BEFFE DEI CATTIVI

BEFFE DEI CATTIVI

[E.Barbier: I Tesori di Cornelio Alapide, vol. I, S.E.I.- TORINO, 1930]

1. In tutti i tempi i cattivi si sono burlati dei buoni. — 2. Per i cattivi non vi è nulla di sacro. — 3. Perché i cattivi deridono i buoni? — 4. Le beffe degli empi ricadono su loro. — 5. I buoni devono andar gloriosi delle beffe dei tristi. — 6. Verrà il tempo del trionfo per i giusti. 

1. In tutti i tempi i cattivi si sono burlati dei buoni. — Durante i cento anni che Noè impiegò a costruire l’arca, egli non cessò mai di avvertire gli uomini che facessero penitenza, perché sarebbe avvenuto un diluvio universale; ma gli uomini corrotti si ridevano di lui e gli davano la baia… Lot avvisò i Sodomiti che un diluvio di fuoco stava per seppellirli, e ne fu beffato. I Profeti parlano e comandano, esortano e minacciano nel nome del Signore; ma gli empi volgono in derisione le loro parole… Arrivato Gesù alla casa dell’Arcisinagogo, quando udì i suonatori di flauto e la folla che menava chiasso, disse: « Via di qua, perché la fanciulla non è morta, ma dorme ». A quest’annunzio si levò un universale bisbiglio sarcastico e beffardo (Matth. IX, 24). « Noi siamo, dice il Profeta, l’obbrobrio ai nostri vicini, favola e derisione in bocca alle genti che ci circondano » (Psalm. LXXVIII, 4) e volto a Dio diceva: «Voi ci avete resi oggetto d’insulto ai nostri vicini e di scherno ai nostri avversari » (Psalm. LXXIX, 7). E Gesù Cristo diceva di se medesimo per bocca del Profeta: « Io fui il loro ludibrio » (Psalm. LXXIII, 12). E come furono dai malvagi trattati gli Apostoli? « Noi siamo disprezzati come gente dappoco, scriveva il grande Apostolo; fino al presente soffriamo fame, sete, e nudità; schiaffeggiati, sfrattati, maledetti, perseguitati, ingiuriati; siamo considerati come la spazzatura del mondo ed il rifiuto della società » (I Cor. IV, 10-13). Da Gesù Cristo insultato sul Golgota, fino al presente, i cattivi hanno sempre disprezzati i buoni…

2. Per i cattivi non vi è nulla di sacro. — Quel sant’uomo di Giobbe in mezzo ai patimenti, coperto di piaghe, perfino sul letamaio è canzonato dai malvagi, ed anche dai suoi pretesi amici… Tobia diventa cieco, ed ecco i parenti, gli intimi suoi deridere la sua condotta e dirgli: « Dov’è la tua speranza, per cui facevi tante limosine e sepolture? » (Tob. II, 16). La sua donna anch’essa rinfacciargli che apertamente vane erano le sue speranze e vedersi alla prova dei fatti che cosa giovassero le sue limosine (Ibid. II, 22). – Non hanno forse i cattivi messo in ridicolo Gesù Cristo, tutta la sua vita? si burlarono de’ suoi miracoli, de’ suoi benefizi, della sua divina dottrina, della sua sublime morale. Ma al tempo della sua passione gl’insulti e le oltraggiose beffe toccarono il colmo. L’oltraggia Giuda vendendolo per il prezzo d’uno schiavo, trenta denari, e baciandolo. L’oltraggiano gli Apostoli abbandonandolo; l’oltraggiò Pietro, disconoscendolo e rinnegandolo. E gli schiaffi, e gli sputi, e la corona di spine, e lo scettro di canna, e lo straccio di porpora, e l’Ecce homo, e i pontefici, e i giudici, e i re, e i soldati, e la plebaglia, tutto concorre a gettare sopra di lui lo scherno e il ridicolo sino all’ultimo suo respiro… Gli empi si burlano della parola di Dio, della religione, della pietà, della Chiesa, dei Sacramenti, della legge di Dio, delle domeniche e delle feste, delle sacre cerimonie, del culto delle cose sante, di Dio, de’ Santi, del dogma, della morale, della vita, della morte, del giudizio, del Paradiso, dell’inferno, del tempo, dell’eternità; addentano, sbranano, calunniano, bestemmiano tutto ciò che ignorano.

3. Perché i cattivi deridono i buoni? — « Parlano con arroganza, e beffardamente di tutto, dice il Salmista, perché sono operai di iniquità » (Psalm. XCIII, 4). Agli Apostoli, ch’erano dai loro connazionali derisi, Gesù annunziava che se avessero appartenuto al mondo, il mondo li avrebbe amati come cosa sua; ma non essendo essi del mondo, perché Egli li aveva scelti dal mondo, perciò il mondo li odiava e li insultava. “Il servo non è da più del padrone. Ora se il mondo ha perseguitato me, perseguiterà anche voi, ma tutto ciò egli farà per il mio nome, perché non conosce Colui che mi ha mandato” (Ioann. XV, 15-21). – «La semplicità del giusto è schernita», dice Giobbe (Iob. XII, 4). Così grande è la perversità degli empi, che non hanno pace fino a tanto che non abbiano reso gli altri malvagi e perversi come loro: per ciò canzonano i buoni chiamandoli falsi devoti, baciapile, colli torti, ipocriti, ecc. Questo linguaggio poi e questa condotta è provocata dalla diversità dei costumi e della vita. Veggono essi, i cattivi, che il loro vivere dissipato, le loro sregolatezze, sono rimproverate e condannate dalla vita virtuosa, assegnata ad esemplare dei buoni: quindi se ne ridono, li beffano, li insultano, li oltraggiano, guardandoli quali censori dei loro disordini, quali sferze che li flagellano. E questo notava già S. Prospero il quale scriveva che tutti quelli i quali vogliono vivere piamente in Gesù Cristo, hanno da aspettarsi insulti e scherni, dalla parte degli empi; saranno chiamati pazzi che gettano via i beni presenti, aspirando e desiderando solo i beni futuri. Dio permette questo per accrescere la corona de’ buoni. Tali disprezzi e scherni ricadranno in capo ai malviventi quando la loro abbondanza si cangerà in penuria, e il loro orgoglio in confusione (In Sent. el Epigr. e. XXXII). « Nella bocca dell’insensato sta la verga dell’arroganza », leggiamo nei Proverbi (Prov, XIV, 3). L’orgoglio rende altezzoso ed insolente. Gli orgogliosi s’innalzano sopra gli altri, li deridono, li scherniscono, li oltraggiano… Il malvagio carico di peccati si diporta come se avesse autorità sui buoni: pretende che gli sia lecito malmenare e calpestare tutti… « Gli empi, dicono i Proverbi, detestano chi rettamente vive (Prov. XXI, 27).

4. Le beffe degli empi ricadono su loro. — Le insolenti ed ingiuste beffe dei malvagi si volgono contro di loro per umiliarli e condannarli; poiché mettono in luce l’ignoranza, l’odio, la malvagità, la corruzione del loro cuore… « Rovina se stesso chi strazia il buono » (Prov. XX, 25) : e « pronto è il giudizio per il derisore, e il martello che lo deve percuotere», dicono i Proverbi (Prov. XIX, 29). « Una beffa, una maledizione pazientemente sofferta, ricade sul suo autore, dice S. Agostino, e rimane illeso quegli contro di cui fu lanciata »; e S. Ambrogio soggiunge che è convinto e punito di follia chi scaglia contumelie. Dio delle vendette, Signore Iddio delle vendette, manifestatevi, grida il Salmista. Alzatevi, o giudice della terra, date la mercede che si meritano, ai derisori superbi. E fino a quando, o Signore, e fino a quando gli empi si vanteranno? fino a quando vomiteranno insulti? fino a quando parleranno alteramente, e imbaldanziranno tutti questi artefici d’iniquità? Essi calpestano il vostro popolo, o Signore, desolano la vostra eredità. Strozzano la vedova e l’orfano, uccidono lo straniero, dicendo: « Non ci vedrà il Signore». O uomini stupidi, e quando mai intenderete? Quegli che formò il vostro orecchio non vi udirà, o chi formò il vostro occhio non vi vedrà? Colui che punisce le nazioni non vi castigherà? Colui che insegna agli uomini la scienza non comprenderà? (Psalm. XCIII, 1-10),

5. I buoni devono andar gloriosi delle beffe dei tristi. « Le ingiurie e gli scherni sono la porzione di coloro a cui sta riservata la gloria », dice S. Ambrogio. Dividere gli oltraggi, le beffe, le burle con Noè, coi Patriarchi e coi Profeti, con Gesù Cristo e con i suoi Apostoli, coi Martiri, coi Confessori, con le Vergini, coi Santi di tutti i secoli, con la Chiesa, è il più grande onore, la più sublime gloria, la più bella ricompensa che possa toccare ad un uomo… Sì, è cosa onorevole e gloriosa venir burlato, deriso, criticato, morso dai malvagi, dagli uomini corrotti, spudorati, scandalosi, empi; perché questo prova che non li imitiamo, e il non imitarli ridonda a nostro sommo onore. Disgraziato colui che è lodato da una bocca macchiata!…

6. Verrà il tempo del trionfo per i giusti. — I cattivi si ridono de’ buoni perché non ne scorgono l’interiore bellezza, ma la vedranno il dì del giudizio: allora conosceranno chi sono i giusti, i quali compariranno ai loro occhi, non più oscuri, vili, spregevoli, ma risplendenti di gloria e di maestà, perché simili a Dio ed a Gesù Cristo… ma se ne accorgeranno troppo tardi… Al presente i malvagi vedono e disprezzano i buoni, ma in quel giorno il Signore schernirà loro, come dice la Sapienza (Sap. IV, 18) « Allora i giusti si leveranno con coraggio contro quelli che li insultarono, derisero, tormentarono, e tolsero il frutto dei loro lavori. A questa vista gli empi impallidiranno e tremeranno per lo spavento. E tocchi da cordoglio, diranno con affannosi sospiri: Questi sono coloro i quali noi una volta riguardavamo come oggetto di derisione e ponevamo esempio di obbrobrio. Noi stolti, la loro vita stimavamo insensatezza, ed il loro fine disonorato : ed ecco che essi hanno posto tra i figliuoli di Dio, e parte coi santi. Dunque noi smarrimmo la via di verità, e non rifulse per noi la luce della giustizia, e non si levò il sole dell’intelligenza. Ci stancammo nella via d’iniquità e di perdizione, battemmo strade disastrose e non conoscemmo la via del Signore. Che giovò a noi la superbia? e la ostentazione delle ricchezze qual pro a noi fece? Tutte quelle cose si dileguarono come ombra, e come passeggero che va in fretta. Come una nave valica le onde agitate senza lasciare traccia del suo passaggio, né solco aperto dalla sua carena nei flutti… Così noi, nati che fummo, tosto cessammo d’essere, e niun segno di virtù potemmo mostrare, e nella nostra malvagità ci consumammo (Sap. V, 1-14). Qui i cattivi si dichiarano da se medesimi colpevoli di un triplice errore: 1° l’essersi sviati dal sentiero del vero…; 2° di non aver veduto la luce della giustizia, della prudenza, della carità, perché l’hanno disprezzata, volendo rimanere nelle tenebre della concupiscenza e delle passioni…; 3° di non avere aperto l’occhio al sole che è Gesù Cristo, vera luce la quale illumina ogni uomo che viene in questo mondo; perché gli hanno tenuto chiuso il loro cuore… Insensati derisori, voi pensavate che la vita de’ giusti non fosse che un giuoco (Sap. XV, 12). Guardate ed osservate ora dove si trovano essi, e dove vi trovate voi!…

LO SCUDO DELLA FEDE (XXIII)

[A. Carmignola: “Lo Scudo della Fede”. S.E.I. Ed. Torino, 1927]

XXIII.

L’ANIMA UMANA.

L’anima umana esiste. — Il pensiero non è una funzione del cervello. Ciascun’anima è creata da Dio. — Differenza dell’anima umana da quella delle bestie. — Immortalità dell’anima e vita avvenire. — Morti noi, morto tutto?

— È proprio vero che Iddio abbia dato all’uomo anche l’anima?

Non se ne può dubitare; è verità di fede. L’uomo è composto di un corpo mortale e di un’anima immortale; è così ha voluto Iddio che fosse mettendo l’uomo al mondo. Di modo che come il solo corpo non forma l’uomo, così neppure l’anima separata dal corpo basta a costituire l’uomo perfetto, ma perciò ci vuole l’unione dell’anima col suo corpo.

— Ma se l’anima non si vede!

Tu fai come i materialisti, i quali, perché anatomizzando il corpo non riescono a ferire l’anima coi loro bisturini, negano senza più la sua esistenza. Ma, caro mio, se noi la vedessimo non sarebbe più anima, vale a dire spirito. Del resto se non possiamo vederla cogli occhi materiali, forse che non dobbiamo vederla con quelli della ragione?

— Come dunque la ragione prova l’esistenza dell’anima umana?

Con moltissime prove che potrai apprendere facendo studi filosofici; io mi accontento di recartene due sole. Sta ben attento. – 1a Prova: È dimostrato nella scienza fisiologica che nel corpo umano nello spazio di sette anni incirca tutto si muti e si trasformi. Eppure per quanto si muti la carne, si muti il sangue, si mutino le ossa, ciascuno di noi sa certissimamente di essere sempre lo stesso individuo che sente, che pensa e vuole. Dunque in mezzo al continuo mutamento e rimutamento della materia bisogna ammettere nell’uomo qualche principio, che non si muta mai nella sua sostanza, e che perciò è al tutto differentissimo dal corpo umano; e questo principio è per l’appunto l’anima. – 2a Prova: Noi facciamo dei pensieri. Ma i pensieri nostri non sono materiali, non si possono né vedere, né misurare, né pesare né scomporre, eccetera. Dunque il pensiero essendo immateriale non è prodotto in noi dal corpo materiale. Bisogna perciò che sia prodotto da un’altra sostanza totalmente diversa, la quale è l’anima.

— Anche senza essere filosofo ho inteso queste prove. Ma com’è che in certe scuole si insegna che il pensiero è una funzione del cervello ?

Se così fosse, ne verrebbe che l’uomo con un cervello più o meno grosso farebbe dei pensieri più o meno grossi, che i pensieri avrebbero estensione, forma, peso, eccetera; che perdendo una parte di cervello perderebbe anche in proporzione la facoltà di pensare. E invece, come più volte fu dimostrato dall’esperienza, anche perdendosi una parte notabile di cervello, sono rimaste intatte le facoltà mentali.

— Eppure non si dice che chi non è più capace di pensare bene e ragionare ha perduto il cervello, o ha il cervello ammalato?

Così si dice per modo di dire e perché davvero l’anima si risente di ciò che avviene nel corpo, come l’occhio si risente dello indebolirsi o scomparir della luce; ma di quella guisa istessa che l’occhio non è la luce, così l’anima non è il corpo, e il pensiero non è il cervello o il prodotto di qualsiasi altro elemento del corpo.

— Anche questo l’ho inteso. Ma presentemente in ciascun uomo di qual maniera è prodotta l’anima? Sono forse i genitori, che la generano come il corpo?

No, certamente, il dire ciò, come osserva S. Tommaso, sarebbe un’eresia. La dottrina comune, chiara e più certa, dalla quale non dobbiamo allontanarci è quella, che insegna Dio creare immediatamente ciascun’anima, e in quel modo e tempo, che Egli solo sa, infonderla nel corpo.

— Va benissimo. Mi sembra però che si faccia troppo gran conto dell’anima. Alla fin fine non l’hanno altresì gli animali?

E tu vuoi mettere l’anima degli animali a pari con quella dell’uomo? Non sai che tra l’anima umana e quella degli animali v’è una differenza enorme? L’anima nostra è ragionevole, intelligente, ha coscienza di sé, è capace del bene e del male, è libera, quindi è responsabile dei propri atti e deve riceverne il premio od il castigo; l’anima delle bestie al contrario non è nulla di tutto ciò.

— Ma alle volte certi animali non sembrano dal loro modo di agire che abbiano la ragione?

Potrà sembrare, ma non è. Ohi ha la ragione può passare dal noto all’ignoto e progredire scientificamente e civilmente. M a l’esperienza dimostra chiaro che nessuna bestia può fare ciò, perché nessuna mai l’ha fatto.

— E allora da che cosa procede l’addomesticamento di certi animali e l’imparare che essi fanno certe azioni di saltare, di cantare, di giuocare e simili?

Ciò proviene dall’istinto ossia da una forza interna, per cui l’animale mosso dallo stimolo di una sensazione grata o molesta, sensazione che per la memoria si riproduce, è indotto a fare certe cose senza precedente cognizione di motivo o di fine.

— Questo l’ho inteso; ma ciò che non so e non capisco ancora si è se tanto l’anima dell’uomo come quella della bestia siano immortali.

Senti: riguardo all’anima della bestia pare certo ch’essa non sia immortale. Siccome però di che natura propriamente essa sia non si sa dire con precisione, e vi hanno in proposito varie opinioni, così a seconda di queste opinioni si spiega pure diversamente come essa non sia immortale. Taluno dice che forse Dio stesso la distrugge; altri dicono che non potendo sussistere di per se stessa se non in unione col corpo della bestia, si dilegua da se stessa quando per la morte si discioglie il corpo dell’animale. E non mancano neppure di coloro che pensano che anche l’anima degli animali per la loro morte non cessi neppure essa di vivere, benché riconoscano la impossibilità di stabilire in che modo essa viva. Insomma qui si è di fronte ad uno di quei tanti misteri di natura, per spiegare i quali si fanno supposizioni e supposizioni senza che però si possa su di essi pronunciare una parola definitiva.

— Ed in quanto all’immortalità dell’anima umana si tratterebbe anche solo di supposizioni?

No, affatto. Prima di tutto si tratta qui di una verità di fede, anzi di una verità fondamentale della fede cattolica. Le Sante Scritture ce ne parlano ripetutamente e ci dicono chiaro che « Dio ha creato l’uomo immortale ». Oltre a ciò ragione ci dimostra apertamente che l’anima umana è veramente immortale; e te ne addurrò alcune prove, le quali serviranno nel tempo stesso a dimostrarti l’esistenza di una vita futura.

— Ed io le ascolterò attentamente.

L’anima umana è semplice e spirituale, il che vuol dire che non è composta di parti, perché si sente tutta intera in tutto il corpo e in ciascuna delle sue parti; ma ciò che non è composto di parti non si può sciogliere, cioè non si può distruggere. – L’anima umana sente una tendenza irrefrenabile alla felicità, e questa tendenza è certamente Dio che l’ha posta nell’anima dell’uomo. Ma qui, durante questa mortal vita, la vera e completa felicità non si trova. Bisogna dunque che ci sia un’altra vita dopo questa, dove questa tendenza possa essere pienamente soddisfatta; del resto Iddio sarebbe stato ingiusto e crudele nel mettere in noi una fame ed una sete, che non potessero mai essere soddisfatte. L’anima umana è fatta per l a verità; la verità è il suo cibo; ma la verità è indistruttibile ed immortale, epperciò deve essere anche tale l’anima che se ne ciba. Se l’anima umana non fosse immortale, se non ci fosse per essa un’altra vita dopo questa, in cui la virtù sia premiata ed il vizio sia punito, Iddio apparirebbe Egli ancora giusto com’è, dal momento che vi sono in questa vita certi viziosi che fino all’ultimo trionfano nel loro male, e in quella vece dei buoni che fino all’ultimo giacciono oppressi? Se l’anima umana non fosse immortale, non sarebbe tolto ogni freno al vizio? e la virtù non resterebbe priva di qualsiasi stimolo? Che anzi questi stessi nomi di virtù e di vizio non sarebbero nomi vani? Se l’anima umana non fosse immortale si spiegherebbe ancora quella brama, che vi ha in noi di vivere sempre, e quel rispetto che vi è presso tutti i popoli per i trapassati, precisamente perché tutti i popoli hanno sempre creduto che con la morte nostra non tutto muoia?

— Basta, basta. Da queste belle prove sono più che convinto dell’immortalità dell’anima e di una vita avvenire. Dunque la sbagliano di grosso coloro che van dicendo : « Morti noi, morto tutto? » .

Costoro, parlando così, rigettano la loro natura e la loro dignità, si fanno pari alle bestie, ai cani, ai gatti, agli asini e forse inferiori alle medesime. Costoro contraddicono all’unanime consentimento di tutti gli uomini, agli Egiziani, ai Persiani, ai Siri, ai Caldei, ai Greci, ai Romani, ai Galli, ai Brettoni, agli stessi selvaggi dell’Ottentozia e della Patagonia. Costoro vengono ad assegnare la stessa sorte ad un S. Pietro e ad un Nerone, a una S. Teresa e ad una scellerata Elisabetta regina d’Inghilterra, a un S. Vincenzo de’ Paoli e ad un Voltaire. Costoro insomma rovesciano la ragione, deridono tutto il genere umano, manomettono il buon senso e opprimono la voce della coscienza. — Ed io non li seguirò giammai nei loro traviamenti.

CATECHISMO E CATECHIZZAZIONE

Catechismo e Catechizzazione.

[G. Perardi: Nuovo Manuale del catechista, 9a ed. L.I.C.E. Ed. Torino, 1929]

« Non basta far una cosa; è necessario farla bene »„ – Questa importantissima massima che bisogna applicare in tutte le opere e specialmente nelle religiose, è assai trascurata nell’insegnamento del catechismo. Molti lamentano lo scarso frutto che si ricava dall’insegnamento del catechismo. E veramente chi considera lo stato della nostra società, la quale pur si dice cristiana, mentre si può dire che ne ha quasi solo il nome, chiede a se stesso, se agli uomini che la costituiscono, sia stato impartito un insegnamento religioso. – Non è certamente esagerato dire, che la causa principale per cui si è ricavato così scarso frutto, sta nel fatto che generalmente il catechismo non è stato insegnato bene; e non è stato insegnato bene perché coloro a cui era affidato sì nobile e difficile compito, non erano stati preparati in nessun modo, alla loro nobile e delicata missione. Generalmente agli incaricati dell’insegnamento del catechismo si è consegnato un « testo » del piccolo libro, indi si sono mandati in classe a « fare il catechismo ». Alcuni (ma relativamente pochi), furono provveduti d’un libro di spiegazione. Tutto si limitò qui. Ci sia permessa un’osservazione grave. Al contadino s’insegna il modo d’usare la zappa e gli altri strumenti, pur così semplici, del suo mestiere. E si pretenderà che il Catechista. – un giovanetto, una giovanotta generalmente senza cultura speciale – pel fatto solo che gli si è messo in mano un testo, o al più, » in casi rarissimi, una « spiegazione », sia senz’altro in grado di compiere fruttuosamente l’opera più delicata e difficile, qual è quella di insegnare la scienza più sublime a menti tenere e non ancora aperte, come sono quelle de’ fanciulli? e di insegnarla in modo che sia istruzione alla mente, educazione al cuore, onde li formi buoni Cristiani? – Osserviamo quanto fa lo Stato per la formazione dei maestri elementari, che debbono spezzare agii stessi fanciulli il primo pane dell’umano sapere! Qual lezione per noi!  Che cos’è il catechismo? Che cosa significa insegnare il catechismo?

Il Catechismo.

Diciamo catechismo il libriccino che, in forma semplice, contiene in compendio le verità della Dottrina Cristiana; esso è il compendio di tutte quelle cose che Cristo nostro Signore, ci ha insegnato per mostrarci la via della salute. Il catechismo, di cui ogni espressione, anzi ogni parola è stata rigorosamente ponderata, è il riassunto di tutta la teologia, di tutto il tutte le verità religiose, di tutta la morale cristiana. Esso, con formule brevi, semplici e precise, rende accessibile anche alle menti più tenere, le più gravi verità; esso, secondo un pensiero dell’Apostolo S. Paolo, è ad un tempo latte per i deboli e pane pei forti. È un ristretto semplice e, nel medesimo tempo, dottissimo della più alta filosofia, di tutte le scienze divine e umane – Da ciò appare quanto sia necessario lo studio del catechismo. L’uomo cerca la verità; la sua mente non riposa che nel possesso della verità. Il catechismo risponde a questo primo bisogno dell’uomo, perché non è la teoria di una filosofia o di una scuola, nemmeno il monumento della saggezza di un’epoca o di una società; è la dottrina del Figliuolo di Dio, venuto dal cielo ad evangelizzarci. È perciò che l’uomo, solamente nel catechismo, trova una risposta sicura, chiara e semplice alle più gravi questioni che lo interessano; è perciò che il catechismo si rivela divino a chiunque lo studia con spirito retto e desideroso della verità. – L’uomo vive secondo che crede. L’uomo che conosce e crede fermamente quello che il catechismo insegna, non può vivere che rettamente; al contrario l’uomo che ignora le verità religiose, ignorando la sua origine e il suo destino, la sua nobiltà, i vincoli che lo uniscono a Dio Creatore, non potrà mai praticare nella sua integrità il bene, non avrà mai quello stimolo potente che lo deve incitare e sostenere a superare costantemente le difficoltà che incontra nella pratica del bene. Gesù Cristo ha equiparato alla necessità del Battesimo la necessità dell’insegnamento religioso. Difatti inviando gli Apostoli a predicare il Vangelo disse loro : «Andate dunque a istruir tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservar tutto quanto v’ho comandato».

Insegnare il catechismo …

… vuol dire, in primo luogo, far conoscere, far imparare la dottrina che esso contiene. Abbiamo detto in primo luogo, perché l’insegnamento del catechismo differisce totalmente dagli altri insegnamenti. Ogni insegnamento profano, s’indirizza essenzialmente alla ragione, cioè alla mente dell’uomo, per farle apprendere qualche cosa che prima non conosceva, o per fargliela conoscere meglio. È perfetto quell’insegnamento che fa apprendere alla mente una cognizione, in modo perfetto. Invece non è così nell’insegnamento del catechismo, poiché questo non s’indirizza solo alla mente, ma ugualmente alla volontà e al cuore; poiché fine dell’insegnamento religioso (o del catechismo) non è solo fare apprendere le verità religiose, dogmatiche e morali, ma indirizzare la volontà ad amare il Signore e a praticare, per amor suo, il bene da Lui voluto, ed evitare ogni specie di male. – L’insegnamento del catechismo incominciò con la Chiesa. Coloro che volevano convertirsi al Cristianesimo, prima di venire ammessi al Battesimo, erano istruiti (cioè catechizzati) sulla Dottrina della Chiesa. Questa istruzione non aveva solo per fine d’insegnare la Dottrina Cristiana, ma di formare, d’indirizzare l’anima dei convertiti alla vita cristiana. – Il Catecumeno (così si chiamava colui che era ammesso all’istruzione cristiana in preparazione al Battesimo) dice il Fleury citato dal Mons. Dupanloup, assisteva alle prediche pubbliche, a cui erano ammessi anche gli infedeli; ma di più v’erano Catechisti che vegliavano sulla condotta dei Catecumeni, e li ammaestravano in particolare sugli elementi della fede. Venivano principalmente istruiti intorno alle regole della morale, perché sapessero come dovevano vivere dopo il Battesimo. – « Non si badava soltanto se il Catecumeno” imparava la dottrina, ma se correggeva i suoi costumi, e si lasciava nella condizione di Catecumeno, cioè senza Battesimo, finché non fosse interamente convertito », cioè finché non avesse riformato la sua vita in conformità de’ doveri cristiani. Onde il catechismo, come insegnamento, è stato giustamente definito: « Un’azione ecclesiastica per cui quelli che ignorano la religione cristiana vengono metodicamente istruiti negli elementi di essa, ed educati a vita cristiana ». – In sostanza l’insegnamento del catechismo non è solo istruzione religiosa, ma è educazione cristiana. Opportunamente il Rev.mo D’Isengard, l’instancabile Apostolo del catechismo, osserva (come già Mons. Dupanloup faceva insistentemente notare) che ridurre il catechismo a pura e semplice istruzione, è concetto monco, poiché abbraccia uno degli elementi (ed elemento fondamentale) dell’opera catechistica, ma trascura l’altro, essendo il catechismo, quale fu inteso fino dalla più remota antichità cristiana, ad un tempo istruzione ed educazione, ossia formazione del cristiano. Egli insiste sulle differenze, riconosciute concordemente da tutti i pedagogisti, tra istruzione ed educazione. « L’educazione è il fine che si deve raggiungere; l’istruzione è soltanto uno dei mezzi. L’istruzione arricchisce la mente di cognizioni; l’educazione coltiva tutta l’anima. L’istruzione si rivolge soltanto all’intelligenza; l’educazione lavora ad un tempo a formare intelligenza, cuore, carattere e coscienza. Non può esservi certo educazione religiosa senza istruzione religiosa; ma è essenziale intender bene che una non è l’altra. Dare alla mente l’istruzione religiosa e trascurare di lavorare contemporaneamente all’educazione del cuore, del carattere, della coscienza, sarebbe restar molto indietro dal fine che si vuol raggiungere, molto al di sotto di ciò ch’è veramente l’opera catechistica ». – Questo concetto compiuto del catechismo, l’illustre Vescovo vede espresso nel linguaggio volgare, che dice fare il catechismo, e non soltanto insegnare, accennando così che non si tratta solamente di condurre i catechizzati alla conoscenza, ma insieme all’amore e alla fedele attuazione della dottrina di Gesù Cristo; sicché essa non entri soltanto nella mente, ma più nel cuore e nella pratica della vita. Così pure si dice l’opera del catechismo, per significare ch’esso non è soltanto insegnamento e studio, ma azione su tutta l’anima del fanciullo, efficacemente esercitata e docilmente ricevuta. Ecco il concetto vero e compiuto del catechismo: un’azione esercitata dalla Chiesa, per mezzo dei Catechisti, sulle anime dei fanciulli, per farle cristiane. I risultati meschini di molte scuole di catechismo, furono conseguenza del non avere inteso od attuato questo concetto fondamentale, pieno e totale del Catechismo.

PREGHIERE ED INDULGENZE APOCRIFE

PREGHIERE ED INDULGENZE APOCRIFE

I nemici della Chiesa di Cristo, di Dio e di tutti gli uomini, hanno da sempre tentato con tutti i mezzi di nuocere alla Sposa di Cristo ed ai suoi fedeli, cercando di corromperne l’anima e condurla là … ove è pianto e stridor di denti. Una delle armi più insidiose ed occulte, è quella di usare false preghiere ed indulgenze apocrife ed indurre i Cristiani alla superstizione, al sacrilegio,  al peccato contro la fede, la carità, ed ovviamente alla presunzione di salvarsi senza meriti [peccato contro lo Spirito Santo!]. La Chiesa Cattolica ovviamente ha cercato di allertare i fedeli già in varie occasioni, nel passato. Qui di seguito, a mo’ di esempio, riportiamo alcuni decreti contenuti in Atti Apostolici, ove vengono condannate come apocrife una serie di preghiere anche abbastanza note e “praticate”. Ne diamo qualche esempio:

In Acta Sanctæ Sedis n. 31 (1898-1899) a pagina 127 leggiamo:

DECRETUM URBIS ET ORBIS, quo revocantur indulgentiæ omnes mille vel plurium millium annorum. [decreto che revoca le indulgenze di mille e più anni]

“Quum huic S. Congregationi Indulgentiis Sacrisque Reliquiis præpositae ex ipsa sui institutione munus demandatum sit vigilandi, ne in christiano populo falsae et apocryphæ, veliam revocatae a RR. PP. Indulgentiæ temere evulgentur, pluries ab ea quæsitum est, num Indulgentiæ mille sive etiam plurium millium annorum, quae in nonnullis Summariis et etiam in Pontificiis Constitutionibus leguntur, sint retinendæ uti veræ, an potius inter apocryphas amandandæ, ea potissimum de causa quod immoderatæ viderentur. Porro quum hæc S. C. generatim animadverterit prædictarum Indulgentiarum concessionem, ut plurimum, nulli aut suppositivo niti fundamento, prætereaque perpenderit id quod Sacrosancta Tridentina Synodus Sess. 25, cap. XXI Decret, de Indulg. docuit, in concedendis nimirum Indulgentiis moderationem esse adhibendam, ne nimia facilitate ecclesiastica disciplina enervetur; opportunum esse censuit, sicut alias peragere consuevit, ut Indulgentiae omnes, quæ mille vel plurium millium annorum numerum attingunt, prætermisso an veris sint accensendæ vel apocryphis, revocarentur et abrogarentur: id enim postulare videbantur et mutata temporum adiuncta, et modo vigens in Ecclesia disciplina. Emi itaque Patres huic S. Congregationi praepositi, in generalibus Comitiis ad Vaticanum habitis die 5 Maii 1898, omnibus mature perpensis, unanimi suffragio rescripserunt: Indulgentias omnes mille vel plurium millium annorum omnino esse revocandas si SS.mo placuerit. [Sono assolutamente da revocare le indulgenze di mille o più anni].

Facta autem de his omnibus relatione SS.mo D.no Nostro Leoni Papæ XIII in Audientia habita die 26 Maii 1898 ab infrascripto Card. Præfecto, Sanctitas Sua Eminentissimorum Patrum sententiam ratam habuit et confirmavit, mandavitque per generale Decretum declarari omnes Indulgentias mille vel plurium millium annorum, quae hucusque concessae dicuntur aut sunt, revocatas esse, et uti revocatas ab omnibus habendas.

Contrariis quibuscumque non obstantibus.

L’anno successivo segue questo decreto:

In Acta Sanctae Sedis n. 31 (1898-1899) a pagina 727, si legge in questo Decreto:

A questa Sacra Congregazione, preposta alle Sacre Indulgenze e alle reliquie, sono pervenuti dei fogli che riportano preghiere con annesse indulgenze alle medesime attribuite, e sulla cui autenticità sono portati gravi dubbi. Pertanto questa Sacra Congregazione, affinché i fedeli non vengano tratti in errore, specialmente in questi tempi in cui tutti i nemici della Chiesa cercano ogni pretesto per irridere il tesoro inestimabile delle Indulgenze, che piamente, santamente, e incorrottamente si amministra, come da suo dovere ha avocato a se l’esame di questi fogli, e verificare e dichiarare qualora si trovi in essi promulgazione di indulgenze false, apocrife, e del tutto confuse, la diffusione di questi fogli sia del tutto proibita e le asserite indulgenze dichiarate apocrife e false. – Per qual motivo gli Em.mi Padri, riuniti in Vaticano il 5 maggio 1898 in Congregazione Generale, dopo matura riflessione, con unanime votazione hanno sottoscritto: i predetti fogli presentati a questa Sacra Congregazione sono da vietare e, come detto, le annesse indulgenze essere dichiarate apocrife e false.
Fatta di questo relazione presso il S. Padre Leone XIII nell’udienza del 26 maggio 1898, dal sottoscritto Cardinale Prefetto, sua Santità ha approvato e confermato e dato il mandato di preparare un decreto generale, nel quale venga stabilito che il contenuto dei fogli annessi, o che si trovi espresso in edizioni diverse sia proscritto e che le indulgenze riportate in essi siano condannate come false e apocrife. Seguono i “foglietti” con le preghiere ed indulgenze apocrife riportare:

Foliolum I

– Litanie della Beata Vergine Addolorata

composte dal Sommo Ponteficp Pio VII il quale accordò indulgenza plenaria nei venerdì dell’ anno a chi contrito le reciterà col Credo, colla Salve Regina e con tre Ave al Cuore addolorato di Maria SS.ma.

Kyrie, eleison. Christe, eleison. Kyrie, eleison.

Christe, audi nos. Christe, exaudi nos.

Pater de Coelis Deus, miserere nobis.

Fili Redemptor mundi Deus, miserere nobis.

Spiritus Sancte Deus, miserere nobis.

Sancta Trinitas unus Deus, miserere nobis.

Sancta Maria, … ora pro nobis,

Sancta Dei Genitrix, …

Sancta Virgo Virginum, …

Mater crucifixa,

Mater dolorosa,

Mater lacrymosa,

Mater afflicta,

Mater derelicta,

Mater desolata,

Mater filio orbata,

Mater gladio trans verberata,

Mater aerumnis confecta,

Mater angustiis repleta,

Mater cruci corde affixa,

Mater mœstissima,

Fons lacrymarum,

Cumulus passionum,

Speculum patientiæ,

Rupes constantiæ,

Anchora confidentiae, ora pro nobis.

Refugium derelictorum, ora

Clypeus oppressorum, ora

Debellatrix incredulorum, ora …

Solatium miserorum, ora

Medicina languentium, ora …

Fortitudo debilium, ora …

Portus naufragantium, ora

Sedatio procellarum, ora

Recursus moerentium, ora …

Terror insidiantium, ora …

Thesaurus fidelium, ora …

Oculus Prophetarum, ora …

Baculus Apostolorum, ora …

Corona Martyrum, ora …

Lumen Confessorum, ora …

Margarita Virginum, ora …

Consolatio Viduarum, ora …

Laetitia Sanctorum omnium, ora …

Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, parce nobis Domine.

Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, exaudi nos Domine.

Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, miserere nobis.

Respice super nos, libera nos, salva nos ab omnibus angustiis in virtute Iesu Christi. Amen.

Scribe, Domina, vulnera tua in corde meo, ut in eis legam dolorem et amorem: dolorem ad sustinendum pro Te omnem dolorem; amorem ad contemnendum pro Te omnem amorem. Laus Deo ac Deiparæ.

Ora pro nobis Virgo dolorosissima!

R). Ut digni efficiamur promissionibus Christi.

Oremus.

Interveniat pro nobis, quæsumus, Domine Iesu Christe, nunc et in hora mortis nostrae apud tuam clementiam Beata Virgo Maria Mater tua, cuius sacratissimam animam in hora tuae passionis, doloris gladius pertransivit. Per te, Iesu Christe Salvator mundi, qui cum Patre et Spiritu Sancto vivis et regnas in sæcula sæculorum. Amen.

– Salutazione a Maria SS. Addolorata

Dai Sommi Pontefici arricchita dell’ indulgenza plenaria lucrabile in ogni venerdì dell’anno da quei fedeli che confessati e comunicati la reciteranno divotamente.

Ave Maria doloribus plena, Crucifixus tecum, lacrimabilis tu in mulieribus et lacrimabilis fructus ventris tui Iesus. — Sancta Maria, mater Crucifixi lacrimas impertire nobis crucifixoribus Filii tui, nunc et in hora mortis nostrae. Amen.

Con approvazione ecclesiastica.

Torino, 1865 — Tip. dell’Oratorio di S. Francesco di Sales.

Foliolum II
La “Corona di Spine”

LA CORONA DI SPINE.

La corona di spine spiega la vita, passione e morte di N. S. Gesù Cristo, cioè dalla sua nascita fino alla morte.

1. Ogni grano di questa corona ha la somiglianza di una testa di bestia, e rappresenta come Gesù nacque tra il bue e l’asinello.

2. Questa corona somiglia alla corona di spine con cui fu incoronato Gesù Cristo.

3. Coloro che avranno questa corona in casa sopra un Crocifisso od un quadro e reciteranno per 33 giorni cinque Pater, Ave e Gloria all’incarnazione, passione e morte di N. S. Gesù Cristo, verrà deliberata un’anima dalle pene del purgatorio della propria famiglia e questa prega per il divoto che recita questa orazione.

Queste corone sono spedite e benedette dai PP. Crociferi del Belgio e autorizzati dal S. P. Leone XIII.

Chi reciterà divotamente questa orazione acquisterà 500 giorni d’Indulgenza oltre aver liberato un’ anima dal purgatorio.

Roma — Tipografia Pontificia, 1894.

 

Foliolum III
L’Orazione alla Piaga della Spalla

RIVELAZIONE

Fatta a S. Bernardo Abbate di Chiaravalle dell’incognita e dolorosa piaga della spalla di Nostro Signore Gesù Cristo da lui sofferta nel portar la pesante Croce.

Domandando una volta S. Bernardo a Nostro Signore nell’orazione, qual sia stata la sua maggior doglia occulta, sentita nel corso della sua Santissima Passione, rispose il Signore: Io ebbi una piaga sulla spalla profonda tre dita, fattami nel portare la Croce; questa mi è stata di maggior pena e dolore di tutte le altre, quale dagli uomini è poco considerata perchè è incognita. Ma tu abbila in venerazione, e sappi che qualunque grazia mi chiederai in virtù di detta Piaga mi onoreranno, gli perdonerò i loro peccati quotidiani, de’ mortali non mi ricorderò più e conseguiranno la vita eterna, cioè la mia grazia e misericordia.

Eugenio III ad istanza di S. Bernardo ha concesso, a chiunque dirà tre Pater noster, e tre Ave Maria, in onore della suddetta Piaga come è stato a S. Bernardo rivelato, tre mila anni d’Indulgenza.

ORAZIONE DA DIRSI ALLA PIAGA DELLA SPALLA DI NOSTRO SIGNORE.

Dilettissimo Signore Gesù Cristo, mansuetissimo Agnello di Dio, io povero peccatore, adoro e venero la Santissima vostra Piaga che riceveste sulla spalla nel portare la pesante Croce al Calvario, nella quale restarono scoperte tre Sagratissime Ossa, tollerando in essa un immenso dolore ; Vi supplico pertanto per virtù e meriti di detta Piaga ad aver di me misericordia col perdonarmi tutti i miei peccati sì mortali che veniali, e ad assistermi nell’ora della mia morte, e di condurmi nel vostro Regno beato. Amen.

Sia sempre benedetto, e ringraziato Gesù Cristo che col suo preziosissimo Sangue ci ha salvato.

Oremus.

Deus, omnium fidelium pastor et rector, famulum tuum Leonem quem pastorem Ecclesiae tuae præesse voluisti, propitius respice: da ei quæsumus, verbo et exemplo, quibus præest proficere: ut ad vitam una cum grege sibi credito, perveniat sempiternam. Per Dominum.

Sono pregati di un’Ave Maria per chi dispensa gratis il presente foglio.

Roma — Tipografia della Pace di F. Cuggiani.

(Vide Decr. Auth. n. 18).

Foliolum IV
La Corona “dei Meriti e della Passione di N.S. Gesù Cristo” (Spagnolo)

Imprenta de la Viuda é Hijo de Muñoz Plaza de la Merced.

CORONA DE LOS MERECIMIENTOS DE LA PASIÓN Y MUERTE DE NUESTRO SEÑOR JESU CRISTO.

(con licencia)

Ciudad-Real—1868

Imprenta de la Viuda é Hijo de Muñoz Plaza de la Merced.

 

CORONA DE LOS MERECIMIENTOS DE LA PASIÓN Y MUERTE DE NUESTRO SEÑOR JESU CRISTO.

Memoria de los merecimientos de la pasión de Nuestro Señor Jesucristo concedida por Nuestro SSmo Padre Pio V al Duque de Herencia y á su hijo el Principe de Sirena, el cual, yendo á visitar á nuestra Señora de Loreto, fué á besar los pies á su Santidad, y le dijo que le pidiese lo que quisiera, y el dicho Principe le suplicó que para salud de las almas concediese algunas indulgencias, para lo cual mandó su Santidad viniesen todos los Cardenales al Consistorio y Congregación y que rogasen á nuestro Señor fuese servido illuminar su intendimiento y les inspirase las gracias que su Santidad iba á conceder al Principe para que fuere en provecho de las almas: y estando todos juntos dijeron que concediese un Paternoster y diez Ave Marias que se llamará corona de los merecimientos de la pasión y muerte de nuestro Señor Jesucristo y que tuviese las gracias é indulgencias siguientes.

1a. Concede su Santidad à las personas que tubieren esta corona y la rezaren con devoción, rogando á Dios que conceda estas gracias, indulgencia plenaria y remisión de sus pecados.

2a. Todas las personas que rezaren la corona con contrición de sus culpas y pecados ganan indulgencias plenaria y remission de sus pecados culpa y pena, aunque la recen mil veces al dia.

3a. Que á totas las personas y en todas las veces que tuviesen la Corona en la manos diciendo : Dios y Señor mio Jesucristo, por los merecimientos de vuestra pasión santísima tened piedad y misericordia de mi : le serán perdonados sus pecados.

4a. Que todas las veces, que rezaren por modo de sufragio por las ánimas del Purgatorio, se sacan tantas almas como veces les rezaren y también indulgencia plenaria.

5a. Concede su Santidad á las personas que oyeren misa y rezaren dicha corona por cada vez cuatro mil años de perdón.

6a. También las veces que la rezaren por el Pontífice que las concedió, le serán perdonados sus pecados.

7a. Que el que tuviere esta corona en sus manos en el articulo de la muerte vaya absuelto de culpa y pena como el dia que fué bautizado.

8a . Concede su Santidad al dicho principe que pueda dar la corona á veinte personas : las veinte cada una á siete y cada una de estas siete á otras siete y así de mano en mano para que se comunique á todos los fieles.

9a. Que si perdiese la dicha corona, puede elegirse otra en su lugar que tenga las mismas gracias é indulgencias y esto sea una vez tan sola.

10a. Que para ganar estas indulgencias y gracias han de tener la bula de la Santa Cruzada y un tratado de estas indulgencias.

11a . Asi mismo, su Santidad de su propria voluntad y en presencia de sus hermanos los Cardenales dio la Corona al Duque diciéndole: La daréis á los que os la pidan y unos á otros poseídos del amor de Dios delante de un Crucifijo é incados de rodillas.

12a. El orden que se ha da tener para dar dicha corona ha ser, el que la pida esté incado de rodillas, como se dijo en el articulo anterior, y ha de decir : u Hermano, yo os ruego por amor de Dios que me deis la corona de los merecimientos de nuestro Señor Jesucristo, para que yo gane las gracias á indulgencias que su Santidad me concede por ella „. El que la dá poniéndola en las manos dirá : “Hermano yo os la entrego en memoria de la pasión y muerte de nuestro Señor Jesucristo con la gracias á mi concedidas: la podréis dar á siete personas y encargo la deis de limosna en reverencia de la pasión de nuestro Señor Jesucristo y rogueis por las almas del Purgatorio Amen „.

Foliolum V

Le parole dette da Maria SS. Addolorata, quando ricevette il Corpo esamine nelle braccia (oggi conosciuta come “Sentimenti di Maria SS. Addolorata …”)

O fonte inesausto di verità come ti sei disseccato! O saggio Dottor degli uomini, come te ne stai taciturno! O splendore di eterna luce, come mai la tua bella faccia è divenuta deforme! O altissima divinità come ti fai vedere a me in tanta povertà! O amor del cuore, quanto grande è la tua bontà! O delizia eterna del mio cuore quanto eccessivi e molteplici sono stati i tuoi dolori! Signor mio Gesù Cristo che hai comune col Padre, e collo Spirito Santo, una sola e medesima natura, abbi pietà di ogni creatura e principalmente delle anime Sante del Purgatorio. Così sia. Cinque Credi, una Salve Regina, un Pater Ave e Gloria, secondo l’Intenzione del Sommo Pontefice ed un Requiem.

Questa divozione, che si trovò in una Cappella di Polonia sopra una tabella, è stata approvata da Innocenzo XI, il quale concesse la liberazione di 15 anime dal Purgatorio, ogni volta che si reciterà. Lo stesso fu confermato da Clemente III.

La stessa liberazione di 15 anime del Purgatorio, ogni volta che si reciterà questa orazione, fu confermata da Benedetto XIV con Indulgenza Plenaria. La stessa concessione fu confermata da Pio IX con l’aggiunta di Cento altri giorni d’indulgenza.

S’implori una prece per chi dispensa l’orazione.

Montefortino 1893 — Tip. Marinozzi.

Foliolum VI

Gesù di Nazaret Re dei Giudei (Francese)

JÉSUS DE NAZARETH, ROI DES JUIFS, RÉDEMPTEUR

SOUFFRANT, AYEZ PITIÉ DE NOUS.

Extrait de la vie du bienheureux frère Innocent à Clusa frère Minime Recollet, singulier en vertus et en miracles, décédé à Rome le 15 décembre 1631.

Dans sa vie (premièrement imprimé en italien) dédiée an pape Innocent XI, trouvons-nous cette histoire singulière: Le saint homme parlant un jour avec certain prince et quelques théologiens, disait qu’à notre Sauveur Jésus Christ, allant au mont Calvaire chargé de sa Croix, étaient sortis de l’épine du dos trois Os ou Côtes qui avaient percé les articulations de sa chair. Le prince ainsi que tous les autres ne voulaient y ajouter foi, parce que, d’après eux, ni l’Ecriture sainte ni aucune Révélation n’en faisaient mention, et que cette opinion n’était pas admise par notre Mère la Sainte Eglise; mais frère Innocent leur observait : que le pape Eugène III, d’après les instances de saint Bernard avait accordé cent mille ans d’indulgences à tous ceux qui en l’honneur et commemoration de ces trois Os ou Côtes réciteraient trois fois le Pater et Ave Maria. Nonobstant cela aucun ne voulut y croire. Mais voyez quelle chose extraordinaire en est suivie: le saint homme, en leur présence élevant son coeur à Dieu, est devenu en extase, et dans le peu de temps, qu’il y restait, un papier sur lequel était écrit et très bien détaillé toute l’histoire des trois Os, comme le frère l’avait racontée, et l’indulgence du pape Eugène III accordée à cet égard, lui a été mise miraculeusement dans la main ; et ce qui est le plus frappant, est que cet écrit était soussigné par la main propre de Clement VII, pour lors pontife régnant à Rome.

Le frère Innocent revenant de son extase, remit au prince et aux théologiens l’écrit miraculeux : mais ceux-ci troublés et interdits, ne savaient s’ils voulaient croire ce qu’il venaient de voir devant leurs propres yeux, ne sachant comment ce papier pouvait être parvenu au saint homme, ainsi signé de la main du Saint Père.

Il leur semblait qu’il ne fallait rien de plus pour ajouter foi aux grands mérites du serviteur de Dieu, par qui le Seigneur voulut faire renaître la dévotion aux trois Os, qui avait restée si longtemps en oubli dans le coeur des fidèles.

Cette histoire miraculeuse, très propre pour exciter les catholiques à la compassion et à l’amour réciproque en considération de la douloureuse passion du Fils de Dieu, ainsi que pour mériter en si peu de temps autant d’indulgences, a été imprimée d’après le désir de personnes pieuses. Plut à Dieu que chacun voulut méditer non seulement sur la pesanteur de la croix, mais beaucoup plus sur l’énormité des péchés du monde, lesquels le Père céleste a voulu faire expier par son Fils unique, notre caution, ce pourquoi les épaules innocentes et toute puissantes et ses saintes Côtes et Os ont été si péniblement démembrés.

Ex Fremac. Ord. F. M. R.

Imprimi poterit F. BONAVENT. VAN Den Dycke,

Minister provinciæ.

Imprimi poterit. Actum Antuerp. 22 Nov. 1714.

L. De CARVAIAL L. C.

Nous trouvons dans des anciens ouvrages romains, que le pape Georges III, a accordé d’après les instances de la Reine d’Angleterre, et à tous ceux qui réciteront la prière suivante après V élévation du Corps de Notre Seigneur pendant la Messe, devant le très saint Sacrement de l’Autel, ou bien devant un Crucifix, autant d’années d’indulgence que notre Seigneur Jésus Christ avait de plaies à son corps, qui étaient au nombre de 5676: ainsi trouvons-nous dans les Révélations.

PRIÈRE.

O très aimable Seigneur Jésus Christ, Fils du Dieu vivant, je vous prie par l’ardent amour avec lequel vous avez aimé le genre humain, quand, ô Roi céleste vous étiez pendant à la croix avec un visage divin triste, des sensés inquiets, un coeur percé, d’un côté ouvert, des reints tremblants, d’un corps disloqué, des plaies sanglantes avec des flux et reflux, des veines forcées, d’une bouche criante, d’une voix enrouée, d’un visage pâle, une couleur mourante, des yeux pleurants, un ardent amour, un gosier soupirant, une soif ardent, un goût amer de fiel et de vinaigre, avec la tête penchée, couronnée d’épines, rencontrant la mort lors de la separation de son âme divine avec son très saint corps, avec l’origine de la fontaine vivant d’amour. Par le même amour, je vous prie, ô très doux et très aimable Seigneur Jésus Christ, par lequel votre aimable coeur fut pressé et entrecoupé, que vous voudriez vous réconcilier sur le grand nombre de mes péchés, et accorder ainsi qu’à ceux pour lesquels je suis obligé de prier, ,une fin bienheureuse et une résurrection glorieuse, par votre miséricorde infinie qui vivez et régnez avec le Père et le saint Esprit dans les siècles des siècles. Ainsi soit-il.

O êtres aimables ! soyez assidus et pensez à votre âme altérée, et nourrissez-la des mérites des très saintes Indulgences, pour obtenir par le très saint Sang de notre Sauveur Jésus Christ la remission de vos péchés et ensuite l’éternité bienheureuse. Excitez-vous donc pour l’amour des grandes souffrances de Jésus, à la récitation de cette prière divine et de trois Pater et Ave Maria, et priant ici sur la terre dans l’esprit et la personne de Jésus Christ, à savoir dans l’esprit de pénitence et de repentir, pour satisfaire ainsi conjointement avec lui pour vos péchés à la justice de sa Majesté blessée. PENSEZ-Y DONC BIEN.

Avec crainte et espoir travaillez à votre salut, dit saint Paul, Phil. 2. e. Laissons-nous faire le bien, dit-il, quand nous en avons le temps. Gai. 6. c. dit l’Eccl. 7. c. Celui qui craint le Seigneur n’omet rien ; à savoir de faire le bien là où il peut. Pour cette raison Jésus Christ, la vérité éternelle, nous exhorte. Luc. 9. Paites commerce jusqu’à ce que je viens savoir en bonnes oeuvres. Matth. 6. Amassez-vous des trésors pour le Ciel. Et après avoir fait assiduité dites avec Luc, c. 10, nous sommes des serviteurs inutiles, sur quoi S. Bernard dans le Psal. Qui habitas sermo 4, en nous menaçant dit: malheur à nous, si nous n’avons fait ce que nous devions faire. Jésus soyez loué! et prions-le mutuellement jour et nuit sans discontinuer comme dit S. Paul: car à toutes heures nous sommes à la porte de l’éternité, où nous suivra et le bien et le mal que nous aurons commis et cela pour l’éternité. Mâchez bien la nourriture Cela empêche la pourriture. Que le Saint Esprit soulage et remplisse les âmes des fidèles. Ainsi soit-il.

Bruxelles. Typ. J. Crols-Pirmez, rue de Flandre 106.

(Vide Decr. Auth. n. 18).

Foliolum VII

1 Orazione al Salvatore del mondo

 ORAZIONE AL SALVATORE DEL MONDO.

Signor mio Gesù Cristo Padre dolcissimo per amor di quel gaudio, che ebbe la vostra diletta Madre quando le appariste in quella sacratissima notte di Pasqua, e per quel gaudio quando vi vide glorificato con la chiarezza della divinità, vi prego ad illuminarmi con i doni dello Spirito Santo acciocché in tutti i giorni di mia vita possa adempiere la volontà di voi, che vivete e regnate con Dio padre nella vita dello Spirito Santo per tutti i secoli de’ secoli. Amen.

I Sommi Pontefici Bonifazio VIII e Benedetto IX concedono ottantamila anni di indulgenze a ehi reciterà la suddetta Orazione, come si vede in S. Giovanni Laterano di Roma in un marmo.

2. ORAZIONE DI S. GREGORIO PAPA, CHE SI TROVA A LETTERE D’ORO SCRITTA IN S. GIOVANNI IN ROMA.

Bonifazio Papa concede a chi confessato e comunicato la dirà, la remissione di tutti i peccati, e ogni volta che la dirà ottanta mila anni, e 40 quarantene, e chi la dirà 30 giorni continui avanti l’Immagine di M. V., otterrà qualunque grazia, e chi la dirà vita durante ogni giorno otterrà la grazia di morire fedelmente.

ORAZIONE

Stabat Virgo iuxta Crucem

Videns pati veram lucem

Mater Regis omnium

Vidit Caput coronatum

Spinis latum perforatum

Vidit mori filium. Vidit Caput inclinatum

Totum Corpus cruentatum. Pastor pro Ovibus

Vidit potum felle mixtum. Natum suum Crucifixum

Gubernantem omnium Christum pati flagello

Virgo mater et ancella. Vidit et obbrobria

Amen.

3. Orazione alla santa Croce da dirsi anche in sollievo delle anime sante del Purgatorio

Io vi adoro Croce Preziosa che con le delicate membra del mio Signore Gesù Cristo foste adorata, ed aspersa del suo Preziosissimo Sangue. Adoro te Dio mio posto in lei, e te Croce Santissima per amor suo e così sia. Questa orazione a dirla ogni Venerdì 5 volte si cavano 5 anime dal Purgatorio, ed il Venerdì santo se ne cavano 33. Divozione dell’incognita e dolorosa Piaga della Sacra Spalla di N. S. G. C. da lui patita nel portare la pesante Croce.

Dimandando una volta S. Bernardo Abate al nostro Signore nell’orazione qual sia stata la sua maggior doglia occulta sentita nel corso della sua passione; rispose il Signore: Io ebbi una piaga sulla spalla, profonda tre dita, fattami nel portare la Croce: questa mi è stata di maggior pena e dolore di tutte le altre, quale dagli uomini è poco considerata, perchè è incognita; ma tu abbila in venerazione: e sappi che qualunque grazia mi chiederai per tal Piaga te la concederò, e tutti quelli che per amor di essa mi onoreranno io loro perdonerò i quotidiani peccati, rimetterò loro i mortali, e conseguiranno la mia grazia e misericordia.

Eugenio III, ad istanza di S. Bernardo, ha concesso 3000 anni d’Indulgenza a chiunque dirà tre Pater e Ave ad onore della Piaga della Spalla di Gesù Cristo, e delle tre ossa prominenti, come si dice che sia stato rivelato a detto Santo.

ORAZIONE A DETTA PIAGA

Dilettissimo Signor Gesù Cristo, mansuetissimo Agnello di Dio, io povero peccatore saluto, e riverisco la vostra Santissima piaga, che patiste sulla spalla dal portar la pesante Croce, laonde per causa delle tre ossa prominenti, che quivi sporgevano in fuori vi si cagionava intensissimo dolore sopra tutti gli altri del vostro SS. Corpo. Vi adoro mio appassionato Signore, vi lodo, vi onoro, e vi glorifico con l’intimo del mio cuore e vi ringrazio per quella SS. profondissima e dolorosissima Piaga della vostra spalla, supplicandovi umilmente per quel gran dolore che in essa sentiste, e per quel grave peso della Croce, ad aver misericordia di me peccatore, a perdonarmi tutti i miei peccati, sì veniali che mortali, e di ac compagnarmi sul sentiero della Croce per i vostri Sanguinosi Vestigi alla eterna Beatitudine.

Tre Pater, Ave e Gloria.

ORAZIONE

Sacro Cuore di Maria

Voi siete gran Regina

Tutto il mondo a voi s’inchina

Voi salvate l’anima mia. — Un Pater ed Ave.

Pio VI concesse Indulgenza plenaria nell’anno 1787 a chiunque reciterà la detta orazione.

Siena 1888 — Tip. S. Bernardino.

Foliolum VIII

LETTERA DI GESÙ CRISTO.

DELLE GOCCIE DI SANGUE CHE SPARSE N. S. G. C MENTRE ANDAVA AL CALVARIO.

Copia di una lettera di Orazione ritrovata nel Santo Sepolcro di N. S. G. C. in Gerusalemme, conservata in una cassa d’argento da S. Santità, e dagli Imperatori ed Imperatrici cristiani. Desiderando S. Elisabetta Regina d’Ungheria, Santa Matilde e Santa Brigida sapere alcune cose della Passione di Gesù Cristo, facendo fervorose e particolari Orazioni, mercè le quali gli apparve Gesù Cristo favellando con esse e cosi dicendo: Sappiate che i soldati armati furono 150, quelli che mi condussero legato furono 23, gli esecutori di giustizia 83, i pugni che ricevei alla testa furono 150 e nel petto 108, i calci nelle spalle 80, e fui trascinato con corde e per i capelli 23 volte, natte e sputi nella faccia furono 180, battiture nel corpo 6666, battiture nel capo 110, mi diedero un urtone, notate nel cuore, fui alzato in aria per i capelli ad ore 21, ad un tempo mandai 120 sospiri, fui trascinato e tirato per la barba 23 volte, piaghe nella testa 20, spini di giunchi marini 72, punture di spine nella testa 100, spine mortali nella fronte 3, dopo flagellato e vestito da re di burla, piaghe nel corpo 1000. I soldati che mi condussero al Calvario furono 908, quelli che mi guardavano 3, goccie di sangue che sparsi furono 28430 e chi ogni giorno recita 7 Pater, Ave e Gloria per lo spazio di 15 anni per compiere il numero delle goccie di sangue che ho sparso, gli concedo 5 grazie:

1° . L’indulgenza plenaria e remissione di tutti i peccati;

2°. Sarà liberato dalle pene del purgatorio;

3°. Se morrà prima di compire detti 15 anni, per esso sarà come li avesse compiti;

4°. Sarà come fosse morto ed avesse sparso il sangue per la Santa Fede ;

5°. Scenderò io dal cielo a prendere l’anima sua e quella dei suoi parenti fino al quarto grado.

Quegli che porterà questa Orazione non morirà annegato, né di mala morte, né di morte improvvisa, sarà liberato dal contagio e dalla peste, dalle saette, e non morirà senza confessione, sarà liberato dai suoi nemici, e dal potere della Giustizia, e da tutti i suoi malevoli e da falsi testimoni. Le donne che non possono partorire, tenendola addosso, partoriranno subito e usciranno di pericolo. Nella casa ove sarà questa Orazione non vi saranno tradimenti nè di cose cattive, e 40 giorni prima della sua morte quello che l’avrà sopra di sè vedrà la Beata Vergine Maria, come dice S. Gregorio Papa.

Un certo Capitano spagnolo viaggiando per terra vide vicino Barcellona una testa recisa dal busto che gli parlò cosi: Giacché vi portate a Barcellona, o passeggiero, conducetemi un confessore acciò possa confessarmi essendo già da tre giorni che sono stata recisa dai ladri, e non posso morire se non mi confesso. Condotto al luogo il Confessore dal Capitano suddetto, la testa vivente si confessò ed indi spirò, trovando addosso al busto da cui era stata recisa, la seguente orazione la quale in quella occasione fu approvata da vari Tribunali della S. Inquisizione di Spagna. I suddetti 7 Pater, Ave e Gloria si potranno recitare e applicare anche per qualsivoglia anima. Altra simile copia della suddetta lettera è stata miracolosamente ritrovata nel luogo chiamato Porsit, tre leghe lontano da Marsiglia, scritta a lettere d’oro e per opera divina portata da un fanciullo di 7 anni del medesimo luogo di Porsit. Con un’aggiunta e dichiarazione il 2 Gennaio 1750 che dice : Tutti coloro che travaglieranno nei giorni di Domenica saranno maledetti da me, perchè nelle Domeniche dovete andare alla Chiesa

POLIOLUM IX.

Proscribitur etiam foliolum quoddam ex charta vel etiam ex lino confectum et diversis linguis exaratum, quod “Breve S. Antonii Patavini„ appellatur, hisce ultimis temporibus late diffusum, in quo, post relatam oratiunculam ex Breviario Romano desumptam:   “Ecce Crucem Domini, fugite partes adversae. Vicit Leo de tribu Juda, Radix David. Alleluja! Alleluja! „, hæc leguntur:

Sancte Antoni magne Taumaturge (alibi: Dæmonum effugator, ora pro nobis.

R). Ut digni efficiamur promissionibus Christi.

Oremus.

Ecclesiam tuam, Deus, Beati Antonii confessoris tui commemoratio votiva lætificet ut spiritualibus semper muniatur auxiliis et gaudiis perfrui mereatur æternis. Per Christum Dominum nostrum. Amen.

[Proscritto pure il cosiddetto “breve” di S. Antonio.]

Foliolum X

Demum proscribitur libellus cui titulus « Corona del Signore, sua origine, significazione ed indulgenze, ed alcuni metodi di recitarla con divozione e spirituale profìtto. » — Faenza 1871, Ditta tipografica Pietro Conti „ eo quod contineat plures apocryphas Indulgentias, nimirum pro Oratione  “Deus qui nobis in Sancta Sindone etc. „ et pro alia: “Dio ti salvi, Santissima Maria, Madre di Dio, Regina del Cielo ecc. „ iam damnatas per Decretum u Delatæ sæpius „ anni 1678 (n. 18); nec non pro sequentibus qæe nunc reprobantur;

Innocenzo VIII concesse indulgenza Plenaria a chi recita la seguente.

« Il Cielo ti Salvi, o Vergine Sovrana,

Stella del Sol più chiara,

Di Dio Madre pietosa,

Del mel più dolce, e rara;

Rubiconda più che Rosa,

Candida più che Giglio,

Ogni virtù t’infiora

Ogni santo ti onora,

Nel Ciel la più sublime. Così sia»

Clemente XIV concede l’Indulgenza plenaria a chi reciterà  l’orazione seguente al glorioso Patriarca S. Benedetto che ha rivelato alla Magna Badessa S. Geltrude di assistere nell’ora della morte, per opporsi potentemente agli assalti del nemico infernale, chi divotamente l’avrà agni giorno ossequiato colla seguente:

PREGHIERA.

Benedetto, mio caro Padre, vi prego per quella dignità, con la quale il Signore si degnò di cosi glorioso fine onorarvi e beatifìcarvi, che vogliate trovarvi presente alla mia morte, eseguendo in me tutte quelle promesse fatte alla Vergine S. Geltrude.

MEMORIA DEL GLORIOSO TRANSITO DI S. BENEDETTO.

Ant. Stans in oratorio dilectus Domini Benedictus Corpore et Sanguine Dominico munitus, inter Discipulorum manus imbecillia membra sustentans, erectis in coelum manibus inter verba orationis spiritum efflavit. Qui per viam stratam palliis et innumeris coruscam lampadibus coelum ascendere visus est.

  1. Gloriosus apparuisti in conspectu Domini.

R). Propterea decorem induit te Dominus.

Deus, qui pretiosissimam mortem SSilii Patris Benedicti tot tantisque privilegiis decorasti : concede quaesumus nobis, ut cuius memoriam recolimus, eius in obitu nostro beata praesentia ab hostium muniamur insidiis. Per Christum etc.

Chi non sa leggere, potrà dire tre Pater ed Ave con l’intenzione predetta.

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Contrariis quibuscumque non obstantibus.

Datum Romæ ex Secretaria eiusdem S. Congregationis die 26 Maii 1898.

HIERONYMUS CARD. GOTTI Præfectus.

f. ANTONIUS Archiep. Antinoen. Secretarius.

A firma del Prefetto

Fr. Girolamo Card. Gotti.

In data 26 maggio 1898

Il decreto seguente ha una straordinaria importanza per chi volesse esser sicuro che le preghiere che recita non siano false, sacrileghe, superstiziose e peccaminose.

Acta Sanctæ Sedis n. 32 (1899-1900) a pagina 243:  decreto“Inter cetera” [3 agt. 1899] qui leggiamo le norme suggerite per discernere le vere indulgenze dalle false ed apocrife:, onde prevenire le calunnie verso l’istituzione delle indulgenze, e così impedire la dispersione del celeste tesoro.

URBIS et ORBIS. Decretum de regulis seu normis ad dignoscendas veras Indulgentias ab apocryphis.

Inter cetera quæ huic S. Congregationi Indulgentiis Sacrisque Reliquiis praepositæ munera sunt tributa, illud supereminet secernendi nimirum veras Indulgentias ab apocryphis easque proscribendi. Cui quidem muneri satis ipsa fecit plurimis editis ad haec usque tempora decretis de apocryphis Indulgentiis in authentica Decretorum collectione contentis. Verum etsi haec S. Congregatio vigilans ab ipso suæ institutionis exordio semper exstiterit quoad Indulgentiarum publicationem, ne falsæ in Christianum populum irreperent, nihilominus, quum hac etiam nostra aetate non desint, qui, vel mala voluntate, aut etiam irrationabili zelo perculsi, falsas, vel ut minimum valde suspectas, Indulgentias sive orationibus, sive piis exercitiis adnexas propalare inter fideles non vereantur, hinc factum est ut plures Antistites hanc S. Congregationem adfuerint, ut de aliquibus Indulgentiis suum iudicium ederet. Id potissimum praestiterunt ea causa permoti ut non solum verae a falsis Indulgentiis discernerentur, sed praesertim ut Ecclesiæ hostibus via praecluderetur eam calumniandi, et aspernendi coelestem Indulgentiarum thesaurum. Porro S. Congregatio ut huic malo, quoad fieri posset, præsens remedium adhiberet, regulas seu normas quasdam statuere excogitavit, quibus prae oculis habitis nedum locorum Ordinariis, sed et ipsis Christifidelibus facilis aperiretur via ad dignoscendum quodnam sit ferendum iudicium de aliquibus Indulgentiis, quae passim in vulgus eduntur, dubiamquè praeseferunt authenticitatis notam.

Hoc vero S. Congregationis propositum SS.mo D.no Nostro Leoni XIII delatum, eadem Sanctitas Sua illud approbavit iussitque quam primum executioni mandari.

Quare S. Congregatio, adhibito studio Rmorum Consultorum, Indicem prædictarum regularum elucubrandum curavit; quem deinde in generali Congregatione ad Vaticanum coadunata die 5 Maii 1898 examini Eiîiorum PP. Cardinalium subiecit. Hi vero postquam praefatum Indicem mature perpenderint, eumdem, in aliquibus immutatum, in altera Congregatione denuo expendendum sibi reservarunt.

Quod quidem actum est in generalibus Comitiis ad Vaticanum habitis die 3 Augusti 1899, in quibus Emi et Rmi Patres Indicem uti infra proponendum censuerunt:

REGOLA I.

Authenticæ sunt omnes indulgentiæe, quæ in novissima Collectione a S. Indulgentiarum Congregatione edita continentur.

[Sono autentiche tutte le indulgenze contenute nell’ultima collezione edita dalla Congregazione delle Indulgenze.]

REGOLA II.

Indulgentiæ generales, quae in supradicta Collectione non exhibentur, vel quae concessae feruntur post editam Collectionem, tunc solummodo habendae erunt ut authenticae, cum earumdem concessionis authographum monumentum recognitum fuerit a S. Indulgentiarum Congregatione, cui, sub nullitatis poena, exhibendum erit antequam publicentur.

[Le indulgenze generali che non si trovano nella succitata collezione edita, o che saranno concesse dopo l’edizione della collezione, sono da ritenersi autentiche solo se munite di concessioni autografate dalla Congregazione delle S. Indulgenze, che dovranno essere esibite, pena nullità, prima della pubblicazione]

REGOLA III.

Authenticæ habeantur Indulgentiæ concessæ Ordinibus et Congregationibus religiosisj Archiconfraternitatibus, Confraternitatibus, Archisodalitas, Sodalitiis, piis Unionibus, piis Societatibus, nonnullis Ecclesiis celebrioribus, Loeis piis et Obiectis devotionis, quae continentur in Summariis recognitis et approbatis a S. Congregatione Indulgentiarum, eiusque auctoritate vel venia typis editis.

[Sono da ritenersi autentiche tutte le indulgenze concesse agli Ordini ed alle Congregazioni religiose, alla Arciconfraternite, alle Confraternite, agli Archisodalizi, ai Sodalizi, alle pie unioni, alle pie società, ad alcune delle chiese più popolose, ad oggetti di devozione che sono contenute nei sommari recogniti e approvati dalla S. Congregazione ed edite con la loro autorità]

REGOLA IV.

Non habeantur ut authenticae Indulgentiae sive generales, sive particulares, quae continentur in libris, in libellis, in summartis, in foliis,  in chartulis, sive etiam in imaginibus, impressis sine approbatione auctoritatis competentis; quae approbation concedenda erit post diligentem recognitionem et distincte exprimenda.

[Non si considerino autentiche le indulgenze, generali o particolari, contenute in fogli, libelli, libri, o anche in immagini, senza approvazione delle autorità competenti, da concedere solo dopo una diligente ricognizione chiaramente espressa.]

REGOLA V.

Apocryphæ, vel nunc prorsus revocatæ, sunt omnes Indulgentiæ mille vel plurium millium annorum quocumque tempore concessæ dicantur.

[Apocrife o revocate ora sono tutte le indulgenze ove si  dicano concessi svariati millenni ovunque esse siano state concesse.]

REGOLA VI.

Suspectæ habeantur Indulgentiæ plenariæ quæ asseruntur concessæ recitantibus pauca dumtaxat verba: exceptis Indulgentiis in articulo mortis.

[Sono sospette tutte le indulgenze plenarie che si asserisce  esser concesse recitando solo poche parole, tranne che in “articulo mortis”.]

Regola VII

Reiiciendæ sunt ut apocryphæ Indulgentiæ, quae circumferatur in libellis, foliis seu ehartulis impressis vel manuscriptis, in quibus ex levibus aut etiam superstitiosis causis et incertis revelationibus, vel sub illusoriis conditionibus promittuntur Indulgentiæ et gratiæ usum et modum excedentes.

[Sono da considerarsi apocrife quelle indulgenze che circolano in volantini ed opuscoletti (… oggi anche libri, internet, you-tube etc. … visto la grande diffusione che ne fanno –ndr.-) contenenti dubbie rivelazioni che quasi sfociano nella superstizione, che, con illusorie condizioni, promettono indulgenze e grazie spropositate.]

 Regola VIII

Ut commentata reiicienda sunt folia et libelli, in quibus promittitur fidelibus unam alteramve precem recitantibus liberatio unius vel plurium animarum a Purgatorio: et Indulgentiae quae dictae promissioni adiici solent ut apocryphæ habendæ sunt.

[Sono da rigettare tutti i fogli o libelli in cui si promette ai fedeli, con le recitazione di una o d’altra preghiera, la liberazione di una o più anime del purgatorio: e le indulgenze collegate a dette “ promesse” sono da rigettarsi e ritenersi apocrife.]

REGOLA IX.

Apocryphæ, vel saltem ut graviter suspectæ, habeantur, Indulgentiærecentioris assertæ concessionis,  si ad inusitatum numerum annorum vel dierum producuntur.

[Apocrife, o almeno gravemente sospette, sono tutte le indulgenze presunte di più recente concessione, che promettono un numero inusitato di anni o di giorni di indulgenza]

Datum Romæ ex Secretaria eiusdem S. Congregationis die 10 Augusti 1899.

Fr. HIERONYMUS M. CARD. GOTTI, Praefectus.

f A. SABATUCCI ARCHIEP. ANTINOEN. Secr.

Congr. Indice

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A  PROPOSITO DELLE “promesse” annesse alle ORAZIONI S. BRIGIDA

Abbiamo un monito del Santo Officio, del  gennaio 1954, che si occupa di esse espressamente:

III

MONITUM

In aliquibus locis divulgatum est opusculum quoddam, cui titulus « SECRETUM FELICITATIS »- Quindecim orationes a Domino S. Birgittæ in ecclesia S. Pauli, Romae, revelatae », Mceae ad Varium (et alibi), variis linguis editum.

Cum vero in eodem libello asseratur S. Birgittæ quasdam promissiones a Deo fuisse factas, de quarum origine supernaturali nullo modo constat, caveant Ordinarii locorum ne licentiam concedant edendi vel denuo imprimendi opuscula vel scripta quae prædictas promissiones continent.

[In alcuni diversi luoghi viene divulgato un opuscolo con il titolo “Secretum felicitatis” con le quindici orazioni date dal Signore a Santa Brigida nella chiesa di S. Paolo in Roma, edito in varie lingue.  Poiché in questo libricino si asserisce per vero che a Santa Brigida siano fatte da Dio delle promesse delle quali non risulta in alcun modo l’origine soprannaturale; si diffidano gli Ordinari dal concedere licenza di edizione o stampa ad opuscoli che contengano le predette promesse.]

Datum Romæ, ex Ædibus S. Officii, die 28 Ianuarii 1954.

Marius Orovini, Supremæ S. Congr. S. Officii Notarius

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Attualmente, rimosso il freno del Santo Uffizio, preghiere ed indulgenze apocrife circolano innumerevoli, ispirate anche dalle eresie della setta del “novus Ordo”, che si spaccia per Chiesa Cattolica, da falsi sacrileghi prelati, da falsi religiosi e religiose, o addirittura da laici fanta-teologi “fai-da-te”, incontrollate, di carattere sentimental-sdolcinato, suggerite dal poetico-liberal-pensiero, con libertà dottrinale e teologica “neomontanista”, come ad esempio l’empio movimento satanico del c. d. “rinnovamento dello spirito” (in realtà si elimina lo Spirito Santo, e si dà spazio agli spiriti demoniaci … ). Per i pochi Cattolici in comunione con il Santo Padre Gregorio XVIII, il “pusillus grex”, valgono le regole, da osservarsi con somma attenzione e maniacale prudenza, del decreto del Santo Uffizio 3 agosto del 1899 “Inter cætera”. Si recitino solo le preghiere approvate dalla Chiesa Cattolica, antecedenti al novembre 1958, ed indulgenziate come da Raccolte Ufficiali  della S. Congregazione delle Indulgenze. Nel caso opposto, si commette come minimo sacrilegio, e le preghiere rigettate ancor prima di essere concluse. Attenti fedeli, il lupo maledetto si è travestito da Angelo di luce ed inganna oggi soprattutto con la falsa spiritualità, le false devozioni, i falsi riti ed i sacrileghi pseudo-sacramenti. A noi Cattolici, non è permesso cedere al nemico travestito, anche se il suo travestimento è una talate nera, rossa o bianca, … dai frutti li riconoscerete …

LO SCUDO DELLA FEDE (XXII)

[A. Carmignola: “Lo Scudo della Fede”. S.E.I. Ed. Torino, 1927]

XXII.

L’UOMO.

Il primo uomo e la prima donna. — Se si possa ammettere l’umanità preistorica. — Il trasformismo di Darwin, ossia l’uomo dalla scimmia. —  Le diverse razze e l’unità della specie umana. — Il fine della vita.

— Desidererei ora di apprendere qualche cosa intorno all’uomo.

Ed io ti dirò subito che la Scrittura ci dice chiaro, che l’uomo fu creato da Dio: che « Dio formò il corpo dell’uomo dal fango della terra, e gli alitò in volto il soffio della vita: che poscia, mandato un profondo sonno a questo primo uomo, gli trasse dal fianco una costa e con essa ne formò la prima donna, che diede a lui per aiuto e compagna, e che il primo uomo chiamò Adamo, che vuol dire di terra, oppure rosso, cioè di terra rossa, oppure anche dotato di linguaggio, e la prima donna Eva, che significa madre dei viventi ».

— Ma a dirle il vero tutto ciò mi sembra una storiella da ridere.

Ed io ti compatisco, perché so che più che il tuo sentimento esprimi quello degli increduli. Ma del resto che cosa vi ha di ridicolo in ciò! Vorrei un po’ che tu suggerissi qualche altro modo, che Iddio avrebbe potuto tenere nel creare l’uomo per vedere se alla mia volta non avrei da ridere del tuo suggerimento? D’altronde se Iddio è puro spirito, epperciò non ha le mani come noi, non devi mica credere che quando la Scrittura ci dice che Dio formò  il corpo dell’uomo, abbia preso del fango con le mani e poi dalla bocca gli abbia soffiato sopra materialmente: ma devi capire che l a Scrittura ci vuol in tal guisa significare che Iddio con la sua onnipotenza, valendosi forse anche, come dice S. Basilio, del ministero degli Angeli, formò il corpo di Adamo, e creò l’anima e gliela infuse.

— Ma quella creazione della donna da una costa dell’uomo?

Ti par proprio strana, non è vero? Ma ciò proviene dalla picciolezza della tua intelligenza, per cui misuri Iddio sopra te stesso e a seconda delle tue viste. Ma Dio non è come noi, e quello che a noi può sembrare strano per Lui è sapientissimo. In quante altre cose Dio segue delle vie tutto diverse da quelle che seguiremmo noi! Del resto se Iddio ha fatto così a creare la donna, ne ha avuto certamente le sue ragioni. E S. Tommaso d’Aquino, da quel gran genio, che egli è, ne indica alcune, dicendo che la donna fu tratta dall’uomo, perché fosse conservata la dignità dell’uomo istesso con l’essere egli il principio della sua specie: che non venne creata dalla testa, perché si conosca che essa non deve essere al di sopra dell’uomo, né fu creata dai piedi, perché si sappia che l’uomo non la deve disprezzare, ma che venne tratta dal fianco, vale a dire da vicino al cuore, perché sia manifesto che l’uomo deve riguardarla e stimarla come parte intima di se stesso.

— Ho inteso. Ma sento a dire tante volte che gli scienziati, i geologi hanno trovato le prove incontestabili dell’esistenza di uomini preistorici, di migliaia e migliaia di anni anteriori ad Adamo, la cui comparsa nel mondo, come già mi disse, risale a sei mila anni fa soltanto.

Sì è vero: certi geologi hanno questa pretesa. Secondo loro si sarebbero trovati dei crani che conterebbero nientemeno che 250,000 anni di esistenza! I più discreti asseriscono che almeno 50,000 anni fa già esistevano degli uomini! Ma queste non sono soltanto che ipotesi e congetture, lanciate a pieno vapore nei campi dell’ignoto, coll’unico intento di dare una smentita all’insegnamento della Bibbia; ma sono vere baie di una scienza tutt’altro che seria e profonda, ciarlatanesca e goffa. Figurati che fra le grandi prove, che si addussero in conferma di tali asserzioni, fuvvi la scoperta di uno scheletro, che si disse umano ed antichissimo, di migliaia d’anni anteriore ad Adamo, e che poi si riconobbe essere quello di una smisurata salamandra, e il ritrovamento di oggetti, lavorati dall’uomo, ad una tale profondità da farli supporre anch’essi di epoca remotissima e certamente appartenenti a uomini preistorici, ma che poi si venne a sapere che erano stati seppelliti appositamente per trafficare sulla buona fede dei geologi, di quei geologi, che amano meglio di lasciarsi truffare da qualche furbo matricolato che credere all’insegnamento della parola di Dio!

— Ma pure non si rinvennero negli strati della terra strumenti di pietra, di bronzo, di rame e di ferro, atti a determinare le loro corrispettive età, talune delle quali anteriori ad Adamo?

Sì, è vero che si rinvennero tali strumenti di diversa materia, ma non perciò si può inferirne con sicurezza delle diverse età, ed anteriori ad Adamo. « Supponete, scrive Pozzy nel suo libro La terra e il racconto biblico, che i geologi futuri, scavando i laghi e i fiumi dell’America e dell’Australia, trovino le armi, gli archi, le frecce degl’indigeni, mescolate alle armi da fuoco dei popoli europei, che li hanno cacciati e vinti: sarà logico inferire che ha dovuto scorrere un numero sterminato di secoli fra le due epoche rappresentate da questi avanzi? » L’uso adunque di utensili di legno, di pietra, di bronzo, di ferro, eccetera, può essere stato promiscuo e contemporaneo, come lo è anche presentemente, e la diversità della materia di questi oggetti rinvenuti non dà nessun diritto ad inventare successivamente l’età della silice, del bronzo, del rame, e via via, e ad inventarle anteriori ad Adamo.

— Dunque che vi sia stata sulla terra un’altra umanità prima di Adamo non si può ammettere?

Non si può e non si deve. La Santa Scrittura non solamente non parla di alcuna umanità anteriore ad Adamo, ma chiaramente ci apprende che Adamo è il primo uomo creato da Dio sulla terra, e che da lui proviene tutto il genere umano.

— Eppure io so che vi sono di coloro, i quali, anche peggio, vanno insegnando che l’uomo è provenuto da successive trasformazioni di esseri a lui inferiori.

Così insegnano i materialisti. Ma contro di questa assurdità basta che tu richiami alla tua mente quanto abbiam detto provando l’esistenza di Dio.

— Sì, me ne ricordo. Ma ho pur inteso dire che, non è gran tempo, uno scienziato inglese chiamato Darwin, aveva fatto la scoperta che l’uomo deriva dalla scimmia.

E che scoperta? una scoperta che ci onora assai! Capperi! Non vai in solluchero tu quando pensi che, secondo il Darwin, sei discendente d’un qualche bel scimmione?

— Capisco che lei è in vena di scherzare, ma io vorrei che mi dicesse qualche cosa sul serio a questo riguardo.

Ed io te lo dirò. E prima di tutto devi sapere i n che cosa consista la teoria darwiniana. Egli, il Darwin, si sforza di dimostrare che gli esseri viventi a lungo andare si scostano dal loro tipo primitivo a cagione delle influenze esterne, che operano su di loro; che essendo moltissimi gli esseri esistenti e scarsi gli alimenti per sostenerli, tali esseri lottano fra di loro in una lotta per l’esistenza affine di ridursi a pochi e poter vivere. Riducendosi a pochi e sopravvivendo, ben si capisce, i più forti, questi riproducendosi diventano sempre migliori, e così per mezzo di una lenta selezione naturale un tipo primitivo da imperfettissimo si fa perfetto. Così dovette accadere delle scimmie, fino a che per mezzo del trasforsmismo ne venne fuori il magnifico scimmione, che è l’uomo ».

— Questa teoria è abbastanza ingegnosa; ma come fu provata?

È quello che devesi ancor fare e che non si potrà fare mai. Non è che il Signor Darwin non l’abbia tentato, tuttavia non vi è riuscito, tanto che l’Accademia francese delle Scienze ha detto di lui che « è u n amatore di astrazioni generali, ma che resta straniero all’osservazione rigorosa dei fatti ». E il celebre Virchow, medico e naturalista tedesco, non sospetto certo di tenerezza per l’insegnamento cattolico, perché incredulo e libero pensatore, in un discorso tenuto a Berlino l’anno 1892 disse chiaro: « Tutti i progressi positivi che noi abbiamo fatto nel dominio dell’antropologia preistorica, ci allontanano sempre più da questa parentela (colla scimmia). Esiste un limite preciso, che separa l’uomo dall’animale, e che non si è punto sinora potuto scancellare, e si è la eredità, che trasmette ai neonati le facoltà dei genitori. Non abbiamo mai visto che una scimmia metta al mondo un uomo, o che un uomo produca una scimmia. Se v’ha qualche uomo che abbia un viso scimmioso, ciò non è altro che un effetto morboso ».

— Dunque non è vero che l’uomo rassomigli alla scimmia e la scimmia all’uomo?

No, non è vero affatto. Vi sono delle differenze grandissime. La scimmia è animale rampicante, epperò può afferrare con le mani e con i piedi. Non sta ritta che con fatica e si fa violenza per star in equilibrio. China la sua testa naturalmente verso terra, e non parla. L’uomo per contrario cammina, sta su dritto, ben equilibrato, e ben si comprende al solo vederlo che il suo organismo è ordinato alla postura verticale, e parla. Queste sono già differenze essenziali, ma ve ne sono poi moltissime altre che sarebbe troppo lungo enumerare.

— Ed io mi accontento di quelle che mi ha indicate.

Epperò ritieni quello che ci insegna la Fede Cattolica, che l’uomo fu creato da Dio, e per tal guisa riconoscerai e rispetterai altresì la tua dignità, ed imiterai Napoleone I che, udendo le dottrine dei precursori di Darwin diceva: « Non voglio aver nulla di comune col fango; se costoro vogliono credersi bestie tal sia di loro, ma non cerchino di farmi credere che sono una bestia anch’io ».

— In quanto a questo non dubiti, farò com’ella dice. Tuttavia contro questa creazione divina di un uomo e di una donna, da cui vengono tutti gli altri, non sta il fatto delle razze diverse, che vi sono al mondo?

Così la pensano i così detti Póligenisti, ma così non è assolutamente, perché sebbene gli uomini siano di razze diverse, sono tuttavia di una medesima specie, che presenta in tutti gli stessi caratteri non ostante le loro gradazioni, e sempre si conservano e si moltiplicano, benché si frammischino insieme quelli di una razza con quelli di un’altra, ciò che non potrebbe accadere, come mostra l’esperienza, qualora gli uomini essendo di razze diverse fossero anche di diversa specie.

— Ma, e il diverso colore della pelle? e la diversa forma de’ cranii? e la diversità di lingue!

Son tutte cose accidentali. Non vi sono anche tra di noi dei bruni, dei gialli, degli olivastri e dei rossi? Non vi sono anche tra di noi delle teste bislunghe, depresse, o altramente configurate? Ciò dipende dal clima, dal nutrimento, dal genere di vita e simili. E in quanto alle lingue diverse tutti i dotti ormai si accordano nel dire che non son altro che dialetti di una lingua primitiva spezzata.

— Ho inteso. Ma ora mi dica un po’: Perché mai Dio ha dato e dà tuttora la vita agli uomini?

La cosa è chiara. Dio ha dato e dà tuttora la vita agli uomini per la sua gloria e per la loro vera ed eterna felicità. L’uomo pertanto durante la sua esistenza è in dovere di attendere a glorificare il suo Creatore: perciò deve adoperarsi a conoscerlo, ad amarlo, ad obbedirlo, a rendergli l’onore dovuto, per poi possederlo e goderlo eternamente.

— L’uomo adunque non è creato per godere i beni di questo mondo, i piaceri, le ricchezze, i divertimenti, eccetera?

No, caro mio. L’uomo deve giovarsi dei beni di questo mondo unicamente per conseguire i beni eterni del cielo.

— Ma se la vita è un fumo e dobbiamo già sottostare a tanti dolori, contro nostra voglia, perché non conviene di darci al buon tempo, di divertirci e spassarcela quanto più è possibile?

Se la vita dell’uomo fosse tutta qui come quella dei bruti, se dopo di questa non vi fosse per noi la vita avvenire, avresti ragione. Ma dovendo un dì sloggiare da questo mondo, ed essendo stati creati per l’eterna felicità, è a quella che dobbiamo mirare, sacrificando perciò le nostre cattive passioni e sottostando a quei sacrifici, che il raggiungimento del nostro fine ci impone. Così insegna e vuole la nostra fede.

— Dunque noi dobbiamo menare una vita noiosa, triste, malinconica?

Ecco il pregiudizio ingiusto e funesto, di cui pur troppo restano vittima tanti uomini, e specialmente tanti giovani. No, per corrispondere al proprio fine, ed amare e servire Iddio non c’è affatto da menar vita noiosa, triste e melanconica; non è neppur necessario lasciar del tutto di ridere, di scherzare e di stare allegri; anzi Dio, secondo l’invito della Santa Scrittura, lo si deve servire nell’allegrezza. L’unica cosa che importa di fare è astenersi dalla colpa, la quale, vogliasi o no, è dessa la cagione della tristezza, poiché Dio lo ha detto, ed Egli non si inganna, non è pace, e tanto meno allegrezza a chi fa il male.

— Ciò è giusto, e debbo confessare che me ne persuade la mia stessa esperienza.

LO SCUDO DELLA FEDE (XXI)

[A. Carmignola: “Lo Scudo della Fede”. S.E.I. Ed. Torino, 1927]

XXI.

I DEMONI.

Prova a cui furono sottoposti gli Angeli. — La gran battaglia in cielo. — Castigo degli angeli ribelli. — Loro denominazione ed esistenza. — Loro azione e potenza. — Come e perché  Dio la permetta.

— Ho inteso dire che i demoni dell’inferno erano angeli anch’essi. Come mai sono divenuti demoni!

Ecco. Gli Angeli come furono creati grandi e belli, così furono creati felici, e, secondo la dottrina comunissima, arricchiti eziandio, senza alcun loro merito, dei doni soprannaturali della grazia. Tuttavia essi non ebbero allora la felicità perfetta e soprannaturale della visione beatifica, alla quale Iddio li aveva destinati, né ebbero la impeccabilità col rassodamento della loro volontà nel bene. Essendo essi stati chiamati ad esistere propriamente per questo fine, per contemplare cioè l’essenza divina e per lodarla e benedirla in eterno, era necessario che ancor essi si rendessero meritevoli di sì eccelso onore col sottostare ad una prova.

— E non poteva Iddio ammetterli alla felicità perfetta ed eterna senza prova alcuna?

Senza alcun dubbio; nella sua potenza Dio assolutamente avrebbe potuto ammetterli senza più, fin dal primo istante della loro creazione a vederlo beatificamente; ma nella sua sapienza stimò assai più conveniente e più degno, che anche l’Angelo, essere intelligente, e mille volte più intelligente dell’uomo, avesse, mercé l’uso del libero arbitrio, a cooperare di sua deliberata volontà alla propria grandezza e felicità eterna.

— A che prova dunque furono sottomessi!

Questo non si può ben dire. Molti sacri dottori opinano, che Iddio abbia rivelato agli Angeli che un dì creerebbe una natura inferiore alla loro, la natura umana, e che questa natura di preferenza che quella angelica avrebbe assunto il Figliuolo di Dio, pel quale, come a Verbo incarnato, chiedeva loro l’omaggio dell’adorazione. Moltissimi degli Angeli obbedirono senz’altro al volere di Dio. Un’altra gran parte per superbia non ne volle sapere.

— E quanto tempo durò questa prova?

Un attimo, perché come ti dissi la intelligenza degli Angeli conosce subito e la volontà tiene dietro in un lampo alla conoscenza.

— E dopo tale prova che avvenne?

Gli angeli rimasti fedeli furono subito confermati in grazia, dimodoché d’allora in poi non poterono più peccare, e furono ammessi altresì al godimento eterno di Dio. E gli altri furono precipitati nell’inferno.

— Ma ho inteso a dire nelle prediche che allora avvenne in cielo una battaglia, e che S. Michele cacciò dal paradiso Lucifero o Satana, il capo degli angeli ribelli, e tutti gli altri.

E così si racconta nelle Sacre Scritture. Ma non perciò devi credere che in questa lotta gigantesca di milioni e milioni di spiriti contro altri milioni avvenisse alcunché di somigliante alle nostre battaglie, no; come tutto ciò accadde in un lampo, in un attimo solo, così tutto ciò accadde senz’armi, senza strepiti, senza azzuffamento, senza versamento di sangue. Una parola bastò a decidere la sorte della battaglia: la parola Michele che vuol dire Chi come Dio! A questa sola parola l’esercito dei ribelli fu precipitato dal cielo negli abissi eterni.

— Ma questo castigo non è stato troppo terribile?

Terribile sì, ma non ingiusto. Rifletti bene che Dio oltre alla più eletta intelligenza per poter ben conoscere la verità, aveva dato altresì agli Angeli suoi quella grazia, con la quale potevano star nel bene, come fecero moltissimi, e l’aveva data loro proporzionatamente alla loro natura e al loro fine; di modo che nessuno tra gli angeli decaduti per non aver resistito alla prova può ora incolpare menomamente Iddio. Credilo, il loro peccato fu veramente enorme. Non c’è confronto alcuno tra la gravezza del peccato angelico e del peccato umano; quello supera questo smisuratamente; ed è una delle ragioni per cui Dio pur perdonando all’uomo, non volle perdonare agli angeli.

— Gli angeli decaduti hanno essi perduta la loro natura angelica!

No, perché il peccato non toglie mai nulla alla natura, sia nell’Angelo, sia nell’uomo. Quindi i doni naturali propri dell’Angelo rimasero in essi integri.

— Perché questi angeli decaduti si chiamano demoni, o diavoli?

Demonii è lo stesso che spiriti maligni, e diavoli vuol dire precipitati.

— E le parole Lucifero o satana, con cui si denomina il capo dei demoni, che significano?

Lucifero equivale a portatore di luce, e così si chiama il primo demonio, perché avanti la caduta era forse il più splendido degli Angeli; satana vuol dire il nemico.

— Sarebbe vero che de’ demonii ve ne siano anche per l’aria?

Senza dubbio. S. Paolo dice per l’appunto che noi « dobbiamo lottare contro gli spiriti di malizia sparsi nella nostra atmosfera ». (Vedi Lettera agli Efesi, capo VI, versetto 12). Con tutto ciò non devi credere che vadano esenti dalle pene infernali. Iddio le fa loro soffrire in qualunque punto dello spazio essi si trovino.

— E tuttavia vi sono molti, i quali dicono che i diavoli non ci sono.

Gesù Cristo, gli Apostoli, tutti i libri sacri ne parlano, e noi non possiamo dubitare della loro esistenza senza rinunziare alla Fede Cattolica. Coloro, i quali vanno dicendo che il diavolo non c’è, sono quelli che vorrebbero che non ci fòsse, e sono non di meno le sue miserabili vittime. In altri tempi satanasso fece di tutto per comparire e farsi credere Dio; ora fa di tutto per eclissarsi e dar ad intendere ch’egli è un bel nulla: perché capisce bene che se si crede al diavolo, bisogna pur credere a Dio.

— E che cosa fanno ora i diavoli?

Oltre a l soffrire il castigo loro inflitto, quasi per rifarsi della sventura a loro toccata si servono dei doni che nella loro natura hanno ricevuto da Dio, dei loro lumi, della loro forza, del loro meraviglioso potere per pascersi nella falsa gioia della vendetta.

— E di qual maniera compiono la loro vendetta?

La loro vendetta la compiono contro di Dio, del quale prendono a contraffare la onnipotenza, contro degli Angeli Santi, dei quali combattono il governo e la protezione, e soprattutto contro gli uomini, chiamati a possedere un dì il bene che essi hanno perduto, e contro la Chiesa, che Gesù Cristo ha fondato propriamente per sottrarre gli uomini alla loro potenza e salvarli.

— È dunque vero che ci sia un demonio apposito per tentare ciascuno di noi?

Non è improbabile che colui, il quale si è fatto capo dei demoni, scimmiottando Iddio e intralciando l’opera del nostro Angelo custode, ne deputi uno a ciascuno di noi per seguirci in tutti i passi della nostra vita, dalla culla alla tomba. Ma da ciò non si ha da conchiudere che sia sempre un solo a tentarci: molte volte sono in più e numerosissimi: del che ci fa fede il Vangelo.

— E i demoni possono conoscere il nostro interno e le cose future?

Già te lo dissi parlando dello spiritismo. L’interno i demoni non lo possono conoscere; possono far delle congetture, delle supposizioni guardando ai nostri atti esterni, epperò ben si comprende che possono prendere dei grossi granchi; e in quanto al futuro possono fare delle induzioni e nulla più. Se però si tratta ci cose dipendenti da cause naturali, come l’eruzione d’un vulcano, un terremoto e simili, può essere che conoscendo le dette cause, conoscano altresì gli effetti, che al tal tempo ne possono seguire.

— Bicordo d’aver letto in qualche libro che i demoni hanno una grande potenza.

Sì, come è grandissimo il loro ingegno naturale, così non è minore la loro potenza. Conoscendo mille segreti, che noi ignoriamo, possono influire senza difficoltà in tutti gli elementi. Possono perciò scatenare i venti, ammontare le nubi tempestose, far brontolare i tuoni e scoppiare le folgori. Hanno potere di operare mille prestigi, quali seducenti, quali spaventevoli, come ne fa fede la storia di Mosè. Possono rendersi visibili e camuffarsi in cento guise, come hanno fatto per tentare S. Antonio, ed anche trasfigurarsi, al dire di S. Paolo, in angeli di luce ».

— E fra questi poteri i demoni hanno anche quello di sforzarci a commettere il male!

No, questo potere non l’hanno. Essi possono tentarci, possono tribolarci, tormentare i nostri corpi, cagionarci delle vere malattie, influire sul nostro sistema nervoso, sfruttare la nostra immaginazione, ma sulla nostra volontà direttamente non possono nulla. E se talora riescono a vincerci, non è per ragione del loro potere, ma per causa della nostra viltà, con la quale ad essi ci arrendiamo di nostra deliberata volontà.

— È certo che talora i demoni pigliano anche possesso del corpo umano?

Certissimo. Il Vangelo ci parla assai spesso di indemoniati, ed anche oggidì ve ne sono. Tuttavia bisogna andare adagio a credere taluno ossesso, a meno che lo si vedesse a compiere cose affatto impossibili, come parlare lingue a lui ignote, rivelare l’altrui stato interno, e cose simili.

— E tutte queste cose che mi ha indicato poter i demoni, sia sulla natura, sia sopra di noi, le possono compiere sempre?

Oh no! Ma solo se e quando Dio loro le permette. I demoni sono come cani legati alla catena, che possono agire solo allorché e fin dove Dio loro l’allenta.

— E perché mai Iddio permette talora ai demoni di fare dei prestigi, di impossessarsi del corpo di taluno e di stare attorno a noi a tentarci?

Questo perché non lo possiamo pienamente comprendere. Certo Iddio sa quel che si fa, e siccome la sua volontà è buona sempre, in tutto e per tutto, così anche in questa permissione non ha di mira che il bene nostro e la gloria sua. Del resto possiamo riconoscere che Dio permette le azioni diaboliche contro gli uomini per metterci alla prova, per concederci il pieno esercizio della nostra libertà, nel combatterle e vincerle, per esercitare la nostra umiltà e pazienza, e talora anche per castigarci dei nostri peccati passati. A d ogni modo l’essere tribolati, tentati e persino ossessi dal demonio non costituisce peccato. E quando Dio lo vuole, il demonio deve subito ritirarsi dall’uomo, e lasciarlo in pace. Tutto sta che noi con la grazia di Dio, che non mai ci manca, facciamo la parte nostra per rigettare e vincere questo nostro avversario.

— Intanto però taluni ne restano vinti.

Che cosa vuoi mai? La libertà, che noi abbiamo, è un bene sì grande, che Iddio preferisce piuttosto che taluni ne abusino arrendendosi al demonio, e restando da lui vinti, anzi che toglierci sì gran bene. Ma di questo abbiamo già discorso più di proposito altra volta, quando abbiamo parlato della permissione del male morale.

— Ed anche a me sembra ora di aver appagato ogni curiosità intorno ai demoni: e sono contento di quanto ho appreso a loro riguardo, specialmente che essi non possono far nulla di male alla nostr’anima, se noi non lo vogliamo.

LE PIAGHE DELLA COMUNITA’ CRISTIANA: GLI SCISMI (4)

LE PIAGHE DELLA COMUNITÀ’ CRISTIANA

Capitolo I

Gli SCISMI,

ferite alla unità della fede (4)

[“Somma del Cristianesimo”, a cura di R. Spiazzi, vol. II Ed. Paoline, Roma, 1958]

SPECCHIETTO CRONOLOGICO DEI PRINCIPALI SCISMI

Scisma– Inizio (I.)  Fine (f.) Reg. geogr. (Rg.) – Fautori (Ft.)

EBIONITA   (I.) 63; (f.) sec. IV;  (Rg.) Palestina: Pella di Perea;     (Ft.): Tebutis

MARCIONITA (I.): 144; (f.):  s. III;     (Rg.): Roma (e   passim);                                                (Ft.): Marcione

MONTANISTA    (I.):177;   (f.): s. VIII;    (Rg.) Frigia e Asia minore, Roma e  Africa (fino al 360); (Ft.): Montano

IPPOLITO (di(I.) :217; (f.) : 235 (?);     (Rg.):  Roma;

 (Ft.): Ippolito (I antipapa)

MONARCHIANI   (I.) 190     (f.) s. V;      (Rg.): Roma, Siria,  Egitto; (Ft.): Teodoto il Conciatore, per gli adoziani;          Noeto per i modalisti.

ARABICO       (I.): s. II;  (f.):244;   (Rg.):   Arabia

FELICISSIMO      (I.): 250;   (f): 252;   (Rg.): Cartagine;                 (Ft.):     Felicissimo

NOVAZIANO        (I.): 251; (f.): s. VI; (Rg.): Roma; poi Gallia,   Africa, Siria;         (F.t.): Novaziano

APOSTOLICI (antichi) (I.):260; (f.): s. V (Rg.): Frigia, Cilicia, Pamfìlia

MELEZIANO (d’Egitto) (I.):306; (f.)s. VI  (Rg.) Egitto; (Ft.)  Melezio di Licopoli

MELEZIANO (d’Antiochia) (I.): 360 (330); (f.)394 (413); (Rg.) (Siria);   –                 (Ft.):     Melezio (Paolino)

DONATISTA (I.):313; (f.): 650; (Rg.): Africa (Ft.):Donato

MESSALIANI  (I.): s. IV; (f.): s. X; (Rg.): Siria, Asia Minore

APOTATTICI  (I.): s. IV; (f.): s. V; (Rg.): Asia Minore

ARCONTICI    (I.): s. IV; (f.): 383; (Rg.): Armenia e Palestina

ARIANI (I.): 320; (f.): s. V; (Rg.): Diffusisi dappertutto;  (Ft.)Ario

AUDIANI  (I.) :325; (f) :671; (Rg.): Siria, Asia Minore; (Ft.)Audi

AERIANI   (I.): s. IV; (f): s. V; (Rg.): Sebaste (Armenia); (Ft.)Aerio

PELAGIANO    (I.): 411; (f): s. VI; (Rg.): Roma, Africa, Palestina;

semipelagianesimo (in Gallia);       (Ft.)Pelagio

MONOFISITA (I.): 451;  (Rg.): Siria e Palestina; Egitto; Armenia; Etiopia.

ACACIANO (I.): 484; (f): 519 (Rg.): Costantinopoli; (Ft.): Acacio

ACEFALI (I.): 486; (f): s. IX; (Rg.): Egitto e Siria.

ACEMITI (I.): s. V; (f): 534; (Rg.): Costantinopoli.

NESTORIANO (I.): 486; (Rg.): Persia, India.

AFTARDOCETA (I.): s. VI; (f): s. VIII; (Rg.): Egitto, Asia Minore; (Ft.): Giuliano di Alicarnasso. 

ACTISTETA (I.): s. VI; (f): s. VI; (Rg.): Asia Minore.

AGNOETA (I.): s. VI; (f): s. VI; (Rg.): Egitto;(Ft.): Temistio

BARSANIANO (I.): s. VI; (f): s. X; (Rg.): Siria; (Ft.): Barsanio

TRE CAPITOLI (I.): 553; (f): 687; (Rg.): Africa; Milano; Aquileia.

PAULICIANI (I.): s.VI; (f): s. IX; (Rg.): Armenia; (Ft.): Costantino

MONOTELITA (I.): 640; (f): 681; (Rg.): Costantinopoli; (Ft.): Sergio. 

ICONOCLASTA I (I.): 726; (f): 787; (Rg.): Patriarcato Costantinopolitano.

ICONOCL. II (I.): 813; (f): 842;     (Rg.): Patr. Costantinop.

ADOZIANI (I.): 782; (f.) s. IX; (Rg.): Spagna, Francia (Ft.): Elipando di Toledo. (Spagnoli)

e Felice di Urgel.

ABRAMITI (I.): s. IX; (f.): s. IX; (Rg.): Siria;  (Ft.): Abramo di Antiochia.

FOZIANO (I.): 867; (f.): 879; (Rg.): Costantinopoli; (Ft.): Fozio.

BOGOMILI (I.): s. IX; (f.): s. XI; (Rg.): Bulgaria, Russia; (Ft.): Bogomil.

BIZANTINO (I.): 1054; (Rg.): Patriarcato costantinopolitano e Paesi da esso dipendenti; (Ft.): Michele Cerulario

APOSTOLICI (I.): (secolo XII);  (f.): s. XII; (Rg.): Francia, Renania, Fiandre.

CATARI (I.): s. XII; (f.): s. XIV; (Rg.): Francia sett., Fiandre. Italia, Germania, Inghilterra.

ALBIGESI (I.): s. XII; (f.): s. XIV; (Rg.): Linguadoca.

ALBANESI (I.): s. XII; (f.): s. XIV; (Rg.): Albano in Lombardia.

VALDESI    (I.):1179        (Rg.): Lione; poi Piemonte (Italia); (Ft.): Pietro Valdo.

FRATICELLI (I.):1290; (f.): s. XVII; (Rg.): Italia, Francia.

OCCIDENTALE (I.): 1378; (f.): 1417; (Rg.): Tutta la Chiesa Cattolica.

CALISTINO (I.): 1435; (f.): 1471; (Rg.): Cecoslovacchia; (Ft.): Rokyçana

BASILEA (I.):1437; (f.): 1449; (Seguito assai limitato, di persone più che di Paesi).

PROTESTANTE (I.): 1509; (Rg.): Germania, Svizzera, Norvegia, Svezia, Olanda, Francia, Inghilterra, Stati Uniti, Canada, ecc.; (Ft.): Lutero, Calvino,  Edoardo VII, ecc.

UTRECHT (I.): 1702;                 (Rg.): Olanda.

ABRAMITI (I.): s. XVIII; (f.): 1783; (Rg.): Boemia.

BOEMI

PETITE ÉGLISE (I.): 1801;         (Rg.): Francia.

TEDESCO – CATTOLICI  (I.): 1845; (Rg.): Germania.

VECCHI-CATTOLICI (I.): 1871; (Rg.): Germania.

AGLIPAYTA (I.): 1902;  (Rg.): Isole Filippine.

CHIESA Naz. CECA (I.): 1920; (Rg.): Cecoslovacchia.

 

 

 

LE PIAGHE DELLA COMUNITÀ CRISTIANA: GLI SCISMI (3)

LE PIAGHE DELLA COMUNITÀ CRISTIANA

Capitolo I

Gli SCISMI

ferite alla unità della fede (3)

[“Somma del Cristianesimo”, a cura di R. Spiazzi, vol. II Ed. Paoline, Roma, 1958]

Iconoclasti. – La lotta contro il culto delle immagini, iniziata dall’imperatore Leone III l’Isaurico e che doveva travagliare la Chiesa per ben 116 anni (726-842), diede luogo a due separazioni della Chiesa costantinopolitana da quella romana: separazione della Chiesa ufficiale solamente, perché, mentre l’episcopato e l’esercito sostenevano l’imperatore, ì monaci, seguiti dalle persone pie e dalle masse popolari, erano per il culto delle immagini e quindi per il Papa, il quale da Roma difendeva le immagini. 1) La prima separazione ebbe luogo nel 726, quando Leone III cominciò col distruggere la veneratissima immagine di Cristo che stava sopra una porta di Costantinopoli. Di fronte all’opposizione di Roma, l’imperatore fece rompere le relazioni ecclesiastiche, giungendo fino a deporre il patriarca Germano (730). La lotta fu continuata dai suoi successori, Costantino Copronimo, Leone IV e Costantino VI. Vi mise termine l’imperatrice Irene nel 787 con la coadunazione del II Concilio di Nicea (il VII ecumenico), il quale permise che si venerassero le immagini, ma insistette sulla differenza tra venerazione e adorazione. 2) La seconda separazione cominciò nell’815, anno in cui Leone l’Armeno ricominciò la lotta contro le immagini. Terminò nell’842 e vi mise fine l’imperatrice reggente Teodora nell’842. La prima domenica di quaresima (11 marzo 843) una solenne processione a Santa Sofia, presente l’imperatrice e il nuovo patriarca Metodio, introdusse il popolo alla cattedrale, in cui erano nuovamente esposte le immagini sacre.

(Di) Ippolito.Sotto il nome di « Scisma di Ippolito » viene comunemente indicato uno dei primi scismi consumati nella Chiesa romana, agli inizi del secolo III, da parte del presbitero romano di nome Ippolito, il quale si fece eleggere vescovo di una ristretta cerchia di persone influenti per nascita e per cultura, in opposizione al Papa Callisto (217-222). Ippolito, ambizioso e rigorista, accusò di sabellianesimo e di indulgenza verso i peccatori il Papa legittimo, dando inizio a uno scisma che si protrasse per alcuni anni. Sembra che i suoi fedeli gli erigessero la famosa statua di marmo ritrovata nel 1551 e ora nel Museo Lateranense, in cui sono incisi il computo pasquale e la lista dei suoi scritti. Se è così, questo Ippolito va identificato con lo scrittore Ippolito. Però, non dovrebbe essere confuso con l’autore dei Filosofumeni, né con l’Ippolito martire in Sardegna insieme a papa Ponziano. Oggi, infatti, si tende a distinguere tre Ippoliti, i cui dati bibliografici alla metà del secolo scorso erano stati identificati.

Luterani: vedi Protestanti.

Macedoniani: vedi Ariani.

Mandei. – È una setta che esiste tuttora con circa 8.000 persone nella Bassa Mesopotamia, presso Bagdad. Oscurissime le sue origini, sembra si possano far risalire agli insegnamenti gnostici dei primi secoli del Cristianesimo. – Essi stessi si chiamano Nazorei, mentre il nome di mandei viene da « manda » che significa gnosi. La dottrina mandea parte dall’emanatismo gnostico; la sua morale consiste nella liberazione della luce, l’anima, caduta nel corpo, personificazione della materia. Mezzi di questa liberazione sono la vita austera, la rinunzia ai piaceri e il battesimo, amministrato per triplice immersione.

Maratoniani: vedi Ariani.

Marcioniti. – Si diede questo nome ai seguaci dello gnostico Marcione, il quale fondò una setta sua, risultata la più importante delle sette gnostiche, la più pericolosa per la Chiesa e che durò per vari secoli. Marcione, abbandonando l’insegnamento della fantastica dottrina degli eoni e delle allegorie intorno alle parole della S. Scrittura, poneva in primo piano gli intenti pratici della dottrina gnostica. Al Dio creatore degli Ebrei, il demiurgo, pieno di somma giustizia e d’iracondia, opponeva il Dio ignorato dell’amore, manifestatosi nel Cristo, con corpo puramente apparente. Creò un suo proprio Nuovo Testamento da un raccorciato Vangelo di S. Luca e da 10 lettere di San Paolo. Scomunicato dal proprio padre, vescovo di Sinopo, fu dapprima accolto nella Chiesa romana intorno al 139, ma già nel 144 venne espulso.

Meleziani. – Il nome di « Scisma meleziano » è dato a due scismi ben differenti, uno nella Chiesa di Antiochia, l’altro nella Chiesa di Alessandria.

1) Lo scisma meleziano di Antiochia piglia il nome da S. Melezio, già Vescovo di Sebaste in Armenia, elevato alla sede di Antiochia nel 360. Qui egli trovò la Chiesa divisa in due fazioni, che si disputavano il campo e l’episcopato fin dal 330. Essendo stato inviato in esilio il Vescovo Eustazio, difensore della fede nicena, gli era stato sostituito l’ariano Eudossio. Ma gli ortodossi niceni, diretti dal prete Paolino, rimasti fedeli ad Eustazio (onde furono detti « eustaziani »), non l’avevano voluto riconoscere. Ora, nel 360, passato Eudossio alla sede costantinopolitana, Melezio fu eletto dagli ariani a sostituirlo. Senonché egli deluse le loro speranze, predicando secondo la formula e la dottrina nicena. Gli ariani, allora, Io accusarono di pretese irregolarità canoniche e lo fecero inviare in esilio dall’imperatore (360-362), sostituendolo con l’ariano Euozio. La massa degli antiocheni rimase fedele a Melezio, e, capeggiata da Flaviano, il futuro successore di Melezio, formò una comunità detta dei « meleziani ». Così, tornato dall’esilio, il Vescovo trovò la sua Chiesa divisa in tre partiti: gli eustaziani, i quali, sempre diretti da Paolino, non avevano voluto riconoscere Melezio, perché eletto dagli ariani; i suoi seguaci, i meleziani; gli ariani. La differenza tra i primi due era verbale: gli eustaziani ammettevano una usia e tre ipostasi nella Trinità; gli eustaziani, fedeli all’antica terminologia che identificava ipostasi e usia, parlavano di una usia o ipostasi e tre prosopa (= persone). Venuto a mettere pace, l’intransigente niceno Lucifero di Cagliari non fece che accrescere la divisione, consacrando vescovo Paolino. Nel 378 Melezio fu finalmente riconosciuto da Roma come rappresentante degli ortodossi, ma non da Alessandria. Morto Melezio, nel 381 durante il Concilio di Costantinopoli, fu eletto a succedergli Flaviano, confermato dal Concilio. Morto Paolino nel 388, i seguaci elessero Evagrio. La Chiesa antiochena continuava ad essere travagliata dallo scisma fra due partiti cattolici. È vero che Roma e Alessandria non riconobbero mai Evagrio, ma tardarono ugualmente a riconoscere Flaviano. Morto Evagrio (392), Flaviano riuscì a non fargli dare un successore. Nel 394 Flaviano fu riconosciuto da Roma e Alessandria in un sinodo a Cesarea di Palestina. I resti degli eustaziani rientrarono nella comunità nel 413 sotto il vescovo Alessandro.

2) Lo scisma meleziano di Alessandria fu originato da Melezio Vescovo di Licopoli. Nel 306 durante la persecuzione di Diocleziano, essendosi nascosto il vescovo di Alessandria Pietro, Melezio, forse considerandolo decaduto per tradimento, si arrogò il diritto di ordinare e scomunicare in tutto l’Egitto. Al ritorno Pietro difese la legittimità della fuga e sancì un trattamento disciplinare non molto rigoroso verso i lapsi. Melezio fu contrario a tanta remissività, e, deposto, si diede a organizzare la « Chiesa dei martiri », rinvigorita dalla costanza di Melezio nel subire la condanna alle miniere (308-311). Per contrastarne l’influsso al suo ritorno, Pietro dichiarò invalido il battesimo amministrato dai meleziani; il che non piacque a molti del suo clero, fra cui il celebre Ario, il futuro eresiarca. Melezio, prima di morire, riuscì a darsi un successore, Giovanni di Arkaph. La setta in stretta alleanza con gli ariani condusse una lotta spietata contro il nuovo vescovo di Alessandria Atanasio. Per questo venne annoverata tra gli ariani e ne subì le sorti. Se ne trovano tracce fino al principio del sec. VI.

Mennoniti: vedi Protestanti.

Messaliani o Massaliani. – Eretici del secolo IV. Erano anche detti in greco Euchiti (= « gli oranti »; anche « messaliani », nome d’origine caldaica, significa «gli oranti ») o Eufemiti. Dicevano essere la preghiera il solo mezzo per vincere il demonio e unirsi a Dio. Rigettavano i Sacramenti e la Gerarchia. Mantenevano il più gran segreto sulle loro dottrine. Sopravvissero alle varie condanne fino al secolo X in Asia Minore, dissimulati variamente.

Metodisti: vedi Protestanti.

Modalisti: vedi Monarchiani.

Monarchìani. – L’antica formula battesimale usata in Oriente conteneva questa professione di fede: «Noi crediamo in un solo Dio, Padre onnipotente, e in un solo Signore Gesù Cristo, vero Dio, e in un solo Spirito Santo, il Paraclito » (DENZ. 8). Come si accordava questa fede trinitaria con lo stretto monofisismo del Vecchio Testamento? Giacché la S. Scrittura non dava allo Spirito Santo esplicitamente il nome di Dio, le controversie per la soluzione della questione riguardarono agli inizi del Cristianesimo la divinità del Figlio. Una serie di eretici e di movimenti ereticali, per salvare l’unicità di Dio, o negarono la divinità di Gesù Cristo, o non distinsero realmente il Verbo dal Padre. A tutti costoro, poiché vogliono conservare l’unità o monarchia divine, vien dato il nome comune di monarchiani. Ma differenti sono i punti di vista da cui partono.

Gli Adoziani pongono il Figlio fuori della sfera divina. L’errore rimane associato in Occidente al nome di Teodoto, un mercante d’Oriente, fattosi ricco col commercio dei cuoi e perciò detto « il Conciatore», e trasferitosi a Roma, dove cominciò a insegnare teologia (intorno al 190). Fu noto anche Artemate (circa il 235). In Oriente, invece, l’errore fu insegnato da Paolo vescovo di Samosata, condannato nel 267-268 da un Concilio in Antiochia. In questo sistema, che del resto conosciamo assai male, Gesù non è Dio per natura, ma un uomo, sul quale discese dal cielo Cristo, o il Verbo (secondo Paolo Samosateno), o lo Spirito Santo (secondo Teodoto). La sua personalità morale, superiore senza alcun paragone a quella di ogni altro uomo, gli ottenne da Dio la potenza dei miracoli; la sua virtù e la sua passione gli ottennero di essere elevato alla sfera della divinità. Teodoto fu condannato da Papa Vittore (195); Paolo Samosateno dai vescovi della sua regione e poi da tutta la Chiesa. L’adozianismo fu un fenomeno di carattere episodico.

I Modalisti non negarono la divinità del Verbo, ma identificarono la realtà divina del Verbo con quella del Padre, ponendo fra loro una differenziazione solo apparente. Contro gli adoziani sono difensori della divinità del Verbo, ma soprattutto difensori dell’unità e monarchia divina (onde a loro spetta più propriamente il nome di « monarchiani »). L’errore è associato ai nomi di Noeto (intorno al 220), di Prassea e particolarmente di Sabellio (intorno al 220), da cui derivò l’altro nome di Sabellianismo dato all’errore. Secondo i Modalisti il Padre e il Figlio denotano solo differenti modi o aspetti (da qui il nome di « modalisti ») della stessa realtà divina rigorosamente unitaria nelle sue differenti mansioni. Così, è lo stesso Padre che si è incarnato nel seno della Vergine, perciò è divenuto Figlio, ed ha patito sulla croce (da qui il nome di Patripassiani appioppato ai seguaci del sistema). – Questa è la forma antica, più rudimentale del sistema; più tardi esso si perfezionò. In Egitto, per esempio, ammisero una monade, la quale prende successivamente tre aspetti temporanei e transitori, secondo che si tratti della creazione (Padre), dell’incarnazione e della redenzione (Figlio), della santificazione (Spirito Santo). È da notare come in questa teoria il patripassianesimo è eliminato e lo Spirito Santo trova posto in una posizione uguale a quella del Padre e del Figlio. Il modalismo continuò fino al secolo V, combattuto e in Occidente e in Oriente da scrittori di grande fama: Tertulliano, Ippolito, Eusebio di Cesarea, S. Atanasio, S. Ilario di Poitiers.

Monofisiti. – Definita nel Concilio di Calcedonia (451) la dottrina delle due nature e dell’unica ipostasi o Persona in Cristo, molti seguaci della formula alessandrina, tanto cara anche a S. Cirillo d’Alessandria, dell’« una natura », vi si opposero. Dopo le persecuzioni subite sotto gli imperatori Marciano (450-457) e Leone I (457-474), si ripresero con l’appoggio di Zenone (474-491), di Basilisco (475-476) e di Anastasio (491-518), tanto da conquistare a un dato momento tutti e tre i grandi patriarcati di Costantinopoli, Alessandria e Antiochia. Ma, sotto Giustino (518-527) perdettero quasi tutti i posti conquistati. Purtroppo Giustiniano nei primi tempi del suo regno (527-565) pensò di poterli ricondurre all’unità attraverso discussioni teologiche tenute alla sua presenza. Non ottenne altro che di coadunarne i capi a Costantinopoli, dove essi si rinvigorirono anche con l’appoggio dell’imperatrice Teodora. Quando, nel 536, Giustiniano si decise a tornare alla maniera forte contro di loro, i monofisiti espulsi da Costantinopoli, si diedero a organizzare una loro gerarchia ecclesiastica in Egitto e in Siria. Questa organizzazione fu opera soprattutto del monaco Giovanni detto Baradai (il « Cencioso »). In seguito anche in Armenia, dove la gerarchia aveva sottoscritto l’Enoticon di Zenone per motivi politici, si formò una tendenza decisamente anticalcedonese. L’Etiopia, per la sua originaria dipendenza dall’Egitto e per una nuova, più profonda evangelizzazione fatta da monaci monofisiti, fu anch’essa acquisita allo scisma. – Oggi si contano le seguenti Chiese nazionali monofisite: 1) Giacobita (da Giacomo Baradai) in Siria e Palestina, dove al suo formarsi molto peso ebbero le tendenze nazionalistiche e antibizantine delle masse rurali; 2) Copta (dal nome geografico del paese nella dizione araba) in Egitto, dove giocarono le stesse tendenze antibizantine della Siria; 3) Armena in Armenia; 4) Etiopica in Etiopia. Il monofisismo di tutte queste Chiese è solo verbale.

Millenaristi: vedi Protestanti.

Monoteliti. – Definita a Calcedonia (451) l’esistenza delle due nature, la umana e la divina, nell’unica Persona del Verbo, restava da risolvere in termini tecnici quale fosse il modo d’operare di ciascuna natura. Avevano ciascuna una propria volontà? Se così era, non potevano queste volontà essere discordi fra loro? Sergio, patriarca di Costantinopoli, per non ammettere due volontà in possibile conflitto fra loro, sostenne che in Cristo c’era una sola attività e una sola volontà (mónon thélema = una volontà; donde il nome di «. monotelismo » data a questa erronea dottrina). Altri, asserendo che la natura umana in Cristo fosse quasi inerte, parlavano di una sola operazione (energeia; donde il nome di « monoenergismo »), quella divina. Di fronte all’opposizione di Papa Onorio, Sergio fece pubblicare dall’imperatore Eraclio un editto (l’Ekthésis) che vietava di parlare di una o due operazioni (638). La lotta continuò fino al Concilio di Costantinopoli del 680-681 (il VI ecumenico), il quale ristabilì la comunione interrotta di Costantinopoli con Roma e definì le due volontà in Cristo, mai in opposizione fra loro. La salita al trono di Filippico l’Armeno (711-713) fece risuscitare per un momento il monetelismo, al quale pose fine definitiva Anastasio II (713-715).

Montanisti. – Montano, neofita della Frigia, poco dopo il 170 iniziò a predicare la prossima Parusia del Cristo, alla quale bisognava prepararsi con maggiori austerità, digiuni prolungati, rinunzia all’unione coniugale, assoluta prontezza al martirio e una rigorosissima penitenza per i peccati commessi dopo il Battesimo. La Chiesa gerarchica non aveva motivo di essere, giacché i poteri ecclesiastici si perpetuavano per la trasmissione dei poteri carismatici, donati anche alle donne, come Priscilla e Quintilla, le prime adepte di Montano. – La diffusione della setta fu enorme, soprattutto in Asia Minore, ma anche a Roma e in Africa, dove vi si ascrisse Tertulliano. Papa Zefirino condannò i nuovi profeti intorno al 200. Ma essa continuò in Asia Minore fino al sec. VIII, sebbene non più con lo stesso seguito.

Mormoni: vedi Protestanti.

Nazorei: vedi Mandei.

Nestoriano. – Nella condanna di Nestorio al Concilio efesino (431) i Vescovi e teologi antiocheni videro la condanna della loro scuola. Non presenti al Concilio, che Cirillo non li aveva voluti attendere, si riunirono, appena giunti, per condannare Cirillo. Ma, col favore imperiale, da lui conquistato con tanti sforzi, Cirillo ottenne l’esilio di Nestorio. Gli antiocheni non si arresero se non dopo due anni, dopo una lunga corrispondenza con Cirillo e quando questi si convinse a sottoscrivere una formula sulle due nature, abbandonando per un momento le sue espressioni monofisitiche (433). Allora i più accaniti nestoriani furono perseguitati. Molta parte del clero antiocheno si trasferì ad Edessa, dove la Scuola locale continuava l’insegnamento diofisitico antiocheno, quello soprattutto di Teodoro di Mopsuestia. Iniziatasi, dopo il Concilio di Calcedonia (451), l’opposizione monofisita, la Scuola di Edessa fu costretta a trasferirsi a Nisibi. Qui divenne il centro della difesa antimonofisita, con influenza soprattutto sulla vicina Chiesa persa. Un cumulo di circostanze politiche ed ecclesiastiche condussero questa Chiesa alla separazione ufficiale dalle altre Chiese, motivata da una resistenza antimonofisitica (489). – Non Nestorio, quindi, ma Teodoro di Mopsuestia è il grande maestro di questa Chiesa cosidetta « nestoriana ». Essa ebbe un periodo di grande sviluppo, giungendo ad estendersi fino in Cina e in India. Oggi, però, non conta che poche decine di migliaia di fedeli nell’Iran e nell’Iraq, più qualche migliaio in India (Malabar).

Novaziani.Seguaci di Novaziano intorno al 251, quando questi si staccò dalla Chiesa, sostenendo in opposizione al nuovo Papa, Cornelio, un forte rigorismo contro gli apostati durante la persecuzione. Molto devono avere giuocato nell’animo di Novaziano le sue profonde ambizioni, giacché, mentre inizialmente fu sostenitore di Cipriano di Cartagine contro Felicissimo, non appena eletto papa Cornelio, egli passò alla sentenza opposta. Si fece consacrare antipapa da tre vescovi dell’Italia Meridionale. La sua Chiesa fu il ricettacolo di tutti gli ambiziosi: un Novato, il quale si era opposto al rigorismo di Cipriano, ora, venuto a Roma, si schierava per Novaziano. Lo scisma ebbe molti seguaci in Italia, in Gallia, in Africa e in Oriente, dove si protrasse fino al VI secolo.

Occidentale. – Si produsse nel 1378 a motivo del lungo esilio dei Papi ad Avignone, i quali avevano francesizzato la curia. Appena l’anno prima Gregorio XI era tornato, dopo tenaci resistenze, definitivamente a Roma. Alla sua morte i romani, timorosi che fosse eletto un francese e che questi riportasse la curia ad Avignone (i cardinali erano per la massima parte francesi), fecero sentire la loro voce, chiedendo l’elezione di un romano o almeno un italiano. I cardinali, non potendo mettersi d’accordo su uno di loro con due terzi dei voti, elessero un prelato di curia, Bartolomeo Prignani, arcivescovo di Bari, il quale assunse il nome di Urbano VI. Il suo proposito di non lasciare Roma, di creare nuovi Cardinali e, soprattutto, i suoi modi bruschi, disgustarono i cardinali francesi. Essi si riunirono a Fondi e, col pretesto di non essere stati liberi nell’elezione di Urbano, elessero Clemente VII. Si ebbero così due papi: uno scisma, che era piuttosto un periodo di incertezza su chi fosse il vero Capo della Chiesa. Sarebbe durato per 38 anni. Col concilio di Pisa (1409), radunato per porre fine all’incertezza, si ebbe l’elezione d’un nuovo papa, Alessandro V, aggiungendo così una terza obbedienza. In ognuna di esse si riteneva di ubbidire al vero Papa, anche perché vi erano persone sante e illustri per ognuna di esse. La fine si ebbe col Concilio di Costanza (1414-1417), il quale procedette alla deposizione di Giovanni XXIII (il papa di Pisa risiedente a Bologna), all’accettazione delle dimissioni di Gregorio XII (il Papa legittimo di Roma) e alla condanna di Benedetto XIII (il papa di Avignone). Fu eletto come nuovo papa Martino V (11 novembre 1417).

Omeusiani: vedi Ariani.

Pauliciani. – Con questo nome, — Non si sa se derivato da Paolo di Samosata, per un supposto nesso della setta con le sue dottrine, o da un armeno Paolo, che fu tra i primi loro capi, o dall’Apostolo Paolo, da loro molto esaltato — si designa una setta propagata da un certo Costantino verso la metà del secolo VII nell’Armenia. Come dottrina avevano un dualismo tra il Dio celeste e il Creatore e Signore di questo mondo, seguito dalla negazione dei dommi fondamentali del Cristianesimo, sebbene essi si dicessero « cristiani » e rifiutassero l’accusa di dipendenza dal manicheismo. Respingevano il Vecchio Testamento, il Battesimo, l’Eucaristia, il culto delle immagini. Niceforo I, (802-811), perché buoni soldati, li arruolò e li inviò in Tracia a difendere i confini contro i Bulgari e nella stessa Costantinopoli. Dopo Niceforo, i successori li perseguitarono fortemente per oltre mezzo secolo. Parte si rifugiarono in Persia, donde fecero ripetute incursioni nelle province bizantine, finché Basilio III li sconfisse definitivamente (871). I pauliciani di Tracia sopravvissero nei bogomili (vedi).

Patripassiani: vedi Monarchiani.

Pelagiani. – 1) Il monaco laico Pelagio, originario forse dell’Irlanda, molto stimato per l’austerità dei costumi, visse verso la fine del secolo IV a Roma, dove diffuse la sua dottrina sulla natura e la grazia, sul peccato originale e il Battesimo dei bambini. Partito da un ideale di rigorismo morale, per cui tendeva a imporre a tutti i fedeli l’osservanza dei consigli evangelici, costruì un sistema in cui l’uomo può giungere alla « giustizia » da sé solo, in forza della sua scelta, della rettitudine della ragione e l’esercizio della libertà, senza alcun intervento da parte di Dio, in una parola senza bisogno della Grazia. L’anima umana, creata immediatamente da Dio, non può portare il peso di alcun peccato, è amorfa dal punto di vista morale, ma capace per le sue stesse facoltà di raggiungere la « santità naturale ». Il peccato personale di Adamo ha avuto solo conseguenze fisiche. Sicché il Battesimo amministrato ai bambini non ha alcun significato, mentre è indispensabile ai pagani per la loro salvezza e agli adulti per la remissione dei loro peccati personali. Pelagio trovò in Celestio un propagandista indefesso delle sue idee, mitigate però quanto al rigorismo morale, e un polemista nato; in Giuliano, vescovo di Eclano, il sistematico del pelagianesimo. L’ideale di giustizia perfetta e della costituzione di una «Chiesa immacolata e senza rughe» incontrò, tra il 411 e il 415, grandissimo favore in Italia, specie in Sicilia. Ma il pelagianesimo si diffuse dovunque, anche in Oriente. Combattuto in Africa, specie da Sant’Agostino, e dappertutto da vari concili, sopravvisse come setta fin verso il 490. Come dottrina ebbe dei fautori, qua e là, anche in seguito.

2) Una conseguenza del pelagianesimo fu il semi-pelagianesimo. Si trattò di libere opinioni, divenute incompatibili con la dottrina Cattolica solo dopo il Concilio di Orange (529). U n gruppo di scrittori galli, Cassiano, Vincenzo di Lerino, Fausto di Riez, preoccupati delle affermazioni di Sant’Agostino sulla assoluta iniziativa della Grazia, quasi che si distruggesse così il libero arbitrio, e dalla affermazione della predestinazione degli eletti e dei reprobi, vollero salvare l’efficacia degli sforzi della volontà in vista del bene e la validità delle buone opere in vista del merito soprannaturale e della salvezza eterna. Essi cercarono di insistere sulla universalità dell’appello divino alla salvezza, sulla misericordia di Dio, che « vuole che tutti gli uomini siano salvi », e cercarono di tornare alla tesi pelagiana della proporzionalità della grazia secondo i meriti attuali o futuri di ciascuno. Si opposero a questi scrittori Prospero di Aquitania, San Fulgenzio di Ruspe, San Cesario di Arles. La controversia ebbe fine nel Concilio di Orange, nel quale si venne a queste conclusioni: a) il libero arbitrio a causa del peccato originale non è sufficiente, senza la Grazia, ad innalzarsi all’amore di Dio; b) i giusti del Vecchio Testamento devono i loro meriti non al « bene naturale », ma alla Grazia di Dio; c) la Grazia del Battesimo permette a tutti i cristiani la salvezza e dà il potere di compiere i doveri necessari; d) in ogni azione buona il primo impulso viene da Dio.

Petite-Eglise. – Si dà questo nome allo scisma sorto in Francia dal rifiuto di seguire la Chiesa nella concessione di un concordato con il potere napoleonico, sorto dalla Rivoluzione (1801). Fin dal 1847 tutti i vescovi e i sacerdoti che l’avevano provocato erano già morti. Continuarono tuttavia i seguaci laici. Ai giorni nostri, essi hanno rifiutato di aderire all’appello loro rivolto dal card. Gerlier, arcivescovo di Lione, di ritornare all’ovile (20 febbraio 1949).

Pneumatomachi: vedi Ariani.

Protestanti. – Si dà il nome di protestanti a tutte le sette derivate dal movimento di rivolta contro la Chiesa Cattolica e di cosidetta « riforma » inaugurato da Lutero, Calvino, Zuinglio ecc. nel secolo XVI. È impossibile enumerarle tutte: sono oltre 200; molte di esse non ritengono di cristiano che il solo nome e, a volte, neppure questo; del resto moltissime sono considerate « sette » anche dalle grandi Chiese protestantiche. I gruppi protestanti più importanti sono:

1) Luterani, diffusisi particolarmente in Germania e in tutti i paesi nordici, Danimarca, Svezia, Norvegia, Finlandia. L’idea fondamentale di Lutero è la giustificazione attraverso la sola fede, senza le opere. È per lui impossibile porre una relazione giuridica tra Dio e l’uomo. La « giustizia » di Dio nell’uomo è il suo stesso amore. La parola di Dio nella Bibbia è l’unico mezzo di salvezza; per questo la predicazione della parola divina è collocata al di sopra dei Sacramenti. La Chiesa, nella sua concezione, è di conseguenza invisibile: la comunità di coloro che sperimentano in sé la salvezza. Nella Chiesa Cattolica, dispensatrice di Grazia coi Sacramenti e luogo di salvezza, egli vide una bestemmia e nel Papa l’Anticristo. I Sacramenti del Battesimo, Penitenza, Eucaristia, che all’inizio Lutero fece sopravvivere, sono sottovalutati rispetto alla predicazione, e servono solo come segno sensibile della giustificazione ottenuta mediante la parola divina.

2) Calvinisti e Zuingliani, i quali ebbero origine in Svizzera da Zuinglio e Calvino e si diffusero in Francia, nei Paesi Bassi e in Inghilterra. Zuinglio introdusse per primo le idee riformatrici in Svizzera. Conservò Battesimo ed Eucaristia, ma solo come espressione della fede, un puro simbolo. La sua meta concreta era l’educazione morale del popolo e lo sviluppo della cultura nazionale per la gloria di Dio. Su queste aspirazioni lavorò Calvino, il quale guidò con mano ferrea e una serie di « ordinanze ecclesiastiche » l’opera riformatrice in Svizzera. Nel pensiero di Calvino l’idea fondamentale era quella di Dio e della sua potenza: è Dio che fa tutto in tutto e, come predestina alla vita beata, così muove anche i peccatori al peccato e li predestina alla perdizione. – Per Calvino la fede nella predestinazione ha la stessa importanza che per Lutero ha la fede nella giustificazione.

3) Anglicani, sorti inizialmente come Chiesa scismatica, per la sfrenata libidine e il bisogno di denaro di Enrico VIII. Sebbene egli intendesse non mutare nulla dell’insegnamento della Chiesa antica, la Chiesa anglicana scivolò alla sua morte man mano nel protestantesimo. La Chiesa anglicana, sotto le forme cultuali esterne dell’antico Cattolicesimo e della sua organizzazione gerarchica, nasconde un mondo ideale protestante a tinta riformistica moderata. Vi prevale il temperamento pragmatista inglese, con la negazione del lato duro e oscuro del calvinismo. – Questi tre grandi gruppi protestanti raccolgono oggi da soli oltre 100 milioni di fedeli. Tutte le altre innumeri confessioni e sette raggiungono altri 100 milioni di fedeli. La pullulazione delle sette è stata una caratteristica del protestantesimo fin dal suo inizio, accentuatasi nei tempi moderni, particolarmente negli Stati Uniti. Era il fondamento stesso posto da Lutero, la salvezza, non più collettiva in una Chiesa dispensatrice di Grazia, ma nella sola Bibbia, a originare questa dispersione di opinioni, giacché ogni protestante veniva implicitamente autorizzato a proporre la sua personale interpretazione della Bibbia, come unica, sicura dottrina rivelata, e unica certezza di salvezza. – Due comunità, l’una nata prima della riforma, l’altra al di fuori di essa, si frammischiarono poi al protestantesimo:

1) I Valdesi, i quali risalgono al secolo XII. Il mercante lionese Valdo, impressionato dall’improvvisa morte di un suo amico, distribuì tutte le sue ricchezze ai poveri, e con alcuni compagni detti « poveri di Cristo » si prefisse il ritorno alla povertà evangelica. Attirarono l’attenzione per la loro vita austera, moderata e pura. Non accettavano né la gerarchia ecclesiastica, né la devozione ai santi, né le feste e i digiuni. Dopo essersi sparsi in molti paesi, si ridussero principalmente in Italia nelle valli celtiche tra il Monviso e il Moncenisio. Attualmente il loro centro è Torre Pellice (Torino). Il loro passaggio ufficiale al protestantesimo riformato avvenne nel 1532 in un sinodo tenuto a Cianforan in Val Angrogna. Oggi sono circa 50.000, dei quali 36.000 in Italia.

2) Gli Unitari, detti Ariani moderni o anche Antitrinitari (sebbene questo nome generico va attribuito anche ad altre confessioni protestantiche che negano la Trinità come i Quaccheri, gli Scientisti, ecc.), nella loro doppia ramificazione di Socìniani e di Unitari liberali. L’umanista Fausto Socino da Siena, passato in Polonia nel 1579, diede nuova vita al movimento unitario polacco, sfruttandolo come veicolo del proprio pensiero. Egli disse la ragione umana superiore alla Bibbia. Negò la Trinità, la divinità di Cristo, perché incomprensibile, la prescienza divina e la grazia dell’uomo allo stato originale, la necessità della grazia dato che non esiste peccato originale, la risurrezione della carne, l’eternità dell’inferno, ammettendo i sacramenti solo come cerimonie religiose. Ridotti al niente in Polonia, rimasero in altri paesi, come in Ungheria e in Romania (circa 60.000 oggi), e in Olanda. Da qui l’unitarismo passò in Inghilterra, predicato da Lindsey e Priestley, i quali ne fecero una religione puramente etico-naturalistica. Priestley lo trasportò in America, dove oggi conta circa 80.000 seguaci. – Fra le sette derivate dalle grandi correnti protestantiche vanno ricordati gli Anabattisti (= ribattezzatori), perché non ritenendo valido il Battesimo conferito ai bambini, lo rinnovano in età adulta. Sorsero già al tempo di Lutero. – Volevano far rivivere l’epoca apostolica con la bontà primitiva e con la pretesa comunità dei beni. Ben presto il movimento fu pervaso da sogni millenaristi: un regno di Cristo in terra per mille anni dopo la sua prossima venuta. – Dagli anabattisti sono derivati i Mennoniti, i quali ebbero una concezione spirituale del regno di Dio e rinunciarono a mezzi violenti degli anabattisti per realizzarne l’avvento. Il loro nome deriva dal loro primo organizzatore Menno Simone (1492-1539). Mennoniti (di gran lunga la maggior parte) e anabattisti oggi contano circa 600.000 fedeli, dei quali circa mezzo milione negli Stati Uniti. Il battismo mennonita passò dall’Olanda in Inghilterra, dividendosi in varie denominazione: i Battisti generali, i quali contrariamente al domma calvinista, ammettevano la generale distribuzione della grazia; i Battisti particolari, i quali intendevano invece la predestinazione in senso rigorosamente calvinista. Ma, il regno del Battismo dovevano diventare gli Stati Uniti, dove si contano circa 15.000.000 battisti delle varie confessioni; mentre quelli d’Europa non arrivano a un centinaio di migliaia. Oltre alla Bibbia come fonte unica della fede e il domma della predestinazione inteso in senso più o meno stretto, i gruppi battisti hanno questo di particolare, che ogni comunità è indipendente e riconosce come capo soltanto Cristo. – Altri gruppi sorti in seno al protestantesimo ebbero un tentativo di risveglio della pietà e diedero importanza alle buone opere, in opposizione al domma fondamentale protestantico della sufficienza della sola fede. Si accentuava la morale di fronte alla fede. I Quaccheri furono fondati come « Società degli amici » da Giorgio Fox in Inghilterra (1624). Secondo lui l’uomo non può raggiungere la salvezza neppure nella lettura della Bibbia, ma l’apprenderà dalla voce di Dio che parla nella sua anima. Quacchero significa « tremante ». Si vuole che questo nome sia stato appioppato al fondatore da un giudice civile, quando Fox, invece di rispondere alle sue questioni, lo esortò a « tremare davanti a Dio ». I quaccheri — che si possono considerare come l’estremo sviluppo logico dei principi protestanti — hanno spesso raggiunto un alto grado di perfezione morale, e sono sempre rimasti uno sparuto numero. – Assai più grande sviluppo, invece, hanno avuto i Metodisti, nelle loro varie denominazioni: oltre 10.000.000 in America, compresi i bambini, di cui gran parte negri; circa 1.500.000 in Europa. Fondatore ne è G. Wesley (1703-1781), il quale con un’infaticabile opera di predicazione, risvegliò la coscienza cristiana dell’Inghilterra, dando vita a pratiche collettive di pietà che immisero nuova linfa nell’arido protestantesimo. Imparentato con il metodismo, sebbene si proclami interconfessionale, è l’Esercito della Salvezza, fondato da W. Booth (1829-1912), come movimento sociale per la salvezza del prossimo. I suoi principi sono quelli metodisti, esclusi i sacramenti. Non si nutrono pregiudizi verso le altre confessioni. Il servizio divino consiste in preghiere, canto, predica. L’organizzazione è militare: un esercito contro il peccato, composto da circa 25.000 ufficiali, circa 100.000 ufficiali laici subalterni, 265.000 cantori, 80.000 musicisti, 30.000 cadetti. – Ultima propaggine nel terreno protestante, fecondo di sette, sono i movimenti escatologici, risalenti tutti al secolo scorso. La Comunità cattolico-apostolica, fondata nel 1826 a Londra da E . Drummond, indirizzata all’idea della prossima fine del mondo da Ed. Irving, è una specie di ideale ritorno verso la Chiesa Cattolica. Esso si manifesta nell’imitazione della liturgia cattolica, nell’introduzione dei 7 sacramenti, nella venerazione della Madonna, nelle benedizioni, ecc. Nel 1901, morto l’ultimo dei dodici apostoli nominati dal Drummond, è venuto a mancare anche il sacerdozio e la comunità va spegnendosi. L a Comunità neo-apostolica è una derivazione della precedente, sorta in Germania, fondata da due cattolico-apostolici, H. Geiger e F. W. Schwarz. Essi vedendo diminuire con la morte il numero degli apostoli, sostennero la necessità di sostituirli; ma furono espulsi dalla comunità. Anche per loro il ritorno di Cristo è imminente. Egli apparirà con 144.000 giusti, legherà la potenza di satana e regnerà sulla terra per mille anni coi giusti. Poi avverrà la risurrezione generale, con la definitiva ricompensa o pena eterna. I Mormoni sono una deviazione del protestantesimo, che di cristiano ha solo il nome. La loro teologia somiglia allo gnosticismo antico. La « materia primitiva spirituale » produsse il « dio primitivo », questi a sua volta infiniti esseri spirituali, generatori anch’essi di altri esseri, fra cui l’anima umana, i quali per divinizzarsi devono passare attraverso la carne. Dar vita a corpi umani è dare la possibilità di sviluppo a figli e figlie degli dei non ancora evolutisi; da qui la pratica e la santa missione della poligamia. Ma, oggi, la legittimità di questa pratica è discussa. Non esiste peccato originale, però si parla della morte espiatrice di Cristo. Il battesimo, invalido se amministrato dai non mormoni, si dà solo per immersione dopo gli otto anni. Esiste la Cena e l’imposizione delle mani. Si crede nel regno millenario. Il culto divino è improntato a gaiezza, con musica e danze. Nello stato dell’Utah (Stati Uniti), retto dai mormoni (circa 700.000), le bevande alcooliche sono proibite, vige un ottimo sistema scolastico e una grande attività caritativa. N e esistono circa 12.000 anche in Germania e Svizzera. Il fondatore fu J. Smith (1805-1844), un visionario, cui successe Brigham Yung, il quale trasferì con una marcia leggendaria la comunità mormone dall’Illinois nell’Utah fondando nel deserto la città di Salt Lake.

Gli Avventisti furono fondati negli Stati Uniti da W. Miller, il quale profetizzò la fine del mondo per il 1844. Non avveratasi la profezia, la setta si divise in varie denominazioni, spiegandosi da alcuni la data del 1844 come quella dell’ingresso del Cristo nel santuario del cielo. Oggi sono circa 500.000. Superano di assai tutti gli altri gli avventisti del giorno. Essi santificano il sabato, dal tramonto del venerdì al tramonto del sabato. Il battesimo è riservato agli adulti ed è conferito per totale immersione. Dopo il giudizio universale si avrà un regno pacifico di Cristo con 144.000 avventisti del settimo giorno. Astinenza rigorosa dal vino, dal tè, dal tabacco e dalla carne suina, sono i precetti positivi. È prassi un furioso astio anticattolico e antipapale. Dagli avventisti si separò nel 1879 C. Taze Russel, dando vita agli « Studiosi della Bibbia », detti Millenaristi o Russelliani. I suoi discepoli, nel luglio del 1931, decisero di darsi il nome di Testimoni di Geova. Il successore di Russel, il giudice Rutherford, fissò la dottrina della setta in parecchie pubblicazioni. Tutto del Cristianesimo vien negato: spiritualità di Dio, Trinità, divinità di Cristo e dello Spirito Santo, Sacramenti, immortalità dell’anima. Il culto comporta solo il battesimo per immersione, la celebrazione annuale della morte di Gesù Cristo e la lettura della Bibbia. Alla fine del mondo, che è vicina, Gesù verrà a separare i Testimoni di Geova dagli altri uomini e con essi regnerà per 1000 anni di paradiso terrestre. Essi combattono la Chiesa con l’odio e la calunnia. Sono circa 88.000.

Quaccheri: vedi Protestanti.

Russelliani: vedi Protestanti.

Sabelliani: vedi Monarchiani.

Semiariani: vedi Ariani.

Semidaliti: vedi Barsaniani.

Semipelagiani: vedi Pelagiani.

Sociniani: vedi Protestanti.

Tedesco-cattolici. – L e comunità scismatiche fondate nel 1845 da due sacerdoti tedeschi, Ronge e Czerski, fusisi insieme lo stesso anno, si diedero questo nome. Ma contemporaneamente la setta passava dallo scisma all’eresia, facendo predominare principi protestantici (la Scrittura come unica norma di fede), razionalistici e nazionalistici. Il nazionalismo e un pronunciato antiromanesimo tiene unite tutte le varie confessioni derivate da questo movimento.

Testimoni di Geova: vedi Protestanti.

Tre-capitoli. – Giustiniano nel 543 emanò un editto di condanna sotto forma di capitoli o anatematismi (donde il nome assunto anche dagli scismi successivi al II Concilio Costantinopolitano) alcune proposizioni estratte dalle opere di Teodoro di Mopsuestia, Teodoreto di Ciro e Iba di Edessa, tutti e tre celebri rappresentanti dell’indirizzo dualistico in cristologia vigente nella scuola antiochena. Dopo lunghe peripezie si giunse al Concilio di Costantinopoli del 553, il quale rinnovò la prima condanna di Giustiniano. L’imperatore si riprometteva di ricondurre così all’unità ecclesiastica i monofisiti, pervicaci nel non volere ammettere in Cristo le due nature definite al Concilio di Calcedonia (451), quasi che questo Concilio fosse stato una vittoria della scuola antiochena e di quel suo dualismo a volte tanto esagerato da fare temere che non ammettesse un’unione perfetta tra le due nature. La speranza di Giustiniano riguardo al ritorno dei monofisiti fallì. Invece, al Concilio del 553 seguirono vari scismi: 1) quello della Chiesa dell’Africa, dove parecchi scrittori pubblicarono opere in difesa dei Tre Capitoli. Ma fu represso da Giustiniano abbastanza presto alla maniera forte, con l’esilio d i tutti i vescovi oppositori. 2) Lo scisma della Chiesa di Milano, favorito dalla invasione dei Longobardi, anch’esso finito fortunatamente assai presto. 3) Lo scisma della Chiesa di Aquileia, il quale non ebbe termine che alla fine del secolo VII.

Unitari: vedi Protestanti.

Utraquisti: vedi Calistini.

(Di) Utrecht. – Questo scisma è nato in Olanda agli inizi del secolo XVIII, in seguito alla condanna del vescovo Pietro Codde (1702) per giansenismo. Alla sua morte i seguaci gli diedero un successore, facendolo consacrare da un vescovo sospeso. A lui si associarono altri due vescovi sospesi. Ancora nel 1763 la Chiesa di Utrecht conservava tutte le dottrine e le pratiche cattoliche, eccetto il primato del Papa. Respinse la proclamazione del domma dell’Immacolata Concezione (1854). Dopo il Concilio Vaticano (1870), i suoi vescovi furono i consacratori di quelli della Chiesa dei Vecchi-cattolici, sorta in opposizione alle definizioni in tale Concilio. Dal 1931 ha cominciato a sacrificare alcuni punti di dottrina, dopo aver sancito la intercommunicatio in sacris con gli anglicani. Si compone di circa 10.000 fedeli.

Valdesi: vedi Protestanti.

Vecchi-Cattolici. – Si denominano così gli oppositori del Concilio Vaticano e particolarmente della infallibilità pontificia ivi proclamata. Si costituirono in comunità a Monaco di Baviera nel 1871. Nel 1873 elessero un vescovo che fecero consacrare da un vescovo della Chiesa di Utrecht, con la quale si collegarono nel 1889. Secondo loro la Chiesa visibile è composta da tutte le confessioni cristiane, nessuna delle quali da sola realizza in pieno la vera Chiesa di Cristo. In ogni nazione in cui si trovano (Germania, Svizzera, Austria, Iugoslavia, Polonia) essi formano altrettante Chiese autonome, dirette da un sinodo composto anche di laici. Complessivamente ammontano a circa 100.000 fedeli.

BENIAMINO ELMI

LE PIAGHE DELLA COMUNITÀ CRISTIANA: GLI SCISMI (2)

LE PIAGHE DELLA COMUNITÀ CRISTIANA

Capitolo I

Gli SCISMI,

ferite alla unità della fede (2)

[“Somma del Cristianesimo”, a cura di R. Spiazzi, vol. II Ed. Paoline, Roma, 1958]

Abramiti. – Sotto questo nome si hanno due sette: 1) Alcuni seguaci di Abramo di Antiochia, i quali negavano la divinità di Cristo. Sorti nel secolo IX, scomparvero presto. 2) Una setta di deisti boemi, sorta nei dintorni di Padubice nel secolo XVIII. Dicevano di volersi conformare alla fede in Dio di Abramo prima della circoncisione. Rifiutavano quasi tutti i dommi cristiani, come la Trinità, la divinità del Cristo, la penitenza, l’eternità delle pene dell’inferno. Della Sacra Scrittura ritenevano solo il Decalogo e il Padre Nostro. Tuttavia facevano battezzare i loro figli dai preti cattolici. L’imperatore Giuseppe coscrisse gli uomini nei battaglioni di frontiera (1783) e cosi disperse la setta, che presto scomparve.

Acaciano. – Prende il nome da Acacio, patriarca di Costantinopoli (471-489), il quale, dopo essere divenuto famoso per la caduta dell’imperatore monofìsita Basilisco, da lui agevolata, consigliò Zenone a promulgare l’Enoticon, favorevole ai monofisiti (482). Allora egli fu invitato da papa Felice III a discolparsi a Roma. Seppe tergiversare, giocando d’astuzia i legati. Ma, nel sinodo romano del 484 il Papa lo condannò. Egli per tutta risposta bandì il nome del Papa dai dittici, dando così inizio allo Scisma Acaciano, il quale durò per 35 anni, finché il suo terzo successore, Giovanni II, si riconciliò con il papa Ormisda (519).

Acéfali. – Eretici monofisiti alessandrini, i quali rigettarono l’Enoticon di Zenone, perché condannava Eutiche e perché non prendeva una posizione netta contro il Concilio di Calcedonia. Essendosi il Patriarca Pietro Mongo riconciliato con Acacio, essi, monofisiti più rigorosi, si separarono da lui, considerando ultimo legittimo patriarca Timoteo Eluro. Poiché erano senza patriarca, furono detti senza capo (a-cefalì). In seguito si diedero un capo. Sopravvissero fino al secolo IX, se ancora San Teodoro Studita componeva un trattato contro di loro.

Acemiti. – È il nome dato ai monaci fondati da Sant’Alessandro (+ 430), i quali risiedettero inizialmente a Irenaion (oggi Cibukli) nella costa asiatica del Bosforo e poi a Costantinopoli nel monastero dello Studios. Poiché si alternavano incessantemente, in vari turni, nella preghiera liturgica, essi furono chiamati dal popolo gli insonni (a-cémiti). Difensori accaniti del Concilio di Calcedonia, furono più volte i protagonisti di importanti avvenimenti ecclesiastici: denunziarono Acacio a Roma; denunziarono i monaci sciti per la formula « Uno della Trinità ha patito nella carne ». L’accanimento antimonofisita li spinse in seguito ad esagerare le proprietà delle nature umana e divina nel Cristo e quasi a separarle, sicché furono accusati di nestorianesimo. Dietro richiesta di Giustiniano, papa Giovanni II li condannò il 24 marzo 534. Così essi scomparvero, pur rimanendo il monastero, che passò ai celebri monaci detti Studiti.

Actisteti. – È una setta nota solo per pochissime righe di Timoteo di Costantinopoli (MG, 136, col. 4). Non hanno lasciato traccia né nomi. Si diede loro questo soprannome perché ritenevano la carne del Cristo, non solo, come i giulianiti o aftardoceti, cui erano apparentati, incorruttibile, ma anche increata (a-ctistos).

Adoziani. – Sotto questo nome vengono due sette : 1) Gli antichi adoziani o monarchiani (vedi Monarchiani). 2) Gli adoziani spagnuoli. Furono seguaci di Elipando di Toledo e di Felice di Urgel, i quali insegnavano la doppia adozione del Cristo, una divina e una umana. Come uomo il Cristo è soltanto figlio adottivo di Dio, mentre come Dio è Figlio vero. Dimenticavano che l’idea di filiazione è legata all’idea di Persona e non a quella di natura, per cui, parlando di due adozioni, rischiavano di separare il Cristo in due persone, sebbene essi asserissero, e dal loro modo di parlare risulta, che ammettevano una sola persona nel Cristo. La teoria, che fece la sua comparsa con Elipando nel 782, si sparse in Spagna, ma ben presto anche nel sud della Francia. Combattuta da Alcuino e da Leidrado arciv. di Lione, diede luogo a vari sinodi, finché in quello di Aquisgrana del 799 Felice di Urgel lesse la sua abiura. Ne rimasero tracce in Spagna fino al secolo IX. – Eustazio vesc. di Sebaste (eletto intorno al 356) commise la direzione dell’ospizio dei poveri. Ma egli, forse geloso del vescovo, suo antico compagno di ascetismo, si ribellò e con un gruppo di seguaci professò il semiarianesimo (sebbene lo storico Epifanio lo dica ariano esagerato), insegnò l’uguaglianza tra Vescovi e Sacerdoti, l’inutilità delle preghiere per i defunti, la libertà dei digiuni, che non potevano essere obbligatori, ma andavano fatti spontaneamente anche di Domenica, e rigettava la celebrazione della Pasqua come pratica giudaica. Al tempo di Sant’Agostino le idee aeriane erano diffuse negli ambienti monastici. Ma la setta scomparve presto.

Aeziani: vedi Ariani.

Aftardoceti. – Eretici monofisiti del secolo VI, seguaci di Giuliano di Alicarnasso. Ebbero vari nomi: giulianiti, gaianiti, fantasiasti, ecc. Insegnavano l’incorruttibilità (aftarsia) e l’impassibilità della carne del Cristo fin dal primo istante della sua concezione, giacché, non essendo il Cristo nemmeno lontanamente soggetto al peccato, la sua carne non poteva subire alcuna passione, che è appunto conseguenza del peccato. Egli, però, derogava di volta in volta a questa legge della sua umanità per le passioni che non avessero alcuna relazione col peccato e servivano alla Redenzione. Cominciarono a decadere nel secolo VIII e non se ne trovano più tracce nel secolo IX. Nemico acerrimo di Giuliano fu Severo di Antiochia, il quale per opposizione fu detto « ftartolatro » ( = adoratore della corruttibilità).

Aglipayti. – Il sacerdote filippino Gregorio Aglipay y Labayan, acceso nazionalista contro gli spagnoli, vedendo svanire i suoi sogni d’indipendenza nazionale con l’occupazione americana, volle dare alla sua patria almeno una Chiesa nazionale, e nel 1902 fondò la « Chiesa Filippina Indipendente », di cui si proclamò sommo pontefice e dichiarò vescovi alcuni sacerdoti suoi seguaci. – Ben presto passò ad insegnare molte eresie: negò la Trinità, la crocifissione, la resurrezione e la divinità di Gesù Cristo, la Maternità divina di Maria, l’inferno, il purgatorio, il primato del Papa. Raggiunse un gran numero di adepti: 1.500.000 intorno al 1918. Ma ben presto il movimento si sgonfiò e oggi è sparutissimo.

Agnoeti. – Setta di monofisiti del secolo VI, detti anche « Temistiani » dal loro fondatore, il diacono Temistio di Alessandria, discepolo di Severo di Antiochia. Temistio attribuì all’anima umana del Cristo l’ignoranza (agnoia) di certe cose, particolarmente del giorno del giudizio. Per questo fu respinto dal suo patriarca Teodoro (535-567) come eretico, ed egli si separò da lui, fondando una sua setta. Ma essa ebbe effimera vita. L’agnoetismo dell’anima umana di Cristo non può essere detto una eresia (cfr. Decreto del Sant’Uffizio del 7-6-1818).

Albanesi. – Eretici del secolo XIII, sorti con probabilità ad Albano presso Bergamo (donde il nome), i quali professavano un manicheismo rigido. Per reazione contro alcuni catari d’Italia, i concorrezzesi, i quali avevano attutito il manicheismo dicendo creato e non eterno il principio del male; questa setta riaffermava l’eternità e l’uguale potenza dei due principi, insegnamento originario del dualismo manicheo. Si estesero alla Lombardia tutta, al Veneto, e parte della Toscana, con propria gerarchia.

Albigesi. – La famosa setta degli albigesi piglia il nome dalla città di Albi in Linguadoca, i cui adepti professavano il dualismo. Condannavano il matrimonio, la procreazione dei figli; l’autorità ecclesiastica era considerata corrotta ed avevano perciò una propria gerarchia; respingevano l’adorazione della Croce e delle immagini e la costruzione delle chiese, interpretavano a loro senso la Bibbia; negavano ubbidienza all’autorità civile, proibivano i giuramenti e la pena di morte. Per la parte morale della loro dottrina si può vedere quella dei catari, giacché « cataro » non è che nome generico e «Albigese » il nome geografico locale della stessa fondamentale eresia. Furono estirpati dalla Crociata indetta contro di loro da Innocenzo III e guidata da Simone di Monfort. Gli ultimi focolai furono spenti dall’inquisizione fondata da Gregorio IX.

Anabattisti: vedi Protestanti.

Anglicani: vedi Protestanti.

Anomei: vedi Ariani.

Antitrinitari: vedi Protestanti.

Apostolici. – Le sette che vanno sotto questo nome convengono tutte nell’idea del ritorno della Chiesa alla primitiva semplicità dell’età apostolica.

1) Nell’antichità una setta, le cui origini sono molto oscure, ma che debbono risalire intorno al 260 (ne parla San Efrem), insegnava la totale povertà come obbligo assoluto, nonché un rigorismo assoluto a modo degli encratiti, con i quali sembrano affini. Oltre ai Vangeli usavano anche gli Atti apocrifi di Sant’Andrea e di San Tommaso. Si diffusero nell’Asia minore, soprattutto in Frigia, Cilicia e Pamfilia.

2) Nel secolo XII sorsero vari movimenti con questa idea fondamentale della povertà apostolica. Una setta col nome di « apostolica » ebbe ramificazioni in Francia, in Renania, nelle Fiandre. Mentre altri movimenti, sottomessi alla gerarchia ecclesiastica, entrarono nell’alveo cattolico, gli adepti di questa setta attaccavano la gerarchia ecclesiastica come decaduta dalla sua missione e corrotta.

3) Alcune sette protestantiche vanno sotto il nome di « apostoliche » (vedi Protestanti).

Apotattici. – Setta del secolo IV, scomparsa subito. Faceva centro nell’Asia Minore. Su sfondo manicheo, proibivano il matrimonio, la povertà privata e ostentavano il più assoluto rigorismo morale. Teodosio li incluse nella condanna del manicheismo (383).

Arabici. – Questo nome è dato da Sant’Agostino agli adepti di una setta sorta intorno al secolo II. Fondandosi su una falsa interpretazione di 1 Tim. VI, 16, insegnavano la morte dell’anima insieme al corpo per risorgere nel giudizio finale insieme ad esso. Era una specie di materialismo, in cui il corpo veniva considerato la parte principale dell’uomo. Furono convertiti da Origene in uno dei suoi viaggi in Arabia (intorno al 244).

Arcontici. – Eretici gnostici del secolo IV, diffusi specialmente in Armenia e in Palestina. Ponevano al principio e al di sopra di tutti gli esseri un ente chiamato la « Madre luminosa », da cui dipendevano 7 arconti, i quali, coadiuvati dagli angeli, loro creature, governavano i 7 cieli. Al primo posto era Sabaoth, il dio dei Giudei, autore del male e generatore del demonio. Caino e Abele sarebbero nati dall’unione carnale del demonio con Eva ; la loro lotta ebbe origine dall’amore comune della stessa sorella. Da Adamo ed Eva, invece, nacque Seth. I misteri cristiani, a cominciare dal battesimo per finire alla risurrezione della carne, erano ripudiati.

Ariani. – Con il nome comune di ariani sono designati i seguaci della dottrina di Ario, il prete di Alessandria che intorno al 320 cominciò ad insegnare che il Verbo non era veramente Dio, ma una creatura tratta dal nulla, adottata da Dio in Figlio in previsione dei suoi meriti. Era il crollo di tutti i dogmi più fondamentali del Cristianesimo: dell’Incarnazione e della Redenzione. Ario fu condannato nel Concilio di Nicea (325). Ma la sua dottrina continuò in varie forme, dando luogo a lungo travaglio per la Chiesa:

1) Gli Anomei o Aeziani o Eunomiani (ed ebbero ancora altri nomi) rimasero dopo la condanna di Ario il gruppo degli ariani puri. Insegnavano che il Verbo è dissimile (anomios; onde furono detti anomei) dal Padre. Celebri dottori furono Aezio di Antiochia ( + 367), Eunomio di’ Cizico ( + c. 395) e Eudossio di Costantinopoli.

2) I Semiariani o Omeusiani insegnavano, invece, che il Verbo non è dissimile dal Padre, ma neppure consustanziale (secondo la definizione di Nicea: omoùsios), bensì simile nella sostanza (pmoiùsios; onde furono detti Omeusiani). 3) Una conseguenza dell’arianesimo fu il Macedonianesimo, così detto da Macedonio vescovo di Costantinopoli ( + c. 341), il quale tuttavia non sembra che abbia insegnato l’errore che da lui piglia il nome. Quest’errore era l’applicazione della dottrina di Ario allo Spirito Santo, negandone la divinità e facendone la prima creatura del Figlio, che secondo Ario era stato scelto dal Padre a strumento della creazione. L’errore ebbe origine dalla affermazione di un gruppo di semiariani che, pur ammettendo in modo piuttosto chiaro la divinità del Figlio, la negò allo Spirito Santo (intorno al 360). I seguaci furono detti anche Maratonìani, da Maratonio, vescovo di Nicomedia, uno dei loro capi, o anche Pneumatomachi (« avversari dello Spirito »). Essi si distinsero dagli ariani per la loro credenza nella divinità del Verbo. – L’arianesimo, sotto le sue molteplici forme, sparì, dall’impero romano con l’ascesa al trono (379) di Teodosio. Ma intanto si era infiltrato tra i popoli barbari da poco convertiti al Cristianesimo, quei popoli che tra poco avrebbero governato i territori dell’impero occupandoli: Visigoti, Ostrogoti, Vandali, Longobardi, Svevi. Anch’essi man mano, al contatto del Cristianesimo ufficiale, si andarono convertendo: ultimi i Longobardi nel 671.

Si dà il nome di « ariani moderni » ad alcune sette antitrinitarie (vedi Protestanti).

Armeno: vedi Monofisita.

Audiani.Seguaci di Audi, arcidiacono della Chiesa di Edessa, il quale non volle seguire il computo pasquale fissato dal Concilio di Nicea, per conservare quello locale secondo il sistema giudaico. Per questo motivo e per il suo zelo esagerato si allontanò sempre più dalla Chiesa. Confinato da Costantino in Scizia, lavorò alla conversione dei Goti. Morì nel 372. Gli audiani rifiutavano di pregare insieme ai membri della Chiesa. L’errore principale loro imputato era l’antropomorfismo, perché dicevano che l’immagine di Dio nell’uomo è il corpo umano e perciò anche Dio ha un corpo. Li si accusò anche di dottrine gnostiche. La setta continuava ancora nel secolo V nella Siria e nell’Asia Minore.

Avventisti: vedi Protestanti.

Bagnolesi: vedi Catari.

Barsaniani. – Setta derivata dagli acefali. Essi per darsi un capo elessero, Barsanio, pretendendo consacrarlo vescovo mediante l’imposizione delle mani di un vescovo morto di recente. Celebravano l’Eucaristia cospargendo le sacre Specie, già consacrate moltissimi anni prima dal patriarca Dioscuro, di fior di farina (chiamata in greco semidalis; onde essi furono detti anche Semidaliti); vi intingevano un dito, che portavano alla bocca. Scomparvero tra i giacobiti nel secolo IX.

(Di) Basilea. – A Basilea si adunò il 14 dicembre 1431 un concilio indetto da Papa Martino V. Il successore Eugenio IV prima lo sciolse (18 dicembre), poi, ad evitare uno scisma — dato che il Concilio nel frattempo aveva proclamato di derivare la sua autorità da Cristo e di non potere essere sciolto da alcuna autorità (15 febbraio 1432) — lo riconobbe. Ma lo spirito del Concilio rimaneva ancora poco cattolico e tendeva a porre la sua autorità al di sopra di quella del Papa. Per questo Eugenio IV lo trasferì a Ferrara (18 settembre 1437). Il Concilio di Basilea continuò, divenendo così da questo momento scismatico. Dichiarò « come articolo di fede » che il Papa non può trasferire un Concilio (15 marzo 1438), sospese il Papa (24 aprile) e poi lo depose (25 luglio), eleggendo infine come nuovo pontefice Amedeo IV di Savoia (5 dicembre), il quale prese il nome di Felice V. Morto Eugenio IV (1447) ed eletto Nicolò V, i membri del concilio di Basilea, ormai radunatisi a Losanna, trattarono con lui, ritirarono le censure lanciate contro i legittimi Pontefici, e, avendo Felice V abdicato, elessero anch’essi per proprio conto Nicolò V (7 aprile 1449).

Battisti: vedi Protestanti.

Bizantino. – È il più grande scisma della Chiesa, che ancora continua e costituisce la più grave ferita aperta nel Corpo mistico di Cristo. Gli si assegna come data iniziale il 1054, anno in cui i legati del papa Leone IX deposero sull’altare della cattedrale di Costantinopoli, Santa Sofia, la bolla di scomunica contro il patriarca Michele Cerulario. La Chiesa bizantina, che pur aveva conosciuto tanti scismi dalla Chiesa Romana, ma sempre era ritornata nell’unico ovile, da allora rimase sempre separata. E tutti gli « ortodossi » orientali — i seguaci cioè della « retta fede » (Orthodoxid) cristologia sancita dal Concilio di Calcedonia (451) — furono da essa trascinati nello scisma: fra questi i nuovi popoli convertiti da Bisanzio al Cristianesimo: Russi, Bulgari, Rumeni, Serbi, ecc. In realtà al tempo di Michele Cerulario la Chiesa bizantina era di fatto separata da Roma da lunghi anni (dagli inizi del secolo sotto il patriarca Sergio II), e il Cerulario non faceva che difendere pertinacemente l’autonomia pratica eli cui godeva. Perciò si oppose recisamente al tentativo di riconciliazione, religiosa e politica, perseguito, con assai poco tatto e con superba arroganza dai legati romani. Michele Cerulario riprese contro Roma le accuse già lanciate da Fozio, aggiungendovi di suo quella dell’invalidità della consacrazione con il pane azimo. Ma in realtà queste questioni teologiche avevano meno peso di quelle di carattere politico, etnico, culturale, le quali avevano scavato come un abisso tra l’Oriente e l’Occidente cristiano. In seguito, affievolitisi i motivi d’attrito politico, sono rimasti intatti quelli della differente cultura e mentalità, anche religiosa e canonica, mentre sono andate aumentando le differenze teologiche. I molteplici tentativi fatti per porre fine a questo scisma così doloroso riuscirono vani. Si giunse, è vero, nei Concili di Lione (1274) e di Firenze (1438), alla proclamazione dell’unione delle Chiese, ma essa non ebbe che risultati assai parziali ed effimeri.

Bogomili o Bulgari. – Setta eretica apparsa in Bulgaria (onde furono detti anche Bulgari) nella prima metà del secolo X. Il loro nome più comune proviene dal loro capo Bogomil ( = amico di Dio). In realtà i bogomili non erano che la continuazione dei vecchi pauliciani dell’Asia Minore, trasferiti in forti contingenti militari dall’imperatore Niceforo i (802-811) per difendere l’impero dai Bulgari. Bogomilismo e paulicianesimo sono in sostanza tutt’uno. Al fondo del loro sistema dottrinale sta un dualismo di marca manichea, ma mitigato. Il mondo materiale è opera non del Dio supremo, ma del primo degli esseri spirituali, Satanaele, ribelle al Padre eterno. Satanaele creò l’uomo, ma, incapace di dargli un’anima, invocò l’aiuto del Dio supremo, il quale gliela infuse. Satanaele, però, non seppe stare ai patti con Dio, onde sorse la continua lotta fra il bene e il male, finché venne nel mondo un altro spirito, Gesù il Figlio di Dio, il Verbo, rivestito solo in apparenza di carne mortale. Satanaele ne tramò la morte, credendo di vincerlo, ma ne fu vinto, che Gesù risuscitò e, così, privò di ogni potenza Satanaele, il quale d’ora in poi divenne semplicemente Satana. Questi continua a lottare contro il bene, ma lo Spirito di Gesù gli suscita contro i veri fedeli: i dodici Apostoli, che furono le prime creature dello Spirito Santo, e, al loro seguito, gli « amici di Dio » ( = bogomili). – Essi sono sicuri di non morire di definitiva e assoluta morte, mediante la loro adesione allo Spirito. Per ottenerla non è necessario il battesimo, ma l’imposizione delle mani degli Apostoli e dei loro successori. È ripudiata anche l’Eucaristia dei Cattolici, considerata anzi come un sacrificio offerto agli spiriti maligni di cui satana è il capo. Seguirà più tardi anche il rifiuto del culto dei santi e di Maria, delle immagini e della Croce. Per garantirsi contro i maltrattamenti degli spiriti cattivi, i bogomili ammettevano un compromesso: rendersi loro complici, ma solo esternamente, con la partecipazione esteriore al culto della Chiesa Cattolica. (I catari dell’Occidente non accetteranno questo compromesso). Tuttavia, celebravano i loro riti in conventicole private per mettersi in contatto con lo Spirito di Gesù. Erano estremamente fanatici. Quanto alla morale pare fosse della più rigida: astensione dall’unione carnale, astinenza rigorosa, osservanza dei comandamenti, preghiera, culto delle virtù morali dell’umiltà, misericordia, mitezza. In questo secolo X furono combattuti dal grande teologo Cosma, poi si perdettero di vista, per riapparire nel secolo XIV, in cui furono combattuti dal patriarca Teofilo e dal monaco Teodoro. Ma già si erano grandemente diffusi in Occidente, confusisi o identificatisi coi catari.

Calistini. – Il « calice ai laici » dopo la morte di Huss (6 luglio 1415) divenne un motto che suscitò come una febbre nazionale in Boemia. I calistini (da «calice») sostenevano anch’essi la comunione sotto le due Specie (sub utraque specie; onde furono detti anche utraquisti), ma non negavano la presenza reale del Cristo sotto ciascuna specie. Si separarono dalla Chiesa con l’elezione d’un loro vescovo nella persona di Rokacana (1435), mai riconosciuto da Roma. Dopo la morte di lui avvenuta nel 1471, i calistini vivacchiarono tollerati, ma non legalmente autorizzati. Dopo il « defenestramento di Praga » (1618), motivato da loro, i calistini passarono parte al Cattolicesimo, parte al protestantesimo.

Caloiani: vedi Catari.

Calvinisti: vedi Protestanti.

Catari. – Il nome catari è di origine greca (catharòs = puro) ed era dato a quella parte degli adepti, « puri » o «perfetti», i quali praticavano la più rigida morale della setta. Il fondo della loro concezione dualistica era comune ai pauliciani (vedi), ai bogomili (vedi), e agli albigesi (vedi), i quali ultimi del resto non erano che i catari della Linguadoca con centro ad Albi. Non staremo a ripeterla. Facciamo solo notare che questa concezione dualistica era a volte rigida, con l’insegnamento della perfetta uguaglianza dei due principi del bene e del male, a volte mitigata, facendo del principio del male una creatura del Dio supremo, un angelo decaduto, creatore a sua volta del mondo, ma col permesso di Dio, e per potenza inferiore al Dio supremo. – Il movimento cataro, a differenza di quello bogomilo, è religioso e sociale allo stesso tempo. Si dubita se veramente il catarismo abbia una vera dipendenza d’origine dal bogomilismo (e quindi, risalendo più avanti nella storia, dal paulicianesimo), oppure sia una efflorescenza locale, collegatasi in un secondo tempo con i movimenti similari dell’Oriente. Certo si è che le Chiese dei catari dell’Occidente dal secolo XII sono in stretta dipendenza dottrinale e gerarchica coi capi e comunità similari dell’Oriente. La morale catara parte dal concetto della fuga della vita, perché essa è in sé malvagia. L’endura, la pratica di lasciarsi morire di fame o svenandosi o con altro mezzo violento, era il loro ideale, il quale però si attenuò col tempo. – Il consolamentum era una specie di sacramento, sostitutivo del battesimo, consistente nell’imposizione delle mani da parte dei vescovi, accompagnata dalla professione di fede e dalla promessa di rimanere sempre fedeli alla fede catara, di vivere in castità e di non cibarsi di carne. Rinunzia all’unione carnale, ai cibi animali e lunghi digiuni rituali, erano la pratica dei « perfetti ». Essi giungevano a questo grado dopo una lunga iniziazione, che sfociava poi in una vita di tipo monastico. Ai « credenti » bastava, invece, un rito di adorazione verso i perfetti, detto melioramentum, dando loro ospitalità e cibo, ricevendone in cambio la benedizione e il pane benedetto (in un rito che sostituiva l’Eucaristia), facendo loro una specie di confessione generica (detta apparelhamentum). In realtà la massa dei credentes poteva anche darsi alla dissolutezza più sfrenata nella speranza di ricevere il consolamentum all’ultimo istante. – Ciò spiega la feroce repressione contro questa eresia, vera disgregatrice della famiglia e della società cristiana. In Italia si notano tre sette catare: gli Albanesi, che erano dualisti rigidi; i Concorezzesi o Garati dal loro capo Garato; i Bagnolesi o Caloìani dal loro vescovo Caloiano. Questi ultimi due gruppi erano dualisti mitigati, ma differivano fra loro perché i concorezzesi ammettevano la realtà materiale del corpo di Cristo e la propagazione dell’anima per generazione, mentre i bagnolesi ritenevano il corpo di Cristo solo apparente e dicevano tutte le anime create da Dio all’origine del mondo spirituale e peccatrici già fin dal cielo.

Chiesa Filippina indipendente: vedi Aglipayti.

Chiesa nazionale Ceca. – Fondata nel 1920, come comunità distaccata dalla Chiesa cattolica, sembra sia in fondo una reviviscenza dell’Ussitismo. In essa si ristabiliva la comunione sotto le due specie, si sopprimeva il celibato obbligatorio dei sacerdoti, si introduceva la lingua Ceca nella liturgia. Ebbe gerarchia propria con un patriarca e quattro vescovi. Raggiunse all’inizio la cifra di quasi un milione di fedeli, scendendo in breve tempo a 150.000 e infine a un esiguo numero. Vive tuttora.

Comunità Cattolica-Apostolica: vedi Protestanti.

Concorezzesi: vedi Catari.

Copto: vedi Monofisiti.

Crisostomiano. – Il papa Innocenzo I e tutto l’Occidente ruppero la comunione con la sede costantinopolitana in seguito al secondo esilio di S. Giovanni Crisostomo (404), e non fu ripresa che nel 415. È uno dei tanti scismi passeggeri della Chiesa costantinopolitana prima di quello definitivo del 1054.

Docetismo. – Una delle più diffuse eresie dell’antichità cristiana, ch’ebbe inizio fin dai tempi apostolici. Insegnava fondamentalmente la sola apparenza del corpo di Cristo. Deriva dalla difficoltà di concepire una realtà umana materiale e carnale, unita intimamente a una realtà divina e soprannaturale. Più che una setta determinata fu una corrente d’idee che penetrò i giudaizzanti e gli gnostici. Le determinazioni particolari di questa eresia furono molte: da quelle che ammettevano solo l’apparenza (docheia; donde il nome) della carne del Cristo a quelle che parlavano d’una dimora temporanea di Cristo nell’uomo Gesù, abbandonato da Cristo al momento della passione. È chiaro che i dommi fondamentali della Religione Cristiana venivano completamente sovvertiti.

Donatisti. – È il più grande degli scismi che conobbe l’Africa romana. Durò dal 313 alla conquista araba dell’Africa nel 650. Ebbe origine dalla persecuzione di Diocleziano, in cui era stato fatto obbligo ai cristiani d i consegnare i libri sacri. Molti nell’intento di salvare e la fede e la vita consegnarono altri libri. Tra questi il vescovo di Cartagine Mensurio, il quale chiamato a Roma a discolparsi mori nel ritorno (311). Gli fu dato come successore Ceciliano, assenti i vescovi della Numidia. Questi gli contestarono di essersi fatto consacrare da Felice d’Aptungi, uno dei « traditores » ( = consegnatari) dei libri sacri, e gli sostituirono Maggiorino. Quando Costantino, ingerendosi negli affari ecclesiastici, volle mettere fine allo scisma, ne divenne suo capo Donato (donde il nome dei seguaci), successo poi a Maggiorino. Alle misure imperiali, i donatisti opposero resistenza, anzi con gli adepti fanatici detti « Circumcelliones » perseguitavano i cattolici e distruggevano i loro edifici sacri. Presto i donatisti divennero anche eretici, sostenendo l’invalidità dei sacramenti amministrati dai ministri indegni, e quindi la necessità di ripetere il Battesimo da loro conferito. Considerarono la Chiesa composta solo dai « perfetti ». Sebbene l’imperatore Onorio li perseguitasse come eretici (editto del 405), essi sopravvissero ancora. Perseguitati in una coi cattolici dai Vandali invasori e ariani, durarono fino all’occupazione musulmana. Parecchi concili si interessarono dei donatisti. Essi furono dottrinalmente combattuti particolarmente da Sant’Agostino.

Ebioniti. – Essendo il Cristianesimo nato giudeo, i primo compito era di definire ciò che bisognava ritenere delle pratiche giudaiche: circoncisione, digiuni, purificazioni, osservanza del sabato, ecc. Un forte gruppo di Cristiani provenienti dal giudaismo, intorno al 63, con a capo un certo Tebutis, si staccò dalla Chiesa apostolica, sostenendo l’immutabilità e l’insostituibilità del Vecchio Testamento. In seguito essi si frazionarono in varie sette. Ebioniti viene da « ebion », termine aramaico che significa povero, umile; ma nel linguaggio popolare venne a significare la grettezza della legge mosaica e l’incapacità di comprendere la legge dell’amore sostituita da Cristo alla legge del rito. [Fu un monaco ebionita siriano a comporre il “Corano” che in pratica è la sintesi delle tesi eretiche ebionite – ndr. -]

Encratiti. – Il nome significa «astinenti» dal greco encràteia (= padronanza di sé). Verso la fine del sec. III appaiono in Siria, ma si diffusero in Gallia e in Spagna. Consideravano, con derivazione manichea, essenzialmente cattiva la materia, dichiaravano illecita l’unione coniugale, intimavano ai ricchi lo spogliamento da tutti i beni, pena la dannazione eterna. Proibito era l’uso della carne e del vino. Anche l’Eucaristia doveva celebrarsi senza vino, con solo acqua, onde furono detti anche « acquariani ». Austerissimi, negavano per sempre la Comunione ai peccatori. Si ritenevano esenti da ogni legge, perchè « il giusto è legge a se stesso ». Lo scrittore Taziano, già discepolo di San Giustino a Roma, fu detto il principe degli encratiti.

Esercito della Salvezza: vedi Protestanti.

Etiopico: vedi Monofisiti.

Eunomiani. – Seguaci di Eunomio vescovo di Cizico (360), il quale attrasse a sé altri vescovi della Siria, della Palestina e della Cappadocia, dando luogo a una gerarchia ariana (per la dottrina vedi: ariani) opposta a quella cattolica. Scomparvero presto come Chiesa scismatica.

(Di) Felicissimo e Fortunato. – È lo scisma consumato in Cartagine nel 250 dal diacono Felicissimo, il quale con altri cinque compagni, fra cui Fortunato e Novato, si oppose alle decisione di San Cipriano intorno ai « lapsi » della persecuzione di Decio. Cipriano aveva deciso che gli apostati durante la persecuzione avrebbero dovuto essere riammessi alla Chiesa solo dopo severa penitenza; se, però, fosse scoppiata una nuova persecuzione, essi avrebbero potuto essere corroborati subito con la santa Eucaristia anche prima della fine del periodo di penitenza. Sebbene ancora nel 252 venisse contrapposto a Cipriano un vescovo nella persona di Fortunato, lo scisma rimase senza grande importanza. Novato, recatosi a Roma, vi appoggiò lo scisma di Novaziano (vedi).

Foziano. – È lo scisma del patriarcato di Costantinopoli dalla Chiesa romana consumato da Fozio. Egli era stato scelto dall’imperatore Michele III a sostituire Ignazio, uomo pio e retto, ma ostinato, nell’858. Sembra che Ignazio si dimettesse dietro la promessa che Fozio l’avrebbe trattato come patriarca onorario e non avrebbe agito contro i suoi fautori. Ma Fozio si fece consacrare da Gregorio Asbesta, arcivescovo di Siracusa in esilio a Costantinopoli, che era appunto il più accanito avversario di Ignazio. Questi ricorse a Roma. Due legati inviati a Costantinopoli da Roma per esaminare il caso si fecero convincere da Fozio e comunicarono con lui. Ma, al loro rientro, il Papa Nicolò I li sconfessò e nel sinodo romano dell’863 scomunicò Fozio, il quale non se ne diede per inteso. Anzi, complicatasi la questione con l’affare di Bulgaria — giacche questa nazione, convertita da Bisanzio, era passata sotto la giurisdizione romana e i missionari bizantini erano stati scacciati — Fozio convocò un sinodo e scomunicò a sua volta il Papa (867). Con una enciclica alle Chiese orientali accusò la Chiesa romana di errori disciplinari e dell’aggiunta del « Filioque » al Credo. Ma pochi mesi dopo, Basilio, successo a Michele, fatto da lui uccidere, depose Fozio e richiamò Ignazio (867). Lo scisma ufficiale della Chiesa costantinopolitana dalla romana era di fatto finito, sebbene continuasse quello dei foziani contro Ignazio. L’ottavo Concilio ecumenico di Costantinopoli (869-870) confermò solennemente la condanna di Fozio. Ma, morto Ignazio (878), Fozio fu richiamato da Basilio al patriarcato. Un anno dopo, nel Concilio di Costantinopoli dell’879-880, avvenne la sua riabilitazione personale e il suo riappacificamento con il Papa Giovanni VIII.

Fraticelli. – Fu uno dei movimenti ereticali a sfondo sociale del sec. XIV Originato da alcuni Francescani fanatici, insegnarono che tutta la vita cristiana si riduceva alla pratica della povertà assoluta. Durante la lotta di Giovanni XXII contro Ludovico il Bavaro, trovarono nell’imperatore un protettore. Percorrevano le città e le campagne predicando la povertà. Si elessero vescovi e papi propri. Si estesero anche fuori d’Italia. Poterono essere estirpati nella seconda metà del secolo XV con i rimedi più drastici.

Garati: vedi Catari.

Giacobiti: vedi Monofisiti.

Giulianiti: vedi Aftardoceti.

Gnostici. – Questo nome di origine greca (gnosis = scienza) fu assunto da quei « sapienti » i quali agli inizi del Cristianesimo asserivano di avere, solo essi, una vera conoscenza salvifica della dottrina cristiana. Più che una eresia, essi formano un pullulare di eresie nel secolo II e III: un’infinita varietà di sette, dalle dottrine non solo differenti, ma anche opposte fra loro. Una sintesi del loro insegnamento è quanto mai difficile. Con un misto di idee filosofiche, religiose e culturali, sia greche, sia d’origine orientale, cercavano di dare una spiegazione razionalistica dei misteri cristiani. A base comune si può trovare un dualismo radicale tra Dio e la materia, per spiegare il problema del male. Dalla materia proviene tutto il male. Liberarsi dal male è liberarsi dalla materia, per ridurre alla originaria purezza la scintilla divina, la luce, che è nella materia. Perché, mentre la materia fu opera di uno degli eoni emanati o generati da Dio, di cui è composto il mondo spirituale, e precisamente dall’ultimo di questi, degenerato, cioè dal Demiurgo (il Dio degli Ebrei), la luce fu immessa nella materia da un altro eone, la Sofia. Per aiutare gli uomini a liberare in se stessi la luce dalle tenebre, venne nel mondo Gesù, il Salvatore: è questa l’opera della sua redenzione. Gli uomini, però, si dividono in tre gruppi: gli ilici ( = materiali), per i quali non c’è salvezza; gli psichici (da psyche = anima), per i quali con l’aiuto di Cristo c’è la salvezza; gli pneumatici (da pneuma = spirito), che sono gli gnostici perfetti, i quali sono già salvi e non hanno, quindi, bisogno di ulteriore salvezza. – I maestri gnostici furono numerosissimi, fondatori ciascuno d’un proprio sistema, differente in molti punti dagli altri: celebri Basilide, Valentino, Marcione — il cui complesso sistema fu considerato dagli scrittori cristiani pericolosissimo — Eracleone, Bardesane, Tolomeo, ecc. Si vuol fare risalire lo gnosticismo fino a Simon Mago. Molti Padri scrissero contro lo gnosticismo, particolarmente Sant’Ireneo, Sant’Ippolito, Tertulliano, Origene.

LE PIAGHE DELLA COMUNITÀ’ CRISTIANA: GLI SCISMI (1)

LE PIAGHE DELLA COMUNITÀ’ CRISTIANA

Capitolo I

Gli SCISMI,

ferite alla unità della fede (I)

[“Somma del Cristianesimo”, a cura di R. Spiazzi, vol. II Ed. Paoline, Roma, 1958]

Art. 1. – NATURA DELLO SCISMA.

Significato e uso della parola. – Scisma è parola greca (σχίσμα = skisma) la quale, nel suo significato letterale di fenditura, strappo, separazione materiale, spaccatura, è d’uso corrente tanto nei classici, quanto nel Nuovo Testamento. (La traduzione greca dei LXX del Vecchio Testamento usa in questo senso il sinonimo (σχισμη). Invece, nel suo significato figurato di dissensione, divergenza d’opinione, scissione, è d’uso assai raro nei classici, ma lo si ritrova in San Giovanni e in San Paolo. In San Giovanni (VII, 43; IX, 16: X, 19) indica tutte e tre le volte un disaccordo prodottosi fra i giudei in seguito a discussioni intorno al Cristo. In San Paolo (1 Cor. I,10; XI,18; XII, 25) indica i dissensi interni alla comunità di Corinto, sorti per varie cause: ora a motivo dell’autorità cui i vari partiti si appoggiano, Paolo o Apollo o Cefa (I, 10); ora a causa delle diversità di classi e di condizioni sociali (XI, 18); ora per l’egoismo naturale dei singoli membri della comunità (XI, 18). È certamente l’uso di San Paolo che ha fatto entrare la parola « scisma » nel linguaggio ecclesiastico. Il latino classico la sconosce. Ma dal latino ecclesiastico è passata in tutte le lingue moderne occidentali, con un senso ecclesiologico tecnico. – Questo senso tecnico è frutto di una lunga evoluzione attraverso i secoli. In San Paolo non si parla ancora di veri scismi nel senso attuale della parola: non di gruppi usciti dalla comunione ecclesiastica, ma di partiti formatisi nel seno della stessa Chiesa locale. – Anche la parola « eresia », che si trova in uno di questi passi di San Paolo accostata a «scisma» (1 Cor. XI, 18-19), non ha ancora un significato ben distinto e tecnico: tutt’al più indica vagamente un’aggravante dello scisma. Con i Padri apostolici, che pur si riferiscono a San Paolo, o esplicitamente, come San Clemente Romano, o implicitamente, come San Ignazio, la parola si è caricata d’un senso più forte. Sta ad indicare la rottura dell’unità nell’ambito della Chiesa locale, attraverso il rifiuto dell’autorità del vescovo, attraverso la rottura della fedeltà alla sua fede, attraverso la negazione della partecipazione alla sua Mensa eucaristica. (Cfr. San Clemente Romano, 1 Cor., II, 16; 46,5,9; Sant’Ignazio, il quale però usa solo il participio σχίζωντι, Ai Filad. I 3 ; e cfr. le condizioni dell’unità della Chiesa in Agli Smirn., c. 7-8; Ai Filad., c. 3-4; A Polic., c. 6; Didachè 4,3; Barnaba, 19,12; Erma, Simil. VIII, 9,4). – Ma, quando si rompe con una Chiesa locale, si rompe anche con tutte le Chiese locali, le quali sono tutte unite fra loro dai profondi legami dell’unica fede e della medesima carità. Così, « scisma » passa presto a designare la rottura dell’unità con la Chiesa universale. È soprattutto San Cipriano che gli dà questo senso più vasto, nelle sue Epistole e nel suo trattato “De Ecclesiæ imitate”, composto per combattere lo scisma di Felicissimo a Cartagine, inviato poco dopo a Roma perché servisse a combattervi lo scisma di Novaziano. – Poiché l’unità della Chiesa si ottiene con l’unione di ciascun fedele al proprio Vescovo, chi non sta con lui, non sta neppure nella Chiesa. L’episcopato, però, è unico, giacche tutti i Vescovi costituiscono una vera unità, derivante da quell’unica autorità di legare e di sciogliere che il Cristo concesse inizialmente a uno solo, a Pietro, ma che estese poi anche agli altri Apostoli facendoli ugualmente partecipi della stessa autorità di Pietro. Pertanto, separarsi dal proprio Vescovo, è separarsi dalla Chiesa unica e universale (Epist. 43,5; 66,8; 68,3-5; 69,3; De Eccl. un. 7). San Cipriano non distingue ancora bene lo scisma dall’eresia. Spesso i due termini sono da lui abbinati o usati promiscuamente l’uno per l’altro. Tuttavia, a volte intravede l’eresia come qualcosa di più grave che lo scisma (Cfr. Epist. 51,1; 55,24). La distinzione dello scisma dall’eresia è indicata con chiarezza, ma solo da un punto di vista pratico, senza alcuna spiegazione teorica, da Ottato di Milevi. Sul problema della validità dei sacramenti amministrati dagli eretici, punto tanto discusso tra l’Africa e Roma, Ottato sostiene che quelli conferiti dagli scismatici sono validi, perché costoro spezzano l’unità della Chiesa, ma conservano la medesima fede, mentre quelli conferiti dagli eretici sono invalidi, perché costoro adulterano la fede stessa. (De schimate donat., I , 10-11). -Una precisazione ancora più netta tra scisma ed eresia la dà Sant’Agostino, questa volta dal punto di vista teorico: l’eresia viola la fede; lo scisma spezza il vincolo della carità fraterna (De fide et symb. 10,2). Siamo nel 393. Lo stesso egli ripeterà nel 420 (Contra Gaudentium, 2,9). Ma intorno al 406 per difendere la costituzione dell’imperatore Onorio, che sottoponeva gli scismatici donatisti alle medesime pene sancite contro gli eretici, Sant’Agostino espresse l’idea che ogni dissenso, se pertinacemente protratto, diventa per questo solo motivo una eresia (Contra Cresconium, I I , 7-9). – San Girolamo in un testo divenuto famoso nel Medio Evo, ha le idee altrettanto nette, anzi più esatte ancora di S. Agostino: « Tra l’eresia e lo scisma pensano che ci sia questa differenza, che l’eresia tiene un domma perverso, lo scisma per dissensione episcopale si separa dalla Chiesa: il che si può in certo modo capire al suo inizio. Però non c’è nessuno scisma che non si foggi una eresia, per sembrare che si è separato dalla Chiesa giustamente » (In epist. ad Titum, 3,10-11). Così Girolamo, più acutamente di S. Agostino, osserva che non la durata fa diventare lo scisma una eresia, ma è lo scisma a fabbricarsi una eresia, per giustificare la sua secessione dalla Chiesa universale. Sono queste le idee che la Scolastica, quando formerà la grande sintesi teologica, in cui si definisce e distingue scisma ed eresia, troverà dinanzi a sé. – C’è anche da aggiungere che ormai con S. Agostino lo scisma è stato riferito, non solo alla Chiesa universale in genere, come aveva fatto S. Cipriano, ma alla Chiesa romana in particolare, che, quale Sede Apostolica per eccellenza, è il criterio pratico, unico e centrale, dell’unità della Chiesa universale (Epist. 43,7; 52,3). Già prima di lui, fin dal II secolo S. Ireneo aveva scelto questa referenza esplicita alla Chiesa romana come segno e criterio della vera tradizione. Ottato di Milevi, poco prima di S. Agostino, chiama scismatico chiunque osi contrapporre la propria sede episcopale a quella di Roma (De schismate donat., II, 2). – Ecco lo scisma assumere il significato più pratico di «scissione dalla Chiesa Romana, ribellione al Papa ». È questo il senso che avrà ormai per sempre. Quando col sec. XI l’Occidente vivrà una vita ecclesiastica praticamente separata da quella dell’Oriente, la rEferenza al Papa diventerà essenziale ed esclusiva.

Lo SCISMA SECONDO LA TEOLOGIA.

1. Nozione cattolica.

– « Scismatici sono detti coloro che rifiutano di sottostare al Sommo Pontefice e coloro che ricusano di comunicare coi membri della Chiesa a lui sottomessi ». Questa è la definizione data da S. Tommaso a conclusione del suo articolo in cui considera lo scisma come peccato speciale (Somma, II-II q. 39, a. 1). La stessa definizione, quasi con le stesse parole, dà il Codice di Diritto Canonico (can. 1325, § 2). Lo scisma, dice San Tommaso, è peccato speciale perché si oppone alla carità principio formale della comunione ecclesiastica, cioè di quell’unità ecclesiastica per cui tutti i Cristiani vivono in pace vicendevole e spirituale come membri della medesima e inscindibile Chiesa. Quest’unione ecclesiastica ha un duplice aspetto: da una parte è comunione dei singoli membri fra loro, dall’altra è ordine di tutti i membri verso un solo capo, lo stesso Cristo, di cui fa le veci il Sommo Pontefice. – Commette, pertanto, peccato di scisma, sia chi rigetta l’autorità del Sommo Pontefice sia chi si stacca da uno dei membri della Chiesa comunicante con il Sommo Pontefice (Somma II-II, q. 39, a. 1). Il Sommo Pontefice è, per San Tommaso, l’ultimo criterio pratico di comunione e d’unità. Criterio importantissimo; ma non esclusivo. Perché anche chi si stacca da una Chiesa locale, rifiutando l’obbedienza al proprio Vescovo, in quanto questi fa parte della Chiesa universale, è scismatico. L’antica visione dello scisma nel quadro della Chiesa locale viene così accolta e inserita, ma non sommersa, nel nuovo quadro più vasto della Chiesa universale. L’unità da cui lo scismatico si stacca è concepita da S. Tommaso come una unità, non sostanziale, quale è ad esempio quella del corpo umano, ma un’unità di ordine e di relazione, propria di ogni società. L’unità della società civile scaturisce dalle mutue relazioni suscitate dalla ricerca del bene comune da parte di tutti i membri di essa. Così anche l’unità della Chiesa, benché costituita da valori superiori, nasce dalle mutue relazioni derivanti dalla ricerca del loro bene soprannaturale, dalla ricerca comune di attuare il Corpo Mistico di Cristo. Come nella società civile, la ricerca del fine comune si attua sotto la guida d’una autorità, così l’unità della Chiesa, in quanto relazioni di membri al capo, si attua quando il capo dà a ogni membro ciò che gli conviene e quando i membri regolano la loro attività spirituale di fede, di carità, di mutuo aiuto, ecc. secondo le norme sancite dal capo (Somma, ivi; cfr. In IV Sent., dist. 24, q. 3, a. 2, sol. 2; Commen. in Eph., c. 4, lect. 1; Commen. in Coloss., c. 1, lect. 5; Somma II-II, q. 183, a. 2, ad. 1; Commen. in 1 Cor., c. 12, lect. 2). – Il Caietano, commentando San Tommaso, nota con acume che, in ultima analisi, l’unità della Chiesa è opera dello Spirito Santo, « il quale, ripartendo i doni secondo il suo beneplacito, ha voluto che la Chiesa Cattolica, cioè universale, fosse unica e non frazionata. Di conseguenza, Egli muove ciascuno dei suoi membri a comportarsi nelle sue azioni interiori ed esteriori come parti di un tutto (ut partes unius), per questo tutto, e conformemente a questo tutto. Ogni fedele, infatti, sa dalla sua fede che egli è membro della Chiesa, ed è come membro della Chiesa che egli crede, spera, amministra o riceve i Sacramenti, insegna o apprende, ecc. Ed è per la Chiesa ch’egli fa ciò, come parte per il tutto, cui appartiene tutto ciò che egli è » (In II-II, q. 39 a. 1, n. 2). Così, secondo la precisazione del Caietano, l’unità della Chiesa è costituita, più che dai medesimi Sacramenti o dalle medesime virtù teologiche, più che dalla unione derivante da uno stesso governo, dall’assoluta comunione di animi e di cuori, frutto di quella carità che è opera dello Spirito Santo, per la quale tutti i membri si regolano secondo le norme dettate dal capo e vivono secondo queste norme per il tutto. Scismatico è, allora, chi rifiuta di agire come parte (ut pars), per volere pensare, agire, vivere, non nella Chiesa e per la Chiesa, ma come essere autonomo, il quale determina da solo e per sé solo una propria legge di pensiero, di azione e di vita. Osserva ancora il Caietano che il peccatore, pur avendo perduto la carità, non è ancora uno scismatico, perché sebbene abbia perduto la radice della comunione ecclesiastica, tuttavia conserva ancora le regole dell’unione, in quanto agisce ancora ut pars. Insomma, il Cristiano che ha perduto col peccato la carità, non diventerà scismatico se non offenderà la carità in quanto forma l’unione della Chiesa (Ivi, n. 3).

2. Nozione di scisma secondo i dissidenti.

– Occorre notare subito che tali idee sulla natura dello scisma rispondono al punto di vista cattolico, secondo cui la Chiesa è un corpo visibile, gerarchicamente costituito sotto la guida del Romano Pontefice. Per i protestanti propriamente detti, i quali negano la visibilità della Chiesa e la sua costituzione gerarchica, lo scisma è una rottura, non meglio definita, dei legami spirituali fra le comunità cristiane. Gli anglicani e gli « ortodossi » ammettono la visibilità della Chiesa e della sua comunione ecclesiastica, ma negano una autorità universale, la quale possa costituire l’organo e il criterio della sua unità. È la confederazione delle Chiese particolari, aventi la stessa fede fondamentale, gli stessi essenziali sacramenti, che costituisce l’universalità e l’unità della Chiesa. Per gli anglicani, i quali concepiscono la confederazione come risultante dalla comunione delle varie diocesi, si commette peccato di scisma quando si rifiuta l’autorità del vescovo della propria diocesi o quando si celebra a un altare eretto contro la sua autorità … Per gli ortodossi, i quali concepiscono la confederazione come risultante della comunione fra le Chiese nazionali, è scismatico chi si separa dalla propria Chiesa nazionale. Per quanto riguarda la separazione fra la Chiesa romana e loro, non parlano di scisma ma di eresia, giacché imputano alla Chiesa latina non pochi errori.

3. Gravità dello scisma.

– La gravità essenziale dello scisma — a prescindere dalle circostanze in cui è prodotto — va misurata come quella di qualsiasi altro peccato, dal suo oggetto: più grande è il bene di cui esso è la negazione, più profonda è la sua gravità. Ora, lo scisma attenta al più grande fra i beni creati: il comune fine soprannaturale dell’umanità, realizzato in terra dalla comunione ecclesiastica. Lo scisma, opponendosi a questo fine soprannaturale, rompe l’unità della Chiesa. – La Chiesa è raffigurata nella S. Scrittura, nei Padri e nella Tradizione come una unità organica, simile a un regno, a un corpo, destinato a un fine soprannaturale. Lo scisma viola questa unità organica, reca frattura al « grande e glorioso Corpo di Cristo », come si esprime Sant’Ireneo (Adv. hæreses, IV, 37,5). – La Chiesa è una società di fedeli (societas fidelium), costituiti e viventi in perfetta comunione spirituale. Ma, se questa. comunione. è anzitutto ed essenzialmente spirituale, essa è tuttavia realizzata in un corpo visibile cioè nella vita societaria collettiva dei suoi membri presi insieme. È comune vita teologica, liturgica, morale, contemplativa, di vicendevole aiuto sociale ed ecclesiastico. L’impulso di questa vita comune proviene dall’autorità, che ne è il principio d’unità. Chi nega sia l’autorità ecclesiastica — quella cioè dei capi visibili della Chiesa e del suo capo supremo, il Sommo Pontefice — sia la comunione tra i membri della Chiesa, promossa, assicurata e misurata dalla loro unione ai capi, si esclude automaticamente dai benefici di questa comunione ecclesiastica. – Lo scismatico diventa allora come un membro reciso dal capo, un ramo staccato dall’albero, cui non giunge più la linfa vitale che proviene dal tronco e dal cuore. Per questo motivo alcuni Padri e Dottori dicono che lo scisma è il più grave peccato (ad esempio San Bernardo, Epist. 219). Anzi Sant’Agostino, portando dei paragoni, dice esplicitamente che lo scisma è più grave dell’idolatria e dell’infedeltà (Epist. 51,1-2; De baptismo contra Don., I , 8,10). Essi partono dalla considerazione del gravissimo castigo inflitto da Dio agli scismatici, come Core, Dathan e Abiron, per i quali la terra si apri inghiottendoli (Num, XVI,28-35); mentre, in paragone, al peccato di bestemmia è riservata la sola lapidazione (Lev., XXIV,14-16). – Ma, in una rigorosa sistemazione teologica, la quale considera ogni peccato in sé e non nelle circostanze in cui è avvenuto, la quale sa vedere negli esempi biblici il loro carattere prevalentemente didattico e non scientifico, l’affermazione dei Padri non trova motivazione logica. Essa va intesa o corretta nel senso che lo scisma è il più grave fra i peccati opposti ad un bene creato, precisamente il più grave dei peccati esterni contro il prossimo (SAN TOMMASO, Somma II-II, q. 39, a. 2; in IV Sent., dist. 13, q. 2, a. 2, ad 4; De malo, q. 2, a. 10). Altri peccati vanno considerati ancora più gravi dello scisma: quelli che si oppongono a un bene increato. Così, il più grave fra. tutti i peccati è l’odio contro Dio, perché si dirige contro lo stesso Sommo Bene (SAN TOMMASO, Somma, II-II,’ q. 34, a. 2; cfr. ivi, a. 4).

4. Scisma e disubbidienza.

– Lo scisma comporta sempre anche un peccato di disubbidienza. Ma, non ogni peccato di disubbidienza contro l’autorità della Chiesa è un peccato di scisma. La disubbidienza che comporta lo scisma è accompagnata, dalla ribellione pertinace all’autorità ecclesiastica legittima: « Costituisce l’essenza dello scisma la disubbidienza ai precetti accompagnata da una certa ribellione. Dico « con ribellione »: il che avviene quando si disprezza con ostinazione (pertinaciter) i precetti della Chiesa e si rifiuta dì piegarsi al suo giudizio » SAN TOMMASO, Somma, II-II, q. 39, a. 1, ad 2). – Il Caietano con tre chiari esempi precisa di che disubbidienza si tratti. Quando qualcuno si rifiuta di osservare i precetti del superiore per il loro contenuto, che in quel momento non piace o non conviene, senza però mettere in causa né l’autorità né la persona del superiore, commette un peccato di semplice disubbidienza, anche se si tratta dell’autorità della Chiesa, ma non di scisma: così, quando, nei secoli scorsi, il Papa comandava di astenersi da una guerra o di restituire uno stato ingiustamente occupato, chi disubbidiva errava gravemente, ma non poteva essere detto scismatico. Quando qualcuno rifiuta di sottostare ai precetti del superiore mettendo in causa la sua persona, ma rispettando la sua funzione in se stessa, come quando, per una ragione o l’altra, sospetta della sua stessa persona o della sua competenza o della sua legittimità, disubbidisce, anche se si tratta della autorità della Chiesa, ma non è scismatico: così chi disubbidisce a un comando del Papa, perché crede che egli governa in modo tirannico, non è da considerarsi scismatico. – Quando, invece, il rifiuto di ubbidire si riferisce all’autorità stessa e alla funzione del capo ecclesiastico, considerata e conosciuta come tale, allora e solo allora si verifica il peccato di scisma: « Cum quis autem Papæ præceptum vel iudicium ex parte sui officiì recusat, non recognoscens eum ut superiorem, quamvìs hoc credat, tunc proprie scismaticus est » (In II-II, q. 39, a. 1, n. 7). La precisazione del Caietano, molto acuta, serve da sola a sfatare la asserzione di quegli autori moderni i quali sostengono che, una volta definito dal Concilio Vaticano il primato del Romano Pontefice, non è più possibile uno scisma senza eresia. Chi pertinacemente e volontariamente nega che il primato del Romano Pontefice sia un domma da credersi da tutti i fedeli, commette un peccato di eresia. Ma, chi, pur credendo al primato del Papa, rifiuta di sottomettersi ai suoi ordini legittimi e si considera praticamente come un essere ecclesiasticamente autonomo, non agisce cioè « ut pars » della comunione ecclesiastica, direbbe il Caietano, commette semplicemente un peccato di scisma puro: separatosi così dalla comunione ecclesiastica, la linfa vitale proveniente dal centro della Chiesa non può più giungere fino a lui, sebbene non sostenga alcuna eresia. Praticamente sarà magari indotto a sostenere una eresia per giustificare il suo modo di agire, ma ciò non toglie la possibilità, almeno teorica, di uno scisma senza eresia. – Del resto questi due concetti, di scisma e di eresia, e i loro rapporti, vanno meglio precisati.

5. Scisma ed eresia.

– Oltre allo scisma, anche l’eresia rompe l’unità ecclesiastica, e separa i suoi fautori dalla comunione ecclesiastica. I due peccati non vanno, tuttavia, confusi. La loro distinzione è, del resto, teoricamente facile, essendo differente l’oggetto formale dei due atti: l’eresia si oppone alla fede, lo scisma si oppone alla comunione ecclesiastica nata dalla carità. Si può essere scismatici senza essere eretici, quando cioè non si sostiene pertinacemente alcun errore contro la fede, ma si nega solo o l’autorità della Chiesa o la comunione ecclesiastica. – L’eretico, al contrario, è anche scismatico; perché nega il fondamento radicale su cui si basa la comunione ecclesiastica, la verità cioè rivelata da Dio e proposta autenticamente come tale dalla Chiesa. Pertanto, tutte le eresie possono essere considerate anche come scismi (l’elenco storico degli scismi del seguente articolo va intesa in questo ampio senso); ma non tutti gli scismi possono essere detti eresie. Si chiama scisma puro quello in cui al pertinace rifiuto dell’autorità della Chiesa non si aggiunge alcun errore contro la fede; si dice scisma misto quello in cui si aggiunge la negazione pertinace di una o più verità definite dalla Chiesa e. proposte, ai fedeli come dommi di fede. Tutti gli autori, seguendo la vecchia osservazione di S. Girolamo (In Epist. ad Titum, 3,10-11), fanno notare che lo scisma trascina verso l’eresia, giacche ogni scismatico tende a giustificare la sua secessione dando vita a una eresia. La storia della Chiesa è là a dimostrare che difficilmente si trova uno scisma, il quale non sia accompagnato, almeno successivamente al suo inizio, da una eresia. Quando si dice che lo scismatico e l’eretico rompono, mutilano, sovvertono l’unità della Chiesa, s’intende che è in loro stessi — e in tutti quelli che con la stessa conoscenza e la stessa pertinacità li seguono — ch’essi la rompono, la mutilano, la sovvertono. In se stessa la Chiesa è indivisibile, inseparabile, immortale. La Chiesa può cessare di far giungere la sua linfa vitale ad alcuni uomini o ad alcuni gruppi umani, ma perché questi si sono staccati volontariamente dalla sua unità organica di Corpo e di Anima.

6. Scisma interno e scisma esterno;  scisma occulto e scisma pubblico.

– Lo scisma è interno se la negazione della comunione ecclesiastica o dell’autorità della Chiesa risiede solo nell’animo, e non è accompagnato da alcun segno esterno. È, invece esterno, se è manifestato con qualche segno esteriore, per esempio con parole o con scritti. Lo scisma esterno, cioè manifestato con parole o con qualche scritto, è considerato occulto, se queste manifestazioni esterne non sono a conoscenza di alcuno, per esempio se uno ha pronunziato da solo quelle parole o non ha mai mostrato a nessuno i suoi scritti, e anche se sono a conoscenza di ben poche persone. Se invece è ormai noto a molti, in modo che non si può nascondere, è scisma pubblico. La distinzione tra scisma interno ed esterno interessa principalmente il Diritto Canonico, perché per incorrere le pene ecclesiastiche sancite contro gli scismatici è necessario l’atto esterno dello scisma, dato che la Chiesa non suole punire se non gli atti esterni. Anche la teologia, tuttavia, si interessa a questa distinzione, a causa del problema se basta il peccato di scisma puramente interno ad escludere un battezzato dalla Chiesa. Qualche teologo, come Th. Spàcil, lo sostiene, considerando l’appartenenza alla Chiesa da un punto di vista anzitutto interiore e morale. Ma la maggior parte dei teologi, e sono quelli di più gran nome, come Cano, Soto, Bellarmino, D. Palmieri, Mazzella, d’Herbigny, G. Philipps, considerando l’appartenenza alla Chiesa da un punto di vista anzitutto sociale e giuridico, lo negano, affermando che gli scismatici puramente interiori rimangono membri della Chiesa, allo stesso modo dei comuni battezzati peccatori. Questi scismatici interni, se pur nell’intimo del loro cuore non amano più la comunione ecclesiastica, ne subiscono tuttavia ancora gli obblighi, e, trascinati dall’ambiente, potranno più facilmente tornare a riceverne tutti i benefici con un ritorno anche interiore all’unità.

7. Scisma materiale o scisma come stato.

– Fin qui lo scisma è stato considerato come l’atto positivo, cosciente e pertinace, di chi rifiuta di sottomettersi all’autorità della Chiesa o di comunicare coi membri della Chiesa. Ma chi dovesse aderire a uno scisma in buona fede o chi fosse nato in una Chiesa separata da quella cattolica, può essere detto scismatico? L’uso popolare lo dice « scismatico in buona fede », considerando lo scisma non più un peccato, ma uno stato. L’espressione è quanto mai impropria, anzi assurda nella sua intima contraddizione, perché attribuisce un peccato (e che grave peccato) a chi non ha commesso questo peccato. Allo scisma si richiede, infatti, quella pertinacia, la quale è negata dalla supposta buona fede. La teologia recente usa chiamarlo, allora, con espressione non troppo elegante, uno scismatico materiale, riservando il titolo di scismatico formale a chi ha veramente commesso personalmente il peccato di scisma. La distinzione è divenuta d’uso comune tra i moralisti ed è conosciuta anche dal Diritto Canonico. Tuttavia, questi cosiddetti « scismatici materiali », particolarmente quelli nati nelle Chiese orientali — alla cattolica tanto vicine per la sostanza della fede e dei mezzi della grazia e del valido sacerdozio — avendo ricevuto validamente il Battesimo, e col Battesimo la grazia e le virtù infuse, appartengono fin da bambini al corpo e all’anima della vera Chiesa, allo stesso modo dei bambini nati nella Chiesa Cattolica. Quando essi arrivano all’uso di ragione e all’età della deliberazione, nutriti dalla profonda efficacia dei sette sacramenti e da una fervida linfa liturgica, non sapranno discernere, fra tanta chiarezza di fede e tanto amore, quel che di falso e di tenebra è loro pervenuto come patrimonio d’uno scisma commesso lontano nei secoli. Accetteranno, allora, in blocco questa eredità dell’antico scisma, il quale diventerà per loro un puro stato, un modo di essere, acquisito involontariamente. Ma, non cesseranno per questo di appartenere alla vera Chiesa. Perché dare, allora, questo nome di scismatici, così odioso e infamante, anche se attutito dall’aggettivo «materiali», a chi non è scismatico? I documenti ufficiali della Santa Sede danno ormai alle Chiese orientali e ai suoi fedeli il nome di « dissidenti ». Ecco il titolo adatto a sostituire il termine di « scismatici materiali ».

LO SCISMA SECONDO IL DIRITTO CANONICO,

– 1. Scisma come delitto.

– Il Diritto Canonico s’interessa allo scisma soprattutto come delitto, cioè come « esterna e moralmente imputabile violazione di una legge o precetto, alla quale sia annessa una sanzione penale » (can. 2195, § 1). Dopo aver dato la definizione di scismatico da noi riportata sopra (can. 1325, § 2), il Codice di Diritto Canonico enumera lo scisma tra i delitti (can. 2314, § 1,1°). Perché uno sia reo di vero e proprio delitto di scisma si richiede:

a) una manifestazione esterna, non necessariamente pubblica, ma basta solo occulta, purché abbia il carattere di un rifiuto che possa essere contestato;

b) un atto moralmente imputabile. Pertanto è necessaria la piena conoscenza e la perfetta libertà della volontà. Ogni diminuzione della conoscenza o della libertà, poiché toglie l’imputabilità morale, toglie anche l’essenza del delitto. Non basta, quindi, la colpa meramente giuridica, ma si richiede una colpa morale grave. – Praticamente, quanto alla conoscenza, il soggetto deve sapere che la Chiesa romana è la sola vera Chiesa di Cristo e che il Sommo Pontefice è il suo capo visibile a lei assegnato per diritto divino. – Quanto alla libertà della volontà, il soggetto deve spontaneamente e pertinacemente staccarsi dalla comunione ecclesiastica col rifiuto di essa o col rifiuto di sottomettersi alla autorità della Chiesa. Basta, però, questo rifiuto pertinace, anche se egli non ha dato il proprio nome ad alcuna setta scismatica o non ne ha fondata una sua. Colui che ha già dato il nome a una setta scismatica in buona fede, commette il delitto di scisma al momento che, venuto in qualsiasi modo a conoscenza che quella setta non fa parte della vera Chiesa di Cristo, si ostina tuttavia a rimanervi. Segue chiaramente da ciò che a tutti i cosiddetti « scismatici materiali » mancano i requisiti perché si parli d’un loro delitto di scisma, a norma del Codice di Diritto Canonico. Pertanto essi non sono colpiti da alcuna pena. Perché, infatti, siano applicate le pene sancite per il delitto di scisma, si richiede, oltre la piena avvertenza e la libertà dell’atto, anche il disprezzo della legge, la contumacia, la quale nel caso è già implicita nella sua stessa trasgressione pertinace (can. 2242, § 1, 1° e § 2).

2. Pene ecclesiastiche sancite per lo scisma.

– Sono le stesse sancite per l’eresia. La pena principale è la scomunica riservata speciali modo alla Sede Apostolica (can. 2314, § 1, 1° e § 2). Dopo un avvertimento infruttuoso, lo scismatico deve essere privato dei benefici, dignità, pensioni, uffici o privilegi che eventualmente aveva nella Chiesa; deve anche essere dichiarato infamis; e, se chierico, dopo una nuova ammonizione infruttuosa, deve essere deposto (ivi, § 1, 2°). L’infamia giuridica, che si incorre, come in questo caso, dopo la sentenza del giudice, o ipso facto, come nel caso successivo, comporta l’irregolarità riguardo al ricevimento degli ordini sacri o per difetto o per delitto (can. 984, 5° e 985, 1°), l’inabilità a ottenere ed esercitare ogni ufficio o beneficio o dignità, e la proibizione di esercitare il ministero ecclesiastico nelle sacre funzioni (can. 2294). Se lo scomunicato ha dato pubblicamente il nome a una setta eretica è ipso facto infamis, e, se è chierico, dopo una nuova ammonizione infruttuosa, deve essere degradato (can. 2314. § 1., 3°). – ‘Lo scismatico, inoltre, non può essere padrino nel Battesimo e nella Cresima di Cattolici (can. 765, 2° e can. 795, 2°). – Non si può trasmettere validamente a uno scismatico il diritto di patronato (can. 1453, § 1); se gli viene trasmessa la proprietà della cosa cui è annesso il diritto di patronato, il diritto di patronato relativo resta sospeso (ivi, § 3). Lo scismatico incorre nella irregolarità ex delicto quanto al ricevimento degli ordini sacri (can. 985, 1°). È privato della sepoltura ecclesiastica (can. 1240, § 1, 1°) e gli si debbono rifiutare sia la Messa funebre, anche anniversaria, sia tutti gli uffici funebri (can. 1241). Però, le Messe private, se è tolta ogni occasione di scandalo, possono essere applicate per lui.

3. Scisma come stato o scisma materiale.

– Dicevamo sopra che questo concetto non è ignoto al Diritto Canonico. Il can. 731, § 2 dice: «È proibito amministrare i sacramenti della Chiesa agli eretici o scismatici, anche se errano in buona fede, ed anche se li chiedono se prima, rigettati i loro errori, non si siano riconciliati con la Chiesa ». Questo canone contiene due proibizioni di natura assai differente. La prima vieta l’amministrazione dei Sacramenti ai veri eretici e ai veri scismatici, a quelli cioè macchiatisi del relativo delitto. È una proibizione di natura penale: una conseguenza della scomunica. Tutti i veri eretici e i veri scismatici sono allontanati dai Sacramenti (can. 2260, § 1), perché tutti costoro sono scomunicati (can. 2314, § 1). – L’altra proibizione, invece, non è affatto di natura penale, ma nasce da un ostacolo naturale (can. 87). Trattandosi di soggetti che non hanno commesso il delitto, non li si può colpire con alcuna pena. Tuttavia una norma di sana prudenza vieta che l’errore, anche se non imputabile, e la verità possano venire confusi insieme. – La duplice considerazione di scisma come delitto e scisma come stato è implicita in altri canoni che vietano la communicatio in sacris (can. 1258 e can. 2316). – La proibizione dell’amministrazione dei sacramenti anche agli scismatici « materiali » (can. 731, § 2) è senza dubbio grave, ma deve essere benignamente interpretata in caso di estrema necessità e anche in alcuni casi di particolare gravità in cui la legge divina della carità richiede di prevalere sulla legislazione positiva ecclesiastica. Se altri beni della Chiesa, ad esempio le benedizioni, possono essere date agli acattolici in genere per ottenere loro la luce della fede e con essa, in certi casi, anche la sanità corporale (can. 1149), non c’è motivo di dubitare che anche i Sacramenti possono essere amministrati agli « scismatici materiali » per assicurare o facilitare la loro salvezza eterna. – In pratica, è certo che a uno « scismatico materiale » moribondo e privo di sensi si possono conferire i Sacramenti, sotto condizione; se, invece, egli è ancora in sensi, il decreto del Sant’Officio del 15 nov. 1941 (cfr. Monitor Eccl. 1942, p. 117) richiede che nel modo migliore, secondo le circostanze, rigetti almeno implicitamente gli errori e faccia professione di fede; tuttavia di fronte al timore che la sua buona fede possa venire profondamente turbata, si può procedere ugualmente al conferimento dei Sacramenti, sempre che egli stesso li abbia chiesti. – E severamente proibita ai Cattolici qualunque partecipazione attiva in sacris con gli scismatici (can. 1258). Le pene sancite contro i Cattolici trasgressori sono gravissime: essi sono sospetti di eresia (can. 2316), anzi se entro sei mesi non si sono ravveduti vanno considerati eretici e sottomessi alle stesse pene di costoro (can. 2315), compresa la scomunica (can. 2314, § 1).