VITA DELL’ANGELICO DOTTORE SAN TOMMASO D’AQUINO (1)

VITA
dell’angelico dottore
SAN TOMMASO D’AQUINO (1)
dell’ ordine dei predicatori

SCRITTA
dal F. LODOVICO FERRETTI
DEL MEDESIMO ORDINE

Il più dotto tra i santi e il
più santo tra i dotti
Card.
Bessarione, Ad. calumn,
P
latonis, Lib. Il cap. VII.
ROMA

APPROVAZIONE DELL’ORDINE
Fr. Lodovico Theissling
Maestro Generale dei PP. Predicator
IMPRIMATUR
Fr. Alberto Lepidi O. P.
Maestro del Sacro Palazzo.
f Giuseppe Palica, Arciv. di Filippi
Vìcegerente.

LIBRERIA EDITRICE RELIGIOSA
FRANCESCO FERRARI 1923

ROMA – TIPOGRAFIA ARTIGIANELLI S. GIUSEPPE

PREFAZIONE

Questa breve narrazione della vita dell’Angelico Dottore San Tommaso d’Aquino non è scritta per gli eruditi né frutto d’indagini nuove. Non ha ingombro di citazioni; e basterà assicurare i lettori che il racconto è stato condotto dietro la traccia dei primi biografi e dei documenti più autorevoli, che essi potranno trovare enumerati in appendice. Quello che soprattutto preme, è che dai fatti essi deducano, per loro bene, utili insegnamenti e specialmente i giovani apprendano da questo santissimo Duce dei loro studi, che non si sale in alto se non coll’aiuto di due ali: la pietà e la scienza.
Quando diciamo che San Tommaso fu
il più dotto tra i Santi, e il più
santo tra i Dotti, intendiamo affermare che in lui dottrina e santità si eguagliarono} e furon somme ambedue; così poté salire ad un culmine, che ad altri
non fu dato toccare. Felice chi saprà seguirlo per quella via, ponendo, come lui, per fondamento della sua vita, l’umiltà che ci fa grandi, e la purezza del cuore, a cui è concessa la visione di Dio.

I. — Nascita e presagi felici.

La data della nascita di San Tommaso d’Aquino è incerta. Vari riscontri cronologici ci conducono all’anno 1226. Nell’anno stesso, in Assisi, volò al cielo San Francesco, e Dio dava alla terra San Tommaso; come cinque anni innanzi aveva dato San Bonaventura, mentre in Bologna moriva San Domenico. Anche sulla patria si ha qualche incertezza negli storici, però dai più si ritiene che la nascita avvenisse in Roccasecca, nella contea di Aquino, da cui traeva il titolo la nobile famiglia. Tommaso ebbe il nome dell’avo, e nacque da Landolfo Conte d’Aquino e Signore di Loreto e di Belcastro e da Teodora Caracciolo, figlia del Conte di Teate e oriunda dai Principi Normanni. Da Landolfo aveva avuto Teodora altri due figli: Landolfo e Rinaldo, e cinque figlie; ma per Tommaso, che fu l’ultimo, accaddero segni speciali che lo mostrarono vero frutto di benedizione anche prima della nascita. Narrano gli storici di un santo eremita, soprannominato il Buono, che si presentò a Teodora quand’era incinta, e le disse grandi cose del bambino che essa avrebbe dato alla luce: che sarebbe stato un gran luminare nella Chiesa, che avrebbe dato alla famiglia un sommo splendore; e le suggerì di dargli il nome dell’avo, Tommaso, che, secondo l’origine ebraica, significa abisso. Il fanciullino fu tenuto a battesimo dal Conte di Somma, che fece in quell’atto le veci di Papa Onorio III. Si parlò anche di una luce che splendé sul volto del neonato nel momento del battesimo, e si conservò memoria nella famiglia di un graziosissimo fatto, riferito poi nei processi, avvenuto quando il bambino aveva pochi mesi. Era stato condotto dalla madre ad un bagno; ed ivi la balia si accorse che egli aveva in mano un pezzetto di carta e lo stringeva forte. Tentò di averlo, ma il bambino con molte strida si opponeva. Corse la contessa, che gli tolse dalla manina la carta, ove lesse le parole Ave Maria. Ma il bambinello fece tutti gli sforzi per riaver nelle mani la carta; ed appena che l’ebbe, se la pose in bocca e la inghiottì. Così possiam dire che col latte materno Tommaso facesse sua la devozione verso la Vergine Madre.

2. — A Montecassino.

I Conti d’Aquino erano in relazione stretta coi Monaci di Montecassino, grande asilo di pietà e di scienza e vero faro di civiltà, ove i figli di San Benedetto, che ivi sui principii del secolo VI aveva gettato le basi del suo Ordine e di tutto il monachismo d’Occidente, vivevano santamente sotto la guida di Sinibaldo, della stessa famiglia d’Aquino, allora abate del Monastero. Di questa nobile abbazia si erano resi altamente benemeriti gli antenati del giovanetto per averla più volte difesa contro le violenze dei messi di Ruggero, Re delle due Sicilie. Com’era costume dei nobili di quei dintorni, specialmente quando i loro figli promettevano bene di sé, il Conte Landolfo affidò Tommaso, di soli cinque anni, a quei Monaci, perché ne avessero cura. Tommaso visse in Montecassino come nella casa del Signore; lassù apprese a pregare, ed ebbe da quei santi religiosi i primi insegnamenti delle lettere. 1 libri erano la sua passione, quando potevali avere; e tutti i Monaci ammiravano come il bambino agli studi convenienti all’età sapesse alternare le devote preghiere. Gli avevano parlato di Dio, delle sue perfezioni, della sua immensa bontà, di Dio creatore del cielo e della terra; ma egli non era pago. E rivolto al suo maestro, domandavagli con molte istanze: Chi è Dio? Il ripetersi di quella domanda era segno che egli avrebbe voluto sapere qualche cosa di più di quel che il buon maestro gli potesse dire. Questo lo avrebbe appreso più tardi colla preghiera e colla chiarezza che sarebbe venuta nella sua mente dalla luce di Dio; ma in parte soltanto, qui in terra; perché il luogo ove Dio pienamente si svela è solamente il cielo.

3. — Nel castello di Loreto.

I progressi fatti da Tommaso in Montecassino nei primi studi fu così straordinario, che il conte Landolfo pensò d’inviarlo alle scuole di Napoli. Ma per godere qualche mese almeno della sua compagnia, la famiglia lo volle con sé nel castello di Loreto Aprutino, che essa possedeva, e dove soleva passare la stagione autunnale. Partì Tommaso da Montecassino col suo aio, e si recò in Loreto, ove abitavano i suoi genitori con quattro figlie. La quinta era stata sventuratamente uccisa nella sua culla da un fulmine caduto sul patrio castello, mentre era presso il fratellino Tommaso, che rimase illeso. I due fratelli stavano iniziandosi alle armi sotto Federigo II. La gentilezza e bontà del giovinetto, la sua mirabile intelligenza, la sua angelica pietà si rivelarono a tutti; sebbene sotto il velo di una modestia ed umiltà senza pari egli tentasse di nascondere le sue doti di mente e di cuore. Appunto in quel tempo fu afflitto tutto il paese da una grave carestia. Le porte del castello erano assediate dai poveri; e Tommaso era tutto lieto quando gli veniva dato l’incarico di distribuire le elemosine. Si vedeva rapidamente scender la scala che conduceva alla ròcca, e portare a quei miseri il soccorso. E supplicava i genitori perché fossero larghi nel dare, promettendo loro, in compenso, benedizioni e grazie da parte di Dio. Ma la carità di Tommaso non aveva limiti; e spesso egli correva alla dispensa, e colmava di pane il grembo della sua veste. La cosa apparve eccessiva all’amministratore della casa, che volle avvertirne il padre; e questi attese ad ammonire il figliuolo appunto nel momento in cui questi usciva dalla rócca colla solita provvista. Trovatosi in faccia al padre, aprì la sua veste fissando con occhio sereno il volto leggermente adirato di lui. Ma il pane era scomparso; il grembo di Tommaso era pieno di fiori! Stupirono tutti del prodigio; e con Tommaso ne furono lieti in modo speciale i poverelli, che da quel momento ebbero da lui senza limiti i pietosi soccorsi.

4. — Nell’ Università di Napoli.

In Napoli, ove abitò sotto la custodia del suo aio fedele, attese Tommaso agli studi per cinque anni. Nella città bellissima era stata eretta di fresco un’Università, a cui subito era accorsa molta gioventù d’Italia e di fuori, specialmente per godere l’incanto di quel cielo e di quel mare. Fu stabilita nel 1224 da Federigo II imperatore, coll’intenzione di far diminuire d’importanza quella di Bologna, città a lui nemica. Tra gli uomini dotti che vi insegnavano nel tempo in cui la frequentò il giovinetto Tommaso, troviamo ricordato un Pietro Martino, maestro di umanità e retorica, e un Pietro d’Ibernia, professore insigne di filosofia. Questi specialmente furono i maestri di Tommaso nello studio napoletano. Tutti gli storici del Santo parlan di lui non solo come di un ottimo scolaro, ma come di un giglio di purezza conservatosi intatto in mezzo alla corruzione di quella città incantevole e al contatto di una gioventù sfrenata; parlano della sua carità verso i poveri, della sua semplicità e nobiltà di tratto unita ai più innocenti costumi, delle sue molte orazioni, specialmente quando nell’antica chiesa di San Michele a Morfìsa, che il popolo chiamava Sant’Angelo, ebbe conosciuto i Padri Domenicani. Il Santo Patriarca Domenico da appena vent’anni era morto ; e già il suo Ordine era salito in alta fama di santità e dottrina. Napoli nel 1231 aveva accolto i figli di lui, che nella Chiesa di San Michele, già appartenuta ai Benedettini, poi incorporata nel gran tempio di San Domenico Maggiore, attendevano ai sacri ministeri, e nella città e nei dintorni predicavano santamente la divina parola. Tommaso rimase incantato del loro abito, e più della loro modestia e bontà: la stretta povertà in cui vivevano li faceva ai suoi occhi più grandi ancora; perché egli aveva bene appreso che le ricchezze della terra sono tutt’altro che i veri beni per l’uomo; e soprattutto li rendeva a lui amabili la purità angelica di vita in cui vivevano e che aveva loro conciliato la stima universale. L’amore alla scienza divina di cui vedeva così pieni i Frati Predicatori e il desiderio di una vita perfetta tutta impiegata nel servizio di Dio e nella salute delle anime, furono i due grandi motivi che attrassero Tommaso alla vita domenicana. Egli conobbe altresì il pericolo in cui sarebbesi trovata la sua virtù in mezzo al mondo, che già facevagli udire da tante parti le voci lusinghiere della lode all’ingegno sublime, che già tanto lo sollevava sui suoi condiscepoli, e alle doti di cui la natura lo aveva fornito; e cercò un rifugio sicuro. San Domenico dal cielo fissò il suo sguardo sopra un giovinetto sì caro, e gli pose in cuore un vivo desiderio di divenir suo figliuolo. Sappiamo che Tommaso si unì in affettuosa amicizia col Padre Giovanni da San Giuliano, dotto e santo religioso, di cui narrano gli storici che più volte vide il santo giovinetto col volto irradiato di luce celeste, mentre, inginocchiato presso gli altari, intensamente pregava.

5. — Vestizione religiosa e prime lotte.

Verso il mese di Agosto del 1243, nella sua età di diciassette anni, Tommaso, nella Chiesa di San Michele a Morfisa, prostrato in terra, chiedeva la misericordia di Dio e dell’Ordine Domenicano; e rialzatosi, riceveva dalle mani del Padre Tommaso Agni da Lentino l’abito bianco, simbolo di innocenza, tutelato dal mantello nero della penitenza. La notizia della decisione presa dall’illustre figlio del Conte d’Aquino fece accorrere al Convento molte persone meravigliate al vedere un giovinetto così nobile e che tanto faceva sperare del suo ingegno, chiedere, nel più bel fiore della sua età, mentre tutto intorno a lui sorrideva, l’abito di un Ordine mendicante, che voleva anzitutto la penitenza e il nascondimento di sé. Chi lo vide raggiante di gioia tender le braccia all’abito bianco che il Priore gli porgeva, conobbe forse i disegni di Dio su quest’anima eletta, superiori assai alle vedute umane; ma non mancarono quelli che condannarono lui di inconsideratezza per essersi chiuse da se stesso tutte le vie che la fortuna avevagli aperto dinanzi, e i frati d’imprudenza e anche d’avarizia. In quel frattempo l’aio di Tommaso, a cui egli aveva candidamente palesata innanzi la sua decisione, aveva avvertito il Conte d’Aquino, che dimorava allora in Roccasecca. Ma il Conte non seppe forse la cosa che quando Tommaso era stato già accettato nell’Ordine. Sembra che poco dopo egli morisse; e si sa che la Contessa desolata si recò in Napoli per riavere a tutti i costi il figliuolo, anche perché la morte del marito pareva averne accresciuto in lei il diritto. Ella amava il suo Tommaso d’uno specialissimo amore, sapeva di non essere stata mai da lui contristata colla più leggiera disobbedienza; e forte si meravigliava, che, così docile com’era, avesse preso quella decisione senza nemmeno avvertirla! A Tommaso invece era parsa cosa tanto naturale, e tanto necessario da parte sua aveva veduto l’obbedir prontamente alla chiamata di Dio, che non aveva veduto probabile da parte dei pii genitori la minima opposizione. Del resto, di tali fatti non eran rari gli esempi in quella età; e questo giustifica anche i religiosi, che, del resto, vedevano nel giovanetto i più evidenti segni della chiamata di Dio. Purtroppo essi temerono opposizioni fin da principio, e si prepararono a difendere come un sacro diritto la vocazione di Tommaso. Saputo che la Contessa si era messa in viaggio per Napoli, vollero che il novizio evitasse quell’incontro, e lo fecero segretamente fuggire. Due religiosi Io accompagnarono al Convento di Santa Sabina sull’Aventino in Roma, ov’era fresco e vivo il ricordo del santo Fondatore. Forse fu lo stesso Tommaso che li pregò a non esporlo ai pericoli di quel colloquio; e sebbene fosse fermamente deciso, umilmente temé di se stesso. Teodora, dopo aver riempita Napoli dei suoi clamori, volle raggiungerlo a Roma. Al cuore di Tommaso sarebbe stato dolce rimanere in quel caro Convento ove ancora vivevano alcuni padri che erano vissuti col Santo Patriarca e dove trovava tutta la freschezza e semplicità di quei primi anni della vita domenicana. Ma i Superiori che avevano avuto sentore della cosa, lo avevano di nuovo fatto partire, perché prendesse la via della Francia.

6. — Fuga del Santo e suo arresto. La prima conquista.

Il buon novizio con quattro compagni se ne andava lieto, credendosi ormai sicuro, e cercando in paesi lontani la pace desiderata. Ma purtroppo eran pronte per lui altre lotte, e, per volere di Dio, altre vittorie. Bisognerebbe entrare nel segreto di quei tempi di contrasti feroci, in cui, pur di ottenere un intento, da nessun mezzo si recedeva, fosse pure il più indegno. A Tommaso d’Aquino i nobili parenti avrebbero volentieri concesso a suo tempo di vestire un abito ecclesiastico che lo stradasse a prelature o abbazie: la nota celebrità del casato, l’ingegno rarissimo che di giorno in giorno sempre più si rivelava, avrebbero aperto a lui le più splendide vie. Ma appunto queste vie egli aveva voluto chiuder tutte davanti a sé; e questa fu la ragione della lotta ch’ei sopportò da gigante. La madre di Tommaso, i fratelli, le sorelle non ascoltaron per allora che la voce della carne e del sangue. Teodora riuscì a sapere che il suo Tommaso batteva la via che da Roma conduce a Siena, e fece disperato appello ai due figli che militavano in quel momento ai servizi dell’Imperatore Federigo II, il quale aveva posto l’assedio a Viterbo: che in ogni modo cercassero il fratello per la via senese, ed arrestatolo, lo conducessero a lei. Il novizio, che era ormai vicino ai confini della Toscana, si vide presso Acquapendente assalito ad un tratto, circondato dalla soldatesca, e dagli stessi suoi fratelli strapazzato e costretto a separarsi dai suoi compagni, che si salvarono colla fuga, e, coll’abito mezzo lacero messo in groppa ai cavalli e condotto al patrio castello di Monte San Giovanni. – Fu questo il campo della lotta più fiera: qui Tommaso si mostrò veramente grande. Il primo incontro colla madre, armata di tutte le ragioni dell’umana prudenza, avvalorate dal più vivo affetto materno, fu per Tommaso un primo trionfo. Egli l’ascoltò in silenzio e con calma serena. Alle lacrime e preghiere di lei non si commosse, e a quelle voci del senso oppose una sola ragione: la volontà di Dio che lo chiamava e a cui doveva anzitutto obbedire. Di tale chiamata era sicuro, tanto viva gli si era fatta sentire nel cuore. Ma la povera madre non si arrese. Si separò dal figlio col proposito di tentare altre vie. Ordinò che si tenesse sotto custodia, e che soltanto alle due sorelle maggiori fosse permesso di visitarlo. Queste s’impegnarono ad aiutar la madre per ottenere l’intento. – Cominciò allora colle sorelle una seconda lotta, e fu davvero un maggiore trionfo; perché i colloqui colle sorelle, che soprattutto mettevano innanzi i diritti materni, furono da Tommaso volti a tal punto, che le due nobili giovinette sentirono man mano il loro cuore distaccarsi dai pensieri e dagli amori del secolo e fermamente desiderare e volere quello che il santo fratello desiderava e voleva. Anzi una di esse fin d’allora decise di consacrarsi a Dio: l’altra nell’esercizio delle più austere virtù passò poi la sua vita nel secolo. Alla madre, sulle prime, esse nulla rivelarono, per aver modo di recarsi liberamente dal fratello, dalle cui parole s’infervoravano sempre più. E al cuore di lui Iddio concedeva una calma ed una gioia ineffabile che lo avvalorava alle lotte future.

7. — La vittoria più bella.

E venne la lotta più terribile. Non tardò a scoprirsi il cambiamento avvenuto nelle sorelle, che tenevano segretamente informati di tutto i Domenicani. Questi, per mezzo loro, fecero pervenire al novizio un abito dell’Ordine ed alcuni libri di Filosofia e di Sacra Scrittura, nei quali tanto si deliziava, ed erano stati avvisati di stare all’erta nei pressi del castello per qualunque occorrenza. Ci duole il dire dell’infame pensiero che venne in mente ai due scostumati fratelli quando seppero dell’ostinazione di Tommaso. Farlo cadere, questo fu il loro diabolico intento; dalla vita di virtù farlo scivolare ad un tratto nelle vie della carne; questo mal passo sarebbe stato il più decisivo per fargli cambiare strada per sempre. Certamente alla madre essi non fecero trapelar nulla dello scellerato disegno. Una giovane dissoluta si prestò ai loro infami voleri; e mentre Tommaso una sera, a ora già tarda, stavasene solo nella sua carcere presso un focolare acceso, ella aprì cautamente la porta e si offerse a lui con tutte le grazie e le lusinghe della procacità femminile. La forza di Dio diè vigore in quel momento al cuore ed al braccio di Tommaso, che, vista la donna, non esitò un istante, e, con un tizzone acceso, si lanciò contro di lei per colpirla nella faccia. Dicono gli storici che il mite Tommaso fece quest’atto con grandissimo sdegno ». E mentre la donna fuggiva, egli, col tizzone stesso, delineava sul muro una croce e si gettava in ginocchio davanti a lei. – Fu questo il gran trionfo per cui la vita di Tommaso si abbellì di luce divina. A celebrarlo scesero gli Angeli del cielo, che si rallegrarono con lui, fatto ad essi più simile per quella vittoria, e cinsero i suoi fianchi di un cingolo sacro. – Corsero le sorelle e diedero avviso ai Domenicani, che penetrarono nella cinta più stretta del castello. Esse avevano preparato una cesta di vimini e una corda; e Tommaso, per le mani stesse delle due giovani sorelle, fu calato giù dal muro e scese nelle braccia dei frati, che nel buio della notte si diedero con lui alla fuga. Ai fratelli non fu dato nel momento di scoprir la cosa; e mentre essi forse già si allietavano della sua caduta, egli era già in via per il suo convento di Napoli.

VITA DELL’ANGELICO DOTTORE SAN TOMMASO D’AQUINO (2)


I SERMONI DEL CURATO D’ARS: SULL’ELEMOSINA

[Discorsi di S. G. B. M. VIANNEY CURATO D’ARS – Quarta edizione, Vol. II, Marietti ed. Torino-Roma, 1933]

Sull’elemosina.

Date eleemosynam, et ecce omnia munda sunt vobis.

(Luc. XI, 41).

Possiamo immaginare, Fratelli miei, cosa più consolante per un Cristiano il quale ha avuto la sventura di peccare, che il trovare mezzo così facile di soddisfare la giustizia divina per le colpe commesse? Gesù Cristo, nostro divin Salvatore non brama che la nostra felicità e non ha trascurato alcun mezzo per mostrarcelo. Sì, M. F., con l’elemosina noi possiamo facilmente redimere i nostri peccati e attirare le più abbondanti benedizioni del cielo sui nostri beni e sulle nostre persone; o, per meglio dire, coll’elemosina possiamo evitare le pene eterne. Oh! M. F., quanto è buono Iddio, che si contenta di così poca cosa. – M. F.. se Dio lo avesse voluto, saremmo stati tutti eguali. Invece no: Egli prevedeva che, essendo noi tanto orgogliosi, non ci saremmo sottomessi gli uni agli altri. E appunto per questo che Egli ha messo nel mondo i ricchi e i poveri, perché potessimo, cioè, aiutarci scambievolmente a salvarci. I poveri salveranno sopportando con rassegnazione la loro miseria, e domandando con pazienza soccorso ai ricchi. I ricchi troveranno dal loro mezzo di redimere i loro peccati dimostrando compassione pei poveri, e soccorrendoli quanto potranno. Voi vedete, o F. M., a questo modo tutti possiamo salvarci. – Se è pel povero dovere indispensabile soffrire la povertà con rassegnazione e chiedere con umiltà soccorso ai ricchi, è altresì dovere indispensabile dei ricchi fare l’elemosina ai poveri, che sono loro fratelli; poiché da ciò dipende la loro salvezza. Disgraziatissimo è agli occhi di Dio chi vede soffrire il proprio fratello e, potendolo, non lo soccorre. – Per stimolarvi a fare l’elemosina, per quanto vi sarà possibile, e con retta intenzione piacere a Dio, vi mostrerò:

1° Che l’elemosina è efficace presso Dio per ottenerci tutto ciò che desideriamo;

2° Che l’elemosina libera chi la fa dal timore del giudizio universale;

3° Che siamo ingrati quando trattiamo durezza i poveri, perché, sprezzandoli, disprezziamo Gesù Cristo medesimo.

I. — Sì, M. F., sotto qualunque aspetto osserviamo l’elemosina, il pregio di essa è sì grande che riesce impossibile di spiegarvene tutto il merito. Solamente il giorno del giudizio ne comprenderemo tutto il valore. E se me ne domandate la ragione, eccovela: possiamo dire che l’elemosina supera tutte le altre buone azioni, perché una persona caritatevole possiede ordinariamente tutte le altre virtù. Leggiamo nella sacra Scrittura che il Signore disse al profeta Isaia: “Va ad annunciare al mio popolo, che i suoi delitti mi hanno talmente irritato, che Io non posso più tollerarlo; lo castigherò sterminandolo per sempre. „ Il profeta si presenta in mezzo al popolo adunato, dicendo: “Ascolta, popolo ingrato e ribelle, ecco ciò che dice il Signore Dio tuo: I vostri delitti mi hanno acceso tal furore contro di voi, che le mie mani sono armate di fulmini per abbattervi e disperdervi per sempre. ,, — “Eccovi dunque, dice loro Isaia, senza scampo, voi potrete ben pregare il Signore, Egli chiuderà le orecchie per non intendervi; e se anche piangerete, digiunerete, vi coprirete di cenere, Egli non volgerà i suoi occhi verso di voi; se vi riguarderà, sarà per distruggervi. Tuttavia, in mezzo a tanti mali, ho un consiglio da offrirvi: esso è efficacissimo per commuovere il cuor del Signore, e voi potrete, in qualche modo, forzarlo ad usarvi misericordia. – “Ecco ciò che dovete fare: date una parte dei vostri beni ai vostri fratelli poveri e pane a chi ha fame, abiti a chi è ignudo, e vedrete subito cambiata la vostra sentenza. ,, Infatti appena ebbero cominciato a fare ciò che il profeta aveva suggerito, il Signore chiamò Isaia e gli disse: “Profeta, riferisci al mio popolo che mi ha vinto, che la carità esercitata verso i fratelli fu più della mia collera. Va a dire ad essi che Io perdono loro e prometto la mia amicizia. – O bella virtù della carità, quanto sei potente per placare la collera divina! Ma, quanto sei poco conosciuta dalla maggior parte dei Cristiani dei nostri giorni. Perché questo, o M. F.? Perché noi siamo troppo attaccati alla terra; non pensiamo che alla terra; pare che viviamo solo per la terra; abbiamo perduto di vista i beni del cielo e non ne abbiamo più stima. Noi vediamo altresì che i Santi hanno amato talmente questa virtù, che credevano impossibile salvarsi, senza averla praticata. Poi vi dirò anzitutto che Gesù Cristo, il quale ha voluto esserci di modello in ogni cosa, ha portato questa virtù all’ultimo grado di perfezione. Se ha lasciato il seno del Padre per venire sulla terra, se è nato povero, se è vissuto nei patimenti ed è morto nel dolore, è la sua carità che l’ha ispirato a questo. Vedendoci tutti perduti, la carità lo ha mosso a fare tutto quello che ha fatto per salvarci da quell’abisso di mali eterni in cui il peccato ci aveva precipitati. Quando viveva quaggiù il suo cuore era così ripieno di carità, che non poteva vedere né malati, né morti, né sofferenti senza dar loro sollievo, risuscitarli e consolarli; per amor loro ha operato miracoli. Un giorno vedendo che quelli che lo seguivano nelle sue predicazioni erano senza nutrimento, con cinque pani e alcuni pesci saziò quattromila uomini, senza contare le donne e i fanciulli; un’altra volta ne saziò cinquemila. Per mostrare loro come sentisse vivamente le loro miserie, si rivolse agli Apostoli e disse con accento di tenerezza: “Ho compassione di questo popolo che mi dà tanti segni di affetto; non so più resistere, farò un miracolo per sostentarlo. Temo che se lo rimando, senza dar ad esso da mangiare, molti sveniranno lungo la via. Fateli sedere, distribuite loro questa piccola provvista di cibo: la mia potenza supplirà alla sua insufficienza „ (Matt., XV, 32-38). E provò nel sollevarli gioia sì grande, che non pensò a se stesso. O virtù della carità, quanto sei bella, quanto sono abbondanti e preziose le grazie che ti sono congiunte! Perciò vediamo che i Santi dell’Antico Testamento sembravano presentire quanto sarebbe stata cara al Figliuolo di Dio questa virtù; parecchi posero in essa ogni loro felicità e passarono la vita praticando questa virtù bella e amabile. – Leggiamo nella sacra Scrittura che Tobia, condotto schiavo nell’Assiria, godeva nell’esercitare questa virtù verso gli infelici. Sera e mattina distribuiva quanto aveva ai poveri, senza riserbare nulla per sé. Ora lo si vedeva accanto agli infermi, esortandoli perché offrissero i loro dolori con rassegnazione alla volontà di Dio, e facendo loro conoscere quale grande ricompensa avrebbero nell’eternità; ora lo si vedeva spogliarsi dei suoi abiti per darli ai poveri. Un giorno gli fu detto, che era morto un povero e che nessuno pensava a dargli sepoltura. Era a tavola; ma tosto si leva, va a prenderlo sulle sue spalle e lo porta al luogo dove doveva essere seppellito. Credendosi vicino a morire, chiamò presso di sè il suo figliuolo, e gli disse: “Figlio credo che il Signore presto mi toglierà da questo mondo. Ho una cosa importante da raccomandarti, prima di morire. Promettimi di osservarla. Fa’ elemosina in tutti i giorni di tua vita, e non divergere mai il tuo sguardo dal povero. Fa elemosina come potrai. Se hai molto, dà molto; se poco, dà poco, ma da’ con buon cuore e con ilarità. Così accumulerai grandi tesori pel giorno del Signore. Non perdere mai di vista che l’elemosina cancella i nostri peccati e ci preserva dal ricadervi. Il Signore ha promesso che un’anima caritatevole non cadrà nelle tenebre dell’inferno, dove non vi è più misericordia. Figlio mio, non disprezzare mai il povero e non frequentare la compagnia di coloro che lo avviliscono; perché  il Signore ti manderebbe in perdizione. – La casa di colui che fa elemosina ha fondamento sulla pietra e non crollerà. Mentre la abitazione di chi negherà l’elemosina rovinerà dalle fondamenta; „ volendo con ciò farci intendere, o F. M., che una famiglia caritatevole non diverrà mai povera; e quelli che sono senza carità pei poveri, periranno coi loro beni. Il profeta Daniele ci dice: “Se vogliamo indurre il Signore a dimenticare i nostri peccati, facciamo elemosina, e subito il Signore li cancellerà dalla sua memoria. „ Il re Nabucodònosor avendo avuto durante la notte un sogno che l’aveva tutto spaventato, fece venire il profeta Daniele pregandolo di volergliene spiegare il significato. Il profeta gli disse: “Re, tu sarai cacciato dalla compagnia degli uomini; ti nutrirai d’erba come le bestie; la pioggia del cielo bagnerà il tuo corpo; e resterai sette anni in questo stato, perché tu riconosca che tutti i regni appartengono a Dio, che li dà a chi gli piace e li toglie quando gli piace. Re, disse il profeta, ecco il consiglio che ti do: Riscatta i tuoi peccati coll’elemosina e le tue iniquità con le buone opere a vantaggio degli infelici.,, Il Signore infatti si lasciò commuovere dalle elemosine e dalle buone opere che il re fece a prò dei poveri; gli restituì il regno, e perdonò le sue colpe. (Il libro di Daniele non dice che Nabucodònosor abbia fatto delle elemosine e delle buone opere, ma solamente che dopo i sette anni di punizione predetti dal profeta il re levò gli occhi al cielo, benedisse l’Altissimo ed esaltò la sua potenza eterna, e che allora gli fece ritornare i sensi e fu rimesso in possesso del regno. – Dan. IV). – Vediamo altresì che al tempo dei primitivi Cristiani, i fedeli sembravano essere contenti di avere dei beni, soltanto per gustar la gioia di offrirli a Gesù Cristo nella persona dei poveri. Leggiamo negli Atti degli Apostoli che la loro carità era sì grande che non volevano possedere nulla di proprio. Molti vendevano i loro beni per darne il prezzo ai poveri. (Act. II, 44, 45). S. Agostino scrive: “Quando non avevamo la fortuna di conoscere Gesù Cristo, avevamo sempre paura che ci mancasse il pane; dacché abbiamo la ventura di conoscerlo, non amiamo più le ricchezze. Ne conserviamo qualche poco, solo per farne parte ai poveri e viviamo assai più contenti ora che serviamo soltanto Iddio. ,, – Udite Gesù Cristo medesimo che ci dice nell’Evangelo: “Se fate elemosina, io benedirò in modo particolare i vostri beni. Date, Egli ci ripete, e vi sarà dato; se darete abbondantemente sarà dato anche a voi con abbondanza. „ Lo Spirito Santo poi ci dice per bocca del Savio: “Volete diventar ricchi? Fate elemosina, perché il seno dell’indigente è un campo fertilissimo che rende il cento per uno.„ (Prov. XXIX, 13). – S. Giovanni, detto l’elemosiniere per la sua carità verso i poveri, ci dice che più dava e più riceveva. “Un giorno, egli racconta, io trovai un povero ignudo, e gli diedi gli abiti che avevo indosso. Poco dopo una persona mi offrì denaro bastante per comperarne parecchi. „ Lo Spirito Santo ci dice che chi disprezzerà il povero sarà infelice in tutti i giorni di sua vita.,, (Prov. XVII, 5). E il santo re Davide ci dice: “Figliuol mio, non permettere che il tuo fratello muoia di miseria, se hai qualche cosa da dargli; perché il Signore promette una benedizione copiosa a chi soccorre il povero; egli veglierà alla di lui conservazione. „ (Psal. XL, 1) E aggiunge che coloro i quali saranno misericordiosi verso i poveri, il Signore li preserverà da una morte cattiva. Ne abbiamo un bell’esempio nella vedova di Sarepta. Il  Signore mandò il profeta Elia a soccorrerla nella sua povertà, lasciò che tutte le vedove d’Israele soffrissero la fame. Se volete saperne la ragione, eccovela: “Perché, disse il Signore al profeta, ella è stata caritatevole durante tutta la sua vita. „ Il profeta le disse: “La tua carità ti ha meritato una protezione particolare dal Signore: i ricchi col loro denaro periranno di fame, ma tu, caritatevole verso i poveri, sarai soccorsa, perché le tue provviste non verranno meno sino alla fine della fame. ,, (III Reg. XVII).

II. — Ho detto, in secondo luogo, che coloro i quali avranno fatto elemosina non paventeranno il giorno del giudizio universale. È cosa certa che quel momento sarà terribile: il profeta Gioele lo chiama il giorno delle vendette del Signore, giorno senza misericordia, giorno di spavento e di disperazione pel peccatore. .. Ma, ci dice questo profeta, volete che questo giorno sia per voi non un giorno di disperazione, ma di consolazione? Fate elemosina, e sarete contenti .,, (Gioel. II, 2). Un Santo aggiunge: “Se non volete il giudizio, fate elemosina, e sarete ben accolto dal vostro giudice. „ Se la cosa è così, non dovrebbesi dire, o M. F., che dall’elemosina dipende la nostra salvezza? Infatti, Gesù Cristo quando ci parla del giudizio che dovremo subire, ci parla esclusivamente dell’elemosina, dicendo ai buoni: “Ebbi fame e mi avete dato da mangiare; ebbi sete e mi avete dato da bere; ero ignudo e mi avete rivestito; ero prigioniero e siete venuti a visitarmi. Venite, o benedetti del Padre mio, prendete possesso del regno che vi è stato preparato fin dal principio del mondo. „ All’incontro egli dirà ai peccatori: “Allontanatevi da me, o maledetti; ebbi fame e non mi deste da mangiare; ebbi sete e non mi avete dato da bere; ero ignudo e non mi avete rivestito; ero infermo e prigioniero e non siete venuti a visitarmi. „ — “Quando mai, gli diranno i peccatori, vi abbiamo trattato a questo modo? „ — ” Ogni volta che avete trascurato di far questo a vantaggio dei miei più piccoli, che sono i poveri. ,, (Matth. V, 7).   Vedete dunque, F. M., che il giudizio sarà fatto esclusivamente sull’elemosina. Forse questo vi reca meraviglia? Eppure, M. F.. non è cosa difficile a comprendersi. Colui il quale possiede una verace carità, cerca solamente Iddio, e vuole piacere soltanto a Lui: possiede tutte le altre virtù, e in alto grado di perfezione, come vedremo fra breve. – La morte, è vero, spaventa i peccatori, ed anche i più giusti, per il terribile conto che si dovrà rendere a Dio, il quale sarà allora senza misericordia. Questo pensiero faceva tremare S. Ilarione che da 70 anni piangeva i suoi peccati; e S. Arsenio, che aveva lasciato la corte dell’imperatore per andar a passare la vita nel cavo di una roccia e piangervi per tutto il resto de’ suoi giorni. Quando pensava al giudizio faceva tremare il suo povero giaciglio. Il santo re Davide pensando ai suoi peccati esclamava: “Ah! Signore, non ricordate più le mie colpe. „ Ma egli diceva altresì: “Fate elemosina e non temerete quel giorno sì spaventevole pei peccatori. ,, Sentite Gesù Cristo in persona che ci dice “Beati i misericordiosi, perché otterranno misericordia. ,, (Matt. VII, 7). E altra volta soggiunge: “Come avrete trattato i vostri fratelli, così sarete trattati anche voi; „ (Id. VII, 2), che è quanto dire: Se avrete avuto pietà del vostro fratello, Dio avrà pietà di voi. Leggiamo negli Atti degli Apostoli che era morta in Joppe una buona vedova. I poveri andarono incontro a S. Pietro pregandolo di risuscitarla; e chi gli mostrava gli abiti che la buona vedova gli aveva fatto, chi altre cose. S. Pietro lasciò che piangessero, poi “Il Signore – disse loro – è tanto buono, e vi concederà quello che gli chiedete. „ S’avvicinò alla morta e le disse: “Levati, le tue elemosine ti meritano una seconda volta la vita. „ (Il Venerabile sembra dire che s. Pietro si trovava già in Joppe. Secondo gli Atti (cap. IX), S. Pietro era in una città vicina a Joppe, a Lidda, in cui due uomini, mandati dai fedeli di Joppe, vennero a pregarlo di recarsi in quest’ultima città e risuscitare la santa vedova chiamata Tabita. S. Pietro effettivamente li seguì, e fu allora che gli mostrarono gli abiti fatti da Tabita e che egli richiamò alla vita questa benefattrice dei poveri.). – Ella si alzò e S. Pietro la riconsegnò a’ suoi poveri. Non saranno solamente i poveri, o F. M., che pregheranno per voi; ma le vostre stesse elemosine saranno dinanzi a Dio come altrettanti protettori, che imploreranno grazia per voi. Leggiamo nel Vangelo che il regno de’ cieli è simile ad un re, che da’ suoi servitori si fece rendere conto di quanto gli dovevano. Gli si presentò uno che era debitore di 10,000 talenti. Non avendo costui con che pagare, il re comandò subito che fosse messo in prigione con tutta la sua famiglia, e che vi rimanesse finché avesse scontato tutto quello che gli doveva. Ma il servitore si gettò ai suoi piedi e gli chiese la grazia di aspettare qualche tempo ancora, che lo avrebbe pagato appena potesse. Il padrone, mosso a pietà gli condonò tutta la somma che gli doveva. Il servo, lasciato il padrone, incontrò un suo compagno che gli doveva cento denari, e tosto l’afferrò per la gola, esclamando: “Rendimi quanto mi devi. „ L’altro lo supplicò di attendere qualche po’ di tempo, che lo avrebbe pagato. Ma egli non s’arrese e lo fece mettere in carcere a scontarvi il debito. Il padrone lo seppe, e irritato per questa condotta, gli disse: “Servo iniquo, non dovevi tu pure aver compassione del tuo fratello, come io l’ebbi di te? „ (Matth. XVIII). Ecco, F. M., in qual maniera Gesù tratterà nel giorno del giudizio coloro che saranno stati buoni e misericordiosi verso i fratelli poveri raffigurati nella persona del debitore che ottiene misericordia. Ma a quelli che saranno stati duri e crudeli coi poveri, accadrà ciò che accadde a quel servo senza cuore; il padrone, ordinò che, legato mani piedi, fosse gettato nelle tenebre esteriori dov’è pianto e stridore di denti. Vedete dunque, o miei cari, che è impossibile che una persona caritatevole vada dannata.

III. — In terzo luogo, P. M., ciò che deve stimolarci a fare con gioia e di buon cuore l’elemosina, è il sapere che la facciamo a Gesù Cristo medesimo. Nella vita di S. Caterina da Siena si legge che una volta, incontrato un povero, gli diede una croce; un’altra volta diede la sua veste ad una povera donna. Qualche giorno dopo le apparve Gesù Cristo e le disse che aveva ricevuto quella croce e quella veste messa da lei tra le mani dei poveri, e che gli erano state così gradite che e gli aspettava il giorno del giudizio per mostrarle a tutto l’universo. S. Giovanni Crisostomo dice: “Figliuol mio, dà al tuo fratello povero un tozzo di pane e riceverai il paradiso; dà qualche poco e riceverai molto; dà i beni perituri e riceverai i beni eterni. Pei doni che fai a Gesù Cristo nella persona dei poveri, avrai una ricompensa eterna. „ S. Ambrogio ci dice che l’elemosina è quasi un secondo battesimo e un sacrificio di propiziazione che placa la collera divina e ci fa trovar grazia dinanzi al Signore. Sì, M. F., questo è verissimo perché, quando diamo, diamo a Dio medesimo. Leggiamo nella vita di S. Giovanni di Dio che avendo un giorno trovato un povero tutto, coperto di piaghe, lo prese e lo portò all’ospedale, che aveva fondato pei poveri. Quando vi fu giunto e gli ebbe lavati i piedi, per metterlo a letto, s’avvide che i piedi erano traforati. Tutto meravigliato, alzando gli occhi, riconobbe Gesù Cristo in persona che s’era nascosto sotto le sembianze di quel povero per eccitare la sua compassione. Gesù gli disse: “Giovanni, io sono contento di vedere come ti prendi cura de’ miei poveri.„ Un’altra volta trovò un fanciullo miserabilissimo, se lo caricò sulle spalle; passando accanto a una fontana, sentendosi stanco e volendo bere, pregò il fanciullo di discendere. Era anche questa volta Gesù Cristo in persona che gli disse: “Giovanni, ciò che fai ai poveri, è come se lo facessi a me. „ I servizi prestati ai poveri e agli infermi, sono così graditi, che molte volte furono visti gli Angeli discendere dal cielo per aiutare con le loro mani S. Giovanni di Dio a servire gli ammalati; dopo di che scomparivano. – Leggiamo nella vita di S. Francesco Saverio che, andando egli a predicare nei paesi infedeli, incontrò sul suo cammino un povero tutto coperto di lebbra, e gli fece l’elemosina. Dopo fatti alcuni passi si pentì di non averlo abbracciato per mostrargli quanta parte egli prendeva alle sue sofferenze. Ma ritornando sui suoi passi per rivederlo, non scorse più alcuno; quel povero era un Angelo apparsogli sotto la sembianza di un lebbroso. Ah!  qual rammarico soffriranno nel giorno del giudizio coloro che avranno disprezzato e schernito i poveri, quando Gesù Cristo farà loro toccare con mano che è a Lui in persona che essi hanno fatto ingiuria. Ma quale gioia altresì, o M. F., godranno coloro i quali riconosceranno che tutto il bene fatto ai poveri lo hanno fatto a Gesù Cristo in persona. “Sì, dirà loro Gesù Cristo; sono Io che avete visitato nella persona di quel povero; a me avete reso servigio; a me avete fatto elemosina alla vostra porta. „ – Ciò è tanto vero, F. M., che si narra nella storia di un gran Papa, S. Gregorio Magno, che egli teneva ogni giorno alla sua tavola dodici poveri in onore dei dodici Apostoli. Un giorno, contatine tredici, chiese a chi ne aveva l’incarico, perché fossero tredici e non dodici, come egli aveva ordinato. “Santo Padre, gli disse l’economo, io ne veggo soltanto dodici. „ Ed egli invece ne vedeva tredici. Chiese a coloro che gli stavano vicini se ne vedevano tredici, o no: risposero che ne vedevano dodici soltanto. Dopo che ebbero mangiato, prese per mano il tredicesimo, che egli aveva distinto perché lo osservava cambiare di tanto in tanto colore; lo condusse nella sua stanza e gli domandò chi fosse. Quegli gli rispose che era un Angelo, nascostosi sotto l’apparenza di un povero; che aveva ricevuto un’elemosina da lui quand’era ancor religioso, e che Dio, a motivo della sua carità, gli aveva dato incarico di custodirlo per tutta la sua vita, e fargli conoscere ciò che gli conveniva fare per ben regolarsi in tutto ciò che avrebbe compiuto pel bene della sua anima e per la salute del prossimo. Ecco, o M. F., come Dio lo ricompensò della sua carità. Non diremo, dunque che la nostra salvezza pare che dipenda dall’elemosina? Sentite ora ciò che accadde a S. Martino mentre passava per una via. Incontrò un povero, estremamente bisognoso, e’ ne fu profondamente commosso che, non avendo nulla con cui soccorrerlo, tagliò metà del suo manto e glielo diede. La notte seguente Gesù Cristo gli apparve ricoperto di metà della veste, e circondato da una schiera di Angeli, ai quali diceva: “Martino, ancora catecumeno, mi ha dato questa metà della sua veste; „ sebbene S. Martino l’avesse data ad un viandante. No, M. F., non vi sono azioni per le quale Dio faccia tanti miracoli, come per le elemosine. Si narra nella storia di un signore agiato che, incontrato un povero, e, osservandone la miseria, ne fu commosso fino alle lacrime. Non stette a pensarvi su tanto, si levò il soprabito e glielo diede. Pochi giorni dopo seppe che quel povero l’aveva venduto e ne provò vivo rincrescimento. Nelle sue orazioni diceva a Gesù Cristo: “Mio Dio, vedo bene che io non meritavo che quel povero portasse il mio soprabito. „ Nostro Signore gli apparve tenendo quella veste tra le mani e gli disse: “Riconosci quest’abito? „ ed egli esclamò “Ah! mio Dio, è quello che io ho dato al povero. „ — “Vedi dunque che non è perduto, e che mi hai fatto piacere dandolo a me nella persona del povero. „ – S. Ambrogio ci dice che mentre egli distribuiva l’elemosina a parecchi poveri, si ritrovò in mezzo ad essi anche un Angelo: ricevette l’elemosina sorridendo e disparve. – Noi possiamo dire di una persona caritatevole, anche se colpevole, che ella ha grande speranza di salvezza. Leggiamo negli Atti degli Apostoli, che Gesù Cristo apparve a S. Pietro e gli disse: ” Va a trovare il centurione Cornelio, perché le sue elemosine sono salite fino a me e gli hanno meritato la salute. „ S. Pietro andò a visitare Cornelio, lo trovò occupato a pregare, e gli disse: “Le tue elemosine Dio le ha così gradite, che Egli mi manda ad annunziarti il regno de’ cieli ed a battezzarti (Act. X). „ Per tal guisa, o F. M., le elemosine di Cornelio furono cagione che egli e tutta la sua famiglia fossero battezzati. Ma ecco un esempio che vi mostrerà quanto potere ha l’elemosina di arrestare il braccio della giustizia divina. Si racconta nella storia della Chiesa che l’imperatore Zenone aveva caro di fare il bene ai poveri; ma era assai sensuale e voluttuoso; tanto che aveva rapito la figlia d’una dama onorata e virtuosa, e ne abusava con grande scandalo di tutti. Quella povera madre, desolata fino alla disperazione andava spesso alla chiesa della Vergine per lamentarsi con Lei dell’oltraggio che si faceva alla sua figliuola. “Vergine Santa, diceva, non siete Voi il rifugio degli infelici, degli afflitti e la protettrice dei deboli? Come dunque permettete questa oppressione ingiusta, questo disonore che si fa alla mia famiglia?„ La Ss. Vergine le apparve e disse: “Sappi, figlia mia, che da gran tempo il mio Figliuolo avrebbe vendicato l’ingiuria che ti vien fatta. Ma questo imperatore ha una mano che lega quella del mio Figliuolo e arresta il corso della sua giustizia. Le elemosine che egli fa in abbondanza impediscono che sia punito. „ – Vedete, F. M., quanto può l’elemosina impedire a Dio di punirci, dopo che noi abbiamo meritato tante volte. S. Giovanni Elemosiniere, patriarca di Alessandria, ci racconta un fatto notevolissimo, avvenuto a lui stesso. Racconta di aver visto un giorno d’inverno, parecchi poveri che stavano riscaldandosi al sole, e contavano fra loro case dove si distribuiva l’elemosina ai poveri e quelle ove la si dava con mal garbo, o non si dava nulla. Fra le altre in discorso vennero a parlare della casa d’un ricco cattivo, che non dava quasi mai l’elemosina, e di lui dissero assai male. Quando uno di essi propose ai compagni che, se volevano scommettere con lui, egli andrebbe a chiedere l’elemosina, certo che otterrebbe qualche cosa. Gli altri risposero che erano disposti a scommettere, ma che egli poteva tenersi sicuro di essere respinto e di tornare a mani vuote; quel ricco, che non aveva mai dato nulla, non avrebbe certamente cominciato a dare ora. Messisi d’accordo fra loro, l’autore della proposta va al palazzo di quel ricco e con grande umiltà gli domanda di dargli qualche cosa nel nome di Gesù Cristo. Quel ricco si adirò talmente, che non avendo a sua portata una pietra da lanciargli contro il capo, visto il domestico che tornava dalla bottega del fornaio col cesto ricolmo di pane, accecato dal furore, ne prese uno e glielo lanciò in faccia. Il povero, per guadagnar la scommessa fatta coi compagni, andò in fretta a raccoglierlo e lo portò ad essi per far vedere che quel ricco gli aveva dato una buona elemosina. Due giorni dopo quel ricco si ammalò, ed essendo vicino a morire, gli parve in sogno di venir condotto al tribunale di Dio per esservi giudicato. Gli parve di vedere qualcuno che portasse innanzi una bilancia su cui pesare il bene e il male. Vide da una parte Iddio, dall’altra il demonio che presentava i peccati da lui commessi durante tutta la sua vita; peccati che erano numerosissimi. Il suo Angelo custode, non aveva per conto suo nulla da mettere, nessuna opera virtuosa che controbilanciasse il male. Iddio gli chiese che cosa egli presentava da mettere per conto suo. E l’Angelo, addolorato di non aver nulla, rispose: “Signore, non ho niente. „ Ma Gesù soggiunse: “E il pane che ha gettato in faccia a quel povero? Mettilo sulla bilancia e vincerà il peso de’ suoi peccati. „ Infatti, avendolo l’Angelo messo sulla bilancia, esso la fece piegare dalla parte buona. Allora l’Angelo fissandolo in volto: “Sciagurato, gli disse, senza questo pane, tu saresti piombato nell’inferno; va a far penitenza; dà ai poveri quanto potrai, diversamente sarai dannato. „ Quel ricco, svegliatosi, andò a trovare S. Giovanni l’Elemosiniere, gli raccontò la visione avuta e la storia della sua vita piangendo amaramente la sua ingratitudine verso Dio, al quale era debitore di tutto ciò che aveva, e la sua durezza verso i poveri, e ripetendo: “Ah! Padre mio, se un pane solo dato con mal garbo ad un povero, mi strappa dalle unghie del demonio, quanto posso rendermi propizio il Signore dando a Lui tutti i miei beni nella persona dei poveri!„ E arrivò a tal punto che quando per via incontrava un povero, se non aveva nulla da dargli, si spogliava dell’abito e lo permutava con quello del povero; scorrendo tutto il resto di sua vita nel piangere i propri peccati e dare ai poveri quanto possedeva. Che ne pensate ora, M. F.? Non è forse vero che voi non vi siete mai fatto un giusto concetto della grandezza dell’elemosina? – Ma quell’uomo si spinse anche più oltre. Sentite: Un giorno incontrò per via un domestico che era stato un tempo al suo servizio, e senza rispetto umano o altro riguardo: “Amico, gli disse, forse non ti ho ricompensato abbastanza delle tue fatiche: fammi un favore, conducimi in città, là mi venderai, per compensarti dell’ingiustizia che posso averti arrecato non pagandoti abbastanza. „ Il domestico lo vendette per trenta denari. Pieno di gioia di vedersi all’ultimo grado di povertà, serviva il suo padrone con incredibile gioia, ciò che fece nascere negli altri servi tale invidia, che lo disprezzavano e spesso lo battevano. Mai egli aprì bocca per lamentarsi. Il padrone accortosi del trattamento che veniva usato allo schiavo che egli amava, li rimproverò fortemente perché osavano trattarlo a quel modo. Poi chiamò a sé il ricco convertito, del quale non conosceva neppure il nome, e gli chiese chi fosse e quale la sua condizione. Il ricco gli narrò quanto gli era accaduto, e il padrone, che era l’imperatore, ne rimase commosso. Fu sì grande la sua meraviglia e la sua commozione, che si diede a piangere dirottamente; si convertì subito e passò il resto di sua vita facendo quante più elemosine poteva. – Ditemi, avete voi compreso bene il pregio dell’elemosina e quanto è meritoria per chi la fa? F. M., dell’elemosina vi ripeterò quello che si dice della divozione alla Ss. Vergine, chi la pratica con animo buono non può andare perduto. Non ci meravigliamo dunque, F. M., se questa virtù è stata comune a tutti i Santi dell’Antico e del Nuovo Testamento. So bene, o F. M., che chi ha il cuor duro, è avaro e insensibile alle miserie del suo prossimo, e troverà mille scuse per non fare elemosina. Mi direte: “Vi sono poveri buoni, e ve ne sono molti altri che non meritano si faccia loro elemosina; gli uni consumano all’osteria ciò che loro si dà, altri al giuoco o in golosità. „ — È verissimo, vi sono ben pochi poveri che facciano buon uso di ciò che ricevono dalla mano dei ricchi, questo dimostra che sono pochi i poveri buoni. Alcuni mormorano nella loro povertà, se non si dà loro tutto quello che vogliono; altri portano invidia ai ricchi, li maledicono augurando che Dio tolga ad essi tutti i loro beni, affinché imparino che cos’è la povertà. Convengo anch’io che questo è male: e sono appunto costoro che meritano il nome di poveri cattivi. Ma in proposito ho una parola da dirvi. Questi poveri che voi biasimate dicendo che sono famosi mangiatori, che non hanno misura, e che, se sono tali, non è forse senza loro colpa, questi poveri, ripeto, vi domandano l’elemosina non a nome proprio, ma in nome di Gesù Cristo. Sieno buoni o cattivi, importa poco, poiché voi date a Gesù Cristo medesimo, come vi ho ripetuto fin qui. È Gesù Cristo che vi ricompenserà. Ma, mi soggiungerete voi: “È una cattiva lingua, un vendicativo, un ingrato. „ — Tutto questo non vi riguarda affatto; avete modo di faro elemosina in nome di Gesù Cristo, col pensiero di piacere a Lui, di redimere i vostri peccati: lasciato da parte tutto il resto, voi avete a che fare con Dio; state tranquillo: le vostre elemosine non saranno senza frutto, anche se affidate alle mani di poveri cattivi che voi disprezzate. D’altra parte, quel povero che vi ha offerto motivo di scandalo, otto giorni fa, e che avete visto ubbriaco o dato allo stravizio, chi vi assicura che oggi non sia convertito e carissimo a Dio? – Volete sapere, perché andate in cerca di pretesti, per esimervi dal fare elemosina? Sentite una parolina, che riconoscerete vera, se non adesso, almeno all’ora di morte: l’avarizia ha messo radice nel vostro cuore, togliete quella pianta maledetta e non vi rincrescerà più di far elemosina, sarete contento anzi, di farla, e diventerà la vostra gioia. — “Ah! dite voi, ma se io non ho niente, nessuno mi dà nulla. „ — Nessuno vi dà nulla? Ma, e da chi viene tutto quello che possedete? Non viene dalla mano di Dio che ve lo ha dato, a preferenza di tanti altri che sono poveri e molto meno peccatori di voi? Pensate dunque a Dio …. Volete dare qualche cosa di più, date: avrete in tal guisa la bella sorte di redimere i vostri peccati facendo al tempo stesso del bene al vostro prossimo. Sapete, M. F., perché non abbiamo nulla da dare ai poveri, e perché non siamo mai contenti di quello che possediamo? Non avete di che fare elemosina, ma avete pur modo di comprar terreni. Avete sempre paura che vi manchi la terra sotto i piedi; ma aspettate di aver qualche metro di terra sul capo e sarete soddisfatto. – Non è vero, o padre di famiglia, che avete nulla da dare in elemosina; ma avete denaro per comprar terreni? Dite piuttosto che, l’andar salvi ovvero dannati non vi importa gran che; vi basta che la vostra cupidigia sia soddisfatta. Amate d’ingrandirvi, perché i ricchi sono onorati e rispettati, mentre i poveri sono disprezzati. Non è vero, o madre, che non avete nulla da dare ai poveri, ma bisogna poi provvedere ornamenti di vanità alle vostre figliuole, comprare fazzoletti di pizzo, fare portare ad esse collane a quattro file, orecchini, catenelle, vezzi? — “Ah! mi direte voi, se le lascio portare questi ornamenti non domando niente a nessuno; sono cose necessarie; non inquietatevi per questo.,, — Buona mamma, ve lo dico solo di passaggio, perché nel giorno del giudizio vi rammentiate che ve l’ho detto: non domandate nulla a nessuno, è vero; ma vi dirò che per questo non siete meno colpevole, anzi siete ugualmente colpevole che se trovaste un povero per via e gli toglieste il poco denaro che ha. — “Ah! Mi direte voi, se spendo quel denaro pei miei figli, so io quanto mi costa. „ — Ed io vi dirò ancora, sebbene non vogliate riconoscerlo: voi siete colpevole agli occhi di Dio, e questo basta per dannarvi. E se mi domandate perché, vi rispondo così: perché i vostri beni non sono che un deposito affidato da Dio alle vostre mani; tolto ciò che è necessario a voi e alla vostra famiglia, il resto è dovuto ai poveri. Quanti hanno denaro e lo tengono chiuso, mentre tanti poveri muoiono di fame! Quanti altri hanno grande abbondanza di abiti, mentre tanti sventurati soffrono il freddo! Ma, forse voi siete a servizio e non avete nulla da dare in elemosina; non possedete che il vostro stipendio? Ah! se lo voleste, potreste anche voi aver mezzo di far elemosina: lo trovate pure il denaro per trarre le fanciulle al mal fare, per andare all’osteria o al ballo. — Ma direte voi, noi siamo poveri, abbiamo appena di che vivere.„ — Ma, cari miei, se il giorno della sagra faceste meno spese, avreste qualche cosa da dare ai poveri. Quante volte siete andati a Villefranche per puro divertimento senza aver nulla da fare; o a Montmerle, o altrove. Fermiamoci qui, la verità è troppo chiara e scottante e l’andare più oltre potrebbe irritarvi. –  Ah! F. M., se i Santi avessero fatto come noi non avrebbero avuto di che fare elemosina; ma perché  sapevano quanto bisogno avevano di farla, risparmiavano quanto potevano a questo scopo e avevano sempre qualche cosa in serbo. – E poi, o F . M., non ogni carità si fa con il denaro. Potete andare a visitare un infermo, a tenergli per qualche ora compagnia, fargli qualche servizio, rifare il suo letto o apparecchiargli i rimedi, consolarlo nelle sue sofferenze, fargli una devota lettura. Tuttavia debbo rendervi questa giusta testimonianza che, generalmente, voi amate di far elemosina ai poveri e li compatite. Ma ciò che mi tocca di osservare si è che pochissimi la fanno in maniera da meritarne la ricompensa; ed eccone il perché: gli uni fanno l’elemosina ai poveri per essere stimati persone dabbene; gli altri per compassione e perché sono mossi dall’altrui miseria; altri poi perché li amano, perché son buoni, perché applaudono alla lor maniera di vivere; altri forse perché ne ricevono o almeno ne sperano qualche servizio. Ebbene, F. M., tutti coloro che nel fare elemosina non hanno che queste mire, non possiedono le condizioni richieste perché l’elemosina sia meritoria. Ve ne sono di quelli che a certi poveri, pei quali nutrono una certa genialità, darebbero quanto posseggono, mentre per gli altri hanno un cuore crudele. – Comportarsi a questo modo, o M. F., è fare quello che fanno i pagani, i quali, malgrado le loro opere buone, non andranno salvi. Ma, penserete tra voi, come deve dunque farsi l’elemosina perché sia meritoria? M. F., eccovelo in due parole; ascoltatemi attentamente: dobbiamo avere in mira in tutto ciò che facciamo di bene a vantaggio del nostro prossimo, di piacere a Dio che ce lo comanda, e di salvare le nostre anime. Ogni volta che la vostra elemosina non è accompagnata da queste pie intenzioni, l’opera buona che fate è perduta pel cielo. Questa è la ragione che ci spiega perché pochissime opere buone ci accompagneranno dinanzi al tribunale di Dio; perché, cioè, le facciamo con spirito puramente umano. Amiamo di essere ringraziati e che si parli di quel che abbiam fatto, che ci si ricambi con qualche servizio, e ne parliamo volentieri anche noi per far vedere che siamo persone caritatevoli. Poi abbiamo delle preferenze; ad alcuni diamo senza misura, ai invece e non vogliamo dar nulla; anzi li disprezziamo. – Badiamo bene, o M. F., quando non vogliamo o non possiamo soccorrere i poveri, badiamo bene di non disprezzarli, perché sprezzeremmo Gesù Cristo medesimo. Quel poco che diamo, diamolo con buon cuore, colla intenzione di piacere a Dio e di redimere i nostri peccati. Chi possiede schietta carità non ha preferenze; dà ai nemici come agli amici, a tutti egualmente, colla stessa ilarità e con la stessa sollecitudine. Se fosse il caso di fare qualche preferenza, si dovrebbe piuttosto fare elemosina a quelli che ci hanno fatto qualche dispiacere. Così faceva S. Francesco di Sales. – Vi sono alcuni che se hanno fatto del bene ad una persona e poi questa ha recato loro malcontento, le rinfacciano subito i servigi che le hanno reso. Sbagliate facendo così e perdete tutto il merito della vostra opera buona. Ma, e non ricordate che quella persona vi aveva chiesto aiuto in nome di Gesù Cristo e che voi glielo avete dato per piacere a Dio e redimere i vostri peccati? Il povero è strumento di cui Dio si serve per farvi quel bene, e null’altro. Anche questa è insidia che il demonio vi tende, e tende a un gran numero d’anime: farci tornare alla mente le nostre opere buone per farci compiacere vanamente in esse, e perdere così tutto il merito. Quando il demonio ce le mette dinanzi alla memoria, bisogna rigettarne subito il ricordo come un cattivo pensiero. Che cosa dobbiamo concludere da tutto questo, o F. M.? Ecco: che l’elemosina ha sì gran pregio agli occhi di Dio ed è così efficace per attirare le misericordie divine, da sembrare quasi che ci dia sicurezza di salute. Bisogna fare elemosina, quanto possiamo, finché viviamo su questa terra; saremo sempre abbastanza ricchi se riusciremo a piacere a Dio e a salvare la nostra anima. Ma bisogna farla con intenzioni interamente pure; cioè tutto per Iddio e niente pel mondo. Saremo pur fortunati se avremo la buona sorte, che, tutte le elemosine da noi fatte quaggiù, ci accompagnino dinanzi al tribunale di Gesù Cristo per aiutarci a guadagnare il paradiso. Questa felicità io vi desidero.

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: SULLE TENTAZIONI

[DISCORSI DI SAN G. B. M. VIANNEY CURATO D’ARS

Vol. II, ed. Ed. Marietti, Torino-Roma, 1933]

Sulle tentazioni.

Jesus ductus est in desertum a Spiritu, ut tentaretur a diabolo.

(MATTH. IV, 1).

Che Gesù Cristo, Fratelli miei, abbia scelto il deserto per farvi orazione, non deve recarci meraviglia; la solitudine era la sua delizia! che poi lo Spirito Santo ve lo abbia condotto, questo deve sorprenderci ancor meno; giacché il Figlio di Dio non poteva avere altra guida che lo Spirito Santo. Ma che sia stato tentato dal demonio; che più volte sia stato portato da questo spirito delle tenebre, chi oserebbe crederlo se non fosse Gesù Cristo medesimo che ce lo dice per bocca di S. Matteo? Eppure, o M. F., anziché fare meraviglie, noi dovremmo invece rallegrarci e ringraziare senza fine il nostro buon Salvatore, che volle essere tentato solo per meritarci vittoria nelle nostre tentazioni. Quanto siamo fortunati, o F. M.! Dal giorno in cui il nostro caro Salvatore si è sottoposto alla tentazione, per vincere le nostre, a noi non manca altro che la buona volontà. – Ecco, M. F., i grandi vantaggi che noi ricaviamo dalla tentazione del Figliuol di Dio. Ed ecco l’argomento mio; vorrei dimostrarvi:

1° Che la tentazione ci è assai necessaria per farci conoscere ciò che siamo;

2° Che noi dobbiamo temere molto le tentazioni; perché il demonio è assai furbo e astuto; e perché una sola tentazione può bastare a piombarci nell’inferno, se noi abbiamo la disgrazia di acconsentirvi;

3° Che dobbiamo combattere fortemente sino alla fine; perché solo a questa condizione conquisteremo il cielo.

Se io volessi provarvi, o F. M., che esistono i demoni e che essi ci tentano, bisognerebbe pensare ch’io parlassi a un popolo idolatra o pagano, o almeno a Cristiani avvolti nella più profonda e deplorevole ignoranza; bisognerebbe dire ch’io sono convinto che voi non avete mai studiato il catechismo. Quando fanciulli vi si domandava: Tutti gli angeli sono rimasti fedeli a Dio? Non è vero che voi tosto rispondevate: No; una parte si è ribellata a Dio, è stata cacciata dal paradiso e precipitata nell’inferno? E quando si continuava a chiedervi: Che cosa fanno gli angeli ribelli? Subito, non è vero, che soggiungevate: Essi lavorano a tentare gli uomini, e fanno ogni sforzo per trascinarli al male? Ma io possiedo di questa verità altre prove, e ancor più convincenti. Voi sapete che fu il demonio che tentò i nostri progenitori nel paradiso terrestre, dove riportò la prima vittoria, vittoria che lo rese così ardito e orgoglioso. – Fu il demonio che tentò Caino e lo trascinò a uccidere il fratello Abele. Nell’antico Testamento leggiamo che il Signore disse al demonio: “Donde vieni? „ ed esso rispose: “Ho fatto il giro del mondo; „ (Job. I, 7) prova ben chiara è questa, o M. F., che il demonio gira la terra a fine di tentarci. Leggiamo nel Vangelo che Maddalena avendo confessato a Gesù Cristo i suoi peccati, uscirono da lei sette demoni (Luc. VIII, 2). Vediamo altresì in altro luogo del Vangelo che lo spirito immondo, uscito da un uomo, esclama: “Vi tornerò con altri demoni peggiori di me. „ (Ibid. VI, 26). Ma non è questo, F. M., che vi è più necessario di sapere; di tutto ciò nessuno di voi dubita. Quello che a voi maggiormente gioverà, si è conoscere in qual maniera il demonio possa tentarvi. Per ben persuadervi della necessità di respingere le tentazioni, domandate a tutti i Cristiani dannati, perché mai si trovino nell’inferno, essi che erano creati pel cielo: e ad una voce vi risponderanno che, essendo stati tentati, hanno accondisceso alla tentazione. Domandate pure a tutti i Santi che regnano in cielo, che cosa ha procurato loro tanta felicità, e tutti vi soggiungeranno: Fu perché, essendo tentati, abbiamo, con la grazia di Dio, resistito alla tentazione e disprezzato il tentatore. Ma chiederete, forse: Che cosa è dunque la tentazione? Eccolo, miei cari; ascoltate bene, e vedrete e intenderete. Siete tentati ogni volta che vi sentite portati a fare una cosa che Dio proibisce, o a non compiere ciò che Egli comanda. Dio vuole che facciate bene le vostre preghiere, mattina e sera, in ginocchio, con devozione. Dio vuole che passiate santamente il giorno della Domenica nella preghiera, cioè assistendo a tutte le funzioni (A tutte le funzioni, cioè alla Messa, è un precetto della Chiesa, e alle altre funzioni, il Vespro, la spiegazione della dottrina cristiana, pratiche consigliate e utili assai) e astenendovi da ogni lavoro. Dio vuole che i figli abbiano grande rispetto pel padre e per la madre, e i servi pei loro padroni. Dio vuole che amiate tutti e facciate del bene a tutti, anche ai vostri nemici; che non mangiate carne nei giorni proibiti; che vi diategrande premura di apprendere i vostri doveri; che perdoniate sinceramente a chi vi ha fatto qualche torto. Dio vuole che non pronunciate mai bestemmie, maldicenze, calunnie, parole sconce; che non facciate mai cose brutte. Questo lo capite facilmente. Ebbene. Se non ostante che il demonio vi tenti di fare ciò che Dio proibisce, voi non lo fate, vuol dire che non cedete alla tentazione; se invece lo fate, allora acconsentite e soccombete. – Sapete, o F . M., perché il demonio lavora con tanto furore per trascinarci al male? Perché non potendo offendere Dio egli stesso, vuol farlo offendere dalle altre creature. Ma quanto siamo fortunati noi, o M. F.! Che bella sorte è la nostra di avere per nostro modello un Dio! Se siamo poveri, abbiamo per modello un Dio che nasce in una stalla ed è adagiato in una mangiatoia su di un po’ di paglia. Se siamo disprezzati, abbiamo per modello un Dio che ci precede, coronato di spine, coperto d’un vile manto di porpora e trattato da pazzo. Se soffriamo, abbiamo per modello un Dio tutto coperto di piaghe che muore della morte più dolorosa che mai possa immaginarsi. Se siamo perseguitati, oseremo noi lamentarci, o M. F., noi che abbiamo per modello un Dio che muore pe’ suoi carnefici? E se siamo tentati dal demonio, noi abbiamo per modello il nostro amabile Redentore, che fu tentato dal demonio e due volte trasportato da questo spirito infernale. Sicché, o M. F., in qualunque stato di sofferenze, di pene o di tentazioni ci sia dato trovarci, dovunque e sempre, abbiamo il nostro Dio che ci precede e ci assicura la vittoria ogni volta che lo desideriamo. – Ecco, F . M., ciò che deve grandemente consolare il Cristiano: il pensiero che ogni qualvolta nella tentazione ricorrerà a Dio, sarà certo di non soccombere.

I. — Ho detto che la tentazione era a noi necessaria per farci conoscere che da noi stessi siamo nulla. S. Agostino ci insegna che dobbiamo ringraziare Dio pei peccati da cui ci ha preservati, come per quelli che ebbe la bontà di perdonarci. Abbiamo così spesso la disgrazia di cadere nei lacci del demonio, perché confidiamo troppo nelle nostre risoluzioni e nelle nostre promesse, e non abbastanza in Dio. Ciò che è verissimo. Quando nulla ci affanna e tutto va a seconda dei nostri desideri, noi osiamo credere che nulla sarà capace di farci cadere; dimentichiamo il nostro nulla, la nostra povertà e debolezza; facciamo le più belle proteste d’essere pronti a morire piuttosto che lasciarci vincere. Ne abbiamo un esempio in S. Pietro, che diceva al Signore: “Quand’anche tutti gli altri vi rinnegassero, io non lo farò mai„ (Matt. XXVI, 33). Ahimè! Dio per mostrargli quanto poca cosa è l’uomo, abbandonato a se stesso, non ha adoperato né re né principi, né armi; ma si servì della voce d’una fantesca, che parlando non sembrava interessarsi troppo di lui. Poco prima si diceva pronto a morire per Gesù, ora afferma che non lo conosce, che non sa di chi gli si voglia parlare; e per meglio assicurare che non lo conosce, giura. – Mio Dio, di che cosa siamo capaci abbandonati a noi stessi! Vi sono certuni, i quali, a quanto dicono, sembrano invidiare i Santi, che han fatto grandi penitenze; e sono convinti di potere anch’essi fare altrettanto. Leggendo la vita dei martiri noi ci sentiamo pronti a soffrire ogni cosa per Iddio. Un breve istante di patire è subito passato, diciamo noi; poi viene un’eternità di ricompensa. E che fa il buon Dio, perché ci possiamo conoscere un poco, o meglio, per mostrarci che noi siamo nulla? Eccovelo: permette al demonio di accostarsi un po’ più a noi. E allora osservate quel Cristiano, che poco fa sembrava portare invidia ai solitari che si cibano di radici e d’erbe, e che risolveva di trattare sì duramente il suo corpo; ohimè! un leggero dolor di capo, una puntura di spillo gli cava lamenti, per un nonnulla, si affligge e strilla. Poco fa avrebbe voluto fare tutte le penitenze degli anacoreti, ed ora per una cosa da nulla si dispera. Osservate quest’altro che sembra pronto a dare pel Signore la sua vita; i più duri tormenti non parrebbero capaci di arrestarlo; invece una piccola maldicenza, una calunnia, un trattamento alquanto freddo, un leggero torto ricevuto, un beneficio ricambiato con ingratitudine fanno sorgere tosto nel suo animo sentimenti di odio, di vendetta, d’avversione, a tal segno, spesse volte, che non vuol più fermare il suo sguardo su chi lo ha offeso, o almeno lo guarda con freddezza, con un occhio il quale mostra chiaro ciò che egli porta in cuore. E quante volte svegliandosi di notte questo è il suo primo pensiero, pensiero che non lo lascia dormire. Ah! M. F., come è vero che noi siamo poca cosa e che dobbiamo fare ben poco assegnamento sulle nostre belle risoluzioni! Voi vedete dunque ora quanto sia necessaria la tentazione per persuaderci del nostro nulla, e perché l’orgoglio non finisca di dominarci. Sentite che cosa diceva S. Filippo Neri. Considerando egli quanto siamo deboli e nel pericolo di perderci ad ogni momento, così supplicava il buon Dio piangendo : “Mio Dio, tenetemi la vostra mano sul capo; voi sapete ch’io sono un traditore; voi conoscete quanto sono cattivo; se mi abbandonate un solo istante temo di tradirvi. „ Ma dentro di voi penserete, forse, che le persone più tentate siano gli ubbriaconi, i maldicenti, i viziosi, che si gettano a corpo perduto nelle brutture, gli avari, che rubano in mille modi. No, M. F., non sono costoro i più tentati: questi il demonio li disprezza e non li molesta, per timore che non facciano tutto il male che egli vorrebbe; giacché più essi vivranno e maggior numero di anime i loro cattivi esempi trascineranno all’inferno. Infatti se il demonio avesse stimolato con forti tentazioni quel vecchio vizioso, spingendolo in tal modo ad abbreviarsi la vita di quindici o vent’anni, egli non avrebbe tolto il fiore della verginità a quella giovinetta, immergendola nel fango più vergognoso dell’impudicizia; non avrebbe sedotto quella donna, insegnata la malizia a quel giovinetto, che nel male durerà forse fino alla morte. Se il demonio avesse spinto quel ladro a rubare ad ogni occasione, già da tempo avrebbe finito i suoi giorni sul patibolo e non avrebbe indotto il suo vicino a imitarlo. Se il demonio avesse tentato quell’ubbriacone a bere sempre senza misura, da lungo tempo egli sarebbe morto per le sue crapule; mentre avendo avuto prolungata l’esistenza, ha potuto indurre altri a rassomigliargli. Se il demonio avesse tolta la vita a quel sonatore, a quel promotore di balli, o a quell’oste, in una partita di divertimento o in altra occasione; quanti, senza di costoro, non si sarebbero perduti, e invece si danneranno! S. Agostino ci insegna che il demonio non li molesta troppo costoro, anzi li disprezza. – Ma, direte voi, chi sono i più tentati? Miei cari, ascoltatemi attentamente. I più tentati sono coloro che, con la grazia di Dio, sono pronti a sacrificar tutto per salvare la loro anima; e che rinunciano a tutto ciò che sulla terra è desiderato con tanta avidità. E costoro non sono tentati da un demonio solo, ma da migliaia, che si rovesciano su di essi per farli cadere nei loro lacci. Eccone un bell’esempio. Si racconta nella storia che san Francesco d’Assisi stava con tutti i suoi religiosi in un gran campo, dove aveva costrutte piccole capanne di giunco. Vedendo che i suoi frati facevano penitenze assai straordinarie, san Francesco ordinò loro di raccogliere tutti i cilizi, e se ne fecero parecchi mucchi. V’era un giovane, a cui Dio in quel momento fece la grazia di poter vedere il suo Angelo custode. Da un lato vedeva quei buoni religiosi che non sapevano stancarsi di far penitenza, dall’altro il suo Angelo custode gli fece vedere un’accolta di diciotto mila demoni, che tenevano consiglio per trovar modo di far cadere quei religiosi con la tentazione. Ce ne fu uno che disse: “Voi non capite nulla. Questi frati sono così umili, così distaccati da se medesimi, così uniti a Dio, hanno un superiore il quale li guida sì bene, che è impossibile poterli vincere: aspettiamo che il superiore sia morto; allora cercheremo di farvi entrare giovani senza vocazione, che vi porteranno il rilassamento, e a questa maniera saranno nostri.„ Un po’ più lontano, all’ingresso della città, vide un demonio solo che stava seduto presso la porta per tentare quelli che erano dentro. Quel santo giovane domandò al suo Angelo custode, perché a tentare quei religiosi vi erano tante migliaia di demoni, mentre per un’intera città ve n’era un solo, e per giunta se ne stava seduto? E l’Angelo gli rispose che le persone del mondo non avevano neppur bisogno di tentazione, perché da se stesse si lasciavano andare al male; mentre i religiosi rimanevano fermi nel bene, malgrado tutti gli agguati del demonio e tutta la guerra che poteva contro di essi ingaggiare. – Ed ora, eccovi, F. M., la prima tentazione che il demonio muove a chi si è messo a servire meglio il Signore: il rispetto umano. Per tal guisa questa persona non ha più il coraggio di mostrarsi; si nasconde a quelli coi quali si era prima divertita; se le si dice che ha fatto un gran cambiamento, ne prova vergogna. Il pensiero di ciò che diranno gli altri l’angustia sempre, e la riduce a non aver più la forza di fare il bene dinanzi al mondo. Se il demonio non può vincerla col rispetto umano, fa nascere in lei uno straordinario timore: che le sue confessioni non sono ben fatte, che il confessore non la conosce, che ella potrà ben adoperarsi, ma si dannerà ugualmente, che per lei, il lasciar tutto o continuare la sua via, vale lo stesso, giacché ha troppe occasioni di cadere. Perché mai avviene, o F. M.. che una persona quando non pensa a salvare l’anima propria e vive nel peccato, non è affatto tentata? mentre appena vuol mutar vita, cioè desidera di tornare a Dio, tutto l’inferno le si rovescia addosso? – Sentite ciò che insegna S. Agostino: “Ecco, egli dice, come si comporta il demonio col peccatore; egli agisce alla guisa stessa di un carceriere, il quale tiene parecchi prigionieri chiusi in carcere, ma avendo la chiave in tasca, non si dà cura di loro, persuaso che essi non possono fuggire. Così fa il demonio con un peccatore, che non pensa a uscire dal suo peccato; non si dà briga di tentarlo — sarebbe questo tempo perso, perché quello sventurato non solo non pensa ad abbandonare il peccato, ma rende sempre più pesanti le sue catene. Sarebbe dunque cosa inutile il tentarlo, e lo lascia vivere in pace; se pure è possibile goder pace quando si è in peccato. Gli nasconde, quanto può, il suo stato fino all’ora della morte, e in quel momento lavora a fargli la più spaventosa descrizione della sua vita, per piombarlo nella disperazione. Ma con una persona che ha risolto di cambiar vita e di darsi a Dio, egli usa un contegno ben diverso. „ Finché S. Agostino menò una vita disordinata, egli quasi non conobbe che cosa fosse la tentazione. Si credeva in pace, come racconta egli medesimo; ma dal momento che stabilì di voltare le spalle al demonio dovette lottare con esso con ogni accanimento durante cinque anni, usando contro di lui le lagrime più amare e le penitenze più austere. – Mi dibattevo con esso, egli scrive, oppresso dalle mie catene. Oggi mi credevo vincitore, domani giacevo steso a terra. Questa guerra crudele ed accanita durò cinque anni. Pure Dio mi fece la grazia di superare il nemico. Rammentate altresì le lotte che ebbe a sopportare S. Gerolamo, quando volle consacrarsi a Dio e risolvette di visitare la Terra Santa. Vivendo in Roma egli aveva concepito il desiderio di lavorare alla propria salvezza: perciò, lasciata quella città andò a seppellirsi in un orrido deserto per darsi liberamente a tutto ciò che il suo amore per Iddio poteva suggerirgli. E il demonio, che prevedeva quante conversioni quella risoluzione generosa avrebbe prodotte, sembrò scoppiare di dispetto e non gli risparmiò alcuna tentazione. Io penso che nessun altro santo sia stato tentato più fortemente di lui. Ecco come si esprimeva scrivendo a persona amica: “Mio caro, voglio mettervi a conoscenza delle mie afflizioni e dello stato a cui il demonio vuol ridurmi. Quante volte in questa solitudine, resa insopportabile dall’ardore del sole, quante volte il ricordo dei piaceri di Roma è venuto ad assalirmi; il dolore e l’amarezza, di cui l’anima mia è ricolma, mi fanno versare giorno e notte torrenti di lacrime. Mi nascondo nei luoghi più remoti per lottare contro le tentazioni e piangere i miei peccati. Il mio corpo è tutto sfigurato e coperto di ruvido cilicio. Mio letto è la nuda terra, ed anche nelle malattie radici ed acqua formano il mio nutrimento. E non ostante questi rigori, la mia carne risente ancora le impressioni dei piaceri che disonorano Roma; la mia memoria ritorna ancora fra quelle gioviali compagnie, fra le quali ho tanto offeso Dio. In questo deserto, al quale mi sono volontariamente condannato per evitare l’inferno, fra queste rocce tetre, dove sono unica mia compagnia gli scorpioni e le bestie feroci, malgrado tutto l’orrore che mi circonda e mi spaventa, la fantasia mi riscalda di fuoco impuro il corpo già presso a morire; il demonio osa ancora offrirmi piaceri da godere. Vedendomi così umiliato da tentazioni, il cui solo pensiero mi fa morire di orrore, non sapendo più a quale penitenza assoggettare il mio corpo per tenerlo attaccato a Dio; mi getto a terra, a’ pie del mio Crocifisso, irrigandolo di lacrime; e, quando non posso più piangere, afferro una pietra, mi batto il petto fino a far uscire sangue dalla bocca; e invoco misericordia, fintantoché il Signore abbia pietà di me. Chi potrà comprendere in quale stato infelice io mi trovo, io che desidero ardentemente di piacere a Dio e di non amare che lui solo? Vedendomi continuamente eccitato a offenderlo, quale dolore ne risento! Soccorretemi, amico caro, coll’aiuto delle vostre preghiere; perché io sia più valente a respingere il demonio, che ha giurato di perdermi eternamente.

„ (Epist. 22 ad Eustoch.). – Ecco, F. M., i combattimenti ai quali Dio permette che i grandi Santi siano sottoposti. Ah! miei cari, siamo ben degni di compassione, se non siamo aspramente combattuti dal demonio. Stando alle apparenze dovremmo dire che siamo amici del demonio; egli ci lascia vivere in una falsa pace, ci ha addormentati col pretesto che abbiamo fatto qualche buona preghiera, alcune elemosine e che abbiamo fatto meno male di tanti altri. Infatti se voi chiedete a quell’assiduo frequentatore d’osterie, se il demonio lo tenta; vi risponde semplicemente di no, e che nulla lo inquieta. Domandate a quella giovane vanitosa, quali assalti le muove il demonio; ella ridendo vi risponderà: Nessuno; e vi dirà che ella non sa che cosa voglia dire essere tentata. Ecco, F. M., qual è la tentazione di tutte più terribile: il non essere tentati; ecco la condizione di coloro che il demonio tiene in serbo per l’inferno. E se non credessi di essere troppo audace, potrei anche dirvi che il demonio si guarda bene dal tentarli o dal disturbarli, riguardo alla loro vita passata, per timore che aprano gli occhi sui loro peccati. Ripeto dunque, F. M., che la maggiore sventura per un Cristiano è il non essere tentato, perché c’è motivo di credere che il demonio lo consideri come cosa sua, e aspetti soltanto la morte per trascinarlo nell’inferno. Ed è facile capirlo. Osservate un Cristiano che si dà qualche pensiero della sua salvezza: tutto ciò che lo attornia è per lui stimolo al male; spesso non può nemmeno levar gli occhi senza sentirsi tentato, non ostante le sue preghiere e le sue austerità; invece un vecchio peccatore, che forse da vent’anni s’avvoltola e si trascina nelle lordure, vi affermerà che non è tentato. Tanto peggio, o cari, tanto peggio. Questo deve appunto farvi tremare: il non conoscere le tentazioni; perché il dire che non siete tentati, è come se diceste che il demonio non c’è più, o che ha perduto tutta la sua rabbia contro i Cristiani. “Se voi non avete tentazioni, dice S. Gregorio, questo avviene perché i demoni sono vostri amici, vostra guida e vostri pastori; ora vi lasciano passare in pace la vostra povera vita, alla fine dei vostri giorni vi trascineranno negli abissi. „ S. Agostino ci dice che la più grande tentazione è quella di non avere tentazioni — perché è lo stesso che essere riprovato, abbandonato da Dio e lasciato alla mercè delle proprie passioni.

II. — Ho detto in secondo luogo che la tentazione ci è assolutamente necessaria per mantenerci umili e diffidenti di noi stessi, e per obbligarci a ricorrere a Dio. Leggiamo nella storia che un solitario, essendo estremamente tentato, il Superiore gli disse: “Volete che preghi Iddio perché vi liberi dalle vostre tentazioni? No, padre, rispose il monaco, questo fa sì che io non perda mai la presenza di Dio; giacché io ho sempre bisogno di ricorrere a lui, perché m’aiuti a lottare. „ Frattanto, o F. M., possiamo dire che, quantunque sia umiliante l’essere tentati, pure è segno certo che siamo sulla strada del cielo. Non ci rimane che una cosa da fare: combattere con coraggio, perché la tentazione è tempo di raccolta; ed eccone un bell’esempio. Leggiamo nella storia che una santa era da così gran tempo tormentata dal demonio, che si credeva dannata. Iddio le apparve per consolarla, e le disse che ha maggiormente guadagnato meriti durante quella prova, che non in tutto il resto di sua vita. S. Agostino ci dice che, senza le tentazioni, tutto ciò che facciamo avrebbe scarso merito. Invece di affliggerci quando siamo tentati, dobbiamo ringraziare il Signore, e lottare con coraggio, perché siamo sicuri d’essere sempre vittoriosi. Mai Dio permetterà al demonio di tentarci al disopra delle nostre forze. – Una cosa certa poi, o F. M., è questa: che noi dobbiamo, cioè, aspettare che la tentazione finisca con la nostra morte. Il demonio, che è uno spirito, non si stanca mai; dopo averci tentato, durante cento anni, egli è ancora così forte e così furioso come se ci assalisse la prima volta. Non dobbiamo assolutamente credere di poter vincere il demonio e fuggirlo in modo da non essere più tentati; poiché il grande Origene dice che i demoni sono assai più numerosi degli atomi che volteggiano nell’aria e delle gocce d’acqua che compongono il mare; il che vuol significare che sono sterminati di numero. S. Pietro ci dice: “Vigilate continuamente perché il demonio si aggira attorno a voi, come un leone, cercando alcuno da divorare. „ (I Piet. V, 8) E Gesù Cristo in persona ci dice: “Pregate senza interruzione per non cedere alla tentazione „ (Matt. XXVI, 41), il che vuol dire che il demonio ci aspetta dappertutto. Inoltre dobbiamo attenderci d’essere tentati in qualunque luogo e in qualunque stato ci troviamo. Vedete quel sant’uomo, che era tutto coperto di piaghe e quasi fetente: il demonio non cessò di tentarlo per corso di sette anni: S. Maria Egiziaca fu tentata per diciannove anni; S. Paolo per tutta la sua vita, cioè dal momento in cui si convertì a Dio. S. Agostino per consolarci dice che il demonio è un cane legato alla catena, che abbaia, fa gran rumore, ma non morde se non coloro che gli si accostano troppo. Un santo sacerdote trovò un giovane molto agitato e gli chiese perché s’inquietasse così: “Padre mio, rispose, temo di essere tentato e di soccombere. — Vi sentite tentato? soggiunse il sacerdote; fate un segno di croce, elevate il cuore a Dio ; se il demonio continua, continuate anche voi, e sarete sicuro di non macchiare l’anima vostra. „ Vedete ciò che fece S. Macario, il quale andando in cerca di ciò che gli occorreva per fare stuoie, incontrò per via un demonio con una falce infuocata che gli correva addosso quasi per ucciderlo. S. Macario, senza scomporsi, alzò il cuore a Dio. E il demonio andò in sì gran furore che esclamò: “Ah! Macario quanto mi fai soffrire per non poterti maltrattare. Però quello che tu fai lo faccio anch’io; se tu vegli, io non dormo punto; se tu digiuni, io non mangio mai; una cosa sola tu hai e della quale io manco. Il santo gli domandò che cosa fosse; e il demonio dopo avergli risposto: l’umiltà; sparì.„ Sì, P. M., pel demonio l’umiltà è una virtù formidabile. Perciò vediamo che S. Antonio, quando era tentato, non faceva che umiliarsi profondamente, dicendo al Signore: – Mio Dio, abbiate pietà di questo grande peccatore: e il demonio prendeva la fuga.

III. — Ho detto in terzo luogo che il demonio si scatena contro quelli, che hanno veramente a cuore la loro salvezza, e li perseguita continuamente, accanitamente; sempre nella speranza di vincerli. Eccovene un bell’esempio. Si racconta che un giovane solitario, già da parecchi anni aveva lasciato il mondo per non pensare che a salvare l’anima sua. Il demonio concepì contro di lui per questa risoluzione tale furore che quel giovane credette di essere vicino a precipitare nell’inferno. Cassiano, che riferisce il fatto, racconta che il solitario, essendo tormentato da tentazioni impure, dopo molte lacrime e penitenze, pensò di andare a visitare un vecchio monaco, per averne consolazione; sperando che gli suggerirebbe rimedi per meglio vincere il nemico; e specialmente per raccomandarsi alle sue preghiere. Ma la cosa ebbe ben diverso risultato. Quel vecchio, che aveva passata quasi tutta la sua vita senza lotte, invece di consolare il giovane solitario, mostrò grandissima sorpresa ascoltando il racconto delle sue tentazioni, lo rimproverò aspramente, gli rivolse parole dure, chiamandolo infame, sciagurato, e dicendogli che era indegno del nome di solitario, perché gli accadevano simili cose. Il povero giovane se ne andò così desolato che si credette perduto e dannato; e s’abbandonò alla disperazione. Diceva tra sé: “Giacché sono dannato, non v’è bisogno ch’io resista o combatta; m’abbandonerò a tutto quello che il demonio vorrà; eppure Dio sa che io ho lasciato il mondo unicamente per amare lui e salvare l’anima mia. Perché, o Signore, esclamava egli nella sua disperazione, mi avete dato così poche forze? Sapete eh? Voglio amarvi, che sento tanto dispiacere e rammarico di disgustarvi, perché dunque non mi date la forza, perché lasciate che io debba cadere? Giacché per me tutto è perduto, e non ho più mezzo di salvarmi, tornerò nel mondo. „ – Mentre così disperato era in procinto di abbandonare il suo ritiro, Dio fece conoscere lo stato dell’anima sua ad un santo abate, di nome Apollo, che godeva grande fama di santità. Questi gli andò incontro, e vedendolo così turbato, fattosi vicino a lui, con grande dolcezza gli chiese che cosa avesse e quale fosse la causa del suo turbamento e della tristezza che gli appariva in volto. Ma il povero giovane era così profondamente concentrato ne’ suoi pensieri, che non rispose nulla. Il santo abate che vedeva l’agitazione dell’anima di lui lo sollecitò tanto perché gli confidasse che cosa lo agitava, per qual motivo egli era uscito dalla sua solitudine, e qual fosse lo scopo del suo viaggio, che il giovane vedendo come il suo stato fosse palese a quel santo abate, sebbene egli lo celasse quanto poteva, versando lagrime in grande abbondanza, e mandando singhiozzi i più commoventi, gli rispose: Torno al mondo perché sono dannato: io non ho più speranza di potermi salvare. Sono stato a trovare un vecchio religioso ed egli è rimasto scandalizzato della mia vita. Giacché io sono tanto sventurato da non poter piacere a Dio, ho deciso di abbandonare la mia solitudine per ritornare al mondo, dove mi abbandonerò a tutto ciò che il demonio vorrà. Eppure ho sparso tante lacrime, perché non vorrei offendere Dio. Volevo salvarmi; facevo volentieri penitenza; ma non ho forza abbastanza e non andrò più innanzi. „ Il santo abate ascoltandolo parlare e vedendolo piangere così, gli rispose mescolando a quelle del giovane le sue lacrime: “Amico mio, ma non vedete che ben lungi dall’aver offeso Dio, voi, al contrario, perché siete a lui accetto, siete stato così fortemente tentato? Consolatevi, mio caro, e ripigliate coraggio; il demonio vi crederà vinto, ma invece voi lo vincerete; tornate, almeno fino a domani, nella vostra cella. Non perdete il coraggio: io stesso sono al pari di voi tentato ogni giorno. Non dobbiamo contare sulle nostre forze, ma sulla misericordia di Dio: vi aiuterò a vincere pregando con voi. Amico mio, il Signore è tanto buono che non ci abbandona al furore dei nostri nemici senza darci la forza per vincerli; è Dio, sapete, che mi manda per dirvi di non perdervi di coraggio, che sarete liberato. „ Il povero giovane tutto consolato, tornò alla sua solitudine abbandonandosi fra le braccia della misericordia divina ed esclamando: “Credevo, o Signore, che voi vi foste ritirato per sempre da me. „ – Frattanto Apollo va vicino alla cella del vecchio monaco, che aveva così male accolto il povero giovane, e si prostra colla faccia a terra dicendo: “Signore, mio Dio, voi conoscete le nostre debolezze, liberate, vi prego, quel giovane dalle tentazioni che lo scoraggiano; voi vedete le lacrime che egli ha sparso pel dolore che aveva di avervi offeso! Fate che questa tentazione passi nello spirito di questo vecchio monaco, perché impari ad avere pietà di quelli, che voi permettete che siano tentati. „ Appena finita la preghiera, vide il demonio sotto la forma di un orrido moretto che lanciava una freccia di fuoco impuro contro la cella del vecchio, il quale, appena ne fu tocco, cadde in una agitazione spaventosa e incessante. Si alzò, uscì, rientrò. Dopo aver fatto per lungo tempo così, pensando che non potrebbe mai vincere, imitò l’esempio del giovane solitario e prese la risoluzione di tornare nel mondo. Essendogli impossibile di resistere al demonio, disse addio alla sua cella e partì. Il santo abate che lo teneva d’occhio senza che egli se n’accorgesse, — Iddio gli aveva ratto conoscere che la tentazione del giovane era passata nello spirito del vecchio, — accostatoglisi. gli domandò dove andasse e perché mai, dimenticando la gravità propria dell’età sua, si mostrasse così agitato; certamente egli aveva qualche inquietudine sulla salvezza dell’anima sua. Il vegliardo s’avvide che Dio gli aveva fatto conoscere ciò che passava dentro il suo spirito. “Tornate indietro, gli disse il santo, e non dimenticate che questa tentazione vi ha assalito nella vostra vecchiaia, perché impariate a compatire le debolezze dei vostri fratelli e a consolarli. Voi avevate scoraggiato quel povero giovane, che era venuto a confidarvi le sue pene; invece di consolarlo eravate in procinto di farlo cadere nella disperazione; senza una grazia straordinaria sarebbe stato perduto. Sapete perché il demonio aveva mosso a quel povero giovane una guerra così crudele e accanita? Perché vedeva in lui grandi disposizioni per la virtù, ciò che gli cagionava una profonda gelosia ed invidia, e perché una virtù così costante non poteva essere vinta che da tentazione assai forte e violenta. Imparate ad aver compassione degli altri ed a stender loro la mano per non lasciarli cadere. Se il demonio vi ha lasciato tranquillo, durante tanti anni di solitudine, questo è avvenuto perché egli vedeva in voi poco di buono; invece di tentarvi, vi disprezza.„ Da questo esempio vediamo che invece di scoraggiarci nelle tentazioni, dobbiamo consolarci ed anche rallegrarcene, poiché sono tentati soltanto quelli, i quali colla loro maniera di vivere, il demonio prevede si guadagneranno il cielo. D’altra parte, o M. F., dobbiamo essere ben persuasi, che è impossibile di piacere a Dio e salvare l’anima senza essere tentati. Vedete Gesù Cristo; dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti fu egli pure tentato e trasportato dal demonio due volte; egli che era la santità in persona. Non so, o F . M., se voi capite bene che cosa sia tentazione. La tentazione non è soltanto un cattivo pensiero di impurità, d’odio e di vendetta che bisogna cacciar via; ma sono pure tentazioni tutte le molestie che ci assalgono, come una malattia in cui ci sentiamo portati a lamentarci, una calunnia che ci strazia, un’ingiustizia commessa a nostro danno, la perdita dei beni, del padre, della madre, d’un figliuolo. Se non ci sottomettiamo di buon animo alla volontà di Dio, cediamo alla tentazione, perché il Signore vuole che sopportiamo tutte queste prove per amor suo; e d’altra parte il demonio fa ogni sforzo per farci mormorare contro Dio. Ed ora eccovi quali sono le tentazioni, che bisogna maggiormente temere, e che conducono a rovina un numero di anime più grande di quel che si creda: sono quei piccoli pensieri di amor proprio, di stima di noi stessi; quei piccoli applausi a tutto quel che facciamo, e a ciò che si dice di noi: noi ravvolgiamo tutto questo nella nostra mente, amiamo vedere le persone alle quali abbiamo fatto del bene, amiamo che pensino a noi e abbiano un buon concetto di noi: ci è caro che qualcheduno si raccomandi alle nostre preghiere, e ci diamo premura di sapere se hanno ottenuto quello che abbiamo domandato a Dio per essi. Sì, M. F . , ecco una delle più ardue tentazioni, e su di essa dobbiamo attentamente vegliare, perché il demonio è astuto; e chiedere ogni mattina a Dio la grazia di essere bene attenti ogni volta che il demonio verrà a tentarci. Perché sì spesso facciamo il male, e vi pensiamo solo dopo che l’abbiamo commesso? – Perché al mattino non abbiamo domandato questa grazia o l’abbiamo domandata male. In fine, o M. F., dobbiamo combattere energicamente, e, non come siamo soliti fare, buttando un bel no in faccia al demonio e nello stesso tempo stendendogli la mano. Mentre S. Bernardo, che si trovava in viaggio, stava riposando in una camera, di notte, una donna di vita allegra venne a fargli visita per sollecitarlo a peccato, — subito egli si mise a gridare “ai ladri „ e quella spudorata fu costretta a ritirarsi. Ritornò per ben tre volte, ma fu ignominiosamente cacciata. Vedete S. Martiniano che una donna di mala vita venne a tentare, S. Tommaso d’Aquino, al quale fu mandata in camera una giovane per farlo cadere: per liberarsene i due santi si appigliarono allo stesso espediente; preso un tizzone acceso le rincorsero e le obbligarono subito a fuggire vergognosamente. Lo stesso S. Bernardo sentendosi tentato andò a immergersi fino alla gola in uno stagno gelato. S. Benedetto e S. Francesco d’Assisi, si avvoltolarono fra le spine. S. Macario d’Alessandria andò in un padule, ove era una gran quantità di vespe, le quali gli si misero attorno e ridussero il suo corpo simile a quello di un lebbroso. Tornato al convento, il superiore che lo riconosceva soltanto dalla voce, gli chiese perché mai si fosse ridotto in quello stato. “Perché, egli rispose, il mio corpo voleva rovinare la mia anima, io l’ho ridotto in questa condizione. „ – Che cosa dobbiamo dunque concludere da tutto questo, F. M.? Eccolo: 1° Di non credere che noi saremo, in un modo o nell’altro liberati dalle tentazioni, fino a che vivremo; e per conseguenza dobbiamo risolvere di combattere fino alla morte. 2° Quando siamo tentati ricorriamo subito a Dio per tutto il tempo in cui la tentazione dura; il demonio continua a tentar perché 0spera sempre di poterci guadagnare. 3° Fuggiamo, per quanto è possibile tatto ciò che può indurci in tentazione; e non perdiamo mai di vista che gli angeli cattivi furono tentati una sol volta e che dalla tentazione precipitarono nell’inferno. Bisogna avere una grande umiltà, ed essere ben persuasi che, da soli, ci è impossibile di non soccombere e che, unicamente aiutati dalla grazia di Dio, non cadremo. Fortunato colui, o F . M., che all’ora della sua morte, potrà ripetere come S. Paolo: “Ho combattuto valorosamente, ma, colla grazia di Dio, ho vinto: perciò aspetto la corona di gloria che Dio dà a coloro che gli furono fedeli fino alla morte. „ (II Tim, IV, 18). E questa la felicità…

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I SERMONI DEL CURATO D’ARS: LA PAROLA DI DIO

I SERMONI DEL CURATO D’ARS

[Discorsi di S. G. B. M. VIANNEY, curato d’Ars – Vol. I, ed. Ed. Marietti, Torino-Roma, 1933]

La parola di Dio.

Beati qui audiunt verbum Dei, et custodiunt illud.

(Luc. XI, 28).

Noi leggiamo nel Vangelo che il Salvatore del mondo istruiva il popolo, diceva loro cose così meravigliose e così stupefacenti, che una donna dal mezzo della folla alzò la voce e gridò: “Beato è il seno che ti ha portato e il latte che ti ha nutrito. „ Ma Gesù Cristo tosto soggiunse: ” Più avventurato è colui che ascolta la parola di Dio e che osserva quello che essa comanda. „ Ciò forse desta la vostra meraviglia, che Gesù Cristo ci dica che colui che ascolta la parola di Dio con un vero desiderio di approfittarne è più accettevole a Dio che colui che lo riceve nella santa comunione; sì, certo noi non abbiamo mai ben compreso quanto la parola di Dio sia un dono prezioso. Ah! se noi l’avessimo ben compreso con quale rispetto, con quale amore dovremmo ascoltarla! M. F., non inganniamoci: necessariamente la parola di Dio produrrà in noi frutti buoni o cattivi; saranno buoni, se vi recheremo delle buone disposizioni, con altre parole, un vero desiderio di approfittarne e di fare tutto quello che essa prescriverà; saranno cattivi, se noi la ascolteremo con indifferenza, con disgusto, forse con disprezzo; o questa parola santa ci illuminerà, ci farà conoscere i nostri doveri, o ci accecherà e produrrà il nostro induramento. Ma per meglio farvelo comprendere, tolgo a dimostrarvi:

1° quanto sono grandi i vantaggi che ci provengono dalla parola di Dio;

2° in qual modo i Cristiani hanno l’abitudine di riceverla;

3° le disposizioni che dobbiamo recare per avere la ventura di approfittarne.

I . — Per farvi comprendere quanto è grande il prezzo della parola di Dio, io vi dirò che tutto lo stabilimento e i progressi della Religione cattolica sono l’opera della parola di Dio associata alla grazia che sempre l’accompagna. Sì, M. F., noi possiamo ancora dire che dopo la morte di Gesù Cristo sul Calvario, e il santo Battesimo, non occorre grazia che noi riceviamo nella nostra santa Religione che le stia alla pari; ciò che è facile a comprendere. Quante persone che sono state assunte in cielo senza aver ricevuto il sacramento della Penitenza! Quante altre senza aver ricevuto quello del Corpo adorabile e del Sangue prezioso di Gesù Cristo! E quante altre che sono in cielo, che non hanno ricevuto quello della Confermazione né quello dell’Estrema Unzione! Ma per l’istruzione che è la parola di Dio, dal momento che abbiamo l’età capace di farci istruire è tanto difficile andare in cielo senza essere istruiti, come senza essere battezzati. – Ah! M. F., noi vedremo sventuratamente al giorno del giudizio che il più gran numero dei Cristiani dannati, lo saranno perché non hanno conosciuto la loro religione. Andate, interrogate tutti i Cristiani riprovati, e domandate loro perché sono nell’inferno. Tutti vi risponderanno che la loro sventura proviene perché non hanno voluto ascoltare la parola di Dio o perché l’hanno disprezzata. — Ma, forse mi direte voi, che cosa opera in noi questa santa parola? — Ecco: essa è somiglievole a quella colonna di fuoco la quale conduceva i Giudei quando erano al deserto, che additava loro la via che dovevano battere, che si fermava quando il popolo doveva fermarsi e proseguiva il suo viaggio, quando si doveva andare innanzi; di guisa che questo popolo non aveva che a restar fedele nel seguirla ed era sicuro di non smarrire la via. (Exod. XIII, 21, 22; XL, 84, 35). Sì, M. F., essa opera la stessa cosa a nostro riguardo: essa è una face che brilla dinanzi a noi, che ci conduce in tutti i nostri pensieri, nei nostri disegni, nelle azioni nostre (lucerna pedibus meis verbum tuum. Ps. CXVIII, 105); è lei che accende la nostra fede, che fortifica la nostra speranza, che fa divampare l’amor nostro per Dio e per il prossimo; è lei che ci fa comprendere la grandezza di Dio, il fine beato per il quale siamo creati, la bontà di Dio, l’amor suo per noi, il prezzo dell’anima nostra, la grandezza e la ricompensa che ci è promessa; sì, è lei che ci dipinge la gravezza del peccato, gli oltraggi che reca a Dio, i mali che ci prepara per l’altra vita; è lei che ci incute spavento alla vista del giudizio che è riservato ai peccatori, colla dipintura spaventevole che ella ce ne fa; sì, M. F., è questa parola che ci muove a credere senza nulla esaminare tutte le verità della nostra santa Religione nella quale tutto è mistero, e ciò risvegliando la nostra fede. Ditemi, non è dopo una istruzione che si sente il cuore commosso e pieno di buone risoluzioni? Ah! colui che disprezza la parola di Dio è ben da compiangere, poiché rigetta e disprezza tutti i mezzi di salute che il buon Dio ci presenta per salvarci. Ditemi, di che cosa si sono serviti i patriarchi e i profeti. Gesù Cristo medesimo e tutti gli Apostoli, come tutti coloro che li hanno secondati, per stabilire ed aumentare la nostra santa Religione, non è della parola di Dio? Vedete Giona, quando il Signore lo mandò a Ninive; che fece egli? Null’altro che annunciarle la parola di Dio, dicendole che fra 40 giorni tutti i suoi abitanti perirebbero. Non è questa parola santa che cangiò i cuori degli uomini di quella grande città, che, di grandi peccatori ne fece grandi penitenti (Gion. III, 4)? Che fece S. Gio. Battista per cominciare a far conoscere il Messia, il Salvatore del mondo? Non lo fece annunciando loro la parola di Dio? Che fece Gesù Cristo medesimo percorrendo le città e le campagne, continuamente circondato dalle turbe di popolo che lo seguivano fino nel deserto? Di qual mezzo si serviva per insegnare la religione che voleva stabilire, se non di questa santa parola? Ditemi, M. F., chi ha mosso tutti quei grandi del mondo ad abbandonare i loro beni, i loro parenti e tutti i loro agi? Non è ascoltando la parola di Dio che hanno aperto gli occhi dell’anima e compreso la poca durata e la caducità delle cose create, che si sono volti a cercare i beni eterni? Un S. Antonio, un S. Francesco, un S. Ignazio… Ditemi chi può muovere i figli ad avere un grande rispetto verso il loro padre e la loro madre, facendoli loro considerare come quelli che occupano il posto di Dio medesimo? Non sono le istruzioni che hanno ricevuto nei catechismi, tenuti dal loro pastore, facendo loro vedere la grandezza della ricompensa che è annessa ad un figlio savio e obbediente? E quali sono i figli che disprezzano i loro genitori? Ah! quanti poveri figli ignoranti, e che dall’ignoranza sono condotti nell’impurità e nel libertinaggio, e che spesse volte finiscono col far morire i loro poveri genitori o di crepacuore o in qualche altro modo più miserando! Chi può muovere un vicino ad avere una grande carità verso il suo vicino, se non una istruzione che avrà ascoltata, nella quale gli sarà stato addimostrato quanto la carità è un’opera aggradevole a Dio? Chi ha mossi tanti peccatori ad uscire dal peccato? Non fu qualche istruzione che hanno udita, nella quale si è loro dipinto lo stato infelice di un peccatore il quale cade nelle mani d’un Dio vendicatore? Se voi ne bramate la prova, ascoltate un istante e ne sarete convinti. È raccontato nella storia che un vecchio ufficiale di cavalleria passava, in uno dei suoi viaggi, per un luogo dove il padre Bridaine dava una missione. Curioso di udire un uomo d’una grande riputazione e che egli non conosceva, egli entra in una chiesa dove il padre Bridaine faceva la descrizione spaventosa dello stato infelice di un’anima nel peccato, l’accecamento nel quale era il peccatore di perseverarvi, il mezzo facile che il peccatore aveva di uscirne con una buona confessione generale. Il militare ne fu siffattamente commosso, i suoi rimorsi di coscienza furono cosi forti, o piuttosto gli diventarono sì insopportabili, che nell’istante medesimo formò il proposito di confessarsi e di fare una confessione di tutta la sua vita. Egli aspetta il missionario al piede della cattedra pregandolo per grazia di fargli fare una confessione di tutta la sua vita. Il padre Bridaine lo ricevette con una grande carità: “Mio Padre, gli disse il militare, io resterò finché voi vorrete; io ho concepito un gran desiderio di salvare l’anima mia. „ Egli fece la sua confessione con tutti i sentimenti di pietà e di dolore che si poteva aspettare da un peccatore che si converte; egli medesimo diceva che ogni volta che accusava un peccato, gli pareva di togliersi un peso enorme dalla propria coscienza. Quando ebbe finito la sua confessione, egli si ritirò dietro il Padre Bridaine, piangendo a calde lagrime. La gente meravigliata di vedere questo militare piangere dirottamente, gli domandavano qual era la causa del suo rammarico e delle sue lagrime: “Ah! amici miei, quanto è dolce il versare lagrime d’amore e di riconoscenza, io, che sono vissuto per sì lungo lasso di tempo nell’odio del mio Dio! „ Ah! quanto l’uomo è cieco di non amare il buon Dio e di vivere da suo nemico, mentre che è cosa così dolce l’amarlo! Questo militare si reca a trovare il Padre Bridaine che era nella sagrestia, e qui, alla presenza di tutti gli altri missionari, volle metterli a parte dei suoi sentimenti: “Signori, disse loro, ascoltatemi, e voi, Padre Bridaine, richiamatevelo alla memoria; io non credo in tutta la mia vita di aver gustato un piacere così puro e così dolce, come quello che io gusto dacché ho la sorte di essere in istato di grazia; no, io non credo che Luigi XV che ho servito per 36 anni, possa essere così felice come io lo sono; no, io non credo che, nonostante tutti i piaceri che lo attorniano e tutto lo splendore che lo circonda egli sia contento come io lo sono in questo momento. Dopoché io ho deposto l’orribile peso dei miei peccati, nel mio dolore e nel disegno di fare penitenza, io non cangerei ora la mia sorte per tutti i piaceri e per tutte le ricchezze del mondo. „ A queste parole egli si getta ai piedi del Padre Bridaine, gli stringe la mano: ” Ah! mio Padre, quali azioni di grazie potrò io rendere al buon Dio per tutta la mia vita, di avermi condotto come per mano in questo paese! Ah! mio Padre, io non pensava di fare quello che voi avete avuto la carità di farmi fare. No, mio Padre, mai potrò dimenticarvi; di grazia, io vi prego di domandare al buon Dio per me che tutta la mia vita non sia più che una vita di lagrime e di penitenza.„ Il Padre Bridaine e tutti gli altri missionari che erano testimoni di questa avventura, proruppero in lagrime, dicendo: “Oh! che il buon Dio ha delle grazie per coloro che hanno un cuore docile alla sua voce! Oh! quante anime si dannano e che, se avessero avuto la sorte di essere istruite, sarebbero salve! „ Il che faceva che il Padre Bridaine domandava al buon Dio, prima dei suoi discorsi, che accendesse siffattamente il suo cuore che le sue parole fossero simili al fuoco divoratore che fa divampare d’amore i cuori dei peccatori più indurati e più ribelli alla grazia. Or qual fu la causa della conversione di questo soldato? Null’altro che la parola di Dio che ascoltò e che trovò il suo cuore docile alla voce della grazia. Ah! quanti Cristiani si convertirebbero se avessero la sorte di recare delle buone disposizioni ad ascoltare la parola di Dio! Quanti buoni pensieri e buoni desideri ella farebbe nascere nel loro cuore, quante buone opere farebbe loro compiere per il cielo! – Prima di procedere innanzi, è necessario che io vi rechi un fatto accaduto al medesimo Padre Bridaine, mentre faceva una missione ad Aix in Provenza; fatto che ha qualche cosa di singolare. Il missionario si metteva a sedere a mensa con un confratello, quando un ufficiale batté fortemente alla porta dove si trovavano i missionari: tutto ansante, domanda con un viso alterato il capo della compagnia. Il Padre Bridaine essendosi accostato: “Padre Bridaine, „ gli dice all’orecchio l’ufficiale con una certa emozione e con un tono severo che dimostrava come la sua anima fosse agitata. Il missionario essendo entrato con lui, l’ufficiale chiude la porta, si leva gli stivali, getta lontano il cappello, e sfodera la sua spada. “Io vi confesso, diceva poscia il Padre Bridaine ai suoi compagni, ciò mi incusse spavento: il suo silenzio, il suo occhio truce, la sua stretta di mano, la sua precipitazione e il suo turbamento, mi fecero giudicare che fosse un uomo al quale avessi strappato l’oggetto della sua passione, e che per vendicarsene venisse sicuramente per togliermi la vita; ma fui ben presto tolto d’inganno vedendo questo militare gettarsi ai miei ginocchi colla faccia rivolta a terra, pronunciando con sicurezza queste parole: “Non è questione di lasciarmi, mio Padre, né di differire più oltre, voi vedete ai vostri piedi il più grande peccatore che la terra abbia potuto portare dal principio del mondo; io sono un mostro. Io vengo di lontano per confessarmi a voi e adesso; senza di che io non so più che cosa divento.„ Il Padre Bridaine gli disse con bontà: “Amico mio, un istante, io tosto ritorno. „ — “Mio Padre, gli risponde il soldato piangendo a calde lagrime, rispondete voi dell’anima mia durante questo indugio? Sappiate, Padre mio, che ho percorso in posta 27 leghe; volge molto tempo che io non vivo e che il cuore mi scoppia; io non posso più resistere; la mia vita e l’inferno sembrano non essere che una medesima cosa; il mio tormento dura da quando vi ho udito predicare in un tal luogo, dove avete così egregiamente dipinto lo stato dell’anima mia, che mi è stato impossibile di non credere che il buon Dio non vi abbia fatto tenere quella istruzione che per me solo; tuttavolta quando entrai in questa chiesa nella quale voi predicavate, non era per curiosità, fu appunto qui che il buon Dio mi aspettava. Quanto sono felice, Padre mio, di potermi liberare da questi rimorsi di coscienza che mi straziano! Prendete il tempo che sarà necessario per ascoltare la mia confessione, io resterò qui quanto bramate; ma è necessario che voi mi solleviate all’istante, perché la mia coscienza è un carnefice che non mi lascia alcun riposo né il giorno né la notte; in una parola, Padre mio, io voglio veramente convertirmi; lo comprendete, Padre mio? Voi non uscirete di qui che non abbiate sollevato il mio cuore. Se voi volete negarmi ciò, io credo che morrò ai vostri piedi di crepacuore. „ – “Ma egli disse ciò, soggiunge il Padre Bridaine, versando copiose lagrime. Io fui così tocco da una scena tanto commovente, che lo abbraccio, lo benedico, mescolo le mie lagrime alle sue; non pensai più di recarmi a mangiare; lo incoraggiai, per quanto mi fu possibile, di tutto sperare nella grazia del buon Dio il quale si era già dimostrato verso di lui in un modo affatto particolare; io restai quattro ore di seguito per ascoltare la sua confessione; sembrava bagnarmi delle sue lagrime, ciò che mi moveva a contenere le mie; io non lo lasciai che per recarmi ad annunciare la parola di Dio. „ – Questo generoso militare rimase alcun tempo presso il Padre Bridaine, per ricevere gli avvisi che gli erano necessari per avere la sorte di perseverare. Prima di congedarsi dal Padre Bridaine, lo pregò di perdonargli lo sgomento che gli aveva cagionato: ” Tuttavolta, mio Padre, gli disse il militare, il vostro era nulla in confronto del mio. Io tremava tutti i giorni che la morte mi togliesse nello stato nel quale mi trovava, parevami che la terra stesse per aprirsi sotto i miei piedi per inghiottirmi vivo nell’inferno. Pensate, Padre mio, che quando si hanno nemici tali che vi assediano e che vi si riflette seriamente, non si può restar tranquillo, quand’anche si avesse un cuore di bronzo. Ora, Padre mio, io vorrei morire, tanta è la gioia che provo d’essere in pace col buon Dio. „ Egli non poteva più lasciare il Padre Bridaine, gli baciò le mani, l’abbracciò. Il Padre Bridaine vedendo un tal miracolo della grazia, non poté dalla sua parte trattenere le sue lagrime: gli ultimi addii facevano versar lagrime a tutti coloro che ne furono testimoni. “Addio, mio Padre, disse il militare al Padre Bridaine, dopo il buon Dio, a voi io sono tenuto del cielo. „ Ritornato nel suo paese non poteva contenersi di parlare quanto il buon Dio fosse stato buono verso di lui; chiuse la sua vita nelle lagrime e nella penitenza e morì da santo sei mesi dopo la sua conversione. – Ora, qual fu la causa della conversione dì questo soldato? Ah! ciò che voi udite tutte le domeniche nelle istruzioni, è ciò che udì quegli dalla bocca del Padre Bridaine, dove certamente presentava lo stato deplorevole d’un peccatore che compare davanti al tribunale di Gesù Cristo colla coscienza carica di peccati. Ah! mio Dio, quante volte il vostro pastore non vi ha fatto questo ritratto desolante? Chi ne è stato più commosso di voi medesimi? E perché dunque ciò non vi ha scossi e convertiti? Forse che la parola di Dio non ha più lo stesso potere? No, M. F., questa non è la vera causa per cui siete restati nel peccato. Forse, perché questa santa parola vi è annunciata da un peccatore, che non vi ha commossi? No, no, non è questa ancora la vera ragione; ma eccola: gli è perché i vostri cuori sono indurati, e volge lungo tempo che voi abusate delle grazie che il buon Dio vi concede colla sua santa parola; è perché il peccato vi ha strappato gli occhi della povera vostra anima, ed ha finito di farvi perdere di vista i beni ed i mali dell’altra vita. O mio Dio! quale sventura per un Cristiano d’essere cacciato dal cielo per tutta l’eternità ed essere insensibile a questa perdita! O mio Dio! Quale frenesia d’essere precipitati nelle fiamme dell’inferno e restare tranquilli in uno stato che fa fremere gli angeli e i santi! O mio Dio! a qual grado di sciagura è condotto colui al quale la parola di Dio … ! Avvegnaché la parola di Dio più non commuove, tutto è perduto, non occorre più alcun altro spediente se non in un grande miracolo, ciò che accade ben rare volte. O mio Dio! essere insensibili a tante sventure, chi potrà mai comprenderlo? Tuttavolta, senza essere più prolissi, ecco lo stato di quasi tutti coloro che mi ascoltano. Voi sapete che il peccato regna nei vostri cuori; voi sapete che fino a che il peccato vi regna, voi non avete nessun’altra cosa da aspettarvi se non tutte queste sventure. O mio Dio! questo solo pensiero non dovrebbe farci morire di spavento? Ah! il buon Dio vedeva anticipatamente quanto sarebbero pochi coloro che approfitterebbero di questa parola di vita, quando ci propone nel Vangelo questa parabola: “Un seminatore esce di gran mattino per seminare il suo grano, e quando lo seminava, una parte cadde sulla via e fu calpestata dai viandanti e mangiata dagli uccelli del cielo; una parte cadde sulle pietre e tosto disseccò; un’altra cadde fra le spine, che la soffocarono; e finalmente un’altra cadde nel buon terreno, e rese il centuplo di frutto. „ Voi vedete che Gesù Cristo dimostra che, di tutte le persone che ascoltano la parola di Dio, solo un quarto ne trae profitto; ancora troppo avventurati se di tutte quattro le persone ne occorresse una che ne approfittasse. Quanto il numero dei buoni Cristiani sarebbe più grande che non è! Gli apostoli, meravigliati di questa parabola, gli dissero: “Spiegateci quello che significa.„ Gesù disse loro colla sua ordinaria bontà: – Il cuore dell’ uomo è somiglievole ad una terra che recherà frutto secondo che sarà bene o mal coltivata; questa semente, disse loro Gesù Cristo, è la parola di Dio: quella che cade lungo la via, sono coloro che ascoltano la parola di Dio, ma che non vogliono cangiar vita, né imporsi i sacrifici che Dio vuole da essi per renderli buoni e aggradevoli a lui. Gli uni sono coloro che non vogliono abbandonare le cattive compagnie o i luoghi nei quali hanno tante volte offeso il buon Dio; sono ancora coloro che sono trattenuti da un falso rispetto umano, il quale li fa abbandonare tutte le buone risoluzioni che avevano formate ascoltando la parola di Dio. Quella che cade nelle spine, sono coloro che ascoltano la parola di Dio con gioia; ma non fa loro praticare alcuna buona opera: essi amano di ascoltarla, ma non di fare quello che comanda. Per quella che cade sulla pietra, sono coloro che hanno un cuore indurato ed ostinato, coloro che la ascoltano per disprezzarla o per abusarne. Finalmente quella che cade nella terra buona, sono coloro che desiderano di ascoltarla, che abbracciano tutti i mezzi che il buon Dio loro inspira per bene approfittarne, ed è in questi cuori che reca copiosi frutti, e questi frutti sono l’allontanamento da una vita mondana e le virtù che un Cristiano deve praticare per piacere a Dio e salvare la propria anima. „ Voi vedete, M. F., giusta la parola di Gesù Cristo, come sia esiguo il numero di coloro che approfittano della parola di Dio, perché di quattro occorre un solo che rende questa semente atta a recar frutto, ciò che è molto facile a dimostrarvi, come vedremo più innanzi. Ma se ora mi domandate quello che vuol dire Gesù Cristo per questo seminatore il quale esce di gran mattino per gettare la sua semente nel suo campo, il seminatore è il buon Dio medesimo, che ha cominciato a procurare il nostro salvamento dal principio del mondo, per questo mandando i profeti suoi prima della venuta del Messia per insegnarci quello che era necessario di fare per essere salvi; non si è accontentato di mandare i suoi servi, è venuto Egli medesimo, ci ha tracciata la via che dobbiamo battere, Egli è venuto ad annunziarci la santa parola.

II. — Ma esaminiamo piuttosto, M. F., quali sono coloro che recano delle buone disposizioni per ascoltare questa parola di vita. Ah! voi avete udito dalle parole stesse di Gesù Cristo che pochissimi recano le disposizioni necessarie per trarne vantaggio. Sapete voi che sia una persona la quale non è nutrita di questa santa parola o che ne abusa? essa è somiglievole ad un ammalato senza medico, ad un viaggiatore smarrito e senza guida, ad un povero senza alcun mezzo di sussistenza; diciamo meglio, che è affatto impossibile di amar Dio e di piacere a lui senza essere nutriti di questa parola divina. Che cos’è che può muoverci ad affezionarci a Lui, se non perché lo conosciamo? E chi può farcelo conoscere con tutte le perfezioni sue, la sua bellezza e il suo amore verso di noi, se non la parola di Dio, che ci insegna tutto quello che ha fatto per noi, e i beni che ci prepara per l’altra vita, se noi non cerchiamo che di piacere a Lui? Chi può muoverci ad abbandonare e piangere i nostri peccati se non la descrizione spaventosa che lo Spirito Santo ci fa nella santa Scrittura? Chi può muoverci a sacrificare tutto quello che abbiamo di più caro al mondo, per avere la sorte di conservare i beni del cielo, se non i quadri stessi che ci mettono sott’occhio i predicatori? Se voi ne dubitate, domandate a S. Agostino ciò che ha cominciato a farlo arrossire fra le sue infamie: non è il quadro spaventoso che fece S. Ambrogio in un sermone nel quale dimostrò tutto l’orrore del vizio d’ impurità, come degradava l’uomo, e come l’oltraggio che recava a Dio era orribile? (Conf. lib. VI, cap. III e IV) – Che cos’è che mosse S. Pelagia, questa famosa cortigiana, l a quale colla sua bellezza e maggiormente coi disordini della propria vita, aveva perduto tante anime, che cos’è che la mosse ad abbracciare la più dura penitenza per tutto il resto della sua vita?… Un giorno che era seguita da una schiera di giovani premurosi di farle la corte, essendosi magnificamente abbigliata, ma di un’aria che non respirava che la mollezza e la voluttà, in questa ostentazione di mondanità, le avvenne di passare dinanzi alla porta di una chiesa, nella quale si trovavano parecchi Vescovi che si intrattenevano degli affari della Chiesa. I santi prelati, mossi a sdegno alla vista di questo spettacolo, volsero altrove lo sguardo; tuttavolta uno di essi, chiamato Nono, guardò fissamente questa commediante e disse gemendo: “Ah! che questa donna che mette tanto studio per piacere agli uomini sarà la nostra condanna, contro di noi che prendiamo sì poca sollecitudine per piacere al buon Dio! „ Il santo prelato avendo preso per mano il suo diacono, lo condusse nella sua cella; quando vi furono arrivati, egli si gettò col volto a terra e disse battendosi il petto e piangendo amaramente: ” O Gesù Cristo, mio maestro, abbiate pietà di me; è d’uopo che nel corso della mia vita io non abbia messo tanto studio ad adornare la mia anima che è tanto preziosa, che tanto vi è costata, quanto questa cortigiana ne ha posto per adornare il suo corpo e per piacere al mondo! „ Il domani, il santo Vescovo essendo salito in pulpito, dipinse in modo così spaventevole i mali che recava questa cortigiana, il numero delle anime che la sua vita perversa trascinava nell’inferno… il suo discorso fu recitato con copiose lagrime. Pelagia era appunto nella chiesa, che ascoltava il sermone che teneva il santo Vescovo; ella ne fu siffattamente commossa, o piuttosto spaventata, che risolse tosto di convertirsi. Ella si reca a trovare il santo prelato senza porre indugio, ella si getta ai piedi del santo Vescovo alla presenza di tutta l’assemblea, gli domanda con grandi istanze e piangendo il Battesimo, che il Vescovo, vedendola così pentita, le amministrò non solo il Battesimo, ma anche la Confermazione e la Comunione. Dopo ciò, Pelagia distribuì i suoi beni ai poveri, concesse la libertà a tutti i suoi schiavi, si coprì d’un cilicio, abbandonò segretamente la città di Antiochia e andò a chiudersi in una grotta sulla montagna degli Ulivi, vicino a Gerusalemme. Il diacono del santo Vescovo desiderava di recarsi in pellegrinaggio a Gerusalemme; il suo Vescovo gli disse, prima della sua partenza, di chiedere se là trovavasi una giovane nascosta in una grotta da quattro anni. Infatti, il diacono arrivato a Gerusalemme, domandò se sapevasi di una giovane chiusa da quattro anni in una grotta nei dintorni della città. Il diacono la trovò sopra la montagna in una cella che non aveva altra apertura che una piccola finestra quasi sempre chiusa. La penitenza spaventevole che faceva Pelagia, l’aveva siffattamente cangiata, che il diacono non poté riconoscerla; le disse che veniva a renderle visita dalla parte del Vescovo Nono; ella rispose semplicemente versando lagrime, che il Vescovo Nono era un santo e che ella si raccomandava alle sue preghiere; e tosto chiuse la finestra come fosse indegna di vedere il giorno dopo di aver tanto offeso il buon Dio e perduto tante anime. I solitari gli dissero tutti che ella esercitava sopra il suo corpo tormenti tali che facevano fremere i solitari più austeri. Il diacono, prima di partire, volle ancora avere una volta la sorte di vederla, ma la trovò morta 1(Vita dei Padri del deserto, vol. VI, cap. XVIII). Ora, M. P., chi trasse questa infelice dalle sue infamie per farne una così grande penitente? Una sola istruzione operò in essa quel cangiamento. Ma, di nuovo, donde procede ciò? Perché la parola di Dio trovò il suo cuore ben disposto a ricevere questa semente, perché questa parola cadde in buon terreno. Sapete chi siamo noi? Noi siamo quei grandi del mondo, i quali, nell’abbondanza di tutto ciò che il cuore può desiderare, esauriscono la loro conoscenza nel produrre nuove invenzioni per trovare nuovi gusti nelle vivande che loro si ammanniscono, e nonostante ciò nulla trovano che sia buono. Se una persona che soffre la fame fosse testimonio di ciò, non direbbe piangendo: “Ah! se io avessi quello che essi disprezzano tanto, quanto sarei felice!„ Ah! noi possiamo ripetere la stessa cosa: se dei poveri idolatri e dei pagani avessero la metà o il quarto di questa parola che si distribuisce a noi sì di spesso e che teniamo in così poco conto o disprezziamo, che noi ascoltiamo con noia e con disgusto, ah! quante lagrime spargerebbero, quante penitenze, quante buone opere e quante virtù avrebbero la sorte di praticare! Sì, questa parola santa è perduta per questi peccatori che sono abbandonati in balia della dissipazione, che non hanno alcuna regola di vita, il cui spirito e il cui cuore sono somiglievoli ad una grande strada da tutti battuta, che non sanno neppure che cosa significhi rigettare un cattivo pensiero. Un momento, è un buon pensiero o un buon desiderio che li occupa; un altro momento, è un cattivo pensiero e un cattivo desiderio; ora voi li udite cantare le lodi di Dio nella Chiesa; in un altro momento, voi li udite cantare le canzoni più infami nelle bettole; qui voi li vedete dir bene dei loro vicini, e là li vedete con coloro che straziano la loro riputazione; un giorno essi daranno dei buoni consigli, domani spingeranno altri a vendicarsi. Posto ciò, se essi ascoltano la parola di Dio, è per abitudine e forse con cattivo intendimento, per criticare colui che è tanto caritatevole di annunciarla. Ma essi l’ascoltano come si ascolta una favola o una cosa affatto indifferente. Ah! qual frutto può produrre la parola di Dio in cuori così mal disposti, se non indurarli sempre più? Mio Dio, come la vostra santa parola, la quale non ci è data che per aiutarci a salvarci, precipita delle anime nell’inferno! Io vi ho detto, da principio, che la parola di Dio reca sempre frutto buono o cattivo, secondo le disposizioni nostre. Ecco lo stato di una persona la quale non combatte le sue inclinazioni, la quale non cerca di premunirsi contro le sue passioni che la padroneggiano; a grado che la parola di Dio cade, passa l’orgoglio, la mette sotto dei piedi; passa il desiderio di vendetta, la soffoca; sopravvengono i vani pensieri e i cattivi desideri a gettarla nel fango; dopo di che, il demonio che regna in questo povero cuore, alla prima occasione, cancella il resto dell’impressione che ha potuto produrre in noi la parola di Dio. Ecco, M. F., quello che dice primieramente il Vangelo: io non so se voi l’avete ben compreso, ma per me io tremo quando sento S. Agostino dirci che noi siamo tanto colpevoli di udire la parola, di Dio senza un vero desiderio di approfittarne, come i Giudei quando flagellavano Gesù Cristo. Ah! M. F., noi non abbiamo mai pensato che commettiamo una specie di sacrilegio quando non vogliamo approfittare di questa santa parola. Tuttavia, non sono positivamente le vostre disposizioni, almeno per un gran numero: noi prendiamo ancora delle belle risoluzioni di cambiar vita; quando noi udiamo predicare, noi diciamo in noi medesimi: è necessario assolutamente operare bene. Ecco una buona risoluzione; ma dal momento che il buon Dio ci sottopone a qualche prova, noi dimentichiamo le nostre risoluzioni e continuiamo il nostro sistema di vita. Noi abbiamo risolato di essere meno attaccati ai beni di questo mondo; ma il più piccolo torto che ci si rechi, noi cerchiamo di vendicarci; noi parliamo male delle persone che ci hanno recato qualche ingiuria e conserviamo l’odio; noi soffriamo di mal animo di vedere queste persone, non vogliamo più render loro servizio. Noi pensiamo che ora vogliamo praticare l’umiltà, perché abbiamo udito in una istruzione quanto l’umiltà sia una bella virtù, come ci rende aggradevoli a Dio; ma alla prima occasione che si presenta, che noi siamo disprezzati, noi ci muoviamo a sdegno, parliamo male dei nostri contradditori, e se qualche volta abbiamo loro procurato alcun bene glielo rinfacciamo. Ecco, M. F., quello che noi facciamo. Molte volte noi abbiamo risoluto di operar bene, ma tosto che l’occasione si presenta, non ci poniamo più mente e continuiamo la nostra vita ordinaria. – In tal modo trascorre tutta la nostra povera vita, nelle risoluzioni e nelle cadute continue, di guisa che noi ci ritroviamo sempre gli stessi. Ah! questa semente è dunque perduta per il gran numero dei Cristiani e non può contribuire che alla loro condanna! — Ma forse mi direte voi, che altra volta la parola di Dio era più potente, o coloro che l’annunciavano erano più eloquenti. — No, la parola del buon Dio ha tanto potere ora quanto negli altri tempi, e coloro che la annunciavano erano semplici come ai giorni nostri. Ascoltate S. Pietro nelle sue predicazioni: “Ascoltatemi, loro dice questo santo Apostolo, il Messia che voi avete fatto soffrire, che avete mandato alla morte, è risuscitato per la felicità di tutti coloro che credono che il salvamento procede da lui.„ Appena ebbe detto ciò, che tutti coloro che erano presenti ruppero in pianto, e mandarono alte grida, dicendo: “Ah! grande Apostolo, che faremo noi per ottenere il nostro perdono?„ — “Miei figli, dice loro S. Pietro, se voi bramate che i vostri peccati vi siano perdonati, fate penitenza, confessate i vostri peccati, più non peccate, e il medesimo Gesù Cristo che voi avete appeso alla croce, che è risuscitato, vi perdonerà (Act. III, 19). „ In un solo discorso, tre mila si diedero a Dio e abbandonarono il loro peccato per sempre (ibid. II, 41). In un altro, cinquemila rinunciarono alla loro idolatria per abbracciare una religione la quale non domanda che sacrifici continui (ibid. IV, 4); essi batterono coraggiosamente la via che Gesù Cristo aveva loro tracciata. Di qual segreto si sono valsi gli Apostoli per cangiare la faccia del mondo? — Ecco: “Volete voi, dissero gli Apostoli, piacere a Dio e salvare l’anima vostra, che colui che si abbandona al vizio dell’impurità vi rinunci e conduca una vita pura e aggradevole a Dio; che colui che ha il bene del suo prossimo lo restituisca; che colui che odia il suo prossimo si riconcili con lui.„ Ascoltate S. Tommaso: “Io vi avverto dalla parte di Gesù Cristo medesimo che gli uomini subiranno un giudizio dopo la loro morte, intorno il bene ed il male che avranno fatto, i peccatori passeranno la loro eternità nel fuoco dell’inferno, per patirvi per sempre; ma colui che sarà stato fedele ad osservare la legge del Signore, la sua sorte sarà affatto diversa; all’uscire da questa vita, entrerà in cielo per godervi ogni sorta di delizie e di felicità. „ Ascoltate san Giovanni, il discepolo prediletto: “Miei figli, amatevi tutti come Gesù Cristo vi ha amati, siate caritatevoli gli uni verso gli altri, come Gesù Cristo lo è stato per noi, Lui che ha sofferto e che è morto per la nostra felicità; sopportatevi gli uni cogli altri, perdonatevi le vostre debolezze come Egli perdona a tutti (I Joan. II-IV).„ Ditemi, possiamo trovare qualche cosa che sia più semplice ? Ora, non vi si dicono le medesime verità? Non vi si dice, come S. Pietro, che Gesù Cristo è morto per voi, che è ancora pronto a perdonarvi se volete pentirvi ed abbandonare il peccato? Tuttavolta furono queste parole che fecero versare tante lagrime e convertirono tanti pagani e tanti peccatori! Non vi si dice, come S. Giovanni Battista, che se voi avete il bene del prossimo, è necessario restituirlo (Luc. III, 11-14), senza di che mai entrerete in cielo? Non vi si dice che se vi abbandonate in preda al vizio dell’impurità, è necessario lasciarlo e condurre una vita tutta pura? Non vi si dice che, se voi vivete e restate nel peccato, voi cadrete nell’inferno? E perché dunque queste parole non producono più i medesimi effetti, vo’ dire che questa parola santa non ci converte? Ah! diciamolo gemendo: non è perché abbia minor potere che altra volta, ma perché questa divina semente cade in cuori indurati e impenitenti, e appena vi è caduta il demonio la soffoca. Come questa divina parola non parla che di sacrifici, di mortificazioni, di distacco dal mondo e da se medesimo, e d’altra parte non si vuol fare tutto ciò, si rimane nel peccato, vi si persevera, vi si muore. – Convenite con me quanto sia necessario essere indurato per restare nel peccato, sapendo benissimo che, se dovessimo morire in questo stato, non abbiamo che l’inferno per retaggio! Ci è ripetuto continuamente, e nonostante ciò, noi restiamo peccatori come lo siamo, benché siamo certissimi che la nostra sorte non può essere che quella d’un riprovato. O mio Dio! quale stato infelice è quello di un peccatore che non ha più la fede!

III. — Ma, mi direte voi, che cosa dunque bisogna fare per approfittare della parola di Dio, affinché ci aiuti a convertirci? — Ecco: Voi non avete che da esaminare la condotta di quel popolo che accorreva ad ascoltare Gesù Cristo; egli vi accorreva da lontano, con un vero desiderio di praticare tutto quello che Gesù Cristo loro avrebbe comandato; essi abbandonavano tutte le cose temporali, non pensavano neppure ai bisogni del corpo, ben persuasi che colui che nutriva la loro anima, nutrirebbe il loro corpo; essi erano mille volte più solleciti di cercare i beni del cielo che quelli della terra; essi tutto dimenticavano per non pensare che a praticare quello che loro diceva nostro Signore (Luc. IX, 12). Vedeteli in atto di ascoltare Gesù Cristo o gli Apostoli: i loro occhi e i loro cuori sono tutti rivolti a questo oggetto; le donne non pensano alla loro famiglia; il mercante perde di vista il suo commercio; l’agricoltore dimentica i suoi campi; i giovani mettono sotto dei piedi i loro abbigliamenti; essi ascoltano con avidità le sue parole, e fanno quanto possono per imprimerle profondamente nel loro cuore. Gli uomini più sensuali abborrono i loro piaceri sensuali per non più pensare che a far soffrire il loro corpo, la santa parola di Dio forma tutta la loro occupazione; vi fermano il pensiero, la meditano, amano di parlarne e di udirne parlare. Ora, M. F., vedete se tutte le volte che ascoltate la parola di Dio, voi vi recate le medesime disposizioni. M. F., siete venuti ad ascoltare questa santa parola con sollecitudine, con gioia, con un vero desiderio di approfittarne? Così essendo, avete dimenticato tutti i vostri affari temporali, per non pensare che ai bisogni della vostra anima? Prima di ascoltare questa santa parola, avete domandato al buon Dio, di imprimerla profondamente nei vostri cuori? Avete considerato questo momento come il più avventurato della vostra vita, poiché Gesù Cristo medesimo ci dice che la sua santa parola è preferibile alla santa comunione? Siete stati pronti a praticare quanto ella vi comanda? L’avete ascoltata con attenzione, con rispetto, non come la parola di un uomo, ma come la parola di Dio medesimo? Dopo l’istruzione avete ringraziato il buon Dio della grazia che vi ha concesso di istruirvi Egli medesimo per la bocca dei suoi ministri? Ah! mio Dio, se son pochi quelli che recano queste disposizioni, non saremo meravigliati che questa santa parola produca sì poco frutto. Ah! quanti che sono qui con pena, con noia! che dormono, che sbadigliano! quanti che sfoglieranno un libro, e ciarleranno! E non si veggono altri che spingono più innanzi la loro empietà, i quali, con una specie di disprezzo, escono di chiesa tenendo in nessun conto la santa parola e colui che la annuncia? Quanti altri i quali, anche essendo fuori, dicono che il tempo loro pesa e che più non ritorneranno! E finalmente altri i quali, ritornando alle loro case, invece di occuparsi di ciò che hanno udito e di meditarlo, lo dimenticano affatto e non vi tornano sopra col pensiero che per dire che non è mai finito, o per criticare colui che ha avuto la carità di annunciarla! Chi sono coloro i quali, essendo tornati in famiglia, facciano parte a coloro che non hanno potuto intervenire di ciò che hanno udito? Quali sono i padri e le madri che domandino ai loro figli quello che hanno ritenuto della parola santa che hanno udita, e che spieghino loro quello che non hanno compreso? Ma, ah! si tiene la parola di Dio in sì poco conto, che quasi non si accusano di non averla ascoltata con attenzione. Ah! quanti peccati dei quali la maggior parte dei Cristiani non si accusano mai! Mio Dio! quanti Cristiani dannati! Chi sono coloro che abbiano detto a se medesimi: Quanto questa parola è bella! quanto è vera! ecco tanti anni che io l’ascolto e che mi fa vedere lo stato della mia anima, e, come toccare con mano che, se la morte mi colpisse, io sarei perduto! Tuttavolta io resto sempre nel peccato. O mio Dio, quante grazie disprezzate, quanti mezzi di salvamento dei quali ho abusato sino a quest’ora! ma è cosa decisa, io voglio sinceramente cangiar vita, io voglio domandare al buon Dio la grazia di non mai ascoltare questa santa parola senza esservi ben preparato. No, io non voglio più dire in me medesimo, come ho fatto fino a quest’ora, che ciò è per il tale o per la tale, ma dirò che è per me che la si annuncia; io voglio porre ogni studio per approfittarne per quanto lo potrò. Che conchiudere da tutto ciò? Che la parola divina è uno dei più grandi doni che il buon Dio possa concederci, perché senza l’istruzione, è impossibile di salvarci. Che se noi vediamo tanti empi in questi tristi giorni nei quali viviamo, non è che perché non conoscono la loro Religione, perché ad una persona che la conosca, le è impossibile di non amarla e di non praticare quello che essa prescrive. Quando voi vedete qualche empio che disprezza la Religione, voi potete dire: “Ecco un ignorante che disprezza quello che non conosce, „ perché questa parola divina ha convertito tanti peccatori. – Studiamoci di ascoltare sempre con un piacere tanto più grande in quanto vi è annesso il salvamento dell’anima nostra e che per essa noi scopriremo quanto il nostro destino è felice, quanto la ricompensa che ci promette è grande, perché dura tutta l’eternità. È la felicità che io vi ….

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: SUL SANTO NATALE

[Discorsi di S. G. B. M. VIANNEY, curato d’Ars – Vol. I, ed. Ed. Marietti, Torino-Roma, 1933]

PER IL GIORNO DI NATALE

(Primo discorso)

SUL MISTERO

Annunciare ad un moribondo il quale è estremamente affezionato alla vita, che un medico valente può trarlo dalle porte della morte e restituirgli una sanità perfetta, si potrebbe recargli una più felice novella? Ma infinitamente più lieta è quella che l’angelo reca oggi a tutti gli uomini nella persona dei pastori! Si, miei Fratelli, il demonio col peccato, aveva inferto le ferite più crudeli e più letali alle nostre povere anime. Vi aveva piantato le tre passioni le più funeste, dalle quali derivano tutte le altre, che sono l’orgoglio, l’avarizia, la sensualità. Essendo divenuti gli schiavi di queste vergognose passioni, noi eravamo tutti come altrettanti infermi pei quali non eravi speranza di sorta e non potevamo aspettarci che la morte eterna, se Gesù Cristo nostro vero medico non fòsse venuto in nostro soccorso. Ma no, commosso della nostra sventura, lasciò il seno del Padre suo, discese nel mondo nell’umiliazione, nella povertà e nei patimenti, affin di distruggere l’opera del demonio e applicare dei rimedi efficaci alle crudeli ferite che ci aveva recate questo antico serpente. Sì, egli viene, questo tenero Salvatore, per guarirci da tutti questi mali spirituali, per meritarci la grazia di condurre una vita umile, povera e mortificata; e, per meglio muoverci a far ciò, Egli medesimo ce ne porge l’esempio. È quello che noi vediamo in un modo ammirabile nella sua nascita. Noi vediamo che egli ci prepara 1° colle sue umiliazioni e colla obbedienza sua un rimedio al nostro orgoglio; 2° colla sua estrema povertà, un rimedio al nostro amore per i beni di questo mondo, e 3° col suo stato di patimento e di mortificazione, un rimedio al nostro amore per i piaceri dei sensi. Con questi rimedi ci restituisce la vita spirituale che il peccato di Adamo ci aveva rapita, diciamo ancor meglio, Egli viene ad aprirci la porta del cielo che il peccato ci aveva chiusa. Dopo tutto ciò, io vi lascio pensare quale debba essere la gioia e la riconoscenza d’un Cristiano alla vista di tanti benefizi! Ne occorrono altri per farci amare questo tenero e dolce Gesù, il quale viene per prendere sopra di sé tutti i nostri peccati, e che soddisfa alla giustizia del Padre suo per noi tutti? 0 mio Dio! Un Cristiano può pensare a tutto ciò senza venir meno d’amore e di riconoscenza?

I. — Io dico adunque, che la prima piaga che il peccato ha recato nel nostro cuore è l’orgoglio, questa passione così pericolosa, la quale consiste in un fondo d’amore e di stima di noi medesimi, e fa: 1° che noi non amiamo di dipendere da alcuno, né di obbedire; 2° che noi nulla temiamo tanto quanto di vederci umiliati agli occhi degli uomini; 3° che noi ricerchiamo tutto ciò che può farci emergere nella stima degli uomini. Ora, ecco quello che Gesù Cristo viene a combattere nella sua nascita colla umiltà più profonda.  – Non solamente Egli vuol dipendere dal Padre suo e obbedirgli in tutto, ma vuole ancora obbedire agli uomini e dipendere in qualche modo dalla loro volontà. Infatti, l’imperatore Augusto, per vanità, per capriccio o per interesse, ordina che si faccia il censimento di tutti i suoi sudditi, e che ciascun suddito si rechi a farsi registrare nel luogo nel quale sia nato. Noi vediamo che appena questo ordine è stato pubblicato, la Ss. Vergine e S. Giuseppe si mettono in viaggio, e Gesù Cristo benché nel seno della madre sua, obbedisca prontamente e con conoscenza a questo ordine. Ditemi, possiamo noi trovare un esempio di umiltà più adatto a farci praticare questa virtù con amore e con premura? E che! Un Dio obbedisce alle sue creature e vuole dipendere da esse, e noi, miserabili peccatori, che dovremmo, alla vista delle nostre miserie spirituali, nasconderci nella polvere, potremmo noi cercare mille pretesti per dispensarci dall’obbedire ai comandamenti di Dio e della sua Chiesa, ai nostri superiori, i quali in ciò tengono il luogo di Dio? Quale onta per noi se confrontiamo la nostra condotta con quella di Gesù Cristo! Un’altra lezione di umiltà che Gesù Cristo ci porge, è di aver voluto subire il rifiuto del mondo. Dopo un lungo viaggio, Maria e Giuseppe arrivarono a Betlemme; con quale onore non dovevasi ricevere Colui che si aspettava da quattromila anni! Ma come Egli veniva per guarirci del nostro orgoglio e per insegnarci l’umiltà, permette che tutti lo rifiutino e che nessuno voglia ricettarlo. Ecco dunque il padrone dell’universo, del cielo e della terra, disprezzato dagli uomini per i quali viene a sagrificare la propria vita per salvarli! E necessario adunque che questo tenero Salvatore sia ridotto di prendere a prestito il luogo degli animali. O mio Signore! quale umiltà e quale annientamento per un Dio! Certamente, nulla ci è più sensibile che gli affronti, i disprezzi, ed i rifiuti; che se noi vogliamo considerare quelli che furono fatti provare a Gesù Cristo, per quanto grandi siano i nostri, potremmo noi mai levarne lamento? Quale felicità per noi di avere dinanzi agli occhi un così bel modello che possiamo riprodurre senza timore di ingannarci! Io dico che Gesù Cristo, lontano dal cercare ciò che poteva farlo emergere nella stima degli uomini, all’opposto, vuol nascere nell’oscurità e nell’oblio; Egli vuole che poveri pastori siano istruiti segretamente della sua nascita da un angelo, affinché le prime adorazioni che riceverebbe provenissero dai più umili degli uomini. Lascia nel loro riposo e nella loro abbondanza i grandi ed i fortunati del secolo, per mandare i suoi ambasciatori ai poveri, onde siano consolati nel loro stato vedendo in una mangiatoia, adagiato sopra una manata di paglia, il loro Dio e il loro Salvatore. I ricchi non sono chiamati che alcun tempo dopo per farci comprendere che ordinariamente le ricchezze, gli agi, ci allontanano dal buon Dio. Possiamo noi, dopo un tale esempio, avere dell’ambizione, conservare un cuore gonfio d’orgoglio, ripieno di vanità? Possiamo ancora cercare la stima e le lodi degli uomini, gettando gli occhi sopra questa mangiatoia? Non vi pare di udire questo tenero ed amabile Gesù dire a tutti: “Imparate da me quanto sono dolce ed umile di cuore? „ – Dopo ciò, amiamo di vivere nella dimenticanza e nel disprezzo del mondo; non temiamo tanto, scrive S. Agostino, quanto gli onori e le ricchezze di questo mondo, perché se fosse permesso di amarli, Colui che si è fatto uomo per l’amore di noi, Egli medesimo li avrebbe amati. Se Egli fugge e disprezza tutto ciò, noi dobbiamo fare lo stesso, amare quello che ha amato e disprezzare quello che ha disprezzato; ecco l’insegnamento che Gesù Cristo ne porge venendo al mondo, ed ecco nell’atto stesso il rimedio che Egli applica alla nostra prima piaga, che è l’orgoglio. Ma ne abbiamo una seconda, la quale non è meno pericolosa: è l’avarizia.

II. — Noi diciamo che la seconda piaga che il peccato ha inferto nel cuore dell’uomo, è l’avarizia, con altre parole, un amore smodato delle ricchezze e dei beni di questo mondo. Ah! quanto questa passione mena strage nel mondo! S. Paolo ha ben ragione di dirci che essa è la sorgente di tutti i mali. Infatti, non è da questo malaugurato interesse che provengono le ingiustizie, le invidie, gli odi, gli spergiuri, i processi, le querele, le animosità e le durezze verso i poveri? Dopo ciò possiamo meravigliarci che Gesù Cristo, il quale non viene sopra la terra che per guarire le passioni degli uomini, voglia nascere nella più grande povertà e nella privazione di tutti gli agi anche di quelli che sembrano necessari alla vita degli uomini? Per questo noi vediamo che Egli comincia a scegliere una madre povera, e vuol essere creduto il figlio di un povero operaio, e, come i profeti avevano annunciato che nascerebbe dalla famiglia regale di Davide, così affin di conciliare questa nobile origine col suo grande amore per la povertà, permette che, nel tempo della sua nascita, questa illustre famiglia sia caduta nell’indigenza. Non è tutto. Maria e Giuseppe, benché poveri, avevano una piccola casa a Nazareth; era ancora troppo per Lui; Egli non vuol nascere in un luogo che possa chiamar suo; e per questo obbliga Maria, la sua santa Madre, a intraprendere con Giuseppe il viaggio di Betlemme nel tempo preciso nel quale doveva darlo in luce. Ma almeno in Betlemme, che era la patria del loro avo Davide, non troverà parenti per riceverlo in loro casa? No, dice il Vangelo, nessuno lo vuol ricevere; tutti lo rimandano col pretesto che è povero. Ditemi, dove si recherà questo tenero Salvatore, se nessuno vuol riceverlo per guarentirlo dalle ingiurie del tempo cattivo? Tuttavolta resta ancora uno spediente; entrare in una locanda. Infatti, Maria e Giuseppe si presentano. Ma Gesù, il quale aveva tutto preveduto, permise che il concorso fosse così grande, sicché essi non trovarono luogo. Oh! dove riposerà dunque il nostro amabile Salvatore? S. Giuseppe e la Ss. Vergine cercano da ogni parte; essi scorgono una vecchia casupola nella quale le bestie si ritiravano nel cattivo tempo. O cieli! meravigliate! un Dio in una stalla! Egli poteva scegliere un magnifico palazzo; ma colui che ama cotanto la povertà non lo farà. Una stalla sarà il suo palazzo, una mangiatoia la sua culla, un po’ di paglia comporrà il suo letto, miserabili pannolini saranno tutti i suoi ornamenti, e dei poveri pastori formeranno la sua corte. – Ditemi, poteva Egli insegnarci in modo più efficace, il disprezzo che dovremmo fare dei beni e delle ricchezze di questo mondo, e nell’atto stesso, la stima che dobbiamo avere per la povertà e per i poveri? Venite, miserabili, ci dice S. Bernardo, venite voi tutti che attaccate i vostri cuori ai beni di questo mondo, ascoltate quello che vi diranno in questa stalla, questi pastori e questi pannolini che involgono il vostro Salvatore! Ah! sventura a voi che amate i beni di questo mondo! Ah! quanto è difficile che i ricchi si salvino! — Perché, mi direte voi? — Perché? 1° perché  ordinariamente una persona che è ricca è piena d’orgoglio; è necessario che tutti si curvino dinanzi a lei; che tutte le volontà degli altri siano sottomesse alla sua; 2° perché le affezionano i nostri cuori alla vita presente per la qual cosa, noi vediamo ogni giorno che un ricco teme grandemente la morte; 3° perché le ricchezze rovinano l’amore di Dio, estinguono tutti i sentimenti di compassione verso i poveri, o, per dir meglio, le ricchezze sono uno strumento che mette in movimento tutte le altre passioni. Ah! se noi avessimo gli occhi dell’anima aperti, quanto temeremmo che il nostro cuore si affezionasse alle cose di questo mondo! Ah! se i poveri potessero comprendere quanto il loro stato li avvicina a Dio e loro dischiude il cielo, benedirebbero il buon Dio di averli collocati in uno stato che li avvicina al loro Salvatore! Ma se voi mi domandate, chi sono questi poveri che Gesù Cristo ama tanto? Sono quelli che soffrono la loro povertà in ispirito di penitenza, senza mormorare e senza lagnarsi.  Altrimenti, la loro povertà non servirebbe che a renderli più colpevoli dei ricchi.- Ma i ricchi, mi direte voi, che cosa devono per imitare un Dio così povero e così disprezzato? — Ecco: non affezionare il loro cuore ai beni che posseggono; consacrarli in buone opere per quanto il possono; ringraziare il buon Dio di aver loro concesso un mezzo per cancellare i loro peccati colle loro limosine; di non mai disprezzare coloro che sono poveri; all’opposto rispettarli per la grande rassomiglianza che hanno con Gesù Cristo. È dunque con questa grande povertà che Gesù Cristo ci insegna a combattere l’attaccamento che abbiamo per i beni di questo mondo: è con ciò che Egli ci guarisce della seconda piaga che il peccato ci ha recato. Ma questo tenero Salvatore vuol guarircene un’altra recata dal peccato, che è la sensualità.

III. — Questa passione consiste nell’amore smodato dei piaceri che si gustano coi sensi. Questa funesta passione prende nascimento dall’eccesso del bere e del mangiare, dall’amore eccessivo del riposo, degli agi e delle comodità della vita, dagli spettacoli, dalle assemblee profane, in una parola, da tutti i piaceri che noi possiamo godere coi sensi. Che cosa fa Gesù Cristo per guarirci da questa pericolosa malattia? Egli nasce fra i patimenti, nelle lagrime, nella mortificazione; Egli nasce nel cuor della notte, nella stagione più rigorosa dell’anno. Appena nato, è coricato sopra una brancata di paglia, in una stalla. O mio Dio! quale stato per un Dio! Quando il Padre eterno creò Adamo, lo collocò in un giardino di delizie; quando nasce il Figlio suo, lo colloca sopra una manata di paglia! O mio Dio! quale stato! Colui che abbellisce il cielo e la terra, che forma tutta la felicità degli Angeli e dei santi vuol nascere, vivere e morire nei patimenti. Può Egli dimostrare in un modo più forte il disprezzo che dobbiamo fare del nostro corpo, e come dobbiamo trattarlo duramente, per timore che non perda l’anima nostra? O mio Dio! quale contraddizione! un Dio soffre per noi, un Dio versa lagrime sopra i nostri peccati, e noi non vorremmo soffrir nulla, aver tutti i nostri agi! … – Ma le lagrime e i patimenti di questo divino Bambino ci muovono terribili minacce. “Sventura a voi, ci dice, che passate la vostra vita nel ridere, perché sorgerà un giorno nel quale verserete lagrime che mai avranno termine.„ — “Il regno dei cieli soffre violenza e non è che per coloro che se la fanno continuamente. „ Sì, se noi ci avviciniamo con fiducia alla culla di Gesù Cristo, se noi mescoliamo le nostre lagrime con quelle del nostro tenero Salvatore, nell’ora della morte, noi udremo queste dolci parole: “Beati color che hanno pianto, perché saranno consolati.” Ecco dunque questa terza piaga che Gesù Cristo vuol guarire venendo al mondo, che è la sensualità, vo’ dire quel malaugurato peccato d’impurità. Con quale ardore dobbiamo amare e ricercare tutto ciò che può procurarci o conservare una virtù che ci rende aggradevoli a Dio! Sì, prima della nascita di Gesù Cristo correva troppa distanza tra Dio e noi, perché potessimo osare di pregarlo. Ma, il Figlio di Dio, facendosi uomo, volle avvicinarci grandemente a Lui, e forzarci ad amarlo fino alla tenerezza. In qual modo vedendo un Dio in questo stato di bambino, potremmo negargli di amarlo con tutto il nostro cuore? Egli vuole egli medesimo essere il nostro Mediatore, è Lui che si incarica di domandare ogni cosa al Padre suo per noi; ci chiama fratelli suoi, figli suoi; poteva egli prendere dei nomi che ci inspirino una più grande fiducia? Accostiamoci adunque a lui con una grande confidenza tutte le volte che abbiamo peccato; egli medesimo domanderà il nostro perdono, e ci otterrà la sorte di perseverare. Ma per meritare questa grande e preziosa grazia, è necessario camminare sulle tracce del nostro modello; che a suo esempio noi amiamo la povertà, il disprezzo e la purità; che la nostra vita risponda alla grandezza della nostra qualità di figli e di fratelli di un Dio fatto uomo. No, noi non possiamo considerare la condotta dei Giudei senza essere compresi di meraviglia. Questo popolo lo aspettava da quattro mila anni, aveva fervorosamente pregato pel desiderio che aveva di riceverlo; e quando Egli viene, non trova alcuno per fornirgli un qualche ricovero; gli è necessario, benché sia onnipotente, benché sia Dio, prendere a prestito dagli animali un asilo. Tuttavia, io trovo nella condotta dei Giudei, benché colpevole sia, non un argomento di scusa per questo popolo, ma un motivo di condanna per la maggior parte dei Cristiani. Noi vediamo che i Giudei si erano formati del loro liberatore un’idea che non si accordava collo stato d’umiliazione nel quale apparve; sembravano non potersi persuadere che Egli fosse colui che doveva essere il loro liberatore; poiché S. Paolo ha lasciato scritto che “se i Giudei l’avessero conosciuto per Dio, non lo avrebbero mandato a morte „ (I. Cor. II, 8). Ecco una piccola scusa per i Giudei. Ma per noi quale scusa potremo recare della nostra freddezza e del nostro disprezzo per Gesù Cristo? Si, certamente, noi crediamo che Gesù Cristo è venuto sulla terra, che ha prodotto le prove più convincenti della sua divinità: ecco quello che forma l’oggetto della nostra solennità. Questo medesimo Dio vuol prendere, coll’effusione della sua grazia, una nascita spirituale nei nostri cuori: ecco i motivi della nostra fiducia. Noi ci gloriamo e abbiamo ragione di riconoscere Gesù Cristo per nostro Dio, per nostro Salvatore e per nostro modello: ecco il fondamento della nostra fede. Ma, ditemi, con tutto ciò, quale omaggio gli rendiamo noi? Qual cosa facciamo di più per Lui, come se non crediamo tutto ciò? Ditemi, la nostra condotta risponde alla nostra credenza? Consideriamo più attentamente e noi vedremo che siamo più colpevoli dei Giudei nel loro accecamento e nel loro induramento.

IV. — Dapprima, M. F., non parleremo di coloro i quali, dopo di aver perduto la fede, non la professano più esternamente; ma parliamo di coloro i quali credono tutto ciò che la Chiesa insegna, e che tuttavia nulla fanno di quanto la religione ci comanda. Facciamo alcune riflessioni particolari, opportune per il tempo nel quale viviamo. Noi rimproveriamo i Giudei di aver negato un asilo a Gesù Cristo, benché non lo conoscessero. Ora, abbiamo noi ben posto mente che noi gli rechiamo lo stesso affronto tutte le volte che trascuriamo di riceverlo nei nostri cuori colla santa comunione? Noi riprendiamo i Giudei di averlo appeso alla croce, benché non avesse loro procurato che del bene; ditemi, qual male ci ha recato, o più giustamente, qual bene non ci ha procurato? E noi non gli rechiamo lo stesso oltraggio, tutte le volte che abbiamo l’audacia di abbandonarci in preda del peccato? E i nostri peccati non sono ancora più penosi a questo buon cuore che non quello che i Giudei gli fecero soffrire? Noi non possiamo leggere senza essere compresi d’orrore tutte le persecuzioni che i Giudei gli fecero soffrire, benché credessero di fare una cosa accettevole a Dio. Ma non facciamo noi alla santità del Vangelo una guerra mille volte più crudele colle sregolatezze dei nostri costumi ? Ah! noi non apparteniamo al Cristianesimo che per una fede morta, e non sembra che noi non crediamo in Gesù Cristo che per oltraggiarlo maggiormente e per disonorarlo con una vita cosi miserabile agli occhi di Dio. Posto ciò, giudicate ciò che i Giudei devono pensare di noi, e con essi, tutti i nemici della nostra santa Religione. Quando essi esaminano i costumi della maggior parte dei Cristiani, essi ne trovano una quantità che vivono quasi non fossero mai stati Cristiani: lascio di essere più particolare per non dilungarmi lungamente. Io mi limito a due punti essenziali, che sono il culto esterno della nostra santa Religione, ed i doveri della carità cristiana. No, nulla dovrebbe essere per noi più umiliante e più amaro di quei rimproveri che i nemici della nostra Religione muovono contro di noi; perché tutto ciò tende ad assodare come la nostra condotta è in contraddizione colla nostra credenza. Voi vi gloriate, ci dicono, di possedere in corpo ed in anima la Persona di quel medesimo Gesù Cristo che è vissuto in altro tempo sopra la terra, e che voi adorate come vostro Dio e vostro Salvatore; voi credete che Egli discende sopra i vostri altari, che riposa nei vostri tabernacoli, e voi credete che la sua carne è veramente il vostro nutrimento e il suo sangue la vostra bevanda; ma se la vostra fede è tale, siete voi gli empi, perché  vi recate nelle vostre chiese con minor rispetto, ritenutezza e decenza, che non fareste recandovi nella casa di un uomo onesto per fargli visita. I pagani non avrebbero certamente permesso che si commettessero nei loro templi e in presenza dei loro idoli, mentre si offrivano sacrifizi, le immodestie che voi commettete alla presenza di Gesù Cristo nel momento nel quale voi dite che Egli discende sopra i vostri altari. Se veramente credeste quello che voi dite di credere, voi dovreste essere compresi d’un santo tremore. Ah! questi rimproveri sono pur troppo meritati. Che cosa pensare vedendo il modo col quale la maggior parte dei Cristiani si conducono nelle nostre chiese? Gli uni hanno lo spirito volto ai loro affari temporali, gli altri ai loro piaceri; questi dorme, si gira la testa, si sbadiglia, si squaderna il libro, si guarda se i santi uffici saranno quanto prima terminati. La presenza di Gesù Cristo è un martirio, mentre si passeranno le cinque o le sei ore nei salotti, in una bettola, alla caccia, senza che si trovi questo tempo troppo lungo; e vediamo che in questo tempo che si consacra al mondo ed ai piaceri suoi, non si pensa né a dormire, né a sbadigliare, né ad annoiarsi. È mai possibile che la presenza di Gesù Cristo sia così penosa per Cristiani i quali dovrebbero riporre tutta la loro felicità nel venire a tenere un momento di compagnia ad un cosi buon padre? Ditemi, che cosa deve pensare di noi Gesù Cristo medesimo, il quale non si è reso presente nei nostri tabernacoli che per amore per noi, e che vede che la sua santa presenza, che dovrebbe formare tutta la nostra felicità, ed essere il nostro paradiso in questo mondo, sembra essere un supplizio ed un martirio per noi? Non si ha ragion di credere che codesti Cristiani non saranno mai assunti in cielo, dove sarebbe necessario restare per il volgere di tutta l’eternità alla presenza di questo medesimo Salvatore? Il tempo non sarebbe soverchiamente lungo?… Ah! voi non conoscete la vostra felicità, quando siete così fortunati di venire a presentarvi davanti al Padre vostro che vi ama più che se medesimo, e che vi chiama ai piedi dei suoi altari, come altra volta chiamò i pastori, per ricolmarvi d’ogni sorta di benefizi. Se noi fossimo ben penetrati di ciò, con quale amore, con quale sollecitudine non ci recheremmo qui come i magi, per offrirgli in dono tutto quello che possediamo, vo’ dire, i nostri cuori e le anime nostre? I padri e le madri non verrebbero con maggior diligenza ad offrirgli tutta la loro famiglia, perché la benedicesse e le concedesse le grazie di santificazione? Con qual piacere i ricchi non verrebbero ad offrirgli una parte dei loro beni nella persona dei poveri? Mio Dio, la nostra poca fede ci fa perdere i beni dell’eternità! – Ascoltate ancora i nemici della nostra santa religione: noi nulla diciamo, così essi, dei vostri sacramenti per riguardo ai quali la vostra condotta è tanto lontana dalla vostra credenza, quanto lo è il cielo dalla terra, giusta i principi della vostra fede. Voi diventate per il vostro battesimo come altrettanti Dei, ciò che vi aderge ad un grado di onore che non si può comprendere, perché si suppone che solo Dio vi sia superiore. Ma che devesi pensare di voi, vedendo il maggior numero abbandonarsi a delitti che vi mettono al disotto dei bruti privi di ragione? Voi diventate, per il sacramento della Confermazione, come altrettanti soldati di Gesù Cristo, che si inscrivono sotto lo stendardo della croce, che non devono mai arrossire delle umiliazioni e degli obbrobri del loro Padrone, che, in ogni circostanza, devono rendere testimonianza alla verità del Vangelo. Ma tuttavolta, chi oserebbe dirlo? occorrono nel mezzo di voi non so quanti Cristiani che il rispetto umano impedisce di fare pubblicamente le loro opere di pietà; che forse non oserebbero avere un crocifisso nella loro camera e dell’acqua benedetta a lato del loro letto; che avrebbero vergogna di fare il segno della croce prima e dopo i loro pasti, o che si nascondono per farlo. Vedete quanto siete lontani dal vivere secondo che la vostra Religione vi comanda? Voi ci dite, per riguardo alla confessione e alla comunione, delle cose che sono bellissime e consolantissime: ma in qual modo vi accostate voi a questi sacramenti? In qual modo li ricevete voi? Negli uni, non è che un’abitudine, un uso, un trastullo; negli altri è un supplizio: è necessario trascinarveli. per così dire. Vedete come è necessario che i vostri ministri  vi incalzino e vi sollecitino, perché vi accostiate a questo tribunale della penitenza dove ricevete, voi dite, il perdono dei rostri peccati: a questa mensa dove voi credete di mangiare il pane degli angeli, che il Salvator vostro? Se voi credete quello che dite, non si sarebbe piuttosto obbligati di frenarvi, vedendo come è grande la felicità vostra di ricevere il vostro Dio, che deve formare la consolazione vostra in questo mondo e la gloria vostra nell’altro? Tutto quello che, giusta la fede vostra, si chiama una sorgente di grazia e di santificazione, non è, nel fatto, per la maggior parte di voi, che una occasione di irriverenza, di disprezzo, di profanazione e di sacrilegi. O voi siete degli empi, o la vostra Religione è falsa, perché se voi foste veramente persuasi che la vostra Religione è santa, voi non vi condurreste in questo modo in tutto quello che vi comanda. Voi avete, oltre la domenica, delle feste le quali, voi dite, sono istituite, le une per onorare quello che voi chiamate i misteri della vostra Religione; le altre per celebrare la memoria dei vostri Apostoli, le virtù dei vostri martiri, ai quali è tanto costato il fondare la vostra Religione. Ma diteci, queste feste, queste domeniche, in qual modo le celebrate voi? Non sono segnatamente tutti questi giorni che voi scegliete per darvi in balia di ogni sorta di disordini, di stravizzi e di libertinaggio? Non commettete un male più grave, in questi giorni che voi dite essere così santi, che in tutti gli altri tempi? Le vostre funzioni, che voi ci dite essere una riunione coi santi che sono in cielo, dove voi cominciate a gustare la medesima felicità, vedete il pregio nei quale li tenete: una parte non vi si reca quasi mai; gli altri vi sono come i colpevoli sul banco degli accusati; che cosa potrebbesi pensare dei vostri misteri e dei vostri santi, se si volesse giudicarne dal modo col quale celebrate le loro feste? – Ma non badiamoci più a lungo intorno a questo culto esteriore, il quale, per una singolare bizzarria, e per una inconseguenza piena di irreligione, rivela la vostra fede e nell’atto medesimo la smentisce. Dove si trova nel mezzo di voi quella carità fraterna, la quale, nei principì di vostra credenza, è fondata sopra motivi così sublimi e così divini ? Siamo un po’ più particolari, e noi vedremo se questi rimproveri non sono ben fondati. Quanto la vostra Religione è bella, ci dicono i Giudei ed anche i pagani, se voi faceste quello che essa vi comanda! Non solamente voi siete fratelli, ma, ciò che è più bello, voi non formate tutti insieme che un medesimo corpo con Gesù Cristo, la cui carne e il cui sangue vi servono ogni giorno di nutrimento; voi siete tutti membri gli uni degli altri. Bisogna convenirne, questo articolo della vostra fede è ammirabile, vi è qualche cosa di divino. Se voi operaste secondo la vostra credenza, voi sareste nel caso di attrarre tutte le altre nazioni alla vostra Religione, tanto è bella, consolante, e ineffabili beni vi promette per l’altra vita! Ma quello che fa credere a tutte le nazioni che la vostra Religione non è tale quale voi la dite, è che la condotta vostra è affatto opposta a quello che la vostra Religione vi comanda. Se si interrogassero i vostri pastori, e che loro fosse permesso di svelare quello che vi ha di più segreto, ci mostrerebbero le querele, le inimicizie, la vendetta, le gelosie, le maldicenze, i falsi rapporti, i processi e tanti altri vizi che eccitano l’orrore di tutti i popoli, anche di coloro dei quali voi dite che la Religione è tanto lontana dalla vostra per rapporto alla santità. La corruzione dei costumi che regna in mezzo a voi, trattiene coloro che non sono della vostra Religione di abbracciarla; perché se voi foste ben persuasi che essa è buona e divina, voi vi condurreste in modo tutto diverso. Ah! qual vergogna per noi che i nemici della nostra santa Religione tengano un tal linguaggio! E non hanno ragione di tenerlo? Esaminando noi medesimi la nostra condotta, noi vediamo positivamente che nulla facciamo di quello che essa comanda. All’opposto, noi non sembriamo appartenere ad una Religione così santa che per dimenticarla, e per allontanare coloro che avrebbero desiderio di abbracciarla; una Religione che ci proibisce il peccato che commettiamo con diletto e verso il quale siamo trasportati con un tal furore, che non sembriamo vivere che per moltiplicarlo; una Religione che espone ogni giorno Gesù Cristo ai nostri occhi, come un buon padre che vuole colmarci di benefizi: ora noi fuggiamo la sua santa presenza, o, se qui ci rechiamo, non è che per disprezzarlo e renderci più colpevoli; una Religione che ci offri il perdono dei nostri peccati per il ministero dei suoi sacerdoti: lontani dal approfittare di questi mezzi, o li profaniamo, o li fuggiamo; una Religione che ci lascia intravvedere tanti beni per l’altra vita, e che ci mostra dei mezzi così chiari e così facili per acquistarli: e noi sembriamo non conoscere tutto ciò che per farli segno di disprezzo e di scherno; una Religione la quale ci dipinge in un modo così spaventoso i tormenti dell’altra vita, onde farceli evitare: e noi sembriamo non aver mai commesso abbastanza di male per meritarli! Mio Dio, in quale abisso di accecamento siamo caduti! una Religione che non cessa mai di avvertirci che dobbiamo continuamente adoperarci a correggerci dei difetti, a reprimere le nostre tendenze verso il male: e, lontani dal farlo, sembriamo cercare tutto ciò che può accendere le nostre passioni; una Religione che ci avverte che non dobbiamo operare che per il buon Dio e sempre nella vista di piacergli: e noi non abbiamo in quello che facciamo che viste umane; noi vogliamo sempre che il mondo ne sia testimonio, ci lodi, feliciti. O mio Dio, quale accecamento e quale povertà! E noi potremmo adunare tanti beni per il cielo, se volessimo condurci secondo le regole che ci fornisce la nostra santa Religione. Ma, ascoltate ancora i nemici della nostra santa e divina Religione, come ci opprimono di rimproveri. Voi dite che il vostro Gesù Cristo, che credete essere il Salvator vostro, vi assicura che Egli terrebbe in conto come fatto a se medesimo tutto ciò che voi fareste al fratel vostro; ecco una delle vostre credenze, e certamente ciò è bello, ma se ciò è come voi dite, voi non lo credete che per insultare Gesù Cristo medesimo! Voi non lo credete che per straziarlo e oltraggiarlo, in una parola per maltrattarlo nel modo più crudele nella persona del vostro prossimo! Le più lievi colpe contro la carità devono essere considerate, giusta i principi vostri, come altrettanti oltraggi recati a Gesù Cristo. Ma, dite, Cristiani, qual nome dobbiamo dare a tutte quelle maldicenze, a quelle calunnie, a quelle vendette e a quegli odi con cui vi divorate gli uni gli altri? Voi siete dunque mille volte più colpevoli verso la Persona di Gesù Cristo che non i Giudei medesimi ai quali rimproverate la sua morte! No, M. F, le azioni dei popoli più barbari contro l’umanità, sono nulla in confronto di ciò che noi facciamo ogni giorno contro i princìpi della carità cristiana. Ecco, M. F., una parte dei rimproveri che ci muovono i nemici della nostra santa Religione. – Io non ho la forza di andare innanzi, tanto ciò è triste e disonorevole per la nostra santa Religione, la quale è così bella, così consolante, e capace di renderci felici anche in questo mondo, preparandoci una così grande felicità per la eternità. Voi converrete con me che se questi rimproveri hanno già qualche cosa che umilia un Cristiano, benché non siano mossi che da uomini, io vi lascio pensare quello che essi saranno, quando avremo la sventura di udirli dalla bocca medesima di Gesù Cristo, quando ci presenteremo dinanzi a Lui per rendergli conto delle opere che la nostra fede avrebbe dovuto produrre in noi. Miserabili Cristiani, ci dirà Gesù Cristo, dove sono i frutti di quella fede nella quale siete vissuti e della quale voi recitaste ogni giorno il Simbolo? Voi mi avete preso per Salvator vostro e per vostro modello: ecco le mie lacrime e le mie penitenze; dove sono le vostre? Qual frutto avete voi tratto dal mio sangue adorabile, che ho fatto fluire sopra di voi co’ miei sacramenti? A che vi ha giovato questa croce, dinanzi alla quale tante volte vi siete prostrati? Quale rassomiglianza corre tra me e voi? Qual cosa vi ha di comune tra le vostre penitenze e le mie? tra la vostra vita e la mia? Ah! miserabili, rendetemi conto di tutto il bene che questa fede avrebbe prodotto in voi, se voi aveste avuto la sorte di farla fruttificare! Venite, vili e infedeli, rendetemi conto di questa fede preziosa e inestimabile, la quale poteva e che avrebbe dovuto farvi produrre le ricchezze eterne. Voi l’avete indegnamente associata con una vita tutta carnale e tutta pagana. Vedete, infelici, quale rassomiglianza corre tra voi e me! Ecco il mio Vangelo, ed ecco la vostra fede. Ecco la mia umiltà ed il mio annientamento, ed ecco il vostro orgoglio, la vostra ambizione e la vostra vanità. Ecco la vostra avarizia, e il mio distacco dalle cose di questo mondo. Ecco la vostra durezza verso i poveri e il disprezzo al quale li avete fatti segno; ecco la mia carità e l’amor mio per essi. Ecco tutte le vostre intemperanze, e i miei digiuni e le mie mortificazioni. Ecco tutte le vostre freddezze e tutte le vostre irriverenze nel tempio del Padre mio; ecco tutte le profanazioni vostre, tutti i vostri sacrilegi e tutti gli scandali che avete dati ai miei figli; ecco tutte le anime che avete perdute, e tutti i patimenti e tutti i tormenti che ho sofferto per salvarle! Se voi siete stati la causa per cui i miei nemici hanno bestemmiato il mio santo nome, io saprò ben punirli; ma per voi, io voglio farvi provare tutto ciò che la mia giustizia ha di più rigoroso. Sì, ci dice Gesù Cristo,  (Matth. x, 15) gli abitanti di Sodoma e di Gomorra saranno trattati con minore severità che questo popolo infelice, al quale ho elargito tante grazie, ed al quale i miei lumi, i miei favori e tutti i benefizi miei sono tornati inutili, e che mi ha ricambiato colla più nera ingratitudine. – Sì, i cattivi malediranno eternamente il giorno nel quale hanno ricevuto il santo Battesimo, i pastori che li hanno istruiti, i sacramenti che sono stati loro amministrati. Ah! che dico! quel confessionale, quella sacra mensa, quella cattedra, quell’altare, quella croce, quel Vangelo, o per meglio farvelo comprendere, tutto ciò che è stato l’oggetto della loro fede sarà l’oggetto delle loro imprecazioni, delle loro maledizioni, delle loro bestemmie e della loro disperazione eterna. O mio Dio! quale onta e quale sventura per un Cristiano di non essere stato Cristiano che per dannarsi più facilmente e per meglio far patire un Dio il quale non voleva che la sua felicità eterna, un Dio che non ha risparmiato nulla per questo, che ha abbandonato il seno del Padre suo, che è disceso sopra la terra, ha assunto la nostra umanità, ha trascorso tutta la sua vita nei patimenti e nelle lagrime e che è morto appeso ad una croce per lui! Egli non ha cessato, esso dirà, di incalzarmi con tanti buoni pensieri, con tante buone istruzioni dalla parte dei miei pastori, coi rimorsi della mia coscienza. Dopo il mio peccato, Egli medesimo si è offerto per servirmi di modello; che poteva egli fare di più per procurarmi il cielo? No, nulla di più; se io avessi voluto, tutto ciò mi avrebbe servito per guadagnare il cielo, che mai possederò. Ritorniamo dai nostri traviamenti, e procuriamo di condurci meglio che non abbiamo fatto sino al presente.

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: DOVERI DEI GENITORI VERSO I FIGLI

Doveri dei genitori verso i figli.

Credidit ipse, et domus ejus tota.

(JOAN. IV, 53).

Possiamo noi trovare, Fratelli miei, un esempio più adatto per far intendere a tutti i capi di famiglia che essi non possono efficacemente lavorare alla loro salvezza se nel medesimo tempo non lavorano a quella dei loro figli? Invano i padri e le madri passerebbero la loro vita nel far penitenza, nel piangere i loro peccati, nel distribuire le ricchezze ai poveri; se essi hanno la disgrazia di trascurare la salute dei loro figli, tutto è perduto per essi. Ne dubitate, F. M.? Aprite le Scritture, e vi vedrete che se i genitori furono santi, lo furono del pari i loro figli, ed anche i dipendenti. Quando il Signore loda quei padri e quelle madri che si sono distinti per fede e pietà, non dimentica di dirci che i loro figli ed i loro servi hanno camminato sulle loro tracce. Lo Spirito Santo vuol farci l’elogio di Abramo e di Sara? Non tralascia nel medesimo tempo di ricordarci l’innocenza di Isacco e il fervoroso e fedele lor servo Eliezero (Gen XXIV). E se ci mette davanti le rare virtù della madre di Samuele, fa rilevare subito le belle qualità di questo degno figliuolo (I Reg. I e II). Se ci manifesta l’innocenza di Zaccaria e di Elisabetta ci parla subito di Giovanni Battista, il santo precursore del Salvatore (Luc. I). Quando il Signore vuol presentarci la madre dei Maccabei come una madre degna dei suoi figliuoli, ci mostra nel medesimo tempo il coraggio e la generosità di questi, che danno la vita con tanta gioia per il Signore (II Macc. VII). Se S. Pietro ci parla del centurione Cornelio come d’un modello di virtù, ci dice anche che tutta la sua famiglia serviva con lui il Signore (Act. X, 2) . Se il Vangelo ci parla di quell’ufficiale che venne a domandare a Gesù la guarigione di suo figlio, ci dice che dopo averla ottenuta non si diede più pace finché tutta la famiglia non credette con lui nel Signore (Joan. IV, 58). Quali esempi per i padri e le madri! Dio mio! se i padri e le madri dei nostri giorni avessero la fortuna di esser santi, quanti figli di più pel cielo! quanti figli di meno per l’inferno! Ma, forse mi direte, che cosa dobbiamo fare per adempiere i nostri doveri, poiché sono sì grandi e sì terribili? — Ahimè! io non oso dirvelo, tanto sono gravi per un Cristiano che desidera adempirli come vuole il buon Dio. Ma giacché sono obbligato a mostrarveli, eccoli: istruire i vostri figli, cioè insegnar loro a conoscere il buon Dio ed i propri doveri; correggerli cristianamente, dar loro buon esempio, guidarli per la giusta via che conduce al cielo, camminandovi per primi voi stessi. Ahimè ! F. M., io temo che questa istruzione vi sia, come tante altre, nuovo argomento di condanna. Il voler mostrarvi la grandezza dei vostri doveri, è volere discendere in un abisso senza fondo, e volere spiegare una verità che l’uomo non può mettere i n tutta la sua luce. – Per questo, F. M. bisognerebbe potervi far comprendere ciò che valgono le anime dei vostri figli, quanto ha sofferto Gesù Cristo per ridonar loro il cielo, il conto spaventoso che un giorno dovrete renderne a Dio, la felicità che fate loro perdere per tutta l’eternità, i tormenti che preparate loro per l’altra vita; converrete con me, F. M., che nessun uomo è capace di tutto questo. Ah! disgraziati genitori, se li stimaste quanto li stima il demonio! Quando pure egli impiegasse tre mila anni per tentarli, se finalmente riuscisse ad averli, conterebbe per nulla tutte le sue fatiche. Piangiamo, F. M., la perdita di tante anime che i genitori stessi ogni giorno gettano nell’inferno. Diamo uno sguardo superficiale ai vostri doveri, e frattanto, se non avete perduta interamente la fede, vedrete che non avete fatto nulla di quanto il buon Dio vuol che facciate per i vostri figli, o piuttosto che avete fatto tutto quanto occorreva per perderli. Ah! quante persone maritate non andranno in cielo! — E perché? mi direte voi. — Ecco. Perché vi sono molti che entrano nello stato del matrimonio senza le necessarie disposizioni, e profanano così da principio questo sacramento. Sì, dove sono quelli che ricevono questo Sacramento con la dovuta preparazione? gli uni vi sono condotti dal pensiero di accontentare i loro impuri desiderii; gli altri sono attirati da viste d’interesse, o dalle seduzioni della beltà; ma quasi nessuno ha per oggetto Dio solo. Ahimè! quanti matrimoni profanati, e come sono poche le unioni dove regnano la pace e la virtù! Dio mio! Quante persone maritate si danneranno. Ma, no, F. M., non entriamo in questi particolari, vi ritorneremo un’altra volta; parliamo solo dei doveri dei genitori verso i figli; sono abbastanza estesi per servirci da soggetto di trattenimento. Per oggi, F . M., non dirò nulla di quei padri e di quelle madri, del cui delitto non potrei dipingere a colori abbastanza vivi e forti la enormità e l’orrore. Essi fissano, prima di Dio stesso, il numero dei loro figli, mettono dei limiti ai disegni della Provvidenza s’oppongono alle sue adorabili volontà. Copriamo, F. M., tutte queste turpitudini con un velo, che nel grande giorno delle vendette, Colui, che ha tutto visto, contato e. ponderato saprà strappare. I tuoi delitti, amico, sono ancora nascosti, ma fra qualche giorno  Dio saprà manifestarli davanti a tutto l’universo. Sì, F. M., nel giorno del giudizio vedremo tutti gli orrori commessi nel matrimonio e che avrebbero fatto fremere gli stessi pagani. Non dico neppur nulla di quelle madri delinquenti, che vedrebbero senza dolore, ahimè! forse anche con piacere, perire i loro poveri figli prima di averli dati alla luce, e di aver loro procurato la grazia del Battesimo; le une, per timore dei fastidi che proverebbero nell’allevarli; le altre per timore del disprezzo e del rifiuto che proverebbero da un marito brutale ed irragionevole; non dico, senza religione, perché i pagani non farebbero di più, Dio mio! e possono tali delitti trovarsi fra i Cristiani? Eppure. F. M., quanto ne è grande il numero! Ancora una volta, quante Persone maritate sono dannate! Ecchè, amico mio, il buon Dio vi ha forse dato cognizioni superiori alle bestie, solo perché poteste offenderlo meglio? Gli uccelletti e gli stessi animali più feroci dovranno servirvi d’esempio? Vedetele,  queste povere bestie, quanto si rallegrano al vedersi moltiplicare i loro nati: di giorno si affaticano a cercar loro il nutrimento, e di notte li coprono colle loro ali per difenderli dalle ingiurie del tempo. Se una mano rapace porta via loro i piccoli, le sentirete lamentarsi; sembra che esse non possano più abbandonare i loro nidi, sempre nella speranza di ritrovarli. Quale vergogna, non dico per i pagani, ma per i Cristiani, che gli animali siano più fedeli nell’adempimento dei disegni della Provvidenza, che non gli stessi figli di Dio; cioè i padri e le madri che Dio ha scelto solo per popolare il cielo! No, no, F. M., non continuiamo, abbandoniamo un argomento così ributtante; entriamo nei particolari che riguardano un maggior numero di persone. Io vi parlerò più semplicemente che mi sarà dato, affinché possiate ben comprendere i vostri doveri ed adempirli.

1° Dico anzitutto che quando una madre è incinta deve pregare o fare qualche elemosina; meglio ancora, se può, far celebrare una Messa, per domandare alla santa Vergine di riceverla sotto la sua protezione, affinché ottenga da Dio che il povero infante non muoia senza aver ricevuto il santo Battesimo. Se una madre avesse veramente il sentimento religioso, direbbe a se stessa: “Ah! se avessi la fortuna di veder questo bambino diventare un santo, e contemplarlo per tutta l’eternità al mio fianco, cantando le lodi del buon Dio, quale gioia per me!„ Ma no, no, F. M., non è questo il pensiero che occupa una madre incinta: essa proverà invece un affannoso dispiacere nel vedersi in questo stato, e forse penserà di distruggere il frutto del suo seno. Dio mio, il cuore di una madre cristiana, può concepire un tale delitto? Eppure, quante ne vedremo, in quel giorno, che avranno nutrito in sé tali pensieri d’omicidio!

2° Dico inoltre che una madre incinta che vuol conservare il figliuolo pel cielo, deve evitare due cose: il portare carichi troppo pesanti e l’alzare le braccia troppo con isforzo per prendere qualche cosa, il che potrebbe nuocere al povero figliuolo e farlo perire. La seconda cosa da evitare, è il prendere rimedi che possano far patire il figliuolo, o dare in iscatti di collera, ciò che potrebbe spesso soffocarlo. I mariti devono tollerare molte cose che in un altro tempo non tollererebbero; se non vogliono farlo per riguardo alla madre, lo facciano almeno per riguardo al bambino; poiché potrebbe perdere la grazia del santo Battesimo; il che sarebbe la più grande di tutte le disgrazie!

3° Quando una madre vede avvicinarsi il tempo del parto, deve andarsi a confessare, e per più ragioni. La prima, perché molte durante il parto muoiono e, se per isventura ella avesse la disgrazia d’essere in peccato, si dannerebbe. La seconda, perché essendo in istato di grazia, tutte le pene e dolori che soffrirà saranno ricompensati in cielo. La terza, perché il buon Dio non mancherà di accordarle tutte le grazie che essa augurerà al suo figliuolo. Una madre, durante il parto, deve conservare il pudore e la modestia, per quanto nel suo stato le sia possibile, e non mai dimenticarsi di essere alla presenza di Dio, ed in compagnia del suo buon angelo custode. Non deve mangiare mai di grasso nei giorni proibiti, senza permesso, perché attirerebbe la maledizione su di sé e sul figlio.

4° Non lasciate mai passare più di ventiquattro ore senza far battezzare i vostri figli; se non lo fate, vi rendete colpevoli, eccetto però che non abbiate serie ragioni. Per padrini e madrine scegliete persone buone per quanto lo potete; eccone la ragione: tutte le preghiere, le buone opere che faranno i padrini e le madrine, in virtù della parentela spirituale coi vostri figli otterranno a questi una quantità di grazie dal cielo. Sì, F. M., stiamo certi che nel giorno del giudizio vedremo molti figli riconoscersi debitori della loro salute alle preghiere, ai buoni consigli ed ai buoni esempi dei padrini e delle madrine. Un’altra ragione vi obbliga: se voi venite a mancare, essi dovranno tenere il vostro posto. Dunque, se aveste la disgrazia di scegliere padrini e madrine senza religione, questi non potrebbero che condurre i vostri figli all’inferno. Padri e madri, non dovete mai lasciar perdere il frutto del Battesimo ai vostri figli: come sareste ciechi e crudeli! La Chiesa vuol salvarli col santo Battesimo, e voi, per negligenza, li rimettete in potere del demonio! Poveri bambini; in quali mani avete la disgrazia di cadere! Ma quanto ai padrini ed alle madrine non bisogna dimenticare che per farsi mallevadori di un fanciullo è necessario essere sufficientemente istruiti, di poter istruire essi il fanciullo, se il padre e la madre avessero a mancargli. Inoltre bisogna che siano buoni Cristiani ed anche perfetti Cristiani; poiché devono servir d’esempio ai loro figli spirituali. Perciò una persona che non fa Pasqua non deve tener a battesimo un bambino, e neppure una persona che ha una cattiva abitudine e non vuole rinunciarvi, o che va ai balli, o che frequenta abitualmente le bettole; perché ad ogni interrogazione del sacerdote, fa un giuramento falso: cosa grave, come ben vedete, in presenza di Gesù Cristo stesso, e ai piedi del sacro fonte battesimale. Quando non avete le necessarie condizioni per essere padrini cristiani, dovete rifiutare; e, se tutto questo vi è già capitato, dovete confessarvene, e non cadere più in simile peccato.

5° Non dovete far dormire i vostri figli con voi prima dell’età di due anni; se lo fate, commettete peccato. La Chiesa ha fatto questa legge non senza ragione: voi siete obbligati ad osservarla. — Ma, mi direte, alle volte fa molto freddo, o si è molto stanchi. — Questo non è una ragione che possa scusarvi davanti a Dio. Del resto, quando vi siete maritati, sapevate che sareste stati obbligati a portare il peso e ad adempiere i doveri inerenti a questo stato. Vi sono anche, F. M., dei padri e delle madri così poco istruiti in materia di religione, o così noncuranti dei loro doveri, che fanno dormire con sé figliuoli dai quindici ai diciotto anni, e spesso anche fratelli e sorelle assieme. Dio mio in quale stato d’ignoranza sono questi padri e queste madri! — Ma, mi direte, non abbiamo letti. — Voi non avete letti: ma è meglio farli dormire su di una seggiola, o in casa del vostro vicino. Dio mio! quanti genitori e figli dannati! Ma ritorno ancora al mio punto, dicendo che tutte le volte che fate dormire con voi i figliuoli prima che abbiano due anni, offendete il buon Dio. Ahimè! quanti poveri bambini alla mattina sono trovati soffocati dalla madre, ed a quante madri, qui presenti, è toccata questa disgrazia! E quand’anche Iddio ve ne avesse preservate, non siete meno colpevoli che se lì aveste trovati soffocati ogniqualvolta hanno dormito con voi. Voi non volete convenirne, cioè non ve ne correggete: aspettiamo il giorno del giudizio, ed allora sarete obbligate di ammettere quanto ora non volete riconoscere. — Ma, mi direte, quando sono battezzati non vanno perduti, anzi vanno in cielo. — Senza dubbio, F. M., non andranno perduti, ma siete voi che vi perderete; del resto sapete voi a che cosa destinava Iddio quei figliuoli? Forse quel bambino sarebbe stato un buon sacerdote. Avrebbe condotto una quantità di anime a Dio; ogni giorno, celebrando la S. Messa, avrebbe reso più gloria a Dio che tutti gli angeli ed i santi riuniti insieme in cielo. Avrebbe tratto più anime dal purgatorio che non le lagrime e lo penitenze dei solitari offerte al trono di Dio. Comprendete ora, il male di lasciar morire un fanciullo, anche battezzato? Se la madre di S. Francesco Saverio, che fu un gran santo che ha convertito tanti idolatri, l’avesse lasciato perire; ahimè! quante anime nell’inferno, al giorno del giudizio, la rimprovererebbero di essere stata la causa della loro dannazione, perché quel fanciullo era mandato da Dio por convertirli! Voi lasciate perire quella bambina che forse si sarebbe data a Dio; colle sue preghiere e co’ suoi buoni esempi avrebbe condotto un gran numero di anime al cielo. Forse madre di famiglia, avrebbe ben allevato i suoi figli che, a loro volta, ne avrebbero allevati altri, e così la religione si sarebbe mantenuta e conservata per numerose generazioni. Voi contate poco, F. M., la perdita di un fanciullo, col pretesto che è battezzato; ma aspettate il giorno del giudizio, e vedrete e riconoscerete ciò che non comprenderete mai in questo mondo. Ahimè! se i padri e le madri facessero di tanto in tanto questa riflessione, quante anime di più vi sarebbero in cielo.

6° Io dico che i genitori sono colpevoli assai quando accarezzano i loro figli in un modo troppo sconveniente. — Ma, mi direte, non facciamo alcun male, è soltanto per carezzarli; — ed io invece vi dirò che offendete il buon Dio, e che attirate la maledizione su questi poveri bambini. Sapete che cosa ne avviene? Ecco: Vi sono dei fanciulli che hanno presa questa abitudine dai genitori, e l’hanno conservata fino alla loro prima comunione. Ma, mio Dio! si può credere che questo avvenga da parte di genitori cristiani?

7° Vi sono delle madri, che hanno sì poca religione, o se volete, sono così ignoranti, che per mostrare alle vicine la robustezza dei loro figli li scoprono nudi; altre per lavarli, li lasciano per lungo tempo scoperti davanti a tutti. Ebbene non dovreste farlo, neppure se niuno vi fosse presente. Forse non dovete rispettare la presenza dei loro Angeli custodi? Lo stesso dicasi quando li allattate. Deve forse una madre cristiana lasciare il seno scoperto? e quantunque ben coperta, non deve forse voltarsi dove non vi sia alcuno? Altre, sotto pretesto che sono nutrici, non si coprono che per metà; quale abbominazione! Non c’è da far arrossire persino i pagani? Si è obbligati, per non esporsi a sguardi impuri, di fuggire la loro compagnia. Che orrore! — Ma, mi direte, quantunque vi sia presente alcuno, bisogna pur allattare i figli e fasciarli quando piangono. — Ed io vi dirò che quando piangono, dovete fare tutto il possibile per acquietarli; ma è meglio lasciarli piangere un poco che offendere Iddio. Ahimè! quante madri sono causa di sguardi impuri, di cattivi pensieri, di toccamenti disonesti! Ditemi, sono quelle le madri cristiane che dovrebbero essere così riservate? Dio mio! quale giudizio dovranno subire? Altre sono così maleducate che d’estate lasciano correre per tutta la mattina i loro figli mezzo nudi. Ditemi, o miserabili, non stareste forse meglio tra le bestie selvagge? Dove è la vostra religione e il pensiero dei vostri doveri? Ahimè! della religione non ne avete, e quanto ai vostri doveri, non li avete mai conosciuti. Voi stesse ne date la prova ogni giorno. Ah! poveri figli, quanto siete disgraziati d’aver tali genitori!

8° Dico, che dovete ancora sorvegliare i vostri figli quando li mandate nei campi; là, lontani da voi, si abbandonano a tutto ciò che il demonio ispira loro. Se l’osassi, vi direi che essi commettono ogni sorta di disonestà; che passano delle mezze giornate nel far cose abbominevoli. So che la maggior parte non conoscono il male che fanno; ma aspettate quando ne avranno la conoscenza. Il demonio non mancherà di ricordar loro quello che han fatto in questi momenti, per farli peccare. Sapete, F. M., ciò che produce la vostra negligenza o la vostra ignoranza? Eccolo: ricordatevelo bene. Una buona parte dei figliuoli che mandate nei campi, alla loro prima comunione commettono dei sacrilegi; essi hanno contratto delle abitudini vergognose: e non osano manifestarle, ovvero non se ne sono corretti. In seguito, se un sacerdote che non vuol dannarli, non li ammette, lo si rimprovererà, dicendo: Fa così perché è il mio … “Via, miserabili, vegliate un po’ meglio sui vostri figli, e saranno ammessi. Sì, dirò che la maggior parte dei vostri figli hanno cominciato la lor riprovazione da quando cominciarono ad andare nei campi. — Ma, mi direte, noi non possiamo seguirli sempre, avremmo ben da fare. — Per questo, F. M., non vi dico nulla; ma tutto quello che so è che voi risponderete delle anime loro come della vostra. — Ma noi facciamo quello che possiamo. — Io non so se voi fate quello che potete; ma quello che so è questo, che se i vostri figli presso di voi si dannano, vi dannerete voi pure; ecco quello che so, e niente altro. Avrete un bel dir di no, che io vado troppo avanti; se non avete del tutto perduta la fede, ne converrete; ciò solo basterebbe a gettarvi in una disperazione dalla quale non potreste più uscirne. Ma io so che voi non farete un passo di più per meglio osservare i vostri figli; voi non vi inquietate di questo; ed avete quasi ragione, perché avrete il tempo di tormentarvi durante tutta l’eternità. Andiamo avanti.

9. Non dovete far dormire le vostre domestiche o le vostre figlie, in appartamenti, dove alla mattina vanno i servi a cercare le rape o le patate. Bisogna dirlo, a confusione dei padri e delle madri, dei padroni e delle padrone; povere fanciulle e povere domestiche, avranno la confusione di alzarsi, di vestirsi davanti a gente che ha tanta religione quanta ne avrebbe se non avesse mai sentito parlare del vero Dio. Spesso poi i letti di queste povere fanciulle non avranno cortine. — Ma, mi direte, se bisognasse fare tutto ciò che voi dite, quanto lavoro ci sarebbe. — Amico mio, è questo appunto ciò che dovete fare, e se non lo fate ne sarete giudicati e puniti: certamente. Voi non dovete far dormire i vostri figli che hanno già sette od otto anni, nella vostra stessa camera. Ricordatevi, F. M., non conoscerete il male che fate se non al giudizio di Dio. So bene che non farete nulla o quasi nulla di ciò che vi insegno; non importa; io vi dirò sempre tutto ciò che vi devo dire; dopo, tutto il male sarà vostro e non mio, perché vi faccio conoscere ciò che dovete fare per adempire i vostri doveri verso i figli. Quando il buon Dio vi giudicherà, non potrete dire che non sapevate ciò che bisognava fare; io allora vi ricorderò ciò che oggi vi ho detto. – Avete adunque visto, F. M., che i vostri figli, benché piccoli, vi fanno commettere molte mancanze; ora vedrete che quando saranno alti ve ne faranno commettere di più grandi e di più funeste per voi e per essi. Converrete tutti con me, F. M., che più i vostri figli avanzano in età più dovete raddoppiare le preghiere e le cure, perché i pericoli sono maggiori, e le tentazioni più frequenti. Ditemi ora, fate voi tutto questo? No, senza dubbio; quando i vostri figli erano piccoli voi avevate la cura di parlar loro del buon Dio, di far loro recitare le preghiere; vegliavate un po’ sulla loro condotta, domandavate loro se si erano confessati, se avevano assistito alla santa Messa; avevate la precauzione di ricordar loro d’andare alla dottrina. Ma da quando hanno raggiunto i diciotto o i venti anni, non ispirate più loro in cuore l’amore ed il timor di Dio, non ricordate loro la felicità di chi lo serve in questa vita, il rimorso che si ha morendo, di andare perduti: ahimè! quei poveri figli sono pieni di vizi; ed hanno già mille volte trasgredito, senza conoscerli, i comandamenti della legge di Dio: il loro spirito è ripieno delle cose terrene, e vuoto di quelle di Dio. Voi parlate loro del mondo. Una madre comincerà a dire alla figliuola che la tale si è unita col tale, e che è stato un buon partito; bisognerebbe che anch’essa trovasse simile fortuna. Questa madre non avrà in mente che la figlia, cioè, farà tutto ciò che potrà per farla comparire agli occhi del mondo. Essa la coprirà di vanità, fors’anche a costo di far dei debiti; le insegnerà a camminare diritta, dicendole che cammina tutta curva, o non si sa che a cosa somigli. Certo vi stupisce che vi siano madri così cieche. Ahimè! come è grande il numero di queste povere cieche che cercano la perdita delle loro figlie! Altra volta, vedendole uscire la mattina, si daranno maggior premura di guardare so hanno la cuffia ben accomodata, il viso e le mani ben pulite, che di chiedere se hanno offerto il loro cuore a Dio, se hanno fatto le loro preghiere e offerta a Dio la loro giornata; di questo non parlano mai. Altre volte diranno alle figliuole che non bisogna essere troppo rustiche, che bisogna far buon viso a tutti; che bisogna farsi delle conoscenze per potersi collocare. Quante madri o poveri padri accecati dicono al figlio: Se ti porterai gentilmente o se farai bene quella cosa, ti lascerò andare alla fiera di Montmerle o alla Sagra (Vedi la nota a pag. 313, vol. II); cioè, se farai sempre quello che io vorrò, ti trascinerò nell’inferno! Dio mio, è questo il linguaggio di genitori cristiani che dovrebbero pregare giorno e notte per i loro propri figli, affinché il buon Dio ispiri loro un grande orrore per i piaceri, un grande amore per Lui e per la salute della loro anima? Quello che addolora ancor di più, è vedere che vi sono figliuole le quali non sono affatto portate ad uscir di casa; ed i genitori le pregano, le sollecitano dicendo loro: Se stai sempre in casa non troverai da collocarti, fuori non sarai conosciuta. Volete voi, madre mia, che la vostra figlia faccia delle conoscenze? Non inquietatevi troppo, ne farà senza che voi abbiate a tormentarvi tanto; aspettate ancora un po’ e, vedrete, se le avrà fatte. La figlia, che non avrà forse il cuore guasto come quello della madre, soggiungerà: Farei volentieri come voi volete; ma il signor Parroco non vuole; ci dice che tutto ciò non fa che attirare la maledizione del buon Dio nei matrimoni. Io non mi sento voglia di andar a ballare, che ve ne pare, mamma? — Eh! Buon Dio, quanto sei ingenua, figlia mia, ad ascoltare il signor Parroco; bisogna bene che egli dica qualche cosa; è il suo mestiere; noi si prende quello che si vuole e si lascia il resto agli altri. — Ma, allora, non faremo Pasqua? — Ah! povera bambina; se lui non ci assolverà, andremo da un altro; ciò che rifiuta l’uno, un altro l’accetta sempre. Figlia mia, sii prudente, ritorna presto, ma va pure; quando non sarai più giovane avrai finito di divertirti. „ Un’altra volta sarà una vicina che le dirà: “Voi lasciate troppo libera vostra figlia, essa finirà col darvi dei dispiaceri. — Mia figlia! le risponderà; non temo proprio di nulla. E poi le ho raccomandato di essere prudente ed essa me l’ha promesso; sono sicura che frequenta solo persone dabbene.„ — Madre mia, aspettate ancora un po’ e vedrete il frutto della sua assennatezza. Quando la colpa sarà palese, vostra figlia diventerà argomento di scandalo per tutta la parrocchia, coprirà di obbrobrio e di disonore la famiglia; e se nulla se ne scorgerà, cioè se nessuno lo saprà, tuttavia essa porterà sotto il velo del sacramento del matrimonio un cuore ed un’anima guasti da impurità, alle quali s’era data prima del matrimonio, fonte di maledizioni per tutta la sua vita. — Ma, dirà una madre, quando vedrò mia figlia andar troppo oltre, allora saprò ben io fermarla; non la lascerò più uscire, oppure adoprerò il bastone. — Voi, o madre, non le darete più il permesso; non inquietatevi, essa saprà prenderselo senza che voi vi affatichiate a darglielo, e se mostrerete anche solo di volerglielo rifiutare, ella saprà ben minacciarvi, burlarsi di voi, e partire. Siete stata voi ad eccitarla la prima volta, ed ora non potrete più trattenerla. Forse piangerete, ma a che serviranno le vostre lagrime? a nulla, se non a farvi ricordare che vi siete ingannata, che dovevate essere più prudente e guidar meglio i vostri figli. Se ne dubitate, ascoltatemi un momento e, malgrado la durezza del vostro cuore, per l’anima dei vostri poveri figli, vedrete che è solo il primo passo quello che costa; una volta che li avete lasciati uscir di strada non ne siete più padrone, e spesso fanno una fine miserabile. – Si racconta nella storia, che un padre aveva un figlio il quale gli dava ogni sorta di consolazioni; era buono, obbediente, riservato nelle sue parole, ed era nel medesimo tempo l’edificazione di tutta la parrocchia. Un giorno che vi fu un divertimento nel vicinato, il padre gli disse: “Figlio mio, tu non esci mai; va a divertirti un po’ coi tuoi amici, sono giovani dabbene, e non sarai in cattiva compagnia.„ Il figlio gli rispose: “Padre, per me non v’ha piacere più grande, e miglior divertimento che il restare in vostra compagnia.„ Ecco una bella risposta da parte di un figlio, che preferisce la compagnia di suo padre a tutti gli altri piaceri ed a tutte le altre compagnie. “Ah! figlio mio, gli rispose il povero padre accecato, verrò anch’io con te.„ Il padre parte col figlio. La seconda volta, il giovane non ha più bisogno di farsi tanto pregare; la terza va da solo, non ha bisogno di suo padre; al contrario, il padre comincia a dargli fastidio; egli conosce già molto bene la strada. Il suo spirito non è più preoccupato che dal suono degli strumenti che ha sentito, delle persone che ha viste. E finisce coll’abbandonare quelle piccole pratiche di pietà che si era prescritte quand’era tutto di Dio; finalmente si lega con una giovane ben più cattiva di lui. I vicini cominciano già a parlare di lui, come di un nuovo libertino. Quando il padre se n’accorge, vuol opporsi, gli proibisce di andare in qualsiasi luogo senza il suo permesso; ma non trova più nel figlio l’antica sottomissione Nulla può più fermarlo; si burla del padre, dicendogli che, non potendo ora divertirsi lui, vuol impedirlo anche agli altri. Il padre disperato, non vede più rimedio, si strappa i capelli, vuol castigarlo. La madre che capiva meglio del marito i pericoli di quelle compagnie, gli aveva spesso ripetuto che faceva molto male, che avrebbe avuto dei dispiaceri; ma era troppo tardi. Un giorno il padre, vistolo tornare da quei divertimenti, lo castigò. Il figlio, vedendosi contrariato dai genitori, si arruolò soldato; e qualche tempo dopo il padre ricevette una lettera che gli annunciava che il figliuol suo era rimasto schiacciato sotto i piedi dei cavalli. Ahimè! dove andò questo povero figlio? Dio non voglia che sia andato all’inferno. Intanto se egli si è dannato, come tutto fa credere, il padre fu la vera causa della sua perdizione. Quand’anche il padre facesse penitenza, la sua penitenza e le sue lagrime non riusciranno mai a strappare quel povero figlio dall’inferno. Ah! disgraziati genitori che gettate i vostri figli nelle fiamme eterne! Voi trovate questo alquanto esagerato; ma se esaminiamo davvicino la condotta dei genitori, vediamo che questo è quello appunto che essi fanno tutti i giorni. Se ne dubitate solo un po’ tocchiamo più da vicino questo punto. Non è vero che vi lamentate ogni giorno dei vostri figli? che non potete più comandar loro? purtroppo è vero. Voi forse avete dimenticato quel giorno in cui avete detto a vostro figlio o a vostra figlia: Se vuoi andare alla fiera di Montmerle, o alla Sagra, va pure, non ritornare però troppo tardi. Vostra figlia vi ha risposto che avrebbe fatto ciò che volevate. — Va pure, non esci mai, bisogna che ti pigli un momento di svago. — Non potete dir di no. Ma dopo qualche tempo, non avrete più bisogno di sollecitarla, né di darle il permesso. Allora, vi affliggerete, perché esce di casa senza dirvelo. Guardatevi indietro, o madre, e vi ricorderete che le avete dato il permesso una volta per tutte. Di più: vedete che cosa accadrà quando le avrete permesso di andare ovunque la conduca la sua testa senza cervello. Voi volete ch’essa faccia delle conoscenze per potersi collocare. State certa, che continuando a correre per le strade, ne farà tante, e moltiplicherà le sue colpe. Sarà questo cumulo di peccati che impedirà alla benedizione di Dio di spandersi su questi poveri figli al momento del loro matrimonio. Ahimè! questi poveretti sono già maledetti da Dio! Mentre il sacerdote alza la mano per benedirli, Dio dall’alto de’ cieli lancia le sue maledizioni. E di qui comincerà una spaventosa sorgente di disgrazie per essi. Questo nuovo sacrilegio, aggiunto a tanti altri, fa perder loro la fede per sempre. Allora, nel matrimonio, dove si crede tutto permesso, la vita non è più che un abisso di corruzione che farebbe fremere l’inferno stesso se ne fosse testimonio. Ma tutto questo dura poco. Ben presto cominceranno a non essere rari i dispiaceri, gli odi, gli alterchi ed i cattivi trattamenti dall’una e dall’altra parte. — Dopo cinque o sei mesi di matrimonio il padre vedrà suo figlio infuriato e quasi disperato, maledire i genitori, la moglie e fors’anche quelli che hanno combinato il matrimonio. Suo padre, stupito, gli domanderà che cosa è successo: “Ah! quanto sono disgraziato; ah! se quando son nato mi aveste ucciso, o se prima del mio matrimonio qualcheduno m’avesse avvelenato! — Ma, figlio mio, gli dirà il padre tutto affannato, bisogna aver pazienza. Che cosa vuoi! forse non sarà sempre così. — Non mi dite nulla, se mi sentissi il coraggio, mi tirerei una fucilata, o mi getterei nel fiume: con costei bisogna ad ogni momento altercare e battersi.„ — Non è questo, o buon padre, il frutto di quelle parole: Lasciamo che il Parroco dica, bisogna far delle conoscenze, altrimenti non si troverà da collocarsi. Va pure, figlio mio, sii prudente, torna di buon’ora e sta tranquillo? Sì, senza dubbio, amico mio, se foste stato assennato ed aveste consultato Iddio, non vi sareste collocato come avete fatto; Dio non l’avrebbe permesso; ma avrebbe fatto con voi come col giovane Tobia; vi avrebbe scelto Lui stesso una sposa che, venendo in casa, vi avrebbe apportato la pace, la virtù, ogni sorta di benedizioni. Ecco, amico mio, ciò che avete perduto non volendo ascoltare il vostro pastore ed avendo seguito il consiglio dei vostri ciechi genitori. – Un’altra volta sarà una povera figliuola che verrà, forse tutta ammaccata di battiture, a deporre nel seno della madre le sue lagrime ed i suoi dispiaceri. Esse mescoleranno assieme le loro lagrime: “Ah! madre mia, quanto sono stata disgraziata d’aver preso un marito come quello! così malvagio e brutale! Io credo che un giorno si dirà ch’egli mi ha uccisa.„ — “Ma, le dirà la madre: devi fare tutto ciò che ti comanda.„ — “Io lo faccio sempre; ma nulla lo accontenta, è sempre in collera.„ — “Povera figliuola, le dirà la madre, se avesti sposato un tale che t’ha domandata, saresti stata ben più felice… „ Voi v’ingannate, madre, non è questo che dovete dirle. “Ah! povera figlia, se t’avessi insegnato il timore e l’amor di Dio, non t’avrei mai lasciata correre ai divertimenti: Dio non avrebbe permesso che tu fossi così disgraziata…„ Non ricordate, buona madre, quelle vostre parole: lascia dire il signor Parroco, va pure; sii prudente, ritorna di buon’ora e sta tranquilla. Va benissimo, madre mia, ma ascoltate. Un giorno, passai vicino ad un gran fuoco; presi una manata di paglia e ve la gettai dentro, dicendole di non bruciare. Quelli che furono testimoni del mio atto, mi dissero, burlandosi di me: “Avete un bel dirle di non bruciare; non l’impedirete certo. — E come, risposi, se io le dico di non bruciare?„ Che no pensate, madre mia? vi riconoscete? Non è questa la vostra condotta, o quella della vostra vicina? Non è vero che avete detto a vostra figlia prima di concederle che partisse, di essere assennata? — Sì, senza dubbio… — Andate, buona madre, voi foste cieca, voi siete stata il carnefice dei vostri figli. Se essi sono disgraziati nel loro matrimonio, voi sola ne siete la causa. Ditemi, buona madre, se aveste avuto un po’ di religione e di amore per i vostri figli, non dovevate fare tutto il possibile per evitar loro il male che avete commesso voi, quando eravate nella medesima condizione? Parlerò più chiaro. Non siete abbastanza contenta di esser disgraziata voi; volete che lo siano anche i vostri figli. E voi, figlia mia, siete sfortunata nella vostra famiglia? Me ne dispiace assai; ma ne sono meno stupito che se mi diceste che siete felice, dopo le disposizioni che avete portato al vostro matrimonio. – Sì, F. M., la corruzione oggi è salita tant’alto tra i giovani, che sarebbe quasi impossibile trovare chi riceva santamente questo Sacramento, come è impossibile vedere un dannato salire al cielo. — Ma, mi direte, ve ne sono ancora alcuni. — Ahimè! amico mio, dove sono?… Ah! sì, un padre od una madre non mettono alcuna difficoltà di lasciare per tre o quattro ore, alla sera od anche durante i vespri, la loro figlia con un giovane. — Ma, mi direte, sono buoni. — Sì, senza dubbio, sono buoni; la carità deve farcelo credere. Ma ditemi, madre mia, eravate voi buona quando eravate nel medesimo caso di vostra figlia? – Finisco, F. M., dicendo che se i figli sono disgraziati in questo mondo e nell’altro, è colpa dei genitori che non hanno usato tutti i mezzi possibili per condurli santamente per la via della salute, dove il buon Dio li avrebbe certo benedetti. Ahimè! al giorno d’oggi, quando un giovane od una giovane vogliono collocarsi, bisogna assolutamente che abbandonino il buon Dio No, non entriamo in questi particolari; vi tornerò su un’altra volta. Poveri padri e povere madri, quanti tormenti vi aspettano nell’altra vita! Fin che la vostra discendenza durerà, voi parteciperete a tutti i suoi peccati, sarete puniti come se li aveste commessi voi, e per di più renderete conto di tutte le anime della vostra discendenza che si danneranno. Tutte queste povere anime vi accuseranno di averle fatte perdere. Questo è facilissimo da comprendersi. Se aveste ben allevato i vostri figli, essi avrebbero allevato bene i loro: si sarebbero salvati gli uni e gli altri. Ciò non basta ancora; voi sarete responsabili davanti a Dio di tutte le buone opere che la vostra discendenza avrebbe fatte sino alla fine del mondo, e che non avrà fatto per causa vostra. Che ne pensate, padri e madri? Se non avete ancor perduta la fede, non avete motivo di piangere sul male che avete fatto, e sull’impossibilità di rimediarvi? Non avevo io ragione di dirvi, in principio, che è quasi impossibile mostrarvi in tutta la sua luce la grandezza dei vostri doveri? Eppure quello che vi ho detto oggi non è che un piccolo sguardo Ritornate domenica, padri e madri, lasciate la casa in custodia ai vostri figli, ed io continuerò, senza però potervi far comprenderò tutto. Ahimè! quanti genitori trascinano i loro poveri figli nell’inferno, e insieme vi cadono essi stessi. Dio mio! si può pensare a tanta sciagura senza fremere? Felici quelli che il buon Dio non chiama al matrimonio! Quale conto di meno avranno da rendere! — Ma, mi direte: “Noi facciamo quello che possiamo.„ Voi fate ciò che potete, sì, senza dubbio; ma per perderli, non per salvarli. Finendo vi voglio mostrare che non fate quello che potete. Dove sono le lagrime versate, le penitenze e le elemosine fatte per domandare a Dio la loro conversione? Poveri figli, quanto siete disgraziati d’appartenere a genitori, i quali non lavorano che a rendervi infelici in questo mondo, ed ancor più nell’altro! Come vostro padre spirituale, ecco il consiglio che vi do: Quando vedete i vostri genitori che mancano alle funzioni, lavorano alla domenica, mangiano di grasso nei giorni proibiti, non frequentano più i Sacramenti, non s’istruiscono, fate tutto il contrario; affinché i vostri buoni esempi li salvino, e se otterrete questa felicità, avrete tutto guadagnato. E ciò che vi auguro.

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: SULLA SODDISFAZIONE

[Discorsi di S. G. B. M. VIANNEY, curato d’Ars – Vol. I, ed. Ed. Marietti, Torino-Roma, 1933]

Sulla SODDISFAZIONE

Facite ergo fructus dignos pœnitentiæ

[Fate dunque degni frutti di penitenza].

(S. Luc., III: 8.)

Tale è, fratelli miei, il linguaggio che il santo Precursore del Salvatore teneva a tutti coloro che venivano a trovarlo nel deserto, alfine di apprendere da lui ciò che bisognava fare per avere la vita eterna. Fate – diceva loro – dei frutti degni di penitenza perché i vostri peccati siano rimessi; vale a dire che chiunque di voi abbia peccato, non ha altro rimedio che la penitenza, anche coloro che dei peccati hanno  già ottenuto il perdono. Infatti i nostri peccati rimessi nel tribunale della penitenza ci lasciano ancora delle pene da subire o in questo mondo, che sono le pene e tutte le miserie della vita, o nelle fiamme del purgatorio. C’è questa differenza, fratelli miei, tra il Sacramento del Battesimo e quello della Penitenza. In quello del Battesimo, Dio non ricorre se non alla sua misericordia, cioè Egli ci perdona senza esigere nulla da noi, a differenza di quello della Penitenza, in cui Dio non ci rimette i nostri peccati e non ci rende la grazia che alla condizione che noi subiremo una pena temporale, o in questo mondo, o nelle fiamme del Purgatorio; è per punire il peccatore del disprezzo e dell’abuso della sua grazia. Se Dio vuole che facciamo penitenza perché i nostri peccati ci siano perdonati, è ancora per preservarci dal ricadere nei medesimi peccati, affinché ricordandoci di ciò che abbiamo patito per quelli già confessati, non abbiamo più il coraggio di ricadervi. Dio vuole che noi uniamo le nostre penitenze alle sue, e che consideriamo bene quanto Egli abbia sofferto per rendere le nostre meritorie. Ahimè! Fratelli miei, non ci inganniamo; senza le sofferenze di Gesù-Cristo, tutto ciò che avremmo potuto fare, non avrebbero potuto mai soddisfare nemmeno il nostro più piccolo peccato. Ah! DIO mio, quanto grati vi siamo di questo grande atto di misericordia verso dei miserabili ingrati! Io voglio dunque mostrarvi, fratelli miei: 1° Che benché i nostri peccati ci siano perdonati, noi non siamo esenti dal fare penitenza. 2° Quali siano le opere con le quali possiamo soddisfare alla giustizia di DIO, o per parlarvi più chiaramente, io vi dimostrerò che cosa sia la soddisfazione, che è la quarta disposizione che dobbiamo offrire per ricevere degnamente il Sacramento della Penitenza.

I. Voi tutti sapete, fratelli miei, che il Sacramento della Penitenza è un Sacramento istituito da Nostro Signore Gesù-Cristo per rimettere i peccati commessi dopo il Battesimo. È principalmente in questo Sacramento che il Salvatore del mondo ci mostra la grandezza della sua misericordia poiché non c’è peccato che questo Sacramento non cancelli, qualunque sia il loro numero e per quanto enorme sia la loro gravezza; di modo che ogni peccatore è sicuro del suo perdono e di riguadagnare l’amicizia del suo DIO se – dalla parte sua – reca le disposizioni che questo Sacramento richiede. La prima disposizione è quella di ben conoscere i propri peccati, il loro numero e le loro circostanze che possono o ingrandirli, o cangiarne la specie: e questa conoscenza non ci sarà conceduta se non dopo averla chiesta allo Spirito Santo. Ogni persona che, nel suo esame, non chiede i lumi dello Spirito Santo, non può che fare una Confessione sacrilega. Se questo vi è successo, tornate sui vostri passi, perché siate sicuri che le vostre Confessioni non sono state che delle cattive Confessioni. – La  seconda condizione è di dichiarare i propri peccati come vi dice il Catechismo, senza artificio o infingimento, vale a dire: tali come li conoscete. Questa accusa non sarà fatta come si deve finché non avrete chiesto la forza al buon DIO: senza questo è impossibile dichiararli come si deve e riceverne il perdono. Voi dovete dunque esaminarvi davanti al buon DIO se tutte le volte che avete voluto confessarvi, gli abbiate domandato questa forza; se avete mancato in questo, tornate sulle vostre confessioni, perché siete sicuri che nulla valgono. – La terza condizione che richiede questo Sacramento, perché vi sia accordato il perdono dei vostri peccati, è la contrizione, in altre parole il rammarico di averli commessi, con la risoluzione sincera di non più commetterli, e con un desiderio vero di fuggire tutto ciò che può farci ricadere. Questa contrizione viene dal cielo e non ci vien data se non dalla preghiera e dalle lacrime: preghiamo dunque e piangiamo pensando che questa mancanza di contrizione è quella che danna il maggior numero. Veramente si accusano i propri peccati; ma spesse volte il cuore non vi ha la sua parte. Si raccontano i peccati come si racconterebbe una storia indifferente; non abbiamo questa contrizione, perché non cambiamo vita. Noi ripetiamo ogni anno, ogni sei mesi, ogni mese o tre settimane, od ogni otto giorni, se volete, gli stessi peccati, le stesse colpe; noi battiamo sempre la stessa via; nessun cambiamento avviene nel nostro modo di vivere. Da dove possono provenire tutte queste sventure che precipitano tante anime nell’inferno, se non dalla mancanza di contrizione? E come possiamo sperare di averla, se spesso non la domandiamo solo a DIO, oppure la chiediamo senza desiderare di averla? Se voi non vedete alcun cambiamento nella vostra condotta, vale a dire, se non siete migliorato dopo tante Confessioni e Comunioni, tornate sui vostri passi, prima che riconosciate la vostra sventura che non ammetta più rimedio. Bisogna, fratelli miei, per avere la speranza che le nostre Confessioni siano fatte con delle buone disposizioni, è necessario, confessandoci, convertirci: senza questo, tutto ciò che noi facciamo non fa che prepararci ogni sorta di sventure per l’altra vita. – Ma dopo aver ben conosciuto i nostri peccati con la grazia dello Spirito Santo, dopo averli ben dichiarati come conviene, avere il dolore dei propri peccati, ci resta ancora una quarta condizione, perché le altre tre portino i frutti, è la soddisfazione che dobbiamo a DIO ed al prossimo. Io dico a DIO, per riparare le ingiurie che il peccato gli ha fatto, ed al prossimo, per riparare il torto che abbiamo fatto alla sua anima ed al suo corpo. – Innanzitutto io vi dirò che dall’inizio del mondo, noi vediamo dappertutto che DIO, perdonando il peccato, ha sempre voluto una soddisfazione temporale, che è un diritto che la sua giustizia domanda. La sua misericordia ci perdona; ma la sua giustizia vuol essere soddisfatta in qualche piccola cosa, di guisa che dopo aver peccato, dopo averne ottenuto il perdono, noi dobbiamo vendicarci su noi medesimi facendo soffrire il nostro corpo che ha peccato. Ma ditemi, fratelli miei, qual tipo di penitenza noi facciamo in confronto a quello che i nostri peccati ci hanno meritato, che è un’eternità di tormenti? O DIO mio, quanto siete buono nel contentarvi di sì poca cosa! – Se le penitenze che vi si impongono vi sembrano dure e penose da fare per il gran numero dei vostri peccati mortali, percorrete la via dei Santi e vedrete le penitenze che essi hanno fatto, benché molti fossero sicuri del loro perdono. Vedete Adamo, al quale il Signore stesso dice che il suo peccato gli era perdonato: e che malgrado ciò, fece penitenza per più di novecento anni, penitenza che fa tremare. Vedete Davide al quale il Profeta Nathan viene a dire, da parte di DIO, che il suo peccato gli viene rimesso e che si sottomette ad una penitenza così rigorosa che non può più reggersi in piedi; egli faceva risuonare il suo palazzo di grida e di singhiozzi, causati dal dolore dei suoi peccati. Egli medesimo dice che sta per scendere nella tomba piangendo: che il suo dolore non lo abbandonerà che con la vita; le sue lacrime fluiscono così copiose che ci dice egli stesso che bagna il suo pane delle sue lacrime e bagna il suo letto col suo pianto. Vedete ancora san Pietro, per un peccato che lo spavento gli ha fatto commettere, il Signore lo perdona. Egli piange il suo peccato per tutta la sua vita con tanta abbondanza che le sue lacrime lasciano traccia sul suo volto. Che fa santa Maddalena dopo la morte del Salvatore? Va a seppellirsi nel deserto ove piange e fa penitenza tutta la sua vita: tuttavia DIO, le aveva certo perdonato, poiché dice ai farisei che molti peccati le erano stati rimessi perché molto aveva amato. Ma senza andare così lontano, fratelli miei, vedete le penitenze che si imponevano nei primi tempi della Chiesa. Vedete se quelle di adesso hanno una qualche proporzione con quelle di quei tempi. Per aver giurato il santo Nome di DIO senza pensarci, ahimè! – ciò che è tanto comune, anche per i  fanciulli che non sanno forse nemmeno una preghiera – lo si condannava a digiunare per sette giorni a pane ed acqua. Per aver consultato un indovino, sette anni di penitenza, per aver lavorato alcun poco la domenica, bisognava far penitenza tre giorni, per aver parlato durante la santa Messa, bisognava digiunare dieci giorni a pane ed acqua. Se nella quaresima si era lasciato di digiunare per un giorno, bisognava digiunare sette giorni. Per aver danzato davanti ad una chiesa in un giorno di Domenica o di festa, si veniva condannati a digiunare quaranta giorni a pane ed acqua. Per essersi presi gioco di un Vescovo e del proprio pastore, volgendo le loro istruzioni in ridicolo, bisognava far penitenza per quaranta giorni. Per aver lasciato morire un bambino senza Battesimo, tre anni di penitenza. Per essersi travestiti nel carnevale, tre anni di penitenza. Per un giovane o una fanciulla che avessero danzato, tre anni di penitenza, e se recidivi, li si minacciava di scomunicarli. Coloro che facevano dei viaggi di domenica o nelle feste senza necessità, sette giorni di penitenza. Una giovane che avesse commesso un peccato contro la purezza con un uomo sposato, dieci anni di penitenza. – Ebbene! Fratelli miei, ditemi, cosa sono le penitenze che ci vengono imposte se le compariamo a quelle di cui abbiamo parlato? Tuttavia la giustizia di DIO è la stessa; i nostri peccati non sono meno terribili agli occhi di DIO, e non meritano meno di esser puniti.

II. – Non dovremmo essere coperti di confusione, nel far quel poco che facciamo, rispetto a quello che facevano i primi Cristiani facendo penitenze così dure e sì lunghe? Ma, mi direte, quali sono dunque le opere con le quali possiamo soddisfare alla giustizia di DIO per i nostri peccati? Se desiderate compierle, nulla di più facile da fare, come vedrete. La prima è la penitenza che il confessore vi impone e che fa parte del Sacramento della Penitenza: se non si ha l’intenzione di compierla con tutto il cuore per quel che si può, la confessione non sarebbe che un sacrilegio; la seconda, è la preghiera; la terza è il digiuno; la quarta è l’elemosina; e la quinta le indulgenze che sono le più facili da compiere e le più efficaci.

Io dico: 1° la penitenza che il confessore ci impone prima di impartirci l’assoluzione, noi dobbiamo riceverla con gioia e riconoscenza, ed adempierla esattamente, per quanto ci è possibile, senza di che, dobbiamo grandemente temere di fare una Confessione sacrilega. Se pensiamo di non poterla fare, bisognerebbe far presente al confessore le nostre ragioni: se egli le trova buone, la cangerà, ma ci sono delle penitenze che il prete non può né deve cambiare. Le penitenze che servono a correggere il peccatore, come ad esempio proibire la bettola ad un ubriacone, la danza alla giovane, o ad un giovane la compagnia di una persona che la trascina al male; obbligare a riparare qualche ingiustizia che si è commessa, a confessarsi spesso perché si è vissuto per un certo tempo nella trascuratezza della propria salvezza. Voi converrete con me che un prete non può, né debba cambiare queste penitenze, ma se esistessero delle ragioni per far cambiare la propria penitenza, bisognerebbe che sia il prete a cambiarla, a men che non sia affatto impossibile, perché un altro confessore non conosce per quale ragione sia stata data. Voi troverete le vostre penitenze lunghe e difficili, fratelli miei? Ma lo dite seriamente? Paragonatele dunque a quelle dell’inferno che avete meritato per i vostri peccati. Ah! con qual gioia un povero dannato, non riceverebbe, fino alla fine del mondo, le penitenze che vi si danno ed ancor più rigorose se a questo prezzo potesse mettere termine al suo supplizio! Quale felicità per lui! Ma questo non gli sarà mai concesso. – Orbene! Fratelli miei, ricevendo la nostra penitenza con gioia, con un vivo desiderio di compierla diligentemente per quanto possiamo, noi ci liberiamo dall’inferno, come se il buon DIO accordasse ai dannati quel che vi ho detto. O mio DIO, quanto il peccatore conosce poco la sua felicità!

Io dico: 1° Noi dobbiamo compiere la penitenza che ci impone il confessore, e l’ometterla sarebbe un grave peccato. Non è che a questa condizione che DIO restituisce la sua grazia al peccatore e che il sacerdote, a suo nome, gli rimette i peccati. Ditemi, fratelli miei, non sarebbe un’empietà non fare la penitenza e sperare ancora nel perdono? È un andare contro la ragione: è un volere la ricompensa senza che nulla ci costi. – Che pensare, fratelli miei, di coloro che non fanno la loro penitenza? Per me, ecco quello che ne penso. Se essi non hanno ancora ricevuto l’assoluzione, questi non hanno il desiderio di convertirsi, poiché rifiutano i mezzi per questo necessari, e quando tornano a confessarsi, il prete deve loro rifiutare l’assoluzione una seconda volta. Ma se il penitente ha ricevuto l’assoluzione ed ha omesso la sua penitenza, è un peccato mortale se i peccati confessati erano mortali, e la penitenza imposta sia in sé considerevole; egli deve ben temere che la sua confessione sia stata sacrilega per la mancanza di una volontà sincera di soddisfare DIO per i suoi peccati. Ma io non parlo qui che di coloro che avrebbero omesso tutta la loro penitenza o una parte considerevole, e nemmeno di coloro che l’avessero dimenticata o che non avessero potuto farla nel momento prescritto. – Di poi, io dico che è necessario compiere la propria penitenza tutta intera nel tempo designato e devotamente. Non bisogna tralasciar nulla di ciò che ci è stato imposto; al contrario, noi dobbiamo aggiungere a quella che il confessore ci ha imposto. San Cipriano ci dice che la penitenza deve eguagliare la colpa, che il rimedio non deve essere da meno del male. Ma, ditemi, fratelli miei, quali sono le penitenze che si impongono? Ah! la recita di qualche Rosario, di qualche litania, qualche elemosina, alcune piccole mortificazioni. Ditemi, tutte queste cose hanno qualche proporzione con i nostri peccati che meritano dei tormenti che non finiranno mai? Ci sono quelli che fanno la loro penitenza camminando o seduti, e questo non si deve fare. La vostra penitenza la dovete compiere in ginocchio, a meno che il sacerdote non vi dica che possiate farla camminando o seduti. Se questo vi è capitato, dovete confessarvene e non rifarlo. – In secondo luogo io dico che bisogna farla nel tempo prescritto, altrimenti voi peccherete, a meno che non aveste potuto fare altrimenti, e allora dirlo al vostro confessore quando ritornate. Ad esempio, egli vi avrà ordinato di fare una visita al Santo Sacramento dopo gli uffici, perché egli sa che voi andate con delle compagnie che non vi porteranno al buon DIO. Egli avrà comandato di mortificarvi in qualche cosa ai vostri pasti, perché siete soggetti all’ingordigia; di fare un atto di contrizione se avete la sventura di ricadere nel peccato che avete già confessato. E quando altre volte aspettate, per compiere la vostra penitenza, il momento in cui siete vicini a confessarvi; voi comprendete così bene come me, che in tutti questi casi, siete ben colpevoli, e non dovete mancare di accusarvi e di non trovarvi più in simili contingenze. – In terzo luogo, io dico che bisogna fare la vostra penitenza devotamente, cioè con pietà, con una disposizione sincera di abbandonare il peccato. Farla con pietà, fratelli miei, vuol dire farla con attenzione dal lato spirituale e con la devozione del cuore. Se farete la vostra penitenza con distrazione volontaria, voi non l’avreste compiuta, e sareste obbligati a rifarla. Farla con pietà, è farla con grande fiducia che il buon DIO perdonerà i vostri peccati per i meriti di Gesù-Cristo che ha soddisfatto per voi con le sue sofferenze e la morte sulla croce. Noi dobbiamo farla con gioia, consci del potere soddisfattorio a DIO che abbiamo offeso, e di trovare mezzi così facili per poter cancellare i nostri peccati che meriterebbero di farci soffrire per tutta l’eternità. Una cosa che non dovete mai dimenticare è che tutte le volte che fate la vostra penitenza dovete dire a DIO: Mio DIO! Io unisco questa leggera penitenza a quella che Gesù-Cristo mio Salvatore vi ha offerto per i miei peccati; ecco quello che renderà la vostra penitenza meritoria e gradita a DIO. – Io dico ancora che noi dobbiamo compiere la nostra penitenza con un vero desiderio di lasciare definitivamente il peccato, qualunque cosa ci costi, fosse anche il soffrire la morte. Se noi non siamo con queste disposizioni, lungi dal soddisfare alla giustizia di DIO, lo oltraggiamo nuovamente, cosa che ci renderebbe ancora più colpevoli. – Io ho detto che non dobbiamo contentarci della penitenza che ci impone il confessore, perché essa non è nulla, o quasi nulla se la compariamo a ciò che meritano i nostri peccati. Se il confessore ci tratta con tanti riguardi, è perché teme di disgustarci dall’operare la nostra salvezza. Se voi avete veramente a cuore la vostra salvezza, voi stessi dovete imporvi delle penitenze. Ecco quelle che meglio vi convengono. Se avete la disgrazia di dare scandalo, bisogna rendervi così vigilanti che il vostro vicino non possa vedere nulla in voi che non lo porti al bene; bisogna che voi mostriate con la vostra condotta che la vostra vita sia veramente cristiana. E se avete la sventura di peccare contro la santa virtù della purezza, bisogna mortificare questo miserabile corpo con dei digiuni, dandogli solo ciò che gli occorre per non togliergli la vita, e perché possa adempiere ai  propri doveri, e di tanto in tanto farlo riposare sul duro. Se voi trovate di aver qualcosa da mangiare che soddisfi la vostra ingordigia, bisogna rifiutarla al vostro corpo e disprezzarla per quanto l’avete amata: egli voleva perdere la vostra anima, bisogna che voi lo puniate. Bisogna che spesso il vostro cuore che ha pensato a cose impure, porti i vostri pensieri nell’inferno, che è il luogo riservato agli impudichi. Se siete attaccato alla terra, bisogna fare delle elemosine quanto più potete per punire la vostra avarizia, privandovi di tutto ciò che non vi è assolutamente necessario per la vita. – Siamo stati negligenti nel servizio di Dio, imponiamoci, per far penitenza, di assistere a tutti gli esercizi di pietà che si fanno nella vostra parrocchia. Io voglio dire, alla Messa, ai Vespri, al Catechismo, alla preghiera, al Rosario, affinché DIO, vedendo la nostra alacrità, voglia perdonarci tutte le nostre negligenze: se abbiamo alcuni momenti liberi tra le funzioni, consacriamoli a qualche lettura di pietà, ciò che nutrirà la nostra anima, soprattutto col leggere qualche vita dei santi nelle quali noi vediamo ciò che essi hanno fatto per santificarsi; questo ci incoraggerà; facciamo qualche piccola visita al Santo Sacramento per chiedergli perdono dei peccati che abbiamo commesso durante la settimana. Se ci sentiamo colpevoli di qualche peccato, andiamocene a liberarci affinché le nostre preghiere e tutte le buone opere siano più gradite a DIO e più vantaggiose per la nostra anima. Abbiamo l’abitudine di giurare, di lasciarci trasportare dalla collera? Mettiamoci in ginocchio per dire questa santa preghiera: Mio DIO, sia benedetto il vostro santo Nome in tutti i secoli dei secoli; DIO mio, purificate il mio cuore, purificate le mie labbra affinché non pronunzi mai parole che vi oltraggino e mi separino da Voi. Tutte le volte che voi ricadrete in questo peccato, bisogna al momento o fare un atto di contrizione, o dare qualche elemosina ai poveri. Avete lavorato di Domenica? Avete venduto o comprate durante questo santo giorno, senza necessità? Date ai poveri un’elemosina che superi il profitto che ne avrete fatto. Avete mangiato o bevuto in eccesso? Occorre che, in tutti i vostri pasti, vi priviate di qualche cosa. Ecco fratelli miei, delle penitenze che non solo possono soddisfare alla giustizia di DIO, se unite a quelle di Gesù-Cristo, ma possono ancora preservarci dal ricadere nei nostri peccati. Se volete comportarvi in tal modo, voi siete sicuro di correggervi con la grazia del buon DIO. – Si, fratelli miei, noi dobbiamo castigarci e punirci per aver fatto il male, questo sarà il vero mezzo per evitare le penitenze ed i castighi dell’altra vita. È vero che ciò costa; ma noi non possiamo esimercene, finché siamo ancora in vita e DIO si accontenta di sì poca cosa. Se noi aspettiamo dopo la morte, non ci sarà più tempo, fratelli miei, tutto sarà finito e non ci resterà che il rimpianto per non averlo fatto. Sentiamo qualche ripugnanza per la penitenza, fratelli miei? Gettiamo gli occhi sul nostro amabile Salvatore, vediamo ciò che Egli ha fatto, ciò che ha sofferto alfine di soddisfare il Padre suo per i nostri peccati. Prendiamo coraggio con l’esempio di tanti illustri martiri che hanno consegnato i loro corpi ai carnefici con tanta gioia. Animiamoci ancora, fratelli miei, con il pensiero delle fiamme divoranti del purgatorio che soffrono le povere anime condannate per peccati forse minori dei nostri. Se vi costa, fratelli miei, far penitenza, voi otterrete la ricompensa eterna che queste penitenze vi meriteranno. 2° Abbiamo detto che potremo soddisfare alla giustizia di DIO con la preghiera, non solo la preghiera vocale o mentale, ma ancora con l’offerta di tutte le nostre azioni, levando di tanto in tanto il nostro cuore al buon DIO durante la giornata, dicendo: mio DIO, voi sapete che è per Voi che io lavoro; Voi mi ci avete condannato per soddisfare alla vostra giustizia per i miei peccati. Mio DIO, abbiate pietà di me che sono un peccatore così miserabile, che mi sono ribellato tante volte contro di Voi che siete il mio Salvatore ed il mio DIO. Io desidero che tutti i miei pensieri, tutti i miei desideri non abbiano che un oggetto e che tutte le mie azioni non siano fatte se non col proposito di piacervi. Quel che piò essere gradito a DIO, è il pensare spesso ai nostri fini ultimi, cioè alla morte, al giudizio, all’inferno che è fatto per la dimora dei peccatori.

3° Io dico che noi possiamo soddisfare alla giustizia di DIO con il digiuno. Si comprende sotto il nome di digiuno, tutto ciò che può mortificare il corpo e lo spirito, come rinunciare alla propria volontà, cosa che è sì gradita a DIO e ci merita più di trenta giorni di penitenza; di soffrire per amor di DIO le ripugnanze, le ingiurie, i disprezzi, le confusioni che crediamo di non meritare; di privarci di qualche visita, come sarebbe andare a vedere i nostri parenti, i nostri amici, le nostre terre ed altre cose simili che ci procurerebbero qualche piacere; di tenerci in ginocchio un po’ più a lungo, perché il corpo che ha peccato soffra in qualche maniera. Io ho pure detto che noi possiamo soddisfare alla giustizia di DIO con l’elemosina come dice il profeta a Nabucodonosor: « … riscatta i tuoi peccati con l’elemosina » (Dan. IV, 21). Ci sono diversi tipi di elemosine: quelle che riguardano il corpo, come dar da mangiare a coloro che non hanno pane; vestire coloro che non hanno di che vestirsi; andare a visitare gli ammalati; dar loro del danaro, rifare il loro letto; tener loro compagnia; preparare i loro farmaci: ecco ciò che riguarda il corpo. Ma ecco quelle che riguardano l’anima e che sono ancor ben più preziose di quelle che non hanno rapporto se non con il corpo. Ma, voi direte, come facciamo l’elemosina spirituale? Eccolo: è quando voi andate a consolare una persona che ha un dolore, che ha subito una perdita; voi la consolate con parole piene di bontà e di carità, facendole ricordare la grande ricompensa che il buon DIO ha promesso a coloro che soffrono per amor suo; che le pene del mondo non sono che un momento, mentre la ricompensa sarà eterna. L’elemosina spirituale è istruire gli ignoranti, che sono queste povere persone che saranno perdute se qualcuno non avrà compassione di loro. Ah! quante persone non sanno cosa fare per essere salvate; che ignorano i principali Misteri della nostra santa Religione; che malgrado tutte le loro pene e le altre buone opere saranno dannate. – Padri e madri, padroni e padrone, dove sono i vostri doveri? Li conoscete un poco? No, io non credo. Se voi li conosceste un poco, qual non sarebbe la vostra alacrità nel vedere se i vostri figli conoscono bene tutto ciò che è necessario della Religione per non andare perduti? Quanti di voi cercherebbero tutti i mezzi possibili per far loro imparare ciò a cui il vostro dovere di padre e di madre vi obbliga! Mio DIO! Quanti giovani perduti per ignoranza! E questo per colpa dei loro genitori che forse, non potendo istruirli da se stessi, non avuto il cuore di affidarli a coloro che potevano farlo, lasciamoli vivere in questo stato e perire per l’eternità. Padroni e padrone, qual elemosina fate a questi poveri domestici, dei quali la maggior parte non sa nulla della loro Religione? Mio DIO! Quante anime che si perdono delle quali i loro padroni e padrone dovranno nel gran giorno rendere conto! Io gli do la sua paga – mi direte – sta a lui farsi istruire, io non lo prendo che per lavorare; egli guadagna solamente ciò che gli do. Voi vi ingannate. Il buon DIO vi ha affidato questo povero giovane. Non solo per aiutarvi a lavorare, ma ancora perché gli insegniate a salvare la propria anima. Ahimè! un padrone ed una padrona possono ben vivere tranquilli vedendo i loro domestici in uno stato di dannazione certa? Mio DIO! Quanto la perdita di un’anima sta loro così poco a cuore! Ah! quante volte le padrone saranno testimoni dei loro domestici che non fanno le loro preghiere né al mattino, né alla sera; e nulla diranno loro, o si contenteranno di pensare: ecco un domestico che non ha gran Religione! Ma senza andare più oltre, basti che faccia bene la vostra opera, voi siete contento. O mio DIO! Qual accecamento? Chi mai potrà comprenderlo? Io dico che un padrone o una padrona dovrebbero avere tanta cura e prendere tante precauzioni nell’istruire o far istruire sia i loro domestici che i loro garzoni, durante tutto il tempo che saranno a loro servizio. DIO ve ne domanderà conto come dei vostri figli, nulla di meno. Voi avete il compito di essere padre e madre; è a voi che DIO chiederà conto. Ahimè! se tanti poveri domestici non hanno Religione, questa sventura è in gran parte dovuta al fatto che essi non sono istruiti. Se voi aveste la carità di istruirli, e far loro conoscere ciò che devono fare per salvarsi, i doveri che hanno da compiere verso DIO, verso il prossimo e verso se stessi, quali siano le verità della nostra santa Religione che bisogna assolutamente conoscere, voi fareste loro aprire gli occhi sulla loro sventura. Ah! Quali ringraziamenti non vi faranno essi per tutta l’eternità, dicendo che dopo DIO, è a voi che sono debitori della loro felicità eterna. Mio DIO! Si possono lasciar perire delle anime così preziose che tanto sono costate a Gesù-Cristo per essere riscattate? Ma voi mi direte, questo è facile da dirsi. Se si vuol parlare loro di Religione, essi non ascoltano se non per burlarsi di voi. Questo è purtroppo vero; ce n’è tanti che sono tanto disgraziati da non voler aprire gli occhi sulla loro disgrazia; ma non tutti: ce ne sono alcuni che sono ben contenti di farsi istruire. Bisogna prenderli con dolcezza, ricordando che, quando crederete che questo non gli servirà a niente, ne sarete tanto più ricompensati che se ne aveste fatti dei santi. Ma non vi ingannate. Prima o poi si ricorderanno di ciò che voi gli avete insegnato; verrà un giorno che essi ne profitteranno e pregheranno per voi il buon DIO. Voi dovete loro ancora l’elemosina delle vostre preghiere. Un padrone o una padrona che ha dei domestici, non deve lasciar trascorrere un giorno senza pregare il buon DIO per essi. Io sono persuaso che ci sono tanti che forse non hanno mai pregato per i loro domestici. Ma, voi mi direte, ben lungi dall’aver pregato per essi, io non vi ho mai pensato. Ah! Fratelli miei, io non credo a questo. Se voi avete vissuto in sì grande ignoranza verso i vostri doveri, sareste da compiangere e degni di estrema compassione. Se un domestico non deve mancare di pregare per i suoi padroni, un padrone, una padrona gli deve la medesima cosa, ed ancor di più perché il domestico non è incaricato dell’anima del suo padrone, mentre il padrone è incaricato dell’anima dei suoi domestici. Mio DIO! Quante persone non conoscono il loro dovere; e di conseguenza, non lo compiono e saranno perduti per l’eternità. Padri e madri, padroni e padrone, non dimenticate questa elemosina spirituale che dovete ai vostri figli ed ai vostri domestici. Voi dovete ancor loro l’elemosina dei vostri buoni esempi che serviranno di guida a loro per andare in cielo. – Ecco, fratelli miei, ciò che io credo sia maggiormente capace di soddisfare alla giustizia di DIO, per i vostri peccati confessati e perdonati. Voi potete di giunta soddisfare alla giustizia di Dio, sopportando con pazienza tutte le miserie che sarete obbligati a soffrire malgrado voi, come le malattie, le infermità, le afflizioni, la povertà, le fatiche che avrete da sostenere lavorando, il freddo, il caldo, gli accidenti che vi incolgono, la necessità di morire. Vedete la bontà di DIO che ci ha fatto la grazia di rendere tutte le nostre azioni meritorie, e degne di evitare tutte le pene dell’altra vita. ma, disgraziatamente, fratelli miei, non è con questo spirito che noi soffriamo i mali che DIO ci invia, come altrettante grazie che Egli ci fa; ahimè! essendo ciechi, su questo ultimo punto, sul nostro bene, noi giungiamo perfino a mormorare ed a maledire la mano di un Padre sì buono che cambia le pene eterne in altre che non sono che di qualche minuto. E noi, fratelli miei, siamo così ciechi intorno nostra felicità? Mettiamo tutto a profitto: malattie, avversità, afflizioni, tutte queste cose sono dei beni che noi accumuliamo per il cielo, o piuttosto che ci esenteranno dal dover soffrire dei tormenti così rigorosi nell’altra vita. Uniamo tutte le nostre pene a quelle di Gesù-Cristo, alfine di renderle meritorie e degne di soddisfare alla giustizia di DIO. Infine il gran mezzo di soddisfare alla giustizia di DIO, è amarlo, avere un vivo pentimento dei nostri peccati, perché Gesù-Cristo ci ha detto che molto sarà rimesso a colui che ama molto, ed a colui che meno ama, meno peccati gli saranno rimessi. (Luc. VII, 47).

5° Noi abbiamo detto che le indulgenze sono dei mezzi molto efficaci per soddisfare alla giustizia di DIO, vale a dire per farci evitare le pene del purgatorio. Queste indulgenze sono composte dai meriti sovrabbondanti di Gesù-Cristo, della Vergine Santa e dei Santi, ciò che costituisce un tesoro inesauribile al quale il buon DIO ci dà il potere di attingere. Per farvelo meglio comprendere, è come se voi foste debitore di venti o trenta lire verso un uomo ricco che vuole essere pagato; voi non avete niente, o vi sarebbe necessario un tempo infinito per saldare il vostro debito. Un ricco ci dice: « Voi non avete di come saldare i vostri debiti? prendete dal mio scrigno ciò che vi è necessario per pagare ciò che dovete. » Ecco precisamente ciò che DIO  fa. Noi siamo nell’impossibilità di soddisfare alla sua giustizia, Egli ci apre il tesoro delle indulgenze nel quale possiamo prendere tutto ciò che ci serve per soddisfare alla giustizia di DIO. Ci sono delle indulgenze parziali, che non rimettono che una parte delle nostre pene, e non tutte, come sono quelle che si guadagnano recitando le litanie del santo Nome di Gesù, e per le quali ci sono 200 giorni di indulgenza; dicendo quelle della Santa Vergine, ci sono 400 giorni, e così di tante altre. Ci sono delle indulgenze quando si dice l’Ave Maria, l’Angelus, i tre atti di fede, di speranza e carità; andando a visitare un ammalato, istruendo un ignorante. Ma le indulgenze plenarie sono la remissione di tutte le pene che noi dobbiamo soffrire in Purgatorio; di modo tale che, dopo esserci confessati di un gran numero di peccati, benché perdonati, ci resta ancora un numero quasi infinito di anni di Purgatorio. Se guadagniamo queste indulgenze plenarie nella loro interezza, noi saremo esenti dal Purgatorio così come un bambino che muore subito dopo il suo Battesimo, o un Martire che dà la sua vita per DIO. Queste indulgenze possono lucrarsi se si è iscritti nella Confraternita del santo Rosario, tutte le prime domeniche del mese, quando si ha la fortuna di confessarsi e comunicarsi, ed in tutte le feste della Santa Vergine; tutte le terze domeniche, se siamo della Confraternita del Santo-Sacramento. Oh! Fratelli miei, quanto è facile liberarsi delle pene dell’altra vita per un Cristiano che profitti delle grazie che il buon DIO gli presenta. Ma bisogna pur dire che per guadagnare tutti questi beni, bisogna essere in stato di grazia, essersi confessati e comunicati, e fare le preghiere che il Santo Padre prescrive; non c’è che la Via Crucis per la quale non c’è bisogno di confessarsi né comunicarsi. Ma bisogna essere sempre esenti da peccato mortale; aver un grande rammarico di tutti i peccati veniali ed essere in una vera risoluzione di non più commetterli. Se avete queste disposizioni, voi potete lucrarle per voi e per le anime del purgatorio. Niente, fratelli miei, è così facile che il soddisfare alla giustizia di DIO, dato che abbiamo tanti mezzi per questo, di modo tale che se andiamo in Purgatorio sarà per nostra propria colpa. Oh! se un Cristiano fosse istruito e volesse profittare di tutto ciò che il buon DIO presenta, quanti tesori egli cumulerebbe per il cielo! DIO mio! Se noi siamo così poveri, è perché noi non vogliamo arricchirci, ma non è ancora tutto. Dopo aver soddisfatto a DIO, bisogna ancor soddisfare il nostro prossimo per il torto che gli abbiamo fatto, sia al corpo, sia alla sua anima. Io dico che si fa torto al suo corpo, cioè alla sua persona, oltraggiandolo sia con parole ingiuriose o sprezzanti, o con cattivi trattamenti. Se abbiamo avuto la sventura di oltraggiarlo con parole ingiuriose, bisogna fargli le scuse e riconciliarsi con lui. Se gli si è fatto torto battendo le sue bestie, ciò che può capitare quando le si trova a fare qualche danno ai nostri raccolti, voi siete obbligati a dargli tutto ciò di cui avete causato la perdita: voi potreste farvi pagare e non maltrattare queste bestie; se voi avete fatto qualche torto, voi siete obbligato a ripararlo per quanto potete, senza che siate grandemente colpevole. Se avete dimenticato di farlo, avete peccato e dovete accusarvene. Se avete fatto torto al vostro prossimo nel suo onore, come ad esempio per una maldicenza, voi siete obbligato a dare buone informazioni per quante di cattive ne abbiate date, nascondendo i difetti che essi potrebbero avere, che non siete obbligati a svelare. Se l’avete calunniato, dovete andare a trovare le persone alle quali avete detto cose false del vostro prossimo e dire loro che tutto quel che avete loro detto, non era vero: che voi ne siete ben convinto, e che li pregate di non crederle. Ma se gli avete fatto questo torto nell’anima, è ancor più difficile riparare, tuttavia bisogna pur farlo per quanto possibile, senza il che, mai il buon DIO ci perdonerà. Bisogna pure esaminarvi caso mai abbiate dato scandalo ai vostri figli o ai vicini. Quanti padri e madri, padroni e padrone che scandalizzano i loro figli e i loro domestici, non facendo preghiere, né mattino né sera, o che le fanno vestendosi, o sdraiati su una poltrona, che non faranno neanche un segno di croce né prima, né dopo aver mangiato. Quante volte li sentiamo giurare e forse anche bestemmiare. Quante volte vi hanno visto lavorare la Domenica mattina, anche prima della Santa Messa. Bisogna ancora esaminare se avete cantato canzoni licenziose, se avete preso libri cattivi, se avete dato cattivi consigli, come dicendo a qualcuno di vendicarsi, di ripagarsi con le proprie mani, o rivolgere ingiurie al prossimo. Voi dovete ancora esaminarvi se non avete preso degli oggetti del vostro vicino che avete dimenticato di restituire; se avete dimenticato di fare qualche elemosina se vi è stata comandata o qualche restituzione da parte dei vostri poveri genitori defunti. Bisogna aver la felicità che i vostri peccati siano perdonati, che non abbiate nulla dei beni del prossimo che voi dovete e potete rendergli; che non abbiate infamato la sua reputazione, bisogna che voi abbiate fatto tutto ciò che potevate per ripararla; bisogna esservi riconciliato con i vostri nemici, parlare loro come se non avessero fatto che del bene nella vostra vita, senza conservare nulla nel vostro cuore se non la carità che un buon Cristiano deve avere per tutti. Bisogna ricevere la vostra penitenza di bon grado, con un vero desiderio di compierla come meglio potete, farla in ginocchio con pietà e riconoscenza, pensando quanto il buon DIO sia buono da contentarsi di così poche cose, e fare in modo che le pene che proviate nel vostro stato, vi servano come penitenza; possiamo lucrare quanto più possiamo indulgenze, affinché dopo la morte abbiamo la sorte di aver soddisfatto a DIO per i nostri peccati, ed al prossimo per i torti che gli abbiamo recati, e che possiamo comparire con fiducia al tribunale di DIO. È la felicità che vi auguro.

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: SUL GIUDIZIO FINALE.

I SERMONI DEL CURATO D’ARS

Sul giudizio finale.

[Discorsi di S. G. B. M. VIANNEY, curato d’Ars – Vol. I, 4° ed. Ed. Marietti, Torino-Roma, 1933]

Tunc videbunt Filium hominis venientem cum potestate magna et majestate.

(Allora vedranno venire il Figlio dell’uomo con grande potenza e maestà terribile, circondato dagli Angeli e dai Santi.)

(Ev. s. S. Luc., XXI, 27.)

Non è più, fratelli miei un DIO rivestito dalle nostre infermità, nascosto nell’oscurità di una povera stalla, adagiato in una mangiatoia, saziato di obbrobri, accasciato sotto il pesante fardello della croce; è un DIO rivestito da tutto lo splendore della sua potenza e della sua maestà, che fa annunziare la sua venuta dai prodigi più eclatanti, cioè dall’eclissi del sole, della luna, dalla caduta delle stelle e da un intero stravolgimento della natura. Non è più un Salvatore che viene con la dolcezza di un agnello, per essere giudicato dagli uomini e riscattarli: è un Giudice giustamente irritato, che giudica gli uomini con tutto il rigore della sua giustizia. Non è più un pastore caritatevole che viene a cercare le sue pecore disperse e perdonarle: è un DIO  vendicatore che viene a separare per sempre i peccatori dai giusti, caricare i malvagi della sua più terribile vendetta, e deliziare i giusti con un torrente di dolcezze. Momento terribile, momento spaventoso, quando giungerai? Momento doloroso, ahimè! Forse, in qualche mattino, noi ascolteremo i precursori di questo Giudice così terribile per i peccatori. O voi, peccatori, uscite dalla tomba dei vostri peccati, venite al tribunale di DIO, istruitevi sulla maniera in cui il peccatore sarà trattato. L’empio, in questo mondo, sembra voler disconoscere la potenza di DIO, vedendo i peccatori senza punizione; egli giunge fin’anche a dire: No, no, non c’è DIO, né inferno; oppure: DIO non bada a ciò che accade sulla terra. Ma aspettiamo il giudizio e, in questo grande giorno, DIO manifesterà la sua potenza e mostrerà a tutte le nazioni che ha visto tutto e contato tutto. Qual differenza, fratelli miei, con le meraviglie che operò creando il mondo! Che sgorghino le acque, fertilizzino la terra; e nello stesso istante, le acque copriranno la terra donandole la fertilità. Ma quando Egli verrà per distruggere il mondo, comanderà al mare di lasciare le sue rive con una impetuosità spaventosa che ingoierà tutto l’universo nel suo furore. Quando DIO creò il cielo, ordinò alle stelle di attaccarsi al firmamento. Alla sua voce, il sole rischiarò il giorno, e la luna presiedette alla notte. Ma in questo ultimo giorno, il sole si oscurerà. La luna e le stelle non daranno più luce. Tutti questi astri meravigliosi cadranno con uno spaventoso fracasso. quale differenza, fratelli miei cari. DIO impiegò sei giorni nel creare il mondo; ma per distruggerlo, sarà sufficiente un battito d’occhio. Per creare l’universo e tutto ciò che esso racchiude, DIO non chiamò nessuno spettatore di tante meraviglie; ma nel distruggerlo, saranno presenti tutti i popoli, tutte le nazioni confesseranno che c’è un DIO e che Esso è potente. Venite, empi beffardi, venite, increduli raffinati, venite a conoscere se c’è un DIO, e se è onnipotente! O DIO mio! Il peccatore cambierà linguaggio in questo momento! Quanti rimpianti! Qual pentimento per aver tralasciato un tempo sì prezioso! Ma non c’è più tempo, tutto è finito per il peccatore, tutto è senza speranza! Oh! Quanto terribile sarà questo momento! San Luca ci dice che gli uomini si disseccheranno per la paura fin dalla punta dei piedi pensando ai dolori che saranno loro preparati. Ahimè, fratelli miei, si può disseccare per la paura e morire dallo spavento nell’attesa di un malore infinitamente meno grande di quello di cui è minacciato il peccatore e che certamente gli arriverà se continua a vivere nel peccato. In questo momento, fratelli miei, io mi dispongo a parlare del giudizio in cui noi compariremo tutti per rendere conto di tutto il bene ed il male che avremo fatto, per ricevere la nostra sentenza definitiva per il cielo o per l’inferno: se venisse un Angelo dal cielo ad annunciarvi da parte di DIO che tra ventiquattro ore tutto l’universo sarà ridotto in fuoco da una pioggia di fuoco e zolfo, e voi cominciaste ad avvertire i tuoni scuotenti, i furori delle tempeste abbattersi sulle vostre case, i fulmini talmente numerosi tanto da rendere l’universo un rogo ardente, e l’inferno vomitasse già tutti i suoi riprovati le cui urla e grida si possono ascoltare da tutti gli angoli del mondo; che il solo mezzo per evitare tutti questi malanni fosse lasciare il peccato e fare penitenza; intendereste voi, fratelli miei, tutti questi uomini senza versare un torrente di lacrime e gridare: misericordia! Non vi gettereste ai piedi degli altari per chiedere misericordia? O accecamento, o incomprensibile infelicità dell’uomo peccatore! I mali che il vostro pastore vi annuncia sono ancor più infinitamente spaventosi e degni di strappare le vostre lacrime, lacerare i vostri cuori. Ahimè! Queste verità così terribili diventeranno tante sentenze che stanno per pronunciare la vostra eterna condanna. Ma la più grande di ogni disgrazia, è che voi ne siete insensibili e continuate a vivere nel peccato e non riconosciate la vostra follia se non nel momento in cui non avrete più rimedio. Ancora un momento, e questo peccatore che viveva tranquillamente nel peccato, sarà giudicato e condannato; ancora un istante ed egli porterà questo rimpianto per l’eternità. Sì, fratelli miei, noi saremo giudicati, nulla di più certo; sì, noi saremo giudicati senza misericordia; sì noi rimpiangeremo eternamente l’aver peccato.    

I. — Noi leggiamo nella Sacra Scrittura, fratelli miei, che tutte le volte che DIO vuole inviare qualche flagello al mondo o alla sua Chiesa, Egli lo fa sempre precedere da qualche segno per cominciare a gettare il terrore nei cuori, e per portarlo a placare la sua giustizia. Volendo far perire l’universo con un diluvio, l’arca di Noè, che si impiegarono cento anni per costruirla, fu un segno per condurre gli uomini alla penitenza, cosicché tutti non dovessero perire. Lo storico Giuseppe ci dice che prima della distruzione della città di Gerusalemme, comparve per molto tempo una cometa in forma di falce che gettò nella costernazione il mondo. Ognuno diceva: Ahimè, cosa vuol dire questo segno? Forse qualche grande sventura che DIO vuole inviarci? La luna rimase otto giorni senza dare luce; le genti sembravano già non potessero vivere. Tutto ad un tratto comparve un uomo sconosciuto che per tre anni non faceva altro che gridare per le strade di Gerusalemme, giorno e notte: Guai a Gerusalemme! Guai a Gerusalemme! … lo si prese e lo si batté con verghe per impedirgli di gridare, ma niente lo fermò. Dopo tre anni, egli gridò: Ah! Gerusalemme: ah! guai a me. Una pietra lanciata da una macchina gli cadde addosso e lo schiacciò in quell’istante. Allora tutti i mal di cui questo sconosciuto aveva minacciato a Gerusalemme, le si abbatterono addosso. La fame fu così grande, che le madri sgozzavano i loro figli per servirsene da nutrimento. Gli abitanti, senza sapere perché, si sgozzavano gli uni gli altri; la città fu presa e come annientata; le strade e le piazze erano coperte da cadaveri; il sangue scorreva a fiumi, i pochi che sopravvissero, furono venduti come schiavi. Ma, siccome il giorno del giudizio sarà il giorno più terribile ed il più spaventoso che ci sia mai stato, sarà preceduto da segno così paurosi che getteranno il terrore fino al fondo degli abissi. Nostro Signore ci dice che, in questo momento terribile per il peccatore, il sole non darà più luce, la luna sarà simile ad una massa di sangue, e le stelle cadranno dal cielo. L’aria sarà talmente piena di fulmini che sarà tutta un fuoco, e si sentiranno tuoni, il cui rimbombo sarà così grande che gli uomini disseccheranno per il terrore fin dalla pianta dei loro piedi. I venti saranno così impetuosi che nulla potrà resistere loro. Gli alberi e le case, saranno inghiottiti dal caos del mare; il mare stesso sarà talmente agitato dalle tempeste che i suoi flutti si alzeranno di quattro cubiti sopra le montagne più alte, e scenderanno così in basso da mostrare gli orrori degli inferi; tutte le creature, anche inanimate, sembreranno volersi annientare per evitare la presenza del loro Creatore, vedendo quanto i crimini degli uomini hanno lordato e sfigurato la terra. Le acque dei mari e dei fiumi gorgoglieranno come olio nei bracieri; gli alberi e le piante vomiteranno torrenti di sangue; i tremori della terra saranno così grandi che si vedrà la terra aprirsi da ogni parte; la maggior parte degli alberi e delle bestie saranno distrutti, gli uomini che resteranno, saranno come insensati; le rocce, i monti crolleranno con un frastuono spaventoso. Dopo tutti questi orrori, sarà acceso il fuoco nei quattro angoli del mondo, ma un fuoco così violento che brucerà le pietre, le rocce e la terra, come un filo di paglia gettato in una fornace. Tutto l’universo sarà ridotto in cenere; è necessario che questa terra lordata da tanti crimini, sia purificata dal fuoco che sarà acceso dalla collera del Signore, di un DIO giustamente irritato.  – Dopo che questa terra, fratelli miei, coperta da tanti crimini sarà purificata, DIO invierà i suoi Angeli che soneranno la tromba ai quattro angoli del mondo, e che diranno a tutti i morti: Alzatevi, morti, uscite dalle vostre tombe, venite e preparatevi al giudizio. Allora tutti i morti, buoni e cattivi, giusti e peccatori, riprenderanno le stesse forme che un tempo avevano, il mare vomiterà tutti i suoi cadaveri rinchiusi nel caos, la terra rigetterà tutti i corpi seppelliti da tanti secoli nel suo seno. Dopo questa rivoluzione, tutte le anime dei santi discenderanno dal cielo tutti raggianti di luce, ogni anima si ricongiungerà con il suo corpo dando mille e mille benedizioni. Venite – esse diranno – compagno delle mie sofferenze; se avete lavorato per piacere a DIO; se avete fatto consistere la vostra felicità nelle sofferenze e nei combattimenti, oh! Quanti beni ci sono riservati, sono più di mille anni che io gioisco di questa felicità; oh! Quale gioia per me ad annunciarvi i tanti beni che si sono stati preparati per l’eternità. Venite, occhi benedetti, che tante volte vi siete chiusi al cospetto di oggetti impuri, timorosi di perdere la grazia del vostro DIO, venite nel cielo dove non vedrete che beltà che mai in questo mondo si vedono. Venite, orecchie mie, voi che avete avuto orrore delle parole e dei discorsi impuri e calunniatori; venite ed ascolterete nel cielo questa musica celeste che vi metterà in continuo rapimento. Venite, miei piedi e mani mie, che tante volte vi siete adoperate a sollevare gli sventurati; andiamo a trascorrere la nostra eternità in questo bel cielo ove vedremo il nostro amabile e caritatevole Signore che tanto ci ha amato. Ah! voi vedrete Colui che tante volte è venuto a riposare nel vostro cuore. Ah! noi vi vedremo questa mano ancora tinta del sangue del nostro divin Salvatore, per mezzo del quale Egli ci ha meritato tanta gioia. Infine, il corpo e l’anima dei Santi si daranno mille e mille benedizioni, e questo per tutta l’eternità. Dopo che tutti i Santi avranno ripreso i loro corpi raggianti di gloria, tutti là, secondo le buone opere e le penitenze che avranno fatto, attenderanno con piacere il momento in cui DIO starà per svelare in faccia a tutto l’universo tutte le lacrime, tutte le penitenze, tutto il bene che avranno compiuto durante tutta la loro vita senza trascurarne neppure una, neppure una sola, già tutte rapite dalla felicità di DIO spesso. Aspettate, dirà loro Gesù-Cristo stesso, aspettate, io voglio che tutto l’universo veda quanto voi abbiate lavorato con piacere. I peccatori induriti, gli increduli dicevano che Io ero indifferente a tutto ciò che voi facevate per me; ma Io voglio mostrare loro oggi che vi ho visto, ed ho contato tutte le vostre lacrime versavate nel fondo dei deserti; Io voglio oggi mostrare loro che Io ero al fianco vostro sui patiboli. Venite tutti e comparite davanti a questi peccatori che mi hanno disprezzato ed oltraggiato, che hanno osato negare che Io esistessi, che Io li vedessi. Venite, figli miei, venite miei diletti e vedrete quanto sono stato buono, quanto grande è il mio amore per voi. – Contempliamo, fratelli miei, per un istante, questo numero infinito di anime giuste che rientrano nei loro corpi, che rendono simili a dei soli luminosi. Voi vedete tutti questi martiri, con in mano la palma. Vedete tutte queste Vergini, con la corona della verginità sulla testa. Vedete tutti questi Apostoli, questo sacerdoti, che hanno salvato tante anime, con i raggi di gloria di cui sono abbelliti. Fratelli miei, tutti diranno a Maria, questa Madre-Vergine: andiamo a raggiungere Colui che è in cielo per dare un nuovo splendore alle vostre beltà. Ma no, un momento di pazienza; Voi siete stata disprezzata, calunniata e perseguitata dai malvagi, è giusto che, prima di entrare in questo reame eterno, i peccatori vengano a fare ammenda onorevole. – Ma, terribile e fragorosa rivoluzione! … Io sento la stessa tromba che intima ai riprovati di uscire dagli inferi. Venite peccatori, carnefici e tiranni – dirà DIO che voleva tutti salvi – venite, comparite al tribunale del Figlio dell’Uomo, a Colui del quale sì sovente avete voluto persuadervi che non vi vedesse, né vi intendesse! Venite e comparite, perché tutto quello che voi avete commesso, sarà manifestato in faccia a tutto l’universo. Allora l’Angelo griderà: Abissi degli inferi, aprite le vostre porte, vomitate tutti i riprovati, il loro Giudice li chiama. Ah! Momento terribile! Tutti queste anime maledette riprovate, orribili come demoni, usciranno dagli abissi ed andranno, come dei disperati a cercare i propri corpi. Ah! Momento crudele! Nel momento in cui l’anima entrerà nel suo corpo, questo corpo proverà tutti i rigori dell’inferno. Ah! Corpo maledetto, dirà l’anima al suo corpo che ha rotolato e trascinato nel fango delle sue impurità; sono già mille anni che soffro e brucio nell’inferno. Venite occhi maledetti, che tante volte avete avuto piacere nel volgere sguardi disonesti su di voi od altri, venite all’inferno per contemplarvi i mostri più orribili. Venite, orecchie maledette, che avete tratto tanto piacere da queste parole, da questi discorsi impuri, venite eternamente a sentire le grida, le urla, i ruggiti dei demoni. Venite, lingua e bocca maledetta che tante volte avete dato baci impuri e che nulla avete risparmiato per accontentare la vostra sensualità e la vostra ingordigia; venite nell’inferno e non avrete che il fiele dei dragoni per nutrimento. Vieni corpo maledetto che ho tanto cercato di accontentare; vieni, tu sarai immerso per l’eternità in uno stagno di fuoco e di zolfo, alimentato dalla potenza e dalla collera di DIO! Ah! chi potrà comprendere e raccontarci le maledizioni che il corpo e l’anima si vomiteranno per tutta l’eternità? Sì, fratelli miei, ecco tutti i giusti ed i riprovati che hanno ripreso la forma antica, cioè i loro corpi tali come ora li vediamo, che attendono il loro Giudice, ma un Giudice giusto e senza compassione, per punire o ricompensare, secondo il bene o il male che noi avremo fatto. Eccolo che arriva, seduto su di un trono, sfolgorante di gloria, circondato da tutti gli Angeli, con lo stendardo della sua croce che marcerà davanti a Lui. I dannati vedranno il loro Giudice; ah! che dico? Vedranno Colui che essi non hanno visto procurare loro la felicità del Paradiso, e che, malgrado Lui, si sono dannati: montagne, essi grideranno, schiacciateci, nascondeteci dalla faccia del nostro Giudice; rocce, cadeteci addosso; ah! di grazia, precipitateci negli inferi! No, no, peccatore, avanza e vieni a render conto di tutta la tua vita. vieni avanti maledetto, che tanto hai disprezzato un DIO così buono. Ah! Giudice mio, Padre mio, mio Creatore, dove sono mio padre, mia madre che mi hanno dannato? Ah! io vorrei vederli; ah! io vorrei loro domandare il cielo che essi mi hanno lasciato perdere. Padre mio e madre mia, siete voi che mi avete dannato; siete voi che mi avete dannato; siete voi la causa della mia rovina. No, no, avanza verso il tribunale del tuo DIO, per te tutto è perduto: sì, tu sei perduto! Sì, tutto è perduto, poiché tu hai perduto la tua anima ed il tuo DIO. Ah! chi potrà mai comprendere il dolore di un dannato che si vedrà di fronte, cioè nel lato dei Santi, un padre o una madre tutti raggianti di gloria e pronti per il cielo, e vedersi riservato all’inferno! Montagne, diranno questi riprovati, fateci sfuggire; ah! di grazia cadeteci addosso! Ah! porte degli abissi, apritevi per nasconderci! No, peccatore; tu hai sempre disprezzato i miei comandamenti; ma oggi Io voglio mostrarti che Io sono il tuo padrone. Comparirai davanti a me con tutti i tuoi crimini dei quali è intessuta tutta la tua vita. Ah! è allora – ci dice il profeta Ezechiele – che il Signore prenderà questo gran foglio miracoloso, ove sono scritti e consegnati tutti i crimini degli uomini. Quanti peccati mai comparsi agli occhi dell’universo, si vedranno apparire. Ah! tremate, voi che forse dopo quindici o venti anni, avete accumulati peccati su peccati. Ah! guai a voi! Allora Gesù-Cristo, con il libro delle coscienze in mani, chiamerà tutti i peccatori per convincerli di tutti i peccati che avranno commesso nel corso della loro vita, con il suono di un tuono spaventoso. Venite impudichi – dirà loro – avvicinatevi e leggete giorno per giorno; ecco tutti questi pensieri che hanno riempito la vostra immaginazione, tutti questo desideri vergognosi che hanno corrotto il vostro cuore; leggete e contate i vostri adulteri, eccone il luogo, il momento in cui li avete commessi, ecco la persona con la quale avete peccato. Leggete tutte le vostre mollezze e le vostre lascivie, leggete e contate quante volte avete perso delle anime che mi erano costate così caramente. Era da più di mille anni che il vostro corpo era marcito e la vostra anima all’inferno, ed il vostro libertinaggio portava ancora anime all’inferno. Vedete questa donna che avete perduto, vedete questo marito, questi figli e questi vicini! Tutti chiedono vendetta, tutti vi accusano che li avete perduti e che senza di voi sarebbero destinati al cielo. – Venite figlie mondane, strumenti di satana, venite e leggete tutte queste cure e questi tempi che avete impiegato nel prepararvi; contate il numero dei cattivi pensieri e dei cattivi desideri che avete suscitato a coloro che vi hanno visto. Vedete tutte le anime che gridano che siete state voi che li avete perduti. – Venite maldicenti, seminatori di falsi rapporti, venite e leggete, ecco dove sono segnate tutte le vostre maldicenze, i vostri insulti, le vostre ingiurie; ecco tutte le divisioni che avete provocato; ecco tutte le turbe che avete fatto nascere, tutte le perdite e tutti i mali dei quali la vostra lingua maledetta è stata la prima causa. Andate disgraziati, andate ad ascoltare le grida e le urla spaventose dei demoni. – Venite avari maledetti, leggete e contate questo denaro e questi beni fatiscenti ai quali avete legato il vostro cuore, il disprezzo del vostro DIO, e per i quali avete sacrificato la vostra anima. Avete dimenticato la vostra durezza per i poveri? Eccola, leggete e contate. Ecco il Vostro oro ed il Vostro denaro, chiedete ora loro soccorso, dite loro che vi traggano dalle mie mani. Andate maledetti a soffrir fame negli inferi. – Venite vendicativi, leggete e vedete tutto ciò che voi avete fatto per nuocere al vostro prossimo, contate tutte queste ingiustizie, contate tutti questi pensieri di odio e di vendetta che avete nutrito nei vostri cuori; andate, maledetti, nell’inferno. Voi siete stati ribelli: i miei ministri hanno detto mille volte che se non amate il vostro prossimo come voi stessi, non c’è perdono per voi. Ritiratevi da me, maledetti, andate all’inferno, sarete la vittima della mia eterna collera, ove conoscerete che la vendetta non è che per DIO solo. – Vieni, vieni, ubriacone, ecco là un bicchiere di vino, un pezzo di pane che tu hai strappato dalla bocca di tua moglie e dei tuoi figli; ecco tutti gli eccessi, li riconosci? Sono i tuoi, o sono quelli del tuo vicino? Ecco il numero delle notti, dei giorni, le domeniche e le feste che tu hai trascorso nei cabaret; ecco  fino all’ultima, le parole disoneste che hai dette nelle tue sbornie; ecco tutti i giuramenti, tutte le imprecazioni che hai vomitato; ecco tutti gli scandali che hai dato a tua moglie, ai tuoi figli, ai vicini. Sì, io ho scritto tutto, ho tutto contato. Va, disgraziato, ad ubriacarti negli inferi del fiele della mia collera. – Venite mercanti, operai, di qualunque stato voi siate, venire, rendetemi conto fino all’obolo di tutto ciò che avete comprato e venduto; venite, esaminiamo insieme se le vostre misure ed i vostri conti siano conformi ai miei? Ecco, mercanti, il giorno in cui avete ingannato questa bambino. Ecco il giorno in cui avete fatto pagare due volte la stessa cosa. Venite, profanatori dei Sacramenti, ecco tutti i vostri sacrilegi, tutte le vostre ipocrisie. Venite, padri e madri, rendetemi conto di queste anime che a voi ho affidato; rendetemi conto di tutto ciò che hanno fatto i vostri figli, i vostri domestici; ecco tutte le volte che avete dato loro il permesso di andare nei luoghi e con le compagnie in cui hanno peccato. Ecco tutti i cattivi pensieri ed i cattivi desideri che vostra figlia ha coltivato; ecco tutti gli abbracci e le azioni infami; ecco tutte le parole impure che i vostri figli hanno pronunziato. Ma, Signore, diranno i padri e le madri, io non li ho comandati. Non importa, dirà ad essi il loro Giudice, i peccati dei tuoi figli, sono i tuoi peccati. Dove sono le virtù che hai fatto loro praticare? Dove sono i buoni esempi che hai loro dati o le buone opere che hai fatto fare loro? Ahimè! Cosa sarà di questi padre e queste madri che vedono che i loro figli, gli uni vanno a ballare, gli altri ai giochi o alla bettola, e vivono tranquilli. O DIO mio quale cecità! Oh! Da quali crimini si vedranno oppressi in questi terribili momenti! Oh! Quanti peccati nascosti che saranno manifestati alla presenza di tutto l’universo! Oh! Abissi profondi degli inferi, apritevi per ingoiare questa folla di perversi che non hanno vissuto che per oltraggiare DIO e dannarsi. Ma – voi mi direte – tutte le buone opere che abbiamo fatto non serviranno dunque a niente? Questi digiuni, queste penitenze, queste elemosine, queste Comunioni, queste Confessioni saranno dunque senza ricompensa? No, vi dirà Gesù-Cristo, tutte le vostre preghiere non erano che pratiche di abitudini, i vostri digiuni ipocrisie, le vostre elemosine vanagloria; il vostro lavoro non aveva altro scopo che l’avarizia e la cupidigia, le vostre sofferenze non erano accompagnate che da pianti e mormorii; in tutto ciò che facevate, Io non c’ero per nulla; tuttavia vi ho ricompensato con beni temporali, ho benedetto il vostro lavoro, ho dato fertilità ai vostri campi, arricchiti i vostri figli, il poco di bene che avete fatto ve l’ho ricompensato con più di quanto potevate attendere. Ma, Egli ci dirà, i vostri peccati vivono ancora, essi vivranno eternamente davanti a me; andate maledetti, nel fuoco eterno preparato per tutti coloro che mi hanno disprezzato durante la loro vita. – Sentenza terribile, ma infinitamente giusta. Cosa di più giusto! Un peccatore che per tutta la sua vita, non ha fatto che rivoltarsi nel crimine, malgrado le grazie che il buon DIO gli presentava incessantemente per uscirne! Vedete questi empi che si lamentavano del loro pastore, che disprezzavano le parole di vita, che volgevano in ridicolo quello che il loro pastore diceva ad essi? Vedete questi peccatori che si gloriavano nel non avere Religione, che schernivano coloro che la praticavano? Vedeteli, questi cattivi Cristiani che avevano così spesso in bocca queste orribili bestemmie che- essi dicevano – trovavano ancora eccellente il pane, e non avevano bisogno di Confessione? Vedete questi increduli che ci dicevano che, quando fossimo morti, tutto era finito? Vedete la loro disperazione, ascoltateli confessare la loro empietà? Li udite implorare misericordia? Ma tutto è finito, non avete più che l’inferno per retaggio. – Vedete questo orgoglioso che scherniva e disprezzava tutti? Lo vedete inabissato nel suo cuore, condannato per una eternità sotto i piedi dei demoni? Vedete quell’incredulo che diceva che non c’è DIO, che non c’è inferno? Lasciate confessare loro davanti a tutto l’universo che c’è un DIO Giudice, ed un inferno dove sta per precipitare per non uscirne mai più? È vero che DIO darà la libertà a tutti i peccatori di portare lo loro ragioni, le loro scuse per giustificarsi, se possono. Ma ahimè! Che potrà dire un criminale che non vede che crimine e ingratitudine? Ahimè! Tutto ciò che potrà dire un peccatore in questo momento doloroso non servirà che a mostrare ancor più la sua empietà e la sua ingratitudine. – Ecco, senza dubbio, fratelli miei, ciò che vi sarà di più sconvolgente in questo terribile momento; questo sarà quando vedremo che DIO non ha nulla risparmiato per salvarci; che Egli ci fa fatto partecipi dei meriti infiniti della sua morte in croce; che Egli ci ha fatto nascere nel seno della sua Chiesa; che ci ha dato dei pastori per mostrarci ed insegnarci tutto ciò che si debba fare per essere felici. Egli ci ha dato i Sacramenti per farci recuperare la sua amicizia tutte le volte che l’avessimo perduta. Non ha posto dei limiti al numero dei peccati che voleva perdonarci; se il nostro ritorno fosse sincero, saremmo stati sicuri del nostro perdono, egli ci ha atteso per un numero infinito di anni, benché non vivessimo che per oltraggiarlo; Egli non voleva perderci o piuttosto voleva assolutamente salvarci; e noi non abbiamo voluto! Siamo noi stessi che lo forziamo con i nostri peccati a fargli emettere una sentenza di eterna riprovazione: Andate, figli maledetti, andate a trovare colui che avete imitato: io non vi riconosco, se non per non schiacciarvi con tutti i furori della mia eterna collera. – Venite, ci dice il Signore per mezzo di uno dei suoi Profeti, venite, uomini, donne, ricchi e poveri, quantunque peccatori, di qualunque stato e condizione siate, dite tutti insieme, ditemi le vostre ragioni, ed Io vi dirò le mie. Entriamo in giudizio, pesiamo tutto ai piedi del santuario. Ah! momento terribile per un peccatore che da qualunque lato consideri la sua vita, non vede che peccato, ed alcun bene. DIO mio! Che sarà di lui? In questo mondo, il peccatore ha sempre qualche scusa da recare per tutti i peccati che ha commesso; egli porta finanche il suo orgoglio al tribunale della penitenza, dove non dovrebbe comparire se non per accusar se stesso e condannarsi. Per gli uni l’ignoranza; per altri le tentazioni troppo violente; infine per altri, le occasioni e i cattivi esempi: ecco, ogni giorno le ragioni che i peccatori accampano per nascondere la oscurità dei loro crimini. Venite peccatori orgogliosi, vedete se le vostre scuse saranno bene accolte nel giorno del giudizio, e spigatevi con Colui che ha la face in mano, che ha visto tutto, tutto contato, tutto pesato. Voi non sapevate, direte, che questo fosse un peccato! Ah! Sventurati, vi dirà Gesù-Cristo, se foste nati tra le nazioni idolatre che non hanno mai sentito parlare del vero DIO, potreste ancora scusarvi per la vostra ignoranza; ma voi Cristiani, che avete avuto la fortuna di nascere nel seno della mia Chiesa, allevato nel centro della luce, voi, ai quali si parla della vostra eterna felicità? Dalla vostra infanzia vi si insegna cosa fare per procurarvela, voi che mai si è cessato di istruire; era proprio perché non avete voluto istruirvi; era proprio perché non avete voluto profittare delle istruzioni o che voi avete rifuggito. Andate maledetti! Andate, le vostre scuse vi rendono ancor più degni di maledizione! Andate, figli maledetti, negli inferi e bruciate con la vostra ignoranza. – Ma, dirà un altro, le mie passioni erano troppo vive e grande la mia debolezza. Ma, dirà loro il Signore, poiché DIO era così buono da farvi conoscere la vostra debolezza, ed i vostri pastori vi dicevano che bisognava continuamente vegliare su voi stessi, mortificarvi, se volevate domarle; perché facevate tutto all’opposto? Perché prendevate tanta cura nel contentare il vostro corpo ed i vostri piaceri? DIO vi faceva conoscere la vostra debolezza e voi ricadevate ad ogni istante? Perché non facevate ricorso a DIO per chiedergli la sua grazia? Perché non ascoltavate i vostri pastori che non cessavano di esortarvi nel chiedere le grazie e le forze di cui avevate bisogno per vincere il demonio? Perché avete dunque tanto spesso disprezzato la parola di DIO che vi avrebbe guidato nel cammino che dovevate intraprendere per andare a Lui? Ah! Peccatori ingrati e ciechi, tutti questi beni erano a vostra disposizione, voi potevate servirvene come tanti altri. Cosa avete fatto per impedirvi di cadere nel peccato? Voi non avete pregato che per uso ed abitudine. Andate maledetti! Più avete conosciuto la vostra debolezza, più dovevate far ricorso a DIO che vi avrebbe sostenuto ed aiutato per operare la vostra salvezza. Andate maledetti, voi non siete se non più colpevole. – Ma ci sono tante occasioni di peccare, dirà ancora un altro. Amico mio, io conosco tre tipi di occasione che possono portare al peccato. Tutti gli stati hanno i loro pericoli. Io dico che ve ne sono di tre sorta: quelli in cui siamo necessariamente esposti per i doveri del nostro stato, quelli che incontriamo senza cercarceli, e quelli ai quali ci esponiamo senza necessità. Se per quelli in cui ci invischiamo senza necessità non abbiamo scusanti, non cerchiamo di scusare un peccato con un altro peccato. Voi avete inteso cantare cattive canzoni, voi dite; avete ascoltato una maldicenza o una calunnia, e perché siete andato in questa casa o con questa compagnia? Perché frequentate queste persone senza Religione? Non sapete che chi si espone al pericolo è colpevole e vi perirà? Colui che cade senza esporsi si rialza ben presto, e la sua caduta lo rende ancor più vigilante e saggio. Ma non vedete voi che DIO ci ha promesso il suo soccorso nelle tentazioni, non ce lo ha promesso però quando abbiamo la temerarietà di esporci da noi stessi. Andate maledetti, voi stessi avete cercato di perdervi; voi meritate l’inferno che è riservato ai peccatori come voi. – Ma, voi mi direte, si hanno continuamente cattivi esempi davanti agli occhi. Voi avete cattivi esempi … quale scusa frivola! Se ne avete di cattivi, non ne avete pure di buoni? Perché non avete seguito piuttosto i buoni che i cattivi? Quando vedevate che questa giovane va in chiesa, alla sacra mensa, perché non la seguite, piuttosto che seguire quella che andava alle danze? Quando quest’uomo andava in chiesa per adorarvi Gesù-Cristo nel santo tabernacolo, perché non avete seguito i suoi passi piuttosto che seguire le orme di coloro che si recavano alla bettola? Dite piuttosto, peccatori, che avete amato più la via larga che vi ha condotto in questo disastro in cui vi trovate, che il cammino che il Figlio di DIO ha tracciato Egli stesso. La vera causa delle vostre cadute e della vostra riprovazione, non viene dunque né dai cattivi esempi, né dalle occasioni, né dalle vostre debolezze, né dalle grazie che vi mancavano; ma soltanto dalle cattive disposizioni del vostro cuore che non avete voluto reprimere. Se avete fatto il male, è perché lo avete voluto. La vostra perdita non viene dunque, che solamente da voi. – Ma, mi direte, non ci veniva sempre detto che DIO era buono. È vero che Egli è buono, ma Egli è giusto; la sua bontà e la sua misericordia sono per voi passate: non c’è più che la sua giustizia e la sua vendetta. Ahimè! Fratelli miei, noi che abbiamo tanta ripugnanza nel confessarci, se cinque minuti prima di questo grande giorno, DIO ci concedesse dei sacerdoti per confessare i nostri peccati perché fossero cancellati, ahimè! Con quanta premura non ne profitteremmo? Questo non ci sarà mai concesso in questo momento di disperazione. Il re Bogoris fu molto più saggio di noi. Essendo stato istruito da un missionario della Religione Cattolica, ma trattenuto ancora dai falsi piaceri del mondo, per effetto della Provvidenza di DIO, un pittore cristiano al quale aveva dato la commissione di dipingere nel suo palazzo la caccia più terribile alle bestie selvatiche, gli dipinse all’opposto il giudizio finale, il mondo tutto in fuoco, Gesù-Cristo in mezzo ai fulmini ed ai tuoni, l’inferno già aperto per inghiottire i dannati, con figure tanto spaventose, per cui il re restò di stucco. Ritornato in sé, si sovvenne di ciò che il missionario gli aveva detto per evitare gli orrori di questo momento, in cui il peccatore non può che avere la disperazione per retaggio, e rinunciando in seguito ai suoi piaceri, passò il resto della sua vita nella penitenza e nelle lacrime. Ahimè! Fratelli miei, se questo re non si fosse convertito, sarebbe morto egualmente, avrebbe lasciato tutti i suoi beni ed i suoi piaceri, è vero, un po’ più tardi; ma morendo, nel volgere di secoli, sarebbero passati ad altri. Egli sarebbe invece a bruciare per sempre nell’inferno, mentre è in cielo per l’eternità, ed è contento, aspettando questo giorno, di vedere che tutti i suoi peccati gli siano perdonati e non riappariranno mai più, né agli occhi di DIO, né agli occhi degli uomini. – Fu questo pensiero ben meditato da San Girolamo che lo spinse a tanti rigori per il suo corpo e a versare tante lacrime. Ah! esclamava egli in questa vasta solitudine, mi sembra di sentire ad ogni istante questa tromba che deve svegliare tutti i morti, chiamarmi al tribunale del mio Giudice. Questo pensiero faceva tremare un Davide sul suo trono, un Agostino in mezzo ai suoi piaceri, malgrado tutti gli sforzi che faceva per soffocare questo pensiero che un giorno sarebbe stato giudicato. Egli diceva di tanto in tanto al suo amico Alipio: Ah! caro amico, verrà il giorno in cui noi appariremo davanti al tribunale di DIO per ricevervi la ricompensa del bene o il castigo del male che avremo fatto durante la nostra vita; lasciamo, amico caro mio la strada del crimine per quella che hanno seguito tutti i santi. Prepariamoci a questo giorno, fin dal momento presente. – San Giovanni Climaco ci racconta che un solitario lasciò il suo monastero per passare in un altro a farvi più penitenza. La prima notte, fu chiamato al tribunale di DIO che gli mostrò come egli fosse debitore verso la sua giustizia di cento libbre d’oro. Ahimè! Signore, egli esclamò, cosa devo fare per acquistarli? Egli restò tre anni in questo monastero, dove DIO permise che fosse disprezzato e maltrattato da tutti gli altri, al punto che gli sembrava che nessuno potesse sopportarlo. Il Signore gli apparve una seconda volta dicendogli che non aveva acquistato ancora che un quarto del suo debito. Ah! Signore, esclamò ancora, cosa devo fare quindi per farmi giustificare? Egli si finse pazzo per tredici anni, facendo tutto ciò che gli si voleva: lo si trattava duramente come una bestia da soma. Il buon DIO gli apparve una terza volta dicendogli, che era giunto alla metà. Ah! Signore, poiché io l’ho voluto, devo soffrire per poter soddisfare alla vostra giustizia. Ah! DIO mio! Non aspettate che i miei peccati siano puniti dopo il giudizio. San  Giovanni Climaco ci racconta un fatto che ci fa tremare. C’era, ci dice, un solitario che dopo quarant’anni piangeva i suoi peccati in fondo ad un bosco. Alla vigilia della sua morte, tutto ad un tratto, fuor di sé, aprendo gli occhi, guardando a destra ed a sinistra del suo letto, come se avesse visto qualcuno gli domandasse conto della sua vita, rispondeva con voce tremante: Sì, io ho commesso questo peccato, ma io l’ho confessato ed ho fatto penitenza per trenta anni, fino a quando il buon DIO mi ha perdonato. Tu hai commesso anche questo peccato, gli diceva questa voce. No, gli rispose il solitario, io non l’ho commesso. Prima di morire lo si sentì gridare: DIO mio, DIO mio, togliete, togliete i miei peccati, per piacere, da davanti agli occhi miei, io non posso più sopportarli. Ahimè! Cosa ci accadrà se il demonio ci rimprovera anche i peccati che non abbiamo commesso, a noi che siamo tutti coperti dai peccati e non abbiamo fatto penitenza; ahimè! Cosa dobbiamo aspettarci per questo terribile momento? Se i Santi appena sono rassicurati, cosa accadrà a noi? – Cosa dobbiamo concludere da tutto questo, fratelli miei? Non bisogna mai perdere di vista che noi saremo giudicati un giorno senza misericordia, e che tutti i nostri peccati saranno mostrati agli occhi di tutto l’universo; e che dopo questo giudizio, se ci troviamo in questi peccati, andremo a piangerli negli inferi senza poterli né cancellarli, né dimenticarli. Oh! Quanto siamo ciechi, fratelli miei, se non profittiamo del poco di tempo che ci resta da vivere per assicurarci il cielo. Se siamo peccatori, abbiamo la speranza del perdono; se noi invece lo aspettiamo allora, non ci saranno più risorse. DIO mio! Fatemi la grazia di non farmi mai perdere il ricordo di questo terribile momento, soprattutto quando sarò tentato, per non lasciarmi soccombere; affinché in questo giorno noi udiamo queste dolci parole uscite dalla bocca del Salvatore: « Venite, benedetti dal Padre mio, a possedere il regno che vi è stato preparato fin dal principio del mondo. »

QUIS UT DEUS? (29 SETTEMBRE) FESTA DI S. MICHELE ARCANGELO

QUIS UT DEUS?

San Michele Arcangelo in un discorso di Pio XII

(Pio XII, L’Arcangelo liberatore, in Discorsi e radiomessaggi del secondo anno di pontificato (2.3.1940-1.3.1941), Ed. Poliglotta Vaticana, Roma 1960, pp. 107-112).


“Nella schiera dei Santi che essa venera, la Chiesa offre ai fedeli dei Patroni per i diversi stati e le diverse età della vita. Voi lo sapete, o diletti sposi novelli; ma sarete forse alquanto sorpresi nel sentirci oggi invocare su di voi la protezione dell’Arcangelo San Michele, di cui la Chiesa festeggia in questo giorno l’Apparizione, e per il quale voi, a primo aspetto, non provate forse che un senso di timore riverente. – La iconografia sacra lo raffigura coi lineamenti severi di un guerriero che atterra il demonio. Dopo le Sante Scritture, che chiamano Michele uno dei primi principi del cielo (Dan X, 13) e il condottiero delle milizie angeliche contro Satana (Ap XII, 7), la liturgia lo presenta (…) in queste medesime sembianze: quando scende dal cielo, il mare è sconvolto e trema la terra; quando inalbera la croce della salvezza come un vessillo di vittoria, egli fulmina dalla roccia celeste gli spiriti ribelli (Brev. Rom. Die 8 Maii). – Ma, più che altri, l’uomo e la donna, che lasciano il loro padre e la loro madre (Gn II, 24) per intraprendere insieme il misterioso viaggio della vita, sembrerebbero dover temere questo vindice dei diritti di Dio. Come tale, infatti, esso ricorda loro quasi istintivamente il cherubino, che, armato di una spada fiammeggiante, discacciò dal Paradiso terrestre la prima coppia umana (Gn III, 24). – Eppure, sebbene tale timore non sia senza un’apparenza di ragione, più forti sono i motivi di fiducia e di speranza. Giacché, all’ora stessa di quella tragedia iniziale dell’umanità, mentre i nostri progenitori si allontanavano nella fosca e gelida nebbia dell’anatema, una nube leggera, simile a quella che doveva un giorno vedere il profeta Elia (3 Re XVIII, 44), appariva già all’orizzonte, annunciatrice della rugiada benefica dei grandi perdoni: Michele con la milizia degli angeli fedeli, intravedeva la meraviglia dell’Incarnazione divina e della Redenzione del genere umano. Lungi dall’invidiare a questo, come l’orgoglioso Lucifero, l’onore dell’unione ipostatica, e obbedendo, secondo il suo nome e la sua divisa: “Quis ut Deus?”, al Signore che non ha uguali, egli adorò con tutti gli angeli buoni il Verbo incarnato (Eb 1, 6). – Così non ha cessato di amare gli uomini, per i quali prova una pietà quasi fraterna, e quanto più Satana si sforza di farli cadere nella geenna, tanto più l’Arcangelo lavora per ricondurli nel Paradiso perduto. Introdurre le anime presso Dio nella gloria eterna è un compito che la liturgia e la tradizione attribuiscono a San Michele. “Ecco – dice l’Officio divino nella festa di oggi – l’Arcangelo Michele, principe della milizia angelica, di cui il culto è sorgente di benefici per i popoli e la preghiera conduce al regno dei cieli… L’Arcangelo Michele viene con una moltitudine di angeli; a lui Iddio ha affidato le anime dei Santi, affinché le conduca al gaudio del Paradiso” (Brev. Rom. L.c.). E nell’Offertorio della Messa per i defunti la Chiesa così prega il Signore: “Che queste anime non cadano nell’oscuro, ma il vessillifero San Michele le conduca nella luce santa”. – Non crediate tuttavia che questo “Preposto del Paradiso”, che Dio ha costituito principe su tutte le anime da salvare, “constitui te principem super omnes animas suscipiendas” (“Ti ho costituito principe su tutte le anime in attesa di salvezza”) (Brev. Rom. L.c.), attende l’ora del supremo passaggio per manifestare agli uomini la sua bontà. Quanto caro dunque, o diletti sposi, vi deve essere il suo patrocinio per aiutarvi ad accogliere in questo mondo le anime, alle quali voi preparerete, nella obbedienza alle leggi del Creatore, una dimora corporea! Dopo di che San Michele vi sosterrà ancora nella vostra missione, prendendo cura di voi e dei vostri figli. – Giacché è una devozione molto antica (cfr. Acta Sanctorum, mens. September, t. VIII pag. 49 ss. 65-88) d’invocare il grande Arcangelo come protettore della salute e patrono dei malati. Voi tutti, venendo qui, avete potuto vedere la mole Adriana e salutare alla sua sommità la statua di bronzo, donde quel celebre mausoleo prende il nome di Castel Sant’Angelo. Quella immagine sembra di lassù vegliare sulla vita e sulla salute dei Romani e rammentare loro come, or sono mille trecento cinquanta anni, vale a dire nel 590, mentre la peste desolava la Città, il Papa San Gregorio Magno, movendo in processione con il clero e il popolo per impetrare la cessazione del flagello, vide, secondo la tradizione, apparire sul monumento l’Arcangelo San Michele rinfoderante la spada, in segno del termine del castigo divino (cfr. Acta Sanctorum, l.c. pag. 72). Voi dunque, o diletti figli e figlie, che intravedete già colle gioie anche i doveri e le sollecitudini della famiglia, domandate a San Michele che allontani dai vostri focolari le ansietà che la salute precaria dei fanciulli o la minaccia di epidemie, o le crisi stesse dello sviluppo cagionano al cuore dei genitori. – L’ombra benefica del Castel Sant’Angelo si estende del resto ben al di là dei confini dell’Urbe. San Michele, potente a soccorrere il mondo intero, sembra tuttavia accordare una protezione speciale ai figli della nostra cara Italia, come ricorda precisamente l’odierna festività. Infatti, circa cento anni prima della peste di Roma, una apparizione miracolosa sulla vetta del monte Gargano (cfr. Acta Sanctorum, l.c. pag. 54 ss.), la cui narrazione è inserita nel Breviario Romano, fece comprendere come l’Arcangelo Michele prende quel luogo sotto la sua tutela, e con tal fatto voleva al tempo stesso manifestare che si rendesse ivi un culto a Dio in memoria di lui e degli Angeli. – Ma la Chiesa invoca l’Arcangelo soprattutto come protettore della salute delle anime, ben più preziosa che quella del corpo e sempre minacciata dal contagio del male. Senza dubbio la Chiesa è sicura che le potenze infernali non prevarranno contro di lei (Mt XVI, 18); ma pure che, specialmente per la conservazione della vita cristiana nelle singole persone e nei singoli paesi, deve implorare il soccorso divino e che Dio ha per suoi ministri gli angeli (Os 103, 4). Perciò tutte le mattine, alla fine della Santa Messa, il sacerdote prega insieme coi fedeli: “San Michele Arcangelo, difendici nel combattimento; respingi nell’inferno Satana e gli altri spiriti maligni che vanno errando nel mondo per la perdita delle anime!”. Raramente un simile ricorso è apparso più urgente di ora. – Il mondo, intossicato dalla menzogna e dalla slealtà, ferito dagli eccessi della violenza, ha perduto la sanità morale e la gioia, perdendo la pace. Se la terra dopo il peccato originale non può più essere un paradiso, potrebbe almeno e dovrebbe rimanere un soggiorno di fraterna concordia fra gli uomini e fra i popoli. Invece l’incendio della guerra divampa in varie nazioni e minaccia di invaderne altre. Il nostro cuore si commuove specialmente per voi, diletti figli e figlie, e per tanti altri novelli sposi di ogni paese, che in questa tragica primavera uniscono i loro destini.
Come vedere senza un fremito di orrore profilarsi, sia pur da lontano, – su questi giovani focolari, ove sorride la speranza, – lo spettro terribile della guerra? Ma se le forze umane non sembrano attualmente efficaci per il pronto ristabilimento di una pace giusta, leale e durevole, è sempre possibile agli uomini di sollecitare l’intervento di Dio. Tra gli uomini e Dio, il Signore ha posto quale mediatrice la sua dolcissima Madre Maria. Degnasi questa “Madre amabile”, questa “Vergine potente”, questa “Ausiliatrice dei cristiani”, che con maggior fervore e ansiosamente la invocano nel presente mese di maggio – ed oggi più specialmente sotto il titolo di Regina del Santissimo Rosario di Pompei,- unire di nuovo, sotto il manto della sua tenerezza, nella pace del suo sorriso, i suoi figli così crudelmente divisi! Degnasi, come la Chiesa canta pure oggi, nella sacra Liturgia, “l’Angelo della pace, Michele, scendere dal cielo nelle nostre dimore, e, messaggero di pace, relegare nell’inferno le guerre, cagioni di tante lacrime!” (Brev. Rom. L.c.).

I MAGGIO: FESTA DI S. GIUSEPPE LAVORATORE

Dagli Atti del papa Pio XII

La Chiesa, madre provvidentissima di tutti, consacra massima cura nel difendere e promuovere la classe operaia, istituendo associazioni di lavoratori e sostenendole con il suo favore. Negli anni passati, inoltre, il sommo pontefice Pio XII volle che esse venissero poste sotto il validissimo patrocinio di san Giuseppe. San Giuseppe infatti, essendo padre putativo di Cristo – il quale fu pure lavoratore, anzi si tenne onorato di venir chiamato « figlio del falegname » – per i molteplici vincoli d’affetto mediante i quali era unito a Gesù, poté attingere abbondantemente quello spirito, in forza del quale il lavoro viene nobilitato ed elevato. Tutte le associazioni di lavoratori, ad imitazione di lui, devono sforzarsi perché Cristo sia sempre presente in esse, in ogni loro membro, in ogni loro famiglia, in ogni raggruppamento di operai. Precipuo fine, infatti, di queste associazioni è quello di conservare e alimentare la vita cristiana nei loro membri e di propagare più largamente il regno di Dio, soprattutto fra i componenti dello stesso ambiente di lavoro. – Lo stesso Pontefice ebbe una nuova occasione di mostrare la sollecitudine della Chiesa verso gli operai: gli fu offerta dal raduno degli operai il 1° maggio 1955, organizzato a Roma. Parlando alla folla radunata in piazza san Pietro, incoraggiò quell’associazione operaia che in questo tempo si assume il compito di difendere i lavoratori, attraverso un’adeguata formazione cristiana, dal contagio di alcune dottrine errate, che trattano argomenti sociali ed economici. Essa si impegna pure di far conoscere agli operai l’ordine prescritto da Dio, esposto ed interpretato dalla Chiesa, che riguarda i diritti e i doveri del lavoratore, affinché collaborino attivamente al bene dell’impresa, della quale devono avere la partecipazione. Prima Cristo e poi la Chiesa diffusero nel mondo quei principi operativi che servono per sempre a risolvere la questione operaia. – Pio XII, per rendere più incisivi la dignità del lavoro umano e i princìpi che la sostengono, istituì la festa di san Giuseppe artigiano, affinché fosse di esempio e di protezione a tutto il mondo del lavoro. Dal suo esempio i lavoratori devono apprendere in che modo e con quale spirito devono esercitare il loro mestiere. E così obbediranno al più antico comando di Dio, quello che ordina di sottomettere la terra, riuscendo così a ricavarne il benessere economico e i meriti per la vita eterna. Inoltre, l’oculato capofamiglia di Nazareth non mancherà nemmeno di proteggere i suoi compagni di lavoro e di rendere felici le loro famiglie. Il Papa volutamente istituì questa solennità il 1° maggio, perché questo è un giorno dedicato ai lavoratori. E si spera che un tale giorno, dedicato a san Giuseppe artigiano, da ora in poi non fomenti odio e lotte, ma, ripresentandosi ogni anno, sproni tutti ad attuare quei provvedimenti che ancora mancano alla prosperità dei cittadini; anzi, stimoli anche i governi ad amministrare ciò che è richiesto dalle giuste esigenze della vita civile. (Div. Off.)

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(A. Carmagnola: S. Giuseppe – Ragionamenti; tip. e libr. Sales. Torino, 1896)

RAGIONAMENTO XVI.

S. Giuseppe e la fiducia nella divina Provvidenza.

Se vi ha una verità che sia molto inculcata nelle sacre scritture è certamente quella che ci dice esistere la Divina Provvidenza. Nel libro dell’Ecclesiaste (V. 5) si legge: « Guardati bene dal dire dinnanzi al tuo Angelo: non vi è Provvidenza, affinché non accada che Iddio sdegnato del tuo parlare distrugga tutte le opere delle tue mani ». Nel libro della Sapienza (VI. 8) sta scritto: « Signore, tu hai fatto il piccolo ed il grande ed hai egual cura di tutti » . Salomone nel libro dei Proverbi (XVI. 23) asserisce che tutte le cose, anche quelle che si chiamano fortuite, dipendono da Dio e sono regolate dalla sua Provvidenza: « Si gettano le sorti nell’urna; ma il Signore è quegli che ne dispone » . E in cento altri passi è ripetuta questa grande verità, la quale d’altronde ci è predicata dalla stessa ragione: poiché se Iddio ha creato il mondo e gli uomini che in esso vi sono, è certo altresì che non ha abbandonato il mondo e gli uomini a sè, ma di tutto piglia amorevole cura. Eppure è questa una delle verità viemaggiormente contestata e questo grido blasfemo è quello che si va maggiormente ripetendo dagli uomini: Non vi è Provvidenza: Non est provvidentiaE qui lasciando da parte che molti mettono fuori questo grido considerando il disordine apparente che regna nel mondo per una apparente prosperità dei malvagi ed oppressione dei buoni; che molti altri lo metton fuori nell’apparente disordine che talora vi ha nelle stagioni, nei grandi avvenimenti e simili, io parlo solamente di coloro i quali sol perché non sono da Dio assecondati in tutti i loro desideri, sol perché son lasciati da Dio nello stato di infermità, sol perché Iddio non li toglie da quella condizione povera in cui si trovano e talvolta per i suoi giustissimi fini oltre al non prosperarli li lascia anche qualche poco soffrire, si levano su e più sdegnosamente di tutti gridano: No, la provvidenza non c’è: Non est provvidentia! Non c’è la provvidenza? Ebbene ci faccia vedere questa sera S. Giuseppe, quanto sia ingiusto questo grido: sì, ci faccia egli toccare conmano che la Provvidenza esiste e che la esperimentano tutti coloro che fiduciosamente, come ha fatto egli, si abbandonano in lei.

PRIMA PARTE.

La Divina Provvidenza nel grande avvenimento della fuga e della dimora in Egitto della Sacra Famiglia risplende anzitutto per la cura che si prese della medesima durante il suo viaggio. In quella medesima notte in cui S. Giuseppe ricevette dall’Angelo l’ordine di fuggire, egli colla sua Sposa e col Bambino uscì di Betlemme e die’ principio al lungo e gravosissimo viaggio. La stagione era fredda, e per maggior precauzione nel traversare la Palestina bisognava prendere le strade più abbandonate, epperò anche più incommode. Che affanno! Che pena per Maria! la quale ad ogni tronco che vede, ad ogni sterpo che tocca, ad ogni muoversi dei palmizi agitati dal vento si pensa d’essere sopraggiunta da qualche soldato di Erode. E che martirio al cuor di Giuseppe! Egli era il custode di Gesù e di Maria, il mallevadore della loro vita. Era proprio a lui, che l’Angelo aveva detto : Prendi il Bambino e la sua madre e fuggi nell’Egitto; epperò era proprio su di lui che pesava tutta la responsabilità di un tanto e sì difficile incarico. E questo  suo martirio era accresciuto ognor più dai disagi del cammino e delle sofferenze alle quali doveva andar soggetto colla sua sposa. Quanti giorni avran dovuto camminare tra vortici di sabbia, senza poter trovare una sorgente di acqua per bagnare le loro labbra! Quante volte avranno dovuto aprirsi il cammino in mezzo a cespugli intricati: quante volte trovarsi sull’orlo di scogli dirupati con grave pericolo della vita! Quante notti poi avranno dovuto posare le loro stanchissime membra sul nudo terreno! Con tutto ciò S. Giuseppe memore dell’avvertimento del reale salmìsta: Iacta super Dominum curam tuam: Getta nel seno del Signore la tua ansietà (Salm. LIV, 22), si abbandonava interamente alla Divina Provvidenza, in lei metteva ogni sua fiducia, persuaso e certo che la Divina Provvidenza durante tutto quel lungo e difficile cammino non avrebbe mai lasciato di proteggerli e specialmente Maria SS. e il Bambinello Gesù. E colui il quale riposa del tutto sulla divina Provvidenza, vive certamente all’ombra della sua protezione: Qui habitat in adiutorio Altissimi, in protectione Dei cœli commorabitur(Salm. XC. 1). Il Signore agli Ebrei che camminavano nel deserto alla conquista della terra promessa mandò una nube che di giorno li riparava dagli ardori del sole e di notte fattasi tutta luminosa li rischiarava nel viaggio; al santo Profeta Elia, che fuggiva l’ira di Gezabele, mandò un Angelo; a confortarlo nel deserto e a dargli pane ed acqua che lo resero atto a camminare per quaranta dì e quaranta notti fino al monte santo dì Dìo, Oreb; al giovane Tobia mandò un arcangelo per compagno nel viaggio di Eages, ed ai Santi Magi una stella miracolosa, perché li guidasse a Betlemme; infine il Signore medesimo promise di guidare ne’ suoi passi il giusto, che in Lui si affida, per mezzo degli Angeli e pigliarsi cura del suo viaggio, perché nulla gli accada di sinistro: Angelis suis mandavit de te, ut custodiant te in omnibus viis tuis; in manibus portabunt te, ne forte offendas ad lapidem pedem tuum(Salm. XC). Or è egli possibile che il Signore anche in questoviaggio della Sacra Famiglia non abbia fatto meravigliosamente risplendere la sua divina Provvidenza? Oh sì, senza alcun dubbio. Epperò possiamo ben ritenere quel che pensano molti Santi, che cioè durante quel viaggio gli Angeli si fecero guide visibili della Sacra Famiglia e loro difesa in mezzo ad ogni pericolo. E la vista degli Angeli doveva certamente per S. Giuseppe tornare di grandissimo conforto; benché alla fin fine il massimo conforto gli proveniva dall’avere insieme con sé quel Gesù, il quale sebben Bambino e sofferente nella sua umanità era tuttavia il Dio forte e potente. Molte sono le meraviglie che pii scrittori raccontano essere avvenute durante quel viaggio, ma lasciandole tutte da parte, perché non abbastanza provate, mi contento di accennarne una nella quale, oltre alla maggior certezza che di essa si ha per essere ammessa dagli scrittori più dotti, risplende altresì in modo particolare la divina Provvidenza. Entrando adunque la Sacra Famiglia in una folta selva, d’un tratto una frotta di uomini armati si presentò ad intercettare loro il cammino. Era una banda di ladroni, i quali solevano assalire i viandanti, e la cui fama spaventevole si estendeva molto lontano. Pensate, come a quell’incontro gelasse il sangue a Maria ed a Giuseppe. Ogni resistenza era inutile: non restava altro che sollevare gli occhi al cielo e confidare nella divina Provvidenza. Ma ecco che il capo di quei ladroni, fattosi innanzi per vedere con chi aveva a trattare, alla vista di Giuseppe sì semplice, senz’armi, dimessamente vestito in compagnia di una giovine sposa dalla quale traspariva una bellezza di paradiso, con un Bambinello che non gli pareva del mondo, si sentì commosso nel fondo del cuore; e preso di riverenza per quella famiglia che riconosceva al tutto sovrumana, ben lungi dal far loro alcun male, stese la mano a Giuseppe, ed a lui ed alla sua sposa offerse ospitalità e riposo nella sua medesima tenda. Quindi provvedutili di cibo e bevanda, nel rilasciarli volle egli stesso accompagnarli e guidarli per buon tratto di cammino. Or bene quel capo dei ladroni si chiamava Disma; e la tradizione ci dice, che trent’anni dopo fu preso dai soldati e condannato ad essere crocifisso. Fu messo in croce sul Calvario al fianco di Gesù; ed ivi veggendo le meraviglie che avvenivano durante l’agonia del Redentore, pentito sinceramente de’ suoi enormi peccati, confessò Gesù Cristo per vero Dio, lo pregò di volersi ricordare di lui, e Gesù perdonandolo gli disse: Oggi sarai meco in Paradiso. Oh quanto è ammirabile la divina Provvidenza! E quanto grande ricompensa diede il Signore ad un ladrone per un piccolo atto di carità usato verso di Gesù, di Maria e di Giuseppe. – Ma è tempo che ci rechiamo col pensiero in Egitto, dove dobbiamo immaginare essere arrivati al fine i nostri santi viaggiatori. Io non istò a questionare intorno al luogo dove si fermò ad abitare la Sacra Famiglia: dirò solo che la più probabile opinione si è che siasi fermata in un villaggio per nome Matarie presso di una città assai importante per nome Eliopoli: di fatti a Matarie si mostrano ancora presentemente ai pellegrini cristiani molte memorie della dimora che vi fecero Gesù, Maria e Giuseppe. Ma lasciando, dico, ogni cosa a tale riguardo, vengo senz’altro a parlare del modo cori cui anche qui risplendette la divina Provvidenza per la Sacra Famiglia. Certamente da principio per S. Giuseppe e per Maria la vita là dovette essere dura. Essi si trovavano là senza aver conoscenza alcuna, tra gente per nulla ospitale, che parlava una lingua diversa dalla loro, senza sapere a chi rivolgersi per aiuto. Inoltre il disagio della povertà doveva loro farsi sentire ogni giorno più, poiché se è vero che dai Santi Magi avevano ricevuto dell’oro, a quel tempo e nei bisogni della vita e nel fare altrui carità l’avevano già tutto impiegato. Ma che perciò? – Un giorno il Divin Redentore predicando alle turbe in quel celebre discorso, che fu detto della montagna, diceva loro: « Non prendetevi affanno su di quello onde alimentare la vostra vita, né di quello onde vestire il vostro corpo. Gettate lo sguardo sopra degli uccelli dell’aria, i quali non seminano e non mietono, né empiono granai; e il vostro Padre celeste li pasce. Non siete voi assai più di essi? E perché vi prendete pena pel vestito? Considerate come crescono i gigli nel campo: essi non lavorano e non filano. Eppure Io vi dico, che neppur Salomone con tutta la sua splendidezza fu mai vestito come uno di questi. Se adunque in tal modo Iddio riveste un’erba del campo, che oggi è e domani è gettata nel forno, non vestirà molto più voi, o uomini di poca fede? Non vogliate adunque andarvi dicendo: Che cosa mangeremo e che cosa berremo? con che cosa ci vestiremo? Che tutte queste cose, di cui avete bisogno, sa benissimo il vostro Padre. Cercate adunque in primo luogo il regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date per giunta ». (Matt. VI). Or bene, quantunque S. Giuseppe non avesse ancora intesi questi grandi insegnamenti dal labbro benedetto di Gesù, per la sua santità li aveva tuttavia già tutti scolpiti nel fondo del cuore e li metteva perfettamente in pratica. Epperò sebbene nei primi giorni della sua dimora in Egitto si trovasse in grandi angustie, non tanto per sé, quanto per la sua sposa e per Gesù, confidato in Dio che non l’avrebbe costretto a limosinare il pane, cominciò a recarsi di porta in porta a cercare lavoro, e sebbene gli toccassero molti rifiuti e fors’anche umilianti disprezzi, riuscito tuttavia a trovarne qualche poco, riprese i suoi fabbrili strumenti ed animosamente si diede alla fatica. E Maria a sua volta, valente siccome era nei lavori dell’ago e del ricamo, ancor ella ne fece ricerca ed avendone trovato, mentre non desisteva dalle cure necessarie al Bambinello Gesù, lavorava assiduamente ancor essa, occupando talvolta persino qualche parte della notte. E così con quei lavori, che certamente per la maestria singolare con cui erano fatti sia da Giuseppe, che da Maria, venivano ogni giorno più accrescendosi, ricavavano degli onesti guadagni, sufficienti a provvedersi quanto loro occorreva e pel vitto e pel vestito, e per tal modo toccavano con mano che la divina Provvidenza non lascia mai in abbandono chi in essa si confida. Che bell’esempio e che grande ammaestramento è questo per noi! Per noi, che tanto facilmente ci lamentiamo della divina Provvidenza da arrivare talvolta sino al punto di pensare che il Signore non si ricordi di noi! Ah miei cari, che insensatezza è mai la nostra in queste parole! Iddio è padre, amorosissimo padre. E come possiamo noi credere che Egli non pensi ad aiutarci nei nostri bisogni, a soccorrerci nelle nostre necessità? Un padre che ami davvero i suoi figli che cosa non è disposto a fare per non lasciar loro mancare il necessario? Si racconta che un padre, non avendo più nulla da dare ai suoi tigli, che pativano lafame, si aperse con una lama ilpetto e poi invitò i suoi figli a cibarsi del sangue che ne spicciava fuori. Ciò è per nulla incredibile quando si rifletta attentamente la forza che ha l’amore per i suoi figli nel cuore di un padre. Ora se un padre terreno farebbe tanto per i figli suoi, Iddio, Padre nostro celeste, il quale è onnipotente, tralascerà Egli di disporre le cose in modo che non abbiamo mai a mancare di ciò che strettamente ci abbisogna? Che se la sacra Scrittura attribuisce occhi a questo Dio di bontà egli è per significare che vigila del continuo sopra di noi; se gli attribuisce orecchi è per significare che ascolta sempre i nostri gemiti e le nostre preghiere, e se gli attribuisce mani è per significare che le distende misericordiosamente verso di noi per sollevarci dalle nostre miserie, dalle nostre infermità, dai bisogni nostri. No, no, Iddio non ci dimentica: « Vi porterò nelle mie braccia, dice Egli per mezzo di Isaia; vi stringerò al mio seno, vi accarezzerò sulle mie ginocchia, come una madre accarezza il suo figlio. può ella dimenticare il suo Bambino? No certamente. Ma pure se una madre arrivasse io non mi dimenticherò mai di voi ». – Oh, se fossimo ben convinti di queste verità, quanto saremmo più tranquilli e più felici. Persuasi che Dio ci ama, si ricorda di noi, pensaal nostro bene, noi riconosceremmo in ogni caso della nostra vita la sua mano benedetta; anche in mezzo alle tribolazioni crederemmo con viva fede che Iddio dispone tutto per il vero nostro bene, e che quando Egli lo creda perciò opportuno ha mille mezzi per trarcene fuori. Epperò che calma! che placidezza di spirito sarebbe mai sempre la nostra! L’anima che, ad esempio di S. Giuseppe si affida interamente nella divina Provvidenza, al pari di Lui riposa e s’addormenta soavemente tra le sue braccia, come un bambino nelle braccia di sua madre; ella prende per divisa le parole di Davide: In pace in idipsum dormiam et requiescam(Salm. IV, 9). Io riposo tranquillamente in pace, perché tutta la mia speranza è riposta nella divina provvidenza. Il Signore mi conduce e perciò niente mi mancherà (Sal. XXII); guidato dalla sua mano ed all’ombra della sua protezione io trionferò di tutti i miei nemici e non avrò timore di alcun male. La misericordia del Signore mi accompagnerà in tutti i giorni della mia vita, affinché io abiti nella casa di Lui per tutta l’eternità. Oh! facciamo di imitare San Giuseppe nella confidenza i n Dio e riconosceremo a tutta prova che anche per noi risplende la divina Provvidenza.

SECONDA PARTE

Sì, esiste la Divina Provvidenza, ma è certo che alle volte lascia di manifestarsi, massime con quelli che ne sono indegni e non si fanno ad implorarne l’aiuto. Se si vuole poter sentire la Divina Provvidenza, bisogna anzi tutto a somiglianza di S. Giuseppe rendersene degni colla santità della vita. – Vi sono taluni i quali vivono malamente, commettono sempre gravi peccati, non vanno quasi mai in chiesa, non aprono mai la bocca per dire un po’ di preghiera, se nominano il santo Nome di Dio e di Gesù Cristo non è che per bestemmiarlo, insomma non si danno mai pensiero di Dio e vivono come se Iddio non fosse, e poi quando Iddio fa loro sentire che c’è, mandando ai medesimi qualche privazione o disgrazia, allora vengono fuori a gridare: E come ci può essere la Provvidenza, se noi siamo così sventurati? Oh deliranti! E costoro che non pensano punto a Dio pretendono poi così superbamente che Iddio si prenda la più amorosa cura di loro e li preservi da ogni male? Ei conoscano anzi tutto la loro mala vita, se ne pentano sinceramente, ne chiamino a Dio perdono, si mettano con impegno a ripararla, ed allora potranno non dico pretendere, ma sperare che il Signore li tratti con maggior bontà. Ma fino a tanto che essi rimangono nella loro mala vita, lamentandosi della Divina Provvidenza, non fanno altro che aggiungere peccato a peccato e rendersi sempre più indegni degli aiuti del Signore. Ma oltreché allo studiare di rendersi degni della Divina Provvidenza, conviene altresì implorarla incessantemente da Dio, e specialmente in quelle circostanze della vita in cui se ne ha maggior bisogno. Egli è certo che S. Giuseppe in tutte le diverse necessità in cui venne a trovarsi non tralasciò mai di levare gli occhi al Cielo per pregarlo a mandargli il suo aiuto. E così dobbiamo far noi, pregare e pregare con fervore. Venire soprattutto come Giuseppe in compagnia di Gesù, di Maria, qui davanti ai loro altari e disfogar loro tutto il nostro cuore, manifestar loro tutti i nostri bisogni, fare lo stesso con San Giuseppe, ed allora quel Dio il quale ha detto: domandate e riceverete: cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto, potrà essere che non esaudisca le nostre preghiere e non ci tolga dall’infermità, dalla miseria, dalla privazione in cui ci troviamo? « Oh! chi chiede, riceve, chi cerca, trova, e a chi picchia, sarà aperto. Quando un figliuolo domanda al padre del pane, il padre gli darà forse un sasso? E se un pesce, gli darà forse invece del pesce una serpe? E se chiederà un uovo, gli darà uno scorpione? Se adunque voi, che siete cattivi, diceva Gesù Cristo stesso, sapete del bene dato a voi far parte ai vostri figliuoli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo spirito buono a coloro che glielo domandano (Luc. XI, 9 – 13) ». – Che se ad ogni modo, non ostante le nostre preghiere, il Signore sembrasse fare il sordo, e non farci sentire la sua Divina provvidenza in quel modo che piacerebbe a noi, ravviviamo la nostra fede e riconosciamo che in ciò appunto, nel lasciarci inesauditi, usa il Signore verso di noi la sua provvidenza, essendoché il non esaudirci nei nostri desideri sarà cosa sommamente utile alla salvezza dell’anima nostra. Ed allora più che mai richiamiamo alla mente la sentenza del Vangelo: Cercate innanzi tutto il regno di Dio e la sua giustizia, ed il resto vi sarà dato per giunta: quærite primum regnum Dei et iustitiam eius, et hæc omnia adiicientur vobis(Matt. IV, 33).

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