3 MAGGIO 2017

Questo per la Chiesa Cattolica è un giorno di importanza straordinaria. 1) È il giorno della Invenzione della Santa Croce. 2) Si commemora sant’Alessandro I martire e Papa. 3) Si festeggia l’anniversario della elezione del Sommo Pontefice GREGORIO XVIII [3 maggio 1991]. Questi tre avvenimenti sembrano essere stati combinati appositamente: la Festa dell’Invenzione ci ricorda che solo la Croce è simbolo di salvezza, simbolo non solo iconografico, ma segno al quale si deve uniformare la vita del Cristiano, vita di Passione per giungere alla finale Resurrezione. Un esempio lampante ce ne viene fornito dalla vita e dalla morte del Santo martire e Papa Alessandro I. il terzo avvenimento ci rende lieti oltremodo, perché è stata la data nella quale la Chiesa Cattolica in eclissi ha continuato il suo corso Apostolico, con l’elezione del nuovo Pontefice attualmente regnante, come Gesù aveva solennemente promesso ai suoi: “Io sarò con voi tutti i giorni, fino alla fine dei tempi”, sfilandosi da una mortale apparente crisi, voluta, attuata e determinata con accanimento caparbio dai soliti “nemici di Dio e di tutti gli uomini”, infiltrati come modernisti novatori sulla piattaforma preparata dai marrano-apostati dalla “quinta colonna” e dalle conventicole mondialiste. A queste già importanti ricorrenze si è aggiunta oggi pure la Festa del Patrocinio di San Giuseppe, proclamato da PIO IX protettore della Chiesa Cattolica, il mercoledì della settimana seguente la II Domenica dopo Pasqua! Felici i cattolici che possono godere di queste Feste incredibilmente importanti ed oggi confluite in questo unico giorno di grazia!

Patrocinio di San Giuseppe

San Bernardino da Siena: Sermone su S. Giuseppe

È regola generale di tutte le grazie singolari concesse a qualche creatura ragionevole, che, ogni volta che la bontà divina sceglie qualcuno per onorarlo d’una grazia singolare o elevarlo ad uno stato sublime, gli doni tutti i carismi, che alla persona così eletta e al suo ufficio sono necessari, e l’adorni largamente di questi doni. Il che s’è verificato soprattutto in san Giuseppe, padre putativo di nostro Signore Gesù Cristo, e vero sposo della Regina del mondo e della Sovrana degli Angeli; il quale fu scelto dall’eterno Padre a fedele nutrizio e custode dei suoi principali tesori, cioè del suo Figlio e della sua Sposa: ufficio ch’egli adempì fedelissimamente. Al quale perciò il Signore disse: « Servo buono e fedele, entra nel gaudio del tuo Signore» Matth. XXV,21. – Se lo consideri rispetto a tutta la Chiesa di Cristo, non è egli forse l’uomo eletto e singolare, sotto del quale Cristo fu posto nel suo ingresso nel mondo e per mezzo del quale fu salvaguardato l’ordine e l’onore della sua nascita? Se pertanto tutta la Chiesa è debitrice alla Vergine Madre, perché per Lei fu fatta degna di ricevere il Cristo; così dopo di Lei deve a Lui senza dubbio una riconoscenza e venerazione singolare. Egli è come la chiave dell’antico Testamento, in cui il merito dei patriarchi e dei profeti consegue il frutto promesso. Egli solo infatti possiede realmente quanto la bontà divina aveva a quelli promesso. Giustamente dunque Egli è figurato nel patriarca Giuseppe, che conservò il frumento ai popoli. Però Egli lo sorpassa, perché non solo ha fornito il pane della vita materiale agli Egiziani, ma, nutrendo (Gesù) con somma cura, ha procurato a tutti gli eletti il Pane del cielo, che dà la vita celeste. – Certamente non è a dubitare, che Cristo non abbia conservata in cielo, anzi non abbia compita e resa perfetta quella famigliarità, rispetto e sublimissima dignità, che, come un figlio a suo padre, gli accordò durante la vita terrestre. Onde non senza razione nella parola citata il Signore aggiunge: «Entra nel gaudio del tuo Signore» Matth. XXV,21. E benché il gaudio dell’eterna beatitudine entri nel cuore dell’uomo, tuttavia il Signore amò dirgli; «Entra nel gaudio»; per insinuare misticamente che questo gaudio non è solamente dentro di lui, ma che lo circonda d’ogni parte e lo assorbe e lo sommerge come un abisso senza fondo. Ricordati pertanto di noi, o beato Giuseppe, e coll’aiuto della tua preghiera intercedi presso il tuo Figlio putativo; e rendici altresì propizia la beatissima Vergine tua sposa, la Madre di colui che col Padre e collo Spirito Santo vive e regna per tutti i secoli dei secoli. Così sia.

INVENZIONE S. CROCE

[da “I Santi per ogni giorno dell’anno”- Alba, 1933. Imprim.]

Dopo l’orrendo deicidio compiutosi sul Calvario, la Croce imporporata dal sangue del Salvatore era stata trafugata dagli infedeli e da questi nascosta sotto un cumulo di rovine, erigendo poi su di essa un tempio a Venere. I Cristiani afflitti per tanta perdita aspettavano dal Cielo, quale grazia segnalata, il giorno in cui, vinto il nemico si potesse ritrovare la preziosa reliquia per esporla alla venerazione di tutti i fedeli. Ed il giorno fortunato venne. Iddio che aveva fatto chinare innanzi alla Croce il grande Costantino, aveva pure attratto al suo amore la madre S. Elena, la quale sentendosi ispirata a visitare i luoghi santi e ricercare la croce si consigliò con suo figlio. – Costantino, felice della deliberazione della madre, pose a sua disposizione tutto l’occorrente per il lungo viaggio, quindi S. Elena, piena di fede e di amore a Gesù Crocifisso partì con il suo seguito alla volta di Gerusalemme. – Giuntavi e conosciuto per divina rivelazione il luogo ove giaceva il prezioso legno, fece abbattere il tempio di Venere, ordinando quindi grandi scavi. Dopo immenso lavoro, il 14 Settembre dall’anno 320 apparvero tre croci con i chiodi della passione. Ma quale delle tre sarebbe quella del Salvatore? Per esserne certi, avvicinarono ad un malato una ad una le tre croci e solamente al tocco della vera Croce, il malato gettando un grido di gioia, si levò risanato. – Non vi era più dubbio, quella era la S. Croce sulla quale Gesù Cristo aveva operata la Redenzione nostra. S. Elena alla vista della S. Reliquia cadde ginocchioni e con lei tutta l’immensa folla. – Portata quindi in trionfo a Gerusalemme, si fecero grandi feste, dopo le quali il santo legno venne consegnato al Vescovo della città che lo rinchiuse in preziosa teca d’argento, dalla quale non si leva che il Venerdì Santo. S. Elena aveva però staccato un pezzetto della Croce e unito ai chiodi e alla tabella con l’iscrizione lo inviò a Roma. Quivi da questo pezzo se ne staccarono tanti altri che vennero distribuiti alle varie chiese di tutta la cristianità. Prima però di partire da Gerusalemme la madre del grande imperatore, comandò di edificare sulle rovine del tempio di Venere un grandioso tempio cristiano a perpetua memoria del grande beneficio ricevuto. E da quel giorno benedetto l’Imperatore Costantino proibì a tutti i popoli a lui soggetti, la crocifissione dei delinquenti. – Ricordiamoci che mentre su questa terra la Croce è per noi l’unica fonte di salvezza, nel giorno del giudizio finale, quando comparirà nel cielo, sarà per noi condanna, se non avremo saputo approfittare dei torrenti di grazie che da essa scaturiscono.

VIRTÙ. — La Croce è il segno del cristiano: facciamo sempre bene il segno di croce prima e dopo di ogni azione.

PREGHIERA. — Dio che nell’Invenzione memoranda della croce salutifera, rinnovasti i miracoli di tua passione, ci concedi che per le virtù del legno,vitale conseguiamo la grazia della vita eterna. Così

San ALESSANDRO martire e PAPA

Alessandro, Romano, governò la Chiesa sotto l’imperatore Adriano, e convertì a Cristo gran parte della nobiltà Romana. Egli stabilì che nella Messa si offrisse solo pane e vino: ordinò che nel vino si mescolasse dell’acqua, a motivo del sangue e dell’acqua che sgorgarono dal costato di Gesù Cristo; e aggiunse nel Canone della Messa: «Il quale prima che patisse». Lo stesso decretò che si conservasse sempre in chiesa dell’acqua benedetta mescolata con sale, e se ne usasse nelle abitazioni per scacciare i demoni. Governò dieci anni, quindici mesi e venti giorni, illustre per santità di vita e salutari ordinazioni. Ricevé la corona del martirio insieme con Evenzio e Teodulo, preti, e fu sepolto sulla via Nomentana, a tre miglia da Roma, sul luogo stesso dove fu decapitato; dopo aver creato in diversi tempi nel mese di Dicembre sei preti, due diaconi e cinque vescovi per luoghi diversi. I loro corpi trasportati poi a Roma, furono sepolti nella chiesa di santa Sabina.

… A Roma, sulla via Nomentana, la passione dei santi Martiri Alessandro primo Papa, Evenzio e Teodolo preti. Tra essi Alessandro, sotto il Principe Adriano ed il Giudice Aureliano, dopo le catene, la prigionia, l’eculeo, le graffiature ed il fuoco, fu trafitto con punture spessissime per tutte le membra ed ucciso, … [dal Martirologio del 3 maggio – 1954, imprim.]

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San Alessandro ha vissuto un Martirio materiale, corporale; Papa Gregorio XVIII sta vivendo un Martirio nell’anima e dello spirito nell’osservare le turpitudini, i sacrilegi, le blasfemie immonde, gli abomini desolanti, le bestemmie deliranti che si attuano continuamente nei sacri edifici usurpati alla Chiesa Cattolica. Ma questo Getsemani avrà ben presto un fine e canteremo con il salmista: …

Qui habitat in cælis, irridebit eos (Ps. II)

Dominus autem irridebit eum, quoniam prospicit quod veniet dies ejus”.(Ps. XXXVI) –

“Et tu, Domine, deridebis eos; ad nihilum deduces omnes gentes.(Ps. LVIII)- Laetabitur justus cum viderit vindictam; manus suas lavabit in sanguine peccatoris.

Et dicet homo: Si utique est fructus justo, utique est Deus judicans eos in terra”. (Ps. LVII) … e l’uomo dice: “se c’è un premio per il giusto, c’è Dio che fa giustizia sulla terra!”.

 

 

 

 

I MAGGIO: S. GIUSEPPE, PATRONO DEI LAVORATORI

[P. Guéranger: l’Anno Liturgico, vol. II]

Felice novità che certamente riempie di gioia il cuore di Maria! Riguarda una festa di S. Giuseppe che ormai aprirà il suo mese, maggio. Dall’inizio dell’anno liturgico la Chiesa ci dà più volte l’occasione di meditare la vocazione e la santità straordinaria del più umile e più nascosto di tutti gli uomini. La devozione verso S. Giuseppe, fondata sullo stesso Vangelo, si è però sviluppata lentamente. Ciò non vuol dire che nei primi secoli la Chiesa abbia posto ostacolo agli onori che avrebbero voluto tributargli i fedeli; ma la Divina Provvidenza aveva le sue ragioni misteriose per ritardare l’ora in cui gli sarebbero stati offerti gli onori della Liturgia. La bontà di Dio e la fedeltà del Redentore alle sue promesse s’uniscono di secolo in secolo sempre più strettamente per conservare in questo mondo la scintilla della vita soprannaturale che deve sussistere fino all’ultimo giorno. A questo scopo misericordioso, un succedersi ininterrotto di aiuti viene, per così dire, a riscaldare ogni generazione e ad apportare un nuovo motivo di confidenza nella Redenzione. A partire dal secolo XIII, in cui il raffreddamento spirituale del mondo comincia a farsi sentire [Collette nella Messa delle Stimmate di S. Francesco], ogni epoca ha visto scaturire una nuova sorgente di grazie. – Si iniziò con la festa del Santissimo Sacramento che suscitò una grande devozione al Cristo presente nell’Eucarestia; poi venne la devozione al santo nome di Gesù di cui S. Bernardino fu il principale apostolo; nel secolo XVII si diffuse il culto al Sacro Cuore; nel XIX e ai nostri giorni la devozione alla Santa Vergine ha assunto un’importanza in continuo aumento e che costituisce uno dei caratteri soprannaturali del nostro tempo. – Ma la devozione a Maria non poteva svilupparsi senza trarre seco il culto di S. Giuseppe. Maria e Giuseppe hanno effettivamente ambedue una parte troppo intima nel mistero dell’Incarnazione, l’una come Madre di Dio, l’altro come custode dell’onore della Vergine e Padre nutrizio del Bambino-Dio, perché si possano separare l’una dall’altro. Una venerazione particolare a S. Giuseppe è dunque stata la normale conseguenza della pietà verso la Santissima Vergine. – E come, per rispondere alla devozione del popolo cristiano, Pio IX, il Papa che doveva proclamare il dogma dell’Immacolata Concezione, aveva esteso alla Chiesa universale il Patrocinio di S. Giuseppe ora unito alla festa del 19 marzo, così, a sua volta, il Papa che proclamò nel 1950 il dogma dell’Assunzione corporale di Maria al cielo, conscio dei bisogni del nostro tempo, ha voluto anche lui onorare S. Giuseppe in un modo tutto particolare.

Nazareth.

Vien dunque a proposito ricercare nel Vangelo le manifestazioni di questa umiltà. La stessa città ove visse la santa Famiglia sembra aver avuto la proverbiale riputazione di mediocrità: « Può forse uscir qualcosa di buono da Nazareth? » diceva Natanaele (Gv. 1, 46). Eppure, « non è nella città reale di Gerusalemme e neppure nel tempio che le dava splendore, che viene mandato il santo angelo; ma… in una piccola città dal nome quasi sconosciuto; ma alla sposa di un uomo che, veramente, era come Lei di famiglia reale, ma ridotto ad un mestiere pesante, moglie di un artigiano ignoto, di un povero falegname » [Bossuet, XII Elevazione sui misteri.]. In questo villaggio « un’umile casa, ma più augusta del tempio; un arredamento umile e povero; un operaio, la sua sposa vergine. Osserviamo: abbiamo tutto da imparare. Nazareth è la scuola per eccellenza. Notiamo l’ambiente e l’atmosfera in cui si compiono le opere di Dio: l’umiltà, la povertà, la solitudine, la purezza, l’obbedienza » [Dom Delatte, Vangelo, 1, 29.].

Betlemme.

La nascita di Gesù apporta forse qualche lustro alla Sacra Famiglia? Quantunque decaduta dalla sua origine reale, per ciò stesso che discende dalla stirpe di Davide e che i Magi hanno portato i loro doni al neonato fa supporre in lui un rivale che Erode tenterà di eliminare. Per sottrarlo a questo pericolo è necessario fuggire in Egitto. « Strana condizione di un povero artigiano che si vede bandito improvvisamente, e perché? Perché ha Gesù e l’ha in sua compagnia. Prima ch’Egli fosse nato alla sua santa Sposa, essi vivevano poveramente ma tranquilli nella loro casa, guadagnando alla bell’e meglio la vita col lavoro delle loro mani; ma appena viene loro dato Gesù, non hanno più riposo. Tuttavia Giuseppe si sottomette e non si lamenta di questo bambino fastidioso che porta solo la persecuzione; parte; va in Egitto dove tutto gli è nuovo, senza sapere quando potrà ritornare nella sua povera casa. Non si ha Gesù per niente: bisogna prender parte alle sue croci » [Bossuet, 20.a Sett., VIII Elev.]. – Anche qui S. Giuseppe è il modello di tutti coloro che, in questa nostra società paganeggiante, dovranno aspettarsi d’essere segnati a dito, forse d’essere anche perseguitati, privati del lavoro, per l’unica ragione che sono fedeli a Cristo. Quanti genitori dovranno assottigliare le già modeste risorse e imporsi duri sacrifici per assicurare ai loro figli un’educazione cristiana, perché il Cristo viva nelle loro anime! La riflessione del Bossuet ha tutto il suo valore: « Ovunque entra Gesù, vi entra con la sua croce… Non si ha Gesù per niente ».

Il laboratorio di Nazareth.

Tuttavia la Sacra Famiglia rientrò dall’Egitto e, per consiglio dell’Angelo, ritornò a stabilirsi a Nazareth. Il fanciullo Gesù cresceva in età e in sapienza, davanti a Dio e davanti agli uomini e il Vangelo ci dice semplicemente che era loro sottomesso. « È dunque tutta qui l’occupazione di un Gesù Cristo, del Figlio di Dio? Tutto il suo lavoro, tutto il suo esercizio sta nell’obbedire a due sue creature? E in che cosa poi? negli uffici più bassi, nell’esercizio di un mestiere manuale. Dove sono quelli che si lamentano, che brontolano quando il loro impiego non corrisponde alle loro capacità?… Vengano nella casa di Maria e Giuseppe e osservino Gesù Cristo al lavoro. Non leggeremo mai che i suoi genitori abbiano avuto dei servi: come tutta la povera gente, sono i figli che fan da servitori » [Bossuet, 14 a. Sett., III Elev.]. Ora Gesù, come tutti gli operai dapprima fu apprendista e il maestro che l’avviò all’umile professione non fu altri che Giuseppe, suo padre putativo. Quale fosse il mestiere di S. Giuseppe e, per conseguenza, quello di Gesù, il Vangelo non lo dice espressamente; però non ci lascia completamente al buio a questo riguardo. Infatti S. Marco scrive che Gesù era “faber”, e S. Matteo “fabri filius”. Senza dubbio questa parola designava ogni operaio che lavorava materia dura, legno, pietra o metallo; ma la tradizione più comune e la sola che sia rimasta sino ai nostri giorni, vuole S. Giuseppe un lavoratore del legno. Lo si dice anche carpentiere, ma questa parola non dev’essere presa nel senso preciso che le vien dato oggi: allora indicava chiunque lavorasse il legno. – Anche i Padri della Chiesa si sono compiaciuti di rilevare il valore simbolico dell’arte manuale che S. Giuseppe insegnò a Gesù, il costruttore del mondo « fabricator mundi », che è venuto per edificare la Chiesa prefigurata nell’arca di Noè, quella vasta casa natante ove trovarono rifugio quelli che dovevano sfuggire al diluvio. – Essi hanno soprattutto notato che Gesù, il quale aveva scelto il legno della croce per salvare il genere umano, durante la sua vita nascosta si era preparato all’opera della salvezza lavorando il legno. Ed è coi gesti che gli erano da tanto tempo familiari che Gesù si è caricato sulle spalle la pesante croce del suo supplizio. Insegnandogli il suo mestiere, Giuseppe dava il suo contributo all’opera redentrice di Gesù. Vi fu mai sulla terra lavoro più glorioso, più utile agli uomini, più ricco di insegnamenti, che l’umile lavoro manuale che veniva fatto nella povera falegnameria di Nazareth dal falegname Giuseppe e da Gesù, figlio di Dio, suo garzone?

Preghiera.

Umile artigiano di Nazareth, glorioso protettore degli operai, volgete il vostro sguardo verso gli operai del nostro secolo. Il loro lavoro generalmente non rassomiglia a quello che voi faceste un tempo, né le moderne officine al quieto laboratorio di Nazareth. Il rumore assordante che vi regna impedisce allo spirito di elevarsi, come vorrebbe, al di sopra della materia; ma, soprattutto, una specie di paganesimo ne ha allontanato il Cristo che, solo, vi poteva portare la sua pace, la sua giustizia, la sua carità. Per alleviare il peso, insegnateci ad amare il lavoro. Da semplice svago qual era nel paradiso terrestre, è diventato un castigo con la caduta del primo uomo. Considerato disonorevole dal mondo antico, era riservato agli schiavi. Però già da tempo il salmista ne aveva proclamato la nobiltà: « Nutriti col lavoro delle tue mani e sarai felice e colmo di beni ». Ma Cristo è venuto e vi si è sottomesso, « e ciò facendo nobilitava il lavoro degli uomini e mutava in rimedio l’antica maledizione portata contro l’uomo in punizione del peccato originale. Sottoponendosi alla legge del lavoro, insegnava agli uomini, ai peccatori, a santificarsi per questa via » [Bossuet, 20.a Sett, XII Elev.]. A vostro esempio, o Giuseppe, a loro basta ormai unire il loro lavoro a quello di Cristo per farne un’opera meritoria che riunisce Cristo e i suoi fratelli sotto lo stesso sguardo di compiacenza del Padre celeste. – Reso più facile agli uomini, il lavoro sarà anche un’offerta grata a Dio se, attenti allo spettacolo della vostra bottega di Nazareth, vi prendono l’esempio d’unione al Figlio di Dio che lavora con le sue mani, di fedeltà ai doveri del proprio stato, nella giustizia e nella Carità che farà del loro lavoro una vera preghiera e tra i loro compagni di lavoro una vera testimonianza resa a Cristo. Possiamo noi essere docili al vostro esempio, fiduciosi nel vostro patrocinio e, compiendo l’opera che ci è indicata dal Signore, ottenere le ricompense ch’Egli ci promette. Così sia.

Dagli Atti del Santo Padre Papa Pio XII

La Chiesa, madre provvidentissima di tutti, consacra massima cura nel difendere e promuovere la classe operaia, istituendo associazioni di lavoratori e sostenendole con il suo favore. Negli anni passati, inoltre, il sommo pontefice Pio XII volle che esse venissero poste sotto il validissimo patrocinio di san Giuseppe. San Giuseppe infatti, essendo padre putativo di Cristo – il quale fu pure lavoratore, anzi si tenne onorato di venir chiamato «figlio del falegname» – per i molteplici vincoli d’affetto mediante i quali era unito a Gesù, poté attingere abbondantemente quello spirito, in forza del quale il lavoro viene nobilitato ed elevato. Tutte le associazioni di lavoratori, ad imitazione di lui, devono sforzarsi perché Cristo sia sempre presente in esse, in ogni loro membro, in ogni loro famiglia, in ogni raggruppamento di operai. Precipuo fine, infatti, di queste associazioni è quello di conservare e alimentare la vita cristiana nei loro membri e di propagare più largamente il regno di Dio, soprattutto fra i componenti dello stesso ambiente di lavoro. – Lo stesso Pontefice ebbe una nuova occasione di mostrare la sollecitudine della Chiesa verso gli operai: gli fu offerta dal raduno degli operai il 1° maggio 1955, organizzato a Roma. Parlando alla folla radunata in piazza san Pietro, incoraggiò quell’associazione operaia che in questo tempo si assume il compito di difendere i lavoratori, attraverso un’adeguata formazione cristiana, dal contagio di alcune dottrine errate, che trattano argomenti sociali ed economici. Essa si impegna pure di far conoscere agli operai l’ordine prescritto da Dio, esposto ed interpretato dalla Chiesa, che riguarda i diritti e i doveri del lavoratore, affinché collaborino attivamente al bene dell’impresa, della quale devono avere la partecipazione. Prima Cristo e poi la Chiesa diffusero nel mondo quei principi operativi che servono per sempre a risolvere la questione operaia. – Pio XII, per rendere più incisivi la dignità del lavoro umano e i princìpi che la sostengono, istituì la festa di san Giuseppe artigiano, affinché fosse di esempio e di protezione a tutto il mondo del lavoro. Dal suo esempio i lavoratori devono apprendere in che modo e con quale spirito devono esercitare il loro mestiere. E così obbediranno al più antico comando di Dio, quello che ordina di sottomettere la terra, riuscendo così a ricavarne il benessere economico e i meriti per la vita eterna. Inoltre, l’oculato capofamiglia di Nazareth non mancherà nemmeno di proteggere i suoi compagni di lavoro e di rendere felici le loro famiglie. Il Papa volutamente istituì questa solennità il 1° maggio, perché questo è un giorno dedicato ai lavoratori. E si spera che un tale giorno, dedicato a san Giuseppe artigiano, da ora in poi non fomenti odio e lotte, ma, ripresentandosi ogni anno, sproni tutti ad attuare quei provvedimenti che ancora mancano alla prosperità dei cittadini; anzi, stimoli anche i governi ad amministrare ciò che è richiesto dalle giuste esigenze della vita civile. Pio XII, per rendere più incisivi la dignità del lavoro umano e i princìpi che la sostengono, istituì la festa di san Giuseppe artigiano, affinché fosse di esempio e di protezione a tutto il mondo del lavoro. Dal suo esempio i lavoratori devono apprendere in che modo e con quale spirito devono esercitare il loro mestiere. E così obbediranno al più antico comando di Dio, quello che ordina di sottomettere la terra, riuscendo così a ricavarne il benessere economico e i meriti per la vita eterna. Inoltre, l’oculato capofamiglia di Nazareth non mancherà nemmeno di proteggere i suoi compagni di lavoro e di rendere felici le loro famiglie. Il Papa volutamente istituì questa solennità il 1° maggio, perché questo è un giorno dedicato ai lavoratori. E si spera che un tale giorno, dedicato a san Giuseppe artigiano, da ora in poi non fomenti odio e lotte, ma, ripresentandosi ogni anno, sproni tutti ad attuare quei provvedimenti che ancora mancano alla prosperità dei cittadini; anzi, stimoli anche i governi ad amministrare ciò che è richiesto dalle giuste esigenze della vita civile.

Omelia di s. Alberto Magno vescovo

Sul Vangelo di Luca, cap. 4

Gesù entrò un sabato nella sinagoga, dove tutti si recano ad imparare. Tutti lo guardavano. Chi lo guardava per affetto, chi per curiosità e chi per spiarlo e coglierlo in errore. Gli scribi e i farisei dicevano alla gente che già credeva ed era affezionata a Gesù: «Ma questo tale non è il figlio di Giuseppe?». È segno di disprezzo il non voler chiamare Gesù per nome. «Figlio di Giuseppe», nota qui in breve l’evangelista, mentre Matteo e Marco scrivono addirittura, con maggiori particolari: «Non è questo il figlio del falegname? Non è lui stesso un falegname?, lui, il figlio di Maria?». In queste frasi si nota un vero disprezzo. – Si sa che Giuseppe era falegname. Viveva del suo lavoro, e non perdeva il tempo nell’ozio e nei bagordi, come facevano gli scribi ed i farisei. Anche Maria si procurava da vivere attendendo alla filatura e servendosi dell’opera delle sue mani. Il senso della frase dei farisei è chiaro: «Non può essere il Signore messia, l’inviato da Dio, questo tale che è di origine vile e plebea. Perciò non si può avere fede in un tipo così rozzo e disprezzabile». – Anche il Signore era falegname: il profeta di lui dice: «Tu hai costruito l’aurora e il sole». Un modo di disprezzare, analogo a quello usato dai farisei contro Gesù, lo troviamo anche nel libro dei Re, quando di Saul, elevato alla dignità di re, si diceva: «Che cosa mai è capitato al figlio di Cis? Che anche Saul sia un profeta?». Una breve frase avvelenata da immisurabile alterigia. Il Signore risponde: «Veramente nessun profeta è accolto dai propri familiari». Con questa frase il Signore si proclama profeta. Lui ebbe l’illuminazione profetica non attraverso una rivelazione, ma attraverso la sua stessa divinità. Per «familiari» qui vuol indicare il paese della sua nascita e della sua fanciullezza. Or dunque è chiaro che non era stato accolto dai suoi compaesani, che erano attizzati contro di lui soltanto per invidia.

Preghiera di S. Pio X a S. Giuseppe patrono dei lavoratori

Glorioso san Giuseppe, modello di tutti i lavoratori, ottenetemi la grazia di lavorare con spirito di penitenza per l’espiazione dei miei numerosi peccati: di lavorare con coscienza, mettendo il culto del dovere ai di sopra delle mie inclinazioni, di lavorare con riconoscenza e gioia, considerando come un onore di impiegare e far fruttare, mediante il lavoro, i doni ricevuti da Dio: di lavorare con ordine, pace, moderazione e pazienza, senza mai retrocedere davanti alla stanchezza e alle difficoltà: di lavorare specialmente con purezza di intenzione e distacco da me stesso, avendo sempre davanti agli occhi la morte e il conto che dovrò rendere del tempo perso, dei talenti inutilizzati, del bene omesso, del vano compiacimento nel successo, così funesto all’opera di Dio. Tutto per Gesù, tutto per Maria, tutto a Vostra imitazione, o Patriarca Giuseppe! Questo sarà il mio motto per tutta la vita e al momento della morte. Così sia.

PROFEZIA SU FLOS FLORUM (GREGORIO XVIII) DI S. GIOVANNI DA CAPISTRANO

Profezia su Flos Florum (Gregorio XVIII) di S. Giovanni da Capistrano

“Le persone moriranno di fame quando viene creato (Cardinale?), egli dividerà e darà ai poveri (Fior dei fiori).”

S. Giovanni da Capistrano, XV sec.

 * Nota: Fr. Culleton inserisce il suo commento tra parentesi “il Cardinale?” [Vale a dire, la parola “il cardinale” con un punto interrogativo] in questa famosa profezia del XV ° secolo di San Giovanni da Capistrano sugli ultimi papi nel tempo. La citazione si trova nel suo popolare libro sulle profezie Cattoliche: “I Profeti e del nostro tempo”, di p. Gerald Culleton, pag. 157 – 1941 Imprimatur.

La Provvidenza partorì un fiore raro nell’aridità dei deserti in cui la Chiesa si trova …”

Elementare è l’analisi della Profezia di San Giovanni da Capistrano su “Flos Florum”: La gente “moriva di fame” [era cioè senza la grazia soprannaturale dei “Sacramenti”], nutrita per decenni dallo sterco e dal veleno delle eresie degli scismatici, quando nella primavera del 1988, il “Papa in ostaggio “, Gregorio XVII, CREAVA dei veri cardinali, tra i quali un Cardinal Camerlengo, dando loro l’ordine di eleggere il successore tempestivamente, qualora dovesse morire in maniera imprevista. (“Il diritto di eleggere il Romano Pontefice spetta unicamente e personalmente ai Cardinali di Santa Romana Chiesa, mentre  è da escludere e rifiutare assolutamente ogni intervento da parte di non importa qualsiasi autorità ecclesiastica o da parte di ogni potere secolare, di qualsiasi grado, che possa condizionarne la regolarità”Papa Pio XII, Costituzione Apostolica “Vacantis Apostolicae Sedis“.. – I suoi cardinali in obbedienza, dopo aver superato molti ostacoli, tennero con successo il Conclave convocato (segreto) a Roma il 2 maggio 1991 e, dopo la Messa da requiem per Papa Gregorio XVII, procedettero il 3 maggio 1991 alla elezione del nuovo Papa, S. S. Gregorio XVIII, tuttora vivente. Deo gratias!., San Giovanni da Capistrano pertanto nella profezia: “che questo Papa dividerà e darà ai poveri”, sembra implicare che i più piccoli, coloro cioè che possiedono la vera infantile semplicità di cuore, ora (e dopo i 3 giorni di buio) raccoglieranno i tesori di grazie celesti senza precedenti, come ricompensa per la loro incrollabile fiducia nelle promesse divine di Cristo fatte alla sua Chiesa e al suo Vicario in terra: Flos Florum “fiore dei fiori”. Nella celebre lista profetica dei Papi di San Malachia, Papa Gregorio XVII è Pastor et nauta ” – mentre, cronologicamente, il successore è proprio Flos florum “Fior dei fiori”.

*La Santità di S. Giovanni da Capestrano: “ Nicola di Fara, dopo aver menzionato diversi grandi predicatori che hanno evangelizzato l’Italia in questo periodo (XV sec.), dice: “Ma di tutti questi nessuno è stato più stimato dai suoi fratelli di Giovanni da Capistrano; nessuno più favorevole alla corte romana; nessuno più sapiente in diritto civile e canonico, nessuno più zelante per la conversione degli eretici, degli scismatici, e degli ebrei, nessuno più sollecito per il progresso della religione, nessuno più potente nei miracoli mostrati … Tante persone .. . lo hanno ricevuto con onore ed erano così ansiosi di ascoltarlo, che coloro che venivano per ascoltare la parola di Dio spesso riempivano le piazze più grandi e gli spazi più ampi: spesso ci sono stati ventimila, trentamila, a volte anche oltre un centinaio di migliaia di persone presenti ai suoi sermoni “. (Dal libro, “San Giovanni da Capistrano”, di P. Vincent Fitzgerald, O.F.M., pp. 24-25, 1911, Longmans, Green and Co., New York. Imprimatur)

Allora la Chiesa sarà … nelle catacombe …. Tale è la testimonianza universale dei Padri della Chiesa antica.” -Cardinal Manning, “The Present Crisis of the Holy See“, 1861, London: pp. 88-90.

” … la successione dei vescovi fino ad oggi nella Sede di San Pietro … è caratteristica della Chiesa Cattolica, e di nessun altro.” -S. Agostino

“Quindi, come dice S. Ireneo,” E necessario che tutti debbano dipendere dalla Chiesa romana come loro testa e fontana; tutte le Chiese devono essere d’accordo con questa Chiesa per la sua priorità del suo principato, perché le tradizioni consegnate dagli Apostoli sono state sempre conservate” (S. Iren, lib 3, c 3..); pertanto dalla tradizione derivata dagli Apostoli che la Chiesa fondata a Roma conserva, e dalla Fede conservata dalla successione dei Vescovi, possiamo confondere coloro che per cecità o per una cattiva coscienza traggono conclusioni errate (ibid).

“Volete sapere”, dice S. Agostino, “quale è la vera Chiesa di Cristo? Contate quei sacerdoti che, in una successione regolare, sono usciti da San Pietro, che è la roccia, contro la quale le porte dell’inferno non prevarranno”(S. Agostino in Psalm. cont. Donat..): e il santo Dottore sostiene come uno dei motivi che lo trattengono nella Chiesa cattolica, sia la successione dei Vescovi fino ad oggi nella Sede di San Pietro” ; (.. Epis fondo, c 4, n. 5),. perché in verità la successione ininterrotta degli Apostoli e dei discepoli è solo caratteristica della Chiesa cattolica, e di nessun altro” [-S. Alphonso M. dei Liguori, La Storia delle Eresie e loro confutazioni; O, Il Trionfo della Chiesa. *Vol I]

Tutta la forza della Chiesa è nel Papa, tutti i fondamenti della nostra fede si basano sul successore di Pietro. Coloro che desiderano il suo assalto del male il Papato in ogni modo possibile ….”.

-Monsignor Sarto, Vescovo di Mantova (il futuro Papa San Pio X) annota: riferendosi a ciò che San Paolo scrive nella II lettera ai Tessalonicesi, II:. I-IV (la rivolta e la separazione dal vero Legale Pontefice, “garanzia della fede” [Gregorio XVII, eletto Papa il 26 ottobre 1958), che il più grande corpo dei persecutori del vero Papato (attualmente in esilio) di oggi, è costituito dallo eretico-scismatico Novus Ordo (con le loro “gemelle” Fraternità non-sacerdotali San Pio X e S. Pietro) nonché dalle sette sedevacantiste antipapali della perdizione.

ALL’ARCANGELO S. GABRIELE (24 marzo e 5 dic.).

Le feste degli Angeli.

Sino a questo momento non abbiamo ancora riscontrato una festa in onore dei santi Angeli, sebbene già tra i fulgori della notte del santo Natale avessimo unito le nostre voci ai concenti che gli Spiriti celesti intonarono sulla culla dell’Emmanuele. Un tal ricordo contribuisce a riempire di soave letizia i nostri cuori rattristati dalla penitenza e dall’avvicinarsi del doloroso anniversario della morte del Redentore. – Facciamo oggi una breve tregua ai severi pensieri della Quaresima per festeggiare l’Arcangelo Gabriele. Domani lo vedremo spiegare il volo sulla terra e fermarsi, celeste messaggero della SS. Trinità presso la più pura delle Vergini. Dunque a ragione i figli della Chiesa ricorrono a lui per poter degnamente celebrare il mistero che annunciò quaggiù.

Dignità di S. Gabriele.

Gabriele appartiene alle più eccelse gerarchie degli angelici Spiriti; come disse di sé a Zaccaria (Lc. I, 19), è uno di quelli che stanno al cospetto di Dio. A lui sono riservate le missioni concernenti la salute del genere umano attraverso l’Incarnazione del Verbo, perché il nome Gabriele significa Forza di Dio, ed è in questo mistero, apparentemente umile, che si manifesta principalmente questa divina potenza.

Il suo posto nell’Antico Testamento…

Tale funzione egli inaugurò sin dall’Antico Testamento. Lo vediamo prima manifestarsi a Daniele Profeta, nella visione da questi avuta sugli imperi Persiano e Greco; ed è tale la luce che egli irradia, che Daniele cade annientato bocconi ai suoi piedi (Dan. VIII, 17). Poco dopo Gabriele riappare al medesimo Profeta, per predirgli

il tempo preciso della venuta del Messia, dicendogli: fra settanta settimane di anni la terra vedrà il Re-Cristo (Ibid. IX, 21).

...nel Tempio.

Quando saranno venuti i tempi, ed il Cielo avrà stabilito di far nascere l’ultimo Profeta, colui che, dopo aver annunciato agli uomini la prossima epifania dell’Inviato divino, lo mostrerà al popolo come l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo, Gabriele discende dalle sfere celesti nel Tempio di Gerusalemme e annunzia al sacerdote Zaccaria la nascita di Giovanni Battista, preludio di quella di Gesù,

…a Nazaret.

Dopo sei mesi, l’Arcangelo Santo riappare sulla terra, e questa volta a Nazaret, ove reca dal cielo la grande novella. La sua celeste natura si abbassa davanti ad una creatura umana. Maria, per proporle da parte di Dio l’onore di divenir la Madre del Verbo eterno. – E lui che riceve il consenso della Vergine, e quando lascia la terra va in possesso di Colui ch’Ella attendeva come la rugiada del cielo (Is. XLV, 8).

…a Betlem.

È giunta l’ora in cui la Madre dell’Emmanuele elargirà agli uomini il frutto benedetto delle sue viscere. La nascita di Gesù è velata di mistero e di povertà; ma il Cielo non permette che il Bambino del Presepio rimanga senza adoratori. Un Angelo appare ai pastori dei campi betlemiti e li raduna intorno alla culla del neonato; l’Angelo è accompagnato da una immensa schiera di Spiriti celesti che cantano: Gloria a Dio e Pace agli uomini ! Chi è mai quest’Angelo superiore che parla solo ai pastori ed è circondato da miriadi di Angeli formanti la sua corte? Alcuni gravi dottori cattolici sostengono che questo Angelo è Gabriele, che persegue la propria missione di messaggero della buona novella.

…al Getsemani.

Finalmente, quando Gesù nell’orto del Getsemani, nell’ora che precede la Passione, prova nella sua umanità terrori ed angosce, gli appare un Angelo, non tanto come testimone della sua crudele agonia, ma per sostenerne il coraggio. Chi è quest’altro Angelo che il Vangelo non nomina? Uomini saggi e pii vedono ancora in lui Gabriele.

Il nome.

Tali i titoli che ha questo Arcangelo ai nostri omaggi di cristiani, e tali i segni che giustificano il suo bel nome di Forza di Dio. Dio infatti l’ha voluto presente in ogni fase della grande opera, per mezzo della quale più ha manifestato la sua potenza: perché, come dice l’Apostolo, Gesù Cristo è la Virtù di Dio anche sulla Croce (I Cor. I, 24).

Gabriele ed il Messia.

Dunque Gabriele interviene ad ogni passo a preparare la via del Signore: annuncia l’epoca precisa della sua venuta; nella pienezza dei tempi viene a rivelare la nascita del Precursore; quindi assiste, celeste testimone, al mistero del Verbo fatto carne; al cenno della sua voce i pastori di Betlem, primizie della Chiesa, accorrono ad adorare il Figlio di Dio; e quando l’umanità oppressa di Gesù ha bisogno del soccorso d’una creatura, ecco di nuovo Gabriele nell’Orto dei Dolori, come già si fece presente a Nazaret e a Betlemme.

Lode.

Tutto il genere umano ti è debitore, o S. Gabriele! e noi oggi assolviamo il nostro debito di riconoscenza verso di te. Dall’altezza dei cieli consideravi e compativi le nostre sciagure; ogni carne infatti aveva corrotto la sua via, e si faceva sempre più universale sulla terra il divino abbandono. Allora l’Altissimo ti affidò la missione di recare la buona novella al mondo che periva. Com’è bello il tuo volo, o Principe celeste, quando dal soggiorno di gloria ti dirigesti a noi! Com’è tenero e fraterno il tuo amore per gli uomini, che inferiori a te nella natura, saranno elevati all’onore dell’unione con Dio! – E con quale rispetto ti avvicinasti alla Vergine, che sorpassa in santità tutte le angeliche gerarchie! Tu, felice messaggero di salute, chiamato dal Signore ogni qualvolta Egli vuole mostrare la virtù del suo braccio, degnati offrire l’omaggio della nostra gratitudine a Colui che ti mandò. Aiutaci a soddisfare il debito immenso che abbiamo verso il Padre « che amò tanto il mondo da dargli il suo Figlio Unigenito » (Gv. III, 16); verso il Figlio « che umiliò se stesso prendendo la figura di schiavo (Fil. II, 7); verso lo Spirito Santo «che si posò sul Fiore spuntato dalla radice di Jesse » (Is. XI, 1-2). – Fosti tu, o Gabriele, ad insegnarci la salutazione angelica da porgere a « Maria, piena di grazia » ; tu a portarci dal cielo questa lode incomparabile; fosti il primo a pronunciarla, poi i figli della Chiesa, che da te l’appresero, la ripetono in tutta la terra; giorno e notte. Fa’ che la nostra grande Regina sempre l’ascolti sulle nostre labbra.

Preghiera.

O amico degli uomini, continua il tuo ministero in nostro favore, circondati come siamo da nemici terribili, ancor più audaci quanto più noi siamo deboli; vieni in nostro aiuto e fortifica il nostro coraggio. Assisti i cristiani in questo tempo di conversione e di penitenza; fa’ che comprendiamo tutto ciò che dobbiamo a Dio, dopo avvenuto il mistero dell’Incarnazione di cui tu fosti il primo testimone. Abbiamo dimenticato i nostri doveri verso l’Uomo-Dio e Lo abbiamo offeso: illuminaci, in modo che siamo d’ora in poi fedeli alle sue lezioni ed ai suoi esempi. Eleva la nostra mente alla tua gloriosa dimora; fa’ che meritiamo d’occupare fra i gradi della tua gerarchia i seggi lasciati vacanti dalla defezione degli angeli ribelli, e che sono destinati agli eletti della terra. Intercedi, o Gabriele, per la Chiesa militante e difendila contro l’inferno. I tempi sono iniqui e si sono scatenati gli spiriti del male: non possiamo resistere loro, senza l’aiuto del Signore. Dai santi Angeli attende la sua Sposa la vittoria: mostrati in prima linea, o Arcangelo di Dio; sconfiggi l’eresia, contieni lo scisma, dissipa la falsa sapienza, confondi la vana politica, desta l’indifferenza, affinché Cristo da te annunciato regni sulla terra che ha redenta e possiamo venire a cantare con te e con tutta la milizia celeste : Gloria a Dio! pace agli uomini!

[Dom Gueranger: l’Anno Liturgico, vol I]

I. Per quella gloria che vi distingue tra tanti vostri compagni, o grande Arcangelo S. Gabriele, essendo voi uno dei sette che stanno continuamente al trono dell’Altissimo, ottenetemi la grazia che io cammini mai sempre alla divina presenza, affinché i miei pensieri, le mie parole, le mie azioni altro non abbiano in mira che la pura gloria di Dio. Gloria.

II. Per quel santo giubilo che sentiste, o glorioso Arcangelo S. Gabriele, nell’essere spedito alla terra annunziatore del mistero il più consolante, cioè l’Incarnazione del Verbo e l’Universal Redenzione, ottenetemi la grazia che io non mi gonfi mai tra gli onori né mi smarrisca tra le umiliazioni, ma sappia di tutto servirmi secondo i disegni di Dio, i quali non hanno altro scopo che la mia e la comune santificazione. Gloria.

III. Per quell’ineffabile allegrezza che voi provaste, o glorioso Arcangelo s. Gabriele, nel presentarvi in Nazaret a Maria, la più privilegiata e la più santa fra tutte le figlie d’Eva, otteneteci la grazia che io Le professi costantemente una singolarissima devozione, e mi occupi a tutto potere nell’accrescere il numero dei suoi devoti, e nel promuovere il suo culto alfine di partecipare a quella beatitudine che è parzialmente promessa a’ suoi sinceri veneratori. Gloria.

IV. Per quell’insolito gaudio che vi inondò, o glorioso Arcangelo s. Gabriele, nel preconizzare Maria come la piena di grazie,la benedetta tra tutte le donne, e l’unica eletta fra tutte a divenir Madre del Verbo, ottenetemi, vi prego, che amando io, ad imitazione della ss. Vergine, il ritiro e la preghiera, meriti di essere distinto anche in terra con particolari benedizioni.

V. Per quell’improvviso stupore che vi comprese, o glorioso Arcangelo s. Gabriele, quando vedeste la SS. Vergine conturbarsi alle vostre magnifiche parole, ottenetemi, vi prego, un affetto costante alla santa umiltà, che è il fondamento e il sostegno di tutte le virtù.

VI. Per quella straordinaria venerazione che per Maria concepiste, o glorioso Arcangelo S. Gabriele, quando la vedeste più pronta a rinunziare l’onore della divina maternità che la perpetua conservazione della propria verginità, otteneteci, vi prego, la risoluzione ed il coraggio di rinunziare a tutti i piaceri e a tutte le grandezze del mondo, anzi che violare menomamente le promesse fatte al Signore.

VII. Per quell’ammirabile benignità onde voi, o glorioso Arcangelo s. Gabriele, dissipaste tutti i timori che agitavano il cuor di Maria quando sentissi da voi annunciare per madre, sgombrate, vi prego, la mia mente da tutte le illusioni con cui il principe delle tenebre si sforza di impedire la cognizione chiara e precisa delle verità che tornano indispensabili al conseguimento della salute. Gloria.

VIII. Per quella generosa prontezza con cui la SS. Vergine credette a tutte le vostre parole, o glorioso Arcangelo S. Gabriele, e consentì alla proposta di divenir Madre del Verbo, e corredentrice del mondo, ottenetemi, vi prego, la grazia che mi uniformi sempre spontaneamente alla volontà de’ miei maggiori, e porti con allegria quella mistica croce di patimenti che piacerà al Signore di addossarmi. Gloria.

IX. Per quella gioia infinita che inondò insieme tutti i cuori dei giusti nel Limbo, degli angioli nel Paradiso e degli uomini sopra la terra, quando, riportando voi, o glorioso Arcangelo S. Gabriele, al trono della SS. Trinità il consenso della SS. Vergine, discese il Verbo del Padre nel di Lei seno, ove, per opera dello Spirito Santo, si vestì delle nostre miserie, ottenetemi, vi prego, la grazia che io cammini fedelmente dietro gli esempi luminosissimi che di tutte le virtù venne a darci questo Unigenito incarnato, affinché, dopo averlo seguito per la strada dei dolori, giunga con Lui a salire il monte misteriosa della vision sempiterna. Gloria.

OREMUS.

  • Deus, qui inter cæteros Angelos, ad annunciandum Incarnationis tuæ misterium, Gabrielem Arcangelum elegisti, concede propitius, ut qui festum ejus celebramus in terris, ipsius patrocinium sentiamus in coelis. Qui vivis, etc.

GIACULATORIA A S. GABRIELE,

Deh tu governami – sempre fedele,

o caro arcangelo – san Gabriele,

e non permettere – giammai che sia

di te dimentica – l’anima mia.

[G. Riva: Manuale di Filotea, Milano 1888]

SAN BENEDETTO – 21 Marzo

Iddio dunque fece sorgere allora un uomo degno dell’eterna gratitudine de’ secoli, un uomo che salvò i monumenti del genio antico, e conservò la preziosa scintilla della scienza; un uomo che fu il Patriarca della vita religiosa in Occidente, o che diede almeno una forma ordinata e perfetta a quella spettabile e benefica istituzione: quest’uomo fu San Benedetto. – Egli, il padre dell’Europa incivilita, nacque verso l’anno 480 a Norcia, città episcopale del Ducato di Spoleto in Italia. Appena fu in grado di applicarsi alle scienze, i suoi genitori lo avviarono alle scuole pubbliche di Roma. L’angelico giovinetto, temendo che il mal esempio di tanti giovani giungesse a guastarlo, risolse di allontanarsi; parti perciò da Roma e si ritirò nel deserto di Subiaco, ove una caverna umida e bassa gli servì di abitazione. Il demonio ve lo segui, e lo tentò un giorno con tanta violenza che, per respingere il suo assalto, il servo di Dio dovette rotolarsi per mezzo le spine; né desisté, finché il suo corpo non fu tutto lacerato. Le piaghe che gliene derivarono, estinsero in lui le impure fiamme della concupiscenza, di cui non più mai ebbe a provare gli stimoli funesti. – Frattanto la fama della sua santità si divulgò di giorno in giorno, e crebbe a tal segno, che gran numero di discepoli accorsero a lui da tutte le parti; sicché in capo a qualche tempo fondò dodici monasteri, in ciascuno de’quali pose dodici religiosi con un superiore. Tra quei nuovi figli della penitenza si annoveravano Mauro e Placido, ambedue figli di Senatori, ed inoltre parecchi altri personaggi non meno illustri. Benedetto lasciò ben presto il deserto di Subiaco, per ritirarsi a Monte Cassino nel regno di Napoli. Colà continuava a sussistere un antico tempio e un bosco consacrato ad Apollo, che aveva tuttora in quel luogo buon numero di adoratori. Quegli avanzi d’idolatria infiammarono lo zelo del servo di Dio; egli predicò il Vangelo, e per la virtù riunita de’ suoi sermoni e de’ suoi miracoli, operò stupende conversioni. – Padrone del terreno, infranse l’idolo ed arse il bosco, e avendo in seguito demolito il tempio, innalzò sopra le sue rovine due Oratorii o Cappelle, sotto l’invocazione di S. Giovanni Battista e di San Martino. Tale fu l’origine del celebre monastero di Monte Cassino, di cui Benedetto gettò le fondamenta nel 527, in età di quarantotto anni. – A Monte Cassino compilò San Benedetto la sua Regola, e fondò l’Ordine per sempre illustre de’ Benedettini. Iddio, che lo aveva eletto come un altro Mosè per condurre un popolo eletto nella vera Terra promessa, autenticò la sua missione con miracoli e con profezie. Un giorno, alla presenza di una moltitudine di popolo, ei risuscitò un novizio, ch’era rimasto schiacciato sotto un muro. – Totila, re de’ Goti, che in allora dominava Italia, restò grandemente meravigliato dalle cose prodigiose che gli vennero narrate di S. Benedetto; e bramoso di accertarsi se egli fosse veramente quale gli era stato dipinto, mandò ad avvisarlo che lo sarebbe andato a visitare. Ma poi invece di andarvi in persona gl’inviò un suo officiale di nome Riggone, che aveva fatto vestire de’ propri abiti, e a cui aveva dato un corteggio di tre de’ primi signori della sua nazione con un seguito numeroso. Il Santo che stava in quel momento seduto, non appena lo ebbe scorto, gli disse : « Figlio mio, dimetti codesto abito, perchè non ti conviene». Riggone spaventato e confuso, per aver preteso d’ingannare quel grand’uomo, si prostrò ai suoi piedi con tutti i suoi compagni. – Al suo ritorno ei raccontò al re quanto gli era accaduto; e Totila andò allora da se stesso a visitare il servo di Dio. Giunto al suo cospetto si prostrò a terra, rimanendo in quella attitudine finché Benedetto non lo rialzò. Ma fu ben più sorpreso, quando il Santo gli disse queste parole: «Tu fai molto male, e prevedo che ne farai anche di più; tu prenderai Roma, passerai il mare, e regnerai nove anni; ma tu morrai nel decimo, e sarai citato al tribunale del Giudice giusto, per rendergli conto delle tue opere». – Tutti i punti di questa predizione furono verificati dall’evento: San Benedetto pure morì l’anno dopo che aveva ricevuto la visita di Totila. Essendogli stata rivelata l’ora di sua morte, l’annunziò a’ suoi discepoli, a’quali ordinò di preparargli la fossa. Scavata questa, fu assalito dalla febbre; al sesto giorno domandò di essere portato in Chiesa per ricevervi la santa Eucaristia; diede in seguito alcuni ammaestramenti ai suoi discepoli, poi sorreggendosi ad uno di loro, pregò in piedi colle mani sollevate al Cielo e rese tranquillamente l’anima. Ciò accadde nel giorno di sabbato 21 marzo 543, essendo il glorioso Patriarca in età di sessantatre anni, ed avendone passati quattordici a Monte Cassino. – S. Benedetto fu grande per le sue virtù, ma non fu meno per le sue opere. Grande, per le sue virtù: e tale lo abbiamo veduto nella sua vita umile, penitente e miracolosa. Grande per le opere sue: e la più bella, quella cioè che manifesta l’uomo straordinario e il Santo pieno della sapienza sovrumana, è la sua Regola, la quale ha sempre formato l’ammirazione di quelli che la conobbero. Il Pontefice San Gregorio Magno la chiama eminente in sapienza, in discrezione e in gravità, ed ammirabile in carità; molti Concili l’hanno pure chiamata santa. Il celebre Cosimo de’ Medici e parecchi altri legislatori la leggevano sovente con diletto, e la riguardavano come una miniera fecondissima di massime tutte proprie a dirigere l’uomo nell’arte di ben governare. Eccone qualche tratto. – Il Santo Fondatore comincia dallo stabilire che si riceva nel suo Ordine ogni classe di persone, senza distinzione veruna: fanciulli, adolescenti, adulti, poveri, ricchi, nobili, plebei, servi, liberi, dotti, ignoranti, laici ed ecclesiastici. Per ammirare quanto si conviene la profonda saviezza di questo primo articolo, è mestieri ricondursi alle circostanze, nelle quali Benedetto gettò i fondamenti del suo Ordine. – Un diluvio di Barbari inondava l’Europa; tutto il vecchio mondo cadeva in frantumi sotto i colpi de’ vincitori. L’Ordine di San Benedetto fu pertanto come una nuova arca di Noè, aperta a tutti quelli che avevano bisogno di salvarsi. Si può dire con certezza che questa nuova arca portava, al pari dell’antica, le primizie d’un nuovo mondo; in essa cercarono asilo le tradizioni delle scienze e delle arti; di quà uscirono gl’instancabili operai, che indi a poco dirozzarono buona parte dell’Europa e la trassero dalla barbarie. – I Religiosi di San Benedetto si alzavano a due ore del mattino; e l’Abate stesso doveva suonare la chiamata. Dopo Mattutino essi si occupavano fino al far del giorno nella lettura e nella meditazione. Dalle sei fino alle dieci antimeridiane lavoravano, quindi andavano a mensa. Non vi erano digiuni da Pasqua fino a Pentecoste, ma dalla Pentecoste fino al 13 di settembre digiunavasi il mercoledì e il venerdì, e quotidianamente dal 13 settembre fino a Pasqua. – Era perpetua l’astinenza dalla carne, da quella almeno d’animali quadrupedi. Parchi nel loro nutrimento, i Religiosi di San Benedetto erano modestissimi anche nelle vesti. Nei climi temperati portavano una cocolla, una tonaca e uno scapolare. La cocolla era una specie di cappuccio che si ripiegava sulla testa, affine di preservarsi dagli ardori del sole e da’ rigori dell’inverno. La tunica era l’abito di sotto, lo scapolare l’abito di sopra in tempo di lavoro; dopo il lavoro gli sostituivano la cocolla, che portavano pel resto del giorno. – Tutte le loro vesti erano di lana del più ordinario tessuto e del minor costo. Per togliere ogni oggetto di proprietà, l’Abate somministrava ad ogni Religioso il suo poco necessario, vale a dire, oltre le vesti di ciascuno, una pezzuola, un coltello, un ago, un punzone per iscrivere, e delle tavolette. – Il letto consisteva in una stuoia, o pagliericcio, fornito soltanto di un lenzuolo di sargia, di una coperta e di un capezzale. – Si raccoglie dalle antiche pitture, che la veste de’ primi Benedettini era bianca e lo scapolare nero. Alfine di essere ognor pronti ad alzarsi per il coro, essi dormivano vestiti. – Parlavano raramente e ricevevano i forestieri con molta cordialità e rispetto. Erano questi primieramente condotti all’Oratorio, perché vi facessero una breve preghiera, in seguito venivano introdotti nella stanza degli ospiti, ove era lor fatta una qualche lettura, e quindi ne ricevevano ogni maniera di cordiali sollecitudini. L’Abate porgeva ad essi da lavarsi e sedeva a mensa in loro compagnia: ma niuno con quelli s’intratteneva, tranne i Religiosi destinati a riceverli. Gli aspiranti che si presentavano per essere accolli nel monastero, non erano ammessi che dopo aver sostenuto molteplici prove, e non si accettavano che dopo un anno di perseveranza. Il novizio scriveva le sue obbligazioni di proprio pugno e le deponeva sopra l’altare; e se possedeva delle sostanze ei le distribuiva ai poveri o ad un monastero; dopo di che era rivestito degli abiti religiosi, ed erano conservanti i suoi onde restituirglieli, se per avventura avesse voluto abbandonare il chiostro. – La vita de’ Benedettini era divisa tra la preghiera, il lavoro materiale e l’intellettuale. Munito a vicenda della scure, della vanga, della falce e del martello, il Benedettino era taglialegna, agricoltore, muratore e architetto; abbatteva ampie foreste, donava alla coltura vastissimi tratti di terreno infruttifero, che ben tosto divenivano fertili per le savie sue cure, fabbricava in fondo a solitarie valli o in luoghi amenissimi per salubrità e per sito quelle abitazioni, la cui solidità, estensione e ordinata disposizione di parti formano tuttora l’universale meraviglia. – A lui l’Alemagna, la Francia, l’Inghilterra e una gran parte dell’Europa vanno debitrici della civiltà materiale di cui godono da tanti secoli. – Mentre il Benedettino agricoltore bagnava de’ suoi sudori il suolo coperto di rovine e di boscaglie, il suo confratello, il Benedettino erudito, chiuso nel suo Scrittoio (Scriptorium – In ogni monastero era uno Scriptorium), diradava le tenebre dell’ignoranza e della barbarie, e legava ai secoli futuri le dottrine dei secoli passati. In quell’Ordine dotto gli scrittoi costituivano una delle più importanti parti di ciascun monastero. Erano questi ampie sale costruite di pietra, regolari e ben centinate per salvarle dagl’incendi. Quivi sopra pile di Leggìi di varie dimensioni ed in bell’ordine disposti si vedevano collocati i manoscritti delle opere antiche, e ciascuno di questi era attaccato ad una catena di ferro saldamente infissa al Leggio medesimo. E quasi che una tale precauzione non fosse bastante, un’altra più infrangibile catena, vale a dire, la scomunica, li teneva immobili al loro posto. Sì, quei Papi, quei Vescovi, quel Clero cattolico, che oggi son calunniati quasi fossero nemici dei lumi, avevano proibito, sotto pena di scomunica, di trasportare da un Leggio all’altro quei preziosi manoscritti. In fatti un manoscritto poteva essere, per esempio l’unico, o quasi l’unico a quei tempi conosciuto; donde 1’esser mutato di posto o il venir trasportato altrove poteva esporlo a perire o ad essere guasto, e il danno sarebbe stato irreparabile. Ora il Benedettino passava la vita davanti a quel Leggio. Che più? qualche volta la vita d’un Religioso non era bastante per trascrivere. schiarire, mettere in ordine un’opera sola. Il Benedettino morente lasciava in legato il suo posto e il suo punzone a un fratello; questi proseguiva il lavoro incominciato, e questa vita succeduta ad un’altra, queste intelligenze che si continuavano, e si fondevano per così dire in una sola, hanno in tal guisa conservato al mondo moderno quei capolavori che noi possiamo bensì ammirare, ma che non varremo giammai a riprodurre. – I Benedettini non custodirono soltanto i libri depositari della scienza, ma furono inoltre gli apostoli d’una gran parte dell’Europa. – L’Inghilterra, la Frisia, la Germania vanno loro debitrici della fede; e noi ne parleremo in seguito. Finalmente suscitati da Dio per salvare le reliquie del mondo antico e per preparare un mondo nuovo si diffusero dappertutto con tale rapidità, dimodoché si può osservare che sotto il doppio rapporto materiale e intellettuale l’Europa è figlia de’ Benedettini. In breve non vi fu provincia, ove la Regola di San Benedetto non fosse conosciuta. I monasteri di quest’Ordine erano cotanto numerosi nel 1336, che il pontefice Benedetto XII li divise in trentasette provincie, segnando regni interi sotto una sola provincia, come la Danimarca, la Boemia, la Scozia, la Svezia, ecc. Il che mostra l’amplissima propagazione di quell’Ordine e la quantità prodigiosa dei suoi monasteri. Ma ecco alcun che più ancora meraviglioso. – Papa Giovanni XXII, che fu eletto nel 1316, e che morì nel 1334, trovò, dopo un’accurata indagine da lui ordinata, che dalla prima istituzione quest’Ordine aveva dato ventiquattro Pontefici, circa duecento Cardinali, settemila Arcivescovi, quindicimila Vescovi, quindicimila Abati insigni, la cui conferma appartiene alla Santa Sede, più di quarantamila tra Santi e Beati, cinquemila cinquecento de’quali furono monaci di Monte Cassino e vi ebbero sepoltura. – Una delle più belle conquiste dell’Ordine di San Benedetto fu quella dell’Inghilterra.

[J.-J. Gaume: Catechismo di perseveranza vol. 3, p. 253 e segg. Torino, 1888]

7 MARZO: SAN TOMMASO D’AQUINO

In questo giorno in cui i Cattolici Romani dell’orbe cristiano festeggiano il Dottore Angelico, S. Tommaso D’Aquino, lungi dal cimentarci in lodi e panegirici di cui la nostra infima statura culturale non sarebbe capace, affidiamo la celebrazione di tale genio teologico al Santo Magistero della Chiesa, quanto mai pieno di riferimenti all’opera sua straordinaria ed insostituibile per la vita della “vera” Chiesa, in netto contrasto, anzi in diametrale opposizione alla Nouvelle Theologie [o meglio “falsa teologia”], base del satanico modernismo, sintesi di tutte le eresie, attualmente imperante. Tra le diverse bolle ed encicliche ci piace qui riportare la lettera enciclica di S.S. Pio XI “Studiorum ducem” pubblicata in occasione del seicentesimo anno della canonizzazione del Santo domenicano.

PIO XI

LETTERA ENCICLICA

STUDIORUM DUCEM

DEL SOMMO PONTEFICE AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI, PRIMATI, ARCIVESCOVI, VESCOVI E AGLI ALTRI ORDINARI LOCALI CHE HANNO PACE E COMUNIONE CON LA SEDE APOSTOLICA, IN OCCASIONE DEL VI CENTENARIO DELLA CANONIZZAZIONE DI SAN TOMMASO D’AQUINO

 

Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.

Con recente Lettera Apostolica [Officiorum omnium dell’1° agosto 1922] confermammo quanto era già stato stabilito dal Diritto Canonico e ordinammo che Tommaso d’Aquino dovesse essere considerato la principale guida negli studi delle discipline superiori. – Ed avvicinandosi ora il giorno, in cui si compie il seicentesimo anno da quando egli fu ascritto nel numero dei Santi, Ci si presenta una bella occasione per inculcare maggiormente la medesima cosa nell’animo dei nostri, e dichiarare loro in che modo potranno profittare alla scuola di tanto Maestro. Poiché la vera scienza e la pietà, che di tutte le virtù è compagna, sono tra di loro mirabilmente congiunte; ed essendo Iddio la stessa verità e bontà, non basterebbe certo, per ottenere la gloria di Dio e la salvezza delle anime — scopo principale e proprio della Chiesa — che i sacri ministri fossero bene istruiti nella cognizione delle cose, se essi non fossero pure abbondantemente forniti di idonee virtù. Ora questa unione della dottrina con la pietà, della erudizione con la virtù, della verità con la carità, fu veramente singolare nel Dottore Angelico, a cui venne attribuito il distintivo del sole, poiché, mentre egli porta alle menti la luce della scienza, accende nelle volontà la fiamma della virtù. – E sembrò che Iddio, fonte d’ogni santità e sapienza, volesse mostrare in Tommaso come queste due cose si aiutino a vicenda, come cioè l’esercizio delle virtù disponga alla contemplazione della verità ed a sua volta l’accurata meditazione della verità renda più pure e perfette le stesse virtù. Perché chi vive integro e puro, e con la virtù tiene a freno le sue passioni, quasi libero da un grande impedimento, potrà elevare alle cose celesti molto più facilmente il suo spirito e meglio fissarsi nei profondi misteri della Divinità, secondo le parole dello stesso Tommaso: «Prima è la vita che la dottrina; perché la vita conduce alla scienza della verità » (1); se l’uomo avrà messo tutto il suo studio nel conoscere le cose che sono sopra la natura, per questo stesso si sentirà non poco eccitato al vivere perfetto; né una tale scienza, la cui bellezza tutto lo rapisca e a sé lo attiri, potrà mai dirsi arida ed inerte, ma attiva in grado supremo. – Sono questi gli ammaestramenti che questa solennità centenaria ci fornisce, Venerabili Fratelli; ma per renderli più manifesti, Noi pensammo di dover trattar brevemente della santità e dottrina di Tommaso d’Aquino e mostrarvi quali vantaggi possa trarre da un tale argomento sia tutto l’ordine sacerdotale, i giovani del clero specialmente, sia tutto intero il popolo cristiano. – Tutte le virtù morali furon possedute da Tommaso in altissimo grado e talmente associate e connesse, che, come vuole egli stesso, si unirono nella carità « la quale dà la forma agli atti di tutte le virtù » (2). Se poi cerchiamo le caratteristiche proprie e particolari di questa santità, ci vien fatto di trovare per prima quella virtù per cui Tommaso sembrò assomigliare alle nature angeliche, la castità, per la quale egli fu degno di esser cinto ai fianchi dagli Angeli di una mistica cintura, avendola egli conservata intatta in un pericolosissimo cimento. A purezza così esimia andò congiunto il distacco dai beni terreni e il disprezzo degli onori; e sappiamo come egli vincesse, con somma costanza, l’ostinazione dei parenti che lo volevano con tutti i mezzi trattenere nella vita agiata del secolo; e come poi, offerti a lui dal Pontefice Sommo i parimenti sacri, lo scongiurasse a non imporgli quel peso, per lui formidabile. Ma il principale distintivo della santità di Tommaso è quello che da Paolo è chiamato « il linguaggio della sapienza » (3), quell’unione cioè della duplice sapienza, acquisita ed infusa, come vengono dette; con le quali nulla meglio si accorda quanto l’umiltà, l’amore della preghiera, la carità verso Dio. – Quanto all’umiltà, che Tommaso mise a fondamento di tutte le altre sue virtù, fu manifesta dall’essersi egli posto nelle azioni della vita quotidiana, sotto l’ubbidienza di un fratello laico; né meno essa si rivela dalla lettura dei suoi scritti, dai quali spira ogni riverenza verso i Padri della Chiesa; e « siccome egli ebbe in somma venerazione gli antichi dottori, così sembrò che di tutti egli ereditasse l’intelligenza » (4). – La stessa cosa viene bene chiarita dall’aver egli impiegato, per il trionfo della verità, tutte le forze del suo divino ingegno, senza cercare per nulla la propria gloria. E così, mentre i filosofi si propongono spesso quale méta la propria fama, egli invece si studiò, nell’insegnare le sue dottrine, d’oscurare se stesso, appunto perché splendesse di per sé la luce della verità divina. Questa umiltà pertanto, congiunta alla purezza del cuore, di cui abbiamo parlato, ed alla grande assiduità nelle sante preghiere, rendeva l’animo di Tommaso docile e tenero tanto a ricevere quanto a seguire gl’impulsi e le illuminazioni dello Spirito Santo, nel che consiste la sostanza della contemplazione. E per impetrarle dall’alto, egli soleva spesso astenersi da ogni cibo, passare le intere notti in continua preghiera, e di quando in quando con l’impeto d’un’ingenua pietà appoggiare il suo capo al tabernacolo dell’augusto Sacramento, e rivolgere di continuo i suoi occhi e il suo spirito addolorato all’immagine di Gesù Crocifisso, che fu il massimo libro da cui apprese tutto quello che seppe, com’egli stesso confessò all’amico suo San Bonaventura; sicché di Tommaso poteva dirsi quello che si era detto del suo santo padre e legislatore Domenico, che non parlava se non di Dio o con Dio. – E siccome egli soleva contemplare tutto in Dio come causa prima ed ultimo fine di tutte le cose, gli fu facile seguire tanto negli insegnamenti della sua « Somma Teologica », quanto nella sua vita, l’una e l’altra sapienza, che egli stesso così definisce: « Per la sapienza acquisita mediante lo studio umano si ha il retto giudizio delle cose divine secondo l’uso perfetto della ragione. Ma ve n’è un’altra che discende dall’alto e che giudica delle cose divine per una certa connaturalità ad esse. E questa è un dono dello Spirito Santo, per cui l’uomo divien perfetto nelle divine cose, e non solo le apprende, ma in se stesso le sente ». – Accompagnata dagli altri doni dello Spirito Santo, questa sapienza derivata da Dio per infusione in Tommaso, fu in un continuo aumento al pari della carità, signora e regina di tutte le virtù. Poiché per lui fu dottrina certissima che l’amore di Dio deve in noi crescere sempre « a norma del primo precetto: ‘Amerai Iddio tuo Signore con tutto il tuo cuore’; perché tutto e perfetto sono la stessa cosa … Fine del precetto è la carità, come c’insegna l’Apostolo (6); ora nel fine non si pone misura alcuna, ma solo nelle cose che servono al fine » (7). E questa è la causa per cui la perfezione della carità cade sotto precetto; perché essa è il fine a cui tutti devono tendere secondo la loro condizione. E siccome « l’effetto proprio della carità è che l’uomo tenda a Dio unendo a lui il suo affetto, perché egli viva non più a sé ma a Dio stesso », noi vediamo come in Tommaso il divino amore, insieme con quella duplice sapienza, aumentò senza posa, fino ad ingenerare in lui il prefetto oblio di se stesso; tale che, essendogli stato detto da Gesù Crocifisso: «Tommaso, hai scritto bene di me », e domandato: «Qual premio tu desideri per l’opera tua? », Egli rispose: «Te solo, o Signore ». Ond’è che, stimolato dalla carità, s’impegnava assiduamente a favore degli altri con lo scrivere ottimi libri, coll’aiutare i fratelli nei loro lavori, e si spogliava delle stesse sue vesti per soccorrere i poveri, ed anche restituiva agli infermi la salute, come avvenne nella Basilica Vaticana, dove egli predicò nella solennità di Pasqua, allorché liberò ad un tratto da un inveterato flusso di sangue una donna che gli aveva toccato il lembo della veste. E dove mai si trovò più chiaro che nel Dottore Angelico questo « linguaggio di sapienza », mentre a lui non bastò erudire le menti degli uomini, ma con ogni studio cercò di eccitare le volontà loro a riamare un tanto amore, che è la causa di tutte le cose? « L’amore di Dio », egli afferma con frase sublime, « è quello che infonde e crea nelle cose la bontà », né mai si stanca, trattando dei varii misteri ad uno ad uno, di illustrare questa diffusione della divina bontà. «Appartiene » egli dice, « alla natura del sommo bene, che in sommo grado comunichi se stesso; e questo massimamente è fatto da Dio coll’Incarnazione » . – E nessun’altra cosa più apertamente dimostra questa potenza non meno del suo ingegno che della sua carità, quanto l’ufficio ch’egli compose dell’augusto Sacramento; e quanto amore egli avesse in tutta la vita verso l’Eucarestia, lo dichiarò nella parola che proferì morendo prima di ricevere il santo Viatico: « Io ti ricevo, prezzo della redenzione dell’anima mia, per amore del quale io studiai, vegliai e lavorai ». Dopo questo breve cenno intorno alle grandi virtù di Tommaso, sarà più agevole comprendere l’eccellenza della sua dottrina, che nella Chiesa ha un’autorità e un valore ammirabili. I nostri Predecessori la esaltarono sempre con unanimi lodi. – Alessandro IV non dubitò di scrivere a lui vivente: «Al diletto figlio Tommaso d’Aquino, uomo eccellente per nobiltà di natali e onestà di costumi, che per grazia di Dio si acquistò un vero tesoro di coscienza e dottrina». E dopo la sua morte Giovanni XXII sembrò voler canonizzare ad un tempo le sue virtù e la sua dottrina, mentre, parlando ai Cardinali in Concistoro, pronunciò quella memorabile sentenza: « Egli illuminò la Chiesa di Dio più di qualunque altro Dottore; e ricava maggior profitto chi studia per un anno solo nei libri di lui, che chi segua per tutto il corso della sua vita gl’insegnamenti degli altri ». La fama perciò della sua intelligenza e sovrumana scienza fece sì che San Pio V lo scrivesse nel numero dei Dottori e gli confermasse il titolo di Angelico. Del resto, quale fatto più chiaramente dimostra la stima che la Chiesa ha fatto sempre d’un tanto Dottore, quanto l’essere stati esposti sopra l’altare dei Padri Tridentini due soli volumi, la Scrittura e la Somma Teologica, perché potessero ispirarsi ad essi nelle loro deliberazioni? E per non riportare la serie degli innumerevoli documenti della Sede Apostolica su quest’argomento, è sempre vivo in Noi il felice ricordo del rifiorire delle dottrine dell’Aquinate per l’autorità e le premure di Leone XIII; e questo merito di così illustre nostro Precedessore è tale, come dicemmo altre volte, che da solo basterebbe a dargli gloria immortale quand’anche altre cose sapientissime egli non avesse fatto o stabilito. Seguì il suo pensiero Pio X di santa memoria, specialmente nel Motu proprio «Angelici doctoris » ove troviamo questa bella sentenza: «Dopo la morte beata del Santo Dottore, non fu tenuto nella Chiesa alcun Concilio ove egli non sia stato presente con la sua preziosa dottrina ». E più prossimo a Noi, Benedetto XV, Nostro compianto Antecessore, più d’una volta mostrò la stessa compiacenza; e a lui spetta la lode della promulgazione del Codice di Diritto Canonico, ove vengono consacrati « il metodo, la dottrina e i principii » dell’Angelico Dottore (11). E Noi, mentre facciamo eco a questo coro di lodi date a quel sublime ingegno, approviamo che egli non solo sia chiamato Angelico, ma altresì che gli sia dato il nome di Dottore Universale, mentre la Chiesa ha fatto sua la dottrina di lui, come da moltissimi documenti viene attestato. E siccome sarebbe troppo lungo esporre qui tutte le ragioni addotte dai Nostri Predecessori intorno a tale argomento, basterà che Noi dimostriamo che Tommaso scrisse animato dallo spirito soprannaturale onde viveva, e che i suoi scritti, ove sono insegnati i principii e le regole di tutte le scienze sacre, sono da giudicarsi di natura universale. – Trattando egli infatti delle cose divine nei suoi insegnamenti e nei suoi scritti, porse ai teologi un luminosissimo esempio della strettissima relazione che deve correre fra gli studi e i sentimenti dell’animo. E siccome non può dirsi che abbia esatta notizia di un lontano paese chi ne conosca anche la più minuta disposizione, se non vi avrà per alcun tempo vissuto, così nessuno potrà acquistare un’esatta cognizione di Dio con la sola diligente ricerca scientifica, se non sarà anche con Dio in perfetta unione. E a questo appunto tende tutta la teologia di San Tommaso; a condurci a vivere una vita intima con Dio. E come fanciullo a Montecassino non si stancava di domandare: « Chi è Dio? », così i libri da lui composti intorno alla creazione del mondo, intorno all’uomo, alle leggi, alle virtù e ai Sacramenti, tutti quanti trattano di Dio come autore della nostra eterna salvezza.  Perciò, disputando intorno alle cause che rendono sterili gli studi, come la curiosità, lo smodato desiderio di sapere, l’ottusità dell’ingegno, l’avversione allo sforzo ed alla perseveranza, egli non trova a tali cause altro rimedio che una gran prontezza alla fatica, rinvigorita dall’ardore della pietà, e come derivata dalla vita dello spirito. – Ed essendo i sacri studi diretti da un triplice lume: la retta ragione, la fede infusa e i doni dello Spirito Santo che perfezionano l’intelligenza, nessuno più di Lui ebbe questa luce in abbondanza, perché dopo avere in qualche ardua questione impiegato tutte le forze del suo ingegno, implorava da Dio la spiegazione delle difficoltà con i digiuni e con umilissime preghiere; e Dio soleva ascoltarlo con tanta benignità, che mandò talora gli stessi Prìncipi degli Apostoli ad ammaestrarlo. – Né fa meraviglia se, avvicinandosi alla fine della sua vita, egli raggiunse un così alto grado di contemplazione, che le cose da lui scritte non gli parevano altro che paglia, e diceva di non poter dettare più oltre; così già egli aveva fisso il pensiero nelle verità eterne da non bramare ormai più altro che di vedere Dio. Poiché questo, come Tommaso stesso insegna, è il frutto che deve principalmente cogliersi dagli studi: un grande amore di Dio e un gran desiderio delle cose eterne. – Ma mentre con il suo esempio egli c’insegna come dobbiamo comportarci negli studi di vario genere, così di ogni particolare disciplina ci dà fermi e stabili precetti. E innanzi tutto, chi meglio di lui spiegò la natura e la ragione della filosofia, le sue parti e l’importanza di ciascuna? Ecco con quanta perspicacia egli dimostra la convenienza e l’accordo delle varie membra che formano come il corpo di tale scienza: «Al sapiente » egli dice « spetta l’ordinare. E la ragione è che la sapienza è principalmente perfezione di ragione, della quale è proprio conoscere l’ordine; poiché, sebbene le virtù sensitive conoscano alcune cose in modo assoluto, l’ordine fra l’una e l’altra non lo conosce che l’intelletto e la ragione. Così, secondo i diversi ordini che la ragione considera, sono diverse le scienze. L’ordine che la ragione, considerando, produce nel proprio atto appartiene alla filosofia razionale (ossia alla Logica) che propriamente considera l’ordine delle parti del discorso fra di loro e l’ordine dei principii sia fra loro stessi, sia rispetto alle conclusioni. Alla filosofia naturale (ossia alla Fisica) spetta il considerare l’ordine delle cose che la ragione umana considera, ma non fa: e così nella filosofia stessa naturale noi comprendiamo anche la Metafisica. L’ordine delle azioni volontarie viene considerato dalla filosofia morale, che si divide in tre parti: la prima considera le operazioni dell’individuo in ordine al fine e si chiama Monastica; la seconda considera le operazioni della moltitudine domestica e si chiama Economica; la terza considera le operazioni della moltitudine civile, e si chiama Politica »(12). Tutte queste parti della filosofia sono state trattate diligentemente da Tommaso, ciascuna nel proprio modo, cominciando da quelle che sono più strettamente congiunte alla ragione umana, e gradatamente salendo alle più remote, fino a fermarsi, per ultimo, « al vertice supremo di tutte le cose ». – È fermissima dottrina del Nostro quella che riguarda il valore dell’intelligenza umana. « Il nostro intelletto naturalmente conosce l’ente e le cose che appartengono all’ente in quanto tale, e su questa cognizione si fonda la notizia dei primi principii » (14). Dottrina che distrugge fin dalle radici gli errori e le opinioni di quei recenti filosofi che negano all’intelletto la percezione dell’ente, lasciandogli solo quella delle impressioni soggettive; errori da cui segue l’agnosticismo, così vigorosamente riprovato dall’Enciclica Pascendi. – Gli argomenti con cui San Tommaso dimostra l’esistenza di Dio e che egli solo è lo « stesso Essere sussistente », sono anche oggi, come nel medioevo, le prove più valide, chiara conferma del dogma della Chiesa proclamato nel Concilio Vaticano e interpretato egregiamente da Pio X con queste parole: « Iddio, come principio e fine di tutte le cose, può conoscersi e con certezza dimostrarsi con lume naturale della ragione, per le cose fatte, ossia per le opere visibili della creazione, come dagli effetti si conosce certamente la causa » (15). E la sua metafisica, sebbene tuttora, e non di rado, acerbamente impugnata, ritiene ancora la sua forza e tutto il suo splendore, quasi oro che nessun acido può alterare; e bene aggiunge lo stesso nostro Predecessore: « Allontanarsi dall’Aquinate, specialmente in metafisica, non può essere senza un grande danno ». – La più nobile tra le umane discipline è certamente la Filosofia, ma, secondo l’ordine attuale della divina Provvidenza, non possiamo definirla al disopra delle altre perché essa non abbraccia tutto intero l’insieme delle cose. Tanto nell’inizio della « Somma contro i Gentili », quanto in quello della « Somma Teologica », il Santo Dottore descrive un altro ordine di cose superiore alla natura ed eccedente la capacità stessa della ragione, e che mai l’uomo avrebbe conosciuto, se la bontà divina non glielo avesse rivelato. È il campo dove domina la fede, e questa scienza della fede si chiama Teologia, la quale si troverà più perfetta in chi avrà cognizione più profonda dei documenti della fede, e insieme più piena e più alta facoltà di filosofare. Ora non è da dubitare che la Teologia sia stata elevata al più alto grado dall’Aquinate, avendo egli posseduto perfettamente i documenti divini della fede, e disponendo di un ingegno mirabilmente disposto a filosofare. – Perciò Tommaso, non tanto per la sua dottrina filosofica quanto per gli studi di una tal disciplina, è nelle nostre scuole il principale maestro. Nessuna parte, infatti, vi è nella Teologia in cui egli non abbia felicemente mostrato la straordinaria ricchezza della sua mente. Anzitutto egli stabilì su propri e genuini fondamenti l’Apologetica, definendo bene la distinzione che corre fra le cose della ragione e quelle della fede, tra l’ordine naturale e il soprannaturale. Perciò il sacrosanto Concilio Vaticano, allorché definì che alcune verità religiose si possono conoscere naturalmente, ma che per conoscerle tutte e senza errore bisognò per necessità morale che fossero rivelate, e che per conoscere i misteri fu assolutamente necessaria la divina rivelazione, si servì di argomenti tratti non da altri che da Tommaso, il quale vuole che chiunque si accinga alla difesa della dottrina cristiana tenga fermo questo principio: « Assentire alle verità della fede non è leggerezza, benché esse siano al disopra della ragione » (17). Egli infatti dimostra che, sebbene le cose di fede siano arcane ed oscure, pure le ragioni che inducono l’uomo alla fede sono chiare e manifeste, poiché « egli non crederebbe, se non vedesse che le cose sono da credere ».(18) Ed aggiunge altresì che la fede, lungi dall’essere un impedimento od un giogo servile imposto all’umanità, è invece da stimarsi un massimo beneficio, essendo ella in noi un « preludio della vita eterna ». – L’altra parte della Teologia che riguarda l’esposizione dei dogmi è trattata da Tommaso con ricchezza tutta speciale; e nessuno ha penetrato più a fondo o più accuratamente esposto i misteri augustissimi della fede, come quelli che appartengono alla vita intima di Dio, al segreto della predestinazione eterna, al soprannaturale governo del mondo, alla facoltà di conseguire il loro fine concessa alle creature ragionevoli, alla redenzione del genere umano operata da Gesù Cristo e continuata dalla Chiesa e dai Sacramenti: due mezzi che il Dottore Angelico chiama in certo modo « reliquie della Divina Incarnazione ». Egli stabilì inoltre una sicura dottrina teologica morale per l’orientamento di tutti gli atti umani al fine soprannaturale. Da perfetto teologo egli assegna non solo agli individui in particolare, ma anche alla società domestica e civile le norme sicure della vita: in ciò consiste la scienza economica e politica dei costumi. Così nella parte seconda della Somma Teologica sono assai eccellenti le cose che insegna intorno al regime paterno, ossia domestico, al regime legale dello Stato e della Nazione, al diritto naturale e a quello delle genti, alla pace, alla guerra, alla giustizia e al potere, alle leggi e alla loro osservanza, al dovere di provvedere sia alle private necessità, sia alla pubblica prosperità; e tutto questo tanto nell’ordine naturale, quanto nel soprannaturale. Precetti, che, se venissero inviolabilmente ed esattamente osservati in privato ed in pubblico nonché nelle mutue relazioni tra nazioni e nazioni, nient’altro ormai si richiederebbe per ottenere tra gli uomini « la pace di Cristo nel regno di Cristo » a cui tutto il mondo anela. Pertanto è molto desiderabile che sempre più si conoscano le dottrine dell’Aquinate intorno al diritto delle genti ed alle leggi che stabiliscono le relazioni dei popoli fra di loro, contenendo esse i veri fondamenti di quella che si chiama « Società delle Nazioni ». – Non ebbe in lui minor pregio la dottrina ascetica e mistica, perché, ridotta tutta l’economia morale alla ragione di virtù e di doni, stabilisce questa dottrina ed una tale economia secondo le diverse classi degli uomini, tanto di coloro che vogliono vivere secondo le regole comuni, quanto di quelli che aspirano di proposito a conseguire la perfezione cristiana del loro spirito, e ciò in un doppio genere di vita: attiva e contemplativa. Chi voglia conoscere quanto si estenda il precetto dell’amore di Dio, come crescano in noi la carità e i doni dello Spirito Santo ad essa congiunti, come tra di loro differiscano i vari stati della vita, quali lo stato di perfezione, lo stato religioso, l’apostolato, e quale sia la natura di ciascuno, o altri punti di teologia ascetica o mistica, dovrà principalmente consultare l’Angelico Dottore. – In tutte le opere che egli scrisse, ebbe somma cura di mettere a base e fondamento le Sacre Scritture. Tenendo fermo che la Scrittura in tutte e singole le sue parti è parola di Dio, egli ne esige l’interpretazione secondo le norme stesse che diedero i Nostri Predecessori Leone XIII nell’Enciclica « Providentissimus Deus » e Benedetto XV nell’altra Enciclica « Spiritus Paraclitus », e posto per principio che « lo Spirito Santo è autore principale della Sacra Scrittura… mentre l’uomo non ne fu che l’autore strumentale »(20), non permette che alcuno muova dubbi contro l’autorità storica della Bibbia; mentre dal fondamento del significato delle parole, o sia senso letterale, egli ricava le copiose ricchezze del senso spirituale, di cui suole spiegare con la massima precisione il triplice genere: l’allegorico, il tropologico e l’anagogico. – Infine, il Nostro ebbe il dono e il privilegio singolare di poter tradurre gl’insegnamenti della sua scienza in preghiere ed inni della liturgia, e divenire così il poeta e il massimo lodatore della divina Eucaristia. Poiché la Chiesa Cattolica in ogni parte del mondo e presso tutte le genti, nei riti sacri si serve e si servirà sempre, con ogni zelo, dei cantici di Tommaso, dai quali spira il sommo fervore dell’animo supplichevole, e che contengono ad un tempo l’espressione più esatta della dottrina tradizionale intorno all’augusto Sacramento, che principalmente si chiama «Mistero di fede », ripensando a questo e ricordando l’elogio già citato fatto a Tommaso da Cristo stesso, nessuno si meraviglierà se a lui è stato dato anche il titolo di Dottore Eucaristico. – Da quanto si è detto, Noi ricaviamo queste conseguenze molto opportune per la pratica. Occorre anzitutto che i giovani in particolare prendano a loro modello San Tommaso e cerchino d’imitare e seguire con ogni diligenza le grandi virtù che in lui risaltarono, soprattutto l’umiltà, che è il fondamento della vita spirituale, e la purezza. Da quest’uomo, sommo per impegno e dottrina, imparino sia a frenare ogni moto d’orgoglio del proprio animo, sia ad implorare umilmente sui loro studi l’abbondanza della luce divina. Apprendano altresì da tale maestro a fuggire instancabilmente gli allettamenti del senso, per non dover poi contemplare la sapienza con occhio ottenebrato. Questo infatti egli insegnò nella sua vita con l’esempio, e confermò col suo insegnamento: « Se uno si astiene dai piaceri corporali per attendere più liberamente alla contemplazione della verità, questo appartiene alla rettitudine della ragione » (21). Siamo per questo ammoniti dalla Sacra Scrittura: «Nell’anima malevola non entrerà la sapienza, né abiterà in un corpo venduto al peccato » (22). Perciò, se la pudicizia di Tommaso, nel pericolo estremo a cui fu esposta, fosse venuta meno, è da ritenersi che la Chiesa non avrebbe avuto il suo Angelico Dottore. E vedendo la maggioranza dei giovani, ingannati dagli allettamenti del piacere, gettare tanto presto la loro purezza e darsi ai diletti del senso, Noi, Venerabili Fratelli, con ogni premura vi raccomandiamo di propagare dovunque, e specialmente tra i seminaristi, la società della Milizia Angelica, fondata per la conservazione e la custodia della purità sotto la tutela di Tommaso, e confermiamo tutte le indulgenze pontificie di cui essa fu arricchita da Benedetto XIII e da altri Nostri Predecessori. E perché più facilmente ognuno s’induca a dare il suo nome tale a Milizia, concediamo il permesso, a coloro che ne faranno parte, di portare, invece del cingolo, una sacra medaglia appesa al collo, che porti impressa da un lato l’immagine di San Tommaso cinto dagli Angeli, e dall’altro quella della Vergine, Regina del Santissimo Rosario. – Essendo poi San Tommaso dichiarato patrono di tutte le scuole cattoliche, come colui che mirabilmente congiunse in se stesso una duplice sapienza, quella cioè che si acquista con la ragione e quella che ci viene infusa da Dio, e nel risolvere le questioni più difficili unì alle preghiere i digiuni, e ritenne l’immagine di Gesù Cristo Crocifisso come suo libro principale, la gioventù consacrata a Dio apprenda da lui come debba esercitarsi nei buoni studi per ritrarne il maggior frutto. I membri delle famiglie religiose abbiano presente come in uno specchio la vita di Tommaso, che ricusò le dignità d’ogni grado, anche altissimo, per poter vivere nell’esercizio d’una perfetta ubbidienza e morire nella santità della sua professione. Tutti i fedeli cristiani abbiano nell’Angelico Dottore un esempio della più tenera devozione verso l’augusta Regina del cielo, della quale egli recitava spesso il saluto angelico e soleva scrivere il dolce nome nelle sue pagine; ed al Dottore Eucaristico domandiamo il fervore verso il divino Sacramento. E questo conviene che chiedano sopratutto i sacerdoti. «Ogni giorno, quando l’infermità non lo impediva, Tommaso celebrava una Messa, e poi ne ascoltava un’altra del suo compagno o di altri, e spesso la serviva », come racconta il diligentissimo autore della sua vita. E chi può esprimere il fervore del suo spirito nel celebrare il santo sacrifizio, e con quanta diligenza si preparasse, e, terminatolo, quali ringraziamenti egli porgesse alla Maestà divina? – Per evitare poi gli errori che sono la prima origine di tutte le miserie della nostra età, occorre rimanere fedeli, oggi ancor più che in altri tempi, alle dottrine dell’Aquinate. Le varie opinioni e teorie dei Modernisti sono da lui vittoriosamente confutate, tanto le filosofiche, difendendo, come vedemmo, il valore e la forza dell’intelligenza umana e provando con fermissimi argomenti l’esistenza di Dio; quanto le dogmatiche, ben distinguendo l’ordine naturale dal soprannaturale e illustrando le ragioni del credere e tutti quanti i dogmi; e mostrando nella teologia che le cose credute per fede non si appoggiano sopra un’opinione, ma sulla verità e sono immutabili; nella scienza biblica dando il vero concetto della divina ispirazione; nella disciplina morale, sociale e giuridica, con lo stabilir bene i principii della giustizia sia legale e sociale, sia commutativa e distributiva, e le relazioni della giustizia stessa con la carità; nell’ascetica col dare insegnamenti sulla perfezione della vita cristiana e contrastando coloro che al suo tempo avversavano gli ordini religiosi. E contro quella emancipazione da Dio che oggi si vanta, egli afferma i diritti della prima Verità e l’autorità che ha sopra di noi Iddio supremo Signore. Da qui si rileva perché i Modernisti nessun altro dottore della Chiesa paventino quanto Tommaso d’Aquino. – Come dunque un giorno fu detto agli Egiziani, nel loro estremo bisogno di vivere, « Andate da Giuseppe » perché avessero da lui in abbondanza il frumento per alimentare il loro corpo, così ora a tutti gli affamati di verità Noi diciamo: « Andate da Tommaso » per aver da lui, che ne ha tanta abbondanza, il pascolo della sana dottrina e il nutrimento delle loro anime per la vita eterna. Che un tal cibo sia pronto e alla portata di tutti fu attestato con la santità del giuramento quando si trattò di ascrivere Tommaso nel catalogo dei Santi: «Alla scuola luminosa ed aperta di questo Dottore fiorirono moltissimi maestri religiosi e secolari per il suo modo succinto, facile, e chiaro … ed anche laici ed uomini di scarsa intelligenza desiderano avere i suoi scritti ». – Ora noi vogliamo che tutte le cose stabilite principalmente da Leone XIII e da Pio X, e da Noi stessi comandate nello scorso anno, siano attentamente e inviolabilmente osservate specialmente da coloro che nelle scuole del clero insegnano le materie superiori. Essi tengano presente che soddisferanno bene ai loro doveri e compiranno i Nostri voti se, cominciando ad amare il Dottore d’Aquino e rendendo a sé familiari i suoi scritti, comunicheranno agli alunni della propria disciplina questo ardente amore, facendosi interpreti del suo pensiero, e li renderanno capaci di eccitare negli altri un eguale ardore. – Fra i cultori di San Tommaso, quali devono essere tutti i figli della Chiesa che attendono ai buoni studi, Noi certamente vogliamo che, nei limiti di una giusta libertà, vi sia quella bella emulazione che fa progredire i buoni studi, ma desideriamo che sia il più possibile evitata quell’asprezza di contrasto che non giova alla verità e serve soltanto a rallentare i vincoli della carità. Sia adunque da tutti inviolabilmente osservato ciò che è prescritto nel Codice di Diritto Canonico: «Gli studi della filosofia razionale e della teologia, e l’istruzione degli alunni in tali discipline, siano assolutamente trattati dai professori secondo il metodo, la dottrina e i principii del Dottore Angelico, e questi siano religiosamente mantenuti » (25). Essi si regolino in modo da poterlo con tutta verità chiamare loro maestro. Ma nessuno esiga dagli altri più di quello che da tutti esige la Chiesa, maestra e madre comune; perché nelle cose in cui autori di buona fama sogliono disputare fra loro in senso diverso, essa certo non vieta che ciascuno segua la sentenza che gli sembra migliore. – Pertanto, siccome a tutta la cristianità importa che questo centenario sia degnamente celebrato, quasi che, onorando San Tommaso, si tratti non solo della gloria di lui, ma dell’autorità della Chiesa docente, è Nostro desiderio che una tale ricorrenza, dal giorno 18 luglio dell’anno che volge fino alla fine dell’anno venturo, si celebri in tutto il mondo, dovunque esistano scuole di giovani chierici; non soltanto, cioè, presso i Frati Predicatori « all’Ordine dei quali », come dice Benedetto XV, « ha da darsi lode non meno per averci dato il Dottore Angelico, che per non aver mai abbandonato d’un punto la sua dottrina » (26), ma anche presso le altre famiglie religiose e in tutti i Collegi ecclesiastici, Università e Scuole cattoliche, a cui egli fu dato per celeste Patrono. – E converrà che nel celebrare queste feste solenni la prima sia quest’alma Città, ov’egli fu per un certo tempo Maestro del Sacro Palazzo; e che nel manifestare la loro santa letizia vadano, avanti a tutti gli istituti ove si coltivano gli studi sacri, il Pontificio Collegio Angelico, ove si direbbe che Tommaso abiti come in casa sua propria, e tutti gli altri Atenei Ecclesiastici che si trovano in Roma. – E Noi, per accrescere lo splendore e il frutto di questa solennità, col Nostro potere, accordiamo:

I. che in tutte le chiese dell’Ordine dei Predicatori e in qualunque altra chiesa o cappella pubblica o dove il pubblico possa introdursi, specialmente presso i Seminari, i Collegi e le Case di educazione per la gioventù, si celebri un triduo od un ottavario od una novena, in cui possano lucrarsi le stesse indulgenze che si concedono per simili funzioni in onore di Santi o Beati;

II. che nelle chiese dei Frati e delle Suore dell’Ordine Domenicano, soltanto per le celebrazioni centenarie, durante i giorni di tali funzioni, i fedeli, confessati e comunicati possano lucrare l’Indulgenza Plenaria tante volte quante volte avranno pregato dinanzi all’altare di San Tommaso;

III. che nelle predette chiese domenicane i sacerdoti dell’Ordine ed i terziari, durante l’anno centenario, possano ogni mercoledì, o nel primo giorno libero della settimana, celebrare la Messa in onore di San Tommaso, come nella festa, recitando in essa od omettendo il Gloria e il Credo secondo il rito del giorno, e concediamo, tanto a chi celebra la Messa quanto a quelli che l’ascoltano, l’Indulgenza Plenaria alle condizioni consuete. – Si cerchi inoltre di tenere nei sacri Seminari e negli altri Istituti ecclesiastici, durante questo tempo, qualche solenne disputa filosofica o sopra altre gravi discipline, in onore del Dottore Angelico. E perché in seguito la festa di San Tommaso sia celebrata come si conviene a quella del Patrono di tutte le scuole cattoliche, Noi vogliamo che in tale giorno si faccia vacanza dalle lezioni, e che non solo in esso si celebri la Messa solenne, ma che, almeno nei Seminari e nelle Famiglie religiose, sia tenuta una delle dispute di cui abbiamo parlato. – Infine, perché sotto la guida dell’Angelico Maestro d’Aquino gli studi dei nostri alunni diano sempre maggiori frutti a gloria di Dio e a vantaggio della Chiesa, aggiungiamo a questa Lettera, con la raccomandazione di divulgarla, la formula della preghiera da lui stesso usata. A coloro che devotamente la reciteranno, Noi concediamo per ogni volta, con la Nostra autorità, l’indulgenza di sette anni e sette quarantene. – Auspice infine dei doni celesti e segno della Nostra benevolenza, Noi impartiamo di tutto cuore a voi, Venerabili Fratelli, al clero ed al popolo affidato alle vostre cure, l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 29 giugno 1923, festa del Principe degli Apostoli, anno secondo del Nostro Pontificato.

 

PREGHIERA DI SAN TOMMASO

Creatore ineffabile, che dai tesori della tua sapienza hai tratto le tre gerarchie degli Angeli, le hai collocate con meraviglioso ordine sopra il cielo empireo ed hai disposto con grandissima precisione tutto l’universo; Tu, che sei celebrato come autentica Fonte della Luce e della Sapienza, e supremo Principio di ogni cosa, dégnati di infondere sulle tenebre del mio intelletto il raggio della tua chiarezza, liberandomi dalle due tenebre in cui sono nato: il peccato e l’ignoranza. – Tu, che rendi feconde le lingue degl’infanti, istruisci la mia lingua e infondi nelle mie labbra la grazia della tua benedizione. Dammi l’acutezza dell’intelligenza, la capacità della memoria, il modo e la facilità dell’apprendere, la perspicacia dell’interpretare, il dono copioso del parlare. Disponi Tu l’inizio, dirigi lo svolgimento e portami fino al compimento: Tu che sei vero Dio ed uomo, che vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen.

 

CATTEDRA DI S. PIETRO

22 FEBBRAIO

CATTEDRA DI S. PIETRO IN ANTIOCHIA

Festa della Cattedra di Antiochia.

[Dom Guéranger: l’Anno Liturgico, vol I]

 

Per la seconda volta la santa Chiesa festeggia la cattedra di Pietro; ma oggi, siamo invitati a venerare non più il suo Pontificato in Roma, ma il suo Episcopato ad Antiochia. La permanenza del Principe degli Apostoli in quest’ultima città fu per essa la più grande gloria che conobbe dalla sua fondazione; pertanto, questo periodo occupa un posto tanto rilevante nella vita di S. Pietro da meritare d’essere celebrato dai cristiani.

Cristianesimo ad Antiochia.

Cornelio aveva ricevuto il battesimo a Cesarea dalle mani di Pietro, e l’ingresso di questo Romano nella Chiesa preannunciava il momento in cui il Cristianesimo doveva estendersi oltre la popolazione giudaica. Alcuni discepoli, i cui nomi non ci furono tramandati da Luca, fecero un tentativo di predicazione in Antiochia, ed il successo che ne riportarono indusse gli Apostoli ad inviarvi Barnaba. Giunto questi colà, non tardò ad associarsi un altro giudeo convertito da pochi anni e conosciuto ancora col nome di Saulo, che, più tardi, cambierà il suo nome con quello di Paolo e diventerà oltremodo glorioso in tutta la Chiesa. La parola di questi due uomini apostolici suscitò nuovi proseliti in seno alla gentilità, ed era facileprevedere che ben presto il centro della religione di Cristo non sarebbe stato più Gerusalemme, ma Antiochia. Così il Vangelo passava ai gentili e abbandonava l’ingrata città che non aveva conosciuto il tempo della sua visita (Lc. XIX, 44).

Pietro ad Antiochia.

La voce dell’intera tradizione c’informa che Pietro trasferì la sua residenza in questa terza città dell’Impero romano, quando la fede di Cristo cominciò ad avere quel magnifico sviluppo che abbiamo qui sopra ricordato. Tale mutamento di luogo e lo spostamento della Cattedra primaziale stanno a dimostrare che la Chiesa s’avanzava nei suoi destini e lasciava l’augusta cinta di Sion, per avviarsi verso l’intera umanità. – Sappiamo dal Papa S. Innocenzo I ch’ebbe luogo in Antiochia una riunione degli Apostoli. Ormai il vento dello Spirito Santo spingeva verso la gentilità le sue nubi sotto il cui emblema Isaia raffigura gli Apostoli (Is. LX, 8). S. Innocenzo, alla cui testimonianza si unisce quella di Vigilio, vescovo di Tarso, osserva che si deve riferire al tempo di questa riunione di S. Pietro e degli Apostoli ad Antiochia, quanto S. Luca scrive negli atti, là dove afferma che alle numerose conversioni di gentili, si incominciò a chiamare i discepoli di Cristo con l’appellativo, di Cristiani.

Le tre Cattedre di S. Pietro.

Dunque Antiochia è diventata la sede di Pietro, nella quale egli risiede, e dalla quale partirà per evangelizzare le diverse province dell’Asia; qui farà ritorno per ultimare la fondazione di questa nobile Chiesa. Sembrava che Alessandria, la seconda città dell’impero, volesse rivendicare a sé l’onore della sede del primato, quando piegò la testa sotto il gioco di Cristo. Ma ormai Roma, da tempo predestinata dalla divina Provvidenza a dominare il mondo, ne avrà maggior diritto. Pietro allora si metterà in cammino, portando nella sua persona i destini della Chiesa; si fermerà a Roma, ove morirà e lascerà la sua successione. Nell’ora segnata, si distaccherà da Antiochia e stabilirà vescovo Evodio, suo discepolo. Questi, quale successore di Pietro, sarà Vescovo di Antiochia; ma la sua Chiesa non eredita il primato che Pietro porta con sè. Il principe degli Apostoli designa Marco, suo discepolo, a prender in suo nome possesso di Alessandria; la quale sarà la seconda Chiesa dell’universo e precederà la stessa sede di Antiochia, per volontà di Pietro, che però non ne occupò mai personalmente la sede. Egli è diretto a Roma: ivi finalmente, fisserà la Cattedra sulla quale vivrà, insegnerà e governerà nei suoi successori. – Questa l’origine delle tre grandi Cattedre Patriarcali così venerate anticamente: la prima, Roma, investita della pienezza dei diritti del principe degli Apostoli, che gliele trasmise morendo; la seconda, Alessandria, che deve la sua preminenza alla distinzione di cui volle insignirla Pietro adottandola per sua seconda sede; la terza, Antiochia, sulla quale si assise di persona, allorché, rinunciando a Gerusalemme, volle portare alla Gentilità le grazie dell’adozione. – Se dunque Antiochia cede in superiorità ad Alessandria, quest’ultima le è inferiore rispetto all’onore d’aver posseduta la persona di colui che Cristo aveva investito dell’ufficio di Pastore supremo. E’ dunque giusto che la Chiesa onori Antiochia per aver avuto la gloria d’essere temporaneamente il centro della cristianità: è questo il significato della festa che oggi celebriamo (i).

Doveri verso la Cattedra di S. Pietro.

Le solennità che si riferiscono a S. Pietro devono interessare in modo speciale i figli della Chiesa. La festa del padre è sempre quella dell’intera famiglia, perché da lui viene la vita e l’essere. Se ‘è un solo gregge, è perché esiste un solo Pastore. Onoriamo perciò la divina prerogativa di Pietro, alla quale il Cristianesimo deve la sua conservazione; riconosciamo gli obblighi che abbiamo verso la Sede Apostolica. Il giorno che celebravamo la Cattedra Romana, apprendemmo come viene insegnata, conservata e propagata la Fede dalla Chiesa Madre nella quale risiedono le promesse fatte a Pietro. Onoriamo oggi la Sede Apostolica, quale unica sorgente del legittimo potere, mediante il quale vengono retti e governati i popoli in ordine alla salvezza eterna.

Poteri di Pietro.

Il Salvatore disse a Pietro: « Io ti darò le Chiavi del Regno dei cieli » (Mt. XVI, 19), cioè della Chiesa; ed ancora: « Pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle» (Gv. XXI, 15-17). Pietro dunque è principe, perché le Chiavi, nella Sacra Scrittura, significano il principato; e Pastore, Pastore universale, perché non vi sono in seno al gregge che pecore ed agnelli. Ma ecco che, per divina bontà, in ogni parte incontriamo Pastori: i Vescovi, « posti dallo Spirito Santo a reggere la Chiesa di Dio » (Atti XX, 28), che in suo nome governano le cristianità, e sono anch’essi Pastori. Come mai le Chiavi, che sono eredità di Pietro, si trovano in altre mani, che non sono le sue? La Chiesa cattolica ce ne spiega il mistero nei documenti della sua Tradizione. (1) Facemmo osservare il 18 gennaio che, secondo l’antica tradizione romana, conservata inalterata sino al XVI secolo, oggi si celebrava la festa della Cattedra romana di S. Pietro, senza il menomo cenno di Antiochia, perché ci si limitava a venerare la Cattedra vaticana, simbolo del primato universale di S. Pietro e dei suoi successori. Le Chiese delle Gallie, escludendo qualsiasi solennità in Quaresima, avevano trasferita tale festa al 18 gennaio. Da tre secoli a questa parte, fu la pietà verso il Principe degli Apostoli che suggerì di estendere gli onori dovuti alla sua parola anche alla Cattedra di Antiochia. – Ecco Tertulliano affermare che « il Signore diede le Chiavi a Pietro, e per mezzo suo alla Chiesa » (Scorpiaco, c. 10); S. Ottato di Milevi, aggiungere che, « per il bene dell’unità, Pietro fu preferito agli altri Apostoli, e, solo, ricevette le Chiavi del Regno dei cieli per trasmetterle agli altri » (Contro Parminiano, 1. 8); S. Gregorio Nisseno, dichiarare che « per mezzo di Pietro, Cristo comunicò ai Vescovi le Chiavi della loro celeste prerogativa» (Opp., t. 3); e infine S. Leone Magno, precisare che « il Salvatore diede per mezzo di Pietro agli altri prìncipi della Chiesa tutto ciò che ha creduto opportuno di comunicare » (Nell’anno della sua elevazione al Sommo Pontificato, Discorso 4, P. L., 54, c. 150).

Poteri dei Vescovi.

Quindi l’Episcopato rimarrà sempre sacro, perché si ricollega a Gesù Cristo per mezzo di Pietro e dei suoi successori; ed è ciò che la Tradizione cattolica ha sempre affermato nella maniera più imponente, plaudendo al linguaggio dei Pontefici Romani, che non hanno mai cessato di dichiarare, sin dai primi secoli, che la dignità dei Vescovi era quella di compartecipare alla propria sollecitudine, “in partem sollicitudinis vocatos”. Per tale ragione S. Cipriano non ebbe difficoltà d’affermare che, « volendo il Signore stabilire la dignità episcopale e costituire la sua Chiesa, disse a Pietro: Io ti darò le Chiavi del Regno dei cieli; e da ciò deriva l’istituzione dei Vescovi e la costituzione della Chiesa » (Lettera 33). – La stessa cosa ripete, dopo il vescovo di Cartagine, S. Cesario d’Arles, nelle Gallie, nel V secolo, quando scrive al Papa S. Simmaco: « Poiché l’Episcopato attinge la sua sorgente nella persona del beato Pietro Apostolo, ne consegue necessariamente che tocca a Vostra Santità prescrivere alle diverse Chiese le norme alle quali esse si devono conformare » (Lettera 10). Questa fondamentale dottrina, che S. Leone Magno espresse con tanta autorità ed eloquenza, e che in altre parole è la stessa che abbiamo ora esposta mediante la Tradizione, la vediamo imposta a tutte le Chiese, prima di S. Leone, nelle magnifiche Epistole di S. Innocenzo I arrivate fino a noi. In questo senso egli scrive al concilio di Cartagine che « l’Episcopato ed ogni sua autorità emanano dalla Sede Apostolica » {Ibid. 29) ; al concilio di Milevi che « i Vescovi devono considerare Pietro come la sorgente del loro appellativo e della loro dignità » {Ibid. 30) ; a San Vitricio, Vescovo di Rouen, che « l’Apostolato e l’Episcopato traggono da Pietro la loro origine » (Ibid. 2). – Non abbiamo qui l’intenzione di fare un trattato polemico; il nostro scopo, nel presentare i magnifici titoli della Cattedra di Pietro, non è altro che quello di alimentare nel cuore dei fedeli quella venerazione e devozione da cui devono essere animati verso di lei. Ma è necessario ch’essi conoscano la sorgente dell’autorità spirituale, che nei diversi gradi di gerarchia li regge e li santifica. Tutto passa da Pietro, tutto deriva dal Romano Pontefice, nel quale Pietro si perpetuerà fino alla consumazione dei secoli. Gesù Cristo è il principio dell’Episcopato,lo Spirito Santo stabilisce i Vescovi, ma la missione, l’istituzione che assegna al Pastore il suo gregge ed al gregge il proprio Pastore, Gesù Cristo e lo Spirito Santo le comunicano attraverso il ministero di Pietro e dei suoi successori.

Trasmissione del potere delle Chiavi.

Com’è sacra e divina questa autorità delle Chiavi, che, discendendo dal cielo nel Romano Pontefice, da lui, attraverso i Prelati della Chiesa, scende su tutta la società cristiana ch’egli deve reggere e santificare! Il modo di trasmissione attraverso la Sede Apostolica ha potuto variare secondo i secoli; ma mai alcun potere fu emanato se non dalla Cattedra di Pietro. A principio vi furono tre Cattedre: Roma, Alessandria, Antiochia; tutte e tre, sorgenti dell’istituzione canonica per i Vescovi che le riguardano; ma tutte e tre considerate altrettante Cattedre di Pietro da lui fondate per presiedere, come insegnano S. Leone (Lettera 104 ad Anatolio), S. Gelasio (Concilio Romano, Labbe, t. 4) e S. Gregorio Magno (Lettera ad Eulogio). Ma, delle tre Cattedre, il Pontefice che sedeva sulla prima aveva ricevuto dal cielo la sua istituzione, mentre gli altri due Patriarchi non esercitavano la loro potestà se non perché riconosciuti e confermati da chi era succeduto a Roma sulla Cattedra di Pietro. Più tardi, a queste prime tre, si vollero aggiungere due nuove Sedi: Costantinopoli e Gerusalemme; ma non arrivarono a tale onore, se non col beneplacito del Romano Pontefice. Inoltre, affinché gli uomini non corressero pericolo di confondere le accidentali distinzioni di cui furono ornate quelle diverse Chiese, con la prerogativa della Chiesa Romana, Dio permise che le Sedi d’Alessandria, d’Antiochia, di Costantinopoli e di Gerusalemme fossero contaminate dall’eresia; e che divenute altrettante Cattedre di errore, dal momento che avevano alterata la fede trasmessa loro da Roma con la vita, cessassero di tramandare la legittima missione. Ad una ad una, i nostri padri videro cadere quelle antiche colonne, che la mano paterna di Pietro aveva elevate; ma la loro rovina ancora più solennemente attesta quanto sia solido l’edificio che la mano di Cristo fondò su Pietro. – D’allora, il mistero dell’unità s’è rivelato in una luce più grande; e Roma, avocando a sé i favori riversati sulle Chiese che avevano tradita la Madre comune, apparve con più chiara evidenza l’unico principio del potere pastorale.

Doveri di rispetto e sudditanza.

Spetta dunque a noi, sacerdoti e fedeli, ricercare la sorgente dalla quale i nostri pastori attinsero i poteri, e la mano che trasmise loro le Chiavi. Emana la loro missione dalla Sede Apostolica ? Se è così, essi vengono da parte di Gesù Cristo, che, per mezzo di Pietro, affidò loro la sua autorità, e quindi dobbiamo onorarli ed esser loro soggetti. – Se invece si mostrano a noi senza essere investiti del Mandato del Romano Pontefice, non seguiamoli, ché Cristo non li riconosce. Anche se rivestono il sacro carattere conferito dall’unzione episcopale, non rientrano affatto nell’Ordine Pastorale; e le pecore fedeli se ne devono allontanare.Infatti, il divino Fondatore della Chiesa non si contentò d’assegnarle la visibilità come nota essenziale, perché fosse una Città edificata sul monte (Mt. V, 14) e colpisse chiunque la guardasse; Egli volle pure che il potere divino esercitato dai Pastori derivasse da una visibile sorgente, affinché ogni fedele potesse verificare le attribuzioni di coloro che a lui si presentano a reclamare la propria anima in nome di Gesù Cristo. Il Signore non poteva comportarsi diversamente verso di noi, poiché, dopo tutto, nel giorno del giudizio Egli esigerà che siamo stati membri della sua Chiesa e che abbiamo vissuto, nei suoi rapporti, mediante il ministero dei suoi Pastori legittimi. Onore, perciò, e sottomissione a Cristo nel suo Vicario; onore e sottomissione al Vicario di Cristo nei Pastori che manda.

Elogio.

Gloria a te, o Principe degli Apostoli, sulla Cattedra di Antiochia, dall’alto della quale presiedesti ai destini della Chiesa universale! Come sono splendide le tappe del tuo Apostolato! Gerusalemme, Antiochia, Alessandria nella persona di Marco tuo discepolo, e finalmente Roma nella tua stessa persona; ecco le città che onorasti con la tua augusta Cattedra. Dopo Roma, non vi fu città alcuna che ti ebbe per sì lungo tempo come Antiochia ; è dunque giusto che rendiamo onore a quella Chiesa che, per tuo mezzo fu un tempo madre e maestra delle altre. Ahimè! oggi essa ha perduto la sua bellezza, la fede è scomparsa nel suo seno, e il giogo del Saraceno pesa su di lei. Salvala, o Pietro, e reggila ancora; assoggettala alla Cattedra di Roma, sulla quale ti sei assiso, non per un limitato numero di anni, ma fino alla consumazione dei secoli. Immutabile roccia della Chiesa, le tempeste si sono scatenate contro di te, e più d’una volta abbiamo visto coi nostri occhi la Cattedra immortale essere momentaneamente trasferita lontano da Roma [come pure è attualmente in esilio . ndr. -]. Ci ricordavamo allora della bella espressione di S. Ambrogio: Dov’è Pietro, ivi è la Chiesa, e i nostri cuori non si turbarono; perchè sappiamo che fu per ispirazione divina che Pietro scelse Roma come il luogo dove la sua Cattedra poggerà per sempre. Nessuna volontà umana potrà mai separare ciò che Dio legò; il Vescovo di Roma sarà sempre il Vicario di Gesù Cristo e il Vicario di Gesù Cristo, sebbene esiliato [come è oggi appunto – ndr. – ] dalla sacrilega violenza dei persecutori, rimarrà sempre il Vescovo di Roma.

Preghiera.

Calma le tempeste, o Pietro, affinché i deboli non ne siano scossi; ottieni dal Signore che la residenza del tuo successore non venga mai interrotta nella città che tu eleggesti ed innalzasti a tanti onori. – Se gli abitanti di questa città regina hanno meritato d’essere castigati perché dimentichi di ciò che ti devono, risparmiali per riguardo dell’universo cattolico, e fa’ che la loro fede, come al tempo in cui Paolo tuo fratello indirizzava la sua Epistola, torni ad essere famosa in tutto il mondò (Rom. I, 8).

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Rileggendo questo notevole scritto di dom Guéranger si possono chiarire e comprendere meglio tante cose che riguardano i nostri tempi circa l’importanza della figura del Pontefice romano, oggi tanto bistrattata dagli eretici “falsi tradizionalisti” sedevacantisti, e dagli “adepti della setta modernista” guidata dagli antipapi marrani che dal 1958 occupano indegnamente e fraudolentemente la gloriosa Cattedra di Pietro. Soprattutto significativo, e fondamentale per la salvezza dell’anima, è il passaggio ove precisa: “Se invece si mostrano a noi senza essere investiti del Mandato del Romano Pontefice, non seguiamoli, ché Cristo non li riconosce. Ma, come da promessa evangelica e da infallibile Magistero ecclesiastico, il successore di Pietro [quello vero] c’è, anche se non a Roma, e si avvia a compiere [il 3 maggio] il suo 26° anno di Pontificato, uno dei più lunghi della storia della Chiesa, dopo S. Pietro, Pio IX e Gregorio XVII. Lunga vita al nostro Santo Padre, GREGORIO XVIII, con la speranza che possa nuovamente occupare, e quanto prima, la Cattedra usurpata, … o almeno il suo prossimo successore …

Dal Divinum Officium:

I lett. di S. Pietro

Pietro, Apostolo di Gesù Cristo, ai fedeli esuli sparsi per il Ponto, per la Galizia, la Cappadocia, l’Asia e Bitinia, Eletti, secondo la prescienza di Dio Padre, ad essere santificati dallo Spirito, ad essere sudditi di Gesù Cristo, e ad essere aspersi dal suo sangue: Grazia e pace scendano in abbondanza su voi. Benedetto Dio, Padre di nostro Signor Gesù Cristo, che, nella sua grande misericordia, ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo da morte, alla viva speranza di possedere Una eredità incorruttibile, e incontaminata, e immarcescibile, riservata nei cieli per voi che dalla potenza di Dio siete custoditi, mediante la fede per la salvezza, che è pronta a manifestarsi colla fine del tempo. In questo (pensiero) voi esulterete, sia pure che dobbiate essere ora per poco afflitti da diverse prove: affinché la prova della vostra fede molto più preziosa dell’oro (che pur si prova col fuoco) torni a lode, a gloria e ad onore quando si manifesterà Gesù Cristo: che voi amate senza aver veduto: in cui anche adesso credete senza vederlo: e, credendo così, esulterete di gioia ineffabile e beata perché conseguirete il fine della vostra fede, la salvezza delle anime. 10 Salvezza che ricercarono e scrutarono i profeti, che predissero la grazia che voi dovevate ricevere; 11 E siccome essi indagavano il tempo e le circostanze che lo Spirito di Cristo, ch’era in essi, andava rivelando intorno alle sofferenze di Cristo e alle glorie susseguenti, 12 Che prediceva loro, fu ad essi rivelato che non per sé ma per voi essi erano dispensatori delle cose che ora vi sono state annunziate da quelli che vi hanno predicato il Vangelo, mercé lo Spirito Santo mandato dal cielo, e che gli Angeli bramano di contemplare.

Sermone di sant’Agostino Vescovo

Sermone 15 sui Santi

L’istituzione dell’odierna solennità ricevé dai nostri antenati il nome di Cattedra, perché è tradizione che Pietro, principe degli Apostoli, prendesse possesso quest’oggi della sua sede episcopale. I fedeli perciò, con ragione, celebrano l’origine di quella Sede onde l’Apostolo fu investito per la salute delle chiese con quelle parole del Signore: «Tu sei Pietro, e su questa pietra io edificherò la mia Chiesa» (Matth. XVI, 18). – Il Signore dunque ha chiamato Pietro il fondamento della Chiesa: ed è perciò che la Chiesa venera giustamente questo fondamento sul quale poggia tutto l’edificio ecclesiastico. Quindi ben a ragione si dice nel Salmo ch’è stato letto: «Lo esaltino nell’adunanza del popolo, e lo lodino nel consesso dei seniori» (Ps. 106, 32). Benedetto Dio, che prescrive d’esaltare il beato Pietro Apostolo nell’adunanza del fedeli; è giusto infatti che la Chiesa veneri questo fondamento per cui si sale al cielo. – Celebrando dunque quest’oggi l’origine della Cattedra, noi onoriamo il ministero sacerdotale. Le chiese si rendono questo mutuo onore, comprendendo esse che la Chiesa tanto più cresce in dignità, quanto più viene onorato il ministero sacerdotale. Avendo dunque una pia usanza introdotto giustamente nelle chiese questa solennità, mi meraviglio delle grandi proporzioni che ha preso oggi un pernicioso errore tutto pagano, di portare cioè sulle tombe dei defunti dei cibi e del vino, come se le anime, che hanno abbandonato i loro corpi, reclamassero questi cibi propri della carne.

Omelia di san Leone Papa

Sermone 3 nell’anniversario della sua elezione, dopo il principio

Il Signore domanda agli Apostoli, chi dicesse la gente ch’egli sia: e la loro risposta è comune finché essi esprimono l’incertezza dello spirito degli uomini. Ma appena interroga i discepoli sul proprio sentire, il primo in dignità fra gli Apostoli è il primo ancora a confessare il Signore. Ed avendo egli detto: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Matth. 16, 16); Gesù gli rispose: «Beato te, Simone, figlio di Giona, perché non te l’ha rivelato la natura e l’istinto, ma il Padre mio ch’è nei cieli» (Matth. 16, 17). Vale a dire: Perciò tu sei beato, perché te l’ha insegnato il Padre mio; non sei stato ingannato dall’opinione terrena, ma te l’ha dichiarato l’ispirazione celeste: e non la natura e l’istinto mi ti han fatto conoscere, ma colui del quale sono il Figlio unigenito. – «E io, continua, ti dico» (Matth. XVI, 18); cioè: Come il Padre mio ti ha manifestato la mia divinità, così io pure ti faccio conoscere la tua propria eccellenza. Perché tu sei Pietro: cioè: Mentre io sono la pietra inviolabile, la pietra angolare che di due (popoli) ne faccio uno, io il fondamento all’infuori del quale nessuno può porne altro; tuttavia anche tu sei pietra, essendo confermato dalla mia virtù, così che quanto m’appartiene di proprio, quanto al potere, ti sia comune per la mia partecipazione. «E su questa pietra io edificherò la mia Chiesa, e le porte dell’inferno non prevarranno contro di lei» (Matth. 1XVI 18): Su questa fortezza, dice, edificherò un tempio eterno; e la sublimità della mia Chiesa, che deve penetrare il cielo, si eleverà sulla fermezza di questa fede. – Le porte dell’inferno non impediranno mai questa confessione (di Pietro), né la legheranno punto le catene della morte; poiché questa parola è parola di vita. E come essa innalza al cielo i suoi confessori, così ne sommerge nell’inferno i negatori. Perciò dice al beatissimo Pietro: «Ti darò le chiavi del regno dei cieli: e qualunque cosa legherai sulla terra, sarà legata anche nei cieli; e qualunque cosa scioglierai sulla terra, sarà sciolta anche nei cieli» (Matth. 1XVI, 19). Certo, questo potere fu comunicato anche agli altri Apostoli, e questo decreto costitutivo riguarda egualmente tutti i principi della Chiesa; ma confidando questa prerogativa, non senza motivo il Signore s’indirizza a uno solo, benché parli a tutti. Essa è affidata particolarmente a Pietro, perché Pietro è stabilito capo di tutti i pastori della Chiesa. Il privilegio dunque di Pietro sussiste in ogni giudizio portato in virtù della sua legittima autorità. E non c’è eccesso né di severità né di indulgenza, dove non si lega né si scioglie se non ciò che il beato Pietro avrà sciolto o legato.

 

Hymnus

“Beate Pastor, Petre, clemens accipe Voces precantum, criminumque vincula Verbo resolve, cui potestas tradita Aperire terris caelum, apertum claudere. Sit Trinitati sempiterna gloria, Honor, potestas, atque jubilatio, In unitate, quae gubernat omnia, Per universa aeternitatis sæcula. Amen.”

[Beato Pietro Pastore, accogli clemente le voci dei supplicanti, e spezza con una parola le catene dei peccati, tu cui fu dato il potere di aprire il cielo alla terra, e di chiuderlo se aperto. Alla Trinità sia sempiterna gloria, onore, potere e giubilo, la quale nella (sua) unità governa ogni cosa, per tutti i secoli eterni. Amen.]

Hymnus [ai Vespri]

Quodcumque in orbe nexibus revinxeris, Erit revinctum, Petre, in arce siderum: Et quod resolvit hic potestas tradita, Erit solutum caeli in alto vertice; In fine mundi judicabis sæculum. Patri perenne sit per ævum gloria, Tibique laudes concinamus inclytas, Aeterne Nate, sit superne Spiritus, Honor tibi, decusque: sancta jugiter Laudetur omne Trinitas per sæculum. Amen.”

[Tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato, o Pietro, nella rocca celeste: e tutto ciò che scioglierà quaggiù il potere concessoti, sarà sciolto nelle altezze del cielo: alla fine del mondo tu giudicherai il secolo. Al Padre eterno sia perenne gloria; e a te, Figlio eterno, noi cantiamo insigni lodi; a te, Spirito Santo, sia onore e splendore: la santa Trinità sia ognor lodata per tutti i secoli Amen.]

… et super hanc petram ædificabo Ecclesiam meam, et portæ inferi non prævalebunt adversus eam

S. SIMEONE VESCOVO E MARTIRE

SIMEONE VESCOVO E MARTIRE

18 FEBBRAIO.

Narra una pia leggenda che S. Simeone fosse figlio di una cugina della S. Madonna. Quello che è certo, si è che era cugino del Signore, secondo la testimonianza del S. Vangelo, e compreso fra quelli che sono chiamati « Fratelli di Gesù » (Matth. XIII, 55). – Nacque otto o nove anni prima di Gesù Cristo e non può dubitarsi che ben presto lo seguisse assieme ai suoi genitori. Divenne poi discepolo fedele nella sua vita pubblica, e si dedicò con ardore alla predicazione. Il dì di Pentecoste anch’egli ebbe l’inestimabile fortuna di trovarsi presente nel Cenacolo con Maria e gli altri Apostoli a ricevere lo Spirito Santo. – Quando nel 62 i giudei ebbero ucciso San Giacomo suo fratello, primo Vescovo di Gerusalemme, egli vi fu eletto per unanime consenso degli Apostoli e dei discepoli riuniti per l’elezione. – Sotto il suo Episcopato i Romani, stanchi delle continue insurrezioni dei giudei, deliberarono di distruggere la città. Fu allora che il Signore avvertì i pochi cristiani d’uscire di città col proprio pastore. Docili al miracoloso avviso, essi partirono e si recarono a Pella, piccola città posta al di là del Giordano. L’anno 66 infatti, Vespasiano assediò la città e la distrusse. Ma appena le orde romane abbandonarono la città distrutta, i fedeli ripassarono il Giordano ed andarono ad abitare fra quelle rovine e in tal modo rifiorì in breve la Chiesa. – Il Signore poi con miracoli la glorificò e lo zelo di S. Simone si raddoppiò sì che una gran parte di giudei passarono alla nuova religione, unica e vera. Le conversioni, dopo d allora si moltiplicarono ogni giorno riempiendo di santa letizia il cuore dell’ormai vegliardo vescovo. – Ma quella canizie venne presto turbata dal sorgere di due eresie: quella dei Nazareni e quella degli Ebioniti. – Quelli ritenevano che Cristo non fosse vero Dio; questi aggiungevano ancora che certi peccati, anche gravi erano leciti. – Intanto Traiano aveva emanato un editto di ricerca e seguente condanna a morte dei discendenti del Re Davide, perché erano troppo turbolenti e perché troppo spesso insorgevano. – S. Simeone, che già era sfuggito alle ricerche di Vespasiano, imperatore precedente, questa volta fu accusato dagli eretici e dagli stessi giudei. Arrestato per parecchi giorni fu torturato da crudeli tormenti, destando stupore negli stessi persecutori per la sua coraggiosa resistenza. Lusingato da certuni a rinunziare alla religione cristiana, egli rispondeva: — Oh, stolti che siete! Per quattro giorni di cui potrei allungare la mia vecchiaia, dovrò prepararmi un’eternità di tormenti? Ah, non sarà mai! Dopo tanti supplizi fu crocifisso come il suo divin Maestro e questo egli stimò grande grazia, onore e premio. – Era l’anno 106; contava 120 anni di vita ed era l’ultimo superstite dei discepoli del Signore.

PRATICA. — Varrebbe nulla essere anche cugini del Signore, se poi non stessimo ai suoi insegnamenti, se non seguissimo i suoi esempi, se non usassimo dei SS. Sacramenti da Lui istituiti a nostra santificazione! Per farci santi, questo basta.

PREGHIERA. — Riguarda, Dio onnipotente, alla nostra debolezza: e perché il peso del nostro mal operato è grave, ci protegga la gloriosa intercessione del tuo beato Vescovo e Martire Simeone. Così sia.

CONVERSIONE DI SAN PAOLO

25 GENNAIO

CONVERSIONE DI SAN PAOLO

Uno dei più gloriosi trionfi della grazia divina è senza dubbio la Conversione di S. Paolo, di cui la Chiesa oggi celebra una festa in particolare. S. Paolo era giudeo della tribù di Beniamino. Fu circonciso l’ottavo giorno dopo la sua nascita, ed ebbeil nome di Saulo. Apparteneva come il padre alla setta dei farisei; setta la più rigorosa, ma nello stesso tempo la più depravante. – I suoi genitori lo mandarono per tempo a Gerusalemme, alla scuola di Gamaliele, celebre dottore in legge. Sotto questa sapiente guida Saulo si abituò alla più esatta osservanza della legge Mosaica. Questo zelo fu quello appunto che fece di Saulo un bestemmiatore e il persecutore più terribile dei seguaci di Gesù. Ecco noi lo vediamo nella lapidazione di Stefano custodire le vesti dei lapidatori non potendo far altro per mancanza dell’età prescritta; egli stesso però lapidava nel suo cuore non solo Stefano, ma tutti i cristiani, avendo in mente una sola cosa: sradicare dalle fondamenta la Chiesa di Dio e propagare in tutto il mondo il giudaismo. – Con questo zelo quindi non vi è niente da stupire se fu uno di più crudeli, anzi il più terribile ministro nella persecuzione che si eccitò contro i cristiani di Gerusalemme. Saulo fu il promotore e capo di questa persecuzione e ben presto fece scomparire i cristiani che colà si trovavano o imprigionandoli o bandendoli; ma non ancora pago di ciò chiese lettere autorizzative al Sommo Sacerdote per poter far strage anche dei cristiani rifugiatisi in Damasco. Qui però il Signore l’attendeva; qui la grazia divina doveva mostrare la sua potenza. – Eccolo pertanto sulla via di Damasco, scortato da buona mano di arcieri, tutto spirante furore e vendetta. – Ma d’improvviso una fulgida luce l’abbaglia e l’acceca; una forza misteriosa lo balza da cavallo ed ode una voce celestiale: « Saulo, Saulo! perchè mi perseguiti? » — E chi sei tu? risponde Saulo, meravigliato e spaventato ad un tempo. Ed il Signore a lui: — Io sono quel Gesù che tu perseguiti. — E che vuoi ch’io faccia, o Signore? chiede Saulo interamente mutato dalla grazia. — Va in Damasco, gli rispose il Signore benignamente, colà ti mostrerò la mia volontà. – Saulo si alza, ed essendo cieco si fa condurre a Damasco, dove rimane per tre giorni in rigoroso digiuno e in continua orazione. Al terzo giorno Anania, capo della Chiesa Damascena per rivelazione di Dio si porta nel luogo dove si trovava Saulo, lo battezza, cangiandogli il nome di Saulo in Paolo. – Da quel momento in Paolo non regna più il primitivo naturale: la grazia di Dio incomincia la sua opera santificatrice per formare il vaso di elezione, l’apostolo delle genti. – Paolo docile ai voleri di Dio tanto crebbe nell’amore di Gesù che arrivò a dire: e chi mi separerà dalla carità del mio Gesù? forse la persecuzione? la fame? i sacrifici o la morte? Ah, no, né vita né morte, né presente, né futuro saranno capaci di separarmi da quel Gesù per cui vivo, per cui lavoro e col quale sono crocifisso. – Egli sarà la mia corona perché non sono già io che vivo, ma è Gesù che vive in me.

PRATICA. — Iddio permette nella Chiesa le persecuzioni affinché potata la sua vigna, produca poi frutti più abbondanti. (S. Agostino).

PREGHIERA. — Dio, che con la predicazione del beato Apostolo Paolo hai istruito il mondo universo; deh! fa, che mentre oggi veneriamo la sua conversione, per i suoi esempi veniamo a te. Così sia.

CONVERSIONE DI SAN PAOLO 

[Dom Guéranger: l’Anno liturgico, vol. I]

Abbiamo visto la Gentilità, rappresentata ai piedi dell’Emmanuele dai Re Magi, offrire i suoi mistici doni e ricevere in cambio i doni preziosi della fede, della speranza e della carità. La messe dei popoli è ormai matura; è tempo che il mietitore vi ponga la falce. Ma chi sarà questo operaio di Dio? Gli Apostoli di Cristo non hanno ancora lasciata la Giudea. Tutti hanno la missione di annunciare la salvezza fino agli estremi confini del mondo, ma nessuno fra loro ha ancora ricevuto il carattere speciale di Apostolo dei Gentili. Pietro, l’Apostolo della Circoncisione, è destinato particolarmente, al pari di Cristo, alle pecore smarrite della casa d’Israele (Mt. XV, 24). Tuttavia siccome è il capo e il fondamento, spetta a lui aprire la porta della Chiesa ai Gentili, e lo fa solennemente, conferendo il Battesimo al centurione romano Cornelio. – Intanto la Chiesa si prepara: il sangue del Martire Stefano e la sua ultima preghiera otterranno un nuovo Apostolo: l’Apostolo delle Genti. Saulo, cittadino di Tarso, non ha visto Cristo nella sua vita mortale e soltanto Cristo può fare un Apostolo. Dall’alto dei cieli dove regna impassibile e glorificato. Gesù chiamerà Saulo alla sua scuola, come chiamò negli anni della sua predicazione a seguire i suoi passi e ad ascoltare la sua dottrina i pescatori del lago di Genezareth. Il Figlio di Dio rapirà Paolo infino al terzo cielo, e gli rivelerà tutti i suoi misteri; e quando Saulo avrà avuto modo, come egli narra, di vedere Pietro (Gal. 1, 18) e di paragonare con il suo il proprio Vangelo, potrà dire :« Io non sono meno apostolo degli altri Apostoli ». – È appunto nel giorno della Conversione di Saulo che ha inizio questa grande opera. È oggi che risuona quella voce che spezza i cedri del Libano (Sal. XXVIII, 5), e la cui immensa forza fa del Giudeo persecutore innanzitutto un cristiano, nell’attesa di farne un Apostolo. Questa meravigliosa trasformazione era stata vaticinata da Giacobbe allorché sul letto di morte svelava l’avvenire di ciascuno dei suoi figli, nelle tribù che dovevano uscire da essi. Giuda ebbe i più alti onori: dalla sua stirpe regale doveva nascere il Redentore, l’atteso delle genti. Beniamino fu annunciato a sua volta sotto caratteristiche più umili, ma pure gloriose: sarà l’avo di Paolo, e Paolo l’Apostolo delle genti. Il santo vegliardo aveva detto : « Beniamino é un lupo rapace: al mattino si prende la preda; ma alla sera distribuisce il bottino » (Gen. XLIX, 27). Colui che nell’ardore della sua adolescenza si scaglia come un lupo spirante minaccia e strage all’inseguimento delle pecore di Cristo, non é forse – come dice sant’Agostino (Disc. 278) – Saulo sulla via di Damasco, portatore ed esecutore degli ordini dei pontefici del Tempio e tutto ricoperto del sangue di Stefano che egli ha lapidato con le mani di coloro ai quali custodiva le vesti? Colui che, alla sera, non rapisce più le spoglie del giusto, ma con mano caritatevole e pacifica distribuisce agli affamati il cibo vivificante, non é forse Paolo, Apostolo di Gesù Cristo, bruciante d’amore per i suoi fratelli, e che si fa tutto a tutti, fino a desiderare di essere anatema per essi? – Questa é la forza vittoriosa dell’Emmanuele, forza sempre crescente e alla quale nulla può resistere. Se egli vuole come primo omaggio la visita dei pastori, li fa chiamare dai suoi angeli le cui dolci note sono bastate per condurre quei cuori semplici alla mangiatoia dove giace sotto poveri panni la speranza d’Israele. Se desidera l’omaggio dei principi della Gentilità, fa spuntare in cielo una stella simbolica, la cui apparizione, aiutata dall’intimo moto dello Spirito Santo, fa decidere quegli uomini a venire dal lontano Oriente a deporre ai piedi d’un bambino i loro doni e i loro cuori. – Quando è giunto il momento di formare il Collegio Apostolico, cammina sulle rive del mar di Tiberiade, e basta la sola parola: Seguitemi, per legare a lui gli uomini che ha scelti. In mezzo alle umiliazioni della sua Passione, un suo sguardo cambia il cuore del discepolo infedele. Oggi, dall’alto dei Cieli, compiuti tutti i misteri, volendo mostrare che Egli solo è maestro dell’Apostolato e che la sua alleanza con i Gentili è consumata, si manifesta a quel Fariseo che vorrebbe distruggere la Chiesa; spezza quel cuore di Giudeo e crea con la sua grazia un nuovo cuore d’Apostolo, un vaso di elezione, quel Paolo che dirà d’ora in poi : « Vivo, ma non son già io, bensì Cristo che vive in me» (Gal. II, 20). – Ma era giusto che la commemorazione di quel grande evento venisse a porsi non lontano dal giorno in cui la Chiesa celebra il trionfo del Protomartire. Paolo è la conquista di Stefano. Se l’anniversario del suo martirio s’incontra in un altro periodo dell’anno (29 giugno), non poteva fare a meno di apparire accanto alla culla dell’Emmanuele, come il più splendido trofeo del Protomartire; i Magi esigevano anche il conquistatore della Gentilità di cui formavano le primizie. – Infine, per completare la corte del nostro grande Re, era giusto che si elevassero ai lati della mangiatoia le due potenti colonne della Chiesa, l’Apostolo dei Giudei e l’Apostolo dei Gentili: Pietro con le chiavi e Paolo con la spada. Betlemme ci sembra allora ancor più l’immagine della Chiesa, e le ricchezze della liturgia in questa stagione ci appaiono più belle che mai. – Noi ti rendiamo grazie, o Gesù, perché hai oggi abbattuto il tuo nemico con la tua potenza, e l’hai risollevato con la tua misericordia. Tu sei veramente il Dio forte, e meriti che ogni creatura celebri le tue vittorie. Come son meravigliosi i tuoi piani per la salvezza del mondo! Tu associ gli uomini all’opera della predicazione della tua parola e alla dispensa dei tuoi misteri; e per rendere Paolo degno di tale onore, usi tutte le risorse della grazia. Ti compiaci di fare dell’assassino di Stefano un Apostolo, perché il tuo potere si mostri a tutti gli occhi, il tuo amore per le anime appaia nella sua più gratuita generosità, e sovrabbondi la grazia dove abbondò il peccato. Visitaci spesso, o Emmanuele, con questa grazia che cambia i cuori, perché noi desideriamo la vita in larga misura, ma sentiamo che il suo principio è così spesso sul punto di sfuggirci. Convertici come hai convertito l’Apostolo e assistici quindi, poiché senza di Te noi non possiamo far nulla. Previenici, seguici, accompagnaci, non lasciarci mai, e come ci hai dato il principio, così assicuraci la perseveranza sino alla fine. Concedici di riconoscere, con timore ed amore, quel dono della grazia che nessuna creatura potrebbe meritare, e al quale tuttavia una volontà creata può fare ostacolo. Noi siamo prigionieri: solo Tu possiedi lo strumento con l’aiuto del quale possiamo infrangere le nostre catene. Tu lo poni nelle nostre mani, dicendoci di usarlo: sicché la nostra liberazione è opera tua e non nostra, e la nostra prigionia, se continua, si deve attribuire soltanto alla nostra negligenza e alla nostra viltà. Dacci, o Signore, questa grazia; e degnati di ricevere la promessa di associarvi umilmente la nostra cooperazione. – Aiutaci, o san Paolo, a corrispondere ai disegni della misericordia di Dio su di noi; fa’ che siamo soggiogati dalla dolcezza di Gesù. Non udiamo la sua voce, la sua luce non colpisce i nostri occhi, ma leva il suo lamento perché troppo spesso Lo perseguitiamo. – Ispira ai nostri cuori la tua preghiera: « Signore, che vuoi che io faccia ? ». Ci risponderà di essere semplici e bambini come Lui, di riconoscere il suo amore, di finirla con il peccato, di combattere le cattive inclinazioni, di progredire nella santità seguendo i suoi esempi. Tu hai detto, o Apostolo: « Chi non ama nostro Signore Gesù Cristo sia anatema! ». Faccelo conoscere sempre più, perché Lo amiamo, e questi dolci misteri non diventino, per la nostra ingratitudine, la causa della nostra riprovazione. – Vaso di elezione, converti i peccatori che non pensano a Dio. Sulla terra tu ti sei prodigato interamente per la salvezza delle anime; nel cielo dove ora regni, continua il tuo ministero, e chiedi al Signore, per coloro che perseguitano Gesù nelle sue membra quelle grazie che vincono i più ribelli. Apostolo dei Gentili, volgi gli occhi su tanti popoli che giacciono ancora nell’ombra della morte. Un giorno tu eri combattuto fra due ardenti desideri: quello di essere con Gesù Cristo, e quello di restare sulla terra per lavorare alla salvezza dei popoli. Ora, tu sei per sempre con il Salvatore che hai predicato: non dimenticare quelli che ancora non Lo conoscono. – Suscita uomini apostolici per continuare la tua opera. Rendi fecondi i loro sudori e il loro sangue. Veglia sulla Sede di Pietro, tuo fratello e tuo capo; sostieni l’autorità della Chiesa di Roma che ha ereditato i tuoi poteri, e che ti considera come la sua seconda colonna. Rivendicala dovunque è misconosciuta; distruggi gli scismi e le eresie; riempi tutti i pastori del tuo spirito, affinché sul tuo esempio non cerchino se stessi, ma unicamente e sempre gli interessi di Gesù Cristo.

Hymnus
Egregie Doctor, Paule, mores instrue,

Et nostra tecum pectora in caelum trahe:
Velata dum meridiem cernat fides,
Et solis instar sola regnet caritas.

Sit Trinitati sempiterna gloria,
Honor, potestas, atque jubilatio,
In unitate, quae gubernat omnia,
Per universa aeternitatis saecula.
Amen.

[Egregio Dottore Paolo, ammaestraci,
e attira dietro a te i nostri cuori nel cielo:
e finché la fede ci fa vedere la piena luce solo attraverso un velo,
sovrana regni, qual sole, la carità fra noi.

Alla Trinità sia sempiterna gloria,
onore, potenza e giubilo,
la quale, nella sua unità, governa ogni cosa
per tutti i secoli eterni.
Amen.]

S. CLEMENTE I PAPA E MARTIRE

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S. CLEMENTE I PAPA E MARTIRE

23 NOVEMBRE

Nacque S. Clemente circa l’anno 30 dell’era volgare in Roma da genitori oriundi della Palestina. Dopo aver trascorso la giovinezza nella più fedele osservanza della religione paterna, quando l’Apostolo Pietro venne in questa città a portare la parola del Vangelo, fu tra i suoi primi discepoli e ben presto si distinse fra tutti per fedeltà e integrità di costumi. Più tardi l’Apostolo lo consacrò Sacerdote per averlo compagno nel sacro ministero. – Dopo la morte del Principe degli Apostoli, i cristiani lo volevano innalzare subito alla dignità di Pietro, ma egli se ne stimò indegno e fece cadere l’elezione prima su Lino, quindi su Cleto. Ma quando la vita di questi venne troncata dai feroci carnefici dell’imperatore Domiziano, Clemente fu costretto ad accettare l’onerosa carica. Fu Papa, Papa zelantissimo, di tempra infrangibile, di oratoria e penna efficacissime: a lui dobbiamo pure i preziosi atti di tanti gloriosi martiri, avendo egli ordinato a sette notari di raccoglierli per iscritto. – La sua grande attività non sfuggì ai persecutori. Traiano lo voleva indurre al silenzio minacciandogli la vita; l’eroe non si spaventò, anzi tenendo sempre davanti il sublime esempio di Pietro e di Paolo, lavorava con tutto lo slancio per guadagnare anime a Cristo, per meritarsi la corona immarcescibile e la palma della vittoria. – E la minacciata condanna venne. Tratto in arresto, fu condannato ai lavori forzati nel Chersoneso. Nelle cave di quel luogo trovò tanti suoi figli che per la comune causa avevano subito la stessa condanna. Duemila e più cristiani, sotto la sferza degli aguzzini, privi di tutto persino di un po’ di acqua con cui bagnare le arse labbra e rinfrescare gli infuocati petti, soggiacevano ai più tormentosi e duri lavori. Il cuore del Padre straziato pel dolore di tanti figli, alzò fidente la sua preghiera a Dio, e un Angelo apparendogli su di un vicino colle, gl’indico che colà sarebbe scaturita l’acqua. Accorsero i minatori al luogo indicato e trovarono la bevanda refrigerante. – Alla novella del prodigioso miracolo avvenuto per intercessione di Clemente, numerosissimi pagani abbracciarono la religione cristiana che aveva un Dio tanto potente e tanto misericordioso. Ma s’indurì invece il cuore di Traiano, e ordinò che il venerando capo dei cristiani fosse gettato nel mare con un’ancora appesa al collo. – Ma ecco un nuovo strepitoso prodigio. Non appena le acque ebbero inghiottito quel corpo ormai sfinito, spinte da forza arcana si ritirarono impetuosamente dalla riva e sul fondo dell’abisso apparve un preziosissimo monumento sepolcrale di bianchissimo marmo. Gli astanti, stupefatti, mirarono il miracoloso sarcofago, ma la loro meraviglia cresce ancor più, quando il cadavere dell’intrepido vegliardo, scivolando dal seno delle acque guidato da mano angelica, va a giacersi nella tomba marmorea. Subito le acque ritornano a ribaciar i lidi e la folla abbandona la spiaggia; ma mentre i cristiani partono lodando e ringraziando il Signore che volle così strepitosamente esaltare l’umile suo servo, tra i pagani nascono vive discussioni e molti si decidono ad entrare nell’ovile di Cristo. – Le reliquie del glorioso Pontefice riposano ora in Roma nella basilica eretta in suo onore, portatevi dai santi fratelli Cirillo e Metodio.

FRUTTO. — Clemente docilissimo e umilissimo discepolo dei ss. Apostoli Pietro e Paolo, di vita verginale, voglia concedere anche a noi questi doni.

ORAZIONE — O Dio, che ci allieti ogni anno con la solennità del tuo beato Martire e Pontefice Clemente: concedi propizio, che mentre ne celebriamo il natalizio, ne imitiamo ancora la fortezza dei martirio.

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Omelia di S. Leone papa

Sermone 2, nell’anniversario della sua ascesa, prima di metà

Come ci riferisce la lettura evangelica. Gesù Lui interrogò i discepoli che cosa pensassero di in mezzo a tanti pareri diversi. E san Pietro rispose: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. Allora il Signore gli disse: “Beato te, o Simone, figlio di Giona, perché questo non ti è stato rivelato dalla carne o dal sangue, ma dal Padre mio che sta nei cieli. Perciò io ti dico che tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte dell’inferno non prevarranno mai contro di essa. E a te darò le chiavi del regno dei cieli, e qualunque cosa avrai legata sulla terra, sarà legata anche nei cieli, e qualunque cosa avrai sciolta sulla terra, sarà sciolta anche nei cieli”. L”ordine stabilito da Gesù Cristo rimane ancora; e san Pietro, che ha conservato fino ad oggi la solidità della pietra, non abbandonò mai il governo della Chiesa di cui fu incaricato. – Nella Chiesa intera, infatti, ogni giorno Pietro dice: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”; ed ogni lingua che riconosce il Signore viene istruita col magistero di tale voce. Tale fede sconfigge il diavolo e scioglie i legami di coloro che egli tiene prigionieri. Essa fa entrare nel cielo coloro che ha strappato alla terra e le porte dell’inferno non possono prevalere contro di essa. È stata infatti per potenza divina munita di una tale saldezza che mai la potrà corrompere la malvagità degli eretici né la potrà superare la perfidia dei pagani. Con tali disposizioni dunque, dilettissimi, e con razionale ossequio si celebri la festività odierna: affinché nell’umiltà della mia persona venga riconosciuto e onorato Colui, nel quale continua la cura che tutti i pastori hanno nella custodia delle pecore loro affidate e la cui dignità non viene meno per l’indegnità dell’erede.

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Anche oggi la Santa Chiesa Cattolica ci propone la festa di un Papa martire, vissuto in esilio fino alla sua morte, l’ennesimo Papa in esilio, come oggi è per il nostro Sommo Pontefice, Papa Gregorio XVIII, costretto all’esilio da una masnada di apostati e marrani, mossi dalla piovra giudaica. È stato questo il destino pure di Gregorio XVII, cardinal Siri, tenuto in ostaggio per 31 anni, sorvegliato a vista da “finti segretari”, in realtà carcerieri sguinzagliati dagli usurpanti il sacro soglio. Ma … Qui habitat in caelis irridebit eos, et Dominus subsannabit eos. …, e proprio questo ha perpetuato la “vera” successione apostolica e suggellato la sopravvivenza della Chiesa eclissata. Che san Clemente interceda per noi perché possiamo quanto prima assistere, tripudianti, alla Chiesa di Cristo nuovamente trionfante sull’astro informe ed orrido che ancora la costringe nelle catacombe e nei sotterranei.