LA RUSPA NELLA SANTA CHIESA: LO SMANTELLAMENTO DEL SANTO UFFIZIO

LA RUSPA NELLA SANTA CHIESA: LO SMANTELLAMENTO DEL SANTO UFFIZIO

Otto settembre 1907: Papa San Pio X promulga l’enciclica “Pascendi dominici gregis” per condannare il modernismo, “sintesi di tutte le eresie, strada aperta all’ateismo”. Nel paragrafo VI dell’enciclica, Papa Sarto elenca i punti principali del programma riformatore dei modernisti: tra essi lo svecchiamento delle Congregazioni romane, ed in capo a tutte “quella del Sant’Uffizio e dell’Indice”. – Sette dicembre 1965: ultima sessione pubblica del (falso)-Concilio Vaticano II, nella quale l’antipapa Paolo VI, il marrano Patriarca degli Illuminati, proclama il satanico-gnostico culto dell’uomo (allocuzione “Noi concludiamo”). Lo stesso giorno, furono votati e promulgati gli ultimi quattro documenti conciliari, tra i quali la dichiarazione “Dignitatis humanæ personæ” sulla libertà religiosa, mentre Paolo VI ed il “patriarca scismatico Atenagora” (due fratelli di loggia!)

I due “fratelli” si tengono la mano con la “stretta” massonica ben evidente … per chi doveva capire ….

dichiaravano la reciproca remissione delle scomuniche del 1054. Porta la data del 7 dicembre 1965 anche il motu proprio “Integræ servandæ” con il quale era soppressa la Suprema Congregazione del Sant’Ufficio, da allora sostituita dalla congregazione della dottrina della (non)-fede. Non si trattava solo di un cambiamento di nome o di regolamento, ma di spirito e finalità, in accordo appunto con la dichiarazione Dignitatis humanæ che, proclamando il diritto alla libertà religiosa, in assoluta contraddizione con tutta la dogmatica ed il Magistero cattolico, oltre che con la Tradizione dei Padri e l’insegnamento evangelico di Cristo stesso, condannava implicitamente la dottrina e la prassi contraria della Chiesa. Vennero esauditi così i voti dei modernisti della “quinta colonna”, dei quali si erano fatti portavoce, l’8 novembre 1963, nel famoso discorso contro la curia romana ed il Sant’ufficio tenuto in concilio [il conciliabolo c.d. Vaticano II], il cardinale Frings ed il suo giovane perito, l’ebreo marrano Joseph Ratzinger, divenuto poi anch’egli Patriarca degli Illuminati di Baviera. “La procedura del Sant’Uffizio, – aveva dichiarato il cardinale Frings – non si addice più alla nostra epoca, nuoce alla Chiesa ed è oggetto di scandalo per molti”. Certamente l’inquisizione nuoceva alla falsa chiesa ecumenica noachide dell’uomo, dove tutto era ed è eresia, o meglio apostasia dalla Fede Cattolica. Invano aveva replicato “in preda ad un’emozione violenta e con la voce interrotta da singhiozzi”, il segretario del Sant’Uffizio, card. Ottaviani, appellandosi all’autorità del Papa [o meglio dell’usurpante marrano], che egli sapeva però bene essere un antipapa, avendo egli partecipato ai conclavi del 1958 e del 1963, innalzando “un’altissima protesta contro le parole che sono state pronunciate contro la Suprema Congregazione del Sant’Uffizio, il cui presidente è il Sommo Pontefice”. Quel presidente in cui confidava il cardinal Ottaviani, meno di due anni dopo, avrebbe solennemente dato ragione al cardinal Frings e a tutti i nemici del Sant’Uffizio (e della Chiesa), poiché tanto era solo un antipapa, un burattino nelle mani del B’nai B’rith che aveva infiltrato una robusta quinta colonna nella Chiesa di Cristo. Meraviglia il comportamento del “povero” Ottaviani, che pure aveva assistito alle fasi del Conclave del 1958, quando gli infiltrati della quinta colonna, agli ordini del massone 33° Tisserant, e dei suoi tanti “comparielli”, un Lienart, un Bea, etc. etc., aveva imposto al neo eletto Papa Gregorio XVII, di allontanarsi e serbare un rigorosissimo “segreto sul Conclave”, sotto pena di gravi minacce, imposizione poi ribadita anche agli altri cardinali in una seduta straordinaria notturna postconciliare, del tutto illegittima, dal massone Roncalli che, per rendere noto ai suoi “mentori” burattinai il successo della loro “impresa”, assumeva il nome di un antipapa dei tempi dello scisma d’Occidente: Giovanni XXIII. Da persona intelligente qual era, Ottaviani non avrebbe dovuto meravigliarsi, ma la sua coscienza di “cane muto” evidentemente si ribellò a quell’affronto, a quello schiaffo in piena faccia della Chiesa e del suo Capo, Gesù-Cristo. -È poi del tutto evidente che i malfattori di ogni risma non possono desiderare che l’abolizione della polizia, così come il nemico alle frontiere si rallegrerebbe della soppressione dell’esercito avversario. Allo stesso modo, il Pastore del gregge non ha solo il compito di condurre pecore e agnelli nei pascoli, ma anche di difenderli dal lupo rapace. Un Pastore che, per principio, ritenesse non essere suo dovere e suo compito combattere contro i lupi che non cercano che di uccidere e sbranare, e avesse come intenzione programmatica non opporsi ad essi e persino incoraggiarli, avrebbe per il fatto stesso dichiarato le sue dimissioni dal ruolo di Pastore. Questo è appunto il principio che avrebbe dovuto illuminare i sedicenti cattolici e soprattutto i sedicenti “tradizionalisti”, che avrebbero avuto la possibilità lampante di capire che dal 1958 in poi si sono succeduti visibilmente solo clown e marrani-Pulcinella (senza offesa per la maschera partenopea!), invece di giustificare le “porcate” dis-teologiche propinate adducendo la fallibilità di documenti e bolle, o indicando erroneamente ai fedeli come “Papa”, eretici manifesti e noti agenti di conventicole massoniche. Evidentemente anch’essi facevano e fanno parte dei gioco delle “tre carte” attuato dai soliti imbroglioni, da coloro cioè che “odiano Dio e gli uomini” o, per dirla con più eleganza, della Dialettica hegeliana che contempla Tesi [Chiesa Cattolica di sempre], Antitesi [anti-Chiesa conciliare] e Sintesi [Tradizionalismo di copertura dell’apostasia]. Gli altri, chi per minacce, chi per quieto vivere, hanno preferito fare i “cani muti” e tornarsene “a cuccia” a rosicchiare l’osso polposo che era stato messo loro davanti nella ciotola. Ed anche i “presunti” fedeli, se avessero messo in funzione i pochi neuroni attivi necessari, avrebbero facilmente capito: Cristo stesso ha affidato ai pastori della Chiesa le sue pecorelle, le anime redente dal suo Sangue, e l’integra dottrina da Lui rivelata, che sola può salvare: senza la Fede, difatti, è impossibile piacere a Dio. Ma la fede va difesa, come si difende l’agnello dal lupo, la pecora dal cinghiale, con ogni mezzo, anche cruento se necessario, perché in gioco c’è la salvezza eterna di anime riscattate dal sangue di Cristo sulla croce strappandole al “signore dell’universo”, il principe di questo mondo! Quindi, una volta insediatisi, i lupi travestiti, … molto male in verità, nell’ovile delle pecore, la prima cosa che hanno fatto è stata quella di eliminare i cani guardiani posti a protezione del gregge stesso [… beh diciamo pure che anche molti grassi cani in realtà hanno dormito e non hanno abbaiato al momento giusto e con il vigore necessario]. – I Papi ed i Vescovi “veri”, canonicamente eletti come successori rispettivamente di Pietro e degli Apostoli, hanno pertanto sempre tenuto fede al loro sacro dovere di combattere l’eresia e tutti gli errori contro la Fede e la morale. Illusione pericolosa è pensare che “la verità non si impone che in virtù della stessa verità, la quale si diffonde nelle menti soavemente e insieme con vigore (DH 1) e che pertanto la Chiesa non deve chiedere per sé che la libertà”. È vero, verissimo, che la Fede, in quanto dono sovrannaturale di Dio, può venire solo dalla sua grazia. Ma difendere la Fede, favorirne la propagazione, reprimere gli errori ad essa contrari, punirne l’abbandono: tutto questo è compito dell’autorità della Chiesa con l’aiuto ed il sostegno del potere temporale, al quale spetta assicurare alla società il culto pubblico del vero Dio, la confessione della vera Religione, ed il bene prezioso dell’unità religiosa. – Pensare il contrario è non solo un grave errore, ma anche un pratico misconoscimento della natura umana ferita dal peccato originale nell’intelletto, nella volontà e nelle altre facoltà inferiori, e che tende con tanta facilità al male e all’errore. La soppressione del Santo Ufficio, avrebbe dovuto mettere tutti in subbuglio, in allerta, tutti dovevano intervenire, per chiedere le ragioni di un gesto così insano ed offensivo, oltre che contrario a tutta la prassi ecclesiastica di sempre. Anche i “cani muti” avrebbero dovuto svegliarsi, ringhiare ed all’occorrenza mordere, invece di sonnecchiare ammiccanti come nella pennichella dopo un’abbuffata solenne. Ma non disperiamo, il Signore ancora ci mette alla prova. Nei momenti di maggior pericolo, quando la tempesta si manifestava così pericolosa che si poteva pensare che tutto era perduto, che la navicella di Pietro affondasse, ecco che la Chiesa, a mali così gravi oppose valido rimedio, che solo i nostri tempi, che nulla stimano Dio e la Fede, possono aborrire, e questo rimedio fu il tribunale della Santa Inquisizione. Leggiamo qualche pagina della gloriosa storia della Chiesa:

Un primo grave pericolo, si manifestò nel medioevo col diffondersi dell’eresia catara e manichea, distruttrice non solo delle fondamenta del Cristianesimo, ma anche di tutta la vita sociale. Contro questa eresia, la Provvidenza rispose non solo con la santità – si pensi a San Domenico ed a San Francesco – ma anche con la nascente Inquisizione, ovvero con l’invio di giudici delegati direttamente dal Papa per gli affari della Fede e la repressione dell’eretica pravità. E furono proprio due Papi strettamente legati a San Francesco, Innocenzo III e Gregorio IX, che provvidero a questo rimedio (in modo compiuto solo con Gregorio IX, personale amico del Santo di Assisi). Ed è agli ordini mendicanti, tanto amati dal popolo, i Domenicani soprattutto, ma anche i Francescani, che la Chiesa affidò questo compito. Il secondo pericolo, la seconda grave infezione che minacciava di corrompere tutta la Cristianità, si manifestò nella penisola iberica alla fine del XV secolo, quando riconquistata la Spagna alla fede dopo quasi otto secoli di occupazione della maggior parte del territorio, i Cristiani si trovarono a convivere con numerosi musulmani e giudei, nemici interni che spesso solo apparentemente e falsamente si facevano battezzare [i marrani di sempre!], covando nel loro cuore un insanabile odio per i dogmi della Trinità e dell’Incarnazione, per la Chiesa ed il Battesimo. Papa Sisto IV istituì allora, su domanda dei Re Cattolici, con la bolla “Exigit” quell’Inquisizione che sarà detta Spagnola (e poi estesa al Portogallo, e a tutti i domini delle due corone) e che durò fino al 1820, appoggiandosi sempre su di un vasto sostegno popolare.

Il terzo, quasi mortale pericolo, si manifestò con l’eresia luterana. Fu allora che, su domanda del cardinal Gian Pietro Carafa, futuro Papa Paolo IV, il Papa Paolo III istituì con la bolla Licet ab initio del 21 luglio 1542 la prima e più importante congregazione della curia romana: la Sacra ed Universale Inquisizione. Anche la storiografia più recente, seppure con intenti non condivisibili e con falsità storico-ambientali, ha enormemente rivalutato il ruolo di Papa Carafa, il “Papa di bronzo”, e di questa istituzione nel successo della Controriforma Cattolica e quindi nella salvezza della Chiesa (umanamente parlando) pericolante. Alla riforma dei costumi ed al conseguente rifiorire della santità era però sempre necessario affiancare – pensava Paolo IV, e dopo di lui il Santo Pio V – il Tribunale della Fede. Ad esso dobbiamo se l’Italia fu preservata dalle terribili guerre di religione che devastarono altri Paesi, conservando l’unità religiosa nella vera fede. Santità ed Inquisizione! … santità di tanti inquisitori, uomini religiosi, uomini di legge, ma anche pastori, che avevano come scopo la conversione e la salvezza dei rei, e che sapevano bene che esponevano la loro vita al coltello dell’eretico, come lo dimostrano i tanti martiri e confessori: pensiamo ad esempio alla grande santità di un San Pietro da Verona, o dello stesso Michele Ghislieri, San Pio V. – Quando gli Stati Cattolici iniziarono ad allontanarsi dalla Chiesa, minati dai Lumi dei filosofi e delle Logge foraggiate dagli storici “nemici di Dio”, i Re tolsero il loro appoggio del “braccio secolare”, e soppressero questi Santi Tribunali. Si voleva rendere onore ai valori gnostico-massonici, cioè alla Tolleranza, alla Libertà-libertinaggio, e rendersi autonomi dall’autorità “di Roma”. Pochi anni dopo, resa la Chiesa inerme ed indifesa, indifeso ed inerme fu pure lo Stato, e la Rivoluzione eresse in pianta stabile la “tolleranza” della ghigliottina. Sono gli eredi di quei Lumi (lo ammettono essi stessi) e di quelle Logge che hanno voluto distruggere l’ultima difesa della dottrina, il Sant’Uffizio, l’9 novembre 1863, ed il 7 dicembre 1965. Con il documento sfacciatamente anticattolico: “memoria e riconciliazione della Chiesa e le colpe del passato” redatta dalla commissione teologica internazionale e approvata dal prefetto della congregazione per le dottrina della Fede-(persa), J. Ratzinger, si proprio lui, il famoso patriarca degli Illuminati, i modernisti apostati hanno rinnegato il passato della Chiesa e la lotta contro l’eresia voluta dalla Chiesa, dai Sommi Pontefici, da tanti i Santi, per preservare la fede dei semplici, salvare le anime, mantenere integro il deposito della Fede. Al contrario hanno introdotto libertà di eresia, libertinaggio ed apostasia senza condanne e censure … il trionfo della sinagoga di satana!  Noi, al contrario, “pusillus grex” della “vera” Chiesa Cattolica, in unione con il Santo Padre Gregorio XVIII, successore canonicamente eletto di Gregorio XVII G. Siri, del passato della Santa Madre Chiesa, Sposa infallibile di Cristo, Corpo mistico di Cristo stesso, non ci vergogniamo, anzi lo rivendichiamo tutto, condannando come “deliramento”, secondo il linguaggio di S.S. Gregorio XVI nella celebre “Singulari nos”, e di Pio IX nella “Quanto conficiamur”, detto “presunto diritto alla libertà religiosa” ed all’indifferentismo religioso, via aperta verso all’ateismo e la dannazione eterna, ed a rendere pure l’omaggio dovuto a quei tanti Santi che tale lo considerarono e come tale lo combatterono. Exsurgat Deus … et dissiperunt inimici ejus

ORIGENE

[G. Panzini: Compendio storico dei Padri della Chiesa; tipog. Artigianelli, Napoli, 1905]

Origene. Celeberrimo Scrittore Ecclesiastico, ed uno de’più grand’ingegni, e dei più dotti uomini, che siano fioriti nella primitiva Chiesa nel III secolo, nacque in Egitto nella città d’ Alessandria, l’anno di G. C. 185. Fu in dalla tenera infanzia fu piamente educato da suo padre Leonida, che gl’ispirò sin d’allora il gusto della Sacra Scrittura, di cui facevagli recitar ogni giorno qualche parte. Questo padre veramente cristiano fatieavasi per prevenire qualunque benché minimo difetto, in cui il figlio potesse cadere; ma non poteva fare a meno d’ ammirare l’eccellenza dei suoi talenti. Spesso mentre il fanciullo dormiva,  gli scopriva il petto e riverentemente lo baciava come il tempio dello Spirito Santo. Era Origene ancor fanciullo, quando prese a desiderare così ardentemente di soffrire il martirio, che sarebbesi presentato di propria volontà, se la madre sua non lo avesse trattenuto con le lagrime e con le preghiere. Quando seppe che il padre era arrestato e posto in prigione, raddoppiò i suoi sforzi, e la madre fu costretta a nascondergli gli abiti per ritenerlo in casa. Altro non potendo egli fare, scrisse al padre una fortissima lettera affin d’incoraggiarlo al martirio: State fermo, gli diceva, e non vi affliggete per noi. Essendo stato Leonida decapitato per Gesù Cristo, vennero confiscati i suoi beni e la vedova del medesimo restò carica di sette figli in estrema povertà; tra i quali Origene, ch’era il primogenito, non aveva ancora 17 anni compiuti. Una gentildonna cristiana di Alessandria molto ricca lo ricevette nella propria casa; ma la medesima ospitava pure un eretico per nome Paolo, cui considerava molto. Origene era per conseguenza obbligato a vederlo; ma non volle mai comunicare seco lui nella preghiera. Non sappiamo se per tal motivo perdette la buona grazia della sua benefattrice; comunque sia, egli aprì in Alessandria una scuola di grammatica, che lo mise in grado di non aver bisogno del soccorso altrui – L’anno seguente, vale a dire nel 203, istruì alcuni catecumeni diressisi a lui. Il Vescovo Demetrio, conoscendo il suo raro merito, gli affidò la scuola della catechesi ad Alessandria, quantunque non avesse che 18 anni. Fu questo per Origene una distinzione molto gloriosa, avvegnaché quel posto non davasi d’ordinario se non a persone avanzate in età: di tal che egli era già un dotto formato in un’età in cui gli altri uomini sono appena capaci di studi serii. Lo fece universalmente ammirare e rispettare la superiorità del genio, andavasi a consultarlo da ogni parte, ed egli videsi in poco tempo alla testa d’un gran nunerodi discepoli. Quelli che avevano ascoltati i più abili maestri, venivano sotto di lui a perfezionarsi. Al pari degli altri andavano ad udirlo i pagani. Origene li accoglieva con bontà e colpiva tutte le occasioni, che presentavansi per far gustare loro la dottrina del cristianesimo. Egli insegnava con pari successo la teologia e tutte le altre scienze. Malgrado le fatiche della sua carica, egli era in grado di tenere occupati sette scrivani, e quello eh’è più ammirabile si è, che la fecondità del suo genio non impedivagli di mettere ogni idea al suo posto, di svilupparla come conveniva, di rendere, in una parola, tutti i suoi pensieri con una energia e facilità, che faranno l’ammirazione di tutti i secoli. I suoi studi non erano quasi mai interrotti, e l’unico sollievo che si permetteva era la varietà negli argomenti del suo lavoro. Studiava fin nei viaggi e per ogni dove era circondato da discepoli, e non v’era luogo dove non lasciasse tracce della sua immensa erudizione. Videsi uscire dalla sua scuola un gran numero di dottori e di Sacerdoti, che illuminarono la Chiesa con la loro scienza, e l’edificarono con la virtù; ed altri poi ebbero la gloria del martirio, tra questi S. Plutarco, S. Sereno e S. Eraclitide. – La funzione di Catechista obbligava Origene a conversar con le donne come cogli uomini, ed egli interpretando letteralmente quanto leggesi nei libri santi, onde mettersi al sicuro da qualsiasi tentazione, si fece eunuco. Quest’azione, il cui motivo era lodevole, derivò senza dubbio da uno zelo indiscreto; laonde Origene in appresso si condannò egli stesso. – Quando Origene cessò d’insegnare grammatica, vendette tutti i libri di letteratura profana, e si contentò di avere quattro oboli al giorno da quegli che li aveva comprati. Visse parecchi anni in tal modo. L’amore per la penitenza facevagli praticare ogni sorta d’austerità. Andava scalzo ed astenevasi dall’uso della carne. Un’estrema debolezza di stomaco fu solo capace di determinarlo a permettersi un po’di vino. Si coricava sempre sul nudo suolo, digiunava e vegliava molto. Praticava in grado eminente la povertà volontaria, e rifiutò costantemente le offerte di soccorso fattegli da varie persone. Egli visitava nelle prigioni i Confessori della Fede, li accompagnava per incoraggiarli nel loro interrogatorio, e parlava ad essi francamente quando erano condotti al supplizio. Così grande era il suo zelo, che non potevansi contare il numero delle conversioni da lui procurate. In guisa tale egli divenne il principale oggetto del furore dei Pagani, che lo cercavano da per ogni dove e l’obbligavano a cangiar soggiorno continuamente, cosicché la città d’Alessandria non sembrava essere grande abbastanza per nasconderlo: quindi spesse volte egli fu preso, strascinato per la città e messo alla tortura. Origene fece un viaggio a Roma sotto il Pontificato di S. Zefirino per soddisfare al desiderio che aveva di vedere una Chiesa così antica. Non fu quivi lungo il suo soggiorno. Ritornato in Alessandria riprese le sue catechesi. – Nel 230 partì da Alessandria per andare in soccorso delle Chiese di Acaja turbate da varii eretici. Avendo egli preso la volta di Cesarea in Palestina, Teoclisto Vescovo di detta città, l’ordinò Sacerdote con l’approvazione di S. Alessandro di Gerusalemme e di varii altri prelati della provincia. – Siffatta Ordinazione occasionò grandi torbidi. Demetrio depose Origene in due concilii e lo scomunicò. Allegò per ragioni della sua condotta:

1.°che Origene erasi fatto eunuco (cosa che la Chiesa nel tratto successivo, mise effettivamente nel numero delle irregolarità).

2° — ch’era stato ordinato senza il consenso del proprio Vescovo.

3° — che aveva insegnato molti errori; tra gli altri che il demonio sarebbe stato in fine salvato e liberato dalle pene dell’Inferno. Origene, per cedere all’uragano, che piombava su di lui, prese la fuga nel 231 e ritirossi in Cesarea di Palestina, d’onde scrisse ai suoi amici d’Alessandria per giustificarsi degli errori di cui veniva accusato. Spiegavasi in modo ortodosso intorno alle pene dei demoni, e dichiarava non doversi renderlo responsabile d’aver gli eretici corrotto i suoi scritti. Di fatti pare ch’egli non abbia negata recisamente l’eternità delle pene dei demonii, ed abbia asserito che i demonii si salverebbero se si pentissero. L’assicura egli stesso nelle sue Opere citate da S. Pamfilo e da S. Girolamo. – Facendo plauso al motivo che indusse Haloix, Tillemont, e Ceillier a prenderne le difese, noi crediamo, senza volere oscurare la reputazione di questo grand’ uomo, essere difficile cosa giustificarlo in tutto. Rilevasi infatti dai libri dei principii ch’egli cadde per qualche tempo in errori e perfino in istravaganze, tra gli altri alla preesistenza delle anime in una regione superiore, di là, secondo lui, venivano in questo mondo a dar vita ai corpi [platonismo e neo-platonismo alessandrino –ndr.-]. – Gli origenisti, il cui principale errore consisteva nel negare l’eternità delle pene, poggiavansi fortemente sull’ autorità di Origene. Per tale ragioni alcuni antichi scrissero con tanta amarezza contro questo grand’uomo. Il loro scopo era di scemarne l’autorità, affinché coloro i quali dicevansi suoi discepoli, non se ne prevalessero. Per mettere fine a tutte le contestazioni, che turbavano la Chiesa, il quinto Concilio generale condannò le Opere di Origene. Del resto, questo Padre morì nella comunione della Chiesa, e non sostenne mai i propri errori con quella ostinazione che forma gli eretici; errò Origene, ma siccome niuna definizione della Chiesa aveva condannato i suoi errori, non possiamo asserire esser morto fuori il grembo di lei. – Origene ritirossi in Cappadocia durante la persecuzione di Massimino, e a Tiro durante quella di Decio. Fu arrestato in questa seconda città, vi stette lungo tempo in prigione carico di catene, avendo al collo un collare di ferro e le pastoie ai piedi, soffrì diverse torture e fu spesso minacciato del fuoco; non si fece però morire, colla speranza di abbattere colla sua caduta un maggior numero di Cristiani. Egli stette sempre costante, e in questo frattempo scrisse alcune lettere per incoraggiare gli altri fedeli. Origene non sopravvisse lungamente dopo i tormenti sofferti pel nome di Gesù Cristo e morì in Tiro, l’anno 253, in età di 69 anni. Fu sepolto nella Cattedrale presso l’Altare Maggiore, e si pose il suo epitaffio sopra un pilastro di marmo, che durò lunghissimo tempo.

OPERE

1°- Le Esapli : Egli lavorò molto per dare un’edizione della Scrittura che fece in sei colonne e per tal motivo le intitolò Esapli:

– La l.a contiene il testo Ebraico della Scrittura scritta in caratteri ebraici: la 2.a lo stesso testo ebraico scritto in carattere greco, a beneficio di quelli che intendevano 1’ebraico senza saperlo leggere : la 3.a conteneva la versione di Aquila: la 4.a colonna quella di Simmaco: la 5.a quella de’ Settanta— e la 6.a quella di Teodozione. – Questa raccolta fu anche denominata Ottapli, che erano state poco prima trovate, senza saperne gli Autori, e che formavano otto colonne nel libro dei Salmi, in quello di Abacue, e forse anche d’alcuni altri Profeti. La quinta versione era stata rinvenuta a Gerico, e la sesta a Nicopoli, nell’Epiro. Le Tetrapli non contengono che le versioni di Aquila, di Simmaco, dei Settanta e di Teodozione, poste l’una di fronte all’altra. Non ci restano più oggidì che dei frammenti dell’Esapli di Origene. Il Di Monfaucon raccolse tutto ciò che poté trovarne e lo fece stampare a Parigi nel 1713 in due volumi in foglio. L’Opera originale di Origene, da lui stesso deposta, insieme agli altri suoi scritti nella Biblioteca di Cesarea, esistette lungo tempo. Credesi fosse perita, quando Cesarea fu distrutta dai Saraceni nel 653, dopo un assedio di sette anni. Vedi il Lexicon di Koffman.

2°- Dei commentarii sulla Scrittura: Huet pubblicò con dissertazioni quelli di cui si ha ancora il testo greco. Carlo di la Rue ridette gli stessi commentarii con addizioni, e quelli di cui non abbiamo più d’una sola traduzione latina.

3.° Il Periarcon (scritto prima del 231), ovvero i quattro libri dei principii, così intitolati, perché intendeva stabilire in essi quei principii, a cui è d’uopo appigliarsi in materia di Religione. È questo il più famoso scritto di Origene contro gli eretici, e quello in cui segue maggiormente il raziocinio umano e la Filosofìa di Platone. Lo scopo inoltre di Origene in questi libri era quello di rovesciare dai fondamenti le Eresie di Valentino, di Marcione, e degli altri seduttori, i quali per ritrovare la causa del male, avevano inventato due principii e volevano che ci fossero degli Spiriti e degli Uomini di due diverse nature, gli uni essenzialmente buoni e gli altri essenzialmente cattivi. Origene, al contrario, stabilisce non esservi che Dio; il quale è di natura buono, ed immutabile; che ogni creatura è capace del bene e del male, e che la cagione del male è l’imperfezione della creatura, la quale fa male uso della propria libertà. – Non ci resta più che una traduzione latina di quest’opera. Rufino, che ne è l’autore, dice d’aver corretti gli errori insinuativi dagli eretici. Questo non impedisce che vi si trovino ancora opinioni pericolose intorno alla preesistenza delle anime, sulla pluralità dei mondi, sulla natura degli astri, sull’eternità delle pene, sulla salvazione degli Angeli ribelli ecc. Si volle rimproverare ad Origene d’aver voluto accoppiare i principii della religione con quelli di varie sette filosofiche; egli è vero pertanto che non assume il tono affermativo, ed abbandona le proprie opinioni al giudizio dei lettori. Dice inoltre nel prologo, non doversi ammettere come articolo di fede se non ciò che accordasi con la tradizione della Chiesa e la dottrina predicata dagli Apostoli.

Un trattato sulla preghiera, scritto fra il 231 e 240. Origene dopo avere in esso  stabilita la necessità della preghiera e designate le disposizioni cui deve farsi questo santo esercizio, passa alla spiegazione della orazione domenicale.

Il libro del Martirio, scritto verso 1′ anno 235: È una esortazione delle più commoventi diretta ai cristiani detenuti in prigione pel nome di Gesù-Cristo.

Gli otto libri contro Celso, scritti verso l’anno 249. È questa la più completa e preziosa di tutte le Opere di Origene. Celso, cui Origene cominciò a confutare, era un filosofo Epicureo, vivente sotto il regno dell’Imperatore Adriano, e che non devesi confondere con un altro Celso, anche filosofo, vivente ai tempi di Nerone. La religione cristiana non aveva avuto ancora un avversario così formidabile, né chi l’attaccasse con tanta sottigliezza. Non sono da paragonarsi a Celso quelli, che dopo di lui scrissero contro il Cristianesimo. Di questa opera, ecco come ne parla un insigne Teologo: I soli otto libri di Origene contro Celso Filosofo Epicureo, lavoro a nostro credere, il più eccellente, che tramandato ci abbia in tal genere l’antichità, ci fan vedere dispersi, ed annientati d’una maniera trionfante i folli divisamenti, che quali novelle scoperte ha vomitato in questi ultimi tempi la miscredenza, e i fondamenti della Religione Cristiana per ogni lato invittamente assodati. Sicché questa sol’opera bastar potrebbe ad abbrobrio e confusione eterna dei miscredenti (Valsecchi: Verità della Chiesa Cattolica). – L’edizione delle Opere di Origene, fatta dai Benedettini è la più completa che abbiamo; essa fu incominciata da Carlo di la Rue, il quale pubblicò i due primi volumi. Il terzo, che egli aveva preparato, venne alla luce nel 1744, mercé le cure di Carlo Vincenzo di la Rue suo nipote. Quest’ ultimo dette nel 1759 un quarto volume con note giudiziosissime su diversi punti dell’Origeniana di Huet.

 

IL PAPA

Il Papa

[Giacomo Bertetti: “Il Sacerdote Predicatore”- S.E.I. ED. Torino, 1919)

.1. Chi è il Papa. — 2. Il nostro dovere.

1.- CHI È IL PAPA. — Il Papa non è un angelo:… è un uomo composto come noi d’anima e di corpo;… nato come noi col peccato originale,… sottoposto come noi alle conseguenze del peccato originale,… può come noi peccare, e peccare anche gravemente;… è Pietro … Ma quel Dio che elegge le cose stolte del mondo per confondere i sapienti, e le cose deboli del mondo per confondere le forti, e le ignobili cose del mondo e le spregevoli e quelle che non sono per distruggere quelle che sono, affinché nessuna carne si dia vanto innanzi a lui » (la Cor., 1, 27 – 29) , ha fatto di Pietro la pietra fondamentale della Chiesa; .., «.Tu sei Pietro, e sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte dell’inferno non prevarranno contro di lei; e a te darò le chiavi del regno dei cieli; e qualunque cosa avrai legato sopra la terra sarà legata anche nei cieli, e qualunque cosa avrai sciolto sopra la terra, sarà sciolta anche nei cieli » (MATTH. , 16, 18, 19) Una casa non può sussistere senza fondamenta:… e così per volontà di Dio non potrebbe sussistere la Chiesa senza il Papa, che n’è la pietra fondamentale… Tutt’i fedeli sono parti di quella Chiesa ch’è fondata su Pietro, finché rimangono uniti col Papa; … ove se ne scostassero, cesserebbero di far parte della Chiesa… Lontani dal Papa, s’è lontani dai Sacramenti, lontani dalla grazia santificante, lontani dalla verità, lontani dalla salvezza eterna… A Pietro soltanto Gesù diede il potere supremo di pascere gli agnelli e le pecorelle del mistico ovile (JOAN. , XII, 15-17,);… e chiunque ci si presentasse a parlarci di Dio e delle cose celesti, senza essere mandato dal Papa, lo dovremmo riguardare come un ladro e come un assassino dell’anima; … « In verità, in verità vi dico: chi non entra nell’ovile per la porta, ma vi sale per altra parte, è ladro e assassino » ( JOAN., X, 1). Nel mistero dell’Incarnazione la natura divina e la natura umana furono riunite in una sola persona;… nell’opera della santificazione la persona umana e le persone divine si uniscono in una sola natura, poiché Dio per mezzo di Gesù Cristo « fece a noi dono di grandissime e preziose promesse, affinchè per queste diventaste partecipi nella divina natura » (2a PETR., 1, 4 ) … E questa partecipazione della divina natura proviene in noi dalla spirituale unione con Cristo (la Cor., VI, 15; Ephes., III, 17; V, 30);… dall’adozione in figli di Dio (JOAN., 1, 12; 1a JOAN., IV, 7); … dall’abitazione dello Spirito Santo in noi (la Cor., III, 16, 17);… dall’imitazione della bontà e della santità di Dio (Ephes., V, 8)… — Ma al Papa, e al Papa soltanto, è stata concessa una partecipazione tutta speciale della divina natura, a beneficio di tutt’i fedeli;… la partecipazione dell’eterna verità, per cui, quando in materia di fede e di costumi ammaestra tutta la Chiesa, qual supremo suo pastore e dottore, dandone un giudizio definitivo, gode di quella medesima infallibilità, di cui Cristo volle adorna la Chiesa… Pietra fondamentale della Chiesa, principio d’unità e di fermezza del mistico edificio e pastore supremo dell’ovile di Cristo, deve sostenere quel regno ch’è anzitutto regno di verità e congregazione di credenti; deve somministrare il pascolo d’eterna salute al gregge; deve con sicura mano esercitare il potere delle somme chiavi, mettendo la terra in diretta comunicazione col cielo… Dell’infallibile magistero di Pietro abbiamo l’esplicita, formale e assoluta promessa di Gesù Cristo: « Simone, Simone, ecco che satana va in cerca di voi per vagliarvi, come si fa del grano; ma io ho pregato per te, affinché la tua fede non venga meno: e tu una volta ravveduto conferma i tuoi fratelli» (Luc., XXII, 31, 32).

2.- IL NOSTRO DOVERE. -— Se il Papa è la pietra fondamentale della Chiesa, se è il Pastore dei Pastori, se è il Vicario di Gesù Cristo, se è il Maestro infallibile, se fuori di lui non si può aver salute, dobbiamo starcene con lui strettamente uniti, per la vita e per la morte… Dobbiamo dirgli con le opere ciò che Pietro disse a Gesù, quando Gesù disse ai dodici apostoli: « Volete forse andarvene anche voi? » — « Signore, a chi andremo noi? tu hai parole di vita eterna» (JOAN. ,VII, 68, 69)… Consideriamo qual sarebbe la nostra angustia, se il Signore ci avesse lasciati in questo mondo pieno d’errori e d’iniquità senza un Capo visibile della Chiesa, il quale fa conservare intemerato il deposito della fede?… come faremmo ad accertarci d’essere sulla via della salute? … come faremmo ad accertarci se siano veramente pastori quei che ci predicano Dio e la sua legge, e se per essi debbonsi veramente applicare quelle parole: « Chi ascolta voi ascolta me; e chi disprezza voi disprezza me; e chi disprezza me, disprezza chi m’ha mandato »? (Luc,, X, 16) –

Dobbiamo al Papa il più grande rispetto, come la più grande autorità dopo Dio … Se i semplici sacerdoti « debbono essere per noi a ragione non solo più formidabili dei potenti e dei sovrani, ma ancora più venerandi dei nostri padri, perché questi ci hanno generato dal sangue e dalla volontà della carne, mentre quelli sono per noi autori del nascimento da Dio, della beata rigenerazione, della vera libertà e dell’adozione secondo la grazia» (S. Giov. CRIS., De sacerd., 3), che sarà del Sommo Pontefice, da cui unicamente deriva la potestà dell’ordine e della giurisdizione sovra gli altri sacerdoti?… — Rispettiamo il Santo Padre, … il Padre della nostra vita spirituale … Non tocca ai figli il giudicare i difetti e le mancanze del padre, anche quando paressero evidenti e inescusabili … tocca ai figli stendere sul padre quel velo di carità che pur siamo obbligati a stendere su qualsiasi nostro fratello:… facendo altrimenti saremmo maledetti da Dio (Gen.., IX, 25)… Che dire poi di coloro che prestano cieca fede alle maligne dicerie sparse intorno ai Papi da uomini senza timor di Dio, da uomini venduti ai nemici della Chiesa?… Che dire di coloro che sono soliti a leggere senza alcun rimorso di coscienza libri e giornali spiranti odio e disprezzo contro il Papa?

Dobbiamo obbedire al Papa... È la più grande autorità di questa terra;., gli stessi sovrani sono soggetti alla sua spirituale giurisdizione;… e chiunque non obbedisce al Papa, non obbedisce a Gesù Cristo, non obbedisce a Dio … Se l’Apostolo, parlandoci dell’ubbidienza che dobbiamo prestare alle autorità secolari, ebbe a scrivere: « Ogni anima sia soggetta alle podestà superiori; poiché non c’è podestà se non da Dio, e quelle che ci sono, son da Dio ordinate: e perciò chi s’oppone alla podestà, resiste all’ordinazione di Dio; e quei che resistono, si comprano la dannazione » (Rom., XIII, 1, 2), quanto maggior obbedienza non dobbiamo noi prestare al Vicario di Gesù Cristo! … — Ubbidiamo al Papa, non solo nelle cose di fede, ma anche nelle cose di semplice disciplina;… chi non gli ubbidisce nelle cose di fede è un eretico, uno scomunicato;… ma chi non gli ubbidisce nelle cose disciplinari, è pur sempre un ribelle, un figlio indocile e cattivo; … e all’inferno si può andare non solo per i peccati commessi contro la fede, ma anche per i peccati commessi contro qualsiasi altra virtù… —- Ubbidiamo al Papa, accettando con filiale sottomissione gli ordini ch’ei ci comunica mediante i Vescovi, i parroci, i sacerdoti;… pretendere che il Papa parli singolarmente a ciascuno di noi sarebbe stoltezza, e superbia inaudita l’interpretare la volontà del Papa dalle ciance degl’increduli e dei cattivi  cristiani, piuttosto che dalla voce dei legittimi pastori… — Ubbidiamo al Papa non solo con l’ubbidienza dell’opera, facendo ciò che ci viene comandato;… non solo con l’ubbidienza della volontà, conformandola a quella del Papa; … ma anche con l’ubbidienza dell’intelletto, conformando il nostro giudizio con quello del Papa, in modo da ritenere come cosa migliore di qualsiasi altra ciò che il Papa ci comanda… Basta un po’ d’umiltà e un po’ di fede per raggiungere quest’ubbidienza intera e perfetta, … considerando che il Papa si trova in un luogo molto più elevato di quello in cui ci troviamo noi, per giudicare quello che meglio si convenga alla gloria di Dio e alla salute delle anime.

Dobbiamo amare il PapaAnzitutto con la nostra perfetta ubbidienza: … un padre sa d’essere amato sinceramente dai figli, quando li vede docili ai suoi voleri; … allora spariscono per lui le difficoltà e le amarezze, e nell’obbedienza dei figli trova il più caro compenso e la più forte spinta nel continuare a sacrificarsi per loro:… « Siate ubbidienti ai vostri superiori e siate loro soggetti (poiché essi vigilano, come dovendo rendere conto delle anime vostre), affinché ciò facciano con gaudio e non sospirando » (Hebr., XIII, 17)… Quanto deve il Papa sospirare non solo per la guerra mossagli dai nemici, ma ancora per la pervicacia di molti figli, i quali fìngono di non udire e di non comprendere ciò ch’egli prescrive per il loro vantaggio!… —- Amiamo il Papa, pregando per lui e secondo le sue sante intenzioni; … soccorrendo la sua augusta povertà;… favorendo le opere buone da lui raccomandate;… difendendolo contro le ingiurie e le calunnie dei tristi … — Amiamo il Papa, prendendo viva parte alle sue gioie e a’ suoi dolori;… le gioie e i dolori del Papa son gioie e dolori di tutta la Chiesa;… chi ne rimanesse insensibile, chi ne facesse conto come di cosa estranea, chi non considerasse come suoi gl’interessi del Papa, denoterebbe d’essere indegno del nome cristiano, della grazia di Dio e della gloria eterna… «Se un membro soffre, soffrono insieme tutt’i membri; e se un membro gode, godono insieme tutti gli altri: ora voi siete corpo di Cristo e membri uniti a membro » (la Cor., XII, 26, 27); … un membro che non gode o non Soffre quando gode o soffre il capo, non è più un membro vivo, ma è un membro morto …

[Oggi ancor di più, abbiamo il dovere di amare il Santo Padre, ben visibile ma esiliato ed impedito nel suo legittimo ufficio pastorale e magisteriale, perseguitato insieme alla gerarchia apostolica della Chiesa “eclissata”, anch’essa in esilio e sparsa sui 5 continenti, irriso da apostati, eretici, scismatici di ogni risma aderenti a ridicole ed illegittime chiesuole e ad immaginari monasteri, da atei e settari di ogni razza ed obbedienza, da idolatri ed adoratori del baphomet-lucifero. Terribile deve essere il suo Getsemani, abbandonato e sofferente in ogni attimo della sua vita, in costante pericolo ma fiducioso sempre perché assistito dalla grazia divina che giammai permetterà che le porte dell’inferno prevalgano sulla Chiesa di Cristo e sulla sua “Pietra”, pietra sulla quale è fondato l’intero edificio divino voluto dal Padre ed eretto dal Figlio Gesù-Cristo sul Golgota. A noi “pusillus grex” il compito arduo ma ineludibile di pregare e sostenere, come ognuno può, secondo i propri mezzi e possibilità, il Vicario di Cristo in questo momento cruciale per la storia della Chiesa e dell’umanità intera – ndr.-].

  Successori di San Pietro:

San Pietro m. 67
San Lino 67-76
San Anacleto I 76-88
San Clemente I 88-97
San Evaristo 97-105
San Alessandro I 105-115
San Sisto I 115-125
San Telesforo 125-136
San Igino 136-140
San Pio I 140-155
San Aniceto 155-166
San Sotero 166-175
San Eleuterio 175-189
San Vittore I 189-199
San Zefirino 199-217
San Callisto I 217-222
San Urbano I 222-230
San Ponziano 230-235
San Antero 235-236
San Fabiano 236-250
San Cornelio 251-253
San Lucio I 253-254
San Stefano I 254-257
San Sisto II 257-258
San Dionisio 260-268
San Felice I 269-274
San Eutichiano 275-283
San Caio 283-296
San Marcellino 296-304
San Marcello I 308-309
San Eusebio 309(310)
San Milziade 311-314
San Silvestro I 314-335
San Marco 336
San Giulio I 337-352
Liberio 352-366
San Damaso I 366-383
San Siricio384-399
San Anastasio I 399-401
San Innocenzo I 401-417
San Zosimo 417-418
San Bonifacio I 418-422

San Celestino I 422-432
San Sisto III 432-440
San Leone Magno  440-461
San Ilario 461-468
San Simplicio 468-483
San Felice III 483-492
San Gelasio I 492-496
Anastasio II 496-498
San Simmaco 498-514
San Ormisda 514-523
San Giovanni I 523-526
San Felice IV 526-530
Bonifacio II 530-532
Giovanni II 533-535
San Agapito I 535-536
San Silverio 536-537
Vigilio 537-555
Pelagio I 556-561
Giovanni III 561-574
Benedetto I 575-579
Pelagio II 579-590
San Gregorio Magno 590-604
Sabiniano 604-606
Bonifacio III 607
San Bonifacio IV 608-615
San Deusdedit(Adeodato I) 615-618
Bonifacio V 619-625
Onorio I 625-638
Severino 640
Giovanni IV 640-642
Teodoro I 642-649
San Martino I 649-655
San Eugenio I 655-657
San Vitaliano 657-672
Adeodato (II) 672-676
Dono 676-678
San Agato 678-681
San Leone II 682-683
San Benedetto II 684-685
Giovanni V 685-686
Conone 686-687
San Sergio I 687-701
Giovanni VI 701-705
Giovanni VII 705-707
Sisinnio 708

Constantino 708-715
San Gregorio II 715-731
San Gregorio III 731-741
San Zaccaria 741-752
Stefano II 752
Stefano III 752-757
San Paolo I 757-767
Stefano IV 767-772
Adriano I 772-795
San Leone III 795-816
Stefano V 816-817
San Pasquale I 817-824
Eugenio II 824-827
Valentino 827
Gregorio IV 827-844
Sergio II 844-847
San Leone IV 847-855
Benedetto III 855-858
San Niccolò Magno 858-867
Adriano II 867-872
Giovanni VIII 872-882
Marino I 882-884
San Adriano III 884-885
Stefano VI 885-891
Formoso 891-896
Bonifacio VI 896
Stefano VII 896-897
Romano 897
Teodoro II 897
Giovanni IX 898-900
Benedetto IV 900-903
Leone V 903
Sergio III 904-911
Anastasio III 911-913
Lando 913-914
Giovanni X 914-928
Leone VI 928
Stefano VIII 929-931
Giovanni XI 931-935
Leone VII 936-939
Stefano IX 939-942
Marino II 942-946
Agapito II 946-955
Giovanni XII 955-963
Leone VIII 963-964
Benedetto V 964
Giovanni XIII 965-972
BenedettoVI 973-974
Benedetto VII 974-983
Giovanni XIV 983-984
Giovanni XV 985-996
Gregorio V 996-999
Silvestro II 999-1003
Giovanni XVII 1003
Giovanni XVIII 1003-1009
Sergio IV 1009-1012
Benedetto VIII 1012-1024
Giovanni XIX 1024-1032
Benedetto IX 1032-1045
Silvestro III 1045
Benedetto IX 1045
Gregorio VI 1045-1046
Clemente II 1046-1047
Benedetto IX 1047-1048
Damaso II 1048
San Leone IX 1049-1054
Vittorio II 1055-1057
Stefano X 1057-1058
Niccolò II 1058-1061
Alessandro II 1061-1073
San Gregorio VII 1073-1085
Beato Vittore III 1086-1087
Beato Urbano II 1088-1099
Pasquale II 1099-1118
Gelasio II 1118-1119
Callisto II 1119-1124
Onorio II 1124-1130
Innocenzo II 1130-1143
Celestino II 1143-1144
Lucio II 1144-1145
Beato Eugenio III 1145-1153
Anastasio IV 1153-1154
Adriano IV 1154-1159
Alessandro III 1159-1181
Lucio III 1181-1185
Urbano III 1185-1187
Gregorio VIII 1187

Clemente III 1187-1191
Celestino III 1191-1198
Innocenzo III 1198-1216
Onorio III 1216-1227
Gregorio IX 1227-1241
Celestino IV 1241
Innocenzo IV 1243-1254
Alessandro IV 1254-1261
Urbano IV 1261-1264
Clemente IV 1265-1268
Beato Gregorio X 1271-1276
Beato Innocenzo V 1276
Adriano V 1276
Giovanni XXI 1276-1277
Niccolò III 1277-1280
Martino IV 1281-1285
Onorio IV 1285-1287
Niccolò IV 1288-1292
San Celestino V 1294
Bonifacio VIII 1294-1303
Beato Benedetto XI 1303-1304
Clemente V 1305-1314
Giovanni XXII 1316-1334
Benedetto XII 1334-1342
Clemente VI 1342-1352
Innocenzo VI 1352-1362
Beato Urbano V 1362-1370
Gregorio XI 1370-1378
Urbano VI 1378-1389
Bonifacio IX 1389-1404
Innocenzo VII 1406-1406
Gregorio XII 1406-1415
Martino V 1417-1431
Eugenio IV 1431-1447
Niccolò V 1447-1455
Callisto III 1445-1458
Pio II 1458-1464
Paolo II 1464-1471
Sisto IV 1471-1484
Innocenzo VIII 1484-1492
Alessandro VI 1492-1503
Pio III 1503

Giulio II 1503-1513
Leone X 1513-1521
Adriano VI 1522-1523
Clemente VII 1523-1534
Paolo III 1534-1549
Giulio III 1550-1555
Marcello II 1555
Paolo IV 1555-1559
Pio IV 1559-1565
San Pio V 1566-1572
Gregorio XIII 1572-1585
Sisto V 1585-1590
Urbano VII 1590
Gregorio XIV 1590-1591
Innocenzo IX 1591
Clemente VIII 1592-1605
Leone XI 1605
Paolo V 1605-1621
Gregorio XV 1621-1623
Urbano VIII 1623-1644
Innocenzo X 1644-1655
Alessandro VII 1655-1667
Clemente IX 1667-1669
Clemente X 1670-1676
Beato  Innocenzo XI 1676-1689
Alessandro VIII 1689-1691
Innocenzo XII 1691-1700
Clemente XI 1700-1721
Innocenzo XIII 1721-1724
Benedetto XIII 1724-1730
Clemente XII 1730-1740
Benedetto XIV 1740-1758
Clemente XIII 1758-1769
Clemente XIV 1769-1774
Pio VI 1775-1799
Pio VII 1800-1823
Leone XII 1823-1829
Pio VIII 1829-1830
Gregorio XVI 1831-1846
Venerabile Pio IX 1846-1878
Leone XIII 1878-1903
San Pio X 1903-1914
Benedetto XV 1914-1922
Pio XI 1922-1939
Pio XII 1939-1958
Gregorio XVII 1958-1989
Gregorio XVIII 1991-Vivente

(Nota sul Papato in Esilio):

Il Cardinal Camerlengo di Gregorio XVII annunciò il Conclave il 3 giugno 1990: legalmente convocato questo si svolse a Roma il 2 Maggio del 1991 – Gregorio XVIII fu eletto il 3 Maggio del 1991.

Preghiere per il Santo Padre

-652-

Oremus prò Pontifice nostro (Gregorio).

R.. Dominus conservet eum, et vivificet eum, et beatum faciat eum in terra, et non tradat eum in animam inimicorum eius  [Ps. XL] (ex Brev. Rom.).

Pater, Ave.

Indulgentia trium annorum [tre anni]. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, precibus quotidie per integrum mensem devote recitatis  (S. C. Indulg., 26 nov. 1876; S. Pæn. Ap., 12 oct. 1931).

-653-

Oratio

O Signore, noi siamo milioni di credenti, che ci prostriamo ai tuoi piedi e ti preghiamo che Tu salvi, protegga e conservi lungamente il Sommo Pontefice, padre della grande società delle anime e pure padre nostro. In questo giorno, come in tutti gli altri, anche per noi egli prega, offrendo a te con fervore santo l’Ostia d’amore e di pace. Ebbene, volgiti, o Signore, con occhio pietoso anche a noi, che quasi dimentichi di noi stessi preghiamo ora soprattutto per lui. Unisci le nostre orazioni con le sue e ricevile nel seno della tua infinita misericordia, come profumo soavissimo della carità viva ed efficace, onde i figliuoli sono nella Chiesa uniti al padre. Tutto ciò ch’egli ti chiede oggi, anche noi te lo chiediamo con lui. – Se egli piange o si rallegra o spera o si offre vittima di carità per il suo popolo, noi vogliamo essere con lui; desideriamo anzi che la voce delle anime nostre si confonda con la sua. Deh! per pietà fa’ Tu, o Signore, che neppure uno solo di noi sia lontano dalla sua mente e dal suo cuore nell’ora in cui egli prega e offre a te il Sacrificio del tuo benedetto Figliuolo. E nel momento in cui il nostro veneratissimo Pontefice, tenendo tra le sue mani il Corpo stesso di Gesù Cristo, dirà al popolo sul Calice di benedizioni queste parole: « La pace del Signore sia sempre con voi», Tu fa’, o Signore, che la pace tua dolcissima discenda con una efficacia nuova e visibile nel cuore nostro ed in tutte le nazioni. Amen.

Indulgentia quingentorum (500 giorni) dierum semel in die (Leo XIII, Audientia 8 maii 1896; S. Pæn. Ap., 18 ian. 1934).

654

Oratio

Deus omnium fidelium pastor et rector, famulum tuum (Gregorium)., quem pastorem Ecclesiæ tuæ praeesse voluisti, propitius respice; da ei, quæsumus, verbo et exemplo, quibus præest, proficere; ut ad vitam, una cum grege sibi credito, perveniat sempiternam. Per Christum Dominum nostrum. Amen (ex Mìssali Rom.):

Indulgentia trìum annorum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodo devota orationis recitatio, quotidie peracta, in integrum mensem producta fuerit (S. Pæn. Ap., 22 nov. 1934).

655

Oratio

Omnipotens sempiterne Deus, miserere famulo tuo Pontifici nostro (Gregorio)., et dirige eum secundum tuam clementiam in viam salutis æternæ: ut, te donante, tibi placita cupiat et tota virtute perficiat. Per Christum Dominum nostrum. Amen. (ex Rit. Rom.).

Indulgentia trium annorum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, si quotidie per integrum mensem oratio pia mente recitata fuerit (S. Pæn. Ap., 10 mart. 1935).

 

Abbigliamento del Cristiano: Beata Umbelina

ABBIGLIATURA

[G. Bertetti: Il Sacerdote predicatore. S.E.I. Torino, 1921]

1. – Decadenza e abbrutimenti. — 2. Il lusso.- 3. La nudità. — 4. La moda dei Cristiani.

1.- DECADENZA E ABBRUTIMENTO. Da quando il Signore rivestì egli stesso con tuniche di pelli Adamo ed Eva dopo il peccato, venne agli uomini l’obbligo di coprirsi….. Le vestimenta devono esser per noi un continuo ricordo della caduta, della corruzione, della morte…. Semplice e modesto fu il vestire di Gesù, della Madonna, dei Santi….. sfarzoso e procace è il vestire ch’è oggi di moda Segno della decadenza d’un popolo è il lusso.., segno di abbrutimento la nudità..: questi due disordini si sono riuniti nelle mode odierne….. Anche nel tempio santo di Dio penetra talvolta questo abominio…..

2. IL LUSSO. — «Non ti gloriar mai nel tuo vestito » (Eccli. XI 4); « … quanto più splendida appare la donna agli occhi degli uomini, tanto più è dispregiata da Dio » (S. AMBROGIO); … « il lusso del vestire. indica la nudità dell’anima » (S .Giov. CRISOSTOMO)… « perché adornare il corpo e non adornar d’opere buone quell’anima che dagli uomini dovrà esser presentata a Dio in cielo? Perché disprezzar l’anima ed anteporre il corpo? enorme abuso è questo: che comandi chi dovrebbe servire e che serva chi dovrebbe comandare » (S. BERNARDO)… — E questi abbigliamenti sfarzosi «spesso son frutto d’infamia, e di delitto. Le superbe matrone romane si vantavano di portar indosso il patrimonio d’intere province depredate dai loro mariti…. di dove proviene il lusso sproporzionato addirittura alle modeste rendite familiari di certa gente?… E quelle madri che non hanno denari per procurare una cameretta e un letto ai bambini, ma sanno trovar il modo di mandar vestite le ragazze come altrettante reginette?

3. L A NUDITÀ. -Il santo Vescovo Nonno, nell’apprendere il vestire scandaloso di certa Pelagia, proruppe in pianto; domandatone del perché, rispose: « due pensieri m’affliggono; l’uno è la perdita di questa donna e di tante anime da lei sedotte; l’altro si è che io non cerco di piacer tanto a Dio, quanto costei di piacere agli uomini. » Le lacrime del santo Vescovo salvarono Pelagia, che si convertì e divennè santa anche lei. – Potessero le lacrime della Chiesa far rinsavire certe Palagie dei nostri giorni!… – Nè serve il dire che la moda vuol così… Prima della moda c’è il Vangelo…; anche per gli uomini c’è la moda di bestemmiare, di profanar le feste, di non far più pasqua; menate loro buona la scusa della moda? — E neppure si dica che se l’esterno è sfrontato, il cuore è puro…. Credo allo Spirito Santo che dice: « Il vestito, il riso, il portamento ci fanno conoscere chi uno sia» (Eccli. XIX, 27); non credo alle spampanate di certi poeti pagani, i quali si vantavano d’essere immacolati nella condotta e luridi nei versi; non c’è fumo senza fuoco! Ma poniamo pure che, nonostante l’abbigliatura immodesta, siate angeli di costumi … ed il male che fate commettere agli altri?.… e i pensieri, ed i desideri cattivi che suscitate? Il vizio trionfa di più per la l’ingenua galanteria delle donne oneste, che per la sfacciata provocazione delle donne perdute … si badi però che l’onestà voluta da Dio nella donna è qualcosa di molto superiore all’onestà secondo il moderno concetto pagano …

4. LA MODA DEI CRISTIANI. — Con ciò non si vuol dire che i semplici fedeli debbano vestire come i monaci… molto meno che debbano imitare le fogge da strapazzo di certi Santi, che ciò facevano per umiltà e mortificazione… chi vive in società ha il dovere di rendersi amabile e non ributtante … ci furono delle regine e delle principesse che vestirono riccamente e furano sante… le splendide vesti nascondevano però il cilicio … —Vestendo ognuno decorosamente secondo la sua condizione non si tralasci di portar indosso qualche segno di penitenza e di devozione: l’abitino del Carmine… quello del terz’ordine di S. Francesco… la medaglia della Madonna… il Crocifisso……

Leggiamo a proposito la storia della beata Umbelina, sorella di S. Bernardo [da Massini: Vita dei Santi; vol. VIII – Venezia, MDCCLXXVIII]

Beata UMBELINA.

Secolo XII.

Nella vita di S. Bernardo, e negli Annali Cisterciensi sono riportate le virtuose azioni di questa B. Sorella del Santo Abate.

1.- Umbelina sorella di S. Beranardo nacque circa l’anno 1092, e la B. Aletta sua madre, dopo averla offerta a Dio, subito nata, secondo il lodevole costume da lei tenuti in tutti i suoi parti, la nutrì col proprio latte e curò che fosse educata in una maniera, conveniente bensì alla sua nobile condizione, ma cristiana. Le ricordava frequentemente quella verità che stentano tanto a comprendere i Grandi del secolo, cioè: che è molto meglio l’esser povero ma caro a Dio, che l’esser ricco ma senza virtù; attesochè il principale fondamento della vera nobiltà e delle sole ricchezze consiste nell’amore di Dio e nell’esatta osservanza della sua santa Legge. Umbelina vide tutte quelle massime praticate dalla sua piissima madre, e si può credere che le avrebbe seguite ella se avesse avuto il vantaggio di esser istruita più lungo tempo da una sì saggia conduttrice. Ma Dio ritirò da questo mondo Aletta, mentre la sua figliuola era ancor fanciulla, onde i materni ricordi, che a cagione della tenera età poca impressione avevano fatta nel suo animo, si andarono insensibilmente cancellando e cederono il luogo all’amore del mondo, da cui si lasciò talmente signoreggiare che non pareva la sorella di San Bernardo e degli altri suoi virtuosi fratelli. Ma il momento in cui ella doveva imitarli non era ancora giunto; e Dio permise che vivesse qualche tempo secondo il mondo, non solo perché avesse poi occasione di maggiormente umiliarsi, ma anche perché provasse con la propria esperienza quanto siano vani e folli i piaceri mondani che appena giungono a soddisfare per un momento i sensi quando si prendono, e poi lasciano, quando sono passati, un lungo ed amaro rammarico e pentimento.

2- Umbelina, divenuta erede di un ricchissimo patrimonio, lasciatole dai suoi fratelli, che si erano tutti ritirati dal mondo e fatti monaci cistercensi, ad altro più non pensò che a godere del presente, poco o nessun pensiero prendendosi del futuro e dell’eternità. Si maritò con un giovane cavaliere che era stretto parente della duchessa di Lorena, e tutta si occupò nel soddisfare non tanto al genio del suo sposo, quanto alla propria inclinazione per la vanità. Così quella pecorella smarrita, che la misericordia del Signore aveva destinato di richiamare un giorno al suo ovile, andava inconsideratamente preparando a se stessa la materia di un gran pianto e di una lunga penitenza. Ella passò più anni in questa vita mondana e rilassata, e intanto S. Bernardo e gli altri fratelli, amareggiati per la sua mala condotta, facevano continue e ferventi oraziani a Dio per la sua conversione. Si degnò finalmente il Signore di esaudire le loro preghiere, inspirando ad Umbelina il desiderio di andare a rivedere i propri fratelli a Chiaravalle. Il lusso e lo sfarzo dell’abito e dell’equipaggio con cui ella comparve e si presentò alla porrà del monastero, non poteva essere uno spettacolo accetto e confacente a quel sacro luogo, che da tutte le parti spirava modestia e penitenza. Infatti S. Bernardo, avendo saputo che la sorella era venuta carica degli ornamenti del secolo e con un accompagnamento pomposo, si protestò dì averla in aborrimento e in orrore; e riguardandola come una rete tesa dal demonio in pregiudizio dell’anime, ricusò costantemente di abboccarsi con lei. Anche gli altri suoi fratelli, informati della sua venuta e del suo fasto, deplorando la sua cecità, non vollero in alcun modo vederla né parlarle. Ad un tale inaspettato rifiuto, Umbelina si riempì di tristezza e di confusione; tanto più che Andrea, uno dei suoi fratelli, che era più giovane di lei, essendosi accidentalmente trovato alla porta e non potendo sfuggire di parlarle, la riprese fortemente perché fosse venuta in quella maniera tanto contraria allo spirito e all’umiltà di Gesù Cristo; e trasportato dal suo zelo francamente le disse: Con tutti i vostri abiti preziosi che cosa siete voi, se non un sacco di lordura ben coperto? Umbelina pertanto prorompendo in un dirotto pianto, disse al fratello: lo son peccatrice, è vero, ma Gesù Cristo è morto per li peccatori. Per questo appunto io ricorro alle persone dabbene. Che Bernardo disprezzi il mio corpo, io l’intendo, ma non conviene ad un servo di Dio che disprezzi l’anima mia. Venga dunque, parli, comandi; e mi troverà pronta e disposta a far tutto ciò che vorrà.

3. – Riferito a Bernardo quel discorso, andò a trovarla con tatti gli altri fratelli, e dopo averle con dolcezza insieme e con forza parlato della necessità di fu penitenza, le diede utilissimi consigli intorno al metodo della nuova vita che doveva intraprendere; e perché essendo legata in matrimonio non poteva separarsi dal suo marito, il S. Abate le disse che doveva cominciare la riforma e la mutazione della vita dal riseccare affatto ogni superfluità e vanità, ogni sorta di lusso dalle sue vesti e dal suo treno, e dal privarsi di tutti i piaceri, i divertimenti profani del secolo. Le propose per modello da imitare, la vita, della. B. Aletta loro madre che, sebbene facoltosa e nobilissima, era però vissuta sempre con gran semplicità ed umiltà cristiana, e aveva mostrata una particolar avversione alle mode e ai passatempi mondani. Dopo averle dati questi ed altri salutari consigli, S. Bernardo si congedò dalla sua sorella e si ritirò a pregar Dio, acciocché si degnane d’imprimer bene nell’animo di lei tutte le verità che aveva in quei giorno ascoltate.

4. – Umbelina, tornata che fu alla propria casa, eseguì puntualissimamente tutto ciò che le aveva prescritto il S. Abate, e la sua conversione fu a tutti i suoi parenti e cittadini un oggetto di stupore insieme e di edificazione, poiché ciascuno ammirava una dama giovane, nobile e ricca, non distinguersi più dalle altre, se non per la modestia e costumatezza: digiunare frequentemente, orare, vegliare ed osservare un esatto ritiro. Suo marito, lungi dal contraddirla e opporsi a questo nuovo tenore di vita così diverso da quello che aveva tenuto per l’addietro, se ne mostrò contentissimo, e ne ringraziò, e benedisse il Signore; anzi due anni dopo la sua conversìone, liberandola affatto dal giogo maritale, consentì ch’ella si dedicasse interamente al servizio di Dio.

5. – Tostochè Umbelina si vide in quella libertà che tanto bramava, andò a ritirarsi nel monastero di Tulli, che era stato poco prima fondato per le donne per opera di S. Bernardo, e dopo aver ivi abbracciata e professata la vita religiosa, vi passò il resto dei suoi giorni in una continua penitenza. Per l’abbondanza delle grazie che il Signore Iddio si compiacque di spargere sopra di lei, giunse a tal grado di santità che divenne in breve tempo l’ammirazione di tutti quelli che la vedevano ed un soggetto di estrema gioia per S. Bernardo e per gli altri suoi fratelli. Passava sovente le intere notti in recitar Salmi e in meditare la Passione di Gesù Cristo; e quando si sentiva oppressa dal sonno, prendeva un poco di riposo, coricandosi sopra le nude tavole. Era sempre la prima agli esercizi della Comunità, e li faceva con tanto fervore, che edificava le più osservanti e stimolava insieme le più tepide ad imitarla. Visse così per lo spazio di diciassette anni, meritando con quella continua penitenza la corona di gloria, che è prometta a quelli che perseverano nel bene fino al fine. Nella ultima sua infermità accorgendosi le sue compagne che ella andava giornalmente perdendo le forze, e che si avvicinava alla sua morte, ne fecero avvertito S. Bernardo, il quale venne subito a visitarla, e dopo un lungo e tenero colloquio ch’ebbero insieme sopra la divina misericordia, di cui ella aveva provati in se stessa con tanta abbondanza gli effetti, nelle braccia di lui placidamente spirò nel1’anno 1141 della nostra salute, e cinquantesimo dell’età sua. Pare a prima vista eccessiva la durezza e severità con cui S. Bernardo trattò Umbelina, eppure ella fu il mezzo di cui il Signore si servi per umiliarla, compungerla, e convertirla. La carità, dice S. Agostino, usa il rigore e la severità quando lo crede opportuno in benefizio del prossimo, come il chirurgo adopra qualche volta il ferro ed il fuoco, per restituire la sanità all’infermo. Senza di un tal rigore forse Umbelina non avrebbe conosciuto il suo errore, né avrebbe rinunziato a quelle pompe e vanità, che il cieco mondo purtroppo crede innocenti. Quante vi sono anche ai giorni nostri, che menano una vita tutta mondana e tutta voluttuosa, e che non si fanno scrupolo di portare, come in trionfo, il fasto, l’orgoglio, la vanità e l’immodestia fino nel luogo santo e in faccia ai sacri altari. Sarebbe dunque per queste tali un effetto della divina misericordia, se qualche ministro di Dio mosso da quello spirito, da cui era animato S. Bernardo, facesse loro conoscere l’inganno in cui vivono e il pericolo, a cui espongono la loro eterna salute! Oltre l’esempio di un Santo sì illuminato, qual era S. Bernardo, basta leggere il capo terzo del Profeta Isaia per rimanere persuoso quanto dispiacciano al Signore i vani e preziosi abbigliamenti, il portamento altero ed immodesto, ed il lusso delle femmine alle quali per mezzo dello stesso Profeta, Iddio minaccia terribili castighi.

“Et dixit Dominus: Pro eo quod elevatæ sunt filiæ Sion, et ambulaverunt extento collo, et nutibus oculorum ibant, et plaudebant, ambulabant pedibus suis, et composito gradu incedebant; decalvabit Dominus verticem filiarum Sion, et Dominus crimen earum nudabit. In die illa auferet Dominus ornamentum calceamentum, et lunulas, et torques, et monilia, et armillas, et mitras, et discriminalia, et periscelidas, et murenulas, et olfactoriola, et inaures,  et annulos, et gemmas in fronte pendentes, et mutatoria, et palliola, et linteamina, et acus, et specula, et sindones, et vittas, et theristra. Et erit pro suavi odore foetor, et pro zona funiculus, et pro crispanti crine calvitium, et pro fascia pectorali cilicium.” [Is. III, 16-24] [Dice il Signore: “Poiché si sono insuperbite le figlie di Sion e procedono a collo teso, ammiccando con gli occhi, e camminano a piccoli passi facendo tintinnare gli anelli ai piedi, perciò il Signore renderà tignoso il cranio delle figlie di Sion, il Signore denuderà le loro tempie”. In quel giorno il Signore toglierà l’ornamento di fibbie, fermagli e lunette, orecchini, braccialetti, veli, bende, catenine ai piedi, cinture, boccette di profumi, amuleti, anelli, pendenti al naso, vesti preziose e mantelline, scialli, borsette, specchi, tuniche, cappelli e vestaglie. Invece di profumo ci sarà marciume, invece di cintura una corda, invece di ricci calvizie, invece di vesti eleganti uno stretto sacco, invece di bellezza bruciatura.]

LA COMMEMORAZIONE DI PIO XII del S. P. GREGORIO XVII

S. GREGORIO XVII:

LA COMMEMORAZIONE DI PIO XII

[Tenuta alla presenza del massone 33° A. Roncalli,

l’antipapa sedicente Giovanni XXIII]

S. S. Pio XII con il Cardinal Siri, suo successore con il nome di  Papa Gregorio XVII

Sono ben certo di interpretare il comune pensiero ringraziandovi per l’insigne esempio che voi ci date manifestando, si può dire ogni giorno, ammirazione venerazione e rimpianto per il vostro antecessore Pio XII [in realtà Gregorio XVII sapeva bene chi era e quale era il vero intento del massone Roncalli, usurpatore all’epoca della Sede Pontificia … – ndr.-]. Ed è tale convinto, affettuoso vincolo di soprannaturale pietà, che vi ha spinto a donare a questa commemorazione il lustro, singolare davvero, della vostra augusta presenza. [si può cogliere la nota sarcastica del “vero” Santo Padre nei confronti dell’usurpatore massone 33° –ndr.- ]. L’esempio che voi, padre santo, ci date ponendo tale cura a che rimanga viva e venerata la memoria del defunto Pontefice, mi pare così preziosa anche perché a pochi uomini accade di ricordare degnamente quelli che li hanno preceduti. Grazie, padre santo. Per quel che mi riguarda debbo dire che solo pensando alla sincerità e forza di questo esempio ho trovato il coraggio di far risuonare l’umile mia voce in tale solenne adunanza. Per questo, fatto sicuro della benignità vostra, ritrovo la gioia di esprimere la riconoscenza che lega i moltissimi di tutto il mondo alla santa memoria di Pio XII. – La odierna commemorazione è promossa con augusto consenso di vostra santità [si legga satanità! – ndr. -] dal benemerito circolo di san Pietro e dalla Pontificia opera di assistenza, per i particolari vincoli che quel sodalizio illustre e quell’ente benefico ebbero con Pio XII; ma è ovvio che, dovendo io parlare di lui, prenda l’avvio da quella più ampia considerazione che la storia deve pure accordare ad un vicario, ad un successore di Pietro. Sento dunque il dovere di leggere, quanto mi riesce nei fatti la grandezza di un Pontificato per poi ravvisare nel Pontificato stesso il valore egregio e non comune dell’uomo, che fu romano, che si chiamò Eugenio Pacelli fino al 2 marzo 1939 e che da quel giorno portò, dodicesimo nella serie, il nome di Pio. – Naturalmente questo farò per la vastità della materia e grandezza del soggetto solo indugiando in qualche linea generale. La prospettiva storica ci obbliga a vedere subito con chiarezza che Pio XII fu Papa durante una guerra, che il suo Pontifìcato ha accompagnato una guerra. Questa fu cruenta fino all’8 maggio 1945 e, da quel giorno, abbandonato l’uso degli strumenti bellici, volse in più ampia anzi universale competizione gli strumenti naturalmente assegnati alle umane relazioni della pace, non disdegnando talvolta parziali ritorni al furore della vicendevole offesa o della distruzione. In realtà, di quella guerra che scoppiò nel 1939, pochi mesi dopo la assunzione di Pio XII al Pontificato, è sancita e non del tutto, a causa di permanenti pendenze, la pace diplomatica; non è certamente fatta la pace spirituale. Esprimo il modesto parere che questo Pontificato non lo si possa “leggere” fuori di quella generale qualifica “che ha accompagnato una guerra”. Mi chiedo allora: ma che significa per un Papa avere accompagnato il mondo attraverso una guerra? Vediamo. I palazzi apostolici divennero il punto di partenza per arginare con svariatissima azione, contenere, umanizzare. La loro naturale fisionomia di essere casa di tutte le genti si avvivò in mille modi. Essi divennero quel tal punto di passaggio, tra i diversi belligeranti, tra belligeranti e non belligeranti, nel quale lo scambio delle notizie volte a lenire infinite ansietà e lacrimevoli miserie, la organizzazione dei soccorsi, riassunse e sviluppò la prima esperienza del 1914. Fu opera grandiosa e qui sono presenti molti fedeli e piissimi strumenti di essa. Però non mi posso arrestare qui. La organizzazione della carità prese in qualche momento un posto preminente. Ciò fu in modo particolare per Roma prima e poi per tutta l’Italia. Il 18 aprile 1944, sorgeva, per volontà del Papa, la Pontificia opera di assistenza: egli dichiarò di fare così “guerra alla guerra” e di imporsi il criterio “che si doveva fare una carità fino in fondo”. In quegli anni tragici 1943-1945 il suo contatto con Roma, alla quale rimane unico vero schermo, divenne più intimo, più semplice, più affettuoso e vibrante nella comune pena. Il 13 giugno del 1943 radunava nel cortile del Belvedere 23 mila oratori come in un grande abbraccio; il 19 luglio seguente era tra il popolo sulle fumanti rovine dei quartieri di san Lorenzo; il 13 agosto era nello strazio del quartiere Prenestìno. La domenica 12 Marzo 1944 concesse una grande udienza in piazza san Pietro: era la folla del terrore, della miseria, della fuga in cerca di un rifugio; sprizzò dalle sue parole la scintilla e i figli si sentirono fusi nella fede e nella fiducia del padre. L’abbraccio alle immense folle restò fino all’ultimo una consuetudine della sua vita. Resisté alla pressione di abbandonare Roma: rimase ed affrontò gli eventi. Il suo rimanere, l’immenso prestigio col quale egli fece da schermo alla città eterna, i suoi interventi consci e decisi, si ha motivo di credere abbiano salvata la città stessa, come furono causa di salvezza per altre città e terre italiane. Il 4 giugno 1944 fu giornata decisiva: il popolo attendeva che il Papa andasse a visitare la Madonna del Divino Amore e la misericordia di Dio fu manifesta: gli occupanti lasciavano Roma senza opporre quella resistenza che avrebbe trasformata la città in un nefasto campo di battaglia. – Pio XII ha accompagnata la guerra, materialmente intesa, ben da vicino: le bombe hanno violata anche la Città del Vaticano. Come le vicende belliche tacquero, tutto fu volto al sollievo delle immense miserie, al ricupero delle giovanissime generazioni minacciate per la scarsità del nutrimento, alla supplenza di un periodo che tutto doveva ricostruire. Per quanto concerne l’Italia fu suo strumento principe la Pontificia commissione di assistenza trasformata il 15 giugno 1953 in Pontificia opera di assistenza, mentre già dal 20 ottobre 1951 era sorta per suo volere la conferenza internazionale delle “Carità cattoliche”, detta anche semplicemente “Caritas internationalis”. – Debbo venire a parlare d’altro: Pio XII ha accompagnato quel periodo di guerra cruenta ed incruenta in ben altro modo, sia nei confronti del mondo, sia nei confronti della Chiesa. Alla base della guerra stavano delle idee, anzi stavano degli errori. È naturale pensare che le guerre scaturiscano da passioni, da appetiti incontenuti e da interessi; ma tutto questo aveva il suo fondamento in errori che fermentavano da secoli per causa di altri errori e che per ragioni non intellettuali erano stati aiutati a fermentare e ad esplodere. La grande trama era orrendamente scavata su linee deformatrici della verità. La vera guerra si germinava là e stava là. Se non si arriva a questo punto credo non si possa capire la nota saliente del Pontificato di Pio XII. Egli ha visto questo. Forse nessuno lo ha visto come lo ha visto lui; da questa visione è nata la sua più grande fatica, la fedeltà ad essa scavando di essa profondissimo il solco e stabilendo una diversa caratura ai diversi impegni. Di questi taluni debbono per necessità storica passare in secondo piano quando un maggiore impegno si impone, lo capiscano o non lo capiscano gli altri che non sono sul ponte di comando della navicella. La fedeltà alla sua tipica missione ha reso eroico Pio XII, siccome dovrò ancora illustrare. – Mi si consenta di ritornare alla affermazione: la trama della guerra stava in errori o, se piace, in carenze di verità. Il fatto va considerato accuratamente perché è quello che illumina Pio XII. Tutti sanno del determinismo biologico figlio, speriamo unico, di quello teologico, del relativismo, dell’individualismo, dell’amoralismo, del criticismo e quelli che conoscono la storia in modo sufficiente da poter risalire per i rami sanno anche dove fanno capo, tanto da avere con impressionante evidenza documentato quanto il mondo paghi col sangue le ferite inferte alla verità di Dio, sia pure espressa soltanto in natura. Gli errori obbligano i fatti ad uscire di strada. Implacabilmente. Gli errori entrano dovunque anche dove non c’è neppure capacità di percepire in modo profondo la sana dottrina, perché hanno due vie insinuanti: quella delle loro metodologie e quella degli stati d’animo. Molte filosofie hanno conosciuto, se non un tramonto, un declino; eppure la loro metodologia si afferma poderosamente. I metodi di pensare e valutare idealisticamente, positivisticamente, esistenzialisticamente sono vivi anche se maneggiati dai più senza alcuna conoscenza del loro fondamento teorico. Gli stati d’animo possono generarsi concependo idee e presentando anche artisticamente fatti secondo quella vibrazione emotiva che è omogenea ad una filosofia — supponiamo — rovinosa e come tali entra in tutti, anche in quelli che nulla sanno di cultura. Ma, una volta entrati, orientano ad agire ed a simpatizzare come se quelle filosofie accettassero e vivessero. È così che gli errori hanno raggiunto una capacità nelle masse tanto incosciente quanto esplosiva. – Tutto questo accadeva ed accade mentre la fretta e la molteplicità degli oggetti offerti in sovrabbondanza alla considerazione di tutti ogni giorno, diminuiscono in tutti la possibilità di approfondimento, di sviluppo logico, di critica e pertanto di difesa. Si ha allora l’errore subcosciente, che è assai più difficile a combattere ed anche solo ad isolare e denunciare, che non l’errore aperto, definito ed espresso con proporzioni pertinenti. – Era dunque duplice l’aspetto negativo della situazione: gli errori fermentanti al disotto della inquietudine degli uomini, ed il modo crepuscolare col quale tali errori agivano ed inquinavano. – In questo soggiacere all’indettamento degli errori, senza averne coscienza chiara e precisa, per essere travolto dagli strumenti che si è creato, sta per il mondo il suo più grande dramma, assai peggiore di quello della guerra cruenta. – L’insegnamento multiforme per il bene delle anime e dei popoli Colui che fu detto “pastore angelico” vide tutto questo. Le pupille gli si dilatarono — lo si è osservato quando benediceva spalancava in croce le braccia e guardava in alto e lontano lontano —, salì idealmente su un podio in atteggiamento concentrato e raccolto, di asceta e quasi eremita proveniente da una lunga considerazione interiore e parlò. Parlò sempre toccando col pensiero vette di verità e abissi di errori, obbligando a dipanarsi questioni che stavano avviluppate e sornione, chiamando in giudizio tutti i fatti sostanziali del nostro tempo per obbligarli ad un tempestivo esame di coscienza, non avendo timori dinanzi alle scienze che salutò ed aiutò nel loro naturale e supremo raccordo a Dio loro Autore; incalzò, perseguì, analizzò, toccò sempre la corda del cuore. E parlò fino all’ultimo giorno in cui resse in piedi. Il giorno dopo l’ultimo discorso di Castelgandolfo Pio XII era alle soglie della morte. Parlare! Per Pio XII parlare era questo. Studiare personalmente portandosi con singolare acutezza in tutte le direzioni. Lo studio di un discorso talvolta durava molti mesi. Se l’argomento eccedeva il campo delle ordinarie discipline familiari ad un ecclesiastico, egli vedeva tutta la bibliografia recente di un determinato argomento, l’ultima che fosse uscita nel mondo. Aveva per questo una sorta di contratto con una organizzazione attrezzata all’uopo. La singolare conoscenza delle lingue gli facilitava il compito dello studio diretto e personale. Parlare una sola volta, per lui era raccogliere un materiale e spesso un ritornare a lunghi impegnativi colloqui — fuori di tabella — con uomini anche di disparate tendenze per acquisire una più completa ed obiettiva informazione. In taluni discorsi era meticolosissima la cura degli stessi particolari tecnici, dovuti non ad esibizione ma unicamente allo scrupolo di documentare obiettivamente l’onesto studio, per manifestare che le considerazioni inerenti ai rapporti colla fede e al giudizio morale non erano né inconsapevoli, né avventati. Per Pio XII il parlare era questo ed era anche qualcosa d’altro: lo dirò appresso. Per parlare impose limitazioni a sé e agli altri; il dovere principale in un momento prevale sui doveri in quel momento secondari. Svolse così una catechesi di una serietà ineccepibile, di un raggio universale, di una concludenza fascinosa. Il silenzio, che amava e lo stesso isolamento, che spesso prediligeva non erano altro che il raccogliersi necessario alla sua catechesi; del resto è ovvio che il serio parlare sia punteggiato dall’altrettanto serio silenzio. E certe caratteristiche proprie di Pio XII hanno la giustificazione nella particolarità della sua missione. – La definizione solenne del dogma della Assunzione della Vergine, per la rilevanza obiettiva, sta al centro del suo compito magisteriale e non sono poche le questioni teologiche e morali, le quali hanno avuto da lui ricchezza di documentazione magisteriale e di precisazione. Mi si conceda però di soffermarmi brevemente su alcuni punti che per il mondo affaticato nel quale viviamo, hanno una particolare importanza. Nel Natale del 1942 rivolse al mondo un messaggio relativo a un ordine nell’interno delle nazioni. Quel messaggio credo rimanga tuttavia il punto di riferimento per quanti in materia sociale vogliano ragionare esattamente e vogliano evitare il pericolo di essere dannosi ai propri simili. Egli aveva avvertito il centro della questione. Che era questo: accettare inconsciamente — siccome ho già detto sopra — sia da parte materialistica che dalla banda opposta l’idea di un determinismo, nel quale gli uomini si sarebbero meccanicamente cambiati verso il meglio, deducendo la logica di quel determinismo a poggiare riforme sociali piuttosto su elementi soggettivi ed anonimi, dimenticando pertanto con nefasta carenza che gli uomini sono liberi e sono persona? Di qui la sovrana indicazione di quel messaggio: strumento delle giuste riforme essere essenzialmente la legge, sia perché è elemento obiettivo sia perché essa si propone agli uomini in modo “morale”, ossia in modo conveniente al rispetto della persona umana. La imponenza di quel messaggio e di quel supremo richiamo ritengo non sia ancora sufficientemente intesa. Non mi meraviglia questo: è infatti proprio dei Papi, vicari di Dio, parlare per i secoli, inserirsi da maestri nella tradizione cristiana e restarvi. Ad essi può dunque benissimo accadere di non essere del tutto ascoltati dai contemporanei, perché la provvidenza ha loro preparato ascoltatori che li seguiranno anche dopo molti secoli. – L’ordine internazionale e la pace dovevano giustamente temere le molte e facili illusioni. Nel radiomessaggio ai governanti e ai politici del 24 agosto 1939 Pio XII affermò che « nulla è perduto con la pace, tutto può essere perduto con la guerra ». Lo stesso anno a Natale trattò — nella allocuzione al sacro collegio — dei punti fondamentali per la pacifica convivenza dei popoli. Nel messaggio del Natale 1940 disse i presupposti essenziali di una pace giusta e duratura, completando questo corpo dottrinale nel Natale del 1941 col messaggio sulle sicure basi per il nuovo ordinamento del mondo. Aveva di fronte il rassegnato cedimento alla ineluttabilità del male, la disonorevole rinuncia alla fiducia nell’intimo valore della verità e della giustizia. Allora il richiamo a valori morali e soprannaturali, nei quali si possono redimere le cose umane, si fa preciso, incalzante, concreto. Egli vedeva, e giustamente, lo stesso danno, diffuso da un cedimento di più secoli, sul valore della persona e sulla capacità di reagire alle avverse fortune: nel Natale del 1943, dovrei dire, cantò la vittoria sulla delusione, e l’attesa della pace. – Quando la stanchezza stessa degli eventi fece presagire forse non lontana la ricostruzione dalle rovine, ne trattò gli strumenti. Cosi nel messaggio natalizio del 1944 dissertò della democrazia nei suoi aspetti e nei suoi strumenti, completando il grande messaggio del 1942. – È proprio dei grandi dolori conferire la capacità di alterare i confini tra la realtà ed il sogno; è nefasto nel reggimento dei popoli che quella alterazione dia avvio a linee e programmi difformi dalla umana natura e dal comportamento naturale della umana società. Pio XII si prese cura di riportare in quel messaggio la questione sul terreno concreto e trattò dei caratteri dei cittadini e del carattere dei responsabili in regime democratico, avvertendo che a questo né si convengono, né mai saranno utili le astrazioni. I problemi sociali sarebbero riapparsi per ragione di ovvia giustizia, ma coi caratteri conseguenti alle immani prove subite: cioè brucianti e frettolosi. Fino all’ultimo riprese il messaggio sociale di Leone XIII, di Pio XI. Fu accanto a quelli che attendevano una migliore promozione ai beni della terra, una maggiore considerazione obiettiva nel concreto della vita civile. Soprattutto, mirò sempre a difenderli dal supremo oltraggio pel quale usandosi la fascinosa proposizione di dare a loro un migliore pane, non si attuasse in verità il disegno di defraudarli della libertà e della dignità umana, fomentando passioni per averne frutti di tirannia sui popoli. La sua voce fu severa e chiara. Non accolse le facili suggestioni della popolarità che inganna; reciso nella giustizia, austero nei doveri maggiori, nelle maggiori responsabilità ammonì a non seguire metodi i quali partendo da false concezioni dell’uomo, l’uomo oltraggiano e non redimono affatto dalla miseria e dall’avvilimento. – Questo insegnamento magistrale è arrivato dappertutto; esso si rifrange per mille raggi su ogni argomento, su errori, su costumi pericolosi, su stati d’animo equivoci, su illusioni facili e seducenti per gli uomini. Ha il carattere dell’universalità ed appare dominato dalla ansietà di tutto raggiungere e per arrivare a tempo. Pio XII avvertiva che le articolazioni di una guerra fredda seguono le articolazioni di idee vaganti; avvertiva non meno che, oltre una guerra fredda tra schieramenti, esiste non meno grave una guerra tra uomini ed interessi. L’ansietà sua di chiarire ed ammonire crebbe cogli anni, anche se negli ultimi anni la sua visione appariva meno preoccupata ed angosciata. Così accompagnò il tempo di questa singolare guerra. Ed il suo insegnamento fu l’asse della sua azione di governo, aperto, unitario, coerente. Le guerre fanno camminare le cose, perché sono fatte di mutamenti. La accelerazione delle esperienze e del progresso, tali da far superare un secolo in pochi decenni non lo sorprese: chi numera le riforme, le possibilità date alla vita religiosa, l’amore all’Azione Cattolica, i ritocchi apportati all’ordinamento liturgico, il respiro della metodologia, il ritmo dei contatti, può rilevare che con lui la Chiesa ha accompagnato il ritmo stesso del nostro tempo. La guerra talune cose ha livellate, altre ne ha svuotate, altre ha spogliate di moto e di ideale, altre finalmente ha ricominciate a vestirne di illusioni. Se ne è disegnata una mentalità, che forse, solo la prospettiva storica permetterà di afferrare. Chi guarda da un punto unitario il multiforme operato di Pio XII si accorge che egli aveva compreso. – La seconda guerra è lo scoppio, per ora ultimo, di una prevalenza materiale sullo spirituale, di un comando che la macchina, creatura degli uomini, esercita ormai sugli uomini, senza risolvere più problemi di quanti ne aggrava. Pio XII parve sfiorare la terra, che toccò solo con gentilezza e carità grandi. Fu colle caratteristiche che tutti videro, col suo riserbo colla sua pietà, mite che poté sfiorare la terra e librarsi sopra di essa, sovra del suo dramma. La Chiesa? La Chiesa è per la salvezza del mondo e rappresenta bene la Chiesa chi sulle orme del Salvatore lavora bene per la salvezza del mondo. Pio XII ne vestì la responsabilità e la gloria, accompagnando il mondo nella sua grande prova. È evidente che nell’ultimo secolo le pagine della storia si accompagnano ai Pontificati e che i Pontificati sono essi a scandirla. Ciò è naturale, se si considera che in ragione della Incarnazione la storia cammina nel senso del regno di Dio e pertanto ne assume di fatto l’incomparabile ritmo. Il clero, le scuole, le scienze, le missioni, le nuove prospettive accolsero di Pio XII l’attenzione impegnata, non scevra di dolorosa preoccupazione, la fatica incessante. L’azione di governo gli impose l’usura di una precisione assorbente. I contatti coi popoli, con tutti, li moltiplicò imponendo ad un temperamento per natura riservato lo sforzo continuo della parola e del tratto accoglientissimo. Era evidente in lui una disciplina imposta per altissimo senso di dovere. Non gli era facile il parlare, nonostante le straordinarie capacità. Scrisse e imparò a memoria: solo negli ultimi anni si rassegnò a leggere, non sempre. In un solo anno tenne 183 discorsi: erano stati tutti diligentemente vergati da lui e detti inappuntabilmente con scrupoloso rispetto dell’esattezza, spesso con sforzo e disagio penosi. Era suo dovere, così pensava. A considerarlo ci si accorge di una grande limatura fatta in se stesso ed attorno a se stesso come se il superfluo del grande servizio a Dio dovesse essere allentato e nulla potesse ingombrare il tempo, la mente ed il diuturno sacrificio. La sua figura fisica ben si acconciava a questa sorta di transumanazione anche esterna, che le innumerevoli genti, passate di qui, comprendevano anche senza saperla analizzare e ricevendone per irradiazione quasi il dono di una divina grazia. Il Papa imponeva a sé limitazioni, che parvero estendersi al di là di lui stesso e che erano un atto di virtù e di fedeltà alla missione, portando con sé, e lo si intuiva, il segreto di un sacrificio, raccolto e penitente. La gentilezza dell’animo, la finezza della sensibilità gli moltiplicarono le pene, gli aggravarono le preoccupazioni, gli resero più dolorosi i timori e le ansietà. La fermezza del pensiero, il nitore del magistero, la forza delle grandi decisioni passavano in lui attraverso questo personale travaglio che trasformarono in purissimo sacrificio non pochi giorni del suo Pontificato. Con tale sacrificio, illuminato dalle caratteristiche della sua natura e dai tratti della sua personalità egli accompagnò la grande prova del mondo e della Chiesa. A lui, per temperamento restio, toccò di stabilire nella carità della dedizione e con una sorta di violenza fatta a se stesso, il più grande contatto che — in ragione dei moltiplicati mezzi tecnici — sia mai stato attuato dai Papi prima di lui. Quello che fece, fece per comprensione profonda, per comprensione lungimirante, soffrendo, ove i limiti si imponevano per sé e per tutti gli altri. La sua radiosa pietà, che lo aveva portato a scrivere e compiere cose grandi nella teologia mariana e nella glorificazione della Vergine Santissima, Assunta in cielo, che lo faceva inginocchiare con chiunque si trovasse nella sua biblioteca privata allorché percepiva il segno dell’Angelus per recitarlo, completò in angelica luce i suoi tratti. – Verso il termine della vita parve crescere una luminosa serenità, come se avesse sentito il profumo di una messe matura e nel messaggio della Pasqua del 1958, l’ultimo dei grandi messaggi della sua vita, additò non solo speranze, ma esultò come chi si trova in cospetto di luminose certezze: contemplò, si direbbe, lo splendore di una aurora. Molti furono stupiti ad intenderlo parlare cosi. – Quella visione di aurora è auspicio e promessa, suggello gioioso della continuità di sacrificio e di vittoria che raccoglie i Papi nella unica indefettibile realtà di Pietro vivente.

Roma, 8 marzo 1959

IL MALE COME UN FUOCO DIVORANTE

COME FUOCO DIVORANTE

etenim Deus noster ignis consumens est [Hebr. XII, 29]

[Les Prophéties de La Fraudais, 9°ed. 2007, p. 270]

Si avranno gravi malattie [dopo i tre giorni di buio –ndr.-] che l’arte medica dell’uomo non potrà alleviare. Questo male attaccherà dapprima il cuore, poi lo spirito e nello stesso tempo la lingua. Sarà orribile. Il calore che l’accompagnerà sarà come un fuoco divorante, insopportabile e tanto forte che le aree del corpo colpite ne saranno arrossate, infiammate in modo insopportabile. Nell’arco di sette giorni questo male, seminato come il grano nei campi, germoglierà rapidamente dappertutto e farà progressi immensi. Figlioli miei, ecco il solo rimedio che potrà salvarvi:  Voi conoscete le foglie del biancospino che cresce vicino a tutte le siepi. Le foglie di questo biancospino potranno fermare l’avanzarsi di questa malattia.  – Raccogliete le foglie, non le parti legnose: esse anche secche, conserveranno la loro efficacia. Voi le metterete in acqua bollente e le lascerete per 14 minuti, coprendo il recipiente per conservarne il vapore. Quando si presenterà il male, bisognerà servirsi di questo rimedio tre volte al giorno.

«IL LUNEDI DOPO LA MIA ASSUNZIONE, tu mi presenterai queste foglie di biancospino ed ascolterai attentamente le mie parole. … il male produrrà nausea, palpitazioni continue e vomito. Se il rimedio è assunto troppo tardi, le parti del corpo affette diverranno nere e nel nero si formeranno come dei solchi che tenderanno ad un giallo pallido.

Si chieda alla nost­ra Madre Santissima di benedire le foglie per guarire le persone eventualmente colpite dalla malattia ventura; si chie­da l’aiuto per farlo correttam­ente. Si offrano poi tre Ave Maria in onore del­la Purezza del corpo, della Purezza della mente e della Pure­zza dell’anima della Beatissima Vergine. È opportuno spruz­zare dell’acqua santa, debitamente benedetta da un “vero” Sacerdote cattolico, sulle fogl­ie raccolte.”

[M. J. Jahenny; 5 agosto 1880]

alcune varietà di biancospino: “Cratægus”

Ulteriori informazioni in:www. MJJProphecy.com,  sito approvato dalla Gerarchia Cattolica in esilio.

LEGITTIMITA’ E RISULTATI DELLE CROCIATE.

[Mons. J. Fèvre: LÉGITIMITÉ ET RÉSULTATS DES CROISADES – LA SEMAINE DU CLERGÉ, Parigi, maggio 1873]

 Dopo le guerre per le investiture e dell’impero, l’avvenimento più grande del Medio-evo è, senza dubbio, quello delle Crociate. – Non c’è un fatto storico che manifesti così perentoriamente la potenza dello spirito cristano, il regno della Chiesa nel Medio-Evo e la supremazia del Papato, per cui dei popoli si levano in massa alla voce di un Pontefice disarmato, al fine di liberare il Santo Sepolcro: quale gloria per il Cristianesimo! Per questo motivo, il gallicanesimo del XVII secolo, l’empietà del XVIII ed il razionalismo del XIX secolo, si sono messi con tenacia a recriminare contro le crociate [nel XX e inizio XXI secolo a questi si sono aggiunti tutti gli imbecilli laico-progressisti social-comunisti, i radical schic sinistrorsi del pensiero unico dominante, gli storici falsificanti massonizzati, laici e finti chierici usurpanti! – ndr.-]. Le Crociate, essi dicono, non erano altro che eccessi di fanatismo, il disprezzo flagrante dei diritti dell’islam, delle barbarie senza ombra di pretesto e senza un utile ritorno. Illegittime nei loro principi, sterili nei loro risultati, tali sarebbero state le Crociate. « L’uomo oltraggia, dice lord Byron, ed il tempo vendica. »  Dopo due secoli di ingiurie, il progresso “onesto” degli studi storici, conduce non alla vendetta, bensì alla giustizia. Noi cerchemo di illustrare i benefici delle crociate, dimostrando la perfetta legittimità di queste spedizioni, nonché l’immensità provvidenziale dei loro risultati. Dapprima però, cerchiamo di comprendere cosa si intenda per Crociate. Come nostra prima idea, la Crociata non è altro che il mistero della Croce, meditato e realizzato, messo in pensieri ed in azione in tutta la loro estensione, non da un individuo solo, né da un’unica nazione, ma dalla intera Cristianità, da tutto il Corpo mistico di Gesù Crocifisso e Resuscitato. «  Era necessario che il Cristo soffrisse ed entrasse nella sua gloria. » Ciò che era necessario per Gesù-Cristo, lo è ancor più per l’umanità rigenerata. In ogni uomo si agitano gli istinti contrari del vecchio e del nuovo Adamo. Nel mondo si elevano le due città costruite dai due amori. La terra è un campo di battaglia ove si compie la lotta dei due “uomini” e delle due città. La Chiesa, incarnazione permanente di Gesù-Cristo, è sempre attaccata, sempre nella necessità di difendersi e, con la forza del suo principio vitale, sempre vittoriosa nei suoi sacrifici. [come lo sarà ancora tra breve dopo l’attuale “eclissi” –ndr. -]. Partendo da questa idea generale, si intende per Crociata una spedizione militare in cui i soldati hanno per bandiera la Croce, e come scopo diretto il bene della religione; – e più in particolare, queste spedizioni militari, intraprese dai principi cristiani nel medio-evo, per punire e riparare la profanazione dei luoghi santi ed assicurare, con la conquista della Palestina, il libero accesso alla Terra Santa. Le crociate, prese nel loro ultimo senso, non sono, come spesso si è detto, un episodio interessante del Medio-evo; esse sono invero, per così dire, il focolaio, il punto centrale dal quale emanano tutti i raggi della forza  vitale e dell’azione civilizzatrice.

I.

Le Crociate sono legittime, si possono giustificare agli occhi della ragione, della politica e della Chiesa? Il principio di diritto, per la Chiesa, è nella divinità della sua origine e la missione del suo stabilirsi. « Mi è stata data ogni potenza in cielo e sulla terra, dice Gesù-Cristo; andate, insegnate a tutte le nazioni, » Secondo queste parole, la Chiesa non solo ha il diritto, ma il dovere di inviare dappertutto i suoi Apostoli; ed Ella gode, per proteggerli, soccorrerli, e al bisogno vendicarli, della potenza del Salvatore. Se i suoi Apostoli sono accolti, si stabilise una chiesa tra i popoli in predenza seduti all’ombra della morte. Se i suoi Apostoli sono respinti, la Chiesa ha diritto non di imporre la fede con la forza, ma di far rispettare con la forza i suoi missionari. Se i suoi Apostoli sono sgozzati, la Chiesa ha il diritto di domandare il riscatto del loro sangue. Un altro principio di diritto, per la Chiesa, o piuttosto l’applicazione del diritto constatato in precedenza, sono le assurde e funeste superstizioni che seducono i popoli inflici. La Chiesa è inviata per salvare i peccatori, e più è grande la degradazione dei peccatori, più è necessaria l’impegno che deve salvarli. Secondo questo principio, non si può dire che il Cristianesimo abbia il diritto di liberare, anche con la forza, un povero popolo di una religione che autorizza la schiavitù, la poligamia, l’infanticidio, e che rende impossibile ogni civilizzazione? Un filosofo lo dice con finezza tale che ci dispensa da altre prove: « Si fa la guerra per avere la libertà di comprare la polvere di cannella, e non si ha il diritto ugualmente di farla per la difesa della virtù e della propagazione della verità, per salvaguardare la dignità dell’uomo e la prosperità della terra. » [Bacon, De Bello sacro, Citato in “Dimostrazioni evangeliche” di Migne]. Quando noi diciamo che la Chiesa ha il diritto di mettere la forza al servizio della giustizia, noi non pretendiamo che la Chiesa faccia indossare la corazza ai suoi sacerdoti. Coloro che sono arruolati nella milizia di Cristo non si interessano delle armi secolari. Noi vogliamo dire però che la Chiesa, pur avendo il diritto radicale di usare la forza, può, se Essa lo giudica utile ed opportuno, fare appello alle Potenze cattoliche per sostenere o rivendicare i suoi diritti. Una volta riconosciuti questi princȋpi, la questione si riduce a questi termini: la Chiesa che nel Medio-evo si trovava in presenza del maomettismo, era nella condizione di usare i suoi diritti? Per saperlo, bisogna esaminare la situazione rispettiva di queste due potenze. Tutto il mondo sa, che agli occhi del Corano, ogni non-musulmano è un “giaurro” [termine dispregiativo usato dai musulmani nei confronti dei non musulmani, soprattutto Cristiani], infedele, e che contro di lui la guerra è santa. Dapprima puramente difensiva, questa guerra, dopo i successi iniziali, divenne aggressiva, animata da una insaziabile sete di conquista. Verso i pagani, la condotta del Profeta era: « Credi o muori. » Ai credenti della scrittura, giudei o Cristiani, la guerra doveva essere fatta fino a che essi divenissero tributari. Così il combattere per la fede diviene obbligatorio per tutti i musulmani, senza eccezioni: chiunque, non malato o inabile, se ne esentasse, era destinato all’inferno! « Il paradiso è sotto l’ombra della spada, diceva Maometto. “È meglio combattere che pregare settanta anni nella propria casa”, “andare una volta alla guerra santa vale più di cinquanta pellegrinaggi”; “una ferita è sufficiente per ricevere da Dio il sigillo del martirio”; “i martiri in cielo aspirano a tornare sulla terra per perirvi ancora dieci volte sul cammino di Dio, istruiti delle ricompense legate ad una tale morte”. – Con simili immagini, e con il fanatismo delle sue predicazioni, il novatore aveva acceso i fedeli di un ardore guerriero che doveva minacciare tutti gli imperi. Ne consegue che la dichirazione di guerra è permanente nel maomettismo, contro tutti i non-musulmani; da ciò segue ancora che tutti i non-musulmani sono riconosciuti dai credenti in diritto di attaccare per prevenire le aggressioni che, più tardi, non saprebbero probabilmentee evitare. Quando il maomettismo, in parte con la parola,  in parte con la scmitarra, ebbe riunito nell’unità di uno stesso culto le tribù feticiste dell’Arabia, lanciò le sue orde da un lato verso la Persia, l’India, la Palestina, la Siria e l’Asia minore, dall’altra sull’Egitto, il litorale settentrionale dell’Africa, la Spagna ed il paese dei Franchi. I suoi soldati, piombando sui popoli minati dalla corruzione o infettati dall’arianesimo, fecero rapide conquiste. Venne il giorno tuttavia che essi attaccarono i figli della Chiesa ove trovarono ad arrestarli: il petto degli eroi di Cavadonga e di Poitiers e le falangi veglianti dei crociati. La storia attesta dunque che i devoti dell’islam furono gli aggressori, e che i Crociati, respingendoli, non fecero che attuare la loro legittima difesa. Inoltre il maomettanesimo, sempre armato, marciava contro il Cristianesimo senza tener alcun conto delle più elementari nozioni dei diritti delle genti. Con esso non c’era pace se non quando non potevano attaccare. Poiché si sentivano forti, si lanciavano negli attacchi senza preavvisi né alcuna dichiarazione di guerra. Nei combattimenti, essi impiegavano strumenti di guerra vietati dall’umanità; popo la vittoria sottoponevano i prigionieri alla barbarie più orribili. La Chiesa poteva dunque, ed anzi doveva armarsi contro questo nemico selvaggio, ed applicare in tutto il suo rigore le leggi delle dodici tavole: “Adversus hostem, æterna auctoritas esto”. Per la crudeltà, ed anche per la sua audacia, l’islam aveva conquistato la Spagna, stava per invadere l’Italia, minacciava il Bosforo. Conquistando i Darfanelli ed i Balcani, la valle del Danubio li avrebbe introdotti nel cuore dell’Europa se per arrestarli non ci fosse stato né Vienna, né la Polonia di Jagellone, né i cavalieri teutonici. I fratelli della Spagna ed i vincitori dell’Italia portarono ad arrestare l’avanzata. Per evitare le Crociate, bisognava subire l’avanzata o mettere il turbante. C’era dunque, per la Cristianità, non solo il diritto, ma la necessità di attaccare il maomettismo. E la legislazione del corano, gli attacchi dell’islam, le sue crudeltà, le sue conquiste, le sue minacce, sono altrettante ragioni che legittimano le crociate. – Per completare questa dimostrazione, occorre stabilire il diritto particolare che avevano i Cristiani di correre in soccorso della Terra Santa: le Crociate avevano lo scopo primario di liberare la tomba di Gesù-Cristo. La Terra Santa appartiene ai Cristiani per il possesso che ne ha fatto Gesù-Cristo. Bethleem, Nazareth, il Calvario, la santa Grotta, i luoghi ove furono la culla del Salvatore e la sua Croce, sono di proprietà mistica dei suoi discepoli. Questo cade tanto bene sotto il senso che mai l’islam, malgrado il suo odio, lo ha mai contestato; ed oggi ancora, malgrado le eresie e gli scismi che affliggono i Cristiani, noi li vediamo tutti dediti a raccogliere la loro parte della santa Eredità. Noi Cattolici, che troviamo in questa eredità tanto il soggetto di duolo, noi dobbiamo almeno avere, pur nella competizione delle sette, la conoscenza non interrotta del principio dei nostri diritti. Questa proprietà mistica era sotto la salvaguardia del diritto pubblico. Durante le persecuzioni, i Cristiani non avevano cessato di conservare la maggior parte dei luoghi santificati dala Passione di Gesù-Cristo. Costantino e sua madre Elena, li avevano ristabiliti nell’integrità dei loro diritti e avevano aggiunto a questo atto di giustizia i più nobili marchi della munificenza imperiale. L’impero greco di Costantinopoli aveva naturalmente aggiunto a questo diritto di proprietà la consacrazione del diritto politico. Il califfo Omar, nelle capitolazioni, aveva riconosciuto agli abitanti di Gerusalemme, con la consacrazione dei loro beni, la conservazione dei loro beni, la conservazione e l’uso esclusivo dei Luoghi Santi. Infine, per meglio riconoscere il diritto dei Cristiani, l’amico di Carlo Magno, Haroun-al-Raschid, aveva aggiunto al testo delle capitolazioni come omaggio pubblico di vassallato, inviando al grande Imperatore di Occidente, le chiavi del Santo Sepolcro. Senza misconoscere il diritto dei Cristiani, i musulmani, sotto i fatimiti e il furore di una setta fanatica, inflissero loro ogni sorta di vessazioni e di ingiurie. Le lettere dei Cristiani di Oriente e d’Occidente, i discorsi di Pietro l’eremita e di Urbano II fanno un quadro drammatico degli abomini che si compivano in Gerusalemme. Poiché questi rapporti e discorsi potrebbero essere tacciati di esagerazione, – perché è proprio del dolore esaltare la sensibilità, – noi citiamo un “asettico” rapporto diplomatico, la lettera di Alessio Gomnenio ai principi d’Occidente. « I turchi ed i pincinai invadono il nostro impero, dice il cesare bizantino; le cose sante ed i fedeli di Gerusalemme sono ogni giorno l’oggetto di nuovi oltraggi. Sui fonti battesinali i barbari, in disprezzo al Salvatore, fanno colare il sangue dei nostri bambini e dei nostri giovani sotto i ferri della circoncisione. Essi oltraggiano le nobili matrone come dei vili animali; disonorano le vergini sotto gli occhi delle loro madri costrette ad applaudire e a cantare canzoni empie e licenziose. I Babilonesi, tra gli altri scherni, dicevan al popolo di Dio: “Cantateci i cantici di Sion”. Qui le madri sono costrette a cantare il disonore delle loro figlie! È piuttosto il caso di piangere con Rachele. Ancora le madri degli innocenti sgozzati da Erode, se dovevano da un lato piangere la loro morte, potevano consolarsi con la salvezza delle loro anime. Ma qui, nessuna consolazione, perché periscono i corpi e le anime. Che diremo ancor noi? Ci sono cose ancor più spaventose. I turchi, perché bisogna dirlo, costringono ad essere assecondati nel crimine di Sodoma; essi vi costringono gli uomini di ogni età e di ogni condizione. Essi profanano i luoghi santi in mille modi, li distruggono minacciando di fare peggio. Chi non verserà una lacrima al racconto di tanti mali? » Questi barbari hanno invaso quasi tutti i paesi, da Gerusalemme fino alla Grecia, tutte le regioni superiori dell’impero greco, le due Cappadocie, le due Frigie, la Bitinia, Troia, il Ponto, la Galazia, la Libia, la Pamfilia, l’Isauria, la Licia, con le prinipali isole; non mi resta che Costantinopoli, che essi minacciano di invadere quanto prima, se Dio ed i Latini non vengono in nostro soccorso; perché già con duecento navigli, che essi hanno fatto costruire da prigionieri greci, si sono impadroniti di un luogo importante sul Propontide, da cui minacciano di prendere ben presto Costantinopoli da terra e dal mare. Noi vi preghiamo dunque, per l’amore di Dio e per compassione di tutti i Greci che sono Cristiani, di raccogliere tutti i guerrieri cristiani che potrete, e venire in nostro soccorso; affinché, come questi guerrieri hanno già cominciato a lberare i Galli e gli altri reami dell’Occidente dal giogo dei pagani, si sforzino di liberare parimenti l’impero greco per la salvezza delle loro anime; perché, per me, benché sia imperatore, non posso trovare né rimedio né consiglio; incessantemente io fuggo davanti ai turchi e i pincinati; io non resto in questa città aspettando che si avvicinino. Preferisco di più essere sottomesso ai Latini che diventare il giocattolo di questi barbari pagani. – Prima che Costantinopoli sia presa da essi, voi dovete dunque combattere con tutte le vostro forze, alfine di ricevere nello stesso tempo la ricompensa gloriosa ed ineffabile del Cielo. » Così il diritto dei cristiani sui Luoghi Sacri, le crudeltà di cui sono oggetto, il loro grido di dolore spinto verso l’Occidente, l’appello dell’imperatore d’Oriente, sovrano politico della Terra Santa, la decisione di due Concilii di Piacenza e di Clermont, l’appello di Urbano II e dei suoi successori, sono tanti fatti il cui fascicolo prova invincibilmente la legittimità delle crociate. Questa legittimità tanto sentita in questa epoca, fece sì che tutti, principi e popoli, rispondessero all’appello. L’Eurosa subì un impulso generale; essa aveva l’energia della fede e la fibra del guerriero. Piuttosto queste risorse si sono poi indebolite o sono venute meno. – Le crociate si sono dunque fatte in virtù del diritto di proprietà, del diritto politico di attacco e di difesa, del diritto ecclesiastico, del diritto delle genti; esse si sono fatte nell’ora della Provvidenza.

III.

Per apprezzare nel fondo la legittimità delle Crociate, non è sufficiente invocare i principi del diritto ed i fatti storici, non è sufficiente guardare verso terra; bisogna altresì alzare lo sguardo al Cielo. Le Crociate sono un avvenimento molto grande per non avere il sigillo divino. Dio, che le ha visibilmente preparate, ha voluto rivestirle di testimonianze autentiche della sua approvazione. Michaut, che ne ha scritto la storia con spirito di umiltà quaranta anni or sono, ne ha conservato le prove. Sfogliando le vecchie cronache, troviamo altri fatti meravigliosi che attestano tutti che le Crociate erano volute dall’Alto. Quando Pietro l’eremita pregava nella chiesa del santo Sepolcro, per il successo del suo ritorno, si addormentò, dice Guglielmo di Tyr, e vide in sogno Gesù Cristo che gli diceva: « alzati Pietro, esegui la tua commissione, senza nulla temere, perché Io sarò con te! È tempo che i Luoghi Santi siano purificati ed i miei servi soccorsi. » Al concilio di Clermont, quando Urbano II finì di parlare, l’agitazione fu molto grande; ben presto si udirono le acclamazioni: Deus lo volt! Deus lo volt! Noi ricorderemo a quresto proposito l’adagio conosciuto: “vox populi, vox Dei”; diremo ancora che questa acclamazione, che doveva diventare il grido di guerra dei Crociati, non ha potuto essere composto che per un istinto divinatorio. Da dove poteva venire, se non dal Cielo una simile ispirazione? Nella sede di Antiochia, quando i Crociati dimenticarono lo scopo del loro santo pellegrinaggio, apparve un segno dal cielo verso Oriente; un terremoto venne a richiamarli ad un sentimento più chiaro ed espresso del loro dovere. – Dopo la presa della città, i crociati, da che erano assedianti, divennero assediati con vigore. Un disertore, avendo voluto uscire da Antiochia, incontrò Gesù in persona. Gesù gli promise che l’assedio sarebbe stato tolto prossimamente. In altra sede, sant’Ambrogio apparve ad un venerabile prete e gli assicurò che i Cristiani, dopo aver abbattuto tutti i loro nemici, sarebbero entrati vincitori in Gerusalemme, ove Dio si riservava di ricompensare la loro dedizione. Un ecclesiastico lombardo, avendo trascorso la notte in una chiesa, vide Gesù accompagnato da Maria e dal Principe degli Apostoli. Il Figlio di Dio irritato per la condotta dei Crociati, rigettava le loro preghiere; avendo la Vergine placata la sua ira: «Alzati, dice Gesù al prete lombardo; fa conoscere al mio popolo il ritorno della mia misericordia. » Un prete marsigliese, chiamato Barthélemi, vide per tre volte sant’Andrea, ed ogni volta l’Apostolo gli diceva di andare nella chiesa di San Pietro, di scavare a destra dell’altare maggiore ove avrebbe ritrovato la lancia che aveva squarciato il fianco del Redentore. Si scavò, ed effettivamente si trovò questa lancia, « … ed io che scrivo, dice Raimondo d’Agiles, man mano che il reperto usciva dalla terra, lo baciavo devotamente. » – Presso la sede di Gerusalemme, in mezzo alle vicissitudini dell’assalto, si vide all’improvviso apparire, sul monte degli Ulivi, un cavaliere che agitava uno scudo dando all’armata cristiana il segnale per entrare in città. Goffredo, che lo intravide per primo, esclamò che San Giorgio veniva in soccorso dei Cristiani. La vista el cavaliere celeste, infiammò i cristiani di un nuovo ardore; essi tornarono alla carica e la sera stessa la città cadde in loro potere. Non citeremo altri fatti. Gli storici moderni, anche cristiani, suppongono che queste apparizioni non fossero che l’effetto di una immaginazione malata. Noi al contrario crediamo, dice Rohrbacher, che dopo i sacrifici dei Cristiani ed in mezzo alla loro afflizione, fu permesso, naturalmente alla fede cristiana, di credere che Dio inviasse ai suoi servi scoraggiati, come al Cristo agonizzante, dei messaggeri per ridar loro forza e coraggio. Secondo noi, attenendoci solo ai fatti riportati da testimoni oculari, vediamo, in questa serie di meravigliosi avvenimenti, la prova che le crociate fossero volute da Dio.

IV.

Quali furono i risultati delle Crociate? Il movimento dei Crociati tenne l’Europa in suspens per più di tre secoli. La prima grande spedizione, secondo le valutazioni di Foucher de Chartres, mise sul cammino della Terra Santa circa sei milioni di crociati. Le successive spedizioni, meno numerose, è vero, non lasciarono però all’Oriente prevedere un termine agli sforzi di una moltitudine di Cristiani. Se è vero che la civilizzazione cammina con le armate, dobbiano naturalmente credere che i Crociati, con i rapporti stabiliti, modificarono profondamente la situazione del mondo. Forse non è temerario dire che esse furono lo strumento scelto dalla Provvidenza per l’avanzamento dell’umanità. Si cita volentieri, a questo soggetto, la parola di M. de Maistre: « Nessuna crociata riuscì in pieno, anche i bambini lo sanno; ma tutte sono riuscite, e questo è quanto gli uomini stessi non vogliono vedere » L’antitesi è falice, ma non è vera che a metà. Nessuna crociata è andata fallita. Lo scopo primario di queste spedizioni era quello di onorare la Croce della tomba del Salvatore, di punire e riparare le profanazioni che vi facevano i saraceni, di riconquistarli con la forza, ridando ai Cristiani di Occidente il libero accesso ai Luoghi Santi. Questo scopo è stato raggiunto fin dall’inizio e non se ne sono poi mai persi i vantaggi conseguiti. Se le Crociate hanno fallito nella conquista della Terra Santa e nel ristabilimento definitivo del regno di Grusalemme, occorre dire che questo reame e questa conquista non erano, agli occhi della loro prudenza, che un mezzo per assicurare la fine delle Crociate. Almeno essi hanno ottenuto ciò a cui aspirava la loro pietà verso il Santo Sepolcro e la loro carità verso i Cristiani d’Oriente. Infatti, l’ “uomo propone e Dio dipone”, e bisogna essere fortemente ciechi per non riconoscere in questi relativi insuccessi le vedute sempr magnifiche della Provvidenza. A nostro umile avviso, la riuscita è stata pari a quanto si poteva desiderare: conservando i nostri diritti sui Luoghi Santi, noi abbiamo perso Gerusalemme. Il turco, padrone della Palestina, l’ha votata alla sterilità; così si compiono le profezie di rovina e di Gloria che riguardano il santo Sepolcro. È una armonia provvidenziale che i Cristiani soffrono sul teatro della Passione. Grazie alle loro umiliazioni, i Cristiani conservano per i Luoghi Santi sentimenti di vera pietà. Chissà, se noi fossimo rimasti padroni di Gerusalemme, forse la civilizzazione vi avrebbe portato le sue follie e le sue snervanti mollezze. Il Paese sacro per eccellenza sarebbe stato disonorato per la mal condotta dei Cristiani. – Le Crociate hanno tuttavia portato indirettamente degli immensi risutati: religiosi, politici, scientifici e letterari. Procediamo a farli conscere.

V.

Parliamo inizialmente dei riultati religiosi. Il primo, è di avere, con una diversa potenza, arrestata la tendenza razionalista che cominciava a sorgere nell’Europa cristiana. L’uomo non resta senza grande virtù nella semplicità della fede. Nel suo spirito c’è un fondo di inquietudine che lo spinge a scrutare le cose nascoste, ed in questo spirito un fondo di debolezza che non gli permette di scoprirlo sempre, o se lo scopre gli impedisce di sopportarne lo splendore senza esserne abbagliato. Nel X secolo, questo male cominciava a manifestarsi. Scott Eriugena e Gotescalco erano caduti in eresia. La vicinanza degli arabi faceva temere per la temerarietà dei sapienti, il contagio di falsi principi. Il movimento guerresco dei Crociati tagliò corto questo movimento di idee. Il pensiero Cristiano, depurato da errori e non esausto da dispute, guardò questa forte lucidità a ciò che irradiava nei capolavori innumerevoli del XIII secolo. Un secondo risultato religioso delle Crociate fu quello di aver rsvegliato la fede con la potenza delle idee che esprimevano e facendo fare a grandi colpevoli delle grandi espiazioni. La fede, anche se pura, tende incessantemente nell’uomo e deviare, sia per il semplice fatto dell’infermità umana, sia per l’influenza delle cattive inclinazioni sulle convinzioni. Nel Medio-evo, questa seconda causa esercitava sui Crociati una funesta influenza. L’uomo rude di questa epoca aveva la fede robusta e delle passioni violente; a dispetto di una fede che non doveva suscitare se non dei rimorsi, questi commetteva spesso i crimini più grandi; quando i predicatori vennero a lui, con la croce in mano, e gli parlarono di Gesù morto e del suo Sepolcro oltraggiato, la sua coscienza si risvegliò. I signori vendevano le oro terre per farne delle fondazioni pie, e con il ricavato dalle vedite contribuirono alle spese della spedizione, sopportandone così il carico maggiore. Il contraccolpo di queste penitenze fu, con un salutare rilassamento dela disciplina, il far sparire le istituzioni penitenziali della Chiesa primitiva, create solo in vista di bisogni passeggeri. Il Pellegrinaggio, le fondazioni, furono da allora una delle istituzioni pubbliche di penitenza. Un altro risultato fu quello di avere eccitato la pietà per il numero di immense reliquie che fu portato dalla Palestina in Europa. I viaggiatori che hanno visitato il Belgio o le rive del Reno conoscono bene questi preziosi tesori. Ed il cristiano che ha baciato una volta la traccia di sangue e le ossa di un martire sa quale virtù ne fuoriesce per animare la pietà. Inoltre queste Crociate, sempre predicate, dirette da lontano dai Papi, contribuirono grandemente all’esaltazione del Papato. In mezzo a questa spedizioni, l’Europa era come una anfizionia, una lega, che aveva come presidente il successore di San Pietro. Questa elevazione della Cattedra Apostolica doveva concorrere efficacemente allo sviluppo della civilizzazione cristiana per non essere considerata patrimonio religioso delle Crociate. – Infine, le crociate, dopo aver dato ai fasti militari di tutti i popoli. i nomi di grandi guerrieri, legarono alla Chiesa gli ordini militari. Gli ordini militari del Tempio, di San Giovanni di Gerusalemme, dell’Ordine Teutonico, di Calatrava, di Aire, sono la continuazione delle Crociate. Questa meravigliosa associazione della vita monastica e della vita religiosa, sostenendo sempre più la Croce contro gli sforzi della mezzaluna, rese alla Cristianità illustri servizi.

VI.

Dei i risultati sociali delle crociate, noi menzioniamo soltanto i due più importanti: la cessazione delle guerre private e la repressione del maomettismo. Prima di essere addolcite dal Criatianesimo, dice Rohrbacher, le popolazioni che compongono l’Europa non amano che la guerra. Il franco, il goto, il lombardo, il sassone, il vandalo, non lasciano mai la propria spada: è questa la sua vita e la sua salvezza durante la guerra; il suo tribunale e la sua giustizia durante la pace, così come può concepirsi la pace tra popolazioni barbare sempre in armi. Da qui, per chi ci pensa, è facile capire quanto sia servito alla Chiesa di Dio, di tempo e pazienza, per domare e addolcire questa moltitudine sì diversa di caratteri intrattabili. La grande “edulcorazione” dell’Europa da parte della Chiesa, avanzava molto facilmente sotto Carlo Magno; ma già sotto suo nipote, Carlo il Calvo, i terribili uomini del nord vennero a turbare ed interrompere questa assimilazione cristiana dell’Europa, non solo per il fatto che introducevano con la loro persona un elemento troppo selvaggio, ma per il fatto che, per l’impotena dell’autorità pubblica nel difendere la Francia contro le loro incursioni, ogni città, ogni monastero, ogi signorotto, ogni proprietario terriero, fu formalmente autorizzato a difendersi da sé. Da qui questa abitudine, già così naturale in questi popoli, di farsi guerra, non tra individuo ed individuo, ma tra città e città, tra castello a castello. Per porre un termine a queste guerre private, i Vescovi ed i Concili avevano ordinato una tregua divina; ma a questo male occorreva un rimedio più grande. Le crociate stornarono le passioni dalle loro sanguinose rivalità e diedero all’ardore bellico un nobile scopo, trasportando le ostilità d’Europa in Asia, sventolando in queste regioni lo stendardo di Cristo, e rimediando ad un’altra calamità: la mezzaluna e la croce erano irreconciliabili per natura. L’inimicizia era giunta all’ultimo grado di furore per mezzo di una lotta lunga ed accanita. Sui due lati: dai vasti piani ed una vasta potenza; sui due lati: popoli arditi, pieni di entusiasmo e pronti a precipitarsi gli uni sugli altri; sui due lati: grandi probabilità e speranze fondate sulla base del tionfo. A chi resterà la vittoria? Qual condotta dovevano tenere i Cristiani per preservarsi dal pericolo? Era meglio attendere tranquillamente in Europa l’attacco dei musulmani, o sollevarsi in massa, precipitarsi in Asia, attaccare là ove il nemico si credeva invincibile? Il problema fu risolto in questo ultimo senso, ed i secoli hanno dato il loro suffragio all’abilità di questa risoluzione. Cosa importano alcune declamazioni affettate del filosofismo! La filosofia della storia ha portato su questa causa un giudizio irrecusabile: su questi punto, come in tutti gli altri, la Religione ha trionfato sul tribunale della filosofia. Le Crociate, lungi dall’essere considerate un atto di temerarietà, sono oramai considerate come un capolavoro di sapienza sociale che, dopo avere liberato l’Europa dalle due divisioni, assicurò la sua indipendenza e conquistò ai popoli cristiani una decisa preponderanza sui musulmani.

VII.

Le modifiche politiche che si possono attribuire alle Crociate, si intrecciano in una serie di cause e di effetti correlati, e si riassumono nell’abbattimento della feudalità. Il feudalismo, all’origine, fu uno strumento di civilizzazione. Con la moltiplicazione della autorità locali, esso aveva lottato corpo a corpo con tuttti i princȋpi del disordine interiore, ed aveva visto il flusso delle incursioni nomadi sgretolarsi sotto i bastioni dei suoi castelli. Era come un rudimento di organizzazione sociali. Ma in seguito, questa stessa moltiplicazione di poteri, era stato un fermento di guerre private; per di più, ai signorotti laici, ripugnava l’affrancamento dei servi; di modoché la feudalità era divenuto un ostacolo al bene del popolo ed alla fondazione delle unità nazionali. Con la vendita dei feudi, la morte dei signorotti, o semplicemente con le conquiste fatte nello spirito di uguaglianza, le Crociate portarono al feudalesimo un colpo decisivo. Dal suo affievolimento risultano l’affermarsi del potere reale, lo stabilirsi di comuni, la formazione del terziario, l’affracamento dei servi, l’epurazione delle moltitudini armate ed una riconciliazione sensibile tra le diverse classi sociali; a questi effetti politici si collegano: 1° il progresso dell’arte militare in rapporto alla tattica, alla disciplina ed alla organizzazione finanziaria, 2° l’affermazione della marina, lo stabilirsi dei contatori, l’espansione del commercio, la distruzione dei pirati del Mediterranei e la definizione di un codice marinaro, 3° l’iniziazione dell’industria europea ai segreti dei Greci e dei saraceni. Infine i risultati scientifici e letterari furono immensi: la geografia imparò a conscere meglio il mondo; la storia ebbe dei nuovi soggetti e analisti meno sprovveduti; la filosofia si elevò prendendo Aristotele come testo base e le università come teatro; la medicina, le scienze matematiche, l’astronomia, presero un rapido slancio; le lingue moderne ricevettero un nuovo impulso di formazione; la lingua francese conquistò il suo ascendente; l’architettura si aprì delle vie veramente originali che devon qualcosa alle reminiscenza dei crociati; infine la poesia sembrò fremere davanti al materiale di una nuova Iliade. Tali sono, senza parlare degli effetti secondari e dell’nfluenza che fu esercitata sul maomettismo, i risultati generali delle Crociate. Tracciando questo quadro sommario, noi non vogliamo asserire che gli uomini dai quali furono concepite le Crociate, i Papi che le eccitarono, i signori ed i principi che li secondarono, i popoli che li seguirono, avessero misurato l’immensità di questi risultati. Ma facciamo però osservare che più che attribuire tali risultati alle previsione degli uomini, bisogna inchinarsi davanti all’importanza provvidenziale degli avvenimenti. – Noi diremo anche che la grande e generosa idea delle Crociate fu concepita con una certa vaghezza, ed eseguita con una certa precipitazione, frutto dello zelo e degli errori dell’impazienza. Ma gli errori e i tristi risultati dai quali le cose umane non sono mai esenti, occorre qui attribuirli all’imprevidenza ed alla debolezza degli uomini, all’imperfezione ed anche alla scarsità di mezzi materiali, benché la Chiesa avesse sollecitato a prevenire le impruenze, impedire i crimini e scongiurare imprese disastrose. Gli errori ed i guai entrano comunque nei disegni della Provvidenza che voleva alfine tenere la Cristianità in allerta , non annientando troppo presto l’islamismo.

JUSTIN FÈVRE, Protonotario apostolico.

[La Chiesa, la Sposa Immacolata di Cristo, non deve chiedere scusa a nessuno, mai e per nulla! Le infamità sono state e vengono compiute dagli infiltrati, i servi del “nemico”, ieri ed oggi sprattutto. Essi devono pentirsi, finché sono in tempo, davanti a Dio! Dopo sarà per loro pianto e stridor di denti in eterno! ndr. -]

IL PAPA DELL’ASSUNZIONE DI FATIMA (2)

[Card. F. Tedeschini, da: Attualità di Fatima, Città della pieve, 1954 –impr.-] 

IL PAPA DEL SANTO ROSARIO

Nell’illustrare le mirabili e, a prima vista, non immaginabili, incredibili coincidenze tra il Papa e Fatima, longa adhuc restat via; e quando uno creda di averla percorsa, sempre longa adhuc restat via; onde correre è d’uopo, e contentarsi di prelibare, e di scegliere fior da fiore. Coincidenza sesta. Quale è la sesta? Dicemmo, raccolta dalle labbra Mariane, la necessità d ella preghiera; l’urgenza della penitenza; l’invito ai peccatori: convertitevi! e quello che or ora abbiamo visto come contenuto dell’Anno Ma due cose altresì, vogliamo raccogliere  dagli accenti Mariani: le più belle e le più salutari. L’una, conosciuta da sette secoli e rimasta nella pia costumanza cristiana alla guisa di un  sacramentale; l’altra, non nuova essa pure, ma di tarda cognizione; e per i1 costante ed universale ed imperdonabile oblìo in cui era caduta, quasi sconosciuta, e certamente negletta!

Il Rosario, la prima cosa; il Cuore Immacolato di Maria, la seconda. Con l’una un ricordo volle ridestarci Maria, quasi ad immemori e non adeguati estimatori. Il Rosario è qua e là praticato, ma non sempre come preghiera familiare; e meno ancora quotidiana, essendo questa una caratteristica di ben poche, e sempre più poche famiglie. – Col ricordo, uno sprone; e con lo sprone, un velato, tenero, materno rimprovero. Con l’altra, Maria ci dà un annunzio: ci porta, da parte del Figlio, un messaggio, e sempre da parte del Figlio, ci svela, sì, un segreto, e  ci trasmette un desiderio. Desiderio di un Dio, manifestatoci dalla sua Madre; qual comando maggiore?

Il Rosario? Indicibile mezzo di salute! Insuperabile arma! Infallibile istanza! – Il mondo lo sapeva; fin dal secolo XIII dalla ispirata predicazione del Santo spagnolo che, con San Francesco e con S. Bernardo, più incantò il divino Poeta. – Lo sapeva, ma lo negligeva. Sapeva quanto grato fosse a Maria; quanto potente per l’aiuto dei cristiani; quanto efficace per la confusione delle eresie; e quanto beneficio per la cristiana integrità e perfezione delle famiglie, e per le grazie che il focolare domestico ne trae. – Sì, il Rosario era divenuto preghiera di pochi; anzi di eletti. E se necessità vi è di preghiera, e di tal preghiera, provvido stimolo  è stata in Fatima la dolce voce di Maria, e non di essa sola, ma anche del Figlio, perché questa torni ad essere la preghiera non solo comune, ma  universale; non solo d egli eletti, ma di tutti! non solo dei timorati di Dio e dei devoti di Maria, ma anche dei peccatori, degli ingrati, dei ribelli. E tanto è a cuore alla Madre di Dio il commendarlo che, Maria, più che in nome suo, ne fa in nome di Dio ed in vista delle anime, l’intento massimo e l’argomento principe ed in ognuno dei sei giorni incultato, delle sue memorabili apparizioni. Dicemmo dianzi che cominciano i misteri! E nelle raccomandazioni del Rosario, e nelle insistenze di Maria SS.ma, come non vedere un altro mistero? – Alla santificazione del mondo, con la conversione dei peccatori e con l’infervoramento dei giusti, non si perviene con istrumento più facile, più idoneo, e più confacente agli individui e dalle famiglie, del santo Rosario. – Le cose più semplici il mondo non le intende. L’occhio del mondo si ostina a non voler essere né semplice né lucido. E allora, dopo sette secoli, Maria si fa, al mondo, amorosa predicatrice e premurosa taumaturga. – E io domando al mio spirito: perché dal secolo scorso Maria ama mostrarsi sempre col Rosario, e il Rosario non intrecciato e quasi occulto fra le auguste mani, ma pendente da quel braccio, che è il più assomigliabile al braccio dell’Onnipotente? Vivente Maria, nessuno la salutò col Rosario. Ma bene l’aveva salutata con le più preziose parole del Rosario il grande Arcangelo dei grandissimi messaggi: Gabriele. Come nel Rosario dalle nostre labbra, cosi erano allora uscite dalle labbra dell’Arcangelo le parole che iniziarono la redenzione: Ave Maria, gratia piena, Dominus tecum! Ed uscite da labbra, ispirate dallo Spirito Santo, di cui Elisabetta era ripiena, erano già le altre paradisiache parole, con cui la nostra Ave Maria ed il nostro Rosario continuano il messaggio dell’Arcangelo: Benedicta tu in mulieribus et Benedictus fructus ventris tui! Ma ora Maria ci visita, per tornare a parlarci le parole che fece risonare nel cuore di S. Domenico. – Tempi tristissimi, anche quelli e non i nostri soltanto: e tempi di urgentissimo soccorso. Pregate e non discutete, ispirò Maria a San Domenico. E per pregare, ripetete le parole dell’Arcangelo e di S. Elisabetta. Parole dell’Arcangelo e di Santa Elisabetta, che non vedranno tramonto, per l’ineffabile evocazione del Verbo incarnato, e per il ricordo di quel saluto, che è il saluto, al cielo e alla terra il più caro possibile, dacché contiene la prima proclamazione della maternità divina, e la beatitudine di chi crede. Mater Domini mei! Beata quæ credidisti! – Ma a chi, più che ad altri, piacciano queste parole? Piacciono, occorre dirlo subito, a Maria innanzitutto. Non lo vediamo noi, che amiamo il Rosario, con l’esperienza quotidiana? E piacciono a Lei, perché non può non esserle gratissimo, il ricordare l’infinito privilegio: essere piena di grazia! E ricordare il privilegio infinitissimo: essere la madre di Dio, e la benedetta fra quante donne possano esistere! E piacciono al Figlio; e infinitamente più che alla Madre. Un Figlio è sempre l’innamorato della madre! Lo sono io; lo siete voi! E se al figlio, umano figlio, piace sentire l’elogio, e il ripetuto elogio, della propria madre mortale, chi comprenderà quanto più piaccia all’Unigenito dell’Eterno Padre, sentire dalle labbra coscienti e riconoscenti dei suoi redenti, e sentire per 150 volte in ogni Rosario perfetto, le lodi della Madre che Egli si elesse, che Egli si fabbricò, che Egli si eccettuò dalla comune infezione, e quanto non debba una sì indovinata preghiera muovere Madre e Figlio ad esaudire gli invocanti, a bandire i mali, a rendere sane famiglie e Nazioni? Solo sei Pontefici poterono ascoltare reiterato e celestialmente proclamato il mariano e divino desiderio. Da Lourdes in poi; e furono Pio IX, Leone XIII, Pio X, Benedetto XV, Pio XI, Pio XII; e tutti si affrettarono a farsi banditori della necessità del Rosario, ed il Rosario propagarono e fomentarono in individui, in famiglie, in popoli interi. Chi non ricorda, per attenerci ad uno solo, le splendide Encicliche di Leone XIII e la consacrazione del mese di ottobre che Egli volle offrire a Maria? – Tutti i Papi, a dunque, estasiati dall’apparizione di Lourdes, portarono sul loro braccio, come Maria, la corona del Rosario, e con facile gesto, esso indicarono come sicura salvezza. – Ma il Papa che udì il ricordo ed il comando di Maria e del Divino Figlio, non pure da Lourdes, ma anche da Fatima, e ribadito in sei continue apparizioni, come strumento di grazie, e lo udì fin dalle ore stesse in cui Egli ricevette la pienezza del sacerdozio, è solo il nostro dilettissimo Papa, Pio XII. – E perciò Egli si è fatto, non pure autorevolissimo commendante, come i precedenti Pontefici, ma anche peculiarissimo delegato ed invitante, con quell’invito che non solo vale e muove, ma rapisce e trascina: l’esempio. Ed eccolo, memore ed ossequiente, recitare Rosario col popolo cristiano: nella sua augusta Cappella, sulle onde della Radio, nella Basilica di S. Pietro, con i bambini, coi poveri, col suo popolo, col mondo. – Contatto, questo, il più tenero, familiare, personale, filiale del nostro eccelso Papa, con la Madonna di Fatima. Lo stesso contatto, vorrei dire che, per lo storico miracolo, operato da Maria! quella che fu per i cristiani, ben più che per Napoleone le Piramidi, la più grande occasione dei pericoli, nelle acque di Lepanto, sperimentò prodigiosamente il Santo Papa Pio V, allorché, ora tutto il mondo cattolico per la difesa, l’incolumità e la salvazione della cristianità, si vide visitato in estatica visione dalla Madonna nostra. E come non ci piacerebbe il pensare che anche a Lui Vergine dei Rosarianti apparisse con questa arma onnipotente: il Rosario sul braccio, affine questo passasse ad essere non pure il Rosario sul braccio, ma anche il Rosario su ogni labbro? E non fu questa, mi vien fatto d i pensare, la più bella televisione della storia?

IL PAPA DEL CUORE IMMACOLATO

Questo, il Rosario; ma il segreto di Maria che io dissi in Fatima svelato, quale fu? E quale fu l’ordine divino che, collegato alla rivelazione di Fatima, la Madre di Dio si compiacque comunicare?

Il Cuore Immacolato! La devozione al Cuore suo Immacolato! La necessità della consacrazione, del mondo e di quanti, famiglie o individui, il mondo compongono, al benedetto Cuore suo Immacolato! – Coll’insistenza che usò per il Rosario, e con non minore chiarezza e con non meno appassionato animo, inculcò allora Maria, premurosa dell’onore del Figlio, e della salute del mondo, la consacrazione al suo Cuore Immacolato, e la inculcò, non come volere suo, ma come volere del Figlio, e come rifugio supremo alle ormai sventuratissime genti e come certissimo mezzo per ovviare agli accresciuti mali della terra, e segnatamente allo ormai sempre minaccioso, sempre universale e sempre incombente flagello: la guerra! Il segreto, il segreto di Dio, era in realtà cosa conosciuta, ma anche essa sventuratamente obliata, o, come dicemmo, negletta. Appena cenni nella Liturgia. Appena il nome in qualche Istituto Religioso, dei più amanti di scrutarne gli inesplorati abissi delle bellezze del brillante infinito di Maria. Appena il passo, il più deciso, del Santo Antonio Claret, e di qualche altro conservo di Dio, nello scrivere sul glorioso Istituto: « Figli del Cuore Immacolato di Maria ». Per chiamare attenzione ed amore, tali, quali la Madre di Dio meritavasi, sul centro sensibile della sua Immacolatezza, fu d’uopo che il Figlio disponesse l’apparizione più bella, più ingenua, più familiare, più apertamente premurosa della sua Grande Madre, e che suscitasse ed anzi comandasse, e di Persona, la venerazione, la devozione, l’affetto a quel Suo e nostro Tesoro, che, sebbene ignorato prima o non curato, fu sempre alla nostra mano e sempre al tempo stesso, nel cielo; tesoro per il cui oggetto, la conquista dei cuori, tanto il mondo si affanna e sospira; tesoro che, più che l’oro e le pietre preziose, avvince e colma il nostro cuore, come affetto di madre. Si svegli pertanto il mondo a riconoscere, a bramare, a guadagnarlo tutto, il tesoro svelato, e sappia il mondo che, più prezioso del Cuore di Maria, non ci ha dato Iddio tesoro nessuno; e sembrò anzi non volere offuscarlo con troppa luce, giacché se al genere umano largì pubblicamente Maria e la sua Immacolata Concezione, la bellezza invece e il pregio della Immacolatezza li nascose tutti nel Cuore, in quel Cuore che nel purissimo Corpo, dopo l’anima, è la sede ed è la luce, ed è l’incanto della candidezza onnimoda della Madre di Dio. Sì; « Il Figlio vuole la devozione e vuole la consacrazione al mio Cuore Immacolato » disse Maria. – Il Figlio lo vuole; e la Madre lo annunzia. Non era della Madre il volerlo: era del Figlio! Era invece della Madre il commendarlo, perché ama il Figlio e perché ama i figli, ai quali vuole schiudere la nuova inesauribile fonte. Mediatore è del Padre il Figlio. Ma mediatrice e del Padre e del Mediatore Figlio, è la Madre. Così in Cana, principio dei miracoli della vita Pubblica; e così in Fatima, inizio dei più grandi miracoli dell’era Mariana, che ha per fonte un cuore: il Cuore Immacolato! Grazie, o inclita  Deipara, grazie dal fondo dei nostri poveri, miseri, macchiati cuori: grazie. Noi, si, diciamo grazie, perché mercé vostra, noi torniamo alla conoscenza ed al pregio di quel Cuore, nel quale conservate tutte le gesta della Redenzione, alla guisa di ogni madre terrena, che, nel cuore suo, custodisce ogni opera, ogni affetto, ogni anelito del figlio. Ma dal vostro cuore sono passati alle mani, alla voce, alla sollecitudine del Vicario di Cristo, il gradimento, il desiderio, il comando, svelatici  da Voi, o celeste Ambasciatrice; ed ecco perché il Papa, fin dal 1942, nel messaggio del 31 ottobre, tutto il mondo, Egli Capo e rappresentante del mondo, consacrò al Cuore di Maria Immacolato. – Era il secondo anno della più crudele delle guerre. Era il 25° del suo Augusto pieno Sacerdozio. Era il momento in cui più viva veniva dilatandosi l’eco delle esortazioni Mariane di Fatima; era, infine, il momento in cui universalmente era sospirato un celeste rimedio ai crescenti strazi della umanità. Quale migliore consiglio, quale più dolce balsamo, che consacrare il mondo a quel Cuore? Ed ecco perché il Pontefice, non pago di averlo fatto in uno storico messaggio, non tardò, come non si tarda negli affari che più stanno a cuore, a ripetere, e non col solo scritto o con la sola diffusione della Radio, ma in persona, con la sua presenza e con la sua Augusta voce, la consacrazione del genere umano, e, più da vicino, della sua diocesi Romana, datagli da Dio, e del Romano popolo, in mezzo al quale era nato, al Cuore Immacolato di Maria. Io ero presente l’8 dicembre del 1942. Era il giorno dell’Immacolata; e giorno dell’Immacolata vuol dire giorno, più che di altro, del Cuore Immacolato di Maria. Quale tenerezza nel Papa, in atto così paterno e commovente! Quale attenzione e quale unione nel popolo di Roma! Quali propositi in ogni cuore della capitale del mondo cattolico, che, con la preghiera pronunziata dal Papa e con l’offerta dei cuori dal Papa presentata, si sentiva legato, cuore a cuore, con la Madre celeste, e ne riceveva garanzia, pegno e gioia per sentirsi sicuro! Grazie; ancora una volta, grazie, o Maria, di averci svelato, e non solo, svelato, ma comandato, l’inestimabile segreto! E grazie per averlo voluto non solo pronunziare colle Vostre celesti labbra, ma metterlo nella parola, nell’opera nelle disposizioni del Vicario di Gesù! Grazie! voi ci avete confidata, permettetemi di così dire, la vostra debolezza per noi e quella del Figlio vostro per conseguire il nostro amore. Presa da questo lato, la fortezza si espugna.

FATIMA E IL DOGMA DELL’ASSUNZIONE

Se questo fu un ulteriore legame, e siamo già al settimo, tra il Papa Pio XII e la Madonna di Fatima, un altro ancora, il più divino e possente, Fatima ne fornì al suo gran Papa: l’Assunta. L’Assunta legata con Fatima? Il Papa operò dunque in relazione con Fatima definendo l’Assunta? Certamente, e nella guisa più intima. – L’Assunta, il domma dell’Assunta, la gloria di Maria come Assunta, la gioia nostra per l’Assunta, trovansi equidistanti tra il domma dell’Immacolata Concezione e l’Apparizione di Fatima. Equidistante, in ordine alla Concezione Immacolata, poiché se Maria fu Assunta in cielo, in anima e in corpo, tanto miracolo segue necessariamente all’essere Essa la Immacolata Madre di Dio! Onde questa unica fortuna, era voluta, o, come oggi suol dirsi, reclamata, dall’essere, Maria, Immacolata. – Equidistante da Fatima, perché dall’averci Essa svelato essere desiderio, del Divin Figlio che si instauri tra i fedeli la devozione al Cuore Immacolato di Maria, e che al medesimo si consacrino la Chiesa, il fede1e le Nazioni, non dovremo noi dedurre che questo concetto e questo invito hanno richiamato potentemente il pensiero della Chiesa e del Papa alla ininterrotta credenza dell’Assunzione di Maria in cielo anche col Cuore, ed alla opportunità e convenienza di corrispondere alla degnazione ed alla indicazione di Nostro Signore Gesù Cristo e di Maria, col proporre, il Papa, a Sé stesso come Vicario di Cristo, di contraccambiare la degnazione  con l’omaggio, e col cogliere il gran momento del terminare dell’Anno Santo, quale anno di penitenza inculcata da Fatima, per portare a definizione il domma già in ogni dove dalla Chiesa professato, e per utilizzare per la prima volta, dopo il Concilio Vaticano, ed onore di M a ria, privilegio Pontificio della definita infallibilità nella fede e nei costumi? – Piace dunque pensare piamente che alla superiore mente del Sommo Pontefice, mentre fu grato l’invito partito da Fatima, di onorare il Cuore Immacolato, sia anche da Fatima sorta la riflessione: lasceremo dunque, oltre questa propizia circostanza e dopo questa celeste e miracolosa esaltazione e segnalazione, che di quel Cuore, che si propone a culto, a devozione, a consacrazione, possa ormai alcuno opinare, senza mancare alla integrità della fede, essere esso soggiaciuto alla corruzione, e non debba piuttosto fermamente credere che trovasi assunto, Cuore di Madre con Cuore di Figlio, là dove il Figlio trovasi asceso? Questo, ben a ragione, dice Fatima: e con questo, Fatima apre il cammino al primo novembre del 1950. – Dall’anima al Corpo, ambedue senza macchia di origine, è breve il passo. Dall’invito di Cristo e di Maria, alla deliberazione del Pontefice, è ancora più breve. Aperta dunque e spontanea appare la via che da Fatima fino al Papa conduce, a dare forma dommatica alla conseguenza teologica del Cuore Immacolato, infondere la divina e ben pensabile ispirazione di dichiarare come esplicita e di fede, sulla fronte di Maria, quella corona che il popolo, nella infallibile tradizione della Santa Chiesa piamente sempre le attribuì, e della quale Fatima indicò la radice ed il merito primo, il Cuore Immacolato! Siamo dunque a quell’immortale, incomparabile, insuperabile primo di Novembre: festa di tutti i Santi; festa della più bella grazia dell’Anno Santo; festa della Regina del Cielo, dei Santi, dell’Anno Santo! E si apprende, con congrua anteriorità, che il Papa si è proposta una cosa grave ed insolita: il primo uso ufficiale e solenne del privilegio della Infallibilità. Infallibilità come concessione e come privilegio di Cristo, alla persona del suo Vicario; ed Infallibilità, come definita per il solo Vicario di Cristo, dal Concilio Vaticano. Imperocché, a chi spetta, secondo la dottrina cattolica, l’infallibilità promessa da Cristo alla Chiesa ed al suo Vicario? Alla Chiesa, sì, ma col suo Vicario; già lo dicemmo. Al Concilio, sì, con chi lo autorizza, con chi lo presiede, con chi lo approva: il Vicario di Cristo. Ma anche e specialmente e personalmente al Vicario medesimo, non dipendente, non condizionata, non ratificata dal Concilio o dalla Chiesa. Per lo contrario; ad esso solo: Tibi dabo! Rogavi prò Te! Non deficiet fides Tua! Pertanto non solo il Papa vagheggia la grande Idea: ma si decide. Prima, per altro, usa ogni presidio che la prudenza, divina ed umana, e le responsabilità dinanzi a Dio e dinanzi ai fedeli richiedono. Ricerche, studi, meditazioni consultazioni, preghiere. Preghiere soprattutto. E giunge, giunge davvero, e pare un sogno, e giunge con tutto l’Episcopato, con innumeri fedeli, con pellegrini che si accalcano come incessanti onde di mare; giunge bramato come il Natale, come la Pasqua; giunge come quel giorno  dell’8 Dicembre del 1854 auspicato fin dal concepimento immacolato della Figlia di Anna e Gioacchino; giunge il giorno della definizione dell’Assunta; della glorificazione, celeste e massima, sulla terra, della Madre di Dio; del nuovo riflesso sul mondo, di quella festa in descrivibile, quale fu nel cielo l’Assunzione vera. Noi la acclamiamo; il Cielo la feci e lo a testinone della universale esultanza di quel dì, ed anche ad artefice delle divine bellezze di quel dì! Divine bellezze; perché, chi potrà mai dare, a chi non fu presente, a chi tra i posteri leggerà, una pallida idea di quella giornata celeste! Primo Novembre! ma che cosa vide mai il Novembre di più bello? E che cosa videro mai di più mirabile i trecento sessantaquattro rimanenti giorni dell’anno? – Oh, sole! Oh, so1e di Dio! Oh, sole di Maria! Oh, sole di cui, in verità, si vide essere vestita Maria! Oh, sole, somigliando al quale, avanzò Maria ed avanzò su di noi Maria: processit sicut sui; essa che, unica, può procedere, incedere, stupire con tanto splendore, da apparire solo con ciò Madre di Dio; Incessa pulii il Dea! Ella che tanto è bella quanto non può mai esserlo neppure il Re degli astri, anche quando questo bellissimo Re vuole inchinarsi alla Regina del Cielo e della terra e sua per farle omaggio di bellezza! Cielo e terra quando mai foste così d’accordo? Orazio, dalle sublimi Odi romane, avrei io voluto vederlo, assistere a quel divinissimo istante! Allora, non avrebbe cantato: oh, sole! che tu non possa mai vedere cosa più grande di Roma! Voto, augurio e sogno solo dell’affetto! Ma avrebbe cantato: Oh, sole! ed, oh, Roma: voi non vedrete mai cosa più grande di Roma, in quel giorno, né giorno più grande di quel giorno! cosa non di sogno, né di effetto, ma di realtà, l’unica più splendida realtà del così bel sole di Roma! E la parola del Papa! E la comunicazione, che tutti, non solo intendevamo, ma scorgevamo, tra il Papa che definiva e Dio che lo assisteva! E la figura di Maria, che non cessò di essere fissa e dipinta in ogni occhio, come la Regina Assunta, incoronata, proclamata inscindibilmente dispensatrice, in cielo ed in terra, delle grazie ai mortali! E il plauso della sterminata moltitudine! E il pianto della commozione più cocente! E i canti; ed anzi il canto, unico canto di infinite, non voci, ma anime, del risonante per tutta la immensa Piazza Te Deum Laudamus.

IL MIRACOLO DEL SOLE

Ma passiamo alla nona nota: la nona relazione di Fatima col Papa! Quante note, quanti rapporti, quanti legami! E più sarebbero di quanti noi ne accenniamo! E tutti, i più veri! – Ma uno mi sta più che mai a cuore rilevare qui; come, d’altronde, lo rilevai, e dinanzi a moltitudine estatica nel gran giorno della chiusura ufficiale dell’Anno Santo in Fatima, ed alla guisa stessa, con cui, presso il Trono del Cuore Immacolato di Maria di Fatima, io stimai di poterlo rilevare e rivelare: a titolo, cioè, esclusivamente mio, ed assumendo io stesso, io solo, e nella maniera più ampia, ogni possibile non pure responsabilità, ma apprezzamento e commento; il miracolo, voglio dire, del sole di Fatima, nel giorno ultimo delle celesti apparizioni, 13 ottobre 1917; miracolo ripetuto, rinnovato, e, sono per dire, accresciuto, e vedrete il perché, in Roma agli occhi del Papa, nella sua Sede Vaticana! A chi sfuggirà mai, l’immenso, superiore significato di tanto prodigio? In quei giorni? Nelle circostanze della definita Assunzione non solo dell’anima, ma altresì del corpo e del Cuore Immacolato di Maria Santissima, al Cielo: quando Maria, insieme al prodigio, di null’altro parlò con più calore come del Cuore Suo, Cuore Immacolato e Cuore vero nel Cielo? – Era nel giorni della definizione; ed in uno essi, in un incontro, per adunanze ufficiali, con Sua Santità, la Santità Sua, visibilmente commossa, si degnò confidarmi: « Ieri ho visto un portento, che mi ha profondamente impressionate » – E mi raccontò come avesse visto il sole, in quella forma, con quei prodigi, in quella apocalittica convulsione, con cui noi sappiamo che si esibì a trentamila persone in Fatima! – Il sole, chi potrebbe descrivere quale fosse! solo ripetere le auguste parole? – Io rimasi attonito, muto, trasumanato! Era la prima volta che io sentiva e quasi vedeva parlare un redivivo: l’ispirato di Palmas Evangelista! E il Pontefice, tanto commosso e tanto colpito, come non lo vidi mai. – Scorsero i giorni; ed io passai ad altri pensieri; ma non dimenticando; ruminando al sempre il celeste, e giammai né visto, né cantato né immaginato segno. – Volgeva intanto al termine il secondo Anno Santo; quello universale; e si approssimava la solennità della chiusura, insieme a questo quesito: dove sarà chiuso? Ma non, per la verità, insieme all’altro: Chi sarà delegato a chiuderlo? E allora si degnò il Papa inviarmi un alto Prelato della sua Segreteria di Stato, per dirmi che Sua Santità mi affidava, se così fosse di mio piacimento, l’Augusta Missione di presiedere, quale Suo Legato a Latere, la solenne chiusura, e questa, nel Santuario di Fatima. Per la Madonna, per il Papa, per Fatima, per il Portogallo, accettai, e con riconoscenza. Sennonché, meditando io sui prodigiosi avvenimenti del 1917 in Fatima, e studiando il fenomeno e miracolo, nuovo nella storia del mondo e della Chiesa, del sole, col quale piacque a Maria Santissima dare la promessa conferma delle sue celesti rivelazioni ai tre bambini ed a tutta la moltitudine per tanto annunzio adunatasi in Fatima, io mi sovvenni della Augusta conversazione, che Sua Santità si era degnata tenermi; e subito pensai che il complemento, ed anzi l’ampliamento di quel miracolo, ripetuto agli occhi del Vicario stesso di Cristo, e rinnovato nelle circostanze rilevantissime a me confidate, non fosse da tenere occulto; occorresse, invece, darne la notizia ai fedeli, ai devoti, ai figli tutti di Maria, a conforto e d’incoraggiamento, di loro e del mondo, ed anche in ottemperanza alle parole del Vangelo; “Videant, et glorificent Deum”! – Via, non potendo e non volendo osare tanto per solo mio avviso, io mi permisi, in un giorno di sovrana udienza, la filiale domanda: Perdoni, Santo Padre; in che giorno accadde quel prodigio di cui Vostra Santità si degnò parlarmi? « No, no, non dire nulla », mi rispose il Papa. Sì; ripresi io; non dire nulla per sola vanità. Ma, se per la gloria di Dio? E, se per la gloria di Maria? E se per il bene delle anime? Tacere, allora, un prodigio, che Iddio ha operato per la sua gloria? Sua Santità rimase pensoso. Evidentemente assai le costava, specie per la sua fin troppo nota, abituale, delicatissima modestia ed umiltà, di autorizzare, sia pure condiscendendo, la manifestazione di un segreto, che, se di vera gloria a Dio ed a Maria, toccava non di meno così da vicino la sua Augusta Persona. – Ma, alla fine, cessò di opporsi. E tacque; e col tacere, lasciò che io agissi, secondo la possibile prudenza inseparabile della mia missione. Ed io lo ringraziai, assicurando che sarei stato fedele a Dio, alla Vergine ed a Lui, e che non avrei ecceduto i limiti di una mia, più che privata, apertura. Questa apertura io voglio oggi, a distanza di due anni e poiché mi consta essere stata quella mia rivelazione la fonte di un immenso bene e di consolantissima soddisfazione per le anime (e me ne dava anche recente conferma un Ambasciatore presso la Santa Sede, che nella sua lontanissima Nazione ne aveva raccolto le prove), questa io voglio consegnare in questo scritto, che, al solo scopo di apportare qualche bene alle anime, da anime rette e pie mi è stato richiesto; ed umilmente prego il Cuore Immacolato, perché si degni indirizzarlo, tutto, quanto è, a gloria Sua e dell’amato Pontefice. In qual giorno dunque ed in qual forma si produsse agli occhi del Papa questo portentosissimo fenomeno? Era il 30 ottobre 1950 — Egli mi narrò — antivigilia del giorno, da tutto il mondo cattolico atteso con tanta ansia, della solenne definizione dell’Assunzione in cielo di Maria Santissima. Verso le ore 4 pom., facevo la consueta passeggiata nei giardini Vaticani, leggendo e studiando come di solito, varie carte di ufficio. Salivo dal piazzale della Madonna di Lourdes verso la sommità della collina, nel viale di destra che costeggia il muraglione di cinta. A un certo momento, avendo sollevato gli occhi dai fogli che avevo in mano, fui colpito da un fenomeno, mai fino allora da me veduto. Il sole, che era ancora abbastanza alto, appariva come un globo opaco giallognolo, circondato tutto intorno da un cerchio luminoso, che però non impediva in alcun modo di fissare attentamente il sole, senza riceverne la minima molestia. Una leggerissima nuvoletta si trovava davanti. Il globo opaco si muoveva all’esterno leggermente, sia girando, sia spostandosi da sinistra a destra e viceversa. Ma nell’interno del globo si vedevano con tutta chiarezza e senza interruzione fortissimi movimenti. Lo stesso fenomeno si ripeté il giorno seguente, 31 ottobre, e il 1° novembre, giorno della definizione; poi l’8 novembre, ottava della stessa solennità. Quindi non più. Varie volte cercai negli altri giorni, alla stessa ora, e in condizioni atmosferiche eguali o assai simili, di guardare il sole per vedere se appariva il medesimo fenomeno, ma invano; non potei fissare il sole nemmeno un istante, rimanendo subito la vista abbagliata. Questa è, in brevi e semplici termini, la pura verità. – Quattro volte pertanto; e sempre e tutto nel periodo della definizione del Domma dell’Assunzione di Maria; ed una di quelle volte, il giorno stesso, quasi a solennizzarla; l’altra e la terza nell’antivigilia e nella vigilia, quasi a prepararla; la quarta, nell’ottava, come a suggellare e la festa e l’evento e la sua prolungazione nel futuro. Chi potrebbe ora non vedere il più stretto, celeste, e presso che inimmaginabile fra i legami intercedenti tra la Vergine di Fatima ed il Papa? Tra la Vergine Assunta in Cielo, e il Papa che tale la definiva? Fra l’Anno Santo di Roma e del mondo, e la gioia del Cielo, sia per l’omaggio fatto a Maria, sia per la pietà dimostrata ed i frutti nell’Anno Santo raccolti? Oh, santa e cara Madre di Dio, grazie! Ed oh, carissimo Padre nostro, il Papa! Grazie; grazie per me; grazie per il mondo; grazie per la Chiesa! Ma grazie, soprattutto, per Maria! Ed a voi, o Padre Santo, oltre che grazie, perdono io dico, e perdono io chiedo per quanta violenza ebbe a costarvi la vostra degnazione verso di me. Voi, che delle approvazioni del Cielo, vi compiaceste solo per la Chiesa, mentre per Voi riservaste pene ed amarezze, insieme alle fatiche, alle lotte, alle sollecitudini omnium ecclesiarum. Voi che accedeste solo per affetto alla Chiesa, solo per amore a Maria! Grazie! E la Madonna di Fatima benedica e consoli Voi; e se le mie parole non sanno dir tutto, parlate Voi, o Maria, il linguaggio che arriva ad ogni cuore e vi arriva con infinita più precisione e finezza che, in materia così divina, non sappia penna umana raggiungere o pensare, e meno ancora la mia, se non col desiderio, con l’intenzione, con la grazia.

 FATIMA, ANNO SANTO PERENNE

Amo chiudere questo mio umile scritto, con accennare ad un’altra relazione del Vicario di Cristo con la Santissima Madre nostra di Fatima: il decimo dei tanti vincoli, che ad un osservatore, amante di Maria e del Papa, sarebbe dato di descrivere. Ed il vincolo decimo è, mi si perdoni il ravvisarlo deliberatamente così, un altro miracolo! Un altro miracolo, fatto da Maria di Fatima, e fatto in Portogallo, e fatto per amore alle anime di una così nobile e cattolica Nazione, per ossequio e difesa della Chiesa, per affetto al Romano Pontificato, per tutela della cristiana civiltà. – Chi non ricorda l’infausto periodo, che il piccolo e grande Portogallo, grande nella storia, nel Cattolicesimo, nelle opere, nelle scoperte, nelle missioni, nella propagazione della Fede, ed infine nel suo glorioso Impero, attraversò dopo la prima decade del presente secolo? Per mio conto, io accennerò solo, e di sfuggita, alla solenne Cappella Papale per la celebrazione di una Messa di Requie, nell’Aula delle Beatificazioni al Vaticano, alla presenza dell’allora Beato Pio X, nel 1911, in suffragio della Famiglia Reale del Portogallo, caduta per regicidio. Io vi assisteva; e ricordo l’atmosfera di mestizia che dominava nella maestosa Cappella. Quel luttuoso episodio fu il segnale e l’insegna massima dell’anticristiano sconvolgimento, che travolse il Portogallo in quei tristissimi anni e che tanto cordoglio gettò nel cuore del Santo Pontefice e in quello dell’amata Chiesa e Nazione Portoghese. – Come l’esperienza sempre dettò, la Santa Chiesa in una sola maniera resiste alle persecuzioni e le vince: soffrendo! Alla Chiesa che ha quattro note: una, santa, Cattolica e Apostolica, una quinta si addice, che tutte le riassume: Perseguitata Soffrendo, adunque: soffrendo e confidando nell’aiuto immancabile, del Fondatore ed in quella sua infallibile parola: “confidite! Ego vici mundum!” – Chi non sa d’altronde che Iddio, se fece le anime convertibili, fece le Nazioni sanabili? Sanabili; ma in quanto tempo? Imperoché la vita delle Nazioni non è breve e fugace come la umana. – Per il Portogallo invece Iddio volle, non pure operare un inconsueto prodigio, ma il più significante dei prodigi, nel voler sana la Nazione con prestezza anche più mirabile che non fosse quella usata al suo popolo eletto. Parve come se dolesse al Cuore di Dio, che la Chiesa ed il mondo cristiano restassero a lungo privi dell’esempio, della luce e della sacra libertà della benemerita Nazione. – Trascorrono pochi anni, non più di sette, e, senza nessuno degli accorgimenti politici, per non dire delle insidie, pubbliche o recondite, che dall’esterno e dall’interno avevano preparato, condotto ed imposto il trionfo sovvertitore, ed anche senza nessuna delle riscosse che sogliono maturare negli oppressi, e senza neppure le abilità e le industrie che la diplomazia ed i cuori vogliono usare, il Portogallo, come il forte inebriato che si desta e rinviene, ricupera di repente il proprio controllo, e la antica coscienza, e spogliate le estranee vestiture nemiche, torna, con nobile e forte gesto, alla derelitta Casa del Padre. – Quando accadde la splendida e finora non mai superata conversione? Nel 1918! Io ricordo, quasi come di ieri, perché partecipe anch’io, la visita che, con l’abituale sua peculiarissima bontà, il Cardinale Gasparri, allora Segretario di Stato dell’indimenticabile Pontefice di quei terribili anni bellici, Benedetto XV, si compiacque fare, confidenzialmente, e sopra ogni uso protocollare, al nuovo Ministro Plenipotenziario che la Nazione Portoghese era tornata ad accreditare presso il Vicario di Cristo. E non meno ricordo come, nel luglio di quell’anno anche la Santa Sede si affrettò a dare pubblica prova di immutata benevolenza, nominando presso il Portogallo un suo Incaricato d’Affari nella persona dell’ora  Cardinale Aloisi-Masella. – Ed altresì ricordo le filiali premure, di cui, l’immediato successore del primo inviato, fece non solo dimostrazione, ma anche ambizione, verso ogni cosa che fosse relativa alla Santa Sede, fino a volere che io, allora Sostituto alla Segreteria di Stato, accettassi, autorizzato dal Pontefice, di essere Padrino di Cresima di uno dei suoi figli! Il torrente, straripato in quella magnifica Nazione, era tornato al suo alveo; aveva ripreso il suo vetusto secolare corso; si era rimesso nel maestoso suo andare. Dove cercheremo noi la intima ragione di così immediata, profonda, spontanea, onnimoda trasformazione? – Il pubblico, e la storia delle relazioni tra lo Stato Portoghese e la Santa Apostolica Sede, lo ignorano. Ma a me, che Iddio in tanta parte ha strettamente collegato agli avvenimenti e alle sorti di quella bene amata Nazione, è di luce meridiana. L’anno 1917, l’apparizione in Fatima e la materna e carezzevole visita della Madonna di Fatima al privilegiato Portogallo. L’anno 1918, il rinnovamento! il nesso è stretto ed istantaneo il prodigio, il rarissimo prodigio, è aperto, chiaro, indubitabile. – Ma le prove della presenza di una mano materna e di un Cuore materno ed immacolato sul Portogallo, continuarono; e se queste si moltiplicarono nel segreto delle anime e nell’irresistibile influsso spirituale sui governanti e sui governanti in ricambio, le corrispondenze del Paese alle ispirazioni della Madre furono, come devono essere in Stati Cattolici, manifeste, pubbliche e solenni; ed anzi, di tanto maggiore rilievo e pregio, quanto più ostentoso ed irriverente era stato il distacco, e quanto più, per quel lasso di tempo, era ancora ignoto, alla pietà ed alla ammirazione dell’universo, il mirabile poema delle apparizioni di Fatima. – Tardarono infatti le gesta di Fatima a percorrere il mondo, quanto più tardò, avvedutamente l’Autorità ecclesiastica a corroborare la credenza, col suo elevato giudizio. Ma, pur ignorata e nel silenzio, la protezione di Maria progrediva perché presente, e muoveva i cuori Lusitani a porgere al Pontificato Romano ossequi tanto maggiori e tanto stimabili, quanto più aspro era stato il dissidio e più vivente il ricordo. – Quello che fu massima prova, e la più ricercata, e la più intensa, non debbo e non voglio io passarla sotto silenzio, sebbene essa mi induca a far menzione della mia umile persona, la quale se a ciò si persuade, non è per l’io, ma per Chiesa e per Iddio, e perché ancor più visibile ne risaltino l’opera di Fatima, e la rispondenza filiale dei reggitori e del popolo. E Dio sa quanto più volentieri io accennerei all’argoménto, se si fosse svolto, non attorno a me, ma attorno ad altri. Si celebrava nel 1925 il quarto centenario del grande navigatore e scopritore Portoghese Vasco De Gama: e la Nazione volle celebrarlo con le solenni onoranze ed anzitutto con inviti ufficiali a Rappresentanze straniere. Straniera, certo, non era la Santa Sede; ma perché intima al popolo portoghese e perché dal popolo e dall’Autorità più studiosamente venerata, volle il Governo che alle celebrazioni la Santa Sede partecipasse per prima, e lo facesse con accreditare presso la giovane Repubblica un suo speciale Rappresentante. – La Santa Sede, sempre benevola e premurosa, offrì di destinare all’uopo, con nuove credenziali, il suo stesso Nunzio Apostolico, S. E. Mgr. Nicotra, che in quell’anno presiedeva alle relazioni diplomatiche col Paese. Ma non questo gradivano i Governanti; chiesero invece che un Inviato speciale venisse dal di fuori. Ed allora, di nuovo condiscendente, l’Augusto Pontefice Pio XI, di venerata memoria, ordinò al Nunzio di Spagna, che era lo scrivente, di recarsi per speciale mandato a partecipare ai festeggiamenti col nome e grado di Ambasciatore straordinario del Papa. Io pertanto a Lisbona mi recai il 23 Gennaio del detto anno 1925; e colà dimorai, così disponendo la Santa Sede, e così desiderando il Presidente ed il Governo, per ben otto giorni, tra le accoglienze, le attenzioni e le onoranze, che più potessero dar prova dell’apprezzamento dell’atto, e della riconoscenza, veramente nazionale e ufficiale, al Romano Pontefice. Io lo vidi, e tutti lo sanno; si delineava già, anche alla vista della storia, la salvezza operata da Maria. Maria aveva repentinamente, progressivamente, visibilmente, salvato quella che era da antico la terra di Maria; salvata la fede, salvata l’Autorità, salvati i cittadini, salvata l’economia, salvato l’Impero. Del Portogallo aveva Maria fatto la sua Reggia; il Trono delle sue grazie; la santa invidia dei popoli: e questo, dove? a Fatima! E questo, perché? per Fatima! – E non dimeno, allora di Fatima non ancora si parlava. Solo qua e là, qualche sobrio accenno, mantenuto in limiti di prudenza dagli ordini e dalle religiose investigazioni dell’Autorità della Chiesa. – Ma chi non saprebbe, mirando agli effetti, risalire alla causa? A Fatima; a Maria; all’amore della Madre; alla promessa, insita nella Augusta Mariana visita, dì protezione particolarissima al Portogallo, per primo, al mondo, di poi? Così si vide allora. Così si è continuato a vedere dal 1925 ad oggi; così sarà finché a Fatima duri l’eco della Celeste Visita, delle parole, della promessa, del patrocinio singolarissimo della Vergine, e di quello che fu il nuovo ed indubitato suo pegno: il Cuore Immacolato! Quale miracolo più stupendo e più insolito, e quale salvezza più piena? E’ la salvezza che può dare un Cuore, che ama, ma non misura: un cuore che non richiesto, né pensato, è venuto ad offrirsi; un Cuore che, non pago di essere amato nel Cielo, è studiatamente disceso a ridestare ed a riassumere il privilegiato amore di quella sua terra e del mondo. O amato Portogallo! Giacché la Madonna tua e nostra di Fatima, con così stretti vincoli mi hanno avviato al tuo benedetto suolo, io non cesserò di darne grazia alla Madre. Ma dopo la Madre, io al Pontefice, di cui ho avuto l’onore e l’intimo filiale gaudio di evocare i particolarissimi vincoli Suoi e del Pontificato, con Fatima, elevo ora la mia indicibile gratitudine per avermi eletto a rappresentare, nella chiusura dell’Anno Santo, il Papa che a Maria ispirante obbedì; a restituire, in nome del Pontefice di Fatima, la visita a Maria nel suo stesso Santuario, consacrato dai piedi, oh! quam speciosi, Evangelizantis Pacem; a far presente l’amatissimo Papa, al Santuario, alla Nazione, al mondo universo colà accorso con una fede ed un amore, di cui ho sempre negli occhi la meraviglia, e nel cuore la commozione. Chiuso, io proclamai, tra le benedizioni del Papa alla Nazione ed all’universo, e tra le incessanti acclamazioni dei popoli alla Vergine ed al Papa, l’Anno Santo; ma non per te, o Portogallo. Hæc lex — dice la Chiesa all’Immacolata — non est prò te, sed prò omnibus! – Per te l’Anno Santo rimane aperto nella inesauribile effusione di quella Madre, che amò farsi e chiamarsi Portoghese, che parlò in Portoghese al suo popolo e all’universo, e che rimane la tua massima gloria e la fonte perenne della tua celeste protezione e della ardente fedeltà con cui tu sai a Lei corrispondere! Ma più aperto, quale Anno Santo imperituro, rimane il Cuore Immacolato, che nella visione e nella rivelazione Portoghese fece immortale il Pontefice dell’Assunta e di Fatima, e che, svelatoci per amore, con amore guiderà l’umanità sotto la stella di Fatima.

Federico Card. Tedeschini

 

 

IL PAPA DELL’ASSUNZIONE DI FATIMA (1)

IL PAPA DELL’ASSUNZIONE DI FATIMA (1)

[Card. Tedeschini, da: Attualità di Fatima, Città della pieve, 1954 –impr.-]

Gran cosa parlare del Papa! Più grande, parlare del Papa nostro, Pio XII; ancor più grande, parlare del Papa e dell’Assunta! E più grande ancora, parlare del Papa, dell’Assunta e di Fatima: le tre cose più grandi che, non separate né lontane, ma unite insieme, i secoli abbiano visto, e che la storia della Chiesa abbia tramandato! Il vivere le cose, al di fuori della diretta impressione, le rende piccole; il guardarle nella storia, le ingigantisce nella luce dei secoli, ma in una statura anch’essa piccola, perché lontana. Solo il tornare a viverle da vicino, il meditarle e il tornare a meditarle, le pone nella vera grandezza. – Così è di questi tre temi: da una parte il Papa! Pilastro principale e pietra angolare dei disegni di Dio, sulla Chiesa; fonte inesauribile di vita e di sviluppo per la Chiesa. E dall’altra, i due aspetti, che ai nostri giorni ci hanno rappresentato Maria: Maria nell’Assunzione e Maria in Fatima. Ma fra i tre, Papa, Assunzione e Fatima, questa sta nel centro: Fatima, il nome più piccolo della geografia, tanto da essere stato sempre, fino a noi, trascurabile ed anche sconosciuto; ma ora scelto ed innalzato a fastigi mondiali da Colei che sempre « respexit humilitatem » .

LA VERGINE E LA INFALLIBILITÀ’ PAPALE

Ma dirò di più: da questa altra parte, cioè dalla parte di Maria, tre cose si vedono unite e divine: l’Immacolata, l’Assunzione e Fatima. – L’Immacolata? Perché anche l’Immacolata? Perché Assunta e Fatima suppongono, nella mente di Dio e nello svolgimento dello spettacolo divino ed eterno della nostra fede, una preparazione; suppongono, perché non dislegati, ma essenzialmente collegati, altri aspetti, altre verità, altri dommi; e prima fra tutti, l’Immacolata. Chi non vede come l’Assunzione presuppone l’Immacolata? E chi non vede come Assunzione ed Immacolata, presuppongono, dinanzi a noi, il poderosissimo ed essenziale domma della Infallibilità Pontificia? Quante meraviglie che non ci giungono isolate, ma come in un volume di verità; distinte e separate solo da brevi spazi di tempo, e discese dal cielo al momento voluto da Dio; e fortunatamente al momento nostro, come di fedeli e di credenti privilegiati. Erano trascorsi tanti secoli, diciannove secoli, e non mai la Chiesa si era trovata dinanzi ad una effusione prodiga e torrenziale di misteri e di doni di Dio, quale è quella riservata solo per noi, e per quelli che ci seguiranno: i misteri e di doni del secolo di Maria; ed anzi dell’ora di Maria; e più ancora, del trionfo e dei trionfi di Maria! – Come mai, trionfi di Maria al tempo nostro, e come dono alla Chiesa di oggi ed a noi, se Maria ha trionfato in ogni secolo, tanto da essere, essa stessa, sinonimo di trionfo, di vittoria, di impero senza confini? Eppure, è così. E sebbene sia vero che sempre Maria trionfò e sempre trionferà, è più che vero che questo secolo è, sopra ogni altro, il secolo di Maria, ed è il secolo della presenza, dell’assistenza, della tenerezza effusa e commovente di Maria, quali non videro, non intravidero, non immaginarono mai, e, meno ancora, godettero mai, i secoli andati! Pio IX aprì questa èra: quel grande Papa cui Dio elesse per il torbido periodo di faticose transizioni, che durano, e in molti aspetti crescono anche oggi. Il Papa, cui Maria confortò nell’angoscioso lungo e molteplice Calvario, confermando le parole di suo Figlio: Io sono con voi; e completandole, da buona Madre, coll’aggiungere a quelle divine parole, queste, tutte sue: Io vengo a voi! Io vengo! Come? Con tre visite. Tutte e tre solo per i nostri tempi; solo con intenzione, ed intenzione di madre; cioè come prova espressa e voluta di speciale e materno amore. Dapprima il domma dell’Immacolata. Le tante splendidissime verità concernenti la Madre di Dio, sono sempre vive nella Chiesa e brillano in ogni sua parte ed in ogni sua età. Ma giunge l’ora, anche per Maria, in cui una Madre vuole sentirsi dire dai figli, sopra ogni abituale affetto: Ti amo! E se una è santa: oh, madre santa! E se una fosse immacolata, come lo fu Maria sola: Tu sei immacolata, cioè senza macchia! E se una è bella, ed ogni madre agli occhi dei figli è bella: oh! come sei bella! E se una è bella perché anche Immacolata, e specialmente perché Immacolata e perché creata in proposito da Dio, e perché Ei etiam Dominus contulit splendorem, oh! come sei bella, tutta bella! Ecco perché esplose quell’inno che si canta con tanta allegrezza: « Tota pulcra es, Maria ». Onde, ciò che la Chiesa aveva sempre creduto e creduto anche a prova di sangue, giunse il giorno in cui lo volle definito. Definito, perché fosse vero? più vero? Lungi da noi. Definito, perché fosse proclamata una gloria di più; e perché una gemma di più fosse incastonata, a voce di popolo, sul suo diadema. Questo vollero, a questo aspirarono, questo giurarono le Nazioni più aderenti alle glorie mariane: l’Italia, con quel cuore che nessuno supererà, e che è cuore di Dio: Roma! La Spagna, che vanto, e così giusto vanto ne mena, e che si gloria, ed è vero, che a preparare, ad affrettare, a diffondere, a giurare il domma, fu essa! La Francia, coi suoi Santuari e col suo entusiasmo per ogni bellezza mariana. E così il Portogallo, così il Belgio e così l’America Ispana; così ogni popolo ed ogni città ed ogni villaggio, specialmente del vecchio e sempre giovane mondo latino. Onde Pio IX non poteva più differire: Egli, e con Lui l’Episcopato, e con l’Episcopato, l’universo. Dopo il domma, nel 1854, ecco subito la visita di soddisfazione, di gratitudine, di premio: Maria stessa si presenta e parla a Lourdes nel 1858. Quando mai, per il passato, erano accaduti due fatti così vicini e così incisivi nella storia della Chiesa e così lapidari, da restare eterni nel significato e nell’impressione del mondo? Pochi altri anni passano; ed il Concilio Vaticano, mentre, volgendosi al passato, emette una conferma, guardando al futuro, ci dà un’altra chiave per aprire il tesoro di Cristo;  chiave che esisteva, ma che diviene ora ufficiale; chiave di sicurezza, perché chiave di oro; chiave la più opportuna, e per il bisogno della Chiesa e per lo splendore della sua regalità, perché per l’uno e per l’altro sembra fatta questa estrazione dai tesori di Dio; chiave che non solo schiude i tesori, ma è essa stessa un tesoro ed un altro preziosissimo monile: l’Infallibilità!L’Infallibilità, per controllare la via, la misura e la garanzia della unità inscindibile della santa fede della Chiesa; e l’Infallibilità, per spianar e ancor più quella via, quella misura, quelle garanzie, e per rendere più spedito, per ogni caso, l’uso d ella divina e papale ed abituale prerogativa. E’ dunque infallibile il Concilio, ossia la Chiesa docente; uniti però al Papa! Ma il vero infallibile è il Papa; solo, o, se così accade, con il Concilio, cioè con la Chiesa Docente. Solo, perché se la Chiesa, e la Chiesa docente sono infallibili, per il Papa lo sono; Egli il primo docente: Egli il primo ed unico ed a sé bastante maestro: Egli l’unico, a cui, come a suo alter ego, Cristo abbia garantito che la sua fede ed il suo insegnamento « non deficient »! Pio IX, come tutti i suoi augusti Predecessori, l’aveva inteso e l’aveva compiuto per l’Immacolata questo divinissimo monopolio. Ma Pio IX non si reputò pago. Egli riassume nella sua pienezza l’autorità di tutti i docenti; e, a nome di tutti, e ratificando il pensiero del Concilio, convertì l’implicito e l’abituale in esplicito e solenne, e munì la Chiesa e tutti i Pontefici futuri, di un domma divenuto essenziale anche a credersi; credere cioè, pena il vedersi avulsi ed estranei alla Chiesa, che, in materia di fede e di costumi le labbra dei Pontefici sono quelle stesse di Cristo: infallibili! Avanzano intanto le dimostrazioni di quello incoercibile materno trasporto in pro della sua umana stirpe, che Maria volle riservato ai giorni nostri; dimostrazioni per lo innanzi non viste, ma che ora si vedono crescere a misura della crescente umana freddezza e del bisogno, e perciò, ma per la ragione dei contrari, dell’affetto di Maria. L’uomo si allontana da Dio e si attacca alla materia, con tanto maggiore oblio del celeste suo destino, quanto più ha visto e gustato i progressi del basso mondo. E Maria lo cerca, lo raggiunge, e da Madre gli dice: mi vedi? Ecce Mater tua! – Arriva così l’anno 1917. E’ scoppiata la guerra! La prima guerra mondiale, che scuote per sempre quel po’ di equilibrio che era rimasto sulla terra, ed infrange le vetuste e secolari tradizioni di costumi, di contentabilità umana, e di ordine. Giunge così l’anno in cui la lotta è al massimo del suo bollore, e gli uomini al massimo della effusione di fraterno sangue. Ed allora, ecco che Maria ripete la visita. Mirabile visita quella del 1858 a Lourdes! Più mirabile la nuova, del 1917. Dove? Colà dove meno si penserebbe. Nel deserto lontano più sconosciuto, del cattolico Portogallo; e, come sempre, a bambini; a tre bambini; a tre pastorelli; a tre innocenti! Eccoci dunque a Fatima! La Donna del Cielo incede e parla. A Lourdes si era annunziata quale è nella sua qualità primordiale: Io sono l’Immacolata Concezione! A Fatima, si descrive con le qualità che assunse con San Domenico: Chi sei dunque? « Io sono la Vergine del Rosario! ». E poi, si descrive ancora, e prende il tono consentaneo agli scopi della sua venuta; il dolore! Io sono la Madre dei dolori: la Addolorata! Ma spiegaci, Chi sei?, o Vergine del Rosario! Che cosa ci annunzi? Penitenza! Bando al peccato, dal quale troppo è offeso il divino mio Figlio! Conversione, conversione, conversione! Sempre uguale la parola di Cristo e quella di sua Madre: la parola di ieri e quella di oggi! Penitenza! Non peccare! Convertirsi! E con quali ammonimenti? Con quelli della giustizia divina! con l’inferno stesso, minaccia sempre incombente. – E quali mezzi ci porgi? Due mezzi; uno che è un segreto e non mai avrebbe dovuto esserlo: Il Cuore mio Immacolato; ed un altro che è antico e familiare: il Rosario! E chi è che questi mezzi prescrive? Il Rosario, io. Recitatelo ogni giorno. Il Cuore mio Immacolato, il Figlio mio divino, che a questo Cuore vuole la consacrazione del mondo. E, da ultimo, il suggello. Io farò un grande miracolo! Maria non aveva mai parlato così, da Cana in poi. Persino un miracolo promette; anzi il primo miracolo, che sia stato solennemente promesso; il più grande quindi, il più atteso, il più sbalorditivo e stupendo; il miracolo più ineffabile, il miracolo più terrificante!

* * *

E poi: venite, o bambini, e venite per sei volte: il 13 di ogni mese, a cominciare da oggi! I bambini rimangono attoniti; hanno udito la voce di altra madre; più madre di quella terrestre; madre di essi e Madre di Dio: ed obbediscono. L’apparizione, dapprima segreta, comincia a propagarsi; viene risaputa, perché nessun segreto ha imposto Maria; ed anzi, chi non stimerebbe un dovere, rivelare le glorie della Madre? I tre bambini vanno, ed attraggono. Poco a poco, nel corso di quei mesi, il villaggio, ed anzi la regione, ed anzi la Nazione, a mano a mano che le mensili apparizioni si succedono, tutti porgono orecchio ai racconti, alle rivelazioni, a quel suono di voce celeste, che è la voce della Madre di Dio, e che, come sussurro di aria lieve, non schianta, ma accarezza, si spande, e riempie, come per l’eco d’incanti, il fortunato paese. La regione è piena della buona nuova; un Vangelo; il Vangelo, il buon annunzio di Maria si diffonde; dalla terra e dal cielo! – Ma anche alla venuta ed anche alla voce, ed anche all’invito di Maria, il mondo si ribella. Che sciocchi, siete, o bambini! Quale superstizione! Che credulità! Sono fole di bambini anche queste! Ridicole cose, nel secolo della scienza! E le autorità, sprezzanti e premurose, risolute ad imporre fine alle dicerie, alle favole, ai commenti, alle aspettazioni di un misero popolino, mandano guardie e gendarmi: le buone guardie ed i buoni custodi dell’ordine, che hanno, purtroppo, anche il dovere di obbedire! – I bambini sono presi; sono cacciati in prigione; sono minacciati. Ma la verità sgorga sempre limpida, dai cuori limpidi, incapaci di inganno! L’abbiamo vista! L’abbiamo udita! Farà un miracolo: E la verità, ripetuta tante volte, quante volte quel compressore autoritario passa su di loro, è sempre la stessa! Non poteva non essere la stessa. – Grandi date: il 13 maggio ed il 13 ottobre del 1917. Quella, la prima, era passata, e nessuno, in quel giorno, ne parlò. Quest’altra giunse anch’essa; ma tutto il popolo, il popolo delle attonite contrade, lo aspetta, e all’alba del giorno, tutto il popolo, fino a settanta mila. tutto si riversa su Fatima. Misteri di Fatima! Erano cominciati il 13 maggio; ed oggi, 13 ottobre, si compiono! Le moltitudini, impazienti, sono là; ad attendere. Pioveva! Quale sarà il miracolo? Cessa la pioggia, ed appare il sole! Oh, davvero i misteri si compiono! La luce soave, della Dama, si espande. La Dama, solo i bambini la vedono. La luce, tutto il mondo. Tenebre alla morte di Cristo. Luce all’arrivo di Maria. – Si oscura il sole, alla morte di Cristo. Giubila e danza il sole, mostrandosi Maria. Sì, giubila e danza; è l’agnellino saltante, in obbedienza alla gioia ed in ossequio a Colei che è la Regina del Sole! Il sole, dunque, il pacifico sole, che solo Giosuè, per vincere, fermò, e la cui ombra solo il Profeta, per attestare la parola di Dio, fece indietreggiare, prende a muoversi; a girare; a girare e rotare, come ruota di fuoco; adare sbalzi, a segnare una curva, ad imprendere una discesa, a lanciarsi ad una caduta, a staccarsi dal firmamento, a precipitare ed a piombare sulla moltitudine! I colori dell’Iride, emananti all’improvviso, isolati, o frammisti, dalla sfera solare fatta simile a disco di argento, avvolgono la regione e si succedono in visione apocalittica, riflettendosi sui volti, e cangianti, essi e di volti, ad ogni istante. Grida, lagrime, invocazioni, sospiri, riempiono l’aria: miracolo! Vergine santa! Misericordia! Perdono! Il sole che presta omaggio alla sua Regina, il sole che i colori suscita nelle meraviglie, ma non nello spavento; il so1e che, se tramonta, tace, ma se risorge non semina che vita, aveva cessato per un istante il perpetuo suo ministero; ed aveva dato un segno: signum Dei! Terribile segno! Quando mai si era visto somigliante terrore, e quando mai a lato ed a corteggio di quella Dama che è il sorriso di Dio? Signum magnum apparuit in cœlo! La donna vestita di sole, aveva scosso sull’universo un nuovo paludamento, quello del sole, non più sole, ma astro di ammonimento. Il sole aveva danzato; si era inchinato alla sua sovrana: aveva rivolto un saluto alla terra; ma qual saluto! Terribile saluto, e saluto non di meno, di Maria, la Patrona dei penitenti e dei convertendi, e che, dopo sei visite, e sei colloqui e sei materni sguardi, improntati a così grande e così materna tristezza, prendeva congedo dai bambini e dal popolo. Cessa il miracolo. E tutto il popolo, l’immenso popolo, riavuto dallo stupore, rimane cogli occhi al cielo, come per cercare Colei che il prodigio, l’atteso prodigio, il più grande prodigio dei secoli, aveva, per amor del popolo, operato; e con singhiozzi e con tremiti, va ripetendo: Miracolo! Miracolo! Vergine santa, misericordia! Vergine Maria, pregate per noi! Perdono! Perdono!

COINCIDENZA PRESAGA

Fatima trovasi cronologicamente prima della Assunta; intendo dire, prima della definizione del domma di Maria Assunta in cielo. Ma Fatima sta, ideologicamente e cronologicamente, come vedremo, intrecciata e connessa col domma dell’Assunta. E Fatima, infine, segue il domma, e corona, come col diadema più grandioso, di grazie, di gloria, di gratitudine, Maria, il Cielo, il prodigio dell’apparizione, e quella devozione universale e gigantesca che circonda l’umile e grandissimo Santuario, e che, sotto ogni aspetto, è offerta da Maria, ed è voluta da Maria! Non fu così per il domina dell’Immacolata. Venne questo dopo la maturità dei tempi, dopo il clamore incessante dei devoti, dopo le postulazioni di ogni Nazione, di ogni ceto, di ogni secolo. E neppure fu così per il domma dell’Assunta, preceduto da eguale credenza, da identica professione mondiale, da invocazioni in nulla dissimili, affinché l’Autorità suprema non più oltre indugiasse a redimere la fronte della Regina di questo venti volte secolare diadema. L’Assunta seguiva, sì, l’aspirazione dei secoli; ma essa ha con Fatima, la improvvisa Fatima, questo identico contrassegno: essa arriva in quello che tutti abbiamo chiamato e proclamato il secolo, il momento, il trionfo di Maria. E Maria, per amor nostro e per accompagnare i nostri voti, ha voluto, quasi per incoraggiare alla celeste proclamazione, visitarci. Essa stessa! In immagine, o nel corpo? La Chiesa lo sa. Noi amiamo credere quello che la Chiesa crede. Ma i fanciulli sei volte la videro e con essa conversarono! Era Essa dunque, Maria, la gran Madre di Dio! Onde, come Cristo, risorto, ci visitò col suo Sacro Corpo, oltre che ci è sempre presente con la Sacrosanta e reale Eucarestia, così non è alieno dal vero il pensare ed il credere che Maria Assunta al Cielo, e alla vigilia del Domma nuovo, abbia voluto visitarci con le sue carni benedette per dirci: Ecco Colei che fu Assunta! A quella guisa che la pia tradizione della Cattolica Spagna, ricorda nel Santo Pilar, colonna come di Roma, ed immortale trofeo di Saragozza, la Deipara in carne! Precedette, dunque, con un avvenimento il più clamoroso ed il più benevolo dei nostri tempi, la definizione del domma; e la definizione del domma, con tanta preparazione di Mariane grazie, indubitatamente e da vicino preparò; e la medesima, con certissime voci del Cielo, da vicino seguì: voci mirabili, voci intenzionate, voci le più significanti, come qui appresso descriverò. – Intanto, è mio dovere di accennare che Fatima, in tutto il corso dei 35 anni che si successero alle apparizioni del 1917, fu da Dio e dalla divina Madre costantemente associata, legata e predestinata al Pontefice Pio XII, e conseguentemente, al domma dell’Assunzione e ai più rilevanti atti del governo religioso del nostro Papa. – Legata ed associata al Papa? Legata all’Assunta? Legata ai più salienti atti del Pontificato di Pio XII? E’ storia questa della Divina Provvidenza sul mondo, e più ancora della vigilante cordialità con cui Maria Santissima, qual Madre amorosa, che non abbandona, ma tanto più avvicina i figli quanto più perigliosa è l’ora, si fa a noi dappresso, guida i nostri passi, impetra i divini soccorsi, ed ispira il pensiero e la sollecitudine e si fa quasi maestra e mediatrice del Capo della Chiesa per il bene della Chiesa. – Certo, l’opera e l’intervento di Maria nel mondo sono abitualmente e ad ogni istante così veri ed attivi, che l’uomo, distratto, esiterebbe a crederli, a comprenderli, a riconoscerli nella loro costante e palpabile realtà. Il fedele lo sa; ma non ne misura l’ampiezza. Il fedele lo implora; ma reputa, quando lo consegue, non altro che una eccezione per lui, ciò che è per la universalità una incessante effusione. D’altronde, non è forse vero che Iddio, omnia nos habere voluit per Mariam? E se tutte le cose volle che noi ricevessimo dalle mani di Maria, non è Maria associata a tutte le grazie, che a noi sono dispensate, siano esse grazie con il nostro affanno impetrate, siano grazie, favori e doni, che la munifica liberalità divina ad ogni istante spontaneamente ci prodiga, cominciando dal dono della esistenza, della fede e dell’amore verso la Gran Madre? – Ma per Pio XII Maria, e Maria di Fatima, ha voluto essere Madre e Madre tanto presente, come non lo fu per nessun altro, come non lo fu per nessun Pontefice; come non lo fu, se non per Giovanni l’Evangelista! Tredici Maggio del 1917! Lo ricordo come di oggi. Eugenio Pacelli riceveva nella Sistina la Consacrazione Episcopale dalle mani del Pontefice Benedetto XV, che lo aveva eletto Arcivescovo di Sardi e Nunzio Apostolico in Baviera. Io, antico suo compagno e collega nella Segreteria di Stato; io, che non potevo scrutare il futuro, e solo intravvedevo nel Pacelli il fondamento, il principio e l’indubitabile protagonista, io era tra gli assistenti, e tra gli assistenti palpitanti tutti di allegrezza e di commozione per la elevazione del diletto amico, ma anche palpitanti di rammarico, perché l’augusto rito non consacrava solo l’elevazione del più degno Prelato di Roma, ma anche la lontananza; lontananza da Roma, dalla sua Roma, dai compagni, dagli amici, dal Papa! – Io era colà; e seguiva il rito, e cantava, con la voce dei suoi Parenti, Padre, fratello, nipoti, ma non della Madre, votata già al Cielo, il Te Deum, che ricordo persino nelle sue note! Mancava la Madre, quella cui, dopo Dio, spettava il merito di tanto figlio, e l’esultanza di così chiara intronizzazione! ,, – Ma perché non mi concesse Iddio di vedere, o, per lo meno, di figurarmi, presente allora nella Sistina, l’altra Madre sua, Maria, proprio allora, proprio in quegli istanti, discendente Augusta Visitatrice, sul mondo, ed annunziante un periodo nuovo, un Pontificato nuovo, che doveva essere associato al nome di Fatima, e verificarsi non più di 22 anni appresso, ed iniziante una nuova straordinaria arcana Provvidenza, e sul novello Presule, e sulla Chiesa, e sul mondo? Imperocché, proprio allora, oh! mirabile divino incontro e celestiale convegno di Cielo e Terra! proprio allora Maria, la celeste Madre del futuro Papa, stampava le auguste orme sulla deserta boscaglia di Fatima! Proprio in quel giorno, mentre sul giovanissimo Arcivescovo scendeva la pienezza del sacerdozio, e di grazie predestinate lo inondava lo Spirito Santo, Fatima si delinea va sull’orizzonte, per non esserne più cancellata, e per di venire anzi la guida più alta, la protezione più significata, che doveva essere il motore di un Pontificato, di un’era, di un mondo! Il mondo non lo sa ancora; ma è d’uopo che non ignori, con quanta benevolenza Maria Santissima di Fatima, la Messaggera della più consolante novità voluta dal Figlio, nella conversione della umanità, nella pietà delle genti, nelle grazie, nelle ispirazioni, nei portenti, abbia a Se avocato i destini ed i progressi del futuro Pontificato, allora adombrato, e del futuro Pontefice, allora dotato della pienezza del Sacerdozio, cui solo mancava la pienezza del Primato! Legami? Certamente, e molti, e singolarissimi, e tali che possono, essi soli, spiegare il cammino di Pio XII.

Primo legame e prima coincidenza! Giungono insieme, simultaneamente, come ad un appuntamento del Cielo e della terra, la Vergine di Fatima e quell’Episcopato, che andava a preparare il Pontificato del Papa Pio XII; del Pontificato di Eugenio Pacelli, ma più specialmente il Pontificato che Maria doveva far Suo. Imperocché, ogni Pontificato ed ogni Pontefice sono sotto l’egida di Maria, e sono amati da Maria. Ma per Pio XII la Vergine di Fatima riservava un affetto che solo per Pietro, il primo Papa, si rese eminentemente manifesto. Pietro rinnegò: fece al suo Maestro e Benefattore la più sprezzante delle offese: non lo conosco! Ma Maria, come Cristo nel Pretorio, ebbe per Lui uno sguardo particolarmente, generosamente, vittoriosamente materno; uno sguardo come ad un figlio caduto, ma che ha cuore per rialzarsi. Va da Gesù! digli che lo ami! Ti perdonerà! E Pietro non finì, come Giuda, vinto dalla disperazione. Fu uno sguardo quello, per degnazione quasi vicino allo sguardo che Cristo volse a Giovanni dalla Croce, nominandolo ad una dignità, infinitamente più grande di quella riservata a Pietro: la dignità di Figlio di Maria! Non di Vicario, ma di vero Alter ego suo, al cospetto, nel Cuore, e nella vita e nella casa di Maria, sebbene casa di Giovanni! Ma per Pio XII lo sguardo che nei secoli gli teneva riservato Maria, fu indicibilmente più materno. Fu uno sguardo, dillo tu, o Dante, che la vedesti:

a più di mille angeli festanti,

ridere una bellezza che letizia

 era negli occhi a tutti gli altri Santi! (Paradiso, XXXI, 125)

Uno sguardo non di misericordia, come emanante da illos tuos misericordes oculos; non di perdono, quale ne ha e ne avrà sempre per ognuno di noi; non di risurrezione, quale per Pietro et prò nobis peccatoribus; ma sguardo, tutto amore della Madre del bell’amore, e, solo, il più simile a quello che, da Cristo e da Maria, l’unico Giovanni conobbe. Egli è che Iddio amava Eugenio Pacelli, e amò il Pontificato di lui; e per darne una prova, anche a noi intelligibile, pose e rese manifesto quell’amore nel Cuore di Maria, sotto il manto di Maria, all’insegna della Madonna, la Visitatrice, per lui e per noi più recente, più toccante, più universale: la Madonna di Fatima!

IL PAPA DI FATIMA

Coincidenza dell’Apparizione Mariana e dell’Episcopato del nuovo Pio; e coincidenza e legame della nascita alla vita e della nascita al Pontificato; ed è la seconda. Nacque dunque due volte Pio XII? Nessuno nasce due volte. Solo si quis renatus fuerit ex Spiritu Sancto, rinasce! ed è vera nascita e migliore nascita. Oppure, si quis renatus fuerit, dalla nostra più vera madre, la Madre che ci è Madre e Regina! Non solo dunque alla Madre Provvidenza o alla Madre Chiesa, Madre in senso più lato delle due vere Madri; ma anche all’altra più vera Madre noi lo dobbiamo questo Pontefice, mariano per intero; la quale, mentre il mondo vede che il Pacelli nacque il 2 marzo dalla madre terrena, volle che lo vedesse nascere, il 2 marzo, anche da altra Madre, che allora il mondo non poté comprendere, ma che i 15 anni, già registrati in questo predestinato Pontefice, dovevano rivelare, Madre di Dio, Madre di Fatima, e, attraverso Fatima, Madre specialissima sua.

* * *

Fu un caso? Il caso per un cristiano? Per un Papa? E fra i Papi, per il Papa Pio XII? Fu provvidenza: ma fu Provvidenza della Madre della Provvidenza, che, come ventidue anni prima, per l’Episcopato, così lo volle in identica data e di un ulteriore genetliaco dell’anno 1939 sotto la stella di quell’invocazione, che doveva dal nuovo Papa glorificarsi: Fatima! Solo così e giova ripeterlo, si nasce due volte: dallo Spirito e dalla Madre, comune a noi, ma particolare a Lui. Solo così ha un significato, e non è illusione di caso, il 2 marzo per Eugenio nascente in Roma e il 2 marzo per il Pacelli nascente alla più alta dignità Vaticana e del mondo. – E solo così, tale è la nascita quale è la vita, e, per converso, quale è la vita, tale è la nascita. – Dice bene S. Gregorio Magno: non passi mai per la mente dei fedeli il pensiero che esista il fato. – Non il fato, ma la stella esiste. E se si vuole questa stella, la più bella delle stelle, la Regina delle stelle, essa fu il bel fato di chi nacque a Romana Cattedra in quella stessa data, il 2 marzo: la Stella di Fatima che non cessò e non cesserà di splendere per tutto il Pontificato di Pio XII. Fu la sua stella e non cessò di splendere: ogni più eminente grazia di Maria verso il suo Papa lo conferma; ogni più brillante iniziativa di Pio XII, quasi eco alla guida Mariana, lo comprova. Non caso dunque ma stella voluta e inseparabile: la Madre di Fatima, divenuta Stella di Fatima.

LA CORONAZIONE CANONICA DELLA VERGINE DI FATIMA

Una terza coincidenza ed un terzo legame: la coronazione canonica.  La Vergine di Fatima non aveva tardato a sperimentare la riconoscenza, la devozione, l’amore e il santo e legittimo orgoglio del Popolo Portoghese, ricevendo il nazionale ossequio di una corona dell’oro Imperiale Lusitano. Ma quella glorificazione non proveniva dall’Autorità Apostolica. Cosicché non passò molto, e popolo e Autorità tutte, e primo l’Episcopato, convennero nel supplicare il Pontefice di degnarsi di onorare Maria della Corona Papale. Ed un Cardinale partì da Roma; il Cardinale che più di ogni altro Porporato aveva legami col Portogallo, per avervi vissuto, in silenziosa rappresentanza della Roma che non abbandona, i tempi della tribolazione: il Cardinale Aloisi-Masella. Ed  egli ebbe la ventura, nel maggio del 1946, di fare in terra quello che l’Eterno Padre nel Cielo: porre sulla fronte augusta della Regina di Fatima la Corona più insigne che alle Immagini di Maria possa la Chiesa decretare: la Corona che venga per diretta autorità, deliberazione e Missione del Vicario di Cristo. Quale Vicario? Pio XII. Ora, questo altissimo riconoscimento si conferisce ai Santuari ed alle Immagini, i quali abbiamo vetustà massima di culto, di storia, di omaggio dei popoli. Ma Fatima è, tra tutti, il santuario più recente. Perché dunque, a Fatima, e per le mani di un Porporato che si parte di proposito da Roma? Perché Fatima sta a cuore al Vicario di Cristo, come cosa sua: e la Corona ha il valore di tributo del Portogallo e del mondo: ma più personalmente, del Papa! Ed anche perché Fatima ha vinto i tempi e le tappe, e si è posta all’avanguardia della storia.

FATIMA E L’ANNO SANTO

Ma una coincidenza havvi tra il Papa e la Vergine di Fatima, che giunge a grado veramente intimo, e agli occhi umani quasi occulto; grado per conseguenza il più commovente, il più arcano, il più pontificio e Mariano e il più universale: l’Anno Santo. E più che nella prima che nella seconda coincidenza, qui cominciano i misteri. Certo, tutto è mistero nella vita dei Papi. Papa e Chiesa sono mistero; e l’opera di Dio nel governo della Chiesa, è essa, più che mai, a chi voglia scrutarla, un mistero: un mistero continuo, ed universale: che non si comprende, ma subito si intende; che anzi, spesso, quasi a contrastare col mistero, si vede. Ma più assai lo è stato e lo è nella vita di Pio XII, ed in particolare per Fatima! Quale è stato, fra i recenti, il più grande mistero, nella universalità, nella diretta mira alle anime, nella dispensazione del Sangue preziosissimo? L’Anno Santo! Mistero perché lo ha indetto il Papa? No: ma perché apre le più arcane vie alla salvazione delle anime: perché le chiama, le invita e quasi le costringe; perché rinnova l’invio di Giona a questa popolosa, ricca e dissipata città, che è il mondo; e fa levare, nella voce del Papa, la voce del Profeta, che clama: “Ecco il tempo accettevole! ecco i giorni della salvezza!” – Questo aspetto, peraltro, è proprio di ognuno degli anni Santi. Ma il nostro, che cosa ebbe di proprio? Ebbe l’ispirazione, ebbe lo spirito, ebbe gli intenti, ebbe le parole stesse di Maria di Fatima: cosicché, se esso ha caratteristiche, queste sono di Fatima. – Annunzio di Fatima: pregare; riparare; mortificarsi; pentirsi dei peccati; soffrire per i peccatori; cessare dalle offese al Divin Figlio, che ne è troppo contristato; convertirsi! Programma di Pio XII: guadagnare le Indulgenze, dischiuse nell’Anno Santo con insolita larghezza, sì; ma ad un solo scopo! Facilitare il pentirsi! il convertirsi! il trasformarsi! l’Anno Santo, dopo le sventure e le aberrazioni della più esiziale delle guerre, dovrà essere una meta ove il pio pellegrino giunga per dire, abbracciato al Collo del Padre: Peccavi! E a chi si ravvede (e tutti sono chiamati a ravvedersi), è offerto, a gran voce, con l’esempio del Papa che precede le folle, portatore del Crocifisso, con le esortazioni di ogni discorso, con le istruzioni per ogni pellegrinaggio, con i riti di Roma, con le provvidenze apprestate in ogni Basilica, il perdono, ed anzi il gran perdono; grande, perché a tutti si estende; e grande, perché a tutti è diretto, e col perdono, l’invito al ritorno. Ed anche questo, il gran ritorno, si vuole sia ritorno di tutti, sia rigenerazione cristiana di tutto un mondo folleggiante e corrotto, sia l’allegria nel cielo e nella terra, negli Angeli e nei giusti  sia il gaudio super uno peccatore pœnitentiam ægente, e, ad uno ad uno, il gaudio sopra tutti i peccatori, chiamati a dire: basta! Non è questo l’avvertimento, non è questa la aspettazione della nostra Madre di Fatima, quando lanciò, da Madre misericordiosa, una voce che precedesse questo Anno Santo penitenziale e che tutti i figli convocasse? Non è questa l’ansia del padre della parabola evangelica, non è questo l’anelo rinnovato in Pio XII, che sta in sospirante attesa del figlio peccatore, e sta spiando da lungi, da lungi, come dall’anno ’17 al ’50, ed aguzza la vista, e scorge al fine il figlio e, arrivato, lo abbraccia, e lo colma di paterno perdono e di paterna consolazione, ed accogliendo, ed abbracciando, i figli, ad uno ad uno, a tutti si prodiga, a tutti parla, a tutti si fa tutto, profondendo con quanto vi è di cuore in un’anima angelica, la gioia che fa piangere, la commozione che fa sussultare, l’impulso che fa convertire? Chi conosceva un anno santo così penitente, santificante, convertente? Chi ravvisava nell’Anno Santo del 1925, in quello della Redenzione del 1933 il messaggio penitenziale di Fatima? Eppure Fatima esisteva; ma l’eco non si era propagata. Giunse l’ora del Papa, che raccolse e irradiò la voce di Fatima e considerò suo compito dar opera agli Augusti Materni ammonimenti. Onde subito appare la coincidenza; messaggio di Fatima e messaggio dell’Anno Santo, Fatima ha voluto, Pio XII ha promulgato. Sia benedetta Fatima! Sia benedetto il Pontefice di Fatima! – Ecco dunque Fatima in Roma, ed ecco, come sempre e come in ogni atto di Pio XII, Roma che guarda Fatima, e segue Fatima e, direi, obbedisce a Fatima.

ROMA E FATIMA

Vi è, e vi può essere, una quinta coincidenza? Non la quinta sola, ma molte altre, e tutte tanto coincidenti, da creare una cosa sola: Fatima in Roma, e Roma in Fatima. Roma in Fatima! Chi lo avrebbe potuto dire e pensare, soffermandosi alle sole parole Roma e Fatima, o riflettendo solo ad altri Pontefici, ma lontani da Fatima, o non strettamente convergenti con il programma di Fatima? Ecco, invece, che in verità, Roma va a Fatima; Roma sceglie Fatima; Roma convoca il mondo a Fatima; Roma crea per un giorno, centro del mondo cattolico, un’altra Roma; la Roma che fu creata ed eletta da Maria, nell’umile ma celeste Trono di Fatima. L’Anno Santo, il Romano, è già celebrato ed è già conchiuso: in Roma, come era di ragione. Ma è celebrato ed è da chiudere anche l’Anno Santo Universale. – E dove celebrare la mondiale chiusura, fra i tanti Mariani Santuari che sarebbe sempre caro additare, come fu bello, per il Papa Pio XI, scegliere ed additare Lourdes? – Un consiglio giunge ispirato; ed ispirato da Maria, la patrona dei due Anni Santi nell’unico Anno Santo: Chiudere l’Anno Santo universale e penitenziale a Fatima! Porgere alla Madonna di Fatima, in testimonio di riconoscenza, l’omaggio del mondo intero; ritornare a Fatima, compiuta, la voce della penitenza da Fatima partita; trasferire, per memorande ore, il Papa a Fatima, nella persona del suo Messo, e dire alla celeste Vìsitatrice ed ispiratrice: ecco ai Tuoi piedi l’Anno Santo, che hai voluto! Eccolo: poni ad esso il sigillo della tua materna soddisfazione e del tuo premiante sorriso. – Che cosa è Fatima? Una deserta e monotona boscaglia, ove nulla ha di grande la terra; ma dove tutto ciò che nel cielo e sulla terra è di più grande, risiede, irraggia ed impera con la semplicità che non domanda contorni; la presenza della Gran Madre di Dio, nella più recente visita al mondo! Io vi arrivai la sera del 12 ottobre; avevo attraversato duecento chilometri della bellissima terra Lusitana, fra le acclamazioni d’ogni villaggio e fra il tripudio filiale delle borgate più umili e più entusiaste, tutte filialmente osannanti al Papa. Era già notte, e piovigginava. – La spianata, ove il Santuario sorge, è smisurata. Le genti pellegrine si perdevano a vista d’occhio. – Sorge il Santuario? Certo; ma io non lo trovai. Trovai solo una impercettibile e quasi invisibile Cappellina, eretta sul luogo ubi steterunt pedes eius! Tanto piccola, che io non fui invitato ad entrarvi. Io genuflessi dunque al di fuori, dinanzi alla piccola porta; e lì, con gli occhi della mente e del cuore all’Apparizione, depositai quanto di affetto potevo e se come umile pellegrino, e quanto di omaggio potevo apportare come Legato Pontificio. Con preci e con canti, e con pioggia e con freddo, fu salutata la Madonna da tutto il corteo e dall’innumerevole concorso. E poi ci ritirammo in piccola casa, inizio delle costruzioni che la celebrità del luogo domanda, e che l’affluenza! non già Romei, ma visitanti internazionali mariani, di anno in anno sempre più richiede, anno in anno sempre più abbisogna. – Io ho appreso che cosa è Fatima. L’ho appreso più nella vigilia che nella festa; e direi meglio, più nella notte che nel gran giorno. – La notte era caduta, ma non sulla quiete, sul silenzio, sul sonno; bensì su di un mare vivente, vibrante e palpitante di innumerevoli fremiti. – Mare, non di onde, ma di gente. È nella solitudine di quei campi, simili ad un deserto, in quell’altipiano silenzioso e solenne, spoglio di opere umane, di Basiliche, di alberghi, di asili, di ritrovi riposanti, e persino, direi, di case, che non siano un inizio di futuri edifici, una sterminata moltitudine, quasi arena in littore maris, che l’occhio non abbraccia, e tutta assorta in null’altro che in Maria! tutta tendente, braccia, cuori ed occhi, a Maria! tutta trasportata da un amore che a Fatima diventa visibile: l’amore a Maria! Ma anche più è amore quel che l’osservatore vedeva, e quello che io, da una finestra osservava. Tutti in piedi! In piedi, tutta la notte; sotto le fredde gocce! I piedi, nel fango! Una coperta sulle spalle! Gli occhi tutti fissi all’istesso punto! E cantando; cantando sempre, e spandendo nell’aria una letizia, una pietà, una unità di pensiero, un ardore di entusiasmo, che io non vidi in nessuna Basilica, che io non vidi e non è possibile vedere neppure in Roma. E sopra questo spettacolo, sopra questa scena nuova, sopra questa paziente e maestosa devozione, giganteschi riflettori, passeggianti fra le tenebre, con fasci di luce bianca, vivace, frettolosa, che pareva si affacciasse a continui getti per contare non le persone, ma i popoli. Erano come raggi dalla pallida luce, lanciati da quella lima che le nubi occultavano, ma che è sempre sub pedibus eius; ai piedi di Maria! Ecco Fatima! Ecco la fede! Ecco la corrispondenza alla voce di Maria! Ecco l’Anno Santo, condensato nel programma di Maria! – E il dì seguente, 13 ottobre, il gran giorno della universale chiusura di quel caro Anno Santo che ci sfuggiva, la stessa fede, la stessa fiamma, le stesse turbe infinite, la stessa penitenza; ma anche la stessa serenità, la stessa letizia, la stessa giocondità, la stessa unità di Famiglia. E mentre incede in quella foltissima massa il Rappresentante del Papa, procedente al grandissimo e non più visto Pontificale, il grido unanime, appassionato, incessante, inestinguibile di: Viva il Papa! Ed io ne1 cuore ripetevo: Viva il Papa di Fatima! Viva i figli di Fatima! Viva il Portogallo, ospitale a Maria ed al mondo! E tutti genuflettevano a quella, che era nell’ombra della Benedizione del Papa! Ma vi era, visibile e sensibile, la Benedizione di Maria! – Il Pontificale si svolse, e l’Apocalisse, l’ispirato quadro raffigurante i seniori del cielo attorno all’Aquila, e i canti delle millia millìum, osannanti e giubilanti, parevano volere descrivere tutto, in confronto di quelle maestose schiere dei nuovi seniori, i Cardinali ed i Vescovi, i Reali, i Governanti, i Dignitari, gli Ambasciatori, e quanto conta di grande e nobile l’universo, allorché l’universo si ricorda di ciò che è pietà, di ciò che è grazia, di ciò che è amore, di ciò che è il suo debito verso la Regina del Cielo. Oh, fortunata Fatima! Oh fortunata Lusitania! Oh fortunatissimi, fortunatos nimium, direbbe Virgilio, voi, o Portoghesi, di gran lunga più fortunati perché glorificati da questa trionfatrice èra di Maria, beati! Beati voi, che, come già alla chiamata missionaria, rispondete ora bellamente, fervidamente, specchiatamente, alla chiamata Mariana, e scrivete, agli occhi del forestiero, anche d alla privilegiata montana  terra di Fatima, le antiche parole della vostra nobiltà celeste: Terra di Maria! Beati, perché a voi guarderanno tutte le generazioni, e perché le vostre gesta gloriose, se non saranno superate da uomini, Maria, sì, lo sono; voi ne godete, e per essa, e per voi, e per tutti!

 

LA “CHIESA IN ESILIO” NELLA PROFEZIA SUI PAPI DI SAN MALACHIA

LA CHIESA IN ESILIO NELLA PROFEZIA SUI PAPI DI SAN MALACHIA

 [P.S.D.]

 San Malachia di Armagh

 Malachia O’Morgair, in gaelico irlandese Maelmhaedhoc O’Morgair, in medio gaelico irlandese Máel Máedóc Ua Morgair  (Armagh, 1095, – Abbazia di Clairvaux, 2 novembre 1148), è stato un abate e arcivescovo cattolico irlandese, titolare dell’arcidiocesi di Armagh; egli fu proclamato santo da Papa Clemente III il 6 luglio 1190.

Con buona pace dei suoi detrattori ed in genere di coloro che, ricorrendo ad una semplificazione esasperata, adattano le cose a ciò che fa ad essi più comodo, San Malachia ci ha lasciato un’opera a dir poco straordinaria, un’elencazione che, con precisione sorprendente, individua i Pontefici suoi contemporanei e quelli che sarebbero seguiti a questi, in un rigore cronologico che lascia stupiti. – Egli ha infatti scritto la Profezia sui Papi, un elenco di tutti i Pontefici della Chiesa Cattolica che, a partire da Celestino II (eletto nel 1142), si snoda descrivendo tutti coloro che, uno dopo l’altro, si sarebbero avvicendati sul soglio petrino. – La “Profezia sui Papi” consiste nella successione di 112 brevi frasi in latino in qualche modo associate a tutti coloro che, uno dopo l’altro, sarebbero stati considerati i successori di Pietro, senza far riferimento alla loro effettiva validità come Papi regolarmente eletti, alla loro eventuale decadenza in quanto macchiatisi di eresia o ancora alla loro impostura in quanto risultati i papi eletti nel corso di Conclavi irregolari.

E’ bene partire da queste considerazioni per avere piena consapevolezza del fatto che nell’elenco di San Malachia si ritrovano Papi ed antipapi, dei quali la storia avrebbe poi rivelato l’eresia, senza che sia sempre rinvenibile, nella Profezia sui Papi di San Malachia, una chiara indicazione del loro essere estranei alla Chiesa cattolica e, in quanto tali, antipapi.

Seguendo i motti di San Malachia, il presente lavoro parte dal Conclave del 1958 per proseguire lungo la cronologia ben esposta nella Profezia sui Papi diramandosi in due filoni: quello dalla gerarchia apparente e quello della Gerarchia reale, che, ad un esame più approfondito di quello che comunemente viene fatto, sembrerebbero essere state entrambe esposte nella Profezia. Ma, mentre la prima è evidente, la seconda sembra essere, anche nella Profezia sui Papi, quasi occultata, nascosta; esattamente come la “Chiesa eclissata”, che sta forse vivendo in questi tempi gli ultimi anni del suo esilio.

Nella tabella che segue è riportata, nelle colonne indicate con il numero (1), la reale successione dei Papi successivi a Pio XII; in quelle indicate con il numero (2) è riportata la cronologia delle successioni “papali” così come questa ci è stata indicata.

         1 2
Data Evento “Motto” di San Malachia con relativa numerazione Evento Motto” di San Malachia con relativa numerazione
9 ottobre 1958 Morte di S.S. Pio XII 106 “Pastor Angelicus
25 ottobre 1958 Indizione del Conclave per la designazione del successore di Pio XII
26 ottobre 1958 Un Papa è stato eletto”. Elezione di Giuseppe Siri, Papa della Chiesa eclissata, in esilio, il quale assunse il nome di Gregorio XVII 107 “Pastor et nauta Svolgimento del conclave per la designazione del successore di Pio XII
28 ottobre 1958 “elezione” di A. Roncalli quale primo “papa” della pseudo-chiesa conciliare 107Pastor et nauta
21 giugno 1963 Conferma dell’elezione di S.S. Gregorio XVII al soglio pontificio 107 “Pastor et nauta “elezione” di G. B. Montini quale secondo “papa” della pseudo-chiesa conciliare 108Flos florum
26 agosto 1978 “elezione” di A. Luciani quale terzo “papa” della pseudo-chiesa conciliare 109De medietate lunæ
14-16 ottobre 1978 Conferma dell’elezione di S.S. Gregorio XVII al soglio pontificio 107 “Pastor et nauta “elezione” di K. Wojtyla quale quarto “papa” della pseudo-chiesa conciliare 110De labore solis
2 maggio 1989 Morte a Genova di S.S. Gregorio XVII in esilio
3 giugno 1990 Indizione del Conclave segreto per la nomina del successore di S.S. Gregorio XVII
3 maggio 1991 Elezione di S.S. Gregorio XVIII, Papa della Chiesa eclissata, in esilio Petrus romanus
2005 “elezione” di J. A. Ratzinger quale quinto “papa” della pseudo-chiesa conciliare 111 “De gloria olivæ
2013 “elezione” di J. M. Bergoglio “sesto” papa della pseudo-chiesa conciliare  

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Tabella 1: gli eventi succedutisi nella “vera” Chiesa (1) e nella pseudo-chiesa conciliare (2) a partire dall’ottobre 1958.

 Analizzando i motti di San Malachia ed interfacciandoli con gli eventi effettivamente avvenuti e con altri motti dello stesso San Malachia, si delinea un quadro molto interessante, di cui l’Arcivescovo irlandese sembra aver voluto lasciare una traccia “nascosta”, che fosse possibile verificare solo dopo il succedersi degli eventi. In tal modo, alla luce di una chiave di lettura che dà modo di fornire un’interpretazione esaustiva, emergono particolari che, in un primo momento invisibili e apparentemente non uniti da correlazione, forniscono ulteriori elementi una volta appaiati e messi in condizione di fornire indicazioni più precise.

S.S. Pio XII

106 S.S. Pio XII,Pastor angelicus

L’ultimo Papa del secolo scorso per il quale c’è concordanza fra la gerarchia della Chiesa e la pseudo-gerarchia “apparente” è Pio XII, indicato da San Malachia con il motto “Pastor angelicus” preceduto dal numero progressivo 106.

 S.S. Gregorio XVII

107 – S.S. Gregorio XVII, “Pastor et nauta”

Questo motto è il successivo di quello con cui San Malachia individua il Pastor Angelicus che fu Pio XII, nato Eugenio Pacelli. – Per la seconda volta in due motti consecutivi San Malachia ripete la parola Pastor, “pastore”. Emblematicamente, San Malachia userà il verbo “pascere”, dal quale deriva il termine “pastor” poco più avanti, nel motto relativo all’ultimo Pontefice, quello non preceduto da alcun numero, di cui si dirà dopo; ora, poiché il Pastore è colui che pasce le pecore, San Malachia ha voluto quindi indicare una correlazione esclusiva, una continuità diretta che inizia dal Pontefice da lui indicato al numero 107 e che lungo un filo nascosto ed invisibile giunge all’ultimo dei Pontefici della sua serie, a quel Petrus Romanus di cui si dirà in fine di questo lavoro.

Una cosa che si evidenzia nel leggere il motto n° 107 è la congiunzione “et”. – Oltre che in questo, San Malachia ha usato questa congiunzione nei motti relativi ad altri quattro Pontefici: quelli indicati ai numeri 56, 57, 81 e 98. Per ognuno di questi motti la congiunzione indica due attribuzioni diverse della stessa persona, come brevemente indicato di seguito [Con la premessa che è evidentemente arduo affermare che sia sufficiente la semplice presenza di questa congiunzione per indicare una correlazione fra i vari motti riportati in tabella, invito a rilevare alcuni particolari interessanti. Fra questi, i motti n° 56 e 57, relativi ad un Pio (II) e ad un Paolo (II), esattamente come i nomi assunti da coloro i quali hanno rispettivamente preceduto (S.S. Pio XII) e seguito (G. B. Montini) Roncalli sul soglio pontificio della Chiesa prima e poi della pseudo-chiesa “apparente”. – I motti 81, 98 e 107, che sono riferiti a Papi regnanti dopo la scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo, al quale si accennerà appena più avanti, mettono in relazione, volta per volta: due vegetali, due animali, due esseri umani. – Circa il simbolismo dei vari animali citati, caratterizzati da corna (capra) o palchi (cervo), dallo “strisciare sul proprio ventre e mangiare polvere per tutti i giorni della vita”, o ancora dall’essere cani (empi) o (super)predatori, lascio al lettore lo spunto per trovare gli innumerevoli agganci.]

n° progr. Motto Papa Spiegazione del motto
56 De capra et albergo Pio II (1458-1464) Enea Silvio Piccolomini fu segretario dei Cardinali Capranica e Albergatti.
57 De cervo et leone Paolo II (1464-1471) Pietro Barbo era stato Cardinale di San Marco Evangelista (che ha per simbolo un leone alato) e Commendatario della Chiesa di Cervia.
81 Lilium et rosa Urbano VIII (1623-1644) Lo stemma di Maffeo Barberini era animato da api che volano su gigli e rose.
98 Canis et coluber Leone XII (1823-1829)

 

Annibale della Genga fu definito dai suoi collaboratori fedele alla causa della Chiesa come il cane ed allo stesso tempo prudente nei suoi attacchi come un serpente.
107 Pastor et nauta Gregorio XVII Vedasi appresso
“Giovanni XXIII” Vedasi appresso

Tabella 2 – Motti di San Malachia in cui compare la congiunzione “et”.

 A differenza che nei primi tre motti, i n° 56, 57 e 81, in cui la congiunzione “et” è riferita a due elementi diversi che sono in possesso (reale o figurato) della persona cui si riferisce il motto, nel n° 98 essa si riferisce a due elementi chiaramente allegorici che rappresentano simbolismi a cui la persona stessa viene associata; si tratta, in tutti i casi, di elementi estranei alla persona stessa, essendo attributi che si limitano ad indicarla. – Nel motto 107, invece, la congiunzione “et” separa quelli che appaiono essere due mestieri (o compiti, o missioni che dir si voglia) della persona: pastore e marinaio. Se evidentemente nessun essere umano può essere nella realtà una capra, un cervo, un leone, un cane o un colubro, egli può ben essere “pastore e marinaio”. Ora, un pastore potrebbe in teoria essere evidentemente anche un marinaio: in questo caso si tratterebbe della stessa persona, per cui la congiunzione “et” si riferisce alle due attività diverse che farebbero capo alla stessa persona. – Oppure potrebbe trattarsi di due persone diverse, delle quali una fa il pastore e l’altra il marinaio. Ma … c’è forse, ancora, una possibilità. – Da un punto di vista religioso, è evidente che pastore (di anime) [1] e marinaio, o forse meglio pescatore (di uomini) [2], potrebbero essere la stessa persona.

[1]“In partic., guida spirituale: pd’anime, il sacerdote; e assol., il p., il parroco e più spesso il vescovo: Se ’l pastor di Cosenza, che alla caccia Di me fu messo … (Dante); ma anche, in genere, chi esercita la missione sacerdotale: Quello da Cui abbiam la dottrina e l’esempio, ad imitazione di Cui ci lasciam nominare e ci nominiamo pastori, venendo in terra a esercitare l’ufizio, mise forse per condizione d’aver salva la vita? (Manzoni: sono parole del cardinal Federigo a don Abbondio); sommo o supremo p., o pdei p., o pdella Chiesa, il Papa; il Buon p., figura largamente diffusa nell’antica iconografia cristiana come immagine di Cristo, ispirata forse dalla parabola evangelica del buon pastore, pronto a lasciare il gregge per ritrovare la pecorella smarrita. Nelle chiese protestanti, il ministro del culto. “ (da Treccani, Vocabolario online http://www.treccani.it/vocabolario/pastore/).

[2]Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini»

Viceversa, in senso materiale, si tratta di due mestieri così differenti che è impossibile che chi sappia fare bene uno sappia fare anche bene l’altro. Chi dovesse dichiarare di essere contemporaneamente pastore e pescatore sarebbe un bugiardo, in quanto potrebbe essere l’uno o potrebbe essere l’altro (non entrambi) o, nella peggiore delle ipotesi, né l’uno né l’altro: un impostore, quindi. – Pertanto, il motto di San Malachia potrebbe lasciar suggerire che esso sia riferito:  – ad un vero Papa nel caso in cui questi, in possesso del mandato divino, sia possessore di entrambe le prerogative; – oppure potrebbe suggerire, nel caso materiale di un papa nominato tale ma non legittimamente eletto, che si tratti di un impostore.

Quindi, il motto di San Malachia lascia aperte possibilità diverse agli estremi delle quali troviamo, da una parte, un pastore di anime e pescatore di uomini e, dall’altra, nella migliore delle ipotesi un millantatore. – E forse il motto vuole indicare entrambi, come quella congiunzione “et”, al di là dell’attribuzione di caratteristiche diverse, potrebbe suggerire.

Pastor et nauta, pastore (di anime) e marinaio 1° – Le analogie con il pontificato di Giuseppe Siri, che, eletto canonicamente nel corso del conclave del 1958, divenne Papa con il nome di Gregorio XVII, sono sorprendenti. – Giuseppe Siri fu Arcivescovo di Genova (pastor), una delle città marinare (et nauta). Le analogie potrebbero fermarsi qua, risultando abbastanza tenui, ma ce n’è una a dir poco sorprendente che fa di Giuseppe Siri il naturale destinatario del motto n° 107 di San Malachia. – Giuseppe Siri nacque infatti a Genova il 20 maggio 1906, esattamente 4 secoli dopo la morte dell’altrettanto genovese Cristoforo Colombo, il marinaio per eccellenza che certo non ha alcun bisogno di presentazione, morto a Valladolid il 20 maggio 1506.

“pastore e marinaio” 2° – Per il “papa” della pseudo-chiesa conciliare cui viene comunemente attribuito questo motto di San Malachia, le analogie si limitano alla prima riportata per Giuseppe Siri, essendo stato il Roncalli  arcivescovo di Venezia; davvero un po’ poco, il che renderebbe conto alla vaghezza di cui alcuni recenti detrattori dell’opera “Profezia sui papi” accusano qua e là lo stesso Malachia.

Eloquente immagine di S.S. Gregorio XVII tra il cardinale che, alla sua destra (sinistra per chi guarda), tiene un dito davanti alla bocca ed il cardinale Roncalli che, alla sua sinistra (destra per chi guarda), tiene la mano al centro del petto.

Si potrebbe aggiungere che al Roncalli andrebbe ascritta anche l’opera di traghettatore della Chiesa fino a farle raggiungere approdi molto lontani dai suoi porti di sempre, ma questo, lungi dal fare di lui un marinaio, ne farebbe un semplice traghettatore, non dissimile da quel Caronte che traghettava le anime sull’Acheronte nell’Ade, gli inferi pagani.

108 – “Flos florum”

 S.S. Gregorio XVII e, di bianco vestito , il “patacca” G.B. Montini

Nel corso del conclave avvenuto nel 1963, alcune fonti affermano che si sarebbe verificata una riconferma – peraltro inutile – del Papa eletto nel corso del Conclave precedente, di pari passo alla conferma degli eventi che già avevano portato all’ “impedimento” forzato al Papato dopo la rituale accettazione.

lo stemma di “flos florum”

In merito al “papa” conciliare incaricato, che, indicato con il motto di “flos florum”, ha risposto al nome di G. B. Montini, non si ritiene qui né utile né opportuno soffermarsi con una parola di più; il motto è qui incardinato sullo stemma ‘papale’ del suddetto, stemma che pare non essere una sua ideazione originale, bensì la copiatura pedissequa dello stemma della città natale di questo, ossia Concesio, che riporta gli stessi tre gigli. – Un importante richiamo al fiore del giglio si troverà poco più avanti a proposito del motto n° 110.

109 – “De medietate lunæ”

 Nel 1978, l’anno dei due “falsi” conclavi, un primo conclave portò all’elezione di Albino Luciani, il quale restò in carica 33 giorni con il nome di “Giovanni Paolo I”, cui è associato il motto n° 109 che recita “De medietate lunæ”. – Il mese lunare ha una durata media di 28 giorni, molto prossima a quella della durata dello pseudo-pontificato di Luciani. – Inoltre, Luciani proveniva da Canale d’Agordo, in provincia di Belluno, città veneta il cui suffisso (Bell-luno) ricorda molto il nome “luna”. – Lo stesso nome, Albino, indica un chiarore che nel linguaggio comune si accorda più con i “chiari di luna” che con la luce abbagliante del sole: a questo avrebbe pensato il suo successore nel prosieguo conciliare. Molto simile al nome Albino il termine “albedo lunare”, che indica il chiarore diafano tipico della luna.

 A. Luciani riceve la stola da G. B. Montini

Il paragone scelto da San Malachia per indicare Albino Luciani fa ricorso a questo astro che brilla di luce riflessa, come di luce riflessa era brillato Albino da cardinale in quanto futuro falso-papa, quando, nel corso di un suo viaggio a Venezia, G. B. Montini gli aveva fatto indossare la propria stola papale – forse ad indicarlo come suo successore designato -. Come di luce riflessa aveva deciso di brillare questo strano finto ”papa”, che aveva scelto come nome da papa i nomi dei due “papi” precedenti, con l’aggiunta per di più di un numero ordinale nella consapevolezza che sarebbe stato seguito da un secondo. Cosa che in effetti sarebbe avvenuta in brevissimo tempo.

110 – “De labore solis”

 

S.S. Gregorio XVII e, bianco-vestito, K. Wojtyla.

Dopo la luna, San Malachia indicò il sole, dotato questo di luce propria, nel motto che fa ricorso al lavoro di questo astro che sorge da oriente. – Come da oriente veniva Wojtyla, a suo tempo indicato come “arcivescovo di Cracovia”, per il quale fu preparato in Vaticano un posto che sarebbe durato dall’ottobre del 1978 fino al mese di aprile del 2005. – Ma le similitudini con il sole non si fermano a quella appena indicata. Il 18 maggio 1920, nello stesso giorno in cui nacque Karol Wojtyla, ci fu un’eclissi parziale di sole nell’emisfero australe, da dove sarebbe giunto, ad occupare il suo stesso posto, quel Bergoglio da lui stesso “creato” cardinale il 21 febbraio 2001. – L’8 aprile 2005, appena sei giorni dopo la sua morte, avvenne un’altra eclissi di sole, stavolta totale.

 Ra, il dio egizio del sole che governava ogni parte del mondo: il cielo, la terra e l’oltretomba.

Fra le altre cose, Wojtyla ha lasciato i “misteri” che, come i raggi solari, egli stesso chiamò “misteri luminosi”; detti “misteri” si aggiungono ai Misteri Gaudiosi, ai Misteri Dolorosi e ai Misteri Gloriosi del Rosario, modificando profondamente la struttura dello stesso e rendendone impropria la dicitura “Salterio”, fino a prima di Wojtyla del tutto analoga. – Siamo ben lontani, come si vede, dal tenue albedo lunare del, forse sprovveduto, Albino: l’aggiunta apportata da Wojtyla, un vero e proprio stravolgimento, scardina il concetto stesso del Rosario che, sognato da San Domenico da Guzman, al quale apparve la Madonna che recava una corona fatta da 150 rose (le Ave Marie) e 15 gigli (i Pater Noster), aveva un canone prestabilito che, come tante altre cose, all’uomo non sarebbe stato dato di modificare. Fra i molti motivi per cui le “Ave Maria” del Rosario devono essere 150, il Beato Alano della Rupe scrisse i seguenti:

RAGIONE MISTICA: Nella Sacra Bibbia, molte volte si riscontra il numero 150: sia nelle misure nella costruzione dell’Arca, del Tabernacolo di Mosè e del Tempio di Salomone, sia nel calcolo e nella forma del Nuovo Tempio, che Dio rivelò in visione ad Ezechiele. E se questo numero 150 si ritrova nel Rosario, tale numero possiede anche la sacralità biblica delle antiche figure. Così, nel Rosario di Gesù e di Maria, il numero 150, prefigurato dal Salterio di Davide, viene ora confermato nella sua verità.” (da: Beato Alano della Rupe – IL SALTERIO DI GESU’ E MARIA”)

111 – “De gloria olivæ”

 Lo stemma dello Stato di Israele, rappresentato da una menorah affiancata da due ramoscelli d’olivo

La gloria a cui si riferisce San Malachia, correlata a J. A. Ratzinger, non è quella dell’albero di olivo, le cui radici superficiali e molto estese in ampiezza sono ben assestate nel terreno anche arido dal quale riescono a ricavare l’acqua anche nel corso delle stagioni più aride; non è l’albero maestoso il cui tronco contorto e a volte straordinariamente imponente dà un’eccezionale sensazione di stabilità; non è la pianta dall’eccezionale longevità che riesce a sopravvivere quasi indefinitamente riuscendo a passare attraverso svariati millenni. – No, niente di tutto questo: la gloria a cui si riferisce San Malachia non è la gloria dell’albero di olivo: è la gloria “della” oliva, il prodotto principale dell’albero, un prodotto tutto sommato effimero che, se non raccolto e debitamente conservato, si esaurisce nel giro dei pochi mesi che vanno dall’autunno della produzione fino all’inverno, senza riuscire a giungere incorrotto all’estate e nemmeno alla primavera successiva all’emissione.

 De gloria olivæ (J. A. Ratzinger) con, ben visibile sulla mitra, la stella di David!

L’associazione con l’oliva risiede con ogni probabilità non tanto nel fatto che, come asseriscono i più, gli Olivetani siano una branca dei Benedettini (il sacerdote Ratzinger, consacrato non-vescovo secondo il rito blasfemo “rinnovato” del Novus Ordo, e “creato” non-cardinale dal Montini [in quanto falsa autorità], una volta eletto “papa”, ha scelto il nome di Benedetto XVI), ma più verosimilmente nel fatto che nello stemma di Israele due rametti di olivo, quelli che recano le olive, fiancheggiano la menorah. – E con Ratzinger, di ascendenze ebraiche, la gloria di Israele è giunta per mezzo delle molteplici affermazioni che quest’uomo ha fatto su suoi libri, in merito alla permanenza dell’Antica Alleanza fra l’uomo e Dio (in realtà infranta dal Peccato), alla “non necessità per gli Ebrei di passare attraverso la Chiesa per salvarsi”; si è manifestata nel suo copricapo papale con la stella a sei punte; ha visto la sua apoteosi nell’eliminazione anche dall’effigie papale del triregno che segna l’alleanza fra l’uomo e Dio.

  Stemma “non-papa” Benedetto XVI

L’effigie non-papale di J. A. Ratzinger

 L’effigie pseudo-papale di J. A. Ratzinger è caratterizzata da un complesso simbolismo di non immediata comprensione. – Vi si notano la presenza dal moro di Frisinga, dell’orso, della conchiglia; brilla per la sua assenza la tiara, che rappresentava l’unione fra l’uomo e Dio, che un infausto dì il Montini (“Flos florum”: da un fiore ha origine l’oliva…..) alienò materialmente, ma che continuò a permanere nelle effigi di A. Luciani e di K. Wojtyla. In Ratzinger invece la tiara viene eliminata definitivamente anche dalla rappresentazione anti-papale.

Il kazaro Adam Weishaupt, fondatore degli “Illuminati di Baviera”

La conchiglia riprende l’ “annuncio” di Adam Weishaupt, fondatore degli Illuminati di Baviera, il quale ebbe a dire che gli “Illuminati” si sarebbero infiltrati nella Chiesa ad avrebbero scavato dall’interno fino a quando non l’avessero ridotta ad una conchiglia vuota, un simulacro visibile dall’esterno ma privo di ogni santità (si parla, non è forse neanche il caso di specificarlo, della pseudo-chiesa apparente, non della Vera Chiesa di Cristo). –

Duomo “terremotato” di San Benedetto a Norcia, icona perfetta della chiesa-conchiglia effigiata sullo stemma del sedicente Benedetto XVI

E, come se si fosse fino ad allora restati in attesa del segnale convenuto, è stato nel corso dell’era ratzingeriana che è venuto fuori il sig. Bergoglio, che, ordinato non-sacerdote” secondo i riti del “novus ordo” e parimenti non-consacrato “vescovo”, è un perfetto semplice laico secondo i canoni della Chiesa di N. S. Gesù Cristo.

Di questo personaggio non compare infatti traccia alcuna nella Profezia sui papi di San Malachia.

PETRUS ROMANUS

 Davanti all’ultimo Pontefice le parole di San Malachia da Armagh si fanno grandiose, imponenti e tremende, come non può che essere quando ci si riferisce a qualcuno che è destinato ad essere artefice o testimone di accadimenti di immensa portata.

In persecutione extrema Sanctae Romanæ Ecclesia sedebit Petrus Romanus, qui pascet oves in multis tribulationibus; quibus transactis, civitas septicollis diruetur, et Judex tremendus iudicabit populum suum. Finis” [“Nella persecuzione estrema della Santa Chiesa Romana siederà Pietro il Romano, che pascerà il gregge fra molte tribolazioni; passate queste, la città dai sette colli sarà distrutta e il tremendo Giudice giudicherà il suo popolo. Fine.”]

C’è qui ben poco da aggiungere che non sia stato già detto dall’autore della Profezia dei Papi: ogni allegoria cede qui il posto alla chiara realtà, per la quale non c’è alcun bisogno di chiarimenti o di ipotesi. – Qualche parola si può però dire a proposito di Petrus Romanus, di questo ultimo Pontefice che appare privo del riferimento progressivo che ha contrassegnato prima di lui tutti gli altri Papi, nessuno escluso. – Ci si può chiedere per quale motivo egli non sia stato indicato dalla numerazione, cosa che potrebbe apparire priva di logica, essendo Petrus Romanus l’ultimo dei pontefici elencati da San Malachia ed essendo pertanto con ogni logica posteriore a tutti quelli già indicati con un numero che ne precede il relativo motto: per quale motivo la numerazione è stata sospesa proprio in corrispondenza dell’ultimo Papa?

– Una spiegazione plausibile, del tutto in linea con la situazione di fatto presente nella Chiesa, è la seguente: il numero di Petrus Romanus non è stato indicato non già perché non fosse nota la sua collocazione cronologica (la datazione precisa) o temporale (il suo posto nella successione papale), ma perché, come si è detto all’inizio, San Malachia non ha fatto alcuna distinzione fra Papi legittimi ed illegittimi e pertanto, una volta attribuita una numerazione omnicomprensiva che comprende sia chi è al suo posto che, progressivamente, chi è dove non dovrebbe essere, in periodo di due “Chiese” [una falsa ed una autentica] distinte e separate l’inserimento di un Pontefice che fa parte di un’altra successione temporaneamente oscurata (eclissata) creerebbe motivo di confusione, che richiederebbe precisazioni ulteriori le quali, in periodi di Chiesa eclissata, non potrebbero sussistere, pena l’esplicitazione di ciò che la Chiesa in esilio sta vivendo e pertanto la divulgazione dello stato di fatto.

– Quella stessa confusione di cui si è qui parlato a proposito di “Pastor et nauta”, nel cui motto è insita la parola Pastor – di derivazione dal latino pastor, da pascère: pascolare – sembra qui lasciare un’altra traccia della sua presenza. E, in un’accezione che qui ricompare e che potrebbe indicare una consequenzialità diretta fra i due, segue un filo logico che parte da quel Pastor et nauta che qui è stato indicato con il numero 1, cioè Giuseppe Siri, Gregorio XVII, il Papa in esilio, e che conduce direttamente a Petrus Romanus, Gregorio XVIII, scavalcando in silenzio tutti coloro che sono stati rappresentati dai motti dal n° 107 (per quel che si riferisce al “traghettatore”) al n° 111.

– “In persecutione extrema” indica chiaramente che la persecuzione cui la Chiesa di Cristo è soggetta, benché percepibile dappertutto in maniera sempre meno velata, raggiungerà il suo culmine nel corso del Pontificato dell’attuale Pontefice, che perdura già da oltre 26 anni.

Per ultimo, il nome, Petrus Romanus, indica che sarebbe il nuovo Pietro, quello che, fedele alla dettato della Chiesa, ricostituirebbe la Sancta Romana Ecclesia secondo lo schema che le è proprio e che nessun uomo può modificare, più bella e Santa che mai.

Gesù disse a Simon Pietro: “Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro? Egli gli rispose: “Sì, Signore, tu sai che io ti amo”. Gli disse: “Pasci i miei agnelli”. Di nuovo gli domandò: “Simone di Giovanni, mi ami tu ?”. Gli rispose: “Sì, Signore, tu sai che io ti amo.” Gli disse: “Pasci i miei agnelli”. Per la terza volta gli chiese: “Simone di Giovanni, mi ami tu ?” Pietro s’attristò perché gli aveva detto per la terza volta: “Mi ami tu ?”. Ed esclamò: “Signore, tu sai ogni cosa, tu sai che io ti amo”. Gli disse (Gesù): “Pasci le mie pecore. In verità, in verità ti dico: quando tu eri più giovane ti cingevi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio, tenderai le mani e un altro ti cingerà e ti porterà dove non vorrai”. Disse questo per indicare con quale morte avrebbe reso gloria a Dio. E detto ciò, gli soggiunse: “Seguimi”.

San Pietro

Tu es Petrus, et super hanc petram ædificabo Ecclesiam meam.

Et portæ inferi non prævalebunt adversus eam.