LO SCUDO DELLA FEDE (134)

LO SCUDO DELLA FEDE (134)

P. F. GHERUBINO DA SERRAVEZZA

Cappuccuno Missionario Apostolico

IL PROTESTANTISMO GIUDICATO E CONDANNATO DALLA BIBBIA E DAI PROTESTANTI (1)

FIRENZE DALLA TIPOGRAFIA CALASANZIANA – 1861

A’ MIEI FRATELLI ITALIANI.

Italiani Fratelli! una grande insidia vi è tesa! Già da parecchi anni una moltitudine di scaltri emissarii del Protestantismo vanno di continuo aggirandosi intorno a voi per cogliervi nei loro lacci. Italiani Fratelli! non si tratta di meno che di strappare dai vostri cuori la Santa Cristiana Fede, di stirpare dalla nostra deliziosa Italia la sua gloria più bella, il suo più magnifico e prezioso tesoro, la Cattolica Religione, e a lei sostituire le sinagoghe dei loro errori. Italiani Fratelli! non solo i nostri più avveduti, ma persino alcuni dei loro correligionari di retto cuore e sincero, non lasciano di seriamente avvertirci che il loro scopo primario è tutt’altro che l’aumento della falsa lor religione; che questa non è che un pretesto, un mezzo di cui voglion servirsi per acquistar partitanti tra noi, e quindi aver modo di attaccar brighe co’ nostri,… sotto pretesto di protezione, finché arrivino a farsi nostri duri padroni, a dominar da dispotici il nostro ameno paese! – Infatti, il vedere che tanto tra noi si affaticano, e spendono tanto per acquistar de’ proseliti: che tanta carità ostentano pei nostri poveri, mentre nei loro paesi sono indifferentissimi, e non pochi chi tutto increduli in fatto di religione, ed hanno pei loro poveri un cuore di tigre: il vedere che arruolano per proseliti, e con tanto dispendio, ogni sorta di ribaldaglia, increduli, discoli, oziosi. falliti, le donnacce di mondo, gli avanzi di galera e simili, nulla loro importando che diventino buoni cristiani, né tampoco onestuomini, ma solo contentandosi di far gente; il veder finalmente la smania grande che hanno…. certuni di fermare il piede sulla nostra terra, le brutte mene che a tale oggetto non cessano di adoperare, il grande impegno di proteggere ad ogni costo questi loro emissarii; ci induce necessariamente e credere che qui gatta ci cova, che non senza fondamento sono i nostri sospetti. – Essendo poi questi garbati propagatori di Protestantismo ben consapevoli che non è dalla parte loro la verità, per ottenere l’iniquo intento evitano scaltramente le dimissioni colle persone illuminate e capaci di turar loro la bocca, e presentano agli altri la loro corretta Bibbia allettandoli pur col denaro a prenderla e leggerla: inondino in pari tempo ogni luogo con un diluvio di libercolacci, che posson dirsi compendii dell’errore, dell’impudenza, della malignità e della menzogna; né cessano di spargere per ogni dove, e far gridare ai loro complici ogni sorta di vituperii contro il Vicario di Gesù-Cristo ed il Clero cattolico, onde alienare per tal modo i semplici e i deboli dalla Cattolica Fede. Quanto essi spacciano a voce e in iscritto fu già le mille volte dai Cattolici vittoriosamente confidato: ma tutti ciò non conoscono, e molti essendo incapaci di discernere il vero dal falso, restano colti nelle tramate insidie. Affine pertanto di turar la bocca a questi emissarii e illuminare gli incauti, ho composto la presente Operetta, la quale sarà nelle mani di questi un’arma potente contro le dicerie ed imposture di quelli. Imperocché nella sua prima parte discusse restano quelle materie di dogma e disciplina della Cattolica Chiesa, le quali singolarmente sono da essi prese di mira, e giudicata è la nostra e la loro credenza con la sola autorità della Bibbia, a cui con  tanto sussiego sempre si appettano, e dei primari autori, i protestanti antichi e moderni, compresi i loro medesimi Fondatori. La seconda parte presenta un genuino prospetto del Cattolicismo e del Protestantesimo: chi sia il Papa: presso di chi sia la vera santa Scrittura: chi ne siano i corruttori: chi gli ingannatori de’ popoli: qual delle due sia la Chiesa bottega: qual sia la vera Chiesa di Gesù-Cristo, e quale quella dell’Anticristo, con altre cose di sommo rilievo. – Avrei potuto addurre in prova della nostra causa e a condanna del Protestantismo molte altre sentenze e della Santa Scrittura e di stimatissimi autori protestanti: ma per non rendere questa Operetta troppo voluminosa, ho dovuto ristringermi (non senza mio dispiacere) a citarne quelle soltanto che bastar potevano abbondantemente al mio scopo. – Dispiacerà forse a taluno in questa Operetta la lunghezza dei periodi o degli argomenti come poco conveniente al metodo dialogico; ma spero sapranno perdonarmi, quando avvertiranno: 1.” Che, sebbene qui si proceda a forma di dialogo, non è rigorosamente parlando vero dialogo, ma piuttosto controversia, dibattimento, in cui ciascuna delle parti è in diritto di esaurire le proprie ragioni senza esserne interrotta, come praticar si vede nel sistema giudiziario e parlamentare: 2.” Che far non potevo diversamente senza grave danno della verità, perché attenendomi alla brevità dialogica, dopo aver recata in ciascun luogo una o al più due sentenze della Santa Scrittura, o dei protestanti, avrei dovuto (come ognun vede) omettere assolutamente tutte le altre, le quali, non riguardando che la medesima cosa e sotto il medesimo aspetto, non mi restava più luogo a citarle. – Del resto, qualunque sia il merito di questa Operetta, sono certo almeno che riunite vi sono tali e tante incontrastabili prove della verità della Cattolica Fede e della falsità del Protestantismo, che molto giovar potranno non solo a confermare in quella i vacillanti Cattolici, ma a renderne ancora convinti que’ moltissimi protestanti che con puro cuore e retta intenzione vanno in traccia della verità.

PRIMA PARTE.

L’Appello del Protestantismo alla Bibbia contro la Cattolica Chiesa.

DISCUSSIONE I.

L’ indefettibilità della Cristiana Chiesa.

.- 1. Protestantismo. OSanta Bibbia! Io sono il Protestantismo, vostro fedele seguace, poiché fo professione di non riconoscere altra Norma, altro Maestro che voi. A voi dunque mi appello contro li errori, contro le inique sentenze del Papismo, detto con altro nome, Cattolicismo e Chiesa Romano-Cattolica, il quale mi condanna come setta eretica, etc. etc. perché riprovo i suoi diabolici errori! Sì li riprovo e detesto; e primieramente riprovo in ogni modo e detesto che egli si dica l’antica vera Chiesa di Gesù-Cristo: essendo fuor d’ogni dubbio che questa, sino dal tempo della Passione del Redentore, perdé la fede e cessò quindi di esistere, né tornò a vivere che colla mia Santa Riforma.1 Onde « sotto il Papato il Cielo era chiuso, né mai uomo alcuno vi si è salvato; imperocché chiunque approva la religione dei Papisti è necessariamente e per sempre perduto nell’altra vita. » Lutero, Op. ediz. Vulch. T. X, p. 2541).

Bibbia. È scritto: « Stava vicino alla croce di Gesù la sua » Madre e la sorella di sua Madre. Maria di Cleofa, e Maria Maddalena. E avendo Gesù veduto la Madre, e il discepolo da lui amato, etc… Dopo di ciò Giuseppe d’Arimatea (discepolo di Gesù …. ) pregò Pilato per prendere il Corpo di Gesù…. Venne anche Nicodemo ‘quegli che la prima volta andò da Gesù di notte)! portando di una mistura di mirra e di aloe quasi cento libbre etc. » (Giov. XIX, v. 25, 26, 38, 39) E Gesù…. spirò…. E tutti i conoscenti di Gesù stavano alla lontana, come anche le donne che lo avevan seguito dalla Galilea, osservando tali cose. » « Partì dunque Pietro e quell’altro discepolo, e andarono al monumento. » (Luc. XXIII 46, 49). Hai bene inteso? Dir non potrai certamente che tutte queste persone avessero perduta la fede nel tempo della Passione, e che non formassero in quell’epoca la più eletta parte della Chiesa Cristiana; né dir potrai che perduta l’avessero gli altri credenti; poiché di essi non si fa parola.

Protestantismo. È scritto: « E allora disse loro Gesù (agli Apòstoli): tutti voi patirete scandalo per me in questa notte…. Gesù gli disse (a Pietro): in verità ti dico che in questa notte,prima che il gallo canti, mi negherai tre volte…. Ma (Pietro) negò dinanzi a tutti…. Egli negò di nuovo, etc. »« Apparve (Gesù) agli undici mentre erano a mensa, e rinfacciò ad essi la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano. prestato fede a quelli che l’avevan veduto risuscitato (Marc. XVI14).Tutti questi non avevan forse perduta la fede?

Bibbia. No certamente, perché per la loro fede, e singolarmente per quella di Pietro, già pregato aveva il Redentore, le cui preghiere restar non potevano senza effetto. « Cosi parlò Gesù: e alzati gli occhi al cielo, disse: Padre, è giunto il tempo, glorifica il tuo Figliuolo…. Per essi io prego…. Padre santo, custodisci nel nome tuo quelli che a me hai consegnati, affinché siano una sola cosa con noi. » (Giov. XVII. 1, 9, 11) Disse di più il Signore: Simone, Simone…. Io ho pregato per te, affinché la tua fede non venga meno. » (Luc. XXII 31, 32). – È scritto ancora: « E allora i suoi discepoli abbandonatolo, tutti fuggirono…. Pietro però lo seguitò da lungi sino dentro il cortile del Sommo Sacerdote. » (Marc. XIV50) « Ma egli (Pietro) negò, dicendo, etc… E il Signore voltatosi mirò Pietro, e Pietro si ricordò della parola dettagli dal Signore: Prima che il gallo canti mi negherai tre volte. E Pietro usci fuori e pianse amaramente » (Luc. XXII, 57, 61, 62) – Da tutto questo è chiaro che lo scandalo patito dagli Apostoli sia la loro fuga, come anche la triplice negazione di Pietro non furono in modo alcuno un effetto di mancanza di fede, ma solo timore, di umana fragilità. Gli riprese poi tutti d’incredulità ma unicamente per rapporto alla sua risurrezione; per la qual cosa non può dirsi che peccato avessero contro la fede, poiché tale articolo non lo avevano ancor conosciuto, siccome è scritto: « Allora pertanto entrò anche l’altro discepolo, che era arrivato il primo al monumento, e vide e credette: imperocché non avevano per anco compreso dalla Scrittura com’Egli doveva risuscitare  da morte » (Giov. XX, 8, 9) Quindi gli riprese non perché non avessero creduto in lui, ma bensì a quelli che lo avevan veduto risuscitato. Finalmente supposto ancora che tutti questi avessero perduta la fede, non ne seguirebbe per questo che perita fosse tutta la Chiesa: poiché essi né erano tutta la Chiesa, né tampoco la maggior parte di essa.

2. Protestantismo. Se non perì la Chiesa in quel tempo certo almeno che ella perì assolutamente nel secolo secondo (Priestley), oppure nel terzo, (Gibbon) oppure nel quarto, (Blondel presso Moore) oppure nel quinto, (Gibbon, D’Aubigne) oppure nel sesto, (Ospiniano) oppure nel settimo (Newman, Palmer) oppure nell’ottavo ( Pastor Claudio verso Bossuet), oppure nel nono (Newman, Palmer).

Bibbia: Questi tuoi tanti oppure, oppure sono una prova più forte per convincerti di turpe contradizione, e di mala fede, il peggio si è che in ciò tu sostieni una grande eresia, contraddicendo al Divin Redentore, il quale ha solennemente promesso chela sua Chiesa non sarebbe mai venuta a mancare. Ecco le sue parole …« E io dico a te che tu sei Pietro, e sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte dell’inferno non prevarranno contro di lei » (Matt. XVI, 18); « Ecco che io sono con voi per tutti i giorni sino alla consumazione dei secoli » (Matt. XXVIII, 20) E S. Paolo dice : «  Chiesa di Dio vivo (è) colonna e sostegno della verità. » ( I Tim. III, 15; Ps. XLVII; Isa. IX, 7; LXI, 1,8; Mich. IV 7; Luc. I, 13; IV, 18)

3. Prot. È scritto: « Quando verrà il Figliuolo dell’ uomo, credete voi che troverà fede sopra la terra? » (Luc. XVIII, 8). « Non vi lasciate sì presto smuovere…. quasi imminente sia il dì del Signore …  imperocché (ciò non sarà) se prima non sia/seguita la ribellione, e non sia manifestato l’uomo del peccato (II Tess. II, 12). Qui è chiaramente predetto, che verso la fine del mondo perirà totalmente la Chiesa. Onde ben vedete che quella divina promessa ha sicuramente le sue buone eccezioni.

Bibbia. Parlando del medesimo tempo, dice ancora il Redentore che « Falsi Cristi e falsi profeti faranno miracoli grandi e grandi prodigi, da far che sieno ingannati, se fosse possibile, anche gli stessi eletti. Ma saranno accorciati que’ giorni in grazia degli eletti. » (Matt. XXIV, 22, 24). Oltre a ciò, riguardo al medesimo tempo, sta scritto: Vidi un Angelo che…. gridò ad alta voce ai quattro Angeli, ai quali fu data commissione di far del male alla terra e al mare, dicendo: Non fate male alla terra e al mare, né alle piante sino a tanto che abbiamo segnati nella fronte i servi del nostro Dio. E udii il numero dei segnati, cento quaranta quattro mila segnati di tutte le tribù dei figliuoli d’Israele…. Dopo di questo vidi una turba grande, che nessuno poteva numerare di tutte le genti e tribù, etc. » (Apoc. VII, 2 e segg.) Dunque neppure allora sì perderà la fede, non perirà la Chiesa; giacché un’immensa moltitudine si manterrà costantemente fedele. Pertanto il primo testo da te citato non deve intendersi che tutti perderanno la fede, ma che molti non avranno una fede viva pel raffreddamento della carità; ed il secondo, che la ribellione sarà di molti, non già di tutti. Ciò dichiara lo stesso Divin Redentore, dicendo: « Sorgeranno molti falsi profeti e sedurranno molta gente…. E poiché sarà abbondata l’iniquità, raffredderassi la carità di molti » (Matt. XXIV, 11, 12).

4. Prot. Stringenti sono le vostre ragioni, nè vi è da opporsi, imperocché: «Avendo Gesù-Cristo detto a S. Pietro, ed io dico a te che tu sei Pietro, e sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa;facilmente si vede che Cristo con queste parole promette alla sua Chiesa la forza di non perire. » (Rosenmuller) « Il senso pertanto di queste parole di Gesù-Cristo è che niuna forza nemica, anche potentissima e massima, mai potrà rovesciare, o distruggere la sua Chiesa. (Kuinoel) « Se da noi s’immagina che tutti i Pastori della Chiesa abbiano potuto errare ed ingannare tutti i fedeli; come si potrebbe difendere la parola di Gesù Cristo, il quale ha promesso a’ suoi Apostoli, ed in persona diessi ai lor successori, di esser sempre con loro? Promessa che in tal caso non sarebbe verìdica: poiché gli Apostoli viver non potevano sì lungo tempo (sino alla consumazione de’ secoli), se in esse non  fossero alati compresi i successori dei medesimi Apostoli. » (Dr. Bull angl.). « Secondo il sentimento dei Padri, non vi ha dubbio che insieme ai segni ci vengano poste innanzi eziandio le cose stesse, ma in una guisa tatto oltre natura, o soprumana. Coloro che aderiscono ai protestanti (ed è questa l’opinione mia), come fuori d’intelletto pel furore di disputare, pure conoscono troppo bene gli insegnamenti dell’antica Chiesa, e come in oggi continui la Chiesa Cattolica. Se non che fanno le viste di non intender nulla, per aver agio di ordire a loro posta e mettere in ordine le fila di qualche cosa per coloro che si addanno e si acconciano più facilmente co’ sensi del corpo che con quelli dell’anima. » (Grozio). Concludo confessando che « Nel Papato vi hanno verità di salute. anzi tutte le verità di salute che abbiamo ereditate: poiché egli è nel Papato che noi troveremo le vere Scritture, il vero Battesimo, il vero Sacramento dell’altare, le vere chiavi che rimettono  i peccati, la vera predicazione, il vero catechismo, che contiene l’orazione Domenicale, gli articoli della fede, ed aggiungo, il vero Cristianesimo » (Lutero, Op. Germ.) Ecco quanto vi confesso di credere, né perciò punto mi contradico sostenendo le mie prime asserzioni.

GNOSI, TEOLOGIA DI sATANA (42)

SUNTO STORICO DELLE ERESIE NEL LORO RAPPORTO COL PANTEISMO E COL SOCIALISMO (5).

[A. NICOLAS: “Del Protestantesimo e di tutte le eresie nel loro rapporto col socialismo”, vol. I – Napoli, tipogr. e libr. Gabr. ARGENIO – 1859]

Eresie del terzo periodo – III –

VIII. — Mentre l’esperienza di questa verità si compieva in grande nella guerra degli albigesi, essa ricominciava nelle cattedre filosofiche di Parigi e riusciva rapidamente alle medesime conseguenze, Amalrico di Chartres professava la logica e l’esegesi all’università di Parigi. Interpretando falsamente questa proposizione di Erigena: « Ogni cosa è di Dio, ogni cosa è manifestazione di Dio » , egli diffuse tra i suoi contemporanei una dottrina strettamente panteistica. Quantunque egli avesse avviluppato il suo errore in un insegnamento in apparenza ortodosso, pur la Chiesa, sentinella vigilante della fede e dell’incivilimento, lo scoprì; la Sorbona di Parigi pronunziò contro di lui una sentenza che il Papa confermò, e che fece morir Amalrico di angoscia e di rabbia. Alla sua morte fu manifesto che egli aveva un certo numero di aderenti, tra i quali Guglielmo di Champeux e Davide di Dinan, pel cui mezzo la peste del panteismo distese i suoi guasti. Da questa fatale proposizione che egli aveva insegnato: « Tutto è uno; e uno è tutto; questo tutto è Dio,—l’idea è la medesima cosa che Dio, « fu veduta uscirne la sovversione di ogni idea morale e sociale. Il dogma della Trinità, donde esce cosi mirabilmente il dogma dell’Incarnazione, il quale mediante i sacramenti va a cogliere l’umanità ne’ suoi diversi stati, e col mezzo del concorso della libertà e della grazia, l’unisce al Cristo per unirla a Dio; quest’ammirabile economia della dottrina cattolica, in cui tutto è distinto e tutto è unito per essere santificato, diventava ciò che vediam qui nell’eresia di questi settarii: « Bisogna intendere pel Padre il periodo reale della storia del mondo, nella quale la vita dei sensi domina come avvenne ne’ tempi dell’antico Testamento; il Figliuolo è il periodo ideale e reale, durante il quale l’uomo entra in sé medesimo, senza però che lo spirito possa ancor trionfare del mondo esteriore e che l’ideale e il reale siano coordinati. Finalmente, lo spirito si manifesta nel periodo puramente ideale e consegue la vittoria. Per conseguenza i sacramenti istituiti dal Cristo il Battesimo, la Penitenza, l’Eucaristia, non hanno più senso: e ciascuno trova la sua salute nell’ispirazione immediata dello Spirito Santo e senza alcuna pratica esteriore. L’ispirazione risulta dal raccoglimento dello spirito in sé. La santificazione non è altro che la coscienza della presenza di Dio, il pensiero dell’uno e del tutto. Il peccato consiste nello stato dell’uomo limitato nel tempo e nello spazio. Chiunque è nello Spirito Santo non può più contaminarsi, anche quando si abbandona alla fornicazione; ciascuno di noi è lo Spirito Santo (Engelhardt, Amalrico di Bene. – Trattato di storia ecclesiastica, n. 3 Conc. di Parigi. Atti) ».

IX. —Davide di Dinan si spogliò di questo viluppo mistico e confessò francamente il paganesimo panteistico, che fa di Dio il principio materiale di tutto. In breve il torrente di questa filosofia perversa andò a confondersi con quello di tutti i sistemi eretici dei catari, dei valdesi e degli albigesi. Movendo dal principio medesimo, cioè dal panteismo, gli uni e gli altri s’incontrano, non ostante la diversità dei loro errori, nel medesimo risultato, che è la barbarie. Da questa scuola, fulminata dalle decisioni del concilio di Parigi nel 1209, derivò la setta in parte montanista, in parte panteista, dei fratelli e delle sorelle del libero spirito, i quali traevano il loro nome dalla dottrina che professavano. Essi consideravano tutto le cose come una emanazione immediata di Dio e applicavano a sé medesimi le parole del Cristo : Io e il mio Padre siamo uno. Chiunque è giunto a questa convinzione, dicevan essi, non appartiene più al mondo dei sensi, non può più esserne contaminato, e non ha per conseguenza più bisogno di sacramenti. Separando assolutamente il corpo dallo spirito, essi pretendevano che gli eccessi della sensualità non hanno alcuna influenza sullo spirito, e perciò alcuni di loro si abbandonavano in tutta sicurezza alle più vergognose disonestà; non ammettendo alcuna differenza tra il vizio e la virtù, negavano l’inferno e la giustizia, e si lasciavano andare agli eccessi più abbominevoli. – Vestiti in guisa strana e talvolta ancora neppur vestiti, andavano qua e là errando in apparenza di mendicanti. Furono chiamati begardi o piccardi in Alemagna, e in Francia turlupini. Questi sanculots del Medio evo portarono il disordine del loro selvaggio comunismo a tal punto che la società e la Chiesa dovettero porre tutto in opera per rintuzzarli (Engelhardt, Storia ecclesiastica, tom. IV, pag. 151.— Alzog, tom. II, pag. 388. — Hurter, Storia d’ Innocenzo III, tom. II, pag. 302.—Moehler,  La Simbolica, tom. I, pag. 276).

X. — In questi tempi di pazzi e degradanti traviamenti si lovava sull’orizzonte del mondo cattolico uno de’ più sublimi, più vasti e più puri intelletti che abbiano onorato l’umanità; del quale non è detto quando si vorrebbe neppure applicando ad essa il supremo elogio che la Scrittura fa della natura umana denominandola per alcun poco inferiore agli angeli; Minuisti eum paulo minus ab angelis (Psal. VIII. 6). Io ho nominato l’angelo della teologia, l’aquila della filosofia, il gran san Tommaso. Questo luminoso genio fu suscitato da Dio in questo tempo di aberramento degli spiriti razionalisti e alla vigilia del gran divorzio tra la ragione e la fede mercé il protestantismo, per stringere tra l’una e l’altra la più bella alleanza, per determinare in qualche modo tutta l’altezza alla quale lo spirito umano può toccare, e tutta la possanza, la pienezza, la gravità che la ragione sviluppata sotto la scorta della fede può avere, e così far meglio sentire alla ragione tutta la fiacchezza, tutto l’oscuramento, tutta l’abiezione in cui cade, quando si separa dalla fede. – La gran Somma di san Tomaso pone e risolve tutte le questioni possibili sulla natura e i rapporti del finito e dell’ infinito. Ella sviluppa e determina al tempo stesso tutte le soluzioni con una sicurezza, facilità e rettitudine luminosa, la quale movendo dalla fede come da un centro comune, si spande in raggi intellettuali, che vanno in ogni verso a illuminare il più vasto orizzonte che possa essere aperto all’occhio dell’intelletto. In quest’opera incomparabile non si sente né timidezza, né ardimento, non stanchezza, non sforzo, non insufficienza, né esagerazione; ma un pieno, naturale e sicuro esercizio del pensiero, che bilancia il suo volo colla sua sommissione e riceve dalla fede una specie d’infallibilità intellettuale. Non v’ha questione agitata che san Tomaso non tratti a fondo, e ne eccita altre moltissime che non erano neppur sospettate. Ma dove lo spirito umano non può che suscitare le questioni senza risolverle, san Tomaso è in grado di risolverle prima di eccitarle, e non le eccita in certo qual modo che per la forma e per mostrare il rigore delle sue soluzioni, nessuna delle quali in sostanza forma questione, cotanto vi si fanno sentire la giustezza, l’armonia, la precisione propria della verità. Cosa sopra tutto notevole è che, mentre la ragione degli eresiarchi fin dal primo passo cade nel panteismo, la ragion cattolica di san Tommaso va sull’ orlo de’ precipizii, sino alle estremità più remote della natura e del fine delle cose, non vacillando né fallendo mai, trovando al contrario in queste medesime estremità la giustificazione armonica delle sue vedute e come la sonora ripercussione della verità. Oltre questa grand’opera, questa magnifica piramide della dottrina cattolica, che previene tutti gli errori e li distrugge implicitamente coll’esposizione e colla statica della verità, san Tomaso scrisse specialmente contra quel panteismo satanico ad una o due teste, che, venuto dall’ India e dalla Persia e raccogliendo tutti gli errori analoghi delle scuole talmudiche ed elleniche, aveva creato il primo pericolo all’incivilimento cristiano nelle sette gnostiche e neoplatoniche che lo aveva messo di bel nuovo in pericolo nelle eresie degli albigesi e de’ valdesi, e che respinto dal mezzogiorno dell’Europa, la pigliava ora da un altro lato introducendo il suo veleno in seno alle razze slave e germaniche. Il genio di san Tomaso venne in ajuto dell’incivilimento con due opere speciali: la Somma contra i gentili, nella quale la fede cattolica combatte gagliardamente il manicheismo (SUMMA CONTRA GENTES, in qua, libris quatuor, catholica fides in omnes orthodoxæ ecclesiæ perduelles acerrime propugnutur), e il suo trattato contra gli errori degli Orientali. Nelle quali dilegua le tenebre del panteismo ristabilendo con invincibile chiarezza la vera nozione diun Dio essenzialmente distinto da tutti gli esseri creati; considerando Dio in sé medesimo; poscia Dio per rapporto alle creature; indi lecreature per rapporto a Dio; e improntando queste distinzioni fondamentali e questi rapporti naturali coll’esposizione dell’unione ineffabile di Dio colla natura umana nell’incarnazione del Verbo, e di tutto il destino dell’uomo nel disegno generale del Cristianesimo.Quando la dottrina cattolica ebbe cosi ricevuto, sotto la penna di questo gran genio identificato colla fede, tutto lo sviluppo della sua esposizione e della sua sintesi, Dio permise all’errore di raccogliere anch’esso per mezzo di poderosi settari tutti gli elementi di falsa filosofia e di teologia errata, da cui l’Occidente era allora ammorbato.Viclefo e Giovanni Hus vennero ad apparecchiar le vie a Lutero.Dire che la loro separazione dalla dottrina cattolica e la loro caduta nel panteismo furono una cosa medesima, è indovinare infallibilmente i fatti, cotanto assoluta è la legge di questo rapporto.L’inglese Giovanni Viclefo si rendette da prima segnalato per la sua opposizione sistematica contro la Chiesa; e della negazione dell’autorità di lei egli, forse pel primo, fece l’oggetto della sua eresia.In breve vi mescolò un attacco contro i dogmi, segnatamentecontra quello della transustanziazione: e mentre abbandonava la Dottrina cattolica, le sostituiva la seguente dottrina: « Ciò che è Dio,secondo l’idea, è Dio medesimo, o l’idea è Dio. Ogni natura èDio, ed ogni essere è Dio. » —Non è cosa che arresti l’eresiarca nelle conseguenze del suo sistema: « Dunque, dice egli, un asinoè Dio (De ideis, cap. 2.) Staudenmaier, Filosofia del cristianesimo.— Alzog, Storia universale della Chiesa, tom. II, pag. 5883). »Ammesso una volta questo principio dell’identificazione panteistica di Dio coll’idea, tutto il rimanente del sistema conseguitava molto facilmente. Viclefo trascorreva sino a sostenere l’eternità reale delle cose e del tempo; la creazione tutta quanta non era che un’emanazione; il che trae seco il fato e la necessità del male che Wiclefo professa apertamente, non temendo punto di sottoporre a questa necessità Dio medesimo, di distruggere la sua libertà, del paro che quella della creatura, e di soggettare ogni cosa al giogo di questa stupida necessità. A questa dottrina già sì perversa Viclefo ne mescolava un’altra che aveva preso dagli albigesi, contro la proprietà. Gli albigesi avevano attaccato principalmente le proprietà ecclesiastiche; Viclefo generalizzò questo attacco stendendolo ad ogni proprietà, fondato su questo, che, per avere un dritto legittimo di possedere qualche cosa sulla terra, bisogna esser giusto, e che un uomo perdeva ogni diritto ai suoi possedimenti allora che commetteva un peccato mortale; e questa dottrina ei l’applicava ai signori, ai principi ed ai re, delparo che ai papi ed ai vescovi (Plaquet, dizionario delle eresie.).Viclefo vedeva chiaro che apriva col suo sistema la porta a tutti i delitti e alla distruzione d’ogni società. « Ma , soggiungeva egli,« se non mi si danno ragioni migliori di quelle che mi si vengono dicendo, io rimarrò confermato nel mio sentimento senza dirne parola (Bergier, Dizionario di Teologia). »Per mala ventura egli non stette silenzioso, e le sue predicazioni sovversive fecero nascere la setta de’ viclefiti, la quale s’ingrossò di quella de’ lollardi, che veniva dalla Boemia e aveva per autore Lollardo Walter, il quale non aveva fatto che riprodurre gli errori manichei degli albigesi contra i sacramenti e la penitenza, il matrimonio, la giustizia e la proprietà, e che aveva sopra questi tessuto quella dottrina realmente infernale, che i demonii erano stati ingiustamente scacciati dal cielo, che san Michele e gli angeli sarebbero un giorno dannati eternamente, del paro che quelli che non abbracciassero la sua dottrina. (La filiazione di tutte queste eresie è attestata da tutti gli storici: esse si completavano e si spiegavano le une per mezzo delle altre; a tal che per conoscere ciascuna di esse, si vogliono conoscer tutte, e non si fa alcuna ingiustizia dicendo che quella che sembrava la più innocente era solidaria della più colpevole. Era il medesimo veleno, il medesimo virus, ora latente, ora prorompente, e più pericoloso forse nel primo stato che nel secondo, perché si distendeva maggiormente. Bisogna esserne ben convinti che ogni eresia porta nel proprio seno la morte).

XI. — Giovanni Hus fu il discepolo el’erede immediato di Viclefo, egli non poté afferrare tutte le dottrine del teologo inglese; ma non gli sfuggirono i principali risultati, eli seppe difendere con abilità. Egli prese da esso sopra tutto la dottrina della predestinazione assoluta, dividendo gli uomini in eletti ed in riprovati da tutta l’eternità, checché facessero, non considerando che gli eletti come membri della vera Chiesa, e togliendone irremissibilmente gli altri, senza che alcun pentimento, alcuna ammenda potesse farveli rientrare. Egli mosse da questo punto per dire coi lollardi e coi valdesi che le potestà della Chiesa e la virtù dei sacramenti dipendevano dalla santità dei loro ministri e perivano in mani indegne di esercitarli. Estese naturalmente questa dottrina ai re, ai principi, ai signori e a tutte le superiorità sociali. E per conseguenza decise che quelli che sono viziosi sono di pien diritto scaduti dalla loro autorità e spogli del loro diritto, e che il popolo può a grado suo correggere i suoi padroni quando cadono in qualche colpa (Proposizione di Giovanni Hus condannata dal concilio di Costanza nella sua ottava sessione). Si comprende che la distruzione di ogni ordinamento sociale è l‘effetto immediato di una tale dottrina. Ciò non sarà vizioso e nol diventerà sopra tutto agli occhi di coloro che sono interessati a trovarlo tale? Chi è che non cada in qualche colpa?Gesù Cristo non ha eccettuato dalla comune miseria i ministri medesimi delle sue grazie, e fece con ciò due grandi cose: la prima, di far risplendere tanto più vivamente la purezza soprannaturale della dottrina, l’infallibilità del suo insegnamento e la virtù de’ suoi effetti, che si mantengono invariabilmente non ostante tutti gli accidenti umani, ed anche di quelli che ne sono l’organo; la seconda, di sostenere tutta quanta la società al di sopra del caos di questi accidenti, facendo poggiare l’autorità, che a tutti i gradi ne costituisce le basi, sopra un diritto superiore e indipendente. Tutta la società era dunque interessata nella controversia suscitata da Giovanni Hus contra la Chiesa e le sovranità. La santità de’ rappresentanti della Chiesa era del resto oscurata e come eclissata a quella età da una di quelle ombre che la terra getta talvolta sugli astri medesimi che la devono illuminare, e che anche dietro queste ombre sono non pertanto gli apportatori della luce. Non ci è per niun modo grave di confessarlo; nella parte terrestre della sua esistenza, non esente dalla corruzione della nostra natura, la Chiesa appresentava allora uno spettacolo affliggente di rilassatezza e di disordine. Sicuramente essi furono colpevoli e responsabili di molti mali quelli per la cui via giunse lo scandalo; ma non lo furono così da scaricar quelli che si scandalizzarono, e sopra tutto coloro che promossero lo scandalo e se ne giovarono, della responsabilità della rivolta, la quale ha voluto delle violazioni della dottrina accusare la dottrina stessa e abusò del male per far rigettare il rimedio, invece di provare l’infallibilità del rimedio applicandolo al male. Ciò che vi ha di peggio al mondo non sono le cattive azioni, sono le cattive dottrine che le scatenano. Per favorir quelle che egli voleva diffondere, Giovanni Hus, come tutti i settari che lo hanno seguito, esagerava sino alla calunnia il quadro della rilassatezza de’ costumi clericali in quel tempo, a tal punto di essere un giorno interrotto da un grave e onesto uditore, il quale gli disse: « Maestro , io sono andato a Roma, vi ho veduto il Papa e i cardinali; ma in verità essi non sono così cattivi come voi li dipingete. — Ebbene, se il Papa ti piace tanto, ripigliò Hus, corri un’altra volta a Roma e restaci. — No, maestro, replicò il suo interlocutore, io son troppo vecchio per fare il viaggio; ma voi che siete giovane andatevi, e troverete, ve Io ripeto, che le cose non vi sono così cattive come voi dite »

La Chiesa non chiudeva la bocca di quelli che manifestavano gli abusi de’ suoi ministri se non allora che questo appello alla riforma, era un appello alla ribellione, e non era ispirato che dallo spirito di orgoglio e di sovversione. Sempre saggia, anche ne’ rappresentanti che umanamente non erano sempre tali, essa ascoltava, che anzi suscitava de’ veri riformatori nel suo seno e riconosceva in essi con gioja il diritto e il dovere di rianimare la vita comune de’ fedeli, sino a fare dell’esercizio di questo diritto un titolo medesimo ai supremi onori della santità. Cosi furono accolti, incoraggiati e onorati, fra una moltitudine di altri, san Bernardo e santa Brigida, i quali dipinsero sotto i colori più vivi la rilassatezza della disciplina e ne invocarono con tutte le loro forze la riforma. Cosa ammirabile! Brigida fu precisamente canonizzata dal concilio che condannò Giovanni Hus. L’uno e l’altra avevano domandato la riforma; ma Brigida cominciando dal riformar sé medesima, e Giovanni Hus, come dopo di lui Lutero, lasciando libero il freno a tutte le passioni. Queste, scatenate e infiammate da Hus, tramutarono per ben sedici anni tutta l’Alemagna in un campo di stragi spaventevoli, d’incendi, di rapine, di orrori inauditi. La questione per la quale avvennero così gran guai sembra a prima giunta di nessun momento, e la filosofia moderna non mancò di gettar sul secolo che l’agitava e sulla Chiesa che la sosteneva tutti i superbi dileggi della ragione. Si trattava di sapere se il popolo farebbe o no, come il clero, la comunione sotto le due specie. Tale era la questione per la quale il suolo d’Alemagna fu seminato d’ossa umane. – Ma una tale questione, sebbene in apparenza semplice e leggiera, era la più gran questione che fosse stata agitata in seno alla società, o della barbarie o dell’incivilimento, una question di vita o di morte sociale, la question medesima che ci mette oggidì in tanto spavento; il socialismo, il comunismo. Quando le orde barbare degli ussiti si levarono mettendo il grido LA COPPA AL POPOLO! essi domandavano che fosse tolta ogni distinzione tra il clero e i fedeli, e che tutti fossero ammessi a bevere nella medesima coppa. Essi inauguravano sotto la forma più sacra la selvaggia divisa di eguaglianza e di fratellanza che ha insanguinato i nostri ultimi tempi. Essi trasformavano il dogma della carità infinità di Dio, la comunione, in comunismo, non pel fatto in sé medesimo della comunione sotto le due specie, ma per l’intenzione che la faceva loro domandare; intenzione al maggior segno perversa, poiché non credevano alla transustanziazione più che il loro capo Giovanni Hus che l’aveva attaccata, e perché la loro esigenza non era che la formula sacrilega di tutte le selvagge passioni contro la società. Del resto, fedeli eredi de’ gnostici, e precursori pe’ socialisti, al grido LA COPPA AL POPOLO! aggiungevano l’altro: LA PROPRIETÀ’ AL POPOLO! che ne derivava naturalmente; e i socialisti moderni non hanno mancato di salutare in essi con trasporto i loro fratelli ed amici e di stendere ad essi attraverso quattro secoli una mano congiurata contra la società e le sue sante leggi. – Col suo senso di profondo incivilimento e colla sua fermezza inflessibile, la Chiesa sostenne la furia della procella e pose al sicuro un’altra volta ancora, contra l’invasione della barbarie, l’ingrata società che doveva un giorno maledirla. Ma non era questo che il prologo di un più gran dramma, e questo secolo pieno di amarezza, come dice Bossuet, aveva partorito Lutero.

GNOSI, TEOLOGIA DI sATANA (41)

GNOSI TEOLOGIA DI SATANA (41)

SUNTO STORICO DELLE ERESIE NEL LORO RAPPORTO COL PANTEISMO E COL SOCIALISMO (4).

[A. NICOLAS: “Del Protestantesimo e di tutte le eresie nel loro rapporto col socialismo”, vol. I – Napoli, tipogr. e libr. Gabr. ARGENIO – 1859]

Eresie del terzo periodo [II.]

VII. — Ha considerato ben poco e poco osservato colui che non è convinto di questa importante verità, che lo stato materiale delle società è o diventa in breve conforme alle dottrine che si agitano nel mondo superiore delle intelligenze; e che dalle idee ai fatti, dal gabinetto del filosofo alla strada non v’ha che la distanza di alcuni gradi rapidamente corsi dalle passioni, sempre preste ad ascoltare chi può autorizzare la loro licenza. Il mondo delle intelligenze non è mai senza dottrine, e queste dottrine si tramutano sempre in avvenimenti, informano la società e la fanno muovere a grado delle loro ispirazioni. Le questioni più speculative della teologia e della filosofia sono sempre feconde d’ordine o di disordine, di vita o di morte. – E l’età di cui parliamo, del paro che la nostra, no fece terribili esperienze. Già una moltitudine di sette, conosciuto sotto il nome di catari, patarini, patelini, cotterelli, corrieri, triaverdini, bulgari, portavano il delirio e la loro perversità per tutta l’Europa. Il loro centro era principalmente nell’Alta Italia e nella Francia meridionale, donde si sparsero lungo il Reno, nella Svevia e in Inghilterra. Esse vennero tutte a concentrarsi ne’ valdesi e negli albigesi, i quali posero per un istante in questione l’universale incivilimento e l’obbligarono ad intraprendere contro di loro una crociata. Ora, quali dottrine avevano ripiene queste sette del loro veleno? Qual era l’ultima parola e lo scopo de’ loro attentati? Tutti gli storici sono unanimi nel farci ragione su questo soggetto. Le dottrine panteistiche che noi abbiam già veduto allo stato di eresia teologica, e che la Chiesa aveva successivamente fulminate sotto i nomi di ebionismo, di gnosticismo, di manicheismo, di montanismo, d’arianesimo, di nestorianismo, di eutichianismo siccome esposti al dogma dell’Incarnazione, tali erano le sorgenti certe di queste sette. Il loro scopo era la distruzione della religione, della famiglia e della proprietà, il più spaventevole comunismo. Noi abbiamo già veduto gli ebioniti e i gnostici manichei professare apertamente la comunanza d’ogni cosa; della terra, de’ beni della vita, delle donne, e pretendere che le leggi umane, invertendo l’ordine legittimo, hanno prodotto il peccato colla loro opposizione agli istinti più potenti deposti da Dio nel fondo delle anime (Epifanio, Della giustizia. — Iscrizioni della Cirenaica). – In sul suo nascere il Cattolicismo dovette fare i più grandi sforzi per domare questi mostri di dissoluzione e di barbarie. Essi non furono interamente vinti. Gli avanzi di queste sette gnostiche, sotto il nome di pauliciani, si accamparono in alcuni villagi dell’Armenia. Collegati in breve coi Saraceni e coi musulmani, essi menarono il gran guasto nell’Asia minore; sbaragliati poi dall’imperator Basilio, si tramutarono poco appresso dalle rive dell’Eufrate nella Tracia e nella Bulgaria, donde venne ad essi il nome di Bulgari (Il nome di Bulgari Bulgres, Burgres, designava un popolo: da poi, che è stato dato agli albigesi, è diventato un termine ingiurioso che fu applicato ad ora ad ora agli usurai ed a quelli che rompono nel peccato contro natura. – Gibbon). In brev’ora essi ammorbarono delle loro dottrine le frontiere della Bulgaria, della Croazia e della Dalmazia, ove sedeva il primate, e donde, a detta di Gibbon, penetrarono in Europa per tre comunicazioni:—mescolandosi colle carovane de’ pellegrini d’Ungheria, che andando e venendo da Gerusalemme dovevano passa per Filippopoli; — col favore delle relazioni di commercio e di ospitalità che Venezia aveva allora con tutta la costa del mare Adriatico; — finalmente, come arruolati nell’esercito dell’impero di Bisanzio e trasportati con esso nelle province che l’imperatore possedeva in Italia e in Sicilia. Per mezzo di queste diverse migrazioni o comunicazioni, i manichei, pauliciani o bulgari, seminarono i germi delle loro dottrine nell’alta Italia e nella Francia meridionale. Questi germi, coltivati in società segrete e fomentati dalle nuove eresie scolastiche, che noi passiam ora in rivista, gettarono profonde radici sulle rive del Rodano e nel territorio degli albigesi, il cui nome è rimasto qual nome generico di questa moltitudine di sette impure che pigliavano la loro origine nell’antico manicheismo gnostico, e che minacciarono nel secolo decimoterzo di rigettar l’Europa nella notte donde il Cristianesimo l’aveva tratta e l’andava sempre più liberando – (La rapidità del nostro corso non ci permette di arrestarci e fare il ritratto di ciascuna di queste sette, e di distinguere i valdesi, i catari, gli enriciani, gli arnaldisti, i popelicani e una copia d’altre sette che differivano nelle loro follie, ma che tutte si univano nella negazione del dogma cristiano dell’Incarnazione e in un odio amaro contro la Chiesa o la società; gli è da quest’odio che procedevan tutte, come dice il loro storico Reinier: Sic pronessit doctrìna ipsorum et rancor. Noi prendiamo a disegnare i loro principali tratti negli albigesi). – Perciò noi ritroviamo negli albigesi le medesime dottrine antisociali che abbiam fatto palesi nei primi gnostici. Così gli albigesi professavano il panteismo dualista o il manicheismo. Essi rigettavano il dogma dell’Incarnazione nel suo punto di partenza, il dogma della Trinità, negando l’eguaglianza delle tre Persone divine come gli ariani; e lo rigettavano eziandio negando l’umanità di Gesù Cristo, o riducendola ad un puro fantasma insieme coi doceti e gli eutichiani. Il grande oggetto del loro odio era la Chiesa, la tradizione, i Sacramenti, le preghiere, pei morti, l’intercessione dei santi, l’Ave Maria, le cerimonie e le immagini, sopra tutto quella della croce; a dir breve, tutto ciò che mantiene, riproduce o ricordi la fede al gran mistero dell’Incarnazione, supremo oggetto del culto cattolico. Perciò la distruzione radicale di tutto ciò che aveva forma di culto e dii religione era il disegno e troppo spesso il risultato dei loro attentati; e siccome a quel tempo la religione era l’anima di tutto, ne sarebbe conseguitata altresì la distruzione d’ogni cosa. – In oltre, non solo la religione, ma attaccavano ben anco gli altri fondamenti della società. Quindi proscrivevano il matrimonio, il che era una conseguenza diretta della loro dottrina. A seconda delle loro opinioni manichee, come la materia e la carne erano l’opera del cattivo principio e ne erano impregnate, così era delitto il contribuire alla loro propagazione colla procreazione conjugale. Per la ragion medesima essi proscrivevano l’uso delle carni! Ma sotto questo doppio rispetto, affettavano una continenza ed una temperanza che erano solo apparenti e velavano i più mostruosi eccessi. Siccome a loro giudizio la concezione era quella propriamente che bisognava avere in orrore, così ei si abbandonavano a tutto fuorché a quello che era legittimo, e allentavano in sì fatto modo il freno alle brame colpevoli da lasciarlo assolutamente senza rimedio (Stupra, etiam adulteria, caeterasque voluptates in caritatis nomine committebant, mulieribus cum quibus peccant, et simplicibus quos deeipiebant impunitatem peccati promittentes, Deum tantummodo bonum et non justum prædicant. – Atto del sig. di Tinuières, del 1373, e lettere di Filippo Augusto ivi contenute, del 1211). – La proprietà e la giustizia non erano da essi attaccate meno del matrimonio e della religione. Eredi degli ebioniti, essi pretendevano di erigere in legge la povertà universale, vale a dire la più assoluta comunanza de’ beni: « Voi altri, dicevan essi ai Cattolici, voi aggiungete casa a casa e campo a campo. I più perfetti di voi, come i monaci e i canonici regolari, se non possiedono beni in proprio, li hanno almeno in comune. Noi, che siamo i poveri di Gesù Cristo, senza riposo, senza dimora certa, noi andiamo errando dall’una città all’altra, siccome pecorelle in mezzo ai lupi, e patiamo persecuzione come gli apostoli e i martiri ». (Enervino.) Sotto questa bugiarda dolcezza e sotto questo falso distacco, essi rinnovavano l’errore antisociale de’ manichei e dei pelagiani, che era stato così vittoriosamente combattuto da sant’Agostino; abusavano delle massime del Vangelo per pretendere « che non bisognava punto dividere le terre né i popoli. » La qual cosa dice Bossuet, mira all’obbligo di porre ogni cosa in comune (Storia delle variazioni). Essi riprovavano tutte le magistrature, dicendo che tutti i principi e tutti i giudici sono dannati perché condannano i malfattori contro questa parola: La vendetta appartiene a me; dice il Signore; e contra quest’altra: Lasciateli crescere sino alla messe. » Ecco, dice Bossuet, come quegli ipocriti abusavano della sacra Scrittura, e colla loro finta dolcezza davano a tutti i fondamenti della Chiesa e degli stati (Storia dlle variazioni, lib. XIQuest’eresia sociale era talmente propria degli albigesi che secondo il concilio di Tarragona, esecutore dei decreti 3, e 4, del concilio di Laterano, la prova assegnata ai giudici per l’applicazione dei decreti fatti contra questi settari consiste in vedere se 1’accusato è uno di quelli qui dicunt potestatibus eeclesiasticis vel SAECULARIBUS non esse obediendum, et pœnam corporalem non esse infligendam in aliquo casu et similia. – Concilio di Tarragona a. 1242). » Così, giustizia, proprietà, famiglia, religione, tutti i fondamenti della società erano combattuti da questi eretici, in cui erano venute a compendiarsi tutte le antiche eresie. Cogliendo il pretesto di una rilassatezza di costumi che si faceva sentire allora così nel clero come nella società, e che voleva una riforma, queste sette ipocrite affettavano un rigorismo esagerato e falso, il quale non era che un modo di rovinare i principii invece di emendare e togliere gli abusi. – Intorno a tale argomento vuol essere notato che tutte le sette cominciano ordinariamente con una gran pretensione di rigorismo, di disinteresse e di riforma, col cui favore esse distillano il loro veleno. Primieramente seducono sé medesime, si vuol dirlo, con questa illusione d’orgoglio; ma due risultati funesti non tardano a dileguarla: il primo è che erigendo in precetto generale ciò che non è altro che un consiglio particolare, esse distruggono i fondamenti della natura e della società in profitto della passione della moltitudine, la quale si arresta a cotale distruzione senza poggiare sino a quella perfezione che ne è lo scopo chimerico: il secondo è che quei medesimi che aggiungono per qualche tempo a sì fatta perfezione, non potendo riuscirvi che a forza di tendere troppo le forze dell’immaginazione e della volontà, essendo privi affatto del soccorso dei mezzi soprannaturali che il Cattolicismo mette a disposizione delle anime, non tardano a precipitare: a tal che, per aver voluto innalzarsi naturalmente al di sopra della natura, queste sette orgogliose cadono al di sotto. Osservate tutte le sette: il loro principio è angelico, il loro fine rapido e satanico : desinit in piscem mulier formosa superne. Il Cattolicismo, che solo ha ne’ suoi sacramenti de’ mezzi soprannaturali di dominare la natura ne permette nondimeno le legittime soddisfazioni alla generalità degli uomini. Egli forma il santo senza disfar l’uomo, e rizza la città del cielo senza sturbare o meglio coll’assodare la società della terra. È il buon senso pratico della vita santificata. E perché? Sempre per la ragion medesima; perché esso distingue ed unisce il naturale e il soprannaturale, che tutte le sette tendono a confondere; perché esso continua Gesù Cristo, il quale era distintamente e ad un’ora perfettamente Dio e perfettamente uomo; che amava Giovanni, che piangeva Lazaro, che ordinava si pagasse il tributo a Cesare, che era commosso dalla sorte della sua patria, che carezzava i piccoli fanciulli, che beveva e mangiava coi peccatori, e che al tempo stesso comandava alla natura, faceva tremare i demoni, era servito dagli angeli, santificava le prostitute e i ladroni, moriva qual Dio sulla croce in mezzo a tutti i tormenti della natura umana. – La sette di cui ora favelliamo avevano concepito un singolar mezzo di conciliare il rigorismo colla licenza; si dividevano in due classi; una de’ buoni uomini o perfetti; l’altra dei credenti, di gran lunga più numerosa, che componeva la moltitudine. Ibuoni uomini si lodavano di un rigorismo fuor di misura, sopra tutto nell’esteriore e nel loro vestire. Icredenti potevano abbandonarsi a tutti gli eccessi, stimandosi dalla sola fede giustificati dei delitti più enormi, e assicurati della loro salute, purché prima di spirare avessero ricevuto l’imposizione delle mani di un perfetto, « senza pretendere di essere obbligati né alla confessione dei loro peccati né alla restituzione di ciò che essi avevano rubato colle usure, coi furti e colle rapine di cui non si facevano scrupolo alcuno, com’ era altresì di tutte le altre corruttele della voluttà, alla quale si abbandonavano con una libertà sfrenata; non dubitando punto della loro salute purché prima di morire potessero ricevere l’imposizione delle mani di qualcuno dei loro buoni uomini o perfetti (Storia degli albigesi, del rev. Padre Benoist, secondo tutti gli storici contemporanei. — Cosi i buoni uomini e i credenti si assistevano reciprocamente: i credenti commettevano le rapine e i guasti pei buoni uomini e i buoni uomini meritavano pei credenti). » Tutta la loro religione consisteva in questo. – Uno dei caratteri distintivi di questi settari, che si trova egualmente ne’ primi manichei, ne’ templari, ne’ rosa-crociati, ne’ franchimuratori, era il mistero delle loro società e dei loro giuramenti, i loro segni, il loro linguaggio di convenzione, la loro fraternità sotterranea, la loro propaganda invisibile, e quei terribili segreti che non era permesso al padre di svelare ai propri figliuoli, ai figliuoli di svelare al padre; segreti di cui la sorella non doveva parlare al fratello, nè il fratello alla sorella (Philicdorf, Contra Wald . cap. 13.—E cosa curiosissima il ritrovare nella descrizione che fa sant’Agostino delle cerimonie secrete de’ manichei, a’ quali aveva appartenuto nella sua gioventù, ciò che si pratica ancora precisamente nelle logge de’ franco-muratori. — Cosi il segreto ad ogni patto, jura, perjura, segretum prodere noli. Giura, spergiura, ma conserva il tuo segreto: era questa la loro divisa. — Lo stesso numero ancora e l’identità dei segni, signa oris, manuum et sinus.— La maniera di venirsi incontro con un tocco segreto di mano in segno che avete veduto la luce; ìl Manichæorum alter alteri obviam factus, dexteram dant sibi ipsis signi causa, velut a tenebria servati. — Finalmente perfino quel catafalco rizzato su cinque gradi, e quegli apparecchi di morte in memoria di quella di Manete che formano una delle principali cerimonie massoniche. Pascha suum, est Diem quo Manìchæus occisus, quinque gradibus instructo tribunali, pretiosis linteis adornato ac in promtu posito et objecto, adorantibus magrj. honoribus prosequuntur. (Aug. Contra epist. Manich.). Vedi intorno a’ manichei, a’ templarii, agli albigesi, ai muratori le Memorie per servire alla storia del giacobinismo, di Barruel.— Noi non vogliamo dedurre da ciò che i franchi-muratori debbano essere assimilati agli albigesi, ai templarii ed ai primi manichei, no; come non si può dire che i fratelli moravi somigliano agli ussiti: non sono che residui, che le ceneri fredde di que’ vulcani che furono in passato incendiarli. Il loro torto principale é di romperla con la luce, di cui si dicono nondimeno i settari, di essere perfettamente ridicoli e di perpetuare quel fondo di società segrete che l’incivilimento riprova quanto la Chiesa, e che in tempi di disordine possono tornare di bel nuovo il centro). – Così organizzati in una congiura antisociale, essi mettevano le loro dottrine ad esecuzione da per tutto ovunque potevano, abbattendo le chiese e le case religiose, trucidando inesorabilmente le vedove e i pupilli, i vecchi e fanciulli, non facendo alcuna distinzione di età e sesso; come i nemici giurati del Cristianesimo, distruggendo, mettendo ogni cosa a ruba nello Stato e nella Chiesa (Cosi li rappresentano Glaber, testimonio della loro prima apparizione ad Orleans, nel 1017, Reinier e gli altri storici contemporanei.— Ecco come parla Mézeray: « Scesero dall’Italia in Francia alcuni altri avvelenatori che vi arrecarono il pernicioso veleno de’ manichei; e furono questi, a credere, quelli che ammorbarono primieramente la diocesi d’Alby, per la qual cagione questi eretici si denominarono albigesi Questi paesi di Linguadoca e Guascogna erano pieni di un’altra specie di belve feroci che menavano le stragi. Essi non se la pigliavano solamente coi beni, ma assalivano le persone e attentavano alla loro vita, non avendo riguardo alcun, né a condizione né a sesso né ad età. Essi non erano d’alcuna religione ma assistevano gli eretici per avere argomento di mettere a ruba ed a saccheggio i sacerdoti e le chiese. Si chiamavano brabanzoni, aragonesi, navarresi. baschi, cotterelli e triaverdini. » [Compendio cronologico, tom. II, pag. 663]. Erano quei sbanditi che componevano la categoria dei credenti al servigio dei buoni uomini). – A dir bene, era la perversità umana scatenata sulla società dal fanatismo anticattolico: era il socialismo nato sotto forma di eresia teologica dai diversi oltraggi fatti al dogma salvatore dell’Incarnazione e giunto ad ogni confusione del bene e del male, ed alla più completa distruzione dell’uno e dell’altro. Il filosofismo fu largo sino a questi ultimi tempi di accuse alla Chiesa, accagionandola d’intolleranza per avere autorizzata la società a rintuzzar questi barbari. Oggidì che noi siamo illuminati dalla esperienza del medesimo pericolo, io non credo che nessun uomo onesto e ragionevole ricuserebbe di approvare il canone del concilio generale di Laterano, il quale consacrò la legittima difesa dell’incivilimento a quell’epoca: « Rispetto ai brabanzoni, aragonesi, navarresi, baschi, cotterelli e triaverdini, che esercitano sì gran crudeltà sopra i Cristiani, che non rispettano né le chiese né i monasteri e non risparmiano né le vedove né gli orfanelli né i vecchi né i fanciulli, non avendo riguardo né all’età né al sesso, ma abbattono e guastano ogni cosa, come pagani, noi ordiniamo a tutti i fedeli, per la remissione dei loro peccati, di opporsi coraggiosamente a questi guasti e di difendere i Cristiani contra questi cattivi (Conc. later., 1179, can. 27. Nei libri protestanti che trattano questa materia si citano le disposizioni dei decreti promulgati contra gli eretici, ma si usa la malizia di non citarne i motivi) ». La difesa de’ Cristiani contra i tristi è pur quello che noi facciamo oggidì. – Ma cadrebbe invano l’opera nostra se non facessimo ritorno al gran principio d’incivilimento, la cui negazione è la sorgente di questo cataclisma. Tutto il male e tutto il bene che si operano nel mondo non sono che l’errore o la verità ridotta in pratica. Ora, Gesù Cristo è la verità. Egli lo ha detto: Ego sum veritas, e questa parola sonerà in tutti gli avvenimenti sino alla fine de’ secoli. Ogni offesa fatta a Gesù Cristo è dunque fatta alla verità medesima, e riesce direttamente o indirettamente e tosto o tardi all’error totale, che è l’opposto di ciò che è Gesù Cristo, vale a dire alla confusione ed all’atterramento del finito e dell’infinito di cui esso è l’unione e la personificazione adorabile, al panteismo, al comunismo, al caos, alla morte. Cosa che noi non dobbiam dismettere di dimostrare sino alla fine.

GNOSI, TEOLOGIA DI sATANA (40)

SUNTO STORICO DELLE ERESIE NEL LORO RAPPORTO COL PANTEISMO E COL SOCIALISMO (3).

[A. NICOLAS: “Del Protestantesimo e di tutte le eresie nel loro rapporto col socialismo”, vol. I – Napoli, tipogr. e libr. Gabr. ARGENIO – 1859]

Eresie del terzo periodo -1-

Il rapporto di tutte le eresie col panteismo è vero e costante sino ad esser nojoso. Il che però non ci terrà dal seguitarne l’esposizione poiché a nostro giudizio ne risulta una delle prove più luminose della verità di nostra fede e della necessità di far ritorno ad essa. Noi siam costretti a domandarci come mai una dottrina da cui non ci possiamo allontanare senza riuscir da tutte parti agli abissi non è la verità! come mai, se non fosse la verità medesima, potrebbe essa sola, fra tutte le concezioni e tutte le istituzioni, preservarci da questo fatal destino e preservarne il mondo facendolo del continuo progredire! Come mai ella regga sì bene e si conservi sì bene nell’operosità della sua scienza, per mezzo de’ suoi dottori e della sua universale applicazione, per mezzo de’ suoi apostoli, senza esagerazione né diminuzione né deviazione né confusione, e stia, benché sia stata sempre provocata, sempre bersagliata dalla violenza o dalle insinuazioni delle eresie, senza posa rinascenti intorno a lei, ma riconosciute appena nate, e fulminate appena riconosciute, senza che alcuna di esse abbia mai potuto, non dico atterrarla, ma neppur sorprenderla o imbarazzarla neppure una volta nel lungo correre di oltre diciotto secoli, e siano invece riuscite a favoreggiar la sua esposizione ed a provar la sua sapienza? Diversamente della statua marina di Glauco, che i flutti sempre battenti avevano sfigurata e mutata in un informe scoglio, la figura della Chiesa non è mai alterata dai flutti dell’eresia; e l’eresia venendo, continuamente a rompere contra di lei, ne ha fatto tutto al contrario uscir sempre più manifesti i tratti divini. Noi ci domandiamo sopra tutto come mai, difendendo i suoi più alti misteri, o meglio il suo unico mistero, la Chiesa si trovi difendere tutta la serie delle verità naturali e sociali; e sentinella vigile, posta alle Termopili dell’incivilimento, come veda sempre da lungi il suo nemico, come lo riconosca non ostante tutti i suoi travestimenti e tutti i suoi stratagemmi, come lo percuota sempre con sicurezza senza che l’astuzia la possa mai sorprendere, né l’audacia sgomentarla, né muoverla la violenza, né scoraggiarla l’ingratitudine di questa società medesima che elle, protegge, e farle abbandonare la sua immortale impresa? Che diremo poi quando si osservi che la meraviglia già sì grande che ci fanno questi prodigiosi caratteri della Chiesa va associata alla meraviglia della loro predizione e dell’infallibile parola che fino dal suo nascere e prima del suo nascere promise alla Chiosa tale stabilità contra la quale non potranno prevaler mai gli assalti dell’errore? – Tutto ciò si comprende facilmente da quelli che credono alla divinità dell’istituzione della Chiesa; rispetto a quelli che non vi credono ancora, essi non possono rispondere che col più muto stupore. Ma importa assai di accrescere questo stupore e così incalzarlo che non trovi più alcun termine ragionevole se non nella fede. – Dopo le eresie del periodo che abbiam chiamato dogmatico o teologico, vengono le eresie del periodo scolastico, quelle del secolo IX fino al XVI. Qui non vediamo eresie propriamente nuove, poiché le solenni decisioni della Chiesa avevano innanzi definite tutte le questioni; in quella vece vediamo da una parte una disposizione vaga all’eresia delle eresie, cioè all’indipendenza da ogni autorità, la quale prorompe la mercé di settari audaci; dall’altra vediamo il veleno delle prime eresie gnostiche e manichee diffondersi di nuovo, traviare i popoli ed esporre la civiltà ai più grandi pericoli.

I. — Noi non faremo lunghe parole dell’islamismo, il quale ha ritolto all’incivilimento i luoghi che furono la sua culla. Basti alcun cenno, l’islamismo si è stabilito la mercé dell’arianesimo, del nestorianismo e dell’eutichianismo, che infestavano allora tutto l’Oriente. Di fatto, queste tre eresie, attaccando il dogma dell’incarnazione e quello della maternità divina, aprirono la porta alla gran barbarie pel doppio battente del deismo fatalista e dell’avvilimento della donna. Perciò, cosa notevole, i due sentimenti opposti precipitarono l’Europa sull’Asia, e contrastarono questa alla barbarie, di cui liberarono almen quella: il culto di Gesù Cristo e il culto della donna; la croce e la cavalleria. Lascio che ciascuno sviluppi questi cenni e ne segua le luminose indicazioni.

II. — Lo scisma di Fozio, oltre che attaccava il principio dell’unità della Chiesa, conteneva un principio di eresia intorno alla processione del Santo Spirito, e per mezzo di questo partecipava indirettamente dell’arianesimo. Del resto, per quanto può sussistere un ramo separato dal tronco, la chiesa greca ha conservato nella loro forma le antiche tradizioni del Cristianesimo; anzi le ha conservate sino alla superstizione, e questa fedeltà minuta in alcuni riti primitivi, il cui mutamento non guasta in verun modo la sostanza della dottrina, non è in questa chiesa che una singolarità e sopra tutto un effetto della sua immobilità e del suo difetto di vita. È una testimonianza meravigliosa della vita divina in seno alla Chiesa Cattolica il confronto del suo stato e della sua azione collo stato e coll’azione della chiesa greca. La chiesa greca aveva per sé sulla Chiesa Romana questo immenso vantaggio, che pel luogo e pel centro in cui era posta era erede più immediata dell’incivilimento antico e del primo incivilimento cristiano. Costantinopoli, Antiochia, Efeso, Corinto, tutta l’Asia minore, tutto l’Arcipelago greco, ove i primi raggi della fede cristiana vennero a incrociarsi cogli ultimi raggi dell’incivilimento antico, ove l’impression viva e continua della vita del Salvatore, delle predicazioni apostoliche, dei primi combattimenti e de’ primi concili della Chiesa, delle prime testimonianze de’ Suoi confessori e de’ suoi martiri, e del miracolo luminoso della conversion del mondo pagano, della conversione di quello che esso aveva di più corrotto in ciò che v’ebbe mai di più puro e di più santo; tutte queste impressioni, tutte queste ispirazioni, tutti questi flutti di luce, di tradizione, di fede, di grazia, di vita, zampillanti dalle loro sorgenti medesime, davano alla chiesa greca un vantaggio immenso sulla Chiesa Romana. Come usò essa di questo vantaggio?Non solamente non l’ha propagato, non solo non l’ha conservato, ma lasciò che la notte della barbarie invadesse le regioni della luce; ed essa medesima vi è rimasta sepolta e stagnante senza far mai alcun sforzo per uscirne, e non presenta oggidì altro più che un cumulo di eresie e di superstizioni materiali cui la simonia compra dal dispotismo il diritto di traini dividendone con esso i profitti. La Chiesa Romana per lo contrario, inondata sin dal principio dai barbari; alle prese colle più maligne e più perseveranti eresie, dovendo combattere al tempo stesso l’ignoranza e la falsa scienza, la violenza e la sottigliezza; ricevendo in ogni istante nel suo seno elementi strani! ad ogni origine e ad ogni tradizion cristiana; distendendo essa medesima il suo apostolato nelle regioni, più lontane, più barbare, più selvagge, ove la lingua, i costumi, le superstizioni, le abitudini, il clima, le comunicazioni, tutto era ostacolo, pericolo, tutto doveva, umanamente parlando, alterarne, pervertirne, perderne la disciplina e la dottrina; la Chiesa Romana, ripeto, non solamente si è mantenuta intatta e libera in mezzo a questa confusione e a questi ostacoli, ma ha operato altresì su tutti questi clementi barbari, li ha signoreggiati, disciplinati, fusi; essa li ha ispirati del suo soffio, vivificati della sua vita; ha tratto da essi un incivilimento all’atto nuovo; essa ha raccolto ben anco gli ultimi avanzi dell’incivilimento antico che la chiesa greca non ha saputo conservare, e che da Costantinopoli sono venuti a riparare a Roma; essa ha creato il mondo moderno, il mondo attuale, in ciò che v’ha di più animato, di più puro, di più ricco e di più forte, a tal che esso non può opporre alla Chiesa medesima altro che l’abuso de’ benefizii che ne ha ricevuti. Qual prova più luminosa che la sola Chiesa Cattolica ha le promesse di Gesù Cristo, e che queste promesse sono divine così per la società del tempo come per quella dell’eternità!

III. — Ma è d’uopo che noi torniamo ad osservar questa verità ne’ particolari delle eresie del periodo scolastico, cogliendo il rapporto di ciascuna di esse col panteismo. Il primo movimento di eresia scolastica ci appare nel famoso Scoto Erigena. Per mostrare il rapporto della sua eresia col panteismo, non posso far meglio che lasciar parlare uno degli storici più esatti ed uno degli apprezzatori più riservati e più indulgenti degli avvenimenti cattolici. – « Malgrado la sua perspicacia divinatoria, dice Alzog, Erigena non seppe guarentirsi da’ più gravi errori. Dovendo lottare contra espressioni talvolta ribelli, nella sua esposizione delle verità intelligibili, egli non rimase sempre fedele al suo proprio principio di ben distinguere i termini propri e figurati, li confuse troppo spesso, ne abusò, divenne il predecessore di Berengario nella sua dottrina dell’Eucaristia e porse immediatamente occasion agli errori posteriori sui rapporti della fede e della scienza, di Dio e del mondo, sulla natura del male e sulla predestinazione. Le sue opinioni diventarono la sorgente, donde più tardi si trasse una teoria positivamente panteista. » (Elzog). Così, ecco uno spirito per niun modo mal intenzionato, ma temerario, il quale invece di svilupparsi nella profondità e sublimità della dottrina cattolica, come fece cosi potentemente il genio di san Tommaso, vuol passarne i confini; egli fa un passo fuor del dogma dell’Incarnazione eucaristica, e incontanente ove si dirige egli, ove riesce? Al panteismo! – Lo storico dal quale abbiam preso il giudizio che lo risguarda è uno  de’ più moderati verso di esso : egli fa ogni potere di scusarlo: « Gli è perché fu disconosciuta, dice egli, la distinzione chiaramente stabilita da Scoto tra il linguaggio proprio e il linguaggio improprio applicato al Creatore, che esso fu generalmente rimproverato di essere- panteista …. La proposizione, Dio è in tutto e diventa tutto, vuol dire secondo Erigene: Dio si manifesta in tutto: tutto ciò che è creato – è manifestazione di Dio ». Questa spiegazione è almeno molto benevola; ma la tendenza al panteismo non è punto meno manifesta nel dottor scozzese, e noi medesimi siamo troppo benevoli verso di lui non accagionandolo in ciò se non della colpa di tendenza.

IV. — La cosa che importa sopra tutto di notare come una verità che sembrerà forse eccessiva, e che nondimeno è molto positiva e molto logica, ben giustificata sopra tutto dalla sorte delle eresie che noi esaminiamo in questo momento, è che se il dogma dell’Incarnazione è preservativo del panteismo come dottrina, lo è a condizione che sia vivificato e realizzato in noi come sacramento. La realtà della presenza soprannaturale di Gesù Cristo nell’Eucaristia ci fa sentir vivamente la distinzione dell’infinito e del finito; (E se ne giudichi da questo passo: « Il fiume intero (dell’essenza suprema) sgorga dalla sorgente prima: l’onda che ne zampilla si spande in tutta l’estensione di questo fiume immenso, e ne forma il corso, che si prolunga indefinitamente. Così la bontà divina, l’essenza, la vita, la sapienza e tutto ciò che è nella sorgente universale, si spande prima sulle cause primordiali e dà loro l’essere; discende poscia per queste medesime cause sull’universalità de’ loro effetti di una maniera ineffabile, in una  progression successiva, passando dalle cose superiori alle inferiori: queste effusioni sono in appresso ricondotte alla sorgente originale per la trasparizion nascosa de’ pori più segreti della natura. Di in qua deriva ciò che è concepito e sentito, tutto ciò che è superiore ai sensi ed all’intelletto. » Il movimento immutabile della bontà suprema e triplice, della vera bontà sopra sè medesima, la sua semplice moltiplicazione, la sua diffusione inesauribile che parte dal suo seno e vi ritorna, è la causa universale, o meglio essa è tutto, imperocché, se l’intelligenza d’ogni cosa è la realtà d’ogni cosa, questa causa che conosce tutto è tutto; essa è la sola potenza gnostica; essa non conosce nulla fuori di sé medesima: non vi ha nulla fuori di lei; tutto è in lei; essa sola è veramente, » – De divisione naturæ – lib, III, pag. 4.); e la partecipazione a questa divina realtà ci fa provare la loro comunione senza nuocere alla loro distinzione, che anzi ce la rende tanto più profonda pel sentimento della reciprocità dell’amore che ne dimostra chiaramente i due termini: Dio e noi, Dio in noi e noi in Dio, distinti ed uniti, altrettanto distinti quanto è la miseria più profonda della creatura dalla triplice santità del suo Autore; e altrettanto uniti quanto debbono essere per un amore che supera questa distanza e questa distinzione: due sentimenti, due bisogni profondamente necessari al cuor dell’uomo; la cui soddisfazione, per mezzo del Cattolicismo, salva l’uomo da tutti i traviamenti ai quali quei sentimenti lo spingono quando manca loro il proprio oggetto. – La scolastica nel medio evo non fu volta da alcuni begli spiriti alla speculazion razionalista se non collo scuotere il contrappeso divino e mantenne nelle vie sicure e larghe della teologia positiva gli Anselmo, i Tommaso d’Aquino, i Lanfranco, i Bernardo, i Gersone, i Bonaventura, il cui genio andò debitore di tutta la vigoria ed esattezza del suo volo alle ispirazioni della fede pratica. L’allontanamento dell’esca di questa fede, la privazione del soprannaturale eucaristico, condusse gli altri all’indebolimento della fede in questo soprannaturale e in quello di tutta la religione e bontosto al panteismo. Se invece di studiar cotanto a spiegare in sé ciò che è inesplicabile, essi fossero stati fedeli alla pratica del sacramento divino, avrebbero conosciuto Gesù Cristo alla frazion del pane, si sarebbero conosciuti essi medesimi, avrebbero conosciuto tutte le cose molto meglio che non investigandole in sé medesime; o almeno sarebbero stati illuminati e preservati nei pericoli delle loro investigazioni. Se non che avendo essi spirito orgoglioso e cuor molle, soccombettero nella lotta dei sensi e si trovarono trascinati da questa schiavitù a quella falsa libertà di ragionare e di pensare, di cui i nostri moderni razionalisti hanno tanto esaltato in loro l’iniziativa, e che non è in sostanza altro che la libertà di traviare e di inabissarsi, inabissando insieme il mondo. Tali furono principalmente Berengario, Boscelino, Abelardo, Guglielmo di Champeaus, Amalrico di Chartres, David di Dinan, Gilberto della Porretta. Il dogma dell’Eucaristia era stato insino allora rispettato. Il solo Scoto Erigena aveva cominciato ad attaccarlo. Ma Berengario di Tours fu nel secolo undecimo l’autore di una vera eresia su questo punto: egli si dichiarò in maniera più forte e più formale ancora di Erigena contro il dogma della transustanziazionee della presenza reale, e fin l’autore della setta dei berengariani, i quali furono i precursori dei luterani e dei calvinisti, e sono stati condannati da molti concilii, segnatamente da quelli di Vercelli, di Tours, di Parigi e di Roma nel 1079. Si è preteso, quantunque il fatto non sia ben provato, che questi attacchi contra la fede nel dogma dell’Eucaristia, Berengario ne mescolasse altri contra i primi fondamenti della società: che condannasse i matrimoni legittimi; che professasse il principio dover le donne essere comuni; che riprovasse altresì il battesimo de’ fanciulli, e finalmente che trascorresse nell’eresia dei gnostici e de’ manichei (Bergier, Dizionario di teologia.).

V. — Roscelino fu autore di una eresia sulla Trinità, la quale consisteva in vedere nelle tre Persone divine tre esseri, e per conseguenza tre dei: fu l’eresia dei triteisti, condannati in un concilio tenuto a Compiègne nel 1092, e contra la quale sant’Anselmo scrisse il trattato dell’incarnazione del Verbo. – Con questo attacco contro il dogma della Trinità, Roscelino cominciò la famosa controversia sui reali e sugli universali, che agitò cotanto quell’età e che sotto questi nomi barbari occultava lo scoglio fatale dello spirito umano deviato dalla fede, del quale mostriamo la presenza sotto tutte lo eresie. Le idee generali degli esseri sono esse qualche cosa di reale o di puramente nominale? V’ha egli altro di reale oltre gli esseri in sé medesimi presi individualmente? Non vi ha di reale che gli esseri medesimi presi individualmente, e le idee generali non sono che una pura astrazion nominale, sostenevano Roscelino e i nominali. Le idee generali son per lo contrario le sole realtà, e gli oggetti individuali non ne sono che le forme e i fenomeni, dicevano i realisti (Le qualificazioni di nominali e di realisti s’intendevan cosi per rapporto alle idee generali: i nominali dicevano che esse non erano che un nome: i realisti dicevano che erano le sole realtà). – Chi non riconosce la nostra gran questione sotto queste formule? Le idee generali degli esseri sono per noi i tipi dietro i quali si particolarizzano gli esseri medesimi, e sui quali noi li giudichiamo; esse implicano la generalità dell’idea e dell’essere, l’essere medesimo come loro principio e l’intelligenza infinita come loro sede. Negare un valor reale alle idee generali è dunque negare la generalità dell’essere, l’essere medesimo, è cadere nel naturalismo. E da un altro lato, non ammettere di reale che lo idee generali, e non vedere negli esseri particolari che le forme delle idee generali, che fenomeni dell’essere, non è evidentemente un cadere nel panteismo. – Naturalismo o panteismo, tali sono dunque i due partiti pei quali la filosofia si traeva da questa gran quistione. Il Cattolicismo affermando egualmente la realtà distinta del mondo soprannaturale e quella del mondo naturale, e l’accordo di questi due mondi nella gran personificazione del Cristo; appresentandoci il Cristo come il Verbo, vale a dire come il pensiero, l’idea eterna dalla quale tutto è stato fatto e tutto è rifatto, sia nell’ordine terrestre, sia nell’ordine celeste, e questo Verbo medesimo fatto carne, il Cattolicismo, ripetiamo, salva mirabilmente, raccogliendole, senza confonderle, la realtà delle idee generali nella realtà dell’Idea divina, e la realtà degli oggetti particolari nell’Individualità umana del Cristo. Egli mette la filosofia sulla strada di determinare la loro distinzione e la combinazione loro nelle conoscenze umane; e lasciando che gli spiriti si esercitino nel campo della controversia, li rattiene almeno nei termini generali della verità e pone barriere ai precipizii.

VI. — Il famoso Abelardo fu il continuatore moderato di Berengario, di Roscelino, di Amalrico di Chartres e di David di Dinan. Separando come essi la scolastica dalla mistica, la teologia speculativa dalla teologia positiva, cercando temerariamente di fondare la fede sulla ragione, invece di innalzar la ragione sui fondamenti della fede, egli spiegò un gran prestigio di spirito e di cognizioni, tale però che tendeva ad uscire ed uscì spesso dai limiti della fede. Il concilio ci Soissons condannò la sua Introduzione alla teologia, a motivo di molte proposizioni eretiche sulla Trinità. E guardate la fatale concatenazione dell’errore, le medesime proposizioni si trovavano essere panteiste e corrispondevano a proposizioni licenziose. Così, secondo lui, il Padre, o meglio la paternità, era la suprema divinità che si sviluppo nel Figlio e nel Santo Spirito, a tal che il Figlio e il Santo Spirito non son nulla in sé medesimi (aliæ vero duæ personæ nullatenus esse queant). Era negare implicitamente il dogma dell’Incarnazione del Verbo, della sua mediazione tra il mondo e Dio, cui Egli unisce senza confonderli, e per conseguenza era un aprir la porta al panteismo; era già un introdurre nel seno medesimo della Trinità il principio dell’emanazione, il quale, ammesso una volta, non si arresta più, e si estende necessariamente a tutti gli esseri. Negar le Persone divine è lo stesso che essere condotto a negare le personalità umane. Dio, l’Essere per eccellenza, la vita medesima non può, come abbiam già detto, concepirsi senza rapporti, i quali sono per conseguenza necessari. Se voi, colla soppressione delle Persone divine, gli togliete i termini di questi rapporti in sé medesimo, voi siete recato a darglierli nel mondo, assorbendovelo, o assorbendo il mondo in Lui. Aberardo giungeva a questa proposizione positivamente panteistica: secondo lui « il Padre solo è ed esiste pel suo rapporto col mondo e con la sua manifestazione nel mondo. » Quindi le cose sensibili, gli atti esteriori, i fatti non avevano valore reale ed esistenza obbiettiva per Abelardo. Lo spirito solo era tutto, e il peccato consisteva solo nella volontà perversa e non nelle opere. L’amante di Eloisa apriva così la via all’illuminismo immorale delle sette del libero spirito. San Bernardo combatté sopra tutto quest’ultima proposizione dell’Etica di Abelardo. Egli fu contra questo chimerico e brillante ingegno il campione della Chiesa e della società, come sant’ Anselmo lo tra stato contro Roscelino, e il beato Lanfranco contra Berengario. È pur mirabile questa unione della santità e della verità ne’ gran dottori della Chiesa! oh come tutto l’uomo col genio e col cuore si regge fermo, e la società insiem con esso, sul fondamento della fede, fuor del quale non si può porre il piede senza vacillare e trascinar seco la società negli abissi!

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(Continua …)

GNOSI, TEOLOGIA DI sATANA (39)

GNOSI TEOLOGIA DI SATANA (39)

SUNTO STORICO DELLE ERESIE NEL LORO RAPPORTO COL PANTEISMO E COL SOCIALISMO (2).

[A. NICOLAS: “Del Protestantesimo e di tutte le eresie nel loro rapporto col socialismo”, vol. I – Napoli, tipogr. e libr. Gabr. ARGENIO – 1859]

Eresie del secondo periodo

Dopo la vittoria decisiva conseguita sopra il sincretismo alessandrino, la Chiesa e la società cristiana non furono per lunga stagione attraversate nel loro corso da alcuna lega esteriore. Però lo spirito di errore non venne meno alla sua natura eternamente gelosa e sovversiva, ed al potere che ha ricevuto dalla previdenza di abbandonarvisi nella misura prescritta, per provare continuamente la verità e lo zelo de’ suoi discepoli. Egli soggiacque allora a una specie di metempsicosi. I sistemi panteisti esterni, sotto i quali si era prodotto, essendo disciolti dal dogma cristiano, egli passò a forme più teologiche, più dommatiche, ma la sostanza non era punto meno panteista, e il risultato non meno antisociale.

I.—Secondo questa nuova strategia, lo spirito di tenebre cominciò dal trasfigurarsi in angelo di luce nel montanismo (Quantunque il montanismo risalga a più alta origine, pure, siccome egli apre la serie delle eresie più particolarmente teologiche, noi abbiamo creduto di poterlo porre dopo il sincretismo). – Il montanismo, che ebbe la trista gloria di macchiar quella del valente Tertulliano e di farlo cadere per eccesso di valore, non smentisce punto il parentado logico che noi vogliam mostrare tra ogni eresia cristiana ed il panteismo. La dottrina di Montano consisteva nel pretendere che Gesù Cristo e la Chiesa non erano il termine del progresso morale e religioso; che, oltre Gesù Cristo, oltre lo Spirito Santo da cui la Chiesa era stata sino allora assistita, doveva venir il Santo Spirito in persona, il paraclito, per recare sulla terra una dottrina più perfetta, una morale più severa che doveva essere un progresso sopra quella del Vangelo, come quella del Vangelo era stata un progresso sulla legge mosaica, e questa sulla legge naturale. « La morale, diceva egli, deve perfezionarsi; essa deve crescere in vigore; Dio medesimo ha provato e mostrato anticipatamente questa gradazione passando dall’antico al nuovo Testamento per mezzo le istituzioni e i modi di salute progressivi dell’uno e dell’altro Testamento ». A questa semplice esposizione del montanismo è facile riconoscere la traccia del panteismo. Questo progresso successivo per mezzo le istituzioni e i simboli non dell’uomo nella perfezion morale, ma della morale in seno all’umanità, somiglia in fatto assai allo sviluppo, alla processione dell’infinito in mezzo alle forme e ai modi del finito, che è propriamente il panteismo. Montano si applicava il benefizio di questa dottrina, facendosi tenere e credere come particolarmente ispirato dal Santo Spirito, come l’organo più potente del paraclito che fosse mai apparso. Egli predicava in conseguenza una morale più rigorosa di quella del Vangelo insegnato dalla Chiesa, pretendendo, oppostamente a questa, che bisognava scomunicare per sempre o senza remissione i peccatori pubblici, fare astinenze e digiuni fuori di ogni misura, vietare le seconde nozze e prevenire le persecuzioni. Come il gnosticismo aveva sviluppato in maniera fantastica la parte teorica del Cristianesimo, così il montanismo ne esagerava la pratica. Il primo minacciava di trasformare il Cristianesimo in una teosofia mistica, il secondo ne faceva un monarchismo esagerato sopra ogni modo. Uscendo l’uno e l’altro, sui passi dell’orgoglio, dalla via cotanto sapiente della Chiesa, e privandosi de soccorsi soprannaturali di lei, mentre esageravano lo prescrizioni, riuscirono a tutte le follie dell’illuminismo e a tutte le infamie per le quali la natura, troppo disconosciuta, ripiglia i suoi diritti. Cosi, negando il dogma dell’Incarnazione nella sua efficacia assoluta, il montanismo degenerava in panteismo e finiva coll’immoralità. I Vescovi cattolici, raccolti in diversi sinodi, fulminarono questa stolta sapienza e questo rigorismo immorale, e separarono dalla società della Chiesa questa setta di menzogna.

II. — Intorno al tempo medesimo sorsero le eresie degli antitrinitarii, de’ sabelliani e de’ patripassionisti. Per salvare l’unità di Dio,compromessa, dicevano questi eretici, nel dogma della Trinità, essi negavano questo dogma, e per conseguenza quello dell’Incarnazione del Verbo, — gli uni, ricusando a Gesù Cristo ogni rapporto consustanziale colla divinità, — gli altri, non vedendo in lui che una potenza divina, non una Persona divina, non la divinità medesima, —gli altri finalmente vedendo in lui la divinità, ma senza pluralità di persone, ridotta all’unica persona del Padre, che si era egli stesso fatto uomo e aveva patito per noi; onde furono chiamati patripassionisti. Cosa singolare, ma profondamente giusta e logica: per voler essere più savi, più gelosi della grandezza di Dio che non la Chiesa, questi eretici cadevano nell’eccesso opposto alla loro orgogliosa pretesa; essi prostituivano la divinità; e, cosa non meno singolare e non meno logica, la prostituivano col panteismo, alternativa inevitabile del dogma cristiano.Così questi spiriti vani e superbi che pretendevano di vendicare la divinità dell’offesa che secondo loro faceva alla sua unità santa l’ammissione delle tre Persone che non inducono in essa alcuna divisione, ammettevano all’identificazione con questa medesima divinità, non già solo tre persone coinfinite e coeterne, ma il mondo altresì,ma l’umanità, ma tutte le creature; e per salvare il teismo cadevano così nel panteismo.Ecco di fatto qual era il loro sistema:« Il Padre, il Figliuolo, il Santo Spirito non sono punto Persone distinte e coeternamente esistenti in una medesima sostanza divina, senza rapporto necessario col mondo. Sono denominazioni esteriori e temporanee della manifestazione della monade divina, nella sua azione sul mondo. Queste manifestazioni diverse della monade non hanno per iscopo che il loro proprio sviluppo; esse si distendono, si dilatano, secondo le espressioni stoiche, (ekteinesthai o platynesthai), o si restringono e si concentrano (syntellesthai). La monade esce nel mondo e diventa Padre; ella si unisce al Cristo per l’opera della Redenzione, e si chiama Figliuolo; ella si identifica coll’umanità, e si fa Santo Spirito. Finalmente, dopo di avere sviluppato la vita divina nei regni del Padre, del Figliuolo e del Santo Spirito, la divinità si ritrae,si raccoglie, si racchiude in sé medesima (Alzog, Storia della Chiesa, t. I, pag. 252 – Dellinger, Origine del Cristiaesimo, t. I, p. 252 – Bergier, Dizionario di teologia). »Così il panteismo usciva apertamente dalla negazione dei dogmi della Trinità e dell’Incarnazione per mezzo di questi eretici.Son ora da studiare le conseguenze antisociali di questa dottrina ela profonda sociabilità dei dogmi cristiani. Io prego in ciò i lettori a degnarmi di tutta l’attenzione.Se noi non siamo che una manifestazione, che un’apparenza, noi siamo annichilati; e al tempo stesso questa manifestazione essendo una manifestazione, una dilatazione di Dio, noi siamo autorizzati, necessitati,divinizzati in tutte le cattive inclinazioni della nostra natura; conseguenza generale del panteismo già esposta e che noi ci limitiamo a ricordare. Scendiamo ad un’ analisi più elementare.L’elemento d’ogni società consiste in due cose: pluralità e similitudine degli esseri.Di fatto, chi dice società dice pluralità, e per conseguenza distinzione. degli esseri fra loro, la cui unione forma la società. Senza questa pluralità, mantenuta dalla distinzione nell’unione medesima, non può esservi né rapporto, né movimento, né vita. — Io aggiungo: Le nostre società, fondate sulla nozione e sul culto del bene e del giusto,vale a dire di Dio, ne suppongono una prima fra noi e Dio, trail finito e l’infinito, per mezzo della loro distinzione necessaria alla loro stessa unione, e senza la quale non essendo noi distinti e sociabili per rapporto a Dio, non lo saremmo più neppure gli uni rispetto agli altri. — Quanto alla similitudine degli esseri, è evidente che essa non è meno necessaria della loro pluralità per stabilire fra essi una società; non si può aver società che coi propri simili, ed è con questo disegno che l’uomo è stato fatto originariamente a somiglianza di Dio. e che per questa prima similitudine è stata formata la nostra serietà con Dio, la quale, rovinata dal peccato, doveva riformarsi e consumarsi più tardi da Dio, facendosi Egli pure simile all’uomo.

Da queste premesse traggo due luminose conseguenze a favore dei dogmi della Trinità e dell’Incarnazione. A favore del dogma della Trinità ne inferisco che Dio, essendo infinito, non può aver rapporto eterno e necessario, o società naturale che con sé medesimo: imperocché chi è a Lui simile (Ps XXXIV, 10)? Che ogni rapporto ed ogni società implicando, come abbiam detto, pluralità non meno che similitudine, bisogna necessariamente che vi sia in Dio una pluralità; la quale siccome non può essere nell’essenza, poiché molti infiniti sono una contradizione, deve essere in qualche cosa che sia in Lui e che non è la sua essenza, qualche cosa che noi chiamiamo persone, le quali dovendo corrispondere ai due gran bisogni di conoscere e di amare, che sono la vita dell’essere, devono essere conoscenza e amore, distinte dal subietto che le genera; finalmente, che deve esser questa la prima di tutte le società sulla quale devono essere formate tutte le altre, quella dalla quale devono discendere ed a cui devono risalire. – A favore del dogma dell’Incarnazione conchiudo, che siccome ogni società suppone pluralità e somiglianza, cosi, perché vi fosse società fra noi e Dio, bisognò che Dio si facesse simile a noi, rimanendo distinto da noi; che l’uno di Dio, se cosi posso dire, si facesse l’uno di noi; che Egli formasse cosi l’anello di congiunzione, l’Emmanuele che congiunge la società degli uomini colla società divina, e che inaugurasse il dogma sociale sul dogma della Trinità per mezzo del dogma dell’Incarnazione, come l’ha sì bene epilogato Gesù Cristo in quella divina preghiera che noi non possiam mai ripeter troppo in simile argomento: Che tutti non siano che uno, ecco la società; come Voi, Padre mio, siete in me, ed Io in voi, che essi siano medesimamente uno in noi, eccone il tipo; finalmente, io sono nel Padre mio, e voi in me ed io in voi, eccone il nodo. Per ciò rigettare il dogma della Trinità, come facevano cotesti eretici, è negare all’Essere per essenza la vita di relazione che è propria dell’Essere, e che Egli non può trovare necessariamente che in sé medesimo: è un costringerlo in certo qual modo, secondo questa concezione, a cercare fuori di sé e nel finito i termini de’ suoi rapporti necessari, vale a dire ad abdicare la sua natura e ad assorbire la nostra, e per conseguente ogni società, nel panteismo. – Similmente, rigettare il dogma dell’Incarnazione è rendere impossibile ogni società mediata fra noi e Dio, ogni rapporto accessibile; e siccome questa secondo il disegno di Dio è il fondamento di quella, così il rigettare un tal dogma è un costringerci a metterci pur noi in società immediata, in relazione diretta e necessaria con Dio, ad assimilare per conseguenza la sua natura e la nostra, vale a dire a confonderle, e ad andarci a perdere nell’infinito per mezzo del panteismo. – In questa guisa s’incatenano adorabilmente tutte le verità in seno alla dottrina cattolica; cosi l’eresia degli antitrinitarii e de’ sabelliani doveva essere necessariamente panteistica e antisociale.

III. — Questa eresia dischiuse le strade ad un’eresia a gran pezza più vasta ne’ suoi sviluppi, all’ Ariane simo. L’arianesimo, che menò i sì gran guasti nei popoli germanici e ritardò per sì lungo tempo l’azione incivilitrice del Cattolicismo su que’ barbari, fu una conseguenza dell’eresia antitrinitaria e sabelliana. Il Cristo non era consustanziale al Padre, secondo Ario; Egli era un essere creato, ma superiore a tutto le creature e produttore pur egli delle medesime. L’arianesimo era una prolungazione parziale del panteismo gnostico, che aveva messo in voga la dottrina delle emanazioni divine decrescenti. Agli occhi degli Ariani, il Verbo divino era un’emanazione inferiore al Padre; e siccome al tempo stesso ei lo concepivano sotto la nozione di creatura, così tutta quanta la creazione, la cui nozion vera era distrutta, diventava una serie di emanazioni, ciò ch’era propriamente il panteismo (Dicasi il medesimo dello dottrine eterodosse sopra lo Spirito Santo, le quali non erano che l’arianesimo applicato alla terza Persona della Trinità divina, e che furono condannate nel secondo concilio ecumenico di Costantinopoli.). – Il primo gran concilio di Nicea anatemizzò questa eresia, e formulò la verità cattolica in quel passo del suo simbolo, di cui facciam risuonare i nostri templi: Credo in… Jesum Christum… Deum de Deo, lumen de lumine, Deum verum de Deo vero, genitum, non factum, consubstantialem Patri; dichiarando così la divinità in Gesù Cristo, e all’opposto distinguendone l’umanità, la cui confusione colla divinità l’avrebbe compromessa.

IV. — Apparve allora sulla scena il pelagìanismo, il quale non fu che un’applicazione de’ principii dell’arianesimo. Secondo questo, Gesù Cristo non era che una creatura; era perciò naturalo il conchiuderne che egli non poteva acquistarci alcuna grazia divina; ed è appunto la necessità di questa grazia che rigettava Pelagio, pretendendo che l’uomo poteva aggiungere il più alto grado di perfezione morale e sottrarsi all’impero del peccato colle sue proprie forze. I pelagiani, è vero, non negavano la divinità del Cristo, come facevano direttamente o indirettamente gli ariani; ma avrebbero potuto farlo senza nuocere in alcun modo alla loro teoria. Movendo da due punti di vista diversi, i due sistemi arrivavano al medesimo termine, col dedurne le conseguenze dai loro principii. L’arianesimo separava Dio dall’uomo, il pelagianesimo separava l’uomo da Dio. L’uomo, partendo dalla negazione della divinità di Gesù Cristo, doveva arrivare alla negazione della grazia divina; l’altro, partendo dalla negazione della grazia divina, doveva arrivare alla negazione della divinità di Gesù Cristo; ambedue dovevano riuscire al naturalismo. – Il che è ciò che abbiamo veduto operarsi in grande nel protestantismo, il quale, per mezzo di Zuinglio e Socino, arriva in Rousseau alla dottrina della bontà natia dell’uomo e del pervertimento della società, donde Luigi Blanc e i socialisti hanno tratto i principii della loro riforma. La fiducia di questi nella bontà dell’uomo, sulla quale essi fondano e le loro accuse contro la società che l’ha pervertita, e le loro folli utopie di riforma, illudeva del paro i pelagiani e li recava, per un falso raffinamento di perfezione di cui essi credevano capace l’uomo, a incriminare egualmente la proprietà e tutte le relazioni che costituiscono la società degli uomini. « A veder come i discepoli di Pelagio, dice un moderno scrittore, sostennero che la rinunzia alle ricchezze era un obbligo assoluto per chiunque voleva operare la propria salute, si comprende come potessero sistematicamente riuscire mediante espropriazione alla negazione della proprietà, il comunismo (F. Lacombe: Studi sul socialismo) ». L’ortodossia religiosa e sociale trovò un fiero campione in sant’Agostino, il quale combatté tutti gli errori pelagiani, confrontandoli colla verità cattolica. Egli giustificò la proprietà mobile ed immobile dell’uomo individuale riguardo allo stato; definì in modo ammirabile ciò che era di precetto e ciò che era di consiglio nella legge della rinunzia, e restituì a questa legge il suo vero carattere evangelico, più tosto morale che materiale, che non potrebbe pregiudicato mai alla vita sociale degli individui, di cui si compone quella delle società.

V. — Non è mai che lo spirito umano prorompa in qualche eccesso senza che ne sia in breve punito, cadendo nell’eccesso contrario. Inoltre, come abbiam già detto, il naturalismo non può durar lungo tempo nell’anima umana. Questa ha orrore del vuoto, del suo isolamento da Dio, e non è mai più vicina a precipitarsi in questo abisso come quando è giunta a separarsene. Il naturalismo, una volta che si è abbandonato il Cristianesimo, non è altro che un rapido passaggio al panteismo. Non è la separazione che può salvarci dalla confusione con Dio; è l’unione, la Religione.

Il pelagianismo doveva condurre al predestinazianismo, o alla dottrina opposta dell’onnipotenza della grazia divina nell’uomo, esclusiva di ogni cooperazione umana e negativa d’ogni libertà. Dio ci predestina fatalmente alla felicità o alla dannazione; la sua azione ci rende necessariamente giusti e santi. Tale fu l’eresia del predestinazianismo, che conteneva il panteismo e il fatalismo, doppio errore cuitutte le eresie pare abbiano avuto per iscopo d’impiantar nel cuoredelle società cristiane. – Con profonda sapienza la Chiesa anatemizzò il pelagianismo e il predestinazianismo; il primo nel gran concilio di Cartagine, l’anno 418;il secondo in diversi concili d’Arles e Lione. Essa mantenne due verità certe, l’azione della grazia divina e l’azione della libertà umana, vale a dire, sempre la realtà distinta dell’infinito e del finito,del soprannaturale e del naturale, così nella loro azione come nella loro essenza. La grazia non può nulla sopra di noi senza il concorso della nostra libertà. La nostra libertà non può nulla in noi, nell’ordine della salute, senza il soccorso della grazia. Distinzion capitale, essenziale, che rizza a destra e a sinistra dell’umanità un baluardo che la preserva dal naturalismo e dal panteismo, e tiene sgombro il sentiero del buon senso, dell’esperienza, della tradizion sociale e della verità pratica delle cose sul quale deve correre.

VI. — Ma come si conciliano fra loro la grazia divina e la libertà? Qual è la parte reciproca della loro azione nell’opera dell’umana salute? Gli è in ciò che si tocca al mistero de’ misteri, alla difficoltà delle difficoltà; è questo il passo che la sola Chiesa seppe superare senza cercare né evitare, e al quale sono venuti a sdrucciolare e a cadere tutti quelli che non si sono accontentati di porre semplicemente il piede sulla traccia del suo insegnamento, insistere vestigiis.

E questo è ciò che volle fare il semi-pelagianismo. Secondo il pelagianesimo, il peccato di Adamo non ha turbate le condizioni della perfettibilità umana: l’uomo può fare il bene dopo come prima di quel peccato; egli ha in sé una forza naturale sufficiente. per compiere le buone azioni; esso è naturalmente buono, ela grazia è semplicemente un soccorso che lo aiutano a diventare più facilmente migliore.Secondo il predestinazianismo, il peccato di Adamo ha distrutta nell’uomo la libertà, la possibilità del bene. Egli ha bisogno della grazia, non già come ajuto per rialzarsi, ma come mezzo unico e assoluto di essere rialzato. Essa sola è quella che lo rialza, che lo sostiene e lo fa camminare; egli non conta, è un cadavere. Il semi-pelagianismo credette di essere la sapienza medesima venendo a porsi nel giusto mezzo fra questi due eccessi, e a dire chela grazia e la libertà concorrevano vicendevolmente a rialzar l’uomo e a recarlo al bene; che esse avevano un’egual parte alla sua salutee ch’egli ne aveva un egual bisogno; che dopo il peccato originale,l’uomo non è naturalmente buono, è vero, né portato al bene più che al male, ma che egli si determina con altrettanta facilità all’uno e all’altro; che solo la grazia viene a determinare il buon movimento e a svilupparne il principio che è in lui.Sapienza umana! la Chiesa anatemizzò questa eresia, più perniciosa. delle altre due perché era più speciosa e riconduceva a quella per una doppia china. Occupata non già di cercare il giusto mezzo fra due errori, ma unicamente di dichiarare la verità rivelata, che non. si trova necessariamente in questo giusto mezzo, essa divulgò quei grandi assiomi di fede, di tradizione e di esperienza: cioè che pel peccato di Adamo noi abbiam perduto cotesta grande e felice libertà, cotest’equilibrio della nostra volontà fra il bene ed il male; e che per ristabilire in noi un’eguaglianza perfetta è necessario l’impulso della grazia; che essa è dunque sempre preveniente, e gratuita in quanto preveniente; ma che non è efficace se non col concorso della nostra libertà.Così la Chiesa sciolse il nodo gordiano della libertà e della grazia formato dall’eresia. Certamente questo nodo ha altre difficoltà che si addentrano nelle misteriose profondità della volontà umana e della grazia; ma la Chiesa non entra mai prematuramente in questi abissi, come ella non sta mai in forse a perseguitarvi l’errore e a portarvi la luce netta e viva della precisione quando l’errore gliene porge argomento. Solamente ella mantiene il mondo nel possedimento di queste due grandi verità, di questi die gran principi; il soprannaturale e il naturale, il divino e l’umano, la grazia e la libertà; e li accorda nella loro azione nel seguente modo: la grazia sempre preveniente, la libertà cooperante; Dio che stende la mano all’uomo, e l’uomo che la prende.

VII. — L’arianismo e tutte le eresie precedenti avevano messo in questione l’esistenza della divinità e dell’umanità, dell’infinito o del finito di Gesù Cristo. Il nestorianismo venne ad inaugurare un altro ordine di eresie, quelle che si riferiscono non più all’esistenza, ma ai rapporti naturali ed alle operazioni reciproche delle due nature nel Cristo. L’unità di persona fu attaccata, come l’era stata la dualità di natura. Nestorio venne a dire che vi era dualità di persona come v’era dualità di natura. Egli trasformò la distinzione essenziale del finito e dell’infinito nella loro separazione. Secondo lui, vi eran nel Cristo due persone, poste l’una allato all’altra, unite esteriormente e moralmente. Egli si scandalizzò della denominazione di madre di Dio universalmente data a Maria; sostenne che si doveva dir solo Madre del Cristo, e che l’uomo partorito da Maria doveva essere chiamato Teoforo, o portante Dio, come tempio nel quale Dio dimora. In cotal guisa l’Incarnazione non era altro più che una semplice inabitazione del Logos nel Cristo, e il Verbo eterno non si era fatto uomo. Senza saperlo, questa eresia procedeva dai principii del manicheismo, che, come abbiam già fatto osservare, non è che un doppio panteismo. L’antitesi di due volontà, di due nature divina e umana, o la difficoltà di concepirle unite in una sola persona, fu la sua base principale, come l’antitesi dello spirito e della materia, o la difficoltà di riferirle ad una comune origine era stata una delle basi principali del dualismo. – Ma vuolsi principalmente notare che, isolando il finito dall’infinito, essa doveva riuscire a precipitarvelo.

VIII. — E ciò avverossi ben presto. Eutiche venne, sull’orme di Nestorio, a dire che « prima dell’unione del Verbo coll’umanità le due nature erano assolutamente distinte; ma che dopo l’unione la natura umana, confusa colla natura divina, ne fu talmente assorbita che rimase la divinità sola, e che fu essa sola che patì per noi e ci riscattò. Il corpo del Cristo era dunque un corpo umano quanto alla forma e quanto all’apparenza esteriore, ma non quanto alla sua sostanza ». L’entichianismo conduceva altresì al gnosticismo panteistico puro; egli originò il monofisitismo, che ammetteva una sola natura, ed il monotelismo, che ammetteva per conseguenza una sola volontà in Gesù Cristo; la natura e la volontà divine. – In questa guisa cotali eresie si generavano e si riproducevano reciprocamente; così l’errore s’implicava nel suo proprio labirinto; così, fuori del dogma della fede cattolica, e per poco che si deviasse da esso, si ritornava sempre fatalmente, dall’una parte o dall’altra, al grande abisso. – Il dogma salvatore dell’Incarnazione fu sciolto di nuovo da tutte queste eresie, le quali furono anatemizzate in diversi gran concili. Il terzo concilio ecumenico d’Efeso fulminò il nestorianismo; il quarto concilio ecumenico di Calcedonia percosse l’eutichianismo, e il sesto concilio ecumenico di Costantinopoli condannò il monotelismo. La dottrina del Verbo fatto carne, vita del mondo, fu mantenuta in tutta la sua purezza. Queste eresie non avevano fatto che provarla e porla in una luce più viva. Essa fu richiamata, affermata e definita quale era sempre stata creduta dagli apostoli dopo Gesù Cristo. « Conforme all’insegnamento de’ santi padri, — porta il decreto di uno di questi concilii, — noi dichiariamo a voce unanime che si debba confessare un solo e medesimo Gesù Cristo nostro Signore; il medesimo, perfetto nella divinità e perfetto nell’umanità; vero Dio e vero uomo; essendo, come uomo, composto di un’anima ragionevole e di un corpo, consustanziale al Padre secondo la divinità, consustanziale a noi secondo 1′ umanità; in tutto simile a noi fuorché nel peccato; ingenerato dal Padre prima dei secoli secondo la divinità; il medesimo, nato in questi ultimi tempi, secondo l’umanità; un solo e medesimo Cristo, figliuol unico, Signore in due nature, senza confusione, senza mutamento, senza divisione, senza separazione, senza che l’unione tolga la differenza delle due nature, conservando l’una e l’altra la sua proprietà, e concorrendo in una sola persona e sussistenza; in guisa che Egli non è dimezzato o diviso in duo persone, ma è un solo e medesimo Figliuol unico, Dio il Verbo, nostro Signore Gesù Cristo, come i profeti e nostro Signore medesimo ci hanno insegnato, come il simbolo de’ padri ci ha trasmesso (Decreto del quarto concilio di Calcedonia.) ». Alla lettura di questa definizione di fede, l’universo cristiano, per bocca di tutti i Vescovi, sclamò ad una sola voce : « Questa è la fede dei padri, è la fede degli Apostoli; noi la seguiam tutti secondo loro, e tutti noi la pensiamo come loro: Hæc fides patrum, hæc fides apostolorum; huic omnes consentimus, ita sapimus; » e a questo grido tutte le eresie furono confuse, e il sole della verità cattolica, libero da esse, continuò il suo corso. – Dopo questa definizione del dogma dell’Incarnazione, l’incredulità di questo secolo non ci venga a domandare di spiegarglielo e di dirle come ciò avvenga; noi gli risponderemo con un padre: Ciò si fa nel modo che Dio sa: questa è cosa che si definisce, ma non si spiega. Ma al tempo stesso noi le spiegheremo benissimo come ciò non debba spiegarsi, facendo ad essa osservare che nelle cognizioni di qualsiasi ordine, anche le più esatte, come le matematiche, che hanno per oggetto il finito, lo cose non si spiegano da ultimo se non per mezzo di cose che non si spiegano punto; che è proprio delle cose che spiegano le altre di essere inesplicabili esse medesime, e di essere per conseguenza tanto più inesplicabili quanto più sono spiegative; e che la cosa più spiegativa di tutte, quella che spiega tutto, Dio, è tal cosa cui nulla può spiegare. — E perché ciò? — Perché l’Infinito solo può spiegare il finito, ed è proprio dell’infinito l’essere inesplicabile. La spiegazione discendo dall’infinito al finito, ma non risale. — E perché anche questo? — Perché le cose non possono spiegarsi che secondo cose che sono loro anteriori e superiori, come la parola secondo usata in tutte lo spiegazioni lo indica; perché la cosa che non ha nulla che le sia anteriore e superiore non può per conseguenza essere spiegata per mezzo di ciò che non è; — e più parimente perché l’infinito è l’archetipo del finito, il quale essendo fatto secondo questo archetipo, vi si riferisce e ne rivela la spiegazione della sua esistenza, perché ne ha ricevuto questa esistenza medesima. L’immagine si spiega dall’originale; ma l’originale medesimo, l’archetipo, l’infinito, chi lo spiegherà? Quis videbit eum et enarrabit. (Eccl. XLIII, 35.) Sarebbe un medesimo il dimandare chi ha fatto Dio: Egli è colui che è; ecco la sua definizione, nelle sue operazioni come nella sua essenza. Chi spiegherà ragionevolmente il mondo senza la creazione, senza Dio? Chi spiegherà il mondo morale e sociale, chi spiegherà l’uomo e l’umanità senza Gesù Cristo, senza la soluzione che dà l’incarnazione del Verbo? Ma chi spiegherà questa Incarnazione, chi spiegherà Gesù Cristo? Questo non si può e non si deve naturalmente potere. Ma se nessuna cosa spiega l’infinito e le sue operazioni, tutto però lo prova, tutto gli rende testimonianza, quella testimonianza che il problema rende alla sua soluzione. Infatti la sola verità può spiegare la verità. In questo senso ciò che sfugge e deve sfuggire alla spiegazione nella verità infinita si trova in questo, che essa medesima dà la spiegazione delle verità finite, poiché non si può dare se non quello che si ha. E Rivarol pronunziò una parola profondamente giusta quando disse: Dio spiega il mondo, e il mondo lo prova. La spiegazione discende da Dio al mondo, e risale, come prova, dal mondo a Dio: Cœli enarrant gloriam Dei, et opera manuum, ejus annuntiat firmamentum. (Psal.XVllI). Cosi è del dogma dell’Incarnazione: inesplicabile, egli solo spiega e scioglie il problema dell’unione dell’infinito e del finito senza loro confusione. Egli li unisce distinguendoli e li distingue unendoli. Due condizioni sulle quali posa tutto l’edificio delle esistenze morali e sociali, nessuna delle quali può spiegarsi senza che tutto questo edificio non si sposti, non cada e non s’inabissi: due condizioni tuttavia cui, fuor della tradizione cattolica, così ne’ tempi antichi come nei moderni, tutti i movimenti dello spirito umano mirano a falsare ed a violare, e che il solo Cattolicismo mantiene filosoficamente e praticamente nel mondo. – Gesù Cristo solo, e dopo di Lui la Chiesa, come quella che l’ha ricevuta da Lui, ha così la chiave di questa porta misteriosa di comunicazione tra il finito e l’infinito, di cui parla san Giovanni nella sua Apocalisse: Il santo, il vero, che ha la chiave di Davide; che apre, e nessuno chiude; che chiude, e nessuno apre; Sanctus et verus, qui habet clavem David; qui aperit, et nemo claudit; claudit, et nemo aperit. (III, 7).Ma ciò che noi non possiamo omettere senza renderci colpevoli di un silenzio che ci obblighiamo di nuovo a rompere con un omaggio più speciale (Sotto il litolo: La Vergine Maria e i disegni divini), è che Gesù Cristo, il quale definisce tutto, è esso medesimo definito da Maria.L’eresia lo sa benissimo; e se noi per saperlo dovessimo guidicarne dalla sua condotta, essa ce ne ammaestrerebbe oltre il bisogno.Come essa non ha mai attaccato il dogma religioso e sociale della credenza in un Dio creatore se non coll’attaccare il dogma cristiano dell’Incarnazione, così non ha mai attaccato il dogma cristiano dell’Incarnazione se non coll’attaccare il dogma cattolico della maternità divina di Maria.Nella grande eresia di Nestorio è questa divina maternità che era capitalmente in questione; ma in questa questione e sotto questa questione si agitava quella dell’Incarnazione, come sotto questa si agitava quella d’ogni religione e d’ogni società. Ha lo spirito ben ristretto colui che non vede tutta questa concatenazione e non ne sente il profondosignificato.E Maria è o non è dessa la Madre di Dio? Debb’essere Ella o non essere onorata come tale? Question vana e puerile, dicono i saccenti; question vana e puerile come il secolo che la suscitava! Vedete nondimeno: — Maria non è la madre di Dio, diceva l’eresia; poiché nonsi può ammettere che Dio sia nato da una donna. Di fatto, ciò cheè nato da Maria, diceva Ario, è sì il Figliuol di Dio, ma non Dio medesimo: è il primogenito di Dio, è colui pel quale è nato tutto il resto, nel modo medesimo che egli stesso è nato, non essendo così ogni cosa che una emanazione della sostanza infinita…. Colui che è nato da Maria, diceva Nestorio, è il Cristo; vale a dire un uomo in cuila divinità è venuta ad abitare; ma che non è la divinità medesima,non potendosi la natura umana e la natura divina riferire ad un medesimo soggetto, più di quello che la materia e lo spirito possa riferirsi ad una medesima origine, essendo ambedue separate da tutta l’opposizione dei due principii donde esse derivano e che le animano esclusivamente.,. Ciò che è nato da Maria, diceva Eutiche, è niente, è una semplice apparenza umana, una sembianza d’ uomo; Maria nonè in ciò che un velo il quale copre solamente il fondo di Gesù Cristo,il fondo della natura umana, il fondo di tutto ciò che è Dio, Dio solo in tutto, del quale Gesù Cristo, come tutto il resto, non è chel’apparenza (Noi abbiamo abbreviata l’esposizione di queste tre eresie, ma non ne abbiamo esagerato il rigor logico). In questo modo la testa del serpente cercando sottrarsi ai piedi della divina maternità di Maria, la coda del mostro, se così oso dire, per diverse sinuosità si ripiegava e degenerava sempre in panteismo, in manicheismo, in fatalismo, per insinuarne il veleno nella società. – Ma non fu indarno lanciata contro di lui la primitiva sentenza: Porrò nimicizia tra te e la donna, e tra il seme tuo e il seme di lei. Ella schiaccerà la tua testa, e tu tenderai insidie ed calcagno di lei. (Gen. III, 15.) La Chiesa, esecutrice di questo decreto, ha conservata Maria nel possedimento della sua potestà sullo spirito delle tenebre, divulgandola Madre di Dio. Maria è Madre di Dio, perché Dio è nato da Maria. Dio è nato da Maria, perché il Cristo, suo figliuolo, è il Figliuolo di Dio, e come tale, eguale a Dio, Dio medesimo. Maria ha il medesimo figliuolo che il Padre celeste: solamente egli è Figliuolo del Padre celeste da tutta l’eternità, e di Maria nel tempo; però il medesimo figliuolo, la medesima Persona divina, il medesimo Verbo, il medesimo Dio, che ha preso la nostra natura per farne, mercé la sua unione colla propria, una sola Persona, la quale è nata integralmente da Maria. Questa grande personificazione delle due nature finita e infinita, distinte e unite nel Cristo, per la quale tutto il mondo morale e sociale è stato ritratto dal naturalismo e dal panteismo, e ne è preservato, si è formata nelle viscere di Maria, e Maria ne è il nodo vitale. – Ciò posto, si comprende che se il dogma dell’Incarnazione è, come abbiamo dimostrato, la soluzione del gran problema della religione e dell’incivilimento, è ugualmente vero che Maria, onorata nella sua maternità divina, è la formola più esatta, più decisiva e più conservatrice di questa soluzione (Questa formula è benissimo esposta da san Cirillo in questi termini nel decreto del sinodo di Efeso: Si quis non confitetur Deum esse secundumveritatem EMMANUEL, et propter hoc Dei genitricem sanctam Virginem (genuit enim carnaliter carnem factum Dei Verbum), anathema sit!).Il dogma della Vergine Madre scorge in qualche modo e protegge attraverso ai secoli il dogma dell’Uomo-Dio, come anch’essa la Vergine Madre era un tempo la guardiana e la protettrice dell’adorabile Persona dell’uomo-Dio sulla terra. Chiunque si rifiuta di onorare la maternità divina di Maria, egli, il sappia o non lo sappia, non è Cristiano (« Chiunque non ama e non onora la Vergine di un onoro tutto speciale e particolare non è vero cristiano, » – San Francesco di Sales, nel suo mirabile secondo sermone su la Visitazione, avendo a testo Unus Deus, – Ephes. IV. – . « Per conseguenza, esclama Bossuet, poiché la divozione verso la Beata Vergine è sì sodamente fondata, anatema a chi la nega e toglie ai cristiani un cosi potente soccorso: anatema a chi la diminuisce: egli indebolisce la pietà nelle anime, » – Terzo sermone sulla Concezione della Santissima Vergine). Egli non crede al Verbo fatto carne, è deista in qualche grado, o almeno sulla via di esser tale; e chi è deista è in qualche grado panteista o ateo, o in sulla via di diventarlo; il che permette in un certo senso di dire con san Gregorio di Nazianzo: Quegli, che non risguarda Maria siccome la Madre di Dio non crede alla divinità, è ateo. Perciò, integrità ammirabile della verità divina nel cattolicismo. Questa devozione così umile, così avuta a vile dai filosofi, – ai quali non manca per esserlo che di conoscere se stessi per mezzo dell’umiltà di cui questa devozione medesima è la scuola sublime, — questa divozione, ripeto , è si fattamente ben collegata con tutto il rimanente della dottrina che si può dire ch’essa è l’ultimo anello di una catena, il primo de’ quali è il dogma di un Dio creatore, e sospende e rattiene la società sull’abisso del naturalismo e del panteismo. Le più gravi questioni, le più vaste conseguenze -nell’ordine umano e sociale discendono da questi articoli di fede, da questi punti di dogma rilegati nel dominio della divozione e della teologia, la deviazione dai quali conduce, da deduzione in deduzione, dall’uno all’altro errore, alle dottrine più antisociali e più sovversive. – Il perché quando il concilio di Efeso, confermando la tradizione, mantenne la fede de’ popoli intorno alla maternità divina di Maria, Il mondo cristiano esultò di gioia e levò al cielo i suoi plausi di entusiasmo. Esso senti istintivamente che era sfuggito ad uno scoglio. E oggidì, in cui esso si è di bel nuovo salvato dalla sua rovina per un di que’ colpi la cui salutare opportunità rivela la mano della provvidenza, la società tutta quanta, per una ispirazione pur essa provvidenziale e conforme a quel rapporto istintivo che sempre esisté tra la Francia e Maria, corse a prostrarsi riconoscente ai piedi di Nostra Signora, a far echeggiar le volte del suo tempio di canti di trionfo, e rappresentar da per tutto la Madre che stringe il Verbo incarnato con un braccio e stende 1’altro sul mondo, mentre schiaccia sotto i suoi piedi l’idra del socialismo.

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GNOSI TEOLOGIA DI sATANA (38)

GNOSI TEOLOGIA DI SATANA (38)

SUNTO STORICO DELLE ERESIE NEL LORO RAPPORTO COL PANTEISMO E COL SOCIALISMO (1).

 [A. NICOLAS: “Del Protestantesimo e di tutte le eresie nel loro rapporto col socialismo”, vol. I – Napoli, tipogr. e libr. Gabr. ARGENIO – 1859]

Appena il Cristianesimo fu stabilito, sorsero tosto intorno alla Chiesa che ne custodiva il deposito, e si succedettero eresie a molestarne il corso attraverso ai secoli. Ma una cosa sorprendente e decisiva, che non fu per anco ben osservata e che prova la divinità del cristianesimo e della istituzione della Chiesa col fatto stesso della nostra esistenza sociale, si è che tutte le eresie, qualunque ne fosse il principio e l’arma, tutte, nella varietà delle mille origini, dei mille nomi, delle mille forme che ebbero, hanno voluto attaccare il dogma dell’Incarnazione, e cosi sono traboccate nel panteismo, nel fatalismo, nel comunismo; in una parola sono state non meno antisociali che anticattoliche, ed hanno mirato a ricondurre al caos antico la novella civiltà, della quale la Chiesa salvò in tal modo i destini salvando quelli della fede. – Ella è una prova che ci par degna di attirare 1’attenzione di ogni mente che ami la verità quella che stringe cosi con un vincolo solidale il Cattolicismo e la società, e permette di stabilire fra loro una regola di proporzione, la quale, posta la verità della società, presenta per equazione la verità del cattolicismo, e viceversa (I socialisti hanno ammirabilmente colto e giustificato questo rapporto, confondendo il cattolicismo e la società nella loro comune rabbia ; e i razionalisti conservatori, che dopo tante lezioni vorrebbero ancora separare il Cattolicismo dalla società, sarebbero i più incorreggibili e i più ciechi degli uomini). – Sotto questo aspetto la storia delle eresie riuscirebbe del maggiore e più curioso interesse. Noi non possiamo entrarvi molto addentro, perché sarebbe opera troppo lunga. Noi ci occupiamo a produrle rapidamente innanzi al dogma cristiano e, per via di confronto, convincerle di errore e di delitto. –

La storia delle eresie può esser divisa in quattro periodi :

1. ° Il periodo delle eresie indo-elleniche; in cui il vecchio Oriente ed il vecchio Occidente fecero i loro ultimi sforzi contra il Cristianesimo.

2. ° Il periodo delle eresie dommatiche; in cui i principali articoli del dogma cattolico furono messi in questioni e ricevettero la loro precisa definizione.

3. ° Il periodo delle eresie scolastiche, in cui per l’abuso del raziocinio le eresie nacquero dalle speculazioni della mente sulla dottrina.

4.° Il periodo delle eresie protestanti e razionaliste delle quali è propria la negazione del principio medesimo dell’autorità cattolica. In questa Appendice noi presenteremo il quadro dei primi tre periodi, avendo esposto il quarto nel corpo dell’opera.

Eresie del primo periodo

I . — Le prime fra tutte le eresie, contemporanee al sorgere stesso della Chiesa e che vennero da lei soffocate in culla, sono state quelle dei giudaissanti, de’ nazareni e degli ebioniti. Cotali eresie avevano questo di singolare, che le distingue da eresie posteriori, che non erano uscite dal seno della Chiesa separandosi dalla sua dottrina, ma piuttosto si son poste fin dal principio allato ad essa, come forme particolari e difettose del Cristianesimo. – Esse costituiscono per ciò una prova storica immediatamente contemporanea e diretta dei fatti evangelici, poiché la fede di cotali eresiarchi in questi fatti non l’hanno attinta dalla Chiesa, alla quale non hanno mai appartenuto, ma fuori della Chiesa e nei fatti medesimi, come lo attesta segnatamente il loro falso Vangelo degli Ebrei. Essi non sono Cristiani tralignati, ma ebrei mal cristianizzati, sono come prove mal riuscite di stampa, le quali attestano al più alto grado la realtà de’ caratteri storici sui quali è stato tirato il foglio di torchio (bozza, o prova). Sotto questo rapporto non si è forse fatto valere abbastanza questo argomento nell’apologetica cristiana. Checché sia di ciò, questi Cristiani giudaizzanti, come si chiamavano, o meglio questi ebrei cristianizzanti, le cui diverse sette erano comprese sotto il nome di ebioniti (da questi è sorto l’Islam – ndr.-)si distinguevano dal resto degli ebrei in questo, che riconoscevano Gesù Cristo essere il Messia; e si separavano da’ Cristiani in questo, che non ammettevano che Egli fosse Dio. Essi negavano il dogma dell’Incarnazione. Tuttavia la maggior parte ammettevano che Gesù Cristo era nato da una vergine; ma non vedevano in Lui che un uomo dotato di una sapienza soprannaturale, in cui il Messia celeste era disceso durante il suo battesimo sotto la forma di una colomba. Questo Messia celeste era il più elevato degli spiriti emanati da Dio. La loro dottrina era dunque quella dell’emanazione, vale a dire del panteismo orientale. Essi avevano preso il nome di ebioniti da una parola ebraica che significa povero, a motivo che professavano lo spogliamente individuale e la comunanza dei beni, come. una prescrizione che imputavano falsamente agli apostoli (Gli apostoli non hanno mai prescritto la comunanza de’ beni. I primi Cristiani di Gerusalemme, è vero, non avendo tutti che un cuore ed un’anima, vendevano i loro beni e ne deponevano il prezzo appiè degli apostoli perché fosse distribuito a ciascuno secondo i propri bisogni. Ma la cosa si faceva liberamente, e gli Apostoli non l’imponevano come legge. Se ne ha la prova nelle parole medesime di san Pietro ad Anania e a Safira, percossi di morte, né già per non aver portato 1’intero prezzo del loro campo agli Apostoli, ma unicamente per avete mentito : Non è egli vero che conservandolo stava per te, e venduto era in tuo potere?… Non hai mentito agli uomini, ma a Dio. (Act V, 4.) Nulla di più formale. Il Cristianesimo, come si vede, non è comunista che della verità. Questo è il solo bene che esso esige che noi mettiamo in comune. Ma, diversamente da tutti gli altri beni, questo si aumenta dividendosi, e arricchisce coloro che lo comunicano quanto quelli che lo ricevono, Egli, anziché dividere sé stesso eguaglia noi e ci unisce. È la comunione delle anime, il rovescio e l’antidoto del comunismo, cui la sola Chiesa ha la potestà di operare). – Permettevano inoltre la poligamia. Così fin da’primi giorni del Cristianesimo la negazione dogma fondamentale dell’Incarnazione si mostrò per mezzo del politeismo e del comunismo. La Chiesa percosse questi primi nemici della fede e dell’incivilimento, proclamando la divinità del figliuolo di Maria.

II. — Intorno a quel tempo o poco dopo questa eresia, comparve quella de’ gnostici. Chi dice eresia dice frazione all’infinito, come chi dice Chiesa dice unità perfetta. Quando adunque noi indichiamo un’eresia con un nome, non si deve intendere un’ unità di frazione, ma frazioni di frazione senza numero. Sotto la denominazione di gnostici pullulava una moltitudine di sette; esse avevano solo qualche cosa di comune fra loro, e questo è ciò che le ha raccolte sotto il nome di gnostici; questo qualche cosa che avevano comune fra loro è il punto di sezione pel quale si sono separati dalla Chiesa. Essi si chiamavano gnostici dalla parola gnosis, che significa illuminazione, scienza superiore. I gnostici presero essi medesimi questo nome orgoglioso, perché si vantavano di aver lumi straordinari, di essere illuminati. La Chiesa dovette sostenere contra di loro lotte lunghissime e moltissime: essa v’adoperò tutto 1’ardore e tutto il genio de’ suoi primi gran dottori, segnatamente di sant’Ireneo, di sant’Epifanio, di san Clemente e di Tertulliano. I primi gnostici erano pagani mal diventati Cristiani, come abbiamo veduto che gli ebioniti erano ebrei malvenuti egualmente al Cristianesimo. I gnostici posteriori furono eretici usciti dalla Chiesa. Era proprio dei gnostici il negare il dogma dell’Incarnazione, come gli ebioniti, colla sola differenza che gli ebioniti negavano la divinità di Cristo, e i gnostici la sua umanità. Essi dicevano che Gesù Cristo non aveva avuto che una carne apparente; che egli era nato, che aveva patito ed era morto solamente in apparenza. È incontrastabile che il panteismo formava la sostanza di tutte queste sette. Esse professavano la dottrina dell’emanazione decrescente per una moltitudine di eoni o di genii, ai quali attribuivano la produzione delle cose e tutti gli avvenimenti: dottrina presa in parte dal buddismo, in parte dal platonismo. Consistendo la loro medesima eresia nel non vedere in Gesù Cristo altro che un’apparenza, essa procedeva dal panteismo e a lui conduceva; essendo Gesù Cristo il primogenito delle creature, tutta quanta la creazione non era, come Lui, altro che una semplice apparenza. I gnostici si dividevano in due grandi categorie; quelli che ammettevano non più che una sostanza unica, i panteisti semplici, e quelli che ammettevano due sostanze principii, i panteisti dualisti o manichei. Questi non erano meno panteisti dei primi; solamente il loro panteismo era doppio: il panteismo della materia, il cui principio emanatore era il male; e il panteismo dello spirito, il cui principio emanatore era il bene; ambedue necessaria Per conseguenza essi professavano orrore alle cose materiali ; fuggivano il matrimonio come una propagazion del male, e il possedimento dei beni terreni come un attaccamento al cattivo principio; ma, come tutte le sette che ardirono riprovare l’unione legittima dei sessi e la legittima proprietà dei beni, essi andavano a cadere in tutte le turpitudini che oltraggiano la natura e in tutte le follie che rovinano la società. Il socialismo, il comunismo dei nostri dì si ritrovano interamente in questi antichi eretici. Noi leggiamo in un libro intitolato Della giustizia, composto da uno dei loro capi, Epifanio, onorato da essi quale un Dio, che « la natura medesima vuole la comunanza di ogni cosa, del suolo, de’ beni della vita, delle donne: e che le leggi umane, sconvolgendo l’ordine legittimo, hanno prodotto il peccato colla loro opposizione agli istinti più potenti posti da Dio nel fondo delle anime. » Tali principi! potevano facilmente condurre ai delitti contro natura che la storia attribuisce a questi eretici (Dellinger). – Due iscrizioni scoperte da poco tempo nella Cirenaica sono un monumento notevole di questi gnostici manichei. L’una mette sulla medesima linea Thot o Ermete Trismegisto, Crono, Zoroastro, Pitagora. – Epicuro, il persiano Mazdac, Giovanni e il Cristo, come tali che hanno unanimamente insegnato la comunanza d’ogni proprietà; (medenoikeiopoieisthai), l’altra dice: « La comunanza di tutti i beni e delle donne è la sorgente della giustizia divina e la perfetta felicità per  gli uomini buoni tratti dalla cieca popolaglia. Zaradete e Pitagora, i più illustri de’ gerofanti, insegnarono loro a vivere insieme. » – Se la fede non dovesse già altari al cattolicismo, la riconoscenza dovrebbe rizzargliene per aver salvato l’incivilimento nella sua culla. abbattendo coi colpi addoppiati della clava dell’ortodossia 1’idra del gnosticismo, le cui mille teste rinascenti furono per ben dugent’anni sempre in atto di divorarlo (L’età della forza e del fiorire del primo gnosticismo, dice un dotto e onorevolissimo storico, durò circa cent’anni. Verso la metà del terzo secolo, si vedevano già i segni forieri della sua dissoluzione; e se si era potuto temere per qualche tempo che la forma gnostica avesse a prendere la superiorità nel Cristianesimo, la preponderanza della Chiesa fu da quel tempo evidente e decisa. Ma l’allettativa che questo errore aveva esercitato sulla mente di tanti uomini era molto lungi dall’essere interamente dileguata, come lo provarono i progressi rapidi e la vasta estensione del manicheismo, nuova setta, parente di quella che si spegneva. Lo spirito delle religioni naturali dell’Oriente raccolse un’altra volta tutte le sue forze e tentò d’imprimere al Cristianesimo una direzion retrograda verso il vecchio panteismo. – L’anima umana fu di bel nuovo identificata dal panteismo colla divinità, e l’una e l’altra si trovarono inghiottite ad un tempo nel circolo della natura … (Dellinger, tom. 1, pag. 266.) Noi ritroviam poscia il manicheismo negli albigesi, nei templari, e sin nei francho muratori de’ nostri giorni [oggi nel modernismo vaticano – ndr.], al meno per lo forme e le cerimonie delle loro iniziazioni e i segni segreti del loro riconoscimento, letteralmente descritti da sant’Agostino, che nella sua gioventù si era lasciato impigliare nella setta de’ manichei. Noi torneremo su questi raffronti. Tuttavia notiamo fin d’ora che i manichei, come in appresso gli albigesi e i protestanti, avevano un’avversion particolare per le imagini e per la croce; che essi rimproveravano a’ cattolici cadessero negli errori dell’idolatria e onorassero i santi come divinità; e pretendevano che era per nascondere ai laici la contraddizione tra la condotta della Chiesa e la sacra Scrittura sotto questo rispetto che i preti vietavano la lettura di quest’ultima. – Vedi Pluquet, Dizionario delle eresie.)

III. — Il gnosticismo era il vecchio errore i panteista dell’Oriente, che aveva voluto trasfigurarsi in Cristianesimo; il vecchio errore dell’Occidente fece pur esso il medesimo tentativo sotto il nome di neoplatonismo. – La pietra d’inciampo del suo tentativo fu ancora il dogma dell’Incarnazione: Gesù Cristo, pietra sempre rigettata da quelli che vogliono rizzar gli edifici cadenti della ragione umana, e sempre sussistente come pietra angolare del tempio della verità. Il dogma dell’Incarnazione non è che il dogma della Trinità in azione per la salute del mondo. Esso lo include necessariamente. Gesù Cristo è il Figliuol di Dio, seconda Persona della santa Trinità, che manifesta la prima nell’Incarnazione, e che è Essa medesima manifestata dalla terza nella Chiesa. L’Incarnazione ci mostra il Padre celeste che si riconcilia il mondo nel Figliuolo; e la Chiesa ci mostra questo Figliuolo che converte il mondo a questa riconciliazione per mezzo dello Spirito Santo. Ma queste tre Persone non hanno rapporto necessario e sostanziale se non fra loro: col mondo esse non hanno che rapporti di libera elezione e di misericordia puramente gratuita. Esse sono Dio; e Dio, l’infinito, è sovranamente indipendente dal finito, nella sua essenza come nei suoi atti; nella Chiesa, come nell’Incarnazione, come nella creazione, come nell’eternità. Estendere i rapporti necessari delle tre Persone divine al mondo è dunque un urtar contro il dogma dell’Incarnazione, il quale protesta contro questo errore per la distinzione assoluta delle due nature in Gesù Cristo, che le unisce solamente nella sua Persona, non meno che contra il dogma della Trinità, il quale non ammette nella partecipazione della divina essenza se non le tre Persone che la costituiscono. Questo fu lo scoglio del neo-platonismo. – Il neo-platonismo ha avuto tre centri principali: Alessandria, Roma e Atene; ma ha conservato il nome di alessandrino o di scuola di Alessandria. I suoi più famosi rappresentanti sono stati Plotino, Porfirio, Giamblico, Gerocle e Proclo. Il loro scopo era quello di salvare la filosofia ellenica, e insiem con essa il paganesimo, cristianizzandola, e di soppiantare il Cristianesimo togliendogli tutto ciò che gli si può togliere, allora che non si vuol dare se stesso a Gesù Cristo, vale a dire quando si vuole escluderlo; imperocché quelli che non sono per Lui sono di tutta necessità contra di Lui. Appunto per questo essi diedero ancora nel panteismo; conseguenza ordinaria del rigettare il dogma cattolico dell’Incarnazione.

E così fecero volendo più particolarmente platonizzare il dogma della Trinità o cristianizzare il platonismo. Ecco di fatti, secondo le Enneadi, libro di Plotino, il prodotto del loro sforzo: « L’unità è il principio necessario, la sorgente e il termine d’ogni realtà, o piuttosto la realtà medesima, la realtà originale e primitiva Essa racchiude in sè i germi d’ogni cosa; è quel Saturno incatenato della mitologia, padre del padre degli dei Nondimeno l’uno non è l’essere, non è l’intelligenza; esso è superiore all’uno ed all’altro, essendo al di sopra d’ogni azione, d’ogni situazione determinata, d’ogni conoscenza, È qualche cosa d’invisibile, ritratto io una notte immensa; il padre sconosciuto, l’abisso, Bythos. Èciò che è il Brama indeterminato della metafisica dell’India; il fondo dell’essere, la sostanza che non si può cogliere in sé medesima, e che si comprende come ciò che è nascosto sotto ciò che appare. – « Dal seno di questa unità assoluta procede l’Intelligenza suprema, secondo principio, perfetto anch’esso, quantunque subordinato, ed essa ne procede per emanazione, come la luce procede dal sole. — L’anima universale è il terzo principio, subordinato agli altri due; quest’anima è il pensiero, la parola, un’immagine dell’intelligenza, l’esercizio della sua attività…. Questa processione è da tutta l’eternità, e questi tre principii, quantunque formino una gerarchia nell’ordine della dignità, sono contemporanei fra loro. » Questa triade di Plotino compone il mondo intelligibile, mondo perfetto, che non è che la medesima divinità in quanto la si manifesta. Questo mondo intelligibile è non solamente il tipo del mondo visibile, ma ne è la base, l’essenza reale e vera. – « Dall’anima suprema e dall’intelligenza emanano di fatto le idee o le anime che sono le sole realtà vere, le anime degli Dei, degli nomini, degli animali e degli elementi; la materia medesima. » A dir breve, il mondo non era per Plotino che la grande anima informante la materia per mezzo delle idee o delle anime che essa produce.  – L’identità assoluta, che è il fondo del sistema di Plotino, si rivela sopra tutto nella sua teoria della conoscenza. « La vera conoscenza, dice egli, è quella in cui l’obietto conosciuto è identico col soggetto che lo conosce. » Quando adunque noi percepiamo l’unità assoluta, percepiamo noi medesimi; quando noi conosciamo le altre intelligenze, conosciamo ancora noi stessi. – Con tale sistema la libertà, la spontaneità, la personalità individuale, elementi d’ogni società, si dileguano interamente. Perciò, secondo Plotino, tutto nel mondo è necessario, tutto è l’opera di una produzione fatale. Il male medesimo non è che una negazion necessaria al bene; esso risiede nella materia, che è considerata qualche volta da Plotino come una produzione imperfetta dell’Ente supremo. In questa ipotesi il male risiede in Dio medesimo. – La medesima dottrina è nella sostanza in Proclo e negli altri neoplatonici. Le operazioni teurgiche erano per essi il gran mezzo di purificazione e d’illuminazione delle anime. Essi cercavano comunicazioni dirette coi geni, cogli dei, col Dio supremo. Così questi filosofi si studiavano di rimettere in corso tutte le superstizioni pagane, e si abbandonavano con uno zelo incredibile a tutte le pratiche del politeismo e della magia. Questa dottrina, in cui si riconoscono i principali tratti dell’egelianismo dei nostri giorni, era un’accozzaglia bizzarra delle filosofie orientali ed elleniche, colorata dalla dottrina cristiana sulla Trinità. Era una lega di tutti i sogni dello spirito umano contra la luce della verità che veniva a dissiparli. Per arrestare i progressi del Cristianesimo, i neo-platonici si diedero di fatto a scegliere nelle diverse scuole di filosofia le opinioni che a forza di palliativi potevano diventar simili in  apparenza ai dogmi del Cristianesimo, affine di persuadere agli spiriti superficiali che anche i filosofi aveano, del pari che Gesù Cristo, scoperto la verità, e che non v’aveva alcuna necessità di rinunziare alla loro dottrina per abbracciar quella del Vangelo. Sotto questo rispetto il neo-platonismo è un’alta conferma di questa verità che noi vogliamo sopra tutto mettere in luce, che cioè tutte le concezioni filosofiche dello spirito umano sulla verità soprannaturale, fuori della fede cristiana, vanno a riuscire e a perdersi inevitabilmente nel panteismo e nel fatalismo, poiché questi ci mostrano ne’ mostruosi loro errori unite e compendiate tutte quelle concezioni. – I neo-platonici stessi non negavano di aver preso qua e là tutti que’ placiti, la cui unione componeva la loro dottrina. Anzi essi avevano ridotto una tale unione in sistema, nel sistema dell’ecletticismo e del sincretismo, che a’ giorni nostri abbiam veduto ricomparire. – Essi trascorsero sino a pretendere che la differenza di carattere dei popoli voleva una diversità nella loro religione, e rendeva necessario quel sincretismo religioso che noi vediamo esposto in Proclo, Gerocle, Simplicio, Calcedio e nello storico Ammiano Marcellino. Movendo da questo punto, Proclo diceva : « Il filosofo non si costringe a tale o tal altro culto nazionale; egli non è stranio ad alcuna forma di religione, perocché è il gran sacerdote dell’universo. » Ed è questo ministero delle anime che i nostri filosofi pretendono altresì esercitare del pari o meglio al di sopra de’ pontefici della religione. Del resto, essi facevano al Cristianesimo il medesimo onore che gli si fa ai dì nostri, di ammetterlo, insieme colle altre religioni, a partecipare agli ossequi della filosofia; Cristianesimo e paganesimo erano messi al medesimo livello, non essendo l’uno e l’altro che manifestazioni dell’intelligenza, la quale mira continuo a sciogliersi per innalzarsi alla ragion pura. Ma questa tolleranza filosofica, oltre che era attentatoria al Cristianesimo dommatico, il quale non può patire queste assimilazioni sacrileghe, non era che una tattica per battere in breccia il Cristianesimo pratico e la sua azione incivilitrice sul mondo. Sotto questo riguardo il panteismo non era solo il termine inevitabile di tutte le concezioni umane fuori della fede, ma era al tempo stesso il terreno più favorevole per questa gran congiura. Facendo procedere ogni cosa da un medesimo principio ed emanare ogni cosa da una medesima intelligenza, egli consacrava tutti gli errori, e autorizzava la loro lega contro la verità che li escludeva. È questa l’identica cosa che abbiamo veduta a’ dì nostri. La sola differenza era questa, che il trattato era steso ad Alessandria invece di Parigi, e compilato da Gerocle o da Giamblico invece di esserlo nel Globe da Damiron o da Jouffroy. Ma questo tentativo fu altrettanto vano allora quanto fu vano ai dì nostri. La questione tra il panteismo e il Cristianesimo, tra il paganesimo antico c l’incivilimento moderno, sospesa per un istante sul mondo, fu tronca dalla spada della verità cattolica; il panteon, e il paganesimo furono ricacciati negli abissi, e il Cristianesimo continua il suo corso, traendo seco il mondo nella gran via luminosa del suo destino. Ambrogio! Apollinare! Lattanzio! Eusebio! Cirillo! Teodoreto! Arnobio! Clemente! Origene! Atanasio! Agostino! bei genii, illustri dottori, e molti di voi sopra tutto gran santi, che combatteste allora per la verità, siate salutati dall’età nostra come i veri padri non solamente della fede e della Chiesa, ma della ragione e della società, ma del mondo, strappato da voi alle tenebre antiche e rendute a’ suoi alti destini! Siate invocati nella gloria che vi hanno acquistato i tanti e sì gran combattimenti in cui la verità non solo fu salva dai vostri scritti, ma ancora dal sacrificio della vostra vita e del vostro sangue; e ottenete pei vostri eredi nell’incivilimento e nella fede i medesimi lumi contra i medesimi errori, il medesimo coraggio contra i medesimi pericoli, il medesimo trionfo per la medesima causa.      

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LA BESTIA DELLA TERRA

LA BESTIA DELLA TERRA

[Ossia la falsa chiesa dell’anticristo]

[Beato de Liebana: In Apocalypsin B. Joannis Apostoli Commentaria;

Migne, P. L. n. 96, c. I, p. 28]

… E ho visto un’altra bestia sorgere dalla terra.

Ha detto “un’altra” per sua deduzione, ma essa è “una”, perché la seconda fa la volontà della prima bestia, e si riferisce al falso profeta e sacerdote.

E aveva due corna come un agnello,

cioè predicava la Legge e il Vangelo, come l’Agnello, e fingeva di avere un volto come di un uomo giusto: …

ma parlava come un serpente, e faceva scendere fuoco dal cielo davanti al popolo:

come i maghi oggi, usando gli angeli decaduti, fanno miracoli davanti agli occhi degli uomini, così gli empi [cioè “i falsi” ndr.] sacerdoti battezzano alla presenza del popolo, ordinano sacerdoti, e danno l’assoluzione. Sono queste cose che fanno scendere il fuoco dal cielo. Il “fuoco” è lo Spirito Santo; il “cielo”, la Chiesa. E seducono non coloro che abitano in cielo [i Santi – ndr.], ma coloro che abitano sulla terra, e si fanno essi stessi simulacro della prima bestia, e …

attraverso di loro l’Anticristo regna nella Chiesa.

CORONA

Si parla tanto di Corona, oggi, più o meno proposito. Ma vediamo nel gergo cabbalistico cosa voglia significare Corona, in modo da renderci conto del perchè sia stato scelto questo tipo di fantomatico virus tra le migliaia che la virologia conosce (o meglio suppone esistere.). Capiremo così pure come sia stata scelta non una immaginaria variante nazionale, pure di moda nei mesi scorsi, bensì la cosiddetta delta … Δ lettera greca che rappresenta … guarda caso, un triangolo a punta in sù … un simbolo strano … o no? Manca l’occhio di Horus, ma è sottinteso … Grembiulini, smettetela, il vostro gioco è chiaro ormai: Dio vi sta usando come bastoni a nostro meritato castigo di apostati, ma dopo il castigo, il bastone viene buttato nel fuoco e distrutto … la storia non vi insegna proprio nulla?

CORONA

[L. MEURIN:  LA FRAMMASSONERIA; trad. A. Acquarone, Siena Uff. Bibliot. del Clero, 1895]

LIBRO I

CAPITOLO III.

IL KETHER-MALKHUTH, LA CORONA DEL REGNO.

1. Origine dei Séfìroth Corona e Regno.

Ma donde viene la Corona che noi vediamo interpolata tra l’Ensoph e la Sapienza, tra la sostanza eterna e le tre persone divine?

Per approfondire tale questione importante, abbiamo consultato la Bibbia ebraica. Ora, nel libro d’Ester abbiamo trovato il Kéther-Malkhuth. Il re Assuero domandò che fosse condotta dinanzi a lui e ai principi del regno, la regina Vasthi col suo diadema reale. La regina vi si rifiutò. Allora la bella Ebrea Ester fu eletta invece di Vasthi disobbediente e detronizzata. Essa fu coronata da Assuero stesso del diadema reale tolto a Vasthi, e Mardocheo, suo zio, fu onorato e decorato del diadema reale che perdeva Amanno per aver voluto distruggere tutta la razza ebrea. – In questi passi il diadema reale è chiamato Kéther-Malkhuth. Dopo la caduta della regina Vasthi, dopo quella del primo ministro Amanno, e dopo l’innalzamento dell’Ebrea Ester al trono, e di Mardocheo al primo posto nel regno del re Assuero, gli Ebrei sterminarono i loro nemici, il tredicesimo e il quattordicesimo del mese d’Adar; essi istituirono una festa perpetua che dovea essere celebrata il quattordicesimo e il quindicesimo del mese di Adar. Eccoci sulle tracce dell’origine del primo e decimo Séfìroth Kéiher e Malkhuth: l’Uomo archetipo è l’Ebreo, con la Corona in testa e il regno ai suoi piedi. Non è questo uno dei più grandi misteri della Cabala? Non troverem noi il penultimo secreto della frammassoneria?

2. Applicazione politica del Kéther-Malkhuth.

Dopo aver scritto queste linee, abbiamo trovato nel libro di Drumont, Testamento di un Antisemita, p. 142, la conferma seguente del nostro esposto. Negli Archivi Israeliti del 16 ottobre 1890, l’Ebreo Singer interpella direttamente il signor di Bismarck e gli dice senza altro preambolo: « Io vi prego a rileggere il magnifico libro di Ester, dove troverete la storia tipica di Amanno e di Mardocheo. Amanno, l’onnipotente ministro, siete voi, mio signore; Assuero, è Guglielmo, e Mardocheo, è il socialismo alemanno, inaugurato dagli Ebrei Lassalle e Marx, e continuato dal mio omonimo e correligionario Singer. Voi avete voluto abbassare e annientare Mardocheo, e siete voi, il grande cancelliere, che siete divenuto sua vittima! »

Quale imprudenza da parte di questo Ebreo Singer! Egli chiama l’attenzione del mondo su questo libro di Ester dove appare il suo correligionario Mardocheo coronato dal Kéther-Malkhuth, di cui i Rosa-Croce del 18° grado, quegli obbedienti cavalieri degli Ebrei, portano l’immagine attaccata al gioiello sui loro petti leali! « Il timore della potenza degli Ebrei, dice la santa Scrittura (Esth. C. IX), avea invaso generalmente tutti i popoli. Gli Ebrei fecero adunque una grande carneficina dei loro nemici; e massacrandoli, resero loro il male che questi usi erano preparati a fare ad essi. » In Susa stessa, uccisero cinquecento uomini, senza contare i dieci figliuoli di Amanno. Si riferì tosto al re Assuero il numero di quelli che erano stati uccisi in Susa. « Il re disse alla regina Ester: Quanto grande, pensate voi, debba essere la carneficina che fanno i Giudei in tutte le province? Che domandate voi di più? e che cosa volete ch’io ordini ancora? — La regina gli rispose: Io supplico il re di ordinare che i Giudei abbiano il potere di fare ancora domani in Susa ciò che fecero oggi, e che siano appesi i dieci figliuoli di Amanno. Il re comandò che ciò si facesse, e tosto l’editto fu affisso in Susa, e i figliuoli di Amanno furono appesi; e al domani, i Giudei uccisero ancora in Susa trecento uomini. E intutte le province uccisero i loro nemici in sì gran numero che settantacinque mila uomini furono compresi in quella strage. » Quella supplica della bella Ebrea ci svela tutto il carattere crudele della sua razza quando essa ha la vittoria in mano,

Guai ai popoli padroneggiati dagli Ebrei!

Ecco come gli Ebrei intendono le parole di Davide: « Le lodi di Dio saranno sempre nella loro bocca, essi avranno nelle loro mani delle spade a due tagli per vendicarsi delle nazioni e punire i popoli, per legare i loro re e incatenarne i piedi, e i grandi di essi, mettendo loro i ferri alle mani (Ps. CXLIX). » – La festa che essi chiamano Purim, il 14 febbraio, gli Ebrei la celebrano in memoria della loro liberazione dalla tirannia di Amanno, per coraggio di Esther e di Mardocheo. « Gli Ebrei s’impegnano allora di rubare tutti i Cristiani che possono, principalmente i fanciulli. In quella notte, non ne immolano che uno solo fìngendo di uccidere Amanno. E mentre il corpo del fanciullo sacrificato è sospeso, essi scherzano intorno, fingendo di farlo ad Amanno. Col sangue raccolto, il rabbino fa certi pani impastati col miele, di forma triangolare, destinati non agli Ebrei, ma ai Cristiani loro amici (E. Desportes, le Mystere du sang, p. 311). » Gli Ebrei danno ai loro propri figliuoli giunti all’età di tredici anni una corona in segno di forza (ibid. p. 258). » La Corona in testa e il Regno ai suoi piedi, ecco l’ideale dell’Ebreo praticamente e perseverantemente perseguitato dacché Iehovah ha eletto la posterità di Abramo come suo popolo di predilezione. – Adam Kadmon, l’Uomo primordiale, è l’archetipo dell’Ebreo. L’Ebreo è l’Uomo per eccellenza. Tutta la fraseologia si bene conosciuta sull’Uomo e l’Umanità, la loro liberazione, la loro libertà, i loro diritti, ecc…, devono intendersi in primo luogo degli Ebrei; poi, per comunicazione, degli affiliati degli Ebrei, cioè dei frammassoni; perché soltanto nella frammassoneria si forma l’Uomo, e solo all’undicesimo grado l’uomo diviene perfetto, in guisa da poter rispondere alla domanda:

« Siete voi Sublime Cavaliere Eletto?

Risposta: — Il mio nome è Emmarek, uomo vero in ogni occasione (P. Rosen, p. 251). » Emmarek, in ebraico, vuol dire: Io sono purificato. « Fuor del popolo ebreo e degli individui giudaizzati per mezzo dei misteri massonici, non havvi Uomini veri, le altre nazioni non sono che una varietà d’animali (Talmud, v. Pontigny, le Juif selon le Talmud). » Questa è la dottrina del Talmud che per l’Ebreo è la teologia morale, come sua sorella, la Cabala, è la teologia dommatica. Ma come noi già lo dicemmo, se i frammassoni sono ingannati dagli Ebrei, gli Ebrei lo sono dal nemico dell’uman genere. Non vediam noi il tentatore nascosto sotto questo « diadema reale » Kéther-Malkhuth, come un tempo sotto la forma del serpente?

Il pomo del paradiso è cambiato in corona.

Non sentiam noi le parole del tentatore, ripetute più tardi a Gesù, mostrandogli tutti i regni del mondo e la loro gloria: « Tutte queste cose, io ti darò, se tu prostrato mi adorerai (S, Matteo, cap. IV, 8-9)?

L’Ebreo non ha risposto, come Gesù: « Ritirati, satana, perchè è scritto: « Tu adorerai il Signore Dio tuo, e servirai a lui solo (ibid. v. 10). »

Noi lo vedremo: si adora veramente Lucifero nelle logge massoniche. Libero agli Ebrei di adorare il diadema reale come il loro vitello d’oro:

satana, sotto il nome di Kéther, ha preso posto al di sopra della santissima Trinità.

Vediamo a questo punto, quali i siano i gradi della massoneria “dominati” dalla Corona, cioè – per ogni undicina – il decimo, il ventunesimo e l’apice: il trendaduesimo grado.

X Grado

La 1a Sephirah. La Corona. —

L’Illustre Eletto dei Quindici.

Il senso cabalistico del numero Quindici ci è già noto. La « Corona », Lucifero, vuol vedere la sua generazione (cinque) stabilita nei tre mondi, nell’universo. Al 10° grado, la frammassoneria deve rappresentare il primo dei dieci Séphirot, la Corona, nell’uno o nell’altro dei sensi che abbiamo indicati. La Corona è il simbolo della dominazione suprema, della vittoria completa su tutti i loro nemici. – A ben comprendere questo 10° grado, bisogna ricordare l’istruzione del Presidente del 33° grado: « Questi tre assassini infami sono: la Legge, la Proprietà, la Religione… Di questi tre nemici infami, è la Religione che deve essere il pensiero costante dei nostri assalti nichilisti, perché un popolo non ha mai sopravvissuto alla sua Religione, e perché con l’uccidere la Religione avremo nelle nostre mani e la Legge e la Proprietà; perché solo col stabilire sui cadaveri di questi assassini, la religione massonica la legge massonica, la Proprietà massonica, noi potremo rigenerare la Società (Paolo Rosen, p. 297.). » – Il rappresentante perfetto del potere supremo di Lucifero sì farà iniziare all’11° grado. Prima di divenire un tale rappresentante, egli deve meritare la sua corona, uccidendo, dopo Abibala che simboleggia la Religione, Sterkin e Oterfut, gli altri due assassini d’Hiram, che simboleggiano la Legge (i Re) e la Proprietà. – Il 9° grado è destinato a simboleggiare la distruzione della Religione; il 10°, quella della Legge e della Proprietà. Il recipiendario vi riceverà la civica corona degli Eletti della razza d’Eblis, quando avrà apportato le due altre teste: egli sarà acclamato e glorificato: « Gloria a lui! Riconoscenza eterna al vendicatore d’Hiram! » (P. 223). –  La tappezzeria della sala del 9° grado era screziata di fiamme rosse: la rabbia vendicatrice che immerge la mano nel sangue. Nel 10° grado queste fiamme saranno sostituite da lacrime rosse e bianche, lacrime di rabbia sanguinaria e lacrime di gioia e di vittoria. Nell’11° grado queste lacrime faranno posto a cuori infiammati, simboli dell’unione cordiale dei Sublimi Cavalieri Eletti, rappresentanti della Potenza Suprema. Si accende da prima una fiaccola di cinque bracci verso 1’Oriente, da dove parte la luce: la generazione « nel cielo »; poi un’altra al sud: la generazione « nell’aria di mezzo »; e infine una terza all’occidente: la generazione « sulla terra ». Il Tempio, l’Universo, è illuminato da quindici lumi. – Il recipiendario, dopo aver prestato il suo giuramento, porta le teste degli altri due assassini; con la mano destra, quella di Sterkin, con la sinistra, quella di Oterful. La testa di Sterkin, traversata da un pugnale sotto la mascella, simboleggia la decapitazione dei monarchi, quella di Oterfut, la rovina della Proprietà. Il re Maaca di Geth, nel cui territorio i due assassini si erano nascosti, è un personaggio biblico, e del fatto che gli schiavi di Semel eransi rifugiati nel suo territorio se ne fa parola nella Bibbia (III Re., 11, 39.); ma non v’è alcuna relazione tra questi fatti e la leggenda massonica. Quell’uso di nomi e di passi dell’Antico Testamento è una prova che il sistema massonico è un’ invenzione ebrea, e naturalmente a profitto degli Ebrei. Questa osservazione si trova confermata dal significato dei nomi seguenti: Ben-Dicar, figlio del pugnalamento, nome della caverna di rifugio dei due scellerati, Zerbaei, fuoco divorante di Dio, ed Eligam fremito di Dio, nomi dei due primi dei quindici Maestri che li scoprirono, e Herar, detenzione, nome della prigione dove essi furono chiusi. Finalmente le tre teste degli assassini d’Hiram sono un segno della vittoria finale dell’iniziato; egli ha meritato la sua corona, si è mostrato degno di essere posto tra i valenti avversari della Religione, della Legge e della Proprietà; tra i degni emuli di satana, che egli stesso si è imposto una Corona, per compensarsi della corona perduta il giorno nefasto in cui tre auguste persone « infami assassini », lo hanno condannato alla perdita della gloria celeste.

XXI Grado

21. La 1. Séphirah. La Corona. —

Il Cavaliere Prussiano Noachita

Questo grado rappresenta la Corona, il Kéther ebreo, e deve farci scorgere la speranza del « Popolo eletto » di essere un giorno coronato del diadema reale sul quadrato intero dell’universo, come un tempo Ester e Mardocheo su tutto il regno persiano, o come il Re frammassone Federico sulla Prussia. Questa è ancora una volta la riunione del potere spirituale e del potere temporale nella stessa mano, con l’estensione dell’augusto regno d’Israele sul mondo abitato da tutti i discendenti di Noè. – Il Noachita è un termine del Talmud e significa il Non-Ebreo (A. Pontigny, Le Juif selon le Talmud, p. 167). Il Motto de Passe, Phaleg, è pronunciato tre volte con tono lugubre, sia perché quell’uomo non è riuscito a compiere la Torre di Babele, sia perché gli Ebrei sono tristi di essere ancora tanto lontani dall’effettuazione della lor grand’Opera, la dominazionesull’universo.Sem, il fratello primogenito di Jafet, generò Arphazad, il nonno di Heber. « Heber ebbe due figli: uno si chiama Phaleg perché la terra fu divisa ai suoi tempi in nazioni e in lingue diverse; e il suo fratello chiamasi Jectan (Genesi. X. 25.). » Questo è tutto ciò che la cronaca santa riferisce su Phaleg. Essa non dice in nessun luogo ch’egli sia stato 1’architetto della Torre di Babele, e contraddice l’affermazione ch’ei fosse della stirpe di Cham. – Il « Grande Capitolo » dei Cavalieri Prussiani si tiene in una vasta sala illuminata solamente da una grande finestra per cui penetra la luna piena. Ogni altra luce è proibita. La sala deve essere decorata nello stile medioevale, e tutti gli assistenti hanno una maschera. – L’opinione volgare sulla Santa Vehme è che questo tribunale misterioso tenesse le sue sedute nelle tenebre della notte, sotto volte tetre, sedendo i membri coperti di maschere (Wetzer, Dictionnaire, Vehme. Conf. Clavet. Hist. de la Framm. p. 356.1).Il Fratello Cavaliere Prussiano porta all’occhiello una piccola luna d’argento. La Batteria è di tre colpi lenti; essa significa il Motto sacro: Sem, Cham, e Jafet. La marcia è: tre passi di Maestro. La leggenda racconta bene l’inganno di un membro della aristocrazia e di un vescovo, ma è difficile conchiuderne che lo scopo di questo grado sia di attaccare il clero e l’aristocrazia. Questo scopo è troppo subordinato per indicare il vero senso di questo grado eminente, che è, per così dire, la corona dei nove gradi precedenti. La Santa Vehme, rappresentando la giudicatura secreta massonica, non forma che una parte della leggenda di questo grado, e certamente la parte accessoria.La parte principale e la più secreta pare essere contenuta nel Gioiello: un triangolo d’oro, traversato da una freccia di argento avente la punta voltata in basso (p. 402). Che cosa può significare questo gioiello? Il triangolo dei tre Séphiroth superiori, di cui la Corona è la punta in alto, è facile a spiegarsi; ma la freccia (« La freccia è, come la spada, la lancia, l’arco, il giavellotto ecc., un simbolo del Fuoco filosofico). Le frecce di Apollo (Sterminatore) uccidono Tifo. » Ragon, Orthodoxie maçonnique p. 550, 556.) non si trova, per quanto sappiamo, tra i simboli numerosi di cui la Cabala fa uso. Nella Santa Scrittura, essa significa sempre la distruzione. Qui noi crediamo dover riferire questo simbolo alla soggezione dei re e dei popoli, perché è là il mezzo di conquistare la corona delle corone. Parlando di Ciro, Isaia, dice in nome del Signore le parole seguenti, che in questo grado Lucifero e gli Ebrei cabalisti applicano ai loro Ciri moderni, i Federico di Prussia, i Cavalieri Prussiani, i loro Fratelli, gli Ebrei Re: « Chi ha fatto uscire il giusto dall’Oriente e chi l’ha chiamato ordinandogli di seguirlo? Egli ha atterrato i popoli dinanzi a lui e lo ha reso il maestro dei re; egli ha fatto cadere sotto la sua spada i suoi nemici come la polvere, e li ha fatti fuggire davanti al suo arco come paglia portata dal vento… Ma tu, Israele, mio servo; tu, Giacobbe, che io ho eletto; tu, stirpe di Abramo che fosti mio amico, nella quale io ti ho preso per trarti dall’estremità del mondo… non temere perché io sono con te… Io lo chiamerò dal settentrione, ed egli verrà dall’ Oriente; egli riconoscerà la grandezza del mio nome; egli tratterà i grandi del mondo come il fango, e li calpesterà come lo stovigliaio calpesta l’argilla (Isaia, XLI, 2, 9, 55.)». La freccia che scende dalla punta del triangolo, dalla Corona, significa la stessa cosa che il segno del grado; prender le tre prime dita (Sem, Cham e Jafet) che il Fratello vi mostra. – Il Cesaro-papismo esercitato dagli Ebrei su tutte le nazioni è l’idea del 21° grado, idea degna di un Cavaliere Prussiano! Questo Principe regnerà in nome di Lucifero, e con lui, su tutti i popoli della terra nati da Sem, Cam e Jafet.

XXXII Grado

32. La 1a Sèphiraph. La Corona. —

Il Principe del Reale Secreto, Cavaliere di S. Andrea e Fedelissimo Custode del Sacro Tesoro.

La Sèphiraph Corona che deve presiedere al 32° grado, vi si è « impenetrabilmente nascosta ». Tuttavia noi l’abbiamo trovata sopra le due teste dell’Aquila onnipotente. Leo Taxil non dà la spiegazione del Campo dei Principi, di cui ha parlato alla pagina 443. Essa trovasi nel Rituale di questo grado pubblicato dal Fratello Ragon. Là, alla pagina 32, ei dice: « Il vessillo G, che è quello dei Grandi Maestri della Chiave, è verde chiaro. Esso porta un’Aquila a due teste, coronata, avente una collana d’oro, una spada nell’artiglio destro e un cuore sanguinante nella sinistra. » Così si vede giustificata sino alla fine la nostra ipotesi che la Cabala ebrea è la midolla della frammassoneria. Il 32° è il grado ebreo per eccellenza. Invece di Principe del Real Secreto, si dovrebbe dire: Principe dell’Esiglio; perché questo grado è l’apparato del salmo 136: « Sulle rive dei fiumi di Babilonia, ivi sedemmo, e piangemmo ricordandoci di Sionne. Ai salici appendemmo i nostri strumenti di musica. Come canteremo noi il Cantico del Signore in una terra straniera? Se io mi dimenticherò di te, o Gerusalemme, sia messa in oblio la mia destra. Si attacchi la mia lingua alle mie fauci, se non avrò più memoria di te!…. Figliuola infelice di Babilonia! beato colui che farà a te quello che tu hai fatto a noi! Beato colui che prenderà e infrangerà sulle pietre i tuoi figliuoli! » Dolore, odio e rabbia! – I frammassoni non ebrei sono ben obbligati di mettersi in duolo per Israele esiliato, e di versar lagrime per le disgrazie degli Ebrei loro maestri! – La prima grande disgrazia nazionale fu l’esilio di Babilonia. La tappezzeria della Loggia è nera, colore di duolo, seminata di lagrime, di scheletri, di teste di morte e di tibie incrociate. Il Motto sacro è la parola latina Salix, salice: « Ai salici noi appendemmo le nostre lire! » La seconda grave sventura fu l’incendio pel Tempio, sotto Tito, il nove del mese Ab; ancora oggidì, questo giorno è per gli Ebrei un giorno di digiuno; da ciò il secondo Motto sacro la parola latina Noni, il nove. I due fratelli pronunciano allora insieme il terzo Motto sacro, la parola greca Tengu, affliggiamoci! — L’idea generale del campamento è la marcia verso la Terra Santa per riconquistarla e per ricostruire il Tempio di Gerusalemme. L’abate Chabauty (Les Juifs nos maitres. Parigi, Palme 1882.) ha dimostrato la perennità di un governo unico presso gli Ebrei dispersi: « È storicamente incontestabile, ei dice, che dalla loro dispersione sino all’undecimo secolo, gli Ebrei hanno avuto un centro visibile e conosciuto di unità e di direzione. » Teodoro Reinach lo afferma nella sua Storia degli Israeliti. Dopo la rovina di Gerusalemme, questo centro si trovò lungo tempo ora a Japhné, ora a Tiberiade; esso era rappresentato dai Patriarchi della Giudea (20° grado) che godevano di una grande autorità. « Essi decidevano i casi di coscienza e gli affari importanti della nazione; dirigevano la Sinagoga come capi superiori; stabilivano le imposte, avevano degli ufficiali detti apostoli che portavano i loro ordini agli Ebrei delle provincie più remote e ne riscotevano il tributo. Le loro ricchezze divennero immense. Questi Patriarchi agivano in una maniera palese o nascosta, secondo le disposizioni degli imperatori romani a riguardo degli Ebrei. Essi scomparvero sotto Teodoro. Superiori a questi Patriarchi erano i Principi della Schiavitù, che risiedettero lungo tempo a Babilonia. Gli scrittori ebrei mettono una grande differenza tra i Patriarchi della Giudea e i Principi dell’Esilio. I primi, dicono essi, non erano che luogotenenti dei secondi. I Principi della Schiavitù avevano la qualità e l’autorità assoluta dei capi supremi di tutta la dispersione d’Israele. Secondo la tradizione dei dottori, essi sarebbero stati istituiti per tenere il posto degli antichi re, ed essi hanno il diritto di esercitare il loro impero sugli Ebrei di tutti i paesi del mondo. – « I Califfi d’Oriente, spaventati della loro potenza, suscitarono loro delle terribili persecuzioni, e a partire dall’undecimo secolo, la storia cessa dal fare memoria di questi capi d’Israele. » – Scomparvero essi completamente, o trasportarono altrove la sede della loro potenza? Questa seconda ipotesi è molto più verosimile, vista la lettera degli Ebrei d’Arles a quelli di Costantinopoli, e la risposta degli Ebrei di Costantinopoli a quelli di Arles e della Provenza, con la data del 1489, di cui facemmo più sopra memoria. L’abate Chabauty ne deduce l’evidenza che a Costantinopoli risiedeva il loro Capo Supremo, non solamente religioso, ma eziandio politico: « Là era la testa della nazione. » – Questo Principe di Costantinopoli era il successore dei Principi Dell’Esilio di Babilonia. Egli trovavasi là nel centro della dispersione, e godeva di una piena autorità; « egli comandava da padrone ed era puntualmente obbedito (C. Desportes, Le Mistere du sang. p. 335). » Non ci meravigliamo adunque che alla testa di quella Istituzione affatto ebrea che chiamasi la frammassoneria, noi troviamo il Principe dell’Esilio vero, nascosto sotto il nome di Principe del Reale Secreto, coll’epiteto: Fedelissimo Custode del Tesoro Sacro (Ragon. Rituel du 31° e 32° degrè, p.. 9). – Tutti si persuadano bene che la Società secreta della frammassoneria è il piano di guerra il più nascosto e il più destro della Sinagoga decaduta, avente per iscopo la soggiogazione di tutte le nazioni della terra a profitto della stirpe eletta degli Ebrei. Chiunque dà il nome a quella società coopera alla Grande Opera degli Israeliti di porre il Kether-Malkhuth del mondo sulla fronte dell’Ebreo. Perché il maestro del 32° grado prende egli il titolo di Sovrano dei Sovrani, se con questo titolo i Capi supremi non vogliono designare il Diadema Reale sulla testa di Ester e di Mardocheo di tutti i regni della terra? – Perché questo « Sovrano dei Sovrani » chiamasi Grande Principe, se non perché il vero Principe dell’Esilio deve celarsi sotto il costume regale e lo scettro dei Fratelli del 32° grado? Perché porta egli ancora il titolo di Illustre Commendatore in capo, se non perché il Principe dell’Esilio deve essere alla testa della Supremazia esecutiva dell’Ordine? Il toccamento non è altro che l’Unione dei « Templari « di tutti i paesi per conquistare il mondo intero sotto la direzione suprema degli Ebrei. Ecco i Motti de Passe: A dice: Phagal-Khol, egli ha annientato tutto, B risponde: Pharas-Khol, egli ha spezzato tutto! A ripiglia: Nekam-Makkah, Vendetta! Carneficina! A e B: Schaddaì, l’Onnipotente. Queste parole esprimono bene quell’idea «Beato colui che prenderà e infrangerà i tuoi figli sulla pietra! ». – Noi ci siamo domandati perché le due teste dell’aquila non sono più apertamente coronate in questo grado che corrisponde alla Sephirah Corona. Sul cordone si vede bene l’Aquila a due teste, ma non si dice e non si vede ch’esse portino la corona. La ragione sembra essere che la corona non è chiamata a unire insieme i due poteri, il temporale e lo spirituale, che al 33° grado; il 32° rappresenta solo il potere temporale. Il vessillo G tuttavia reclama già, al 32° grado, ciò che il 33° è chiamato ad effettuare. – La Croce teutonica dei Templari, che ha già trovato la sua interpretazione cabalistica, fa qui una gran parte come decorazione sul bavero, sul cordone, sulla cintola, e come gioiello. Se si vuole penetrare più profondamente negli emblemi della frammassoneria, si troverà che la Croce teutonica è la Pietra cubica a punta (14° grado) spiegata. Tirate dalla punta della piramide quadrata quattro linee perpendicolari sulle quattro linee della sua base, e delineate queste otto linee, le basi e le perpendicolari, in un piano attorno a un punto, e troverete la forma della Croce teutonica. Il punto rappresenta la Corona cabalistica, o l’Intelligenza ermetica; le quattro perpendicolari, la generazione quadrupla, e le quattro basi, i quattro mondi. Sopra uno dei quattro lati della piramide trovasi lo Schemhamphorasch, il Nome spiegato. La piramide e la Croce teutonica hanno la stessa significazione. Ora, il 32° grado è il grado della Corona rappresentata dal punto centrale della Croce teutonica e dalla punta in alto della Pietra cubica a punta. I cinque ultimi gradi sono i gradi templari; perché gli Ebrei furono abbastanza sagaci per vedere in questi religiosi decaduti i migliori strumenti dei quali potessero servirsi per la loro Grand’Opera, in pari tempo che la loro Croce è un simbolo ammirabile della loro dottrina cabalistica nascosta negli emblemi del 32° grado. Ma perché, a fianco delle lagrime in argento sulla tappezzeria della loggia, vi sono lagrime ardenti sul fondo del trono ove siede Lucifero? L’esilio d’Israele è esso una figura dell’esilio di Lucifero nel fuoco eterno? e le lagrime di Lucifero sono esse lagrime di fuoco? Dante, parlando delle tre facce di satana incatenato nell’abisso dell’inferno, dice: « Egli piangeva con sei occhi, e le lagrime miste a sanguinosa bava gocciavano su tre meati ». La fiamma di luce sulla testa d’Eblis, crediam noi, è abbastanza viva per impedire che le sue lagrime si gelino prima di cadere sul ghiaccio, sul ghiaccio da dove « l’Imperatore del Regno dei dolori usciva sino a metà del petto ». – Per far risaltare l’idea cabalistica di questo grado importante, distinguiamo la dottrina dello Zohar dalla sua applicazione alla magia diabolica, fondata, si sa, sulla Cabala. Parliamo dapprima dell’ultima, a cui non vogliamo consacrare che poche linee, per timore di essere trascinati in una esposizione della magia cabalistica che esigerebbe un libro. Dopo la spiegazione del Campo fatto al Kadosch recipiendario, il Sovrano dei Sovrani gli fa le domande seguenti:

1. « Che cosa vi resta a sapere? (Noi citiamo dal Rituale di Ragon, avendo Leo Taxil omesso le prime quattro di queste domande) — Risp. Un punto essenziale che subito mi sarà rivelato.

2. « Perché vi è nascosto ? — Risp. Perché tredici di voi possono solo conoscerlo e che, troppo recentemente iniziato, io non posso essere di questo numero.

3. « Voi non conoscete dunque tutto ciò che vi importa sapere? — Risp. Vi sono certamente delle cose che io ignoro; pur tuttavia ne conosco tante altre per camminare verso la perfezione: verrà un giorno che mi sarà permesso di saper di più.

4. « Su che fondate voi quella speranza? — R. Sopra un’apparizione.

5. « Quali oggetti vi ha essa presentati? — R. Tre uccelli: un corvo, una colomba e una fenice.

6. « Che cosa annuncia il corvo? — R. La nerezza delle sue piume simboleggia la pena, il disordine e la morte.

7. « Che cosa vi ritraccia la colomba? — R. La sua bianchezza mi annuncia la generazione degli esseri.

8. « Che cosa vi ricorda la fenice? — Quell’uccello che esce dalle fiamme per ricominciare una novella vita, è l’emblema della natura perfezionata d’una teoria universale e di un potere senza limiti.

9. « Spiegatemi questo. — R. Io non lo posso, sono ancora troppo giovane.

10. « Che età avete voi. — R: 5, 7, 9, 27 e 33 anni — 81 anno. »

Ragon comunica ancora le Note del manoscritto su questo grado (32°). Alla prima domanda trovasi annotata quella rivelazione importante: « (27) pagina 40. Quella domanda come le otto seguenti non devono esser fatte che a coloro che sono destinati a cognizioni di un’altra specie, alle quali non si può anticipatamente iniziare un Principe del Real Secreto. » A quella nota del manoscritto Ragon aggiunge la sua : « All’Arte sacerdotale, l’arte di trasmutare i metalli imperfetti in argento e in oro puro. » (Vedi la Maçonnerie occulte, in cui trovasi l’Arte sacerdotale, p. 128 e seg.) J. M. R.). –  Queste due note bastano per far vedere a coloro che non sono bendati, né abbagliati dal licopodo, che tali questioni alzano poco il velo che copre ancora la massoneria occulta. La sfera ancora nascosta in cui essa si muove non è altro che il declivio soprannaturale per il quale essa fa discendere l’uomo verso l’abisso e lo conduce direttamente ai piedi dell’Imperatore infernale. – Noi abbiamo dinanzi l’Ortodossia massonica del Fr. Ragon, e vi troviamo, a pagina 542, la descrizione dell’Arte sacerdotale. È l’Alchimia; là si parla del mercurio (33° grado), del nero, del bianco e del rosso, del corvo, del serpente, della corona reale, ecc. Il Punto essenziale, non ancora rivelato al Principe del Reale Secreto, è la Corona della Cabala; è, in una parola, Lucifero in persona. – La risposta alla seconda domanda ci rammenta « il Tredicesimo » che l’ abate Girod vide nella Loggia misteriosa dove il principe russo Pomerantzeff l’aveva introdotto. Sull’invocazione dei dodici membri: « O Padre del male, vieni a noi! » egli venne; e l’abate vide « il nuovo venuto, il Tredicesimo, che sembrava venuto per il cammino dell’aria da cui pareva nascere ». – Il corvo nero e la colomba bianca, è l’aquila mezzo bianca e mezzo nera, l’Ermafrodita significando le antitesi del Buono e del Cattivo Principio, della materia e dello spirito, del potere temporale e del potere spirituale, del genere mascolino e del genere femminile, le colonne J e B, le due corna a fianco della fiamma sulla testa del Baphomet, le sue dita alzate, ecc. La fenice che esce dalle fiamme è la grande menzogna panteistica della trasformazione eterna di tutto ciò che è, è la risurrezione d’Hiram, lo Zizon del 4° grado. I tre uccelli significano adunque: la Fenice, l’universo che si rinnovella eternamente, formato dalla colomba e dal corvo, i due Principii del Bene e del Male. – In un altro senso, la Fenice è ancora, e principalmente, l’Angelo del fuoco che esce dalle sue fiamme infernali per rinnovellarsi, incarnarsi e vivere di nuovo nei suoi adepti. Essa si rivela come Tredicesima ai suoi fedeli adoratori, dopo che furono trovati degni di essere ammessi nel piccolo numero dei dodici scelti e privilegiati. E in ultimo l’emblema della natura, quando alla fine del mondo essa sarà perfezionata, « conformemente alla teoria cabalistica, e sottomessa al potere senza limiti del Principe di questo mondo, avente in fronte la Corona che gli avranno offerta i suoi adepti, i suoi schiavi disgraziati. Solamente, i Cristiani lo sanno, allora il Signore medesimo distrarrà col fuoco il mondo divenuto indegno di esistere: Dio stesso verrà per la seconda volta a giudicare i vivi e i morti; e gli dirà: Ecce nova facio omnia; « Ecco che io rinnovello tutte le cose! (Apocal. XXI, 5) » – Non entriamo adunque nel labirinto della magia nera di cui il 32° grado ci ha aperto la porta. Ma, per confermare ciò che abbiam detto, citiamo un altro passo del Rituale: Dopo aver presentato al neofito una spada, « l’arma di cui servivasi un tempo Goffredo di Buglione contro i nemici della fede, » il Grande Commendatore gli dà un anello, dicendo: « Ricevete questo pegno della nostra unione…. » Qui il manoscritto aggiunge la nota (8): « Se conferendo questo grado, non si consideri che come un gradino per arrivare alla massoneria ermetica, non si dà anello al recipiendario che nol riceve che ottenendo un nuovo grado (Ragon, Rituels du 31° et 32° degrè, p. 46). » – Con quella nota si apprende l’esistenza di un’altra massoneria divisa in gradi e rilegata ai 33 gradi per l’intermediario del 32°. – Noi impegniamo Leo Taxil a procurarsi e a pubblicare ciò che è ancora un segreto al mondo. Restiamo in compagnia col volgare dei Principi del Reale Secreto e tentiamo ora di comprendere questo Campamento di cui gli Ebrei danno la « spiegazione, » che non è una spiegazione. Ecco in primo luogo il « Quadro del Campo dei Principi: » « il mezzo è una croce di cinque bracci; essa è avvolta da un circolo, il quale è in un triangolo equilaterale; questo triangolo è, alla sua volta, in un pentagono che rinchiude un ottagono, rinchiuso esso pure in un ennagono; tutto questo è in rilievo come un abbozzo di architettura, con figure emblematiche, stendardi, orifiamme, tende, ciò significa il campamento della frammassoneria intera, ripartita e aggruppata in gradi. » (P. 443). Se ciò fosse, « i secreti massonici non sarebbero impenetrabilmente nascosti sotto dei simboli.» Penetriamo adunque sino al fondo di questo Campo, per ben conoscere i veri secreti che vi si nascondono. Sentiamo in primo luogo la Spiegazione ufficiale riprodotta dal Fr. Ragon (p. 32). – « Il Triangolo che voi vedete in mezzo del Quadro rappresenta il centro dell’armata e designa il posto che devono occupare i Cavalieri di Malta ammessi ai nostri misteri e uniti ai Cavalieri Kadosch, per dividere con essi la sorveglianza del tesoro sotto gli ordini dei Prodi Principi del Reale Secreto. Il corpo formato da quella riunione è comandato da cinque Prodi Principi che ricevono direttamente dal Sovrano dei Sovrani l’ordine che essi fanno eseguire, ed essi hanno i loro vessilli fissati agli angoli del pentagono e designati dalle lettere  T E N G U.

« 1° Il vessillo del padiglione T, che è quello dei Grandi Pontefici, è porpora; esso porta l’Arca d’Alleanza avvicinata da due fiaccole ardenti e sormontato da due palme in circolo. Al di sopra dell’Arca è scritto: Laus Deo.

« 2° Il vessillo E, che è quello dei Cavalieri del Sole, è azzurro. Esso porta un Leon d’oro che tiene in bocca una chiave d’oro, ed ha un collare d’oro su cui è scolpito il numero 515. In alto è scritto: Ad majorem Dei gloriam,!

« 3° Il vessillo N, che è quello dell’Arco Reale, è d’argento. Esso porta un Cuore infiammato sostenuto da due ali di sabbia di color nero e coronato di lauro semplice (fresco).

« 4.° Il vessillo G, che è quello dei Grandi Maestri della Chiave, è verde chiaro. Esso porta un’Aquila a due teste, coronata, avente una collana d’oro, e una spada nell’artiglio destro, e un cuore sanguinante nel sinistro.

« 5.° Il vessillo U, che è quello dei grandi Patriarchi, è oro e porta, un Bue di sabbia (color nero). Vedi questi cinque vessilli in un quadro:

QUADRO DEI CINQUE VESSILLI ….

(1) Ragon dice Reale Arco, il 13° grado, che non è rappresentato nelle Tende dell’enneagono. Noi crediamo dover mettere Ascia Reale, per completare gli alti gradi degli antichi 25 gradi. Quell’armata è sotto la direzione dell’antico 24° grado. Cavaliere Commendatore dell’Aquila bianca e nera; il 25° ed ultimo grado era intitolato: « Illustrissimo Sovrano, Principe della Massoneria, Grande Cavaliere Sublime Commendatore del Reale Secreto.

–  –  –  –  –

L’ennagono che forma la pianta esteriore del Quadro, designa il luogo che occupavano nell’armata i Principi di Gerusalemme, i Cavalieri d’ Oriente e d’Occidente, i Cavalieri Rosa-Croce e tutti gli altri massoni di grado inferiore a questo, da cui i capi ricevevano gli ordini dei cinque Principi del pentagono. Le fiamme sono notate con cifre; e le tende sono designate con lettere disposte da destra a sinistra, nell’ ordine seguente: I. N. O. N. X. I. L. A. S., e che, lette nell’ordine inverso, formano le due prime parole sacre (Salix Noni). Queste nove tende sono quelle della milizia della massoneria, ripartita come qui sopra: « Noi mettiamo la descrizione in un quadro, per essere compresi più facilmente. »

QUADRO DELLE NOVE TENDE E PADIGLIONI (….)

È inutile cercare una spiegazione delle tre parole sacre, altra che quella già data. Ragon ne dà sei o sette, più o meno cercate e forzate (p. 45). Non è luogo di occuparsi di queste invenzioni destinate a distrarre i curiosi Salix (latino) ricorda i salici di Babilonia e la prima schiavitù degli Israeliti, Noni (latino), la data della distruzione del Tempio, la seconda schiavitù e la dispersione degli Ebrei, Tenga (imperativo passivo dal greco tengo) esorta il Fratello a intenerirsi e a piangere. – Vediamo piuttosto la vera interpretazione cabalistica del Campo dei Prìncipi. L’abbiamo cercata lungamente; il cuore alato ci disviava sempre. Ma i tre animali l’Aquila, il Leone e il Bue, ci misero sulla traccia della grande visione del profeta Ezechiele, di cui la Cabala ebrea fa tanto caso. Mettiamo per il Cuore un Uomo, e tronchiamo all’Aquila una delle sue teste; allora la dottrina massonico-giudea, impenetrabilmente nascosta sotto i suoi simboli », ci sarà svelata. – Sentiamo, alla loro volta, Ezechiele e la Cabala. Ezechiele dice nel primo capitolo della sua profezia: « Ecco la visione che mi fu rappresentata: Un turbine di vento veniva da settentrione e una nube grande, e un fuoco che in lei s’immergeva e una luce intorno ad essa; e nel centro, cioè in mezzo al fuoco, eravi una specie di metallo brillantissimo. E nel mezzo di questo medesimo fuoco si vedeva l’apparenza di quattro animali che era tale: vi si vedeva la rassomiglianza di un Uomo. Ciascuno aveva quattro facce e quattro ali; i loro piedi erano diritti, la pianta dei loro piedi era come la pianta del piede d’un vitello (Osservate i piedi del Baphomet!), e uscivano da essi delle scintille come fa al vedersi un fulgido acciaio. Vi erano delle mani d’uomini sotto le loro ali ai quattro lati e avevano ciascuno quattro facce e quattro ali.  Le ali dell’uno erano unite alle ali dell’altro. Non andavano indietro quando camminavano, ma ciascuno andava innanzi. Quanto alla figura dei loro volti, avevano tutti e quattro una faccia d’uomo, tutti e quattro a destra una faccia di leone, tutti e quattro a sinistra una faccia di bue, e tutti e quattro al di sopra una faccia d’ aquila…. Sopra le teste degli animali, si vedeva un firmamento che appariva come un cristallo scintillante e terribile a vedersi, che era steso sopra le loro teste…. E in questo firmamento che era sopra le loro teste, si vedeva come un trono di zaffiro, e appariva come un Uomo seduto su quel trono. Io vidi come un metallo brillantissimo e simile al fuoco, tanto dentro che all’intorno. Dai suoi lombi all’insù, e dai lombi di lui sino all’infime parti, io vidi come un fuoco che risplendeva all’intorno. E come 1’arco che apparisce in cielo in una nube in un giorno di pioggia tal’era 1’aspetto del fuoco che risplendeva all’intorno (Ezechiele, cap. I ). »

« I dieci Séphiroth, per cui, secondo la Cabala, l’Essere infinito Ensoph, si fa conoscere dapprima, non sono altro che attributi i quali, per sé, non hanno alcuna realtà sostanziale; in ciascuno di questi attributi, la sostanza divina è presente tutta intera, e nel loro insieme consiste la prima, la più completa e la più elevata di tutte le manifestazioni divine. Essa chiamasi l’Uomo primitivo o celeste; è questa la figura che domina il carro misterioso di Ezechiele e di cui l’uomo terreno non è che una pallida immagine (Franck, p. 133.). » – « La forma dell’uomo, dice Simone ben Jochai ai suoi discepoli, rinchiude tutto ciò che è nel cielo e sulla terra, gli esseri superiori come gli esseri inferiori; per questo l’Antico degli Antichi l’ha scelta per sua…. È di essa che si vuol parlare quando si dice che vedevasi al di sopra del carro come la figura di un Uomo (Franck. p. 133). » – Il ravvicinamento di queste tre Tende del Rituale del 32.° grado, della profezia di Ezechiele e della dottrina della Cabala, bastano per dare al Campo dei Principi, l’interpretazione cabalistica seguente.- L’Ensoph è rappresentato dal circolo; i tre Séphiroh superiori, dal Triangolo; gli altri Séphirot, cioè il Santo Re e la Matrona dalla Croce in cinque bracci; tutto l’Uomo celeste, dal Triangolo e il suo contenuto; la rivelazione dell’Uomo Celeste sul Carro misterioso, dai quattro emblemi; la sua scelta del popolo d’Israele, dal quinto emblema, l’Arca d’alleanza; la fertilità del Santo Re e della Matrona fuori del cielo, dal pentagono dei cinque emblemi, i sette re d’Edom, dall’ ottagono che non porta emblemi, perché questi re scomparvero; e finalmente il mondo attuale, dal triplice triangolo o le nove tende; queste servono in pari tempo a rappresentare il popolo d’Israele e la sua storia. I bisogni della frammassoneria manichea le hanno fatto aggiungere all’aquila d’Ezechiele una seconda testa; il profeta era tuttavia ben lungi dal credere al dualismo di un Buono e di un Cattivo Principio. Finalmente il progresso delle rivelazioni cabalistiche esigeva che al penultimo grado della terza serie di undici, corrispondente alla Sephirah Corona, un simbolo qualsiasi indicasse quella prima figura celeste: si è adunque incoronato il mostro filosofico, l’aquila a due teste! Ecco ora l’interpretazione del numero mistico 515 sul collare del Leon d’oro: « I dieci Séphiroth, dice lo Sepher Jetzirah, sono come le dita della mano, in numero di dieci e cinque contro cinque ma in mezzo ad esse è l’alleanza dell’unità (Franck. p. 109) ». – Il piano generale della frammassoneria comprende: l° la distruzione dell’ordine attuale del mondo, 2° lo stabilimento di un’Impero universale giudaico e massonico, e 3° la conquista dell’Universo per Lucifero trionfante su Dio. Bisogna saper legger tra le linee e interpretare le interpretazioni dei veri iniziati per rendersi conto del vero carattere della frammassoneria, Sentiamo il Maestro Ragon sui tre uccelli.

1° « Il Corvo (dice egli, p. 41 del suo Rituale), emblema alchimico, indica col suo colore nero la prima parte della grande Opera: la decomposizione dei misti, il caos ». Da ciò il motto dei 33: Ordo ab chao.

2° La bianchezza della Colomba è il secondo colore dell’Opera, indicando che si è arrivati dall’elisir al bianco, dall’argento vivo, simboleggiato dalla luna, emblema d’Isis, la cui iniziale I adorna la nostra prima colonna simbolica, posta di fronte a queir astro delle Notti, » al nord della Loggia. Da ciò la purificazione dei 33° nell’argento vivo sul fuoco.

3° « Il colore della Fenice che esce dalle fiamme è il terzo colore dell’ Opera compiuta, il rosso, simboleggiato dalle fiamme, emblema del sole, o d’Osiris, la cui iniziale del suo soprannome, Bacchus, figura sulla nostra seconda colonna, posta di fronte a questo re degli astri, » al sud della Loggia. Chi non vede in queste fiamme e nell’ultimo fine della frammassoneria la coda del vecchio Serpente? Oh! si, egli vuole avere dei compagni nel suo paradiso di fuoco! Sentite i Principi del Campo pregare Lucifero: « Solo e vero principio di tutti i lumi, Fuoco Sacro, che fecondi e conservi 1’universo, Essere potente che non si concepisce e non si può definire, infiamma i nostri cuori dell’amore delle virtù,…. benedici l’intrapresa che non abbiamo formata che per la tua gloria e pel bene dell’ umanità. Amen (5 volte) ». I cinque viaggi dell’armata massonica mettono capo alle porte di Napoli, di Malta, di Rodi, di Cipro e di Giaffa. Giunti là, i Principi contemplano un quadro rappresentante la città di Gerusalemme, la « terra per sempre consacrata da tante preziose memorie ». « Possiam noi, dice il Grande Commendatore, renderti il tuo antico splendore e riedificare il tempio che il più sapiente dei re aveva innalzato alla gloria del monarca dei cieli! Amen (5 volte). » – Per terminare la cerimonia della recezione di un nuovo Principe, si bruciano ancora alcuni grani d’incenso sull’altare dei profumi, e si conchiude con una preghiera commovente al Dio massonico, Lucifero.

INTELLIGENTI, PAUCA.

Chi può capire capisca, chi non può preghi lo Spirito Santo, terza Persona della Santissima Trinità, il vero unico Dio!


UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLI GLI USUSPANTI APOSTATI (CON CAZZUOLA E GREMBIUNO) DI TORNO: S. S. LEONE XIII – “INIMICA VIS”

Cosa poteva ancora fare il Santo Padre Leone XIII, dopo tante lettere encicliche, per mettere in guardia tutti i Cattolici e gli italiani di buona volontà, contro le attività indegne ed eversive della empia setta, emanazione satanica, organizzata nel combattere Dio, il suo Cristo e la sua Chiesa? Ciò nonostante la setta infernale, è andata avanti nel tempo, conquistando tutti i posti chiave di comando dello Stato italiano, della finanza pubblica, dei mezzi di comunicazione di massa, dei centri nevralgici della società tutta e finalmente usurpando le diocesi e la stessa Sede apostolica. Certo tutto è avvenuto con permesso divino perché fossero vagliati i cuori di tutti gli uomini, i Cristiani veri, i Cristiani di comodo, i finti Cristiani, i nemici del Cristo e della Chiesa, sì da potere operare nel giorno del Giudizio con facilità la divisione tra i capri alla sinistra di Cristo, e gli agnelli alla sua destra. L’avvertimento terrificante per chi crede è: …. « Coloro pertanto che per somma disgrazia han dato il nome ad alcuna di queste società di perdizione, sappiano che sono strettamente tenuti a separarsene, se non vogliono restar divisi dalla comunione cristiana, e perdere l’anima loro nel tempo e nell’eternità ». Quindi altro che filantropia, progressismo, libertà di pensiero, carrierismo, scempiaggini e turpitudini varie, qui c’è la sorgente della morte, zampilla il veleno pestifero dell’estinzione eterna dell’anima, l’impenitenza finale, la dtrada della voragine dello stagno di fuoco preparato per il demonio ed i suoi servi. Poi un invito, ancor più valido ed esteso oggi a tutte le forze politiche e alle istituzioni pubbliche italiane, e pure alla finta chiesa, la “sinagoga di satana” che si è sostituita alla Sposa immacolata di Cristo, apparentemente spacciandosi come Chiesa moderna e progressista, in realtà professando modernismo e gnosticismo, ecumenismo ed indifferentismo religioso, cioè gli stessi principi, diversamente mascherati, della massoneria con la quale in effetti cammina a braccetto in piena sintonia. « … Siate dunque italiani e Cattolici, liberi e non settari, fedeli alla Patria e insieme a Cristo ed al Vicario suo [quello vero naturalmente, non il … clown massonico – ndr.-], persuasi che un’Italia anticristiana e antipapale sarebbe opposta all’ordinamento divino, e quindi condannata a perire … », condanna che si sta realizzando pienamente e si manifesterà con danni irreparabili per la Nazione. Se nessuno ha ascoltato le parole del Papa allora, certamente queste non saranno ascoltate oggi, a meno di un miracolo eclatante. Ma il Sommo Pontefice ci incita ad affrontare il nemico a viso aperto e senza timori « … Il numero, la baldanza, la forza dei nemici non vi atterriscano; ché Dio è più forte di loro, e se Dio è con voi, che potranno essi contro di Voi? » Sveglia Cristiani! … tiriamo fuori i Rosari, i libri della vera preghiera Cattolica, i manuali della dottrina Cattolica di sempre, torniamo con cuore sincero a Dio, e la setta infernale sarà spazzata via in un attimo, come ci assicura il Re-Profeta nel salmo LXXX … pro nihilo forsitan inimicos eorum humiliassem, et super tribulantes eos misissem manum meam. E poi, non dimentichiamo mai che: …

Ipsa conteret caput tuum!

Leone XIII

Inimica vis

Lettera Enciclica

1. Custodi di quella fede a cui le nazioni cristiane van debitrici del loro morale e civile riscatto, Noi mancheremmo ad uno dei Nostri supremi doveri, se non levassimo spesso e ben alto la voce contro l’empia guerra, onde si tenta, diletti figli, rapirvi sì prezioso tesoro. Di questa guerra, ammaestrati ormai da lunga e dolorosa esperienza, voi ben conoscete le terribili prove, e nel vostro cuore di Cattolici e di italiani altamente la deplorate. E veramente si può essere italiani di nome e di affetto, e non risentirsi delle offese che si fanno tuttodì a quelle divine credenze, che sono la più bella delle nostre glorie, che dettero all’Italia il primato sulle altre nazioni ed a Roma lo scettro spirituale del mondo: che sulle rovine del paganesimo e delle barbarie fecero sorgere il mirabile edificio della cristiana civiltà? Si può essere di mente e di cuore cattolici e mirare con occhio asciutto in quella terra medesima nel cui grembo l’adorabile nostro Redentore si degnò stabilire la sede del suo regno, impugnate le sue dottrine, oltraggiato il suo culto, combattuta la sua chiesa, osteggiato il suo Vicario, perdute tante anime redente col suo Sangue, la porzione più eletta del suo gregge, un popolo stato per ben diciannove secoli a lui sempre fedele, esposto ad un continuo e presentissimo pericolo di apostatar dalla fede, e sospinto in una via di errori e di vizi, di materiali miserie e di morale abiezione? Diretta ad un tempo contro la patria celeste e la terrena, contro la religione dei nostri padri e la civiltà trasmessaci con tanto splendore di scienze, lettere ed arti da loro, la guerra di cui parliamo, voi la capite, diletti figli, è doppiamente scellerata, e rea non meno di umanità offesa che di offesa divinità. Ma d’onde essa muove principalmente se non da quella setta massonica, della quale discorremmo a lungo nell’Enciclica Humanum genus del 20 aprile 1884 e nella più recente del 15 ottobre 1890 indirizzata ai Vescovi, al Clero e al popolo d’Italia? Con queste due Lettere strappammo dal viso della massoneria la maschera onde si velava agli occhi dei popoli, e la mostrammo nella cruda sua deformità, nella sua tenebrosa e funestissima azione.

2. Ci restringiamo questa volta a considerarne i deplorevoli effetti rispetto all’Italia. Insinuatasi infatti già da gran tempo sotto le speciose sembianze di società filantropica e redentrice dei popoli, nel nostro bel Paese, e per via di congiure, corruttele e di violenze giunta finalmente a dominare l’Italia e questa medesima Roma, a quanti disordini, a quante sciagure non ha essa in poco più di sei lustri spalancata la via? Mali grandi in sì breve giro di tempo ha veduto e patito la patria nostra. La Religione dei nostri padri è stata fatta segno a persecuzioni di ogni sorta, col satanico intento di sostituire al Cristianesimo il naturalismo, al culto della fede il culto della ragione, la morale così detta indipendente alla morale cattolica, al progresso dello spirito quello della materia. Alle sante massime e leggi del Vangelo si è osato contrapporre leggi e massime che possono chiamarsi il codice della rivoluzione, e un insegnamento ateo ed un verismo abbietto alla scuola, alla scienza, alle arti cristiane. Invaso il tempio del Signore, si è dissipata con la confisca dei beni ecclesiastici la massima parte del patrimonio necessario ai santi ministeri, assottigliato con la leva dei chierici oltre i limiti dell’estremo bisogno il numero dei sacri ministri. Se l’amministrazione dei Sacramenti non fu potuta impedire, si cerca però in tutti i modi d’introdurre e promuovere matrimoni, e funerali civili. Se ancora non si riuscì a strappare affatto dalle mani della Chiesa l’educazione della gioventù ed il governo degli istituti di carità, si mira sempre con sforzi perseveranti a tutto laicizzare, che val quanto dire a cancellare da tutto l’impronta cristiana. Se della stampa cattolica non si è potuto soffocare la voce, si fece di tutto per screditarla ed avvilirla.

3. E pur di osteggiare la Religione Cattolica, quali parzialità e contraddizioni! Si chiusero monasteri e conventi; e si lasciano moltiplicare a lor grado logge massoniche e covi settari. Si proclamò il diritto di associazione: e la personalità giuridica, di cui associazioni di ogni colore usano ed abusano, è negata ai religiosi sodalizi. Si bandì la libertà dei culti e intanto odiose intolleranze e vessazioni si riserbano proprio a quella che è la religione degli italiani, ed a cui perciò dovrebbe assicurarsi rispetto e patrocinio sociale. A tutela della dignità e indipendenza del Papa si fecero proteste e promesse grandi; e voi vedete a quali vilipendi venga quotidianamente fatta segno la Nostra persona. Qualsiasi specie di pubbliche manifestazioni trova libero il campo; solamente or l’una or l’altra delle dimostrazioni cattoliche o è vietata o disturbata. S’incoraggiano nel seno della Chiesa scismi, apostasie, ribellioni ai legittimi superiori; i voti religiosi e segnatamente la religiosa ubbidienza si riprovano come cose contrarie alla libertà e dignità umana: e intanto vivono impunite empie congreghe, che legano con giuramenti nefandi i loro adepti, ed esigono anche nel delitto ubbidienza cieca ed assoluta. Senza esagerare la potenza massonica attribuendo all’azione diretta e immediata di lei tutti i mali che nell’ordine religioso presentemente ci travagliano, nei fatti che abbiam ricordato e in molti altri che potremmo ricordare, si sente il suo spirito; quello spirito che, nemico implacabile di Cristo e della Chiesa, tenta tutte le vie, usa tutte le arti, si prevale di tutti i mezzi per rapire alla Chiesa la sua figlia primogenita, a Cristo la nazione prediletta, sede del suo Vicario in terra e centro della cattolica unità. L’influenza malefica ed efficacissima di questo spirito sulle cose nostre non occorre oggi congetturarla da pochi e fuggevoli indizi, né argomentarla dalla serie dei fatti che da trenta anni si succedono. Inorgoglita dai successi, la setta stessa ha parlato alto e ci ha detto ciò che fece in passato, ciò che si propone di fare in avvenire. Le pubbliche potestà, consapevoli o no, essa le riguarda in sostanza come propri strumenti: il che vuol dire che della persecuzione religiosa che ha tribolato e tribola l’Italia nostra, l’empia setta mena vanto come di opera principalmente sua, di opera eseguita spesso con altre mani, ma per modo immediato o mediato, diretto o indiretto, di lusinga o di minaccia, di seduzione o di rivoluzione, ispirata, promossa, incoraggiata, aiutata da lei.

4. Dalle rovine religiose alle sociali brevissima è la via. Non più sollevato alle speranze e agli amori celesti il cuore dell’uomo, capace e bisognoso dell’infinito, gittasi con ardore insaziabile sui beni della terra: ed ecco necessariamente, inevitabilmente una lotta perpetua di passioni avide di godere, di arricchire, di salire e quindi una larga ed inesausta sorgente di rancori, di scissure, di corruttele, di delitti. Nella nostra Italia morali e sociali disordini non mancavano certo anche prima delle presenti vicende; ma che doloroso spettacolo non ci porge essa i nostri dì. Nelle famiglie è assai menomato quell’amoroso rispetto che forma le domestiche armonie; l’autorità paterna è troppo sovente sconosciuta e dai figli e dai genitori; i dissidi sono frequenti, i divorzi non rari. Nelle città crescono ogni dì le discordie civili, le ire astiose tra i vari ordini della cittadinanza, lo sfrenamento delle generazioni novelle che cresciute all’aura di malintesa libertà non rispettano più nulla né in alto né in basso, gl’incitamenti al vizio, i delitti precoci, i pubblici scandali. Lo Stato invece di star pago all’alto e nobilissimo ufficio di riconoscere, tutelare, aiutare nella loro armoniosa universalità i divini e gli umani diritti, si crede quasi arbitro di essi, e li disconosce o li restringe a capriccio. L’ordine sociale infine è generalmente scalzato nelle sue fondamenta. Libri e giornali, scuole e cattedre, circoli e teatri, monumenti e discorsi politici, fotografie e arti belle, tutto cospira a pervertire le menti e corrompere i cuori. Intanto i popoli oppressi e ammiseriti fremono; le sette anarchiche si agitano; le classi operaie levano il capo e vanno ad ingrossar le file del socialismo, dell’anarchia; i caratteri si fiaccano, e tante anime non sapendo più nè degnamente patire, né virilmente redimersi dai patimenti, abbandonano da se stesse, col suicidio, codardamente la vita.

5. Ecco i frutti che a noi italiani ha recato la setta massonica. E dopo ciò essa ardisce di venire innanzi magnificando le sue benemerenze verso l’Italia, e di dare a Noi e a tutti coloro che, ascoltando la Nostra parola, rimangono fedeli a Gesù Cristo, il calunnioso titolo di nemici della patria. Quali siano verso la nostra penisola i meriti della rea setta, ormai, giova ripeterlo, lo dicono i fatti. I fatti dicono che il patriottismo massonico non è che un egoismo settario, bramoso di tutto dominare, signoreggiando gli Stati moderni che nelle mani loro raccolgono ed accentrano tutto. I fatti dicono che, negl’intendimenti della massoneria, i nomi d’indipendenza politica, di uguaglianza, di civiltà, di progresso miravano ad agevolare nella patria nostra l’indipendenza dell’uomo da Dio, la licenza dell’errore e del vizio, la lega di una fazione a danno degli altri cittadini, l’arte dei fortunati del secolo di godersi più agiatamente e deliziosamente la vita, il ritorno di un popolo redento col divin sangue alle divisioni, alle corruttele, alle vergogne del paganesimo.

6. E non accade meravigliarsi di ciò. Una setta che dopo diciannove secoli di cristiana civiltà si sforza di abbattere la Chiesa Cattolica, e di reciderne le divine sorgenti; che, negatrice assoluta del soprannaturale, ripudia ogni rivelazione, e tutti i mezzi di salute che la rivelazione ci addita; che pei disegni e le opere sue fondasi unicamente e interamente sopra una natura inferma e corrotta come è la nostra; tale setta non può essere altro che il sommo dell’orgoglio, della cupidigia spoglia, la sensualità corrompe; e quando queste tre concupiscenze giungono al grado estremo, le oppressioni, gli spogliamenti, le corruttele seduttrici, via via allargandosi, prendono dimensioni smisurate, diventano oppressione, spogliamento, fomite corruttore di tutto un popolo.

7. Lasciate dunque che, rivolgendo a voi la Nostra parola, vi additiamo la massoneria come nemica ad un tempo di Dio, della Chiesa e della nostra patria. Riconoscetela come tale praticamente una volta; e con tutte le armi, che ragione, coscienza e fede vi pongono in mano, schermitevi da sì fiero nemico. Niuno si lasci illudere dalle sue belle apparenze, niuno allettare dalle sue promesse, sedurre dalle sue lusinghe, atterrire dalle sue minacce. Ricordatevi che essenzialmente inconciliabili tra loro sono Cristianesimo e massoneria; sì che aggregarsi a questa è un far divorzio da quello. Tale incompatibilità tra le due professioni di cattolico e di massone ormai, diletti figli, non potete ignorarla: ve ne avvertirono apertamente i Nostri Predecessori, e Noi per ugual modo ve ne ripetemmo altamente l’avviso. Coloro pertanto che per somma disgrazia han dato il nome ad alcuna di queste società di perdizione, sappiano che sono strettamente tenuti a separarsene, se non vogliono restar divisi dalla comunione cristiana, e perdere l’anima loro nel tempo e nell’eternità. Sappiano altresì i genitori, gli educatori, i padroni e quanti han cura di altri, che obbligo rigoroso li stringe d’impedire al possibile che entrino nella rea setta i loro soggetti, o che, entrati, vi rimangano.

8. Preme poi, in cosa di tanta importanza e dove la seduzione ai dì nostri è cosa facile, che il Cristiano si guardi dai primi passi, tema i più leggeri pericoli, eviti ogni occasione, prenda le più sollecite precauzioni, usi insomma, secondo il consiglio evangelico, pur serbando in cuore la semplicità della colomba, tutta la prudenza del serpente. I padri e le madri di famiglia si guardino dall’accogliere in casa e di ammettere all’intimità delle confidenze domestiche persone ignote, o almeno quanto a religione non conosciute abbastanza; procurino invece di accertarsi prima che sotto il manto dell’amico, del maestro, del medico, o di altro benevolo non si celi un astuto arruolatore della setta. Oh in quante famiglie il lupo penetrò in veste d’agnello! Bella cosa sono le svariatissime società, che oggi in ogni ordine di sociale attinenza con fecondità prodigiosa sorgono da per tutto: società operaie, di mutuo soccorso, di previdenza, di scienze, di lettere, di arti, e simiglianti; e quando siano informate da buono spirito morale e religioso, tornano certamente proficue e opportune. Ma poiché qui pure, anzi qui specialmente è penetrato e penetra il veleno massonico, si abbiano per generalmente sospette, e si evitino le società che, sottraendosi ad ogni influsso religioso, possono facilmente essere dirette e dominate più o meno da massoni, come quelle che, oltre a porgere aiuto alla setta, ne sono, può dirsi, il semenzaio e il tirocinio. A società filantropiche, di cui non ben conoscano la natura e lo scopo, non si ascrivano facilmente le donne senza essersi prima consigliate con persone sagge e sperimentate, giacché passaporto alla merce massonica è spesso quella ciarliera filantropia, contrapposta con tanta pompa alla carità cristiana. Con gente sospetta di appartenere alla massoneria o a sodalizi ad essa aggregati procuri ognuno di non aver amicizia o dimestichezza: dai loro frutti li conosca e li fugga. E non solo di coloro che, palesemente empi e libertini, portano in fronte il carattere della setta, ma di quelli si eviti il tratto familiare, che si occultano sotto la maschera di universale tolleranza, di rispetto a tutte le religioni, di smania di voler conciliare le massime del Vangelo e le massime della rivoluzione, Cristo e Belial, la Chiesa di Dio e lo Stato senza Dio. Libri e giornali che stillano il tossico dell’empietà e che attizzano negli umani petti il fuoco delle cupidigie sfrenate e delle sensuali passioni; circoli e gabinetti di lettura, ove lo spirito massonico si aggira cercando chi divorare, siano al Cristiano, e ad ogni Cristiano, luoghi e stampa che fanno orrore.

9. Se non che, trattandosi di una setta che ha tutto invaso, non basta tenersi contro di lei in sulle difese, ma bisogna coraggiosamente uscire in campo ed affrontarla. Il che voi, diletti figli, farete, opponendo stampa a stampa, scuola a scuola, associazione ad associazione, congresso a congresso, azione ad azione. La massoneria si è impadronita delle scuole pubbliche; e voi con le scuole private, con quelle di zelanti ecclesiastici e di religiosi dell’uno e dell’altro sesso contendetele l’istruzione e l’educazione della puerizia e gioventù cristiana, e soprattutto i genitori cristiani non affidino l’educazione dei loro figli a scuole non sicure. Essa ha confiscato il patrimonio della pubblica beneficenza; e voi supplite col tesoro della privata carità. Nelle mani dei suoi adepti ha ella messo le Opere pie: e voi quelle che da voi dipendono affidatele a cattolici istituti. Ella apre e mantiene case di vizio; e voi fate il possibile per aprire e mantenere ricoveri all’onestà pericolante. A’ suoi stipendi milita una stampa religiosamente e civilmente anticristiana; e voi con l’opera e col danaro aiutate, promuovete, propagate la stampa cattolica. Società di mutuo soccorso ed istituti di credito sono fondati da lei a pro dei suoi partigiani; e voi fate altrettanto non solo pei vostri fratelli, ma per tutti gl’indigenti, mostrando che la vera e schietta carità è figlia di colui che fa sorgere il sole e cadere la pioggia sui giusti e sui peccatori.

10. Questa lotta del bene col male si estenda a tutto, e cerchi, in quanto è possibile, di riparare tutto. La massoneria tiene frequenti congressi per concertar nuovi modi di combattere la Chiesa; e voi teneteli frequentemente per meglio intendervi intorno ai mezzi e all’ordine della difesa. Ella moltiplica le sue logge; e voi moltiplicate circoli cattolici e comitati parrocchiali, promuovete associazioni di carità e di preghiera, concorrete a mantenere ed accrescere lo splendore del tempio di Dio. La setta, non avendo più nulla a temere, mostra oggi il viso alla luce del giorno; e voi, Cattolici italiani, fate anche voi aperta professione della vostra fede, ad esempio dei gloriosi vostri antenati, che innanzi ai tiranni, ai supplizi, alla morte la confessavano intrepidi e l’autenticavano con la testimonianza del sangue. Che più? Si sforza la setta di asservire la Chiesa, e di metterla, umile ancella, ai piedi dello Stato? E voi non cessate di chiederne e, dentro le vie legali, di rivendicarne la dovuta libertà e indipendenza. Cerca essa di lacerare l’unità cattolica, seminando nel clero stesso zizzania, suscitando contese, fomentando discordie, aizzando gli animi all’insubordinazione, alla rivolta, allo scisma? E voi, stringendo sempre più il sacro nodo della carità e dell’obbedienza, sventate i suoi disegni, mandate a vuoto i suoi tentativi, deludete le sue speranze. Come i primitivi fedeli, siate tutti un cuore ed un’anima; e raccolti intorno alla cattedra della Chiesa e dei vostri Pastori, tutelate gl’interessi supremi della Chiesa e del Papato, che sono altresì i supremi interessi dell’Italia e di tutto il mondo cristiano. Ispiratrice e gelosa custode delle italiche grandezze fu sempre l’Apostolica Sede. Siate dunque italiani e Cattolici, liberi e non settari, fedeli alla patria e insieme a Cristo ed al Vicario suo, persuasi che un’Italia anticristiana e antipapale sarebbe opposta all’ordinamento divino, e quindi condannata a perire.

11. Diletti figli, la Religione e la patria vi parlano in questo momento per bocca Nostra. E voi ascoltate il loro grido pietoso, sorgete unanimi e combattete virilmente le battaglie del Signore. Il numero, la baldanza, la forza dei nemici non vi atterriscano; ché Dio è più forte di loro, e se Dio è con voi, che potranno essi contro di Voi? Affinché poi con maggior copia di grazie Iddio sia con voi, con voi combatta, con voi trionfi, raddoppiate le vostre preghiere, accompagnatele con l’esercizio delle cristiane virtù e specialmente coll’esercizio della carità verso i bisognosi, e rinnovando ogni dì le promesse del Battesimo, implorate umilmente, instantemente, perseverantemente le divine misericordie. Come auspicio di queste, e come pegno altresì della Nostra paterna dilezione, v’impartiamo, diletti figli, la benedizione Apostolica.

Dato a Roma, presso S. Pietro, il giorno 8 dicembre 1892, anno decimoquinto del Nostro Pontificato.


UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI (… CON CAZZUOLA E GREMBIULINO) DI TORNO: S. S. PIO IX- “ETSI MULTA”

Il Santo Padre Pio IX, nel biasimare e condannare le leggi inique emanate in Svizzera, Austria ed in Prussia, non teme di attribuire questa nuova persecuzione a quella che egli definisce, con termine apocalittico, la “sinagoga di satana”, cioè la massoneria e le sette di qualsivoglia denominazione, a questa collegata dai medesimi principi e fini. Comincia con il descrivere le angherie e le ingiustizie perpetrate ai danni della Gerarchia canonicamente costituita, ai religiosi tutti ed agli interessi spirituali e materia dei fedeli cattolici, scomunicando tra l’altro un falso vescovo imposto da empie autorità civili, compreso l’imperatore di Prussia (che la storia ha poi appurato essere un noto massone), senza giurisdizione e senza mandato pontificio. Oggi, di tali soggetti sacrileghi e contravventori di tutte le regole canoniche più elementari, ce ne sono tantissimi in giro, millantando cattedre ed uffici di cui sono semplicemente usurpanti, ci riferiamo naturalmente ai cosiddetti scismatici gallicani fallibilisti delle “fraternità paramassoniche” (termine eufemistico per indicare ben altro), ai tradizionalisti falsi sedevacantisti senza uno straccio di giurisdizione né missione canonica, oltre agli aderenti ai falsi vescovi di Roma del Novus ordo con giurisdizioni usurpate. Ma a questo panorama sconfortante, il Santo Padre reagisce ed esorta il piccolo gregge dei veri Cattolici superstiti ed imperterriti, confidando nell’aiuto divino, a reagire citando le nobilissime parole di Crisostomo: « Molti flutti, molte gravi tempeste incalzano; ma non temiamo d’essere sommersi, perché posiamo sulla pietra. Infierisca pure il mare; la pietra non potrà venirne disciolta. Insorgano pure le onde; la nave di Gesù non potrà venirne affondata. Nulla è più potente della Chiesa. La Chiesa è più forte dello stesso cielo. Passeranno il cielo e la terra; ma le parole di Cristo non passeranno. Quali parole? “Tu sei Pietro e sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte dell’inferno non prevarranno contro di lei”. Se non credi alle parole, credi ai fatti. Quanti tiranni tentarono di opprimere la Chiesa? Quante caldaie, quante fornaci, e denti di fiere, e aguzze spade! Tuttavia non ottennero nulla. Dove sono quei nemici? Sono dispersi nel silenzio e nell’oblio. E dove è la Chiesa? Ella splende più del sole. Le imprese di quei tali si estinsero, le cose della Chiesa vivono immortali. Se quando i cristiani erano pochi, non furono vinti, come potrai vincerli, quando l’intero mondo è pieno della loro sacra Religione? Il Cielo e la terra passeranno; ma le mie parole non passeranno”. Pertanto, non spaventati da alcun pericolo e sgombri da ogni dubbio, perseveriamo nella preghiera e procuriamo di giungere a questo: che tutti ci sforziamo di placare l’ira celeste, provocata dai delitti degli uomini, in modo che alla fine sorga l’Onnipotente nella sua misericordia, comandi ai venti e porti la tranquillità. ». – Temano piuttosto i servi della sinagoga di satana … il seme del serpente ovunque essi siano, soprattutto se infiltrati nel luogo santo: « Inimicitias ponam inter te et mulierem, et semen tuum et semen illius: Ipsa conteret caput tuum, et tu insidiaberis calcaneo ejus. » Il seme della Vergine Immacolata, benché insidiato e combattuto ed odiato, avrà la definitiva vittoria sul seme del serpente, Dio lo ha promesso fin dalla più remota antichità, ed il suo Cristo lo ha solennemente confermato … et portæ inferi non prævalebunt. Riposate, i vostri sforzi non approderanno ad un bel niente, siete sconfitti già in partenza, rassegnatevi, PENTITEVI e scansate l’inferno che vi attende!

Pio IX
Etsi multa

Benché fin dagli stessi inizi del Nostro lungo Pontificato abbiamo dovuto subire sofferenze e lutti, di cui Noi abbiamo trattato nelle encicliche a Voi spesso inviate; tuttavia in questi ultimi anni la mole delle miserie è venuta crescendo in maniera tale che quasi ne saremmo schiacciati, se non Ci sostenesse la benignità divina. Anzi, le cose sono ora giunte a tal punto che la stessa morte sembra preferibile ad una vita sbattuta da tante tempeste, e spesso con gli occhi levati al cielo siamo costretti ad esclamare: “È meglio per Noi il morire, che vedere lo sterminio delle cose sante” (1Mac III,59). Certamente da quando questa Nostra nobile Città, per volere di Dio, fu presa con la forza delle armi, e assoggettata al governo di uomini che calpestano il diritto, e sono nemici della Religione, per i quali non esiste distinzione alcuna fra le cose divine ed umane, non è trascorso quasi giorno alcuno, che al nostro cuore, già piagato per le ripetute offese e violenze, non s’infliggesse una nuova ferita. Risuonano tuttora alle nostre orecchie i lamenti ed i gemiti degli uomini e delle vergini appartenenti a famiglie religiose che, cacciati dalle loro case e ridotti in povertà, vengono perseguitati e dispersi, come suole accadere dovunque domina quella fazione, la quale tende a sovvertire l’ordine sociale. Infatti come per testimonianza di Sant’Atanasio diceva il grande Antonio, il diavolo odia tutti i Cristiani, ma non può in alcun modo tollerare i buoni monaci e le vergini di Cristo. E anche questo abbiamo visto negli ultimi tempi (che non sospettavamo potesse mai accadere), cioè che venisse condannata e soppressa la Nostra Università Gregoriana; la quale (come un antico autore scriveva a proposito della scuola Romana Anglosassone) era istituita allo scopo che i giovani chierici, anche di lontane regioni, venissero ad istruirsi nella dottrina e nella Fede Cattolica, affinché nelle loro chiese non s’insegnasse nulla di distorto o contrario all’Unità Cattolica, e così tornassero alle loro contrade consolidati nelle certezze della Fede. Così, mentre con metodi malvagi Ci vengono sottratti a poco a poco tutti i presidi e gli strumenti, coi quali possiamo reggere e governare la Chiesa tutta, appare chiaro quanto sia lontano dal vero ciò che fu poco fa affermato, e cioè che, strappataci Roma, non sia diminuita la libertà del Romano Pontefice nell’esercizio del ministero spirituale e nella gestione di quelle cose che spettano al mondo cattolico. Contemporaneamente si fa ogni giorno più chiaro quanto fosse vero e giusto ciò che da Noi è stato tante volte dichiarato e ripetuto, e cioè che l’occupazione sacrilega del Nostro Stato mirava in primo luogo a spezzare la forza e l’efficacia del Primato Pontificio, ed a distruggere, se fosse possibile, la stessa Religione Cattolica. – Ma la Nostra principale intenzione non è di scrivere a Voi riguardo ai mali, da cui questa Nostra città e l’intera Italia sono travagliate, ché anzi Noi forse comprimeremmo in mesto silenzio queste Nostre afflizioni, se Ci fosse concesso dalla divina clemenza di poter lenire gli aspri dolori, dai quali in altre regioni tanti Venerabili Fratelli, preposti alle cose sacre, insieme al loro Clero e al loro popolo sono afflitti. – Voi certamente non ignorate, Venerabili Fratelli, come alcuni Cantoni della Confederazione Elvetica, sospinti non tanto dagli eterodossi (alcuni dei quali anzi hanno biasimato il fatto) quanto dagli operosi seguaci delle sette, (padroni oggi qua e là del potere), abbiano sovvertito ogni ordine e divelto gli stessi fondamenti della costituzione della Chiesa di Cristo, non solo contro ogni regola di giustizia e di ragione, ma anche contro i pubblici impegni. Infatti, in virtù di solenni trattati, difesi anche dal suffragio e dall’autorità delle leggi federali, doveva rimanere intera ed illesa la libertà religiosa per i Cattolici. Nella Nostra Allocuzione del 23 dicembre dello scorso anno Noi abbiamo deplorato la violenza fatta alla Religione dai governi di quei cantoni “sia con l’emanare decreti intorno ai dogmi della Fede Cattolica, sia favorendo gli apostati, sia impedendo l’esercizio dell’autorità episcopale“. Ma le Nostre giustissime lamentele, rivolte anche per Nostro comando al Consiglio Federale dal Nostro Incaricato d’affari, furono del tutto trascurate; né in maggior conto furono tenute le rimostranze, ripetutamente espresse dai Cattolici di ogni ordine e dall’Episcopato svizzero; anzi, alle offese inflitte prima se ne aggiunsero delle nuove e più gravi. – Infatti, dopo la violenta espulsione del Venerabile Fratello Gaspare, Vescovo di Hebron e Vicario Apostolico di Ginevra, – la quale quanto fu decorosa e gloriosa per chi l’ha subita, altrettanto fu ignobile e indegna per coloro che la imposero e la eseguirono – il governo di Ginevra, nei giorni 23 marzo e 27 agosto di questo anno, promulgò due leggi, pienamente conformi all’editto (proposto nel mese di ottobre dell’anno precedente) che era stato da Noi biasimato nell’Allocuzione che prima abbiamo ricordato. Il medesimo Ggverno, anzi, si è arrogato il diritto di rifare in quel Cantone la Costituzione della Chiesa Cattolica, e di redigerla in forma democratica, assoggettando il Vescovo all’autorità civile, sia per quanto si riferisce all’esercizio della sua giurisdizione e della sua amministrazione, sia per quanto riguarda la delegazione della sua potestà; vietandogli d’aver domicilio in quel Cantone; determinando il numero e i confini delle parrocchie; proponendo la forma e le condizioni dell’elezione dei Parroci e dei Vicari, i casi e il modo di revoca o di sospensione dei medesimi dal loro incarico; affidando ai laici il diritto di nominarli e l’amministrazione temporale del culto, e preponendo gli stessi laici quali ispettori alle funzioni della Chiesa in generale. È sancito inoltre da quelle leggi che senza il permesso del governo, anch’esso revocabile, i Parroci e i Vicari non possano esercitare alcuna funzione, non possano accettare alcun incarico superiore a quello che hanno assunto per elezione del popolo, e allo stesso modo siano costretti a prestare giuramento all’autorità civile, con parole che, a rigore di termini, contengono apostasia. Non c’è nessuno che non veda che queste leggi non solo sono irrite e non possiedono alcun vigore, per la totale mancanza di autorità dei legislatori laici, e per lo più eterodossi, i quali ancora, nelle cose che comandano, si oppongono talmente ai dogmi della Fede Cattolica e alla disciplina della Chiesa, sancita dal Concilio Ecumenico Tridentino e dalle Costituzioni pontificie, tanto che è assolutamente necessario che siano da Noi riprovate e condannate. – Noi pertanto, secondo i doveri del Nostro Ufficio, con la Nostra Autorità Apostolica, solennemente riproviamo e condanniamo tali leggi, dichiarando contemporaneamente che è illecito e totalmente sacrilego il giuramento da esse imposto. Pertanto, tutti coloro che, eletti nel territorio di Ginevra o altrove, secondo i decreti di queste leggi o in modo simile, per suffragio del popolo e conferma dell’autorità civile, osino esercitare le funzioni del ministero ecclesiastico, incorrono ipso facto nella scomunica maggiore, peculiarmente riservata a questa Santa Sede, e nelle altre pene canoniche; e che di conseguenza tutti costoro devono essere tenuti lontani dai fedeli, secondo l’ammonizione divina, come alieni e ladri che non vengono se non per rubare, uccidere, mandare in rovina (Gv X, 5.10). – Sono certamente tristi e funeste le cose che fin qui abbiamo ricordato, ma più funeste quelle che avvennero in cinque dei sette cantoni, di cui è composta la Diocesi di Basilea, cioè Soletta, Berna, Basilea Campagna, Argevia, Turgovia. Anche qui furono emanate leggi (riguardo alle parrocchie, all’elezione e alla revoca dei Parroci e dei Vicari) che sovvertono l’amministrazione della Chiesa e la sua divina Costituzione e sottomettono il ministero ecclesiastico al potere secolare e sono in tutto scismatiche. Queste leggi dunque, e particolarmente quella che fu promulgata dal governo di Soletta il giorno 23 dicembre dell’anno 1872, Noi biasimiamo e condanniamo, e decretiamo che esse debbano considerarsi per sempre riprovate e condannate. Pertanto il Venerabile Fratello Eugenio, Vescovo di Basilea, in un convegno (ossia conferenza, come dicono, diocesana) a cui erano convenuti i Delegati dei cinque Cantoni sopraddetti, ha respinto con giusta indignazione e costanza apostolica alcuni articoli che gli venivano proposti: la ragione del rifiuto era che essi offendevano l’autorità episcopale, sovvertivano il governo gerarchico, e favorivano apertamente l’eresia. Per questo motivo egli fu deposto dall’Episcopato, strappato dalle sue case, e cacciato violentemente in esilio. Allo stesso modo non fu tralasciato nessun genere di frode o di violenza, nei predetti cinque cantoni, per indurre il clero ed il popolo allo scisma; fu vietato al clero qualunque rapporto col Pastore in esilio e fu comandato al Capitolo della Cattedrale di Basilea di procedere all’elezione del Vicario Capitolare, o Amministratore, come se la Sede episcopale fosse realmente vacante; questo indegno eccesso fu rifiutato dal Capitolo, con apposita protesta. Intanto per decreto e sentenza dei Magistrati civili di Berna fu dapprima imposto a sessantanove Parroci del Giura di non esercitare le funzioni del proprio ministero; poi l’incarico fu tolto per questo solo motivo, che pubblicamente avevano testimoniato di riconoscere come legittimo e unico Vescovo e Pastore il Venerabile Fratello Eugenio, cioè di non voler turpemente rinnegare la verità cattolica. Così è avvenuto che tutto quel territorio, (che aveva sempre conservato la Fede Cattolica, e che da tempo era stato congiunto al cantone Bernese con la legge e con il patto che potesse esercitare liberamente e senza violazione alcuna la sua religione) venisse privato delle sue adunanze parrocchiali, delle solennità del Battesimo, delle nozze, e dei funerali; di questo invano si lamentava e reclamava la moltitudine dei fedeli, la quale con somma offesa era stata ridotta alla scelta estrema di dovere o ricevere i pastori scismatici ed eretici, imposti dal potere politico, o rimanere privata d’ogni aiuto e ministero sacerdotale. – Noi di cuore benediciamo Iddio, il quale con la medesima grazia con cui un tempo confortava e confermava i martiri, ora sostiene e rende forte quella eletta parte del Gregge Cattolico, la quale virilmente segue il suo Vescovo, che combatte come muro in difesa della casa d’Israele, affinché stia salda in battaglia nel giorno del Signore (Ez XVIII, 5), e senza conoscere la paura segue le orme del primo Martire, Gesù Cristo, mentre, opponendo la mansuetudine dell’agnello alla ferocia dei lupi, propugna in modo forte e costante la propria Fede. – Questa nobile fermezza dei fedeli Svizzeri è emulata con non minore gloria dal Clero e dal popolo fedele di Germania, il quale allo stesso modo segue gli illustri esempi dei suoi Vescovi. Questi certamente sono diventati oggetto di ammirazione per il mondo, per gli Angeli e per gli uomini, i quali da ogni parte guardano come costoro, rivestiti della corazza della verità cattolica e dell’elmo della salvezza, strenuamente combattono le battaglie del Signore, e tanto più ammirano la fortezza e la costanza incrollabile del loro animo e con alte lodi le esaltano, quanto più cresce di giorno in giorno l’aspra persecuzione, mossa contro di loro nell’Impero Germanico e soprattutto in Prussia. – Oltre alle molte e gravi offese inflitte alla Chiesa Cattolica nell’anno precedente, il Governo prussiano, con leggi durissime ed ingiuste e del tutto estranee alle consuetudini fin ad allora adottate, ha sottoposto l’intera istituzione ed educazione del Clero alla potestà laica in modo tale che a questa compete la facoltà di esaminare e determinare in quale modo i chierici debbono essere istruiti e preparati per la vita sacerdotale e pastorale; e andando ancora più oltre, attribuisce alla medesima potestà laica il diritto di conoscere e giudicare sul contributo relativo a qualunque ufficio e beneficio ecclesiastico, e di privare anche dell’ufficio e beneficio i suoi Pastori. Inoltre, affinché in modo più rapido e totale venissero sconvolti il governo e l’ordinamento gerarchico della Chiesa stabilito dallo stesso Cristo Signore, da tali leggi sono stati introdotti molti impedimenti ai Vescovi, affinché non possano opportunamente provvedere, mediante censure e pene canoniche, né alla salvezza delle anime, né alla integrità della dottrina nelle scuole cattoliche, né all’ossequio loro dovuto da parte dei chierici. Infatti, in nome di queste leggi non è lecito ai Vescovi fare tali cose, in nessun modo se non con il beneplacito dell’autorità civile e secondo la norma da lei prescritta. Infine, affinché nulla mancasse alla totale oppressione della Chiesa Cattolica, è stato istituito un regio tribunale per gli affari ecclesiastici, presso il quale i Vescovi e i sacri Pastori possono essere citati tanto dai cittadini privati che siano da loro dipendenti, quanto dai pubblici magistrati, in modo che siano sottoposti a giudizio come rei e siano impediti nell’esercizio del ministero spirituale. – Così la santissima Chiesa di Cristo, a cui era stata assicurata la necessaria e piena libertà religiosa, anche con solenni e ripetute promesse dei supremi Principi e con pubbliche convenzioni ufficiali, ora piange in quei luoghi, spogliata di ogni suo diritto, esposta a forze nemiche che la minacciano di morte; queste nuove leggi infatti sono tali che ella non può sopravvivere. Non c’è dunque da meravigliarsi che l’antica tranquillità religiosa in quell’Impero sia gravemente turbata da queste leggi e da altre decisioni ed atti del governo prussiano quanto mai ostili nei confronti della Chiesa. Ma sarebbe ingiusto gettare la colpa di questo sconvolgimento sui Cattolici dell’Impero germanico. Perché se si deve imputare loro come colpa il non adattarsi a quelle leggi, a cui, salva la coscienza, non possono adattarsi, per la stessa causa e allo stesso modo dovrebbero essere accusati gli Apostoli ed i Martiri di Gesù Cristo, i quali preferirono soggiacere ai più atroci supplizi e alla stessa morte, piuttosto che tradire il loro dovere e violare le leggi della loro santissima Religione, obbedendo agli empi comandi di Principi persecutori. Certamente, Venerabili Fratelli, se al di là delle leggi del mondo civile non ce ne fossero altre, e certamente di più alto valore, che è doveroso riconoscere ed illecito violare; se, inoltre, queste leggi civili costituissero la suprema norma della coscienza, così come in modo empio ed egualmente assurdo alcuni pretendono, sarebbero degni di rimprovero piuttosto che di onore e di lode i primi martiri e tutti quelli che poi li imitarono, per avere sparso il proprio sangue per la Fede di Cristo e per la libertà della Chiesa. Anzi, non sarebbe stato neppure lecito insegnare e professare la Religione Cristiana e fondare la Chiesa contro quanto era prescritto dalle leggi e dalla volontà dei Sovrani. Tuttavia la Fede ci insegna, e l’umana ragione ci dimostra, che esiste un doppio ordine di cose, e allo stesso modo si deve distinguere una duplice potestà sulla terra: l’una, di origine naturale, che provvede alla tranquillità dell’umana società e alle cose del mondo; l’altra, di origine soprannaturale, che presiede alla città di Dio, cioè alla Chiesa di Cristo, da Dio istituita per la pace e per l’eterna salvezza delle anime. Ora i compiti di queste due potestà sono stati ordinati con somma sapienza, in modo che si rendano a Dio le cose che sono di Dio, e per riguardo a Dio si rendano a Cesare le cose che sono di Cesare; “il quale perciò è grande qui, perché è minore in cielo; appartenendo egli a Colui, al quale appartengono il cielo ed ogni cosa creata“. E da questo divino comandamento certo la Chiesa non si è mai allontanata: sempre e dappertutto Ella si è adoperata per inculcare nell’animo dei suoi fedeli l’obbedienza che inviolabilmente essi debbono mantenere verso i supremi Principi e le loro leggi per quanto riguarda i doveri secolari, e secondo le parole dell’Apostolo insegnò che i Principi sono stati istituiti non per timore delle opere buone, ma di quelle cattive; essa comanda ai fedeli di essere loro sottoposti, non solo per timore della pena, in quanto il Principe è armato della spada per punire chi compie il male, ma anche per l’obbligo di coscienza, dato che il Principe nell’adempimento del suo ufficio è ministro di Dio (Rm XIII, 3ss.). Senonché la coscienza ridusse questo timore dei Principi nei confronti delle cattive azioni, fino a svincolarlo addirittura dall’osservanza della legge divina. Si ricorda di essa il beato Pietro, che insegnò ai fedeli: “Nessuno di voi si adatti a vivere come omicida, o ladro, o calunniatore, o desideroso dei beni altrui; ma se vive come Cristiano, non arrossisca, e glorifichi anzi Dio in questo nome” (1Pt IV, 14-15). – Stando così le cose, facilmente comprenderete, Venerabili Fratelli, di quanto dolore necessariamente Ci sentiamo trafiggere l’animo nel leggere nella lettera, da poco inviataci dallo stesso Imperatore germanico l’accusa, non meno atroce che impensabile, contro una parte, come egli dice, dei suoi sudditi Cattolici, e in particolare contro il Clero Cattolico ed i Vescovi della Germania. L’unica motivazione di quella accusa è che costoro, senza temere né le sofferenze né le carceri, e non preoccupandosi della loro vita più che di se stessi (At XX, 24), rifiutano di obbedire alle sopraddette leggi, con la medesima costanza con la quale, prima che esse fossero sancite, vi si erano opposti, denunziandone al Potere gli errori e spiegandoli, con gravi pesanti numerose e solidissime rimostranze, che con plauso di tutto il mondo cattolico e anche di non pochi eterodossi, hanno presentato al Principe, ai Ministri, e alla stessa suprema Assemblea del Regno. – Per questo essi sono ora accusati di tradimento, come se fossero in accordo e cospirassero con coloro che tentano di sconvolgere tutti gli ordinamenti della società umana, senza tenere in considerazione le numerose e autorevoli prove che evidentemente dimostrano la loro saldissima fedeltà e la loro obbedienza verso il Principe, e il loro caldo amore verso la patria. Ché, anzi, Noi stessi siamo pregati di esortare quei Cattolici e i sacri Pastori all’osservanza di quelle leggi, come se Noi stessi concorressimo con l’opera Nostra ad opprimere e a disperdere il gregge di Cristo. Ma, fiduciosi in Dio, Noi speriamo che il serenissimo Imperatore, conosciute e ponderate meglio le cose, respingerà un sospetto tanto inconsistente ed incredibile verso sudditi fedelissimi, né permetterà che il loro onore sia straziato più a lungo da una così turpe diffamazione e che una tanto immeritata persecuzione continui contro di loro. Del resto Noi avremmo ben volentieri ignorato in questa sede questa lettera dell’Imperatore se, a Nostra insaputa e con scelta davvero insolita, non fosse stata divulgata dal giornale ufficiale di Berlino, insieme con un’altra scritta di Nostra mano, in cui Ci appellavamo alla giustizia del serenissimo Imperatore in favore della Chiesa Cattolica in Prussia. – Le cose che abbiamo ricordato fin qui sono davanti agli occhi di tutti: perciò mentre i Religiosi e le vergini consacrate a Dio vengono privati della libertà comune a tutti i cittadini, e vengono perseguitati con crudele ferocia; mentre le scuole pubbliche, nelle quali si educa la gioventù cattolica, vengono sottratte ogni giorno di più al salvifico Magistero e alla vigilanza della Chiesa; mentre si sciolgono i sodalizi istituiti per promuovere la Religione, e perfino gli stessi seminari dei chierici; mentre s’impedisce la libertà della predicazione evangelica; mentre in alcune parti del Regno si proibisce che venga impartita nella lingua materna l’istruzione religiosa; mentre vengono allontanati a forza dalle loro parrocchie i Parroci colà preposti dai Vescovi; mentre gli stessi Vescovi vengono privati delle loro rendite, perseguitati con multe, atterriti con la minaccia del carcere; mentre i Cattolici sono tormentati con ogni sorta di vessazione, è possibile che Noi Ci persuadiamo di quello che Ci si vuole dare a credere, cioè che né la Religione di Cristo né la verità sono chiamate in causa? – E non finiscono qui le offese che si fanno alla Chiesa Cattolica. Si aggiunge anche il fatto che il governo prussiano ed altri dell’Impero germanico hanno apertamente assunto la protezione di quei nuovi eretici, che, per un abuso di nome si chiamano Vecchi cattolici, il che sarebbe degno di riso, se i tanti mostruosi errori di quella setta contro i principi fondamentali della Fede, i tanti sacrilegi nella celebrazione dei misteri divini e nell’amministrazione dei sacramenti, i tanti gravissimi scandali, infine la tanto grande rovina delle anime redente dal sangue di Cristo, non inducessero piuttosto a versare calde lacrime. – E che cosa tentino e dove mirino codesti miserabili figli del male, chiaramente si vede da altri loro scritti, e soprattutto da quello empio e spregiudicato che fu pubblicato poco tempo fa da colui che essi, di recente, hanno eletto come pseudo-Vescovo. Essi infatti sovvertono il vero potere di giurisdizione che risiede nel Romano Pontefice e nei Vescovi, successori del Beato Pietro e degli Apostoli, e lo trasferiscono al popolo, ossia, come dicono, alla comunità; rifiutano sfacciatamente e combattono il Magistero infallibile sia del Romano Pontefice, sia di tutta la Chiesa docente. Contro lo Spirito Santo (che Cristo affermò che sarebbe rimasto in eterno nella Chiesa), essi con incredibile ardire sostengono che il Romano Pontefice, e tutti i Vescovi, sacerdoti e popoli, congiunti con lui in unità di fede e di comunione, sono caduti in eresia, quando hanno sancito e professato le definizioni del Concilio Ecumenico Vaticano. Negano quindi anche l’infallibilità della Chiesa, bestemmiando che essa è morta in tutto il mondo, e che il suo Capo visibile e i Vescovi non esistono più; quindi vanno dicendo che è sorta in loro la necessità di restaurare l’episcopato legittimo nel loro pseudo-Vescovo, il quale, salendo alla carica non per la porta, ma in modo diverso, come uno che rapina o ruba, attira egli stesso sul proprio capo la dannazione di Cristo. – Ciò nonostante questi miserabili, che sovvertono i fondamenti della Religione Cattolica, che distruggono tutti i suoi principi e i suoi caratteri, che hanno inventato tanto turpi e numerosi errori o, piuttosto, desumendoli dal vecchio patrimonio degli eretici e raccogliendoli insieme, li hanno riproposti, non si vergognano di dirsi cattolici, Vecchi cattolici, mentre con la loro dottrina, con la loro stranezza, e con il loro numero rimuovono da se stessi in modo totale ambedue i caratteri: l’antichità e la Cattolicità. Contro costoro, con maggior diritto certamente che non un tempo Agostino contro i Donatisti, insorge la Chiesa diffusa fra tutte le genti: quella Chiesa che Cristo, figlio del Dio vivente, edificò sopra una pietra e contro la quale le porte dell’inferno non prevarranno; quella Chiesa con la quale Egli, a cui è data ogni potestà in cielo ed in terra, disse che sarebbe stato tutti i giorni fino alla consumazione dei secoli. “Grida la Chiesa all’eterno suo Sposo: come può accadere che alcuni, non so chi, allontanatisi da me, mormorino contro di me? Come può essere che coloro che sono perduti pretendano che io sia perita? Annunziami la brevità dei miei giorni: per quanto tempo starò in questo mondo? Annunzialo a me per coloro che dicono: “Fu e non è più”; per coloro che dicono: “Sono adempiute le Scritture, tutte le genti hanno creduto, ma la Chiesa ha apostatato ed è perita per tutte le genti. Ed egli l’annunziò, né la sua voce fu vana”. In che modo l’annunziò? “Ecco, io sono con voi fino alla consumazione dei secoli”. Colpita dalle vostre parole e dalle vostre false opinioni, la Chiesa chiede a Dio che le dichiari la brevità dei suoi giorni, e trova che il Signore ha detto: “Ecco, io sono con voi fino alla consumazione dei secoli”. Qui voi dite: “Di noi ha detto: noi siamo e saremo fino alla consumazione dei secoli. Si interroghi lo stesso Cristo”. Egli disse: “Si predicherà questo Vangelo in tutto il mondo, a testimonianza per tutte le genti, ed allora verrà la fine”. Dunque, sino alla fine dei secoli la Chiesa è in tutte le genti. Periscano gli eretici, periscano per quello che sono; e vengano recuperati affinché siano ciò che non sono” . – Ma codesti uomini che procedono con maggior audacia per la via dell’iniquità e della perdizione (come per giusto giudizio di Dio suole accadere alle sette degli eretici) hanno voluto anche, come accennammo, creare una gerarchia, e hanno eletto e creato pseudo-vescovo certo Giuseppe Uberto Reinkens, noto apostata della fede cattolica; ed affinché non mancasse nulla alla loro impudenza, per la sua consacrazione ricorsero a quei Giansenisti di Utrecht, che essi, prima che si ribellassero alla Chiesa, consideravano (insieme con gli altri cattolici) eretici e scismatici. Tuttavia quel Giuseppe Uberto osa dichiararsi vescovo, e, cosa che supera ogni credibilità, è riconosciuto e nominato con pubblico decreto come vero Vescovo Cattolico dal serenissimo Imperatore di Germania, e proposto a tutti i sudditi perché sia considerato e riverito quale legittimo vescovo. Eppure gli stessi primi elementi della Dottrina Cattolica insegnano che non può essere considerato Vescovo legittimo, nessuno che non sia congiunto per comunione di fede e di carità con la Pietra sopra cui è edificata la Chiesa di Cristo, e non sia legato strettamente al supremo Pastore, a cui sono date da pascolare tutte le pecore di Cristo, e non sia unito a colui che difende e garantisce la fraternità che è nel mondo. E in verità “a Pietro parlò il Signore: ad uno solo, per fondare l’unità dall’uno” . A Pietro “la divina clemenza conferì una grande e mirabile parte del suo potere, e se volle che qualche cosa fosse comune con gli altri Principi, non concesse mai alcunché agli altri se non per mezzo di lui” . Ne consegue che da questa Sede Apostolica, dove il Beato Pietro “vive, presiede e concede a chi la cerca la verità della Fede , si diffondono per tutti i diritti della venerabile unione comune” ; e questa stessa Sede senza dubbio “è per le altre Chiese, sparse in tutta la terra, come il capo rispetto alle membra; chiunque si separa da lei diventa esule dalla religione cristiana, avendo cominciato a non essere più nello stesso corpo comune” . – Di conseguenza il santo martire Cipriano, discorrendo dello pseudo-vescovo scismatico Novaziano, gli negò perfino l’appellativo di cristiano, dato che era staccato e separato dalla Chiesa di Cristo. “Chiunque sia, dice, e di qualunque genere sia, non è cristiano chi non è nella Chiesa di Cristo. Si vanti pure e con parole superbe predichi la sua filosofia e la sua eloquenza; chi non è stato fedele alla carità fraterna e all’unità ecclesiastica, ha perduto anche quello che era prima. Dato che da Cristo deriva per tutto il mondo una sola Chiesa, divisa in molte membra, egualmente un solo episcopato è diffuso nel concorde pluralismo di molti Vescovi; esso, dopo il mandato di Dio, e dopo l’unità della Chiesa dovunque stretta e congiunta, si sforza di fare la Chiesa delle persone umane. Dunque, chi non osserva né l’unità dello spirito, né la comune unità della pace, e si separa dal vincolo della Chiesa e dal Collegio dei Sacerdoti, non può avere né il potere né l’onore di Vescovo, non avendo voluto mantenere né l’unità, né la pace dell’episcopato” . – Noi dunque che, benché immeritevoli, siamo collocati in questa suprema Cattedra di Pietro, a custodia della Fede Cattolica per mantenere e difendere l’unità della Chiesa universale, seguendo la consuetudine e l’esempio dei Nostri Predecessori e delle leggi ecclesiastiche, con la potestà conferitaci dal cielo, non solo dichiariamo l’elezione di Giuseppe Uberto Reinkens (prima ricordato) compiuta contro la sanzione dei Sacri Canoni, illecita, vana, e completamente nulla, e condanniamo e detestiamo la sua consacrazione sacrilega; ma con l’autorità di Dio onnipotente scomunichiamo e anatemizziamo lo stesso Giuseppe Uberto e coloro che osarono eleggerlo, coloro che collaborarono alla consacrazione sacrilega, tutti quelli che li hanno sostenuti e che, aderendo ad essi, diedero loro favore, aiuto o consenso; dichiariamo, comandiamo ed ordiniamo che tutti costoro debbano essere considerati separati dalla comunione della Chiesa e considerati nel numero di coloro, la cui familiarità e la cui frequentazione l’Apostolo vietò a tutti i fedeli di Cristo, tanto che espressamente comandò che non si dovesse neanche dire loro “Ave” (2Gv 10).

Da tutte le cose che abbiamo toccato, più deplorandole che narrandole, vi è abbastanza chiaro, Venerabili Fratelli, quanto triste e piena di pericolo sia la condizione dei Cattolici nei paesi d’Europa, di cui abbiamo trattato. E le cose non vanno meglio, né i tempi sono più pacifici in America, dove alcune regioni sono così ostili ai Cattolici, che i loro Governi sembrano negare coi fatti quella fede cattolica che professano. Infatti là da alcuni anni ha cominciato ad essere mossa una terribile guerra contro la Chiesa, le sue istituzioni e i diritti di questa Sede Apostolica. Se volessimo continuare in questo argomento non Ci verrebbero mai meno le parole. Dato che ciò, per la sua importanza, non può essere toccato per inciso, ne parleremo più a lungo un’altra volta. – Si meraviglierà forse qualcuno di Voi, Venerabili Fratelli, che la guerra che oggi si muove alla Chiesa Cattolica si espanda tanto. Ma chiunque conosce il carattere, gli obiettivi ed il proposito delle sette, sia che si chiamino massoniche, sia che si chiamino con qualsivoglia altro nome, e li paragoni al carattere, al modo, e all’ampiezza di questa guerra, da cui la Chiesa è assalita quasi da ogni parte, non potrà certamente dubitare che questa calamità non si debba attribuire alle frodi ed alle macchinazioni di quelle sette. Da esse infatti è formata la sinagoga di Satana, che ordina il suo esercito contro la Chiesa di Cristo, innalza la sua bandiera e viene a battaglia. I Nostri Predecessori, vigili in Israele, denunziarono ai Re ed ai popoli queste sette già da molto tempo, fin dalle loro origini, e poi ripetute volte le colpirono con le loro condanne. Noi pure non siamo venuti meno a questo dovere. Oh, se si fosse data più fiducia ai supremi Pastori della Chiesa, da parte di coloro che avrebbero potuto respingere una tanto esiziale pestilenza! Invece essa ha progredito attraverso nascondigli, viscidi anfratti e senza mai interrompere il suo lavorio, ingannando molti con astute frodi; ed è giunta infine a tale punto che ha potuto uscire dalle sue latebre, e vantarsi di essere oggi potente e sovrana. Aumentata ormai immensamente la turba dei loro seguaci, queste empie sette credono di aver quasi raggiunto lo scopo, anche se non hanno ancora toccato l’ultima meta. Avendo conseguito ciò che tanto avevano desiderato, cioè di decidere di ogni cosa nella maggior parte dei luoghi, ora indirizzano audacemente la forza e l’autorità acquistate allo scopo di ridurre la Chiesa in durissima schiavitù, abbattere i fondamenti sopra i quali ella si regge, contaminare le impronte divine delle quali luminosamente rifulge, e, ancor più, annientarla del tutto, se mai fosse possibile, nel mondo intero, dopo averla percossa con frequenti colpi, disfatta e distrutta. – Stando così le cose, Venerabili Fratelli, impiegate ogni mezzo per difendere dalle insidie e dal contagio di queste sette i fedeli affidati alle vostre cure, e per salvare dalla perdizione coloro che a queste sette disgraziatamente hanno dato il nome. Ma soprattutto mostrate e combattete l’errore di coloro che, o ingannati o ingannatori, non temono tuttavia di asserire che da queste oscure congreghe non si cerca altro che l’utilità sociale, il progresso e la reciproca beneficenza. Esponete spesso ai fedeli ed imprimete nelle loro anime le Costituzioni pontificie sull’argomento, e insegnate loro che da esse sono colpite non solo le società massoniche d’Europa, ma anche tutte quelle di America e quante altre si trovano nelle diverse regioni del mondo intero. – Del resto, Venerabili Fratelli, poiché Ci toccò di vivere in tempi nei quali incombe l’occasione di patire certamente molto, ma anche di meritare molto, noi, come buoni soldati di Cristo, preoccupiamoci in primo luogo di non abbattere il nostro animo; anzi, nella stessa tempesta da cui siamo sbattuti, armati della sicura speranza di tranquillità futura e di più limpida serenità della Chiesa, troviamo la forza per incoraggiare Noi stessi, il clero affaticato e il popolo, confidando nell’aiuto divino e sostenuti dalle nobilissime parole di Crisostomo: “Molti flutti, molte gravi tempeste incalzano; ma non temiamo d’essere sommersi, perché posiamo sulla pietra. Infierisca pure il mare; la pietra non potrà venirne disciolta. Insorgano pure le onde; la nave di Gesù non potrà venirne affondata. Nulla è più potente della Chiesa. La Chiesa è più forte dello stesso cielo. Passeranno il cielo e la terra; ma le parole di Cristo non passeranno. Quali parole? “Tu sei Pietro e sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte dell’inferno non prevarranno contro di lei”. Se non credi alle parole, credi ai fatti. Quanti tiranni tentarono di opprimere la Chiesa? Quante caldaie, quante fornaci, e denti di fiere, e aguzze spade! Tuttavia non ottennero nulla. Dove sono quei nemici? Sono dispersi nel silenzio e nell’oblio. E dove è la Chiesa? Ella splende più del sole. Le imprese di quei tali si estinsero, le cose della Chiesa vivono immortali. Se quando i cristiani erano pochi, non furono vinti, come potrai vincerli, quando l’intero mondo è pieno della loro sacra religione? Il Cielo e la terra passeranno; ma le mie parole non passeranno”. Pertanto, non spaventati da alcun pericolo e sgombri da ogni dubbio, perseveriamo nella preghiera e procuriamo di giungere a questo: che tutti ci sforziamo di placare l’ira celeste, provocata dai delitti degli uomini, in modo che alla fine sorga l’Onnipotente nella sua misericordia, comandi ai venti e porti la tranquillità.

Frattanto con ogni affetto impartiamo la Benedizione Apostolica, espressione della Nostra speciale benevolenza, a Voi tutti, Venerabili Fratelli, al clero e a tutto il popolo affidato alle vostre cure.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 21 novembre 1873, anno ventottesimo del Nostro Pontificato