LA PREGHIERA (Alapide, 1)

PREGHIERA (1)

[E. Barbier: I Tesori di Cornelio Alapide, vol. III, S.E.I., Torino, 1930]

1.-La preghiera, e sua necessità. — 2. Esempio di Gesù Cristo e dei Santi. — 3. Eccellenza della preghiera. 4. Efficacia della preghiera: 1° Gesù Cristo ci assicura che con la preghiera otteniamo tutto ciò che domandiamo; 2» La preghiera ottiene la saviezza e consola; 3° Chi prega sarà liberato dalle tribolazioni e dalle infermità; 4° Con la preghiera si ottiene la sanità dell’anima; 5° La preghiera opera una vera trasfigurazione nell’uomo; 6° La preghiera è onnipotente; 7° La preghiera è il terrore dei demoni; 8° La preghiera illumina; 9° Per la preghiera si ottiene la conversione dei peccatori; 10° La preghiera ci salva; 11° La preghiera contiene beni immensi. —

1. La preghiera, e sua necessità. — La parola preghiera nel linguaggio della Chiesa si dice oratio, quasi oris ratio, cioè ragione della bocca. La ragione infatti si manifesta per mezzo della parola, specialmente della preghiera, perché la preghiera fu data da Dio all’uomo per supplire la ragione; quel che la ragione, oscurata dal peccato, non può comprendere, lo comprende la preghiera… Del resto, presa in se stessa, la preghiera è un’elevazione della mente a  Dio, per la quale l’anima contempla, loda, ammira, ringrazia Iddio, ovvero gli espone i suoi bisogni, i suoi desideri, i suoi voti, e gli chiede che li soddisfi. Quanto e nell’uno e nell’altro senso sia necessaria la preghiera si vede facilmente se si getta uno sguardo sul Vangelo, su la dottrina dei Padri, su se medesimo: « Domandate, dice Gesù Cristo, cercate, bussate » (Matth. VII, 7). Ecco tre imperativi, e quando Dio parla in modo imperativo, la sua parola importa uno stretto dovere d’ubbidienza. « Bisogna pregare sempre e non stancarsi mai », dice ancora il Salvatore (Luc. XVIII, 1).
La preghiera è necessaria nello stato infelice di peccato per uscirne…; è necessaria nello stato di grazia per perseverarvi…; è necessaria per ottenere la grazia, senza la quale non siamo capaci di nulla…; è necessaria nelle tentazioni. Vegliate e pregate, ci ripete Gesù, come già agli Apostoli diceva: « Vegliate e pregate affinchè non cadiate nella tentazione; perché pronto è lo spirito, ma inferma la carne » (Matth. XXVI, 41). Chi non prega è come una città senza difesa, circondata, anzi già corsa da masnade di nemici.
« La preghiera è per l’uomo, come l’acqua per il pesce », dice il Crisostomo (Lib. II, De orand. Dom.in.). La preghiera è per l’anima nostra, quello che il sole è per la natura, per vivificarla e fecondarla, quello che è l’aria per i nostri polmoni, il pane per la vita materiale, l’arma per il soldato, l’anima per il corpo… E come no? dice infatti l’Apostolo: « Noi non bastiamo da noi medesimi nemmeno a pensare cosa veruna come di propria nostra virtù; ma ogni capacità e sufficienza ci viene da Dio (Il Cor. IlI, 5). Quindi pregate, ma pregate del continuo (I Thess. V, 17). Ah! ben comprendeva la necessità della preghiera il profeta Davide il quale diceva: « A voi rivolgo, o Signore, la mia prece, esauditemi secondo la moltitudine delle vostre misericordie. Cavatemi dal fango, affinché non vi resti affogato. Campatemi dagli artigli de’ miei persecutori, strappatemi al seno dell’abisso. La tempesta delle acque non mi sommerga, non m’ingoi il baratro, né si chiuda sul mio capo la bocca della voragine. Esauditemi, Signore, nella grandezza della vostra clemenza, e non torcete il volto dal vostro servo; io gemo tra angosce, affrettatevi a consolarmi. Venite, liberate l’anima mia, toglietemi al furore de’ miei nemici (Psalm. LXIII, 14-19). Signore, siatemi propizio ed esauditemi, perché povero ed indigente sono io » (Psalm. LXXXV, 1). « Io ho steso le mie mani verso di voi, come terra arsa da lunga siccità, la mia anima ha sete di voi, o Signore; correte in mio soccorso, perché il cuore mi vien meno » (Psalm. CXLII, 6-7). « Chi vuole stare con Dio, deve pregare, dice S. Isidoro; ogni qual volta il peccato minaccia l’anima nostra, ricorriamo alla preghiera ». « Figlio mio, dice l’Ecclesiastico, non lasciarti cadere d’animo nella tua infermità; ma prega il Signore, ed egli ti guarirà » (Eiccli. XXXVII, 9). Quindi il profeta Gioele ordinava ai sacerdoti e ai ministri del Signore che piangessero tra il vestibolo e l’altare, e gridassero: Perdonate, o Signore, perdonate al popolo vostro, e non permettete che l’eredità vostra divenga oggetto di scherno (Ioel. II, 17). Perciò con ragione S. Tommaso insegna che « dopo il battesimo è necessaria all’uomo una continua preghiera » (2a, 3, q. 5, art. 8). La preghiera è dunque necessaria perchè Dio la comanda; è necessaria per trionfare dei nostri nemici, per uscire dal peccato, per non ricadervi, per lavorare alla nostra salute, per ottenere la grazia, senza la quale non vi è salute; è necessaria per corroborare la nostra fiacchezza, per praticare la virtù, per arrivare al cielo…

2. Esempio di Gesù Cristo e dei Santi. — L’Evangelista S. Marco dice di Gesù Cristo, che si levava in sul fare del giorno e andava a pregare in un luogo deserto, ovvero saliva ad orare sopra un monte (I, 35) (Id, VI, 46). La medesima cosa attesta S. Luca, aggiungendo che nella preghiera spendeva le notti intere, e durante la preghiera avvenne la sua trasfigurazione (VI, 12, IX, 28). Da tutti gli Evangelisti poi sappiamo che non imprendeva mai opera di rilievo, non faceva mai miracolo senza che vi facesse precedere la preghiera. Prega nel giardino degli Ulivi, prega su la croce; la vita sua intera non è che una continua preghiera.Da lui ammaestrati, gli Apostoli dicevano: « Noi ci consacreremo del tutto all’orazione » (Act. VI, 4); e della moltitudine dei primi cristiani attesta S. Luca, che si erano tutti dati ad una continua preghiera comune (Id. I, 14). E quando Pietro vien gettato, carico di catene, in prigione, l’assemblea dei fedeli non cessa più di porgere preghiere a Dio per la sua liberazione (Id. XII, 5). –  « Noi preghiamo sempre per voi, scriveva S. Paolo ai Colossesi; e non ci restiamo mai dal domandare a Dio che vi riempia della cognizione della sua volontà, in tutta sapienza e intelligenza spirituale; affinché voi vi conduciate in maniera degna di Dio, cercando di piacere a lui in ogni cosa, fruttificando in ogni opera buona, e crescendo nella scienza di Dio ». I Patriarchi, i Profeti, gli Apostoli i Santi tutti dell’antica e della nuova legge furono uomini di preghiera… Leggete le vite degli uomini di Dio, voi non ne trovate alcuno che non sia stato uomo di continua e fervente preghiera.
3. Eccellenza della preghiera. — Il pregio di un diamante è lo stesso, o che si trovi nelle mani di rozzo villano, o che si trovi nello scrigno di un gioielliere; cosi pure, dice S. Giordano, la preghiera è cosa tanto eccellente in se stessa, che tanto vale in bocca di un idiota quanto su le labbra di un dotto (Surius, In Vita). E infatti, udite l’elogio che ne tesse S. Efrem : « La preghiera è la custode della temperanza, il freno dell’iracondia, la repressione di un’anima orgogliosa, il farmaco contro l’odio, la giusta costituzione delle leggi e del diritto, la potenza dei regni, il trofeo e lo stendardo di una giusta guerra, la protettrice della pace, il sigillo della verginità, la custodia della fedeltà coniugale, il bastone dei viandanti, la guardiana di quelli che dormono, la fertilità per i coltivatori, lo scampo dei naviganti, l’avvocata dei re, la consolazione degli afflitti, la gioia di quelli che godono, il conforto di chi piange, il buon esito dei moribondi. Ah no! non vi è, in tutta la vita dell’uomo tesoro paragonabile alla preghiera ». L’Apocalisse ci dice che gli Angeli in cielo stanno innanzi all’Agnello, tenendo ciascuno arpe e coppe d’oro piene di profumi che sono le preghiere dei Santi (Apoc. V, 8). Le preghiere, quelle specialmente delle anime ferventi, sono paragonate ad un grato profumo sparso per l’atmosfera. Infatti, 1° la preghiera sale come il fumo d’incenso verso il cielo; 2° spande nello sprigionarsi tutt’attorno soavi olezzi; 3° come l’incenso caccia il fetore, così la preghiera caccia il pestifero lezzo del peccato, fuga i demoni, calma l’ira divina; 4° l’incenso brucia e fuma quando è messo sul fuoco; e la preghiera s’infiamma, nel fuoco delle tribolazioni; 5° i profumi sono composti di aromi polverizzati, la preghiera deve partire da un cuore spezzato dall’umiltà e dalla mortificazione; così pure dobbiamo seppellire l’anima nella preghiera, perché più non ne esca e conservi l’incorruttibilità datale dalla grazia. Espressioni consimili a quelle di S. Giovanni adopera l’Ecclesiastico là dove dice che « l’oblazione del giusto (e quale più vera oblazione della preghiera?) impingua l’altare ed esala nel cospetto dell’Altissimo soavissimo odore » (Eccli. XXXV, 8). « La preghiera è, dice S. Agostino, la cittadella delle anime pie, la delizia del buon angelo, il supplizio del diavolo, grato ossequio a Dio, gloria perfetta, speranza certa, sanità inalterabile, comprende insomma tutta la lode e tutto il merito della penitenza e della religione ». La preghiera è un colloquio con Dio; essa è il preludio della beatitudine eterna, l’occupazione degli Angeli, la soluzione di tutte le difficoltà, il rimedio di colui che è infermo nella via del Signore, la correzione e la fecondità dell’anima, l’abbracciamento dello Spirito Santo, la gioia e l’allegrezza… I Padri della Chiesa e i teologi insegnano che vi sono tre specie di buone opere alle quali tutte le altre si rannodano come membri al capo : la preghiera, il digiuno, la elemosina. La preghiera paga quello che è dovuto a Dio: il digiuno, quello che dobbiamo a noi medesimi; la elemosina, quello che dobbiamo al prossimo. La preghiera è paragonata alla rugiada. Come la rugiada tempera l’ardore dell’estate e rinfresca i corpi arsi dal calore solare, così la preghiera, questo familiare abboccamento con Dio, smorza le fiamme della concupiscenza e delle passioni: «Nella preghiera, scrive San Bernardo, si beve il vino celeste che rallegra il cuore dell’uomo; il vino dello Spirito Santo che bea l’anima e le fa dimenticare i piaceri carnali. Questo vino si confà ai bisogni di una coscienza arida e secca; converte nella sostanza dell’anima gli alimenti delle buone opere e ne informa tutte le facoltà rafforzando la fede, consolidando la speranza, dando vigore e ordine alla carità, gravità e fermezza ai costumi ». La preghiera somiglia a fiori belli e soavi che dilettano lo sguardo di Dio, e il cui divino olezzo s’innalza fino al trono di Dio. Ha l’odore della viola, il candore del giglio, la bellezza e l’incanto della rosa. È un fiore d’oro tinto dei più vaghi colori e spirante i più squisiti profumi; rallegra Dio medesimo, e riempie l’anima di celeste delizia…

4. Efficacia della preghiera. 1° Gesù Cristo ci assicura che con la preghiera otteniamo tutto ciò che domandiamo. — « Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto; perchè chi domanda, riceve; chi cerca, trova; e a chi picchia sarà aperto » (Matth. VII, 7-8). « Vi è forse un padre così crudele che a un figlio il quale gli domandi pane, dia una pietra? o gli dia invece di pesce, un serpente? Se dunque voi, cattivi come siete, sapete dare ai figli vostri cose buone, quanto più il Padre vostro che è nei cieli, vi darà quello che di buono domandate (Id. 9-11). State certi che tutto quello che dimanderete al Padre mio in mio nome, io lo farò; affinchè il Padre sia glorificato nel Figlio. E anche, se a me domanderete cosa alcuna in mio nome, io la farò (Ioann. XIV, 13-14). « Sì, vi dò mia parola, che qualunque cosa domandiate a mio Padre in mio nome, egli ve la darà. Fino ad ora non avete chiesto nulla in nome mio: domandate e riceverete, affinché sia compiuta la vostra gioia »  (Ioann. 23-24). Udite ora la conferma di queste promesse del Signore dalla bocca di chi ne parla per esperienza : « Io ho gridato al Signore, e mi ha esaudito » (Psalm. IlI, 5). « Mentre tuttora l’invocava, il Signore mi ha esaudito»  (Id. IV, 2). « Il Signore mi esaudirà quando, griderò a lui » (Id. IV, 4). « Il Signore mi ha inteso, si porse attento alla voce della mia preghiera » (Id. LXV, 19 )(Id. XCVIII, 6). « Egli alzerà la voce verso di me, ed io l’ascolterò », dice il Signore (Id. XC, 15). « Il Signore sta vicino a coloro che lo pregano, a quelli che lo invocano con sincerità di cuore » (Id. CXLIV, 18). Dietro queste molteplici testimonianze chiare, precise e positive della Sacra Scrittura, chi potrà dubitare che la preghiera non ottenga tutto ciò che domanda a Dio?

La preghiera ottiene la saviezza e consola. — « Se vi è tra di voi, dice S. Giacomo, chi abbisogni di sapienza, la domandi a Dio, il quale la dà a tutti in abbondanza, senza rifiutare persona; e gli sarà data » (Iac. I, 5). « Io ho desiderato e mi fu data l’intelligenza, confessa di sé Salomone, io ho pregato, e in me venne lo spirito di saggezza » (Sap. VII, 7). – « Geme alcuno di voi nella mestizia? preghi (e sarà consolato) » (Iac. V, 13). La preghiera è rimedio efficacissimo a guarire ogni piaga, ogni miseria; asciuga le lagrime, mitiga i dispiaceri, addolcisce le amarezze… – Gesù entra in una barca e prende mare, ed ecco che si leva improvvisa una tempesta, i venti soffiano, il tuono mugghia, le onde si accavallano e la barca già minaccia di sommergersi; in questo disperato frangente gli Apostoli si accostano a Gesù che placidamente dorme e svegliatolo gli dicono coll’accento del timore e dello spavento : « Salvateci, Signore, che periamo » . – Ed egli dolcemente rimproveratili del troppo loro timore e della non abbastanza salda fede, si alzò, fe’ cenno ai venti e alle onde, e incontanente il mare fu in bonaccia (Matth. IX, 23-27). Grande miracolo fu certamente questo; ma notate che Gesù lo fece ad istanza degli Apostoli e dopo che la loro preghiera gli ebbe detto: Signore, salvateci, perché altrimenti andiamo tutti naufraghi. Noi possiamo dire di colui che prega, quello che di Gesù Cristo andavano tra di loro dicendo gli spettatori del miracolo : « Chi è costui, al quale obbediscono i venti e le onde? ». Chi è colui che si fa obbedire dai venti delle tentazioni, e dalle onde della concupiscenza? È l’uomo che prega.

Chi prega sarà liberato dalle tribolazioni e dalle infermità. — « Signore, esclama il real Profeta, io non sarò mai confuso, perché ho invocato voi » (Psalm. XXX, 20). « E chi mai invocò Dio, e non si vide da Lui guardato? », domanda l’Ecclesiastico (II, 12). – « Tu mi hai invocato nella tribolazione, ed io te ne ho liberato », diceva il Signore a Davide (Psalm. LXXX, 8). E questi confermava la parola del Signore, esclamando : « In mezzo alle mie tribolazioni, ho levato le mie grida al Signore, ed egli mi ha esaudito » (CXIX, 1) : nè solamente io, ma quanti ricorsero al Signore nelle loro angustie, si videro liberati dalle loro miserie (CVI, 13). – Se parliamo poi in particolare delle infermità guarite per la preghiera, innumerabili ne sono gli esempi. Un uomo coperto di lebbra, vedendo Gesù, si prostra per terra e grida: « Signore, se volete, potete mondarmi » . — Gesù, a quella preghiera, stende la mano, lo tocca e dice : « Lo voglio, sii mondato; e subito la lebbra scompare » (Luc. V, 12-13). Altri due lebbrosi, andando incontro a Gesù che entrava in un villaggio, gridano ad alta voce: « Gesù, maestro nostro, abbi pietà di noi »; ed eccoli guariti su l’istante (Luc. XVII, 12-14).
Due ciechi stavano su l’orlo d’una strada, odono un calpestio di gente che si avanza, domandano qual novità vi sia e udendo che passa Gesù Cristo, cominciano a gridare: « Signore, figliuolo di David, abbi compassione di noi». Gesù si ferma, li chiama a sé, e domanda loro che cosa vogliono. Udita la loro preghiera, mosso da pietà verso di essi, loro toccò gli occhi ed a quel tocco essi ricuperarono la vista (Matth. XX, 30-34). – Marta e Maria pregano Gesù che abbia pietà di Lazzaro, loro fratello, giacente da quattro giorni nel sepolcro; ed a loro intercessione, Gesù lo risuscita (Ioann. XI). Innumerevoli altre miracolose guarigioni, dietro supplica dei malati, o per le preghiere di altre persone, operò Gesù Cristo: di modo che grandissimo era il numero di coloro che potevano dire : « A voi ho innalzato la mia voce, o Signore, e voi mi avete reso la sanità » (Psalm, XXIX, 3). Il re Ezechia cade mortalmente infermo; Is aia gli annunzia per parte di Dio la morte e gli dice: «Regola gli affari tuoi, perché morrai, e non vivrai più oltre » . — « Ezechia allora fa orazione al Signore » . E questi manda di bel nuovo Isaia a dirgli che aveva udito la sua preghiera, e che gli concedeva quindici anni di vita (Isai. XXXVIII, 1-3)… Quante guarigioni non ottennero i santi con le loro preghiere? quanti figli risanati per le orazioni di madri virtuose?

Con la preghiera s’ottiene la sanità dell’anima. — « I medici corporali, dice S. Lorenzo Giustiniani, si fanno pagare la sanità che ci restituiscono, e non sempre loro riesce di darcela; ma Dio guarisce infallibilmente l’anima senza oro e senz’argento; non esige altro che la preghiera; e guarisce sempre l’anima che prega e per cui si prega, per quanto grave e mortale sia la malattia che la travaglia. La preghiera risana i malati spirituali; essa è pronto ed efficacissimo, rimedio per colui che è fortemente tentato dai vizi. Ricorra egli a questo rimedio tutte le volte che ne ha bisogno, ed estinguerà il fuoco delle passioni e si purificherà. La preghiera smorza gli ardori della concupiscenza, come l’acqua spegne il fuoco ». – « II Signore, confessa di sé il real Profeta, si è abbassato verso di me, ha inteso il grido del mio cuore; e mi ha ritirato dall’abisso della miseria e dal fango puzzolente » (Psalm. XXXIX, 3). Altra volta esclamava : « Questo peccatore vi ha domandato la vita, e voi gliel’avete data » (Psalm. XX, 5). – Chi vuole liberarsi dal peccato e rompere le catene della vergognosa sua schiavitù, preghi: Dio spezzerà i suoi ceppi e gli farà misericordia. Il peccatore non può da solo convertirsi e ottenere salute, ma gli è necessaria la grazia di Dio; ora per mezzo della preghiera ottiene tutte le grazie…; la preghiera rende la vita all’anima; risuscita i morti spirituali : miracolo ben più stupendo che quello della risurrezione dei corpi. Perfino Plutarco lasciò scritto: «La preghiera è il vero medico dell anima » (In morib.).

La preghiera opera una vera trasfigurazione nell’uomo. — Narra San Luca che essendo salito Gesù sopra un monte accompagnato da Pietro, Giacomo e Giovanni, per fare orazione, mentre piegava, la sua faccia divenne tutt’altra, e le sue vestimenta apparvero di un candore splendente (Luc. IX, 28-29). Gesù volle trasfigurarsi nella sua preghiera per mostrarci quali sono i frutti dell’orazione; per farci comprendere che nell’orazione noi siamo circondati, penetrati, investiti e come trasfigurati dalla luce celeste, affinché di terreni diventiamo celesti e divini, di uomini ci cangiamo in Angeli. Infatti la preghiera è la trasfigurazione dell’anima: 1) perché l’anima riceve la luce di Dio per conoscerlo, e conoscere e sapere quello ch’essa deve fare; e questo in modo chiaro e visibile. La preghiera ottiene lumi per discernere gli autori e i libri buoni dai cattivi, o pericolosi, o inutili; ottiene che s’intende, si vede, si comprende quello che si legge, lo si ritiene a memoria, e se ne cava profitto. 2) Per mezzo della preghiera si chiede e si ottiene da Dio la sua grazia, con cui tergere le macchie dell’anima, purgarla dai vizi, difenderla dalle tentazioni. Per la preghiera le consolazioni sottentrano alle ambasce, la forza alla debolezza, il fervore alla tiepidezza, la conoscenza al dubbio, il coraggio alla pusillanimità, la gioia alla tristezza, la veglia al sonno, la vita alla morte. Oh! preziosa trasfigurazione e ben degna che chi la prova esclami con Pietro, ebbro di felicità alla vista della Trasfigurazione del Signore : « Che fortuna è lo stare qui! facciamovi delle tende per rimanervi » (Matth. XVII, 4). 3) Per la preghiera l’anima s’innalza al di sopra di se stessa e, dirigendosi verso il cielo, ascende fino a Dio; là essa scorge e apprende che tutte le cose di quaggiù son vili; da quell’altezza in cui la preghiera l’ha portata, essa le disprezza, perché comprende che i veri onori, le vere ricchezze, i veri diletti non si trovano che in cielo. 4) Per la preghiera l’anima vede che tutte le croci sono lievi, che la povertà, le malattie, i rovesci, le prove, ecc. sono un peso leggero: quindi per mezzo della preghiera sopporta tutto; essa ripete con S. Paolo: « Stimo che i patimenti del tempo presente sono un nulla a confronto della gloria futura che sarà in noi rivelata » (Rom. VIII, 18). 5) Per la preghiera l’anima si unisce a Dio, si trasforma in Dio, partecipa della natura del Dio. « Quando preghiamo, dice S. Isidoro, noi parliamo a Dio; quando attendiamo a pie letture, Dio parla a noi ».La preghiera fa di noi il popolo di Dio : « Egli invocherà il mio nome, dice il Signore, ed io lo esaudirò. Io dirò: Tu sei il mio popolo; ed esso dirà: Tu sei il mio Dio» (Zach. XIII, 9). Esso pregherà il Signore, dice Giobbe, il quale si placherà, e gli mostrerà la sua faccia » (Iob. XXXIII, 26). Nè può essere altrimenti, perché la preghiera, dice il Crisostomo, fa di noi altrettanti templi di Gesù Cristo (De Orand. Dovi. lib. II). Inoltre essa ci dà la purezza e la castità, ed è parola di Gesù Cristo che quelli i quali hanno il cuore inondo e puro vedranno Iddio. E che l’orazione ci ottenga da Dio le dette virtù, lo dichiara espressamente Salomone per esperienza avutane: vedendo che gli era impossibile vivere continente, se Dio non lo soccorreva di sua grazia, a Lui fece ricorso con la preghiera (Sap. VIII).

La preghiera è onnipotente. — « Niente al mondo vince in potenza l’uomo probo che prega», sentenzia il Crisostomo (In Matth.). La preghiera è così potente, i suoi frutti, i suoi effetti sono così grandi, che nessun ostacolo l’arresta, non vi è nulla che non ottenga: «La preghiera, osserva S. Giovanni Climaco, a considerarne la natura è una conversazione familiare, è l’unione dell’uomo con Dio. Ma a considerarne l’efficacia e la potenza, è la conservazione del mondo, la riconciliazione con Dio, la madre e la figlia delle lagrime; è la remissione dei peccati, il ponte sotto cui passano le onde delle tentazioni, la fortezza contro l’impeto delle afflizioni, la tregua e la cessazione delle guerre, l’uffizio degli Angeli, l’alimento di tutti gli spiriti, la gloria futura, l’opera per l’eternità, la sorgente delle virtù, la riconciliatrice delle grazie divine, la perfezione spirituale, il cibo dell’anima, la luce dello spirito, il farmaco contro la disperazione, la dimostrazione della speranza, la consolazione nella mestizia, la ricchezza dei religiosi, il tesoro dei solitari, il freno della collera, lo specchio della perfezione religiosa, l’indice della regola, la manifestazione dello stato, la spiegazione delle profezie, il suggello della gloria eterna ». – La preghiera è il respiro dell’anima; pregando, noi mandiamo verso Dio il soffio del desiderio e riceviamo da lui il soffio delle virtù; noi aspiriamo Dio… L’anima che prega è inespugnabile fortezza… Pietro è in carcere, carico di ferri; la Chiesa fa per lui orazione, ed ecco che la vigilia del giorno in cui doveva essere messo a morte da Erode, nel cuore della notte, gli compare un Angelo del Signore, un vivo chiarore splende nel carcere, Pietro è svegliato e, al suo svegliarsi, le catene cadono infrante; egli si trova libero, le porte si aprono ed egli passando in mezzo alle guardie esce di prigione senza che alcuno dei suoi nemici se ne accorga. Chi operò tanti prodigi? La continua, fervida preghiera dei devoti (Act. XII, 5-9).  – La preghiera 1) calma la collera di Dio; ma che dico? lo trae ad obbedire all’uomo… Prega Giosuè ed il sole si arresta nel suo corso (Ios. X, 13). 2) Gli Angeli assistono a quelli che pregano (Dan. IX, 21). Offrono essi medesimi a Dio le orazioni di chi prega e gli riportano il frutto della preghiera esaudita, dice Giobbe (Iob. XII, 12). 3) La preghiera libera l’uomo da mille mali; ottiene la grazia e la salvezza presente e futura. 4) Domina tutti gli elementi e le creature tutte; ferma il corso degli astri; fa piovere fuoco dal cielo (IV, Reg. I, 10). Divide il mare ed i fiumi (Exod. IV, 15-21; Ios. IlI, 16). Risuscita i morti, libera le anime dal purgatorio; ammansa le belve feroci; guarisce la lebbra, la febbre; tiene lontana la peste ed i malori, calma gli uragani, spegne gli incendi, ferma i terremoti; impedisce i naufragi; prende dal cielo tutte le virtù e le grazie e le porta su la terra; trionfa di Dio onnipotente ed in certo qual modo lo incatena a sé. Geremia pregando è rincorato nella sua prigione… Daniele, nella fossa coi leoni, li rende mansueti come agnelli, e loro chiude le fauci con la preghiera… I tre fanciulli nella fornace ardente cantano le lodi del Signore e, a loro preghiera, le fiamme non toccano neppure le loro chiome… Giobbe sul letamaio, per mezzo della preghiera, trionfa di Satana e di ogni sua disgrazia… Con la preghiera, Giuseppe esce vittorioso della più terribile fra le passioni… Con la preghiera Susanna salva la sua virtù e la sua vita; è liberata dalle insidie dei due impudichi vecchioni i quali come calunniatori sono condannati a morte ignominiosa… Il buon ladrone, in virtù della preghiera, vola dalla croce al cielo… Stefano prega, e vede il cielo aperto e vi sale… Non vi è dunque né luogo né tempo in cui non si debba pregare. La preghiera è la colonna delle virtù, la scala della divinità, delle grazie, degli Angeli per discendere su la terra, e degli uomini per ascendere il monte eterno. La preghiera è la sorella degli Angeli, il fondamento della fede, la corona delle anime, il sostegno delle vedove, l’alleggerimento del giogo maritale. La preghiera è una catena d’oro che lega l’uomo a Dio, Dio all’uomo, la terra al cielo; chiude l’inferno, incatena i demoni; previene i delitti e li cancella… La preghiera è di tutte le armi la più, forbita e gagliarda; dà sicurezza incrollabile; è il più ricco tesoro; il porto sicuro della salute; il vero luogo di rifugio… « La preghiera è, dice S. Gregorio Nisseno, la robustezza dei corpi, l’abbondanza, la ricchezza di una casa » (De Orai.). Il popolo ebreo nel deserto prega, ed alla sua preghiera gli uccelli del cielo vengono a farsi sua preda; la manna gli piove dall’alto ed un pane miracoloso gli serve di cibo (Psalm, CIV, 40). Il popolo ha sete, prega, ed alla sua preghiera Dio spacca i massi e le acque ne zampillano in abbondanza, un fiume corre a innaffiare un arido deserto (16. 41). Giacevano sepolti nelle tenebre e nelle ombre di morte, incatenati dalla fame e dal ferro, e gridarono al Signore, ed esso li cavò dalle loro miserie. Li trasse fuori dal buio caliginoso della morte, infranse i loro ceppi, perché pregavano (Psalm. CVI, 14). La preghiera si può paragonare alla torre di Davide, della quale è detto nei Cantici, che s’innalza coronata di merli, munita di ogni difesa, guernita di migliaia di scudi e di ogni genere di armi robuste (Sant. IV, 4). «La preghiera è un’arma celeste, scrive S. Cipriano, una cittadella spirituale, un giavellotto divino che ci protegge ». S. Efrem la chiama un arco col quale noi lanciamo verso Dio saette di santi desideri; con queste frecce noi feriamo il cuore di Dio e ne trionfiamo: con le medesime frecce trapassiamo e abbattiamo i nostri nemici (De Orai.). La preghiera fa discendere il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo, nell’anima; dirò meglio, innalza l’anima nel più alto dei cieli e la colloca in seno alla gloria della Triade Augusta; tanto che S. Gerolamo osa affermare che ha forza di arrestare e cangiare i decreti di Dio (In Exod.). E infatti Mosè, come dice la Sapienza, resisté alla collera di Dio, impiegando la preghiera (Sap. XVIII, 21); e quando già i cadaveri si alzavano a monti, egli con la preghiera si fece mediatore, disarmò la vendetta di Dio e la impedì di estendersi a quelli che ancora vivevano (Id. 23); la Sacra Scrittura afferma che se Abramo avesse trovato anche solo dieci giusti che avessero pregato, Sodoma non sarebbe perita (Gen. XVIII, 32). Volete altre prove dell’efficacia della preghiera? La storia del popolo ebreo ve ne somministra delle chiarissime ed innegabili. I Giudei peccano d’idolatria, adorando un vitello d’oro; il Signore sdegnato di tanta durezza, dice a Mosè che lo lasci (cioè, più non preghi per quella gente colpevole), ed egli li sterminerà nel furore del suo sdegno. Mosè non si arrende, ma con fervida preghiera si mette a scongiurare il Signore che gli perdoni e non adempia le sue minacce, affinché gli Egizi non possano dire, a ingiuria del suo nome, che egli li aveva cavati a bella posta dall’Egitto, per ucciderli nei monti, e sterminarli dalla faccia della terra. E il Signore si rappacificò col popolo e non fece quello che aveva stabilito (Exod. XXXII). Non diversamente avvenne quando il popolo ebreo mormorò contro Mosè. Anche allora Iddio disse a Mosè che se n’andasse via di mezzo alla moltitudine, e gli lasciasse libero il braccio per fulminarlo. Allora Mosè, adorato Iddio, corse da Aronne e gli disse: Prendi l’incensiere, e postovi del fuoco dell’altare con dell’incenso, va subito verso la folla, a pregare per essa, perché già la collera di Dio è scoppiata sul popolo e ne fa strage. Obbedì Aronne e corse tra  la moltitudine che già la fiamma divorava; offerse i timiami e stando in piedi tra i vivi e i morti, pregò per il popolo, e la piaga cessò (Num. XVI, 41-4-8). – Nell’Esodo si legge che essendo Israele stato combattuto e vinto da Amalec in Raphidim, Mosè ordinò a Giosuè che, fatta scelta di valorosi guerrieri, uscisse ed affrontasse Amalec, mentr’egli sarebbe asceso il domani su la vetta del monte, tenendo in mano la verga del Signore. Adempì Giosuè l’ordine del duce il quale andò alla volta sua, con Aronne ed Ur, su la vetta del monte prima che Giosuè ingaggiasse battaglia con Amalec. Ora fu osservato che mentre Mosè teneva alte le mani, Israele trionfava, ma se le abbassava, Amalec vinceva. Osservato ciò e veduto a un certo punto che le braccia di Mosè non potevano più reggersi alte per la stanchezza, lo fecero sedere sopra un sasso, ed Aronne ed Ur gli sostennero le braccia le quali perciò ressero in alto fino al tramonto del sole. E per questa preghiera di Mosè, Giosuè sbaragliò Amalec (Exod. XVIII, 8-13). « Mosè, dice il Crisostomo, stava sul monte, vicino al cielo, e quanto più alta era la montagna, tanto più la sua preghiera era vicina a Dio. Qual è il giusto che non abbia trionfato c-o-n la preghiera? qual è il nemico, che non sia stato Vinto con la preghiera?. Per-mezzo della preghiera Daniele penetra e svela le misteriose visioni, le fiamme si estinguono, i leoni si spogliano della loro ferocia, i nemici cadono sgominati e vinti ». Scorrete la storia del popolo ebreo per tutto il tempo in cui fu governato dai Giudici, e se da una parte ci vedete una catena di cadute, d’infedeltà nel servizio del Signore, di delitti, d’idolatrie, e quindi di sciagure, di disastri, di schiavitù, dall’altra si ammira una sequela di perdoni, di benefizi, di liberazioni, rinnovatesi quante volte il pentimento gli mosse il cuore e gli aprì la bocca alla preghiera. Se Otoniele vinse Chusan e liberò Giuda da una servitù di otto anni, mantenendolo poi in pace per quaranta; se Aod uccise Eglon, re dei Moabiti, e pose fine per Israele ad un servaggio di diciott’anni; se Debora mise in rotta l’esercito di Iabin, re di Canaan, freddandone di sua mano il capitano Sisara e tolse i figli di Giacobbe ad un’oppressione che durava da vent’anni; se Gedeone sconfigge i Madianiti, che da sette anni opprimevano Israele; se Iefte lo strappa alle mani dei Filistei i quali facevano pesare su di lui un giogo di ferro da oltre cinque lustri; e se Sansone lo libera di bel nuovo dalla servitù dei medesimi Filistei, prolungatasi per quarant’anni; alla preghiera, ed alle grida che la stirpe di Giacobbe mandava dal fondo del cuore a Dio, in quei crudeli frangenti, se ne deve il merito… Dio si moveva a pietà di loro e li perdonava sempre, quando pentiti facevano ricorso alla preghiera. Come tremendo è il peccato! come potente è la preghiera! Come l’iniquità è punita! come l’orazione è ricompensata! Dio suole dare più di quello che si dimanda. Salomone domanda solamente la sapienza e Dio oltre al concedergliela in sommo grado, vi aggiunge ancora molti favori temporali (II Reg. III). Sara ed Anna sono sterili; pregano, e Dio le fa madri, quella d’Isacco, questa di Samuele. « Chi prega, dice il Crisostomo, ricava segnalati beni dalla sua preghiera, prima ancora che riceva quello che ha domandato; la sua preghiera reprime i tumulti dell’anima, calma l’ira, caccia la gelosia, spegne la cupidigia, scema l’affetto alle cose periture, dà la pace, e fa ascendere al cielo ». Samuele prega per il popolo di Dio oppresso dai Filistei, e il Signore l’esaudisce (I Reg. VII, 9). I Filistei combattono con Israele; ma Samuele prega, e Dio fa rombare con sì orribile fracasso il tuono su di loro, che colti di spavento cadono in faccia all’esercito giudeo. Prega il profeta Elia, e due volte il fuoco del cielo divora i nemici del Profeta, cinquanta per volta (IV Reg. I, 10). Il re di Siria vuole impadronirsi di Eliseo, e spedisce a questo intento cavalli, carri e soldati scelti. Eliseo prega il Signore che accechi tutta quella truppa; e il Signore adempie immantinente la prece del profeta (16. II, 18). A proposito di questo fatto, S. Ambrogio osserva che « la preghiera si spinge a ferire più lontano che una saetta. Eliseo soggiogava i suoi nemici non con le armi, ma con l’orazione ». Poi più avanti ripiglia: Eliseo prega e colpisce di cecità tutta la schiera nemica. Dove sono coloro i quali dicono che le armi degli uomini sono più potenti delle preghiere dei Santi? Ecco qua come alla preghiera del solo Eliseo, un numero grandissimo di nemici è fatto prigioniero; per la preghiera e per i meriti di un solo Profeta, tutto un esercito è sbaragliato e vinto. Dov’è l’esercito sia pure numeroso, agguerrito e valente, il quale possa impadronirsi di tutti i nemici, senza eccettuarne pur uno, e così all’improvviso? Ma la preghiera opera questo prodigio, s’impadronisce di tutti i nemici, e con un altro prodigio non meno grande, di questi nemici, quantunque vinti, nessuno è ferito (ut sup.). Il re Ezechia prega, e con la sua preghiera ottiene lo sterminio delle numerose falangi Assire; Sennacherib vi perde la vita insieme a cento ottantacinque mila uomini (IV Reg. XIX). Tobia prega, e ricupera la vista… Sara prega, ed è liberata da sette mariti bestiali. Giuditta desidera e stabilisce di liberare il suo popolo e di salvarlo dalle mani di Oloferne. Che cosa domanda, ai suoi, per riuscire nel disegno? nient’altro se non che facciano orazione al Signore per lei, fino a tanto che non ritorni a portare loro delle notizie (Iudith. VII, 53). Armata della preghiera, parte; va al campo nemico, passa tra le Ale della soldatesca, entra nel padiglione del capitano, e sostenuta dalla preghiera, mozza il capo ad Oloferne, mette in fuga l’esercito assediante, libera Betulia. La santa donna Giuditta, dice S. Agostino, apre il cielo con le sue preghiere, con l’arte della preghiera fabbrica armi vittoriose con le quali abbatte il nemico e libera il suo popolo da spaventoso terrore. Betulia assediata da numerosa orda di barbari, più belve che uomini, gemeva nell’accasciamento e nella sfiducia. Tutti languivano, morivano di fame e di sete, tutti si figuravano già come caduti, nelle branche di quei feroci. Ma ecco Giuditta che, santificata colla preghiera, col digiuno, con la cenere e col cilizio, si avanza, speranza del popolo, destinata a rendergli sicurezza. Tra le mura di Betulia essa è inquieta, ma sostenuta dalla preghiera, rimane impavida là dove per essa tutto è pericolo. Per mezzo della preghiera, conserva la sua castità, salva il suo popolo, abbatte il nemico. La preghiera è più potente che non tutte le armi: con la preghiera una donna salva una città intera ed una nazione, mentre un esercito intero, senza preghiera, non può salvare il suo duce (In Iudith,). Un decreto di morte è promulgato contro il popolo di Dio schiavo nella Persia. Ester prega, la sua preghiera cambia il cuore, di Assuero, ed Israele è salvo. Ai tempi di Geremia il popolo vilipende il Signore e il Profeta si volge a pregare Iddio. Questi, volendo punire il popolo colpevole, dice al Profeta: la tua preghiera mi lega le mani; non pregare per loro, non indirizzarmi nè cantico nè supplica in loro favore, non opporti a me (Ierem. VII, 16). Dio si sente come inceppato dalle preghiere dei giusti, e non può punire i cattivi, come già aveva detto a Mosè: «Lasciami libero di esercitare la mia giusta vendetta » (Exod. XXXII, 10). Ma in verità Dio desidera che vi sia chi si opponga e trattenga la sua vendetta; si rallegra quando alcuno gli ferma il braccio vendicatore e gli lega le mani con la preghiera. Egli si lamenta, per bocca del profeta Ezechiele, che non gli si fa violenza con la preghiera, che non si prega per disarmarlo (Ezech. XIII, 5). « Io ho cercato tra di loro un uomo il quale s’intromettesse come siepe tra me ed essi, e a me si opponesse per salvare questa terra, affinché io non la disertassi; e non l’ho trovato » (Ezech. XXII, 30). « Perciò ho rovesciato sopra di loro il vaso del mio sdegno, li ho consumati col fuoco della mia collera (Id. 31). La preghiera è siepe e muro di opposizione alla giusta collera di Dio. Il mondo non sussiste se non per le preghiere delle anime ferventi. Perciò Gesù Cristo dice che alla fine dei secoli la fede sarà estinta; ed è perciò che verrà la fine del mondo. – Giona prega nel ventre della balena, e il Signore comanda al cetaceo di rigettare Giona su la riva (Ion. II, 2-11). « Giona, commenta qui S. Gregorio, grida a Dio dal ventre del pesce, dal fondo dell’oceano, dal seno della disobbedienza; e la sua preghiera ascende fino alle orecchie di Dio, e Dio lo libera dalla balena e dalle onde, lo assolve della sua colpa. Gridi il peccatore, che la tempesta delle passioni ha allontanato da Dio e sconquassato e sommerso, che è divenuto la preda del maligno spirito, che fu ingoiato dai flutti del secolo; riconosca e confessi ch’egli giace in fondo all’abisso, affinché la sua preghiera giunga a Dio ». – Finalmente S. Agostino compendia così tutti questi prodigi della preghiera : « Per la sua preghiera Geremia è confortato in carcere; Daniele sta lieto in mezzo ai leoni; i tre fanciulli inneggiano allegri nella fornace ardente; Giobbe trionfa del demonio dal suo letamaio; il ladrone passa dalla croce al cielo; Susanna scampa al tranello dei vecchioni; Stefano, vittorioso de’ suoi lapidatori, è ricevuto in cielo; non vi è dunque luogo in cui non si deva pregare. Preghiamo dunque sempre e in ogni luogo, e gli uni per gli altri, affinché ci salviamo. La preghiera è la santa colonna della virtù, la scala della divinità, lo sposo delle vedove, l’amica degli Angeli, il fondamento della fede, la corona dei religiosi, il sollievo dei coniugati ».
La preghiera è il terrore dei demoni. — « Vestitevi dell’armatura di Dio, suggeriva S. Paolo agli Efesini, affinchè possiate stare fermi e saldi contro le insidie del demonio » (Epist. VI, 11). A commento di queste parole, S. Bernardo scrive : « Fiere certamente sono le tentazioni che ci vengono dal nemico; ma ben più tremenda è per lui la nostra preghiera, che non per noi i suoi assalti ». Infatti, « non così presto, dice S. Giovanni Crisostomo, il ruggito del leone mette in fuga le belve, come la preghiera del giusto sbaraglia i demoni ». Essa è tale saetta, dice S. Ambrogio, che va a colpire il nemico, ancorché lontanissimo (Serra. LXXX, VI); e S. Agostino la chiama il flagello dei diavoli (De Orat.). La preghiera caccia i demoni dal corpo e dall’anima; li costringe all’obbedienza ed alla fuga; assennatissimo quindi è il consiglio che dava a’ suoi monaci l’abate Giovanni: « Che cosa fa un uomo, egli dice, quando vede qualche fiera venirgli incontro? O fugge o si arrampica sopra di un albero; così fate voi, quando il demonio vi tenta; fuggite verso Dio per mezzo della preghiera, montate a lui e sarete salvi; poiché la preghiera atterra le tentazioni e il tentatore, come l’acqua smorza il fuoco ». « Io loderò e invocherò il Signore, cantava il Salmista, e sarò liberato da’ miei nemici » (Psalm. XVII, 4). « Partiti da me, Satana » — Vade, Satana — comandò Gesù al diavolo che osava tentarlo (Matth. IV, 10), e Satana si ritirò immantinente, e gli Angeli si accostarono a lui per servirlo (Ib. 11). I medesimi favori procura a noi la preghiera, caccia gli spiriti cattivi e ci avvicina i buoni. Diciamo sovente : Via da me, o Satana; questa sola orazione mette in fuga l’inferno e ci fa comunicare col cielo’… Il demonio non ha mai potuto vincere chi prega sovente e come si conviene. Se dunque noi siamo vinti, è perchè o non preghiamo, o preghiamo male.

8° La preghiera illumina. — Si legge negli Atti Apostolici, che il Signore disse a un discepolo di nome Anania, che andasse nella contrada chiamata Betta e cercasse nella casa di Giuda, un certo Saulo di Tarso, « perchè egli prega » significandogli nel tempo stesso che quell’uomo il quale pregava, era un vaso di elezione per portare il nome di Gesù Cristo in mezzo ai gentili, dinanzi ai prìncipi della terra ed ai figli d’Israele. Andò Anania, entrò nella casa indicatagli e vi trovò Saulo in orazione; imponendogli le mani, gli disse: Saulo, fratello mio, il Signore Gesù mi ha inviato a te affinché tu veda e sia riempito di Spirito Santo. E su l’istante ricuperò la vista (Act. IX, 10-18). Osservate che Saulo riceve la visita di Anania, lo Spirito Santo e la restituzione della vista, perchè prega. Vogliamo noi che Dio ci visiti egli medesimo, che i buoni Angeli ci assistano; desideriamo di essere illuminati dallo Spirito Santo? Imitiamo Saulo che prega.

9° Per la preghiera si ottiene la conversione dei peccatori. — Basta a persuaderci di questo effetto della preghiera l’esempio di S. Monica il cui figlio Agostino era un grandissimo peccatore e pietra di scandalo. Essa prega, prega molto, prega sovente, non cessa di pregare, e continua per lunghissimo tempo a pregare, e si raccomanda a tutte le persone buone, che preghino per suo figlio; ma finalmente la sua preghiera fa di Agostino un gran santo ed uno dei primi Dottori della Chiesa; avverandosi quella parola di un vescovo alla madre: Andate tranquilla, ché il figlio di tante lagrime non può perire (In Vita). Si legge nella vita di S. Teresa, che essa ottenne con le sue preghiere la conversione di tanti peccatori, quanti ne aveva convertiti S. Francesco Zaverio, Apostolo delle Indie, con le sue prediche e con i suoi miracoli (In Vita).
Donde vengono quei subitanei cambiamenti, quelle stupende miracolose conversioni che avvennero in tutti i secoli e di cui noi siamo testimoni, e in vista delle quali noi dobbiamo dire : « Qui vi è il dito di Dio »? (Exod. XVIII, 19). Dalle preghiere del giusto, dei religiosi, della Chiesa… ,

10° La preghiera ci salva. — « I padri nostri, dice il Salmista, innalzarono le loro grida al Signore e furono salvati… Per me ho levato la mia voce verso Iddio, e il Signore mi salverà » (Psalm. XXI, 6) (Psalm. LIV, 17). – « La preghiera del giusto, dice S. Agostino, è la chiave del cielo; la preghiera ascende al cielo, e la misericordia di Dio ne discende » (Serm. CCXXVI); lo stesso dice S. Efrem, assicurandoci che la preghiera ha sempre l’adito aperto al cielo (De Orat.). Queste sentenze si fondano su la parola medesima di Dio, trovando noi nell’Ecclesiastico, che la supplice preghiera sale fino alle nubi; che l’orazione di chi si umilia passa le nuvole e non si arresta finché non giunge al trono medesimo di Dio (Eccli. XXXV, 20-21).
Quale non dev’essere la forza e l’efficacia della preghiera, se monta fino al cielo, l’apre, e s’inoltra fino al trono di Dio? Notevole esempio ne abbiamo nel profeta Elia, il quale con la sua preghiera apre e chiude a suo volere il cielo! – Per la preghiera, scrive il Crisostomo, noi cessiamo, anche nel tempo, di essere mortali; noi siamo per natura mortali, ma per la preghiera, per la nostra familiare conversazione con Dio, passiamo alla vita immortale. Colui che parla familiarmente con Dio, diventa necessariamente più forte della morte e di tutto ciò che è soggetto alla corruzione. La preghiera assicura la gloria immortale all’anima, e la risurrezione gloriosa ai corpi (In Eccles. c. XXVIII).

11° La preghiera contiene beni immensi, — Dio ascolta, rischiara, illumina, dirige, fortifica, esaudisce chi prega. « Di quanti tesori di saggezza, di virtù, di prudenza, di bontà, di sobrietà, di eguaglianza di costumi non ci riempie la preghiera! », esclama S. Giovanni Crisostomo. Nell’orazione si avvera quel detto di Dio al Salmista: – « Apri la tua bocca ed io l’empirò » (Psalm. LXXX, 11). Quanto più si domanda, tanto più si riceve; più si desiderano ricchezze e più Dio ne dà… « Grida a me, disse Iddio a Geremia, e ti esaudirò; e ti rivelerò cose grandi e certe che tu non sai » (Ierem. XXXIII, 3). – La preghiera è come lavoro in una miniera inesauribile; essa ottiene tutto ciò che vuole; siccome la miniera dei divini tesori non potrebbe mai essere esaurita, attingendovi tutto quello che si desidera, la miniera è sempre intera. A questo oceano di ricchezze, che è Dio, attingono da seimila anni tutti quelli che pregano; e questo mare che bagna e feconda la terra, non è diminuito neppure di una goccia. È sempre pieno, sempre ribocca su coloro che pregano. Diciamo di più, quelli che pregano stanno attorno a questo mare e la loro preghiera ve li immerge per l’eternità. Udiamo ancora alcuni tratti dei santi Padri su questo argomento: « La preghiera, così il Crisostomo, è la guardiana della temperanza, la repressione della collera, il freno della superbia, l’espiazione dei desideri di vendetta, l’estinzione dell’invidia, la conferma della pace ». Secondo S. Bernardo, « purifica l’anima, regola gli affetti, dirige le azioni, corregge gli eccessi, forma i costumi, costituisce la bellezza e l’ornamento della vita. Rasserena il cuore, dice Cassiano, lo allontana dalle cose caduche, lo purifica dai vizi, lo innalza alle cose celesti e lo rende capace e degno di ricevere tutti i beni » . Insomma, come dice S. Agostino, « la preghiera è un sacrificio gradito a Dio; è un soccorso a chi prega; è il flagello di Satana ». [1- continua …]

G. FRASSINETTI: CATECHISMO DOGMATICO (IV)

[Giuseppe Frassinetti, priore di S. Sabina di Genova:

Catechismo dogmatico Ed. Quinta, P. Piccadori, Parma, 1860]

CAPITOLO III

DI DIO CREATORE.

  • I.

Della creazione del Mondo in generale.

Qual è il significato della parola creare?

Creare vuol dire cavare dal nulla, perciò quando si dice che Dio ha creato il Mondo, vuol dire che Dio con la sua Onnipotenza ha cavato il Mondo dal nulla. Differisce il creare dal fabbricare, perché nella fabbrica si adoprano dei materiali già esistenti, nella creazione invece si dà l’esistenza alle cose.

Quale fine Iddio si ha prefisso nella Creazione del Mondo?

Due fini si ha prefisso Iddio nella Creazione del Mondo, uno primario, e l’altro secondario: il primario è la manifestazione delle sue perfezioni; il secondario è la felicità delle creature intellettuali, uomini ed Angeli.

Dunque le creature manifestano le infinite perfezioni di Dio?

Le manifestano come è cosa evidente, perché dalle creature si conosce il Creatore, la sua Onnipotenza, la sua Sapienza ecc.; le manifestano però in un grado limitato, perché le creature essendo circoscritte e finite non possono manifestare in tutta la loro reale estensione le infinite perfezioni di Dio. Si noti perciò che Dio avrebbe potuto creare un mondo che in se stesso considerato fosse più perfetto di quello che ha creato, che cioè manifestasse in un grado più sublime le Divine Perfezioni; che per altro questo Mondo è nel suo genere perfetto, manifestando nel miglior modo le perfezioni divine in quel grado che all’Infinita Sapienza di Dio è piaciuto di manifestarle. – La Sapienza di Dio esige che Egli scelga per il conseguimento di un fine il mezzo più atto, e la sua Onnipotenza che possa fare sempre più di quello che ha fatto ( Perr. De Deo, p. 1, c. 2, prop. 3).

Dio ottiene il fine primario, cioè la manifestazione delle sue perfezioni infinite in quel grado determinato che si ha prefisso; ma non ottiene il secondario, perché molte creature intellettuali non sono felici, gli uomini in questa terra, i dannati e i demoni nell’Inferno.

Dio ha dato alle creature intellettuali i mezzi necessari alla loro felicità, e perciò da parte sua ha ottenuto il suo fine, che era condizionato, cioè quello di rendere felici quelle creature intellettuali che avessero voluto esser felici, servendosi bene della loro libertà. Se molte tra quelle creature non sono felici, è perché abusandosi della propria libertà, ricusarono la felicità proposta, e si fecero per loro colpa infelici. Quando fo limosina, il mio fine è di sollevare la miseria del mio prossimo indigente, e da parte mia ottengo il mio fine, che è condizionato, di sollevarlo, se vuol essere sollevato: è colpa del povero se egli, abusandosi della libertà di servirsi della limosina, la getta via e non resta sollevato.

  • II.

Degli Angeli,

Come si definiscono gli Angeli?

Sostanze create, spirituali, complete e intellettuali. – Si dicono sostanze create, perché furono cavati dal nulla nella creazione del Mondo. Spirituali, perché non hanno corpo nemmeno sottilissimo di aria o di luce, come pensarono alcuni antichi; adesso nessun Cattolico ne dubita essendosi espresso chiaramente il Concilio IV Lateranese a favore della totale spiritualità degli Angeli (Terrone, tom. 3 de Angelis). Complete, perché differiscono dall’anima umana in quanto che ella è ordinata a formare un tutto, cioè la persona dell’uomo unita col corpo. Intellettuali, perché hanno una gran forza, e finezza d’intendimento, sicché sono anche semplicemente appellate Intelligenze.

Che significa il nome di Angelo?

Angelo vuol dir nunzio; perciò il nome di Angeli si dà alle intelligenze celesti non come nome proprio della loro natura, ma come nome proprio dal loro ufficio (S. Greg. Hom. 84 in Evang.), quando sono mandati da Dio a fare qualche ambasciata, e dar qualche avviso.

È articolo di fede che esistano gli Angeli?

Senza dubbio, come consta da mille luoghi e la divina Scrittura, e dal capo Firmiter del IV Concil. Lateranese

— La natura degli Angeli è superiore alla natura umana?

È superiore, e ne consta dalla Scrittura e dai SS. Padri (Antoin. Tract. de. Angelis, c. 1, 3).

Gli Angeli conoscono i pensieri e i segreti del nostro spirito?

Li conoscono per congettura da certi segni ed indizi che se ne danno anche senza riflettervi; però in tal modo non ne hanno una cognizione certa. Ne hanno una cognizione certa quando noi vogliamo che conoscano tali pensieri e segreti, e quando Iddio per li suoi fini li rivela ai medesimi, anche noi non volendo (Antoin. ut sup. cap. 2, art. 1).

Come si può asserire che gli Angeli non abbiano corpo, mentre sono comparsi tante volte visibili?

In quelle circostanze si adattavano un corpo che non era loro proprio; lo prendevano all’uopo, e poi subito lo dimettevano, tosto che avevano eseguito le incombenze per cui Dio li mandava a contrattare con gli uomini.

Gli Angeli hanno potere sopra le cose materiali?

Vi hanno un potere maggiore di quello che vi hanno gli uomini, e con la loro finissima intelligenza e vigore producono anche nelle cose materiali effetti mirabili, ai quali nessun uomo potrebbe riuscire (Antoin. ut sup. art. 3). Possono muovere i venti, le tempeste, produrre terremoti e pestilenze, risanare malattie umanamente incurabili.

Tutte queste cose non si deve credere che provengano immediatamente dalle forze della natura? come insegnano i filosofi?

Noi non diremo che ogni vento che spira, ogni tempesta che infierisce, ogni pestilenza che fa strage ecc. venga immediatamente dall’azione di qualche Angelo, ordinariamente avvengono simili cose per immediato concorso delle cause naturali, governate da Dio come si disse (nel cap. 2, § 2 della Provv.); ma i filosofi non proveranno mai che alle volte non concorrano gli Angeli a tali cose; frattanto ci consta che vi concorrano da molti luoghi della divina Scrittura, dalla tradizione dei SS. Padri e dal sentimento di tutta la Chiesa Cattolica; quindi i sani filosofi non ricusano di attribuire agli Angeli questo potere sopra le cose materiali.

Gli Angeli furono creati in istato di grazia?

Certamente; però non godevano della visione di Dio, potevano conservare la grazia o perderla, usando o bene o male della loro libertà.

Si conservarono tutti in istato di grazia?

Molti vi si conservarono, ma una gran numero peccò subito di superbia, restò esclusa dal regno di Dio, e condannata all’Inferno; dico subito, perché quando Adamo peccò gli Angeli avevano già peccato, e già erano cambiati in demoni. Frattanto gli Angeli buoni che rimasero umili, furono ammessi alla chiara visione di Dio e rimasero impeccabili (Ant. tut sup. a. 3, art. 1).

Chi fu il capo degli Angeli cattivi, ora appellati demoni?

Fu Lucifero, che in tal modo restò il capo, e come il Principe di tutti i superbi.

Quali pene accompagnarono il peccato degli Angeli?

Quattro: 1. la cecità della mente, a riguardo delle cose soprannaturali; perché delle cose naturali loro restò una gran cognizione; 2. l’ostinazione della loro volontà nel male; 3. la privazione del Paradiso; 4. il tormento del fuoco eterno (ex Charmes:, de Deo creat. cap. V.).

— Gli Angeli cattivi ci possono indurre al male?

Possono tentarci in molti modi, però non possono violentare la nostra volontà.

È vero che si diano incantesimi e malie operate dalla forza dei demoni, e dal loro potere sopra le cose naturali?

È verissimo come consta da molti luoghi della divina Scrittura, come lo dimostrano tanti fatti innegabili, e come si vede dal sentimento della Chiesa in tutti i secoli. Sono temerarii e insieme ridicoli quelli che ardiscono negare una tale verità; la quale d’altra parte ai nostri giorni addiviene sempre più manifesta e palpabile, per le meraviglie delle tavole semoventi e parlanti, e del magnetismo il cui abuso fu già condannato dalla Chiesa con due decreti emanati dalla Suprema sacra Romana Universale Inquisizione del 28 luglio 1817 e del 30 luglio 1856. Quindi si tenga per certo che il demonio, Dio permettendo, può molte cose sopra le persone degli uomini e sopra le cause naturali.

Si danno pure degli ossessi?

Quantunque più d’una volta l’impostura abbia finto dei falsi ossessi; però è cosa certissima che si danno persone invasate dal demonio, anche dopo la morte di Cristo; e ciò si prova da fatti evidentissimi, e non si può negare senza accusare di pregiudizio, d’ignoranza la Chiesa Cattolica la quale usa gli esorcismi sopra gli ossessi, e conferisce un Ordine Ecclesiastico, e consacra ministri a tal uopo.

Per altro ai tempi nostri alcuni ne dubitano?

S. Tommaso (in IV sent. dist. 34, q. 1 a. 3) parlando di quelli che ne dubitavano ai tempi suoi, non teme di asserire che questo dubbio nasceva da un principio d’infedeltà; chi ci vieterà di dire lo stesso di quelli che ne dubitano ai tempi nostri? Noi aggiungeremo che essi mancano in logica, in critica ed in erudizione.

Quanti sono gli ordini degli Angeli?

Sono nove che costituiscono tre Gerarchie, ossia Cori. La suprema contiene i Serafini, i Cherubini e i Troni; la media, le Dominazioni, le Virtù e le Podestà; l’ultima i Principati, gli Arcangeli e gli Angeli.

Dio destina gli Angeli alla custodia degli uomini?

Che gli uomini siano custoditi dagli Angeli ella è verità chiaramente espressa nella Divina Scrittura; che ciascun uomo abbia il suo Angelo Custode, non si può dire che sia verità assolutamente di fede; però tale è il sentimento di tutti i ss. Padri, e di tutti i fedeli contro l’eretico Calvino (Antoin. ut sup.: 3, art. 2). Anzi convengono i Teologi che vi siano altri Angeli deputati alla custodia dei vari Regni della terra, e delle Varie Chiese, ossia Diocesi che formano la Chiesa Cattolica. L’Arcangelo S. Michele, che prima era l’Angelo Custode della Sinagoga, adesso è il custode della Chiesa universale (Antoin. loc. cit.).

Qual è l’ufficio degli Angeli Custodi a riguardo degli uomini loro affidati da Dio?

Li guardano dai pericoli e dai mali imminenti, impediscono che i demoni loro siano di nocumento, suggeriscono santi pensieri, pregano per essi e offrono a Dio le loro preghiere, consolano le anime del Purgatorio, e quando sono pienamente purgate le conducono al Paradiso (ex Charmes de Deo Creat. c. VII.).

  • III.

Dell’uomo.

Di che consta l’uomo?

Di anima e di corpo.

Quali sono le principali proprietà dell’anima dell’uomo?

É semplice, è libera, è immortale?

— Come s’intende: che è semplice?

L’anima dell’uomo è uno spirito non composto di parti, e perciò somiglievole agli Angeli; ella non è né alta, né bassa, né larga, né stretta, non ha dritta, o sinistra, non si può né vedere con gli occhi del corpo, né toccare con le mani; è nel corpo, e dà vita al corpo ma non ha alcuna qualità di quelle che ha il corpo.

Come s’intende che è libera ?

L’anima conosce il bene ed il male, e ha il potere di appigliarsi a questo, o a quello secondo le aggrada; quando fa il bene potrebbe non farlo, e quando fa il male potrebbe non farlo egualmente.

Come s’intende che è immortale?

Non solo l’anima sopravvive al corpo quando questo muore, ma ella unendosi di nuovo al suo corpo nel giorno della Risurrezione universale avrà una vita insieme al medesimo che non finirà mai restando eternamente, o felice, o infelice secondo i suoi meriti o i suoi demeriti, cioè secondo il buono o  cattivo uso che avrà fatto della sua libertà.

Dio non potrebbe far morire l’anima dell’uomo, cioè ridurla al niente?

Potrebbe di potenza assoluta, e anzi solo che lasciasse un momento di conservarla, sarebbe subito ridotta al niente, come succederebbe in questo caso a qualunque altra creatura; ma avendo Egli decretato di conservarla in vita eternamente, stante l’immutabilità del suo decreto, non può ridurla al niente.

É articolo di fede che il corpo dell’uomo debba risorgere dopo morte cui si unirà di nuovo l’anima?

È articolo di fede espresso nel Simbolo.

Chi fu il primo uomo creato da Dio?

Il primo uomo che creò Dio fu Adamo, poi da costui prese una costa, e ne formò Eva che fu la prima donna.

A conti fatti, stando alla cronologia della Santa Scrittura da Adamo a noi si numerano circa sei mila anni; frattanto vari dotti intelligenti dell’antichità dei monumenti, giudicarono che alcuni di questi contino anche più di dieci o dodici mila anni: se questo è vero vuol dire che Adamo non fu il primo uomo creato da Dio, ma che ne esistettero altri prima di lui.

Qui non v’ha luogo che io vi dimostri che sono impostori, o ignoranti questi dotti, che voi chiamate intelligenti dell’antichità dei monumenti. Vi basti sapere che attribuiscono a certi monumenti antichi, particolarmente egiziani, i dieci mila e più anni per far cadere in discredito la sacra Bibbia e scuotere in tal modo i fondamenti della nostra Ss. Religione. Adamo fu il primo uomo creato da Dio; egli è antico quanto il Cielo e la Terra, meno cinque giorni, essendo stato creato nel giorno sesto della creazione, e tutti i fabbricati o monumenti che sono al mondo sono meno antichi di Adamo (Perrone, de Deo Creat., c. 5).

Dio ha creato Adamo ed Eva in istato di grazia?

Dio, creando Adamo ed Eva, gli ha adornati della grazia santificante (ex Charmes de Deo Creat. Diss. 2).

Nello stato in cui erano d’innocenza, la grazia santificante si poteva dire in loro naturale, cioè dovuta alla natura?

Non già, questa grazia fu in Adamo ed in Eva un dono soprannaturale e gratuito, non dovuto perciò alla loro natura, e di questa verità ne consta principalmente dalla condanna delle proposizioni XXII, XXIII, e LXXIX di Baio condannate dai sommi Pontefici S. Pio V, Gregorio XIII e Urbano VIII, come pure di quelle di Quesnell che sono sotto il numero XXXIV e XXXV condannate da S. S. Clemente XI (ex Carmes, ibid.).

Adamo ed Eva furono creati immortali?

Certamente, e se avessero perseverato nel bene sarebbero passati al possedimento della gloria eterna senza morire. Si noti frattanto che anche questa immortalità a destinazione della gloria del Paradiso, erano doni soprannaturali (ex Charmes, ibid.).

Adamo ed Eva prima del loro peccato sentivano la ribellione delle loro passioni, e i disordinati movimenti della concupiscenza?

Non già; ma le passioni erano tranquille, perfettamente soggette alla ragione, né sentivano alcuno di quei movimenti disordinati. Questo pure era un dono soprannaturale (ex Charmes, ibid.).

Se la grazia santificante, l’immortalità, l’immunità e la destinazione alla gloria del Paradiso erano doni soprannaturali, vuol dire che Dio poteva crear l’uomo nello stato in cui ora nasce dopo il peccato?

Certamente Dio, senza lesione della sua giustizia o della sua bontà, poteva creare l’uomo nello stato in cui adesso nasce, tolto però il peccato (Vedi Perron. Tract. de Deo Creat. n. 339, vedi pure la proposizione condannata di Baio, n. 55).

Erano perfettamente felici in quanto all’anima e in quanto al corpo?

Non ve n’ha dubbio, perché tutte le miserie cominciarono dal peccato; perciò se fossero stati ubbidienti, nel Paradiso terrestre ove li pose Iddio, non avrebbero mai sopportato la minima afflizione o contrarietà.

Di che peccò Adamo?

Peccò di superbia, che è l’origine della disubbidienza, e da cui, come dice la Scrittura, ebbe principio ogni peccato (Eccl. X, v.14).

Quali furono le pene del peccato originale?

L’espulsione dal Paradiso terrestre, la morte del corpo, e tutte le infermità e miserie di questa vita. Lo spoglio di tutti gli altri doni soprannaturali, dei quali abbiamo parlato sopra. Restando privi della grazia santificante rimasero privi del diritto che avevano prima alla gloria eterna, e condannati all’eterna morte.

Il peccato di Adamo si trasfuse in tutti i suoi discendenti?

Questo è articolo di fede; e perciò col suo peccato non solo egli rimase soggetto alle pene surriferite; ma anche tutti i suoi discendenti, eccettuata la Ss. Vergine Maria (ex Charmes ut supr.).

Perché ne eccettuate la Ss. Vergine?

Perché questa fu sempre la pia credenza della Chiesa, ora poi definita come dogma irrefragabile dalla Bolla “Ineffabilis Deus” di S. S. Pio IX. Per la qual cosa se alcuno adesso negasse o mettesse in dubbio che la Ss. Vergine sia stata immune dal peccato originale sarebbe un eretico.

Ma il Papa ha per sé l’autorità di definire i dogmi?

Il Papa da per sé solo ha l’autorità di definire i dogmi (vedi cap. 1 dei Luoghi Teologici, § V). Inoltre è da osservare che questa definizione fu preceduta dal voto di tutti i Vescovi del mondo cattolico, e quindi fu accettata, non solo con la sottomissione, ma anche con la esultanza di tutte le chiese del mondo, che insieme alla chiesa di Roma formano la Chiesa Universale ossia Cattolica; perciò nessuno, senza essere manifestamente eretico, potrebbe negare o dubitare soltanto che Maria Ss. sia stata Immacolata nella sua Concezione.

Come può essere che i discendenti di Adamo siano giustamente sottoposti a soffrire la pena di un peccato che non hanno essi commesso personalmente?

Qui v’ha del mistero. A noi basti sapere che Dio è giusto, e non può punire se non i rei; bisognerebbe chiaramente conoscere la natura ossia il costitutivo del peccato originale, e allora vedremmo quanto sia cosa giusta che noi pure ne sopportiamo le pene. Se voi conoscete poco la natura di un delitto punito dal principe, forse sarete tentato a dire che egli ecceda in rigore; ma non potreste fare tale sospetto se aveste veduto ed esaminato il processo del reo. Noi crediamo per fede che Dio non può eccedere in rigore, e questo ci basti. Il peccato originale si trasfonde in noi mediante la carnale generazione; come succeda questa trasfusione, come ci sia imputabile, la Chiesa non l’ha ancora definito; ma questa oscurità in cui siamo non può darci alcun diritto a dubitare di una verità che è di fede. Si può forse dire che una cosa non è, perché non si conosce, o non s’intende come sia?

I fanciulli dunque che muoiono senza Battesimo sono pur essi condannati alla morte eterna?

Non se ne può dubitare; per altro non nel modo istesso in cui avrebbero subito la morte eterna Adamo ed Eva, se non si fossero pentiti. In essi quel peccato era un peccato fatto con propria malizia della lor volontà; non così nei loro discendenti. Onde credono i Teologi quasi universalmente, che tali fanciulli non soffriranno altra pena che di essere privi della vista di Dio, e S. Tommaso è di opinione che nemmeno questa pena sarà loro sensibile (2 sent. dist. 33, q. 2 a. 1 et 2). Questa opinione di S. Tommaso è abbracciata da gravi e sanissimi autori; perciò è molto probabile, e secondo questa opinione, la morte eterna per quei fanciulli consisterebbe nella semplice privazione della vita eterna, senza alcun dolore o patimento. Notate però che non essendovi alcuna necessità che Dio ci rivelasse come punisca in tali fanciulli il peccato originale, non ci dobbiamo meravigliare se non ce l’ha rivelato.

IV.

Del Paradiso, del Purgatorio e dell’Inferno.

È articolo di Fede che vi sia Paradiso?

È articolo di Fede espresso nel Simbolo, sotto il nome di Vita Eterna.

Dove è il Paradiso?

Il Paradiso è in Cielo « Rallegratevi, ed esultate perché avete copiosa mercede nei Cieli – (Matth. V, v. 42), ed è un luogo di tanta bellezza, ricchezza e magnificenza da non potarcene formare in questo mondo un’idea conveniente. – Dal Paradiso è esclusa affatto ogni ombra di male, mentre vi si trova ogni bene.

— In Paradiso che cosa godono i Santi?

La loro beatitudine essenziale consiste nel vedere Dio ed amarlo. Nel contemplare la sua infinita bellezza manifesta al loro intelletto e chiara com’è; e nell’amare la sua infinita Bontà con un amore che loro la fa gustare cara e dolce come è, consiste quella Beatitudine che lingua umana dir non saprebbe, né figurarsi umanamente, come diceva S. Paolo (1 Corint. 2)

Perché  avete detto beatitudine essenziale?

Perché questa è Beatitudine cosi grande e compita, che i Santi solo con questa sono beati così da non potersi desiderare altra cosa; godono però ancora della bellezza materiale del Cielo, della compagnia dei Santi loro compagni, e di quella degli Angeli; della presenza della Regina del Cielo Maria, e soprattutto della Ss. Umanità di Gesù Cristo; tale gaudio però non è punto necessario alla perfetta beatitudine, e perciò si può chiamare accidentale, ossia accessorio. Si danno pure in Cielo certi premi accidentali, che si chiamano aureole; piccole corone cioè, distinte dalla aurea, che è la corona della Gloria eterna comune a tutti i Beati. Queste aureole le definisce S. Tommaso: « un gaudio ossia premio accidentale aggiunto al premio, ossia gaudio essenziale, per qualche eccellente vittoria » (in 4 dist. 49, q. 5 ). Dice inoltre che tre sono le aureole: la prima dei Vergini i quali vincono la carne vivendo da Angeli in corpo umano; la seconda dei Martiri che vincono il mondo con tutti i suoi rispetti e terrori: la terza dei Dottori che vincono il demonio, facendone conoscere le frodi, e discacciandolo dalle anime. Si noti che queste aureole, si chiamano piccole corone, non perché sano poca cosa in se stesse, che anzi il loro valore e splendore é grandissimo; ma si dicono piccole in paragone dell’aurea, cioè della beatitudine essenziale comune a tutti i Beati. Nello stesso modo, si direbbe piccolo il più gran tesoro del mondo paragonato a una gran montagna di oro, o ad una spiaggia di gemme. La gloria di queste corone quantunque specialmente sarà nell’anime del Beato, ridonderà pure nel suo corpo glorificato dopo la Risurrezione, come afferma lo stesso S. Tommaso ( App. S. Alfon. Lig. Diss. IX dello stato dei Beati ecc. ).

Saranno sicuri i Beati di non perdere il Paradiso in eterno?

Ne saranno sicurissimi, e questa certezza è quella che fa compitissima la loro beatitudine, sapendo che quanto godono, lo godranno per sempre.

È articolo di fede che vi sia Purgatorio?

È articolo di Fede riconosciuto sempre tale da tutti i Cattolici, e dichiarato ultimamente dal sacrosanto Concilio di Trento (Sess. XXV in decr. de Purg.). Nel Purgatorio si soddisfa ad ogni debito di pena temporale contratto nella Divina Giustizia, per i peccati veniali, e anche per i peccati mortali, già perdonati però in quanto alla colpa e alla pena eterna che si meritavano. Vedremo poi a suo luogo, come perdonati i peccati mortali in quanto alla colpa e alla pena eterna loro dovuta, per lo più resti da soddisfarsi ad una pena anche temporale, o in questa vita con opere soddisfattorie e Indulgenze, oppure nel Purgatorio.

Quali sono le pene che soffrono le anime nel Purgatorio?

La pena del fuoco, la quale sarà acerbissima; dicendo Sant’Agostino (in Psalm. XXXVII), che il fuoco del Purgatorio è più doloroso di ogni pena che si può provare in questa terra, e la pena anche maggiore di vedersi private della vista di Dio, cui le anime separate dal corpo aspirano con grandissimo ardore.

È articolo di Fede che nel Purgatorio vi sia fuoco materiale?

Non è articolo di Fede, e certuni hanno pensato che il Purgatorio fosse un luogo oscuro pieno di mestizia, ma senza fuoco; per altro la sentenza comune dei Teologi come prova il Bellarmino (de Purgat. cap. 11), contraria al loro sentimento; e perciò, secondo quanto abbiamo detto nel cap. 1, § 6, si deve tenere per cosa certa e innegabile, che vi sia nel Purgatorio vero fuoco materiale.

Le anime nel Purgatorio vi stanno gran tempo?

A proporzione delle pene temporali delle quali sono debitrici alla Divina Giustizia: perciò altre vi stanno più, ed altre meno. La Chiesa, volendo che si adempiscano i pii legati  per le anime del defunti anche dopo secoli dalla loro morte, fa conoscere che ella crede esservi nel Purgatorio alcune che ivi dovranno penare per lunghissimo tempo. Si noti che nel giorno del Giudizio Universale il Purgatorio finirà; e se vi saranno alcune anime le quali vi dovessero restare ancora maggior tempo per soddisfare ai loro debiti, Dio farà che in minor tempo soffrano più intinse le pene, e quindi restino più presto purgate; affinché tutti gli eletti in quel giorno possano ascendere in Cielo gloriosi e beati.

Le anime nel Purgatorio sono certe della loro salute eterna?

Ne sono certissime; Lutero insegnò l’errore contrario, ma fu condannato con gli altri suoi, da Papa Leone X (vedi la Propos. 38).

— Le anime del Purgatorio sono rassegnate alla Divina Volontà in tante pene?

Sono rassegnatissime; e sebbene soffrano pene gravissime, dormono nel sonno della pace uniformate al Divino volere, amando Iddio e le sue adorabili disposizioni con intensissimo affetto di carità.

Dove é il Purgatorio?

È sentenza comune dei Dottori che il Purgatorio sia nelle viscere della terra (S. Alfonso Lig. Opera sop. cit. diss. 2).

I viventi possono portare sollievo alle anime del Purgatorio?

Questo é articolo di Fede dichiarato dal sacrosanto Concilio di Trento (sess. XXV decret. de Purg.). I mezzi con cui si può loro portare sollievo, sono le opere di mortificazione, le preghiere fatte a prò loro, l’applicazione delle indulgenze applicabili alle medesime; ma sopra tutto si reca sollievo alle anime del Purgatorio mediante il S. Sacrificio della Messa, come dichiarò il Concilio di Trento nel luogo citato.

È articolo di Fede che vi sia l’Inferno?

È articolo di Fede dichiarato in più Concili generali. Per Inferno s’intende un luogo di tormenti ove penano i demoni e i peccatori che muoiono macchiati di peccato mortale; questo luogo di tormenti non avrà mai più fine, né alcuno dei demoni o dannati potrà mai esserne liberato.

È pure articolo di fede che le pene dei demoni, e degli altri dannati non avranno mai più fine?

È articolo di Fede egualmente che l’esistenza dell’inferno, e ne costa dai medesimi generali Concili (Antoine, Tract. de pecc. art. V).

Quali sono le principali pene dell’Inferno?

Il fuoco e la privazione della vista di Dio, e l’eterna disperazione, essendo certissime che le loro pene non finiranno mai più.

I dannati soffriranno tutti pena uguale?

Questa cosa ripugnerebbe alla Giustizia a Dio; nel modo che i Beati in Cielo hanno diversi gradi di gloria, secondo la diversità dei meriti loro, nello stesso modo i dannati dell’Inferno, hanno diversi gradi di pena secondo la diversità dei loro demeriti. Per tanto quantunque nell’Inferno tutti siano infelicissimi nondimeno provano pene più intense o meno intense, secondo il numero e la gravezza dei loro peccati.

I demoni ed i dannati non escono mai dall’Inferno?

Ella è sentenza dei Teologi che alcuni demoni, permettendolo Iddio, abitino nelle regioni dell’aria; e si appoggiano all’autorità di S. Paolo, che li appella: Rectores tenebrarum harum…. in cœlestibus (Ephes. VI); ma il luogo loro assegnato di permanenza è l’Inferno da cui possono uscire, come pure le anime dei dannati, per qualche giusto fine, permettendolo Iddio: per altro bisogna notare che uscendone non restano liberi dalla pena che soffrono laggiù, la quale li accompagna in ogni luogo: di più è certo che non ne potranno più uscire dopo il Giudizio Universale. Che infatti i demoni e le anime dei dannati escano talora dall’Inferno, ella è cosa innegabile, per molti fatti che si leggono nelle istorie (V. S. Alfon. Lig. op. cit. diss. VIII).

  • IV.

Della consumazione dei secoli.

Quando succederà la consumazione dei secoli?

Ella è cosa incertissima, e non vi è alcuno argomento che provi con sicurezza dovere avvenire da qui a pochi o molti secoli. Anzi pare inutile questa ricerca, avendo detto Gesù Cristo che di quel giorno e di quell’ora in cui finirà il mondo nulla ne sanno gli Angeli e nemmeno nulla ne sa Egli stesso secondo l’umanità (Marc. XIII, v. 32), sapendolo soltanto per ragione della divinità, come dice San Gregorio Magno, e non volendolo manifestare. Non è quindi da meravigliarsi se vari autori antichi, celebri per santità e per dottrina, avendo voluto assegnare l’epoca della consumazione dei secoli, restarono ingannati. Perciò saviamente S. Tommaso s’impegnò a combattere ogni congettura fatta dagli uomini in questo punto, e S. Alfonso de’ Liguori nell’opera citata (diss. V) conchiude: « Quel che è certo, è quello che disse Gesù Cristo: De die autem illo, et hora nemo scit ». Inoltre Leone X nel Conc. Later. (ved. sess. II), Si esprime così: « Tempus quoque præfixum futurorum malorum, vel Antichristi adventum, aut certam diem Judicii prædicare, vel asserere (quis) nequaquam præsumat » (S. Alf. Lig. ibid. cit. diss. VI).

L’Anticristo precederà la fine del mondo?

La precederà certamente, ed è tale la dottrina di tutti i ss. Padri, e il sentimento di tutti i fedeli in tutti i secoli. Anche la divina Scrittura ne parla chiaramente in più luoghi.

Chi sarà l’Anticristo?

Un uomo scelleratissimo, che avrà commercio col demonio, opererà falsi prodigi, vorrà farsi adorare come Dio, perseguiterà i Cattolici più di quello che saranno mai stati perseguitati, e si farà un gran numero di seguaci. Egli sarà autore di grandi devastazioni e rovine, e ai suoi tempi cesserà la pubblica celebrazione dei divini Misteri, particolarmente della S. Messa (S. Alf. Lig. op. cit. Diss. III).

Chi verrà a predicare contro di lui?

Enoc ed Elia, i quali, secondo la comune sentenza dei Cattolici, vivono tuttavia. Eglino preserveranno dall’errore molti Cattolici e convertiranno molti infedeli, particolarmente gli ebrei, i quali prima della fine del mondo detesteranno la loro perfida ostinazione, e riconosceranno Gesù Cristo. Enoc ed Elia finiranno la loro predicazione col martirio (S. Alfon. Lig. op. cit. diss. IV).

Precederanno altri segnali la fine del mondo?

La precederanno molti segni terribili descritti nel santo Vangelo di tempeste, terremoti, sconvolgimenti di stagioni, carestie, pestilenze, ecc.

Come finirà questo mondo?

Finirà con un fuoco prodigioso il quale consumerà ogni cosa in questa terra, di cui arderanno pure i Cieli, come dice S. Pietro (Epist. 2, v. 3, 10, 12, 13).

È articolo di Fede che i corpi degli uomini alla fine del mondo risorgeranno?

È articolo di Fede espresso nel Simbolo con quelle parole: La risurrezione della carne.

Risorgeranno tutti gli uomini, niuno eccettuato?

Bisogna eccettuarne Maria Ss. la quale è risorta poco dopo la sua morte; verità certissima per l’autorità dei Padri, dei Dottori e per il sentimento della Chiesa Cattolica, la quale celebra solennissimamente la di Lei gloriosa Assunzione al Cielo. Bisogna eccettuarne Enoc ed Elia che dopo tre giorni e mezzo dal loro martirio risorgeranno, come leggiamo nell’Apocalisse (c. XI, vv. 11, 12). S. Tommaso e il Maldonato ne eccettuano i Santi che risorsero nel tempo della morte di Cristo (Matth. XXVII, v. 52). Tolti questi non si può dubitare che tutti gli uomini risorgeranno, perchè tutti hanno da morire, e poi presentarsi coi loro corpi al Giudizio Universale.

Ma se tutti hanno da morire prima di presentarsi al Giudizio, perché Gesù Cristo si chiama Giudice dei vivi e dei morti?

Risponde S. Tommaso, che per questi vivi s’intendono quelli i quali rimarranno in vita fino all’ultimo giorno del mondo (suppl. q. 74, art. 4 ad 3). Essi per altro morranno come porta la condanna proferita da Dio contro tutti i figli di Adamo. Essendo però vivi avanti poche ore del Giudizio Universale la loro morte quasi non si considera, e si dice che andranno come vivi al Giudizio, perché restati in vita fino a quell’estremo tempo, che termina col Giudizio.

Risorgendo tutti gli uomini, risorgeranno coi medesimi corpi che avevano prima?

Questo è articolo di Fede; se risorgessero con altri corpi non si potrebbe dire che risuscitasse quella carne, ossia quei corpi, che erano morti. I corpi dei dannati risorgeranno orribili e spaventosi, sebbene nella loro forma naturale. I corpi dei Beati risorgeranno pure nella loro forma naturale, ma bellissimi e gloriosi; dotati perciò delle quattro qualità convenienti a corpi glorificati: Chiarezza, Impassibilità, Agilità e Sottigliezza.

Mi spieghi queste quattro doti?

La Chiarezza importa uno splendore di luce vivissima, che manderanno siccome soli. L’Impassibilità li renderà immortali e incapaci di soffrire il minimo dolore ed incomodo. L’Agilità li renderà facilissimi ai voleri dell’anima, sicché senza peso e gravezza i corpi dei Beati si trasporteranno da un luogo all’altro con moto velocissimo. Per la dote della Sottigliezza saranno liberati da ogni crassizia, come si esprime S. Alfonso (diss. 2. § 5), in modo tale che l’anima governerà il corpo a guisa di spirito, non già perché diventerà spirito, o corpo aereo; ma perché il corpo sarà perfettamente ubbidiente all’anima.

Di quale statura risorgeranno i corpi?

Dice S. Tommaso (Supp. q. 81, art. 2), che gli uomini risorgeranno di quella statura che ebbero o avrebbero avuto nel termine naturale dell’aumento del corpo. Quelli però che ebbero, o avrebbero avuto una statura difettosa, per inconveniente grandezza o piccolezza, supplirà la Divina Onnipotenza affinché risorgano di statura ordinaria.

In qual luogo si farà il Giudizio Universale?

L’opinione comune dei Dottori insegna che il Giudizio Universale si farà nella valle di Giosafat. Ivi gli eletti saranno posti alla dritta, e i reprobi alla sinistra.

Quale sarà il segno del Figliuolo dell’Uomo che apparirà, secondo predice il Vangelo di S. Matteo nel cap. XXIV, v. 30?

Secondo la comune sentenza dei ss. Padri e dei Dottori questo segno sarà la Croce risplendentissima di N. S. Gesù Cristo, o la croce medesima su cui morì, o come è più probabile, la sua figura (S. Alfonso, diss. 6).

Gesù Cristo discenderà a giudicare gli nomini in forma umana?

È cosa certa ed indubitata, che Egli discenderà in forma umana, come in forma umana ascese al Cielo, e discenderà con gran forza e maestà, come si rileva dal santo Vangelo.

Come succederà il Giudizio?

Gesù Cristo farà che le buone opere dei giusti siano tutte palesi, e le cattive dei dannati parimente; sicché ciascuno conoscerà chiaramente i suoi meriti o demeriti, e similmente si vedranno i meriti e i demeriti altrui. In quel giorno si vedrà l’ammirabile condotta della Divina Giustizia a riguardo di tutti gli uomini.

Come si darà la sentenza?

Note in tal modo tutte le cose, Gesù Cristo inviterà tutti gli eletti al Paradiso e condannerà tutti i reprobi all’Inferno. Quindi gli eletti come in trionfo gloriosissimo ascenderanno al Cielo per riposarvi perpetuamente, e i reprobi, aprendosi loro la terra sotto i piedi, saranno ingoiati dall’Inferno, da cui né dannato, né demonio potrà uscire mai più.

Sarà allora la consumazione dei Secoli?

In tal modo finirà questo mondo, cioè la serie di quelle vicende, tra le quali vivono i figliuoli di Adamo. Deh conoscessimo finché siamo in tempo la vanità di tutte le cose caduche e l’importanza delle eterne, per avere in quel gran dì favorevole la sentenza di Cristo Giudice.

La nostra terra, il sole, le stelle cesseranno di esistere?

La terra non può cessare di esistere contenendo nel suo seno l’Inferno, il quale non finirà mai più; non cesseranno nemmeno di esistere il sole e le stelle, anzi brilleranno di luce più bella. Vide S. Giovanni nell’Apocalisse il Cielo nuovo e la terra nuova (Apoc. XXI, 1). Il tutto perciò sarà rinnovato in miglior forma dall’Onnipotenza di Dio.

Ma a che servirà la superficie della terra e il sole e le stelle dopo che tutti gli eletti saranno in Paradiso, e tutti i reprobi nell’Inferno?

Le Divine Scritture non ce ne dicono nulla; e niente si può immaginare che sia probabile. Rivolgiamo tutta la nostra curiosità alla ricerca dei mezzi, onde assicurarci il possesso del Cielo, da cui vedremo ogni cosa e di ogni cosa e per ogni cosa daremo a Dio eterna lode.

LO SCUDO DELLA FEDE (VII). CERTEZZA DEI MIRACOLI

VII.

CERTEZZA DEI MIRACOLI.

. — Gli antichi miracoli e l’asina di Balaam. — Certezza dei miracoli antichi e di quelli di Gesù Cristo. — Certezza dei miracoli degli apostoli. — Esistenza e certezza dei miracoli odierni.

— È poi egli vero che Dio ha operati dei miracoli per comprovare la sua divina rivelazione?

Non hai mai letto la Storia Sacra? Non hai inteso dire dei grandi miracoli operati da Mosè? delle piaghe di Egitto, del passaggio degli Ebrei attraverso il mar Rosso, della morte degli Egiziani in quello stesso mare, della colonna nebulosa e lucente, che guidava il popolo ebreo nel deserto, della manna che ogni dì scendeva dal cielo, delle acque scaturite dalla pietra al tocco della verga prodigiosa? Non conosci qualche poco i miracoli di Elia, di Eliseo, d’Isaia, di Daniele, e di altri profeti?

— Ho inteso dire per altro che tra quegli antichi miracoli ve ne sono altresì di quelli veramente strani e futili? per esempio l’asina di Balaam…

Certamente qualche miracolo può parere strano e futile a noi, che siamo di corto intendimento, ma non è certamente tale. E poi i veri miracoli in prova della verità di nostra fede non sono da considerarsi isolati, uno ad uno, ma nel loro complesso, e fare come quando si vede una pianta carica di bei frutti, che si dice essere magnifica, ancorché ne abbia qualcuno non tanto bello. Del resto nessun vero miracolo per quanto strano, può essere futile, come appare dall’esempio stesso che tu hai accennato, dell’asina di Balaam. « Mi sembra, dice un illustre oratore, che questa povera bestia abbia dato al padrone la più dura lezione che un uomo abbia mai ricevuto. Essa, tra l’altre cose gl’insegnò, che chi resiste alla voce della coscienza, alla volontà divina, e si dà in braccio alle passioni, quali che siano, giunge a tal grado di avvilimento, che le bestie istesse sono più degne che lui di vedere le cose di Dio. Essa insegna a me, che se ora le bestie parlassero, molti filosofi, che credono veder chiaro, e che sono accecati dalla passione, sarebbero svergognati, cosa non futile » (Monsabrè).

— Questa risposta è piccante e mi piace assai. Ma di quei miracoli così antichi, così lontani da noi, possiamo essere sicuri?

E come no? Per negare la verità di questi miracoli bisognerebbe bruciare tutti i libri profani degli antichi autori, che parlano di Mosè dei profeti e del popolo ebreo, e poi bisognerebbe ancora distruggere tutti gli ebrei che vi sono sulla faccia della terra.

— E perché?

La cosa è chiara: perché tutti quei libri contengono i miracoli, che t’ho accennato, e tutti gli ebrei anche presentemente credono alla verità di tale racconto.

— Ma quei miracoli furono operati a pro della religione ebraica.

Allora era dessa la vera religione. Epperò Gesù Cristo non venne a distruggere quanto Dio aveva insegnato in quella, ma a confermare e perfezionare quegli stessi insegnamenti. Ed a tal fine anch’Egli operò un numero stragrande di miracoli, che in complesso conoscerai, e che non occorre adesso che io ti ricordi. La stessa cosa fecero in seguito gli Apostoli e quasi tutti i santi lungo il corso dei secoli.

— E i miracoli operati da Gesù Cristo sono veramente certi?

Se sono certi? È tanta la loro certezza che come bene osserva uno scettico, Bayle, sognerebbe avere la fronte ben incallita per osare di negarli. Di fatti si tratta non solo di un miracolo, ma di un numero stragrande di miracoli, ed operati in pubblico alla presenza di centinaia e migliaia di persone, non solo a pro di gente del popolo ma eziandio a vantaggio di gente istruita; si tratta di miracoli fatti al cospetto degli stessi nemici, i quali avendo pure l’interesse di negarli, sopraffatti dalla loro realtà non osarono di farlo; di miracoli infine che passarono in possesso della storia anche per mezzo dei libri talmudici degli ebrei e degli scritti dei più acerrimi nemici del nome cristiano, quali furono un Celso, un Porfirio, un Gerocle, un Giuliano l’Apostata, che costretti ad ammetterli e pur volendone distruggere la forza si appigliarono allo stolto mezzo di ascriverli all’arte magica. E d’altronde come mai Gesù Cristo sarebbe riuscito dagli Apostoli, dai discepoli suoi a farsi credere figlio di Dio e a farsi amare e adorare come tale, se non avesse dato loro la prova dei miracoli? E nota bene, che la fede, l’amore, l’adorazione ei l’ottenne pur promettendo agli Apostoli e seguaci suoi le tribolazioni, le persecuzioni e la morte violenta! Come si spiegherebbe ciò senza i miracoli?

— Capisco questa certezza per i miracoli di Gesù Cristo, ma per quelli degli Apostoli… non so nemmanco se i loro miracoli si trovino scritti nei libri sacri.

Sì, mio caro, moltissimi sono narrati negli Atti degli Apostoli, che furono scritti da San Luca e che fanno parte delle Sacre Scritture del nuovo testamento. Ma quando pure non si trovassero nelle Sacre Scritture, come è certamente di molti di essi, dimmi un po’ come mai si spiegherebbe senza miracoli la rapidissima diffusione del Cristianesimo, che essi riuscirono a fare per tutte le parti del mondo? Questa è cosa degna di gran considerazione. Ascolta. Il giorno stesso della Pentecoste S. Pietro converte più di cinquemila persone. Passati alcuni lustri, nelle città più famose dell’impero romano, nell’Asia, nell’Italia, nella Persia, nell’Etiopia, nella Scizia, nell’India, ad Atene, a Corinto, ad Efeso, a Filippi, a Colossi, a Tessalonica, nella stessa Roma vi sono moltitudini sì grandi di Cristiani, che gli stessi scrittori pagani Tacito, Seneca, Plinio non ne possono tacere. Eppure chi erano gli Apostoli? Se eccettui S. Paolo, gli altri erano poveri e rozzi pescatori, privi di scienza filosofica, senza forza, senza autorità, senza appoggi, anzi contrariati continuamente nel loro disegno da principi, da sacerdoti e filosofi. Quale la dottrina che predicavano? Una dottrina, che in quanto al dogma contiene incomprensibili misteri, e in quanto alla morale intima la guerra alle più prepotenti passioni, che proclama beati i poveri, gli umili, i casti, coloro che sono perseguitati ed hanno da piangere. – Quale ancora la società, a cui si rivolgevano? La più superstiziosa e corrotta che mai si possa immaginare. Basti il dire che gli stessi vizi più abietti e più turpi vi si consideravano come divinità affine di onorare gli dei dandosi in preda ai medesimi. E con tutto ciò gli Apostoli convertirono il mondo! E possibile che a ciò siano riusciti senza imporsi coi miracoli? In tal caso sarebbe avvenuto un miracolo anche maggiore. Lo dicono chiaro S. Giovanni Grisostomo e Santo Agostino; e il nostro Dante espresse bene il loro sentimento in questi versi: Se il mondo si rivolse al Cristianesmo, Diss’io, senza miracoli, quest’uno è tal che gli altri non sono il centesimo. (Paradiso, Canto xxiv).

— Le ragioni da lei addotte sono inoppugnabili. Ma intanto perché adesso non vi sono più miracoli?

Ciò è falso. A Lourdes, in molti altri santuari della Madonna, dei Santi, ne accadono tuttodì e pienamente constatati come tali, per quanto la scienza si studi di spiegarli umanamente. Inoltre la Chiesa ha continuamente alle mani dei processi per la canonizzazione di qualche beato. E in questi processi bisogna che consti assolutamente di qualche miracolo.

— Ma la Chiesa nell’interesse di far molti santi dichiarerà facilmente che vi sia miracolo anche allora che si tratterà di un semplice fatto naturale!

Senti. Sotto il Pontificato di Benedetto XIV trovavasi a Roma un inglese e ragionava un giorno con un Cardinale sulla religione cattolica, criticandola assai vivamente, e rigettando sopra tutto come falsi i miracoli operati per l’intercessione dei santi. – Poco tempo dopo il Cardinale fu incaricato di studiare le carte relative alla beatificazione di un servo di Dio. E dopo averle esaminate, volle rimetterle al protestante, perché volesse esaminarle lui pure, e dirgli il suo parere sulla fede che meritavano le testimonianze ivi addotte in prova dei miracoli operati dal servo di Dio. – Dopo qualche giorno l’inglese riporta le carte, dicendo: » Per certo, Eminenza, che se tutti i miracoli dei santi canonizzati dalla vostra Chiesa, fossero certi al pari di questi, non penerei ad ammetterli ». – « Davvero? rispose il Cardinale: ebbene sappiate che noi qui a Roma siamo più rigorosi di voi, perché le testimonianze qui addotte non ci sembrano abbastanza convincenti, tanto che abbiamo rigettato la causa! » Vedi adunque, amico mio, se la Chiesa nell’interesse di far dei santi sia facile ad ammettere il miracolo, quando non c’è! E siccome nonostante il rigore che adopera ne’ suoi processi, riconosce sempre tuttavia dei veri miracoli, devesi conchiudere che anche ai dì nostri dei miracoli ve ne sono. Che se vi hanno di coloro, che dicono senz’altro che adesso di miracoli non ve ne sono più, si è generalmente perché non ne vogliono più sapere. « Se sotto la mia finestra, diceva un celebre incredulo a Parigi, si dicesse risorto un morto, io non mi alzerei per vederlo, perché sono persuasissimo che non vi sono miracoli, né sono possibili ». Ecco di qual maniera si pensa e si parla da certa gente. Con costoro a che serve il discutere? – D’altronde se presentemente vi sono meno miracoli che nei primordi del Cristianesimo eccone indicata la ragione da San Gregorio Magno: « I miracoli nel principio della Chiesa furono necessarissimi. Imperocché per far crescere alla fede la moltitudine dei fedeli era d’uopo nutrirla con i prodigi, di quella stessa guisa che allorquando si piantano dei giovani alberi bisogna irrigarli, finché le loro radici vigorose siansi allargate e bene abbarbicate. Quando la fede fu solidamente radicata nella Chiesa, i miracoli incominciarono ad essere meno frequenti (V. Omelia XX sul Vangelo). Ecco adunque: lo scopo dei prodigi ornai raggiunto non ne esigerebbe più, benché come dissi, sempre ve ne siamo.

— Di ciò ora sono persuaso.

G. FRASSINETTI: CATECHISMO DOGMATICO (III)

[Giuseppe Frassinetti, priore di S. Sabina di Genova:

Catechismo dogmatico, Ed. Quinta, P. Piccadori, Parma, 1860]

CAPITOLO II. 

DI DIO UNO E TRINO.

Chi è Dio?

È un Signore infinitamente perfetto creatore e conservatore del Cielo e della terra, di tutte le cose visibili ed invisibili.

Che cosa significa quella parola: infinitamente perfetto?

Vuol dire che in Dio è tutto il bene, che è una infinita bontà.

Che cosa significa la parola “infinito”?

Significa una cosa che non ha fine; per esempio, se vi fosse un mare nel quale andando a basso non si potesse mai più arrivare al suo fondo, e andando in alto non si potesse mai più arrivare alla sua superficie, e andando da una parte o dall’altra non si potesse mai più arrivare alle sue sponde: o meglio, se vi fosse un mare, che non avesse né fondo, né cima, né sponde, e si estendesse per ogni verso senza aver fine, questo sarebbe un mare infinito. Si noti però che è impossibile che vi sia alcuna cosa materiale infinita, come appunto sarebbe un mare.

Dunque la bontà di Dio sarà come questo gran mare?

Appunto è tanto grande spiritualmente, quanto sarebbe grande materialmente questo gran mare se fosse possibile che esistesse; perciò la bontà di Dio non ha alcun limite o termine, nessuno la può misurare, nessuno, né meno gli Angeli la possono comprendere, solo Dio con la sua sapienza infinita comprende la sua infinita bontà.

Non si potrebbe trovare, né in terra, né in Cielo una creatura la quale avesse una bontà da potersi paragonare con quella di Dio?

Come non vi può essere paragone tra il tempo e l’eternità, così non vi può essere paragone fra la bontà di qualunque creatura, bontà di Dio. Anche l’ineffabile bontà di Maria Ss. non solo è poca, ma si potrebbe dire un niente paragonata con l’infinita bontà di Dio. Ed è perciò che nemmeno in Paradiso, gli Angeli, i Santi e Maria Ss., con tutto il loro grandissimo amore che portano a Dio, non arrivano ad amarlo quanto si merita di essere amato in se stesso. Solo Dio ama se stesso quanto merita d’essere amato.

Che cosa s’intende per questa infinita bontà?

L’aggregato, l’unione delle, sue infinite perfezioni, ossia attributi. La sua Onnipotenza per cui può fare, e disfare tutte le cose con un atto della sua volontà. La sua Sapienza con cui vede chiaramente il passato, il presente, l’avvenire, e tutte le cose possibili. La sua giustizia con cui premia i buoni e castiga i cattivi. La sua Misericordia con cui perdona i peccati a quelli che di vero cuore si pentono. La sua Eternità, per cui non ha mai avuto principio e non avrà mai più fine. La sua Immensità per cui è in Cielo, in terra e in ogni luogo. La sua Impassibilità per cui Esso, che è un purissimo e perfettissimo spirito, non può patire o soffrire male veruno, e tutte le altre sue infinite perfezioni per cui è un bene veramente infinito.

Che cosa sì vuole significare con dire che Dio è un purissimo spirito?

Vuol dire che Dio non ha corpo come abbiamo noi; perciò non ce lo possiamo figurare né alto, né basso, né largo, né stretto; non si può toccare con le mani, non si può vedere con gli occhi materiali del corpo.

Ma dunque è niente?

Anzi si deve dire che è il tutto, perché infinitamente ricco di ogni perfezione, e di tutto il bene. Non è una cosa materiale, come quelle che vediamo e tocchiamo, e perciò non ha le proprietà delle cose materiali; le quali sono o alte o piccole, o larghe o strette, e si toccano, e si vedono; ma ha tutte le perfezioni spirituali per le quali è uno spirito infinitamente buono. L’anima nostra anche ella è uno spirito che non si può né vedere, né toccare, e pure pensa, giudica e ragiona, dà moto a tutto il corpo, ed è una parte dell’uomo molto più nobile del suo corpo.

Come si dice che Dio non ha corpo mentre nella Divina Scrittura si nominano gli occhi di Dio, le orecchie di Dio, le mani di Dio, ed altre delle sue membra?

Quando nella Divina Scrittura si attribuiscono a Dio le membra del corpo umano, quello è un parlare figurato; come se io dicessi che un cavallo vola rapidamente per una pianura, non intenderei già di dire che quel cavallo abbia le ali, e che voli come gli uccelli; ma con la parola volare significherei la sua velocità con la quale percorre quel campo. Quando nella Scrittura si nominano gli occhi, le orecchie di Dio, si vuole significare la sua Sapienza con la quale vede e conosce tutte le cose; quando si nominano le mani, la sua Onnipotenza con la quale fa ogni sua opera, e così si dica del rimanente. Così sciolgono tale difficoltà tutti i teologi, e tutti gli interpreti; infatti quando la Scrittura parla letteralmente, dice: Dio è spirito (Jo. IV, 24 ), e questo è un articolo di Fede (Perrone p. 2, c. 1, propos.2).

Perché si dice che Dio è uno spirito semplicissimo?

Perché in Dio non vi è alcuna composizione di diverse sostanze, né reale distinzione di perfezioni, ossia di attributi. L’Onnipotenza di Dio è lo stesso Dio, la Sapienza di Dio è lo stesso Dio, e così si dica della sua Giustizia, della sua Misericordia, e di tutte le altre sue perfezioni. In un uomo di potere, il sapere, la pietà, sono cose distinte dall’uomo, e perciò vi può essere un uomo senza potere, senza sapere, senza pietà. Ma in Dio ogni attributo è lo stesso Dio, né più né meno. Così tutti i teologi con S. Bernardo contro gli eretici, che avevano sognato in Dio una distinzione reale tra i suoi attributi (Perr. ut sup. prop. 4).

Perché dunque si dice che Dio ha tanti attributi e tante perfezioni diverse?

Questo lo diciamo secondo il nostro modo d’intendere, perché la Natura, ossia Sostanza Divina, è onnipotente, sapiente, giusta, misericordiosa ecc., quantunque questa Onnipotenza, Sapienza, Giustizia ecc. altro non siano in realtà che la stessa semplicissima Divina Sostanza.

Essendo Iddio infinitamente buono e l’Autore di tutte le cose che esistono, chi produsse nel mondo il male?

Il male venne nel mondo dall’abuso della libertà delle creature dotate di libero arbitrio. Dio ha dato la libertà agli Angeli e agli uomini; l’abuso che molti Angeli fecero della loro libertà quando peccarono di superbia, è l’origine di tutti i mali che soffrono i demoni, e che essi producono con la loro malizia: l’abuso che ne fecero gli uomini è l’origine di tutti i mali da loro sofferti. Si noti che i Santi Angeli i quali restarono fedeli a Dio, adesso non possono più peccare, cioè abusarsi della loro libertà.

Vi sono però tanti mali nel mondo che non furono prodotti dall’abuso della libertà delle creature, p. es. l’inferno è un gran male, similmente tante bestie nocive, le pesti, e terremoti ecc.; l’autore di tutti questi mali è Dio?

Tutte queste cose ed altre simili non sono mali in se stesse, ma sono mali per quelli che le soffrono in quanto sono loro tormentose, ma in se stesse sono beni necessari per punire il peccato e per impedirlo, manifestano la Divina Giustizia, danno occasione all’esercizio delle virtù ecc.; sono beni perciò ordinati da Dio contro l’unico vero male che è il peccato, cioè l’abuso della libertà. Se non vi fossero nel mondo i peccati non vi sarebbe alcuna cosa tormentosa, cioè nessuna pena contro i medesimi, come se in un regno non vi fossero delinquenti, non bisognerebbero né carceri, né altri castighi.

— Ma Iddio infinitamente buono perché ha permesso che le creature potessero abusare della loro libertà, a commettere peccati cagioni di tanti guai?

Dio ha dato alle creature la libertà affinché potessero meritare servendosene bene, dà alle medesime l’aiuto necessario perché se ne possano servire come Egli richiede, e di più non si può pretendere dalla sua infinita bontà; Egli di più ricava dai mali che si commettono i beni più grandi, p. es. avendo permesso la crudeltà dei tiranni, si esercitò la fede e la carità d’innumerevoli martiri.

— Alcuni pensarono che si dovessero riconoscere due principii, uno del bene, il quale fosse perciò il Dio buono, l’altro del male, e che perciò fosse il dio cattivo; dal primo ogni bene, dal secondo riconoscevano ogni male del mondo: non è plausibile quest’opinione?

Non è un’opinione, ma un’eresia molto stupida, perché il male non è mai una cosa reale, il male è una imperfezione, una mancanza di bene, come l’ombra non è mai una cosa in sé stessa, ma è sola mancanza di luce; perciò un dio cattivo sarebbe un’infinita mancanza di bene, perciò un infinito niente, che è cosa contraddittoria, e ridicola l’immaginare (Perrone, de Deo p. 1, c. 2, p. 3).

  • II.

Dell’immensità e provvidenza di Dio.

— Come s’intende che Dio é immenso?

Dio è immenso perché non é contenuto da nessun luogo, ma invece contiene tutti i luoghi, e lo stesso Universo. Frattanto é dappertutto con la sua presenza vedendo chiaramente ogni cosa, con la sua potenza conservando l’esistenza di tutte le creature, e concorrendo ad ogni loro operazione, con la sua essenza, perché come abbiamo detto la sapienza e la potenza di Dio non sono altro che la stessa sostanza di Dio (Perrone, p. 2, C 3, prop. 2).

Se Dio concorre a tutte le operazioni delle creature, vuol dire che dà il suo concorso anche al peccato, e che perciò lo approva e vi coopera?

In tutte le azioni libere vi é il materiale e il formale dell’opera. In un omicidio l’azione materiale é di conficcare un pugnale in un corpo che per sé é cosa indifferente; l’azione formale é la cattiva volontà, cioè la malizia di privare ingiustamente un uomo di vita, Dio concorre al materiale in quanto é azione indifferente, ma non concorre al formale, cioè alla malizia che disapprova, condanna e castiga.

Cosa é la provvidenza di Dio?

È la disposizione di tutte le cose create al conseguimento del loro fine.

Dio é provvido verso di tutte le sue creature, nessuna eccettuata?

Questo è di fede: « egualmente Egli ha cura di tutte le cose » così nel libro della Sapienza, cap. VI.

Molte cose nel mondo avvengono a caso, il che non avverrebbe se la divina provvidenza regolasse ogni cosa.

Con una parità di S. Tommaso intenderete il vostro errore. Un padrone manda alla piazza un dei suoi servitori; senza che questi nulla ne sappia, ve ne manda appresso un altro non avvisandolo d’aver mandato il primo, perché vuole che s’incontrino colà ambedue all’impensata: i due servi al primo vedersi credono d’incontrarsi a caso; frattanto il loro incontro è a bell’arte. Intendete perciò che al mondo niente succede a caso, la nostra è ignoranza, per cui non conosciamo le cause di tante cose ci ha fatto immaginare il caso; ma invece Dio regola tutto con la sua provvidenza, niente succede senza una ragione da Lui determinata. Cade, p. es., una foglia da un albero, qual ragione che si posi in terra più per dritto che per rovescio? È impossibile che noi conosciamo questa ragione; ma pure la ragione vi è nella divina Provvidenza. Il caso, la fortuna, sono nomi senza sostanza, né altro possono significare che la nostra ignoranza delle cagioni delle cose.

La provvidenza di Dio si estende pure a tutte le azioni libere degli uomini buone e cattive?

Senza dubbio, dirigendo le seconde a qualche bene. I figli di Giacobbe vendettero Giuseppe per l’invidia che nutrivano contro di lui, Dio diresse e regolò questa barbara vendita al vantaggio degli Egiziani, alla salutare confusione dell’invidia fraterna, alla conservazione e alla gloria della famiglia di Giacobbe ecc.

Vuol dire che Iddio è la causa prima di tutte le cose, ma non vi sono pure le cause seconde dalle quali dipendono tutte le cose nei loro eventi?

Vi sono in realtà le cause seconde perché, p. e., ciò che bagna è l’acqua, ciò che brucia è il fuoco; ma per altro bisogna notare che tutte le cause seconde agiscono in dipendenza dalla causa prima; sicché tutto ciò che succede, tolta la malizia del peccato, dobbiamo riconoscere da Dio. Bisogna pure notare che Dio non si serve sempre delle cause secondarie potendo agire senza di esse. Se vorrà mandare una pestilenza, un terremoto, potrà servirsi delle cause secondarie; ma potrà pure agire immediatamente da sé senza servirsi di loro; cioè senza premettere quella generazione di insetti velenosi che producono naturalmente la pestilenza, e senza premettere quella rarefazione e condensamento di vapori sotterranei, o pure quello squilibrio di elettricità che provoca per via ordinaria i terremoti; ma si noti bene che questa è cosa indifferente, come sarebbe cosa indifferente che il re assoluto punisse il reo con sentenza scritta di propria mano, o con sentenza fatta emanare dal suo tribunale. Questa verità si noti attentamente, giacché appunto nelle circostanze di pubblici flagelli o di privati, al giorno d’oggi si cerca di estinguere e dissipare quel salutare timor di Dio, il quale correggerebbe i peccatori, con decantare che tutto accade naturalmente, che cioè tutto è effetto delle cause secondarie. Tutto avvenga pure per effetto dello cause secondarie; ciò non ostante è Dio che regola queste cause secondarie con la sua provvidenza; Egli è un re, il quale non iscrive di propria mano la sentenza, ma la fa emanare dal suo tribunale, non la esegue con le sue mani, ma la fa eseguire dai suoi ministri; frattanto la condanna e la pena, viene sempre dal re. Si noti perciò, prima di tutto, che Dio per premiare o per punire o fare qualunque altra cosa, non ha bisogno di cause secondarie, e che poi quando le adopera Egli è sempre che premia, che castiga, che agisce con la sua provvidenza.

  • III.

Della volontà di Dio, predestinazione e riprovazione.

Che cosa è la volontà di Dio?

La volontà di Dio, che è uno dei suoi attributi i quali si concepiscono in Dio per modo di facoltà, come l’intelletto e l’onnipotenza, è quella perfezione per cui ama il bene ed odia il male, quella perfezione da cui è diretto in tutte le sue operazioni. Si noti che non essendovi distinzione reale fra le perfezioni di Dio e Dio medesimo, la volontà di Dio non è altro che la stessa divina sostanza ed essenza.

La volontà di Dio è libera nelle sue operazioni?

È libera non per volere il male; perché Dio non sarebbe più un’infinita bontà se potesse volere il minimo male, ma è libera nel volere il bene senza che cosa alcuna la possa sforzare: p. es., Dio è stato libero nel creare il mondo, e poteva non crearlo; così si dica di tutte le altre sue operazioni chiamate ad extra.

Quali sono queste sue operazioni chiamate ad extra.

Sono la creazione, la conservazione, e il governo delle cose; si chiamano ad extra distinguendole da quelle che succedono in Dio medesimo, le quali si dicono ad intra, e circa le quali la divina volontà non è libera, perché operazioni necessarie essenziali alla divina natura. Perciò poteva Iddio, come si disse, non creare il mondo, ma non potrebbe il Padre lasciare di generare il Figliuolo, ossia il Verbo Eterno, né lo Spirito Santo di proceder dal Padre e dal Figliuolo, perché quella generazione, e questa così detta processione, sono cose necessarie assolutamente nella divina sostanza, secondo l’idea che la Fede ci dà di Dio.

In Dio si deve riconoscere amore?

Dio ama infinitamente se stesso, ama anche le sue creature, e particolarmente le intelligenti e ragionevoli, come gli Angeli e gli uomini.

In Dio si deve riconoscere odio?

Dio odia il peccato e i peccatori; i peccatori però non gli odia in quanto sono sue creature, ma in quanto sono peccatori: tolto da essi il peccato non gli odierebbe più.

Vorrei sapere se Dio vuole la salvezza eterna di tutti gli uomini?

Dio vuole sinceramente la salvezza eterna di tutti gli uomini, e questa fu sempre la fede di tutti i Cattolici in tutti i secoli secondo il senso delle divine Scritture, e la tradizione di tutti i Padri. L’errore contrario, che Dio voglia salvi alcuni soltanto, fu condannato solennemente in Calvino e poi in Giansenio.

Che voglia la salvezza di tutti i fedeli facilmente s’intende perché loro somministra i mezzi necessari onde ottenerla, ma come si potrà dire che voglia la salvezza degli infedeli, i quali non hanno mezzo alcuno?

È falso che gli infedeli non abbiano mezzo alcuno per ottenere l’eterna salvezza. Dio dà agli infedeli molte grazie delle quali, se non abusassero, li farebbero venire in cognizione della vera fede, e si potrebbero salvare, e ciò farebbe ancorché si richiedessero dei miracoli, come insegna S. Tommaso.

Almeno si dovrà dire che Dio, non voglia la salvezza dei fanciulli i quali muoiono senza Battesimo, particolarmente di quelli i quali muoiono prima di venire alla luce?

Le Scritture sante, i Padri, e il sentimento di tutta la Chiesa bastantemente ci assicurano che Dio vuole la salvezza di tutte le anime, e perciò anche di quelle di tali fanciulli; se noi troviamo difficoltà nell’intendere il modo come la voglia, non per questo possiamo dire il contrario. Nelle cose della nostra santa Religione non solo è vero ciò che intendiamo, ma molte cose bisogna crederle senza capirle, e questa è una di quelle.

Che mi dice della Predestinazione, e Riprovazione degli uomini?

È articolo di Fede che vi sia vera Predestinazione: che cioè Dio abbia da tutta l’eternità stabilito di dare ad alcuni il Paradiso, e che vi sia vera Riprovazione, che cioè Dio abbia da tutta l’eternità decretato di condannare altri all’Inferno; pertanto il numero di questi e il numero di quelli è determinato. I predestinati sono tutti quelli i quali muoiono in grazia di Dio, i reprobi tutti quelli che muoiono in peccato mortale.

Queste mi sembrano risposte troppo materiali, non potrebbe parlare di tali materie con maggiore profondità?

A me basta esporvi ciò che è più necessario a sapersi, tante cose che si potrebbero dire di più, non sono per tutti necessarie, né per tutti adattate. In punto di predestinazione e di riprovazione vi basti sapere, che Dio vuole sinceramente la salute eterna di tutti; volendola sinceramente concede a tutti i mezzi bastanti per ottenerla (quando dico mezzi bastanti o sufficienti, che è lo stesso, intendo dire mezzi che veramente bastino, giacché se poi infatti non bastassero non sarebbero mezzi bastanti). Questi mezzi sono le sue grazie senza le quali non si può ottenere salute; quelli i quali corrispondono a queste grazie sicuramente si salvano, e perciò sono predestinati. Notate bene che è S. Pietro (2 Petri, cap. 1, v. 10) il quale vi avvisa di assicurarvi mediante le vostre buone opere l’elezione alla vita eterna, e sarà bene, che vi basti la semplicità della divina parola senza cercare più in là. I riprovati poi non si devono considerare come persone con le quali abbia mancato Iddio da parte sua, ma come persone le quali per la loro malizia meritarono di essere escluse dal Regno di Dio.

Che si dovrà dire dei fanciulli i quali muoiono prima dell’uso della ragione, altri battezzati, ed altri no, perciò altri predestinati, ed altri reprobi?

I fanciulli predestinati sono tali per i meriti di Gesù Cristo, loro applicati col mezzo del santo Battesimo, e che abbiano una simile sorte è un tratto della Divina Misericordia. I reprobi sono tali per il peccato originale, per cui muoiono privi della grazia santificante, e che abbiano una simile disgrazia « un tratto della Divina Giustizia. Ma voi che leggete, non vi dovete internare troppo in questi misteri, giacché le difficoltà che presentano essendo state insolubili ai ss. Padri, tanto più lo saranno a voi. Credereste voi di poter arrivare a conoscere i segreti di un Sovrano della terra a forza di raziocinio, qualora egli non ve li volesse manifestare? Certo che no; tanto meno dunque potrete arrivare a conoscere i segreti del Sovrano del Cielo, se egli non ve li palesa. Troviamo dei misteri insolubili nella condotta degli uomini, che sono così limitati e ci meraviglieremo di trovarne nelle disposizione dell’infinita Divina Sapienza? — In qualunque modo Dio predestini i buoni, o riprovi i cattivi, è impossibile che non tenga un tenore giustissimo degno della sua infinita Bontà. Vi basti sapere che Dio vi ama più di quello che voi amate voi stesso, che Dio vuole la vostra salute, più di quello che voi la vogliate, che Dio non vi escluderà dal suo Regno, purché voi liberamente non lo ricusiate. Il più lo ha fatto, che era il redimerci a tanto costo e il chiamarci poi nel seno della sua Chiesa; adesso resta il meno, che è il darci gli aiuti opportuni, affinché ci approfittiamo delle sue infinite misericordie, e lo farà: abbiate queste speranza, essa è quella che non confonde!

Mi resta ancora una difficoltà che non so passare sotto silenzio. È impossibile che non avvenga ciò che Dio ha stabilito; perciò, se Dio ha predestinato Tizio alla gloria, é impossibile che Tizio si danni; se ha riprovato Caio è impossibile che si salvi?

Per non confonderci, noi dobbiamo primieramente riflettere, che Dio non opera mai se non con le regole di una sapienza infinita; perciò, quantunque a noi non sia nota, vi è sempre una ragione giustissima per cui predestini Tizio, e non Caio (1). Inoltre Egli predestina Tizio, il quale liberamente farà del bene, mediante il quale si meriterà la Gloria, e riprova Caio, il quale liberamente farà del male, mediante il quale si meriterà la dannazione; perciò non si può dire che Tizio necessariamente sarà salvo, e Caio necessariamente dannato.

Ma Dio prevedendo che Tizio farà del bene, e che Caio farà del male, e non potendo fallire la divina previsione, questo bene e questo male non si farà necessariamente? Se Dio dunque vede che io sono nel numero dei predestinati è impossibile che mi danni, se invece vede che sono nel numero dei riprovati è impossibile che mi salvi?

Bisogna riflettere, che la previsione di Dio, che non è altro se non la sua Scienza infinita, cui il passato e il futuro sempre è presente, è una semplice vista delle cose, la quale non toglie la libertà alle cause libere. Io vedo p. es. uno che ruba, e un altro che fa limosina: mentre vedo quello rubare, non dirò che ruba necessariamente, perché lo vedo, ma che ruba veramente; mentre vedo l’altro far limosipa, non dirò che la fa necessariamente perché lo vedo, ma che la fa veramente; perciò Iddio vedendo le nostre azioni future, non le necessita. Così tutti i veri filosofi con tutti i teologi. Per tanto vede Iddio il buono o cattivo uso che voi fate della vostra libertà, mentre vi vede nel numero dei predestinati, o nel numero dei riprovati. Dal che potete conoscere che questa difficoltà, la quale vi pare sì forte, non vuole dir altro che se voi morendo bene, vi meriterete il Paradiso, è impossibile che vi danniate: che se invece morendo male vi meriterete l’Inferno, è impossibile che vi salviate. – In tal modo non ostante il dogma della Predestinazione e Riprovazione, si avvera sempre ciò che dice lo Spirito Santo: che la vita la morte è in mano dell’ uomo (Eccl. XV); che cioè dipende da lui o il salvarsi, o il dannarsi.

Non si potrebbe dire che Dio, come patrone assoluto delle sue creature, senza avere alcun riguardo, o a meriti, o a demeriti futuri altri elegga per il Paradiso, ed altri destini all’Inferno?

— Così bestemmiava Calvino. È vero che Dio può predestinare gli uomini al Paradiso, e dar loro tutti gli aiuti opportuni ed efficaci perché lo conseguano, quantunque non abbiano alcun diritto a tale predestinazione; ma senza prevedere demeriti nelle sue creature le può destinare ad una eterna miseria. La ragione è che la liberalità la quale fa dei doni a chi non ha diritto a pretenderli, è una perfezione, e perciò è in Dio; la crudeltà invece e l’ingiustizia che destina la pena senza presupporre nelle persone il delitto, sono vizi ributtanti, che distruggono l’idea non solo di un’infinita, ma di qualunque anche mediocre bontà (Ved. Antoine c. 7, art. 7 de reprob,).

(1) [Eorum non miseretur quibus gratiam non esse præbendam æquitate occultissima, et ab humanis sensibus remotissima iudicat, quam non adperit sed admiratur Apostolus dicens:  “O Altitudo divitiarum!” (S. Aug. lib. 1 ad simpl. q. 2). Lo stesso S. Padre afferma (in Enchir. q. 95) che in Paradiso vedremo tali ragioni e tali cause adesso a noi occultissime, e similmente conosceremo il motivo per cui Iddio abbia conferito molte delle sue grazie a quelli che prevedeva non volersene approfittare, e non le abbia conferite a quelli che ne avrebbero tratto profitto. Lo stesso insegna S. Bonaventura (in sentent. dis. 41, q. 2). Si noti pure che tali cause, ragioni e motivi non possono essere che degni di Dio, cioè di un’infinita bontà; la nostra ignoranza dunque ci umili, ma non ci sgomenti.]

  • IV.

Della Visione Beatifica.

I Santi in cielo vedono Dio?

Lo vedono intuitivamente, cioè lo vedono in se stesso realmente come è.

Non dice la Scrittura che Dio é invisibile e che niuno mai lo vide?

Dice che Dio è invisibile, e che niuno mai lo vide in questa vita; per questo la più probabile sentenza fra gli interpreti della Scrittura sostiene che nemmeno Mosè lo abbia veduto  intuitivamente; ma che invece gli sia comparso un Angiolo il quale gli dava ordini e comandi in nome di Dio; asseriscono perciò che quando disse d’aver veduto Dio, abbia inteso dire d’aver veduto un Angiolo che gli parlava come in persona di Dio. Ma nell’altra vita è verità di Fede che vedremo Dio, e “il vedremo come è” secondo l’espressione della Scrittura (Jo. 1, c. 3, v . 2).

Dopo la Risurrezione vedremo Dio con gli occhi del nostro corpo?

Con gli occhi del corpo non lo vedremo mai più, perché Dio è semplicissimo, e gli occhi del corpo sono materiali, e saranno materiali anche dopo la nostra Risurrezione: ora certo è che gli occhi materiali non possono vedere cose spirituali. Ma vedremo Dio col nostro intelletto illuminato dal lume della gloria.

Che cosa è questo lume della gloria?

È un abito soprannaturale col quale la mente o dell’uomo, o dell’Angelo viene disposta compitamente a veder Dio.

Senza questo lume della gloria non si vedrebbe Dio nemmeno in Cielo?

Certamente non si vedrebbe, come noi con gli occhi corporali anche sanissimi, senza l’aiuto della luce non potremmo vedere nemmeno una montagna per quanto fosse alla nostra presenza, e a noi vicina.

Che cosa vedremo in Dio?

Vedremo la sua divina sostanza con le sue Divine perfezioni; le quali però non sono in realtà che la medesima semplicissima sostanza Divina (come si è detto al § I, II. alla D. 10), il Mistero della Ss. Trinità, e anche le creature come effetti nella loro causa (ex Charmes, Tract, de Deo, dissert. 4, a. 2, qu. 1, art. A).

Vorrei sapere se in Cielo vedendo Dio chiaramente lo comprenderemo?

Per comprendere Iddio non basta vedere Iddio chiaramente: per comprenderlo bisognerebbe arrivare a conoscerlo con quella perfezione con cui Dio conosce se stesso con la sua scienza infinita, la qual cosa è impossibile ad ogni creatura; e perciò nemmeno l’anima Ss. di Gesù Cristo, che è unita ipostaticamente alla Divinità, nemmeno essa arriva a comprendere Dio; cioè a conoscerlo con quella perfezione con cui Dio conosce se stesso (ex Charmes ibid. c. 1, qu. 4, Conclusio).

Intenderemo in Cielo tutti i misteri della Fede che adesso dobbiamo credere ciecamente?

Nessuno ha mai dubitato che in Cielo si veda chiaramente tutto ciò che crediamo in terra; è perciò che i Santi non hanno in cielo la virtù della Fede, la quale serve a farci credere ciò che non vediamo.

I Santi in Cielo vedranno Dio tutti ugualmente?

È articolo di Fede che la visione beatifica non sarà in Cielo uguale per tutti, ma proporzionata ai loro meriti, o maggiori o minori (Conc. Fior. sess. XIII, Trid. sess. VI, cap. 32,). Questa diversità nasce dal maggiore o minore lume di gloria che avranno i Santi, misurato dalla maggiore o minore carità di che arderanno in Cielo (S. Thom. 1 p., q. 11, art. 6 in o).

Questa diversità non sarà disgustosa ai santi?

Essi non sono più capaci d’invidia; godono del bene altrui come del proprio, e la felicità di chi è in Cielo fra i minori è tanto grande e commensurata alla capacità che hanno di godere, che nulla resta loro a desiderare. Questa parità vi dilucidi il vero. Un uomo e un fanciullo arrivano assetati alla sponda di un gran fiume: l’uomo beve, e beve il fanciullo; credete voi che il fanciullo potendo bever meno per la minore capacità del suo stomaco invidii la maggiore quantità che ne beve l’uomo? Il fanciullo è contento di poter bere quanto vuole, e quanto può.

Si deve credere che Dio conceda alle anime sante la sua visione in Paradiso prima della risurrezione dei corpi, e del giudizio universale?

È un articolo di Fede, come apparisce dalla definizione di Fede del Concilio Fiorentino, sess. XXV, che le anime pienamente purgate da ogni colpa, e da ogni pena alla colpa dovuta, sotto ammesse tostamente alla chiara visione di Dio in Paradiso.

Che si deve dire di quell’opinione la quale Insegna che dopo la risurrezione i Santi avranno un regno di mille anni qui in terra insieme con Cristo?

Questa é un’eresia condannata negli Apollinaristi dal Concilio Costantinopolitano I. Il regno dei Beati e di Cristo sarà in Cielo e non in terra, e sarà eterno.

  • V.

Del Mistero della Ss. Trinità.

Vorrei che di questo Mistero, tanto sublime e difficile, me ne parlasse a tutto il rigore dei termini delle Scuole per più sicura ed esatta intelligenza.

Avendo io intenzione di parlarvene in modo, sicché ve ne possiate valere parola per parola nell’insegnare il Catechismo ai fanciulli, non è mia intenzione di usare a tutto rigore i termini delle scuole, che non sarebbero intesi, o richiederebbero dilucidazioni troppo prolisse. Vi contenterete dunque che coi termini più chiari, e intelligibili, e con la maggiore brevità vi spieghi le cose più necessarie a sapersi.

Come si definisce il Mistero della Ss. Trinità?

Un Dio sussistente in tre Persone (Halert).

Come è possibile che Iddio essendo Uno e semplicissimo sussista in tre Persone?

Sono due verità ugualmente di Fede, che Dio è Uno, e semplicissimo nella sua Divina sostanza, e Trino nelle Persone, le quali si chiamano Padre, Figliuolo e Spirito Santo. Questo però è un Mistero che dobbiamo adorare in questa terra, e che non intenderemo prima di poterlo contemplare in Paradiso.

Mi pare però una contraddizione che chi è tre debba essere uno, e chi è uno debba esser tre.

Non vi è alcuna contraddizione, perché queste tre divine Persone hanno una medesima natura e sostanza divina. Vi sarebbe contraddizione se avessero tre sostanze diverse, perché tre sostanze sarebbero tre Dei, e non potrebbero essere un Dio solo.

Dunque si potrà dire che il Padre è Dio, che il figliuolo è Dio, che lo Spirito Santo è Dio?

Si deve dire; e questo è articolo di fede; perché il Padre ha la sostanza divina, il Figliuolo ha la sostanza divina, lo Spirito Santo ha la sostanza divina: la quale però è una sola e perciò un solo Dio.

Il Padre è Eterno, il Figliuolo è Eterno, lo Spirito Santo è Eterno?

Si, certamente; ma non sono tre Eterni; bensì un solo Eterno perché un solo Dio.

Il Padre è onnipotente, il Figliuolo è onnipotente, lo Spirito Santo è onnipotente.

Sì, senza dubbio; però non sono tre onnipotenti, ma un solo Onnipotente; e così si dica a riguardo degli altri attributi di Dio, che sono la stessa una, e indivisibile sostanza di Dio come abbiamo detto (c. 2, § I, D. 10) (Simb. Athan.).

Le Persone della Ss. Trinità hanno le stesse perfezioni, lo stesso intendimento e la stessa volontà?

Hanno la stessa Sapienza, la stessa Bontà; vivono con la stessa vita, conoscono con lo stesso intelletto, vogliono con la stessa volontà, e operano con la stessa onnipotenza, e la ragione è sempre quella che hanno la stessa natura e sostanza divina.

Dunque si potrà dire che la Persona del Padre sia la stessa Persona del Figliuolo, e la stessa Persona dello Spirito Santo?

Questo non si può dire, perché è di Fede che sono tre Persone realmente distinte (Symb. Athan.), e perciò la Persona del Padre non è la Persona del Figliuolo e dello Spirito Santo. La Persona del Figliuolo non è la Persona del Padre e dello Spirito Santo. La Persona dello Spirito Santo non è la Persona del Padre e del Figliuolo. Sono tre Persone veramente tra di loro distinte, sebbene abbiano la stessa sostanza.

Si potrebbe dire che Dio è distinto in tre Persone?

L’espressione che Dio sia distinto in tre Persone è condannata dalla Bolla dogmatica Auctorem Fidei; perciò bisogna dire che in Dio vi sono tre Persone distinte, e non si può dire che Dio è distinto in tre Persone.

In nessun senso si potrebbe mai dire che sono tre Dei?

No, in nessun senso, e chi lo dicesse sarebbe un eretico (Antoine, Tract. de Trin. c. I, art. VII).

Si potrebbe dire che Dio é Padre, è Figliuolo, é Spirito Santo?

Si deve dire, come si conosce dalla definizione del Concilio IV Lateranense (Credimus, et confitemur, quod una quædam summa res est incomprehensibilis quidem, et ineffabilis, quæ veraciter est Pater, et Filius, et Spitus Sanctus, tres simul personæ, et singulatim quælibet earumdem, ( apud Antoine, tract. de Trin. c. 1, art. VI).

Mi porti una parità che non mi lasci tanto all’oscuro.

Figuratevi che vi fossero tre persone che si chiamassero Pietro, Paolo e Giovanni, che avessero però una medesima anima, e un medesimo corpo; si direbbero tre persone, perché l’una sarebbe Pietro, l’altra Paolo, e la terza Giovanni; nondimeno sarebbero un uomo solo, e non tre uomini, non avendo tre corpi, né tre anime, ma un solo corpo, e un’anima sola. Questa è cosa impossibile tra gli uomini perché la sostanza dell’uomo é piccola e limitata e perciò non può essere la stessa ed unica in più d’una persona; ma la sostanza di Dio, cioè la Divinità, è infinita, e perciò si può trovare, e si trova infatti, in più Persone: perciò la sostanza, la Divinità del Padre si trova pure nel Figliuolo e nello Spirito Santo (Bellarm.).

Perché il Padre si chiama la prima Persona della SS. Trinità?

Perché il Padre è senza principio; cioè non ha origine, e non è prodotto da alcuno; ma è il principio, dal quale procedono e sono prodotte le altre Persone.

Perché si chiama Padre?

Perché da tutta  l’eternità produce, ossia genera una Persona simile ed uguale a sé, dalla stessa sua sostanza e natura, cioè il Figliuolo.

Dunque il primo ad esservi fu il Padre, se da Lui è proceduto il Figliuolo?

Vi ho detto che il Padre genera il Figliuolo da tutta l’eternità: per la qual cosa il Padre, che è sempre stato, ha sempre generato il Figliuolo, e lo genera tuttavia Eterno come Lui.

Perché la seconda Persona si chiama Figliuolo, e come succede la generazione?

Perché è generato dal Padre, e questa generazione succede per via d’intelletto e di cognizione. Il Padre da tutta l’eternità contempla in se stesso le sue infinite perfezioni, e produce come un lucidissimo specchio una immagine viva, e perfettissima di se stesso, che ha la sua medesima Divina Sostanza, e si chiama il Figliuolo, e anche il Verbo Eterno di Dio.

Perché la terza Persona si chiama Spirito Santo?

Perché procede dal Padre e dal Figliuolo per via di volontà e di amore, ed è come un fiato spirituale, e perché è l’amore di Dio, Santo essenzialmente.

Come s’intende che procede dal padre e dal Figliuolo per via di volontà e d’amore?

Il Padre ed il Figliuolo amandosi da tutta l’eternità perfettamente l’un l’altro, producono lo Spirito Santo, il quale è l’amore reciproco del Padre e del Figliuolo, ed ha la stessa Divina Sostanza. Qui notate bene essere articolo di Fede, che il Padre non procede da nessuno, il Figliuolo dal Padre, e lo Spirito Santo dal Padre e dal Figliuolo.

Dunque il Padre è la maggiore delle Persone della Ss. Trinità, minore di Lui è il Figliuolo, e lo Spirito Santo minore del Padre e del Figliuolo?

Fissate bene ciò che tante volte abbiamo detto, che cioè le Persone della Ss. Trinità hanno la stessa natura e Sostanza Divina, e perciò sono tutte tre uguali, ugualmente perfette. Nelle Persone della Ss. Trinità non vi è né maggiore, né minore, ma una perfetta uguaglianza di bontà, e perfezione.

 

 

PREGHIERA

PREGHIERA

[G. Bertetti: “Il Sacerdote predicatore”, S.E.I. Ed. Torino, 1919]

I. Dobbiamo pregare.

– 1. La preghiera è un bisogno del cuore. — 2. È un comando di Dio. — 3. Dobbiamo pregare sempre. — 4. Per chi dobbiamo pregare.

1. LA PREGHIERA È UN BISOGNO DEL CUORE. — Il nostro cuore ha un desiderio immenso di felicità; … non trovandola in noi stessi, il nostro cuore cerca la felicità fuori di noi … E quando gli pare di avere scoperto godere così la felicità bramata … Ma la creatura non ci può dare la felicità ch’essa non ha al par di noi; … la creatura, egoista al par di noi, non ci vuol dare quel po’ di felicità apparente e caduca ch’ella possedesse per avventura … – Dio invece, perfezione infinita, sommo bene e sommo vero, Dio solo può darci la felicità: … Dio vuol darci la felicità … Egli non ci respinge, quando ci solleviamo a Lui con la nostra mente per domandargli quella felicità che unicamente si può avere nel suo santo amore … Dio non ci respinge: … è Lui che ci ha messo in cuore un desiderio immenso di felicità, appunto perché a Lui ricorriamo con la preghiera… I poveri son respinti dai palazzi dei ricchi, ma non li respinge Dio, allorché gli domandano di starsene nella sua casa e di assidersi alla sua mensa per sempre. « Con Dio t’è permesso di conversare e di trattenerti a tuo piacimento e d’ottenere con la preghiera ciò che brami; e benché tu non possa udire la sua voce, tuttavia, quando ti vedi da Lui esaudito, t’accorgi che Egli si degna di parlarti, se non con le parole, coi benefizi» (S. Giov. CRIS. , in Eccli., 18) La preghiera adunque è un bisogno del cuore, com’è un bisogno del cuore la felicità; … l’uomo non può star senza pregare: … o prega sollevandosi all’altezza di Dio, o prega abbassandosi alla miseria e al fango della creatura, … o trova la felicità pregando Dio, o pregando la creatura trova il nulla, e talvolta peggio del nulla, il peccato. La preghiera è un bisogno del cuore: … e posto per impossibile che Dio ci avesse proibito di pregarlo, noi non potremmo comprimere la voce del cuore che ci mette sul labbro la preghiera… Ma Dio, ben lungi dal proibirci di pregarlo e d’affollarci intorno a lui come altrettanti poverelli, ce ne fa un espresso e severo comando …

2. LA PREGHIERA È UN COMANDO DI DIO . — È vero che Dio nella sua liberalità ci concede molte cose senza che noi lo preghiamo, ma molte altre cose ha disposto di concedercele soltanto a patto che noi lo preghiamo … Ed ha così disposto, non già perché Egli abbia bisogno delle nostre preghiere o per conoscere le necessità in cui ci troviamo, ma « perché acquistiamo una certa qual famigliarità nel ricorrere a Lui e perché lo riconosciamo autore d’ogni nostro bene » (S. TH., 2a 2ae, q. 83, a. 2)… Dio vuole che lo preghiamo e che la nostra preghiera « salga come incenso nel suo cospetto » (Ps. CXL, 2), subordinando a questo tributo di religioso affetto la concessione delle sue grazie … «Chiedete, e otterrete; cercate, e troverete; picchiate, e vi sarà aperto; poiché chiunque chiede, riceve; chi cerca, trova; e sarà aperto a quello che picchia» (MATTH., VII, 7, 8)… La conseguenza è chiara: … chi non chiede non riceve, chi non cerca non trova, chi non picchia non si vedrà la porta aperta. Non pago d’avercene dato il comando in termini così rigorosi, il Salvatore ce ne volle dare l’esempio, passando spesso le notti in continua preghiera e non compiendo mai opera di rilievo senza farvi precedere una fervente orazione … Benché la sua volontà, interamente conforme a quella dell’eterno Padre, avesse forza di preghiera, pregò anche con la voce:… « avrebbe potuto il Signore in forma di servo pregare in silenzio, ma volle dimostrarsi orante in tal modo presso il Padre, ricordandosi d’essere nostro maestro » (S. AGOSTINO, tract. 104 in Joan.)… Benché il suo intelletto fosse sempre unito a Dio, secondo l’essere personale e secondo la beata contemplazione, prima di pregare, come se avesse bisogno di raccogliersi, solleva gli occhi al cielo; … a pregare si ritirava nella solitudine, … si prostrava a terra pregando, ….

3. BISOGNA PREGAR SEMPRE. — E quante volte, o Divin Maestro, noi dobbiamo pregare?… «Pregar sempre e non lasciar mai di pregare » ( Luc, XVIII,1) … – Noi pregheremo sempre e non lasceremo mai di pregare, se conserveremo sempre vivo in noi lo spirito di preghiera, ossia l’intenzione di fare tutto a onore e gloria di Dio ( la Cor., X, 31);… « il giusto prega sempre, sempre, perché anche quando la mente non prega, pregano le opere; anzi, perfino quando dorme, le sue opere risplendono al cospetto del Signore e intercedono per lui presso Dio» (S. AMBROGIO, serm. 6);…. «prega sempre chi opera sempre secondo Dio » (S. BEDA Ven. in sentent.); … « prega sempre chi fa sempre bene » (S. BASILIO, hom. in Judith mart.)… – Certo il Divin Maestro non ci obbliga a tralasciare ogni altra occupazione che non sia la preghiera: … Egli stesso, oltre che alla preghiera attese al lavoro manuale nella bottega di Nazaret, a predicare, a risanar infermi; … Egli stesso, oltre che alle necessità dell’anima, provvedeva e per sé e per altri alle necessità del corpo … – Così Nostro Signore non ci obbliga a far orazioni lunghissime;… anzi « è conveniente che la preghiera duri solo nella misura ch’è utile a eccitare il fervore del desiderio interno: sorpassata tal misura, e arrivati al punto di non poter più proseguire senza noia, non è bene prolungar oltre l’orazione » (S. TH., 2a 2æ, q. 83, a. 14);… la buona intenzione di pregare « non dev’esser sforzata, se non può più durare; come non dev’essere presto interrotta, se la dura» (S. AGOSTINO, ep. ad Prob.). – Neppure ha voluto il Signore assegnarci un orario preciso e particolareggiato per la preghiera; … vuole però che sia frequente secondo le necessità d’ognuno: « in tutte le cose la quantità dev’essere proporzionata al fine, come la quantità della medicina alla salute » (S. TH., 2a 2æ, q. 83, a. 14)… Anche qui però la Chiesa interviene com’è suo dovere, a dichiararci per tranquillità della nostra coscienza quali tempi siano più propizi alla preghiera, esortandoci a pregare dopo che ci siam levati al mattino,… al mezzogiorno, … alla sera prima del riposo, … prima e dopo il lavoro; … prima e dopo il cibo, … nel momento delle tentazioni … Non è più un’esortazione, ma un comando a nome di Dio, quel che la Chiesa ci fa di pregare nelle domeniche e nelle feste di precetto, nei quali giorni si deve pregare non più in privato soltanto, ma in pubblico; non più in casa nostra, ma nella casa di Dio… Vuole la Chiesa che almeno una volta la settimana facciamo violenza al cuor di Dio, pregando insieme riuniti in un medesimo luogo e e in un medesimo spirito, secondo la dolce promessa del Redentore: « Vi dico pure che se due di voi s’accorderanno sulla terra a domandare qualsiasi cosa, sarà loro concesso dal Padre mio ch’è nei cieli» (MATTH., XVIII, 19) – Due altri modi per pregar sempre, oltre lo spirito di preghiera e oltre il pregar in determinati tempi, ci suggerisce l’Angelico:… 1) conservare in noi la divozione provata durante la preghiera;… 2) far del gran bene agli altri, sicché i beneficati per riconoscenza preghino in nostro favore

4. PER CHI DOBBIAMO PREGARE . — Anzitutto dobbiamo pregare per noi stessi: … così vuole la carità ben ordinata, … così c’insegnò Gesù Cristo col suo esempio … Nella sua ultima orazione pubblica, Egli cominciò a pregare per la sua glorificazione, poi per tutt’i credenti (JOAN., 17) … « Gesù Cristo volle ricorrere con la preghiera al Padre per darci l’esempio di pregare e per dimostrare che dal Padre è eternalmente proceduto secondo la natura divina, e ha da Lui tutt’i beni che ha secondo la natura umana. – Alcuni beni aveva già ricevuti dal Padre nella natura umana, ma altri ne aspettava che non aveva ancor ricevuti: e come per i beni già ricevuti nella natura umana ringraziava il Padre, riconoscendolo come autore, così anche per riconoscere come autore il Padre, gli domandava pregando i beni che ancora gli mancavano secondo la natura umana, come la gloria del corpo e altre cose siffatte. E anche in questo ci diede l’esempio, a ringraziare il Signore dei doni avuti e a domandargli con la preghiera quel che non abbiamo ancora » (S. TH., 3a, q. 21, a. 3). Gesù, dopo aver pregato per sé, pregò per tutti noi: « Padre santo, custodisci nel nome tuo tutti quelli che m’hai affidato, affinché siano una cosa sola come noi » (JOAN., 17, 11) … La carità c’impone di volere il bene non soltanto per noi, ma anche per gli altri: … « pregate gli uni per gli altri, affinché siate salvi» ( JAC, 5, 16) … Preghiamo per i giusti, affinché perseverino; … per i peccatori, affinché si convertano;… preghiamo per il trionfo della Chiesa militante; … preghiamo per la sollecita liberazione delle anime tra le fiamme della Chiesa purgante… Nessuno sia escluso dalla carità delle nostre preghiere: … la Chiesa prega non solamente per i suoi membri, ma per tutti gli uomini, per i pagani, per gli eretici, per gli scismatici, per i suoi nemici, per i suoi persecutori, per i suoi carnefici … Preghiamo anche noi per i nostri nemici:… «pregate per quei che vi perseguitano e vi calunniano» (MATTH., V, 44) … È vero che, per l’adempimento dì questo precetto, basta che « non escludiamo i nemici nelle preghiere che facciamo in generale per tutti, il pregare poi per essi in modo speciale è cosa di perfezione, ma non di necessità, se non in qualche caso speciale » (S. TH., 2a 2æ, q. 83, a. 8) … Ma quanto maggior bene otterremo per noi e per tutti, se fossimo capaci di quest’atto di perfezione!… « Se Stefano non avesse pregato per Saulo, forse la Chiesa non avrebbe un San Paolo » ( S . AGOSTINO, ep. 97) … E se Gesù in sulla croce non avesse pregato per i suoi crocifissori, forse il mondo pagano non si sarebbe convertito con tanta rapidità e con tanto entusiasmo… Che se Dio non accenna ancora ad esaudire le nostre iterate suppliche, esaminiamoci se per avventura escludiamo più o meno dalla nostra preghiera qualcuno dei nostri fratelli: … Dio, in tal caso, tratterebbe noi, con la stessa misura onde avremo trattato gli altri …

II. Come bisogna pregare.

– 1. I tre effetti della preghiera. — 2 . Come bisogna pregare: a) perché la preghiera sia meritoria; b.) perché sia impetrativa; c) perché ci sia di spirituale refezione.

1. I TRE EFFETTI DELLA PREGHIERA . Tre sono gli effetti della preghiera: … il primo effetto è comune a tutti gli atti informati dall’amor di Dio; ed è l’effetto di meritar la grazia e la gloria; … il secondo effetto è proprio della preghiera, ed è quello d’impetrar da Dio qualche bene;… il terzo effetto è quello di riuscire come una spirituale refezione alla mente… Dipende dalla nostra buona volontà il conseguire i due primi effetti, arrecandovi le dovute disposizioni;… non sempre riusciremo, con tutta la nostra buona volontà, a ottenere nell’atto della preghiera il terzo effetto, ma con la buona volontà potremo ottenerne compenso sovrabbondante in un maggior merito e in una maggior impetrazione.

1. COME BISOGNA PREGARE a) PERCHÈ LA PREGHIERA SIA MERITORIA .

Ci vuole anzitutto l’intenzione di pregare:… la preghiera non è un meccanico movimento di labbra, ma un atto dell’intelletto e della volontà;.., pregare significa parlare con Dio: ora, è impossibile metterci a parlare con una persona, senza aver l’intenzione di parlarle… La preghiera sarà tanto più meritoria quanto più sarà ricca di buona e santa intenzione: … e il meglio che possiamo fare sarà di pregare « in unione di quella divina intenzione con cui Gesù Cristo sciolse lodi a Dio sulla terra »… Così c’insegna la Chiesa a pregare (orai, ante Div. Off.) – Ci vuole la fede nell’onnipotenza e nella bontà di Dio:… «il fondamento della preghiera è la fede; dunque crediamo per poter pregare, e preghiamo perché non ci abbia mai a mancare questa fede con cui preghiamo; la fede c’inspira la preghiera, la preghiera fatta ci ottiene il rassodamento della fede » (S. AGOSTINO, traci. 36 de Verb. Doni, secundum. Luc.) … Che merito potrà avere la preghiera fatta da chi non conosce più Dio e il Salvator nostro Gesù Cristo? … da chi ha perduto la fede, trascurando la parola di Dio? … « Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvo; ma come invocheranno uno, in cui non hanno creduto? e come crederanno in uno, di cui non hanno sentito parlare? come poi ne sentiranno parlare senza chi predichi? » (Rom., X, 13, 14) Ci vuole la carità verso Dio… cioè bisogna essere in grazia di Dio: … è la grazia di Dio che dà la forma sovrannaturale alle nostre opere buone e comunica loro un merito eterno … Solo «le preghiere dei santi» esalano come profumi dalle coppe d’oro tenute in mano dagli angeli del cielo (Apoc, V, 8):… « la preghiera senza la grazia santificante non è meritoria, come non sarebbe meritorio qualsiasi altro atto virtuoso » (S. TH., 2a 2æ, q. 83, a. 15). – Ci vuole umiltà, riconoscendo la nostra miseria e l’immenso bisogno che abbiamo del divino aiuto … Dio è gelosissimo della sua gloria: … dà a noi tutt’i beni, dà a noi se stesso, ma vuole riserbata unicamente a se la gloria:… «Non ad altri darò la gloria mia » (ISA., XLII, 8; XLVIII, 10) … Che merito potrà avere la preghiera del superbo che ruba a Dio la gloria? …Preghiera abbominevole sarebbe, perché « ogni uomo arrogante e superbo è in abbominio presso Dio » (Prov., XVI, 5), e di sette cose che Dio detesta, mette per prima la superbia (Prov., VI, 17; Eccli., X, 7; XI, 32) …

b) PERCHÈ LA PREGHIERA SIA IMPETRATIVA. — Perché la preghiera ci ottenga di diritto, secondo l’indefettibile promessa del Redentore, ciò che domandiamo, occorre anzitutto che abbia tutte le condizioni volute per essere meritoria … A rigore di giustizia meriterebbero dunque soltanto d’essere esaudite le preghiere fatte in grazia di Dio: … nondimeno Dio per pura sua misericordia esaudisce anche le preghiere del peccatore, purché siano fatte con fede e umiltà e purché adempiano alle altre condizioni che si richiedono per ottenere d’essere esauditi da Dio. Se vogliamo essere esauditi da Dio, oltre alle condizioni richieste perché la preghiera nostra sia meritoria, demanderemo cose necessarie per la vita eterna… la gloria di Dio,… la .sua santa grazia,.., la perseveranza finale; … domanderemo le cose temporali, solo in quanto ci siano utili alla vita eterna,… ma di questa utilità lasceremo giudice Dio:… «La misericordia di Dio talora esaudisce e talora non esaudisce le suppliche fattegli per le necessità di questa vita; ciò che all’infermo sia utile, lo conosce meglio il medico che l’ammalato » (S. AGOSTINO, sent. 212);… ma anche quando Dio nella sua misericordia non ci concede quel che a noi pareva un bene e sarebbe stato un male, ci accorda in sua vece un benefizio maggiore che apprezzeremo a suo tempo … Può accadere che Dio non ci esaudisca quando gli domandiamo una cosa evidentemente utile alla nostra salute eterna, p. es. la vittoria d’una tentazione, il compimento d’un’opera buona;., in tali casi, Dio differisce semplicemente di esaudirci per farci procurare dei meriti maggiori e per concederci poi la grazia con maggior abbondanza, … o non ci esaudisce per colpa nostra, che spesso pretendiamo tutto da Dio senza mettere tutto l’impegno e tutto l’ardore nel fare il bene … Se vogliamo che il Signore benedica i nostri passi nella via della perfezione, dobbiamo pregare come se tutto dipendesse da Lui, dobbiamo lavorare come se tutto dipendesse da noi … Molte grazie il Signore suole concedere soltanto dopo molte istanze: … le avremo, se persevereremo nella preghiera; e non le avremo, se non persevereremo … perseveriamo nel pregare:… e saremo certo esauditi … «Dio vuol essere pregato, vuol essere costretto, vuol essere vinto con una certa qual importunità, e perciò ti dice che il regno dei cieli si toglie a viva forza e si rapisce con la violenza. Sii dunque assiduo nella preghiera, sii importuno: guardati dallo scoraggiamento. Se Dio da te pregato finge di non udirti, ricorri alla rapina per impossessarti del regno dei cieli, ricorri alla violenza per sforzar la stessa porta del cielo. Buona violenza è questa, per cui Dio non s’offende, ma si placa; non si danneggia il prossimo, ma s’aiuta; non si fa peccato, ma si cancella » (S. GREGORIO, in Ps. 6). – S’avverta finalmente che, se abbiam l’obbligo di pregar per tutti, e se la preghiera fatta per altri procura meriti a chi la fa, specialmente quand’è fatta per i nemici, il Signore ha promesso soltanto d’esaudire le preghiere fatte per nostro vantaggio (JOAN., 16, 23); … Egli vuole che si preghi da tutti, e che nessuno se ne dispensi con la scusa che altri prega per lui … L’uomo non può acquistar per altri il merito della vita eterna, quindi neppur quello che s’appartiene alla vita eterna: « accade perciò talvolta che la preghiera fatta per altri, anche fatta piamente e perseverantemente e di cose appartenenti alla salvezza, non riesca ad impetrare, a cagione dell’impedimento frapposto da colui per il quale si prega » (S. TH., 2a 2æ, q. 83, a. 7)

c) PERCHÈ LA PREGHIERA SIA PER NOI UNA REFEZIONE SPIRITUALE, non basta che sia fatta con intenzione santa e che abbia tutte le altre condizioni accennate fin qui: occorre inoltre l’attenzione della mente … «Di tre sorta è l’attenzione che si può adoperare nella preghiera: la prima, superficiale, per cui si bada a non errare nelle parole, la seconda, letterale, per cui si bada al senso delle parole; la terza, spirituale, per cui si bada al fine dell’orazione, cioè a Dio e alla cosa per cui si prega: e quest’attenzione è la più necessaria, e la possono avere anche gli analfabeti… Ma la mente umana per l’infermità della natura non può starsene lungo tempo in alto, poiché l’anima è tratta in basso dal peso dell’umana infermità; e perciò accade che quando la mente di chi prega sale a Dio con la contemplazione, ben presto rimane divagata per qualche debolezza… Anche i santi, quando pregano, soffrono distrazioni» (S. TH., 2a 2æ, q. 93, a. 13)… Ed è un gran santo, un angelico santo, quello che così parla! Dunque, con tutta la nostra buona volontà, delle distrazioni ne avremo anche noi: … il merito della preghiera ci sarà sempre, se le distrazioni non sono volontarie, ma il terzo frutto della preghiera, il cibo dell’anima, non possiamo gustarlo… Ebbene, sta a noi aumentare in compenso il merito della povera nostra preghiera, accompagnandola con molti sentimenti d’umiltà inspirati dalla miseria in cui ci troviamo di non riuscire neppur a recitare un Pater senza distrazioni… « Ciò che ti manca di fervore, suppliscilo con l’umile riconoscimento della tua miseria » (S. BERNARDO, de inter. domo, 37); … piace di più al Signore una preghiera fatta in mezzo alle distrazioni, ma poi sanata con un atto, anzi con frequenti atti d’umiltà, che non una preghiera fatta in mezzo all’estasi, ma poi guastata e rovinata da un atto di superbia … E poiché a noi non è dato il dono della contemplazione, cerchiamo altrove il pascolo dell’anima: … cerchiamolo nella parola di Dio, … nella meditazione, … nelle buone letture, … soprattutto nel sacramento dell’Eucaristia … – Nello stesso tempo continueremo con ogni fedeltà, anche fra le distrazioni e le aridità di spirito, nella recita delle nostre preghiere, le quali saranno tanto più accette a Dio, quanto più ci sentiremo tristi e abbattuti nel farle…

LO SCUDO DELLA FEDE (VI): I MIRACOLI

VI.

I MIRACOLI.

La forza dimostrativa «lei miracoli. — Che cosa siano e loro possibilità. Loro natura. — Loro conoscimento. —

 

Dunque altra prova della Divina rivelazioni sono i miracoli.

Precisamente.

— E di qual maniera lo sono?

Il miracolo è cosa, che solo Iddio la può fare, ed è cosa altresì che colpisce gli uomini e li conduce a riconoscere l’intervento di Dio. Se perciò Iddio compie dei miracoli a prò di una dottrina, d’una legge, d’una religione, bisogna riconoscere che quella dottrina, quella legge, quella religione è vera, è santa, è divina, giacché è impossibile che Iddio voglia operare dei miracoli a prò di una dottrina, d’una legge, d’una religione falsa, malvagia, perversa, che così si farebbe ad ingannare gli uomini. Ma siccome Iddio ha realmente operato un’infinità di miracoli a prò della religione, della legge, della fede cristiana, di quelle verità, che la Chiesa Cattolica ci insegna, perciò dobbiamo riconoscere che la dottrina cristiana è vera, ci viene propriamente da Lui, da Lui stesso ci fu rivelata.

Che cosa è adunque propriamente il miracolo

Il miracolo è un fatto sensibile, certo, che sorpassa evidentemente le forze della natura e che non può essere prodotto che da Dio.

Per esempio?

Quando Mosè coN la verga toccò le acque del Mar rosso e queste si divisero in un attimo e si alzarono come due muri a destra ed a sinistra; quando Elia invocato il nome del Signore richiamò in vita il figliuolo della vedova di Sarepta, che era morto; quando S. Pietro ordinò ad uno zoppo dalla nascita di levarsi su e camminare, ed egli si sentì subito guarito e prese a camminar davvero, furono compiuti dei miracoli, perché in tutti questi casi avvennero dei fatti sensibilissimi e più che certi, i quali evidentissimamente erano fuori dell’ordine stabilito e comunemente osservato nelle cose, evidentissimamente sorpassavano le forze della natura.

Dunque dagli esempi, che m’ha addotti, anche gli uomini possono fare dei miracoli?

No, gli uomini per sé, con la loro virtù e forza, non possono assolutamente fare dei miracoli; ma Dio può servirsi benissimo di loro come di mezzo per operarli: quindi quando si dice di un santo che fu un taumaturgo, ossia un operatore di miracoli, s’intende sempre di dire, che lo fu in quanto che Dio si servi di lui per compierli.

Ma a dir il vero io credo poco ai miracoli.

E che vorresti dire con ciò?

Voglio dire che io penso che i miracoli siano impossibili.

Potrei risponderti come rispose un cotale ad un sofista antico, che negava la possibilità del moto e che difendeva questa sua balordaggine con infiniti arzigogoli. Lo prese sotto il braccio, gli fece fare un giro per tutta la sala, ove disputava, e poi l’interrogò: « È egli possibile il moto? » Così io potrei dirti: I miracoli ci sono, e provati a tutto rigore, dunque sono possibili. Ma ti risponda per me il famoso filosofo ginevrino Giangiacomo Rousseau: « Chi sostenesse seriamente che i miracoli non siano possibili, resterebbe troppo onorato se lo si punisse: bisognerebbe senz’altro mandarlo al manicomio ». – Come? impossibile il miracolo? Ma Iddio non è egli forse il padrone dell’universo? Epperò sempre che gli piaccia non potrà egli mutare l’ordine naturale, che egli ha stabilito? Non è Egli, che ha creato il mondo, che cioè l’ha cavato dal nulla? E se Egli ha potuto fare il più, vuoi che non possa fare il meno com’è il miracolo, che non è altro che un movimento di ciò che già esiste?

Eppure tante volte si grida: Miracolo; miracolo! e poi si tratta della cosa più naturale del mondo, oppure di ciarlataneria, di giuochi di magnetismo.

Certamente può accadere talvolta, e realmente qualche volta accade che taluni sbaglino nel credere miracolo ciò che non lo è; ma non per questo si potrà negare la possibilità e la esistenza dei veri miracoli. Coloro che negano la possibilità del miracolo, credilo, non è senza una cattiva ragione. Pascal diceva: « Se la matematica offendesse le nostre passioni, ci sforzeremmo di negare anche la matematica ». Ma fortunatamente la matematica non prova nulla fuori della sua cerchia, e perciò i suoi assiomi son lasciati in pace. Non è così del miracolo. Esso ha il gran fine di mostrare la verità della fede, la Divinità del Vangelo e di soggiogare perciò la mente dinanzi ai misteri e imporre alla volontà di lottare contro i nostri sensuali appetiti, le nostre cattive inclinazioni, le nostre perverse passioni, ed è perciò che da taluni non lo si vuole o si nega la sua possibilità. Del resto tutti gli uomini in generale non hanno essi creduto ai miracoli? Leggi la storia religiosa dei Romani, dei Greci dei Galli, dei Persiani, degli Assiri, degli Egiziani e troverai da per tutto l’idea del miracolo. – È vero che moltissime volte, sopra tutto presso questi popoli pagani, l’immaginazione falsata fece loro credere per miracolo ciò che non era tale, oppure ai veri miracoli, di cui ebbero conoscimento, fece loro congiungere e frammischiare delle stranezze chimeriche e ridicole, ma con tutto ciò resta sempre provato, che la natura umana in generale non rigetta il miracolo, e ne proclama la possibilità e l’esistenza.

Comprendo: la cosa non può essere diversa. Ma intanto nell’operare dei miracoli Iddio muta le leggi di natura, che da principio ha stabilito, e così muterà anche la sua volontà. Il che non sarebbe una stoltezza?

Obbiezione vecchia, caro mio, ma che vale un bel nulla. Certamente se Dio operando dei miracoli mutasse la sua volontà, apparirebbe uno stolto che ora vuole una cosa, ora ne vuole un’altra, uno stolto che non ha saputo disporre le cose con sapienza fin dall’eternità, le quali perciò han da essere mutate. Ma è così? Tutto il contrario. Come Iddio da tutta l’eternità ha voluto le leggi di natura, così da tutta l’eternità ha voluto i miracoli, che sorpassano tali leggi: come ha voluto la regola così ha voluto le eccezioni. « In Dio, dice bellamente S. Agostino, tutto è disposto e fisso, né fa mai alcuna cosa, che Egli non abbia dall’eternità preveduto di fare, ancorché a noi sembri ordinata con una sua nuova disposizione » (Spiegazione dei Salmi, capo V, numero 35).

Insomma, se non erro, sarebbe lo stesso che dire che Iddio, al quale tutto è presente, anche il futuro, vede e vuole sempre al presente e le leggi di natura e i miracoli, loro eccezioni.

Precisamente. E siccome vede e vuole sempre al presente, cioè di volontà eterna, le leggi di natura e i miracoli, loro eccezioni, perciò mai non muta.

Questo l’ho inteso. Tuttavia non si potrà negare che nel miracolo vi sia una violenza alla natura.

No, caro mio, nel miracolo non c’è nessuna violenza alla natura. Quello che c’è, è questo: che Iddio ad ottenere certi effetti non si serve della natura, ma li vuole ed ottiene direttamente Egli stesso.

Questo non lo capisco bene.

Qualche esempio ti gioverà a capirlo benissimo. Iddio ha stabilito come legge di natura che le acque rattenute entro un riparo più non si espandano; ha stabilito come legge di natura che le piante mercé la vita vegetativa che c’è in loro, fioriscano e facciano frutti, ha stabilito come legge di natura che le medicine e le cure mediche guariscano a poco a poco da infermità ed impediscano la morte. Per tal guisa Dio ha voluto ottenere gli effetti di trattenere le acque in un determinato confine, di far fiorire e fruttificare le piante, di guarire da molte infermità ed impedire la morte con le cause seconde del riparo, della vita vegetativa, dei medici e delle medicine. Or non ti pare che Egli, il quale ha comunicato tale efficacia alle cause seconde, non possa produrla Egli direttamente senza servirsi di esse?

Senza dubbio, essendo Egli onnipotente e padrone di fare quel che gli piace.

Dunque Egli può con la sua onnipotenza tener su le acque, e senza alcun riparo non lasciarle espandersi; può in un bastone secco, in cui non ci sia più la vita vegetativa, far venir fuori fiori e frutti; può, senza medici e medicine, guarire repentinamente da una gravissima infermità, e può anche far ritornare la vita in un freddo cadavere. E se Egli fa questo, Lui direttamente, ti pare che faccia qualche violenza alla natura? Niente affatto. Ecco pertanto che cosa fa Iddio, allora che opera il miracolo.

Ora ho inteso benissimo, e la spiegazione datami mi piace assai. Ma come si fa ad essere certi di un miracolo? Son tante le cose meravigliose che anche naturalmente accadono, che mi sembra essere assai facile ingannarsi e prendere per miracolo ciò che non è.

Ascolta. Il  miracolo, come ti dissi, è un fatto esterno, sensibile, che perciò si può prendere ad esame e verificare. Ecco un uomo che da tre o quattro giorni è morto. Esso è già stato chiuso nel sepolcro, ed in preda alla corruzione com’è, dev’essere già fetente. Difatti si apre il suo sepolcro e lo si vede spento, immobile, e se ne sente il fetore. Si tratta, sì o no, di uno che è morto davvero? Questo fatto lo posso constatare con i miei occhi, con le mie mani, co’ miei sensi?

Altro che!

Ma ecco che presso a quest’uomo, che io vedo morto, viene un Personaggio e intima a quel cadavere di risorgere. Ed ecco che quel cadavere ripiglia la vita, si alza, cammina, si avvicina a me, mi piglia per mano, mi parla, insomma egli rivive davvero. E questo altro fatto, che quest’uomo, ch’era morto, adesso vive di bel nuovo, non lo posso parimenti constatare? non lo vado constatando con i miei sensi? E quello che faccio io, non lo possono fare tanti altri, che sono al par di me testimoni dell’accaduto?

Certamente.

Dunque dinanzi a questi due fatti da me constatati, il fatto che quell’uomo era morto, e quest’altro che adesso è risuscitato, non devo forse io riconoscere un miracolo? Non devo dire a me stesso: Un uomo quando è morto, è morto, né per alcuna forza umana può ripigliare la vita. Ma quest’uomo alla voce di quel personaggio l’ha ripigliata. Dunque o quel personaggio era Iddio stesso, oppure un mezzo di cui Dio con la sua onnipotenza si servì per fare ciò che Egli solo può fare, e ad ogni modo la risurrezione di quest’uomo non viene da altri se non da Dio, non è altro che un miracolo?

Sì, ed anche questo è chiaro, più chiaro assai di ciò che mi credeva. Ma ho inteso a dire che vi sono delle forze naturali occulte, dalle quali può succedere benissimo il fatto, che appare come miracolo. Dunque per distinguere il vero miracolo da un fatto naturale non bisognerebbe conoscere altresì queste forze naturali occulte?

Anzi tutto l’esistenza di queste forze naturali occulte precedenti il miracolo, chi mai l’ha dimostrata? In secondo luogo, supponiamo pure per un istante che queste forze naturali occulte esistano. Che bisogno hai tu di conoscerle, quando vedessi un miracolo per accertarti che sia tale? È sufficiente più che mai che tu conosca, come nel compiersi quel miracolo non fu applicata nessuna forza naturale occulta, e che però da nessuna di queste cose è provenuto, ma è provenuto invece da una causa superiore, che non può essere che Iddio.

E come farei io a conoscere ciò?

Vedi: senza punto concederti che vi siano delle forze naturali occulte atte a produrre ciò che noi chiamiamo miracoli, ti concedo tuttavia essere verissimo che noi ignoriamo molte leggi di natura e l’applicazione che se ne può fare. Se si svegliassero dalla tomba i nostri avi di cent’anni fa soltanto, e vedessero i telegrafi, i telefoni, i fonografi, la illuminazione e la trazione elettrica, resterebbero fuori di sé per lo stupore. Eppure quelle leggi, quelle forze, la cui applicazione dà oggi tutti questi ammirabili risultati, forse che allora non esistevano in natura? Esistevano benissimo, ma non si conoscevano; ora invece si conoscono e se ne fa l’applicazione. Ma per farne l’applicazione, come tu sai, ci vogliono degli strumenti, dei fili, delle rotaie e tu puoi vedere tutto ciò, e vedendo tutto ciò capisci ancora che gli effetti che si ottengono per quanto meravigliosi, non sono miracoli, ma effetti naturali, che si ottengono con cause naturali. Invece nel miracolo vedi tu qualche cosa di simile? Vedi tu dei preparati, degli strumenti atti a sviluppare delle forze naturali, magari a te ignote? Niente affatto. Nel miracolo non vedi, non riconosci con gli stessi tuoi sensi che la volontà, il comandò di Chi lo opera; e se talvolta vedi che Chi opera il miracolo si serve di mezzi, devi riconoscere ancora che questi di per sé non sono punto atti ad ottenere ciò che si ottiene, come si può riconoscere in quel miracolo, che Gesù Cristo operò guarendo il cieco nato con della terra bagnata di saliva.

E non potrebb’essere che chi fa il miracolo conosca gli effetti meravigliosi, che certe forze naturali, agli altri ignote, possono produrre e che ordini di compiersi il fatto, che noi chiamiamo miracolo, in quel momento istesso, in cui tali forze si sviluppano?

Caro mio, in questo caso vi sarebbe nel taumaturgo una scienza più miracolosa dei miracolo. Ed allora come spiegheresti il gran miracolo di questa scienza? I miracoli operati sono senza numero e furono compiuti da moltissimi personaggi, e vorresti che tutti quanti questi personaggi sempre abbiano colto il momento preciso in cui si sviluppano le forze naturali da loro soltanto conosciute? E se fosse così non si dovrebbe richiedere in ciò una scienza naturalmente impossibile, una scienza soprannaturale, una scienza divina? non si dovrebbe richiedere insomma un’altra volta l’intervento di Dio?

Sì, è verissimo, comprendo proprio che il miracolo non è altro che l’opera di Dio.

E devi perciò riconoscere che se Iddio compie dei miracoli a prò di una dottrina, ne dimostra in tal guisa infallibilmente la verità.

Lo riconosco.

G. FRASSINETTI: CATECHISMO DOGMATICO (II)

[Giuseppe Frassinetti, priore di S. Sabina di Genova:

Catechismo dogmatico Ed. Quinta, P. Piccadori, Parma, 1860]

CAPITOLO I.

DEI LUOGHI TEOLOGICI.

 I luoghi teologici sono quei fonti dai quali si prendono gli argomenti opportuni tanto per provare e dilucidare le verità della fede e i principii e le regole dei costumi, quanto per difendere questa verità, e queste regole dai sofismi degli eretici, o dei cattivi cattolici.

Questi luoghi ossia fonti sono dieci: 1. La divina Scrittura. 2. le Tradizioni. 3. Il consenso della Chiesa cattolica, 4. i Concili, 5. Il Giudizio del romano Pontefice, 6. l’autorità dei ss. Padri, 7. l’autorità dei Dottori e degli Scolastici, 8. l’autorità della Storia, 9. quella dell’umana Ragione, 10. quella della Filosofia. Così i teologi comunemente.

I

Della Sacra Scrittura.

— Che cosa s’intende sotto il nome di Sacra Scrittura?

S’intende la Sacra Bibbia, che contiene tutti quei libri divini, i quali dal sacrosanto Concilio di Trento (sess. IV) in numero di 72 sono riconosciuti per ispirati da Dio ai loro autori, e scritti con tale assistenza dello Spirito Santo, sicché non vi si potesse inserire dai medesimi il minimo errore né per malizia né per umana debolezza.

— Come si divide la Sacra Scrittura?

Si divide in Vecchio e in Nuovo Testamento. Il Vecchio contiene tutti i santi libri scritti prima dell’Incarnazione del Figlio di Dio cominciando dalla Genesi, e terminando al II dei Maccabei, il Nuovo Testamento contiene quelli che furono scritti dopo, cominciando dal Vangelo di S. Matteo, e terminando all’Apocalisse di S. Giovanni.

In questi libri scritti dagli autori inspirati da Dio non vi potevano essere errori, ma per altro vi potranno essere degli errori nella Bibbia latina di cui ci serviamo, perché questa non ha nulla, o quasi nulla di originale, ma è in tutto, o quasi in tutto, traduzione dei testi Ebraici e Greci.

La Chiesa da più di dodici secoli si serve di questa Bibbia, se fosse guasta, ed alterata in cose d’importanza, Gesù Cristo non avrebbe potuto permettere ch’essa se ne servisse, senza mancarle di quella assistenza che le ha promesso perché sia infallibile. Sarebbe anzi scomunicato dal sacro Concilio di Trento (sess. IV) chi non volesse prestar fede a qualcuno dei santi libri, e a qualche parte dei medesimi quali si contengono nella nostra Bibbia latina, la quale si chiama pure la Volgata di S. Gerolamo, perché questo dottissimo santo Padre é l’autore della massima parte di questa versione. — Non sarà per altro cosa di maggiore sicurezza fidarsi più degli antichi testi originali che della nostra volgata? Qualunque possa essere lo stato odierno dei testi originali, è però certo che non furono fin ora rivisti ed emendati dalla Chiesa come fu la nostra Volgata; e perciò nelle cose riguardanti la fede ed i costumi, attualmente si deve preferire la nostra volgata ai testi originali (Can. de loc. theol., 2, c. 13).

— Le parole della S. Scrittura hanno un solo o più sensi?

Moltissime parole, e sentenze della Sacra Scrittura hanno due sensi letterale e mistico. Il letterale è quello che presentano le parole per se stesse; il mistico quello che presentano le cose significate dalle parole. Per esempio, si narra nella divina Scrittura che Abramo ebbe due figli, uno da Agar schiava di condizione, e l’altro da Sara di condizione libera: il senso letterale è che Abramo ebbe Ismaele da Agar sua serva da lui presa in moglie, e che poi ebbe Isacco da Sara similmente sua moglie, e nata dalla medesima distinta famiglia da cui era nato egli stesso: il senso mistico è che Dio raffigurato in Abramo ebbe due popoli suoi cultori, uno servo sotto la legge Mosaica, che è il popolo Ebreo, l’altro libero nella legge evangelica che siamo noi, cioè il popolo cristiano. Così i ss. Padri dietro S. Paolo (epist. ad Gal. IV).

— Vi é anche un altro senso che si chiama accomodatizio, quale sarebbe?

Si chiama senso accomodatizio l’uso che si fa di una sentenza della divina Scrittura la quale esprime una qualche determinata verità, per esprimerne un’altra a cui si può applicare; così la Chiesa usa in lode di Maria Ss. vari encomi che fa la Scrittura alla divina Sapienza; siano per esempio quelle parole « io sono la madre del bell’amore, del timor di Dio, della scienza e della santa speranza (Ecclesiast. XXIV, v. 34).

— Nell’intelligenza e nell’interpretazione delle divine Scritture ci potremo fidare del solo nostro intendimento?

La depositaria delle divine Scritture è la Chiesa Cattolica Apostolica Romana; essa solo può giudicare definitivamente dei veri sensi dei santi libri, vuole poi che nella loro intelligenza ed interpretazione seguiamo il senso unanime dei SS. Padri (Conc. Trid. Sess. IV) come quelli che sono i depositari della tradizione e che furono specialmente assistiti da Dio nella loro interpretazione ed intelligenza. Si noti che tutte le eresie nacquero dal volere interpretare la divina Scrittura secondo il proprio privato sentimento: «Non enim natæ sunt hæreses nisì dum scripturæ bonæ intelliguntur non bene (S. Agost. cap. 18 in Joannem).

— Non sarebbe bene che si facessero traduzioni volgari della Bibbia da potersi mettere nelle mani di tutti, anche dei secolari?

La Chiesa vieta che la Bibbia tradotta in volgare letteralmente si dia a leggere in differentemente a qualunque persona (vide 4 regulam Indicis lib. prohib.); anzi vieta che si dia l’assoluzione dei peccati a coloro che la volessero leggere, o ritenere appresso di sé senza averne il permesso. Che non possa esser buona cosa il metterla nelle mani di tutti si prova da questo, che essendo piena di misteri, potrebbe riuscire agli idioti più di danno che di profitto, e si conosce pure dallo zelo che hanno i protestanti di spargere ovunque, anche con tanto loro dispendio, un’infinita quantità di Bibbie volgari. Di più la Sacra Congregazione dell’Indice con decreto del 13 giugno 1757 proibì « versiones omnes Bibliorum quamvis vulgari lingua, nisi fuerint ab Apostolica Sede approbatæ, aut editæ cum adnotationibus desumptis ex S. Ecclesiæ Patribus, vel ex doctis catholicisque viris. » Vedi l’indice dei libri proibiti stampato in Roma nel 1819 alla lettera “i”, al titolo Istoria succinta delle operazioni etc. facc. 159.  Vedi pure facc. XIV Observ. Ad Reg. IV Additio. Di più questo decreto fu rinnovato nel Monitum del decreto della Congregazione dell’Indice fer. V die 7 ianuarii 1836. Ciò s’intende delle traduzioni volgari della Bibbia anche fatte da autori cattolici, e fedelmente eseguite sulla Vulgata quale sarebbe quella di monsignor Martini stampata senza note: quindi facilmente si comprende quanto debbano considerarsi più rigorosamente proibite le traduzioni fatte dai protestanti alterate, mutilate, mancanti d’interi libri quale é quella del Diodati che si diffonde tra noi per cura delle società Bibliche, che aspirano, speriamo inutilmente, a protestantizzare l’Italia. Specialmente queste da nessuno si possono comprare, né ricevere in regalo, né leggere, né ritenere presso di sé.

II

Delle Tradizioni.

— Che cosa sono le Tradizioni propriamente prese in quanto formano un luogo teologico?

Secondo il senso dei ss. Padri, e del Santo Concilio di Trento (sess. IV) sono quelle dottrine che non furono scritte da principio dagli autori inspirati, siano, o non siano poi state scritte in appresso.

— Come si distinguono le Tradizioni?

Le Tradizioni della Legge Evangelica, delle quali noi parliamo altre si chiamano:

Divino-Apostoliche, altre Apostoliche soltanto.

Le Divino-Apostoliche si dividono in:

Tradizioni spettanti al Dogma, e in

Tradizioni spettanti al costume.

– Le prime contengono le verità insegnate da Gesù Cristo agli Apostoli, o pure rivelate ai medesimi dopo la di Lui Ascensione al Cielo: si può mettere tra questo numero il dogma che i Sacramenti della nuova legge sono sette, né più, né meno.

– Le spettanti al costume, ossia alla pratica, contengono i precetti e i comandi fatti da Cristo agli Apostoli; e tra queste si possono annoverare i riti essenziali all’amministrazione dei Sacramenti, cangiati i quali nella loro sostanza, i Sacramenti resterebbero invalidi; per esempio, se uno dicesse nella forma del Sacramento della Penitenza: io ti lavo dai tuoi peccati, invece di dire: io ti assolvo.

Queste tradizioni Divino-Apostoliche, tanto riguardanti il dogma, come riguardanti la pratica, sono immutabili, e costituiscono un’irrefragabile luogo teologico. Le tradizioni apostoliche soltanto contengono le costituzioni formate dagli Apostoli come pastori della Chiesa per il suo buon regime disciplinare; si mette tra queste il digiuno quaresimale, e queste sono immutabili; sicché il Sommo Pontefice come Pastore universale può farvi quelle mutazioni che giudica espedienti.

— Le Tradizioni nella Chiesa si devono ammettere necessariamente?

È un dogma definito nel S. Concilio di Trento che esistono le Tradizioni ei (sess. IV et alibi). Si devono poi ammettere necessariamente, perché non si trova nei libri della Bibbia tutto ciò che si deve credere e praticare. Non si trova nella Bibbia che i Sacramenti della nuova legge sono sette; perciò senza le tradizioni non si potrebbe credere questo dogma. – Similmente le forme di vari Sacramenti non si trovano nei libri divini; e perciò senza Tradizioni non si potrebbero amministrare; per questo diceva S. Paolo: «Conserservate le tradizioni » (II ad Tessal. 2). Gli eretici inoltre, come dimostra il Cano (de Tradit. Apost. 1. 3, c. 3), rigettano le tradizioni perché riconoscono esser questa un’arma atta a sconfiggerli più ancora delle Divine Scritture; giacché le scritture interpretandole a loro modo le tirano al loro sentimento, ma le tradizioni non vanno soggette ad interpretazioni.

III

Della Chiesa.

— Come si definisce la Chiesa di Cristo?

La vera Chiesa di Cristo in questa terra, non parlando qui della trionfante, che è l’unione dei Beati in Cielo, nemmeno della purgante (che è l’Unione delle anime giuste detenute nel Purgatorio). La vera Chiesa di Cristo in questa terra; cioè la Chiesa militante, è:

l’Unione di tutti i fedeli i quali communicano insieme per la professione della stessa fede, per la partecipazione degli stessi Sacramenti, stanno soggetti ai propri Vescovi, e particolarmente al Romano Pontefice centro di tutta la Cattolica Unione. Così i teologi comunemente (Antoine, de fide Div. c. 3. art. 2).

— Quali persone non appartengono alla Chiesa di Cristo?

Non vi appartengono quelli, che non hanno ancora ricevuto il Battesimo, e perciò non solo gl’infedeli, ma nemmeno i catecumeni, quantunque credano già le verità rivelate dalla S. Fede. Non vi appartengono gli eretici, quelli cioè che appartengono a qualche setta, la quale non creda tutti i dogmi della Fede (tutti i protestanti sono eretici). Non vi appartengono gli scismatici, quelli cioè che ricusano di sottomettersi ai propri legittimi pastori, e tanti più all’autorità del Romano Pontefice. Non vi appartengono gli scomunicati, quelli però che sono notoriamente e pubblicamente dichiarati (Antoine, de fide div. e. 3, art. 1, § 1 et seq.).

— Vi sono dunque degli scomunicati che appartengono alla Chiesa?

Di diritto nessuno scomunicato appartiene alla Chiesa; ma per indulgenza, ossia permissione della stessa Chiesa, vi appartengono gli scomunicati detti tollerati, quelli cioè che non sono dichiarati tali notoriamente. Similmente vi appartengono gli eretici occulti, cioè quelli che senza dichiararsi per qualche setta particolare, contraddicono occultamente a qualche dogma cattolico, affettando frattanto dì essere uniti alla Chiesa, e sottomessi ai legittimi Pastori (Antoine, de fide Div. c. 3 de Eccl.). Questi però appartengono non all’anima ma al corpo della Chiesa, come un membro arido resta talvolta unito al suo corpo da cui non riceve né vigore, né vita.

— Alcuni dubitarono che non appartenessero alla Chiesa i cristiani imperfetti?

Vi furono alcuni eretici i quali pretesero che i soli cristiani perfetti formassero la Chiesa; ma questo era un distrurre la Chiesa, e annichilarla, giacché in questa terra non vi furono mai perfetti propriamente tali, tolta la Beatissima Vergine, che preservata dal peccato originale andò immune da ogni difetto; gli altri Santi si chiamano perfetti, non perché siano veramente tali, ma perché aspirano continuamente alla perfezione, e con tutto l’impegno procurano di spogliarsi dai loro difetti (Canuti, de Eccles. Cath. auct. lib. 4, C. 3).

— Si devono considerare come appartenenti alla Chiesa quelli che si trovano in istato di peccato mortale?

Senza dubbio, anche questo è un articolo di Fede, e l’errore contrario fu condannato in varie proposizioni di Quesnel dalla Bolla Unigenitus [Clemente XI – 1713] (Antoine, de fide Div. c. 3, art. 2, § 3).

— I reprobi cattolici, quelli cioè che Iddio prevede che per le loro iniquità si danneranno, appartengono alla Chiesa?

È articolo di Fede che vi appartengono; e l’errore contrario fu pure condannato dalla Stessa Bolla Unigenitus (Antoine, ut supra § 1).

— Quali sono i caratteri della vera Chiesa di Cristo?

Sono quattro annoverati dal Simbolo Niceno-Costantinopolitano: è Una, è Santa, è Cattolica ed Apostolica.

– Mi spieghi il primo.

La vera Chiesa è Una particolarmente per l’unità del suo capo che è Cristo, per per l’unità degli stessi mezzi che la conducono al suo fine dell’eterna salvezza, per l’unità di uno stesso suo cibo spirituale che è il corpo ed il sangue di Gesù Cristo, per l’unità di una stessa fede, di una stessa speranza, di uno stesso Spirito che la dirige e la governa.

— Chi è l’origine e il centro di questa unità che la Chiesa ha in terra?

Dietro l’autorità di tutti i ss. Padri convengono tutti i cattolici, che l’origine e il centro di tale unità è il Romano Pontefice, il quale ha il primato di onore, di giurisdizione e di autorità sopra tutte le varie chiese della terra, le quali tutte unite sotto questo capo costituito da Gesù Cristo formano una sola Chiesa. Tolto questo centro di unità sarebbero tante chiese disciolte, e non più una.

— Mi spieghi il secondo.

La vera Chiesa è Santa, particolarmente  per la santità del suo capo che è Cristo, per la santità dei suoi Sacramenti, della sua Fede, della sua morale, per la santità delle sue più nobili membra che sono i giusti, e per la santità dei suoi riti.

— Mi spieghi il terzo.

L a vera Chiesa è Cattolica, cioè universale perché si estende a tutti i tempi, dovendo durare fino alla fine del mondo; perché si estende a tutti i luoghi, essendo diffusa in tutta la terra, e perché accoglie ogni sorta di genti.

— Mi spieghi il quarto.

La vera Chiesa è Apostolica, perché fu fondata dagli Apostoli, perché conserva la loro dottrina, e perché ha per Pastori legittimi i loro successori.

— Quali sono poi le proprietà di questa Chiesa?

Sono queste tre: che sia visibile, indefettibile e infallibile.

— Le sono necessarie queste proprietà?

La loro necessità è manifesta. La Chiesa di Cristo è l’unica vera Religione del mondo, e soltanto quelli che a lei appartengono possono ottenere la vita eterna; perciò è necessario che sia visibile, affinché quelli che non sono in questa Chiesa la possano conoscere, e possano procurare d’entrarvi. È necessario che sia indefettibile, perché se la Chiesa potesse mancare anche solo per qualche tempo, per quel tratto resterebbero gli uomini impossibilitati a salvarsi. È necessario che sia infallibile, perché se essa potesse errare non potrebbe condurre sicuramente i propri figli al conseguimento del fine dell’eterna salvezza (Antoine, de fide Div. c. 3, art. 4 et seq.).

— In quali cose è infallibile la Chiesa?

È infallibile in materia di Fede, e di costumi. Cosicché quando dichiara che una verità appartiene alla Fede e quando approva o disapprova una pratica appartenente al costume, è impossibile ch’Ella erri.

— Chi la rende infalibile?

L’assistenza della Spirito Santo, che con specialissima provvidenza la governa, anzi parla agli uomini per mezzo di lei.

A quale Chiesa appartengono i sopradetti caratteri e proprietà?

Alla Chiesa Romana, non in quanto puramente Romana, cioè ristretta nei limiti del territorio della diocesi di Roma, ma in quanto è la Chiesa universale che ha per suo Capo e Pastore supremo il Romano Pontefice; per questo non solo adesso, ma anche nei secoli del Cristianesimo, dire Cristiani romani, e dire Cattolici era l’istessa cosa

(Baron. ad ann. 45).

— Che diremo dunque delle Chiese dei protestanti che vogliono essere chiamate Sante, Cattoliche, Apostoliche?

Si chiamerebbero tali con quel diritto col quale noi italiani ci potremmo chiamare francesi. Quando erano unite alla Chiesa Romana facevano realmente parte della Chiesa Santa Cattolica Apostolica, ma adesso non sono né Sante, né Cattoliche, né Apostoliche. Non Sono Sante perché non hanno più per capo la fonte d’ogni santità Gesù Cristo, e i dogmi e la morale che alle volte autorizzano non è santa. Non sono Cattoliche perché non estese a tutti i tempi, e ristrette a qualche provincia, a qualche regno. Non sono Apostoliche perché i loro fondatori non furono i successori degli Apostoli, ma i desertori della Chiesa fondata dagli Apostoli, i nemici della loro dottrina; e in quel modo che noi italiani se volessimo chiamarci francesi non troveremmo nessuno né amico, né nemico che ci volesse dare tal nome; egualmente i protestanti non trovarono mai chi volesse dare alle loro chiese i nomi di Sante, Cattoliche, Apostoliche; ma bisognò che si contentassero dei loro propri nomi, cioè di chiese Luterane, Calvinistiche, Zuingliane, Anglicane ecc.

— Che dovremo dire delle Chiese Greche scismatiche?

Per questo che sono scismatiche, cioè separate e divise dalla Santa Chiesa Cattolica Apostolica, a Lei non appartengono; sono per altro anche eretiche, perché negano vari dogmi della Fede, fra gli altri che lo Spirito Santo proceda non solo dal Padre, ma anche dal Figliuolo. Si osservi che quantunque tali chiese separate dall’unione cattolica, da alcuni si chiamino soltanto col nome di Chiese Greche, od orientali, si devono chiamare esse pure Protestanti, perché contraddicendo ai dogmi definiti dalla Chiesa protestano contro la Chiesa, come dimostra evidentemente il conte De Maistre (Del Papa, lib. 4, c. 4).

– Ho veduto che la, Chiesa è infallibile nelle sue decisioni riguardanti la Fede, e costumi,  or nascendo qualche controversia a chi ne spetterà la definizione?

Bisogna riflettere che nella Chiesa si devono distinguere due parti. La Chiesa insegnante, e la Chiesa ascoltante. Il Sommo Pontefice con gli altri Vescovi forma la Chiesa insegnante, tutto il rimanente del popolo cristiano, compreso i Sacerdoti, forma la Chiesa ascoltante. Perciò al Sommo Pontefice ed ai Vescovi spetta definire le questioni che potessero insorgere circa la Fede o la morale (Canus, de Eccl. Cath., lib. 4, c. 4).

— Può definire le questioni suddette ogni vescovo anche in particolare?

Non già; ma il corpo dei Vescovi uniti al Romano Pontefice può definitamente giudicare di tali questioni, e questa unione si fa mediante un Concilio generale, o mediante una Bolla Pontificia accettata dalla universalità dei Vescovi. Non sarebbe perciò necessario che l’accettassero tutti i Vescovi; basta che sia accolta, o non contrariata dalla maggior parte, e in tale caso i Vescovi che fossero dissenzienti non sottomettendosi diverrebbero scismatici ed eretici. Si noti bene, che tutto questo è di Fede, come convengono tutti i teologi Cattolici.

— Come si risponderebbe agli Eretici, i quali sostengono che il giudice di tutte le controversie circa la Fede e i costumi è la S. Scrittura?

Si risponderebbe che la divina Scrittura serve di regola per condannare gli errori, e definire le verità; ma che essa non condanna, né definisce. Tutti gli stati hanno un corpo di leggi, non sarebbe cosa ridicola il sopprimere i Tribunali, e aspettare che le leggi condannassero i rei, ed assolvessero gli innocenti? La divina Scrittura è il codice della Chiesa; ma la Chiesa è il tribunale cui spetta definire del senso del suo codice. Piace agli eretici lo stabilire che la S. Scrittura sia il giudice di ogni controversia, perché essi spiegandola a loro capriccio dicono che il giudice è in loro favore, e non temono che la divina Scrittura faccia mai più un Concilio, o una Bolla che li condanni.

— Dicono però che ciascuno può giudicare di tutte le controversie col proprio spirito privato, illuminato nell’intelligenza delle divine Scritture dallo Spirito Santo?

Se fosse vero che lo Spirito Santo illuminasse tutti gli spiriti dei cristiani, sicché nessuno potesse errare nell’intelligenza delle divine Scritture, non vi sarebbero mai state controversie in tale materia: perciò si deve dire che tutti non li illumina, e tutti non li rende infallibili; frattanto quali saranno quegli spiriti privati illuminati dallo Spirito Santo? Come li discerneremo da quelli che non sono illuminati? E poi se gli eretici sono illuminati dallo Spirito Santo per decidere col loro spirito privato le controversie, bisognerà che autore dello Spirito Santo di quelle innumerabili contraddizioni che li dividono in mille sette, e della loro Religione e Fede formano un caos.

— Che diremo di quelli i quali danno l’autorità definire le controversie suddette alla moltitudine del popolo cristiano?

Questo è un delirio in Fede. Lo ammetteremo quando le pecore dovranno condurre i loro pastori: Gesù Cristo disse agli Apostoli: Insegnate a tutte le genti, non lo disse a tutte le turbe (Canus, de auctor. conc. lib. 5, c. 2).

— Non si potrebbe assegnare per giudice di controversie di Religione il Sovrano temporale?

Per questo che l’autorità dei Sovrani è temporale, non si estende alle controversie di Religione che sono spirituali. Gesù Cristo diede le chiavi a S. Pietro, e non al Re, o all’Imperatore. In fine si noti bene che il dare l’autorità di definire le controversie di Religione al altri fuorché alla Chiesa, e a chi la rappresenta, è un errore contro la Fede di cui nessun cattolico si fece mai patrocinatore.

IV.

Dei Concilii.

— Come si definisce il Concilio Ecclesiastico?

Una congregazione dei Prelati della Chiesa convocata da un legittimo Capo per definire le questioni, che possono nascere circa le verità della Religione, per riformare i costumi del popolo cristiano, e la disciplina Ecclesiastica. Non sempre si raduna il Concilio per tutti questi motivi insieme, potendosi radunare, o per 1’uno o per 1’altro dei medesimi.

— Quante sorta di Concili si hanno?

Quattro sorte, cioè Concilio Generale, a cui si chiamano dal Sommo Pontefice tutti i Vescovi del mondo Cattolico; non è però necessario che tutti v’intervengano. Concilio Nazionale, a cui dal Primate si chiamano tutti i Vescovi della nazione, o del regno. Concilio Provinciale, a cui dal metropolitano si chiamano tutti i Vescovi della provincia suoi suffraganei, ed anche gli esenti a termini del Trid. Conc. sess. XXIV, c. 2. Concilio Diocesano, a cui dal Vescovo si chiamano i Preti della diocesi che hanno cura d’anime, od altro benefizio ecclesiastico.

— Appartiene soltanto al Romano Pontefice il diritto di convocare il Concilio Generale?

Tutti i cattolici convengono che questo diritto appartiene soltanto al Romano Pontefice. – Gli eretici pretendono che questo diritto spetti all’Imperatore; stoltamente però, poiché bisognerebbe che l’Imperatore avesse sotto di sé tutti i regni del mondo, onde esercitarvi l’atto di giurisdizione della convocazione dei Véscovi, e bisognerebbe pure che avesse il Primato nella Chiesa perché i Vescovi fossero obbligati a radunarsi dietro il suo ordine. Il Romano Pontefice soltanto la suprema podestà e giurisdizione sopra tutti i cristiani del mondo, e perciò sopra tutti i Vescovi. Si noti se qualche Imperatore romano ha già convocato qualche Concilio, questo avvenne dietro il consenso, e 1’ordine del Romano Pontefice. Cosi tutti i teologi e storici sani.

— A chi spetta di presiedere al Concilio Generale?

Spetta al Romano Pontefice, come spetta al capo di presiedere ai membri. Vi può presiedere però o per se stesso, o per mezzo dei suoi legati. Così tutti i teologi cattolici.

— Quali Prelati possono intervenire al Concilio generale?

Come giudici delle controversie religiose di diritto ordinario vi possono intervenire i soli Vescovi, e dare suffragio decisivo. I Cardinali non Vescovi v’intervengono come consultori del Sommo Pontefice, e danno suffragio eglino pure, come anche per privilegio gli Abati, e Generali degli Ordini Religiosi. Come protettori poi v’intervengono anche i Sovrani temporali, o i loro legati (Antoine, tract. De fide div. sect. 4, C. 4, art. 2. — Devoti, ìnsitit. can. Prolegom. c. III, XL).

— Il Concilio generale è di autorità infallibile?

Nessuno tra i Cattolici ha mai dubitato che esso sia d’infallibile autorità; però egli non ha una tale autorità se non dopo l’approvazione, o confermazione del Romano Pontefice.

— Gli altri Concili non generali sono infallibili?

Sono soltanto autorevoli per sé stessi, ma non infallibili, perché l’infallibilità è solo promessa alla Chiesa universale, e a chi la rappresenta. Si dice per se stessi, perché qualora le loro decisioni fossero approvate dalla Chiesa Romana sarebbero infallibili. Di più si osservi che nelle cose riguardanti la disciplina obbligano solo per i luoghi nei quali sono fatti; se sono Nazionali per la nazione, se Provinciali per la provincia, se Diocesani per la diocesi.

V .

Del Romano Pontefice.

— Chi è il Romano Pontefice?

Il Romano Pontefice è il Vescovo successore di S. Pietro nella Sede Romana.

— Il Romano Pontefice ha tutti i privilegi di S. Pietro, e tutta l’autorità che egli ebbe sopra la Chiesa?

Ha tutti i privilegi, e tutta l’autorità che ebbe S. Pietro da Cristo in quanto lo costituì Capo del Collegio Apostolico, e della sua Chiesa, cioè ha la stessa giurisdizione, e autorità sopra tutti i Vescovi, e sopra tutti i fedeli, e questo è di fede (Antoine, tract. ut supra de Rom. pontif.).

— È dunque un articolo di Fede che il Romano Pontefice abbia il primato sopra tutte le Chiese?

È articolo di Fede principalmente definito nel Concilio Fiorentino con pieno consenso dei Greci e dei Latini (in Defin. fidei).

— È necessario questo primato del Romano Pontefice nella Chiesa?

Una società che ha molti capi indipendenti, quali sarebbero i Vescovi senza il Romano Pontefice non può essere che un’anarchia, ed una confusione. Questa verità la confessano gli stessi eretici quando danno giurisdizione all’Imperatore, o ai Re sopra i Vescovi.

— Qualora pel suo sregolato, o reo procedere si dovesse chiamare in giudizio il Romano Pontefice, a chi spetterebbe il diritto di giudicare la sua causa?

Questo diritto se lo ha riserbato Iddio, nessuno in terra può giudicare il Romano Pontefice. Oltre le autorità che si potrebbero addurre, questa ragione è palpabile. Non si è mai potuto chiamare in giudizio il capo di un Governo se non da una rivolta; ma la Chiesa non ammette rivolta nel suo seno. Se succede una rivolta nella Chiesa, per questo solo che è rivolta, chi la promuove e chi ne fa parte, resta separato e diviso dalla Chiesa, almeno come scismatico; e perciò come diviso da lei non ha più in lei alcuna autorità. Potrà dunque essere fraternamente ammonito ma non giudicato.

— Il Romano Pontefice quando definisce una controversia in materia di Fede e di costumi, come capo e maestro di tutta la Chiesa, cioè per parlare con termine teologico, quando la definisce ex cathedra, è infallibile nel suo giudizio?

È infallibile, come si potrebbe provare con ogni sorta di autorità, e di ragioni, e il fatto sta che i Romani Pontefici quando definirono qualche questione in qualità di capi e maestri della Chiesa non hanno mai errato. Si trovarono sempre dei contumaci che reclamarono contro la verità delle pontificie decisioni; ma sempre finì il negozio con l’accettazione di tutta la Chiesa della decisione pontificia, e con la dichiarazione di eresia a carico dei reclamanti [I Nestoriani, gli Eutichiani si opposero alle decisioni di S. Leone Magno. I Monoteliti a quelle di S. Martino I. I Luterani a quelle di Leone X. I Giansenisti a quelle d’Innocenzo X, di Alessandro VII, ecc. Ma questi, e tutti gli altri antichi e moderni che l’imitarono nell’opposizione alle decisioni dei Romani Pontefici appresso i Cattolici, son tutti eretici. Le condanne dei Romani Pontefici si appellano, e sono fulmini che partono dal trono di Dio, e non v’ha scudo che non spezzino; non v’ha scampo per chi li provoca, se pure non si sottomette, e umilmente da lui stesso non si condanna. È impossibile che si respingano indietro; sono come la freccia di Gionata, di cui dice la Scrittura: — Sagitta Jonathæ nunquam rediit retrorsum. 2 Reg. c. 1, v. 22]. –

— L’autorità del Romano Pontefice è inferiore all’autorità del Concilio Generale?

Il Romano Pontefice con la sua autorità dà forza al Concilio Generale, e perciò è superiore allo stesso, e non inferiore. Il sommo Pontefice non cessa di essere capo della Chiesa quando è radunata in Concilio. Si rifletta che nessun Concilio generale è mai stato riconosciuto per infallibile nella Chiesa senza la conferma, o approvazione del Papa. Si rifletta di più che non si può concepire l’idea di Concilio generale senza Papa. Bisogna che il Papa lo raduni, che vi assista o per se stesso, o per mezzo dei suoi legati, che infine lo confermi come finiamo di dire. Ora per concepire un Concilio generale senza Papa, bisognerebbe concepire un Concilio generale in contraddizione col Papa, e in tal caso sarebbe una illegittima materiale radunanza di Vescovi tutti realmente disciolti, perché senza un centro di unione.

— Questo sarebbe nel caso che si trovasse in questione il Papa vivente con un Concilio generale che si andasse facendo, tuttavia il Papa sarà soggetto ai Concili generali già fatti debitamente, e confermati dall’autorità dei Papi suoi predecessori?

Nelle decisioni dogmatiche non ve ne ha dubbio, perché ciò che era vero, e infallibilmente vero una volta, sarà sempre vero per tutta l’eternità: per altro il dire che il Papa deve essere soggetto in tal modo ai Concili, è lo stesso che dire, che il Papa deve essere cattolico: nelle determinazioni poi che riguardano la disciplina, la quale nella Chiesa è mutabile, il Papa è superiore ai Concili potendo derogare alle loro leggi quando ne conosce il bisogno, e questa autorità gli è necessaria perché altrimenti sarebbe mal provveduto al ben essere della Chiesa.

— Per qual ragione sarebbe mal provveduto al ben essere della Chiesa?

Per la ragione che il Papa non potrebbe dispensare, o derogare in nessun caso ai canoni dei concili, come l’inferiore in nessun caso può derogare alla legge del superiore; e perciò per ogni deroga, per ogni dispensa cui il Concilio non avesse già autorizzato a farla il Sommo Pontefice od altri, sarebbe necessario convocare Concilio generale, e da tutti si conosce quanto sia cosa difficile il radunarlo, molte volte sarebbe anzi impossibile, e perciò in più occasioni mancherebbe alla Chiesa il mezzo di provvedere ai propri bisogni.

— Per altro non è verità definita di Fede che il Papa sia infallibile nelle sue decisioni dogmatiche, e che abbia autorità sopra i Concili generali?

È vero, che questa non è tra il numero di quelle verità che si devono credere fermamente sotto colpa di eresia non credendole. Per altro è una verità tra le più certe che si abbiano in teologia dopo i dogmi di Fede. Si noti che fu condannata da Alessandro VIII nel 1690, il 7 dicembre questa proposizione: « Futilis et toties convulsa est assertio de Pontificis Romani super Concilium Oecumenicum auctoritate, atque in Fidei quæstionibus decernendis infallibilitate »; ed incorrerebbe scomunica riservata al Papa chi volesse difendere tale proposizione.

— Il Papa ha l’autorità di dichiarare eretici o scandalosi i libri, e di proibirli quando siano tali?

Senza dubbio, perché come Pastore universale deve discernere i cattivi pascoli, e impedire che vi si accosti il suo gregge.

— Dichiarando il Papa che un libro contiene qualche eresia, bisogna sottomettere ciecamente il proprio giudizio alla sua dichiarazione?

Non vi ha luogo a dubitarne, perché nelle cose di fede non basta l’omaggio della lingua che si sottometta a stare in silenzio; ma si richiede l’omaggio del cuore, cioè della volontà prodotto dalla sottomissione dell’intelletto. – Questa verità sempre riconosciuta nella Chiesa fu maggiormente illustrata negli ultimi tempi dal fatto della condanna dell’eretiche proposizioni di Giansenio (Antoine: de fide divina c. 3 de Eccl., art. 8.)

VI.

Dei ss. Padri, dei Dottori e degli Scolastici.

— Quali sono i Santi Padri?

I Santi Padri sono quei grandi uomini, i quali per gran dottrina, gran santità e antichità furono dichiarati tali dalla Chiesa, o espressamente, o tacitamente. L’ultimo dei Santi Padri è S. Bernardo.

— Quali sono i Dottori?

Gli uomini insigni per dottrina e santità dichiarati tali dalla Chiesa, come S. Tommaso, S. Bonaventura ecc.

— Quando i Santi Padri, e i Dottori della Chiesa sono concordi in asserire qualche cosa spettante alla Fede o ai costumi si può dubitare della verità della stessa?

Non se ne può dubitare, perché essi sono i depositari della tradizione della Chiesa, e quando sono concordi nell’asserire qualche verità in tali materie, vuol dire che ella viene direttamente dagli Apostoli.

— Bisognerà che tutti siano concordi niuno eccettuato?

Questo poi no; perché nessuno tra i Santi Padri da sé solo è infallibile; perciò qualcuno poteva sbagliare, e non trovarsi concorde a tutti gli altri: in tal caso l’errore di uno non dovrebbe togliere la forza alla verità insegnata da tutti, o quasi da tutti.

— Dunque il sentimento di un Santo Padre si deve calcolare come di nessun peso?

Non già, si deve anzi calcolare moltissimo quando non sia contrario alla comune sentenza degli altri Padri; quando però vi fosse contrario, non si dovrebbe calcolare certamente.

— Quali sono gli Scolastici?

Quelli che scrissero dopo i Dottori della Chiesa in difesa delle verità contrariate dagli eretici: questi crebbero in gran numero dopo gli eretici del secolo XVI, che dovettero combattere; perciò gli Scolastici sono molto odiati e malmenati dai protestanti anche di questi tempi, e anche dalle persone di fede o dubbia o poco sincera, quantunque affettino cattolicesimo ed unione con la S. Chiesa.

— Quale autorità hanno gli Scolastici?

Se comunemente tutti concordano in asserire una cosa spettante alla fede, o ai costumi, hanno un’autorità irrefragabile, anche prima che sia definita espressamente dalla Chiesa, perché non si può supporre che tutti sbaglino, gli uomini dotti che nella Chiesa fioriscono, almeno la Chiesa dovrebbe condannare il loro errore non potendo permettere che fosse così autorizzato, e insegnato da tutti. Se poi comunemente non concordano, ma sono divisi nel loro parere, ciascuno non ha altra autorità, che il peso della ragione che apporta; questo s’intende però in generale parlando; poiché gli Scolastici i quali più si segnalarono per retto giudizio, e profonda cognizione dei Santi Padri hanno un’autorità personale di peso ben calcolabile. Chi direbbe per esempio che il sentimento del Bellarmino non sia considerabile anche soltanto per essere di uomo così giudizioso, ed erudito nelle scienze ecclesiastiche?(S. S. Clemente VIII eleggendolo a Cardinale diceva di lui al sacro Collegio: Hunc elegimus quia non habet parem Ecclesia Dei quoad doctrinam). La loro autorità però non si può mai mettere al pari di quella dei Santi Padri, o dei Dottori.

VII.

Della storia dell’ umana ragione e della Filosofia.

— Quale autorità ha la Storia?

La Storia ha molta autorità nelle controversie di Religione, perché ella somministra molti lumi e molti fatti in rischiaramento, e prova della verità, e in confutazione dell’errore. Per altro chi vuole adoprare sicuramente l’autorità della Storia in materia di Religione, non basta che ne abbia una qualche tintura soltanto; che sappia dei fatti sconnessi e isolati, tutte le scienze è meglio ignorarle, che saperle male, ma forse particolarmente la Storia; parlo dell’Ecclesiastica più necessaria alle teologiche controversie; la profana generalmente non può essere che utile.

— Quale autorità ha l’Umana Ragione, e la Filosofia?

Hanno molta autorità, qualora si tengano sottomesse alla Fede, e si adoprino in quelle controversie teologiche che ammettano gli argomenti che esse somministrano. È facile intendere che se la Fede si sottomette alla Ragione e alla Filosofia, la Fede è distrutta, e che non possono decidere in quelle materie che in nessun modo appartengono alla loro sfera; per esempio come si proverebbe in Filosofia l’esistenza del mistero della Ss. Trinità?

 

G. FRASSINETTI: CATECHISMO DOGMATICO (I)

Catechismo dogmatico

[Giuseppe Frassinetti, priore di S. Sabina di Genova; Ed. Quinta, P. Piccadori, Parma, 1860]

Avendo avuto benigna accoglienza questa mio piccolo lavoro non solo tra noi dove già da molti anni ne fu esaurita la prima edizione, ma anche in Napoli ed in Firenze dove fu ristampato, credo bene riprodurlo con alcune correzioni ed aggiunte; altre necessarie quale é quella che riguarda il dogma dell’Immacolata Concezione di Maria Ss. ed altre più utili ai tempi. Io pubblicavo questo compendio specialmente in servizio dei chierici che istruiscono i fanciulli nella dottrina cristiana senza avere ancora percorso tutti i trattati della Teologia Dogmatica; aveva tuttavia anche in mira il vantaggio delle persone secolari cui mancano alle volte certe cognizioni perché non si trovano così facilmente nei libri che hanno alle mani; per es. quelle riguardanti la S. Bibbia, le tradizioni, la Chiesa, i Concili, il Papa, la Grazia, la Giustificazione ecc., cognizioni singolarmente importanti oggigiorno per gli errori che si vanno spargendo nel popolo con tanta temerità. Ed è appunto per questo che anche più volenteroso ne intraprendo la ristampa, sperando che possa riuscire sempre più opportuna. – Si dirà che avevamo già all’uopo molti compendi della Dottrina cristiana, certo più pregevoli che questo mio, di che non si può dubitare; ciò non ostante non saprei se essi uniscano le due qualità che mi parevano specialmente al mio scopo desiderabili: cioè somma brevità, e universalità di tutte le materie teologiche dogmatiche più necessarie e più utili. Io d’altra parte era fin dal principio, e lo sono tuttavia, molto lontano dal credere in qualche modo necessario il mio esiguo lavoro; mi basterebbe che fosse qualche poco vantaggioso. – Non tocco quelle controversie le quali richiedono nel lettore fondo d’istruzione o lunghi trattati; ma le sole verità dogmatiche, e quelle che quantunque non siano definite di fede, sono però maggiormente conformi al comune insegnamento dei teologi. – Mi protesto di sottomettere ogni mia proposizione e parola al giudizio della S. Romana Chiesa di cui mi glorio di essere ubbidientissimo figlio, e i di cui interessi nella mia tenuità vorrei promuovere finché io viva.

PROLOGO:

DELLA RELIGIONE

 I

Necessità della Religione.

È necessario che gli uomini abbiano una Religione?

Presupposta la certezza dell’ esistenza di Dio, della quale non può dubitare nessun uomo che ragioni, è necessario che gli uomini abbiano una Religione, che cioè prestino il loro culto all’Essere Supremo, per cui hanno l’esistenza e tutti i beni, che è Dio.

Perché si dice che dell’esistenza di Dio non può dubitare uomo che ragioni, mentre dubitarono, anzi negarono l’esistenza di Dio vari filosofi che oltre all’essere molto dotti avevano finissimo criterio, e profondamente ragionavano?

Nessuno dei veri filosofi, cioè dei buoni ragionatori, anche pagani, ha mai dubitato dell’esistenza di Dio. Solo alcuni i quali non ostante la finezza del loro ingegno si abbandonarono ad ogni infamia e delitto, temendo il castigo di Dio, e non volendo migliorare la loro vita, cercarono di persuadersi che Dio non vi fosse, onde arrivare, se fosse stato possibile, ad essere empii senza timore e rimorso; e perciò bestemmiarono che Dio non v’è: ma nemmeno essi n’erano persuasi. Infatti dopo di avere bestemmiato in vita che Dio non vi era, o pentiti, o disperati confessavano in morte che vi era Dio. Come un malato cui molto rincresce il morire cerca di persuadersi che risanerà dalla sua malattia, quantunque abbia ragioni evidenti che lo convincano in contrario; così questi filosofi scellerati, cui l’esistenza di un Dio rincresceva sommamente, cercavano di persuadersi che Dio non vi fosse, quantunque della sua esistenza avessero ragioni evidentissime.

Per qual ragione presupposta l’esistenza di Dio è necessario che gli uomini prestino il loro culto a questo Essere Supremo?

Per quella ragione che un figlio deve amare il suo padre, un suddito deve stare soggetto al suo re, il beneficato deve essere grato al benefattore ecc. Questo Essere Supremo è nostro Padre, nostro Re, e nostro Benefattore Sovrano.

II

Necessità della Religione rivelata.

È sufficiente una religione naturale, cioè un culto dato a Dio secondo i dettami della sola umana ragione, o pure si richiede un culto determinato positivamente da Dio manifestatoci per mezzo di una rivelazione soprannaturale?

L’umana ragione da sé sola non basta a farci conoscere tutte le verità che ci sono necessarie alla giusta cognizione di Dio; per sé sola, non può determinare con quali sacrifici, e con quali riti debba l’uomo riconoscere il suo supremo dominio, e debba onorarlo inoltre da per sé sola non è valevole a determinare tutte le leggi della retta morale. Omettendo tutti gli altri argomenti che si potrebbero addurre, basta osservare, che questa proposizione non è che un fatto innegabile. Nessuno dei filosofi che parlarono di Dio e dei suoi attributi, col solo lume della ragione naturale arrivò a dare una giusta idea di questo Essere Supremo; e mentre tutti convennero che si dovesse onorare ed adorare, non seppero mai convenire nella qualità dei sacrifici, e dei riti che si dovessero adoprare (Vien qui in proposito ciò che dei filosofi Deisti scriveva lo stesso Rousseau (Emil., t. 3, p. 21): « Se consideri le loro ragioni non ne troverai quasi nessuna che non sia in distruzione…. in null’altro sono d’accordo che nel contraddirsi vicendevolmente.). Le leggi della morale quando furono lasciate in mano dei soli filosofi, piegarono sempre o per un verso o per l’altro all’ingiustizia, e alla turpitudine. I filosofi greci pagani riconobbero la necessità di una rivelazione, e stavano aspettandola e desiderandola (Ecco i sentimenti di Platone nell’Alcib., dial. 2: Socrate: — La cosa più sicura è che noi aspettiamo pazientemente, e certo bisogna aspettare, finché venga chi ci ammaestri circa i nostri doveri verso Dio, e verso gli uomini. D — Alcib. — Quando sarà quell’ora, e chi ci ammaestrerà in queste cose? fortemente desidero di veder questo maestro! — Socrate: — Quegli, di cui parliamo ha cura delle cose tue; ma deve fare, secondo io la penso, come narra Omero aver fatto Minerva con Diomede. Minerva dissipò le nebbie che offuscavano gli occhi di Diomede, ed egli vide gli oggetti che gli stavano avanti. Così è necessario che una densa caligine sia tolta dagli occhi del tuo intelletto, affinché meglio tu discerna il ben dal male, il che per ora non puoi. — Alcib. — Oh venisse! Oh dissipasse queste tenebre! Io per quanto è in me, purché migliore addivenga di quel che sono, sarei dispostissimo ad ogni cosa ch’ei comandasse. — Socrate: — Così deve farsi finché nella nostra ignoranza non conosciamo quali sacrifici piacciano a Dio, e quali lo disgustino. — Alcib. — Quando quel dì sarà venuto, con buon successo placheranno Dio i nostri sacrifici, e confido nella sua bontà che questo di non sia per essere molto lontano. – Ecco come anche i filosofi gentili desiderassero una Religione rivelata, e come ne riconoscessero la necessità).

Perfezionandosi l’umana ragione pare che potrà essa arrivare a quel punto cui finora non è pervenuta, di conoscere bene gli attributi di Dio, i modi di onorarla a Lui accetti, e tutte le regole della retta morale; e or pare che stante il gran progresso dei lumi siam già presso alla meta, sicché da qui avanti non sarà necessaria una rivelazione soprannaturale?

Da tanti secoli nei quali stanno i filosofi studiando come perfezionare le facoltà dello spirito umano, se la nostra ragione fosse capace di una perfezione assoluta, sarebbe ormai perfettissima, e conosceremmo le cose tutte, a così dire, meglio degli Angeli; ma invece la repubblica dei filosofi (parlando di quegli che sdegnano i lumi della rivelazione) si trova sempre in maggior confusione, e in maggiori tenebre; cosicché senza dubbio venti secoli innanzi, Platone, Aristotile ed altri pagani dettavano una filosofia molto più ragionevole, retta e costumata, che i nostri filosofi irreligiosi. L’uomo ha un fondo d’ignoranza e malizia in natura che non si potrà scandagliare giammai e, se vuole perfezionare veramente le facoltà del suo spirito, bisogna che al lume della ragione unisca i lumi della rivelazione. Del progresso poi dei lumi del nostro secolo non spetta a noi giudicare, ne giudicheranno i secoli futuri senza passione, e senza amor proprio. Si deve credere che non vorranno negargli lode di buon progresso nelle scienze industriali; se uguale vorranno dargliela nelle scienze metafisiche e morali si può  finor dubitare. Noi frattanto sfidiamo i nostri filosofi irreligiosi a mettersi tra loro d’accordo, mentre finché non fanno che intronarci le orecchie con un confuso battagliar di sistemi tutti fra loro irreconciliabili, non possiamo nemmeno intendere quel che ci dicano. – Si mettano d’accordo, e potremo cominciare a supporre che vogliano perfezionare l’umana ragione. Finché sempre più si sprofonda il vorticoso caos delle loro opinioni, che possiam credere o dire? Perciò la ridicola speranza del pieno perfezionamento dell’umana ragione, non può esentarci dal riconoscere la necessità di una Religione rivelata, la quale ci ammaestri nella cognizione di Dio, nei modi di adorarlo, e nelle regole dei retti costumi.

III

Caratteri della Religione rivelata.

Varie sono le religioni al mondo le quali si dicono rivelate da Dio; ma essendo queste tra loro contrarie non possono essere rivelate tutte, una sola sarà quella che Dio avrà rivelato; frattanto come noi la discerneremo. dalle altre?

Certamente Dio che è verità, non può rivelare, come vere, cose tra loro contrarie, ciascuna delle quali suppone la falsità delle altre; perciò fra tutte le religioni che si dicono rivelate, una sola deve essere figlia della vera rivelazione. Per discernere questa da tutte le altre non fa bisogno di astruse ricerche e prolisse dimostrazioni. Come si distingue un diamante prezioso tra i frantumi del fragile vetro, così si distingue la vera Religione rivelata da quelle che sono false. Le Religioni che si dicono rivelate sono il Paganesimo, il Maomettismo, il Giudaismo, e il Cristianesimo.

1° – Il Paganesimo che è un grande aggregato, o per meglio dire, un gran caos d’innumerevoli culti, ripugna alla ragione, mentre si può dire che di ogni cosa fa un Dio. E anzi, secondo i suoi dettami, ciò che in un luogo è Dio cui si devono immolare le vittime, è vittima in un altro che si deve immolare ad un Dio. In Egitto si sacrificava al Bue, in Grecia il Bue era sacrificato. E, come riporta un antico, gli stessi sacerdoti di un luogo disputavano tra loro quale tra due animali fosse la vittima da sacrificarsi, e quale il Dio a cui si dovesse fare il sacrificio. Questa religione ha tutti i caratteri della follìa, e niuno della divinità.

2° –  Il Maomettismo parimente nulla ha di Divino. Non profezie avverate, non miracoli operati; nato nell’ignoranza, nell’ignoranza nutrito, fu stabilito e propagato con la sola forza delle armi. La barbarie è il suo sostegno, il mal costume è il suo pascolo, e tutt’insieme la sua speranza per la vita avvenire; non vi fu Saggio giammai che non lo abbia abborrito e deriso.

3° – Diversamente bisogna parlare del Giudaismo. Esso ha profezie avverate, miracoli operati; i suoi libri sono santi, e portano impresso il carattere della Divinità; perciò la Religione Giudaica fu Religione rivelata da Dio. Ma non doveva essere questa religione perpetua, doveva dar luogo a quella di cui non era che la figura. I suoi libri lo dicono chiaro che si sarebbe formato un nuovo popolo, che questo avrebbe avuto una nuova legge e un nuovo sacrificio; perciò la religione Giudaica fu già quel culto col quale voleva Iddio essere onorato dagli uomini; adesso non più. E mirabilmente apparisce l’abbandono in cui Dio la lasciò: senza tempio, senza sacerdozio e senza sacrifici, per giunta senza terra, sicché gli Ebrei sparsi per tutto il mondo, dappertutto sono stranieri. Pertanto la religione Giudaica dice da sé, che essa non è più quella che piaccia a Dio, che in suo luogo è sottentrato il Cristianesimo. Questa adesso è l’unica Religione che abbia i caratteri della Divinità, e unicamente gli avrà fino alla fine del mondo.Tutte le profezie dei libri santi confermano la sua veracità. Infiniti miracoli attestano ch’essa è opera di Dio. La religione Cristiana è quella che dà agli uomini la più grande e perfetta idea dell’Essere Supremo che possa aversi, insegna il modo il più sublime in cui si deve adorare, e prescrive regole di costumi tutte appoggiate sulla giustizia e sulla santità; sicché il più rozzo Cristiano purché sia istruito nei primi rudimenti della sua fede, è più dotto in divinità, in culto e in moralità di qualunque filosofo non cristiano. Basta conoscere la Religione Cristiana per sentirsi come sforzati a proclamarla la vera, quella che gode di tutti i caratteri della Divina Rivelazione.

Come può avvenire che mentre Essa ha tutti i caratteri della Rivelazione, sia frattanto la più combattuta?

Bisogna osservare da chi venga la guerra, perché dal genere del nemico si conosce la qualità della cosa combattuta. La Religione Cristiana fu sempre combattuta più di tutte le altre religioni che sono al mondo; ma fu sempre combattuta dagli empii e dagli scostumati. I persecutori della Religione Cristiana, come ci mostra la storia, furono sempre i più famosi nei vizi, e i più fieri tra questi furono sempre mostri di delitto e d’infamia. Qual meraviglia, che i cattivi odiino il bene, e tanto più lo odiino quanto è più grande? Frattanto questo continuo combattimento, mentre forma il suo onore, ci fa conoscere un altro carattere della sua Divinità. Fu sempre la più combattuta, e sempre la più grande e inalterabile; dopo venti secoli di combattimenti, è sempre la stessa, piena di forza e vigore, e si stende trionfalmente per tutta la terra, mutando i suoi oppositori in suoi figli allorquando la conoscono. Il fatto ci assicura della sua indefettibilità oltre la promessa che n’ebbe da Dio.

Nella Religione Cristiana però vi sono tante sètte tra loro nemiche: quale sarà la vera?

Nessuna delle sètte; queste sono tutte false. È vera quella che non è setta, quella ch’è fondata dagli Apostoli, che ha la loro fede, e le loro costumanze; quella che tutte le sètte combattono, come tutti gli errori combattono la verità. Quella che per tutto il mondo si estende, abbraccia tutti i tempi, e perciò si appella, ed è veramente la Religione Cattolica. Tutte le sètte hanno per capi uomini disertori dalla Religione di Cristo e degli Apostoli: perciò non si possono chiamare cristiane se non in quanto riconoscono Cristo, e pretendono onorarlo al loro modo. Non si possono poi chiamar cristiane in quanto facciano parte di quella Religione che veramente Cristo formò. Il fatto dimostra che sono separate da questa, perché combattono contro di lei. Di questo parleremo al Cap. I, § 3  (1).

(1) Considerando tali cose qui brevissimamente accennate si vede chiara e manifesta l’irrazionalità dell’indifferenza in materia di Religione. Se Dio si deve onorare con un culto, se Egli ha rivelato quale sia quello che da noi vuole, se nel manifestarcelo ci avverte che ogni altro culto d’innanzi a Lui è abbominazione (essendo questa una delle fondamentali verità della Religione Cattolica) com’è possibile che noi vogliamo credere essere Iddio indifferente per qualunque sorta di culto che si trovi in questa terra? E poi sarà cosa ragionevole il supporre che Dio si stimi onorato ugualmente dal casto e puro culto cristiano, come dall’impuro ed infame del paganesimo? Gli sarà grata la strage delle ventimila vittime umane che annualmente si sacrificavano nel Messico idolatra quando si squarciava il petto a quelle infelici per strapparne il cuore ancor vivo e palpitante, parimente che l’innocente e pio sacrificio dei nostri altari? Potevano piacergli le strida e gli urli della più orribile disperazione che intronavano quelle sale di spavento e di morte, come gli inni pacifici pieni di riconoscenza e di amore, che rallegrano i nostri templi? Mi parrebbe meno mali il supporre che Dio non esista, che il supporre l’esistenza di un Dio così stupido ed insensato quale sarebbe quello che si reputasse onorato ugualmente da tutte le sorta di culto che furono e sono al mondo.

 

I MEZZI NECESSARI ALLA SALVEZZA

  1. “I mezzi necessari alla salvezza” di S. Alfonso

Sant’Alfonso Liguori (morto nel 1787), vescovo e dottore della Chiesa

Sui mezzi necessari per la salvezza. 
di S. Alfonso M. de’ Liguori

Io sono voce di uno che grida nel deserto: raddrizzate la via del Signore” – Giovanni 1:23

Tutti vorrebbero essere salvati e godere della gloria del Paradiso; ma per conquistare il Paradiso, è necessario camminare sulla giusta via che conduce alla beatitudine eterna. Questa strada è l’osservanza dei comandamenti divini. Per questo, nella sua predicazione, il Battista esclamò: “Rendi dritta la via del Signore”. Per poter camminare sempre sulla via del Signore, senza deviare a destra o a sinistra, è necessario adottare i mezzi adeguati. Questi mezzi sono, innanzitutto, la diffidenza di noi stessi; in secondo luogo, la fiducia in Dio; in terzo luogo, la resistenza alle tentazioni.

Primo mezzo. Diffidenza di noi stessi

1. “Con timore e tremore”, dice l’Apostolo, “sviluppa la tua salvezza” – [Fil. II:12]. Per assicurarci la vita eterna, dobbiamo essere sempre penetrati dal timore; dobbiamo avere sempre timore di noi stessi (con paura e tremore) e diffidare del tutto delle nostre forze, perché, senza la grazia divina, non possiamo fare nulla.”Senza di me“, dice Gesù Cristo, “non puoi fare nulla“.: “Non possiamo fare nulla per la salvezza delle nostre anime”. San Paolo ci dice che noi non siamo capaci nemmeno di un buon pensiero. “Non però che da noi stessi siamo capaci di pensare qualcosa come proveniente da noi, ma la nostra capacità viene da Dio”[II Cor. III: 5]. Senza l’aiuto dello Spirito Santo, non possiamo nemmeno pronunciare il nome di Gesù per meritare una ricompensa. “E nessuno può dire: “Signore Gesù”, se non per mezzo dello Spirito Santo” – I Cor.XII: 3

2. “Miserabile l’uomo che si affida a se stesso sulla via di Dio”. San Pietro ha sperimentato il triste effetto della fiducia in se stessi. Gesù Cristo gli disse: “In questa notte, prima del canto del gallo, mi rinnegherai tre volte” – [Matt. XXVI: 34]. Confidando nelle proprie forze e nella sua buona volontà, l’Apostolo rispose: “Sì, anche se dovessi morire con Te, non ti rinnegherò” – [v.35]. Quale fu il risultato? Nella notte in cui Gesù Cristo venne preso, Pietro fu rimproverato nella corte di Caifa di l’essere uno dei discepoli del Salvatore. Il rimprovero lo riempì di paura: tre volte negò il suo Maestro e giurò di non averlo mai conosciuto. L’umiltà e la diffidenza in noi stessi ci sono così necessarie, che Dio ci permette talvolta di cadere nel peccato, affinché, con la nostra caduta, possiamo acquisire l’umiltà e la conoscenza della nostra stessa debolezza. Per mancanza di umiltà anche Davide cadde: quindi, dopo il suo peccato, disse: “Prima di essere umiliato, andavo errando” – Sal. CXVIII:67.

3. Quindi lo Spirito Santo pronuncia: benedetto l’uomo che ha sempre paura: “Beato l’uomo che ha sempre paura” – Prov. XXVIII:14. Chi ha paura di cadere, diffida delle proprie forze, evita il più possibile tutte le occasioni pericolose e si raccomanda spesso a Dio, preservando così la sua anima dal peccato. Ma l’uomo che non ha paura, e che è pieno di fiducia in se stesso, si espone facilmente al pericolo del peccato, raramente si raccomanda a Dio e così cade. Immaginiamo una persona sospesa su di un grande precipizio sopra una corda tenuta da un’altra persona. Sicuramente griderebbe costantemente alla persona che lo sostiene: tieni duro, tieni duro; per l’amor di Dio, non lasciarti andare. Siamo tutti in pericolo di cadere nell’abisso di ogni crimine, se Dio non ci sostiene. Quindi dovremmo costantemente implorarlo di tenere le sue mani su di noi e aiutarci in tutti i pericoli.

4. Alzandosi dal letto, san Filippo Neri soleva dire ogni mattina: “O Signore, tieni la tua mano oggi su Filippo; se non lo fai, Filippo ti tradirà”. E un giorno, mentre camminava per la città, riflettendo sulla propria infelicità, spesso diceva: “Io dispero, mi dispero”. Un certo religioso che lo ascoltò, credendo che il santo fosse davvero tentato dalla disperazione, lo corresse e lo incoraggiò a sperare nella divina misericordia. Ma il santo rispose: “Io dispero di me stesso, ma confido in Dio”; quindi, durante questa vita in cui siamo esposti a tanti pericoli di perdere Dio, è necessario per noi non vivere sempre con grande sfiducia in noi stessi, ma pieni di fiducia in Dio.

Secondo mezzo: fiducia in Dio.

5. San Francesco di Sales afferma che la sola attenzione all’autodifesa, a causa della nostra debolezza, ci renderebbe solo pusillanimi e ci esporrebbe al grande pericolo di abbandonarci ad una vita tiepida o addirittura alla disperazione. Più diffidiamo delle nostre forze, più dovremmo confidare nella misericordia divina.Questo è un equilibrio, dice lo stesso Santo, in cui più si alza il livello di fiducia in Dio, più scende il livello di diffidenza in noi stessi.

6. Ascoltatemi, o peccatori che avete avuto la disgrazia di aver offeso finora Dio, e di essere condannati all’inferno: se il diavolo vi dice che rimane poca speranza per la vostra salvezza eterna, rispondete con le parole della Scrittura: “Nessuno che ha sperato nel Signore, è stato confuso” – Eccl.II:11.Nessun peccatore che ha sempre creduto in Dio è mai andato perso.Fate, quindi, un fermo proposito di non peccare più; abbandonatevi nelle braccia della divina bontà; e state certi che Dio avrà pietà di voi e vi salverà dall’inferno. “Getta le tue cure sul Signore, ed Egli ti sosterrà” – Sal.XLIV:23.Il Signore, come leggiamo in Blosius, un giorno disse a santa Gertrude: “Chi confida in me, mi fa talmente violenza che non posso che ascoltare tutte le sue suppliche”.

7. “Ma”, dice il profeta Isaia, “ma quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi” – XL: 31. Coloro che ripongono la loro fiducia in Dio rinnoveranno la loro forza; essi metteranno da parte la propria debolezza e acquisiranno la forza di Dio; voleranno come aquile sulla via del Signore, senza fatiche e senza mai mancare. Davide dice che “la misericordia comprenderà colui che spera nel Signore” – Sal.XXI: 10. Colui che spera nel Signore sarà circondato dalla sua misericordia, così che non sarà mai abbandonato da essa.

8. San Cipriano dice che la divina misericordia è una fonte inesauribile. Coloro che ne portano la fiducia più grande, ne traggono le più grandi grazie. Quindi, il Profeta Reale ha detto: “La tua grazia, Signore, sia sopra di noi, ché abbiamo sperato in Te” – Sal.XXXII: 22. Ogni volta che il Diavolo ci terrorizza ponendo sotto i nostri occhi la grande difficoltà di perseverare nella grazia di Dio, nonostante tutti i pericoli e le occasioni peccaminose di questa vita, lasciate che, senza rispondergli, eleviamo gli occhi a Dio, e sperando che bella sua bontà ci invierà certamente un aiuto per resistere ad ogni attacco. “Ho alzato gli occhi verso le montagne, da dove mi verrà l’aiuto? ” – Sal.CXX: 1. E quando il nemico ci rappresenta la nostra debolezza, diciamo con l’Apostolo: “Posso fare tutto in Colui che mi da forza” – Fil.IV:13. Da me stesso non posso fare nulla; ma confido in Dio così che, per sua grazia, sarò in grado di fare tutte le cose.

9. Quindi, nel mezzo dei più grandi pericoli di perdizione ai quali siamo esposti, dovremmo continuamente rivolgerci a Gesù Cristo e gettarci nelle mani di Colui che ci ha redenti con la sua morte, e dovremmo dire: “Nelle tue mani io raccomando il mio spirito: Tu mi riscatti, o Signore, Dio verace “- Sal.XXX: 6. Questa preghiera dovrebbe essere detta con la grande sicurezza di ottenere la vita eterna, e ad essa dovremmo aggiungere: “In te, o Signore, ho sperato, non lasciarmi confuso per sempre” – Sal.XXX: 1

Terzo mezzo: resistenza alle tentazioni.

10. È vero che quando ricorriamo a Dio con fiducia, in pericolose tentazioni, Egli ci assiste; ma, in certe occasioni molto urgenti, il Signore a volte desidera che cooperiamo e facciamo violenza a noi stessi onde resistere alle tentazioni. In tali occasioni, non sarà sufficiente ricorrere a Dio una o due volte; sarà necessario moltiplicare le preghiere e spesso prostrarsi e sospirare davanti all’immagine della Beata Vergine e del Crocifisso, gridando nelle lacrime: Maria, Madre mia, aiutatemi; Gesù, mio ​​Salvatore, salvami, per la tua misericordia, non abbandonarmi, non permettere che io mi perda.

11. Teniamo presente le parole del Vangelo: “Quanto è stretta la porta e dritta è la via che conduce alla vita: e pochi sono quelli che la trovano” – Mat.VII:14. La via per il Cielo è diritta e stretta: coloro che desiderano arrivare in quel luogo di beatitudine camminando per le vie del piacere, saranno delusi; e quindi pochi lo raggiungono, perché pochi sono disposti ad usare la violenza per resistere alle tentazioni. “Il regno dei cieli soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono” – Matt.XI: 12. Nello spiegare questo passaggio, uno scrittore dice: “Vi quæritur, invaditur, occupatur”. Deve essere ricercato e ottenuto con la violenza: chi vuole ottenerlo senza inconvenienti, o conducendo una vita dolce e regolare, non lo acquisisce e ne sarà escluso.

12. Per salvare le loro anime, alcuni Santi si sono ritirati nel chiostro;alcuni si sono rinchiusi in una grotta; altri hanno abbracciato tormenti e morte. “I violenti se ne impadroniscono”. Alcuni lamentano la loro mancanza di fiducia in Dio; ma non percepiscono che la loro diffidenza deriva dalla debolezza della loro risoluzione di servire Dio. Santa Teresa soleva dire: “Di anime irresolute il Diavolo non ha paura”. E l’uomo saggio ha dichiarato che “i desideri uccidono i pigri” – Prov.XXI:25. Alcuni vorrebbero essere salvati e diventare santi, ma non risolveranno mai di adottare i mezzi della salvezza, come la meditazione, la frequentazione dei Sacramenti, il distacco dalle creature; oppure, se adottano questi mezzi, presto li abbandonano. In una parola, sono soddisfatti dei loro desideri infruttuosi, e così continuano a vivere nell’inimicizia con Dio, o almeno nella tiepidezza, che, alla fine, li conduce alla perdita di Dio. Così in loro sono verificate le parole dello Spirito Santo, “i desideri uccidono il pigro“.

13. Se, quindi, desideriamo salvare le nostre anime e diventare santi, dobbiamo prendere la decisione forte, non solo in generale di donarci a Dio, ma anche in particolare di adottare i mezzi adeguati, senza mai abbandonarli mai dopo averli presi una volta. Quindi non dobbiamo mai smettere di pregare Gesù Cristo e la sua Santissima Madre, per ottenere la santa perseveranza.

UNA PAROLA AL FEDELE NEO-CONVERTITO (fr. UK)

Una parola al fedele neo-convertito.

Caro fedele,

poiché alcuni di voi hanno chiesto di darvi un’istruzione almeno sommaria, qui potete trovare alcune indicazioni sul come organizzare la vita cattolica nelle circostanze in cui la maggior parte del clero ha cessato di praticare la Fede cattolica e è divenuto seguace della religione del “Novus Ordo”.

Il Papa e pochissimi sacerdoti continuano a servire la Chiesa Cattolica in esilio, e i Cattolici possono fare la loro confessione, partecipare alla Santa Messa e ricevere la Santa Comunione non più di due volte all’anno.

Bisogna capire che non solo è in esilio l’alta Gerarchia, ma bensì anche tutta la gerarchia ed i fedeli. Tutta la Chiesa conduce la sua missione in Eclissi.

Tale situazione non è nuova per la Chiesa di Cristo. La Beata Vergine Maria, gli Apostoli, molti Santi in tempi di persecuzione, furono esiliati e finanche Nostro Signore fu esiliato: per un po’ fu “nascosto in un campo … come una perla preziosa di grande valore” (San Matteo XIII: 44-46), poi però, nel momento giusto, essa fu ritrovata per brillare sulla croce.

«Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. » [Filip. II, 4-8]

E così non è una novità per la Sua Chiesa seguirlo sulla via della Croce, verso l’esilio!

Nostro Signore Gesù Cristo creò questo mondo, ma il mondo lo mandò in esilio: “Era nel mondo, e il mondo fu creato da lui, e il mondo non lo conobbe. Venne tra i suoi, e i suoi non lo accolsero “(San Giovanni 1: 9-11). Ma quelli che lo accolsero, divennero figli di Dio: “Ma a tutti quelli che l’hanno ricevuto, ha dato il potere di diventare figli di Dio, a quelli che credono nel suo Nome, che sono nati non da sangue, né dalla volontà della carne, né dalla volontà dell’uomo, ma da Dio “(San Giovanni 1: 12-13).

Purtroppo, coloro che hanno accolto il Nostro Signore Gesù Cristo, sono una minoranza, e questa minoranza è permanentemente perseguitata dal mondo che “non Lo ha ricevuto”. “Se il mondo ti odia, sappi che ha odiato Me, prima di te … Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche te” (San Giovanni XV: 18-23).

Ma questa non è una causa di disperazione o di panico, poiché abbiamo il “Sommo Sacerdote Misericordioso e Fedele” (Ebrei II:17), che è in grado di aiutarci: “… infatti proprio per essere stato messo alla prova ed avere sofferto personalmente, è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova “.[Ebr. II, 18], abbiamo il Buon Pastore che dice: ” Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo regno”. [Luc. XII, 32]

Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano!” [Matt. VII, 13-14].

Quando qualcuno si converte dal “Novus Ordo” alla Religione Cattolica, non cambia solo il luogo di culto, né la giurisdizione… cambia totalmente la fede, la morale e la disciplina. Ciò significa che i Cattolici non hanno il diritto di sentirsi liberi di fare ciò che vogliono, come hanno fatto in passato, quando erano membri della larga e comoda falsa religione del “Novus Ordo”.

La via verso il Regno di Dio è una via di numerose e benefiche limitazioni. Coloro che vogliono entrare nel Regno di Dio devono prendere su di sé il giogo di Gesù Cristo ed imparare da Lui ad essere miti ed umili di cuore, così come Lui stesso è mite ed umile di cuore. (San Matteo XI: 29-30).

Falso culto:

Molti convertiti non sapevano ad esempio, che violando il primo comandamento, un uomo commette peccato mortale. Ma dal momento stesso in cui un convertito conosce la verità, è obbligato ad abbandonare tutte le pratiche proibite, per tutto il resto della vita.

I Cattolici sono obbligati ad osservare tutti i Dieci Comandamenti di Dio, i Precetti della Chiesa nonché la Fede, la Morale e la Disciplina nella sua integrità.

Spesso dopo la conversione alcune persone cercano ancora di continuare in pratiche e costumi falsi, assolutamente inutili e persino dannosi per i Cattolici. Lo fanno “per inerzia”, ​​o perché pensano che la fede del “Novus Ordo” e la Fede della Chiesa Cattolica siano uguali o solo un po’ diversi. E se qualcuno, dopo essersi unito alla Chiesa Cattolica, intende ancora praticare la falsa fede, la morale e la disciplina precedente, la sua conversione è nulla, e non si è unito affatto alla Chiesa Cattolica!

Il primo Comandamento tra l’altro, proibisce di credere in “messaggi”, “rivelazioni”, “ispirazioni”, “voci” ecc., ricevuti in un sogno o in una “visione”.

Se qualcuno dice che ha visto Gesù, o la Madre di Dio, o gli Angeli o i Santi, e che tutti devono fare ciò che “essi hanno loro detto”, bisogna essere cauti e tenere presente questo avvertimento di Dio: “Quindi, se c’è qualcuno che ti dirà: Ecco, ecco Cristo, o eccolo là; non credergli. Perché sorgeranno falsi cristi e falsi profeti e mostreranno grandi segni e prodigi, tanto da ingannare (se possibile) persino gli eletti. Ecco, te l’ho detto prima “(San Matteo XXIV: 23-25). E anche  San Paolo, l’Apostolo, dice: ” … nessuna meraviglia; poiché satana stesso si trasforma in un angelo di luce “(2 Corinzi XI:14).

Una credenza in una strana “immagine” su una pietra, su un legno, su una superficie  d’acqua, su un vetro, ecc., che in qualche modo ricorda remotamente strane creature, o anche un uomo, un Angelo, ecc., è una sorta di falsa adorazione … Spesso accade questo, quando qualcuno vuole presentare la “propria” immaginazione come “messaggio molto importante dal cielo” per il mondo.

Quando vediamo il mondo che ci circonda, creato da Dio, non dovremmo adorare la creazione stessa, perché è proibito dal primo comandamento, ma dovremmo piuttosto glorificare e ringraziare Dio Creatore per la sua potenza e la eterna carità nei nostri confronti. La via migliore per la glorificazione di Dio è il ringraziamento è l’adempimento dei Comandamenti di Dio.

*******

L’approvazione della Chiesa delle rivelazioni private, significa semplicemente che esse non contengono nulla contro la fede e la morale. Non pecca mai mortalmente chi li nega perché non è convinto che vengano da Dio. (Teologia morale)

Vera adorazione:

*******

I. Il Sacrificio.

Il culto di Dio richiede l’offerta del Santo Sacrificio della Messa, a cui i fedeli sono obbligati ad assistere nelle occasioni comandate.

II. L’Adorazione.

Concetto. L’adorazione è l’atto dell’adorazione divina con la quale riconosciamo l’Infinita Maestà e la Signoria di Dio, la nostra dipendenza da Lui e la sottomissione a Lui.

Obbligo.

a) L’adorazione nel senso proprio (cultus latriæ) può e deve essere resa a Dio solamente.

È reso a Lui e Lui soltanto è adorato in quanto Dio stesso  (ad esempio: la Santissima Trinità, Gesù Cristo, il Santissimo Sacramento) a causa della Sua eccellenza; Gli viene offerto relativamente, quando sono venerate le immagini di Dio, gli strumenti della Sacra Passione, ecc., per l’eccellenza di Dio con cui hanno una relazione così stretta.

b) Un culto speciale (cultus duliæ) è dovuto agli Angeli e ai Santi, poiché come amici di Dio anch’essi partecipano alla Sua eccellenza.

Una maggiore adorazione (cultus hyperduliæ) di quella offerta a qualsiasi altra creatura, è dovuta alla Madre di Dio, perché anche Ella condivide in modo speciale la Sua eccellenza.

– I Santi canonizzati possono essere venerati ovunque sulla terra con qualsiasi atto di culto di dulia; il Beato invece, solo in quei luoghi dove la Santa Sede permette la loro venerazione e nella maniera da essa approvata (C. 1277).

– Il titolo di “Venerabile”, o di “Servo di Dio” non consente la pratica della venerazione pubblica (C. 2115); la venerazione privata di una tale persona non è però proibita.

– Solo gli Angeli e quei Santi e Beati che sono stati riconosciuti come tali dalla Chiesa possono essere invocati pubblicamente. In privato possiamo implorare tutti i giusti in cielo e sulla terra, ed in particolare anche i bambini battezzati che muoiono prima di raggiungere l’uso della ragione, così come anche le Anime del Purgatorio. (Teologia morale)

*******

Alcune parole sulla preghiera:

I Cattolici dovrebbero pregare quotidianamente con preghiere mattutine, preghiere serali, notturne, con varie preghiere da rivolgere a nostro Signore, alla Madre di Dio, agli Angeli e ai Santi, il Credo, le preghiere ai pasti e prima di ogni azione, ecc., le Novene, fare spesso il segno della croce.

È ottima cosa che i Cattolici preghino il Santo Rosario uniti  nelle loro famiglie quotidianamente o tutte le volte che possono, almeno la domenica e le festività di obbligo, secondo gli orari di lavoro dei membri della famiglia.

È molto consigliabile fare un esame quotidiano di coscienza e un atto di contrizione perfetta; ma l’obbligo di confessare i peccati davanti a un sacerdote rimane sempre, appena sia possibile.

Ed è molto bello ricevere frequentemente la Comunione Spirituale, quando non si ha la possibilità di partecipare alla Santa Messa.

Quando un Vescovo o un Sacerdote saranno in grado di venire dai fedeli, allora essi potranno confessare i peccati e ricevere la Santa Comunione.

*******

L’omissione volontaria delle preghiere quotidiane è raramente esente da ogni colpa, poiché è il risultato di negligenza e tiepidezza. (Teologia morale)

*******

Altro sulla preghiera:

Se i fedeli saranno in grado, potranno riunirsi in una sala, in gruppo di tre o più persone per pregare il Santo Rosario. I giorni preferibili sono le domeniche e le feste comandate. Nessuno può essere un leader, né un “capo”, né un “profeta” in quelle riunioni del Rosario. Un Fedele per volta può condurre una decina del Rosario. Se è presente un uomo ad un incontro di preghiera, egli ha la priorità di condurre il Santo Rosario, oppure può delegare le donne nel condurre una, due o tre decine del Rosario.

A causa delle circostanze molto difficili della Chiesa in Eclissi, l’alta Gerarchia non vieta la preghiera del Santo Rosario, fatta in un piccolo gruppo  di due persone, anche per telefono. Tale pratica è una forma di devozione non ufficiale, ma straordinaria, ed è consentita a mo’ di privilegio per coloro che vivono lontani e non possono essere fisicamente presenti alle riunioni del Rosario, o per coloro che hanno bisogno di preghiere in circostanze difficili. Non sono consentite “video-conferenze”.

Le cosiddette “conferenze telefoniche di preghiera” per gruppi più grandi, costituiti da più di due persone, non sono consentite, perché non sono sicure. Lo stesso vale per le “videoconferenze”.

Nessun fedele laico o laica può far da predicatore, catechista, insegnante durante le riunioni del Rosario, né in sala né per telefono (vedi: Falsa adorazione).

È proibito ai Cattolici di pregare insieme ai non cattolici.

*******

La partecipazione attiva dei Cattolici ai servizi di culto non cattolici è del tutto vietata (C. 1258).

Chiunque si oppone alle prescrizioni del C. 1258 e prende parte a servizi non cattolici è sospettato di eresia (C. 2316).

La presenza passiva è consentita solo per una buona ragione, ad esempio: Soldati e prigionieri possono partecipare a tali servizi se comandati a farlo per ordine, ma non se imposti in odium fidei. (Teologia morale)

*******

I due corpi della Chiesa Cattolica:

[dal Catechismo di Baltimora] :

490. Come possono essere divisi i membri della Chiesa sulla terra?

I membri della Chiesa sulla terra possono essere divisi in: coloro che insegnano e coloro che vengono istruiti. Coloro che insegnano, cioè il Papa, i Vescovi e i Sacerdoti, sono chiamati: Chiesa docente, o semplicemente la Chiesa. Coloro che vengono istruiti sono chiamati: Chiesa discente, o semplicemente i fedeli.

http://www.baltimore-catechism.com/lesson11.htm

*******

[da: Il “Catechismo spiegato”, del Rev. Francis Spirago]:

“La Chiesa Cattolica consiste in un corpo docente ed un corpo discente. Al primo appartengono il Papa, i Vescovi e i Sacerdoti; al secondo tutti i fedeli. I sacerdoti sono gli assistenti dei Vescovi; essi ricevono i loro ordini dal Vescovo e sono anche suoi figli spirituali; il loro compito è quello di eseguire i comandi del Vescovo; anche quando sono chiamati ad assistere ai Concili, non votano come giudici, ma solo come consiglieri, né hanno poteri per scomunicare. I sacerdoti hanno solo una parte del potere episcopale, e il loro ufficio può essere esercitato solo con il mandato del Vescovo. Questa mandato è detto: missione canonica (missio canonica).

“Manuale per sacerdoti, insegnanti e genitori a cura del Rev. S.G. Messmer, D.D., D.C.L., Vescovo di Green Bay. IL CATECHISMO SPIEGATO dall’originale di Rev. Francis Spirago, professore di teologia, a cura del rev. Richard F. Clarke S.J., data di pubblicazione 1899.

Nel Concilio di Trento, è scritto: [CANON V]:  Se qualcuno dovesse dire, che nella Chiesa Cattolica non c’è una Gerarchia nell’ordinazione divinamente istituita, composta da Vescovi, Sacerdoti e Ministri, sia anatema “.

http://www.thecounciloftrent.com/ch23.htm

#      #      #

I doveri dei laici derivano principalmente dalla legge naturale, dalla legge divina positiva e dai precetti della Chiesa.

I diritti dei laici sono in gran parte riducibili al diritto fondamentale di ricevere dal clero i beni spirituali necessari alla salvezza, secondo le regole della disciplina ecclesiastica. – Questi diritti possono essere fortemente limitati, ad es. in una persona che si unisce ad una setta non-cattolica o incorre in una censura ecclesiastica, in particolare la scomunica (C. 87). Ma un battezzato non può mai essere privato di nessuno dei diritti che ha in virtù del carattere indelebile del Battesimo, né può perdere la sua inalienabile pretesa della speciale sollecitudine della Chiesa, e, in pericolo di morte, se è giustamente disposto, ai Sacramenti necessari alla salvezza.(Teologia morale).

I fedeli non appartengono alla Chiesa docente o alla Gerarchia. Un fedele può essere un insegnante o un catechista solo con l’esplicito permesso di un Vescovo o di un prete. Quando i fedeli reclamano un’autorità sulla Gerarchia, essi agiscono in contrasto con l’insegnamento della Chiesa.

In alcuni, casi dei fedeli possono avere autorità su altri fedeli.

I genitori hanno autorità sui propri figli naturali ed adottivi, hanno il dovere di governare, educare ed insegnare ai bambini. – Nell’estremo bisogno un laico può amministrare il Battesimo, se sa come agire secondo il rito della Chiesa.

 Sacramento del Battesimo:

Il Battesimo dell’acqua è necessario per il raggiungimento della salvezza come mezzo indispensabile per raggiungere il fine. Solo in casi eccezionali può prenderne il posto il Battesimo del desiderio o del sangue.

Il Battesimo del sangue consiste nel soffrire la morte per Cristo. Funziona quasi ex opere operate, cioè non è richiesto alcun atto soggettivo, e quindi anche i bambini possono essere giustificati in questo modo.

Il Battesimo del desiderio consiste in un atto di contrizione perfetta o di amore perfetto, che agisce in qualche modo come un desiderio del Battesimo.

Né il Battesimo del desiderio né quello del sangue, imprimono un carattere indelebile.

Il Battesimo condizionale è sempre necessario ogni volta che ci sia un dubbio, anche minimo, sulla validità del Battesimo ricevuto. Se non vi sono dubbi sulla validità del Battesimo ricevuto, non si può essere battezzati, nemmeno condizionatamente, sebbene il Battesimo sia stato amministrato da un laico o da un eretico. Prima di ribattezzare condizionatamente a causa di un dubbio, si deve cercare di rimuovere il dubbio con un’indagine accurata.

Gli effetti del Battesimo sono:

la remissione dei peccati, sia l’originale che i personali, e la pena dovuta al peccato;

l’imprinting del carattere battesimale,

l’infusione della grazia santificante,

delle virtù soprannaturali e dei doni dello Spirito Santo,

e soprattutto il conferimento di un diritto alle grazie necessarie per condurre una vita cristiana.

I peccati personali e le pene così contratte, sono rimessi solo in seguito ad con una contrizione almeno imperfetta. – Pertanto, se un adulto deve essere battezzato, deve essere esortato a produrre un atto di contrizione.

 

Ministro del Battesimo solenne.

Il ministro ordinario è un qualsiasi sacerdote. Battezzare è un diritto pastorale. L’Ordinario o il pastore locale possono permettere ad altri di battezzare. A parte il caso della necessità, è mortalmente peccaminoso battezzare senza il permesso almeno presunto del parroco.

Ministro straordinario è il diacono.

II. Ministro del Battesimo valido e privato, può essere qualsiasi persona.

Perciò anche il Battesimo amministrato dai non credenti e dagli eretici è valido. Per quanto riguarda l’intenzione si veda al n. 451.

Lecitamente i laici possono battezzare solo in pericolo di morte e quando non ci sia un sacerdote (C. 742). Fare altrimenti è mortalmente peccaminoso. – Un’eccezione è permessa e persino necessaria quando un bambino deve essere battezzato nel grembo materno. – Un’usanza contraria è prevalente nei distretti missionari, dove i catechisti o altri fedeli laici battezzano, al di fuori della necessità impellente, ogni volta però che non sia presente alcun sacerdote.

Se possibile, dovrebbero essere presenti nel Battesimo privato due o almeno un testimone, dai quali possa essere attestata l’amministrazione del Battesimo stesso (C. 742).

Nel Battesimo privato si userà sempre l’acqua ordinaria.

La materia prossima legale presso la Chiesa occidentale consiste nella triplice infusione, cioè, il battezzante versa tre volte l’acqua sulla testa di chi viene battezzato mentre pronuncia la forma.

La formula del Battesimo prescritto per la Chiesa latina recita:

Ego te baptizo in nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti“.

Battesimo degli adulti. È valido il Battesimo di chiunque abbia l’uso della ragione ed abbia l’intenzione di essere battezzato. – Nel dubbio sull’intenzione di una persona in pericolo di morte, il Battesimo è amministrato condizionatamente.

(451). Il battesimo è valido se amministrato da un medico ebreo che agisce con l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa, o come fanno i Cristiani.

Non viene amministrato nessun Sacramento se si compiono semplicemente i gesti sacramentali come per la pratica (ad es. di un seminarista), o per burla.

Una sola e medesima persona deve impiegare la materia e recitare la formula. Pertanto, il Battesimo non è valido se una persona versa l’acqua mentre un’altra pronuncia le parole. (Teologia morale).

Il Battesimo in un gruppo che si pretende tradizionale, dove i ministri usano la forma di rito latino o la forma di rito bizantino, può essere ritenuto valido. Il Battesimo in tutti gli altri gruppi deve essere investigato secondo l’insegnamento della Chiesa Cattolica.

La forma del battesimo condizionale è:

… nome … “Si non es baptizatus (a), ego te baptizo in nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti“.

Ogni volta i laici intendano battezzare privatamente, al di fuori del caso di necessità (in pericolo di morte), devono chiedere per iscritto il permesso ad un sacerdote.

Un laico maschio ha sempre la priorità di battezzare rispetto ad una donna. Una donna può battezzare qualora non sia disponibile nessun uomo. Nel Battesimo privato, dovrebbero essere presenti due o almeno un testimone.

Sacramento della Penitenza.

La Penitenza è il Sacramento in cui i peccati di un peccatore pentito, commessi dopo il Battesimo, sono perdonati dall’assoluzione di un sacerdote.

a) La materia necessaria sono tutti i peccati mortali commessi dopo il Battesimo che non siano stati direttamente rimessi dal Potere delle Chiavi.

Se uno confessa un peccato mortale subito dopo aver ricevuto l’assoluzione, questa deve essere data di nuovo.

b) La materia libera e sufficiente sono tutti i peccati veniali commessi dopo il Battesimo, ed anche tutti i peccati mortali già confessati in precedenza e direttamente rimessi.

Un’accusa generale è sufficiente quando si ha solo la materia libera.

c) La materia insufficiente sono tutti i peccati commessi prima del Battesimo, le imperfezioni ed i peccati incerti.

Se uno confessa solo i peccati commessi prima del Battesimo o menziona solo le imperfezioni, non può essere assolutamente assolto.

Se si confessano solo i peccati dubbi, l’assoluzione può essere data condizionatamente.

Modo di dare l’Assoluzione.

L’assoluzione deve essere data:

– Oralmente; l’assoluzione per iscritto o mediante altri segni non è valida.

– Ad un soggetto personalmente presente.

– L’assoluzione è dubbiamente valida se il sacerdote e il penitente sono in stanze diverse tra le quali non ci sia comunicazione. (Teologia morale).

Santa Messa:

La Santa Eucaristia è Sacramento e Sacrificio.

 Il Santo Sacrificio della Messa è il vero e proprio Sacrificio del Nuovo Testamento in cui Cristo viene offerto, sotto le apparenze del pane e del vino, continuando così il Sacrificio della Croce in modo incruento.

Essenza del Sacrificio della Messa. Il sacrificio della Messa consiste essenzialmente nella Consacrazione; la Santa Comunione, tuttavia, è parte integrante del Sacrificio.

Poiché la Chiesa comanda la partecipazione a tutta la Messa, non adempie il suo obbligo domenicale chi è presente solo alla Consacrazione.

Il Sacramento della Santa Eucaristia nella sua realizzazione è inseparabilmente legato all’offerta di una oblazione. Il Santissimo Sacramento dell’Altare è il Sacramento in cui il Corpo e il Sangue di Cristo sono presenti sotto le forme del pane e del vino per il nutrimento spirituale delle nostre anime.

Il consacratore della Santa Eucaristia è solo il sacerdote validamente ordinato.

Per la ricezione della Santa Comunione è richiesta la pulizia esteriore.

Pertanto, non si può comparire alla Tavola Santa con abiti sporchi, lacerati o sconvenienti.

Anche il viso, le mani e tutto il corpo devono essere puliti. (Teologia morale).

 

CENSURE LATÆ SENTENTIÆ

– sono sostenute “ipso facto” dal commettere un reato. Scomunica individuale: Una scomunica “speciale modo”, riservato alla Santa Sede è comminata a: Chiunque, non essendo un prete, simula dicendo Messa o udendo una Confessione (C.2322). (Teologia morale).

*******

È una pratica insolita per i fedeli recitare una “versione abbreviata” della Santa Messa la domenica o nelle feste d’obbligo, o nei giorni feriali senza sacerdote. La comunione spirituale durante queste “messe abbreviate” senza sacerdote, sembra essere una simulazione del dire Messa. È proibito dal diritto canonico dire la santa Messa senza un prete.

Il Papa San Pio X ha espresso la sua speranza e il suo desiderio che il Messale Romano sia usato più comunemente dai fedeli di tutte le classi durante la loro partecipazione alla Messa.

Il Messale può essere utilizzato dai fedeli fuori dalla Santa Messa per lo studio. Anche i fedeli possono leggerne parti separate, come Salmi, preghiere, Epistola o Lezione, il Vangelo, le Antifone, il Credo ecc.  senza l’intenzione di simulare la Messa.

Per ricevere la Comunione spirituale al di fuori della Santa Messa, i fedeli non hanno alcun obbligo di leggere tutta la Messa o alcune parti da soli senza un sacerdote. Hanno solo bisogno di fare un atto di comunione spirituale, come il seguente:

Preghiere per la Comunione spirituale

Gesù mio, credo che voi state nel Santissimo

Sacramento. V’amo sopra ogni cosa e vi desidero

nell’anima mia. Giacché ora non posso ricevervi

sacramentalmente, venite almeno

spiritualmente nel mio cuore. Come già venuto, io vi

abbraccio e tutto mi unisco a Voi: non permettere

che io mi abbia mai a separare da Voi.

(Indulg. di tre anni ogni volta, leggendo qualsiasi formula; indulg. plenaria alle consuete condizioni se fatta ogni giorno per un intero mese).

Donne in Chiesa:

Secondo la Legge di Dio una donna è un aiuto per un uomo (Genesi II: 18-24), quindi la Chiesa non riconosce la guida delle donne in Chiesa. San Paolo, l’Apostolo, dice: “Le donne tengano il silenzio nelle chiese; perché non è permesso loro di parlare, ma di essere soggetti, come anche la legge dice. Ma se imparassero qualcosa, che chiedessero ai loro mariti a casa. Perché è una vergogna per una donna parlare in chiesa “(1 Corinzi 1XIV: 34-35), e “La donna impari in silenzio, con tutta sottomissione. Non concedo a nessuna donna di insegnare, né di dettare legge all’uomo; piuttosto se ne stia in atteggiamento tranquillo” (1 Timoteo II: 11-13).

Il ruolo proprio di una donna cattolica è quello di essere una buona figlia, una buona sorella, moglie, madre, parrocchiana, cittadina. Alcune donne hanno la vocazione per essere suora. Secondo la legge ecclesiastica, una donna può essere superiora, ad esempio in una congregazione religiosa femminile, canonicamente approvata  e stabilita dall’altaGerarchia .

LA DONNA NELLA CHIESA:

Codice di  ABBIGLIAMENTO

Durante la recita del Rosario per telefono, durante le riunioni del Rosario e la Santa Messa i Cattolici dovrebbero tenere un abbigliamento modesto.

Non è permesso alle donne e alle ragazze cattoliche di ricevere la Santa Comunione se i loro volti e le loro labbra sono dipinte, perché sarebbe un atteggiamento indecoroso al cospetto del Santo Sacrificio della Croce. La Santa Messa è il culto davanti all’Altare di Dio, non una cena a un tavolo comune, per cui le donne cattoliche non devono venire alla S. Messa con il viso truccato.

È proibito alle donne cattoliche di partecipare alla Santa Messa e alle riunioni di preghiera, indossando jeans, pantaloncini, pantaloni, ampi decolté, camicie senza maniche e t-shirt, in abbigliamento da spiaggia o da sport, vestiti con scritte e messaggi, loghi di grandi marchi, loghi sportivi, vestiti trasparenti. Una gonna o un vestito dovrebbero essere lunghi, così che quando ella è seduta, le sue ginocchia devono essere coperte. Anche le maniche dovrebbero essere abbastanza lunghe, fino al palmo delle mani o un po’ sotto i gomiti, nei tempi caldi dell’estate. La testa dovrebbe essere sempre coperta. Scarpe o sandali a seconda dei tempi; le calze sono richieste soprattutto quando la donna indossa sandali estivi aperti.

Anche gli uomini ed i ragazzi cattolici dovrebbero indossare un consono abbigliamento nel partecipare alla Santa Messa e agli incontri di preghiera. Vietati sono: jeans, pantaloncini, magliette senza maniche e t-shirt, vestiti da spiaggia, vestiti sportivi, vestiti con scritte o messaggi, loghi di grandi marchi, loghi sportivi, indumenti trasparenti. Essi dovrebbero indossare abiti composti, come un abito classico con cravatta o anche senza, pantaloni di stile classico e camicie a maniche lunghe. Scarpe o sandali semiaperti a seconda della stagione; le calze sono obbligatorie. Il principio essenziale del codice di abbigliamento nel culto cattolico è una manifestazione esterna di Fede, morale e disciplina. Poiché il centro del culto cattolico c’è la Croce di Gesù Cristo, si devono indossare abiti casti e modesti, specialmente quando si riceve la santa Comunione durante la santa Messa.

Sacramentali:

*******

I sacramentali sono oggetti o azioni che la Chiesa usa, ad imitazione dei Sacramenti, per ottenere favori, specialmente quelli spirituali, attraverso la loro intercessione (1144 C. J. C.).

I Sacramentali non conferiscono mai direttamente un aumento di grazia santificante o di remissione dei peccati. – Vero ministro dei sacramentali è un chierico a cui la Chiesa ha concesso le relative facoltà ed al quale non sia vietato l’esercizio di queste facoltà (C. 1146).

È vietato dare pubblicamente i sacramentali a non cattolici. Quindi, non dovrebbero essere date loro le candele benedette durante la Festa della Purificazione, le ceneri del mercoledì, le palme della Domenica di Passione.(Teologia Morale).

*******

Quando un cattolico dà un oggetto sacramentale a un non cattolico, potrebbe aspettarsi che l’acattolico usi il sacramentale per uno scopo superstizioso, per un rituale pagano, o gettar via l’oggetto sacramentale.

Digiuno ed astinenza

*******

La legge del digiuno obbliga tutti coloro che hanno completato il loro ventunesimo anno di età fino al sessantesimo anno (C. 1254).

La legge dell’astinenza obbliga tutti coloro che hanno completato il loro diciassettesimo anno di età fino al termine della loro esistenza (C. 1254).

L’impossibilità fisica o morale scusa dalla legge del digiuno.

Per esempio, persone malate o convalescenti, in condizioni di salute delicate, coloro che sono nevrotici o che sono soggetti a forti mal di testa, che non possono dormire quando digiunano, donne incinte o che allattano, donne durante il periodo delle mestruazioni, i poveri che non hanno abbastanza da mangiare in una unica volta per soddisfare la loro fame;

Una maggiore quantità di cibo in quaresima viene concessa a persone soggette a lavori stressanti fisicamente e mentalmente, a coloro che dovrebbero intraprendere un viaggio lungo e faticoso. Non si può intraprendere un duro lavoro allo scopo di eludere la legge del digiuno. Mogli, figli e servi sono scusati se il padrone di casa non consente loro altro cibo. Un invito a mangiare fuori, dove verrà servito cibo proibito, non deve essere accettato. Si potrebbe, tuttavia, accettare un simile invito se lo stesso comporterebbe una grave perdita per sè, o creerebbe inimicizia, ecc. (Teologia Morale).

*******

Da ricordare che la cremazione non è una pratica Cristiana., ma è condannata espressamente dalla Chiesa Cattolica, tanto che il diritto al funerale e alla Messa di anniversario viene rifiutato a coloro che richiedono che i loro corpi vengano cremati. (Teologia Morale).

*******

Per conoscere la fede

I fedeli possono studiare la fede cattolica attraverso siti approvati dall’alta gerarchia in esilio.

I fedeli hanno l’obbligo di studiare la Fede Cattolica

La Gerarchia in esilio consiglia:

Il Catechismo di Baltimora:

http://www.baltimore-catechism.com

Il Concilio di Trento

http://www.thecounciloftrent.com/

Anche dai Catechismi, che si possono scaricare in PDF e stampare su un foglio per tutti o per ogni famiglia.

C’è un buon Catechismo Cattolico in tre volumi che è conveniente stampare su fogli:

CATECHISM MADE EASY

Being A Familiar Explanation of The Catechism of Christian Doctrine

In Three Volumes

By The Rev. Henry Gibson, Catholic Chaplain to the Kirldale Gaol and Kirkdale Industrial Schools. Publication dates 1865, 1874, 1877

https://archive.org/details/CatechismMadeEasyV1

https://archive.org/details/CatechismMadeEasyV2

https://archive.org/details/CatechismMadeEasyV3

Il “Catechismo dogmatico” di G. Frassinetti

https://archive.org/details/ADogmaticCatechism1872

The Catechism explained, by Rev. Francis Spirago

By Rev. Francis Spirago, Professor of Theology
Edited by Rev. Richard F. Clarke S.J.

Publication date 1899

https://archive.org/details/catechismexplain00spiruoft

Spesso è utile rinfrescare alla memoria le parole pronunciate durante l’abiura dell’eresia e la professione di fede:

“Io, NN, dichiaro sinceramente e solennemente che sono stato educato nella falsa Religione (novus ordo, protestantesimo, o altra Religione, a seconda del caso), ma ora per grazia di Dio, essendo stato portato alla conoscenza della Verità, io credo fermamente e professo tutto ciò che la Santa Chiesa Cattolica e Apostolica romana crede e insegna, ed io rifiuto e condanno tutto ciò che essa rifiuta e condanna ”

La forma completa della professione di fede è qui:

http://www.tcwblog.com/182861443

Ricezione di convertiti e professione di fede 

[Rituale Romano, 1944, Supplemento per il Nord America]

(Secondo il modello approvato dalla Sacra Congregazione del Sant’Uffizio, il 20 luglio 1859 e con la nuova formula per l’abiura e la professione di fede che deve essere fatta dai convertiti, approvata dalla Suprema Sacra Congregazione del Sant’Uffizio come data in: la “Rivista ecclesiastica”, maggio 1942)

Nel caso di un convertito, prima di tutto bisogna fare un’indagine accurata sulla validità del suo precedente battesimo. Se si scopre che non è stato Battezzato o che il Battesimo ricevuto non sia valido, deve essere battezzati incondizionatamente. Se, tuttavia, dopo un’indagine diligente, rimane un ragionevole dubbio sulla validità del loro precedente Battesimo, deve essere battezzato in modo condizionale. Se, in terzo luogo, il battesimo fosse giudicato valido, deve richiedersi solo l’abiura o la professione di fede. In conformità, quindi, con la loro condizione ci sono tre metodi di ricezione delle conversioni:

I. Se non è battezzato o se il precedente battesimo non era valido – il convertito è battezzato incondizionatamente, e non seguono né l’abiura né l’assoluzione, poiché il Sacramento della rigenerazione lava via tutto.

II. Se il precedente battesimo è dubbio: il convertito è battezzato condizionatamente, osservando la seguente procedura: 1. Abiura o professione di fede e assoluzione condizionata dalle censure. 2. Battesimo condizionale. 3. Confessione sacramentale con assoluzione condizionale.

III. Se il precedente battesimo era valido: – 1. Abiura e professione di fede. 2. Assoluzione dalle censure. 3. Volendo si può procedere alle cerimonie supplementari del Battesimo (vedi modulo per adulti [o di bambini, secondo decreti più recenti]).

Il sacerdote rivestito di cotta e stola viola, siede davanti al centro dell’altare o, se è presente il Santissimo Sacramento, sul lato dell’Epistola. Il convertito si inginocchia davanti a lui e con la mano destra sul libro dei Vangeli (o il messale) legge quanto segue: (Se il convertito non può leggere il sacerdote, glielo legge lentamente e distintamente, in modo che possa capire e ripetere le parole.)

PROFESSIONE DI FEDE

Io, N.N., ______ anni, nato fuori dalla Chiesa cattolica, ho tenuto e creduto in errori contrari al suo insegnamento. Ora, illuminato dalla grazia divina, mi inginocchio davanti a voi, Reverendo Padre _____________, avendo davanti ai miei occhi e toccando con mano i santi Vangeli.  Con fede ferma, credo e professo ciascuno e tutti gli articoli contenuti nel Credo degli Apostoli e cioè: Credo in Dio, Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra; e in Gesù Cristo, il Suo unico Figlio, nostro Signore, che fu concepito dallo Spirito Santo, nato da Maria Vergine, soffrì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto; Discese all’inferno, il terzo giorno risuscitò dai morti; Salì al cielo e siede alla destra di Dio, il Padre onnipotente, da lì verrà per giudicare i vivi e i morti. Io credo nello Spirito Santo; la santa Chiesa Cattolica; la comunione dei santi; il perdono dei peccati; la risurrezione dei corpi e la vita eterna. Amen.

– Ammetto e abbraccio fermamente le Tradizioni apostoliche ed ecclesiastiche e tutte le altre costituzioni e prescrizioni della Chiesa.

– Ammetto la Sacra Scrittura secondo il senso che è stato sempre tenuto ed è tenuto dalla Santa Madre Chiesa, il cui compito è quello di giudicare il vero senso e l’interpretazione delle Sacre Scritture, e io non le accetterò mai né le interpreterò se non in accordo all’unanime consenso dei Padri.

– Professo che i Sacramenti della nuova legge sono in verità e precisamente, sette di numero, istituiti per la salvezza dell’umanità, sebbene non siano tutti necessari per ogni individuo: battesimo, confermazione, santa Eucaristia, penitenza, estrema unzione, ordini sacri, e Matrimonio. Professo che tutti conferiscono grazia, ed alcuni tra essi, il battesimo, la confermazione e l’ordine sacro non possono essere ripetuti senza commettere sacrilegio.

– Accetto e ammetto anche il rituale della Chiesa Cattolica nella solenne amministrazione di tutti i suddetti Sacramenti.

– Accetto e professo, in ogni parte, tutto ciò che è stato definito e dichiarato dal Sacro Concilio di Trento riguardo al peccato originale e alla Giustificazione. Professo che nel Santo Sacramento dell’Eucaristia ci sia veramente e sostanzialmente il Corpo ed il Sangue insieme con l’Anima e la Divinità di nostro Signore Gesù Cristo, e che lì avviene ciò che la Chiesa chiama transustanziazione, cioè il cambiamento di tutta la sostanza del pane nel Corpo di Cristo e di tutta la sostanza del vino nel Sangue di Cristo. Confesso anche che, ricevendo anche una sola di queste specie, si riceve Gesù Cristo, integro ed intero.

– Io sostengo fermamente che il Purgatorio esiste e che le anime ritenutevi possono essere aiutate dalle preghiere dei fedeli. Allo stesso modo, ritengo che i santi, che regnano con Gesù Cristo, devono essere venerati e invocati, perché essi offrono preghiere a Dio per noi e che le loro reliquie devono essere venerate.

– Professo fermamente che le immagini di Gesù Cristo e della Madre di Dio, sempre Vergine, così come di tutti i santi, devono ricevere il dovuto onore e venerazione. Affermo anche che Gesù Cristo ha lasciato alla Chiesa la facoltà di concedere le indulgenze, e che il loro uso è molto salutare per il popolo cristiano. Riconosco la Chiesa santa, romana, cattolica e apostolica come madre e maestra di tutte le chiese, e prometto e giuro la vera obbedienza al Romano Pontefice, successore di San Pietro, Principe degli Apostoli e Vicario di Gesù Cristo.

– Accolgo inoltre senza esitazione e professo tutto ciò che è stato tramandato, definito e dichiarato dai Sacri Canoni e dai Consigli generali, specialmente dal Concilio di Trento e dal Concilio Vaticano, e in modo speciale ciò che riguarda il primato e l’infallibilità del Romano Pontefice. Allo stesso tempo condanno e riprovo tutto ciò che la Chiesa ha condannato e riprovato. Questa stessa fede cattolica, al di fuori della quale nessuno può essere salvato, ora professo liberamente e ad essa quale aderisco sinceramente; lo stesso prometto e giuro di mantenerla e professarla con l’aiuto di Dio, intera, inviolata e con ferma costanza fino all’ultimo soffio di vita; e cercherò, per quanto possibile, che questa stessa Fede sia tenuta, insegnata e professata pubblicamente da tutti coloro che dipendono da me e da coloro di cui sarò incaricato.

Quindi mi aiuti Dio e questi santi Vangeli.

Il convertito rimane in ginocchio, e il sacerdote ancora seduto dice il Miserere (Salmo 50) o il De profundis (Salmo 129), aggiungendo alla fine un Gloria Patri.

Se qualcuno vuole venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. A che serve all’ uomo, guadagnare il mondo intero e subire poi la perdita della propria anima? “(San Matteo XVI: 24-27).

Possa Dio Onnipotente darmi la forza di essere umile soldato di Cristo in esilio ed un membro buono della Chiesa in Eclissi.

Un sac. della Chiesa in Eclissi:  fr. UK.

[trad. redaz. G.D.G.]