù ubbidiente! – Povertà! La praticò fino all’eroismo: fu povero alla nascita e per tutta la vita, non avendo un posto dove poggiare la testa; povero sul suo Calvario, dove vide i soldati che dividevano tra loro le sue ultime vesti; ancora più povero nella sua Eucaristia, dove si spoglia dell’aspetto stesso della sua umanità e si copre di una veste molto fragile, molto inferma, le specie sacramentali. La castità! È il Dio vergine, Figlio di una Madre vergine, Sposo di una Chiesa vergine; ha voluto che il suo corpo riposasse solo sulla pietra di un sepolcro vergine, e rimane ancora nel Santissimo Sacramento il grano puro degli eletti, il vino che fa germogliare i vergini. – L’obbedienza! Egli ha avuto per essa un amore appassionato: è l’obbedienza che lo fa nascere, vivere e morire, che lo incatena nell’Eucaristia e lo consegna impotente nelle mani sacrileghe degli apostati. Così, in tutti i Misteri, Nostro Signore è il modello dei religiosi, ai quali può dire: « Vi ho dato un esempio, affinché facciate come ho fatto io ». Egli non si accontenta di mostrarci la via; Egli stesso è la nostra via; Egli stesso è la nostra vita, cioè i Misteri del Rosario hanno una potente efficacia nel comunicarci le grazie del nostro stato. I nostri voti sono una sfida solenne alle tre grandi concupiscenze che condividono l’impero del mondo. Ora, il nostro Salvatore ha sconfitto questa triplice forza dello spirito del male con la sua vita, passione e resurrezione, per vitam, mortem e resurrectionem suam, che ci viene ricordata nelle tre serie dei Misteri. Non si è mai sottomesso a queste maledette concupiscenze, le ha vinte per il nostro bene: così ha espiato i vizi che nascono in noi da questa triplice radice, e ci ha guadagnato le grazie della virtù contraria. Meditare il Rosario, quindi, è assistere alla vittoria del Salvatore sulle tre concupiscenze; siamo, in questi Misteri, di fronte ad un vizio schiacciato e ad una virtù trionfante. L’anima religiosa che sa entrare nell’interno del Rosario può facilmente ottenere, grazie al contatto con il Verbo incarnato, delle grazie concrete per domare la stessa concupiscenza e praticare la stessa virtù. Unendoci al povero Gesù nei suoi vari Misteri, troveremo aiuto per superare la concupiscenza degli occhi; il nostro contatto con il vergine Gesù ci farà trionfare sulla concupiscenza della carne; e la nostra umile obbedienza, innestata sulla sua, distruggerà l’orgoglio della vita. In questo modo, la pratica dei voti diventa facile, e le tentazioni contrarie vengono messe da parte. Ma abbiamo visto che la perfezione religiosa, non contenta di un facile trionfo sul peccato mortale, deve avere per ogni colpa veniale un odio perenne che nulla può attenuare. Le grazie del Rosario vanno così lontano. Esse si estendono non solo a quelle grandi lotte in cui la vita dell’anima è in pericolo, ma anche alle lotte quotidiane tra rinuncia e tiepidezza, tra il desiderio di perfezione e l’attaccamento alle passioni della natura. Il Rosario, infatti, ci mette in comunicazione con l’impeccabile Religioso che è stato perfetto fin dal primo momento. In virtù del nostro contatto con Lui, dobbiamo ricevere qualcosa della sua perfezione; e le grazie che scaturiscono da una fonte così pura devono far nascere in noi squisite prelibatezze come quelle del Sacro Cuore. Queste prelibatezze consistono nel dimenticare se stessi per gli interessi dell’Amato, nel temere soprattutto di offenderlo anche nelle cose leggere, e, staccandoci impercettibilmente da noi stessi e dal creato, ispirano in noi dolci e forti attrattive per il servizio divino ed una vita piena di fervore. Queste sono le grazie di scelta che scaturiranno dai Misteri, tali sono i meravigliosi effetti che il Rosario può avere sull’anima religiosa che ne sa approfittare. Ma dobbiamo essere molto vigili: se non sappiamo come afferrare la mano di Gesù, quando passerà, rimarremo lontani da Lui. Il Gigante dell’eternità sta camminando molto velocemente: sarà impossibile raggiungerlo, e rimarremo soli su questo arduo sentiero dove è così facile scoraggiarsi e tornare indietro. Allora forse incontreremo Maria. Anche Ella passa attraverso il Rosario per dare una mano ai religiosi, perché in questi Misteri praticava la povertà, la castità, l’obbedienza, con una squisita perfezione che escludeva l’ombra stessa del peccato veniale. Se sapremo unirci a Lei nella meditazione del suo salterio celeste, l’augusto Distributrice di grazie ci darà un aiuto energico per imitare la sua perfezione, il suo amore per Dio e il suo odio per il peccato. Con l’aiuto di Maria, cercheremo di raggiungere Gesù, e forse il buon Maestro, alla voce di sua Madre, si degnerà di voltarsi verso di noi; e allora potremo camminare senza ostacoli sulla strada dell’eternità, tra Cristo e Maria. Oh! se le anime religiose sapessero come capire e praticare il loro Rosario, come sarebbe facile per loro il cammino verso la perfezione! Sarebbero, in un certo senso, portati dalla mano di Gesù e dalla mano di Maria, cioè dalle grazie che ci vengono da entrambi, e potrebbero ripetere le parole di Fra Marie-Raphaël: « Ho trovato nel Rosario il mio segreto della santità ».

CAPITOLO QUARTO

IL ROSARIO E LA SANTITÀ EROICA

Il grado di carità richiesto dallo Stato religioso costituisce già una sorta di santità perfetta. Tuttavia, la fecondità della Chiesa non si ferma qui. La natura ha esaurito tutte le sue energie, la grazia stessa è all’apice; improvvisamente supera se stessa, il finito sembra scomparire, il divino solo si mostra; abbiamo nominato l’eroismo.  È una sorta di “cuscinetto” tra l’umano e il divino, o meglio, è il divino che trasforma l’uomo. È l’eroismo – dice San Tommaso – che rende divini certi uomini. Secundum quam dicuntur aliqui, divini viri.  (S. Th. la IIæ, q. 58, art. I, ad 1.). Questo è l’ultimo grado di santità. Quando questi giganti della perfezione attraversano il mondo, questa si innalza davanti ad essi come una manifestazione di Dio. L’eroismo! Tutta la vita della Chiesa ne è intessuta, dai primi Martiri ai Missionari moderni. Dodici milioni di martiri! È qui che la santità ha veramente trionfato: il paganesimo e l’inferno hanno mietuto vittime, la Chiesa ha mietuto eroismo. I secoli che seguirono hanno rimandato i loro echi a questa grande voce dei primi secoli. Essere eroici è saper rompere la natura e sacrificare tutto l’amore a quello di Gesù. Tutte le età hanno visto questo prodigio. C’è prima di tutto l’amore filiale, fatto di rispetto, di tenerezza e di pio timore. È stato immolato a Cristo: il bambino strappato dalle braccia dei suoi genitori per seguire il Dio perseguitato, e spesso per volare verso il tormento e la morte. Ah! senza dubbio la lacerazione è stata crudele e la ferita cruenta: quanto è costato resistere alle carezze di un padre e vedere cadere le lacrime di una madre! Ma l’amore del Salvatore era più dolce e più forte, faceva degli eroi. C’è anche l’amore materno, che sale così rapidamente al sublime, che vive di sacrificio e devozione, che è più duro di un diamante e più dolce della tenerezza. Eppure le madri hanno generosamente immolato un affetto che era nelle loro stesse viscere. Vedete questa martire nel luogo del suo tormento; il suo bambino viene portato vicino a lei per essere martirizzato. La povera madre gli mette la mano sul cuore per esortarlo ad essere forte, culla il suo dolore nella sua fede e nel suo amore, e dice a suo figlio: « O figlio mio, l’amore che ti porto è più forte di me. Bene allora, perché io ti amo e tu mi ami, ti offro a Gesù per farti soffrire… Oh, per pietà, figlio mio, vieni a morire! » Dopo di ciò il suo bambino cammina con gioia verso la morte, e in questo doppio sacrificio trova ancora dolce il Signore! Infine, c’è l’amore coniugale, che di due vite ne fa una sola e la cui gloria consiste nella casta fecondità. E i coniugi a loro volta hanno sacrificato i loro affetti. Sant’Alessio, Sant’Elzéaro e Santa Delfina, Sant’Enrico e Santa Gunégonda, Sant’Edoardo e Sant’Edith, hanno immolato i loro cuori sul cuore verginale di Gesù; hanno riservato la fronte per una corona immacolata, e per loro è sbocciata la rosa dell’Eden. Sì, dall’inizio della Chiesa fino ai giorni nostri, abbiamo visto di quegli innamorati che erano appassionati del Crocifisso; quando non avevano più nulla da dare, prendevano il loro sangue puro ed eloquente nelle loro mani e lo offrivano a Dio, dicendo: O mio diletto, sia questo il linguaggio del nostro amore! Non ci è rimasto nulla, ma quando l’amore ha dato tutto, dà il sangue. Bene, ecco il sangue! E tutti quegli amici della croce e tutte quelle eroiche vergini hanno ripetuto più e più volte l’inno trionfale di Sant’Agnese martire: Amo Christum! Io amo Cristo! Questo è l’eroismo. Non possiamo parlare qui degli altri suoi prodigi a riguardo del nostro prossimo – È stato l’eroismo che ha suscitato la grande anima di San Paolo quando ha voluto essere “anatema” per i suoi fratelli; è stato l’eroismo che ha ispirato l’apostolo degli infelici, San Vincenzo de’ Paoli, quando, mostrando alle signore di Parigi i bambini abbandonati, ha gridato: « Vedete ora se volete abbandonarli. Smettete di essere le loro madri e diventate i loro giudici! La loro vita e la loro morte sono nelle vostre mani: io prenderò i voti e i suffragi. È ora di fermarli e vedere se non si vuole più avere pietà di loro!… ». L’eroismo ha dato origine ad un amore appassionato per i nemici, ha fatto sì che i Santi baciassero la mano insanguinata degli assassini della loro famiglia; ha fatto dire al Beato Grignon de Montfort: « O mio Dio, prendi il mio sangue, ma perdona i miei nemici! » L’eroismo è ancora vivo oggi, sarebbe facile citare nomi e fatti eloquenti, e quante pagine brucianti ci fornirebbero questa storia d’amore! Durerà finché ci sarà miseria da alleviare, amore da dare e sangue da spargere sulla terra. Noi stessi, che sappiamo essere così imperfetti ed indegni di essere fratelli dei santi, non dobbiamo dimenticare che ogni Cristiano, in certe circostanze, può essere chiamato all’eroismo. Il Battesimo, creando in noi nobili aspirazioni, ci ha imposto gravi doveri, e ci possono essere lotte così grandi e terribili nella nostra esistenza che, poiché la virtù ordinaria non è più sufficiente, avremo bisogno di energie di ordine superiore: è allora che entra in gioco l’eroismo. I giusti non vengono colti alla sprovvista in queste circostanze straordinarie; i loro cuori sono pronti per queste grandi lotte. C’è, infatti, in ogni anima in stato di grazia, il sangue degli eroi, o meglio, il sangue divino che vuole elevarsi all’altezza della sua fonte; c’è un seme fertile da cui nasce il sublime. Questi semi di eroismo sono i Sette Doni dello Spirito Santo. Secondo San Tommaso, i Doni non differiscono in realtà dalla virtù eroica: sono come un seme il cui eroismo è il fiore, o come una lira il cui eroismo è il suono. In alcune anime il seme, anche se vivo, non raggiunge mai il suo fiore; la lira, anche se sonora, può restare sempre silenziosa; ma tutti hanno almeno il potere di sbocciare o di vibrare. Basta un raggio di sole per far maturare il fiore, o basta un tocco leggero per far risuonare la lira: questo raggio, questo tocco, è l’impulso dello Spirito Santo che improvvisamente ci afferra e ci conduce al sublime. L’umiltà non deve nasconderci questa bella dottrina; per quanto spregevoli possiamo essere, la nostra anima può, sotto le dita dell’Artista supremo, rendere suoni divini. Ed è il Rosario che ci inizierà a questa scienza, come andremo a spiegare. I teologi insegnano che tutte le virtù si trovano nell’anima del Verbo allo stato perfetto ed in grado eroico. Nostro Signore ha vissuto costantemente del sublime, cosicché la storia della sua vita è diventata la storia dell’eroismo. Ma la storia di Gesù è il Rosario: l’eroismo ha quindi penetrato e profumato tutta la serie dei Misteri. È lì che i doni dello Spirito Santo, il seme fecondo nascosto nell’anima di Nostro Signore, hanno prodotto il loro fiore, e la lira celeste ci ha fatto sentire quei suoni meravigliosi che deliziano il genere umano. Da quel momento in poi, basta meditare sul Rosario per contemplare la virtù al suo apogeo, e tutti coloro che sono predestinati all’eroismo sono così predestinati a diventare conformi al Dio che si rivela nei Misteri. È proprio a questa scuola che si sono formati i Santi. Un giovane cavaliere, Giovanni Gualberto, circondato da una grande scorta, stava per punire l’assassino del fratello; l’assassino indifeso, impossibilitato ad evitare la spada vendicativa, stese le braccia a forma di croce, appellandosi al mistero della Crocifissione; era il Venerdì Santo. Un tale ricordo fu in grado di far germogliare l’eroismo. Giovanni Gualberto non si accontentò di perdonare il suo nemico, ma da quel momento lo prese come suo fratello. Entrando in chiesa, vede il crocifisso chinare il capo verso di lui per ringraziarlo. Questo è ciò che il pensiero di un Mistero aveva già fatto prima dell’istituzione del Rosario; sarà lo stesso per gli altri. I Misteri, infatti, non sono solo esempi di eroismo, ma possiedono ancora una particolare efficacia nel farci praticare ciò che insegnano. Non è inutile ricordare qui ciò che abbiamo detto più di una volta: la nostra unione con l’anima del Verbo ci dispone a ricevere grazie che ci renderanno simili ad esso, ed il nostro pio contatto con l’eroismo del Salvatore meriterà dei soccorsi attuali per essere eroici come Lui. Queste grazie di scelta sono il raggio di sole che fa nascere e maturare il fiore contenuto solo come un germe nella nostra anima, ed il fremito che fa vibrare la lira del sublime, prima silenziosa. È allora che il soffio divino rapisce le nostre anime e le conduce al suo grado; non conosciamo più, almeno per qualche istante, le imperfezioni del passato, e sembra che la parola della Scrittura si sia per noi attuata: anche Saulo è diventato profeta. Così, senza uscire dal Rosario, si può raggiungere l’apogeo della santità. L’eroismo non è un fatto raro negli annali dei Cavalieri di Maria e i nostri lettori ricordano come li ha ispirati i tre Fratelli Predicatori, apostoli del Rosario, che si sono dimostrati così sublimi nel naufragio de “La Borgogne”. E non è tutto. Se l’eroismo è una virtù divina, avrà bisogno di un linguaggio divino. Bene, Dio darà agli eroi della santità una grande voce, che è il miracolo. La vera Chiesa ha sempre dato vita a dei taumaturghi: i miracoli sono stati come fulmini e tuoni in mezzo ai quali è stata promulgata la nuova legge. Erano più numerosi nei primi secoli, quando la voce del paganesimo dominava quella della verità; ma sono necessari in ogni epoca per manifestare la santità della Chiesa e per convertire le anime. Ci sono sempre degli infedeli. Ahimè, in mezzo ad una società inondata dalle luci del Vangelo, sentiamo ogni giorno l’incredulità che suscita insolenti proteste contro Cristo e la sua Chiesa. Il Dio potente e misericordioso ha voluto coprire questi clamori con la voce del miracolo. Ogni anno a Lourdes, per non dire da un capo all’altro dell’universo, il miracolo risuona come un tuono, e a volte le orecchie più ribelli sono costrette a sentirlo. No, il miracolo non abbandona la Chiesa. Gesù Cristo, inoltre, l’aveva promesso, perché aveva detto in modo universale a tutti gli uomini e a tutti i tempi: « Chi crede nel mio Nome farà i prodigi che faccio Io, e ne farà di più grandi ancora. Questa parola ha avuto un solenne compimento. In tutte le epoche la Chiesa ha posto dei Santi sugli altari. Ora ha preteso da tutti l’omaggio del miracolo, e nell’esame dei fatti si è dimostrata perfino eccessivamente severa. Tuttavia, i Santi sono saliti sugli altari, pagando il tributo miracoloso dopo la loro morte, così come avevano pagato il tributo dell’eroismo durante la loro vita. Non ripugna assolutamente che i malvagi siano profeti e taumaturghi, ma, come regola generale, il miracolo è la testimonianza suprema della santità, soprattutto della santità eroica. Ecco perché, quando sentiamo questa grande voce, più ammirevole e più potente di quella dei fiumi e dei mari, gridiamo: Credo sanctam Ecclesiam, credo nella santità della Chiesa!  Il Rosario, che insegna e ispira eroismo, è fecondo anche nei miracoli. Conosciamo questa parola di Pio IX: «Tra tutte le devozioni approvate dalla Chiesa, nessuna è stata onorata dal cielo con tanti miracoli come il Rosario ». Una circostanza davvero notevole è che la Vergine dei miracoli, Nostra Signora di Lourdes, è anche la Vergine del Rosario, la Vergine che presenta il Rosario al popolo come segno di speranza. I miracoli del Rosario hanno avuto un impatto sociale davvero immenso, ed offrono questo carattere speciale, che sono stati dei trionfi definitivi per la Chiesa, annientando per sempre il potere del male. Il Rosario incontra gli Albigesi: fin dal primo colpo è una vittoria completa. Questo fatto è particolarmente degno di nota. Le grandi eresie non sono mai state sconfitte in un colpo solo; ognuna di esse è stata sufficiente a coinvolgere diverse generazioni, e molti secoli dopo la morte dei loro autori hanno ancora dato vita a tempeste e temporali. L’errore albigese, al contrario, scomparve in un colpo solo, anche se fu difeso da una potente setta che aveva per sé tutto ciò che c’era di grande e attraente nel mondo. L’apparizione del Rosario l’aveva colpita come un fulmine: San Domenico, in vita, la vide ferita a morte senza speranza di risurrezione, e poco dopo, sulle rovine di questa eresia impura, la Francia e la Chiesa salutarono l’alba di un futuro radioso. Qualche secolo dopo il Rosario incontrò l’islamismo nel Golfo di Lepanto; gli infedeli videro nell’aria la terribile Madre di Dio come un esercito schierato in battaglia, animando i Cristiani nella loro lotta. Anche in questo caso è stata ottenuta una vittoria definitiva. L’impero di Maometto non si è mai ripreso da questa sconfitta; da allora ha vegetato nell’impotenza senza mai tornare ai suoi giorni gloriosi di un tempo. Infine il Rosario ha incontrato l’orgogliosa Riforma all’assedio di La Rochelle. Vittoria definitiva! Da quel giorno in poi il prestigio del protestantesimo è stato rovinato per sempre in Francia. Questi sono i grandi miracoli storici del Rosario. Non cercheremo di richiamarne altri qui. Miracoli di protezione, miracoli di guarigione, miracoli di conversione, sono, per così dire, eventi quotidiani; e le riviste del Rosario hanno spesso l’opportunità di pubblicare alcuni di questi tratti meravigliosi. Il nostro scopo era quello di mostrare solo di sfuggita che il miracolo e l’eroismo sono uniti nel Rosario, come lo sono nella vita dei Santi. Il Rosario dimostra così la santità della vera Chiesa. Infatti, sebbene questi miracoli siano dovuti alla Madre di Dio, essi sono fatti nella Chiesa e per la Chiesa, e servono a far risplendere in Essa quell’aureola luminosa che la distingue da tutte le sette e che si chiama nota di santità. Credo sanctam Ecclesiam. – Ora sappiamo come il Rosario, ben compreso, ci possa avviare a tutti i gradi della vita perfetta: ci resta da chiedere a Maria la grazia di realizzare alcuni di questi insegnamenti, nella convinzione che, se otterremo questa conoscenza pratica del Rosario, avremo conquistato la scienza dei Santi.

FINE

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