LO SCUDO DELLA FEDE (XI)

[A. Carmignola: “Lo Scudo della Fede”. S.E.I. Ed. Torino, 1927]

XI.

LA VERA RELIGIONE.

Tutte le religioni sono buone? — Tutte le religioni devono essere rispettate? Si devono rispettare tutte le opinioni?— Tutti coloro che non professano la religione cattolica andranno perduti? — Che è di quei bambini che muoiono senza battesimo?

— Ho appreso con piacere le prove e le testimonianze della fede ossia religione cattolica, e vedo bene che questa fede o religione è la sola vera. Com’è adunque che da tanti si dice: È affatto indifferente tener questa o quella religione, perché alla fln fine tutte le religioni sono buone? Tutte le religioni vogliono essere rispettate?  Ognuno la sua religione?

Già, è veramente così che si dice. Ma enormi stranezze e falsità! Dal momento che la religione cattolica si mostra la vera e la buona, perché la sola dotata di quelle prove e testimonianze che la comprovano tale, come mai si può dire che tutte le religioni sono buone! – Ciò vorrebbe dire, che dottrine fra di loro affatto contrarie, sono egualmente vere, che il bianco e il nero sono la stessa cosa, che la luce si accorda colle tenebre; che tanto ha ragione il pagano che adora gli idoli e commette ogni delitto per onorarli, il turco che si abbandona ad ogni nefandità per compiere un sacro dovere, l’ebreo che ha messo a morte il Redentore del mondo e lo bestemmia, il protestante che disconosce la più parte delle dottrine e delle opere di Gesù Cristo, quanto il Cristiano che crede e fa tutto quello che Gesù Cristo ha insegnato e stabilito. Ciò vorrebbe dire che a Dio poco importa di essere ignorato e conosciuto, di essere adorato Lui o che si adori il demonio, che lo si creda giusto, santo e perfetto, oppure ladro, impudico e sciocco. Ciò vorrebbe dire che nel dì del giudizio, Iddio volgendosi a tatti gli uomini, di qualsiasi religione, a tutti direbbe: di tutti io sono contento; sono contento di voi pagani, che mi avete creduto una pietra, di voi ebrei che mi avete caricato di bestemmie, di voi turchi che vi siete contaminati nelle impudicizie, di voi protestanti che avete negato la Chiesa e i miei Sacramenti, sì sono contento di voi come dei Cristiani Cattolici, che mi hanno creduto in tutto, adorato e pregato con fervore; venite tutti al mio seno, salite tutti al cielo. Ciò vorrebbe dire in una parola che Dio sarebbe un insipiente e giustificcherebbe il massimo degli assurdi. Ecco le conseguenze del dire: Tutte le religioni sono buone. Che te ne pare?

— Mi pare che il dir ciò sia davvero una gran corbelleria.

Ed aggiungi pure: una grande empietà, ed una deplorevole cecità, perché chi parla così offende quel Dio che ha rivelato la verità della santa Fede Cattolica, e chiude volontariamente gli occhi dinanzi alla luce della verità, che gli sfavilla dinanzi. Di fatti perché mai Iddio ha parlato ai Patriarchi ed ai Profeti ed ha con tanta precisione rivelato se stesso? Perché nella sua legge, data sul Sinai a Mosè, ha proibito così esplicitamente l’idolatria? Perché ha punito con sì terribili castighi i popoli pagani, che adoravano le false divinità, e il popolo ebreo quando si abbandonava a somigliante delitto? Perché Gesù Cristo è venuto sulla terra a dare agli uomini una completa rivelazione delle verità da credersi e da praticarsi! Perché confermò Egli la sua dottrina con l’evidenza dei miracoli? Perché morì Egli sulla croce? Perché gli Apostoli con immenso loro disagio andarono, chi in una, chi in altra parte del mondo, a portare la religione di Cristo? Perché  i Martiri perdettero la vita fra i più crudeli tormenti anziché apostatare da questa religione? Perché i più grandi dottori impiegarono tutto il loro genio a difenderla dall’errore? Perché infine interviene Dio stesso con la sua potenza a mantenerla immutabile nei suoi dogmi e nella sua morale, indissolubile nella sua costituzione e nella sua gerarchia? Comprendi bene che se tutte le religioni fossero buone, tutto ciò sarebbe stato affatto inutile. – Dunque come la ragione stessa ci dice che non c’è che un Dio solo, così ci dice ancora che non ci può essere che una sola vera religione, quella cioè che si mostra divinamente rivelata, la religione Cristiana Cattolica.

— Eppure vi son di coloro che dicono: O tutte le religioni sono buone, o nessuna è buona.

Amico mio, ciascuno può materialmente dire qualunque buaggine egli vuole, ma non perciò noi siamo obbligati a tenerla per una sentenza d’oro. Anzi le buaggini non meritano neppure di essere prese in considerazione. Se tu da Torino volessi recarti a Moncalieri, e trovandoti in Piazza Castello e domandando a taluno della via che vi conduce, ti sentissi a rispondere: « o tutte, o nessuna; » non guarderesti in faccia quel cotale che così t’ha risposto per sapere se si tratti di un imbecille o di un pazzo?

— Perciò non si dovranno rispettare le altre religioni?

Noi dobbiamo rispettare tutti gli uomini di qualunque religione essi siano, perché tutti sono nostri fratelli, ma le falsi religioni che professano no, perché sarebbe un rispettare l’errore e il peccato. Non voglio dire con ciò che noi a bella posta ci dobbiamo mettere a disprezzare le credenze delle falsi religioni per far dispetto a coloro che le professano, ma voglio dire che non potremo mai asserire, ad esempio, che facciano bene coloro che scientemente professano le religioni false.

— Dunque non è neppur giusto quel dire: Ognuno la sua religione?

* Tutt’altro che giusto è falsissimo come il dire: «Tutte le religioni sono buone». Anziché dire: «Ognuno la sua religione, » bisogna dire: «Ognuno deve cercare e seguire la verità ». Epperò se alcuno si trova in una religione, che con ragione lo faccia dubitare di essa, deve cercare di conoscere quale sia la vera ed abbracciarla.

— Ma pure si dice ancora che un uomo dabbene non cangia mai di religione.

E si dice così un’altra assurdità. L’uomo dabbene è quegli che vive conforme alla verità ed alla giustizia. Come dunque potrà dirsi uomo dabbene colui, che conoscendo la falsità della sua religione rimane in essa?

— Un protestante perciò, che si trovasse nel dubbio o nel sospetto di trovarsi nell’errore, che cosa dovrebbe fare?

Dovrebbe istruirsi e sincerarsi. È quello appunto che ultimamente hanno fatto moltissimi protestanti d’Inghilterra, i quali per tal guisa hanno abbracciata la Fede Cattolica. – Nel secolo XVIII visse il Duca di Brunswick e Luneburg, il quale era protestante e voleva convertirsi. Circospetto com’era, prima di farsi Cattolico, per non sbagliare, si presentò ai professori e teologi dell’Università di Hemstadt, partigiana caldissima degli errori di Lutero e fece loro il seguente quesito: « Nella Chiesa Cattolica si può conseguire l’eterna salute? » – Ebbene, non ostante che si trattasse dei teologi più arrabbiati contro i Cattolici, essi in generale risposero di sì, anzi in detto scritto dimostrarono « che uno poteva sicurissimamente salvarsi nella Chiesa Cattolica e che ad un protestante era lecito farsi Cattolico senza ombra di scrupolo o pericolo ». Così i dottori protestanti si davano da per se stessi la zappa sui piedi e implicitamente confessavano di non possedere la vera religione. Il Duca fece ben presto la sua abiura dapprima al Papa Clemente XI, e poi in pubblico nella cattedrale di Magonza dinanzi all’Arcivescovo, e in quella circostanza scrisse un libro dei cinquanta motivi per cui la fede romana cattolica sia la sola vera. E tra le altre cose in detto libro scrive: « I protestanti confessano che i Cattolici possono salvarsi, e al contrario i Cattolici credono che fuori della vera religione ciò è impossibile, dunque è da stolto essere nel protestantesimo, ove la salute è incerta. – Solo la religione cattolica ha santi e martiri; invece tutti gli eresiarchi sono scostumati nella vita e nelle opere, e la dottrina luterana ha principii nefandi, che menano al libertinaggio. – Nella Religione Cattolica vi sono miracoli senza numero, nelle sette neppure uno. Il primo eretico Simon Mago volle volare per imitare l’Ascensione di Nostro Signore Gesù Cristo, ma alla preghiera di S. Pietro cadde e si ruppe le gambe e morì. Calvino per fingere un miracolo prega un uomo di contraffare il morto e levarsi dalla bara subito che gli venisse da lui ordinato, e per giusto castigo di Dio, il finto morto si trova realmente cadavere. V’hanno Cattolici, che si fanno protestanti per vivere licenziosamente, e viceversa gli eretici, che si convertono alla fede Cattolica, lo fanno per vivere esemplarmente. Molti e moltissimi protestanti in punto di morte si fanno Cattolici; per lo contrario nessun Cattolico moribondo chiese di farsi protestante ».

— Non si può dunque ammettere la libertà di coscienza e di religione, che da tanti si predica?

Non si può affatto. Nessuno è in arbitrio di scegliersi e farsi da sé la sua religione. Ognuno deve tenere ed abbracciare quella religione che riconosce vera, a meno che non voglia essere illogico ed abusare della sua ragione.

— Ma negando questa libertà non si diventa intolleranti? Perciocché non si devono forse rispettare tutte le opinioni?

La verità non tollera certamente l’errore, epperò è verissimo che negando noi, come siamo in dovere di negare, la libertà di religione, diventiamo intolleranti della falsità e della menzogna. E chi non deve ambire questo onore? In quanto poi al rispettare tutte le opinioni bisogna intenderci. Se per opinione tu intendi il parere, il pensamento altrui attorno ad una cosa indifferente, e allora è cosa buona rispettare le altrui opinioni e non pretendere di far valere sempre la propria. Ma se per opinione intendi dire: fede, credenza religiosa, allora siamo da capo a dire questo assurdo che bisogna rispettare del pari la verità e l’errore, il giusto e l’ingiusto, il bene e il male.

— Fa dunque male la civile autorità nel tollerare la libertà di coscienza e di religione?

Sì, qualora ciò non facesse per qualche bene che da ciò ne deriva, o per qualche male che viene evitato.

— Eppure si dice che la libertà di coscienza è benefica a tutte le religioni.

E si dice così una falsità, perciocché una tale libertà riesce dannosa e funesta alla vera Religione, la quale trova tanti ostacoli a conservarsi quante sono le false religioni che lo Stato tollera e tratta alla pari.

— Se taluno adunque nel discorrere venisse fuori a dire cose contrarie alla fede Cattolica non devo giovarmi di questa regola che bisogna rispettare tutte le opinioni?

No certamente. Dovrai rispettare sempre gl’individui che mettono fuori gli spropositi, che questo la carità cristiana lo impone, ma allo sproposito, allo strafalcione, alla bestemmia, all’eresia profferita devi dare il nome che si merita. E se ti senti, e puoi farlo con utilità di chi ti ascolta, dovrai ribattere l’errore inteso, altrimenti almeno con la tua condotta devi far intendere apertamente che tu non sei di quel parere, ma che credi fermamente agli insegnamenti della Fede Cattolica. Ma il meglio di tutto sarà tenerti sempre lontano da chi puoi sospettare che nel discorrere attenti in qualsiasi modo alla tua fede.

— Ho inteso. Ma dunque tutti coloro che non professano la Religione Cattolica andranno tutti perduti?

Ascolta: Nessun uomo andrà all’eterna perdizione senza averla voluta di sua deliberata volontà. Iddio dà a tutti gli uomini la grazia necessaria per conoscerlo, amarlo e servirlo, anche agli eretici, anche agli ebrei, anche ai turchi, anche ai gentili, anche ai selvaggi. E tutti gli uomini, senza eccezione di sorta, possono assecondare tale grazia e salvarsi, non assecondarla e perdersi. – Molti poi tra coloro che non sono nella Religione Cattolica, possono tuttavia, benché non appartengano al suo corpo, ossia alla società visibile da lei formata, appartenere alla sua anima, vale a dire allo Spirito divino che la informa, e morendo in tal condizione certamente andranno salvi. E così si salveranno i bambini degli eretici, che muoiono dopo aver ricevuto il Battesimo secondo le condizioni volute dalla Chiesa Cattolica, ossia da Gesù Cristo; si salveranno gli stessi eretici adulti, che sono sempre rimasti in buona fede e hanno menata una vita conforme alla legge di Dio; si salveranno gl’infedeli, che pur non avendo conosciuto Gesù Cristo, hanno fatto mai sempre ciò che loro dettava la legge naturale, e nel voler confermare pienamente la loro volontà alla volontà di Dio hanno avuto un desiderio implicito di ricevere il santo Battesimo. – Si salveranno insomma tutti coloro che davvero vorranno salvarsi, ancorché fuori del corpo della Chiesa Cattolica, come certamente pur troppo si danneranno coloro che, pur appartenendo al suo corpo non praticano tuttavia come si conviene quella santa Religione, che la Chiesa Cattolica c’insegna e ci anima a praticare.

— E di quei bambini, che muoiono senza aver potuto ricevere il Battesimo, che sarà?

Essi, senza dubbio non sono ammessi a vedere mai Iddio a faccia a faccia e a godere la felicità di questa contemplazione, ma tuttavia secondo la più comune sentenza dei dottori, essi nell’altra vita non avranno a soffrire nessuna pena, anzi godranno in pace i beni di natura.

— Ma ad ogni modo non soffriranno essi per essere così esclusi dal paradiso?

Se essi conoscessero d’averlo perduto sì, ma siccome non hanno tale conoscenza, perciò essi non soffrono di tale esclusione.

— E non è tuttavia una ingiustizia, che questi bambini senza loro colpa siano privati dei godimenti del cielo?

Ingiustizia? E non è forse padrone Iddio di fare come gli piace? E se Egli dona a questi bambini soltanto la vita naturale e il godimento della stessa, non fa già loro un grande benefizio? E non dà già loro di più, mille volte più, di quel nulla che loro dovrebbe dare?

— Sì, ciò è vero; si deve ammettere.

G. FRASSINETTI: CATECHISMO DOGMATICO (VIII)

CAP. VII
DEI SACRAMENTI.
§ I
Dei Sacramenti in generale.

— Come si definisce il Sacramento?
⁕ «Il Sacramento è un segno sacro, visibile, permanente, instituito da Cristo il quale opera ex opere operato la nostra santificazione ». Questa è la definizione che conviene a tutti i Sacramenti della nuova Legge, cioè a tutti i Sacramenti della Chiesa.
— Vi sono dunque altri Sacramenti, fuori di quelli della nuova Legge?
⁕ Prima che Cristo istituisse i Sacramenti che si amministrano nella Chiesa, cioè prima della sua venuta, vi erano dei Sacramenti, però molto inferiori ai nostri, e dei quali non è necessario parlare in questo compendio. Basti notare che sarebbe eretico chi dicesse che i Sacramenti della Legge vecchia avevano il valore di quelli della Legge nuova, cioè dei Sacramenti della S. Chiesa (Council. Trid. Sess. VI).
— Per quale ragione il Sacramento si definisce un segno?
⁕ Perché ci porta in cognizione della cosa che significa: così la lavanda nel Battesimo, ci porta in cognizione della mondezza che acquista l’anima ricevendolo (Habert).
— Perché si dice sacro?
⁕ Perché l’uso di quel segno è un atto religioso appartenente al culto di Dio (Hubert).
— Perché si dice visibile?
⁕ Si dice visibile perché bisogna che cada sotto i sensi, che cioè in qualche modo sia materiale: perciò qui il termine di visibile si prende nel significato di sensibile. Una cosa puramente spirituale non potrebbe essere Sacramento (Habert).
— Perché si dice permanente?
⁕ Perché i Sacramenti sono i fondamenti della Religione, e devono durare perpetuamente come essa; perciò i Sacramenti sono riti che dureranno fino alla fine del Mondo (Habert).
— Perché si dice istituito da Gesù Cristo?
⁕ Perché Egli è l’Autore di tutti i Sacramenti che si amministrano nella Chiesa; come
definì il sacrosanto Concilio di Trento.
— Perché si dice, che opera ex opere operato la nostra santificazione?
⁕ Vuol dire che i Sacramenti hanno una virtù loro intrinseca di conferire all’anima la grazia, sicché non sono le buone disposizioni le quali conferiscono la grazia quando riceviamo i Sacramenti, ma la conferiscono i Sacramenti per se stessi. Che conferiscano la grazia “ex opere operato” è articolo di Fede definito dal sacrosanto Concilio di Trento.
— Dunque non importa accostarsi ai Sacramenti con buone disposizioni?
⁕ Importa moltissimo; anzi è necessario affinché i Sacramenti producano il loro effetto, come importa ed è necessario che le legna siano secche affinché con prestezza si accendano. Se prendete legna secche e le mettete sul fuoco presto ardono, se le prendete stillanti sugo in primavera, non trovate modo di farle alzar fiamma. La virtù di bruciare, per altro, non è o del secco o del verde, la virtù di bruciare è del fuoco. Similmente se date i Sacramenti a chi è bene disposto per riceverli, costui acquista o la grazia, o l’aumento della medesima, perché non trovano impedimento che disturbi il loro effetto; se li date invece a chi non è ben disposto per riceverli, costui non acquista la grazia, perché trovano l’impedimento delle cattive disposizioni, il quale impedimento non permette che producano il loro effetto; come l’abbondanza dell’umore non permette al fuoco che abbruci il legno verde; vi ripeto perciò che come la virtù di bruciare sta nel fuoco, e non nelle disposizioni del legno, similmente la virtù di conferire la grazia sta nei Sacramenti e non nelle disposizioni di chi li riceve.
— L’effetto del Sacramento non sarà maggiore o minore secondo la maggiore o minore disposizione di chi lo riceve?
⁕ É certamente cosi, come vediamo che l’effetto del fuoco è maggiore o minore, secondo la maggiore e minore aridità del legno a cui si appicca (Conc. Trid. sess.5, v. 1).
— Perché si dice che i Sacramenti o conferiscono o accrescono la grazia?
⁕ Perché altri Sacramenti sono istituiti per conferire la grazia santificante a chi ne è privo, altri per accrescerla a chi già la possiede. – Il Battesimo e la Penitenza conferiscono la grazia a chi ancora non la possiede, tutti gli altri invece l’accrescono a chi di già l’ha avuta, e la conserva. Quei due si chiamano Sacramenti dei morti, e tutti gli altri Sacramenti dei vivi, dandosi i primi ai morti alla grazia di Dio, e questi secondi ai vivi alla medesima.
— Non accade mai il caso che i Sacramenti dei morti accrescano la grazia a chi già la possiede, e che i Sacramenti dei vivi la conferiscano a chi ne è privo?
⁕ Accade benissimo. Figuratevi che un catecumeno prima di ricevere il Battesimo si metta in istato di grazia con un perfetto atto di contrizione, quando poi riceve il Battesimo, il Sacramento a lui non può conferire la grazia, ma soltanto accrescerla: lo stesso si dica del Sacramento della Penitenza, se il penitente prima di ricevere l’assoluzione è di già in istato di grazia per la Contrizione perfetta, oppure se non ha altro da confessare che peccati veniali. In questi casi i Sacramenti dei morti accrescono la grazia santificante a chi già la possiede. Tutto questo è certissimo, e non v’ha luogo a dubitarne. Viceversa, alle volte i Sacramenti dei vivi conferiscono la grazia santificante a chi ne è ancora privo, come insegnano i Teologi più comunemente con S. Tommaso. Figuratevi che uno si fosse confessato con la sola attrizione da un Sacerdote privo della giurisdizione necessaria; oppure da un laico che si fosse finto Sacerdote: costui non ostante la sua confessione, resta in istato di peccato mortale; per altro, supponendo di essere stato assoluto validamente, si accosta alla S. Comunione, ed ecco che allora la S. Comunione lo rimette in istato di grazia, conferendogli la Ss. Eucaristia, che è Sacramento dei vivi, quella grazia che ancora non ha: ciò che vi dico della Ss. Eucaristia, ditelo di tutti gli altri Sacramenti dei vivi, qualora si ricevano incolpabilmente in istato di peccato mortale, da chi per altro è pentito del peccato mortale con dolore di attrizione; giacché è cosa certissima, che Dio non perdona alcun peccato attuale senza che l’uomo se ne penta con un dolore soprannaturale. La ragione è che l’attrizione toglie dall’anima la cattiva volontà la quale sarebbe d’impedimento al conseguimento della grazia (Vedi il Collet Tr. de Sacram. Eucharist. c. 8).
— Se la cosa è così noi potremo sempre accostarci ai Sacramenti dei vivi con la sola attrizione, senza premettere la Confessione: leveremo con l’attrizione l’impedimento della cattiva volontà, e quindi i Sacramenti dei vivi ci conferiranno la grazia santificante.
⁕ Questo poi no: i Sacramenti dei vivi non sono istituiti da Gesù Cristo perché di loro istituzione conferiscano la grazia a chi ne è privo, ma affinché ne diano l’aumento a chi già la possiede; e perciò vi è espresso divino comando che l’uomo non si accosti a quei Sacramenti se non in istato di grazia. – Pertanto chi conosce di essere ancora in peccato mortale, e vuole accostarvisi, trasgredisce questo comando divino, e con la sola intenzione commette un nuovo peccato mortale: quindi in lui l’attrizione sarebbe falsa come unita con la volontà di trasgredire un divino comando, e non potrebbe togliere l’impedimento per ottenere la grazia santificante. – Solo per accìdens, come dicono i Teologi, cioè quando l’uomo trovandosi in buona fede, o avendo fatto quanto sapeva di dover fare per mettersi in grazia di Dio, crede di essere giustificato e disposto, così che se conoscesse di avere ancora il peccato sull’anima si asterrebbe dal ricevere questo o quell’altro dei Sacramenti dei vivi, solo in questo caso, avendo insieme vera attrizione de’ suoi peccati mortali, ottiene la grazia santificante, ricevendo qualcuno dei Sacramenti medesimi.
— Vuol dire adunque che per ricevere degnamente i Sacramenti dei vivi bisogna prima o confessarsi con l’attrizione, o eccitarsi alla contrizione perfetta, e indifferentemente basterà, o l’una o l’altra cosa; perché l’una e l’altra cosa ci rimette in istato di grazia?
⁕ Se voi dite che basti indifferentemente per tutti i Sacramenti dei vivi dite un grande errore; giacché per ricevere la Ss. Eucaristia non basta che chi è in peccato mortale faccia un atto di contrizione; vi è obbligo, tolto il caso d’indispensabile necessità, che egli si confessi: avendo così inteso il Sacrosanto Concilio di Trento il precetto di S. Paolo: probet autem seipsum homo. Similmente chi è in peccato mortale o si trova in punto di morte, si deve confessare, perché non potrebbe in appresso soddisfare al precetto della Confessione, e per ciò non potrebbe ricevere l’Estrema Unzione senza confessarsi con un solo atto di Contrizione. Per la Cresima poi, l’Ordine e il Matrimoniò non vi è espresso comando di premettere la Confessione; basterebbe che chi deve ricevere alcuno di questi Sacramenti si pentisse con vera contrizione de’ suoi peccati avendo intenzione di confessarsi poi a tempo debito. Per altro notate bene che non si deve predicare ai rozzi questa dottrina, è bene che la ignorino perché troppo ne abuserebbero in loro danno; con un atto di contrizione storpiato, a fiore di lingua, si accosterebbero ai sacramenti della Confermazione e del Matrimonio. Questa dottrina sappiatela voi per vostra regola, onde non predicare che ugualmente si debba premettere la Confessione alla Cresima e al Matrimonio come alla Comunione, il che sarebbe falso; perché per la Comunione vi è il precetto di S. Paolo, il quale non si trova per i tre sovraccennati Sacramenti; ma frattanto predicate che il mezzo lasciatoci da Gesù Cristo per mondare l’anima dal peccato mortale è la Sacramentale Confessione, e che perciò ciascuno si confessi prima di accostarci a ricevere qualunque Sacramento trovandosi reo di qualche peccato mortale; predicate anzi che essendo troppo difficile cosa il conoscere lo stato della propria coscienza e di troppa importanza il ricevere i Santi Sacramenti con le migliori disposizioni, ciascuno si confessi prima di accostarvisi, quantunque la coscienza nol rimordesse di colpa grave.
— Oltre della grazia santificante conferiscono i Sacramenti altra grazia?
⁕ Conferiscono la propria grazia detta Sacramentale, la quale è un gius fondato nella grazia santificante conferita dal Sacramento a ricevere a tempo opportuno certi aiuti, ossia grazie attuali mediante le quali possa l’uomo ottenere il fine del Sacramento (Habert). Perciò la grazia Sacramentale del Battesimo ci fa avere gli aiuti opportuni per menare una vita degna del Cristiano; la grazia Sacramentale della Confermazione ci fa avere aiuti particolari per confessare coraggiosamente la Fede; quella dell’Eucaristia per nutrire, cioè conservare ed accrescere la carità; quella della Penitenza, affinché si evitino per l’avvenire i peccati; quella dell’Estrema Unzione, affinché si faccia un buon passaggio e tranquillo all’altra vita; quella dell’ordine, affinché degnamente e con zelo ci diportiamo nel Santo Ministero; quella del Matrimonio, affinché i Coniugati conducano una vita tra loro pacifica ed educhino la loro prole nel Santo Timor di Dio [Antoine: de Sac. in gen. a. 3, art. 3).
— Chi ha dato tanta efficacia ai Sacramenti?
⁕ Gesù Cristo che né è l’Autore, e loro la meritò con i meriti della sua Incarnazione, Passione e Morte.
— Oltre la grazia santificante e sacramentale conferiscono ì Sacramenti altro effetto?
⁕ Tre dei Sacramenti, cioè il Battesimo, la Confermazione e l’Ordine, conferiscono il carattere, che è un segno spirituale indelebile impresso nell’anima nostra, mediante il quale per tutta l’eternità si distingueranno quelli che avranno ricevuto o tutti e tre, o alcuno di questi Sacramenti, da quelli che non li avranno ricevuti. Questo carattere ai Beati sarà di gloria particolare, ai dannati di particolare confusione. Si noti pure essere articolo di Fede che questi tre Sacramenti non si possono ricevere che una volta sola.
— È di fede che questo carattere sarà indelebile per tutta l’eternità?
⁕ Che il carattere non si potrà mai cancellare durante questa vita, è articolo certamente di Fede definito dal Concilio di Trento; che sia indelebile anche per tutta l’eternità non è cosa espressamente definita di Fede, per altro così insegna S. Tommaso (Antoine ut sup.). e tale è il sentimento generale dei fedeli.
— Chi ricevesse questi tre Sacramenti con cattive disposizioni dovrebbe restare per sempre privo degli effetti dei Sacramenti medesimi?
⁕ Quando alcuno di questi Sacramenti fosse ricevuto validamente, e le cattive disposizioni avessero impedito il loro effetto; come se uno avesse ricevuto il Battesimo, con l’affetto al peccato mortale, o la Confermazione e l’Ordine in istato di peccato mortale, dicono i Teologi, che tolta la cattiva disposizione con una buona confessione, o almeno con un atto
di contrizione, che inchiude il desiderio di confessarsi, come abbiamo detto (cap. 6, § 4), rivive l’effetto di questi Sacramenti mal ricevuti, sicché si avrebbero quegli aiuti sacramentali, dei quali era l’uomo restato privo nel ricevimento dei medesimi; e lo stesso insegnano a riguardo del Matrimonio e dell’Estrema Unzione; perché si suppone che la divina pietà non voglia permettere che i peccatori pentiti restino privi degli aiuti particolari dei quali i coniugati hanno bisogno per tutta, o quasi tutta la loro vita, e i moribondi per fare un buon passaggio all’eternità. I Sacramenti poi della Penitenza e dell’Eucaristia che si possono ricevere ogni volta che si vuole, non rivivono nei loro effetti, e chi li ha ricevuti male una volta deve rimediare al suo danno con riceverli bene un’altra volta (Antoine ut sup. art. 4). Se poi il Sacramento
fosse stato ricevuto non solo con cattive disposizioni, ma anche invalidamente, allora è certo che bisognerebbe riceverlo di nuovo, fosse anche il Battesimo.
— Quali cose si richiedono al valore dei Sacramenti?
⁕ Materia, forma, ministro e intenzione.
— Che cosa è la materia?
⁕ L a materia è la cosa che si adopera nel fare il Sacramento: per esempio, la materia del Battesimo è l’acqua.
— Che cosa è la forma?
⁕ Sono le parole che si proferiscono nel fare il Sacramento, p. es. la forma del Battesimo è: Io ti battezzo in nome del Padre, e del Figliuolo, e dello Spirito Santo.
— La Chiesa può mutare la materia o la forma dei Sacramenti?
⁕ La Chiesa, secondo quanto insegna il Sacrosanto Concilio di Trento, non ha autorità di mutare la forma o la materia dei Sacramenti; quindi se la mutasse i Sacramenti resterebbero senza valore.
— In varie parti vi è qualche differenza nella forma dei Sacramenti?
⁕ Sono differenze accidentali di parole che non cangiano il senso nella sua sostanza. Se in un luogo usassero una forma che cangiasse il senso della forma istituita da Cristo, il Sacramento resterebbe senza effetto, e la Chiesa non la permetterebbe.
— Chi è il ministro del Sacramenti?
⁕ I Sacramenti hanno ministro primario e secondario: il primario è Gesù Cristo autore dei medesimi; il secondario è ciascuno che ha da Cristo l’autorità di conferirli. Quali siano i vari ministri dei vari Sacramenti lo vedremo di ciascuno. Qui si noti soltanto aver definito il Concilio di Trento contro gli eretici, che non tutti i Cristiani sono ministri di tutti i Sacramenti: il dire diversamente sarebbe una eresia.
— Nel ministro dei Sacramenti si richiede la fede e la grazia santificante?
⁕ Affinché li conferisca degnamente e con merito si richiede senza dubbio che abbia la Fede, e che sia in istato di grazia; ma per quanto spetta al valore del Sacramento è articolo di Fede che non si richiede né l’una, né l’altra; perciò ha lo stesso valore il Battesimo dato da un empio eretico, come da un pio cattolico.
— Si richiede nel ministro alcuna intenzione?
⁕ È di fede che si richieda l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa, quando conferisce i Sacramenti; senza questa intenzione il ministro conferirebbe invalidamente il Sacramento (Concil. Trid. sess. 7 c. 11).
— Gli eretici i quali non credono alla Santa Chiesa Cattolica, gl’idolatri, i turchi ecc., che non suppongono alcun valore nei Sacramenti, amministrando essi il battesimo, lo amministreranno invalidamente, perché non possono avere intenzione di fare ciò che fa la Chiesa non credendo a lei, parlando degli eretici; né a lei, né ai suoi Sacramenti, parlando degli idolatri, turchi ed ebrei?
⁕ Per la validità del Sacramento non richiede che s’intenda di fare una azione santa, un Sacramento, né che si creda al valore dei Sacramenti, né che si abbia intenzione di fare ciò che fa la vera Chiesa Cattolica Romana; basta che s’intenda di fare ciò che fa la Chiesa in generale; così il Luterano suppone la vera Chiesa nella sua setta, e battezzando con intenzione di fare ciò che fa la Chiesa, battezza validamente. Similmente se un turco, per fare onta e dispetto a un altro turco, gli battezzasse seriamente un fanciullo, intendendo di dargli il Battesimo dei Cristiani, quel fanciullo resterebbe validamente battezzato.
— Sarebbe valido il Battesimo, l’assoluzione o altro Sacramento dato per burla e per gioco.
⁕ Sarebbero invalidi come fu dichiarato dalla Santa Chiesa contro Lutero. Perciò se alcuno prendesse un fanciullo non ancor battezzato, e gli versasse l’acqua in capo, e proferisse la forma, dicendo: ecco come farà il parroco a battezzarlo, quel fanciullo non resterebbe battezzato. Si noti che vi sarebbe peccato mortale in fare simili burle in materia di Sacramenti.
— Quale sorta d’intenzione si richiede nel ministro dei Sacramenti?
⁕ Altra è l’intenzione attuale, quando p. es. uno che battezza, mentre che battezza dice tra sé stesso: intendo di battezzare; altra è l’intenzione virtuale, quando p. es. alcuno si parte con intenzione di andare a battezzare, nell’atto poi del Battesimo non riflette a quel che fa per qualche distrazione. L’altra è l’intenzione abituale, quando p. es. uno che abituato a battezzare impedito dall’uso di ragione per qualche malattia amministrasse questo Sacramento. La prima non è necessaria, la seconda basta; ma non la terza. Perché con la terza non si agisce più da uomo.
— In chi riceve il Sacramento quale intenzione si richiede?
⁕ Nei fanciulli prima dell’uso della ragione, e negli adulti che mai non ebbero il libero uso della medesima, non si richiede intenzione alcuna per ricevere il Sacramento del Battesimo; e questa è cosa certissima; anzi è espresso articolo di Fede che sia valido il Battesimo conferito ai fanciulli prima dell’uso della ragione, come si ricava dal Sacrosanto Concilio di Trento, e dalla pratica della Chiesa universale di battezzare i bambini appena nati. Negli adulti che hanno l’uso perfetto della ragione, o che almeno già lo ebbero, si richiede, o che abbiano attualmente la volontà di ricevere il Battesimo, o che l’abbiano avuta senza averla ritrattata. Tale volontà si ricerca tanto più nei Sacramenti della Penitenza, del Matrimonio, e fors’anche dell’Ordine [Si controverte fra i Teologi se il Sacramento dell’Ordine si possa validamente amministrare ai fanciulli (vedi Habert tom. 6 de Sacram. In genere)]. Per ricevere noi ì Sacramenti della Confermazione, Eucaristia, ed Estrema Unzione basta l’intenzione interpretativa, la quale consiste in questo: che chi vuole essere Cristiano, vuole pure godere di tutti i privilegi e grazie del Cristiano, e perciò anche di questi Sacramenti, la materia dei quali non dipende dagli atti di chi li riceve ( Habert de Sacr. c. 5).
— Crede dunque che un infermo alienato dai sensi riceverebbe con frutto la Confermazione, l’Eucaristia, l’Estrema Unzione, anche senza avere domandato prima questi Sacramenti?
⁕ Li riceverebbe con frutto, purché fosse in grazia di Dio, o almeno prima della alienazione dai sensi avesse avuto un sincero dolore di attrizione, giusta ciò che si disse nella risposta alla D. 12. Che questi Sacramenti si possano ricevere con frutto senza quella intenzione positiva che si richiede per gli altri Sacramenti ne consta dalla pratica della Chiesa, la quale anticamente dava anche ai bambini l’Eucaristia (Antoine in op. moral. Tract. de Euch. App. de Or. Ecc. ecc. § III.). È lecito il dare anche adesso ai bambini la Confermazione nel caso in cui fondatamente si tema che non potranno più riceverla arrivati all’uso della ragione, come si dirà nel § III. L’Estrema Unzione si dà agli infermi alienati dai sensi anche per malattie impreviste, che portano in un tratto l’infermo nell’articolo di morte, e quando non solo non l’hanno domandata, ma né meno avevano tempo a domandarla. – Il che non permetterebbe la Chiesa se per ricevere con frutto tali Sacramenti si richiedesse una positiva intenzione. Sì noti però che l’Eucaristia non si deve mai dare agli infermi alienati da’ sensi, per il pericolo dell’irriverenza che sempre vi sarebbe in questo caso.
— E articolo di Fede che i Sacramenti siano sette?
⁕ È articolo di Fede espressamente definito dal Sacrosanto Concilio di Trento; perciò sarebbe un eretico chi asserisse essere i Sacramenti più o meno di sette; essi sono: Battesimo, Confermazione, Eucaristia, Penitenza, Estrema Unzione, Ordine, e Matrimonio (Sess. VII, C. 1).
— Quali particolarità si richiedono in un rito sacro, perché possa dirsi Sacramento della nuova legge?
⁕ Tre: Segno esterno, Istituzione Divina, e Forza di conferire la grazia. Queste tre particolarità unite insieme non si trovano che nei sette suddetti riconosciuti per tali nella Chiesa Cattolica.

LO SCUDO DELLA FEDE [X]

[A. Carmignola: “Lo Scudo della Fede”. S.E.I. Ed. Torino, 1927]

LA BIBBIA.

– La Bibbia e la predicazione. — La Tradizione e l’insegnamento della Chiesa. — La interpretazione della Bibbia spetta alla Chiesa. — Essa tutt’altro che proibirne la lettura, la raccomanda. — Vantaggio che si ricava da tale lettura. — Con quale spirito si debba fare. — La Bibbia di un falsario.

— Sono ora ben convinto che si debba credere alle verità rivelate da Dio. La ragione stessa mi dice di credere, perché vi sono dei motivi assoluti di credibilità, quali sono le profezie ed i miracoli, e perché del fatto della divina rivelazione comprovato dalle profezie e dei miracoli vi sono delle inoppugnabili testimonianze datemi specialmente dai Martiri. Dunque ora basterà che io prenda in mano la Bibbia e leggendo quel libro creda a ciò che in esso si insegna. Ho appunto inteso a dire che chi legge la Bibbia, il puro Vangelo, e su di tali libri si forma gli articoli di fede e di morale cristiana è nella verità e si salva.

Così avrai inteso dire da qualche protestante, e così avrai letto su qualche loro libercolo. Ma dimmi, se fosse così, non ti pare che Iddio l’avrebbe certamente rivelato? Invece io ti sfido a trovarmi fra tutti quanti i divini insegnamenti, siano scritti nei sacri libri dell’antico testamento o nel Vangelo, oppure siano venuti a noi per tradizione orale, quello che dica che per salvarsi basta leggere la Bibbia, il puro Vangelo, e su tali libri formarsi da per se stesso gli articoli di fede e di morale. Ti sfido a trovarmi che Gesù Cristo, affine di salvare i popoli, abbia detto agli Apostoli di portare e consegnare ai medesimi la Bibbia da leggere e da interpretare a loro piacimento. Al contrario nello stesso Vangelo troverai che Gesù Cristo per operare la salute delle anime disse agli Apostoli che andassero ed insegnassero alle nazioni tutte le cose, che aveva loro comandate, soggiungendo che chi avesse creduto a tali insegnamenti (e li avesse praticati) sarebbe andato salvo (V. Vangelo di San Marco, Capo XVI, Versetto 16). E S. Marco attesta che gli Apostoli andarono e predicarono dovunque (Versetto 20). Troverai che Gesù Cristo ha pur detto degli Apostoli e naturalmente dei loro successori: « Chi ascolta voi, ascolta me; chi disprezza voi disprezza me; » troverai che della Chiesa, ha detto: « Se alcuno non ascolterà la Chiesa, abbilo per un infedele ed un pubblicano » (V. Vangelo di San Matteo, Capo XVIII, Versetto 17). Donde appare ben manifesto, e per insegnamento stesso della Bibbia, del Santo Vangelo, che ad ottenere la salvezza non è già da leggersi e interpretarci la Bibbia, il puro Vangelo, ma fa d’uopo ascoltare e praticare la predicazione e l’insegnamento degli Apostoli, dei loro successori ossia del Papa e dei Vescovi, l’insegnamento della Chiesa. – Se la cosa fosse come dicono i protestanti, che cioè unica regola di fede si è la Bibbia e il puro Vangelo, come avrebbero potuto regolarsi intorno alla fede coloro che vissero anticipatamente alla Bibbia ed al Vangelo?

— Veramente non saprei. Avranno avuto qualche altra regola.

Va benissimo. E questa regola per quelli che vissero prima di Gesù Cristo fu la tradizione orale, per gli altri che vissero immediatamente dopo Gesù Cristo fu la Chiesa mediante la tradizione.

— Amerei che mi spiegasse bene questo.

Volentieri, ma tu sta bene attento.

— Non ne dubiti.

Le sacre scritture dell’antico testamento furono cominciate da Mosè tremila anni circa dacché il mondo esisteva, e proseguite poscia da altri scrittori; e il primo dei Vangeli secondo calcoli più favorevoli alla sua antichità, e criticamente non molto sicuri, si scrisse tutto al più nel 42 dell’era volgare, cioè dieci anni almeno dopo la morte, risurrezione ed ascensione al cielo di Gesù Cristo. Ora in quei tre mila anni, che precedettero il cominciamento delle sacre scritture dell’antico testamento, sempre esistette su questa terra la vera religione, che era allora la religione ebraica, e così in quel periodo di anni, che precede le sacre scritture del nuovo testamento, sempre esistette la vera religione, con la quale Gesù Cristo sostituì l’antica, vale a dire la religione cristiana. – In tutto quel tempo pertanto che, sia nell’una come nell’altra epoca precedette le sacre scritture, forse che non si credeva e non si doveva credere alle verità rivelate in principio da Dio e poi da Gesù Cristo, vero uomo e vero Dio, venuto per noi su questa terra? Tutt’altro! Si credeva talmente a quelle verità, che è precisamente sulla fede che si aveva a quelle verità, che si composero come sopra la loro naturale base le sante scritture.

— E su che cosa si stava appoggiati allora per credere a quelle verità rivelate?

Si stava appoggiati alla tradizione, vale a dire al tramandare, che si fece dall’una all’altra generazione le verità, che furono rivelate da Dio. Da principio Iddio, dopo che ebbe creato Adamo, gli rivelò le verità, che doveva credere per raggiungere il fine nobilissimo, a cui lo aveva destinato.. Adamo manifestò poscia ai suoi figli quelle verità istesse; i figli di Adamo ai loro discendenti e così di seguito per tre mila anni sino a che Mosè, divinamente inspirato, cominciò a scrivere tutto ciò, che di generazione in generazione era stato tramandato sino a lui. Così devi dire di quel periodo di anni trascorso da Gesù Cristo alla composizione dei Vangeli, degli Atti degli Apostoli, e delle loro Lettere. Durante quel tempo gli Apostoli, che avevano intese le dottrine di Gesù Cristo, ossequenti all’ordine ricevuto, andati nelle diverse parti del mondo, si diedero tosto ad insegnarle agli uomini e massimamente a coloro che elessero ad aiutarli in quest’opera di predicare il Vangelo e a succedere a loro nell’apostolato, cioè ai Vescovi. Questi alla loro volta tramandavano ad altri gli stessi insegnamenti, e così si fece sino a che gli Apostoli ancor viventi credettero bene, ispirati pur essi e sostenuti da Dio, di metter mano a comporre le sacre scritture del nuovo Testamento.

  • Che anzi, anche dopo aver composto le sacre scritture del nuovo Testamento, si continuò e si continuerà mai sempre nel seno della Chiesa ad insegnare per tradizione molte verità.

— E perché mai?

Dimmi: credi tu che nella Bibbia si contengano dichiarate assolutamente tutte le verità, che dobbiamo credere?

— Io crederei che sì.

E tu credendo così saresti in errore. San Giovanni nell’ultimo versetto del suo Vangelo dice chiaro: « Ci sono poi molte altre cose, che ha fatto Gesù, le quali, se si scrivessero ad una ad una, credo che il mondo non potrebbe contenere i libri da scrivere».

— Ma questa è una esagerazione, una vera iperbole.

E sia pure che l’espressione di S. Giovanni sia qualche po’ iperbolica; tuttavia non lascia nel suo fondo di essere vera e di renderci manifesto che nei Vangeli non fu scritto tutto quello che fece e disse Gesù. No, il Vangelo puro, inteso come una riproduzione stereotipa, diremmo quasi fonografata, integrale del pensiero di Gesù Cristo, materialmente fatta, non è mai esistito.

— Vuol dire adunque che il Vangelo non lo riproduce fedelmente il pensiero di Gesù.

Adagio a cavare tale conseguenza da ciò che ti ho detto. Se il Vangelo non riproduce integralmente il pensiero di Gesù, ciò non vuol dire che non lo riproduca fedelmente. Anzi non possiamo dubitare che lo riproduca nel modo più fedele; ma non lo riproduce con una fedeltà materiale, per esempio, con la fedeltà degli atti stenografici rispetto ai discorsi ufficiali.

— Ho inteso. Nel Vangelo adunque vi saranno la più parte della verità che dobbiamo credere e delle massime che dobbiamo seguire per salvarci, ma non ci sono assolutamente tutte.

Benissimo. Lo stesso è da dire dei libri sacri dell’antico Testamento. Talune delle verità che si hanno a credere sono ivi appena indicate in modo indiretto ed allusivo.

— E come mai, se Dio ha rivelato tutte le verità che dobbiamo credere, gli scrittori sacri non le hanno scritte e dichiarate tutte?

Essi generalmente tennero questa regola: quando si trattava di verità, che erano la ristaurazione di verità antiche quasi scadute dalla mente degli uomini, o di verità di fresco rivelate, allora le scrissero e ne trattarono nei santi libri nel modo più chiaro e più esplicito; quando invece si trattava di verità che sebbene primitivamente rivelate si erano conservate mai sempre, almeno per riguardo alla sostanza, nella loro integrità presso tutti i popoli, allora nei santi libri le accennarono appena, e appena ne fecero qualche allusione.

— Dunque la pura Bibbia non può servire come unica regola di Fede.

No, ma insieme colla Bibbia ci vuole la Tradizione, e neppure tutte due ci bastano, ma ci vuole prima di tutto la Chiesa col suo insegnamento, perché la Bibbia e la Tradizione non è che dalla Chiesa che ci sono sicuramente conservate e dichiarate. È celebre la vecchia frase di S. Agostino, che noi non potremmo neppure credere al Vangelo senza la testimonianza della Chiesa. Siccome soltanto la Chiesa porta in sé visibili i segni della sua divinità, così la Chiesa, essa, ed essa sola, con parola infallibile può assicurare l’origine e il carattere divino della Bibbia e della Tradizione, essa, ed essa sola, ce ne può fare la sicura interpretazione.

— Ma perché solamente la Chiesa può interpretare la Bibbia! Non possiamo avere anche noi la sufficiente intelligenza per fare ciò?

Ascolta: in ogni società ben costituita vi sono dei codici civili, penali e commerciali. Ma forse che, in ogni società, qualunque individuo per quanto dotato di intelligenza possa interpretarli e interpretarli esattamente? Non ti pare piuttosto che lasciandone a ciascuno la interpretazione si andrebbe a rischio che ogni individuo li avesse a interpretare a sua voglia?

— Se fosse così guai! Credo che i più degli uomini vi troverebbero tutte le ragioni per contentare le loro più disordinate voglie: i ladri a rubare, i debitori a non pagare i debiti, gli scellerati ad insultare la gente, gli assassini a pugnalare gli uomini.

Certamente! Dunque?

— Dunque i codici devono essere interpretati da coloro che hanno in società tale ufficio, dai magistrati, dai pretori, dai giudici, dai tribunali, dalle Corti di Assise, dalle Cassazioni, dagli insegnanti di diritto, dalle pubbliche autorità.

Benissimo. Lo stesso è da dire del Vangelo, della Bibbia: esso è il libro di Dio, il codice delle sue sante leggi, ma non è certamente a qualsiasi individuo che si convenga di interpretarlo per leggervi ciò che gli pare e piace, ma a chi da Dio stesso ne ha ricevuto l’ufficio e l’autorità, vale a dire alla Chiesa, al Papa, ai Vescovi, ai Concili.

— Ma lo Spirito Santo non illumina forse ogni uomo nell’atto che legge la Bibbia? Come dunque si potrà sbagliare nell’interpretarla?

Per leggere e interpretare la Bibbia come si conviene lo Spirito Santo fu promesso ed è realmente disceso sugli Apostoli, che furono gli antecessori del Papa e dei Vescovi. Tutti gli altri poi lo Spirito Santo li illumina a conoscere e seguire la volontà di Dio in conformità al modo che Dio ha voluto tenere per manifestarci la sua volontà; e la sua volontà, Dio ha stabilito di manifestarcela per mezzo dell’insegnamento della sua Chiesa e non già nella lettura e interpretazione privata della Bibbia. Ed in vero, dimmi, se lo Spirito Santo illuminasse direttamente ogni uomo nella lettura ed interpretazione della Bibbia, non dovrebbero tutti gli uomini leggendo la Bibbia riuscire tutti alla stessa interpretazione?

— Sì, certo, perché se lo Spirito Santo è spirito di verità non deve rivelare che la verità, e la verità è sempre quella.

Com’è adunque che di cento protestanti, che leggono la Bibbia e la interpretano, non due vanno d’accordo fra di loro, ma chi la vuol nera, chi la vuol bianca, chi fredda chi calda, chi la intende a un modo e chi ad un altro?

— Ma è propriamente così!

Potrei recartene cento prove. Ti basti quella che riguarda l’Eucaristia. Sopra queste parole dette da Nostro Signore nell’ultima Cena: « Prendete e mangiate: questo è il mio Corpo: » dice lo stesso protestante Dottor Gibbons che ci sono nel protestantesimo nientemeno che cento differenti interpretazioni.

— Dunque stando così le cose, è vero quel che ho inteso a dire che la Chiesa proibisce ai cattolici di leggere la Bibbia, il Vangelo!

No, ciò è una falsità. La Chiesa proibisce ogni traduzione ed edizione della Bibbia, che non sia da essa approvata. E ciò ella fa precisamente perché vuole che la Bibbia sia conservata nella sua integrità e non vi si introducano alterazioni di sorta. Del resto la Chiesa, tutt’altro che proibirne la lettura, ha sempre esortato i fedeli a leggere la Bibbia, come si vede chiaramente dal Breve di Pio VI a Mons. A. Martini, Arcivescovo di Firenze, celebre traduttore e commentatore della Bibbia in lingua italiana; come risulta dalla Lettera dei Vescovi degli Stati Uniti riguardo alla magnifica edizione della Bibbia di Haydock e come appare chiarissimo dalla speciale pubblicazione che si fece ultimamente del Vangelo di Gesù Cristo e degli Atti degli Apostoli in italiano per opera della Pia società di S. Girolamo per la diffusione dei Santi Vangeli sotto l’impulso e la benedizione del Papa Leone XIII. – Solamente la Chiesa desidera che, sorgendo dubbi o difficoltà nel leggere la Bibbia, i buoni fedeli interroghino modestamente i sacerdoti, le labbra dei quali devono custodire la scienza (V. Malachia, Capo II, Versetto 7), senza pretendere tuttavia di scrutare indiscretamente e comprendere i misteri divini, ricordando ognora gli avvertimenti di Dio medesimo nell’Ecclesiastico (Capo III, Versetto 22): « Non cercare quello che è sopra di te, e non voler indagare quelle cose, che sorpassano le tue forze; ma pensa mai sempre a quello che ti ha comandato Iddio; e non essere curioso scrutatore delle molte opere di Lui » e nei Proverbi (Capo XXV, Versetto 27): « Colui che si fa scrutatore della maestà di Dio rimarrà sotto il peso della sua gloria ».

— E quale vantaggio si potrà ricavare dalla lettura della Bibbia e del Vangelo, se basta l’insegnamento della Chiesa?

Se ne potrà ricavare un vantaggio grandissimo. Anzi tutto coloro stessi, che non credono alla fede cattolica, possono giovarsi della Bibbia e del Vangelo come di libri storici di valore indiscutibile per apprendervi molte delle verità, che Dio ha rivelate agli uomini e per conoscere più da vicino quel Gesù Cristo, che è venuto quale nostro divino maestro. Tutti poi da tale lettura potranno rilevare che la Chiesa alla fin fine non fa altro che sviluppare in modo chiaro ed esatto le verità, che nelle sacre scritture si contengono, e così raffermarsi ognor più nella fede a tali verità. Per di più tutti da tale lettura potranno essere salutarmente edificati ed efficacemente animati a seguire le massime e gli esempi santissimi che in essa si offrono, e quelli massimamente del divino maestro e modello, Gesù Cristo. E quando non fosse altro, in tale lettura da un’anima intelligente si gusterà quell’impagabile diletto spirituale, che quasi porta la mente fuori di sé e le fa sentire ciò che è impossibile ridire. – Si narra che un giorno Giovanni Racine condusse l’amico suo, La Fontaine, all’ufficio dei Mattutini. Era la settimana santa; i padri nostri usavano in quei giorni solenni unirsi alle preghiere della Chiesa. Racine non durò fatica a raccogliersi, perché egli era pio; ma lo scrittore di favole, la cui mente conversava abitualmente coi buoni amici della natura, gli animali e le piante, cercava da ogni parte uno sfogo alle sue distrazioni. Racine vedendo il suo impaccio, gli diede una piccola Bibbia, che portava seco, e il caso volle che si aprisse là dove si legge la profezia di Baruch. La Fontaine dapprima si mise a leggere distrattamente, poi con attenzione, poi con entusiasmo, finché rapito dalle belle cose, che fin allora aveva ignorato, esclamò ad alta voce, con iscandalo di chi assisteva: Che genio è Baruch! Dopo d’allora non cessava dal dire a tutti quelli che vedeva: Avete letto Baruch? Era un gran genio!

— Con quale spirito adunque devesi leggere la sacra scrittura?

Eccotelo indicato dall’autore dell’Imitazione di Cristo: « Nelle sante scritture bisogna cercare la verità e non l’eloquenza. Ogni scrittura santa va letta con quello spirito medesimo ond’è stato composta. Devesi badare nelle scritture all’utilità, più che alla finezza nel dire. E son da leggere volentieri i libri devoti e semplici, come i sublimi e profondi. Non ti far caso dell’autorità dello scrittore, se fosse poco o molto letterato; ma il solo amore della verità t’inviti a leggere. Non voler sapere chi ha detto questo, ma bensì poni mente a ciò che è detto. Gli uomini passano, ma la verità del Signore sta in eterno (Salmo CXVI, versetto 2). Dio ci parla in vari modi, senza accettazione di persone (S. Pietro, la Epistola I, versetto 17). La curiosità ci è sovente di ostacolo nel leggere le scritture, perché vogliamo capire ed esaminare, dove sarebbe da passarcela alla semplice. – Se vuoi cavarne profitto, leggi umilmente, semplicemente e fedelmente ; né t’importi fama di scienza. Interroga volentieri, e ascolta in silenzio le parole dei Santi; né ti dispiacciano i dettati dei vecchi, che non son detti senza perché (V. libro I , capo v) ».

— Si può leggere la Bibbia del Diodati?

No, assolutamente. Essa è proibita dalla Chiesa, perché è una Bibbia falsificata. Il Diodati traducendo la Bibbia salta le parole, le muta, ne aggiunge, e tutto ciò fa proprio, in quei testi, che citati a dovere sarebbero la condanna delle sue false dottrine. Il Diodati taglia dalla Bibbia sette interi volumi già mille e più anni prima avuti dalla Chiesa per ispirati e canonici, cioè il libro di Giuditta, di Tobia, i due libri dei Maccabei, la profezia di Baruch ed i libri della Sapienza e dell’Ecclesiastico. E ciò egli ha fatto perché in quei libri vi sono insegnate verità, che i protestanti assolutamente rifiutano di credere. Per esempio, nel libro dei Maccabei si legge la preghiera e il sacrifizio di Giuda offerto per il suffragio delle anime dei suoi soldati morti, ciò che fa balzar fuori chiaro come la luce, il dogma del Purgatorio e dei suffragi per i defunti. Ma appunto perché i protestanti non vogliono saperne di purgatorio, perciò il Diodati taglia via dalla Bibbia il libro dei Maccabei. – Dopo tutto ciò, nessuna meraviglia che la Chiesa abbia proibito la lettura di questa falsa Bibbia. Se tu avessi un servo infedele che rubasse e ti facesse dire presso la gente cose che non hai dette mai o che hai dette in modo ben diverso, non lo metteresti alla porta e non gli proibiresti di entrare ancora in casa tua? Così fece la Chiesa col Diodati. Esso ha rubato nella Bibbia, vi ha introdotte delle falsità e delle bugie: ha fatto dire a S. Paolo e a S. Pietro molte cose che essi non hanno dette; e perciò il Diodati è un ladro, un falsario; e la Chiesa doveva respingerlo da sé, doveva proibirne la lettura. Chi pertanto comperasse o anche solo ricevessi in dono e tenesse presso di sé, o leggesse una tal Bibbia, mancherebbe gravissimamente. Che se per avventura qualcheduno ti si presentasse per regalarti qualche Bibbia oppure per vendertela a pochi soldi, allontanati tosto da costui come da un velenoso serpente. Quelle bibbie, che si vanno regalando o vendendo a pochi soldi per le pubbliche vie, sono appunto quelle del Diodati, e gli spacciatori delle medesime sono gli emissari delle famose società bibliche del protestantesimo.

— La ringrazio dell’avviso, e al caso lo praticherò esattamente.

 

 

G. FRASSINETTI: CATECHISMO DOGMATICO (VII)

[Giuseppe Frassinetti, priore di S. Sabina di Genova:

Catechismo dogmatico

[Ed. Quinta, P. Piccadori, Parma, 1860]

CAP. VI

DELLE VIRTÙ’ TEOLOGALI.

§ I.

Nozione di queste Virtù in genere.

— Quante sono le Virtù Teologali?

Sono tre: Fede, Speranza e Carità.

— Perché si chiamano Teologali?

Perché Dio è l’oggetto di queste virtù. Con la Fede si crede Dio, e si crede a Dio. Con la Speranza, si spera Dio, cioè il suo possedimento in Paradiso, e si spera in Dio cioè nel suo aiuto. Con la Carità si ama Dio, e si ama anche il prossimo per Iddio, cioè per amor suo.

— Queste Virtù sono soprannaturali?

Sono soprannaturali, e vuol dire che, con lo nostre forze naturali, non le possiamo acquisire, ma Dio ce le infonde ricevendo noi l’acqua del Santo Battesimo.

— Vuol dire adunque che i fanciulli appena battezzati hanno queste Virtù? E dovremo anche asserire che tali fanciulli prima dell’uso della ragione credano, sperino ed amino?

È certo che i fanciulli appena battezzati hanno queste Virtù; però ne hanno gli abiti, e non le esercitano attualmente credendo, sperando, amando, perché ne sono impediti per mancanza dell’uso della ragione. Si dice che ne hanno gli abiti, i quali importano la pronta disposizione a credere, a sperare, ad amare attualmente per quel tempo in cui arriva il fanciullo all’uso della ragione. Vi delucido la cosa con un paragone. Un fanciullo cui sia morto il padre ricchissimo, mentre è sotto tutore, è ricchissimo veramente, per altro non può spendere, non può disporre delle proprie ricchezze fino al tempo opportuno. Similmente i fanciulli prima dell’uso della ragione hanno gli abiti delle Virtù Teologali, ma non possono per allora esercitarle.

— Con fare degli Atti di Fede, Speranza e Carità, queste Virtù crescono in noi?

Esercitando gli atti di qualunque virtù, crescono le virtù in noi e sempre maggiormente si perfezionano; perciò quanto più spesso faremo Atti di Fede, la nostra Fede diverrà sempre più viva; quanto più frequentemente ne faremo di Speranza, la nostra speranza si farà sempre più ferma, e quanto più moltiplicheremo Atti di Carità, ella si farà in noi sempre più ardente.

— Queste Virtù si possono perdere?

La Fede si perde col peccato dell’infedeltà, il quale si commette quando non si vuole credere, o avvertitamente si dubita di qualche verità che insegna la S. Chiesa; per esempio la perderebbe chi non volesse credere o volesse dubitare, che i Sacramenti siano sette. La Speranza si perde quando si dispera della divina Misericordia, come se alcuno credesse che Dio non gli voglia più perdonare i propri peccati. La Carità poi si perde per qualunque peccato mortale, e perciò perdendo la Fede o la Speranza, si perde sempre anche la Carità.

— Si possono riacquistare se perdute?

Si possono riacquistare pentendosi a dovere del peccato che le fece perdere.

— I Santi in Cielo hanno le Virtù Teologali?

Non resta ai Santi che la sola Carità; perché, come è cosa chiara, tutto ciò che credevano lo vedono in Dio; e le cose che sono oggetto di vista, non sono più oggetto di Fede. Ciò che speravano già possiedono, godendo Dio, e le cose già ottenute non sono più oggetto di speranza. La Fede adunque e la Speranza devono accompagnarci fino al Paradiso; ma non entrarvi con noi.

— Vi è obbligo di fare Atti di Fede, dì Speranza e di Carità?

Vi è obbligo espresso, e sì potrebbe provare con moltissimi argomenti delle divine Scritture e dei Santi Padri. L’errore contrario fu condannato da S. S. Alessandro VII: perciò questi Atti si facciano frequentemente e con distinta frequenza l’Atto di Carità.

§ II.

Della Virtù della Fede.

— Che cosa è la Virtù della Fede?

È una Virtù Teologale infusa da Dio nell’anima nostra con la quale crediamo fermamente, a motivo della Divina veracità, tutte le cose che Dio ha rivelato e, come tali, ce le propone la Chiesa da credere, (Habert de Fide).

— Perché si dice a motivo della Divina veracità?

Perché noi crediamo fermamente tutte le cose che ci sono proposte a credere dalla Santa Chiesa, per il motivo che Dio è infallibile verità e non può né ingannarsi, né ingannare; la certezza adunque della nostra Fede, si appoggia alla Divina Veracità.

— Perché si dice: tutte le cose che Dio ha rivelate?

Perché chi lasciasse di crederne una sola, sarebbe un infedele, e si fa uguale torto ad una infinita Verità dubitando della sua Veracità tanto in un punto, come in molti.

— Perchè si dice che: la Chiesa ce le propone da credere?

Perché Dio rivelò le verità immediatamente agli Scrittori inspirati come a Mosè, a Davide ecc. Similmente furono rivelate da Cristo agli Apostoli; ma ora non si devono pretendere rivelazioni particolari come le pretendono i Protestanti, volendo che lo Spirito Santo manifesti immediatamente al loro spirito privato, le verità che hanno da credere. Invece vi è la Chiesa Cattolica, la quale è la suprema maestra della verità e insegna infallibilmente ai suoi figli, tutte le verità che devono credere. Ella poi parla per mezzo dei Concili Universali e per mezzo delle definizioni dei Sommi Pontefici. A cagione di esempio insegnò per mezzo del Sacro Concìlio di Trento, che i Sacramenti sono sette, contro gli errori dei Protestanti. Insegnò che Cristo non è morto per i soli Eletti, per mezzo .delle definizioni dei Sommi Pontefici contro gli errori dei Giansenisti; e sarebbe ugualmente eretico chi dicesse i Sacramenti non essere sette; come chi dicesse che Gesù Cristo è morto in Croce per i soli predestinati (Vedi il Capit. dei Luoghi Teologici § 3).

— Quando è che ad alcuno si può dare il nome di eretico?

Quando pertinacemente asserisce qualche errore contrario a qualcuna verità della Fede. Si dice pertinacemente, perché quando alcuno asserisce un errore per ignoranza, anche colpevole, non si potrebbe chiamare eretico: p. es., trascurando alcuno d’istruirsi non sa che la Chiesa ha definito essere sette i Sacramenti; se dice che sono soltanto tre dice un’eresia; ma egli non è eretico, perché proferisce quell’eresia per ignoranza (Vedi Hubert ubi sup.).

— In che cosa differisce l’eresia dalla infedeltà?

L’infedeltà è la privazione, ossia mancanza della Fede, in chi non l’aveva ancora abbracciata; in tal modo gli idolatri, i Turchi, gli Ebrei sono infedeli; l’eresia, invece, è una mancanza dì Fede in chi l’aveva già abbracciata e fu battezzato, o almeno Catecumeno; inoltre è una mancanza di Fede parziale, cioè quando si lascia di credere uno o più dogmi, non tutti; perché se alcuno negasse tutti i dogmi della Fede, e rinunziasse perciò assolutamente alla Religione Cristiana, sarebbe il suo, peccato di apostasia; perciò un Cristiano che, lasciando di credere a Cristo e alla sua Chiesa, si fa Turco, non si dice eretico ma apostata. Questo s’intenda detto parlando con tutta la precisione delle Scuole; perché il nome d’infedeli si può dare anche agli eretici, in quanto che peccando contro la Fede, perdono questa virtù; e perciò il peccato di non credere o dubitare di qualche articolo di Fede, si chiama peccato d’infedeltà.

— Quante sorta si danno d’infedeltà propriamente presa?

Due sorte: negativa, e positiva. La negativa si trova in quelli i quali non credono, perché non hanno mai sentito e non poterono mai sentirsi annunziare le verità della Fede: e questa non è peccato. La positiva si trova in quelli che hanno sentito predicarsi le verità della Fede e non vogliono credere, o pure potevano sentirsele annunziare e hanno ricusato di darvi orecchio, e questo è peccato (Habert ut sup.).

— Gl’infedeli che non hanno mai sentito annunziarsi le verità della Fede e nemmeno si trovarono mai in opportunità di poterle ascoltare, si salveranno?

Senza Fede è impossibile che alcuno si salvi, dicendo S. Paolo che senza Fede è impossibile piacere a Dio (Hebr. XI). Per altro se questi infedeli osservassero la legge naturale, il Signore o per mezzi ordinari o straordinari, provvederebbe alla loro necessità facendoli anche istruire da un Angelo, quando altri non vi fosse, come dice San Tommaso, e abbiamo già notato. Peccando, questi infedeli, contro la legge naturale, si dannano per tali peccati, e non per il peccato d’infedeltà che in essi non è volontaria.

— Quante sorte si danno di Atti di Fede?

Due sorta: Interno ed Esterno.

— Come si definisce l’Atto di Fede interno?

Un fermo consenso che presta la nostra mente a credere le verità rivelate.

— Come si suddivide l’Atto interno di Fede?

In: implicito, ed esplicito. L’implicito si ha quando confusamente senza riguardare più a un dogma che a un altro, si crede tutto ciò che insegna la Santa Chiesa Cattolica: l’esplicito si ha quando espressamente si crede uno, o più determinati articoli di Fede. Se per esempio io dico: credo fermamente tutte le verità che insegna la Chiesa; oppure, non sapendo io ciò che il Sacrosanto Concilio di Trento ha definito circa la dottrina della giustificazione, io dico: In materia di giustificazione credo ciò che insegna la Chiesa, questi sono Atti di Fede impliciti. Se invece dico: credo che i Sacramenti sono sette; credo che senza la grazia di Dio, non si possano fare opere utili per la Vita Eterna, questi sono Atti di Fede espliciti.

— Basta per salvarsi la Fede implicita, il credere cioè tutto quello che insegna la Chiesa, senza sapere che cosa insegni?

Questa Fede non basterebbe; perché le principali verità della nostra Santa Religione bisogna crederle esplicitamente; cioè sapendole. Queste principali verità sono: che Dio è giusto, e perciò premia i buoni e castiga i cattivi; che Dio è uno e Trino, bisogna cioè sapere il mistero della Ss. Trinità: che la seconda Persona della Ss. Trinità, cioè il Figliuolo, si è fatta Uomo, ha patito ed è morta come Uomo per la nostra salute. Chi non crede espressamente queste verità non è capace di ricevere i Ss. Sacramenti, e non si può salvare. Bisogna pure credere espressamente tutte le altre verità che sono nel Simbolo Apostolico; per altro chi non le sapesse senza avervi colpa, cioè non avendole potute imparare, potrebbe salvarsi. Le prime dunque bisogna saperle di necessità di mezzo, le seconde di necessità di precetto. Tante altre verità definite dalla Santa Chiesa non è necessario che le sappiano tutti i Cristiani: ciascuno è obbligato ad istruirsi secondo il proprio stato e la propria capacità: pertanto essi frequentino le istruzioni; quindi sebbene non giungessero a sapere alcuni articoli di Fede distintamente, basterà che li credano implicitamente intendendo di credere tutto ciò che la S. Chiesa insegna. Si noti qui per incidenza, che oltre il Simbolo bisogna sapere il Pater noster, l’Ave Maria, i Comandamenti della Legge di Dio e della Chiesa, le cose necessarie per ricevere degnamente i Sacramenti, ai quali ci dobbiamo accostare, e i doveri del proprio stato particolare.

— Nel tempo della legge di natura; cioè, prima che Dio desse la legge scritta a Mosè e nel tempo di questa legge scritta fino alla venuta del Salvatore, quale Fede era necessaria agli uomini affinché potessero ottenere la vita eterna?

Oltre il credere che Dio castiga i cattivi e premia i buoni, era necessario che avessero una Fede implicita nel Salvatore del Mondo; che avessero cioè una qualche cognizione del Salvatore promesso (S. Tom. 2,2, q. 2 e 1, 2, q. 106). Perciò tutti i giusti dell’antico Testamento non solo si salvarono per i meriti di Gesù Cristo; ma si salvarono anche mediante la Fede in Cristo.

— Quando siamo obbligati a fare Atti di Fede interni?

Abbiamo già notato che li dobbiamo fare frequentemente e in modo particolare al principio dell’uso di ragione e nell’ora della morte. Vi fu chi disse che bastava fare un Atto di Fede solo in tutta la vita; ma questo sproposito fu condannato dal S. Pont. Innocenzo XI.

— Vorrei sapere se l’atto interno di Fede può stare col dubbio della verità delle cose credute?

Abbiamo detto nella definizione che la fede è una virtù con la quale crediamo fermamente; perciò essa non può stare col dubbio della verità delle cose credute. La fede esclude ogni dubbio, e inchiude la certezza che la cosa non possa essere diversamente (Bouvier de Fide, eap. 5, art. 2).

— Che cosa dunque si dovrà dire di quei Cattolici i quali ascoltando degli errori contro la fede, per. es., contro l’eternità delle pene dell’Inferno, contro il Purgatorio, contro la verginità di Maria Ss., contro il primato del Papa ecc.: essi non lasciano di protestarsi cattolici, ma frattanto pensano che i protestanti, i quali insegnano cotali errori probabilmente, o almeno possibilmente possano aver ragione?

Essi ammettendo questo dubbio, cioè la probabilità o anche la possibilità che la Chiesa erri insegnando le verità contrarie, perdono la fede, e protestandosi ancora di essere Cattolici si protestano di essere ciò che più non sono. Chi non crede fermamente, assolutamente, non crede con quella fede divina che è necessaria a salvarsi.

— Tuttavia il Cristiano Cattolico, potrà esaminare se sono realmente vere le cose che a lui insegna la Chiesa?

Se il Cristiano Cattolico esamina le verità insegnate dalla Chiesa per conoscere se sono realmente vere, e perciò dubitando che possano essere false, per ciò stesso dimostra che ha già perduto la fede; la quale in qualunque caso, da qualunque dubbio (avvertito e acconsentito) resta distrutta (Perrone de loc. theol. parte 3, sect. 1, cap. 3, prop. 1).

— Ma dunque si dovrà credere senza ragione e anche contro ragione, qualora si abbiano argomenti insolubili contro le cose che insegna la Chiesa?

Non v’ha dubbio che bisogna credere ad ogni modo; perché la fede divina, se cessa per qualunque motivo di essere ferma e inconcussa, resta distrutta. Per altro la fede divina non può mai essere né senza, né contro ragione; mentre che si appoggia all’autorità infallibile di Dio rivelante; e quando pare a noi che le cose insegnate dalla Santa Chiesa siano senza o contro ragione, ciò addiviene dalla nostra ignoranza e corto intendimento che non arriva a comprendere la verità del misteri divini: cosi all’uomo idiota appariscono senza e contro ragione molte verità fisiche e matematiche che sono evidenti al filosofo. Dobbiamo persuaderci che qualsivoglia argomento che noi troviamo contro le verità rivelate da Dio, per quanto ci sembri forte ed insolubile, non può essere che una falsa ragione ed un sofisma.

— E pure si esortano i protestanti e gli altri infedeli ad esaminare le verità che insegna la fede, perché si convincano delle medesime; se essi le possono esaminare, perché non le potremo esaminare anche noi?

Notate la diversità che passa tra costoro e noi Cattolici: essi non hanno ancora la fede divina, perciò col dubbio non la possono perdere: è necessario che studiando si convincano della verità, e si dispongano ad ottenere questo dono da Dio; noi per lo contrario l’abbiamo già; quindi mentre non la possiamo più acquistare, la perderemmo ammettendo il dubbio. Possiamo tuttavia esaminare la verità della fede per conoscere sempre meglio la loro ragionevolezza, e metterci al caso di persuaderne anche gli altri: questo esame però si deve fare credendo sempre fermamente senza ammettere mai ombra di dubbio (Perrone ubi supra).

— Perché dite che i protestanti non hanno fede divina? molte verità rivelate le credono quanto noi; perciò a riguardo di queste non hanno la fede che abbiamo noi?

La fede divina è un dono soprannaturale che non si può avere se non da quelli che sono membri della S. Chiesa; perciò i protestanti, che ne sono fuori sono privi di questo dono, e se credono alcune verità della fede, le credono con fede umana, cioè con quella convinzione che producono nel loro spirito le ragioni che militano in favore di quelle verità: noi per es. crediamo che Cristo sia il Salvatore, e che Platone fosse un filosofo: crediamo la prima di queste verità per una virtù, ossia forza soprannaturale che opera sul nostro spirito e c’inclina a crederla; crediamo la seconda per la forza degli argomenti che ci presenta la storia; quella perciò crediamo con fede divina, e questa crediamo con fede umana. I protestanti, che credono con noi ambedue queste verità, le credono ambedue per la forza che esercitano sul loro spirito le ragioni che militano per l’una e per l’altra, senza avere quell’aiuto soprannaturale che inclina noi Cattolici a credere la prima; perciò quando credono che Cristo è il Salvatore non lo credono con fede divina; ma con semplice fede umana.

— Quando si fa l’Atto di fede esterno?

Quando visibilmente, ossia sensibilmente, si manifesta la Fede interna. Se io dico che sono Cristiano, se mi prostro innanzi al Ss. Sacramento etc. , questi sono Atti di Fede esterni.

— È necessario fare Atti di Fede esterni?

Necessarissimo, e lo dice espressamente S. Paolo (ad Rom. X); perciò non basta aver la Fede nel cuore, ma bisogna manifestarla con le parole e con le opere.

— Ma qualora manifestando la nostra Fede, fossimo minacciati di qualche grave danno, non si potrebbe fingere di non essere Cristiani, oppure di rinunziare alla Fede ritenendola però nel cuore?

Questo sarebbe un gravissimo peccato e, piuttosto che fingere di non essere Cristiani o di rinunziare alla S. Fede, bisognerebbe soffrire qualunque morte come hanno fatto i Santi Martiri.

— Ma Dio, che vede il cuore, non si contenterà dell’ossequio del cuore, particolarmente quando non potessimo esternare la Fede senza gravissimo danno?

Dio padrone di tutto l’uomo, il quale consta di anima e di corpo, vuole a tutta ragione l’ossequio di tutto l’uomo, cioè interno e spirituale, od esterno e materiale. Il paliare poi e nascondere la nostra Fede per fare credere di esserne privi, o fingere di rinunziarvi è una somma viltà ed ingratitudine contro Dio che ci ha fatto questo dono. Egli fattosi Uomo sacrificò per noi la sua vita infinitamente preziosa, non sarà dovere che noi ci mostriamo pronti a sacrificar per l’onore suo anche la nostra vita che val sì poco? D’altronde se Egli permette che sia tentata la nostra fede, ci dà vigorosi aiuti affinché possiamo resistere ad ogni prova. Perciò con qualunque nostro più grave danno dovremmo, come fecero i ss. Martiri, esternare all’uopo la nostra fede.

— In teologia sono certe soltanto quelle cose che la Chiesa ha già definito e dichiarato di fede?

Il dire che siano soltanto certe quelle cose che la Chiesa ha già definito e dichiarato di fede sarebbe un gravissimo errore: il che facilmente si prova solo che si attenda alla definizione del dogma dell’Immacolata Concezione di Maria Ss. Infatti prima dell’8 Dicembre dell’anno 1854 questa verità non era un dogma definito e dichiarato di fede; tuttavia era una verità certissima, e tale che la Chiesa aveva fulminato la scomunica contro chiunque avesse ardito, non solo di negarla espressamente, ma anche contro chiunque avesse ardito addurre qualche obbiezione contraria a tale verità, senza confutarla con le opportune ragioni. – Dal non essere definita e dichiarata di fede una verità, non segue che essa si possa impunemente negare, o che almeno si debba riguardare come dubbia; ne segue soltanto, che chi non la crede o ne dubita, non è reo del peccato di eresia; per altro può essere reo di gravissima temerità: ciò poi avviene tutte le volte che la verità non ancora definita di fede, è creduta comunemente, e riconosciuta come certa dalla S. Chiesa. – Prima del Concilio di Trento non erano definite e dichiarate di fede certe verità che esso ha definito e dichiarato contro la novità dei protestanti; e pure quelle verità erano comunemente credute e riconosciute come certe dalla S. Chiesa; e sarebbe stata gravissima temerità il negarle o metterle in dubbio come fecero Lutero, Calvino ecc. Se per essere certa, una verità dovesse essere definita e dichiarata di fede, non sarebbe nemmeno certo che Cristo in terra camminasse coi piedi, non essendo mai stata questa cosa definita e dichiarata di fede. – Laonde chiaro apparisce quanto per un teologo sarebbe storto ed indegno modo di ragionare se argomentasse così: non è definito e dichiarato di fede che nell’inferno vi sia fuoco materiale, che il Diaconato sia Sacramento, che i contraenti siano ministri del matrimonio, che il Papa sia infallibile quando parla ex cathedra, e superiore al Concilio Generale; dunque tutte queste cose si possono negare, o sono dubbie: un teologo che ragionasse di questo modo, si farebbe troppo torto: mentre che, sebbene queste verità non siano dichiarate e definite di fede, sono comunemente credute e riconosciute come certe dalla S. Chiesa (Vedi i teologi, dove parlano di queste verità e dimostrano che sono proxime fidei).

§ III.

Della Virtù della Speranza.

— Che cosa è la Virtù della Speranza.

⁕ « È una Virtù Teologale per la quale con certa fiducia aspettiamo l’Eterna Beatitudine e i mezzi per conseguirla mediante il Divino aiuto, e dietro la promessa che Dio ce ne ha fatto a riguardo dei meriti di Gesù Cristo. »

— Perché si dice: con certa fiducia?

Perché la nostra speranza, essendo appoggiata agli infiniti meriti di Gesù Cristo e alla promessa che Egli ha fatto di darci il Paradiso in premio delle buone opere, e di darci gli aiuti opportuni per conseguirlo, é certa e sicura: quindi S. Paolo (Ad Hebr. VI) la appella un’àncora sicura e ferma.

— Vuol dire dunque che non possiamo temere di perderci?

Notate che si dice: certa fiducia e non sicura certezza: la fiducia di conseguire un bene suppone sempre il pericolo di perderlo; dalla parte di Dio la nostra speranza è certissima, perché da parte sua nulla ci può mancare di necessario alla salute, ma da parte nostra può mancare la necessaria corrispondenza alle sue grazie, e perciò non possiamo dire di essere certi che ci salveremo infallibilmente. Riguardando dunque la certezza della divina promessa da una parte, e la debolezza nostra dall’altra, la nostra speranza non può essere una certezza assoluta, ma solo una certa fiducia.

— In complesso ci dovremo più assicurare sulla certezza che vi ha dalla parte di Dio, o più temere del pericolo che porta la debolezza nostra?

Ci dobbiamo più assicurare sulla certezza che vi ha dalla parte di Dio, essendo che Dio è più buono di quello che noi possiamo essere cattivi; perciò dobbiamo più assicurarsi in Dio di quel che dobbiamo temere di noi.

— Può dunque stare insieme alla speranza del Paradiso il timore dell’Inferno? Bisogna distinguere varie specie di timore.

Altro è il timore detto figliale, col quale si teme l’inferno in quanto che si teme l’offesa di Dio, che sola può confinare le anime all’inferno, e si teme come cosa ingiuriosa ad una infinita Bontà; allora il timore non è il timore del proprio male in quanto è male proprio, ma è il timore dell’ingiuria dell’oggetto amato, cioè di Dio. Altro è il timore detto servile, col quale si teme l’inferno come male proprio, ma però senza avere affezione al peccato che fa meritare l’inferno. Altro è il timore detto servilmente servile col quale si teme l’inferno come male proprio avendo affezione al peccato, sicché non dispiace il peccato, ma dispiace l’inferno, e in certo modo si vorrebbe che non vi fosse inferno per poter peccare senza timore. Il primo timore è santissimo come chiaramente si vede; il secondo anche è buono, come definì il Sacrosanto Concilio di Trento contro gli eretici (sess. VI, c. 8). Perciò tanto il primo quanto il secondo sta benissimo con la speranza Cristiana: il terzo poi è il timore degli empi, indegnissimo del Cristiano.

— Il servire a Dio con la speranza del premio non è un servizio interessato e difettoso?

Così la pensarono alcuni falsi mistici moderni, gli errori dei quali furono condannati dai Sommi Pontefici. Lo Spirito Santo, nelle Divine Scritture, vuole che speriamo il Paradiso: e questa speranza animava i più grandi Santi a far gran cose per Iddio; e perciò quando serviamo il Signore, sperando che ricompenserà il nostro servizio col premio eterno, non commettiamo già alcun difetto, ma esercitiamo la necessarissima virtù della Speranza. Si noti che il Concilio di Trento scomunicò chi dicesse, peccare i giusti quando fanno opere buone per guadagnare l’eterna mercede (Sess. VI, c. 31).

— Dunque si potrà dire che pecchino i peccatori quando fanno opere buone per guadagnarsi questa mercede?

Se i peccatori facessero opere buone per guadagnarsi il Paradiso, avendo intenzione di non convertirsi a Dio, peccherebbero certamente; perché non volendo lasciare il peccato, è pessima presunzione fare conto di salvarsi; ma se i peccatori fanno opere buone per ottenere misericordia da Dio, riconciliarsi con Lui e quindi salvarsi, operano santamente: anzi è questo che Dio loro comanda e che essi devono fare.

— Il Paradiso lo dobbiamo sperare soltanto come nostro bene?

Tutto il nostro bene lo dobbiamo riferire a Dio, e perciò la nostra beatitudine in Paradiso la dobbiamo sperare e procurare, perché ridondi all’eterna gloria di Dio. In una parola dobbiamo cercare di farci Santi perché Dio sia glorificato dalla nostra santità. Ciò si ricava dal sacrosanto Concilio di Trento (Sess. VI, cap. III).

— Disse poco avanti che la nostra speranza è appoggiata agl’infiniti meriti di Gesù Cristo, come s’intende tal cosa?

Gesù Cristo è il nostro Salvatore, Egli ha offerto per noi i meriti infiniti della sua Incarnazione, Passione e Morte, e pel valore di tali meriti siamo stati resi capaci di meritarci il Paradiso.

— Aggiunse che si appoggia alla promessa che ha fatto Dio di dare il Paradiso per premio alle nostre buone opere: come s’intende?

Abbiamo veduto nel § 3 del Cap. 5 che noi non potremmo meritare il Paradiso senza di questa promessa; per ciò a lei ogni nostra speranza si appoggia: questa divina promessa è il motivo per cui speriamo il Paradiso.

— Esercitandoci in Atti di Speranza, dovremo avere intenzione di fare buone opere?

Senza questa intenzione, la nostra speranza si cambierebbe in presunzione; perché al merito delle buone opere è promesso il Paradiso, e solo possiamo sperare con fondamento di salvarci, avendo intenzione di far quel bene che si richiede per ottenere l’eterna salute.

§ IV.

Della Virtù della Carità.

— Che cosa è la Virtù della Carità?

⁕ « È una Virtù Teologale infusa da Dio nell’anima nostra, con la quale amiamo Dio sopra tutte le cose, perché è un bene infinito, e amiamo il prossimo per amore di Dio ».

— Come s’intende: che lo amiamo perchè è un bene Infinito?

Dio si deve amare per la sua infinita Bontà. Ciascuna cosa si ama in ragione della bontà che contiene, perciò si ama perché è buona, e tanto più si ama quanto è più buona. Similmente amiamo Dio perché è buono, e lo amiamo sopra tutte le cose, perché non vi è bontà alcuna da potersi paragonare con la sua.

— In quanti modi si può amare Iddio sopra tutte le cose?

In due modi, appreziativamente e intensamente. Dio si ama sopra tutte le cose appreziativamente quando la volontà è così stretta a Dio, che è pronta a soffrire qualunque cosa, piuttosto che offenderlo con qualche peccato mortale; si ama intensamente sopra tutte le cose quando alla fermezza e attaccamento della volontà, si unisce un vivo trasporto e un ardentissimo affetto, sicché nessuna cosa fa tale impressione ai sentimenti del nostro cuore quanto il piacere o il dispiacere di Dio.

— In quali di questi due modi siamo obbligati ad amar Dio?

Nel primo modo, cioè appreziativamento; e chi fosse privo di questo amore non si potrebbe salvare.

— Questo amore appreziativo ci obbliga solo ad astenerci dal peccato mortale?

L’amore appreziativo ci obbliga a preferire Dio e il suo gusto ad ogni cosa, e perciò ad astenerci anche dal peccato veniale; per altro, giacché il peccato veniale non estingue in noi la carità, qualora l’amore appreziativo non arrivasse a farci evitare il peccato veniale, basterebbe perché fossimo salvi.

— Per qual motivo non siamo obbligati ad amare Iddio intensamente sopra tutte le cose?

Perché questo amore intenso non è in nostro potere, esso è un dono straordinario di Dio, prezioso e desiderabile sommamente. Le anime più pure, ordinariamente parlando, lo possiedono anche in questa vita; però nemmeno esse hanno la pienezza dell’intensità dell’amore Divino, essendo questa pienezza, riserbata ai Santi in Cielo.

— Come può essere che un’anima preferisca Dio e il suo gusto ad ogni cosa, e frattanto qualche altra cosa faccia maggiore impressione nei sentimenti del suo cuore?

L’atto di dare la preferenza ad una cosa sopra tutte le altre è un atto della volontà la quale è libera, il sentire più l’impressione di una cosa che di un’altra appartiene alla sensibilità la quale in noi non è libera, ma necessaria: posso a cagione di esempio determinarmi a preferire il cibo amaro al dolce, ma non posso impedire di sentir l’amarezza mangiandolo. Proviene da questa sensibilità che le madri anche pie sentono un’allegrezza più viva nel vedere ristabiliti in salute i propri figli dopo una pericolosa malattia, che dal vederli pentiti di qualche loro peccato, e pure la loro volontà preferisce di vederli infermi piuttosto che peccatori.

— Quando si preferisce Dio ad ogni cosa perché è un bene infinito, e si vorrebbe perdere qualunque cosa piuttosto che offenderlo gravemente, si ha allora il perfetto amore di Dio?

É certo che allora si possiede il perfetto amore di Dio, perfetto nella sua natura, il quale però si potrebbe sempre più perfezionare, come chiaramente si vede, in chi fosse pronto a perdere qualunque cosa, piuttosto che offenderlo anche con un peccato veniale.

— L’amore, ossia la Carità perfetta, può stare in un’anima insieme col peccato mortale?

Baio insegnava che la carità perfetta poteva trovarsi insieme in un’anima col peccato mortale: ma la Chiesa condannò tale dottrina; perciò è certissimo che non si può trovare in alcun’anima il perfetto amor di Dio insieme col peccato mortale, come non si può trovar in una stanza la luce, con le tenebre (Propos. di Baio 32 e 70).

— Ma dandosi il caso che una persona rea di qualche peccato mortale facesse un atto di perfetto amor di Dio, non si avvererebbe il caso di trovare in un’anima il peccato mortale, e il perfetto amor di Dio?

Non si avvererebbe giammai; perché quell’atto dì perfetto amor di Dio, scaccerebbe subito il peccato mortale, come portata la fiaccola in una camera oscura ne scaccia subito le tenebre.

— Ma per levare il peccato dall’anima, non si richiede la Confessione Sacramentale?

Si richiede la Confessione Sacramentale, o in effetto o in proponimento. Si richiede in effetto quando vi è la sola attrizione, e in tal caso, per scacciare il peccato mortale dall’anima, bisogna che il Cristiano si confessi, e prenda la Sacramentale Assoluzione. Quando poi vi è la carità perfetta basta il proponimento di confessarsi a tempo debito. Chi ha la Carità, ossia il perfetto amor di Dio, ha pure implicitamente la contrizione, cioè il dolore di avere offeso Dio, essendo impossibile che alcuno ami Iddio sopra ogni cosa e non abborrisca sopra ogni cosa il peccato: ha insieme l’intenzione di confessarsi a tempo debito; perché è parimente cosa impossibile che alcuno ami Iddio sopra ogni cosa, e non abbia intenzione di ubbidire ai suoi comandi; perciò se un peccatore fa un atto di perfetto amor di Dio, resta subito giustificato. È per altro obbligato a confessare i peccati mortali a tempo debito; cioè quando dovrà adempire al precetto della Confessione, oppure quando si confesserà anche fuori del tempo del precetto, come chiaramente s’intende.

— Non si potrebbe dire che il perfetto amore di Dio giustifichi l’anima soltanto nel caso di necessità, come sarebbe in punto di morte, quando non si potesse avere Confessore?

⁕ Chi dicesse questo, verrebbe a dire che molte volte potrebbe stare insieme la carità perfetta col peccato mortale, e asserirebbe precisamente la condannata proposizione di Baio (La proposizione condannata in Bajo [70] è la seguente: L’uomo che si trova a vivere in peccato mortale o in un reato degno di eterna dannazione, può avere la vera carità; ed anche la carità perfetta può sussistere con il reato di eterna dannazione – Bolla: “Ex omnibus affliclionibus”, S. Pio V, 1568). Se la Carità è perfetta, quando cioè si ama Dio sopra ogni cosa perché è un bene infinito, toglie tosto dall’anima il peccato mortale.

— Chi fosse restato giustificato da qualche atto di perfetto amor di Dio, e perciò avesse allora intenzione di confessarsi a tempo debito, se poi mutasse intenzione e risolvesse di non confessarsi più; i peccati mortali cancellati dall’atto di amor di Dio ritornerebbero a macchiare l’anima sua?

Ella è verità certissima, che i peccati una volta cancellati non possono più ritornare a macchiare l’anima: se ne possono commettere degli altri simili, ma quelli non tornano più. Prendete questa parità: vi cade il fazzoletto nel fango, ed eccolo macchiato e lordo, voi lo diguazzate in un torrente, e l’acqua porta via quelle macchie e lordura; quelle macchie, quella lordura è dissipata, va giù col torrente, è impossibile che torni a macchiare il fazzoletto; lo potrete macchiar di nuovo lasciandolo cadere di nuovo nel fango. Notate però che con quella cattiva intenzione di non confessarsi più, commetterebbe un nuovo peccato mortale, e perderebbe subito l’amor di Dio, e la sua grazia.

— Se il perfetto amor di Dio ha tanta efficacia di rimettere l’anima in istato di grazia anche fuori del caso di necessità, chi è in peccato mortale non dovrà prendersi gran premura di confessare presto il peccato; ma basterà che faccia qualche atto di amor di Dio, e di contrizione.

Guardatevi dal tirare una simile conseguenza ché essa è falsissima. Non tutti quelli che fanno atti di amor di Dio e di contrizione, li fanno con quella perfezione che si richiede, affinché tolgano il peccato dall’anima; perciò molti potrebbero credere di restare giustificati e frattanto resterebbero in peccato mortale; inoltre, ancorché l’atto di amor di Dio e di contrizione fosse perfetto, questo non conferirebbe la grazia Sacramentale, la quale si dà solo nel Sacramento della Penitenza quando si prende l’assoluzione dei peccati; e quindi l’anima resterebbe priva del grande aiuto di questa grazia, di cui si parlerà nel cap. 7, § 1, D. 15. Perciò chi è caduto in peccato mortale, faccia subito degli atti di contrizione, giacché facendone uno perfettamente si rimette subito in grazia di Dio; ma poi senza aspettare l’obbligo dell’annua Confessione, e nemmeno il suo comodo, quanto più presto può, vada a confessarsi per provvedere nel miglior modo all’anima sua in cosa di tanta importanza. Questa dottrina dell’efficacia e valore della contrizione si deve insegnare perché è la dottrina della Chiesa, e perché ciascuno deve conoscere il valore della virtù della Carità e dei suoi atti; ma da questa dottrina nessuno deve prendere motivo di differire la Confessione dopo commesso il peccato mortale. Per gran contrizione che senta nel suo cuore il peccatore, subito che può, anche con suo incomodo, non differisca un momento di confessarsi.

— Come si deve amare il prossimo?

Si deve amare come noi stessi ci amiamo, e per amore di Dio; in tal modo l’amore del prossimo si rifonde nell’amore di Dio, in quanto che il prossimo si ama a riguardo di Dio, e per l’amore che si porta a Dio.

— Chi ama il suo prossimo perché o di buona indole, perché è dotto, ricco, suo benefattore, suo amico, suo parente, lo ama con amore di carità?

Chi lo ama solo per questi titoli e ragioni, lo ama con un amore naturale, il quale si trova anche negl’infedeli, e perciò non lo ama con amore soprannaturale come è l’amore di carità; bisogna adunque a tutti questi motivi aggiungere il motivo dell’amore di Dio, e perché Iddio lo vuole.

— Tutti assolutamente dobbiamo amare i nostri prossimi, e senza distinzione?

Tutti assolutamente dobbiamo amare i nostri prossimi, amici o nemici, buoni o cattivi, fedeli o infedeli; però vi deve essere distinzione nel nostro amore, dovendosi preferire gli amici, i parenti, i benefattori, i fedeli ecc., a quelli che non sono tali: cosicché p. es., se si dovessero vestire due poveri, uno parente e l’altro no, e vi fosse una veste sola, si dovrebbe dare al parente.

— Non basta per amare il prossimo, fargli del bene senza amarlo frattanto di cuore?

Non basta, e il Papa Innocenzo XI proibì due proposizioni le quali dicevano che non siamo tenuti ad amare il prossimo con atto interno e formale, e che possiamo soddisfare al precetto con soli atti esterni. Perciò è necessario amare il prossimo con affetto di cuore, e quindi fargli ciò che ragionevolmente vorremmo per noi, e non fargli ciò che ragionevolmente non vorremmo per noi.

— Siamo obbligati a fare Atti di Carità come di Fede, e di Speranza?

Vi siamo obbligati, e concordano i Teologi che vi siamo obbligati anche con maggiore frequenza.

— Il precetto della Carità ci obbliga a riferire alla gloria, al servizio di Dio tutte lo nostre azioni?

Certamente ci obbliga a riferire alla gloria di Dio, al suo servizio tutte le nostre azioni anche indifferenti, come sarebbe il mangiare, il dormire, opportuni passatempi e ricreazioni ecc.

— Sarà dunque necessario in ogni azione che si fa il dire espressamente, intendo farla per la gloria di Dio?

Questo poi no: basta il rinnovare di tempo in tempo questa intenzione di fare tutte le nostre azioni a gloria di Dio.

 

LO SCUDO DELLA FEDE (IX)

[A. Carmignola: “Lo Scudo della Fede”. S.E.I. Ed. Torino, 1927]

IX.

I TESTIMONI.

 — I martiri testimoni della, verità, della dottrina cristiana. — Il loro numero. — Se siano stati fanatici o ambiziosi. — I falsi martiri. — Intervento divino nel fatto del martirio.

— È vero che le profezie precisamente avverate ed i miracoli operati mi danno dei motivi assoluti per credere agli insegnamenti della Chiesa Cattolica, come ad insegnamenti rivelati da Dio. Ma come sarò io sicuro dell’avveramento delle profezie e dei miracoli operati?

Lo sarai con la testimonianza di coloro che hanno veduto tutto ciò. Come fa il giudice ad accertarsi di un fatto, su cui ei deve pronunziare sentenza di assoluzione, o di condanna? Interroga i testimoni. Così noi volendo assicurarci dell’avveramento delle profezie e dei miracoli operati, dobbiamo far lo stesso, interrogare coloro che ne sono stati testimoni.

— Ma molte volte i testimoni sono falsi.

Precisamente perciò noi interrogando i testimoni, di cui parliamo, ricercheremo altresì se sono giusti, degni di fede.

— E quali sono questi testimoni?

Sono gli Apostoli, i discepoli di Gesù? e quei cristiani, che massime nei primi secoli della fede furono martiri.

— Come mai?

La parola martire (parola greca) in nostra lingua non significa altro che testimonio. Durante i tre primi secoli del Cristianesimo quasi da per tutto, in seguito poi qua e là, dapprima gli Apostoli e i discepoli di Gesù Cristo, poi i cristiani che abbracciarono la fede da loro insegnata, furono tentati con le persecuzioni a rinnegarla. Pestando essi costanti nella medesima, furono condannati a morte. Ed essi andandovi incontro volonterosi, confessando fino all’ultimo che la loro fede era divina, perché quel Gesù Cristo che era venuto ad insegnarla si era comprovato Dio, testimoniarono con le parole e col fatto la divina rivelazione fatta da Gesù Cristo medesimo.

— Ma i martiri non furono uccisi per delitti comuni? per certe scelleratezze che si dice abbiano commesse? e specialmente per essere stati nemici e odiatori degl’imperatori romani?

Ciò è falso, falsissimo. E la prova più lampante si è, che appena un cristiano avesse rinnegato la fede, era tosto lasciato in libertà, e ben anche colmato di onori e di ricompense. Come si sarebbe fatto ciò, se si intendeva di martirizzare i cristiani non già per la loro fede, ma pei delitti di cui erano imputati? E poi è bensì vero che si andava buccinando per ogni dove che i cristiani erano empi, perché ricevevano e si cibavano della SS. Eucaristia, ossia delle carni immacolate di Gesù Cristo; che erano nemici ed odiatori degli imperatori romani perché  in fatto di religione non la pensavano come essi volevano; ma in realtà non si poté mai provare alcuna delle scelleratezze loro addebitate, e tutt’altro che essere nemici ed odiatori degli imperatori, ne erano i sudditi più fedeli, tanto che il celebre Tertulliano, apologista cristiano, che viveva sulla fine del 2° secolo e per buona pezza del 3°, prese a difendere i cristiani dalle accuse che loro si facevano, e poté sfidare gl’imperatori romani e i magistrati a citare il nome di anche un solo cristiano, che avesse avuto parte nelle congiure o nelle guerre civili, che di quel tempo desolarono quasi del continuo l’impero.

— Ma per l’appunto Tertulliano ed altri apologisti non furono causa con le loro imprudenti parole di provocare lo sdegno degli imperatori?

Ecco il bel modo di ragionare che si usa anche ai dì nostri contro dei buoni cristiani, contro i preti, i vescovi, il Papa, contro la Chiesa. Si gettano contro di loro le più nere calunnie, e poi se essi prendono a ribatterle su pei giornali, o nei libri, od anche ricorrendo ai tribunali, si dice che sono provocatori; se tacciono e lasciano correre, si grida: Perché non fanno le loro difese, perché contro di tali accuse non danno querela? E questa ti pare giustizia? Ma via, quand’anche gli apologisti cristiani fossero stati imprudenti usando delle espressioni troppo violente contro degli imperatori; forse che questi erano in diritto di uccidere in massa i cristiani e di adoperare verso di loro tormenti così atroci, quali furono per l’appunto quelli che adoperarono? Dovevano adunque i cristiani lasciarsi massacrare senza che alcuno di loro si levasse su a protestare contro l’orribile ingiustizia, che si commetteva verso di essi? E qualora fosse stato così non si sarebbe detto che erano poveri sciocchi, ignoranti e testardi?

— Ciò è vero. Ma furono realmente molti i cristiani martirizzati?

Molti? Si tratta di milioni.

— Di milioni! Eppure mi pare aver letto non so dove che i martiri sono alla fin fine ben pochi.

Così hanno osato di dire certi scrittori razionalisti e protestanti dei nostri giorni, ma tuttavia ben diversamente è provato dalla storia. E a chi dobbiamo noi credere ? Ad un misero critico, che gonfio della sua scienza fallace, seduto tranquillamente nel suo gabinetto, con un tiro di penna cassa i calcoli stabiliti da quindici secoli per opera dei più gravi scrittori, od a coloro che quei morti caduti nei combattimenti della verità videro essi medesimi coi loro occhi? E non sono gli stessi pagani, loro contemporanei, quelli che fanno salire a milioni gli uomini, le donne, i vecchi, i fanciulli, i preti, i laici, i nobili, i plebei, i liberi, gli schiavi assassinati nel nome degli dèi per avere pronunziata questa sola parola: « Io sono cristiano? – E non asserisce forse Tacito che si trattava di una moltitudine immensa? Non scrive forse Plinio, che era un popolo infinito sparso per ogni dove e appartenente a ogni classe della società ? E Marco Aurelio, il coronato filosofo, non copre forse de’ suoi disprezzi intere turbe di fanciulli uccisi? E non attesta il medesimo Giuliano apostata, che i cristiani, a schiere, a schiere, correvano al martirio, come le api all’alveare? Ridurre adunque ai minimi termini il numero dei martiri, come fa oggidì qualche scienziato incredulo è un contraddire palesemente la verità, è un rinnegare la luce del sole.

— Ma i martiri non potevano essere vittime infelici del loro fanatismo, del loro esaltamento di animo, anziché testimoni della fede?

Obbiezione vecchia questa ! Ma l’ingente loro numero non è già una prova contraria? Che qualche uomo muoia vittima del fanatismo, cioè dell’animo esaltato da cieca passione, passi; ma che muoiano centinaia, migliaia, milioni… E tra questi milioni non c’erano anche in gran numero illustri filosofi, grandi dottori, uomini di coltura e di genio, gente insomma che non può essere vittima del fanatismo! E poi l’atteggiamento dei martiri era quello di gente fanatica? I martiri fanatici, se possiamo accoppiare insieme questi due termini, mostrano anche morendo inquietudine, agitazione frenetica, orgoglio, fierezza, odio. Tra questi pretesi martiri si pongono Giovanni Huss, Girolamo da Praga, Giordano Bruno. Giovanni Huss fu dapprima sacerdote e poi eretico, e non ostante che fosse stato convinto dei suoi errori in un Concilio radunatosi a Costanza, ostinatamente rifiutò di rinnegarli. Epperò venne abbandonato all’autorità civile, che secondo le leggi di quel tempo lo condannò al rogo (anno 1415). Lo stesso accadde a Girolamo da Praga semplice laico, ma amico di lui e sostenitore dei suoi errori, ed a Giordano Bruno, che fu dapprima domenicano e poscia pervertito si diede ad insegnare pubblicamente ogni sorta d’immoralità e bestemmie (anno 1600), ed al quale, a scopo settario, si volle nel 1889 innalzare a Roma in Campo di Fiori, ove era stato giustiziato, un monumento. – Ma tutti costoro anche negli estremi istanti di loro vita si dimostrarono pieni di superbia, di presunzione, di disprezzo verso coloro, che li dannarono. Nei martiri cristiani invece non si vede che pace, che rassegnazione, che carità, che generosità, che umiltà, che tutto un insieme di virtù, che rapisce e strappa le lagrime. E ciò per tre secoli continui! Dimmi sono cose queste che si possano spiegare col fanatismo! Per fare ciò bisognerebbe essere fanatici davvero!

— Mi viene tuttavia in mente un’altra difficoltà. Ora i martiri della Chiesa Cattolica sono molto onorati, tanto che si erigono loro degli altari, si pongono in venerazione le loro immagini, si celebrano con splendore le loro feste, si fanno i loro panegirici. Non potrebbe essere che prevedendo essi tutto ciò, si lasciassero indurre al martirio dalla vanagloria e dall’ambizione?

E si può dire davvero che, umanamente parlando, essi prevedessero la gloria e gli onori, che avrebbero ricevuto dalla Chiesa? Che anzi non vedevano per lo più che i corpi dei martiri, che li avevano preceduti, restavano insepolti, che le loro ossa e le loro membra dilacerate venivano gettate di spesso in fondo alle cloache? E molte volte ne erano uccisi tanti insieme, per modo che di molti di essi restasse ignoto persino il nome? Ed anche allora che avessero preveduti gli onori resi ad essi in seguito, ti par possibile che ciò bastasse per indurli a soffrire con la più eroica pazienza i più orribili tormenti? Eh! caro mio, devi sapere che i vari generi di morte, con cui si punivano i più scellerati malfattori, la decapitazione, la forca, la crocifissione, erano stimati tormenti troppo miti per far morire i cristiani. Ed ecco perciò le graticole infuocate, le lamine incandescenti, i tori di bronzo arroventati, le tenaglie, gli uncini e i pettini di ferro, gli eculei, le caldaie di olio bollente, il piombo liquefatto, gli orsi, le pantere, i leoni… tutto ciò che l’odio diabolico e l’umana barbarie ha saputo inventare. Or pare a te che la vanagloria e l’ambizione avesse tale forza da indurre l’uomo a lasciarsi scorticare vivo, od abbrustolire, o strappare le carni a brani, o stritolare le ossa dalle belve feroci? E qualora la vanagloria e l’ambizione ottenesse tale effetto sopra un qualche uomo, come l’otterrebbe sopra intere moltitudini e specialmente su poveri idioti, su miseri schiavi, su donne e fanciulli, quali erano moltissimi dei martiri? Di più; vorresti tu che Iddio intervenisse con i suoi miracoli ad approvare degli ambiziosi?

— E Iddio ha Egli fatto pure dei miracoli a prò dei martiri?

Senza dubbio, e moltissimi. Basterebbe che tu leggessi i loro Atti per esserne del tutto persuaso. Talvolta gli strumenti, che si adoperavano per. martirizzarli, da se stessi si spezzavano e diventavano inetti, tal’altra i leoni più feroci diventavano con essi quali miti agnelli e si facevano a lambire le loro mani, altre volte ancora il fuoco non li abbruciava e sterminava invece i loro persecutori, oppure essendo immersi nelle acque ritornavano vivi a galla, oppure a loro intercessione si operavano strepitose guarigioni e persino risurrezioni di morti… insomma i miracoli a pro dei martiri furono senza numero e dei più grandi. Ora se essi fossero stati fanatici, ambiziosi, come si dice, Iddio avrebbe forse operati tanti miracoli per approvare il loro fanatismo, la loro ambizione?

— Non si può negare che queste osservazioni siano di una forza irresistibile. Ma non è egli vero che tutte le religioni hanno i loro martiri? E se è così non si dovrebbe inferire che tutte le religioni sono vere?

Si dice che tutte le religioni abbiano i loro martiri, ma non è così assolutamente. Martire, già l’ho detto, significa testimonio, e testimonio è colui che testifica di aver udito oppure veduto un fatto esterno e visibile. I cristiani morendo per la fede cattolica sì che erano veramente martiri, perché sia con le parole e più ancora col sangue testificavano il fatto che Gesù Cristo si è comprovato Dio, sia con l’avveramento in Lui delle profezie, sia con i miracoli, e lo testificavano precisamente perché molti di essi, come gli Apostoli, e i discepoli di Gesù Cristo, lo videro coi loro occhi ed appresero con le loro orecchie, e gli altri tutti lo intesero dagli Apostoli e dai discepoli di Gesù Cristo e loro successori, e ne furono accertati dai miracoli, che in gran numero videro ancor essi in prova di tal fatto Ma invece i pretesi martiri delle altre religioni di quale fatto mai resero essi testimonianza? Di nessuno. Se essi sembrarono morire per la loro religione, in realtà morirono per le loro fissazioni, per l’attaccamento alle proprie idee, per eccesso di passione ed altre simili ragioni. E chi muore in tal guisa potrà chiamarsi pazzo, fanatico, ostinato, e se vuoi, potrà anche dirsi uomo di coraggio, fermo e tenace nelle proprie idee e nelle sue convinzioni, ma non già martire, ossia testimonio.

— Ma non era la stessa cosa nei martiri? Non morivano anch’essi per tenacia e fermezza delle loro idee e convinzioni religiose?

Allora non hai ancora capito quello che ti ho detto sopra. Sì, è vero, i martiri morivano santamente tenaci e fermi nelle loro idee e convinzioni religiose, ma queste idee sicure, queste convinzioni profonde, che essi avevano della fede cattolica, questa persuasione massima di essa, da che proveniva nei loro animi? Forse solo dallo studio ed apprendimento che essi facevano della religione? No, certo; perché se molti fra di essi furono di tale intelligenza ed elevatezza di ingegno da poter fare tale studio ed apprendimento, la più parte erano indotti, fanciulli, popolani, schiavi, donne, che senz’altro credevano sulla parola degli Apostoli, dei discepoli di Gesù Cristo e dei loro successori. La incrollabile certezza della fede cattolica negli animi cristiani, tanto in quelli degli indotti come in quelli dei dotti, proveniva dalla certezza incrollabile che avevano dei miracoli operati da Gesù Cristo, dagli Apostoli, dai discepoli di Gesù Cristo e dai loro successori, da altri santi martiri, miracoli che una gran parte di essi aveva veduto o andava vedendo coi propri occhi. Testimoni adunque di questi miracoli, ossia di questi fatti esterni e visibili, i quali comprovavano la divinità di Gesù Cristo, e per conseguenza la verità della fede cattolica da loro professata, essi morirono testificando di aver veduto tali fatti, ed è così che furono veramente martiri.

— Mi pare di aver compreso. Vuol dire adunque che se tra i pagani, tra i mussulmani, tra gli ebrei e i protestanti vi sono stati di coloro, che morirono per la loro religione, non fecero altro che attestare la propria convinzione interna, ma nessun fatto esterno che fosse tale da renderli pienamente sicuri della loro interna convinzione.

Benissimo. Insomma i martiri dimostrarono per la fede cattolica una fortezza eroica, anzi sovrumana e miracolosa, perché della fede cattolica avevano una certezza assoluta, che in essi era generata dai fatti miracolosi, di cui erano stati testimoni e dei quali versando il sangue e morendo rendevano la suprema testimonianza.

— E perché dice sovrumana e miracolosa la fortezza dei martiri?

* Perché tutte le circostanze, che accompagnano il martirio cristiano, insieme riunite formano cosa tale che dalla sola natura umana non può provenire, cosa tale, che non altrimenti si può spiegare che con l’intervento di Dio. Il numero dei martiri, la loro condizione, i martini orribili, cui furono sottoposti, la fermezza, la pace, la letizia, con cui li sopportarono, persino vecchi cadenti, donne imbelli, fanciulle timide e giovanetti di prima età, i miracoli che frequentissimi accaddero durante il martirio… son cose tutte che ci fanno dire: Dio era là! Sì, Dio era là a produrre egli stesso il miracolo di tanto coraggio ed eroismo. Ed era appunto questo miracolo che tante volte, essendone spettatori i pagani, operava la loro conversione. « No, non può essere che divina quella fede, che infonde nell’uomo tale forza, dicevano essi, e merita perciò di essere abbracciata e seguita ». E l’abbracciavano, e seguivano. Ciò che fece dire a Tertulliano: « Più voi, o persecutori, ci mietete, e più ci moltiplichiamo: il sangue dei cristiani è seme ». E non solo Dio era là nella forza miracolosa, di cui davano prova i martiri, ma vi era ancora nell’adempimento della profezia fatta da Gesù Cristo sulle persecuzioni. Gesù Cristo aveva chiaramente profetato ai seguaci suoi « che sarebbero stati trascinati innanzi ai tri bunali, davanti ai governatori, ai re, ai presidi per rendergli testimonianza…, che sarebbero stati gettati in carcere, flagellati, straziati uccisi per il suo nome ».

— Ma questa predizione di Gesù Cristo si può chiamare profezia!

Senza dubbio, si può e si deve.

— E non era naturale il prevedere e predire che i pagani si sarebbero levati su a perseguitare i cristiani?

Era naturale il prevedere e predire che i pagani si opponessero alla dottrina dei cristiani, perché si trattava di una dottrina che contrastava la loro vita malvagia, ma non era naturale affatto il prevedere e predire quell’odio così furibondo e quelle persecuzioni così atroci, che si scatenavano contro di loro, mentre in tutto l’impero romano e specialmente a Roma vi era la massima libertà di culto. Si poteva dunque tutto al più prevedere e predire che sarebbero stati non curati o guardati con disprezzo, ma non già così ferocemente perseguitati. Avendo dunque Gesù Cristo fatta una vera profezia intorno alle persecuzioni de’ suoi seguaci e questa essendosi perfettamente avverata in una carneficina, che durò trecento anni, il martirio perciò si deve riguardare ancora come un fatto divino per essere l’adempimento di un oracolo divino. Di maniera che ben si può dire che nel martirio cristiano vi sono le due più grandi forze che siano al mondo: la testimonianza degli uomini al suo grado più alto e la testimonianza di Dio: la Chiesa che afferma col sangue de’ suoi figli la rivelazione divina, e Dio che interviene e si manifesta in questa affermazione della Chiesa. E così il martirio cristiano si può riguardare come la prova massima della verità della fede.

— Sì, davvero, dinanzi a tale prova bisogna essere ben ciechi e maligni per non darsi vinti e non credere fermamente l’insegnamento cristiano.

G. FRASSINETTI: CATECHISMO DOGMATICO (VI)

[Giuseppe Frassinetti, priore di S. Sabina di Genova:

Catechismo dogmatico

Ed. Quinta, P. Piccadori, Parma, 1860]

CAPITOLO V.

DELLA GRAZIA DI DIO.

§ 1.

Nozioni delle varie sorti di Grazia, e particolarmente della Grazia Attuale.

— Che cosa s’intende sotto il nome di grazia di Cristo?

Un dono soprannaturale di Dio, il quale a riguardo dei meriti di Gesù Cristo è conferito all’uomo gratuitamente, perché conseguisca il suo fine soprannaturale, che è la salvezza eterna. Da questa definizione si vede, che sotto il nome di grazia di Cristo non intendiamo di parlare delle grazie naturali quali sono per esempio la sanità, o il buono ingegno; nemmeno della grazia concessa al primo uomo nello stato d’innocenza, ed agli Angeli; ma della grazia medicinale del Salvatore, la quale si concede all’uomo dopo la caduta del peccato originale a riguardo dei meriti del Salvatore medesimo.

— Come si divide questa grazia?

Si divide in grazia esterna, in grazia interna, e in grazia gratis data. Le grazie esterne sono gli esempi di Cristo, la predicazione del Santo Vangelo ecc. Le grazie interne sono le buone inspirazioni, i doni dello Spirito Santo. Le grazie gratis date sono quelle che si danno all’uomo non tanto per il di lui proprio vantaggio quanto per l’altrui, come i doni di profezia, di discrezione di spirito, di miracoli ecc. Ma la grazia della quale noi più di proposito vogliamo parlare è quella che si chiama dalle scuole: gratia interna gratum faciens, la quale è un dono soprannaturale particolarmente diretto alla spirituale salute di colui a cui si concede, e questa si divide in grazia attuale e grazia santificante, ovvero abituale.

— Quale é la grazia attuale?

Le grazie attuali sono quegli aiuti detti dalle scuole transeuntia, noi diremmo passeggieri, transitorii, momentanei, con i quali Dio, di volta in volta, aiuta la nostra debolezza affinché operiamo il bene, e non commettiamo il male in ordine alla salute dell’anima.

— Quale è la grazia santificante, ovvero abituale?

La grazia santificante è un dono di Dio soprannaturale, permanente e inerente per modo di abito all’anima nostra, mediante il quale l’uomo addiviene giusto e amico di Dio, perciò figlio di Dio adottivo, adottivo fratello di Gesù Cristo, ed erede del Paradiso.

— Potrebbe con qualche similitudine spiegarmi meglio la diversità che passa tra la grazia attuale e la grazia santificante?

Immaginatevi un fanciullino che sia caduto in un lago di fango. Questo fanciullo non ha forza per drizzarsi da sé, e ha bisogno di una veste asciutta e monda, perché la sua è tutta molle e sporca di fango. Arriva la madre, quanto prima gli dà la mano perché si rialzi, poi lo riveste com’è conveniente: ecco che al doppio bisogno del fanciullino corrisponde un doppio aiuto della madre; ma il primo è un aiuto passeggero, transitorio, momentaneo, giacché il rialzarlo che fa la madre non è cosa che gli resti indosso, per esprimermi materialmente; il secondo poi è un aiuto permanente; giacché la nuova veste di che lo copre resta indosso al fanciullino. Nell’aiuto che gli dà la madre perché si rialzi, ecco una similitudine della grazia attuale, nella veste che gli mette, eccone un’altra della grazia abituale: la prima è transitoria e la seconda è permanente, che resta all’uomo.

— La grazia attuale è necessaria all’uomo?

È dogma di Fede che l’uomo, senza la grazia soprannaturale di Dio, non può fare alcun bene conferente alla Vita Eterna. Or si deve dire che la grazia attuale è necessarissima, cosicché non possiamo fare la minima buona azione, che conferisca alla salute dell’anima se non ci muove, ossia se non ci eccita nel suo principio, se non ci accompagna nel suo decorso, e fin nel suo fine; e questa poi non solo è necessaria ai peccatori, ma anche ai giusti; cioè a quelli che hanno la grazia santificante. Dice Sant’Agostino che per quanto l’occhio sia sano, non può veder senza luce, così per quanto l’uomo sia giusto, non può operar bene senza la grazia che lo muova e l’accompagni nella sua buona opera e salutare.

— Senza la grazia non si possono vincere le tentazioni?

Nessuna tentazione si può vincere senza grazia soprannaturale, o per motivo d’amor di Dio, o per motivo di timor di Dio, che sia soprannaturale; perché chi vince la tentazione per alcuno di questi motivi fa un’opera buona, in se stessa meritoria e salutare per la vita eterna. Per altro alcune tentazioni si possono vincere, particolarmente le leggiere, per altri motivi, e in tal caso non sempre si richiede la grazia; io p. es. vinco la tentazione del furto per il timore del castigo, che vi assegna la legge civile; similmente vinco la tentazione di dire bugia temendo il rossore che me ne verrebbe se fosse conosciuta la mia mala fede; ecco che tali tentazioni sarebbero vinte per motivi naturali, niente conferenti alla vita eterna; in questo modo anche gl’infedeli e i peccatori più perduti vincono molte tentazioni. Però in generale bisogna dire che le tentazioni non si vincono senza grazia, giacché infinite sono quelle tentazione anche gravi alle quali si potrebbe acconsentire senza timore di mali temporali, e senza questo timore si può sempre acconsentirvi almeno con la compiacenza e col desiderio (Bellar. controv. de Grat. et lib. c. 7.).

— Senza la grazia non si possono osservare tutti i precetti della legge naturale?

Non si possono osservare tutti, particolarmente quelli contro i quali le tentazioni sono più forti e frequenti; segue da questo, che senza la grazia non si possono evitare tutti i peccati (Antoin. de Grat. cap. 5, art. 2, § 2).

— Per evitare in questa vita tutti e singoli i peccati veniali, è necessario che abbiano i giusti una grazia particolare?

Ella è verità definita dal Sacro Concilio di Trento (sess. VI, can. 23) che nemmeno i giusti possano evitare, in tutto il Corso della loro vita, tutti i peccati anche veniali senza uno speciale privilegio di Dio; il quale privilegio non consta che sia mai stato concesso a nessuno eccettuata la B. Vergine Maria, che non mai fu macchiata da qualsivoglia ombra di colpa.

— La grazia di perseverare fino alla morte nell’amicizia di Dio, cioè la grazia della perseveranza finale è un dono speciale di Dio?

Senza dubbio è un dono speciale; perciò il Sacro Concilio di Trento la chiama il gran dono (sess. VI, c. 16).

— La grazia attuale come si divide?

Si divide in efficace e sufficiente.

— Qual è la grazia efficace?

È quella che ottiene il suo effetto; p. es. Dio mi dà la grazia perché mi converta sinceramente a Lui, io non resisto a questa grazia, anzi vi coopero col mio libero arbitrio, e perciò mi converto in realtà: ecco che questa grazia è efficace, cioè ottiene il suo effetto.

— Qual è la grazia sufficiente?

⁕ È quella grazia la quale dà all’uomo forze bastanti per fare il bene ed evitare il male, alla quale però l’uomo resistendo con la sua cattiva volontà, essa non ottiene il suo effetto.

— Si potrebbe spiegare in altro modo l’efficacia e la sufficienza della grazia?

I Teologi formarono vari sistemi, e spiegarono chi in un modo, chi in un altro l’efficacia e la sufficienza della grazia; ma a noi in questa materia difficilissima basterà sapere ciò che è certo e non si può mettere in dubbio. È certo che vi sono delle grazie efficaci, le quali cioè ottengono il loro effetto. È certo che vi sono delle grazie solo sufficienti, alle quali si resiste e non ottengono il loro effetto; e questa è verità di Fede definita contro Giansenio. Queste grazie sufficienti devono essere capaci, cioè bastanti ad ottenere il loro effetto per cui si danno. Se non bastassero al loro fine sarebbero insufficienti, e una grazia sufficiente, che non basta, che cioè non è sufficiente, è una contraddizione. É certo che Dio vuole sinceramente la salute di tutti gli uomini, è certo che senza la sua grazia interiore e attuale, nessuno degli adulti si può salvare; dunque è certo che Dio non lascerà loro mancare i veri aiuti di grazia come mezzi assolutamente necessari per la consecuzione del fine, cioè della loro salvezza. Dunque tutti abbiamo grazie bastanti per salvarci e, se a queste cooperiamo, la nostra salute è in sicuro. « Ad ognuno, è dato lume e grazia che facendo quello che è in sé, si può salvare dando solo il suo consenso ». Questa é dottrina, e sono parole di S. Caterina da Genova, la cui autorità come tutti sanno deve valere a paragone di quella di un Teologo (vedi Vita del Muìneri cap. 11). D’altronde precisamente, e in tutto il rigore dell’espressione, questa è la credenza di tutto quanto il popolo Cristiano. Io in fine confesso che per tutti i sistemi mi valgono quelle belle parole del Concilio di Trento. « Dio non comanda cose impossibili; ma comandando ti avvisa di far ciò che puoi e di chiedere ciò che non puoi, ti aiuta intanto affinché tu possa.  I suoi Comandamenti non sono gravosi, il suo giogo è soave, il suo peso leggero … Quelli che ha giustificato una volta Egli non abbandona, se non è prima abbandonato da essi, » Ecco la consolante Dottrina dello Spirito Santo, tanto più consolante, perché infallibile.

— Si danno grazie necessitanti, le quali facciano operar l’uomo per necessità?

Queste non sarebbero grazie ma violenze: è articolo di Fede, che la grazia non toglie e non impedisce all’uomo l’uso della sua libertà, perciò tutto quello che si fa con la grazia, è tutto libero. Diceva S. Paolo: Io “posso ogni cosa in Colui che mi conforta”, non diceva, “… in colui che mi violenta”. È tanto di Fede che nelle buone opere vi ha parte la grazia, quanto è di Fede che vi ha parte il libero arbitrio.

— Iddio comparte mai alcuna grazia ai peccatori indurati e ostinati?

Vi sono certi peccatori, i quali per le loro iniquità e ostinazione nelle medesime, non hanno più quelle grazie ordinarie e prossime per fare il bene ed evitare il male che Dio comunemente concede; per altro loro non mancano alcune grazie remote, almeno per potere pregare ed ottenere misericordia, delle quali se si valessero, non mancherebbero poi della grazia della conversione. Il totale abbandono di Dio in questa vita, non si accorda col sentimento dei fedeli, i quali pensano che non si debba disperare della salvezza di alcuno finché vive; e non si accorda con S. Paolo il quale parlando ai peccatori indurati e impenitenti li avvisa che la benignità di Dio, li invita a penitenza (Ad Rom. cap. 2) (Antoin. de grat. cap. 4, art, 3, § 2).

— Che si dovrà dire degl’infedeli, i quali non hanno cognizione della vera Fede, perché loro non è annunziata?

Anche questi hanno alcune grazie, mediante le quali potrebbero osservare la legge naturale, e se costoro se ne valessero facendo ciò che loro è possibile con le forze naturali aiutate da quelle grazie, Dio o con mezzi ordinari o straordinari, li farebbe venire in cognizione della vera Fede, affinché si potessero salvare (S. Thom. in q. 14 de verit. art. 11 ad 1 (Dice pure che viene dalla nostra negligenza che noi manchiamo della grazia: « Defectus gratiæ prima causa est ex nobis » ( 1, 2, 112 art. 3). « Ex negligentia sua est ut quis gratìam non habeat. (De Verit. q. 24, art. 14 ).

— Le grazie attuali si danno ai meriti dell’uomo?

Questa sarebbe un’eresia chiaramente condannata dalle divine Scritture e dalle decisioni della Chiesa. Le grazie sono doni gratuiti, che Iddio concede a chi vuole e quando vuole (Conc. Trid. sess. VI, c. 5).

— Vuol dire dunque che i buoni non hanno alcun fondamento di sperare che Iddio tenga per loro una particolare provvidenza di grazie?

Questo sarebbe un altro errore; perché, sebbene le grazie non si possano meritare, Dio tuttavia nelle divine Scritture, promette ai buoni una speciale assistenza. « Gli occhi del Signore sono vigilanti sopra dei giusti, e le sue orecchie attente alle loro preghiere » (Salmo XXXIII). Perciò, quantunque Iddio non sia obbligato a fare grazie né ai giusti né ai peccatori, Egli, che ama chi lo ama ( Prov. VIII), abbonda ordinariamente di grazie maggiori con chi gli si mostra fedele: dico ordinariamente, perché alle volte per manifestare nei modi più mirabili la sua misericordia, concede grazie grandissime anche ai grandi peccatori. Tali le concesse a Davide, alla Maddalena, al buon ladrone, ecc.

§ II.

Della Grazia Santificante.

— Che cosa giustifica l’uomo?

La grazia santificante, la cui definizione fu data nel paragrafo antecedente nella risposta alla D. 4.

— La grazia santificante quando si acquista?

Si acquista nel Santo Battesimo.

— Acquistata che sia, si può perdere?

Si perde per qualunque peccato mortale, come con qualunque peccato mortale si perde la carità.

— Perduta che sia si può riacquistare?

Si può riacquistare mediante il Sacramento della Penitenza, il quale è instituito a questo fine: di togliere i peccati commessi dopo il Battesimo, e anche mediante la carità che inchiude il voto, ossia desiderio del Sacramento, come si dirà nel Capitolo seguente.

— Questa grazia santificante, è forse la stessa Giustizia di Gesù Cristo a noi imputata?

Il dire che la grazia santificante sia la stessa Giustizia di Gesù Cristo a noi imputata, è una eresia condannata dal Concilio di Trento (sess. VI). Questa grazia consiste in un dono soprannaturale non imputato, ma realmente conferito e che si fa intrinseco all’anima nostra, mediante il quale restiamo veramente giustificati, e veramente mondi dal peccato.

— Non si potrebbe dire, che la grazia santificante serve all’anima come di una veste, che copra e nasconda la bruttezza dei peccati?

Il dir questo sarebbe pure eresia, condannata dallo stesso Concilio. La grazia santificante non è estrinseca all’anima, come una veste è estrinseca al corpo che copre; e con l’infusione di questa grazia non si nascondono, non si coprono i peccati; ma assolutamente si tolgono e si scancellano; sicché non esistono più le loro macchie. In quella guisa che lavando una veste macchiata, le macchie non si coprono ma si tolgono, sicché non esistono più; Dio giustificando l’uomo con l’infusione della sua grazia, toglie i peccati dall’anima.

— Non basterà per la giustificazione dell’anima la sola Fede?

Questa sarebbe dottrina eretica condannata similmente dal S. Concilio di Trento (sess. VI). La Fede è soltanto la radice e il fondamento della giustificazione, come definì il Concilio; diversamente tutti i fedeli sarebbero in istato di grazia, e non si potrebbe trovare il peccato mortale, se non negl’infedeli. Per la giustificazione dell’uomo si richiedono anche le buone opere. La Fede senza buone opere è morta, lo dice S. Giacomo (cap. II, v. 20).

— Alcuni pensarono che solo fossero giustificati, e perciò solo avessero la grazia santificante, quelli che credessero fermamente di avere questa grazia, come si devono credere fermamente i dogmi della Fede: che direbbe di questa dottrina?

Essa è pure dottrina eretica condannata dal Concilio, anzi si deve notare che nessuno può credere fermamente di aver questa grazia, senza una speciale rivelazione di Dio.

— Dunque nessuno può essere certo di avere la grazia santificante?

Il Cristiano che non è conscio a se stesso di peccato mortale, o per non sapere di averne mai commesso, o per averlo confessato e detestato convenientemente nel caso che vi fosse già caduto, può essere certo di avere la grazia santificante; però la sua certezza non può essere ferma e sicura come la certezza infallibile con cui crediamo le verità della Fede. La ragione è che Dio ha rivelato le verità della Fede, e in esse perciò non vi può essere inganno; ma non ha rivelato né a questo, né a quello che non abbia mai commesso peccato mortale, o che dopo averlo commesso lo abbia convenientemente confessato e detestato, sicché ne abbia pure ottenuto il perdono. Per tanto nella certezza di essere in istato di grazia è possibile che l’uomo s’inganni.

— Per qual ragione Iddio ci lascia in questa incertezza?

Affinché il timore ci sia di uno sprone continuo, che ci stimoli ad assicurarci sempre più il possesso della sua grazia mediante l’esercizio delle virtù cristiane, e in tal modo si accrescano i nostri meriti per la vita eterna. Per altro noi possiamo essere certi di avere la grazia santificante non di certezza infallibile e divina, ma di certezza morale ed umana. Bisogna anzi guardarsi dall’avere in questo punto un timore soverchio, perché questo diminuirebbe la confidenza in Dio, e il suo amore (Bellarm. Controv. de Just, lib. 3. c. 11).

— Quale sarà il più forte argomento che noi possiamo avere di essere in istato di grazia?

Ascoltatelo da S. Francesco di Sales riportato da S. Alfonso Liguori (Trat.di am. G. C. Cap. 8), ambedue erano» grandi Teologi. – « La maggior sicurezza che noi possiamo avere in questo mondo di essere in grazia di Dio, non consiste già nei sentimenti che abbiamo del suo amore, ma nel puro ed irrevocabile abbandonamento di tutto il nostro affetto nelle sue mani, e nella risoluzione ferma di non mai consentire ad alcuno peccato né grande, né piccolo »  Rassegniamoci dunque tutti in Dio, siamo risoluti di soffrire qualunque cosa più tosto che offenderlo con avvertenza anche nelle minime cose, e avremo il più forte argomento che possa aversi in terra: di possedere il gran tesoro della grazia santificante.

— La grazia santificante può avere aumento nell’anima del giusto?

Questa è verità di Fede definita dal Sacro Concilio di Trento (sess. VI. e XXIV), e questo aumento si acquista mediante le buone opere.

— Vuol dire dunque che la grazia santificante si può meritare?

La grazia della giustificazione non si può meritare, essa è un dono gratuito di Dio, e ciò è di Fede; pertanto nessuno che sia in peccato si può meritare che Dio gli perdoni e lo arricchisca della grazia santificante; per altro il giusto, cioè quegli che possiede la grazia santificante, con le sue buone opere (come si spiegherà nel paragrafo seguente) merita veramente un accrescimento di questa grazia.

— La grazia santificante è necessaria alle buone opere?

È necessaria affinché le buone opere siano meritorie della vita eterna, per altro si possono fare delle opere che siano buone anche d’innanzi a Dio senza la grazia santificante. Si vede infatti che Dio accettò le limosine del Centurione che era infedele. Daniele consigliava Nabucodònosor a fare delle limosine ecc., e perciò i peccatori devono anzi procurare di fare buone opere, le quali quantunque loro non serviranno per il merito della vita eterna, serviranno per altro onde impetrino con quelle, misericordia da Dio.

— Alcuni dissero che tutte le opere degli infedeli e peccatori sono peccati.

Questo errore detestabile fu condannato nelle proposizioni di Baio XXV e XXXV, dai Sommi Pontefici S. Pio V, Gregorio XIII e Urbano VIII. Dico errore detestabile, perché mette i peccatori nella disperazione, e loro toglie l’uso di quei mezzi, cioè delle buone opere, con i quali otterrebbero misericordia da Dio, e la grazia della conversione.

— La grazia santificante è la stessa cosa che la carità?

L’opinione più probabile è che sia la stessa cosa, alcuni per altro pensano che sia un dono distinto della carità. Comunque sia la cosa, è certo che chi ha la carità ha la grazia santificante, e chi ha la grazia santificante ha la carità.

§ III.

Del merito delle Opere buone.

— Le buone opere sono meritorie?

È verità di Fede definita dal Sacrosanto Concilio di Trento, che con le buone opere fatte in grazia, si merita veramente l’accrescimento della grazia medesima; cioè della grazia santificante, e la vita eterna (Conc. Trid.. sess. VI, c. 32 ).

— Come è possibile che con lo opere buone, le quali per molte e grandi che siano, non hanno proporzione alcuna con la preziosità di un premio eterno, si possa meritare il Paradiso, e meritarlo veramente?

Bisogna considerare, che con le nostre buone opere riguardate da per se stesse solamente, non potremmo meritarci la vita eterna, perché non vi sarebbe alcuna proporzione tra queste opere e il premio che loro si dà. Ma le nostre buone opere, dobbiamo considerarle come nobilitate dai meriti infiniti di Gesù Cristo, e innalzate a tanto di dignità e di valore da questi meriti, che v’ha benissimo proporzione tra esse e la vita eterna. Di più bisogna presupporre la divina promessa, con la quale Dio si obbligò a premiarle in tal modo; questa è quella divina promessa che rende Iddio in largo senso obbligato verso di noi a ricompensarci con quel premio. Dico in largo senso, perché Iddio non può essere obbligato a un debito rigoroso verso di noi; ma resta obbligato alla sua stessa infinita fedeltà, la quale esige che alle sue promesse non manchi. Perciò si vede che la vita eterna è vera grazia e vera mercede; è vera grazia, perché tutti i nostri meriti nascono dalla grazia di Dio, e per un semplice tratto della divina bontà le nostre opere buone furono innalzate a tanto valore di meritarci il Paradiso, il quale inoltre per un semplice tratto della divina bontà loro fu promesso; è però insieme vera mercede, perché stante la loro soprannaturale eccellenza e dignità, e stante la divina promessa con cui Dio si è obbligato a premiarle, loro si deve veramente un tal premio. Perciò, come è definito contro gli eretici, con le buone opere fatte in grazia, meritiamo veramente, non solo l’aumento della stessa grazia, ma anche la Vita Eterna. (Antoine Tract. de Grat., cap, 7, art. 1, § 2. Besp, ad, 3, et nota ad Resp. ad 6).

— Quali condizioni devono avere le buone opere, affinché siano meritorie?

La prima è, che le buone opere si facciano dagli uomini viatori, cioè durante questa vita; perciò i Santi in Cielo, che non sono più viatori, ma arrivati al termine e hanno conseguito il loro fine, non possono più meritare. La seconda è che siano libere; perché l’uomo meriti bisogna che sappia quel che fa e che possa fare, e non fare quel che fa. La terza che siano fatte dall’uomo giusto, ossia in istato di grazia come già si è accennato. La quarta, che siano opere buone per bontà soprannaturale, o per sé stesse come il ricevere i Sacramenti, o almeno per il fine, come il viaggio ad un Santuario per venerarvi una devota immagine di Maria Ss. Queste quattro, oltre la divina promessa, che si suppone, sono le condizioni che necessariamente e senza alcun dubbio, si richiedono nelle opere buone perché siano veramente meritorie, come si può vedere nei Teologi.

— Per qual ragione dice il Concilio che si merita l’aumento della grazia?

Perché come definì lo stesso Concilio (sess. VIII. c. 8), la prima grazia santificante non si può veramente meritare. Il peccatore che è privo della grazia può impetrarla con preghiere e buone opere, ma meritarla veramente non può, non avendo le sue preghiere e buone opere tanto valore; quando poi ottiene la grazia santificante, e perciò resta giustificato con le buone opere che fa in seguito, merita veramente l’aumento di detta grazia (Antoine ut sup. art. 6 ).

— Mi spieghi meglio la seconda condizione la quale esige che le buone opere siano libere?

Tanto per meritare quanto per demeritare davanti a Dio, cioè tanto per fare una buona opera che sia degna di ricompensa, quanto per fare un peccato che sia degno di castigo, si richiede nell’uomo libertà, e questa libertà richiede cognizione e determinazione non violentata o necessitata da qualunque causa, o esterna, o interna. Richiede cognizione; e perciò se io faccio un dono a un povero credendolo ricco, il mio dono non ha il merito della limosina, come se io dessi il veleno ad alcuno, credendo dargli una salubre bevanda, io non avrei il reato dell’omicidio. Richiede determinazione senza violenza di causa esterna, e perciò se alcuno, p. es., mi facesse prostrare a viva forza innanzi al Ss. Sacramento, io non avrei il merito dell’adorazione, e se mi facesse prostrare innanzi ad un idolo, io non avrei il reato della idolatria. Bisogna pure che non vi sia violenza, o necessità proveniente da causa interna; e perciò se la grazia di Dio sforzasse la nostra volontà come immaginò Calvino, o irresistibilmente la traesse come insegnò Giansenio, non vi potrebbe essere alcun merito nelle opere buone; e se in pari modo la concupiscenza la sforzasse e la traesse, ugualmente non vi potrebbe essere demerito alcuno nelle opere cattive. E in verità ciò che non si potrebbe supporre negli uomini senza far loro gran torto, si dovrà supporre in Dio? Se vi fosse un Sovrano che premiasse le azioni buone fatto da chi non potesse a meno di farle, e punisse le azioni cattive commesse da chi non potesse a meno di commetterle, non si direbbe nel primo caso che è uno stupido, e nel secondo che è un tiranno? Dopo questo facilmente s’intenderà perché dicasi che, onde l’uomo meriti con le sue buone opere, bisogna che sappia quel che fa, e che sia in suo potere di fare, o non fare quel che fa. Che il libero arbitrio sia restato all’uomo dopo il peccato originale, è verità di Fede definita dal sacrosanto Concilio di Trento (sess. VI, cara. 5). Che per meritare e demeritare si richieda nell’uomo la libertà, immune non solo da qualunque violenza, ma anche da qualunque necessità, è verità definita di Fede nella condanna della terza proposizione di Giansenio. Prima di Giansenio aveva bestemmiato Baio che un uomo pecca e merita punizione anche nelle cose che fa necessariamente ».

NESSUNO PUO’ SALVARSI AL DI FUORI DELLA CHIESA ROMANA

Pio IX: Nessuno si può salvare al di fuori della Chiesa romana 

Fonte: “IL DOGMA CATTOLICO”

Di Michael Müller, C.SS.R
New York, Cincinnati e Chicago:
FRATELLI BENZIGER

Stampatori per la Santa Sede Apostolica
Permissu Superiorum, 1888 d. C.

In un’allocazione tenuta da Pio IX. il 9 dicembre 1854, Sua Santità dice: “Non è senza dolore che abbiamo saputo di un altro, non meno pernicioso errore, che è stato diffuso in diverse parti dei paesi cattolici, ed è stato fatto proprio da molti cattolici, che sono dell’opinione che coloro che non sono membri della vera Chiesa di Cristo possano essere salvati. Quindi discutono spesso la questione riguardante il futuro destino e la condizione di coloro che muoiono senza aver professato la fede cattolica, e danno le ragioni più futili a sostegno della loro cattiva opinione …

È davvero di fede che nessuno può essere salvato al di fuori della Chiesa Apostolica Romana, che è l’unica arca della salvezza, e che colui che non è entrato in essa, perirà nel diluvio”.

Nella sua Lettera Enciclica, Quanto conficiamur, datata 10 agosto 1863, Papa Pio IX dice: “Devo menzionare e condannare di nuovo quel più pernicioso errore in cui vivono alcuni cattolici, che sono dell’opinione che quelle persone che vivono nell’errore e non hanno la vera fede, e siano separate dall’unità cattolica, possano ottenere la vita eterna. Ora questa opinione è molto contraria alla fede cattolica, come è evidente dalle semplici parole di Cristo: “.. Se non ascolterà la Chiesa, sia per te come un pagano e un pubblicano”. Matt. XIII, 17; colui che non crede, sarà condannato. “Marco, XVI, 16: “Colui che ti disprezza, disprezza me; e colui che mi disprezza, ha disprezzato Colui che mi ha mandato “. Luca, X, 16:” Colui che non crede, è già giudicato”. Giovanni, III. 18; “È di fede che, poiché c’è un solo Dio, così anche c’è una sola fede e un solo Battesimo. Andare al di là di questo nelle nostre dichiarazioni significa essere empi. ” (Allocuzione, 9 dicembre 1854.)

Il 18 giugno 1871, papa Pio IX, rispondendo a una delegazione francese guidata dal vescovo di Nevers, disse: “Figli miei, le mie parole devono esprimervi ciò che ho nel cuore. Ciò che affligge il vostro paese e gli impedisce di meritare le benedizioni di Dio, è la mescolanza di principi di cui ora parlerò e che non mi da pace. Ciò che temo non è la Comune di Parigi, quegli uomini miserabili, quei veri demoni dell’inferno che vagano sulla faccia della terra – no, non la Comune di Parigi temo; quello che temo è il cattolicesimo liberale…. L’ho detto più di quaranta volte, e ve lo ripeto ora, per l’amore che vi porto. La vera piaga della Francia è il cattolicesimo liberale, che si sforza di unire due principi, che si ripugnano l’un l’altro come il fuoco e l’acqua. Figli miei, vi scongiuro di astenervi da quelle dottrine che vi stanno distruggendo … se questo errore non viene fermato, porterà alla rovina della religione e della Francia”. In un breve, datato 9 luglio 1871, a Mons. De Segur, il Santo Padre dice: ” Non sono solo le sette infedeli che stanno cospirando contro la Chiesa e la Società che la Santa Sede ha spesso rimproverato, ma anche quegli uomini che, pensando di agire in buona fede e con rette intenzioni, sbagliano nel carezzare le dottrine liberali“. Il 28 luglio 1873, Sua Santità si espresse ancora così: “I membri della Società Cattolica di Quimper non corrono certo il rischio di essere allontanati dalla loro obbedienza alla Sede Apostolica dagli scritti e dagli sforzi dei nemici dichiarati della Chiesa, ma possono scivolare giù per il pendio di quelle cosiddette opinioni liberali che sono state adottate da molti cattolici, per altro onesti e devoti, che, per l’influenza del loro carattere religioso, possono facilmente esercitare un potente ascendente sugli uomini, e portarli ad Opinioni molto perniciose. Dì, dunque, ai membri della Società Cattolica, che nelle numerose occasioni in cui abbiamo censurato coloro che hanno opinioni liberali, non intendevamo quelli che odiano la Chiesa, che sarebbe stato cosa inutile da riprovare, ma piuttosto quelli che abbiamo appena descritto: quegli uomini preservano e alimentano il veleno nascosto dei principi liberali, che hanno succhiato come latte della loro educazione, facendo finta che quei principi non siano infetti dalla malizia, e non possano interferire con la religione; così instillano questo veleno nella mente degli uomini e propagano i germi di quelle perturbazioni con le quali il mondo è stato a lungo oppresso “.

(Una vero est fidelium universalis Ecclesia, extra quam nullus omnino salvatur)

Una, è la Chiesa universale dei fedeli, fuori dalla quale nessuno assolutamente si salva …”

– (Quarto Concilio Lateranense,  1215, Costit. I: De fide Catholica) –

G. FRASSINETTI: CATECHISMO DOGMATICO (V)

[Giuseppe Frassinetti, priore di S. Sabina di Genova:

Catechismo dogmatico

Ed. Quinta, P. Piccadori, Parma, 1860]

CAP. IV

INCARNAZIONE DEL FIGLIO DI DIO.

§ I.

Nozione dl Mistero.

Come si definisce il mistero della Incarnazione?

Un mistero primario della Religione Cristiana, per il quale il Verbo Eterno inseparabilmente assunse in unità di Persona vera ed intera natura umana, per placare Iddio con i suoi patimenti e riconciliarlo col genere umano (Habert. de Incarn. c. 4).

— Perché lo chiamate mistero primario?

Perché è il fondamento della Cristiana Religione e l’appoggio di ogni nostra speranza.

— Perché si dice che il Verbo Eterno ecc.?

Per fare intendere che s’incarnò una Persona Divina, che perciò Cristo non è puro uomo, ma vero uomo e vero Dio; inoltre per denotare che sola si incarnò la seconda Persona della Ss. Trinità; e non si è incarnato né il Padre, né lo Spirito Santo (Habert ut sup.).

— Dunque l’Incarnazione del Figlio di Dio non è opera di tutta la Ss. Trinità? il Padre e lo Spirito Santo vi concorsero?

L’Incarnazione del Figlio di Dio è opera della Divina Onnipotenza, e perciò è opera della Ss. Trinità; vi concorsero dunque il Padre e lo Spirito Santo; per altro l’unione della natura umana si fece solo con la seconda Persona, solo il Figlio prese e assunse umana carne. Vi porterò un paragone materiale: figuratevi che Pietro si vesta, e siano Giacomo e Giovanni aiutandolo nel suo vestirsi, solo Pietro si mette la veste, ma Giacomo e Giovanni cooperano, concorrono al vestirsi di Pietro (ut sup.).

— Perché si mette quella parola. “inseparabilmente”?

Perché il Verbo avendo assunto la natura umana se la unì per non separarsene mai più; perciò morto Cristo sulla Croce si separò l’anima di Cristo dal suo corpo; ma il Verbo Eterno non si separò né dal corpo, che restò nel sepolcro, né dall’anima che discese al limbo; e per tutta l’Eternità Gesù Cristo sarà sempre vero Uomo e vero Dio (Habert ut sup.).

— Perché si dice che assunse la natura umana e non piuttosto l’uomo; non si potrebbe dire che si unì l’uomo?

Bisogna che intendiate che Dio non ha creato un’anima e un corpo, e non ne ha formato un uomo prima di unirselo nella Incarnazione; ma creò l’anima e il corpo assumendolo, ossia unendoselo alla sua Divina Persona; perciò il Verbo Eterno non prese persona umana, ma la natura umana. Chi dicesse che in Cristo vi sono due persone umana e Divina sarebbe un eretico: in Cristo vi sono due nature Divina ed umana; ma non due persone. Cristo è una sola Persona cioè la seconda della Ss. Trinità (ut mpra).

— Perché sarebbe eresia il dire che in Cristo vi sono due persone umana e Divina?

Perché la Chiesa ha condannato questo errore in Nestorio. Nestorio voleva che Cristo constasse di due persone umana e Divina unite insieme con il vincolo della carità; perché non voleva che Maria Ss. si chiamasse Madre di Dio, come madre della sola persona umana di Cristo, secondo il suo errore (ut supra).

— Dunque Maria è vera Madre dì Dio?

Questo è un articolo di fede, perché nel seno di Maria s’incarnò, e da Lei nacque Gesù Cristo Persona Divina (ut supra).

— Ammettendo di Gesù Cristo una sola Persona non si potrebbe anche dire che vi sia una sola natura?

Questa sarebbe l’eresia condannata in Eutichete. La Chiesa ha definito articolo di fede, che in Cristo vi sono due nature: umana e Divina, e una sola Persona Divina come si è detto; questo è che bisogna dire e credere fermamente (ut sup.).

— Quali conseguenze vengono da queste verità?

Che in Cristo si deve ammettere quella che è chiamata dai Teologi Communicatio idiomatum per la quale a Gesù Cristo si attribuiscano quelle proprietà ed attributi, che convengono tanto alla natura umana come alla natura Divina. Gesù Cristo perciò si dice nato e si dice eterno: nato perché la sua umanità ebbe principio nel seno di Maria Vergine; eterno perché la sua Divinità è sempre stata. Si dice limitato, e si dice immenso: limitato perché tale è la sua umanità; immenso perché tale è la sua Divinità; e così delle altre proprietà delle due nature (ut sup.).

— Si potrà dunque dire che l’umanità di Cristo è immensa, e che la sua Divinità è limitata?

Questo poi no; parlando assolutamente di Cristo, il quale è una sola Persona Divina, e ha due distinte nature, si può parlare di Lui come di Dio, e come di Uomo; ma quando si parla della sua Divinità o della sua Umanità separatamente, non si può fare questa reciproca comunicazione. Perciò bisogna dire che l’umanità di Cristo è limitata, immensa la sua divinità; che la sua umanità ebbe principio nel tempo, che la sua Divinità è eterna ecc.

— Quali altre conseguenze ne vengono?

Che Cristo si deve dire Figlio di Dio naturale, e non si deve chiamare Figlio di Dio adottivo, nemmeno come Uomo; e così ha definito la Chiesa contro alcuni eretici: Che Cristo si deve adorare col supremo culto di Latria, e non di Dulìa, o di Iperdulìa, come si adorano i Santi e Maria Ss.; Che le azioni di Cristo ebbero un merito infinito; Che Maria è vera Madre di Dio, ed altre conseguenze che si possono vedere nei Teologi.

— Se Maria Ss. devesi chiamare Madre di Dio perché nel suo seno s’incarnò il Figliuolo di Dio, si dovrà chiamare Padre di Dio lo Spirito Santo, mediante la cui operazione nel seno di Maria Vergine s’incarnò.

Perché uno si possa chiamar padre bisogna che conferisca della sua sostanza al figlio; lo Spirito Santo non conferì la sostanza alla formazione del corpo del Verbo Incarnato. Questa sostanza la somministrò soltanto Maria, dal cui purissimo sangue per virtù dello Spirito Santo, si formò il corpo di Gesù Cristo (Habert de Incarn., c. 1).

— Perché si dice inoltre che Cristo prese vera ed intera la natura umana?

Per allontanarsi dall’errore di quelli eretici, i quali insegnarono che Cristo aveva preso un corpo aereo, ed apparente, e perciò che non aveva preso vera carne umana. Similmente per indicare ch’Egli prese vera anima umana ragionevole, contro l’errore di altri eretici, i quali pensarono che Cristo avesse preso soltanto il corpo, o pure ammettendo che avesse preso l’anima, dicevano che non era un’anima umana, cioè non ragionevole; perché pensavano che in Cristo facesse le veci dell’anima il Verbo Eterno (Habert ut sup.).

— Per qual ragione si dice infine: per placare Iddio con i suoi patimenti, e riconciliarlo col genere umano?

Con queste parole si nota il fine dell’Incarnazione, il quale fu quello di liberare gli uomini dal peccato, e dal castigo che il peccato si merita; e si nota il mezzo che adoprò Cristo pel conseguimento di questo fine, ciò la sua passione, e la sua morte, mediante la quale la Divina Giustizia restò placata verso di noi.

— Cristo ha patito realmente, ha cioè veramente sentito quei dolori interni ed esterni che dimostrò di patire?

È di fede che Cristo abbia patito realmente, come è di fede che abbia preso vera umana carne. Il Verbo Eterno ha preso un corpo umano soggetto alla fame, alla stanchezza, alle ferite, al dolore, passibile e mortale, e veramente patì tutto ciò che dei suoi patimenti raccontano i Santi Evangelisti. Prese pure un’anima umana la quale era capace di tristezza, di tedio, di afflizione come quella degli altri uomini, con questa diversità che noi soffriamo tristezze, tedii, afflizioni che non possiamo bene spesso né togliere, né alleggerire con la nostra volontà; invece l’anima di Cristo regolava da padrona queste passioni, e le soffriva in quel grado che ella voleva (Habert ut sup.).

— È di fede che Cristo ci abbia meritato il perdono dei peccati, le grazie necessarie alla salute e ci abbia rimesso nel diritto, che avevamo perduto, alla vita eterna?

Queste sono verità di Fede, Gesù Cristo con le sue umiliazioni, e patimenti oltre all’aversi meritato la gloria del suo corpo, e l’esaltazione del suo nome, come dice S. Paolo (ad Philipp. II), ha meritato a noi ogni grazia soprannaturale; ed ha meritato non solo per quelli che vennero dopo il tempo della sua Incarnazione; ma anche per quelli che vissero prima di quel tempo; sicché tutte le grazie soprannaturali concesse agli uomini anche prima della sua Incarnazione, loro furono meritate da Gesù Cristo, cioè le ottennero a riguardo dei meriti di Gesù Cristo che doveva venire a soddisfare per i peccati di tutto il mondo, ed ottenere agli uomini ogni bene salutare per la vita eterna.

— Se Egli a tutti gli uomini ha meritato la vita eterna, vuol dire che tutti si salveranno?

Ha meritato la vita eterna a tutti gli uomini, per altro esige la cooperazione degli uomini per il conseguimento della medesima. Non ha meritato che gli uomini fossero sforzati a salvarsi, ma ha meritato che si potessero salvare volendo con la sua grazia; perciò nonostante i suoi meriti soprabbondanti, e capaci a salvare innumerevoli uomini di più di quanti ne esistettero, ne esistono, e ne esisteranno, chi vuole dannarsi si danna, come vediamo che fa la maggior parte degli uomini, i quali abusandosi della propria libertà, vanno perduti.

— Dio non avrebbe potuto in altro modo salvare gli uomini senza farsi uomo?

Di potenza assoluta avrebbe potuto salvarci in altra maniera. Ma Egli ha scelto questo modo per avere una condegna soddisfazione dell’ingiuria che gli fece il peccato. Bisogna notare che Dio di potenza assoluta avrebbe potuto perdonare il peccato senza esigerne alcuna soddisfazione, o accettando la soddisfazione, che gli fosse stata offerta da qualche santa creatura, p. es. da un Angelo; questa soddisfazione però sarebbe stata sproporzionata all’ingiuria ricevuta (Antoin. tract. de Incarn, cap. 1. est. 3).

— Per qual ragione adunque Dio ha scelto più quel modo che un altro?

Noi non dobbiamo cercare a Dio la ragione delle sue operazioni; per altro possiamo dire che scelse questo modo, perché era convenientissimo; restando in tal maniera pienamente soddisfatta la sua Divina Giustizia, e venendo manifestati in un grado incomparabile gli altri suoi attributi, come la Clemenza, la Sapienza, l’Onnipotenza ecc. Inoltre questo era il modo più efficace per conciliarsi il nostro amore; giacché un Dio che si fa uomo, si assoggetta ai patimenti, alla morte per salvare gli uomini, è un tratto di amore così eccessivo da obbligare anche i cuori più duri ad amar questo Dio (Antoin. ut sup. art. 2).

— Dio era obbligato a rimediare in qualche modo alla nostra rovina, nella quale eravamo incorsi per lo peccato?

Che abbia rimediato ai nostri mali fu un tratto della sua infinita Misericordia, e giustamente poteva abbandonarci nel peccato, e nelle sue conseguenze.

— L’Incarnazione del Figliuolo di Dio fu predetta prima che si sia effettuata?

Fu predetta subito dopo il peccato di Adamo e ne parlarono in seguito tutti i Profeti; perciò Gesù Cristo era aspettato dal Popolo Ebreo, e gli stessi Gentili, come si ricava dalle storie profane, aspettavano un Salvatore.

— Per qual ragione il Popolo Ebreo non volle riconoscerlo quando è venuto?

Per la sua superbia e ostinazione nei suoi pregiudizi. Il Popolo Ebreo fu assolutamente inescusabile, perché esso aveva le Profezie che ne parlavano chiaramente, e queste Profezie si vedevano avverate in Gesù Cristo.

§ II.

Del Corpo e dell’Anima di Cristo.

— Si deve dire che il Corpo di Gesù Cristo constasse di carne umana, e che Egli perciò siasi fatto figlio di Adamo?

Abbiamo già notato essere verità Cattolica che Cristo ha preso umana carne vera e reale come è quella degli altri uomini, con questa differenza, che Egli non  l’ha presa per opera di uomo, ma per opera dello Spirito Santo: perciò avendo preso vera, e reale umana carne si è fatto figlio di Adamo.

— S. Giuseppe Sposo di Maria non fu il Padre di Gesù?

Giuseppe fu Sposo di Maria; ma restò sempre vergine, e lasciò sempre Vergine Maria Ss. Sarebbe una eresia il dire che S. Giuseppe fosse vero Padre di Gesù Cristo; ne era Padre putativo, cioè creduto tale dalle persone, le quali sapendo che aveva sposato, ed abitava con Maria, vedendo che Ella aveva avuto un figliuolo, pensavano che lo avesse avuto da Giuseppe; ma invece S. Giuseppe visse sempre con Maria Ss., come se fosse stato suo fratello, e nulla più.

— Maria Ss. come ha potuto avere un figliuolo restando Vergine?

Questo è un miracolo della Onnipotenza di Dio, e miracolo tale, che non mai ne è succeduto un altro simile. Lo Spirito Santo, già abbiamo accennato, formò dal purissimo Sangue di Maria il Corpo di Gesù Cristo; al debito tempo Maria Ss. lo partorì nella stalla di Betlemme, restando pure allora Vergine come prima; perciò lo partorì senza alcuno spasimo, o dolore, e senza danno alcuno della sua inviolata integrità. Si noti essere articolo di fede che Maria fu Vergine prima del parto, nel parto, e dopo il parto, come definì il Concilio Generale di Calcedonia.

— Nel Santo Vangelo si nominano i fratelli di Gesù Cristo: vuol dire dunque che Maria Ss. ebbe altri figliuoli?

Gli Ebrei chiamavano col nome di fratelli anche gli altri parenti; perciò quelli erano parenti di Gesù Cristo, ma non suoi veri fratelli; e perciò Maria Ss. non ebbe altri figliuoli.

— Come é avvenuta la morte di Gesù Cristo?

Si separò l’anima dal suo corpo siccome avviene quando muoiono gli uomini, restando però, come già si é detto, unita la Divinità, cioè il Verbo Eterno, tanto al corpo quanto all’anima.

— Il corpo di Gesù Cristo in quel tempo che restò nel sepolcro aveva cominciato a corrompersi come avviene ai corpi dei morti?

Il corpo di Gesù Cristo non soffrì alcuna corruzione nel sepolcro: lo aveva predetto il Profeta Davide (Salmo XV).

— Per quanto tempo stette nel sepolcro il corpo di Cristo?

Parte del Venerdì, l’intero Sabato, e parte della Domenica. Nel mattino della Domenica, l’Anima si riunì di nuovo al suo corpo, e risuscitò glorioso, immortale e impassibile. Gesù Cristo in tal modo risorto, comparve molte volte ai suoi Discepoli, e dopo quaranta giorni dalla sua Risurrezione ascese al Cielo.

— Il Verbo Eterno facendosi uomo ha preso pure un’anima della stessa natura della nostra?

È articolo di Fede, come già abbiamo accennato, che il Verbo Eterno prese un’anima umana; e perciò della stessa natura che la nostra.

— In Cristo si deve riconoscere umana volontà, oltre la Divina?

È articolo di Fede che si debba riconoscere in Cristo umana volontà, la quale, sebbene libera come la nostra, fu però sempre uniforme alla Divina, non avendo mai voluto l’Anima di Cristo se non quello che voleva il Verbo Eterno. Questo articolo di Fede fu definito dalla Chiesa contro i Monoteliti, antichi eretici.

— In Cristo oltre le operazioni Divine si devono riconoscere anche le operazioni amane?

Essendo Cristo non solo vero Dio, ma anche vero Uomo, si devono certamente riconoscere in Lui operazioni umane; e in fatti quando nel Santo Vangelo leggiamo che Cristo soffrì fame, stanchezza, pianse, si attristò ecc., intendiamo subito che queste sono operazioni umane; però le umane operazioni di Cristo avevano un merito infinito stante che per l’unione ipostatica erano azioni di una Persona Divina (Habert de Incarn. Cap. I).

— L’Anima di Cristo era dotata di scienza?

L’Anima di Cristo fin dal primo momento della sua creazione, ebbe una piena e perfettissima scienza di tutte le cose; e sebbene crescendo poi Cristo in età, pareva, come nota il Vangelo, che crescesse nella scienza, in realtà non cresceva nella medesima, avendone avute subito la pienezza. L’anima di Cristo godeva pure della visione intuitiva di Dio, come ne godono i Santi in Paradiso, vedendo chiaramente la Persona del Verbo Eterno cui era unita ipostaticamente, e necessariamente insieme a quella, la Persona del Padre, e la Persona dello Spirito Santo.

— Se l’Anima di Cristo vedeva Dio chiaramente, doveva essere beata, e incapace di patire; come dunque può sussistere, con questa visione di Dio attribuita a Cristo, il dogma cattolico, che Cristo patì veramente nella sua Passione, e Morte?

È vero che la visione beatifica di Dio rende l’anima incapace di patire; ma per un gran miracolo della Divina Onnipotenza fu trattenuto, e a così dire raffrenato il gaudio che le veniva dalla visione di Dio nella parte superiore dell’anima, cioè intellettuale; affinché alla parte inferiore, cioè sensitiva, non si comunicasse, e in tal modo potesse patire; quindi veramente patì dolori interni ed esterni come ci insegna il Vangelo.

— Mi potrebbe meglio spiegare la cosa con una parità?

Osservate ciò che avviene nelle montagne molto alte; alle volte verso la metà delle medesime si condensano delle nuvole, e si formano delle tempeste mentre sulla cima risplende il sole. Per tanto chi è sulla cima del monte gode del Cielo sereno, chi è alle falde vede il Cielo nuvoloso ed è percosso dalla tempesta. Secondo il nostro modo d’intendere, avvenne le stesso nell’Anima di Cristo; la sua parte superiore, cioè intellettuale, godeva della chiara vista di Dio, la sua parte inferiore, cioè sensitiva, soffriva ogni genere di dolori, e di pene.

— L’Anima di Cristo vedendo e conoscendo Dio più chiaramente di qualunque creatura, arriva a comprenderlo, cioè a conoscerlo, quanto Dio comprende e conosce se stesso?

Abbiamo già notato (Cap. 2. § 4) che Dio, essendo incomprensibile, nessuna creatura lo può comprendere; perciò l’Anima di Gesù Cristo lo conosce più chiaramente di qualunque creatura, ma non lo comprende, cioè non lo conosce con quella pienezza di cognizione, con cui Dio conosce se stesso.

— L’Anima di Cristo era dotata di libertà?

Senza dubbio, altrimenti le sue operazioni non sarebbero state azioni umane, e sarebbe stata di una natura diversa dalla natura dell’anima nostra.

— Poteva peccare?

Unita ipostaticamente col Verbo Eterno non poteva peccare; anzi aveva la grazia detta di unione, ossia sostanziale, per la quale era santa sostanzialmente.

— Ebbe la grazia santificante?

L’ebbe in grado sommo, che eccede senza comparazione la grazia di tutti gli Angeli, di tutti i Santi, e della stessa Maria Ss. .

— Furono in Cristo tutte le virtù?

Senza dubbio, eccettuate quelle che suppongono il peccato o altra imperfezione; perché non poté avere la virtù della penitenza, giacché in Lui non si trovò cosa di cui si potesse pentire, né meno la virtù della Fede, o della Speranza, perché queste non possono ritrovarsi in un’anima che gode la vista intuitiva di Dio.

— L’Anima di Cristo, essendosi separata dal suo corpo quando morì sulla Croce, discese all’inferno?

È un articolo di Fede espresso nel Simbolo; però bisogna notare che sotto il nome d’inferno qui non s’intende l’inferno destinato ai demoni e ai dannati, ma quei luoghi sotterranei chiamati volgarmente col nome di Limbo, ove riposavano le Anime Sante di tutti i Giusti morti prima della venuta di Cristo, i quali aspettavano che, compita l’opera della Redenzione, loro fossero aperte le porte del Paradiso.

— I Giusti adunque morti prima dell’epoca della morte di Cristo non godevano in Cielo la vista di Dio?

Non la godevano: ma in somma pace e tranquillità riposavano nel Limbo. Quivi discese l’Anima di Cristo e li liberò da questa carcere per condurli al Cielo.

§ III.

Di vari titoli che convengono a Cristo, del culto che a Lui si deve, e di quello che compete ai suoi Santi.

— Quali titoli convengono a Cristo?

1. Egli è Figlio di Dio Naturale, e nemmeno considerandolo come Uomo si deve chiamare Figliuolo di Dio adottivo. 2. È Re secondo la Divinità non solo, ma anche secondo l’Umanità. 3. È Capo degli uomini e degli Angeli. 4. È Legislatore. 5. È Giudice. 6. È Sacerdote e Sacerdote in eterno. 7. È Mediatore, ossia Conciliatore di Dio con gli Uomini avendo pienamente, anzi sovrabbondantemente soddisfatto per essi appresso la Divina Giustizia (Habert de Incarn. e. 8).

— Cristo prega per noi il Divin Padre?

Dice S. Agostino che Cristo come Uomo prega per noi, e che, come Dio, esaudisce la preghiera insieme al Divin Padre: Christus homo prò nobis est orator, ut Deus est cum Patre exauditor (Habert ibid.).

— Quale culto si deve a Cristo?

Bisogna notare tre sorta di culto. Il primo è quello di Latria, che è l’adorazione somma ed assoluta con la quale si adora Dio per la sua Eccellenza increata ed infinita. Il secondo è di Dulia, e questa è l’adorazione con la quale si venera alcuna creatura per la sua dignità soprannaturale, non però eccellente in modo singolare. Il terzo di Iperdulìa, e questa è l’adorazione con la quale si onora una creatura per la sua dignità soprannaturale in modo singolare eccellente. Notate queste cose, è di fede che Cristo Uomo Dio, devesi adorare con adorazione di latria, e con adorazione di latria si deve pure adorare la sua Umanità, non per se stessa, ma per l’Increata e Infinita Eccellenza del Verbo Eterno, cui personalmente e sostanzialmente è unita (Antoin. de. Incarn. cap. 7. art. 1 et 2).

— A chi si deve il culto di Dulìa?

Si deve agli Angeli ed ai Santi, i quali hanno una dignità soprannaturale, ma non eccellente in modo singolare.

— A chi si deve il culto di Iperdulia?

Si deve soltanto a Maria Vergine, la quale ha una dignità soprannaturale, eccellente in modo singolare, essendo vera Madre di Dio come abbiamo detto.

— È cosa conveniente il venerare i Santi, gli Angeli, e Maria Vergine?

È cosa convenientissima, come fu sempre cosa convenientissima l’onorare gli amici, i ministri, e tanto più la Madre del Sovrano. I Sovrani in questa terra vedendo onorati i propri amici, ministri e madre, reputano fatto a loro stessi l’onore che si rende a quelli. Similmente Iddio si onora con l’onore reso ai Santi, agli Angeli, e a Maria Vergine.

— È ella cosa utile il ricorrere all’Intercessione dei Santi, degli Angeli, e di Maria?

É cosa utilissima: perché eglino ascoltano le nostre preghiere, sono zelantissimi del nostro bene, e ci ottengono le grazie delle quali abbisogniamo. Sopra tutto, è cosa utilissima il ricorrere all’intercessione di Maria Ss., perché Ella, appresso il suo Divin Figlio, è così potente con le sue preghiere, che ne varrebbe più una delle sue che tutte quelle degli Angeli e dei Santi tutti del Paradiso. La Chiesa ha sempre promosso con impegno singolarissimo la Divozione verso Maria Ss., la quale appunto consiste nel venerarla e nel pregarla ché interceda per noi. I Santi più distinti in scienza e pietà, si distinsero sempre per una specialissima devozione a Maria. Gli Autori che nella Chiesa godono il pregio di più sicura e immacolata dottrina, scrissero ognora grandi cose della Divozione a Maria; mentre il suo culto non è disapprovato che dagli eretici, e i poco devoti di Lei. sono solamente i poco buoni Cristiani. Mi perdoni perciò Maria, mi perdonino i suoi devoti, se io dico soltanto che la divozione a Maria è cosa utilissima; se ne dica di più senza timore di errare.

— Si esprimono bene, quelli che dicono che Maria fa delle grazie?

Si esprimono bene, perché la Chiesa domanda a Maria che faccia grazie: “Solve vincla reis, profer lumen cœcis etc;” per altro bisogna intendere che Maria le impetra, essendo certo che l’autore di ogni grazia è Dio, come l’Autore di ogni bene.

— Quali sono le cose espressamente definite di Fede a riguardo del culto dei Santi?

Il sacrosanto Concilio di Trento, nella sess. XXV, dichiarò di Fede che i Santi pregano per noi appresso Dio, e che è cosa buona ed utile l’invocarli supplichevolmente, perciò chi negasse queste verità, sarebbe un eretico.

— Si devono venerare le immagini Sante?

È cosa di Fede definita nel Concilio Niceno II, e nel Tridentino che si debbano venerare le sante immagini, riferendo però il culto che loro si presta o a Cristo, o alla Vergine, o ai Santi che rappresentano.

— Si devono pure venerare le reliquie dei Santi?

Il sacrosanto Concilio di Trento (sess. XXV) definì espressamente, che alle Reliquie dei Santi si deve venerazione ed onore; s’intende poi che speciale venerazione ed onore fra tutte le Reliquie merita il Legno della vera Croce di Cristo, come la più eccellente Reliquia che ci è rimasta del Salvatore.

LA PREGHIERA (Alapide, 3)

PREGHIERA (3)

[E. Barbier: I Tesori di Cornelio Alapide]

10. Come si può pregare sempre? — 11. Ma quando bisogna particolarmente pregare? — 12. Preghiera pubblica. — 13. La preghiera fatta in chiesa ha più efficacia. — 14. Bisogna pregare gli uni per gli altri. — 15. Delle varie preghiere in uso presso i cristiani. — 16. L’elevazione delle mani, nella preghiera, ci propizia Iddio ed è essa stessa una preghiera. — 17. Vi sono di quelli che pregano male. — 18. Errori che si commettono nella preghiera. — 19. Ostacoli alla buona riuscita della preghiera. — 20. Vi sono preghiere che invece di essere esaudite, meritano di essere punite. — 21. Disgrazia di quelli che non pregano. — 22. Mezzi per pregare bene.

10. Come si può pregare sempre? — Ma com’è mai possibile, dicono i partigiani del mondo, gli avari, i dissipati, come è possibile attendere di frequente alla preghiera, pregare, pregare sempre, in mezzo alle cure della famiglia, ai rumori e ai disturbi dei negozi? Senza contare che il tempo manca, come può reggere la mente ad una preghiera continua? Questa cosa è impossibile. Inganno ed errore: la cosa è non solamente possibile ma facilissima. Ascoltate come si può pregare sempre. – Il Venerabile Beda ci dà egli solo in due parole la soluzione di ogni difficoltà: « Sempre prega colui che fa tutte le sue azioni secondo Dio » dice il citato scrittore (In Sentent.). La stessa massima aveva già espresso S. Basilio con quelle altre consimili parole: «Chi si regola sempre bene prega sempre; la sua vita è una preghiera continua » (Hom in Iudittham mart.). Anche secondo S. Ambrogio, il giusto prega sempre, perché anche quando l’anima sua non prega, le opere ch’egli fa, intercedono per lui e tengono per lui il luogo di preghiera; anzi, perfino quando dorme, i fatti suoi risplendono innanzi al Signore e gli servono da patrocinatori presso Dio. Il peccatore medesimo che si trova in peccato mortale, prega sempre dal punto in cui desidera ardentemente di spezzare le sue catene e uscire dal peccato, pregando e offrendo a Dio i suoi sforzi, le sue azioni attuali per ottenere la grazia di convertirsi. Quindi se appena svegliati e levati, offrite a Dio il primo vostro pensiero, e le occupazioni giornaliere, il giorno intero sarà per voi una continua preghiera. Andate al lavoro? Fatene offerta a Dio, ed il vostro lavoro sarà una non interrotta preghiera. Vi sedete a mensa, o uscite a ricreazione? Offrite a Dio il vostro cibo, ricreatevi avendo lui in mente, e il cibo e il divertimento vi servirà di preghiera. Raccomandate a Dio il sonno prima di chiudere le palpebre, e il vostro sonno è una preghiera… Oh quanto ci arricchiremmo facilmente e senza disagio, se facessimo in questo modo! O come guadagneremmo il cielo quasi senza fatica, se veramente lo volessimo! Noi potremmo dire col Salmista: sebbene in altro senso: «Ebbero a bassissimo prezzo la terra desiderata » (Psalm. CV, 24).

11. Ma quando bisogna particolarmente pregare? — In 1° luogo bisogna pregare principalmente al mattino dopo che ci siamo levati: « Signore, dice il re profeta, voi ascoltate sul mattino la mia voce; in sui primi albori del giorno io mi presenterò a voi e contemplerò le opere vostre meravigliose » (Psalm. V, 4-5). « O Dio, Dio mio, io dono a voi i miei pensieri fin dall’aurora » (Psalm. LXII, 1). « Signore, io ho gridato a voi, e la mia preghiera salirà a voi di buon mattino » (Psalm. LXXXVII, 14). – Di buon mattino dobbiamo riempire il nostro cuore dei tesori della preghiera… L’Ecclesiastico ci dice che il vero savio « applicherà, in sul primo albeggiare dell’aurora, il suo cuore a pensare al Signore che lo ha fatto ed a pregare in presenza dell’Altissimo » (Eccli. XXXIX, 6); e l’autore della Sapienza ci fa notare che la manna la quale non poteva essere consumata dal fuoco, si squagliava al primo raggio di sole che l’avesse toccata, affinchè si rendesse a tutti manifesto che bisogna prevenire il sole per lodare Iddio, e conviene adorarlo sui primi albori del giorno (Sap. XVI, 27-28). – « Fin dal mattino, diceva S. Giovanni Climaco, io conosco la mia corsa di tutto il giorno » (Grad. VII); e voleva dire che la sua preghiera del mattino lo rischiarava e lo dirigeva per tutto il giorno, santificava la intera sua giornata. Questo eccellente vantaggio godrebbero tutti i cristiani, se tutti imitassero questo gran Santo… Con la preghiera del mattino; tutto il giorno è bene impiegato e Santificato. Si può quasi asserire che è intieramente profanato, triste e perduto quel giorno in cui si è trascurata la preghiera del mattino.

2° Bisogna pregare al principio ed alla fine di ogni azione… Con questo mezzo tutte le opere restano santificate; si schivano le azioni malvage, perchè non si può offrire a Dio quello che è cattivo.

3° Bisogna imitare il Salmista che diceva: « La sera, la mattina e al mezzodì invocherò il Signore, ed egli ascolterà la mia voce » (Psalm. LIV, 18). La Chiesa per ricordarci questa pia ed utile pratica e per incoraggiarci e aiutarci a seguirla, ha stabilito l’Angelus…

4° Bisogna pregare la sera, prima del riposo. Ascoltate il Salmista: « S’innalzi la mia preghiera come incenso al tuo cospetto; l’elevazione delle mie mani sia il mio sacrifìcio vespertino » (Psalm. CXL, 2).

5° Bisogna pregare nelle tentazioni, fra i pericoli, nelle infermità, quando si tratta della scelta dello stato, e generalmente in ogni affare di rilievo.

6° Bisogna particolarmente pregare nelle domeniche e nelle feste…

7° Bisogna pregare giunti all’età della ragione, in tutte le età della vita, e in tutti i luoghi, ma specialmente nell’ora suprema della morte.

 

12. Preghiera pubblica. — È cosa ottima la preghiera particolare, ma più potente ancora è presso Dio la preghiera pubblica. Dice Gesù Cristo : « Vi dico, in fede mia, che se due tra di voi si accordano su la terra per dimandare qualche cosa, l’otterranno dal Padre mio che è nei cieli, perchè dove si trovano due o tre congregati nel mio nome, io mi trovo in mezzo a loro » (Matth. XVIII, 19-20). – Il popolo tutto quanto pregò con Giuditta; quella preghiera operò prodigi… I Niniviti pregano tutti insieme, ottengono grazia… Gli Apostoli pregano insieme nel cenacolo, lo Spirito Santo discende sopra di loro, li colma de’ suoi doni… I primi Cristiani, unendosi agli Apostoli, fanno preghiere pubbliche, e ottengono la conversione dell’universo pagano. Ester suggerisce a Mardocheo che raduni tutto il popolo, e preghino tutti per lei mentre entrerà nelle stanze del re. Così fu fatto, ed in virtù di quella preghiera pubblica, Ester si rese celebre e gloriosa, cambiò Assuero, fece castigare Amano, liberò il suo popolo dalla strage, procurò grandissima gloria a Dio. Perciò in occasione di pubbliche calamità, di pesti, di carestie, di guerre e simili flagelli, la Chiesa ebbe sempre in uso di ricorrere alla preghiera pubblica. – Le preghiere pubbliche sono più efficaci presso Dio, che le altre, perchè nel numero vi sono sempre dei giusti mescolati coi peccatori, e Dio ascolta anche la preghiera dei peccatori, perchè unita a quella dei giusti… Principalmente nelle preghiere pubbliche lo Spirito Santo dimanda Egli medesimo per noi e supplica con gemiti ineffabili, come dice S. Paolo ai Romani (Rom, VIII, 26). I santi Padri dicono che lo Spirito Santo dimanda per noi, ossia si muove a domandare e gemere. Domanda poi con gemiti ineffabili, cioè celesti e divini, e per mezzo delle misteriose ispirazioni della grazia… Impariamo da questo, che la vera preghiera consiste nei gemiti, negli affetti, nei desideri, nelle orazioni giaculatorie, nei sospiri infocati. – Ma quantunque soli, noi possiamo in certo modo fare pubbliche preghiere, unendo la nostra intenzione a quella della Chiesa e domandando con essa, con tutti i suoi giusti ed i suoi santi, tutto quello che essa chiede a Dio. Vi è poi anche una preghiera comune che tutti possiamo fare. È perfetta e comune la preghiera di coloro che pregano col cuore, con l’anima, con lo spirito; che pregano con le parole, con la compostezza, col raccoglimento di tutti i sensi. Preghiera comune a tutto ciò che in noi può invocare il nome del Signore, è accoppiare insieme, quando preghiamo, la parola, l’attenzione, le buone opere, una vita santa, il corpo, l’anima, la volontà, lo spirito, il cuore. Questi sono come altrettanti esseri riuniti che pregano insieme; ed una preghiera cosiffatta è sempre la ben venuta, l’ascoltata, l’esaudita da Dio… Così pregava l’Apostolo il quale dice : « Che cosa farò io? Pregherò con lo spirito, con l’anima, col cuore » (I Cor. XIV, 15)… La più perfetta di tutte le preghiere pubbliche è la Messa, ossia il Sacrifizio dell’altare…

13. La preghiera fatta in chiesa ha più efficacia. — La preghiera che si fa in chiesa ha maggior pregio ed onora più Iddio, che fatta altrove, perché, 1° essendo la Chiesa la casa propria di Dio in questo mondo, la preghiera che vi si fa veste il carattere di pubblica invocazione, di lode, di adorazione a Dio in faccia a tutta la Chiesa. 2° Nella Chiesa, tutte le preghiere sono unite; quelle di Gesù Cristo, del sacerdote, dei fedeli. 3° Nel tempio, il giusto unito al peccatore viene in aiuto di questo. 4° Vi trova l’esempio degli altri, e questo esempio è di grande spinta e conforto. « Il Signore ha esaudito la mia preghiera nel suo santo tempio», diceva il re profeta (Psalm, XVII, 8). Il profeta Gioele dice che i sacerdoti, i ministri di Dio, piangeranno tra il vestibolo e l’altare, e grideranno: Perdonate, o Signore, perdonate al vostro popolo, e non abbandonate al vitupero la vostra eredità. E allora il Signore avrà pietà degli uomini, li risparmierà, e loro perdonerà; li colmerà de’ suoi favori e darà loro l’abbondanza dei frutti della terra (Ioel. II, 17-19). Salomone costruisce il tempio di Gerusalemme; e Dio gli annunzia e gli promette: « Io ho santificato questa casa da te fabbricata, per porre in essa il mio nome in eterno, e qui si volgeranno i miei sguardi, e quivi poserà il mio cuore per tutti i tempi » (II. Reg. IX, 3).

14. Bisogna pregare gli uni per gli altri. — « Pregate gli uni per gli altri, dice S. Giacomo, affinché andiate salvi », (Iac. V, 16). La carità ci invita e c’impone il debito di pregare gli uni per gli altri; a questo ci spinge l’esempio del Redentore, degli Apostoli e di tutti i Santi. « Padre santo, diceva Gesù a Dio Padre, io vi prego di conservare nel vostro nome quelli che a me avete dato, affinché siano tutti una sola cosa, come noi » (Ioann. XVII, 11). E tanto gli sta a cuore che preghiamo gli uni per gli altri, che non vuole esclusi da questa atto di carità i nemici medesimi; anzi ce ne ha fatto obbligo preciso, con quelle parole: «Pregate per quelli che vi perseguitano e calunniano » (Matth. V, 44), e suggellò il precetto con l’esempio, pubblicamente, in croce, allorché disse: «Padre, perdona loro (ai carnefici), perché non sanno quel che si fanno»  (Luc. XXIII, 34). «Noi pregheremo continuamente per tutti», dicevano gli Apostoli (Act, VI, 4). «Non cessiamo mai dal pregare per voi», scriveva San Paolo ai Colossesi (I, 3), e anche voi pregate per noi (IV, 3). Egli assicurava ai Romani, che faceva sempre ricordo di loro nelle sue orazioni (Rom. I, 9-10). A Timoteo poi raccomandava che si facessero nella sua chiesa preghiere, suppliche, domande, ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per quelli che sono in alto grado (I Tito. II, 1-2). La Chiesa prega ogni giorno per tutti: non solamente prega per i suoi membri, ma per tutti gli uomini; per i pagani, per gli eretici, per gli scismatici; prega per i suoi nemici, per i persecutori, per i suoi carnefici. « Per me, esclamava Samuele, Dio mi guardi da questo peccato, che cessi mai dal pregare per voi! » (I Reg. XII, 23). «Se Stefano non avesse pregato per Saulo, forse la Chiesa non avrebbe un San Paolo», scriveva S. Agostino (Epl. XCVII)… Pregare per gli altri è carità, e la carità è la prima condizione della preghiera. Ciascuno dunque, conchiudo con S. Agostino, preghi per tutti, e tutti preghino per ciascuno (Epl. XCVII).

15. Delle varie preghiere in uso presso i Cristiani. — La preghiera del mattino giova a passare santamente la giornata…; quella della sera si fa perché Dio ci benedica e conservi lungo la notte. Con l’invocazione che premettiamo al pranzo ed alla cena, noi dimostriamo e confessiamo : 1° che riconosciamo di avere da Dio le vivande ed ogni altra cosa; 2° che vogliamo prendere il cibo per amor di Dio; 3° che non mangiamo come le bestie; 4° domandiamo che quell’alimento giovi all’anima ed al corpo; 5° preghiamo per ricordarci di Dio, o aver altro buon pensiero durante il pasto; 6° affinché il cibo non sia per satana un mezzo con cui tentarci; 7° per non mangiare troppo o per golosità, ma solo secondo il bisogno; 8° per scacciare il demonio dagli alimenti, non meno che da noi. Il ringraziamento dopo la mensa si fa: 1° per ringraziare Iddio degli alimenti somministratici nella sua bontà; 2° per ottenere la grazia di farne buon uso; 3° perché non abusiamo del vigore e delle forze che quel cibo ci ha dato; 4° affinché Dio continui a somministrarci il pane di ogni giorno… – La preghiera prima del lavoro ha per fine di attirare sopra di noi e su le opere nostre la benedizione di Dio nell’ordine temporale e nello spirituale. La preghiera dopo il lavoro ha lo scopo di ringraziare Dio di averci insinuato l’amore al lavoro, che è una virtù, di averci dato il coraggio per lavorare, e di chiedergli perdono delle colpe o mancanze commesse nel lavorare. – L’Angelus è per onorare la Madre di Dio, la Santissima Trinità, e per ricordarci l’insigne benefizio dell’Incarnazione del Verbo e la grandezza nostra per la Redenzione. La preghiera della domenica vale a santificare il giorno del Signore e ad ottenere grazie per la settimana, ecc., ecc…

16. L’elevazione delle mani, nella preghiera, ci propizia Iddio ed è essa stessa una preghiera. — « Io offro il mio sacrificio della sera, innalzando le mani », diceva il Salmista (Psalm. CXL, 2). « Signore, esclama egli altre volte, io ho innalzato le mie mani verso di te; l’anima mia è come terra arsa da siccità; deh! esaudiscimi presto! » (Psalm. CXLII, 6-7). Leggiamo nell’Esodo, che quando Mosè innalzava le mani, Israele era vittorioso dei nemici; ma quando le abbassava Amalec trionfava (XVII, 11). Del resto, noi troviamo che fin dai primi tempi del cristianesimo gli Apostoli avevano stabilito questa pratica nelle preghiere pubbliche e private : « Voglio, scriveva S. Paolo a Timoteo, che gli uomini preghino in ogni luogo, alzando le mani pure » (I Tim., II, 8). – Ma con le mani dobbiamo innalzare anche i cuori nostri a Dio che è ne’ cieli, secondo l’avviso di Geremia (Lament. IlI, 41). A commento di queste parole, serve quel tratto di S. Gregorio : « Colui che convalida le sue preghiere con opere buone, alza le sue mani col cuore; come colui il quale prega senza aggiungervi le opere, alza il cuore ma non le mani; chi al contrario fa delle opere buone, ma non prega, costui alza le mani, non il cuore». A quelle parole del Prefazio della Messa il sacerdote alza le mani, e le tiene quindi in alto fino alla comunione… 1° Alzare le mani è atto da supplicante… 2° Noi tendiamo le mani come infelici che sul punto di naufragare, chiedono aiuto… 3° L’elevazione delie mani indica l’elevazione dell’anima a Dio… 4° Per l’estensione delle mani, noi ci offriamo a Dio e ci mettiamo nelle sue braccia divine… 5° Imitiamo la posizione di Gesù Cristo su la croce… 6° E il segnale della carità che abbraccia tutto il mondo… 7° Professiamo il nostro distacco dalla terra… 8° Accenniamo di tendere ed aspirare al cielo… 9° Facciamo violenza a Dio e, animati da confidenza, mostriamo di volere quasi afferrare con le mani quello che gli domandiamo… 10° Stendiamo le braccia come per avvinghiarci a colui che supplichiamo, per vincerlo e sforzarlo a farci misericordia, a patteggiare con noi, e a concederci l’oggetto dei nostri desideri… 11° Proclamiamo i meriti di Gesù crocifisso e li offriamo al Padre come mezzo efficacissimo di ottenere tutto ciò che domandiamo. Perciò il prete all’altare prega molte volte con le braccia stese in forma di croce. 12° Finalmente con questo atteggiamento mostriamo di voler respingere i nemici della nostra salute.

17. Vi sono di quelli che pregano male. — « Voi non sapete quello che domandate », disse Gesù Cristo agli Apostoli, a proposito della domanda da loro fatta di cosa non conveniente (Matth. XX, 22); a quanti si potrebbe dare questa risposta! « Voi domandate e non ricevete, perché chiedete male », a molti altri può ripetersi con S. Giacomo (Iac. IV, 3). – In tre modi può succedere che una persona parlando ad alcuno, non possa farsi intendere e capire: 1° o perché colui al quale si parla, non ode il suono delle parole; 2° o perché non ne afferra il significato; 3° o perché sta distratto in altri pensieri e non bada a quello che gli si dice… Dio ode tutto, intende tutto, comprende tutto, sta attento a tutto. Ma si vuol dire che talora non intende, o non sente, o non sta attento, perché non cura, anzi disprezza, la preghiera mal fatta, come se non badasse, o non udisse, o non intendesse. Perciò il Profeta, prima di mettersi in orazione, diceva al Signore: Porgete orecchio alle mie parole, ascoltate i gemiti miei, udite il grido del mio dolore, o mio re, o mio Dio; state attento alla mia preghiera (Psalm. V, 1-2). Egli chiede pertanto in sul principio che Dio l’intenda, presti l’orecchio, lo comprenda. Ora Dio disprezza, come se non intendesse il suono delle parole di colui che lo prega, quando costui è talmente distratto, che non capisce nemmeno egli medesimo quello che dice, ovvero prega con tanto torpore e tanta divagazione, che la sua preghiera non può levarsi in alto. Dio si regola come se non comprendesse quello che gli si domanda, quando chi prega non sa quello che dice, domandando quello che gli è inutile, ovvero anche nocevole, ancorché lo domandi con attenzione e desiderio. Finalmente Dio fa come chi è distratto, quando chi prega non è degno di essere ascoltato, o prega senza l’umiltà voluta, senza la confidenza necessaria e senza le altre disposizioni che devono accompagnare la preghiera, o quando, essendo peccatore, non ha nemmeno cominciato a pentirsi, a correggersi, a fare penitenza. – Il Salmista, inspirato dallo Spirito Santo, chiede dunque a Dio il dono di pregare bene, affinché gli sia dato di pregare come bisogna, acciocché Dio non rigetti la sua orazione, ma ne oda il suono, ne intenda il significato e l’ascolti. Il Salmista aggiunge, mio re, per ottenere più facilmente; perché un buon re suole esaudire il suo popolo. Soggiunge: mio Dio, per mostrare che in questo re egli vede il suo Dio di cui egli è creatura dipendente in tutto da lui, e che nulla può senza di lui… Dio né ascolta, né comprende, né guarda quelli che pregano male; e quindi non li esaudisce, non essendone meritevoli… .. – Oh come è grande il numero di quelli che pregano male! Se quelli che pregano male non raggiungono quello che domandano, non è da incolparne né Dio né la preghiera in se stessa, ma solamente chi prega male, perché egli prega con cattive disposizioni, o domanda male, o chiede quello che non deve chiedere… « Parecchi, dice S. Agostino, nel pregare languiscono e stanno dormigliosi. Come! il nemico veglia e tu dormi? (In Psalm. LXV). – Dunque pregano male e non meritano di essere né ascoltati né esauditi coloro che pregano senza preparazione, senz’attenzione, o non pregano nel nome di Gesù Cristo; quelli che pregano senza, zelo, senza diligenza, senza fede, senza fiducia, senza fervore, senza umiltà, senza compunzione, senza carità, senza perseveranza. Mancando anche una sola di queste disposizioni, si prega male… Voi domandate e non ricevete; non lagnatevi nè brontolate contro Dio o contro la preghiera: chiamate voi medesimi in colpa; voi non ricevete nulla, nemmeno allora che domandale, perché domandate male (Iac. IV, 3).

18. Errori che si commettono nella preghiera. — « Quello che dobbiamo domandare pregando, non lo sappiamo », dice il grande Apostolo (Rom. VIII, 26). Questo ci può accadere in sei modi: 1° Se domandiamo un bene temporale che sia per nuocere all’anima; 2° se preghiamo con intenzione di essere assolutamente liberati dalla tentazione o da una qualche infermità o croce la quale giova a tenerci bassi e a farci praticare qualche virtù speciale; 3° se chiediamo qualche favore, anche spirituale; ma per ambizione, come i figli di Zebedeo; 4° se domandiamo, per impeto di zelo indiscreto, come gli Apostoli che domandavano a Gesù Cristo che facesse piovere fuoco dal cielo su gli abitanti di Samaria, perché non lo avevano voluto ospitare tra le loro mura; 5° se preghiamo Dio che ci dia subito qualche grazia, la quale meglio ci conviene che ci sia differita, affinché per quest’indugio cresca in noi l’applicazione alla preghiera e il merito della pazienza, e della perseveranza; 6° se chiediamo una condizione nel mondo, o uno stato di vita, al quale Dio non ci chiama… Ora lo Spirito Santo invocato, ricevuto, regnante in noi, governa e dirige tutte queste cose nella preghiera, e dissipa tutti i nostri errori ed inganni. Questo è ciò che intende dire S. Paolo, con quelle parole: « Lo Spirito aiuta la nostra debolezza; poiché quello che ci convenga domandare pregando, noi non lo sappiamo, ma lo Spirito domanda Egli medesimo per noi, con gemiti ineffabili » (ut sup.). – « Vi sono molti, scrive S. Isidoro, i quali Dio non esaudisce secondo il loro volere, ma secondo che conviene alla loro salute ». Dio ci esaudisce talvolta togliendoci quella tribolazione da cui pregavamo di essere liberati, tal altra dandoci la virtù della pazienza, ed in quest’ultimo caso il dono è ancor più grande; qualche volta ci comunica non solo la pazienza, ma anche la gioia nelle prove, e questo è eccellentissimo benefizio… In quanto alle cose temporali, bisogna sempre domandarle con la condizione che possano tornare alla gloria di Dio, a nostra salute, ad edificazione del prossimo… Quelle spirituali possiamo chiederle senza riserva.

19. Ostacoli alla buona riuscita della preghiera. — 1° S. Isidoro nota come due ostacoli insuperabili al buon esito della preghiera, l’ostinarsi nel peccato e il negare il perdono di una ingiuria ricevuta.

2° Impedimenti alla preghiera sono l’agitazione, l’affanno, gli scrupoli. Come nell’acqua torbida non si vede nulla, così l’anima agitata, commossa, troppo scrupolosa, non può vedere Iddio nella preghiera, nè sapere quello che le manca, né domandare come bisogna…

3° « La preghiera è zoppa, dice il Crisostomo, quando l’azione non cammina di pari passo con l’orazione; perché la preghiera e le opere sono i due piedi che reggono l’anima ».

4° Il peccato, e principalmente l’abito del peccato, sono un ostacolo immenso all’efficacia della preghiera. « I vostri delitti alzarono un muro di divisione tra voi e il vostro Dio, leggiamo in Isaia; e i vostri peccati vi nascosero la sua faccia, sicché egli più non vi ode » (Isai. LIX, 2).

5° Pregare senza preparazione, forma un altro ostacolo al buon esito della preghiera. Di questo ci avverte lo Spirito Santo con quella sentenza : « Prima di pregare, prepara l’anima tua; e non essere come uomo che tenta Dio » (Eccli. XVIII, 23).

6° Altro ostacolo al felice esito della preghiera, è domandare cose ingiuste, inutili, vane, nocevoli. Dio, dice S. Cipriano, promette di essere presente e di esaudire le orazioni di coloro i quali rompono i legami dell’ingiustizia e fanno quello che egli comanda: questi meritano di essere esauditi dal Signore. Non bisogna pretendere di accostarci a Dio con preghiere disadorne, infruttuose, sterili; una preghiera nuda non ha efficacia presso Dio perché come ogni albero che non produce frutti è reciso e gettato al fuoco, così un’orazione senza buone opere, senza fecondità di virtù, non è capace di placare Dio e non merita di essere esaudita (Serm.).

7° « Cambiamo i nostri cuori, secondo l’avviso di S. Agostino: perché il giudice supremo si fa subito propizio per mezzo della preghiera, se chi prega si corregge delle sue cattive inclinazioni ».

 20. Vi sono preghiere che invece di essere esaudite, meritano di essere punite. — « Vi è una preghiera esecrabile, dice lo Spirito Santo, ed è quella di colui che si tura le orecchie per non udire la legge »  (Prov. XXVIII, 9); e di questa preghiera imprecava il Salmista: « L’orazione sua gli si ascriva a peccato »  (Psalm. CVIII, 7). 1° È questa la legge del taglione, perché Dio restituisce ciò che gli si presta; come l’empio non vuole ascoltare Iddio che parla per mezzo della sua legge, così a sua volta Iddio ricusa d’ascoltare l’empio, quando questi gli parla con la preghiera… 2° La preghiera di colui che si ostina nel peccato, andando congiunta all’affetto per il peccato e portando perciò con se stessa un disprezzo di Dio; è un peccato, riesce quindi abbominevole ed esecrabile a Dio: ora come volete che Dio l’ascolti senza punirla, piuttosto che rimunerarla? Chi prega con questa disposizione d’animo, dice infatti: Io voglio invocare Dio e servirlo, ma nel medesimo tempo offenderlo e irritarlo. Egli somiglia veramente a quei Giudei che, piegando il ginocchio innanzi a Gesù Cristo e adorandolo, gridavano: Ave, re del Giudei; e nello stesso mentre gli sputavano addosso (Matth. XXVII, 29). Di più, quegli che prega così, sembra fare complice Iddio del suo delitto, perchè preghiere di tal sorta domandano che favorisca il peccato e allora esse sono bestemmie e infinitamente oltraggiose a Dio. Prega davvero solamente colui che non vuole più peccare; ma chi prega e intanto continua nel peccato, si burla di Dio, anzi che pregarlo. 3° Il più delizioso profumo puzza se si mescola col lezzo di una cloaca; così è della preghiera : per quanto odorosa e cara sia a Dio in se stessa, se esce da un cuore infetto e incorreggibile, rimane corrotta dalle pestifere esalazioni del peccato: è un profumo corrotto che Dio non può più soffrire. 4° La preghiera di chi rimane nel peccato è esecrabile, perché chi si ostina nel male vive in istato di inimicizia con Dio : ora Dio odia necessariamente il suo nemico e non ne accoglie la preghiera. Perciò chi prega Dio mentre vuole rimanersene nel peccato, imita Giuda che tradisce il suo maestro mentre lo bacia. – S. Ambrogio, per farci comprendere l’accecamento e la disgrazia di coloro che continuano nel male, e intanto osano pregare senza volontà di correggersi e convertirsi, si serve del seguente paragone: Un tale stava affogato nella melma fino al collo; vedendo passare un viandante, stese le mani e gridò: Deh! abbi pietà di me e cavami di questa pozza. Il viandante gli porse la mano, ma quegli invece di aiutarsene a uscire, cacciò nel fango il braccio che gli veniva in aiuto, e cercò tuffare con sé nella pozzanghera il suo benefattore. Questi allora cambiata la carità in furore, gli disse: Triste ipocrita, perché domandarmi soccorso, mentre tu vuoi rimanerti nel lezzo, e cerchi affondarvi me stesso? Giacché tu ami la corruzione e la morte, restaci; tieni quello che hai scelto. Così fanno coloro i quali pregano Dio che li cavi dalla cloaca impura dei vizi, e frattanto si tengono strettamente abbracciati al vizio; non vogliono uscirne, e si ostinano a rimanervici (In c. IV Apoc.). – Oh! come è grande in questo mondo perverso il numero di coloro che imitano questo infelice! Tutti quelli che non vogliono osservare le leggi di Dio e della Chiesa, uscire dal peccato, allontanarsi dalle occasioni prossime del peccato, si burlano di Dio pregandolo; la loro preghiera è un peccato, è esecrabile O ciechi disgraziati e colpevoli, che non paghi di servirsi di ciò che è male in se stesso, cambiano anche il bene in male; che non contenti di bere acque avvelenate, cambiano in veleno le acque limpide e salutari in se stessei… Come appunto significò Iddio dicendo: « Quando voi stenderete le mani verso di me, io volgerò altrove i miei occhi; voi raddoppierete le preghiere ed io sarò sordo, perchè le vostre mani stillano sangue » (Isai. I, 15). – La ragione ne è evidente, dice Alvarez: Io non vi esaudirò perché siete coperti di peccati volontari: perché per quanto sta da voi, spargete il sangue di Gesù Cristo, e ve ne bagnate le mani (In cap. I Isai.). Non meno fortemente parla, S. Basilio: La causa, egli dice, per cui Dio non ci esaudisce, è che noi lo irritiamo coi nostri peccati. È come se un assassino con le mani tuttora grondanti del sangue di un figlio diletto, da lui svenato sotto gli occhi del padre, andasse a stenderle verso il padre desolato per abbracciarlo e chiedergli grazia. Il sangue del caro figlio, di cui rosseggiano le mani dell’uccisore, non muoverebbe piuttosto a collera che a pietà il padre? E una tal preghiera non è esecrabile? Se questo padre volgerebbe altrove gli occhi e non darebbe retta ad una simile preghiera, come guarderà Iddio, o come potrà esaudire le orazioni di quelli che calpestano le sue leggi, che lo vilipendono senza pentirsene, che vogliono continuare a oltraggiare e crocifiggere il suo divin Figlio? Chi prega Dio senza volontà di uscire dal peccato, tenta Dio, lo provoca, lo irrita con la sua temerità e irriverenza.

 

21. Disgrazia di quelli che non pregano. — Se è disgrazia, anzi peccato il pregare male, e specialmente con volontà di non lasciare la colpa, disgrazia più grave e peccato più enorme è abbandonare la preghiera; poiché sarebbe questo un rinunziare interamente alla propria salvezza e un voler vivere e morire dannato, eternamente reprobo e maledetto… Un orbo che più non vede il sole, è degno di tutta la nostra compassione; ma infinitamente più da compiangere è il cieco spirituale che più non vede la luce della preghiera. S. Bonaventura insegna che colui il quale abbandona la preghiera, porta un’anima morta in un corpo vivo, o è un corpo senz’anima (In Speculo). Abbandonare la preghiera equivale ad essere segnato col suggello della maledizione di Dio e dell’eterna riprovazione che è l’estrema di tutte le sciagure… Oloferne, visitando i dintorni di Betulia, trovò che l’acqua la quale serviva ad abbeverare la città, veniva dal di fuori; ed ordinò che si rompessero gli acquedotti per vincere con la sete la città assediata (Iudith. VII, 6). Il demonio toglie il canale della grazia, quando allontana dalla preghiera; ci priva di forze, ci soggioga e trionfa di noi a suo talento se riesce a farcela abbandonare… « Come città non munita di torri nè di mura, facilmente cade in potere del nemico, così il demonio con poco sforzo espugna e si sottomette un’anima non difesa dalla preghiera, e la spinge a poco a poco ad ogni sorta di scelleratezze ».

22. Mezzi per pregare bene. — 1° Come si può ottenere di non essere distratti, nel tempo della preghiera? domanda S. Basilio, e risponde: Col pensare che si è sotto gli occhi di Dio.

2° « Se procurassimo, dice S. Bernardo, di cercare, di domandare, di battere alla porta con sincera divozione, con grande affetto, con ardente desiderio, state certi che chi domanda riceverebbe, chi cerca troverebbe, a chi picchia sarebbe aperto ».

3° Bisogna accompagnare la preghiera col digiuno e con la elemosina… La preghiera da sola è debole, ma diventa vigorosa e robusta quando sia aiutata dalle due ali del digiuno e della elemosina; con queste ella vola rapida fino al cielo. Perciò il Signore dice: Spezza il tuo pane con l’affamato, da’ ricetto in tua casa al pellegrino, vesti il povero… Poi vieni ad invocarmi ed io ti esaudirò; grida a me ed io ti risponderò : eccomi presente (Isai. LVIII, 7-9). Appoggiato su queste parole, S. Cipriano insegna che Dio non esaudisce la preghiera, se non è congiunta ad opere pie (Serm.). Perciò Daniele diceva di essersi volto a pregare e supplicare Iddio nei digiuni, nella cenere e nel cilizio (Dan. IX, 3).

4° Finalmente chi intende di pregare bene e di ricavare frutto dalla preghiera, deve amare il ritiro: « Io allatterò quest’anima, dice Iddio, la condurrò nella solitudine e parlerò al suo cuore » (Ose. II, 14).

[Fine]

 

LA PREGHIERA (Alapide, 2)

PREGHIERA 2

[E. Barbier: I Tesori di Cornelio Alapide, vol. III, S.E.I. Torino, 1930]

5. Facilità della preghiera. — 6. Bontà infinita di Dio nella preghiera. 7. La preghiera è un onore, una gloria, una felicità. — 8. Motivi di pregare. — 9. Qualità della preghiera . 1° Che cosa si deve fare prima della preghiera; 2° Bisogna pregare nel nome di Gesù Cristo; 3° Bisogna pregare con attenzione; 4° Con zelo, diligenza, fervore; 5° Con fede e confidenza; 6° con umiltà e compunzione; 7° Bisogna pregare per quanto è possibile in istato di grazia; con cuore puro e scevro di odio; 8° Bisogna pregare sovente e perseverare nella preghiera fino alla morte.

5. Facilità della preghiera. — La preghiera è cosa facilissima a tutti, ricchi e poveri, dotti e ignoranti, vecchi e giovani e tutti possono facilmente pregare. La preghiera, mentre è il più efficace, anzi l’indispensabile mezzo di salute, è nello stesso tempo il più facile. Si può pregare in ogni tempo e luogo… Chiunque ha cuore, possiede tutto quello che occorre per pregare. Dare il cuore a Dio, questo basta: Dio non domanda altra cosa… – Qualcuno alle volte si lamenta che non sa pregare. Come!? Non sapete pregare! questo proviene dal fatto che voi non pregate; pregate, e voi saprete pregare; e quanto più pregherete, tanto più saprete pregare; nessuno diventa sapiente nella preghiera, se non a misura che prega: pregando spesso, s’impara a pregare. – La preghiera è facile, perché può essere breve ed insieme efficacissima. Il Pater, che è la più ricca, la più perfetta di tutte le preghiere; il Pater che racchiude in sè tutte le altre preghiere, è una preghiera non lunga e da tutti conosciuta… Qual fu la preghiera del cieco? «Signore, fate che io veda!». Qual fu la preghiera del pubblicano? « Signore, siatemi propizio, perché io sono un peccatore ». Quale fu la preghiera degli Apostoli in pericolo di naufragare? « Signore, salvateci perché andiamo perduti ». Qual fu la preghiera del centurione? « Signore, io non sono degno che voi entriate in casa mia, ma dite una sola parola, ed il mio servo sarà salvo ». Qual fu la preghiera del buon ladrone su la croce? « Signore, ricordatevi di me quando sarete nel vostro regno ». Tutte queste preghiere sono brevi, facilissime e furono tutte esaudite immediatamente. La preghiera è facile, perché si può pregare in ogni ora, di notte e di giorno. La preghiera è facile, perché Dio che è sempre presente, è sempre disposto ad esaudirci, a soccorrerci, ad ascoltarci. La preghiera è facile, perché Dio è di facile accesso, benché infinitamente grande, vuole che ci rivolgiamo a lui con libertà grandissima. Facile riesce la preghiera, per le consolazioni che vi si gustano ed il sollievo che vi si t.7. rova a tutti i mali.

6. Bontà infinita di Dio nella preghiera. — L’apostolo S. Giacomo dice che chi ha bisogno « domandi a Dio il quale dà a tutti con abbondanza » (Iac. I, 5). Dice S. Giovanni Crisostomo: « Dio vuole che noi riceviamo per mezzo della preghiera quello che desideriamo; oh che felicità, che fortuna è mai questa per noi, di discorrere con Dio, di poter domandare quello che ci abbisogna! ». « Dio è tutto per noi, dice S. Agostino, noi troveremo in lui ogni cosa. Hai tu fame? è tuo cibo; hai tu sete? è tua bevanda; ti trovi a brancolare nel buio? è tua luce; sei tu nudo? è tuo vestimento per l’eternità ». Diciamo pure anche noi con S. Bernardo: « Iddio si è dato tutto a me; si è speso tutto quanto a mio vantaggio» (Servi. IlI, in Circumcis.).
« Dio è vicino a coloro che lo invocano » (Psalm.. CXLIV, 18); e quanti lo invocano, sono esauditi (Psalm. XCVIII, 6). E il Signore medesimo impegna la sua parola, che esaudirà colui il quale leverà a lui le sue grida (Psalm. XC, 15); e si appellava all’esperienza del Salmista, dicendo : « Tu mi hai invocato nella tribolazione, ed io ti ho liberato » (Psalm. LXXX, 8). Insomma, possiamo sfidare con l’Ecclesiastico tutto il mondo a dirci chi mai abbia invocato Dio e non sia stato esaudito (Eccli. II, 12). – È tanta la bontà di Dio, che più desidera egli di dare che non noi di ricevere; e pregato, molto più abbondantemente dà, di quel che non gli si chieda. Iddio, come osserva S. Tommaso, dà 1° liberamente, non vende i suoi doni…; 2° generalmente, non a uno solo, ma a tutti…; 3° copiosamente…; 4° generosamente e senza rimproveri… Si vergogni dunque di se stessa l’indolenza umana; Dio è più disposto a dare che noi a ricevere; è nella natura di Dio il dare.

7. La preghiera è un onore, una gloria, una felicità. — Come è bella e vera quella sentenza del Crisostomo : « La corte e le orecchie dei principi sono aperte per poche persone privilegiate, ma la corte e le orecchie di Dio stanno spalancate per chiunque voglia avervi accesso. »  (De Orand. Dom. 1. II). Nei reali appartamenti non si penetra che a stento; ai monarchi, raro è che si possa parlare, tanti sono gli ostacoli che chiudono il passo alla loro reggia ed alla loro persona! Ma la preghiera ha libera entrata in cielo; essa va a Dio quando le talenta; entra nella corte celeste, si spinge fino al trono della divinità, da sola e ad ogni istante, senza che nessuna guardia le gridi: olà, dove vai? il re del cielo non dà udienza; tu a quest’ora lo importuni. Anzi, le guardie della corte divina, che sono gli Angeli, dicono a chi prega: vieni, entra, chiedi quanto vuoi e ti sarà dato. — E se è onore insigne Tessere ammesso all’udienza di un re, che onore infinitamente più grande non è quello di avere sempre libero l’accesso alla persona del re del cielo! Il mendicante è cacciato via dai palazzi abitati da uomini i quali in fin dei conti sono simili a lui per natura; e i poveri, i miserabili sono quelli che il gran Dio ammette più facilmente nel suo corteo ed ascolta con più premura. Andate, dice continuamente a’ suoi ministri il Re dei re, il Signore dei monarchi, andate per le piazze e per le contrade, nei vicoli e per i crocicchi, e conducete qua tutti gli accattoni, infermi, ciechi, sciancati che troverete e fate loro ressa che entrino, in modo che la mia casa si riempia (Luc. IX, 21-23). Ma non solamente questo gran Dio ci permette di rivolgerci a lui, assicurandoci che ci darà tutto quello che domanderemo, la qual cosa è già altissimo onore e singolarissima distinzione, ma ce ne fa un obbligo… Supponiamo che un mendicante ardisse accostarsi alla mensa di un ricco, con quali parole e con quali maniere ne sarebbe scacciato! e il più misero dei mendicanti va, per mezzo della preghiera, a sedersi quando vuole alla tavola di Dio, presso la persona medesima di Dio. Che dignità! che onore! che gloria!… « Ti è permesso conversare con Dio, scrive il Crisostomo, ti è lecito trattenerti con lui a tuo piacere, per mezzo della preghiera ti è dato di meritare quello che brami. E benché tu non possa intendere con le orecchie del corpo la voce di Dio, ricevendo quello che domandi, ben vedi ch’egli si degna parlare con te, se non con parole certo con benefizi ». Domandate e riceverete, affinché il vostro gaudio sia perfetto, dice Gesù Cristo (Ioann. XVI, 24)… « E qual felicità più grande può avere l’uomo, esclama S. Basilio, che quella di riprodurre su la terra i concerti degli Angeli, attendere alla preghiera su l’alba, esaltare il Creatore con inni e cantici? E poi, spuntato il sole, applicarsi al lavoro, non però mai dimenticando la preghiera? E finalmente, condire come di sale, tutte le azioni con cantici spirituali? ». « Io ho creato la pace per frutto della preghiera», dice il Signore per bocca d’Isaia (Isai. LVII, 19). Ecco la mercede, la felicità, la dolcezza della preghiera: è la pace. Nulla infatti rende l’uomo tanto contento, allegro, tranquillo, quanto la preghiera, principalmente nelle prove, nelle tribolazioni, nella contrizione, e nel pianto dei peccati… Al mondo stolto che non prega, riesce di grave pena la preghiera; non trova tempo per pregare; non può intendere come le anime virtuose possano tanto amare e praticare la preghiera, da consacrarvi ore intere non solo senza noia, ma anzi con diletto. Infelici! essi non conoscono l’unzione della preghiera; non gustarono mai, perché non ne sono meritevoli, o meglio, perché non vogliono, le consolazioni ineffabili, le dolci gioie che accompagnano questo divino trattenimento con Dio! La preghiera è veramente un saggio anticipato delle delizie celesti. Anime tepide, aride, negligenti, pigre, provatevi, fate qualche sforzo, e comprenderete quello che dico, perché lo sentirete, lo proverete in fondo al cuore.

8. Motivi di pregare. — « Domandate, dice Gesù Cristo, cercate, picchiate » (Matth. VII, 7). Domandate per ottenere forze; perché voi non siete che debolezza… Cercate la luce e la verità con la preghiera, perchè voi non siete che tenebre ed errori… Bussate con l’orazione alla porta del cielo e della grazia; perchè vi sono necessari ambedue… Chiedete la grazia senza la quale non potete nulla… Sforzatevi di ritrovare con la preghiera la veste dell’innocenza e delle virtù che avete smarrito… Battete affinchè vi siano aperti i tesori del Cuore ricchissimo di Gesù Cristo. I motivi che ci spingono a pregare sono la nostra povertà…, la nostra fiacchezza…, i nostri debiti spirituali…, le colpe, l’accecamento…, il tempo che ci è dato apposta perchè preghiamo…, la morte…, il giudizio…, l’inferno, il paradiso…, l’eternità.

9. Qualità della preghiera. 1° Che cosa si deve fare prima della preghiera. — « Prima di metterti all’orazione, prepara l’anima tua », dice l’Ecclesiastico (Eccli. XVIII, 23). Ci prepariamo alla preghiera: 1) con la lettura…; 2) col pentimento…; 3) con la considerazione della divina maestà alla quale si va a parlare…; 4) con la meditazione del proprio nulla…; 5) con la considerazione dei propri bisogni…; 6) con la considerazione dei vantaggi della preghiera…; 7) con la premeditazione delle cose che intendiamo domandare, perché non ci accada di chiedere cose o inutili, o nocevoli, o ingiuste; ma la nostra domanda versi intorno ad oggetti giusti, santi, degni di Dio, a lui graditi, a noi salutari. S. Bernardo dice: «Quale tu ti apparecchierai per comparire innanzi a Dio con la preghiera, tale a te si mostrerà Iddio; com’Egli troverà voi, così voi troverete lui; perché Egli è santo, sarà con chi è santo, Egli l’innocente, sarà con l’innocente ».Dio avrà cura di esaudire chi preparerà la sua preghiera nell’attenzione e nel raccoglimento; si mostrerà premuroso e liberale con chi apporterà diligenza e generosità. Chi si mette a pregare senza preparazione, chi si avvicina a Dio senza darsene pensiero, non placa Dio con la sua orazione, ma lo tenta, l’irrita, lo provoca con la sua temerità, con l’audacia, con l’irriverenza, con l’impudenza sua; principalmente poi se trovandosi in peccato, e quindi nemico di Dio e sotto il peso della sua collera, osa chiamarlo amico, senza che provi nessun dolore di averlo offeso. Dio ascolta solamente coloro che gli indirizzano le preghiere accompagnate da fede retta e da buone opere… Dunque, prima di cominciare la preghiera, pensate che voi siete una persona sommamente vile, perché peccatore ingrato, che siete cenere, polvere e corruzione; e per questa considerazione umiliatevi. Pensate quindi alla grandezza del Dio innanzi a cui vi portate con la preghiera; che è un Dio sapientissimo, santissimo, ottimo, onnipotente; amatore delle nature angeliche, riparatore della natura umana, creatore di tutte le cose. Ammirate, rispettate, adorate la divina maestà intimamente presente; ella sta davanti a voi. Amate la sua immensa bontà che è inclinata ad ascoltarvi, ad esaudirvi, a farvi del bene. Riaccendete la vostra speranza, ben sapendo che non uscirete né a mani vuote, né col cuore desolato, dalla presenza di un così gran re, dopo di avergli indirizzata la vostra preghiera. – Ecco un modo pratico per apparecchiarvi alla preghiera: 1) Io intendo pregare per dare lode, benedizione, onore a Dio. Una preghiera cosiffatta è un atto di religione. 2) Mi propongo di pregare Dio per piacergli; questa preghiera vi è ordinata dall’amore. 3) Voglio pregare per ringraziare Dio di tutti i suoi doni temporali e spirituali, concessi a me e a tutti gli altri; ecco un atto di riconoscenza. 4) Voglio pregare per imitare Gesù Cristo, la Beata Vergine Maria, gli Angeli beati e tutti i Santi del cielo, che mai non cessano dal pregare; unisco le mie preghiere alle loro orazioni ed ai loro meriti; ed in questa unione io offrirò le mie preghiere a Dio. Ecco l’iperdulia ed il culto dei Santi… 5) Voglio pregare per ottenere il perdono de’ miei peccati e soddisfarvi; ecco un atto di penitenza… 6) Voglio pregare per la liberazione delle anime del purgatorio, per ottenere ai peccatori il perdono, ai giusti l’aumento della loro giustizia; ecco un atto dell’amor del prossimo… 7) Intendo ancora pregare per chiedere un aumento di grazia e di gloria, cioè di umiltà, di carità, di mansuetudine, di castità, di sobrietà, di forza, di costanza, di perseveranza, di zelo, e in conseguenza per domandare un accrescimento di gloria celeste che corrisponda all’aumento di queste virtù e di queste grazie: ecco un atto di speranza e di differenti virtù… Utilissima cosa è avere tali intenzioni non solamente nella preghiera, ma ancora in tutte le azioni del giorno… Ci siamo noi fino ad oggi apparecchiati così alla preghiera? –

2° Bisogna pregare nel nome di Gesù Cristo. — È promessa formale del divin Redentore, che tutto quello che domanderemo al Padre nel nome suo, egli lo farà (Ioann. XIV, 13). « Se non sempre subito, osserva S. Agostino, sempre per certo; poiché le grazie sono talora differite, non mai negate ». Altra volta ripete: « Vi do la mia parola, che qualunque cosa domandiate al Padre mio in mio nome, egli ve la darà»; e si lagnava con gli Apostoli, che non avessero fino a quel giorno domandato nulla in nome suo (Ioann. XVI, 23-24). Per questo noi vediamo la Chiesa conchiudere tutte le sue orazioni con l’invocazione del nome di Gesù Cristo. – Perché bisogna pregare nel nome di Gesù Cristo? Primieramente, perché Gesù è il nostro mediatore presso il Padre (I Ioann. II, 1). Secondariamente, perché Gesù Cristo ci ha riscattati… In terzo luogo perché tutte le grazie vengono da Lui che ne è l’autore ed il dispensiere… In quarto luogo, perché tutto abbiamo da lui, tutto dobbiamo a Lui, e principalmente l’efficacia delle nostre preghiere… – Quando è che noi domandiamo, ossia preghiamo nel nome di Gesù Cristo? “Risponde S. Gregorio: «Il nome del Figliuolo di Dio è Gesù; e Gesù vuol dire Salvatore : pertanto prega nel nome di Gesù, chi domanda cose le quali veramente giovino alla sua eterna salute ». Siccome poi Gesù Cristo ci ha aperto il cielo, si è fatto uomo ed è morto per procurarcelo, il vero mezzo di pregare nel nome di Gesù Cristo, sta nel mettere in pratica quelle parole del Salvatore: « Cercate prima di tutto il regno di Dio e la sua giustizia, ed il resto l’avrete per di più » (Matth. VI, 33).

3° Bisogna pregare con attenzione. — Perché mai Gesù Cristo c’inculca di pregare in segreto, di allontanarci dal tumulto quando vogliamo pregare se non per insegnarci a stare attenti e raccolti nel tempo della preghiera? « Quando pregherete, dice, entrate nella vostra camera, e chiuso l’uscio, pregate il Padre vostro in segreto; ed egli che vede nel segreto, vi retribuirà » (Matth. VI, 33). Entrate nella vostra stanza, cioè raccoglietevi dentro di voi medesimi, fate attenzione a quello che dite… Chiudete l’uscio, cioè vigilate sui vostri sensi, cacciate le distrazioni, applicatevi con tutto l’animo all’orazione. Entrate nella vostra cella che è il vostro cuore; perché, secondo la frase di S. Francesco d’Assisi, « quando preghiamo, il corpo deve tenere luogo di cella, e l’anima fare l’uffizio di romito ». «State attenti nelle vostre preghiere», avvisa S. Pietro (I, IV, 7). « Non impiegate nel pregare molta copia di parole, scrive S. Agostino, ma con poche parole la preghiera riesce eccellente, quand’è fatta con pia e perseverante attenzione ». Tale era la preghiera di S. Paolo il quale diceva: « Pregherò con lo spirito, pregherò con attenzione » (I Cor. XIV, 15).Quando noi preghiamo, è come se dicessimo col Salmista: «Signore, porgete l’orecchio alle mie parole, ascoltate le mie grida; o mio re, o mio Dio, ascoltate la mia preghiera » (Psalm. V, 1-2). « Signore ascoltate la mia preghiera; essa non viene da bocca mentitrice » (Psalm. XVI, 1). Ora qual sarebbe la sfrontatezza, l’audacia nostra se mentre diciamo a Dio: ascoltateci, porgeteci orecchio, esaudite le  preghiere che in tutta sincerità vi indirizziamo, noi non facessimo punto attenzione a quello che diciamo, non pensassimo a quello che domandiamo, non sapessimo nemmeno noi quello che vogliamo? Noi siamo del continuo in distrazioni volontarie, attendiamo all’orazione sbadati, svagati, pigri, sonnolenti, pensando a tutt’altro che a Dio: ed è questo un pregare? Non è piuttosto un burlarsi di Dio, un insulto a Gesù Cristo? – La preghiera è un’elevazione della mente a Dio. Ma se mentre la bocca prega, l’anima vaga su la terra, si occupa della famiglia, degli affari, delle creature, e simili cose, può essa dire che è elevata a Dio? Ah! una tale preghiera, non merita il nome di preghiera. Noi ci lamentiamo molte volte che non otteniamo quello che domandiamo’. Ah! non è Dio che ricusi di darcelo, ma siamo noi che rifiutiamo di riceverlo. Oseremmo noi tenere tal modo nel chiedere qualche cosa agli uomini? « Voi domandate, diceva già S. Giacomo, e non ricevete, perchè domandate male » (Iac. IV, 3). « Ipocriti, direbbe Gesù Cristo a costoro, bene ha di voi profetato Isaia dove dice : Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me » (Matth. XV, 7-8).

4° Con zelo, diligenza, fervore. — Quando Gesù c’inculca di domandare, di cercare, certo egli c’insinua con questo modo di parlare, che la preghiera nostra dev’essere fatta con diligenza, zelo, fervore. Tale era la costumanza del profeta Davide il quale poteva dire a Dio: « O Dio, Dio mio, io vi cerco fin dall’aurora; chè assetata di voi è l’anima mia » (Psalm. LXII, 2). E poi ancora: « Io mi sono ricordato di voi stando nel mio letto nel più alto della notte; io ho meditato le vostre meraviglie al primo rompere dell’alba » (Id. 7). « A voi ho gridato, o mio Signore; e al mattino la mia preghiera vi previene » (Psalm. LXXXV, 14). I Santi vegliano la notte in preghiere, si alzano di buon mattino per pregare; e noi? noi poltriamo, noi dormiamo.
« O anima, dice S. Agostino, sii sollecita con Colui che è tutta sollecitudine a tuo riguardo; sii pura con Colui che è puro, sii santa con Colui che è santo, sii a disposizione di Colui che sta interamente ai tuoi cenni; quale sarai per Iddio, tale sarà Iddio per te »; cioè, come si esprime S. Eucherio di Lione: « quanta premura e diligenza noi portiamo all’orazione, tanta ne porrà Dio a esaudirci e a concederci le sue grazie» (Epist.). Se voi siete solleciti della preghiera, se procurate di prepararvi, di attendervi, di ben fare, Dio vi ammetterà Volentieri alla sua udienza, coronerà i vostri voti, adempirà i vostri desideri, vi colmerà di benefizi. Quanto meglio le vostre disposizioni concorderanno con quelle di Dio, tanto più vi ascolterà con piacere, vi risponderà con sollecitudine; poiché l’amico conversa volentieri con l’amico, si trattiene con lui lieto e festoso… « La preghiera, scrive l’Alvarez, non è sonno, ma veglia; non pigrizia, ma attività; perché il cuore deve applicarsi con diligenza, e l’intelletto adoprarsi con sollecitudine a comprendere le cose divine, affinché la volontà le gusti e vi si affezioni ». – Noi siamo sicuri di ottenere tutto ciò che domandiamo con la carità. Una preghiera breve ma fervente, vale infinitamente meglio che lunghissime orazioni fatte con tedio e rilassatezza. «La preghiera fervorosa, dice S. Bernardo, penetra certamente i cieli, donde non ritorna mai, senza alcun dubbio, vuota di effetto. Il grido che va diritto a ferire le orecchie di Dio, è il desiderio ardente che si sprigiona dal cuore per mezzo della preghiera ». « Non sono le alte grida, dice il Crisostomo, che scuotono Iddio, ma è il fervido amore, quello che lo muove. Dio non ascolta la voce, ma il cuore ». – « Voi m’invocherete, dice Iddio, e vi partirete esauditi; mi cercherete e mi troverete, perché mi avete cercato con tutto il cuore » (Ier. XXIX, 12-13). Ecco perché il re Profeta diceva che aveva trovato il suo cuore, per pregare (II Reg. VII, 27) : e si augurava che la sua preghiera salisse al cielo come incenso di soave odore (Psalm. CXL, 2). La preghiera fervorosa è incenso di grato odore. Tre cose si richiedono affinché l’incenso s’innalzi e sono l’incensiere, il fuoco, l’incenso. L’incensiere è il cuore, il fuoco dell’incensiere è l’amor di Dio, l’incenso è la preghiera. Senza fuoco, inutile è l’incenso. Quando il cuore avvampa di fervore, la preghiera sale in un attimo fino a Dio, e Dio colma l’anima di mille favori… La preghiera fiacca e accidiosa, è una preghiera non esaudita.

5° Con fede e confidenza. — Sono chiare le parole di Gesù Cristo : « Tutto quello che domanderete con fede, lo riceverete » (Matth. XXI, 22). È vero che la preghiera suppone la fede, altrimenti non si pregherebbe; ma questa non basta, si richiede una fede ferma e viva. Udite l’apostolo S. Giacomo : Se alcuno abbisogna di sapienza, si volga a chiederla a Dio, il quale la dà a tutti con abbondanza, e gli sarà data. « Ma domandi con fede, senza dubitare; perché chi dubita somiglia al flutto del mare, agitato e sobbalzato dal vento. Questo tale non si dia a credere di ricevere cosa veruna » (Iac. I, 5-7). « Il fondamento della preghiera è la fede; dunque, ne conchiude S. Agostino, crediamo per poter pregare, e preghiamo che questa fede la quale ci fa pregare, non ci manchi mai, né si intepidisca : la fede inspira la preghiera: la preghiera fatta ottiene la conferma della fede. Vegliate e pregate affinché non entriate in tentazione: che cosa è entrare in tentazione, se non uscire dalla fede? ». – «Bussate e vi sarà aperto», dice Gesù Cristo (Matth. VII, 7). Domandare e battere indicano la confidenza: non si domanderebbe, tanto meno poi si picchierebbe, quando non si avesse speranza di ottenere. Ma ci vuole una fiducia intera, assoluta, irremovibile… Si cerca, perché si ha fiducia di trovare. In ogni altro luogo la confidenza può essere ingannata; nella preghiera, non mai… Se Dio indugia a concederci quello che chiediamo, si raddoppi la confidenza e si otterrà. Quello che domandate, l’avrete a suo tempo. « Dio, dice il Profeta Abacuc, non ingannerà la vostra fiducia; se tarda a venire, aspettate, poiché verrà e non tarderà » (II, 3). Indegna cosa è tentennare nella confidenza… Chi manca di fiducia non merita di essere esaudito… La confidenza e la fede sono come le due ali della preghiera, con le quali essa Aula fino al trono di Dio e ottiene tutto ciò che le aggrada…

6° Con umiltà e compunzione. — Se, come insegna S. Paolo, noi non siamo capaci di concepire da noi medesimi il menomo buon pensiero, ma Dio è quegli che ce ne dà il potere (II Cor. II, 5), pensate voi se potremo pregare; importa adunque che chi vuole pregare si umilii innanzi a Dio, riconosca le sue miserie e i suoi bisogni, « L’orazione dell’uomo che si umilia, dice il Savio, passa le nubi, penetra nel cielo e non se ne parte finché l’Altissimo l’abbia guardata » (Eccli. XXXV, 21). No, Dio non isdegna mai né rigetta la preghiera dei poveri, cioè di quelli dal cuore umile, la guarda anzi con occhio benigno e cortese; come ci assicura il Salmista: (Psalm. XXI, 25) (Psalm. CI, 18); il quale perciò diceva a Dio: « Ascoltate la mia preghiera, perchè io mi sono umiliato profondamente » (Psalm. CXLI, 7). – L’umiltà è chiamata dal Crisostomo, il carro della preghiera (De Orat.). Anzi possiamo dire che essa le dà le ali con cui essa vola rapidissima al cielo, e senza le quali non fa che strisciare su la terra. Ne avete palpabile esempio nella preghiera del pubblicano, che è accettata immantinente ed esaudita da Dio, mentre quella del fariseo viene ributtata e punita. Osservate anche la preghiera del centurione: per umiltà e basso sentire che aveva di se medesimo, si professa indegno di accogliere tra le sue mura Gesù Cristo; ma appunto perché se ne conosce indegno, Gesù Cristo vuole andarvi. Ah! « Dio resiste agli orgogliosi, dice S. Giacomo, e dà la grazia sua agli umili » (Iac. IV, 6). – Nelle nostre preghiere dobbiamo imitare il mendicante. Appoggiato al suo bastone, il capo scoperto, se ne sta alla porta domandando un tozzo di pane per carità, e se ha alcune piaghe, le tiene scoperte. Tutte queste cose, i suoi cenci, le sue miserie, la sua voce fioca, la sua posizione umile, toccano il cuore del ricco il quale stende la sua mano benefica a sollevarlo… Noi siamo tutti quanti, dice S. Agostino, i mendicanti del grande Padre di famiglia; noi stiamo prostesi alla sua porta per domandargli il nostro pane quotidiano. Noi siamo stati scacciati dal paradiso terrestre, spogliati della veste dell’innocenza e privati di ogni bene, dal demonio e dal peccato. Bisogna dunque domandare con umiltà profondissima (Serra. XV, de Verb. Dovi. sec. Matth.); così pregando siamo certi di ottenere quanto ci occorre, perchè sempre Iddio gradì l’orazione degli umili (Iudith. IX, 16). – Quello poi che serve a un tempo ad eccitare in noi l’umiltà e a renderla certamente gradita a Dio e salutare a noi, è la compunzione del cuore; perchè Iddio non ripudia mai da sè un cuore contrito ed umiliato (Psalm. L, 19); e l’anima che prega compunta e contrita, al dire , di S. Bernardo, avanza rapidamente nella strada della salute. – « La preghiera, scriveva S. Agostino, si fa meglio con gemiti che con parole, più con le lacrime che con la lingua ». Oh come bella ed efficace preghiera sono le lacrime del cuore! « Quando tu pregavi piangendo, disse l’Angelo a Tobia, io presentava la tua preghiera al Signore » (Tob. XII, 12). « Mescoliamo le lacrime alle preghiere, ci suggerisce S. Cipriano: queste sono armi celesti le quali ci rendono invincibili: queste sono fortezze spirituali, e scudi divini che ci difendono ». Lisia si avanza alla testa di ottantamila uomini e di un forte nerbo di cavalleria e va ad assediare Betsura. Corsa voce a Giuda Maccabeo, che il nemico investiva la fortezza, si gettò per terra co’ suoi a domandare al Signore con pianto e gemiti che inviasse un Angelo per la salvezza d’Israele. Allora un cavaliere comparve innanzi ad essi, bianco vestito, con armi d’oro e con la lancia in pugno. Forti di questo soccorso, Giuda col suo esercito attacca battaglia col nemico, ne uccide gran parte, l’altra mette in fuga, riportando una splendida vittoria (II Mach. XI).

7° Bisogna pregare per guanto è possibile in istato di grazia; con cuore puro e scevro di odio. — Ci assicura S. Giacomo, che molto può la preghiera fervente e assidua del giusto (Iac. V, 16); e le preghiere che S. Giovanni vide esalare come profumi dalle coppe d’oro ch’erano tenute in mano dagli Angeli in Cielo, erano le preghiere de’ Santi (Apoc. V, 8). Le orazioni di coloro che si trovano in istato di grazia, sono paragonate ai profumi, a cagione del loro valore e del buon odore. Se Aronne, ponendosi in mezzo al popolo e alzando la voce a Dio con la preghiera, fece cessare la peste che mieteva la moltitudine, è perchè era giusto e santo (Num. XVI, 46). Se Mosè, Elia, Samuele, ecc. avevano tanta forza con le loro preghiere, da ottenere quanto chiedevano, e più ancora, lo dovevano allo stato di grazia in cui si trovavano. – Benché sia cosa desiderabile che chi prega si trovi in istato di grazia, tuttavia il peccatore il quale ha perduto la grazia, deve anche egli pregare, e pregare molto e più che il giusto, per ottenere il perdono de’ suoi peccati e riconciliarsi al più presto con Dio. Il malato ha bisogno di medico e di medicina; ora il peccatore è affetto dalla più spaventosa e orribile malattia che lo condurrebbe al sepolcro dell’inferno, se non adoprasse l’efficace rimedio dell’orazione, se non facesse ricorso a Gesù vero medico. – « Beati quelli dal cuore puro, perchè essi vedranno Dio », disse Gesù Cristo (Matth. V, 8). Ora se avviene che i puri, i casti veggano Dio quaggiù in terra, questo certamente avviene nella preghiera. Se noi ci presentiamo innanzi a Dio per pregarlo con cuore puro, noi potremo, diceva l’abate Giovanni, per quanto è possibile a uomo vestito di carne, vedere Dio e a lui volgere nella nostra preghiera, l’occhio del nostro cuore, e contemplare in ispirito l’Invisibile (Vit. Patr.). La castità di Giuditta unita alla sua preghiera, salvò il popolo giudeo da uno sterminio totale. La preghiera che parte da un’anima casta, pura, senza macchia, è infinitamente cara e gradita a Dio, e riesce onnipotente per l’uomo. – Ora che cosa sarà della preghiera che esce da un’anima travagliata dall’ira, rosa dall’odio? « Ah! nessuno, esclama S. Giovanni Crisostomo, sia così audace che si accosti a Dio con la preghiera, se cova nel suo cuore odio e vendetta ». Dio rigetta non meno con orrore la offerta, il sacrificio di chi prega con odio in cuore, che l’oblazione di chi prega col cuore volontariamente tuffato nel più fetente lezzo. – La preghiera perché  sia esaudita deve sgorgare da un cuore scevro di mal talento e pieno di carità. Pregando, l’uomo vuole e domanda che Dio gli usi misericordia; bisogna dunque che dimentichi e perdoni egli medesimo le ingiurie ricevute da’ suoi simili. Tutte le volte che l’uomo che odia profferisce quelle parole del Pater: Perdona a noi come noi perdoniamo a quelli che ci hanno offesi, pronunzia la sua condanna; la sua preghiera è un oltraggio.

8° Bisogna pregare sovente e perseverare nella preghiera fina alla morte. — Non basta pregare una volta, ma bisogna essere assidui a questo esercizio, e mantenervisi perseveranti fino alla morte. « È necessario pregare sempre e non stancarsi mai » (Luc. XVIII, 1). « Se egli continua a bussare, vi assicuro che gli sarà dato tutto ciò che gli abbisogna » (panes) (Luc. XI, 8). « Io vi dico domandate e vi sarà dato; cercate e troverete; picchiate e vi sarà aperto» (Ib. 9). Tutte queste sentenze sono di Gesù Cristo il quale, notate che non dice : domandate, cercate, battete una volta, due, dieci, mille volte; ma in termini generali raccomanda di sempre chiedere, sempre bussare. E la parola confortava con l’esempio; perché nella preghiera consumava le notti intere (Luc. VI, 12). Tre volte egli prega nel giardino degli ulivi, e solamente dopo la terza volta discende un Angelo a consolarlo. Non è questo un sublime esempio ed un forte stimolo per noi a perseverare nella preghiera? « Quando Iddio tarda un po’ a darci quello che gli domandiamo, ci vuole far notare il valore de’ suoi favori, non ce li nega, scrive S. Agostino; cosa lungamente aspettata, arriva più dolce e cara; se è subito concessa, non se ne tiene conto. Chiedendola e cercandola, cresce con l’appetito il gusto che poi si prova nell’assaporarla ». Quanti beni preziosi e abbondanti non ci darà Iddio nella sua bontà, dice il medesimo Santo; quel Dio che ci esorta a domandare e quasi si corruccia se non domandiamo; insistendo presso di lui con una violenza che, al dire di Tertulliano, gli riesce gratissima (Lib. de Orat.). Del resto, quegli che non persevera nella preghiera, non raccoglie nessun frutto duraturo: come non conseguisce il premio quel corridore il quale cade sfinito prima di avere toccato la mèta: la similitudine è di S. Lorenzo Giustiniani. – Degli Apostoli narra S. Luca, che ritornati a Gerusalemme dopo aver assistito all’ascensione del Salvatore, erano del continuo nel tempio a cantare le lodi del Signore (Luc. XXIV, 53); e perseveravano tutti d’accordo nella preghiera con le sante donne e con Maria madre di Gesù, e con i suoi fratelli (Act, I, 14). E tanto era l’amore che portavano alla preghiera, che rinunziarono ad ogni esteriore faccenda, per consacrarsi tutti di proposito alla preghiera continua (Act. VI, 4). Da ciò si comprende come inculcassero con tanta premura la preghiera ai cristiani. « Pregate con ogni sorta d’istanza e di supplica, in tutti i tempi, vigilando e pregando senza tregua, in ispirito, per tutti » (Eph. VI, 18). « Vegliate e perseverate nella preghiera con azioni di grazie » Coloss. IV, 2). « Pregate senza posa » (I Thess. V, 17). « La vera vedova deve perseverare giorno e notte nelle preghiere e nelle suppliche » (7 Tim. V, 5). E quello che raccomandava ai fedeli, lo eseguiva l’Apostolo medesimo che poteva dire di se stesso: «Io prego del continuo per voi » —  (Coloss. I, 3). « Non cesso mai dal pregare per voi e dal domandare che siate forniti della cognizione della volontà di Dio in tutta saviezza e intelligenza spirituale; affinché vi regoliate in maniera degna di Dio, cercando di piacere a lui in tutto » (Ib. 9-10). Mentre S. Pietro era custodito in carcere non si cessava di pregare per lui (Act. XII, 5); e Pietro ne fu scampato; perché grande valore, dice l’Apostolo S. Giacomo, ha la preghiera del giusto purché sia assidua (Iac. V, 16). – Dice S. Gregorio: « Iddio vuole che lo si preghi, che gli si faccia violenza, che lo si vinca con l’importunità. Perciò dice: Il regno de’ cieli va tolto a viva forza, e se ne impadroniscono quelli che usano violenza. Siate dunque assidui alla preghiera, siate importuni nelle vostre suppliche, non scoraggiatevi delle ripulse. Se colui che tu luoghi, pare che non ti ascolti, fagli violenza acciocché riceva il regno dei cieli: sii violento per forzare la porta del cielo. Dolce violenza è questa, per cui Dio non si offende, ma si placa: non si danneggia il prossimo, ma lo si aiuta; non si fa peccato, ma lo si cancella ». Ascoltiamo perciò il consiglio di S. Gerolamo : « Uscendo di casa tua, armati dell’orazione, e rientrandovi, riabbracciala; non dare mai riposo al tuo corpo se prima non hai nutrito l’anima con la preghiera ». Procuriamo con ogni diligenza, secondo il suggerimento di Bartolomeo dei Martiri, di far sì che per mezzo dell’assiduità alla preghiera, il nostro cuore stia sempre aperto a Dio : ricordando quel detto di S. Isidoro: « Chi vuol essere del continuo con Dio, deve frequentemente leggere e pregare: la frequenza nella preghiera ci ripara dall’assalto dei vizi ». Noi dovremmo poter dire col Salmista: «Abbi pietà di me, o Signore, perché ho gridato a Te tutto il giorno » (Psalm. LXXXV, 3). Questo re ci assicura ch’egli lodava e pregava il Signore sette volte al giorno: (Psalm. CXVIII, 164). Nel fatto di Giuditta è notato che, convocato tutto il popolo nel tempio, vi passò la notte in orazione, chiedendo soccorso al Dio d’Israele (Iudith. VI, 21). Che cosa fece Gesù allorché si trattò di scegliere i discepoli? « Se ne andò su la montagna a pregare, e stette in orazione tutta la notte: fattosi giorno, radunò intorno a sé i discepoli e ne scelse dodici tra loro, i quali chiamò Apostoli » (Luc. VI, 12-13). Impariamo da questo esempio a non mettere mai mano ad affare d’importanza, senza aver prima, sovente e per lungo tempo, invocato con la preghiera i lumi dello Spirito Santo. «Attendiamo dunque, conchiudiamo con S. Cipriano, a frequenti preghiere» (Epl. ad Mairtyr.); e ricordiamoci che, come dice lo Spirito Santo, è perseverante nella preghiera, colui che non cessa di pregare finché non abbia ottenuto dall’Altissimo quello che domanda (Eccli. XXXV, 21). Nella perseveranza sta la forza della preghiera; essa ottiene tutto quello che domanda con assiduità… La preghiera perseverante è indicata dal Crisostomo, come l’arma più forte (De Orando Dovi.). Chi non cessa di starsene accanto a Dio per mezzo di una preghiera perseverante, assicura l’anima sua da ogni tirannia di passioni…

                                                                                                                          [2- Continua]