SANTI COSMA E DAMIANO, MARTIRI , 27 settembre

SANTI COSMA E DAMIANO, MARTIRI

[Dom Guéranger: l’Anno liturgico, vol. II, Ed. Paoline, impr. 1956]

Onore ai medici.

Onora il medico, perché la sua missione non è inutile. L’Altissimo l’ha creata, come ha creato le medicine e respingerle non è cosa da saggio. « Le piante hanno le loro virtù e l’uomo che le conosce glorifica Dio, degno di ammirazione in tutto quello che ha fatto. Il dolore, per mezzo di esse è addolcito, l’arte ne trae ricette senza numero nelle quali risiede la salute. » Se sei malato, non trascurarti, figlio mio, ma prega il Signore che ti guarisca, allontana da te il peccato, purifica il tuo cuore, fa’ la tua offerta all’altare e poi lascia che il medico intervenga. Il suo intervento una volta o l’altra si impone e non contare di evitarlo. » Egli pure però deve pregare il Signore, perché diriga le sue cure a calmare la sofferenza, allontanare il male e rendere le forze a colui che lo ha chiamato» (Eccli. 38, 1-15). – Sono parole della Sapienza che era bene citare in questa festa. Fedele al precetto divino, la Chiesa onora oggi in san Cosma e san Damiano la professione del medico nella quale molti raggiunsero la santità (Dom A. M. Fournier, Notices sur les saints médicins).

Il Cristo e la sofferenza.

Sarebbe un errore grossolano pensare che la Chiesa, sollecita della salute delle anime e persuasa che la sofferenza è per esse sorgente di meriti immensi, si disinteressasse del corpo dei fedeli e delle miserie che li colpiscono. Non ci si mostra Gesù Cristo nel Vangelo medico dei corpi e delle anime? Il maggior numero dei suoi miracoli hanno per oggetto la guarigione di malattie e infermità e la risurrezione stessa. Se la pietà del suo cuore arrivava fino all’anima degli infelici che gli erano messi davanti e vi portava il rimedio con la grazia della contrizione e con il perdono dei peccati, non dimenticava la malattia fisica, ma li liberava da essa con eguale potenza e bontà.

La Chiesa e la sofferenza.

Depositari del potere di far miracoli, gli Apostoli continuarono la missione del Maestro e il libro degli Atti ci fa sapere che il primo miracolo di san Pietro fu compiuto per guarire un infelice, che non aveva mai potuto camminare. – Quando la Chiesa ebbe la libertà di farlo, fondò non soltanto scuole per l’istruzione e l’educazione della gioventù, ma anche ospedali per i vecchi e i malati. Con la dottrina, tutta carità e mansuetudine, con l’esempio di abnegazione e di sacrificio, ispirò a molti suoi figli il pensiero e il desiderio di consacrarsi a quelli che soffrono. Nel corso della storia sorsero numerose Congregazioni per l’assistenza dei malati: Fratelli di san Giovanni di Dio, Sorelle di san Vincenzo de’ Paoli ecc., e nelle regioni nostre come nei luoghi di missione si contano a migliaia gli ospedali, i dispensari dove religiosi e religiose curano con abnegazione indiscutibile che desta ammirazione, tutte le miserie della povera umanità.

Cristo nei fratelli sofferenti.

Questa attività generosa trova la sua spiegazione in un amore disinteressato per l’umanità sofferente e, prima ancora, in un amore per Cristo, che continua a soffrire nelle sue membra infelici. Mentre curano il malato, l’infermiere e l’infermiera vedono più lontano, vedono il Signore sofferente e, per amore suo, superano la naturale ripugnanza, la fatica che le cure e le veglie comportano, passano sopra tutte le difficoltà che incontrano nel malato o in quelli che lo circondano e non chiedono né paga, né ricompensa. – Però una ricompensa è loro assicurata: spesso quella degli uomini; ma, soprattutto e infallibilmente, quella di Dio. Il contatto con Dio è risanatore e santificante. Dio si è sostituito al prossimo ed è Dio che è servito, a Lui risale l’amore. Un bicchiere d’acqua offerto in suo nome non resta senza ricompensa e le sue grazie scendono abbondanti anche quaggiù su coloro che Lo servono, ma nell’ultimo giorno essi ascolteranno con gioia le parole del giudice supremo: « Ero ammalato e voi mi avete visitato » (Mt. XXV, 36).

I santi medici.

Detto questo non sorprende che un grande numero di anime si sia santificato nell’esercizio della carità fraterna. Le Litanie dei santi medici contano 57 nomi e sono incomplete, perché bisognerebbe aggiungere i nomi di santi e di sante, che senza avere diploma o titolo di dottore in medicina, consacrarono tuttavia la vita all’assistenza dei malati e dei deboli. Bisognerebbe aggiungere il nome dei missionari martiri, che portarono in regioni lontane insieme con la fede la loro dedizione al sollievo di tutte le sofferenze fisiche. Gli Angeli aggiornano il Libro d’Oro sul quale leggeremo, nell’eternità, le meraviglie che la carità ha ispirato alle anime generose e,

più ancora, quelle che vi ha realizzate.

Vita.

Sarebbe più facile tracciare la storia del culto dei santi Cosma e Damiano che dare notizie della loro vita e della loro morte. La tradizione li vuole fratelli, medici, arabi e martiri. Il loro culto nacque a Cyr, città della Siria settentrionale, dove nel V secolo era una basilica ad essi dedicata, e nel 530 il pellegrino Teodosio afferma che ivi furono martirizzati. La loro fama si propagò rapidamente e si trovano tracce del loro culto in Cilicia, a Edessa, in Egitto. Papa Simmaco (498-514) consacrò loro un oratorio a Roma e Fulgenzio un monastero in Sardegna, nel 520. Nell’ottavo secolo Gregorio II istituì una Messa stazionale nel giovedì della terza settimana di quaresima e la fissò nella loro Chiesa. I due santi sono oggi Patroni di una associazione di medici cattolici e delle Facoltà di Medicina.

Preghiera ai santi Cosma e Damiano.

Per implorare la protezione dei santi Cosma e Damiano, prendiamo a prestito dal Messale Mozarabico una bella preghiera:

« O Dio, nostro guaritore e medico eterno, che facesti Cosma e Damiano incrollabili nella fede, invincibili per il coraggio, affinché con le loro ferite portassero rimedio alle ferite umane, essi, che prima del loro martirio, con una terapeutica terrena, operarono la salute dei popoli, costituiscili, te ne preghiamo, nostri custodi e medici delle nostre infermità. Per essi sia guarito quanto in noi vi è d’infermo, per essi sia la guarigione senza ricadute, per essi trovino rimedio i corpi e le anime. Mettano essi termine alle segrete malattie dell’anima, ai visibili languori concedano pronta salute. Con la loro intercessione spremano il pus delle ferite, con le dita della loro preghiera le detergano fino in fondo, vadano essi incontro alle miserie umane per portare ad esse rimedio. Sorreggano il peso che schiaccia gli uomini e possano quaggiù custodirci immuni dalla malattia del peccato per condurci ad essere coronati nella celeste patria ».

Preghiera a tutti i santi medici.

Terminiamo con una preghiera a tutti i santi medici, per raccomandarci alla loro benevola sollecitudine:

« Voi tutti santi e sante di Dio, che professione medica e carità nell’assistere gli infermi poveri illustrano e che la Chiesa cattolica onora e venera; e voi, san Luca, Evangelista di nostro Signore Gesù Cristo, primo fra tutti, principe e patrono dei medici cristiani; e voi, insigni medici, Cosma, Damiano, Pantaleone, Ursino, Ciro d’Alessandria, Cesare di Bisanzio, Codrate di Corinto, Eusébio il greco, Antioco di Sebaste, Zenobio di Egea; Voi ancora sante e dolcissime consolatrici dei malati, guaritrici dei loro mali e nelle arti medicali esperte: Teodosia, la martire illustre, madre dì san Procopio, martire egli pure, Nicerate di Costantinopoli, Ildegarda vergine di Magonza, Francesca Romana, che la carità verso gli infermi poveri e i miracoli resero cosi celebre, intercedete per noi presso colui nella fede e nella carità del quale voi viveste e per amore del quale esercitaste la medicina, affinché noi, vostri imitatori, nella santità e nella carità cristiana per l’assistenza ai poveri malati, passiamo la nostra vita nella pietà e nella pazienza e l’eterna beatitudine sia per noi il magnifico e glorioso onorario che riceveremo dal generosissimo Gesù, che vive e regna nei secoli dei secoli ».

PAPA OCCULTO O IMPEDITO? BEATO VITTORE III

Ancora una volta troviamo nella storia della Chiesa, un Papa impedito nella sua funzione pontificale da vicende storiche complesse nelle quali figurava pure la presenza di un antipapa, insediatosi con la forza a Roma, circondato da chierici di dubbia fede ed osservanza. Certo, la vicenda non è paragonabile all’apostasia attuale della setta del Novus ordo che usurpa oggi la Sede Apostolica, ed ivi insediata con tutto lo schiamazzo mediatico, tutte le riverenze, il codazzo ed i salamelecchi dei “servi sciocchi” e della stampa mondiale delle tante marionette asservita a “coloro che odiano Dio e tutti gli uomini”. In ogni caso, rileggere quegli eventi fa comprendere che la situazione non è affatto nuova ed è contemplata come caso straordinario di persecuzione anche dalla Dottrina Cattolica e dalla Storia della Chiesa di tutti i tempi. Anche qui, non si tratta di un Papa occulto [come ancora oggi qualche “teologo faidate”, ignorante, falso “canonista” e fiancheggiatori vari, definiscono l’attuale Pontefice Gregorio XVIII, “occulto” solo perché, secondo loro, non lo si può incontrare al negozio dell’ottico di via del Corso a Roma o vedere nelle televisioni megafono dei modernisti dei quali sono un prezioso puntello fingendosi tradizionalisti], bensì di un Papa “impedito”, parola che evidentemente risuona alle orecchie degli stolti empi, come un trapano corrosivo delle loro false teorie e della falsa interpretazione che danno del Magistero [ammesso che lo conoscano bene … ma i dubbi sono enormi!]. Questa vicenda del Beato Vittore III infonde però speranza, come Gesù ci ha sempre insegnato, nella soluzione inaspettata dell’apparente prevalere delle forze del male sulla sua Chiesa! …

et Ipsa conteret …  

Beato Vittore III:

[A. Saba: Storia dei Papi, vol. I; Un. Tipogr. Ed. Torinese, 1957]

 Tra i cardinali designati da Gregorio VII morente, come degni di potergli succedere, v’era Desiderio, abate di Montecassino. I voti si raccolsero su di lui. La ricchezza del suo monastero, la riverenza in cui lo tenevano i principi di quell’età, le sue attinenze coi Normanni, financo i suoi rapporti con l’imperatore Enrico IV, rendevano desideratissima la elezione di lui. Roberto il Guiscardo, appoggio della Chiesa in questo momento, moriva a Cefalonia, il 17 luglio, poco tempo dopo Gregorio. Credevasi dunque non esservi adesso altri che Desiderio capace di metter pace nelle cose di Roma e dell’Italia. Ma dopo l a morte di Gregorio VII l a tiara pontificia faceva spavento. Desiderio tremava davanti al trono papale. L’anno 1085 trascorse senza una decisione. L’abate dichiarò il suo rifiuto a Giordano principe di Capua, alla contessa Matilde, ai cardinali, e protestò voler influire per un concilio romano e un nuovo Papa. Costretto, egli si recò a Roma con Gisulfo, nella Pasqua dell’anno dopo. La città era ancora divisa tra gli imperiali ed i gregoriani. I cardinali e gli ottimati si gettarono ai piedi dell’abate Desiderio supplicandolo ad accettare il Pontificato, e non ostante le sue opposizioni, fu proclamato il 24 maggio del 1086, col nome di Vittore III. – Desiderio, della famiglia dei conti di Marsi e figlio di un principe di Benevento, dove nacque, desiderava esser monaco di S. Trinità di Cava, ma ne fu impedito dai parenti. Entrò poi nel monastero di S. Sofia di Benevento, e dopo in un altro delle isole Tremiti. Fu amico di Leone IX, che lo conobbe nella sua campagna contro i Normanni. A Firenze, nel 1056, si trovò con papa Vittore II. Con Alfano passò al monastero di Montecassino, di cui divenne abate nel 1058, segnando nella storia di quella badìa un’orma immortale per la costruzione della grande basilica, per l’incremento della disciplina monastica e degli studi, e per le importanti missioni che ebbe dai papi. Gregorio VII si servì dell’opera sua nella tremenda lotta contro Enrico IV, e nelle relazioni coi Normanni. – L’elezione di Vittore III non avvenne senza contrasto. Il partito tedesco aizzato dal prefetto di Enrico, già in urto coi cardinali, raccolse armi in Campidoglio, ed impedì che Vittore fosse consacrato in Vaticano. Vittore, approfittando del torbido, prese la via del mare da Ardea, e dopo quattro giorni dalla sua elezione arrivò a Terracina, si spogliò delle insegne pontificie e corse tosto a rinchiudersi nel suo bel Montecassino. Qui rimase un anno intero, mentre a Roma s’invocava il suo ritorno. Nel marzo del 1087, in qualità di vicario della Sede romana nell’Italia meridionale, indisse un sinodo a Capua, per deliberare sull’elezione del papa. V’erano presenti anche Ruggero, duca delle Puglie, e il detronizzato principe Gisulfo. Ci furono alcuni che non inclinavano alla rielezione di Desiderio, Ma egli infine, tempestato dalle suppliche dei prelati e di principi, finì con arrendersi. Al 9 di maggio fu consacrato nella chiesa di S. Pietro, che ottenne a forza con le armi normanne. Roma infatti non era pacifica. Indisciplinata, piena di rovine, sentiva il peso delle fazioni in lotta. Enrico IV era lontano, in guerra coi suoi nemici, i quali ebbero fortuna su di lui, nel 1087. Tra il 1088 e i l 1090, per la morte dei suoi più temibili avversari, si risollevò alquanto. In Italia solo la contessa Matilde era ancora in armi contro di lui. Clemente III [l’antipapa dell’epoca –ndr.-] poteva raccogliere di nuovo un gruppo di partigiani e mettere residenza in Vaticano. I Normanni presero d’assalto la basilica che serviva di castello all’antipapa. – Clemente fuggì e riparò nella Città, dove si trincerò in un’altra chiesa fortissima, nel Pantheon. Dopo la vittoria sull’antipapa, e la sua consacrazione, Vittore rimase ancora otto giorni a Roma, e poi se ne ritornò al suo monastero. Appena vi arrivò, le milizie di Matilde lo invitarono a ripartire per Roma. Egli vi ritornò, e pose dimora insieme con la contessa nell’isola Tiberina: però non possedeva che il Trastevere, il Castel Sant’Angelo, S. Pietro, Ostia e Porto. L’antipapa Clemente godeva ancora forte protezione e si serviva del vecchio rancore contro Gregorio per tener su la sua causa. Un legato imperiale arrivava per riaccendere le mischie e sostenere l’avversario di Vittore. Il Papa, caduto infermo, se ne usciva per la terza volta da Roma, tanto fatale per la sua pace. – Nell’agosto del 1087 celebrò un sinodo a Benevento; vi proibì la simonia, le investiture laiche, e il ricevere i sacramenti dai preti venduti a Enrico [evidentemente falsi, come gli attuali novusordisti, i sedevacantisti e i lefebvriani -ndr.-], e rinnovò la scomunica contro Clemente III. – Sentendosi presso a morire, si faceva trasportare al suo monastero. Colà nominò Oderisio ad abate, perché sinora egli era rimasto al governo della badìa, raccomandò come suo successore il cardinale Ottone, vescovo di Ostia, e moriva il 16 settembre del 1087, nel rimpianto della pace monastica che lasciò malvolentieri, per un peso che gli fu tanto grave e gli diede poca gloria. Vittore III rimane ancora nella storia come il grande abate Desiderio. Leone XIII ne confermò il culto. Festa il 16 settembre. – Fu sepolto nel suo monastero, e i monaci lo ricordarono con una epigrafe toccante.

Abbigliamento del Cristiano: Beata Umbelina

ABBIGLIATURA

[G. Bertetti: Il Sacerdote predicatore. S.E.I. Torino, 1921]

1. – Decadenza e abbrutimenti. — 2. Il lusso.- 3. La nudità. — 4. La moda dei Cristiani.

1.- DECADENZA E ABBRUTIMENTO. Da quando il Signore rivestì egli stesso con tuniche di pelli Adamo ed Eva dopo il peccato, venne agli uomini l’obbligo di coprirsi….. Le vestimenta devono esser per noi un continuo ricordo della caduta, della corruzione, della morte…. Semplice e modesto fu il vestire di Gesù, della Madonna, dei Santi….. sfarzoso e procace è il vestire ch’è oggi di moda Segno della decadenza d’un popolo è il lusso.., segno di abbrutimento la nudità..: questi due disordini si sono riuniti nelle mode odierne….. Anche nel tempio santo di Dio penetra talvolta questo abominio…..

2. IL LUSSO. — «Non ti gloriar mai nel tuo vestito » (Eccli. XI 4); « … quanto più splendida appare la donna agli occhi degli uomini, tanto più è dispregiata da Dio » (S. AMBROGIO); … « il lusso del vestire. indica la nudità dell’anima » (S .Giov. CRISOSTOMO)… « perché adornare il corpo e non adornar d’opere buone quell’anima che dagli uomini dovrà esser presentata a Dio in cielo? Perché disprezzar l’anima ed anteporre il corpo? enorme abuso è questo: che comandi chi dovrebbe servire e che serva chi dovrebbe comandare » (S. BERNARDO)… — E questi abbigliamenti sfarzosi «spesso son frutto d’infamia, e di delitto. Le superbe matrone romane si vantavano di portar indosso il patrimonio d’intere province depredate dai loro mariti…. di dove proviene il lusso sproporzionato addirittura alle modeste rendite familiari di certa gente?… E quelle madri che non hanno denari per procurare una cameretta e un letto ai bambini, ma sanno trovar il modo di mandar vestite le ragazze come altrettante reginette?

3. L A NUDITÀ. -Il santo Vescovo Nonno, nell’apprendere il vestire scandaloso di certa Pelagia, proruppe in pianto; domandatone del perché, rispose: « due pensieri m’affliggono; l’uno è la perdita di questa donna e di tante anime da lei sedotte; l’altro si è che io non cerco di piacer tanto a Dio, quanto costei di piacere agli uomini. » Le lacrime del santo Vescovo salvarono Pelagia, che si convertì e divennè santa anche lei. – Potessero le lacrime della Chiesa far rinsavire certe Palagie dei nostri giorni!… – Nè serve il dire che la moda vuol così… Prima della moda c’è il Vangelo…; anche per gli uomini c’è la moda di bestemmiare, di profanar le feste, di non far più pasqua; menate loro buona la scusa della moda? — E neppure si dica che se l’esterno è sfrontato, il cuore è puro…. Credo allo Spirito Santo che dice: « Il vestito, il riso, il portamento ci fanno conoscere chi uno sia» (Eccli. XIX, 27); non credo alle spampanate di certi poeti pagani, i quali si vantavano d’essere immacolati nella condotta e luridi nei versi; non c’è fumo senza fuoco! Ma poniamo pure che, nonostante l’abbigliatura immodesta, siate angeli di costumi … ed il male che fate commettere agli altri?.… e i pensieri, ed i desideri cattivi che suscitate? Il vizio trionfa di più per la l’ingenua galanteria delle donne oneste, che per la sfacciata provocazione delle donne perdute … si badi però che l’onestà voluta da Dio nella donna è qualcosa di molto superiore all’onestà secondo il moderno concetto pagano …

4. LA MODA DEI CRISTIANI. — Con ciò non si vuol dire che i semplici fedeli debbano vestire come i monaci… molto meno che debbano imitare le fogge da strapazzo di certi Santi, che ciò facevano per umiltà e mortificazione… chi vive in società ha il dovere di rendersi amabile e non ributtante … ci furono delle regine e delle principesse che vestirono riccamente e furano sante… le splendide vesti nascondevano però il cilicio … —Vestendo ognuno decorosamente secondo la sua condizione non si tralasci di portar indosso qualche segno di penitenza e di devozione: l’abitino del Carmine… quello del terz’ordine di S. Francesco… la medaglia della Madonna… il Crocifisso……

Leggiamo a proposito la storia della beata Umbelina, sorella di S. Bernardo [da Massini: Vita dei Santi; vol. VIII – Venezia, MDCCLXXVIII]

Beata UMBELINA.

Secolo XII.

Nella vita di S. Bernardo, e negli Annali Cisterciensi sono riportate le virtuose azioni di questa B. Sorella del Santo Abate.

1.- Umbelina sorella di S. Beranardo nacque circa l’anno 1092, e la B. Aletta sua madre, dopo averla offerta a Dio, subito nata, secondo il lodevole costume da lei tenuti in tutti i suoi parti, la nutrì col proprio latte e curò che fosse educata in una maniera, conveniente bensì alla sua nobile condizione, ma cristiana. Le ricordava frequentemente quella verità che stentano tanto a comprendere i Grandi del secolo, cioè: che è molto meglio l’esser povero ma caro a Dio, che l’esser ricco ma senza virtù; attesochè il principale fondamento della vera nobiltà e delle sole ricchezze consiste nell’amore di Dio e nell’esatta osservanza della sua santa Legge. Umbelina vide tutte quelle massime praticate dalla sua piissima madre, e si può credere che le avrebbe seguite ella se avesse avuto il vantaggio di esser istruita più lungo tempo da una sì saggia conduttrice. Ma Dio ritirò da questo mondo Aletta, mentre la sua figliuola era ancor fanciulla, onde i materni ricordi, che a cagione della tenera età poca impressione avevano fatta nel suo animo, si andarono insensibilmente cancellando e cederono il luogo all’amore del mondo, da cui si lasciò talmente signoreggiare che non pareva la sorella di San Bernardo e degli altri suoi virtuosi fratelli. Ma il momento in cui ella doveva imitarli non era ancora giunto; e Dio permise che vivesse qualche tempo secondo il mondo, non solo perché avesse poi occasione di maggiormente umiliarsi, ma anche perché provasse con la propria esperienza quanto siano vani e folli i piaceri mondani che appena giungono a soddisfare per un momento i sensi quando si prendono, e poi lasciano, quando sono passati, un lungo ed amaro rammarico e pentimento.

2- Umbelina, divenuta erede di un ricchissimo patrimonio, lasciatole dai suoi fratelli, che si erano tutti ritirati dal mondo e fatti monaci cistercensi, ad altro più non pensò che a godere del presente, poco o nessun pensiero prendendosi del futuro e dell’eternità. Si maritò con un giovane cavaliere che era stretto parente della duchessa di Lorena, e tutta si occupò nel soddisfare non tanto al genio del suo sposo, quanto alla propria inclinazione per la vanità. Così quella pecorella smarrita, che la misericordia del Signore aveva destinato di richiamare un giorno al suo ovile, andava inconsideratamente preparando a se stessa la materia di un gran pianto e di una lunga penitenza. Ella passò più anni in questa vita mondana e rilassata, e intanto S. Bernardo e gli altri fratelli, amareggiati per la sua mala condotta, facevano continue e ferventi oraziani a Dio per la sua conversione. Si degnò finalmente il Signore di esaudire le loro preghiere, inspirando ad Umbelina il desiderio di andare a rivedere i propri fratelli a Chiaravalle. Il lusso e lo sfarzo dell’abito e dell’equipaggio con cui ella comparve e si presentò alla porrà del monastero, non poteva essere uno spettacolo accetto e confacente a quel sacro luogo, che da tutte le parti spirava modestia e penitenza. Infatti S. Bernardo, avendo saputo che la sorella era venuta carica degli ornamenti del secolo e con un accompagnamento pomposo, si protestò dì averla in aborrimento e in orrore; e riguardandola come una rete tesa dal demonio in pregiudizio dell’anime, ricusò costantemente di abboccarsi con lei. Anche gli altri suoi fratelli, informati della sua venuta e del suo fasto, deplorando la sua cecità, non vollero in alcun modo vederla né parlarle. Ad un tale inaspettato rifiuto, Umbelina si riempì di tristezza e di confusione; tanto più che Andrea, uno dei suoi fratelli, che era più giovane di lei, essendosi accidentalmente trovato alla porta e non potendo sfuggire di parlarle, la riprese fortemente perché fosse venuta in quella maniera tanto contraria allo spirito e all’umiltà di Gesù Cristo; e trasportato dal suo zelo francamente le disse: Con tutti i vostri abiti preziosi che cosa siete voi, se non un sacco di lordura ben coperto? Umbelina pertanto prorompendo in un dirotto pianto, disse al fratello: lo son peccatrice, è vero, ma Gesù Cristo è morto per li peccatori. Per questo appunto io ricorro alle persone dabbene. Che Bernardo disprezzi il mio corpo, io l’intendo, ma non conviene ad un servo di Dio che disprezzi l’anima mia. Venga dunque, parli, comandi; e mi troverà pronta e disposta a far tutto ciò che vorrà.

3. – Riferito a Bernardo quel discorso, andò a trovarla con tatti gli altri fratelli, e dopo averle con dolcezza insieme e con forza parlato della necessità di fu penitenza, le diede utilissimi consigli intorno al metodo della nuova vita che doveva intraprendere; e perché essendo legata in matrimonio non poteva separarsi dal suo marito, il S. Abate le disse che doveva cominciare la riforma e la mutazione della vita dal riseccare affatto ogni superfluità e vanità, ogni sorta di lusso dalle sue vesti e dal suo treno, e dal privarsi di tutti i piaceri, i divertimenti profani del secolo. Le propose per modello da imitare, la vita, della. B. Aletta loro madre che, sebbene facoltosa e nobilissima, era però vissuta sempre con gran semplicità ed umiltà cristiana, e aveva mostrata una particolar avversione alle mode e ai passatempi mondani. Dopo averle dati questi ed altri salutari consigli, S. Bernardo si congedò dalla sua sorella e si ritirò a pregar Dio, acciocché si degnane d’imprimer bene nell’animo di lei tutte le verità che aveva in quei giorno ascoltate.

4. – Umbelina, tornata che fu alla propria casa, eseguì puntualissimamente tutto ciò che le aveva prescritto il S. Abate, e la sua conversione fu a tutti i suoi parenti e cittadini un oggetto di stupore insieme e di edificazione, poiché ciascuno ammirava una dama giovane, nobile e ricca, non distinguersi più dalle altre, se non per la modestia e costumatezza: digiunare frequentemente, orare, vegliare ed osservare un esatto ritiro. Suo marito, lungi dal contraddirla e opporsi a questo nuovo tenore di vita così diverso da quello che aveva tenuto per l’addietro, se ne mostrò contentissimo, e ne ringraziò, e benedisse il Signore; anzi due anni dopo la sua conversìone, liberandola affatto dal giogo maritale, consentì ch’ella si dedicasse interamente al servizio di Dio.

5. – Tostochè Umbelina si vide in quella libertà che tanto bramava, andò a ritirarsi nel monastero di Tulli, che era stato poco prima fondato per le donne per opera di S. Bernardo, e dopo aver ivi abbracciata e professata la vita religiosa, vi passò il resto dei suoi giorni in una continua penitenza. Per l’abbondanza delle grazie che il Signore Iddio si compiacque di spargere sopra di lei, giunse a tal grado di santità che divenne in breve tempo l’ammirazione di tutti quelli che la vedevano ed un soggetto di estrema gioia per S. Bernardo e per gli altri suoi fratelli. Passava sovente le intere notti in recitar Salmi e in meditare la Passione di Gesù Cristo; e quando si sentiva oppressa dal sonno, prendeva un poco di riposo, coricandosi sopra le nude tavole. Era sempre la prima agli esercizi della Comunità, e li faceva con tanto fervore, che edificava le più osservanti e stimolava insieme le più tepide ad imitarla. Visse così per lo spazio di diciassette anni, meritando con quella continua penitenza la corona di gloria, che è prometta a quelli che perseverano nel bene fino al fine. Nella ultima sua infermità accorgendosi le sue compagne che ella andava giornalmente perdendo le forze, e che si avvicinava alla sua morte, ne fecero avvertito S. Bernardo, il quale venne subito a visitarla, e dopo un lungo e tenero colloquio ch’ebbero insieme sopra la divina misericordia, di cui ella aveva provati in se stessa con tanta abbondanza gli effetti, nelle braccia di lui placidamente spirò nel1’anno 1141 della nostra salute, e cinquantesimo dell’età sua. Pare a prima vista eccessiva la durezza e severità con cui S. Bernardo trattò Umbelina, eppure ella fu il mezzo di cui il Signore si servi per umiliarla, compungerla, e convertirla. La carità, dice S. Agostino, usa il rigore e la severità quando lo crede opportuno in benefizio del prossimo, come il chirurgo adopra qualche volta il ferro ed il fuoco, per restituire la sanità all’infermo. Senza di un tal rigore forse Umbelina non avrebbe conosciuto il suo errore, né avrebbe rinunziato a quelle pompe e vanità, che il cieco mondo purtroppo crede innocenti. Quante vi sono anche ai giorni nostri, che menano una vita tutta mondana e tutta voluttuosa, e che non si fanno scrupolo di portare, come in trionfo, il fasto, l’orgoglio, la vanità e l’immodestia fino nel luogo santo e in faccia ai sacri altari. Sarebbe dunque per queste tali un effetto della divina misericordia, se qualche ministro di Dio mosso da quello spirito, da cui era animato S. Bernardo, facesse loro conoscere l’inganno in cui vivono e il pericolo, a cui espongono la loro eterna salute! Oltre l’esempio di un Santo sì illuminato, qual era S. Bernardo, basta leggere il capo terzo del Profeta Isaia per rimanere persuoso quanto dispiacciano al Signore i vani e preziosi abbigliamenti, il portamento altero ed immodesto, ed il lusso delle femmine alle quali per mezzo dello stesso Profeta, Iddio minaccia terribili castighi.

“Et dixit Dominus: Pro eo quod elevatæ sunt filiæ Sion, et ambulaverunt extento collo, et nutibus oculorum ibant, et plaudebant, ambulabant pedibus suis, et composito gradu incedebant; decalvabit Dominus verticem filiarum Sion, et Dominus crimen earum nudabit. In die illa auferet Dominus ornamentum calceamentum, et lunulas, et torques, et monilia, et armillas, et mitras, et discriminalia, et periscelidas, et murenulas, et olfactoriola, et inaures,  et annulos, et gemmas in fronte pendentes, et mutatoria, et palliola, et linteamina, et acus, et specula, et sindones, et vittas, et theristra. Et erit pro suavi odore foetor, et pro zona funiculus, et pro crispanti crine calvitium, et pro fascia pectorali cilicium.” [Is. III, 16-24] [Dice il Signore: “Poiché si sono insuperbite le figlie di Sion e procedono a collo teso, ammiccando con gli occhi, e camminano a piccoli passi facendo tintinnare gli anelli ai piedi, perciò il Signore renderà tignoso il cranio delle figlie di Sion, il Signore denuderà le loro tempie”. In quel giorno il Signore toglierà l’ornamento di fibbie, fermagli e lunette, orecchini, braccialetti, veli, bende, catenine ai piedi, cinture, boccette di profumi, amuleti, anelli, pendenti al naso, vesti preziose e mantelline, scialli, borsette, specchi, tuniche, cappelli e vestaglie. Invece di profumo ci sarà marciume, invece di cintura una corda, invece di ricci calvizie, invece di vesti eleganti uno stretto sacco, invece di bellezza bruciatura.]

S. GENESIO MARTIRE.

Non vi è altro Re, che Gesù Cristo. Questi è quello, che io adoro; e ancorché mi faceste soffrire mille morti, non cesserei mai di adorarlo. Tutti i tormenti non potranno mai togliermi Gesù Cristo dalla bocca, Gesù Cristo dal cuore”

GENESIO MARTIRE.

Secolo III.

[Raccolta di vite dei Santi – vol. VIII – Venezia 1778]

Gli Atti sinceri della mirabile conversione, e del martirio di S. Genesio si riportano nella Raccolta del Ruinart alla pag. 236. Dell’edizione di Verona.

1. La storia dei matririo di S. Genesio quantunque breve, è però assai edificante, e ci somministra un efficace motivo di ammirare sempre più e lodare l’infinita bontà di Dio, il quale alle volte si degna far uso della sua onnipotenza, con dispensare la sua grazia in una maniera insolita, e fuori delle regole ordinarie della sua provvidenza, come appunto avvenne nella conversione, e nel martirio di San Genesio, che si crede accaduto in Roma nel principio dell’Impero di Diocleziano verso l’anno 285. e si rileva da autentici monumenti nella seguente maniera

2. Era San Genesio un capo commediante, e così nemico dei Cristiani, che non poteva udirne neppure il nome senza accendersi di sdegno, e fremere di furore. Insultava tutti quelli, che vedeva mantenersi costanti, e fedeli a Gesù Cristo in mezzo ai tormenti; e non aveva potuto tollerare nemmeno i medesimi suoi parenti, che erano Cristiani. Per eccesso finalmente dell’odio suo contro la Religione cristiana, aveva procurato di prendere per mezzo forfè di qualche apostata, un’esatta informazione dei riti e delle sacre cerimonie, che la Chiesa praticava nel conferire il Battesimo, a quest’unico oggetto di profanare con le sue sacrileghe buffonerie quanto v’è di più santo nella cristiana Religione. Volle indi farne materia di divertimento all’Imperatore Diocleziano, e al popolo Romano, e beffeggiando in pubblico teatro gli augusti misteri del Cristianesimo».

3. Dopo aver dunque bene istruiti gli altri Attori suoi compagni di ciò che dovevano fare, egli comparve sul teatro contraffacendo uno, che fosse infermo, e richiese il Battesimo, ma con frasi ridicole, e proporzionate al luogo, in cui si trovava. Gli risposero i compagni col medesimo linguaggio, e si fecero venire nel teatro altri due istrioni, che facevano la figura l’uno di Prete, e l’altro d’esorcista. Ma che? In quello stesso momento egli fu toccato da Dio il quale operò invisibilmente e in maniera prodigiosa nel cuore di lui la sua conversione. Sembra, ch’egli avesse dovuto dichiararsi immantinente Cristiano, e procurare di ricevere il Battesimo dai ministri della Chiesa nelle solite forme, se avesse potuto, senza continuare la scena incominciata. Ma il Signor Iddio, le cui mire sono di gran lunga superiori alle nostre, volle condurlo per una via straordinaria, e mostrare la santità dei misteri della sua santa Religione, e confondere i suoi nemici con quei mezzi medesimi, con cui essi tentavano di beffeggiarla.

4. Il finto Prete adunque postosi a sedere vicino a Genesio: “A che, disse, figliuol mio, ci avete voi chiamati?” Ed ei rispose, ma con tutta serietà, e sincerità di cuore: “Io desidero dì ricevere la grazia di Gesù Cristo per rinascere in Lui ed esser liberato dalle iniquità, e dai peccati che mi opprimono”. Si praticarono indi le cerimonie, che sogliono premettersi al Battesimo, gli furono fatte le interrogazioni ordinarie, ed egli rispose davvero, e senza emulazione, che credeva tutto ciò, che gli veniva proposto. Finalmente fu battezzato, come si costuma nella Chiesa e nel medesimo tempo si vide discendere dal Cielo un Angelo tutto risplendente di luce, il quale avendo in mano un libro, in cui erano scritti tutti i peccati da lui commessi fino dall’infanzia, lo immerse in quella medesima acqua, in cui era battezzato, e gli fece poscia vedere, che i suoi peccati erano stati tutti da quel libro cancellati, e ch’egli era divenuto più candido della neve.

5. Terminata la funzione del Battesimo, rivestirono Genesio con abiti bianchi, com’era solita farsi dai Cristiani con i novelli battezzati; e poiché tutto ciò nel concetto degli spettatori passava per una buffoneria, si continuò la commedia, fintantoché vennero per ultimo altri Attori travediti da soldati, i quali arrestarono Genesio, come Cristiano, e lo condussero innanzi all’imperatore, contraffacendo essi gli atti e le maniere che praticavano i Gentili, quando presentavano qualche Cristiano al Tribunale degli Augusti. Ma Genesio allorché si trovò davanti a Diocleziano, manifestò francamente la visione che aveva avuta nell’atto di ricever il Battesimo, e protestò di desiderare ardentemente, che tutti riconoscessero, e confessassero, come egli faceva, essere Gesù Cristo il vero Dio, la vera luce, la vera bontà, e l’unico mediatore, per cui noi possiamo ottenere la remissione dei nostri peccati. Stupefatto Diocleziano, e oltremodo irritato per un tal discorso, lo fece tosto caricare di bastonate, e poi lo lasciò in mano di Plauziano, Prefetto del Pretorio, affinché a forza di tormenti lo costringesse a disdirli, e a rinunziare a Gesù Cristo. Plauziano lo fece stendere sull’eculeo, ove fu il «corpo del S. Martire straziato per lungo tempo con uncini di ferro e bruciato in più parti con torce accese, senza però che si potesse mai far vacillare la sua costanza, e la sua Fede, ripetendo spesso quelle parole: Non vi è altro Re, che Gesù Cristo. Questi è quello, che io adoro; e ancorché mi faceste soffrire mille morti, non cesserei mai di adorarlo. Tutti i tormenti non potranno mai togliermi Gesù Cristo dalla bocca, Gesù Cristo dal cuore. L’unico, e il massimo mio dispiacere è di aver aborrito, e perseguitato il suo sacrosanto Nome nei suoi Santi, e di aver cominciato così tardi ad adorare il mio vero Re, perché il mio orgoglio mi impediva di riconoscerlo”. Fu alla fine per ordine del tiranno decollato, e così ottenne la corona del Martirio.Se negli odierni teatri non si mettono più, come una volta, in ridicolo i sacrosanti mister della nostra Religione, non si può negare però, che in quelli anche di presente non si deridano [oggi si fa anche di molto peggio nelle chiese del “novus ordo” -ndr.- ], almeno tacitamente, le principali e fondamentali virtù cristiane, l’umiltà, la modestia, la mortificazione, la pazienza, la dilezione dei nemici etc., esaltandosi, e mettendosi in piacevole vista, e onorevole comparsa l’ambizione, il lusso, il falso, la vendetta, e sopra tutto l’amor profano. E pure quanti Cristiani credono innocenti quei divertimenti, che fomentano il vizio, e le passioni sregolate, e che sono tanto opposti allo spirito di Gesù Cristo? – Preghiamo S. Genesio, che siccome egli con un prodigio straordinario della divina grazia ottenne di esser illuminato, e convertito in un teatro, così impetri a noi con la sua intercessione lume sufficiente per ben discernere i pericoli dei teatri, e quanto sia ripugnante al carattere di vero Cristiano il frequentare simili spettacoli, funesti avanzi del Gentilesimo, e lacci deplorabili delle anime, specialmente dell’incauta gioventù.

Noi Cattolici “pusillus grexG” [leggi “grex Greg. XVIII”] invochiamo S. Genesio per impetrare da Dio la conversione dei tanti teatranti, buffoni, nani, giullari, lacché, tirapiedi, fanfaroni, azzeccagarbugli, baldracche, cortigiane, favorite/i, sodomiti, pedofili, “travestiti” da carnevaleschi chierici, etc. che hanno invaso i sacri palazzi e le chiese dell’orbe per conto della sinagoga di satana manovrata dai marrani, dagli apostati traditori di Cristo e della sua Santa infallibile Sposa mistica, la Chiesa Cattolica, unica arca di salvezza eterna. Preghiamo, poiché ad onta delle apparenze: « … tu, Domine, deridebis eos; ad nihilum deduces omnes gentes… Disperge illos in virtute tua, et depone eos, protector meus, Domine! » [Ps. LVIII; 9, 12]. Che il nostro Signore Gesù Cristo, per intercessione di S. Genesio, ce ne ottenga la grazia! Amen.

 

San Lorenzo Martire

Omelia del S. S. GREGORIO XVII nel giorno di S. LORENZO – S. Messa (1981)

Le parole di Gesù: “Se il chicco di grano non cade in terra e non muore, non reca frutto” (cfr. Gv XII, 24), sono state dette per spiegare agli Apostoli il mistero della Sua Passione e Morte, del Suo sacrificio completo. Erano duri a comprendere: avrebbero fatto presto capire se si parlava di gloria, ma si parlava di Croce. Ecco lo scopo per cui queste parole sono state dette. Ora vediamo di dipanare queste parole e apprenderle in tutto il loro significato, quello che segue non è altro che un commento, una continuazione del concetto, fino all’invito: “Chi vuol venire dietro a me, faccia come ho fatto io: mi segua nella via della croce”(cfr. Gv XII, 26). Ripeto: cerchiamo di dipanare. Che cosa vuol dire Nostro Signore? Vuol dire questo: “ per salvare il mondo peccatore ci vogliono dei sacrifici”. Questa è l’affermazione generale. ” E per questo il sacrificio ultimo, determinativo lo prendo io stesso”. Ma dice a noi: “La vostra parte ve la dovete prendere”. C’è un altro elemento compreso in queste parole, l’elemento più propizio per un mondo che è soltanto di prova per la vita eterna: è la sofferenza, il sacrificio. In realtà queste parole per noi suonano dure, però, quando guardiamo ai nostri genitori, capiamo che hanno fatto la loro parte a prezzo di sacrifici; quando guardiamo a degli amici, se ne abbiamo,  guardiamo se per noi sanno fare sacrifici. Tutto diventa siglato da un’eterna Provvidenza, quando porta con sé il sacrificio. – Ma andiamo avanti. Il sacrificio è necessario per gioire. Guardate: il mondo oggi muore di noia; per togliersi questa noia, fa cose incredibili, che noi non oseremmo dare per penitenza anche a chi avesse commesso cento omicidi; le fa tutti i sabati e tutte le domeniche: fugge! E che cosa trova? Guardate le facce al lunedì mattina, e vi diranno che cosa hanno trovato. Non è forse vero che per mangiare bene bisogno avere appetito, cioè bisogna che prima preceda quella tal cosa che in se stessa è desiderabile, ma che non è gaudiosa, perché aver fame non è proprio una gioia? Per poter dormire bene di sera bisogna essere stanchi morti. Chi apre la porta della gioia – attenti – è sempre il sacrificio; non è quello, il sacrificio, che apre la porta soltanto della gioia, ma è anche la premessa di tutti i gaudi possibili, onesti e duraturi in questo mondo. Ecco il significato del Vangelo. – Siccome i veri commentatori del Vangelo sono i Santi. Il commento a questo Vangelo oggi lo fa S. Lorenzo, del quale in questa chiesa a lui dedicata da almeno dodici o tredici secoli celebriamo il ricordo della sua nascita al cielo, perché per i martiri, ma anche per gli altri, il giorno della morte è il giorno della nascita al cielo. Noi ricordiamo questo santo. Badate bene che questo poteva fuggire, perché, quando hanno preso e ucciso immediatamente il Papa Sisto II, del quale lui era diacono, nelle catacombe di Callisto, l’hanno lasciato. Lorenzo poteva fuggire; non è fuggito. Era il cancelliere della Chiesa romana; nello stesso posto aveva l’ufficio, dove oggi sorge il palazzo della Cancelleria apostolica. Sapeva che Valeriano aveva indetto la persecuzione dei cristiani per poter ricapitalizzare lo Stato che era estenuato – cosa facile a succedere in tutti i tempi – e sperava di metter mano sopra il tesoro della Chiesa, che al secolo III per il mantenimento della Chiesa stessa e dei poveri romani era già costituito. Lui ha distribuito tutto ai poveri, e, nonostante la boria imperiale, di poveri a Roma ce ne erano molti. Ha distribuito tutto. Dopo tre giorni dall’uccisione di Sisto, vanno a prendere lui e gli chiedono i denari, l’oro, e lui dice, mostrando una turba di poveri: “Ecco i tesori: sono questi”. Si sono sentiti burlati (perché anche in questa burla, l’aspetto di burla, si vede la grandezza dell’uomo) e per questo motivo, nonostante il fatto che era cittadino romano sebbene nato in Spagna e aveva diritto di morire semmai con l’unico colpo di scure, non hanno osservato la legge e lo hanno condannato a morire di fuoco lento. Sopra la sua tomba, nella basilica di S. Lorenzo in Campo Verano a Roma, c’è ancora la tavola di marmo bucherellata; ha un grande spessore, ha i buchi radi per potere prolungare al massimo il martirio. Se lo avessero messo su una semplice graticola, come quella che il Tavarone ha dipinto nell’affresco dell’abside, dopo cinque minuti era fritto; no, è stato un martirio lentissimo, atroce, superato con la dignità di un uomo, che sapeva di servire Iddio e sapeva che il dolore era l’anticamera della gioia. – Perché l’insegnamento che lascia S. Lorenzo è questo: quello che a noi sembra sacrificio, di fatto è sempre, anche nelle piccole cose umane, l’anticamera della gioia. Questo non per voler rovesciare il mondo, no; perché il mondo quando è rovesciato – e lo è – per metterlo a posto bisogna rovesciarlo un’altra volta!

SAN PANTALEONE MARTIRE

SAN PANTALEONE MARTIRE

27 LUGLIO.

Nel 103 Diocleziano emanò l’editto con cui dava principio alla decima e più terribile persecuzione dei cristiani, durante la quale l’intero mondo romano si trovò immerso nel sangue cristiano. Nicomedia, nell’Asia Minore, vide parecchie migliaia di questi eroi versare il sangue per la fede. Uno dei più illustri fu S. Pantaleone, nato da padre ricco e pagano e da madre cristiana, alla quale però la morte immatura tolse la gloria di istruire il figlio nella vera religione. Pantaleone era uno dei più celebri medici di Nicomedia, caro allo stesso imperatore, quando venne da Dio chiamato alla luce della fede. Incontratosi con Ermolao, sacerdote Cristiano, fu da questi invitato a trattenersi con lui. « Ho una sola ambizione, disse Pantaleone, quella di giungere a guarire tutte le infermità ». Ermolao, approfittando di sì retto ideale, gli annunziava Colui che con un solo cenno risanava ogni sorta di malattie. Il giovane medico, grandemente ammirato, volle essere completamente istruito nella fede e pochi giorni dopo riceveva il Santo Battesimo. Cristiano! sarà il nome che d’ora in poi lo distinguerà. Pantaleone ne intende la gloria, la santità, e la vita che a tal nome deve corrispondere. Imitare Gesù, essere un altro Gesù che ama i fratelli, i poveri, gli afflitti, li consola e li soccorre: ecco il proposito che animerà la sua vita. Distribuì ogni avere ai poveri, rendendosi povero anch’egli, e si dedicò tutto al servizio dei malati che visitava e guariva nel nome santo di Gesù. Intanto l’editto era gettato, la persecuzione infieriva per tutto l’Impero e Pantaleone veniva accusato come cristiano. Condotto allo stesso imperatore non esitò un istante. Confessò d’essere veramente cristiano, e contento di dare il sangue per la fede; che la sua religione gli proibiva di sacrificare ai loro dèi falsi e bugiardi e che perciò non avrebbe bruciato né incenso né altra cosa. Messo alle torture, fu da Dio miracolosamente protetto, e convertì gli stessi carnefici. – Disteso sul cavalletto, torturato e bruciato con torce non ne sentì il menomo danno; gettato in una caldaia di piombo liquefatto, questo, appena toccato dal martire, si raffreddò; si pensò allora di farlo morire annegato e legatogli una grossa pietra al collo, lo gettarono in mare, ma, simile ad un fuscello, la pietra apparve galleggiante liberamente sull’acqua, permettendo al martire di tornare alla riva. L’imperatore, sempre più esasperato, lo fece esporre alle fiere, e queste andarono a cadere mansuete ai suoi piedi, fra l’entusiasmo di tutto il popolo che assisteva. – Pantaleone fu allora sottomesso al supplizio della ruota, ma ne uscì ancora illeso. Diocleziano ricorse al mezzo estremo: lo fece legare ad un olivo, e mandò alcuni carnefici a decapitarlo. Ma un altro strepitoso miracolo doveva glorificare il nostro martire. La spada appena toccato il collo dell’eroe, divenne molle come cera, i carnefici si gettarono ai suoi piedi convertiti, e l’albero si ricoprì di frutti. Pantaleone, desideroso ormai d’entrare nella Patria beata, supplicò i carnefici a troncargli la testa, e così poté finalmente conseguire la palma gloriosa del martirio.

VIRTÙ. — L’invocazione del nome santo di Gesù, torni sovente sulle nostre labbra, e specialmente quando il demonio ci tenta con lusinghiere insinuazioni.

PREGHIERA. — Fa, te ne preghiamo, Dio onnipotente che imitiamo con devozione conveniente la costanza e la carità del tuo beato martire Pantaleone, il quale per la dilatazione della S. Chiesa, meritò di ottenere la palma del martirio. Così sia.

La liquefazione del sangue

 Il 27 luglio e la terza domenica di maggio, a Ravello, perla incastonata nella penisola sorrentina, si verifica il miracolo della liquefazione del sangue contenuto nell’ampolla conservata nel duomo. È questo un segno ancora di benevolenza del buon Dio verso i suoi fedeli che, vicini o lontani, sono chiamati alla preghiera per invocare l’intercessione del Santo martire nelle tragiche vicende odierne, a cominciare dalla totale apostasia dei chierici modernisti. Chissà che il Signore non si impietosisca ed anticipi i tempi della restaurazione della Fede Cattolica e della Santa Madre Chiesa, Una, Santa, Cattolica Apostolica Romana, unica ARCA di accesso alla vita eterna. Che Dio, per intercessione di San Pantaleone, ci esaudisca!

Orémus.

 Præsta, quǽsumus, omnípotens Deus: ut, intercedénte beáto Pantaleóne Mártyre tuo, et a cunctis adversitátibus liberémur in córpore, et a pravis cogitatiónibus mundémur in mente.

 San Pantaleone è patrono dei medici. Così come i Santi Cosma e Damiano è chiamato “anargiro”. Appartiene al gruppo dei quattordici soccorritori ai quali i cristiani ricorrevano in ogni sorta di difficoltà. Il santo ha sempre goduto di una particolare devozione in Italia,ma anche in Austria e in Germania. Alcune reliquie (parti del braccio) sono conservate a Venezia, nel tesoro della Basilica di San Marco. A Venezia vi è una chiesa a lui dedicata, la Chiesa di San Pantaleone (San Pantalon in dialetto veneziano),dove si può ammirare il famoso dipinto “San Pantaleone risana un fanciullo” del Veronese e altri due dipinti che raffigurano il santo: “San Pantaleone che risana un paralitico davanti all’imperatore Massimiano” e la “Decapitazione di San Pantaleone” di Jacopo Palma il Giovane. In Germania San Pantaleone è patrono della città di Colonia.

SANTA BRIGIDA DI SVEZIA e le orazioni mai approvate dalla Chiesa

S. BRIGIDA VEDOVA

(1303-1373)

8 OTTOBRE.

[da: “I Santi”; Alba, Pia Società S. Paolo – ROMA, 1933-impr.]

Brigida nacque da Brigero, principe di Svezia, e da Sigrida, discendente dai re dei Goti. Assai presto perdette la madre e venne allevata dalla zia. Si dice che fino a tre anni rimase muta, età in cui miracolosamente le si sciolse la lingua e cominciò a parlare in modo perfetto. Non ancora decenne, per aver udito un discorso sopra la passione di Gesù Cristo, rimase molto impressionata, e nella notte seguente, ebbe la visione di Gesù Cristo appeso alla croce, tutto coperto di sangue. Nello stesso tempo sentì una voce. «Guardami, figliuola mia, ecco quel che fanno quelli che mi disprezzano, e che sono insensibili all’amore che ho per loro ». Da quel tempo in poi non poté più pensare al mistero della Passione senza emettere sospiri e sciogliersi in lacrime. – A sedici anni il padre la maritò con un giovine signore, chiamato Ulfone, principe di Nerizia. Brigida, vedendosi così giovane, e sentendosi impreparata a tale passo, pregò ed ottenne dal padre un anno di dilazione, prima di coabitare col marito. Così i due sposi di vicendevole condenso passarono nella continenza il primo anno del loro matrimonio. La nostra santa lo impiegò tutto nel chiedere a Dio con fervorose preghiere, con lacrime e con digiuni, che si degnasse di non lasciarla mai deviare dai suoi precetti, di benedire il suo matrimonio, e di santificare in quel nuovo stato lei, il marito ed i figliuoli che le avrebbe dato. – I due sposi santificarono il vincolo matrimoniale coll’ascriversi al terz’Ordine di S. Francesco. La loro casa divenne subito una specie di monastero in cui i due consorti vivevano nelle pratiche austere della penitenza. Ebbero quattro figli e quattro figlie, dei quali gli ultimi due morirono bambini e due diedero la vita nelle crociate per la liberazione della Terra Santa. Delle quattro figlie, due si santificarono nello stato matrimoniale, e due si resero religiose di cui una, Caterina, è stata dalla Chiesa dichiarata santa. – Tutte le premure di Brigida furono rivolte ad allevare i figlioli nel timor di Dio, ed instillare loro tutte le virtù necessarie alla salute eterna. Dopo la nascita degli otto figli, indusse insensibilmente il marito a rinunciare all’onorevole carica di consigliere del re, per attendere più intensamente alla propria santificazione, e si obbligarono, per voto, di passare il restante della loro vita nella continenza. Fondarono un ospedale dove andavano spesse volte a servire i malati colla proprie mani. Santa Brigida, soprattutto, si dava alla cura dei poveri e degli infermi come di propri figlioli. Dopo la morte del marito, rimase più libera di darsi interamente alla penitenza ed alle opere di Dio. Fondò un monastero a Wastein ove rimase due anni per dare le direttive necessarie per un ottimo avvenire del medesimo. Poi venne a Roma, dove la tomba dei principi degli Apostoli, e le catacombe, olezzanti di profumo di tanti martiri, potevano somministrarle un pascolo più abbondante alla sua pietà. Spinta da un ardente amore per Gesù Cristo Crocifisso, fece un pellegrinaggio in Terra Santa. Quivi bagnò colle lagrime i luoghi santificati alla presenza del Salvatore e tinti dal suo preziosissimo sangue. Ritornata a Roma, fu assalita da un complesso di malattie, che sopportò con ammirabile pazienza. Sentendosi vicina a morire, si fece distendere sopra un cilicio per ricevere gli ultimi Sacramenti. Morì ai 23 di luglio nel 1373 all’età di 71 anno. – S. Brigida va in special modo ricordata per le grandi rivelazioni ricevute dal Salvatore e da Maria SS.

VIRTÙ. — S. Brigida è un perfetto modello, specialmente nelle virtù famigliari, come figliola, come sposa, come madre e come vedova.

PREGHIERA. — O Signore, Dio nostro, che per mezzo del tuo Figlio unigenito, hai rivelato alla beata Brigida i segreti celesti, concedi a noi tuoi servi per intercessione di lei di godere della letizia della manifestazione della tua eterna gloria. Così sia.

Ad S. Birgittam Reginam Sueciae, Vid.

Preghiera per gli scismatici e gli eretici fuori dalla Chiesa Cattolica.

Con cuore confidente ci volgiamo a voi, beata
Brigida, per domandare in questi tempi di ostilità
e di miscredenza la vostra intercessione in
favore di quelli, che sono separati dalla Chiesa
di Gesù Cristo. Per la chiara cognizione, che
Voi aveste dei crudeli patimenti del nostro crocifisso
Salvatore, prezzo della nostra redenzione,
vi supplichiamo di ottenere la grazia della fede
a coloro che sono fuori dell’unico ovile, così che
le disperse pecorelle possano ritornare all’unico
vero Pastore, Gesù Cristo nostro Signore.
Amen.
Santa Brigida, intrepida nel servizio di Dio,
pregate per noi.

Santa Brigida, paziente nelle
sofferenze e nelle umiliazioni, pregate per noi.

Santa Brigida, mirabile nell’amore verso Gesù e Maria, pregate per noi.
Pater, Ave, Gloria.

Indulgentia trecentorum dierum semel in die

(S. C. Indulg., 5 iul. 1905; S. Paen. Ap., 23 oct.  1928).

 

 

(Le presunte orazioni rivelate da Nostro Signore a Santa Brigida di Svezia non hanno mai avuto approvazione. – La Chiesa non ha mai approvato in particolare le promesse relative ritenendole apocrife: decr.  AAS, 1899 pp. 243; Monit. III, S. Off. 28 Jan. 1954)

 

 

 

 

S. GREGORIO NAZIANZENO E GIULIANO L’APOSTATA

GIULIANO L’APOSTATA E GREGORIO NAZIANZENO

[J. –J. Gaume: il “Catechismo di perseveranza”: vol III, Torino 1881]

Giuliano, nipote del gran Costantino, era pervenuto all’Impero nel 355. Sedotto da filosofi pagani, e trascinato dalle sue proprie passioni, quel principe abiurò pubblicamente alla Religione, e si accinse a risuscitare l’idolatria, accendendo una persecuzione sorda e perfida contro i Cristiani. Saccheggiò le Chiese, revocò tutti i privilegi loro, soppresse le pensioni concesse da Costantino pel mantenimento de’ chierici, delle vedove e degli orfani, e proibì ai Cristiani di chiamare in giudizio e di esercitare gl’impieghi pubblici. Nè ciò bastandogli, vietò che essi insegnassero le belle lettere, ben conoscendo i vantaggi ch’essi traevano dai libri profani, per combattere il Paganesimo e l’irreligione. Quantunque affettasse in ogni circostanza un sommo disprezzo per i Cristiani, ch’ei chiamava galilei, ei però conosceva il vantaggio, che loro procacciava la purità dei costumi e lo splendore delle virtù, e non cessava di proporne l’esempio ai sacerdoti pagani. Fu questa l’indole della persecuzione di Giuliano; cioè la dolcezza apparente e la derisione del Vangelo. Quando però conobbe che tornavano inutili tutti gli altri mezzi, allora trascorse alle violenze, e sotto il suo regno gran numero di Martiri contrassegnarono la fede col proprio sangue. L’empio principe vedendo che tal guerra non aveva che un lento risultato, deliberò di abbattere il Cristianesimo con un colpo solo. A tal effetto si accinse a dare una mentita formale a Nostro Signore medesimo, volendo cosi convincerlo d’impostura, e abbandonare l’opera sua allo scherno di tutti i secoli. Ma vedremo quali sieno i consigli degli uomini, quando si volgono contro il Signore! – Il principale divisamento di Giuliano era di convincere di falsità le Profezie, tanto quella di Daniele, che predice la distruzione di Gerusalemme come irreparabile, quanto quella del Salvatore, che assicura espressamente che non vi rimarrebbe pietra sopra pietra, epperò intraprese a rialzare quell’edificio. Egli scrisse a tutti i Giudei una epistola lusinghiera, promettendo loro di aiutarli a tutto suo potere per far risorgere dalle sue rovine il tempio, ove per tanto tempo avevano adorato il Dio degli avi loro. A tal nuova accorrono i Giudei da Gerusalemme; con somma premura accumulano considerevoli somme; le donne giudee offrono le gioie e gli amuleti per contribuire alle spese dell’impresa; i tesori dell’Imperatore somministrano immense somme. L’Imperatore medesimo spedisce abili architetti dalle diverse provincie dell’Impero, affida la soprintendenza dei lavori ad Alipio suo amico intimo che invia sul posto per sollecitarne l’esecuzione. Tutto essendo per tal modo disposto, viene preparata una gran quantità prodigiosa di materiali, si lavora notte e giorno con un ardore incredibile a ripulire l’area dell’antico tempio e a demolire quanto rimaneva dei fondamenti. Alcuni Giudei avevano preparato per questo lavoro delle zappe e delle ceste d’argento. Le donne più delicate mettevano mano al lavoro, e trasportavano i scarichi nelle loro vesti più ricche. – Intanto, finita la demolizione si stava per gettare i nuovi fondamenti; ma Dio aspettava i propri nemici a quel punto. Ascoltiamo un autore, la cui testimonianza non ci può esser sospetta; è questo Ammiano Marcellino, pagano di religione, e che ha fatto di Giuliano l’eroe della sua storia. – « Mentre che il conte Alipio, assistito dal Governatore della provincia, sollecitava i lavori, spaventevoli globi di fiamme si slanciarono dai fondameti, arsero gli operai e resero loro inaccessibili i luoghi. Più volte gli operai si provarono a ripigliare il lavoro, ma persistendo sempre quell’elemento con una specie di ostinazione a respingerli, furono questi obbligati a tralasciare l’impresa »(lib. XXIII, c. 1). – Ecco in qual maniera si esprime uno storico che adorava gl’idoli del Paganesimo, e che era ammiratore di Giuliano. Chi ha potuto strappargli dalla penna una tale confessione, se non la verità? – S. Gregorio di Nazianzo, autore contemporaneo, aggiunge che cadde la folgore; che si videro croci di un colore nericcio scolpite sugli abiti di coloro che erano presenti; che molti, inseguiti dalle fiamme, vollero salvarsi in una chiesa vicina, ma un fuoco improvviso li raggiunse, consumò alcuni, mutilò altri, lasciando a tutti i segni i più visibili della formidabile potenza di Dio, ch’essi erano venuti ad insultare. Nonostante si ostinarono a intraprendere l’opera; ma quelle eruzioni di fuoco ricominciarono ogni qual volta vollero rinnovare i lavori, e non cessarono se non quando furono tralasciati del tutto. « È questo, egli dice, un fatto notorio, e da tutti riconosciuto » (Orat. IV, adv. Jul.). – Cosi, se rimaneva qualche pietra da togliere dai vecchi fondamenti del tempio, tutto quell’affaccendarsi riuscì a dare alle parole del Salvatore il loro compimento letterale. Giuliano voleva essere onnipotente, ma quando si trattò di riporre una sola pietra in quei fondamenti maledetti per sempre, ei vide venir meno tutta la sua potenza e tutto l’odio suo. È dunque vero che tutti gli attacchi diretti contro la Chiesa si volgono a sua gloria e trionfo! È questa un’osservazione che giova fare una volta per sempre. – Giuliano al colmo dell’ira giurò, a malgrado della propria disfatta, di spegnere il Cristianesimo, ma prima volle porre fine alla guerra contro i Persiani. Fece immensi preparativi, e innumerabili sacrifici, e sul partire giurò nuovamente di annichilare a tempo opportuno la Chiesa; ma Dio ebbe ancor modo a salvarla dall’arrogante e insensata minaccia. Questo principe essendosi impegnato all’avanguardia senza corazza, fu pericolosamente ferito. Mentre egli alzava la mano per incoraggiare le sue milizie gridando: « Tutto per noi »; fu ferito a morte da una freccia. Allora ei prese colla mano il sangue che scorreva dalla sua ferita, e scagliandolo verso il Cielo esclamò: « Finalmente tu hai vinto, o Galileo ». Fu questo l’ultimo grido del Paganesimo agonizzante. La notte dippoi, cioè il 26 giugno 363, Giuliano morì in età di trentadue anni, principe in tutto degno di avere per apologista un Voltaire ». – Questa morte funesta era stata predetta da un Santo che viveva a quei tempi. Un Pagano avendolo incontrato gli chiese beffandolo: che cosa fa in adesso il Galileo? – A cui il Santo rispose tosto: Sta preparando un feretro. – Egualmente noi pure, allorché, nei giorni del pericolo, vediamo la Chiesa combattuta, incatenata, spogliata, dileggiata ed udiamo richiederci fra le risa degl’empi: Che cosa fa il Galileo? Dobbiamo fidentissimi rispondere: “Prepara dei feretri.” Sì, egli apre sepolcri in cui devono cadere i suoi nemici; nei quali hanno da imputridire come in passato tutti gli avversari del regno del Cristo: Imperatori, filosofi, popoli interi. Giuliano non solo combatté la Religione con la spada, ma con la penna eziandio. Ma la Provvidenza suscitò de’ vigorosi antagonisti al coronato sofista. – Uno tra i primi a far mostra di sè è San Gregorio di Nazianzo. Questo dottore della Chiesa, sopracchiamato il Teologo, per la cognizione profonda ch’egli aveva della Religione, nacque nel territorio di Nazianzo, piccola città di Cappadocia in vicinanza di Cesarea. Gregorio suo padre era pagano, ma fu convertito per le preghiere di Santa Nonna sua moglie. Quella virtuosa donna dedicò al Signore suo figlio Gregorio fino dalla sua nascita. Ei corrispose ben presto alle premure, che i suoi genitori si presero di formarlo alla virtù. Dopo i suoi primi studi, fu mandato ad Atene, affinché profittasse delle lezioni de’ celebri uomini, di cui quella città era il soggiorno; colà si unì in stretta amicizia con San Basilio, che al pari di lui vi si era recato per terminarvi i suoi studi. Io vi citerò, ad esempio, e tutti i Cristiani citeranno per sempre, quei due grandi uomini come i perfetti modelli d’un’amicizia del pari tenera che santa. Essi erano inseparabili: solleciti di evitare le compagnie scandalose, non frequentavano che que’ loro condiscepoli, ne’ quali l’amore dello studio andava unito alla pratica delle virtù. Non mai furon visti assistere a spettacoli profani; non conoscevano nella città che due strade, quella che conduceva alla Chiesa, e quella che conduceva alle pubbliche scuole. Menavano una vita molto austera, e non adopravano del denaro inviato loro dalla famiglia, che il puro necessario per i bisogni indispensabili della natura, distribuendo ai poveri il resto. Gregorio tornò a Nazianzo, preceduto da una brillante reputazione, e suo primo pensiero fu di ricevere il Battesimo. Da quel momento, morto al mondo e a tutte le sue lusinghe, ei non conobbe altro zelo che quello per la gloria di Dio. Onde appagare il desiderio ch’ei nutriva della propria perfezione, ruppe ogni commercio col mondo, e andò a ritrovare San Basilio che viveva in solitudine. Le veglie, i digiuni e preghiere formavano le delizie di quei due grandi uomini; univano al lavoro delle mani il canto dei Salmi, e lo studio della sacra Scrittura. Nella spiegazione degli oracoli divini essi seguivano non già i propri lumi, nè il proprio particolare intendimento, ma le dottrine degli antichi padri e de’ dottori della Chiesa. Verso questo tempo Gregorio scrisse il suo celebre discorso contro Giuliano; in esso egli parla con quella energia che praticavano i Profeti, quando per ordine di Dio essi rimproveravano i delitti dei re e degli empi. Era suo unico scopo difendere la Chiesa contro i Pagani, smascherando l’ingiustizia, l’empietà e l’ipocrisia del suo più pericoloso persecutore. Dio non permise che quella splendida luce restasse più lungo tempo nascosta. La Chiesa di Costantinopoli gemeva da quarant’anni sotto la tirannia degli Ariani; i pochi Cattolici che ancora vi restavano erano privi di pastori e perfino di chies; si diressero a Gregorio, del quale conoscevano la dottrina, l’eloquenza e la devozione, e lo supplicarono caldamente di accorrere in loro aiuto. Molti Vescovi si unirono ad essi, onde ottenere più facilmente che fossero udite le loro preghiere, e dopo molta resistenza Gregorio dovrà arrendersi. – Non mi farò qui carico di narrare quanto ebb’egli a soffrire per parte degli eretici, mentre stette sulla sedia di Costantinopoli; basti dire che il Santo non oppose a tanti oltraggi che la preghiera e la pazienza. Le sue virtù e i suoi talenti traevano presso di lui un gran numero di persone. San Girolamo stesso abbandonò i deserti della Siria per recarsi a Costantinopoli. Ei si pose tra i discepoli di Gregorio, studiò sotto di lui la Scrittura, e si fece gloria per tutta la vita di avere avuto un tal precettore. – Intanto le turbolenze crebbero nella Chiesa di Costantinopoli, e fu adunato un Concilio per porvi un termine. Il santo Patriarca mostrò in tale occasione una grandezza d’animo superiore ad ogni elogio. Vedendo che vi era molto fermento negli animi, ei si alzò e disse all’assemblea: Se la mia elezione è quella che cagiona tanti torbidi, io mi sottopongo a subire la sorte di Giona; gettatemi in mare per calmare la tempesta che non ho suscitata. Io non ho mai desiderato di essere Vescovo; e se lo sono, ciò è mio malgrado; se vi sembra espediente che io mi ritiri, io son pronto a tornare alla mia solitudine, affinché la Chiesa di Dio possa finalmente ridivenire tranquilla. Vi prego soltanto di unire i vostri sforzi, affinché la sedia di Costantinopoli sia occupata da un personaggio virtuoso, che abbia zelo per la difesa della fede » (Carm. I). – Dopo avere così dato la sua dimissione, il Santo usci dall’assemblea e. si recò al palazzo; colà si gettò a’ piedi dell’imperatore Teodosio, e avendogli baciato la mano, « vengo, gli disse, o signore, non col divisamento di chiedere ricchezze ed onori per me o per i miei amici, né per sollecitare la vostra liberalità a pro delle Chiese, ma vengo a chiedere il permesso di ritirarmi. La maestà vostra non ignora che contro il voler mio fui collocato nella sedia di questa città, ch’io son divenuto odioso perfino a’ miei amici, perché io miro soltanto agl’interessi del Cielo; vi scongiuro a far sì che la mia dimissione sia gradita. Aggiungete alla gloria dei vostri trionfi quella di ristabilire nella Chiesa la pace e la concordia ». – L’Imperatore fu stranamente sorpreso di una tal grandezza d’animo, e non senza molta pena concesse al santo Vescovo ciò che ei domandava con tanto ardore. Gregorio si congedò con uno stupendo discorso, che pronunziò nella Cattedrale di Costantinopoli in presenza dei Padri del Concilio e d’una moltitudine immensa di popolo. Ei lo terminò prendendo commiato dalla sua diletta metropolitana, dalle altre chiese della città, dai Santi Apostoli che vi erano onorati, dalla cattedra episcopale, dal suo clero, dai monaci, da tutti i servi del Signore, dall’Imperatore e da tutta la corte d’Oriente e d’Occidente, dagli Angeli tutelari della sua Chiesa e dalla Santa Trinità che vi si venerava. « Figli miei, soggiunse, custodite il deposito della fede, e rammentatevi delle pietre che mi sono state scagliate, perché io mi affaticava a porre ne’ vostri cuori la vera dottrina ». I fedeli inconsolabili lo seguirono piangendo e pregandolo a rimanere con essi; ma dei motivi superiori lo costrinsero ad effettuare il suo proposito. Egli si ritirò nella solitudine d’Arianza, ove consumò il rimanente de’suoi giorni, poiché era allora ben vecchio ed infermo. Vi era nella solitudine un giardino, una fontana e un boschetto che gli facevano gustare i piaceri innocenti della campagna. Colà egli esercitava ogni specie di mortificazione corporale; spesso digiunava e vegliava, pregava molto in ginocchio, non adoprava mai fuoco, non si calzava, di una semplice tunica si vestiva, si coricava sulla paglia, e non aveva per coprirsi che un sacco. – In mezzo alle rigorose sue austerità quel grand’uomo compose dei poemi, per confutare gli eretici Apollinaristi. Tali furono le sue occupazioni fino alla beata sua morte, che avvenne nel 389. – Le opere di San Gregorio si compongono: 1° Discorsi in numero di cinquanta. Alcuni di quei discorsi trattano della fede e di diversi punti della morale cristiana; la maggior parte hanno per oggetto di difendere la dottrina della Chiesa contro gli assalti degli eretici, altri sono panegirici pronunziati in onore di diversi Martiri nel giorno della loro festa: ei dettò anche l’elogio di San Basilio suo illustre amico; 2° Lettere, in numero di 257. La maggior parte sono interessantissime, e ci fanno conoscere per minuto il carattere di quel grand’uomo; 3° Poemi e poesie amene in grandissimo numero. Secondo alcuni autori, San Gregorio è il primo tra gli oratori sacri e profani. Questo Padre concepì sempre le cose nobilmente, e le espresse con una delicatezza e una eleganza inimitabili. Vivo, caloroso, fiorito, maestoso, il suo stile contiene una serie di bellezze che non si potrebbero comunicare ad un’altra lingua. I suoi versi, degni dei suoi discorsi, meriterebbero ben più che quei di Virgilio, d’Omero o d’Orazio, d’essere i libri classici delle nostre scuole.

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Gregorio Nazianzeno, un altro Gregorio [come il nostro Santo Padre Gregorio XVIII] che ha sofferto per la Chiesa difesa strenuamente contro i nemici di Cristo. Anche oggi, alla nostra Chiesa Cattolica eclissata, molto beffardi chiedono: “… ma che fa il vostro Signore “il Galileo”, sta a guardare o forse dorme, visto che gli apostati modernisti “giuliani” hanno usurpato ed invaso tutti gli spazi della Chiesa?”- Cosa possiamo noi rispondere se non con le parole del santo dei tempi di Giuliano: “Sta preparando un feretro”, anzi tantissimi feretri ove sprofondare i nuovi apostati, i traditori, gli usurpatori, i nemici di Dio e di tutti gli uomini, i marrani e quelli che hanno per padre il diavolo! Exsurgat Deus!

 

QUIS UT DEUS? 8 Maggio. Apparizione di S. Michele

QUIS UT DEUS?

APPARIZIONE DI S. MICHELE ARCANGELO

8 MAGGIO.

La Sacra Scrittura e la Tradizione ci fanno conoscere più apparizioni di S. Michele; e come una volta la Sinagoga dei Giudei, così ora la Chiesa di Dio onorò sempre S. Michele, quale suo custode e protettore. Onde dopo l’era delle persecuzioni sorsero ben presto in suo onore molte Chiese, sia in Oriente specie a Costantinopoli, come in Occidente, prima a Ravenna e poi a Roma. La solennità odierna venne istituita a ricordare l’apparizione di S. Michele sul monte Gargano, nella Capitanata, essendo Pontefice Gelasio I. – Narra la Tradizione, che essendo capitati su quel monte dei cacciatori, e vedendo un cervo di singolare bellezza, uno lasciò scoccare l’arco verso di lui, ma la freccia anziché colpire il cervo ritornò sul cacciatore. A tal vista spaventati tutti fuggirono, mentre l’accaduto veniva narrato al Vescovo della città; il quale credendolo cosa prodigiosa ordinò a tutto il suo popolo tre giorni di digiuno e di preghiere. Terminati i giorni di digiuno, tutto il popolo con a capo il Vescovo si recò processionalmente sul monte, ove il Vescovo vide e udì l’Arcangelo S. Michele dichiarare che quel luogo era stato posto in sua tutela. A questo favore tutti caddero in ginocchio, rendendo grazie a Dio per avere mandato S. Michele a prendere possesso di quel monte sul quale la pietà dei fedeli vi eresse un tempio, in cui ben presto si operarono tali prodigi da confermare la tradizione. Il monte Gargano divenne da quel giorno luogo di grandi pellegrinaggi, specie nei tempi di calamità, né mai vi salivano invano, poiché ogni volta per intercessione dell’Arcangelo S. Michele si manifestava la bontà divina, concedendo quanto si domandava. – Fatto luminoso è quello di S. Romualdo, il quale nell’anno 1002 impose all’imperatore Ottone III di salir sul monte Gargano a piedi nudi per incurvarsi a S. Michele ed espiare così il delitto di cui erasi reso colpevole permettendo fosse ucciso il senatore Crescenzio, cui aveva solennemente giurato la grazia di aver salva la vita. – Certo tutti gli spiriti celesti come ci insegna la Chiesa sono ministri di Dio, ma S. Michele ha potere grande presso l’Altissimo poiché ne difese la gloria coll’abbattere il superbo Lucifero. Memorabili sono le sue parole pronunciate prima di incominciare la lotta contro gli spiriti ribelli, parole di cui è formato il suo nome: « Michael?» « Quis ut Deus? Chi è come Dio?». Ricordiamoci che S. Michele, principe delle milizie celesti, con una moltitudine di Angeli, venne a noi mandato da Dio, il quale consegnò a loro le nostre anime affinché le conducano alla vita eterna.

RICORDO. — A fianco di ciascheduno fu posto un Angelo Custode: non offendiamone la presenza col peccato.

PREGHIERA. — Dio che con ammirabile ordine dispensi i ministeri degli Angeli e degli uomini, concedi propizio che la nostra vita in terra sia difesa da coloro che in cielo sempre ti servono ed assistono. Così sia

Preghiera a s. Michele Arcangelo.

O Gran Principe della milizia celeste, Voi che sempre state in difesa del popolo di Dio , già combatteste col Dragone, e lo scacciaste dal Cielo: a voi dico, efficacemente difendete la santa Chiesa, le porte dell’ inferno non possano prevalere contro di essa; assistetemi col vostro potente patrocinio in ogni cimento contro il demonio, e specialmente in quello che proverò nell’ ultimo dei miei giorni, ove temo per la mia debolezza di poter essere superato: vi prego dunque, o Principe fortissimo, a non abbandonarmi in quel punto, acciò possa costantemente resistere al nemico infernale, mediante la divina virtù: perché in tal modo trionfando di questo capitale nemico, possa poi lodare e benedire con voi, e con tutti gli Angioli la somma clemenza del mio Dio nel cielo.

Sancte Michael Archangele, defende nos in prælio, ut non pereamus in tremendo iudicio.

Inno a s. Michele (1).

[Per ottenere gli efficaci effetti del suo patrocinio sia in vita che in morte].

O gran virtù del Padre,

Del ciel vivo splendore,

Vita del nostro cuore.

Amato mio Gesù.

Noi ti lodiam per tutto

Fra gli Angioli purissimi,

Arcangeli santissimi,

Che pendono da te.

Folta coron di Duci,

Che mille e mille sono,

Combattono pel Trono

Del Padre, Spirto e Te.

Ma Vincitor fra tutti,

Col volto fiero e atroce,

Spiega Michel la Croce,

Gran segno d’umiltà

Di Satanasso il capo

Ei schiaccia velenoso,

E nel Tartaro ombroso

Per sempre il confinò.

Dalla celeste rocca

Lo fulmina, lo scaccia,

Senza voltar mai faccia.

Senza tremare il pie.

Contro il superbo Duce

Michel noi seguiremo,

Con lui combatteremo,

Forti senza timor.

Acciò dal Padre e Figlio

La gloria a noi ne vanga,

Lo spirto ci sostenga

Di santa e pura fé

Al Padre insiem col Figlio,

E a te Spirito santo,

Gloria si dia frattanto

Sempre ed in ogni età. Cosi sia.

Antifona. O principe gloriosissimo Michele Arcangelo, ricordati di noi; qui e dovunque prega sempre per noi il Figlio di Dio.

V.. Nel cospetto degli Angeli ti esalterò, mio Dio.

R.. Ti adorerà al tempio santo tuo, e confesserò il tuo Nome.

Orazione.

Dio, che con maraviglioso ordine distribuisci i misteri degli Angioli e degli uomini,

piacciati di fare che da questi ministri, che in Cielo ti fan corona, sia la vite nostra in terra soccorsa e fortificata.

 

(1) [Pio VII con rescrìtto perpetuo del 6 maggio 1817 concesse a tutt’i Fedeli 200 giorni d’Indulgenza per una volta al dì a chi lo reciterà e l’Indulgenza plenaria a quelli che giornalmente per un mese continuo lo diranno, in un giorno ad arbitrio, in cui confessati e comunicati, pregheranno secondo 1’intenzione del sommo Pontefice.]

NOVENA in onore di S. Michele Arcangelo

I . Grande esemplare di umiltà che fin dal principio compariste nel mondo, e Zelatore ardente della gloria di Dio, per quella sommissione perfetta da voi prestata all’infinita Maestà di Dio e per quello zelo con cui cacciaste dal Paradiso Lucifero a Dio ribelle; ottenetemi la vera umiltà di cuore, affinché, sottomettendomi perfettamente a Dio, ed alle creature tutte per amore di Lui, meriti da Dio medesimo quelle grazie che Egli ha promesso ai soli umili di cuore. Pater, Ave e Gloria.

II. Principe del Popolo di Dio, per quell’impegno, che mostraste sempre pei suoi vantaggi, e che vi fece pregare il Signore a far finalmente finire la schiavitù dello stesso popolo in Babilonia, e ne foste esaudito; ottenetemi voi da Dio il perdono dei miei peccati che mi fecero schiavo del demonio, ed impetratemi ancora la perfetta, costante e perseverante mutazione di vita, e la santità de’ costumi, affin di meritare insiem con voi la gloria promessa ai mondi di cuore. Pater, Ave e

III. Terror dei diavoli e di coloro che sono loro seguaci, per quello spavento che incuteste a Balaamo perché non maledicesse il popolo del Signore, e 1’obbligaste a benedirlo; difendetemi da tutte le insidie che mi terranno gli amatori del mondo, seguaci del diavolo, affinché possa io, scampato dai loro lacci, camminare sicuro per la via dell’eterna mia salata- Pater, Ave e Gloria.

IV. Modello ammirabile di ogni angelica virtù, che nell’opporvi al diavolo perché non fosse manifestato agli Ebrei il sepolcro di Mose per non farli idolatrare, non ardiste proferire contro di lui voce alcuna di bestemmia, ma lo vinceste con quelle ammirabili parole : Ti reprima il Signore; ottenetemi voi da Dio un santo Zelo contro dei peccatori, ed un vero amore verso il mio prossimo, senza mai offenderlo o fargli male né con fatti, né con parole, affin di meritare il premio promesso da Gesù Cristo a quelli che avranno avuto la vera carità verso del prossimo. Pater, Ave.e Gloria.

V. Difensore potentissimo delle anime contro le potestà delle tenebre, per quella difesa che prendeste del Sommo Sacerdote Giudaico, chiamato Gesù, contro le accuse del diavolo che lo voleva veder condannato, onde poi si vide risplendere di virtù, e governare coll’ assistenza degli Angeli il popolo di Dio; difendetemi voi dalle accuse che il demonio farà di me al Tribunale di Dio, specialmente nell’ora della mia morte, ed ottenetemi il perdono dei peccati miei, mediante una perfetta contrizione di cuore specialmente nell’ultimo punto di mia vita, affinché la mia morte sia la morte dei giusti nel bacio del Signore. Pater, Ave Gloria.

VI. Gloriosissimo Principe della Milizia Angelica, per l’aiuto che prestaste a quell’Angelo che comparve a Daniele, e ne appagò le brame; siate sempre voi in mio aiuto nel combattere il demonio, il mondo e la carne, sino alla morte, onde adempiendo i divini precetti, meriti la gloria, che voi godete fin dal principio del Mondo. Pater, Ave Gloria.

VII. Zelatore ardentissimo della salute degli uomini per esser voi costituito da Dio in Principe e Protettore delle anime elette nell’uscire di questa vita; voi assistetemi in vita, e molto più in morte, ottenendomi da Dio tutte quelle grazie che mi bisognano per vivere bene e ben morire, affin di essere da voi presentato a Cristo Giudice come cosa vostra, e meritare così la sentenza delle anime giuste. Pater, Ave e Gloria.

VIII. Arcangelo accettissimo al cuor di Dio, che siete da lui destinato in protettore delle anime giuste che trovansi in Purgatorio; colle vostre orazioni ottenete da Dio la liberazione sollecita di quelle anime sante da quelle atrocissime pene, e la sollecitudine stessa mostrate per me, se salvandomi, come spero per divina misericordia e per vostra intercessione, mi troverò ancor io nel numero di quelle anime che penano in quelle fiamme. Pater, Ave e Gloria.

IX. Principe gloriosissimo del Paradiso per la destinazione da Dio fatta di voi in Protettor della Chiesa di Gesù Cristo, come Io foste un’altra volta della Chiesa Giudaica, e ciò sino alla fine del mondo, quando venendo voi cogli Angeli vostri in aiuto di Enoc, e di Elia, e dei Ministri della Chiesa, combatterete e vincerete l’Anticristo, il Diavolo e gli Angeli suoi ribelli, che saranno da voi sommersi negli abissi infernali, deh voi proteggete sempre con fortezza la Chiesa “vera” di Gesù Cristo ed i suoi fedeli, ottenendo da Dio la conversione ai peccatori, l’aumento della grazia ai giusti, e a tutti la perseveranza finale. Pater, Ave e Gloria.

ANTIPHONA.

Princeps gloriosissime Michael Archangele, esto memor nostri, hic et ubique semper precare prò nobis filium Dei.

V.In cospectu Augelorum psallam tibi,Deus meus.

R. Adorabo ad templum sanctum tuum, et confitebor nomini tuo.

OREMUS.

Deus, qui miro ordine, Augelorum ministeria hominumque dispensas: concede propitius, ut a quibus tibi ministrantibus in coelo semper assistitur, ab his in terra vita nostra muniatur. Per Christum Dominum nostrum. Amen.

[da: “Il giardino spirituale”;  Napoli 1903 – imprim.]

 

S. PIO V CONFESSORE E PONTEFICE

5 MAGGIO.

PIO V CONFESSORE E PONTEFICE

Pio V, chiamato al secolo Michele Ghisleri, nacque in Bosco, piccolo villaggio del Piemonte e frequentando fino da fanciullo un convento di Domenicani finì per abbracciarne l’Ordine. Distinguendosi fra i molti compagni per profondità di sapere e sodezza di virtù, appena ebbe l’età fu promosso al Sacerdozio. – Con grande zelo disimpegnò sotto i Papi Paolo IV, e Pio IV i gravi uffici di inquisitore di Lombardia e quindi di Vescovo di Alessandria, uffici nei quali non solo divenne celebre per il suo ardente zelo ma ancora per la prudenza e perspicacia con cui seppe disimpegnarli. Venuta più tardi vacante la romana sede, il Ghisleri venne eletto Sommo Pontefice, assumendo il nome di Pio V. – I tempi correvano tristi, l’eresia luterana che spargeva faville di ribellione ovunque minacciava la Fede cattolica in tanti paesi, e sebbene sedesse da molti anni il Concilio di Trento per arrestare appunto l’eresia di Lutero, i fautori di esso erano sì astuti che i Padri del Concilio non riuscivano a venirne a capo. Fu in questi tempi tristi che i l santo Pontefice Pio V svolse tutto il suo Apostolato di bene. Egli incominciò col reprimere la dissolutezza ed il vìzio, quindi con l’aiuto del Borromeo chiuse il Concilio Tridentino intimando che ne fossero eseguiti i canoni: contribuì pure alla correzione del Breviario e del Messale. – Ma se tristi erano i tempi quanto al lato morale non meno tristi erano per il lato politico, poiché i Turchi che circondavano l’Italia minacciavano continuamente di penetrarvi e saccheggiare Roma. Ma S. Pio V seppe pure trionfare di questi gravi pericoli, assistito dalla S. Madonna, ch’egli tanto amava. Convocati infatti e riuniti in un unico esercito i principi cristiani, ordinò di liberare finalmente le popolazioni italiane dal grave pericolo dei Turchi. L’esercito con i principi dietro il comando del Papa partì, accompagnato dalle preghiere di tutta la cristianità; e nelle acque di Lepanto, si incontrò col nemico. Terribile fu la lotta, ma il Pontefice accompagnava l’esercito cristiano con la recita del S. Rosario e la vittoria tutta di Maria SS. fu dei cristiani; i Turchi furono messi in disordinata fuga; e da quel giorno tanto memorabile nella storia della Chiesa, Maria fu onorata col titolo di « Auxilium Christianorum » e con la solennità del S. Rosario. – S. Pio V, per purgare poi l’aiuola della Chiesa, non lavorò solo a parole, ma anche con l’esempio, mostrandosi esemplare in ogni virtù. Visse sobrio ed umile, passando gran parte delle sue giornate nella preghiera per la dilatazione del Regno di Cristo e per la pace della Chiesa in quei tempi tanto sconvolta. Dopo fecondo apostolato fu visitato da crudele infermità che sopportò con santa rassegnazione. Morì nel maggio del 1572, mentre tutta la cristianità ripeteva: « Ci fu rapito un padre, è morto un santo ».

VIRTÙ. — Il S. Rosario è una preghiera universale: recitiamolo, meditando i santi misteri.

PREGHIERA. — Dio, che a sconfiggere i nemici della tua Chiesa e restaurare il divin culto ti degnasti di eleggere il Sommo Pontefice beato Pio; fa che noi difesi dal suo soccorso, siamo così attaccati al tuo servizio che superate le insidie di tutti i nemici, ci allietiamo di una perpetua pace. Così sia. [un Santo per ogni giorno -1933, imprim.-]

Omelia di san Leone Papa

Sermone 2 nell’anniversario della sua elezione, prima della metà

Allorché, come abbiamo inteso dalla lettura del Vangelo, il Signore domandò ai discepoli, chi essi (in mezzo alle diverse opinioni degli altri) credessero ch’Egli fosse, e gli rispose il beato Pietro con dire: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Matth. XVI,16; il Signore gli disse: « Beato te, Simone, figlio di Giona, perché non te l’ha rivelato la natura e l’istinto, ma il Padre mio ch’è nei cieli Matth. XVI,17-19: e Io ti dico, che tu sei Pietro, e su questa pietra Io edificherò la mia Chiesa, e le porte dell’inferno non prevarranno contro di lei: e darò a te le chiavi del regno dei cieli: e qualunque cosa legherai sulla terra, sarà legata anche nei cieli; e qualunque cosa scioglierai sulla terra, sarà sciolta anche nei cieli». Rimane dunque quanto ha stabilito la verità, e il beato Pietro conservando la solidità della pietra ricevuta, non cessa di tenere il governo della Chiesa affidatagli. – Infatti in tutta la Chiesa ogni giorno Pietro ripete: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente»; ed ogni lingua, che confessa il Signore, è istruita dal magistero di questa voce. Questa fede vince il diavolo e spezza le catene di coloro ch’esso aveva fatti schiavi. Questa, riscattatili dal mondo, li introduce nel cielo, e le porte dell’inferno non possono prevalere contro di lei. Perché essa ha ricevuto da Dio fermezza sì grande, che né la perversità della eresia poté mai corromperla, né la perfidia del paganesimo vincerla. Così dunque, con questi sentimenti, dilettissimi, la festa odierna viene celebrata con un culto ragionevole; così che nella umile mia persona si consideri ed onori Colui nel quale si perpetua la sollecitudine di tutti i pastori e la custodia di tutte le pecore a lui affidate, e la cui dignità non vien meno neppure in un erede. – Quando dunque Noi facciamo udire le nostre esortazioni alla vostra santa assemblea, credete che vi parla Quello stesso di cui teniamo il posto: perché animati dal suo affetto noi vi avvertiamo, e non vi predichiamo altro se non quello ch’Egli ci ha insegnato, scongiurandovi, che cinti spiritualmente i vostri lombi, «meniate una vita casta e sobria nel timor di Dio» 1Petri 1,13. Voi siete, come dice l’Apostolo, «la mia corona e la mia gioia» Philipp. IV,1, se però la vostra fede, che fin dal principio del Vangelo è stata celebrata in tutto il mondo, persevererà nell’amore e nella santità. Poiché, se tutta la Chiesa sparsa per tutto il mondo deve fiorire in ogni virtù; è giusto che fra tutti i popoli voi vi distinguiate per il merito di una pietà più eccellente, voi che, fondati sulla vetta stessa della religione e sulla pietra dell’apostolato, siete stati riscattati, come tutti, da nostro Signore Gesù Cristo e, a preferenza degli altri, istruiti dal beato Apostolo Pietro.

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Basterebbe questa brevissima biografia ed il brano dell’omelia di S Leone, per capire cosa significhi essere un Papa Cattolico. Oggi la maggior parte dei “finti” cristiani, coscientemente o meno, apostati, ma sempre e comunque colpevoli, ha abboccato “allegramente” alle sceneggiate proposte fin dal 1958 dalle “marionette” massoniche poste sul “teatrino” della sinagoga di satana … si pensi solo alla strenua azione del Papa Ghisleri contro l’eretico spergiuro Lutero e contro le sue sataniche proposizioni, eresiarca della peggior specie, omicida-suicida, oggi osannato dalla “falsissima” corrotta gerarchia dei marrani, quasi canonizzato dal “clown della pampa” che è già corso a festeggiare con i “fratelli di grembiulino” protestanti e ancora continuerà … Usquequo Domine, usquequo!…

Solo un’altra breve osservazione: con il Rosario tra le mani il Santo Padre scongiurava l’invasione dei turchi dell’epoca: prendiamo esempio, forse è proprio perché questo nessuno di noi oramai lo fa più, che i turchi, i saraceni ed i maomettani moderni ci stanno invadendo con le “galere” degli scafisti protette e scortate, rendendo inutili gli eroismi di Lepanto e la preghiera di S. Pio V.

Che la Vergine ci conceda una nuova e definitiva LEPANTO!