UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S.S. LEONE XIII – “QUOD VOTIS”

Brevissima è questa lettera di approvazione dell’istituzione di una Università cattolica nell’Impero austriaco. Ma è evidente la soddisfazione del Pontefice Romano, Vicario di Cristo a capo della sua Chiesa, soddisfazione perchè sempre il suo desiderio di scuole cattoliche ha animato tutto il suo Pontificato a testimonianza dell’importanza che egli attribuiva in particolare all’insegnamento dei principii e della dottrina cattolica in particolare, come è ovvio, per gli aspiranti Sacerdoti. Di parere simile sono sempre stati anche i nemici della Chiesa e di Dio, ma in senso opposto. Seminare falsità, empie dottrine e mistificazioni filosofiche o teologiche è stata l’arma di cui si sono serviti per distruggere nella gioventù e nella civiltà umana il Cristianesimo, adducendo il principio della educazione laica e dell’insegnamento scolastico di stato, senza fare mai riferimento a valori che non siano liberisti, “democratici”, bensì tenacemente atei o contaminati da ogni vizio via via sempre più turpe e vergognoso, cominciando dagli insegnanti ignoranti (quelli del 18 politico agli esami  degli anni 70) ed asserviti alle logiche delle “conventicole” che hanno preso il sopravvento in ogni ambito, compreso quello clericale, o meglio, “finto clericale”. Questa lotta culturale fu combattuta con grande energia dai Pontefici degli ultimi secoli che vedevano sfuggire gran parte dei popoli dalla retta e tradizionale sapienza illuminata dalla fede divina, verso una deriva anticristiana ed infine francamente demoniaca. Oggi è palese il vero intento di questa apparente filantropia culturale gratuita dello Stato che ci ha portato alla totale anarchia in ogni ambito, dalla letteratura, alla filosofia, all’arte, alla scienza della morte e perfino alla scienza medica profana ed atea e per questo incapace di comprendere ogni male ed ogni stato patologico, attribuiti a fattori esclusivamente materiali e, per mascherare l’evidente ignoranza, dichiarati sconosciuti o “invisibili”, fattori che scaturiscono ovviamente dalle condizioni deplorevoli dell’anima.

QUOD VOTIS

ENCICLICA DI PAPA LEO XIII

SULLA PROPOSTA DI UNIVERSITÀ CATTOLICA

Ai nostri amati figli Antonio Giuseppe Cardinale Gruscha, Arcivescovo di Vienna, Giorgio Cardinale Kopp, Vescovo di Breslavia, Leone Cardinale De Skrbensky, Arcivescovo di Praga, Giovanni Cardinale Puzyna, Vescovo di Cracovia, e agli altri Venerabili Fratelli Arcivescovi e Vescovi d’Austria.

Amati Figli e Venerabili Fratelli, saluto e benedizione apostolica.

Con grande gioia annunciate ora che l’oggetto dei desideri dei vostri predecessori, a cui si è lavorato per molti anni, sta accelerando verso la sua felice conclusione. Infatti, tutto ciò che è necessario per la fondazione di un’Università Cattolica è quasi a portata di mano; è il vostro consenso che permette di dare gli ultimi ritocchi alla creazione di questa grande Istituzione di apprendimento. Abbiamo dovuto attendere più a lungo di quanto avremmo sperato, ma il suo completamento è giunto al momento giusto ed opportuno. Di conseguenza, diamo liberamente e con piena approvazione il nostro assenso ai vostri progetti, che di per sé sono lodevoli. Desideriamo sottolineare esplicitamente per iscritto la nostra grande gioia per questa notizia, dal momento che incoraggiamo la creazione e l’ampliamento delle scuole sacre ovunque. Inoltre, lo dichiariamo anche per incentivare i vostri fedeli ad affrettare la conclusione di una così grande impresa. Per quanto riguarda i dettagli, ve li confidiamo; non dubitiamo della generosità e dell’approvazione di coloro a vantaggio dei quali nascerà la desiderata Università. Non appena i dettagli relativi a questa istituzione saranno pronti, la Sacra Congregazione degli Studi dovrà comunicarceli: il suo compito, infatti, è quello di informarci su questi affari e di usare il suo potere di fissare le norme per le istituzioni cattoliche di apprendimento secondo le norme dei Sacri Canoni.

2. Nel frattempo testimoniamo a ciascuno di voi i Nostri felici e benevoli sentimenti, e imploriamo il favore divino sull’opera intrapresa, e impartiamo a tutti voi la benedizione apostolica.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 30 aprile 1902, nel 25° anno del Nostro Pontificato.

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S.S. LEONE XIII – “URBANITATIS VETERIS”

In questa breve lettera indirizzata ai Greci in unione con la Chuesa Cattolica, il Papa esprime la sua soddisfazione per l’iniziativa che mirava a costituire un Seminario cattolico ad Atene. Questa iniziativa è un esempio di vero ecumenismo, cioè l’accoglienza di ogni popolo, nazione o persona nell’ovile di Cristo, appunto la Chiesa Cattolica romana, guidata dal suo Pastore, il Vicario ddi Cristo. Questo termine oggi, per mezzo dei falsi profeti conciliabolari, asserviti alla setta massonica degli Illuminati, ha cambiato connotati e significato, indicando l’indifferentismo religioso ed il blasfemo “minestrone” dei culti (tipo incontri luciferini di Assisi), in realtà unificati poiché tutti militanti nell’esercito del demonio e sotto la bandiera di satana, il serpente antico, nemico di Dio e degli uomini, compresi quelli che lo adorano. Il vero ed unico Ecumenismo è quello per cui “ut sint unum” (Joan. XVII), in un’unica fede apostolica e sotto un solo Pastore custode del gregge di Cristo e del suo Corpo mistico, la Chiesa Cattolica.

URBANITATIS VETERIS

ENCICLICA DI PAPA LEO XIII

SULLA FONDAZIONE DI UN SEMINARIO AD ATENE

Agli Arcivescovi ed ai Vescovi della Chiesa latina in Grecia.

La Grecia, ornamento dell’antica civiltà e madre di tutte le arti, anche dopo tante disgrazie nelle sue vicende ed una così grande varietà di sventure, non è tuttavia invecchiata nella memoria e nell’ammirazione degli uomini. Infatti, nessuno è così incivile da non commuoversi riflettendo sulla sua grandezza e sulla sua gloria. Nel nostro caso, nel nostro spirito non c’è solo il ricordo unito all’ammirazione, ma un vero e proprio amore, e questo da molto tempo. Fin dalla nostra giovinezza abbiamo sempre ammirato la letteratura ionica e attica e soprattutto quella scienza che si occupa della ricerca della verità, nella quale gli insigni filosofi della vostra nazione hanno svolto un ruolo così influente che la mente umana non sembra essere stata in grado di progredire ulteriormente alla sola luce della natura. Quanto apprezziamo questa saggezza dei Greci risulta sufficientemente chiaro dalla diligente e molteplice sollecitudine esercitata dall’alto del Nostro Pontificato per ripristinare e far conoscere la filosofia del Dottore Angelico. Infatti, se coloro la cui formazione ed i cui insegnamenti sono stati seguiti per acquisire la saggezza ricevono giustamente gran parte della gloria dovuta ai saggi, giudichiamo che il vostro Aristotele abbia certamente ricevuto onore dal fatto che abbiamo onorato il beato Tommaso d’Aquino, facilmente il più eccezionale dei discepoli e dei grandi seguaci di Aristotele.

Padri e dottori greci degni di nota.

2. Inoltre, se vogliamo parlare di questioni cristiane, la pratica greca dei Sacramenti è sempre stata da Noi approvata: nelle cerimonie e nei riti sacri che la Grecia si preoccupa di conservare immacolati, così come sono stati ricevuti dai loro antenati, abbiamo sempre prestato riverenza a questa immagine di antica consuetudine e maestà unita alla varietà. E poiché è giusto ed opportuno che questi riti rimangano incorrotti come sono, abbiamo ripristinato la pianta originale e la forma incontaminata del Collegio Romano, intitolato ad Atanasio il Grande, per gli studenti di rito greco. Allo stesso modo, la riverenza dovuta ai Padri ed ai Dottori che la Grecia ha prodotto, e che per la benevolenza di Dio sono stati molti e grandi, non ha fatto che aumentare con il tempo. Praticamente fin dall’inizio del nostro Pontificato, abbiamo deciso di dare maggiore onore a Cirillo e Metodio. È stato nostro desiderio, guidati dalla devozione, far conoscere meglio da oriente a occidente le virtù e le opere di questi due uomini, affinché essi, meritevoli di un nome cattolico universale, siano più venerati dai Cattolici di tutto il mondo.

Papi di origine greca.

3. Inoltre, ci rallegriamo non poco dei Nostri predecessori ai quali la Grecia ha dato i natali e la stirpe, e spesso ricordiamo con quanta saggezza hanno aiutato e sostenuto la Chiesa cristiana nel suo cammino attraverso tempi duri e difficili. Con quale coraggio la maggior parte di loro, come Anacleto, Telesforo, Igino, dopo aver compiuto grandi fatiche, subirono il martirio. Anche se, a dire il vero, non ricordiamo quasi mai i Papi di origine greca senza dolore e nostalgia per la grande perdita causata dalle disgrazie dei secoli successivi. Ci riferiamo a quell’antica unione, priva di discordie, con cui Greci e Latini si tenevano insieme per il loro reciproco profitto, quando quella parte della terra che aveva prodotto Socrate e Platone forniva spesso i Sommi Pontefici.

Istituzione del Seminario.

4. Continuate a esercitare abilmente il vostro dovere episcopale, come del resto fate: lavorate affinché chiunque obbedisca alla vostra sacra autorità sia ogni giorno più consapevole di ciò che richiede la professione della fede cattolica, e impari dal vostro esempio ad unire il giusto amore per la patria con l’amore e lo zelo per la propria santa fede. Da parte nostra, saremo zelanti nel difendere, preservare e rafforzare il Cattolicesimo in mezzo a voi con tutto il lavoro e lo sforzo possibili. Conosciamo bene il grande ruolo svolto per la protezione della morale, per la disciplina civile e per la gloria stessa del nome cattolico dall’educazione delle anime e dalla pratica delle arti della mente. Per questo motivo, alcuni anni fa abbiamo fondato ad Atene un collegio in cui i giovani Cattolici potessero avere l’opportunità di dedicarsi alle lettere e, in particolare, di imparare la lingua che per mano di Omero e Demostene ha prodotto tanto splendore. Di recente, la vostra lettera congiunta del 9 settembre sollecita l’introduzione di qualcosa di simile, che si occupi dell’educazione dei giovani chierici. Avete il nostro consenso e la nostra approvazione; di sicuro riteniamo molto utile e opportuno che la casa delle lettere di Atene, di cui abbiamo parlato, sia accessibile anche agli studenti di cose sacre. Lì essi potranno dedicarsi alla pratica di studi umani più raffinati, e non sarà loro permesso di entrare in contatto con la teologia o la filosofia prima di aver appreso a fondo la lingua e la letteratura ancestrale nella propria città. In questo modo proteggeranno meglio la dignità della loro vocazione e svolgeranno più utilmente il loro ministero. Perciò abbiamo accolto volentieri il vostro suggerimento di istituire un seminario di questo tipo per i giovani chierici di rito latino, ma di nascita greca, e per gli altri orientali di lingua greca.

Sostegno alla Grecia da parte degli ex Pontefici

5. Inoltre, se riflettete brevemente, scoprirete la stessa benevolenza nei Nostri predecessori e in Noi stessi, che non hanno mai trascurato nulla di ciò che era in loro potere e che sembrava essere di beneficio per la vostra nazione. Così, come testimonia la storia, Pio V, appartenendo a quell’alleanza di principi cristiani che trionfò così magnificamente nelle Isole Echinadi, volle non solo difendere l’Italia ma anche liberare tutta la Grecia. A tal fine il santissimo Pontefice si adoperò per lo stato ed il benessere della Grecia. E se la speranza sfuggiva sia all’uomo che alle sue imprese, tuttavia si trattava certamente di una grande impresa piena di amore, e non fu colpa sua se non ebbe successo. Inoltre, in tempi molto più recenti, quando i vostri padri stavano lottando per cacciare un padrone straniero e rivendicare i propri diritti, gli Stati romani offrirono un rifugio sicuro a tutti coloro che all’epoca erano disposti ad abbandonare il suolo natio. Né potevano essere accolti in modo più aperto di quanto non lo fossero da Pio VII, il quale fece in modo che i territori da lui governati fossero aperti ai rifugiati e fu inoltre ansioso di venire in loro aiuto con ogni risorsa ed in ogni modo. Questi eventi vengono ricordati ora per nessun’altra ragione se non quella di rivelare da questo abituale modo di agire la natura fraterna della benevolenza e i veri desideri del Pontificato romano. Le opinioni preconcette, che eventi deplorevoli del lontano passato hanno impiantato in modo così forte, non lasceranno gradualmente, e con l’aiuto di Dio, il posto alla verità? A coloro che giudicano con equità ed integrità deve apparire la vera natura delle cose, ossia che i popoli orientali non hanno nulla da temere se l’unione con la Chiesa romana venisse ripristinata: la Grecia non perderebbe nulla della sua dignità, della sua fama e di tutti i suoi ornamenti; anzi, la sua gloria ne verrebbe rafforzata non poco. L’età di Costantino non era carente per quanto riguarda lo stato florido della nazione. Cosa mancava ai tempi di Atanasio o di Crisostomo? Eppure, in quei tempi l’autorità del Pontefice Romano era ritenuta sacra da tutti. Sia l’Oriente che l’Occidente, con l’accordo e il profitto delle anime di entrambi, gli prestavano fedeltà come al legittimo successore del beato Pietro e, di conseguenza, al supremo Sovrano della Chiesa cristiana.

6. Noi, intanto, continuiamo, per quanto è possibile e doveroso, a raccomandare tutta la vostra nazione al comune Salvatore di tutti, Gesù Cristo, non invano, come confidiamo, attraverso l’avvocatura della Vergine Madre di Dio, che i Greci hanno sempre onorato con speciale venerazione e che hanno chiamato con grande verità e fascino “sempre Santa”.

7. Come presagio dell’aiuto divino e a testimonianza della Nostra benevolenza, impartiamo con grande amore nel Signore la Benedizione Apostolica a voi, Venerabili Fratelli, al clero e al vostro popolo.

Dato a Roma in San Pietro, il 20 November 1901, 25° anno del nostro Pontificato

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S.S. LEONE XIII – “QUUM DIUTURNUM”

Questa brevissima lettera Enciclica di Papa Leone XIII, sollecita la convocazione di un Concilio continentale per l’America meridionale, così che i Vescovi locali possano coordinarsi per evangelizzare al meglio i popoli giunti da poco alla fede cattolica, e «…. affinché presso quei popoli, legati da una stessa stirpe o da una affine, si mantenga salda l’unità della disciplina ecclesiastica, si rinvigoriscano i costumi degni della fede cattolica, e la Chiesa si segnali pubblicamente per il comune impegno dei buoni…». Un Concilio quindi, ove si riaffermassero con decisione e fermezza dogmi e disciplina, senza aperture a culti locali di radice demoniaca, come la recente divinità pagana “Pachamama” adorata con blasfema sfacciataggine addirittura in Vaticano, terra un tempo “casa” di Pietro, il Vicario di Cristo, e della sua Chiesa. Ma è chiaro che parliamo di due realtà opposte tra loro, come quando ad Ezechiele furono dell’Angelo mostrati gli abomini ed i riti di adorazione dei demoni che si compivano nel Tempio santo di Dio. Si vede, come diceva il Qoelet, che nulla di nuovo c’è sotto il sole e nell’ombra degli inferi aperti. Ci sarà molto da soffrire, ma dopo la breve sofferenza arriverà il premio eterno per chi avrà perseverato fino alla fine (Rom. VIII).

Leone XIII
Quum diuturnum

Lettera Enciclica

Indizione del concilio plenario dell’America Latina
25 dicembre 1898

Quando ripercorriamo il lungo corso del nostro pontificato, vediamo che non abbiamo mai tralasciato nulla che riguardasse il rafforzamento e la promozione del regno di Dio presso codeste genti. Certamente è tuttora presente in voi, venerabili fratelli, il ricordo delle azioni da noi compiute, con l’aiuto di Dio, a vostro favore. Non abbiamo affidato invano quei servizi della nostra prudenza al vostro zelo e alla vostra diligenza. Ora vogliamo che sia manifesta una nuova prova del nostro affetto verso di voi; cosa che già da tempo era nei nostri desideri. Infatti, fin dal tempo della celebrazione del IV centenario della scoperta dell’America, abbiamo cominciato a pensare con insistenza al modo in cui avremmo potuto mettere in rilievo le comuni origini latine, che il nuovo mondo detiene per più della metà. Arrivammo alla conclusione che a tale scopo la cosa migliore sarebbe stata che voi tutti, Vescovi di queste contrade, vi foste riuniti, su nostro invito e con la nostra autorità, per deliberare. Eravamo infatti convinti che, mettendo insieme la vostra sapienza e i frutti della prudenza che ciascuno di voi ha tratto dalla propria esperienza, avreste provveduto convenientemente affinché presso quei popoli, legati da una stessa stirpe o da una affine, si mantenesse salda l’unità della disciplina ecclesiastica, si rinvigorissero i costumi degni della fede cattolica, e la Chiesa si segnalasse pubblicamente per il comune impegno dei buoni. Mi persuadeva poi grandemente a tradurre in atto questo intendimento, il fatto che voi, interpellati al riguardo, aveste accolto con forte assenso una tale proposta. – Quando poi giunse il momento di attuare l’iniziativa, lasciammo a voi, venerabili fratelli, il compito di scegliere il luogo in cui vi sembrava opportuno tenere questo Concilio. Dichiaraste allora, in massima parte, che sareste venuti assai volentieri a Roma, anche perché per molti di voi sarebbe stato molto più semplice raggiungere questa sede che non qualche altra lontana città americana, per la grande difficoltà di viaggiare in cedesti posti. All’annuncio di questa vostra scelta, non potemmo che dare il nostro più pieno assenso, perché essa conteneva un segno non piccolo del vostro amore verso questa Sede Apostolica. Anche se Ci dispiace, per le condizioni in cui ora ci troviamo, che Ci sia tolta la possibilità di trattarvi, mentre sarete a Roma, tanto dignitosamente e liberalmente quanto vorremmo. Perciò la Sacra Congregazione [per interpretare gli Atti] del Concilio [di Trento] ha il mandato da Noi conferitole di convocare per il prossimo anno a Roma il Concilio di tutti i Vescovi delle nazioni dell’America Latina, e di emanare le norme adeguate che esso dovrà seguire. Intanto, come auspicio dei celesti favori e come testimonianza della nostra benevolenza verso di voi, venerabili fratelli, e verso il clero e il popolo a ciascuno affidato, impartiamo di tutto cuore l’apostolica benedizione.

Roma, presso S. Pietro, proprio il giorno della nascita di nostro Signore Gesù dell’anno 1898, XXI del Nostro pontificato.

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S.S. LEONE XIII – “REPUTANTIBUS SÆPE”

Questa lettera Enciclica di S.S. Leone XIII è indirizzata ai Vescovi della Boemia affinché si adoperaino presso i loro fedeli a risolvere i problemi linguistici della loro Nazione così da farne un unico ovile guidato dal Pastore eterno Gesù Cristo che li ha riscattati dal peccato e dalla morte eterna. Oggi succede lo stesso, ma in senso opposto, in guisa che tutto cospira a portare le povere anime ingannate nel pozzo infernale, sospinte non solo dai classici nemici – il mondo, il demonio, le passioni, gli idoli pagani – ma soprattutto da lupi travestiti da pii e devoti servi di Dio, come i falsi profeti del Novus ordo modernista dell’antichiesa-sinagoga dell’uomo, ed i falsi tradizionalisti di fraternità farlocche, chiesette e cappelline eretiche, scismatiche o apostate dalla vera fede. Il pusillus grex deve allora affidarsi, per sfuggire alle trappole mortali che gli vengono tese da ogni parte, alla pura dottrina morale e spirituale della vera ed unica Chiesa di Cristo, ed alla protezione dell’Immacolata Vergine Maria Madre nostra e di Dio, a Colei che ha il compito, fin dal principio, di schiacciare la testa del serpente maledetto.

Leone XIII
Reputantibus saepe

Lettera Enciclica

Dissensi in Boemia per la lingua nazionale
20 agosto 1901

Riflettendo spesso nel Nostro intimo sulla condizione delle vostre Chiese, queste ci appaiono, e ora quasi dovunque, tutte piene di timore, tutte piene di affanni. Questo però fra di voi accade in modo ancora più grave, perché, pur essendo la realtà cattolica sempre esposta all’invidia e all’astuzia dei nemici esterni, a trascinarla nel pericolo ci sono anche della cause interne. Mentre infatti per l’azione aperta e nascosta degli eretici accade che l’errore invade gli animi dei fedeli, si accrescono ogni giorno fra gli stessi Cattolici i germi della discordia: non c’è assolutamente nulla più di questo in grado di annullare le forze e di infrangere la fermezza. – Il più forte motivo di divisione, particolarmente in Boemia, è da ricercarsi nella lingua che gli abitanti usano, ciascuno a seconda della sua origine. È infatti insito nella natura il volere amare e difendere la lingua ricevuta dagli avi. Abbiamo quindi deciso di astenerci dal dirimere le controversie a questo riguardo. In verità, la difesa della lingua paterna, se rimane dentro determinati confini, non è biasimevole: tuttavia, quello che vale per gli altri diritti privati, bisogna ritenere che valga anche a questo riguardo, perché dal loro perseguimento non ne deve avere danno la comune utilità dello stato. È quindi compito di coloro che amministrano lo stato fare sì che, sana e salva l’equità, siano salvaguardati i diritti dei singoli, in modo tale tuttavia che sia ben saldo e vigoroso il bene comune della società. Per quanto ci riguarda, il dovere ci ammonisce a guardarci con cura che da simili controversie non ne abbia danno la Religione, che è il bene principale delle anime, origine di tutti gli altri beni. Pertanto, venerabili fratelli, desideriamo ardentemente ed esortiamo che i fedeli, affidati a ciascuno di voi, anche se sono diversi di origine e di lingua, mantengano tuttavia quell’unione degli animi di gran lunga nobilissima che è generata dalla comunione della fede e dei medesimi Sacramenti. Quanti infatti sono stati battezzati in Cristo, hanno un solo Signore ed una sola fede: e quindi sono un solo corpo ed un solo spirito, in quanto sono stati chiamati in una sola speranza della loro vocazione. Non è quindi affatto conveniente che coloro che sono congiunti da tanti santissimi vincoli, che ricercano nei Cieli la stessa cittadinanza, siano divisi da motivi terreni, provocandosi e invidiandosi, come dice l’Apostolo, gli uni con gli altri. Deve quindi essere inculcata con grande assiduità ai fedeli, ed esaltata con ogni zelo, la consanguineità degli animi che viene da Cristo. “Maggiore è infatti la fraternità in Cristo di quella del sangue: la fraternità del sangue infatti, comporta soltanto la somiglianza del corpo; la fraternità di Cristo invece, rivela l’unanimità del cuore e dell’anima, come sta scritto: la moltitudine dei credenti aveva un cuor solo e un’anima sola”. – In questo campo, coloro che appartengono al clero consacrato debbono precedere gli altri con l’esempio. Oltre al fatto poi che non si addice affatto al loro ministero immischiarsi in dissensi di tal genere: se si trovano a vivere in luoghi che sono abitati da persone di diversa origine e di diversa lingua, facilmente, se non si astengono da ogni specie di contesa, si esporranno all’odio e all’offesa dell’una o dell’altra delle parti; e non c’è nulla di più nefasto per l’esercizio del sacro ministero. I fedeli debbono in verità riconoscere nei fatti che i ministri della Chiesa non si occupano di altro che degli interessi eterni delle anime, e che quindi non ricercano il proprio vantaggio, ma unicamente il vantaggio di Cristo. Poiché se per tutti universalmente la caratteristica per la quale i discepoli vengono riconosciuti è questa, che abbiano amore gli uni per gli altri; questo lo si deve affermare molto di più per le persone dello stato clericale fra di loro. Per questo motivo, non solo perché hanno attinto più largamente alla carità di Cristo debbono essere a buon diritto valutati, ma anche perché ciascuno di loro, rivolgendosi ai fedeli, deve poter dire le stesse parole dell’apostolo: “Siate miei imitatori, come io lo sono di Cristo” (Fil 3,17). – Concediamo però facilmente che questo nei fatti è assai arduo, se gli elementi delle discordie non vengono eliminati al momento giusto, e cioè quando coloro che crescono con la speranza dell’ordinazione clericale vengono formati nei sacri Seminari. Per questo, venerabili fratelli, curate attentamente che gli allievi dei Seminari imparino tempestivamente, nell’amore della fraternità, ad amarsi gli uni gli altri con cuore semplice, essendo stati rigenerati non da un seme corruttibile, ma immortale, per mezzo della parola di Dio vivo (cf, 1 Pt 1,22-23). – Frenate con forza le passioni erompenti degli animi e non lasciate in alcun modo che prendano vigore; così che, coloro che sono destinati al clero, se non possono avere un’unica lingua, per la differenza di origine, abbiano di certo almeno un cuor solo e un’anima sola. – Da questa concordia delle volontà che si manifesta nell’ordine clericale, seguirà, fra gli altri, quel vantaggio a cui già abbiamo accennato, e cioè che i ministri delle cose sacre potranno ammonire con più efficacia i fedeli, affinché nel difendere e nel rivendicare i diritti propri di ciascuna gente, non oltrepassino la misura, e, trascinati da troppo zelo, non trascurino la giustizia e l’utilità generale dello stato. Questo appunto, per le circostanze delle vostre regioni, riteniamo che sia ora il compito principale dei Sacerdoti, esortare cioè in modo opportuno e non opportuno i fedeli ad amarsi gli uni gli altri; e ammonire assiduamente che non è degno del nome Cristiano colui che non adempie con l’animo e nei fatti il comandamento nuovo dato da Cristo, che ci amiamo a vicenda come Lui ci ha amati. Non lo adempie infatti colui che pensa che l’amore spetti soltanto a coloro che gli sono congiunti dalla lingua o dalla stirpe. “Infatti, dice Cristo, se amate quelli che vi amano, non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, non fanno così anche i pagani?” (Mt V,46-47). La meraviglia dell’amore cristiano sta proprio in questo, di rivolgersi indistintamente a tutti: “Poiché, come ammonisce l’Apostolo, non c’è distinzione fra giudeo e greco, dato che Lui stesso è il Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che l’invocano” (Rm X,12). – “Dio poi che è amore, conceda benigno a tutti di avere i medesimi sentimenti, di essere unanimi, con lo stesso modo di sentire, senza far nulla per spirito di rivalità, ma ciascuno con tutta umiltà consideri gli altri superiori a se stesso; senza cercare il proprio interesse, ma anche quello degli altri” (Fil II,2-4). Di tutte queste cose sia auspice, e insieme testimone della Nostra benevolenza, l’apostolica benedizione, che a voi, venerabili fratelli, e ai fedeli affidati a ciascuno di voi, elargiamo con grande amore nel Signore.

Roma, presso San Pietro, 20 agosto 1901, anno XXIV del Nostro pontificato.

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S.S. LEONE XIII, “SPESSE VOLTE”

Il Santo Padre in questa Lettera Enciclica stigmatizza le leggi emanate contro le Associazioni cattoliche ingiustamente e fraudolentemente ritenute causa di disordini sociali e rivolta contro le istituzioni statali. Sembra la favoletta del lupo che accusa la pecora di avvelenargli l’acqua pur bevendo in un piano inferiore del ruscello. Le proteste e le giuste ragioni del Pontefice non furono ascoltate da chi avrebbe dovuto farne tesoro con danni immensi per se stesso e per tutto il popolo italiano che, come sappiamo dalle vicende storiche, subì carestie, povertà, miseria, due disastrose guerre, sconfitte vergognose in Africa, una terribile dittatura, la ingloriosa cacciata e l’esilio per la monarchia e chissà quante anime dannate…. – Queste espressioni dovrebbero ancor più colpire oggi i governanti che stanno annientando in Italia e nel mondo, ogni principio cristiano, sostituendoli con le imposizioni mondialiste dei luciferini cabalisti nemici di Dio, della sua santa Chiesa e di tutti gli uomini, compresi se stessi. Grandi calamità incombono soprattutto sui popoli che hanno voltato le spalle a Cristo che tanto li aveva beneficati, e soprattutto sulla Nazione più privilegiata al mondo ove ha sede l’Autorità Apostolica. Dio disprezzato, Gesù Cristo deriso e rigettato, la Chiesa Cattolica ridotta in una condizione di totale eclissi, a chi rivolgerci per fermare l’ira incombente? Lo sappiamo da millenni, alla Immacolata Maria che schiacciera’ il capo ributtante del dragone infernale e di tutti gli accoliti suoi agenti … et IPSA conteret caput tuum…

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Leone XIII
Spesse volte

Lettera Enciclica


5 agosto 1898
Agli Italiani, sulla soppressione di Associazioni cattoliche.

Spesse volte, nel corso del Nostro Pontificato, mossi dalle sacre ragioni dell’Apostolico ministero, dovemmo levar lamento e protesta in occasione di atti compiuti, a detrimento della Chiesa e della Religione, da coloro che, per vicenda di ben noti rivolgimenti, reggono la cosa pubblica in Italia. Ci duole doverlo fare di nuovo sopra un argomento gravissimo e che Ci riempie l’animo di profonda tristezza. Noi intendiamo parlare della soppressione di tante istituzioni cattoliche, decretata, non ha guari, in varie parti della Penisola. Questa disposizione immeritata ed ingiusta ha sollevato la riprovazione di ogni anima onesta, ed in essa vediamo, con sommo Nostro rammarico, compendiarsi e rincrudire le offese sofferte negli anni trascorsi. – Sebbene sia cosa a voi nota, Venerabili Fratelli, pur nondimeno stimiamo opportuno riandare le origini e la necessità di queste istituzioni, frutto delle Nostre sollecitudini e delle vostre amorevoli cure, affinché tutti comprendano il pensiero che le aveva ispirate e lo scopo religioso morale e caritativo a cui erano dirette. Dopo aver rovesciato il Principato Civile dei Papi, si vennero in Italia togliendo gradatamente alla Chiesa cattolica i suoi elementi di vita e di azione, la sua naturale e secolare influenza nei pubblici e sociali ordinamenti. Con atti progressivi e coordinati a sistema, si chiusero monasteri e conventi; si dissipò, colla confisca dei beni ecclesiastici, la massima parte del patrimonio della Chiesa; s’impose ai chierici il servizio militare; s’inceppò la libertà dell’ecclesiastico ministero con disposizioni arbitrarie ed ingiuste; si mirò con sforzi perseveranti a cancellare da tutte le pubbliche istituzioni l’impronta religiosa e cristiana; si favorirono i culti dissidenti, e mentre si concedeva la più ampia libertà alle sètte massoniche, si riserbavano odiose intolleranze e vessazioni a quella unica Religione, che fu sempre gloria, presidio a forza degli Italiani. Noi non mancammo di deplorare questi gravi e ripetuti attentati. Li rimpiangemmo per conto della nostra santa Religione esposta a supremi pericoli; li rimpiangemmo eziandio, e ciò diciamo con tutta sincerità del Nostro cuore, per conto della patria nostra; giacché la Religione è sorgente di prosperità e di grandezza per una nazione, e fondamento precipuo di ogni bene ordinata società. Ed infatti, indebolito il sentimento religioso, che eleva e nobilita l’animo, e v’imprime profondamente le nozioni del giusto e dell’onesto, l’uomo inclina e si abbandona ad istinti selvaggi e ad interessi materiali; e da ciò, come logica conseguenza, rancori, scissure, depravazioni, conflitti e turbamento dell’ordine, ai quali mali non sono rimedi sicuri e sufficienti né la severità delle leggi, né i rigori dei tribunali, né l’uso della stessa forza armata. Di questa connessione naturale ed intrinseca tra il decadimento religioso e lo sviluppo dello spirito di sovversione e di disordine, Noi più volte, in atti pubblici diretti agli Italiani, avvertimmo coloro ai quali incombe la formidabile responsabilità del potere, mostrando i progressi immancabili del socialismo e dell’anarchia, ed i mali senza fine a cui essi esponevano la nazione. – Ma non fummo ascoltati. Il pregiudizio meschino e settario fe’ velo all’intelligenza, e la guerra contro la Religione fu continuata colla stessa intensità. Non solo non fu preso alcun provvedimento; ma dai libri, dai giornali, dalle scuole, dalle cattedre, dai circoli, dai teatri, si proseguì a spargere largamente i germi dell’irreligione e dell’immoralità, a scalzare i principi a cui s’informano i forti ed onesti costumi di un popolo, a diffondere le massime, dalle quali segue inesorabilmente la perversione dell’intelletto e la corruzione del cuore. Noi allora, Venerabili Fratelli, vedendo periglioso e fosco l’avvenire del nostro Paese, credemmo giunto il momento di alzare la voce, e dicemmo ai Cattolici italiani: la Religione e la società sono in pericolo; è tempo di spiegare tutta la vostra attività, opponendo al male invadente un argine colla parola, colle opere, colle associazioni, coi comitati, colla stampa, coi congressi, colle istituzioni di carità e di preghiera, con tutti i mezzi, infine, pacifici e legali, che siano acconci a mantenere nel popolo il sentimento religioso ed a sollevarne la miseria, cattiva consigliera, resa tanto profonda ed estesa per le depresse condizioni economiche d’Italia. Tali cose Noi raccomandammo più volte, ed in modo particolare nelle due Lettere già da Noi indirizzate al popolo italiano: in quella del 15 ottobre 1890 e nell’altra dell’8 dicembre 1892 [encicliche “Dall’Alto” e “Custodi della fede“]. Ci è qui grato dichiarare, che le Nostre esortazioni caddero, su terreno fecondo. Mediante i vostri generosi forzi, Venerabili Fratelli, e quelli del clero e dei fedeli a voi affidati, si ottennero lieti e salutari effetti, dai quali era facile prevederne anche maggiori in un prossimo avvenire. Centinaia di associazioni e di comitati sorsero in varie parti d’Italia, e dal loro zelo indefesso ebbero origine casse rurali, cucine economiche, dormitori economici, ricreatori festivi, opere catechistiche, assistenza degli infermi, tutela della vedova e del pupillo e tante altre benefiche istituzioni, che furono salutate dalla riconoscenza e dalle benedizioni del popolo, ed ebbero sovente anche da uomini di altro partito ben meritato elogio. Ed i Cattolici, secondo il loro solito, nella esplicazione di questa lodevole operosità cristiana, non avendo nulla da celare, si mostrarono alla luce del giorno e si tennero costantemente nei confini della legalità. Ma sopraggiunsero le luttuose vicende che, accompagnate da tumulti e spargimenti di sangue cittadino, funestarono alcune contrade d’Italia. Niuno più di Noi soffrì nell’animo e si commosse a quel triste spettacolo. – Pensammo però, che nelle origini prime di quelle sedizioni e di quelle lotte fraterne, coloro che hanno la direzione della cosa pubblica riconoscerebbero il frutto funesto, ma naturale, del mal seme a larga mano e per sì lungo tempo sparso impunemente in tutta la Penisola; pensammo che risalendo dagli effetti alle cause e traendo profitto dal duro ammaestramento ricevuto, tornerebbero alle norme cristiane del riordinamento sociale, colle quali debbono rinnovarsi le Nazioni, se non si vogliono lasciar perire, e perciò porrebbero in onore i principi di giustizia, di probità e di religione, dai quali deriva principalmente anche il benessere materiale di un popolo. Pensammo almeno che, volendo rinvenire autori e complici di quelle sommosse, si avviserebbero a cercarli fra coloro, che avversano la dottrina cattolica, e nel naturalismo e materialismo scientifico e politico infiammano gli animi ad ogni cupidigia disordinata; fra coloro, che nelle ombre di settarie congreghe nascondono i rei intendimenti ed affilano le armi contro l’ordine e la sicurezza della società. – Ed invero non mancò qualche spirito elevato ed imparziale, anche nel campo avverso, che comprese ed ebbe il lodevole coraggio di proclamare pubblicamente le vere cause dei lamentati disordini. Ma grande fu la Nostra sorpresa ed il Nostro dolore quando apprendemmo che, con assurdo pretesto, mal dissimulato dall’artificio, si osava, alfine di deviare l’opinione pubblica e porre ad esecuzione un premeditato disegno, riversare sui Cattolici la stolta accusa di perturbatori dell’ordine e far ricadere sopra di essi il biasimo ed il danno dei sediziosi sconvolgimenti, di cui alcune contrade d’Italia furono teatro. – E maggiormente crebbe il Nostro dolore quando a tali calunnie succedendo fatti arbitrari e violenti, si videro sospesi e soppressi molti dei principali e più valorosi giornali cattolici, proscritti comitati per le parrocchie e per le Diocesi, disperse adunanze per congressi, rese inerti alcune istituzioni ed altre minacciate fra quelle stesse che hanno per scopo il solo incremento della pietà tra i fedeli, o la pubblica e privata beneficenza; quando si videro disciolte innocue e benemerite società in grandissimo numero, e così distrutto, in poche ore procellose, il lavoro paziente, caritatevole, modesto di molti anni, di molti nobili intelletti, di molti cuori generosi. Con tale enorme ed odiosa disposizione la pubblica autorità contraddiceva, anzi tutto, alle sue precedenti affermazioni. Per molto tempo, infatti, essa aveva rappresentato le popolazioni della Penisola conniventi e del tutto solidali con lei nell’opera rivoluzionaria ed avversa al Papato; ed ora invece, ad un tratto, veniva a smentire se stessa col ricorrere ad espedienti straordinari per comprimere innumerevoli associazioni sparse in tutta Italia, e ciò non per altro motivo se non perché esse si mostravano affezionate e devote alla Chiesa ed alla causa della Santa Sede. Ma questa disposizione ledeva, soprattutto, i principi di giustizia e le stesse norme delle leggi vigenti. – In forza di questi principi e di queste norme è lecito ai Cattolici, come a tutti gli altri cittadini, fruire della libertà di unire in comune i loro sforzi per promuovere il bene morale e materiale del loro prossimo, o per esercitarsi in pratiche di pietà e di religione. Fu dunque arbitrio lo scioglimento di tante benefiche istituzioni cattoliche, che pure esistono tranquille e rispettate in altre Nazioni, senza alcuna prova della loro colpabilità, senza alcuna investigazione precedente, senza alcun documento atto a dimostrare la loro partecipazione agli avvenuti disordini. Fu anche una speciale offesa arrecata a Noi, che avevamo ordinato e benedetto quelle utili e pacifiche associazioni, ed a voi, Venerabili Fratelli, che ne avevate curato e promosso lo sviluppo e vigilato il regolare andamento: la Nostra protezione e la vostra vigilanza dovevano renderle anche maggiormente rispettabili, ed immuni da qualsiasi sospetto. Né possiamo passare sotto silenzio quanto siffatta disposizione sia perniciosa agl’interessi delle moltitudini; quanto alla conservazione sociale, quanto al vero bene d’Italia. Colla soppressione di quelle società viene ad aumentare la miseria morale e materiale del popolo, ch’esse procuravano con ogni mezzo possibile di mitigare; viene privata la civil comunanza di una forza potentemente conservatrice; giacché la loro organizzazione stessa e la diffusione dei loro principi era un argine contro le teorie sovversive del socialismo e dell’anarchia; viene infine ad accendersi maggiormente il conflitto religioso, che tutti gli uomini scevri da passioni settarie comprendono esser supremamente funesto all’Italia, di cui spezza le forze, la compattezza, l’armonia. – Noi non ignoriamo, che le società cattoliche siano accusate di tendenze contrarie agli attuali ordinamenti politici d’Italia e considerate perciò come sovversive. Siffatta imputazione è fondata sopra un equivoco creato e mantenuto appositamente dai nemici della Chiesa e della Religione per coonestare dinanzi al pubblico il riprovevole ostracismo che essi intendono infliggere alle dette associazioni. Noi vogliamo che tale equivoco sia dissipato per sempre. I Cattolici italiani, in forza degli immutabili e noti principi della loro religione, rifuggono da cospirazione e ribellione qualsiasi contro i pubblici poteri, ai quali rendono il tributo che ad essi si deve. La loro condotta passata, alla quale tutti gli uomini imparziali possono rendere onorata testimonianza, è garante di quella futura, e ciò dovrebbe bastare ad assicurar loro la giustizia e la libertà a cui hanno diritto tutti i pacifici cittadini. Diremo di più: essendo essi, per la dottrina che professano, i più solidi sostenitori dell’ordine, hanno diritto al rispetto; e se la virtù ed il merito fossero adeguatamente apprezzati, avrebbero anche diritto ai riguardi ed alla gratitudine di chi presiede alla cosa pubblica. – Ma i Cattolici italiani, appunto perché Cattolici, non possono rescindere dal volere che al loro Capo supremo sia restituita la necessaria indipendenza e la pienezza della libertà vera ed effettiva, la quale è condizione indispensabile per la libertà e l’indipendenza della Chiesa Cattolica. Su questo punto i loro sentimenti non cambieranno né per minacce, né per violenze; essi subiranno l’attuale ordine di cose, ma fino a che questo avrà per scopo la depressione del Papato e per causa la cospirazione di tutti gli elementi antireligiosi e settari, essi non potranno mai, senza violare i loro più sacri doveri, concorrere a sostenerlo colla loro adesione e col loro appoggio. Il richiedere dai Cattolici un positivo concorso al mantenimento dell’attuale ordine di cose, sarebbe pretesa irragionevole ed assurda; poiché ad essi non sarebbe più lecito ottemperare agli insegnamenti ed ai precetti di questa Apostolica Sede, anzi dovrebbero agire in opposizione ai medesimi e dipartirsi dalla condotta che tengono i Cattolici di tutte le altre Nazioni. Quindi è che l’azione dei Cattolici italiani, nelle presenti condizioni di cose, rimanendo estranea alla politica, si concentra nel campo sociale e religioso, e mira a moralizzare le popolazioni, renderle ossequenti alla Chiesa ed al suo Capo, allontanarle dai pericoli del socialismo e dell’anarchia, inculcar loro il rispetto al principio di autorità, sollevarne infine la indigenza colle opere molteplici della carità cristiana. – Come dunque i Cattolici potrebbero esser chiamati nemici della patria ed esser confusi coi partiti che attentano all’ordine ed alla sicurezza dello Stato? Siffatte calunnie cadono dinanzi a solo buon senso. Esse si fondano su questo concetto, che le sorti, l’unità, la prosperità della Nazione consistono nei fatti compiuti a danno della Santa Sede, fatti pur deplorati da uomini punto sospetti, i quali dichiarano apertamente essere immenso errore il provocare un conflitto con quella grande istituzione, che Dio pose in mezzo all’Italia e che fu e rimarrà perpetuamente il suo vanto precipuo ed incomparabile; istituzione prodigiosa che domina la storia, e per la quale l’Italia divenne l’educatrice feconda dei popoli, la testa ed il cuore della civiltà cristiana. Di qual colpa pertanto sono rei i Cattolici quando desiderano il termine del lungo dissidio, sorgente di grandissimi danni per l’Italia nell’ordine sociale, morale e politico; quando domandano che sia ascoltata la voce paterna del loro Capo supremo, che tante volte ha reclamato le dovute riparazioni, mostrando i beni incalcolabili che da esse deriverebbero all’Italia? I nemici veri d’Italia bisogna ricercarli altrove; bisogna ricercarli tra coloro che mossi da spirito irreligioso e settario, chiuso l’animo dinanzi ai mali ed ai pericoli che pesano sulla patria, respingono ogni vera e feconda soluzione del dissidio, e procurano, per i loro riprovevoli disegni, di renderlo sempre più lungo e più acerbo. A questi e non ad altri conviene attribuire la dura disposizione onde vennero colpite tante utili Associazioni cattoliche; disposizione che Ci addolora profondamente anche per un altro titolo di ordine più elevato e che non riguarda solamente i Cattolici italiani, ma quelli del mondo intero. – Essa mette sempre più in chiaro la condizione penosa, precaria ed intollerabile a cui siamo ridotti. Se alcuni fatti, nei quali i Cattolici non ebbero nulla a che fare, bastarono per decretare la soppressione di migliaia di opere benefiche ed immuni da qualsiasi colpa, nonostante la guarentigia che veniva loro dalle leggi fondamentali dello Stato, ogni uomo sensato ed imparziale comprenderà quale e quanta possa essere l’efficacia delle assicurazioni date dai pubblici poteri per la libertà ed indipendenza del Nostro Apostolico Ministero. Quale è invero la Nostra libertà, quando dopo essere stati spogliati della maggior parte degli antichi presidi morali e materiali, di cui i secoli cristiani avevano arricchito la Sede Apostolica e la Chiesa in Italia, veniamo ora privati anche di quei mezzi di azione religiosa e sociale, che le Nostre sollecitudini e lo zelo ammirabile dell’Episcopato, del clero e dei fedeli avevano riunito a tutela della religione ed a beneficio del popolo italiano? Quale può essere la Nostra pretesa libertà, quando un’altra occasione, un altro incidente qualsiasi potrebbe servir di pretesto a procedere ancora più oltre nella via delle violenze e degli arbitri e ad infliggere nuove e più profonde ferite alla Chiesa ed alla Religione? Noi segnaliamo questo stato di cose ai Nostri figli d’Italia e a quelli delle altre Nazioni. Agli uni e agli altri però diciamo, che, se il Nostro dolore è grande, non minore è il Nostro coraggio, non minore la Nostra fiducia in quella Provvidenza che governa il mondo e che veglia costantemente ed amorosamente sulla Chiesa, la quale s’identifica col Papato, secondo la bella espressione di Sant’Ambrogio: Ubi Petrus ibi Ecclesia. Ambedue sono istituzioni divine che sopravvissero a tutti gli oltraggi, a tutti gli attacchi, che videro immobili passare i secoli, che attinsero aumenti di forza, di energia e di costanza dalla stessa sventura. E quanto a Noi non cesseremo di amare questa bella e nobile Nazione da cui sortimmo i natali, lieti di spendere gli ultimi avanzi delle Nostre forze per conservarle il tesoro prezioso della religione, per mantenere i suoi figli nella sfera onorata della virtù e del dovere, per sollevare, quanto Ci è possibile, le loro miserie. In questo nobilissimo ufficio voi Ci apporterete, ne siamo sicuri, Venerabili Fratelli, il concorso efficace delle vostre cure e del vostro zelo illuminato e costante. Continuate nell’opera santa di ravvivare la pietà tra i fedeli, di preservare le anime dagli errori e dalle seduzioni che le circondano da ogni lato, di consolare i poveri e gl’infelici con tutti i mezzi che la carità potrà suggerirvi. Le vostre fatiche non saranno mai sterili, qualunque siano le vicende e gli apprezzamenti umani, perché dirette a più alto fine che non sono le cose di quaggiù; e ad ogni modo esse varranno, qualora fossero osteggiate o distrutte, a liberarvi dal dover rispondere dei danni, che dagl’impedimenti frapposti al vostro pastorale ministero potrebbe risentire l’Italia. – Ed a voi, Cattolici italiani, oggetto precipuo delle Nostre sollecitudini e della Nostra affezione, a voi fatti segno a più aspre vessazioni, perché più vicini a Noi e più stretti a questa Sede Apostolica, a voi serva di conforto e di incoraggiamento la Nostra parola e la Nostra ferma assicurazione, che il Papato, come nei secoli trascorsi, in gravi e procellosi avvenimenti, fu guida, difesa e salvezza del popolo cattolico, specialmente d’Italia, così per l’avvenire non verrà meno alla sua grande e salutare missione, col difendere e rivendicare i vostri diritti, coll’assistervi nelle vostre difficoltà, coll’amarvi quanto più bersagliati ed oppressi. Voi avete dato, specialmente in questi ultimi tempi, numerose testimonianze di abnegazione e di operosità nel fare il bene. Non vi perdete di animo; ma tenendovi rigorosamente, come nel passato, entro i limiti della legge e pienamente sottomessi alla direzione dei vostri Pastori, continuate con coraggio cristiano negli stessi propositi. Che se incontraste sul cammino nuove contraddizioni e nuove ostilità, non vi sgomentate: la bontà della vostra causa apparirebbe sempre più luminosa, quando gli avversari, per combatterla, fossero costretti a ricorrere ad armi siffatte; e le prove che dovreste sostenere, aumenterebbero il vostro merito innanzi agli uomini onesti e, ciò che più monta, innanzi a Dio.

Auspice intanto dei Celesti favori e pegno del Nostro specialissimo affetto, sia la Apostolica Benedizione, che dall’intimo del cuore impartiamo a voi, Venerabili Fratelli, al clero ed al popolo italiano.

Dato a Roma presso San Pietro, il 5 agosto 1898, anno XXI del Nostro Pontificato.

Leone PP. XIII.

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S.S. LEONE XIII “GRAVISSIMAS”

Anche in Portogallo si fa sentire l’azione delle “conventicole di perdizione” che ostacolano l’opera degli Ordini religiosi e della Chiesa agendo sul governo corrotto e schiavizzato. Il Papa incoraggia Vescovi, religiosi e fedeli a rispettare le leggi emanate dalle autorità civili finché non intacchino la fede e la morale cattolica. Attualmente finte pseudoautorità religiose che sdoganano allegramente vizi ed amoralità riverniciandoli con altisonanti parole … libertà, uguaglianza, inclusione, tolleranza verso ogni ideologia anche la più perversa, promettendo la salvezza nel frequentare una falsa chiesa asservita alle logge massoniche ecclesiastiche dominanti ed usurpanti ben oltre il periodo degli insediamenti ariani nelle cariche religiose, invitando alla frequentazione di riti rosa+croce definiti come nuova messa, N. O. M., o ad invalidi, illeciti e sacrileghi pseudosacramenti compresi quelli che danno false ed invalide ordinazioni sacerdotali. Non parliamo poi delle leggi del governo dei burattini governativi, che tendono non solo a sopprimere, ma addirittura a cancellare dalla mente dei cittadini, le più elementari norme del vivere cristiano e naturale. A questo punto si impone effettivamente un reset, che il Signore sta già attuando con gli “angelos malos” (Ps. LXXVII. 49) utilizzandoli come castigo dell’umanità idolatra ed apostata. Al “pusillus grex” il compito di resistere saldi nella fede, “fortes in fide”, operosi nella carità, animati dalla speranza nella vita eterna promessa da Cristo a chi persevera fino alla fine.

GRAVISSIMAS
Lettera Enciclica di PAPA LEO XIII
SUGLI ORDINI RELIGIOSI IN PORTOGALLO

Al Cardinale Netto, Patriarca di Lisbona e ai Vescovi del Portogallo.

In mezzo alle gravi preoccupazioni che ci angosciano ogni giorno di più a causa della guerra dichiarata agli Ordini religiosi in molte zone, la lettera congiunta, eminente e piena di dignità, che, in adempimento del vostro dovere pastorale e della vostra riverenza per il vostro Sovrano, avete recentemente inviato al vostro Re fedele, è stata per Noi una straordinaria consolazione. Infatti, nulla potrebbe esserci più gradito che vedervi prontamente uniti sia per difendere le Congregazioni religiose sia per sostenerne le necessità e l’utilità. Perciò nulla Ci fa più piacere che approvare il vostro zelo e onorare i vostri sforzi con la lode che meritano.
2. In effetti, non c’è da meravigliarsi se voi, sia come coloro che presiedono la Chiesa sia come cittadini portoghesi, vi troviate in disaccordo con i recenti decreti contro le società religiose. È chiaro, infatti, che essi sono contrari ai diritti della Chiesa e al diritto dei fedeli di scegliere uno stato di vita; privano lo Stato di non pochi benefici eccezionali che gli derivano dagli Istituti religiosi, come gli stessi autori di questi decreti ammettono in modo incerto.
3. Ciò che si deve pensare delle condizioni imposte dal governo del Portogallo alle famiglie religiose, se si vuole che esse sopravvivano, lo avete già dichiarato in modo eminente. Bisogna però tenere sempre presente che, secondo la disciplina della Chiesa cattolica, nessun Ordine religioso può esistere o prosperare se il noviziato e i voti vengono eliminati. Perciò le leggi proprie di ogni Istituto, se necessario, devono essere rese conformi alle prescrizioni civili; ma ciò deve avvenire solo in modo da preservare la dignità dei singoli religiosi e, soprattutto, da mantenere integra la natura del loro stato sacro.
4. Con le forze unite, dovete decidere come far fronte alle perdite e ai pericoli che opprimono le società religiose e in che modo potete più opportunamente provvedere alla loro conservazione in mezzo a voi. È infatti opportuno che la Santa Sede si rimetta al giudizio congiunto di coloro che possono valutare più da vicino, essendo presenti come voi, la mente e le intenzioni delle autorità civili e le circostanze delle situazioni e dei luoghi. Per il resto, la stessa Sede Apostolica non mancherà di preoccuparsi di elaborare uno stile di vita adeguato, secondo norme e dispense appropriate, per i religiosi allontanati a forza dai loro domicili.
5. Continuate, dunque, a difendere strenuamente la causa della religione e della società civile, che avrà un esito favorevole solo se indicherete ai vostri fedeli un metodo chiaro e corretto di agire in pubblico. Continuate anche a fare ogni sforzo per unire e incrementare le forze cattoliche e per favorire le pubblicazioni e le organizzazioni che difendono i diritti della Chiesa. Promuovete diligentemente quell’armonia di volontà che mette da parte le opinioni private e le rivalità politiche di parte. Questo vi chiediamo vivamente.
6. Infine, in segno di assistenza divina e a testimonianza della nostra benevolenza, impartiamo con amore a voi, Venerabili Fratelli, e a tutti i fedeli del Portogallo, e in particolare ai membri degli ordini religiosi, la Benedizione Apostolica.
Dato a Roma, presso San Pietro, il 16 maggio 1901, nel 24° anno del Nostro Pontificato.
LEO XIII

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S.S. LEONE XIII – “AD EXTREMAS ORIENTIS ORAS”

Sua Santità in questa lettera illustra ancora una volta la necessità di formare nelle Indie orientali, dei Sacerdoti locali che diffondano e mantengano vivo il culto e la dottrina cristiana. Questa opera di evangelizzazione sarebbe necessaria nella nostra vecchia Europa ed in tutto il mondo Occidentale oggi apostata dalla fede cattolica tradizionale ed immerso in un paganesimo pratico di stampo luciferino guidato verso lo stagno di fuoco eterno da un falso e corrotto clero formatosi, nelle alte cariche, nelle logge massoniche, o nel modernismo più spinto che promuove i vizi e le aberrazioni più infami. In attesa che torni il Signore con degni ed autentici suoi servi a salvezza dei popoli tutti, chiediamo che Dio mandi operai nella messe abbondante si, ma devastata da errori morali e dottrinali tanto da richiedere un vero reset teologico e sociale che riporti l’umanità nei retti sentieri del regno di Dio. Che la Vergine Maria interceda per tutti i suoi figli del Corpo mistico di Cristo oggi ridotto a quel pusillus grex annunziato per i nostri tempi dal Vangelo di S. Luca.

Leone XIII
Ad extremas Orientis oras

Lettera Enciclica

Istituzione di collegi per chierici nelle Indie orientali

24 giugno 1893

Alle più lontane regioni d’Oriente, esplorate con successo dai valorosi portoghesi, alle quali tanti cercano di giungere ogni giorno per esercitarvi i loro ricchi commerci, Noi pure, mossi da una speranza assai più alta, fin dall’inizio del Nostro pontificato abbiamo rivolto la mente e il pensiero. – Si presentano al Nostro animo e suscitano in Noi un sentimento di amore quegli immensi spazi delle “Indie”, nei quali, da tanti secoli ormai, si esercita la fatica degli annunciatori dell’Evangelo, e fra i primi viene in mente il beato apostolo Tommaso, che a buon diritto è considerato l’autore della prima proclamazione dell’Evangelo agli indiani; e così pure Francesco Saverio che, per lungo tempo, si dedicò con ardore alla medesima opera gloriosa, riuscendo, grazie alla sua incredibile costanza e carità, a convertire centinaia di migliaia di indiani dai miti e dalle superstizioni impure del bramanesimo alla fede della retta Religione. Successivamente, seguendo le tracce di quel grande Santo, molti appartenenti ad entrambi gli ordini del clero, inviati con l’autorità della Sede Apostolica, hanno tentato con dedizione e tentano tuttora di difendere e promuovere le sacre verità e le istituzioni cristiane che Tommaso portò laggiù e che Saverio rinnovò. Tuttavia, in una così vasta distesa di terre quanto grande moltitudine di mortali è ancora lontana dal vero, immersa nelle tenebre di una deplorevole superstizione! Quanto terreno vi è, soprattutto verso settentrione, che potrebbe accogliere il seme dell’Evangelo, ma che non è stato ancora in nessun modo predisposto.
Considerando queste cose nel Nostro animo, riponiamo sì la più grande fiducia nella benignità e nella misericordia di Dio nostro Salvatore che è il solo a conoscere quando i tempi siano opportuni e maturi per diffondere la sua luce e che vuole sospingere le menti degli uomini sul retto cammino della salvezza col segreto soffio del celeste Spirito: ma pure, per quanto sta in Noi, vogliamo e dobbiamo dare il nostro contributo affinchè sì gran parte del mondo avverta qualche frutto delle Nostre veglie.
Con questo proposito, facendo attenzione se mai in qualche modo fosse possibile ordinare in maniera più adeguata e accrescere lo stato della Religione cristiana nelle Indie orientali, abbiamo preso con felice successo alcuni provvedimenti destinati a giovare in futuro alla sicurezza del Cattolicesimo. Innanzi tutto per quanto concerne il protettorato portoghese sulle Indie orientali, abbiamo sancito un patto solenne, con scambio di reciproche assicurazioni, col re fedelissimo di Portogallo e Algarve, e in seguito a ciò, tolte di mezzo le cause delle contese, sono cessati quei noti dissidi certamente non lievi che per tanto tempo avevano diviso gli animi dei Cristiani. Inoltre abbiamo giudicato cosa ormai matura e salutare che dalle singole comunità di Cristiani, che in precedenza avevano obbedito ai vicari o prefetti apostolici, si formassero delle vere e proprie diocesi, che avessero i loro propri Vescovi e fossero amministrate secondo il diritto ordinario. Perciò, con la lettera apostolica Humanae salutis, del 1° settembre 1886, è stata istituita in quelle regioni una nuova gerarchia, che risulta di otto province ecclesiastiche: quella di Goa, onorata del titolo patriarcale, quella di Agra, di Bombay, di Verapoli, di Calcutta, di Madras, di Pondichery, di Colombo. Infine tutto ciò che possiamo comprendere che sarà laggiù profittevole alla salvezza e gioverà a incrementare la pietà religiosa e la fede, ci sforziamo costantemente di compierlo per mezzo della Nostra Congregazione per la propagazione della fede cristiana. – Ma tuttavia resta una cosa, dalla quale dipende grandemente la salvezza delle Indie; e ad essa vogliamo che voi, venerabili fratelli, e quanti amano l’umanità e la Religione cristiana, facciate maggiormente attenzione. È evidente che l’integrità della fede cattolica in India è insicura, e incerta ne sarà la diffusione, finché mancherà un clero scelto fra gli “indigeni” bene preparati alle funzioni sacerdotali, che possano non solo essere di aiuto ai Sacerdoti stranieri, ma amministrare rettamente da se stessi la Religione cristiana nei loro paesi. Si tramanda che proprio questo pensiero assillasse Francesco Saverio che, a quanto si dice, era solito affermare che la Religione cristiana non potrà mai avere salde fondamenta in India, senza l’opera assidua di pii e valorosi Sacerdoti colà nati. E facilmente appare chiaro quanto acuta sia stata in ciò la sua vista. Infatti l’opera degli evangelizzatori europei è impedita da molti ostacoli, soprattutto dall’ignoranza della lingua locale, di cui è difficilissimo acquisire la conoscenza; e parimenti dalla stranezza delle istituzioni e dei costumi, ai quali non ci si abitua neppure in un lungo periodo di tempo: tanto che di necessità i chierici europei si aggirano colà come in terra straniera. E perciò, dal momento che a fatica la moltitudine si affida a gente straniera, è chiaro che assai più fruttuosa sarà l’opera di Sacerdoti indigeni.
A costoro infatti sono ben noti le propensioni, l’indole, i costumi del loro popolo: sanno qual è il momento di parlare e di tacere: infine, indiani quali sono, si aggirano senza alcuna diffidenza fra gli indiani: cosa questa di cui è appena il caso di dire qual sia il valore, soprattutto nelle situazioni critiche. – In secondo luogo bisogna avvertire che i missionari giunti da fuori sono troppo pochi per essere sufficienti a prendersi cura delle comunità cristiane ora esistenti. Questo emerge chiaramente dai registri delle missioni; ed è confermato dal fatto che le missioni indiane non cessano mai di invocare e richiedere insistentemente sempre nuovi annunciatori dell’Evangelo dalla Sacra Congregazione per la propagazione della fede cristiana. E se i Sacerdoti stranieri non sono in grado di prendersi cura delle anime neppure per il presente, come potrebbero farlo in futuro, una volta che fosse aumentato il numero dei Cristiani? E infatti non vi è speranza che cresca in proporzione il numero di quelli che l’Europa invia. Se dunque si desidera provvedere alla salvezza degli indiani e fondare la Religione cristiana con la speranza che duri a lungo in quelle immense regioni, è necessario scegliere fra gli indigeni coloro che siano in grado di assolvere compiti e doveri sacerdotali, dopo aver ricevuto una diligente preparazione. -In terzo luogo, non si deve trascurare un’eventualità, che certo è assai poco verosimile, ma che pure nessuno potrebbe negare che sia nell’ordine delle cose possibili; che cioè possano capitare, in Europa e in Asia, tempi tali che i Sacerdoti stranieri siano costretti da una violenta necessità ad abbandonare le Indie. E se ciò avvenisse, qualora mancasse un clero indigeno, come potrebbe salvarsi la Religione, non trovandosi alcun ministro dei sacri riti sacramentali né alcun maestro della dottrina? Su ciò è fin troppo eloquente la storia della Cina, del Giappone e dell’Etiopia. Infatti più di una volta in Giappone e in Cina, mentre odii e stragi minacciavano la Religione cristiana, la violenza dei nemici, dopo aver ucciso o cacciato in esilio i Sacerdoti stranieri, risparmiò quelli nativi; e questi, conoscendo a fondo la lingua e i costumi della patria e appoggiati dalle loro parentele e amicizie, poterono non solo rimanere senza danno in patria, ma anche curare il servizio sacro e assolvere liberamente in tutte le province quei compiti che attengono alla guida delle anime. Invece in Etiopia, dove ormai si contavano circa duecentomila Cristiani, non essendovi un clero indigeno, una volta che furono uccisi o cacciati i missionari europei, una improvvisa tempesta di persecuzione distrusse il frutto di una lunga fatica. – Infine bisogna guardare con attenzione all’antichità, e bisogna conservare con scrupolo gli ordinamenti che vediamo essere riusciti salutari. Ed invero, nell’assolvimento dell’ufficio apostolico, già gli Apostoli ebbero il costume e la regola in primo luogo di istruire le moltitudini con gli insegnamenti Cristiani, e poi di iniziare al servizio sacro alcuni scelti fra i fedeli e innalzarli anche all’episcopato. E i Pontefici Romani, seguendo successivamente il loro esempio, hanno sempre avuto l’usanza di raccomandare ai loro inviati apostolici di sforzarsi in ogni modo di scegliere il clero fra gli indigeni là dove si fosse formata una comunità cristiana sufficientemente ampia. Una volta dunque che si sia provveduto alla sicurezza e alla diffusione della Religione cristiana in India, bisogna preparare al sacerdozio gli indiani, i quali possano adeguatamente compiere i sacri riti sacramentali e porsi a capo dei loro fedeli, quali che siano i tempi che verranno. – Per questo motivo i prefetti delle missioni indiane, per Consiglio ed esortazione della Sede Apostolica, fondarono collegi per chierici, ovunque ne ebbero la possibilità. Anzi, nei sinodi di Colombo, Bangalore, Allahabad, tenuti all’inizio del 1887, si è decretato che ogni singola diocesi abbia il suo proprio seminario per l’istruzione degli indigeni; e qualora qualcuno fra i Vescovi suffraganei non possa avere il suo per mancanza di mezzi, offra il vitto a sue spese ai chierici della diocesi nel seminario metropolitano. Codesti salutari decreti i Vescovi si sforzano di tradurli in atto in proporzione delle loro forze: ma si pongono di traverso ad ostacolare la loro straordinaria volontà le ristrettezze economiche e la penuria di Sacerdoti idonei che presiedano agli studi e guidino con sapienza l’insegnamento. Perciò vi è appena qualche seminario, o neppure quello, in cui l’istruzione degli alunni si possa ritenere completa e perfetta: e ciò in questa epoca in cui non pochi governi civili e protestanti non risparmiano nessuna spesa e nessuna fatica al fine di fornire a tutta la gioventù un’educazione accurata e raffinata.
Si vede dunque assai chiaramente quanto sia opportuno e quanto sia conveniente al pubblico bene, fondare nelle Indie orientali dei collegi, in cui i giovani abitanti che crescono per la speranza della Chiesa ricevano una completa formazione culturale e siano formati a quelle virtù senza le quali non si potrebbero né santamente né utilmente esercitare i sacri ministeri. Una volta rimossa la causa delle discordie con gli accordi stipulati, e ordinata l’amministrazione delle diocesi per mezzo della gerarchia ecclesiastica, se Ci sarà lecito provvedere acconciamente alla formazione dei chierici come ci siamo proposti, Ci sembrerà di avere portato a compimento l’opera intrapresa.
Una volta fondati infatti, come abbiamo detto, i seminari per i chierici, vi sarebbe la sicura speranza che di lì verrebbero in gran copia dei Sacerdoti idonei, i quali spanderebbero ampiamente il lume della loro dottrina e della loro pietà, e nel diffondere la verità dell’Evangelo eserciterebbero con competenza il ruolo fondamentale richiesto dal loro zelo. – Ad un’opera così nobile e per di più destinata ad apportare salvezza ad un’infinita moltitudine di uomini, è giusto che gli europei rechino un qualche contributo; soprattutto perché da soli non possiamo far fronte a così grandi spese. È dovere dei Cristiani tenere in conto di fratelli tutti gli uomini, ovunque essi vivano, e non ritenere nessuno fuori dal raggio del loro amore; e tanto più in quelle cose che riguardano la salvezza eterna del prossimo. Perciò vi preghiamo ardentemente, venerabili fratelli, di volere aiutare con i fatti, per quanto sta in voi, il Nostro proposito e i Nostri tentativi. Fate in modo che divenga a tutti nota la situazione della comunità cattolica in quelle così lontane regioni; fate sì che tutti capiscano che occorre fare, qualche tentativo a favore delle Indie; e questa sia la convinzione soprattutto di coloro che ritengono che il miglior frutto del denaro sia la possibilità di servire alla beneficenza. – Sappiamo per certo di non aver implorato invano il generoso zelo dei vostri popoli. Se la liberalità andrà al di là delle spese necessarie per i suddetti collegi, tutto quello che avanzerà del denaro raccolto faremo in modo che venga impiegato in altre iniziative utili e pie. Come auspicio dei doni celesti e testimonianza della Nostra paterna benevolenza, impartiamo con il più grande amore l’apostolica benedizione a voi, venerabili fratelli, al vostro clero e al vostro popolo,

Roma, presso S. Pietro, 24 giugno 1893, anno sedicesimo del nostro pontificato.

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S.S. LEONE XIII – “CATTOLICÆ ECCLESIÆ”

Il Sommo Pontefice Leone XIII, anche in questa lettera Enciclica, ritorna su di un tema a lui particolarmente caro, quello della condanna della schiavitù umana, esercitata nelle forme allora praticate. Oggi quelle forme sono mutate e si stanno generalizzando in un sistema apparentemente libero e sedicente democratico, in cui un manipolo di padroni plutocrati mondialisti sta riducendo intere nazioni e popoli ad una schiavitù economica, sociale, con armi di ricatto apparentemente filantropiche, sanitarie, climatiche, belliche… ed oggi non abbiamo alcuna autorità che si ribelli, anzi sono tutte unite e complici in quella direzione. Ma noi sappiamo che la verità vincerà anche dopo essere stati provati e perseguiti per un certo tempo, senza che si possa disporre dell’anima se non sollecitandone la perdita e dannazione inducendola al peccato mortale e al consenso volontario. Ma il consenso estorto, il demone sa che non può essere ascritto a grave colpa, perciò cerca il consenso libero sotto forma di bene apparente. Liberiamoci allora da qualunque forma di schiavitù aderendo incondizionatamente all’unica forma di Verità, la sola che ci renda liberi: Viviamo allora in Cristo e nel suo Corpo mistico, la sua arca di salvezza, la vera Chiesa cattolica che ci renderà liberi.

Leone XIII
ÆCatholicæ Ecclesiæ

La Chiesa cattolica, che abbraccia tutti gli uomini con carità di madre, quasi nulla ebbe più a cuore, fin dalle sue origini, come tu sai, Venerabile Fratello, che di vedere abolita e totalmente eliminata la schiavitù, che sotto un giogo crudele teneva moltissimi fra i mortali. Infatti, diligente custode della dottrina del suo Fondatore, che personalmente e con la parola degli Apostoli aveva insegnato agli uomini la fratellanza che li stringe tutti insieme, come coloro che hanno una medesima origine, sono redenti con lo stesso prezzo, e sono chiamati alla medesima eterna beatitudine, la Chiesa prese nelle proprie mani la causa negletta degli schiavi, e fu la garante imperterrita della libertà, sebbene, come richiedevano le circostanze e i tempi, si impegnasse nel suo scopo gradualmente e con moderazione. Cioè, procedeva con prudenza e discrezione, domandando costantemente ciò che desiderava nel nome della religione, della giustizia e della umanità; con ciò fu grandemente benemerita della prosperità e della civiltà delle nazioni. – Nel corso dei secoli non rallentò mai la sollecitudine della Chiesa nel ridonare la libertà agli schiavi; anzi, quanto più fruttuosa era di giorno in giorno la sua azione, tanto più aumentava nel suo zelo. Lo attestano documenti inconfutabili della storia, la quale per tale motivo designò all’ammirazione dei posteri parecchi Nostri antecessori, fra i quali primeggiano San Gregorio Magno, Adriano I, Alessandro III, Innocenzo III, Gregorio IX, Pio II, Leone X, Paolo III, Urbano VIII, Benedetto XIV, Pio VII, Gregorio XVI, i quali posero in opera ogni cura perché l’istituzione della schiavitù, dove esisteva, venisse estirpata, e là dove era stata sterminata non rivivessero più i suoi germi. – Una così gloriosa eredità, lasciataci dai Nostri predecessori, non poteva essere ripudiata da Noi, per cui non abbiamo tralasciato alcuna occasione che Ci si offrisse di biasimare apertamente e di condannare questo flagello della schiavitù; espressamente ne abbiamo trattato nella epistola scritta il 5 maggio 1888 ai Vescovi del Brasile, con la quale Ci siamo congratulati per quanto essi avevano con lodevole esempio operato pubblicamente in quel paese per la libertà degli schiavi, e insieme abbiamo dimostrato quanto la schiavitù si opponga alla religione ed alla dignità dell’uomo. – Invero, quando scrivevamo tali cose, Ci sentivamo fortemente commossi per la condizione di coloro che sono soggetti all’altrui dominio; e molto più raccapriccio provammo al racconto delle tribolazioni da cui sono oppressi tutti gli abitanti di alcune regioni del centro dell’Africa. È cosa dolorosa ed orrenda constatare, come abbiamo saputo da sicure informazioni, che quasi quattrocentomila Africani, senza distinzione di età e di sesso, ogni anno sono violentemente rapiti dai loro miseri villaggi, dai quali, legati con catene e percossi con bastoni durante il lungo viaggio, sono portati ai mercati dove, come bestie, sono messi in mostra e venduti. – Di fronte alle testimonianze di coloro che videro queste cose e alle recenti conferme di esploratori dell’Africa equatoriale, Ci siamo accesi dal vivo desiderio di venire, secondo le Nostre forze, in aiuto di quegli infelici e di recare sollievo alla loro sventura. Perciò, senza indugio, abbiamo incaricato il diletto Nostro figlio Cardinale Carlo Marziale Lavigerie, di cui Ci sono noti l’energia e lo zelo Apostolico, di andare per le principali città dell’Europa a far conoscere l’ignominia di questo turpissimo mercato e ad indurre i Principi e i cittadini a portare soccorso a quelle infelicissime popolazioni. – Noi dobbiamo rendere grazie a Cristo Signore, Redentore amantissimo di tutte le genti, il quale nella sua benignità non permise che le Nostre sollecitudini andassero perdute, ma volle che riuscissero quasi come seme affidato a suolo fecondo, che promette una copiosa raccolta. Infatti i Reggitori dei popoli e i Cattolici di tutto il mondo, e tutti coloro che rispettano i diritti delle genti e della natura, gareggiarono nell’indagare quali mezzi soprattutto siano necessari per sradicare del tutto quel commercio inumano. Un solenne Congresso tenuto testé a Bruxelles, al quale convennero i Legati dei Principi d’Europa, e una recente assemblea di privati, che col medesimo intento e con generosi propositi si radunarono a Parigi, dimostrano chiaramente che la causa dei Negri sarà difesa con quella energia e quella costanza che richiede la mole delle sciagure da cui quei miseri sono oppressi. È per questo che non vogliamo trascurare la nuova occasione che si presenta di rendere le meritate lodi e i ringraziamenti ai Principi d’Europa e agli altri personaggi di buona volontà: al sommo Dio domandiamo fervidamente che voglia dare felice riuscita ai loro disegni ed all’impianto di una così grande impresa. – Ma, oltre alla cura di difendere la libertà, un’altra cura più grave, più da vicino riguarda il Nostro ministero Apostolico, quella cioè che impone di adoperarci perché nelle regioni dell’Africa si propaghi la dottrina del Vangelo, che con la luce della verità divina illumini quelle popolazioni giacenti nelle tenebre e oppresse da cieca superstizione, affinché diventino con noi partecipi dell’eredità del regno di Dio. Questo impegno poi lo curiamo con tanto maggior zelo, in quanto quei popoli, ricevuta la luce evangelica, scuoteranno da sé il giogo della schiavitù umana. Infatti, dove sono in vigore i costumi e le leggi cristiane; dove la religione insegna agli uomini a rispettare la giustizia e a onorare la dignità umana; dove ampiamente si diffuse quello spirito di carità fraterna, che Cristo c’insegnò, quivi non può esistere né schiavitù, né ferocia, né barbarie; ma fioriscono la soavità dei costumi e la libertà cristiana accompagnata dalla civiltà. – Già parecchi uomini Apostolici, quasi avanguardia di Cristo, sono andati in quelle regioni dove, per la salute dei fratelli, diedero non solo il sudore, ma anche la vita. Tuttavia la messe è molta, ma gli operai sono pochi; per cui è necessario che moltissimi altri, animati dallo stesso spirito di Dio, senza timore alcuno né di pericoli, né di disagi, né di fatiche, vadano in quelle regioni dove si esercita quel vergognoso commercio, per recare ai loro abitanti la dottrina di Cristo congiunta alla vera libertà. – Però un’impresa di tanta gravità domanda mezzi pari alla sua ampiezza. Infatti non si può provvedere senza grandi disponibilità all’Istituto dei missionari, ai lunghi viaggi, alla costruzione delle residenze, alla erezione e alla dotazione delle chiese e ad altre simili cose necessarie: dovremo sostenere tali spese per alcuni anni, finché, in quei luoghi dove si saranno fissati, i predicatori del Vangelo possano provvedere autonomamente. Dio volesse che Noi avessimo i mezzi con cui poter sostenere questo peso! Ma ostando ai Nostri voti le gravi angustie nelle quali Ci troviamo, con paterna voce Ci appelliamo a te, Venerabile Fratello, a tutti gli altri Vescovi e a tutti i Cattolici, e raccomandiamo alla vostra e alla loro carità una così santa e salutare opera. Infatti desideriamo che tutti partecipino, anche con una piccola offerta, affinché il peso, diviso fra molti, diventi più leggero e tollerabile da tutti, e perché in tutti si diffonda la grazia di Cristo, trattandosi della propagazione del suo regno, e a tutti arrechi la pace, il perdono dei peccati e qualunque dono più prezioso. – Decidiamo pertanto che ogni anno, nel giorno e dove si celebrano i misteri dell’Epifania, venga raccolto denaro come offerte a favore dell’Opera ora ricordata. Scegliamo questo giorno solenne a preferenza degli altri, perché, come bene intendi, Venerabile Fratello, in quel giorno il Figlio di Dio per la prima volta si palesò alle genti, mentre si fece conoscere ai Magi, i quali perciò da San Leone Magno, Nostro antecessore, sono appunto chiamati le primizie della nostra vocazione e della fede. Speriamo pertanto che Cristo Signore, commosso dalla carità e dalle preci dei figli, i quali ricevettero la luce della verità con la rivelazione della sua divinità, illumini pure quella infelicissima parte del genere umano e la tolga dal fango della superstizione e dalla dolorosa condizione, in cui da tanto tempo giace avvilita e trascurata. – Vogliamo poi che il denaro raccolto in detto giorno nelle chiese e nelle cappelle soggette alla tua giurisdizione, sia trasmesso a Roma alla Sacra Congregazione di Propaganda. Sarà poi compito di essa ripartire questo denaro tra le Missioni che esistono o verranno istituite nelle regioni Africane, soprattutto per estirpare la schiavitù; il riparto sarà fatto in modo che le somme di denaro provenienti dalle nazioni che hanno proprie Missioni cattoliche per redimere gli schiavi, come ricordammo, vengano assegnate a mantenere e a promuovere le stesse. La rimanente elemosina sia poi ripartita con prudente criterio fra le più bisognose dalla stessa Sacra Congregazione, la quale conosce i bisogni delle Missioni. – Non dubitiamo che Dio, ricco in misericordia, accolga benignamente i voti che formuliamo per gli infelici Africani, e che tu, Venerabile Fratello, ti adopererai spontaneamente con la volontà e con il tuo lavoro perché siano abbondantemente soddisfatti questi propositi. Confidiamo inoltre che con questo temporaneo e speciale soccorso, che i fedeli daranno per abolire la piaga del traffico disumano e per sostentare i banditori del Vangelo nei luoghi dove essa esiste, non diminuirà la liberalità con la quale si sogliono promuovere le Missioni cattoliche con l’elemosina raccolta dall’Istituto che, fondato a Lione, fu detto della Propagazione della Fede. Quest’opera salutare, che già raccomandammo ai fedeli, presentandosene l’opportunità elogiamo nuovamente, desiderando che largamente estenda i suoi benefici e fiorisca in lieta prosperità.

Intanto, Venerabile Fratello, a te, al clero e ai fedeli affidati alla tua pastorale vigilanza, affettuosissimamente impartiamo la Benedizione Apostolica.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 20 novembre 1890, anno decimoterzo del Nostro Pontificato.

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO; S.S. LEONE XIII – “PATERNA CARITAS”

Questa lettera indirizzata ai Vescovi Armeni rientrati nell’obbedienza alla Sede Apostolica di Roma, è piena di gioia per la desiderata unione al Corpo mistico di Cristo, che è in terra la Chiesa Cattolica, di questi fratelli un tempo lontani dall’ovile di Cristo, erranti senza la guida del supremo Pastore, il Vicario di Cristo, il Romano Pontefice. Ecco il vero ecumenismo, l’accoglienza di tutti i popoli, di tutti gli uomini nell’unica Arca di salvezza, la Chiesa cattolica con un atto di fede ed obbedienza a Dio e per Lui al suo Vicario in terra. Ben diverso è l’ecumenismo massonico-modernista che, cambiando significato al termine, lo intende come accettazione di ogni culto, indifferentemente riferito al vero Dio-uomo incarnato, o ad entità dichiaratamente anticristiche, cioè demoniache, come opportunamente ci ricorda il salmo XCV, … gli dei dei gentili sono i demoni. Con questo trucco linguistico, la falsa chiesa modernista, sta attuando il piano massonico degli infiltrati, di omogeinizzare in un solo minestrone i culti religiosi per traghettare poi il tutto verso la pseudo religione unica mondialista, quella dell’anticristo, il falso messia del transumanesimo.

Leone XIII
Paterna caritas

Lettera Enciclica

La paterna carità con la quale abbracciamo tutte le componenti del gregge del Signore è tale, per la sua forza e per la sua natura, che risentiamo, come in un’intima e costante comunione di sentimenti, tutto ciò che accade di propizio o di avverso nel mondo cristiano. Pertanto, come un grande e continuo dolore si era impadronito del Nostro cuore per il fatto che un certo numero di Armeni, principalmente nella città di Costantinopoli, si era separato dalla vostra fraterna società, così sentiamo ora una gioia tutta speciale e ardentemente desiderata nel vedere che tale discordia si è, grazie a Dio, felicemente sedata. Ma mentre Ci rallegriamo della concordia e della pace che vi sono restituite, non possiamo fare a meno di esortarvi a conservare con cura e a sforzarvi anche di accrescere questo grande beneficio della bontà divina. Per ottenere questo, cioè intendere la stessa dottrina e provare gli stessi sentimenti in ciò che concerne la Religione, bisogna che restiate tutti costanti, come lo siete, nell’obbedienza a questa Sede Apostolica; e quanto a Voi, cari Figli, dovete essere fedelmente sottomessi e obbedienti al vostro Patriarca e agli altri Vescovi che hanno il diritto di dirigervi. – Ora, siccome per scuotere questa religiosa concordia spesso viene l’occasione sia di contrasti negli affari pubblici, sia di contestazioni nelle cose private, dovete scongiurare i primi con quel rispetto e quella sudditanza che così lodevolmente manifestate verso il supremo Principe dell’Impero Ottomano, di cui Noi conosciamo bene lo spirito di giustizia, lo zelo per conservare la pace, e le eccellenti disposizioni a Nostro riguardo dimostrate da brillanti testimonianze. – Quanto alle contestazioni e alle rivalità, ne sarete agevolmente liberati se imprimerete profondamente nel cuor vostro e terrete presenti nella vostra condotta i precetti che San Paolo, l’Apostolo delle genti, dà a proposito della perfetta carità, la quale “è paziente e benigna; non è invidiosa, non agisce inconsideratamente, non si gonfia d’orgoglio, non è ambiziosa, non cerca i propri interessi, non si adira, non pensa al male” (1Cor XIII, 4-5). Inoltre questa eccellente e perfetta concordia degli animi vi assicurerà un altro beneficio, perché per merito suo potrete accrescere, come abbiamo detto, e fare sviluppare sempre più i risultati della pace e della restituita concordia. Infatti essa farà rivolgere su di Voi gli sguardi e i cuori di coloro che, pur avendo in comune con Voi la razza e la nazionalità, tuttavia sono ancora separati da Voi e da Noi, e non si trovano nel sacro ovile, di cui Noi abbiamo la custodia. Vedendo l’esempio della vostra concordia e della vostra carità, essi si persuaderanno facilmente che lo spirito di Cristo vige fra Voi, perché Egli solo può unire i suoi a Se stesso in modo tale da formare un solo corpo. Voglia Iddio che essi riconoscano ciò e decidano di ritornare a quell’unità da cui i loro antenati si sono separati! – Certamente accadrebbe loro d’essere inondati da una indicibile gioia vedendo che, per mezzo della loro unione a Noi e a Voi, sarebbero anche uniti a tutti gli altri fedeli che, nel mondo intero, appartengono al Cattolicesimo; comprenderebbero allora che essi si troverebbero negli abitacoli della mistica Sionne, alla quale sola è stato dato, secondo i divini oracoli, di rizzare dovunque le sue tende e stendere su tutta la terra i veli dei suoi tabernacoli. – Per altro sta principalmente a Voi, Venerabili Fratelli, posti alla testa della Diocesi d’Armenia, operare affinché questo auspicato ritorno si realizzi; a Voi, cui non manca, lo sappiamo bene, né lo zelo per esortare, né la dottrina per persuadere. Noi vogliamo pure che i dissidenti siano richiamati da Voi a nome Nostro e sulla Nostra parola; infatti, lungi dall’averne vergogna, conviene grandemente ricondurre alla casa paterna i figli che se ne sono allontanati e che sono aspettati da lungo tempo; anzi, bisogna andar loro incontro e aprire le braccia per stringerli al loro ritorno. Né crediamo che le vostre parole e le vostre esortazioni cadranno nel nulla. Infatti la speranza nel desiderato effetto Ci viene prima dall’immensa misericordia di Dio sparsa fra tutte le genti, e poi dalla docilità e dalle qualità naturali dello stesso popolo Armeno. Numerosi documenti storici attestano quanto esso sia incline ad abbracciare la verità, una volta che l’abbia conosciuta, e quanto sia disposto a ritornarvi se si accorge d’avere deviato. – Quegli stessi che sono separati da Voi nel loro culto si gloriano che il popolo Armeno sia stato istruito nella fede di Cristo da quel Gregorio, uomo santissimo soprannominato l’Illuminatore, che essi venerano in modo particolare come loro padre e loro patrono. Fra loro è rimasto pure memorabile il viaggio che egli fece alla volta di Roma per testimoniare la sua fedeltà e il suo rispetto verso il Romano Pontefice San Silvestro. – Si dice anche che egli sia stato ricevuto con l’accoglienza più benevola, e che ne ottenesse parecchi privilegi. In seguito questi stessi sentimenti di Gregorio verso la Sede Apostolica furono condivisi da molti altri di coloro che ressero le Chiese Armene, come risulta dai loro scritti, dai loro pellegrinaggi a Roma e, principalmente, dai decreti sinodali. È ben degno davvero di essere rammentato, a conferma, ciò che i Padri Armeni, riuniti in Sinodo a Sis l’anno 1307, proclamarono sul dovere di obbedire a questa Sede Apostolica: “Come è proprio del corpo essere sottomesso alla testa, così la Chiesa universale (che è il corpo di Cristo) deve obbedire a colui che da Cristo Signore è stato costituito capo di tutta la Chiesa”. Questo fu confermato e sviluppato ancora più chiaramente nel Concilio di Adana, nel sedicesimo anno del medesimo secolo. – Senza parlare di cose di minore importanza, vi è ben noto ciò che fu fatto nel Concilio di Firenze. I delegati del Patriarca Costantino V, essendosi recati colà per venerare come Vicario di Cristo Eugenio IV Nostro Predecessore, dichiararono di essere venuti a lui che era il capo, il pastore e il fondamento della Chiesa, pregandolo che il capo avesse pietà delle membra, che il pastore riunisse il gregge e confermasse la Chiesa quale fondamento . E presentandogli il simbolo della loro fede, lo supplicavano in questi termini: “Se manca qualche cosa, faccelo conoscere”. – Allora fu pubblicata dal Pontefice la Costituzione conciliare Exultate Deo, con la quale Egli li istruì su tutto quello che giudicava necessario conoscere della dottrina cattolica. I delegati, ricevendo questa Costituzione, affermarono a nome proprio, del loro Patriarca e di tutta la nazione Armena, di aderirvi pienamente e di sottomettersi con cuore docile e devoto, dichiarando a nome dei suddetti, e come veri figli della obbedienza, di “ottemperare fedelmente agli ordini e alle prescrizioni della Sede Apostolica”. Perciò il Patriarca di Cilicia, Azaria, nella sua lettera a Gregorio XIII, Nostro Predecessore, in data 10 aprile 1585, poté scrivere con tutta verità: “Ecco che noi abbiamo trovato i documenti dei nostri antenati sull’obbedienza dei Cattolici e dei nostri Patriarchi al Pontefice di Roma; nel modo in cui San Gregorio l’Illuminatore fu obbediente al Papa San Silvestro”. È per questo che la nazione Armena ricevette con grandi onori i legati di ritorno dalla Santa Sede, e si fece un dovere di osservare fedelmente i precetti della stessa. – Noi nutriamo veramente la fiducia che questi ricordi saranno efficacissimi per indurre parecchi di coloro che sono ancora separati da Noi a ricercare l’unione. In verità, se la causa della loro indecisione o della loro esitazione fosse il timore di trovare meno sollecitudine a loro riguardo presso la Sede Apostolica, o di essere accolti da Noi con minore affetto di quanto essi vorrebbero, invitateli, Venerabili Fratelli, a rammentarsi ciò che hanno fatto i Pontefici Romani, Nostri Predecessori, i quali non si sono mai trovati in difetto di testimonianze circa la loro carità paterna verso gli Armeni. Essi hanno sempre ricevuto con benevolenza quelli di loro che sono venuti in pellegrinaggio a Roma o che qui si rifugiarono; essi hanno anche voluto che fossero aperte per loro case d’ospitalità. Gregorio XIII, come è noto, aveva concepito il disegno di fondare un istituto per l’opportuna istruzione dei giovani Armeni, e se fu impedito dalla morte di mettere in esecuzione questo disegno, Urbano VIII lo realizzò in parte accogliendo, con gli altri allievi stranieri, anche gli Armeni nel vastissimo Collegio da lui istituito per la propagazione della fede. – Quanto a Noi, malgrado la malvagità dei tempi, abbiamo potuto, grazie a Dio, eseguire più largamente il disegno concepito da Gregorio XIII, e abbiamo assegnato agli alunni Armeni un fabbricato assai vasto presso San Nicola da Tolentino, istituendovi, nelle forme volute, il loro Collegio. Questo è stato fatto perché si rispettasse, doverosamente, la liturgia e la lingua dell’Armenia, così commendabile per l’antichità, l’eleganza e il gran numero d’insigni scrittori; e molto più perché un Vescovo del vostro rito dimorasse costantemente a Roma per iniziare alle cose sante tutti gli alunni che il Signore chiamasse al suo particolare servizio. A tale effetto era stata fondata da lungo tempo anche una scuola nel Collegio Urbaniano per l’insegnamento della lingua Armena, e Pio IX, Nostro Predecessore, aveva provveduto a che nel ginnasio del Seminario pontificio romano vi fosse un professore per insegnare agli alunni del paese la lingua, la letteratura e la storia della nazione Armena. – Del resto la sollecitudine dei Pontefici Romani verso gli Armeni non è restata circoscritta entro i confini di questa città, perché nulla è stato loro più a cuore che di togliere la vostra Chiesa dalle difficoltà in cui si trovava, e di riparare i mali che essa ebbe a subire per la perversità dei tempi. Nessuno ignora con quale cura Benedetto XIV si sforzò di proteggere e di conservare intatta la vostra liturgia, come quella delle altre Chiese orientali, e di fare in modo che la successione dei Patriarchi cattolici d’Armenia fosse reintegrata in favore della Sede di Sis. Voi sapete pure che Leone XII e Pio VIII dedicarono le loro cure affinché nella capitale stessa dell’Impero Ottomano gli Armeni avessero un prefetto della loro nazione per gli affari civili, come le altre comunità che appartengono a detto Impero. – Infine è vivo il ricordo degli atti compiuti da Gregorio XVI e da Pio IX per accrescere nel vostro paese il numero delle sedi episcopali, e perché il Prelato armeno di Costantinopoli primeggiasse in onore e dignità. Questo fu fatto, prima istituendo a Costantinopoli la Sede Arcivescovile e Primaziale, e poi decretandone l’unione con il Patriarcato della Cilicia, a condizione che la residenza del Patriarca fosse stabilita nella capitale dell’Impero. E per impedire che la distanza venisse ad indebolire la stretta unione dei fedeli Armeni con la Chiesa Romana, fu saggiamente provveduto a che il Delegato apostolico risieda nella medesima città, per rappresentare il Pontefice Romano. Voi stessi potete dunque essere testimoni della sollecitudine che abbiamo avuto per la vostra nazione, e Noi lo siamo a Nostra volta dell’attaccamento che professate verso di Noi, e del quale abbiamo spesso avuto la dimostrazione. – Quindi, poiché da una parte le qualità del vostro popolo, la pratica degli antenati e tutta la storia dei secoli passati sono fatti per attirare verso questa roccaforte della verità gli Armeni che sono separati da Voi, e con efficacia così grande che non saprebbero essere trattenuti da un più lungo indugio, e dall’altra la Sede Apostolica si è sempre sforzata di avere strettamente unita a sé la vostra nazione, e di richiamarla all’antica unione se qualche volta se ne allontanava, ne conseguono evidentemente validissime ragioni perché Voi, Venerabili Fratelli, vi consigliate, e perché Noi a Nostra volta abbiamo la buona speranza che sia pienamente ristabilita l’antica unione. Ciò tornerà certamente a profitto di tutta la nazione, non solamente per la salute eterna delle anime, ma anche per quella prosperità e quella gloria che si possono legittimamente desiderare sulla terra. La storia attesta infatti che fra i sacri Pastori dell’Armenia hanno brillato di più vivo splendore, come fulgide stelle, coloro che sono stati più strettamente uniti alla Chiesa Romana, e che la gloria della vostra nazione ha toccato il suo apogeo nei secoli in cui la Religione cattolica vi ha prosperato più largamente. – Dio solo, moderatore di tutte le cose, può concedere che questo avvenga secondo i Nostri voti e i Nostri desideri, Lui solo, che “chiama coloro che vuole onorare e ispira sentimenti religiosi a chi vuole” . Con Noi fate salire verso di Lui supplichevoli preghiere, Venerabili Fratelli e diletti Figli, affinché, mossi dalla sua grazia trionfatrice, tutti coloro della vostra nazione che per il Battesimo sono entrati nella società della vita cristiana e che tuttavia sono separati dalla Nostra comunione, Ci ricolmino d’una gioia intera ritornando a Noi, “professando la medesima dottrina, avendo la medesima carità e nutrendo tutti i medesimi sentimenti” (Fil II, 2). Sforzatevi d’avere per ausiliatrice presso il trono della grazia “la gloriosa, benedetta, santa, sempre Vergine Maria, Madre di Dio, Madre di Cristo” perché Ella offra “le nostre preghiere al Suo Figlio, nostro Dio” . Impiegate altresì come intercessore con Lei l’illustre martire Gregorio l’Illuminatore, affinché, quale ministro della grazia divina, compia e consolidi l’opera che egli ha cominciata a prezzo delle sue fatiche e della sua invincibile pazienza nei tormenti. Domandate infine, a imitazione della Nostra preghiera, che la docilità degli Armeni e il loro ritorno all’unità cattolica servano di esempio e di stimolo a tutti quelli che adorano Cristo ma sono separati dalla Chiesa Romana, affinché essi ritornino là donde sono partiti, e vi siano un solo ovile ed un solo Pastore. – Mentre a ciò dedichiamo i Nostri voti e la Nostra speranza, accordiamo, nell’effusione della carità e come pegno della bontà divina, la Benedizione Apostolica a Voi, Venerabili Fratelli, e a Voi tutti diletti Figli.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 25 luglio 1888, anno undecimo del Nostro Pontificato.

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S.S. BENEDETTO XIV – “UBI PRIMUM”

Il Santo Padre Benedetto XIV, appena insediato sul trono di s. Pietro, inizia il suo glorioso Pontificato, sollecitando i successori degli Apostoli, i Vescovi della santa Chiesa, a compiere il proprio dovere nei confronti del gregge che devono pascolare nel campo dottrinale per condurli all”eterna salvezza, con cura estrema e perfetta abnegazione, onde assolvere pienamente al compito che Gesù Cristo ha loro affidato e di cui chiederà minuzioso resoconto. Solo un esempio vogliamo riportare per meglio comprendere il tenore della lettera: « … invano il Pastore cercherà di difendersi con la scusa che il lupo ha rubato e divorato le pecore mentre egli era assente e ignaro; infatti, se si esamina la questione fino in fondo, appare evidente che nessun male o scandalo si manifesta in una Diocesi tanto abbandonata, che non sia da attribuire a colui che doveva richiamare con le sue ammonizioni i sudditi che uscivano dal retto sentiero, sollecitarli con l’esempio, animarli con le parole, tenerli a freno con l’autorità e con la carità …». Basterebbe leggere questa lettera per capire come gli infiltrati della massoneria nella Chiesa, abbiano lavorato alacremente per eludere tutte le raccomandazioni del Santo Pontefice Romano e svuotare la “sposa di Cristo” di ogni contenuto spirituale salvifico, fino a farne un carapace privo di anima e di un corpo canonicamente valido come oggi appare la falsa chiesa-sinagoga di satana, e questo in apparenza. Sappiamo infatti, che la vera Chiesa sia stata portata in salvo nel deserto dallo Spirito, secondo la profezia in Apoc. XII, e che mai le porte degli inferi prevarranno sulla vera Chiesa, potranno sì combatterla, eclissarla, chiuderla in un sepolcro di apparente sparizione, ma non potranno mai annientarla, perché Essa, come il Cristo fondatore, dopo tre giorni resusciterà più bella e vitale che mai per ricevere la seconda e definitiva venuta del suo divin Fondatore. Cristo ha vinto il mondo, e chi ha fede in Lui e nella sua vera Chiesa, lo vincerà ugualmente con la preghiera, la penitenza e la pazienza, frutto della grazia elargita a profusione da Dio Trino il Creatore onnipotente.

Benedetto XIV
Ubi primum

Allorché piacque a Dio, ricco di misericordia, collocare la Nostra umile persona nella Sede suprema del Beato Pietro e assegnare a Noi, benché nessun merito Ci raccomandi, la vicaria potestà di Nostro Signore Gesù Cristo per il governo di tutta la sua Chiesa, Ci sembrò che alle Nostre orecchie risonasse quella voce divina: “Pascola i miei agnelli; pascola le mie pecore“; cioè che fosse imposta al Romano Pontefice, successore dello stesso Pietro, la missione di guidare non solo gli agnelli del gregge del Signore, che sono i popoli sparsi per tutta la terra, ma anche le pecore, cioè i Vescovi, che, come le madri per gli agnelli, generano i popoli in Gesù Cristo e una seconda volta li partoriscono. – Accettate dunque, Fratelli, con questa nostra lettera, anche le parole del Vostro Pastore. Chiamati al compito di spronare, nella pienezza del mandato affidatoci da Dio, Voi comprendete quanto nei Nostri stessi inviti e nelle Nostre esortazioni Ci stia a cuore di non trascurare nessuno dei Nostri doveri, e quanto grande sia la forza della Nostra paterna carità verso di voi: in forza di essa, siamo portati a desiderare al massimo che dal profitto delle sante pecore provengano gioie eterne ai Pastori.

1. Innanzi tutto, in verità, operate con impegno e con ogni Vostra possibilità affinché l’integrità dei costumi e lo studio del culto divino risplendano nel Clero, e che la disciplina ecclesiastica sia conservata integra e sana, e sia ristabilita là dove sia caduta. È abbastanza noto, infatti, che non vi è nulla che più efficacemente ammaestri, stimoli e infiammi tutto il popolo alla pietà, alla religione e alle norme della vita cristiana quanto l’esempio di coloro che si sono dedicati al Divino ministero. Pertanto, l’acutezza della Vostra mente deve essere rivolta prima di tutto a far sì che con accurata scelta siano iscritti alla milizia clericale coloro dai quali a ragione si può prevedere che la loro vita sia oggetto di ammirazione da parte di quanti camminano nella legge del Signore, procedono di virtù in virtù e con la loro opera portano un vantaggio spirituale alle Vostre Chiese. Per certo, è meglio avere pochi Ministri, ma onesti, idonei ed utili, che molti i quali non siano per nulla destinati all’edificazione del Corpo di Cristo, che è la Chiesa. Voi, Fratelli, non ignorate quanta prudenza richiedano in proposito ai Vescovi i Sacri Canoni; quindi non lasciatevi distogliere da quanto prescritto (che deve essere osservato totalmente) né da qualsiasi rispetto umano, né da inopportune suggestioni dell’ambiente, né da richieste di patrocinatori. Soprattutto bisogna osservare il precetto dell’Apostolo, di non ordinare nessuno troppo frettolosamente, allorché si tratta di promuovere qualcuno ai Sacri Ordini e ai Santissimi Ministeri, dei quali nulla è più divino. Infatti, non basta l’età che le sacre leggi della Chiesa prescrivono per ciascun Ordine, né indiscriminatamente deve aprirsi il passaggio a posizioni più elevate, quasi di diritto, a tutti coloro che siano già stati posti in qualche Ordine inferiore. Voi dovete con grande attenzione e diligenza indagare se il modo di vivere di coloro che hanno preso i primi Ministeri sia stato conforme, e il loro progresso nelle sacre dottrine sia stato tale che veramente si debbano giudicare degni di sentirsi dire: “Sali più in alto“. Quanto è meglio, inoltre, che taluni rimangano ad un grado inferiore, piuttosto che siano promossi ad uno più alto, con maggior pericolo per loro e motivo di scandalo per gli altri.

2. E giacché importa soprattutto che coloro i quali sono chiamati al servizio del Signore siano formati fin dalla giovane età alla pietà, all’integrità dei costumi e alla disciplina canonica (come le pianticelle novelle nel loro inizio), Vi deve quindi stare a cuore che, dove eventualmente non siano ancora stati istituiti i Seminari dei Chierici, vengano istituiti quanto prima possibile, o siano ampliati quelli già esistenti se, data la situazione della Chiesa, vi sia bisogno di un numero maggiore di Alunni, impiegando a questo scopo i mezzi che i Vescovi hanno già il potere di procurare, e ai quali Noi ne aggiungeremo altri se da Voi saremo informati della loro necessità. – In verità è indispensabile che gli stessi Collegi siano vigilati dalla Vostra particolare cura: ispezionandoli spesso; esaminando la vita, l’indole e il progresso negli studi dei singoli adolescenti; destinando maestri preparati e uomini forniti di spirito ecclesiastico per la loro formazione; onorando talvolta le loro esercitazioni letterarie o le funzioni ecclesiastiche con la Vostra presenza; infine concedendo alcuni privilegi a coloro che abbiano dato più evidente prova dei loro meriti ed abbiano riportato maggiore lode. Non Vi pentirete di avere somministrato tale irrigazione a questi arboscelli durante la loro crescita; anzi la Vostra opera Vi porterà consolanti frutti nella copiosa abbondanza di buoni operai. Senza dubbio molto spesso i Vescovi furono soliti lamentarsi che la messe era molta e gli operai pochi; ma forse avrebbero dovuto anche dolersi di non aver dedicato essi stessi lo zelo necessario per formare operai pari e adeguati alla messe. Infatti i buoni e valorosi operai non nascono, ma si fanno; e spetta soprattutto alla solerzia e all’impegno dei Vescovi che si facciano.

3. Inoltre è della massima importanza che la cura delle anime sia affidata a coloro che per dottrina, pietà, purezza di costumi e per insigni esempi di buone opere possono far luce negli altri in tal misura da essere giudicati luce e sale del popolo. Costoro sono veramente i primi Vostri collaboratori nell’istruire, reggere, purificare, dirigere sulla via della salvezza, e incitare alle virtù cristiane il gregge a Voi affidato. Quindi è facile comprendere quanto debba starvi a cuore che siano prescelti all’ufficio parrocchiale coloro che meritatamente siano giudicati i più idonei a dirigere utilmente le folle. Ma soprattutto insistete perché tutti coloro che hanno cura d’anime nutrano di salutari parole (almeno le domeniche e nelle altre feste comandate) le genti loro affidate, secondo la propria e la loro capacità, insegnando tutto ciò che i fedeli di Cristo devono apprendere per la loro salvezza e spiegando gli articoli della legge divina, i dogmi della Fede e inculcando nei fanciulli i rudimenti della Fede stessa, dopo aver rimosso del tutto ogni cattiva abitudine, dovunque si manifesti. E invero, come potranno dare ascolto, se manca il predicatore? O in che modo i popoli potranno comprendere una legge che prescrive un giusto credo e un giusto comportamento, se i pastori di anime saranno stati, in tale ufficio, pigri, negligenti e inoperosi? Non si può comprendere compiutamente con l’animo o spiegare con le parole quanto danno per la Repubblica Cristiana derivi dalla negligenza di coloro, ai quali è affidata la cura delle anime, soprattutto nell’insegnare ai fanciulli il Catechismo. – Sarà poi di grande vantaggio se vi impegnerete in modo che tanto coloro che hanno cura d’anime, quanto coloro che sono destinati a ricevere le confessioni dei penitenti, per alcuni giorni e ogni anno attendano agli esercizi spirituali: certamente in tale pio ritiro si rinnoveranno nella loro vita spirituale e dall’alto saranno rivestiti di virtù idonee a compiere con più premura e alacrità quei doveri che si rivolgono alla gloria di Dio, al profitto e alla salute spirituale del prossimo.

4. In verità già sapete, Fratelli, che per divino precetto fu ordinato a tutti i Pastori di anime di conoscere le loro pecorelle e di nutrirle con la predicazione del verbo divino, con la somministrazione dei Sacramenti e con l’esempio di ogni opera buona; ma non possono affatto adempiere a questi e agli altri doveri pastorali, come è ovvio, coloro che non vigilano, e non assistono il loro gregge, e non custodiscono assiduamente la vigna del Signore alla quale sono stati preposti come custodi. Pertanto, dovete rimanere nel vostro posto di guardia, e conservare nella Vostra Chiesa, o Diocesi, la residenza personale alla quale siete obbligati dal vincolo del Vostro incarico, conforme a quanto dichiarano e prescrivono chiaramente numerosi decreti dei Concili generali e le Costituzioni dei Nostri Predecessori. Guardatevi poi dal credere che sia consentito ai Vescovi essere assenti per tre mesi ogni anno per capriccio o per qualsivoglia motivo. Perché ciò sia lecito ai Vescovi, occorre che una giusta causa richieda una tale assenza, e che ad un tempo si escluda che al gregge possa derivarne alcun danno. – Ricordate inoltre che il futuro Giudice sarà Colui agli occhi del quale tutte le cose sono nude e aperte, perciò fate in modo che la causa sia veramente tale da trovar credito presso questo supremo Principe dei Pastori che quanto prima vi chiederà conto del sangue delle pecore a Voi affidate. In questo processo, invano il Pastore cercherà di difendersi con la scusa che il lupo ha rubato e divorato le pecore mentre egli era assente e ignaro; infatti, se si esamina la questione fino in fondo, appare evidente che nessun male o scandalo si manifesta in una Diocesi tanto abbandonata, che non sia da attribuire a colui che doveva richiamare con le sue ammonizioni i sudditi che uscivano dal retto sentiero, sollecitarli con l’esempio, animarli con le parole, tenerli a freno con l’autorità e con la carità. Chi poi non comprende che è molto meglio affrontare le questioni altrove, quando fosse necessario, per mezzo di altri, piuttosto che dallo stesso Vescovo dimorante fuori della sua Diocesi; e che l’impegno, certo più urgente di tutti, di custodire e dirigere il gregge, sia assolto direttamente dal Vescovo e non attraverso intermediari? Infatti, tali ministri siano pure idonei e stimati quanto si vuole, tuttavia il gregge non è così aduso ad ascoltare la loro voce, come la voce del suo vero pastore; e per vasta esperienza è risaputo che la loro opera vicaria non sostituisce a sufficienza la vigilanza e l’azione dello stesso Vescovo, che è soccorso dalla grazia particolare dello Spirito Santo.

5. A queste cose Vi ammoniamo ed esortiamo, Fratelli, perché come anche in ogni amministrazione domestica nulla è più utile del fatto che lo stesso padre di famiglia guardi bene di frequente tutto, e promuova con la sua vigilanza l’operosità e la diligenza dei suoi, così Vi comandiamo di visitare Voi stessi le Vostre Chiese e le Vostre Diocesi (a meno che intervenga una grave e legittima causa, che imponga che ciò sia affidato ad altri), affinché conosciate Voi stessi le Vostre pecore e il volto del Vostro gregge. – Quella sicurissima sentenza, che sopra abbiamo ricordata, che non è ammessa scusa per il pastore se il lupo mangia le pecore, e il pastore non lo sa, è certamente ispirata da grande paura e terrore. Senza dubbio il Vescovo ignorerà molte cose, molte gli rimarranno nascoste, o quantomeno le apprenderà più tardi del necessario, se non si reca in ogni parte della sua Diocesi. Se di persona non vede, non ascolta, non verifica dovunque, non sa a quali mali porgere la medicina e quali siano le cause di essi e in quale modo possa con lungimiranza provvedere a che essi, una volta repressi, non possano manifestarsi di nuovo. Inoltre, è tale la fragilità umana che nel campo del Signore (la cura del quale è affidata al Vescovo) a poco a poco crescono sterpi, spine ed erbe inutili e dannose, qualora il coltivatore non ritorni spesso a tagliarle; perciò la stessa floridezza, ottenuta con le sue vigili fatiche, con l’andar del tempo finirà per affievolirsi. Ma non è neppure sufficiente che le Diocesi siano da Voi visitate e che con le Vostre opportune disposizioni si provveda alla loro gestione: vi resta ancora il compito di controllare, con ogni sforzo, che sia veramente messo in pratica tutto ciò che durante le visite fu convenuto. Infatti, sarà nulla l’utilità delle leggi, anche se ottime, se ciò che fu stabilito a parole non è tradotto correttamente nei fatti da chi ne ha il mandato. Perciò, dopo che avrete preparato farmaci salutari per espellere o allontanare le malattie delle anime, non per questo il Vostro zelo si attenui, ma dovrete sollecitare con ogni Vostra energia l’applicazione delle disposizioni da Voi impartite; e conseguirete questo scopo soprattutto per mezzo di visite reiterate.

6. Da ultimo, per dire molte cose in breve, Fratelli, è opportuno che in ogni funzione sacra ed ecclesiastica e in ogni esercizio del culto Divino e della pietà, Voi stessi siate promotori, conduttori e maestri, perché sia il Clero, sia tutto il gregge attingano luce quasi dallo splendore della Vostra santità e si riscaldino alla fiamma della Vostra carità. Pertanto nella frequente e devota offerta del tremendo Sacrificio, durante la solenne celebrazione delle Messe, nell’amministrare i Sacramenti, nell’esercizio degli Uffici Divini, nella pompa e nella lucentezza dei templi, nella disciplina della Vostra casa e della Vostra famiglia, nell’amore dei poveri e nell’aiuto che recherete loro, nel visitare e soccorrere gl’infermi, nell’ospitare i pellegrini, infine in ogni manifestazione della virtù Cristiana, sarete Voi il modello del Vostro gregge, in modo che tutti siano Vostri imitatori, come Voi di Cristo, così come conviene ai Vescovi, che lo Spirito Santo pose a governare la Chiesa di Dio, che Egli conquistò col suo sangue. Considerate spesso gli Apostoli, al posto dei quali siete subentrati, per seguire le loro orme nel sopportare le fatiche, le veglie, gli affanni; nel tener lontani i lupi dai Vostri ovili, nell’estirpare le radici dei vizi, nell’esporre la legge evangelica, nel ricondurre a salutare penitenza coloro che hanno peccato. Vi sarà accanto, per certo, Dio onnipotente e misericordioso, il cui soccorso ci rende tutto possibile; a Voi non verrà meno neppure l’aiuto dei Principi religiosi, come senza alcun dubbio crediamo. Inoltre, da questa Santa Sede non Vi mancheranno gli aiuti ogni volta che riterrete necessaria la Nostra apostolica autorità. Pertanto con grande coraggio e con grande fiducia venite a Noi, Voi tutti, che amiamo come fratelli, collaboratori e Nostra corona in nome di Gesù Cristo; venite alla Santa Romana Chiesa, madre, guida e maestra Vostra e di tutte le Chiese, da dove ebbe origine la Religione e dove è la pietra della Fede, la fonte dell’unità dei Sacerdoti, la dottrina dell’incorrotta verità; nulla infatti può essere per Noi più desiderato e più gradito che insieme con Voi essere al servizio della gloria di Dio e affaticarci per la custodia e la diffusione della Fede Cattolica; per salvare le anime verseremmo con somma gioia, se fosse necessario, il Nostro stesso sangue e la Nostra vita. E ora Vi inciti e Vi stimoli nella Vostra corsa la grande e sicura ricompensa che Vi attende. Infatti, quando apparirà il Principe dei Pastori, riceverete l’incorruttibile corona della gloria, la corona della giustizia che è stata riservata ai fedeli interpreti dei misteri di Dio e agli strenui e vigili custodi della casa d’Israele che è la Santa Chiesa dello stesso Dio. Noi che per quanto indegni facciamo le Sue veci in terra, molto affettuosamente benediciamo Voi Fratelli e con paterno amore impartiamo la Nostra stessa Apostolica Benedizione anche al Vostro Clero e al Vostro fedele popolo.

Dato a Roma, presso Santa Maria Maggiore, il 3 dicembre 1740, anno primo del Nostro Pontificato.