DEVOZIONE A MARIA SANTISSIMA

DEVOZIONE A MARIA SANTISSIMA

[da manuale di Filotea del sac. G. Riva, XXX ed. Milano – 1888,]

Invito alla devozione a Maria.

Come alla rovina del mondo concorsero un uomo e una donna, così fu stabilito nei consigli della eterna Sapienza che alla sua riparazione concorresse col divino Unigenito incarnato nel tempo, anche la divina sua Madre. L’uno come fonte da cui dipendono tutte le grazie, l’altra come canale per cui a noi si trasmettono. Di qui è che, dopo la devozione a Gesù Cristo, autore e consumatore della nostra salute, non potrà mai essere abbastanza raccomandata la devozione a Maria, da Gesù Cristo stesso stabilita per arbitra e dispensatrice di tutti i celesti tesori.

Importanza della devozione a Maria.

Infatti, a restringere il tutto in poco, non può immaginarsi una Devozione di questa più necessaria, più doverosa, più santa, più soda, più consolante, più salutare, più universale. Diciamo una sola parola su tutte queste qualificazioni; 1Devozione più necessaria, perché, come dice s. Bernardo, non vengono grazie sopra la terra che prima non passino per le mani di Maria; e s. Anselmo protesta che perirà infallibilmente chi non avrà servito a questa gran Vergine con una devozione sincera Gens quæ non servierit tibi, peribit, … 2°. Devozione più doverosa, 1. Perché per mezzo di Maria si è compita la più grande dì tutte le opere, qual è la Redenzione di tutto il mondo; 2. perché per la divina maternità di cui venne Maria onorata fu e sarà sempre esaltata al di sopra di tutte le figlie d’Eva, e quindi glorificata nel cielo più di tutti i beati uniti insieme, per cui la Chiesa le ha decretato un culto affatto particolare che si denomina di Iperdulia, cioè superiore a quello che si presta ai Santi e agli Angioli, inferiore solamente a quello che si presta a Dio; 3. perché infine se sul Calvario fu dichiarata da Gesù Cristo per nostra Madre, nel Paradiso fu stabilita nostra Regina e nostra Padrona. Dunque niente è più doveroso per noi che il condurci verso Maria da figli amanti, da sudditi ossequiosi, da servi fedeli. — 3Devozione più santa, sia per la santità dell’oggetto che si propone, essendo Maria la più santa di tutte le creature; sia per la santità del motivo che ce la inspira, che è 1. la venerazione dovuta al merito singolarissimo di Maria; 2. la riconoscenza dovuta ai continui suoi benefici, 3. l’obbedienza agli ordini divini abbastanza espressi nei tanti titoli che Dio le diede ad essere parzialmente venerata i n tutto il mondo, 4. l’assecondamento dello spirito della Chiesa che in tante guise ne insinua e ne raccomanda la devozione più fervorosa; 5. l’imitazione di tutti i Santi che riguardarono sempre l’esercizio di questa devozione un un dovere indispensabile per arrivare a salute”, sia per la santità degli effetti che in noi deve produrre, quali sono l’acquisto di tutte le virtù, il conseguimento di tutte le grazie nella vita presente, e l’assicuramento del Paradiso nella vita avvenire, 4. Devozione più soda perché fondata sui principii e sui sentimenti di tutto il Cristianesimo verso la Madre di Dio, Regina degli Angioli, e degli uomini, e la sovrana dell’universo, la più eccellente di tutte quante le creature. 5. Devozione la più consolante: qual dolcezza, qual consolazione maggiore di quella di aver per propria madre la Madre stessa di un Dio, di poter quindi assicurarsi della bontà e della protezione di Lei che non esamina il merito dì chi La prega, ma solamente l’intenzione e il fervore con cui viene pregata? E di poter quindi con filiale confidenza ricorrere a Lei in ogni occasione? Qual gioia non desta in un cuore cristiano il sol Nome di Maria? 6. Devozione più salutare; essa diviene per noi sorgente di tutte le grazie ad assicurarci beata la eternità. Quanti peccatori non devono a questa devozione il loro ravvedimento? Quanti giusti la loro perseveranza? Quanti beati la felicità sempiterna di cui già sono al possesso? 7. Devozione più universale, dal principio del Cristianesimo fino a noi; scorrendo regolarmente per tutti i secoli, essa fu costantemente praticata da tutti i Santi, raccomandata da tutti i dottori, abbracciata da tutti i fedeli, professata da tutte le nazioni. Quanti Re non si fecero un dovere di mettere i propri Stati sotto la protezione della gran Madre di Dio? Quanti altari eretti a di Lei gloria? Quanti templi innalzati sotto il suo titolo? Quante feste stabilite a suo onore? Quante società di devoti formatesi sotto il suo nome? Quanti privilegi accordati ai suoi figliuoli? Quanti miracoli operati a intercessione di Lei? L’universo intero è un gran libro che pubblica continuamente ad ogni pagina le sue sovrane beneficenze. – Però a mostrare col fatto quanto importi lo spiegare il più grande impegno per la devozione a Maria, basti il ricordare quanto ha fatto la stessa SS. Vergine per impegnare gli uomini a mettersi fiduciosamente sotto il di Lei patrocinio colla devozione di nuovi Santuari, com maggiore decoramento dei già innalzati, specialmente, per essere sottratti alle più imminenti sciagure, così spirituali come temporali. Nella Valtellina, che doveva essere esposta agli assalti dei Protestanti, apparve la Vergine nel 1304 al nobile signore Mario Omodei, e gli comanda di dire al popolo che si erigesse un tempio dove posava allora i suoi sacri piedi, e gli dà segno l’istantanea sanità di un suo fratello da molto tempo gravemente infermo. Alla Motta nel Friuli nel 1510, si fa vedere ad un villano, e gli ordina di esortare la città e i paesi circonvicini a digiunare tre sabati in suo onore, e gli promette che ivi quanti La onorerebbero, tanti ne riporterebbero grazie meravigliose, e fu sì vero che il tempio che ivi si edificò si chiamò il tempio della Madonna dei Miracoli. A S. Severino nelle Marche nel 1519 una statua dell’Addolorata versa copiose lacrime, e col seguito dei miracoli riscalda il popolo alla pietà. A Treviglio nel Milanese nel 1532 una immagine della Vergine piange e suda copiosamente, e così chiaramente appare il miracolo che il francese generale Lautrec cessa dal mandare a sacco il paese, e si congiunge ai cittadini nel lodare e benedire Maria. A Brescia nel 1526, una immagine di Maria muove teneramente gli occhi ed apre le mani che nel dipinto erano congiunte, il divin Bambino egualmente si vede volgere le pupille alla Madre e stenderle amorosamente la mano. Il prodigio commuove tutta la città, si infervorano nella devozione anche i più traviati e la fede si rinforza contro gli errori. In Savona nel 1536 la Vergine si fa vedere ad un buon contadino e gli ordina di esortare il popolo alla penitenza. Tre fiammelle che si fanno vedere sopra la città assicurano il popolo della verità del fatto: accorrono al luogo della apparizione, e mille prodigiose grazie infiammano il popolo nella Religione. Così si dica di molte altre apparizioni, come a Reggio di Modena, dove uno privo affatto della lingua, pregando innanzi alla Madonna della Ghiaja l’acquistò e poté liberamente parlare. Come a Napoli, dove la Vergine apparve a una povera donna manifestandole una sua immagine che stava sotterrata in alte rovine. Come in Mesagna di Brindisi dove l’immagine della Vergine versò copioso sudore; come a Termini dove coll’olio della lampada che ardeva avanti alla Madonna della Consolata uno storpio fanciullo riacquistò all’istante gagliardia al camminare; come a Roma dove la Vergine apparve a una povera donna e l’avvisò che se voleva la vista cercasse nel Rione dei Monti di un diroccato fenile in cui era dipinta una sua immagine, e l’acquisterebbe. Il fatto confermò 1’apparizione e fu principio di mille e mille altri miracoli che ottennero ì Romani. Che dirò poi di ciò che vide Roma nel 1796! Ecco Maria in molte delle tante venerate sue immagini e di quelle singolarmente più esposte al pubblico, nel cospetto d’affollata moltitudine dei più cauti ed accorti, dei più male prevenuti ed increduli, e non per un giorno, ma per sei mesi interi, non in una immagine, ma in più di cento, ecco apre quegli occhi di misericordia e di amore, e pieni di luce, di vita, or li muove soavemente in giro, ora li alza guardando pietosamente il cielo, or li abbassa mirando il popolo supplicante, che a sì nuovo e portentoso spettacolo confonde coi singulti, coi gemiti i clamori e le preci e si disfà in tenerissimo pianto, a cui succede il più pronto ed edificante ravvedimento dei proprii errori.

Pratica della devozione a Maria

Ció premesso, chi può mai essere indifferente pel culto di Maria, mentre attestano i Santi, che, credere di salvarsi senza professare tal devozione è lo stesso che pretendere di volare senz’ale? Ora fra le pratiche utilissime a questo scopo non dobbiamo mai trascurare le seguenti 1. Consacrarsi a Maria per tutta la vita, eleggerla per nostra madre, e aspettar tutto dalla sua protezione, 2. Onorare specialmente i di Lei misteri, accostarci ai Sacramenti nelle sue festività, e distinguere con orazioni apposite e con qualche mortificazione, le novene che le precedono, non che i sabati di lutto l’anno; 3. Recitare ogni giorno qualche determinata preghiera a di Lei onore, come sarebbe la coroncina de’ suoi Dolori, quella delle sue Allegrezze, e specialmente il Rosario; oltre l’esser fedele in salutarla con l’Angelus Domini all’invito che fa la Chiesa, alla mattina, al mezzogiorno, alla sera; 4. Tenere qualche sua immagine in propria casa, qualche sua medaglia, o suo abitino al collo; 5. entrare nelle confraternite stabilite sotto il di Lei nome, specialmente in quelle del Rosario, del Carmine, della Cintura e della commemorazione dei suoi dolori, adempiendone fedelmente tutti i doveri; 6. Adoperarsi di propagare tal devozione negli altri, ascoltar volentieri le di Lei lodi; mostrare grande venerazione alle sue immagini, e concorrere per onorarle; 7. distinguere ogni anno con ossequi particolari il Mese di Maggio, che una pietà illuminata ha in modo particolare consacrato in onore di Maria, e praticare con fedeltà tutto quello che dai libri appositamente per ciò composti viene giornalmente insinuato. – Quando voi siate costante in tutto questo, potete ritenere come assicurata la vostra eterna salute, essendo la Chiesa medesima che mette in bocca a Maria quelle famose parole: Beato chi veglia continuamente alle mie porte — Chi ritrova me ritrova la vita, ed avrà la salute dal Signore. Egli è perciò che, scorrendo i fasti della Chiesa, si rileva ad ogni passo che i Santi di tutte le età e di tutte le nazioni, furono sempre devotissimi di questa grand’Arbitra d’ogni grazia, e non lasciarono intentato alcun mezzo per diffonderne in altri la devozione; e quanto più erano eminenti in santità, tanto maggiore spiegarono il proprio zelo per questo culto, reputandolo caparra sicura dei più distinti favori in questa vita, e di eterna gloria nell’altra. Di qui è che il mellifluo S. Bernardo scriveva — Taccia la vostra misericordia, o Vergine beatissima, se si trova alcuno che non abbia ottenuto il vostro favore quando l’ha chiesto ne’ suoi bisogni — Ed in altro luogo ci esorta tutti a fiducialmente ricorrere a Lei, con le seguenti parole — O tu, che fra l’onde di questo secolo vai fluttuando, se non vuoi perire nella tempesta, non levare mai gli occhi da questa stella. Se si leveranno i venti delle tentazioni, se sarai vicino ad urtare negli scogli delle cattive occasioni, mira la stella, chiama Maria. Se ti assalta l’onda della superbia, dell’ambizione, della mormorazione, dell’invidia, mira la stella, chiama Maria. Se la navicella della tua anima ondeggerà e sarà in pericolo per la cupidigia o per altro sensuale appetito, mira Maria. Se cominci a sommergerti per la gravezza dei tuoi delitti e la bruttezza della tua coscienza, o spaventato dal giudizio divino ti affliggi e temi di cadere nell’abisso della disperazione, pensa a Maria. Nei pericoli, nelle angustie, nei punti pericolosi pensa a Maria, chiama Maria. Maria non parta mai dalla tua bocca, non parta dal tuo cuore, ed affinché tu ottenga l’esaudimento della preghiera, non lasciar mai gli esempi della sua conversazione, perchè seguendola non esci di strada; pregandola non disperi; pensando ad Essa non erri; attenendoti a Lei non cadi, difendendoti Essa non hai paura; essendo Ella tua madre non ti stanchi; ed essendo Essa propizia sei sicuro di giungere al porto della eterna felicità. – E che non vi abbia veruna esagerazione in tutte queste asserzioni di S. Bernardo, lo provano i vari innumerevoli fatti che si trovano nelle più autentiche storie.

Frutti della devozione a Maria

Ma tra i tanti fatti che provano una verità si consolante, non si può lasciare di addurne alcuni. A S. Gregorio il taumaturgo vescovo di Ncocesarea, Maria apparve sensibilmente ed ordinò a S. Giovanni evangelista, che era con Lei, di insegnargli con la maggior precisione quanto doveva egli credere e predicare intorno al mistero della SS. Trinità. Per ovviare i danni di cui Giuliano 1’apostata minacciava la Chiesa, ad istanza di S. Basilio, ordinò a s. Marziale martire che uccidesse il tiranno; e così fu fatto sui campi di Persia. Apparve a ,S. Martino, e lo ricreo essendo accompagnata da un coro di Vergini che con Lei discesero dal cielo. S. Cirillo Alessandrino, il quale per difendere la sua prerogativa di vera Madre di Dio, combatté l’eresiarca Nestorio, e lo vinse, fu da Essa soccorso nella sua morte, e gli fu impetrato il perdono della colpa da lui commessa nell’aver avuto sinistra opinione di S. Giovanni Crisostomo. A S. Giovanni Damasceno, restituì la mano destra che il barbaro Re Isiàm, mosso da una falsa accusa degli eretici gli aveva fatto troncare; e a testimonianza di questo miracolo restò per segno, una specie di filo rosso nella congiuntura dove la mano si riattaccò al suo braccio. S. Gregorio Magno, colla immagine della Vergine dipinta da s. Luca, che Égli ordino che fosse portata in pubblica processione, mitigò l ‘ ira del Signore, e fece cessare quella spaventevole pestilenza, che aveva rovinato in gran parte, e stava per render deserta la città di Roma; e mandò come dono preziosissimo ai suo intimo amico s. Leandro, arcivescovo di Siviglia, una immagine della Madonna al presente in Guadalupe, e fa ogni giorno tanti miracoli, per cui non solo in tutta la Spagna, ma in tutto il mondo è in somma venerazione. S. Idelfonso, vescovo di Toledo, per avere difeso contro gli eretici Elvidiani nel modo il più concludente, la perpetua verginità di questa Regina degli Angioli, meritò di vederla ed adorarla sulla sua cattedra episcopale di Toledo circondata da gran maestà, e ricevere dalla sua mano quella celeste pianeta che ancor si conserva fra le più insigni reliquie. A Ruperto abbate, Tuitense, che per essere tardo di ingegno, diffidava di poter penetrare ed intendere i tanti misteri nascosti nella Sacra Scrittura, impetrò la SS. Vergine tanta luce di scienza che divenne uno dei saggi uomini del suo tempo, illustrato da molti miracoli in vita ed in morte. Lo stesso beneficio ricevette Alberto Magno, frate dell’ordine di s. Domenico, che stava per uscir dal convento supponendosi incapace di riuscire nella carriera delle scienze che fra’ suoi sempre coltivaronsi con grande impegno. Ma appena dietro suggerimento di alcune Vergini a lui apparse insieme a Maria SS., supplicò del suo aiuto questa vera sede della sapienza, divenne uno dei più scienziati, e fu maestro dei due grandi Dottori della Chiesa, s. Tommaso d’Aquino e s. Bonaventura. – Se non che, qual è mai quel favore di cui Maria non abbia degnato i suoi devoti? Ella visita, abbraccia, ed asciuga il sudor della fronte ad alcuni monaci cistercensi che nel campo mietono affaticati. Fa vento e rinfresca agli ardori febbrili una vedova sua devota. Consola ed asciuga parimenti il sudore ad un sacerdote moribondo che spesso l’aveva compatita nei suoi dolori. Restituisce benignamente la lingua ad un sacerdote cui era stata tagliata dagli eretici per averlo trovato un tal sabato a dir Messa in onore di Lei. Sostenta con le sue braccia un suo devoto ingiustamente condannato a forca, e fa che non iscorra il fatal laccio a strangolarlo. Invita ed accoglie in magnifico palazzo, e deliziosamente ristora due Religiosi dell’ordine di S. Francesco, smarritisi di notte in una selva. Dona una preziosa mirabile veste a san Bonito, vescovo di Alvernia. Ricucisce di propria mano il cilicio e dona un anello da sposo a S. Tomaso Cantuariense giovinetto. Imparadisa colla sua presenza e col suo canto Tomaso monaco Cisterciense. Sveglia il dormiente B. Ermanno premostratese, e lo libera dal pericolo di trovarsi poco meno che dissanguato per essergli sciolta la benda di un recentissimo salasso; altra volta colle sue mani gli rincassa nelle gengive due denti che s’erano sveltì nella sua bocca in una precipitosa caduta. Risaluta graziosamente Adamo di S. Vittore, si stringe al petto s. Bernardo, s. Domenico, s. Roberto vescovo Carnotese, e il Beato Alano della Rupe. Libera per sempre da una desolantissima tentazione s. Francesco di Sales. Conversa tutta una notte con s. Filippo Neri, e lo risana perfettamente mentre diffidavasi di sua guarigione. Ringrazia in persona il vescovo S. Brenone per avere .celebrato con distinta pompa la festa della sua Natività: lo stesso fa pure col P. Gesuita Martin Guttierez per aver fatto difendere pubblicamente la preminenza dei di Lei meriti sopra quelli di tutti i Beati uniti insieme; e da una marmorea statua collocata all’ingresso dell’Aula dell’università di Parigi, innanzi alla quale si fa a pregarla il celeberrimo Scoto Giovanni Duns, china visibilmente la testa per assicurarlo della sua assistenza nella difesa che stava per fare della sua Immacolata Concezione davanti a più di 200 Teologi. – Ne fu mai meno ammirabile la sua misericordia verso i peccatori, di quello sia stata magnifica la sua liberalità verso i proprii devoti. Chi non sa come questa Madre ed Avvocata dei peccatori liberò quell’arcidiacono e maggiordomo di Adama, città di Cilicia, nominato Teofilo, il quale per essersi veduto falsamente accusato, vinto dall’impazienza, ed accecato dal dolore rinnegò Cristo e la benedetta sua Madre, e si diede tutto in preda al Demonio con cedola scritta e sottoscritta di sua propria mano, la qual cedola gli fu poi da Maria medesima retrocessa, appena a Lei si rivolse pentito, e finì ad ottenere ampio perdono del proprio fallo, e morì da santo? Che dirò poi d i Maria la penitente, detta Egiziaca, la quale, essendo stata dapprima per molti anni un vero vaso d’abominazione e di scandalo, appena prostrata innanzi a un’immagine dipinta presso la porta di S. Croce in Gerusalemme, si raccomandò alla Vergine delle Vergini, e le promise intera e costante emendazione di vita, si sentì cambiata in tutt’altra, divenne uno specchio di santità, un prodigio di penitenza, vivendo per ben 47 anni solitaria in un deserto al di là del Giordano, dove non vide mai faccia d’uomo, né fu da altri visitata che dall’abbate Zosimo, che per celeste inspirazione andò ad amministrarle l’Eucaristia poco prima della sua morte! Né degna di minor meraviglia è la grazia che fu concessa ad una donna alemanna la quale nell’anno 1094 presso la città di Landau, essendo stata, come rea d’omicidio condannata al fuoco, mentr’era condotta al supplizio, invocò con gran fervore l’aiuto della Beatissima Vergine, e lo ottenne così compiutamente che, gettata due volte nel fuoco, non bruciò nemmeno un filo della sua veste, per cui, come protetta visibilmente dal cielo, fu pienamente lasciata libera. Ma chi potrebbe contare tutti i prodigi di cui Maria fu liberale verso quanti si fecero ad invocarla? Ah troppa ragione ebbe S. Bernardo di esclamare: Lasci per sempre di invocare Maria chi può asserire con verità di averla una sola volta invocata senza

CONSACRAZIONE A MARIA.

Protesto, o Vergine SS., Madre di Dio, Maria, avanti la SS. Trinità e a tutta la Corte celeste, di tenere Voi sola dopo Cristo per mia particolare Signora, avvocata e Madre; e per tale vi eleggo oggi e per sempre; e interamente a voi mi offerisco in vostro servo perpetuo. — Vi stimo, vi riverisco come vera Madre di Dio, e credo fermamente tutto quello che di Voi crede la Santa Madre Chiesa. Spero per vostro mezzo di salvarmi, mediante un vero dolore dei miei peccati, una sincera emendazione dei miei difetti, ed una fedele perseveranza nel vostro santo servizio; e di tutto vi supplico umilmente ad impetrarmi la grazia dal vostro santissimo Figliuolo. Vi amo dopo il vostro Figliuolo sopra tutte le cose; e vorrei, o amabile Signora mia, che tutti vi amassero e vi onorassero quanto meritate. Piango e maledico quel tempo in cui non vi ho amato: e desidero di amarvi con quell’ardore con cui vi amano e vi hanno amato le anime più fervorose. — Mi rallegro della vostra grandezza, o Madre del divin Figlio, o Figlia del divin Padre, o Sposa dello Spirito Santo, o Regina degli Angeli, o Imperatrice dell’universo; me ne compiaccio infinitamente più ancora che se fosse mia propria, e ringrazio infinitamente tutta la SS. Trinità che a tanto onore vi ha esaltata. — Madre mia amorosissima, io Vi ringrazio infinitamente per gli innumerevoli benefici che avete fatto a me, il più sconoscente tra i vostri servi, il più indegno tra i peccatori, o inventrice ed arbitra della grazia, benedetta fra tutte le donne, o Madre della misericordia, allegrezza delcielo, consolazione della terra, terrore dell’inferno, sempre Immacolata e sempre Vergin, prima del parto, e dopo il parto, Madre del bell’amore, Maria, io ripongo in Voi tutta la mia confidenza, e prometto di volervi sempre onorare a tutto potere fino alla morte, O sostegno dei vivi, conforto degl’infermi, speranza dei moribondi, luce dei ciechi, fortezza dei deboli, o rifugio dei peccatori, io vi supplico umilmente ad impetrarmi dal vostro divin Figlio tutte le grazie che vedete a me necessarie, e specialmente una plenaria remissione de’ miei peccati, un total distacco dal mondo e da me stesso, una continua imitazione delle vostre virtù, la stabilità nell’amore di Gesù Cristo, e la perseveranza finale. Così spero. Così sia.

INDULGENZE PER IL MESE DI MARIA

Con rescritto della S. C. Delle Indulgenze, 18 giugno 1822, a tutti i fedeli che in pubblico o in privato onoreranno con particolari ossequi, orazioni ed atti devoti la SS. Vergine in tutto il mese di Maggio, Pio VII concesse 300 giorni di Indulgenza ogni giorno, e la Plen. una volta al mese, nel giorno in cui, ricevuti i SS. Sacramenti, pregheranno secondo la mente del sommo Pontefice [l’attuale Gregorio XVIII –ndr.-]. Tale Indulgenza per concessione di Pio IX, 8 Agosto 1859, può lucrarsi anche nel 1° di Giugno.

LA MADONNA DI POMPEI: Supplica e novena

Supplica alla Regina del SS. Rosario di Pompei

Da recitarsi a mezzogiorno l‘8 Maggio e nella prima Domenica di Ottobre.

 In nomine  Patris, et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

I. O augusta Regina delle Vittorie, o Vergine sovrana del paradiso, al cui nome potente si rallegrano i cieli e tremano per terrore gli abissi, o Regina gloriosa del Santissimo Rosario, noi tutti avventurati figli vostri che la bontà vostra ha prescelti in questo secolo ad innalzarvi un tempio in Pompei, qui prostrati ai vostri piedi, in questo giorno solennissimo della festa dei novelli vostri trionfi sulla terra degli idoli e dei demoni, effondiamo con lacrime gli affetti del nostro cuore, e con la confidenza di figli vi esponiamo le nostre miserie. – Deh! da questo trono di clemenza, ove sedete Regina, volgete, o Maria, lo sguardo vostro pietoso verso di noi, su tutte le nostre famiglie, sull’Italia, sull’Europa, su tutta la Chiesa, e vi prenda compassione degli affanni in cui volgiamo e dei travagli che ci amareggiano la vita. – Vedete, o Madre, quanti pericoli nell’anima e nel corpo ci circondano; quante calamità ed afflizioni ci costringono! O Madre, trattenete il braccio della giustizia del vostro Figliuolo sdegnato, e vincete con la clemenza il cuore dei peccatori; sono pur nostri fratelli e figli vostri che costano sangue al dolce Gesù e trafitture di coltello al vostro sensibilissimo cuore. Oggi mostratevi a tutti, qual siete, Regina di pace e di perdono. Salve, Regina, etc. ..

II. È vero, è vero, che noi per primi, benché vostri figliuoli, con i peccati torniamo a crocifiggere in cuor nostro Gesù, e trafiggiamo novellamente il vostro cuore. Sì, lo confessiamo, siamo meritevoli dei più aspri flagelli. Ma voi ricordatevi che sulle vette del Golgota raccoglieste le ultime stille di quel Sangue divino e l’ultimo testamento del Redentore moribondo. E quel testamento di un Dio, suggellato col Sangue di un uomo-Dio, vi dichiarava Madre nostra, Madre dei peccatori. Voi dunque come nostra Madre siete la nostra Avvocata, la nostra Speranza. E noi gementi stendiamo a voi le mani supplichevoli gridando: misericordia! – Pietà vi prenda, o Madre buona, pietà di noi, delle anime nostre, delle nostre famiglie, dei nostri parenti, dei nostri amici, dei nostri fratelli estinti, e soprattutto dei nostri nemici e di tanti che si dicono Cristiani, e pur lacerano il Cuore amabile del vostro Figliuolo. Pietà, deh! Pietà oggi imploriamo per le nazioni travagliate, per tutta l’Europa, per tutto il mondo che ritorna pentito al Cuor vostro. Misericordia per tutti, o Madre di Misericordia. Salve, Regina, etc. ..

III. Che vi costa, o Maria, l’esaudirci? Che vi costa il salvarci? Non ha Gesù riposto nelle vostre mani tutti i tesori delle sue grazie e delle sue misericordie? Voi sedete alla destra del vostro Figliuolo, rivestita di gloria immortale su tutti i cori degli Angeli. Voi distendete il vostro dominio per quanto son distesi i cieli, e a voi la terra e le creature tutte che in essa abitano sono soggette. Il vostro dominio si stende sino all’inferno, e voi sola ci strappate dalle mani di satana, o Maria. Voi siete l’onnipotente per grazia, voi dunque potete salvarci. Che se dite di non volerci aiutare, perché figli ingrati e immeritevoli della vostra protezione, diteci almeno a chi mai dobbiamo ricorrere per essere liberati da tanti flagelli. Ah, no! Il vostro cuore di Madre non patirà di veder noi, vostri figli, perduti. Il Bambino che vediamo sulle vostre ginocchia, e la mistica corona che miriamo nella vostra mano, c’ispirano fiducia che saremo esauditi. E noi confidiamo pienamente in voi, ci gettiamo ai vostri piedi, ci abbandoniamo come deboli figli tra le braccia della più tenera fra le madri, e oggi stesso, sì, oggi da voi aspettiamo le sospirate grazie. Salve, Regina, etc. ..

Chiediamo la benedizione a MARIA

Un’ultima grazia noi ora vi chiediamo, o Regina, che non potete negarci in questo giorno solennissimo. Concedete a tutti noi il vostro costante amore, ed in modo speciale la materna benedizione. No, non ci leveremo oggi dai vostri piedi, non ci staccheremo dalle vostre ginocchia finché non ci avete benedetti. Benedite, o Maria, in questo momento il Sommo Pontefice (Gregorio XVIII). Ai prischi allori della vostra corona, agli antichi trionfi del vostro Rosario, onde siete chiamata Regina delle Vittorie, deh! Aggiungete ancor questo, o Madre: concedete il trionfo alla Religione e pace alla umana società. Benedite il nostro Vescovo, i sacerdoti, e particolarmente coloro che zelano l’onore del vostro santuario. Benedite infine tutti gli Associati al vostro novello tempio di Pompei, e quanti coltivano e promuovono la devozione al vostro Santissimo Rosario. O Rosario benedetto di Maria, catena dolce che ci rannodi a Dio, vincolo di amore che ci unisci agli Angeli, torre di salvezza negli assalti d’inferno, porto sicuro nel comune naufragio, noi non vi lasceremo mai più. Tu ci sarai conforto nell’ora di agonia: a te l’ultimo bacio della vita che si spegne. E l’ultimo accento delle smorte labbra sarà il nome vostro soave, o Regina del Rosario della valle di Pompei, o Madre nostra cara, o unico rifugio dei peccatori, o sovrana consolatrice dei mesti. Siate ovunque benedetta, oggi e sempre, in terra ed in cielo . Così sia. Ave, Maria, etc. ..

Indulgenze: 7 anni o. v. plen. s.c. p.t.m.

NOVENA IN ONORE

DELLA SS. VERGINE DEL ROSARIO

Di POMPEI

Indulgenze concesse dal S. P. Leone XIII a chi recita la:

Novena d’impetrazione.

Con Rescritto della Sacra Congregazione dei Riti del 29 Novembre del 1887, il Santo Padre Leone Xlll ha concesso a tutti i fedeli i quali con cuore almeno contrito e per nove giorni continui devotamente reciteranno innanzi ad un’Immagine della Vergine di Pompei questa Novena composta di cinque preghiere, versetti, responsorii ed oremus, l’Indulgenza di trecento giorni una volta in ciascun giorno della Novena medesima, e l’Indulgenza Plenaria a quelli che avendola praticata come sopra, veramente pentiti, confessati e comunicati in un giorno, o dentro la Novena, o dopo averla compiuta, pregheranno per qualche spazio di tempo, secondo l’intenzione del Sommo Pontefice.

O Santa Caterina da Siena, mia protettrice e Maestra, tu che assisti dal Cielo i tuoi devoti allorché recitano il Rosario di Maria, assistimi in questo momento; e degnati di recitare insieme con me la Novena alla Regina del Rosario che ha posto il trono delle sue grazie nella Valle di Pompei, acciocché per tua intercessione io ottenga la desiderata grazia. Così sia.

V. Deus, in adiutorium meum intende;

R. Domine, ad adiuvandum me festina.

Gloria Patri, etc. ..

I. O Vergine Immacolata e Regina del S. Rosario, Tu, in questi tempi di morta fede e di empietà trionfante, hai voluto piantare il tuo seggio di Regina e di Madre sull’antica terra di Pompei, soggiorno di morti Pagani. E da quel luogo dov’erano adorati gli idoli e i demonii, Tu oggi, come Madre della divina grazia, spargi da per tutto i tesori delle celesti misericordie. Deh! da quel trono ove regni pietosa, rivolgi, o Maria, anche sopra di me gli occhi tuoi benigni, ed abbi pietà di me che ho tanto bisogno del tuo soccorso. Mostrati anche a me, come a tanti altri ti sei dimostrata, vera Madre di misericordia;Monstra te esse Matrem”; mentre che io con tutto il cuore ti saluto e t’invoco mia Sovrana e Regina del Santissimo Rosario.

Salve Regina, Mater etc. ..

II. Prostrata ai piedi del tuo trono, o grande e gloriosa Signora, l’anima mia ti venera tra gemiti ed affanni ond’è oppressa oltre misura. In queste angustie ed agitazioni in cui mi trovo, io alzo confidente gli occhi a Te, che ti sei degnata di eleggere per tua dimora le capanne di poveri ed abbandonati contadini. E là, rimpetto alla città, ed all’anfiteatro dai gentileschi piaceri, ove regna silenzio e rovina, Tu, come Regina delle Vittorie, hai levato la tua voce potente per chiamare d’ogni parte d’Italia e del mondo cattolico i devoti tuoi figli ad erigerti un tempio. Deh! Ti muovi alfine a pietà di quest’anima mia che giace avvilita nel fango. Miserere di me, o Signora, miserere di me che sono oltremodo ripieno di miserie e di umiliazione. Tu, che sei le sterminio dei demonii, difendimi da questi nemici che mi assediano. Tu, che sei l’Aiuto dei Cristiani, traimi da queste tribolazioni in cui verso miserevolmente. Tu, che sei la Vita nostra, trionfa della morte che minaccia l’anima mia in questi pericoli in cui trovasi esposta; ridonami la pace, la tranquillità, l’amore, la salute. Cosi sia.

Salve Regina, Mater etc. ..

III. Ah! il sentire che tanti sono stati da Te beneficati, solo perché sono ricorsi a Te con fede, mi infonde novella lena e coraggio d’invocarti a mio soccorso. Tu già promettesti a S. Domenico, che chi vuol grazie col tuo Rosario le ottiene; ed io, col tuo Rosario in mano, ti chiamo, o Madre, all’osservanza delle tue materne promesse. Anzi Tu stessa a’ di nostri operi continui prodigi per spingere i tuoi figli a edificarti un Tempio a Pompei. Tu dunque vuoi tergere le nostre lacrime, vuoi lenire i nostri affanni! Ed io col cuore sulle labbra, con viva fede Ti chiamo e t’invoco: Madre mia!… Madre cara!… Madre dolcissima, aiutami! Madre e Regina del Santo Rosario di Pompei non più tardare a stendermi la mano tua potente per salvarmi: che il ritardo, come vedi, mi porterebbe alla rovina.

Salve Regina, Mater etc. ..

IV. E a chi altri mai ho io a ricorrere, se non a Te, che sei il Sollievo dei miserabili, il Conforti degli abbandonati, la Consolazione degli afflitti?! – Oh, io tel confesso, l’anima mia è miserabile, gravata da enormi colpe, merita di ardere nell’inferno, indegna di ricever grazie! Ma non sei Tu la Speranza di chi dispera, la grande Mediatrice tra l’uomo e Dio, la potente nostra Avvocata presso il trono dell’Altissimo, il Rifugio dei peccatori? Deh, solo che Tu dica una parola in mio favore al tuo Figliuolo, ed Egli ti esaudirà. Chiedigli dunque, o Madre, questa grazia di che tanto io ho bisogno. (Si domandi la grazia che si vuole). Tu sola puoi ottenermela: Tu che sei l’unica speranza mia, la mia consolazione, la mia dolcezza, tutta la vita mia. Così spero, e così sia.

Salve Regina, Mater etc. ..

V. O Vergine e Regina del Santo Rosario. Tu che sei la Figlia del Padre celeste, la Madre del Figliuolo divino, la Sposa dello Spirito Settiforme; Tu che tutto puoi presso la Santissima Trinità, devi impetrarmi questa grazia cotanto a me necessaria, purché non sia di ostacolo alla mia salvezza eterna. (Si esponga la grazia che si desidera). Te la domando per la tua Immacolata Concezione, per la tua divina Maternità, pei tuoi gaudii, pei tuoi dolori, pei tuoi trionfi. Te la domando pel Cuore del tuo amoroso Gesù, per quei nove mesi che lo portasti nel seno, per gli stenti della sua vita, per l’acerba sua Passione, per la sua morte di Croce, pel Nome suo santissimo, pel suo preziosissimo Sangue. Te la domando infine pel Cuore tuo dolcissimo, nel Nome tuo glorioso, o Maria, che sei Stella del mare, Signora potente, Madre di dolori, Porta del Paradiso e Madre d’ogni grazia. In Te confido, da Te tutto spero, Tu mi hai da salvare. Così sia.

Salve Regina, Mater etc…

V. Dignare me laudare te, Virgo sacrata;

R. Da mihi virtutem contra hostes tuos.

V. Ora prò nobis, Regina sacratissimi Rosarii.

R. Ut digni efficiamur promissionibus Christi. 

Oremus

 Deus, cuius Unigenitus per vitam, mortem, et resurretionem suam nobis salutis æternæ præmia comparavit, concede, quæsumus, ut hæc mysteria sanctissimo Rosario Maria; Virginis recolentes, et imitemur quod continent, et quod promittunt assequamur. Per eumdem Christum Dominum nostrum.

R. Amen.

LE TRE ORE D’AGONIA DI NOSTRO SIGNOR GESÙ CRISTO

LE TRE ORE D’AGONIA

DI

NOSTRO SIGNOR GESÙ CRISTO

del

p. ALFONSO MESSIA (1).

[da “Il Giardino spirituale”, Tip. Pesole, Napoli, s. d. -imprim.-]

INTRODUZIONE — Per ciò che si deve fare e contemplare il Venerdì Santo nelle tre Ore dell’ Agonia, cominciandole dalle ore diciotto.

INVITO

Già trafitto in duro legno

Dall’indegno popol rio,

La grand’alma un Domo Dio

Va sul Golgota a spirar.

Voi, che a Lui fedeli siete,

Non perdete, o Dio! i momenti;

Di Gesù gli ultimi accenti

Deh venite ad ascoltar!

Si darà principio con un breve ragionamento per disporre alla venerazione e al profitto di queste tre Ore, terminato il quale si leggerà quanto segue:

Noi tutti fedeli Cristiani, amanti del nostro Salvatore Gesù, redenti e riscattati a costo del Sangue suo preziosissimo, della sua Passione e Morte, dalla schiavitù della colpa e del demonio, dobbiate contemplare con somma attenzione e riverenza i tormenti, le ambasce e le angustie mortali che nello spazio di queste tre Ore d’Agonia patì sulla Croce il nostro amorosissimo Redentore. Furono tanto crudeli e orrende che, al dire di S. Bernardo, non vi ha intelletto umano che valga a comprenderle, nè lingua creata a spiegarle. Dalla pianta del piede alla sommità della testa nulla aveva il Salvatore di sano. Guardalo bene, o Anima, su quella Croce: tutto da capo ai piedi fatto una piaga: le spalle e tutto il corpo lacerato dai flagelli, il petto snervato dalle percosse, il capo trapassato orribilmente dalle spine, i capelli strappati, la barba schiantata, il volto ferito dalle guanciate, le vene vuote di sangue, la bocca inaridita dalla sete, la lingua amareggiata dal fiele e dall’aceto, le mani e i piedi crivellati e trafitti da fieri chiodi, e questi squarci inaspriti anche più dal peso del suo medesimo corpo: il cuore afflitto, l’anima sul punto di spirare, divelta da un’indicibile tristezza ed angoscia. Ma ciò non era veramente quel che più lo cruciava, poiché si era già offerto di volersi assoggettare ai tormenti della croce. – Quello che più gli trafiggeva il cuore nell’agonia di queste tre ore erano le nostre colpe e la nostra iniqua corrispondenza. Era la nostra ingratitudine che Gli cagionava quelle tremende agonie di morte. Ah! chi non aborrirà, o Anima, con tutto il suo cuore, le colpe, che furono cagione d’agonie sì mortali al nostro amorosissimo Salvatore? – In queste tre ore di un sì lungo tormento, senza che le acque di tante amarezze potessero spegnere la vampa della sua carità, tutti Ei ebbe davanti a sé per offerire a prò nostro con amore sviscerato il suo Sangue e la sua vita in sacrifizio all’eterno suo Padre. In queste tre Ore, benché con gli occhi nostri noi nol vedessimo, colla immensa sua vista ben vide Egli noi, e ci tenne presenti, per offerirsi in favor di ciascuno; come se ciascuno di noi fosse l’unico al mondo, e l’unico amato da Lui. In queste tre ore vide chiaramente ciascuna delle nostre colpe con tutte le sue circostanze, come le vede allora che si commettono, e ne fu si intimamente penetrato ed afflitto, che mosso a pietà di noi offrì il suo Sangue suo preziosissimo in pagamento dei nostri delitti. In queste tre Ore coll’amarezza delle sue agonie levò di mano al demonio, principe del mondo la scrittura e l’obbligazione delle nostre colpe, e, seco inchiodandola sulla croce, la cancellò col suo Sangue. – In queste tre Ore col prezzo delle sue agonie ci guadagnò dall’eterno suo Padre i tesori tutti della sua clemenza, tutt’i buoni pensieri e le sante inspirazioni, e tutti gli aiuti della sua grazia. Oh avventurosa memoria del nostro dolcissimo Redentore! Oh beate tre preziose Ore spese per i nostri falli, nelle quali meritammo di star presenti sul monte Calvario, e non da lontano, non da vicino alla Croce, ma nel cuore stesso, nella stessa memoria del nostro amorosissimo Redentore, per acquistare tutta la grazia dell’amor suo e dell’infinita sua carità! Davvero, o Anima, non soddisfacciamo abbastanza per quel che dobbiamo al dolcissimo nostro Gesù se in queste tre Ore non moriamo noi d’amore. – Voltiamoci, Anime, all’eterno Padre, nostro Dio e nostro Giudice, e fatti animosi dell’agonia del nostro Redentore Gesù, diciamoGli con tutto l’affetto e con l’umiltà del nostro cuore: “Oh eterno Padre, Giudice e Signore delle anime nostre, la cui giustizia è incomprensibile! Giacché ordinaste, o Signore, che l’innocentissimo Figlio vostro pagasse i nostri debiti, guardate, o Signore e Padre nostro, alla sì tremenda agonia, nella quale per la vostra obbedienza e per le nostre colpe si trova in queste tre Ore: guardate al sì pietoso pagamento che vi offre nel suo Sangue e nella sua agonia, affinché si plachi così la vostra Giustizia. Cessi, o Signore, la vostra indignazione, e poiché vi vedete pagato e soddisfatto sì abbondantemente, noi debitori restiamo liberi: e per queste tre Ore d’agonia dell’amantissimo Figlio vostro Gesù, meritiamo noi tutto quello che vi chiese per noi, il perdono cioè delle nostre colpe e gli aiuti efficaci della vostra grazia,adesso e nell’ora della nostra morte”. Amen.

Qui tutti si pongano ginocchioni a meditare quel che si è detto, e intanto si canta qualche strofa; o brevemente si suona qualche strumento; poi si mettono a sedere e si legge:

LA PRIMA PAROLA.

“Padre perdonate loro, perché non sanno quel che si fanno”.

Posto il nostro Signore Gesù Cristo, come celeste Maestro sulla cattedra della Croce, avendo fine allora taciuto con sì profondo silenzio, apri le divine sue labbra per insegnare al mondo in sette Parole la dottrina più alta dell’amor suo. Bada , o anima, dunque, ravviva le tue potenze, guarda bene che Egli è Iddio stesso che t’ammaestra, e strutto conto ti chiederà di queste sette lezioni. Oh Gesù amoroso! O Maestro divino! parlate pure, o Signore, che i vostri figli v’ascoltano. – Tutta la natura si commoveva nel vedere il suo Creatore patire aggravi si atroci. Si offusca il Cielo di tetre ombre: stava per dar la terra orribili scosse, per cozzar fra loro le pietre, per aprirsi le sepolture: sono gli Angeli istupiditi, mirando il loro Signore fra sì crudeli tormenti; i demonii poi pieni di rabbia e d’invidia per non veder eseguire sopra degli uomini il castigo che meritavano le loro colpe, come si era eseguito sopra dì essi. Possiamo immaginare che irritata la Natura contro dei peccatori, domandasse al Padre eterno giustizia e vendetta: “Usquequo, Domine, sanctus et verus, non vindicas sanguinem Filii fui?” E quando ancor tarderete, giusto Signore e santo, a prendere nei peccatori vendetta del Sangue e delle ingiurie dell’innocente vostro Figliuolo? E che, quando ad un tal clamore la divina Giustizia stava già per vibrare il fulmine dell’ira sua per vendicarsi: allora il Redentore del mondo mostrando la carità sua infinita, alzando gli oscurati suoi occhi all’eterno suo Padre, e rappresentandoGli la sua ubbidienza e i suoi meriti, gli dicesse: Padre, e Signor mio, trattenete il braccio della vostra giustizia per questa Croce in cui muoio; pel Sangue che per Voi in essa spargendo vi domando, o Signore, e vi prego di perdonare ai peccatori le colpe, colle quali mi han messo in questa Croce; perdonate loro, o Padre, perché non sanno quel si fanno. O anima peccatrice, apri gli occhi e gli orecchi e ascoltando in questa prima parola Gesù, che chiama Padre tuo e di tutti l’eterno suo Padre, riconosci l’altezza della tua origine! Non d’altro Padre sei figlia che dell’eterno Iddio. Oh Padre eterno! Voi mio Padre; ed io figliuol sì reo? Quale cecità m’allontana da’vostri occhi? Che stoltezza è la mia! lasciar le vostre carezze e la vostra grazia pel vile amore delle creature? Dove sto coi miei peccati? Dove vado colle mie passioni? In che stato mi trovo io dacché vi offesi? Oh Padre amoroso! io perisco qui miserabile nei miei debiti! A chi volterò gli occhi? A Voi li volterò io, Padre benignissimo. Ma come ha da aver occhi un ingrato per ritornare alla presenza di un padre che ha tanto offeso? Ritorna, sì, Anima afflitta, ritorna, che finalmente è tuo Padre. Andrò; ma, ahimè! oh Dio mio! che mi manca la lena, perché son senza numero le mie malvagità, le mie scelleratezze; e temo che i vostri sguardi non siano per me fulmini spaventevoli: morir sarà meglio, e non andare. Via, ritorna, Anima pentita, ritorna ch’Egli in fine è tuo Padre: è il tuo stesso Fratello Gesù che hai crocifisso colle tue colpe, e quegli che t’introduce e prega il Padre Sovrano a perdonarti, offrendo per le tue colpe il suo Sangue. – Oh mio Gesù! Oh Fratello amorosissimo! A me codesti piedi, che li baci colle mie labbra e li bagni colle mie lacrime. Voi domandate il perdono delle mie abominazioni; e d’amore io qui non muoio per Voi? Ahimè! qual durezza è la mia! Su, va con fiducia, Anima pentita: andate, peccatori tutti, a procacciarvi misericordia, che già trabocca il cielo in pietà, perché l’amorosissimo Gesù prega l’eterno Padre per tutti, e con profonda riverenza Gli dice: “O Padre pietosissimo, ecco che avete già qui i miseri peccatori! Non guardate, o Signore, che abbiano essi crocifisso me, ma che muoio per loro: vivano essi: non guardate alla loro ignoranza, ma all’amor mio: non guardate alla loro ingratitudine, ma al Sangue ch’Io ho versato: non guardate alle loro colpe, ma a questa vita che vi offro per loro su questa Croce: perdonate, che non sanno quel che si fanno.” – Oh carità infinita dell’amantissimo nostro Gesù, il cui incendio amoroso non poterono estinguer le acque di tanta crudeltà e tribolazione. Oh che alla dottrina c’insegna Egli in questa prima parola! Osserva, Anima, come scusa, alla maniera che può, quelli che Lo crocifiggono, e come perdona ai suoi crudeli nemici, e in essi a tutti i peccatori che l’offendono, e con le loro offese l’han messo in Croce. “Padre, dice, perdonate loro, perché non sanno quel che si fanno”. Impara, o Anima, da questo esempio a non accusare, né esagerare gli altrui difetti, né gli affronti che ti vengono fatti: impara a scusar le mancanze dei tuoi prossimi, benché ti siano nemici, attribuendole non al peggio, ma ad ignoranza ed inavvertenza, a zelo o ad altra men cattiva intenzione. Oh carico spaventoso che questa prima parola deve farsi il vendicativo e pieno di rancore! Gesù Cristo prega l’eterno Padre che ti perdoni tante ree parole, tante malvagie opere, con cui l’oltraggi e crocifiggi; e tu poi, Anima vendicativa e fomentatrice di odii, non perdoni una lieve parola, o un lieve affronto per Gesù Cristo! Che ostinazione è codesta, o cuore cattolico? Che ha di cristiano chi non ha pietà verso del suo nemico? Se accarezzi chi ti lusinga, mordi chi ti offende, che hai tu meno del bruto? E perché conservi il nome di cristiano? Guarda bene che Gesù Cristo ti tratterà nello stesso modo, e negherà a te tutto quello che negherai al tuo prossimo. Gli neghi tu la parola, gli neghi tu lo guardo, non gli porgi la mano? Neppure a te porgerà la mano Gesù, non ne udirai una buona parola, non vedrai che ti guardi. Perdona, o Cristiano, se vuoi che Gesù ti perdoni. Oh Padre eterno! Già perdono, Signore, a tutt’i miei nemici una e mille volte in riverenza del santissimo Figlio vostro, acciocché mi perdoniate Voi pure le innumerabili colpe che ho commesse contra la divina vostra Maestà. Perdonatemi, o Signore, che non seppi quel che mi feci quando io v’offesi, e se per essere stato a Voi tanto ingrato non merito di essere esaudito, lo merita il preziosissimo vostro Figliuolo, che pel suo Sangue e per la sua Agonia in quest’ora vi prega di perdonarmi. Perdonatemi, o Signore, che non seppi quei che mi feci: misericordia, pietosissimo Padre, per l’amantissimo Figlio vostro Gesù. – Qui s’inginocchiano tutti per meditare alquanto su questa parola: si canta frattanto questa strofa:

“Di mille colpe reo,

Lo sa Signore, io sono:

Non merito perdono.

Né più il potrei sperar.

Ma senti quella voce,

Che per me prega, e poi

lascia Signor se puoi,

Lascia di perdonar!”

Poi in rendimento di grazie del perdono che il Signore domandò per noi, si reciti cinque o più volte quello che segue.

“Siate infinitamente lodato, o mio Gesù Crocifisso, del perdono che domandaste per noi di tutti i nostri peccati”.

Si faranno poi gli atti seguenti:

“Credo in Dio: spero in Dio: amo Dio sopra tutte le cose: mi dolgo d’aver offeso Dio per essere quel Dio ch’è: propongo di non offenderlo mai più. Maria, Madre ammirabile. Avvocata dei peccatori, deh! per Gesù Cristo Crocifisso, impetrateci perdono e grazia efficace di non cadere mai più in peccato.”

LA SECONDA PAROLA

“Oggi sarai meco in Paradiso.”

Considera, anima divota, Gesù in mezzo a due peccatori: l’uno pentito, l’altro indurito; l’uno che si arrende, l’altro che si ostina; l’uno che si saJva, l’altro che si danna. Oh misteri profondi della predestinazione! Ma, oh trascuratezza la più lacrimevole dei mortali! Ànima, che ascolti la differenza di queste sorti impenetrabili, osserva ben nel tuo interno, a qual classe appartieni tu? A quella del buon Ladro che si salvò, o a quella del cattivo che si dannò? Ti salverai tu coll’uno, oppure coll’altro ti dannerai? Quanti dei qui presenti andranno a farsi compagni del Ladro misero nell’inferno? Oh punto spaventosissimo! Uomo, come vivi sì negligente? E tu, donna, sì spensierata in materia sì incerta e dubbiosa? Rifletti a qual di questi due ladri abbi invidia: allo sciagurato e ribelle, ovvero all’umile? E, se all’umile, come non sei tu umile? Come anzi ti stai in codesta croce dei tuoi vizi tanto ribelle? Peccatore e superbo? (cattivo ladro);Peccatore e umile? felice uomo! Il cattivo si rivolta contro a Gesù e come rinnegandolo l’ingiuria, e Lo maltratta qual falso Dio. Questo fa chi pecca e chi maledice: questo fa chi rinnega e chi bestemmia, aggiungendo all’offesa de’ vizi la contumelia dei disprezzi. – Non così il Ladro felice che, illuminato dai raggi divini di Gesù Cristo, Lo riconosce, Lo confessa, Lo adora per suo vero Dio. Il lume vostro, oh Dio, quanto è mai efficace! A’ vostri aiuti chi sarà che resista? Deh non rendete vane,o Anime, le chiamate: sentitele. L’uomo felice si rivolge a Cristo, e Gli dice con tenera voce: Signore, in Voi confido, io spero in Voi: il mio Signore Voi siete, il mio Dio e il mio Redentore, ricordatevi di me quando sarete nel vostro Regno. O fortunatissimo peccatore! li chi ti disse, o uomo facinoroso, che codesto Crocifisso fosse il tuo Signore, il tuo Dio, il tuo Redentore? Che gran vergogna per i Giudei il vedere che un Ladro confessa Gesù Cristo in una Croce, e negarlo dopo tanti miracoli? Ma quanti Cristiani Lo confessano colle labbra, e Lo negano colle opere. Che confessione è la tua, uomo turpe e vizioso? sfacciata donna e scandalosa, come ti confessi? Se alla tua confessione non sei tanto stabile da morirvi come il buon Ladro, ma anzi ti confessi appena che fai ritorno ai tuoi vizi e ai tuoi scandali; che confessare è codesto? Non è confessare da buon Ladro, ma da ladro cattiva, ostinato, reprobo. – Sul momento dell’ udir Cristo la voce del Ladro che Lo confessa e che Gli dimanda perdono, senza il minimo indugio gli perdona le colpe e le pene. Oggi, gli dice, sarai meco in Paradiso, oggi stesso, il Venerdì dei miei dolori. Ah giorno! chi ci sarà, chi non s’approfitti di te? Oh peccatore felice! Oh penitente avventurato, arrivasti in gran giorno: arrivasti quando stava il Redentore colle chiavi in mano, e colla porta non solo aperta, ma spalancata. – Oggi, o Anima, non è giorno di pene per l’uomo, che le pene se le addossò tutte Gesù. Oggi non v’ha pur gocciola di tormento: ché Gesù si ha assorbiti tutti i tormenti! Oggi per chi si pente non havvi inferno, «ché l’Inferno andò a chiudersi pei dolori di Gesù. Oggi pel peccatore tutto è Paradiso, tutto soavità, tutto gloria. Venite dunque a godere di sì buon tempo, enormissimi peccatori: con poco costo, con un buon cuore, con una parola, con un tenero sguardo amoroso, con un sospiro di petto penetrato si conseguisce. E come oggi potrà esserci cuore che non vi curi, o Gesù benignissimo? Quanto siete mai liberale, preciso, prodigo del Cielo! Oh cuore dolcissimo, tutto amore, tutto ansietà di salvar peccatori! Comunicaste al mondo o Signore, codesta pietà, accendete di cotesto affetto ogni cuore; si converta oggi il mondo, Signor grande; mirate come s’empie l’inferno non pur di Gentili, d’eretici, di Giudei; ma ancor di cristiani: qual crepacuore! Oggi, o Gesù mio, s’hanno a dannare moltissimi! Basta così, o Signore, ché è danno e dolore insopportabile che in tanti si disperda il vostro Sangue. Pietà, o Signor grande, verso i Cristiani: mirate la vostra greggia: non si vanti il demonio di vedere tanto trionfo: tutti si salvino, oggi, che a larga mano perdonate: e tutti già, o Signore, col buon Ladro pentiti vi confessiamo per nostro Dio e nostro Redentore: e proponiamo di fare una confessione vera: per questo, o Signore, vi chiediamo un vero dolore, e che oggi vi ricordiate di noi nel vostro regno.

Posti qui in ginocchio per meditare su questa parola, si canti poi la sua strofa:

Quando morte coll’orrido artiglio.

La mia vita a predare ne venga,

Deh! Signor, ti sovvenga di me,

Tu m’assisti nel fiero periglio,

e deposta la squallida salma.

Venga l’alma a regnare con Te.”

Si dica 5 volte al Signore la preghiera del buon Ladro, con dire: f Ricordatevi di me, o Signore, nel vostro Regno, per vostra pietà e misericordia. Poscia si dice: Credo in Dio, etc..

LA TERZA PAROLA

“Donna, ecco costì il tuo Figliuolo, ed al discepolo Giovanni:

Ecco costì la tua Madre”.

Vedendo il Salvatore dall’alta Croce in un profondo pelago d’amarezze la Madre sua amorosissima, le gettò nell’addolorato seno un’altra piena di sollecitudine e d’ambasce consegnando a lei per figliuolo in persona di Giovanni tutti i mortali. Oh Madre afflittissima! quale spada é codesta che nuovamente vi passa il cuore? Per figli il vostro divin Figlio Gesù vi raccomanda tutti i peccatori, affinché per figli li riceviate in suo luogo. Oh scambio sensibilissimo! Perdete in Gesù un Figlio sì amabile,e per figli avete da accogliere, nei peccatori, alcuni figli si villani e perversi che han crocifisso colle loro colpe il Figliuol vostro medesimo? Oh Signora addoloratissima! che tormento è cotesto? Non siete Voi addolorata abbastanza? Un tanto ingrato, come io sono, ci vuole di più a vostro carico? Al vostro seno trafitto, un figlio si scellerato! Oh carità infinita del Salvatore verso dei peccatori, poiché lascia loro per madre la Madre sua stessa! O somma pietà della Madre che pietosa, compassionevole, amorosa, tenera, accetta fin da quel punto, e qual madre sollecita stringe al suo seno tutto il mondo! Oh rifugio universale del mondo intero! come potrà il nostro cuore mostrarvi la riconoscenza che merita l’accettar noi per figliuoli? Con quali ossèqui potremo noi corrispondervi? Oh felici peccatori! guardate bene alla Madre di cui godrete, guardate bene alla Madre che avete: la madre vostra è Maria quella che è Madre di Dio, una Madre tutta piena di grazia, una Madre specchio di santità ci purezza: dice bene, Madre sì santa e figli sì perversi, Madre sì pura e figli sì deformi e sì immondi. O gran Signora! pigliateci ora sotto il vostro patrocinio, affinché siamo degni figli vostri, che già con gran sottomissione e fiducia, Madre vi ha da confessare tutto il mondo. Qui senza dubbio dovette tutto tremar l’inferno all’udire da Cristo questa parola; dovettero senza dubbio bruciar d’invidia i demoni. Uomini, udite; Inferno Maria è madre dei peccatori, Madre dei giusti, di tutti Madre. Oh Signora! Non una volta vi bacio, ma mille volte codesti sacri piedi, e con un grido, che s’oda in terra e in cielo, esclamo: Sì, sono figlio, quantunque indegno, di Maria. Oh Signora! Impetratemi voi che qual figlio vi riguardi e vi serva; e che vi ami quanto mi sia possibile, come vi ama il vostro Figlio Gesù. – Gli affetti vostri più teneri, Anime devote, debbano essere per la vostra Madre. Alzate gli occhi a Gesù che ve la dà e consegna per Madre, e in essa tutti raccolti i beni della sua misericordia per la vostra salvezza; perché nessuno si salva, fuorché per mezzo di Maria; nessuno ottiene perdono, fuorché per mezzo di Maria; beneficio alcun nessuno impetra fuorché per mezzo di Maria. Oh amorosissimo e liberalissimo Gesù! che amor fu quello che v’impegnò a tal tenerezza, a tal eccesso, a tal beneficenza? “Ecce Mater tua”, ti dice, o Anima, mira tua Madre. Ah Madre! vi rimiro, coll’amore più fervido del cuore, e coll’anima mia. Guarda bene o Anima, a Maria; alza gli occhi verso di Lei, innalza a Lei il cuore, che Ella ancor ti dice “Ecce Mater tua”. Guardami per tua Madre. Guardala addolorata per le tue colpe; accompagnala col dolore tuo stesso, giacché Ella prega per te; chiedile misericordia e perdono: domandale per i suoi dolori aiuti efficaci, e che ti riguardi qual figlio nell’ora terribile della morte. Oh Signora! oh Madre mia! adesso e nell’ora della mia morte, mostrate d’esser mia Madre, a me volgete codesti misericordiosi vostri occhi di Madre amorosa, guardate a quell’inesplicabile dolore che vi costammo ai pie della croce. No, a vuoto non vadano i vostri dolori: giovino a me, col vostro patrocinio, adesso e nel mio bisogno estremo. Ma oggi io vorrei, Madre amabilissima, per mostrar che son vostro figlio, morire d’amore e di dolore a pie di codesta croce. Oh morte tenerissima, vieni tu adesso; e fa che di dolore, e d’amore io muoia a piedi della mia Madre Maria e dell’amorosissimo mio Gesù.

Ci si ponga in ginocchi a meditare in questa parola; si canti poi la strofa:

“Volgi, deh volgi,

A me il tuo ciglio,

Madre pietosa;

poiché amorosa,

Me quel tuo figlio

Devi guardar.

Di tanto onore

Degno mi rendi.

Del santo amore

Tu il cor m’accendi.

Nè un solo istante

Freddo incostante

Ah! mai non sia,

Gesù e Maria

Lasci d’ amar”.

E in ringraziamento a Gesù di averci data Maria per Madre, e a Maria implorandola per madre, si recita cinque volte quello che segue:

“Gesù dolcissimo, vi ringraziamo che ci deste per Madre la’ vostra Madre Maria.”

A Lei poi si dirà: “Madre dolorosissima, Madre nostra, pregate pei vostri figli peccatori adesso e nell’ora della nostra morte”. … Poscia: Credo in Dio, etc..

LA QUARTA PAROLA.

“Dio mio, Dio mio, perché mi avete abbandonato?”

Dopo di avere il Salvatore soddisfatto a tutte le, più attente sollecitudini del Redentore del mondo, domandato già perdono per i peccatori, ed eletta Madre universale di tutti Maria sua Madre, cominciarono nell’ intimo dell’ anima sua santissima a farsi più vive le pene e gli sconforti più intensi. Esausto già, e consumato per le perdite del sangue, principiano i deliqui e le agonie della morte: più avvalorata la sua fantasia gli avviva la memoria delle ingratitudini degli uomini; se gli rappresentano da una parte le ingiurie gravissime dei malvagi, le tiepidità e le debolezze dei buoni; e dall’altra parte vede intuitivamente l’amore infinito del Padre verso degli uomini, la ribelle ostinazione degli empi, la dimenticanza di finezze sì grandi, lo sprezzo della SS. sua passione, i pochi a profittare della sua croce e della sua morte, gli innumerevoli che si sarebbero dannati, il dolore della sua Madre Santissima, la timidità dei suoi mesti Discepoli, le atroci persecuzioni della sua sposa, la Chiesa: e aggiunti tutti questi motivi a’ suoi tormenti e dolori, con la testa trafitta da una corona di spine, colle tempie penetrate da quelle punte acutissime, con gli occhi ingombrati dal polverio e dal sangue, e con le spalle squarciate, col petto oppresso, con le mani e i piedi traforati, (oh Gesù mio infinito nei dolori, come immenso nella pazienza!) in questo stato domandò al Padre la salvezza di tutto il mondo: ed al vedere che il suo sangue e la sua morte sarebbero stati infruttuosi in anime senza numero, che per colpe loro si sarebbero perdute, cominciò con questo maggior tormento ad agonizzare nell’anima: ed un sì profondo cordoglio più gli si accrebbe, quando vide che il Padre Lo lasciava patire senza conforto, tanti tormenti nel corpo, tanti affanni nell’anima; ed al vedersi abbandonato così fin dall’eterno suo Padre (così meritando i peccati che caricavano la sua croce), per tanto sensibile ed amaro abbandonamento cadde in tanta angustia e travaglio che prorompendo in un tristo e doloroso gemito, se ne lagnò coll’eterno Padre, dicendo; “Dio mio, Dio mio, perché mi avete abbandonato?” O amabilissimo mio Gesù! la cagione, o Signore, del vostro abbandono furono i miei peccati. Ah, Anima traviata! guarda all’orrendo abbandono che soffre il Figlio di Dio per il tuo traviamento: trema pure che Iddio pure non abbandoni te: trema che abbandonato da Dio, non avrai a chi voltar 1’occhio. – E perché dunque, o Anima, ti vuoi perdere? “Ut quid?” Rispondi a Gesù, che agonizzando, te ancora interroga da quella croce: perché vorrai rendere infruttuoso il mio sangue e la mia redenzione? Perché vorrai tu dannarti? “Ut quid?” Per cose della terra tanto vili? Per qualche piacere tanto sozzo? Per qualche interesse tanto caduco che svanisce nell’aria e sgraziatamente finisce? “Ut quid?” Su via rispondi, o Anima, sciolta in dolore ed in pianto. Ah Gesù mio! “Ut quid?” E perché m’avrò io da perdere, o Signore, stando voi in codesta Croce per me? Perché m’avrò io a dannare, spargendo per me cotesto preziosissimo Sangue ? Perché avrò io da mandarlo a male? No, Salvator mio, non sarà così; lo dicano questi miei occhi: il mio dolore e il mio pentimento lo dica: non mi abbandonate, o Gesù mio, pel santissimo vostro abbandono.

Qui la meditazione, e poi la strofa:

“Dunque dal padre ancora

Abbandonato sei,

Ridotto ti ha 1’amore

A questo, e buon Gesù?

Ed io con i falli miei

Per misero gioir

Potrotti abbandonar?

Piuttosto, oh Dio! morir,

Non più, non più peccar:

Non più peccar, non più!”

Indi a pregare, il Signore che: non ci abbandoni, cinque volte si recita quello che segue: “Gesù dolcissimo, pel santissimo vostro abbandono, non ci abbandonate né in vita né in morte.”

E una volta a nostra: Signora:

“Maria Madre di grazia, Madre di misericordia, ed in vita e in morte, o Signora, proteggeteci.

Poscia: Credo in Dio, etc..

LA QUINTA PAROLA

“Ho sete”.

Qual intelletto vi sarà che comprenda le cagioni che in questo estremo fecero più viva la sete del nostro dolcissimo Salvatore? Attaccata al palato quella lingua che fu strumento di tante meraviglie; secche per l’amarezza di tanti tormenti quelle labbra amorose: esausto di sangue e di sudore, era indicibile la sete che lo cruciava con nuova pena e maggiore: e però con rauca voce, ma tenera, esclamò, dicendo: “Sitio”, ho sete. Oh dolcissimo mio Gesù! Che sete è codesta che tanto vi molesta ed addolora? Che sete ha da essere? Sete insaziabile di anche maggiori tormenti per la nostra salute: sete accesa e cocente d’anime e di lacrime, come se dicesse: in questa ambascia ed agonia altra consolazione non vi è per me che il pianto dei miei cari devoti. Piangete dunque anime amanti di Gesù: piangete, ché arido e sitibondo è il buon Gesù agonizzante. Fonti, ruscelli, fiumi, date acqua ai miei occhi. O Signore, chi porgerà qualche sollievo alla vostra sete? chi lascerà il peccato? che questa è la sete che da a Cristo più pena, la sete che non si pecchi: “Sitio”, ho sete, o Gesù mio, chi vi darà refrigerio? Chi vi cercherà una pecorella smarrita? che questa è la sete che vi tormenta, la sete di guadagnare anime. Or io, o Signore, io vi cercherò anime; io insegnerò ai zotici ed ai fanciulletti le vostre vie; io esorterò i cattivi colla parola e coll’esempio; si convertiranno molti. “Sitio”. Ho sete, o mio Gesù, di chi mai siete tanto assetato? D’amore, d’amor più grande. Orsù, mirate dunque, o Signore, che un esercito avrete di vergini, di martiri, di confessori che morranno per impulso di un fervido vostro amore. D’ un amore vivissimo morrà la cara vostra Maddalena, le vostre spose Caterina, Lutgarda, Teresa, ed altre innumerabili. “Sitio”, ho sete; anche più amore; che mai amore non dice, basta. Deh! Anime, a morir d’amore con Gesù Cristo, che ha sete molta, v’è poco amore. “Sitio”. Ho sete: di che, o Signore? Che il mondo si salvi. Consolatevi dunque, o mio Bene, che i vostri Apostoli o discepoli vi convertiran regni interi, ed anime a migliaia. “Sitio”. Ho sete. Più anime ancora. Or via, Signor mio, il gran Domenico e il gran Francesco innumerabili ve ne guadagneranno sino alla fine del mondo. “Sitio”. Ho sete:” vengano ancor più anime. Mirate, o Signore, che l’infiammato Ignazio vi condurrà eretici senza numero, infedeli e peccatori, attaccando fuoco in ogni stato e nazione; e il gran Saverio, figlio di lui, ed il gran Saverio, figlio di lui, vi conquisterà .alla sua vampa un nuovo mondo. “Sitio”. Ho sete, Anche più anime, ancor più vengano, ancor più peccatori. Oh induriti peccatori, ponete mente alla sete insaziabile che ha della vostra salvezza il vostro amorosissimo Redentore, ed alla poca che avete voi di salvarvi! E come mai tanta sete di ricchezze, di vanità, di ribalderie che vi spingono a perdizione? Fine una volta, fine al peccare, che arde di sete Gesù per salvarvi. Schiudete codeste fontane de’ vostri occhi. Per quante saran le lacrime? Purgate le vostre colpe che di codest’acqua vuole appagar la sua sete il nostro amorosissimo Redentore. Ma, o mio Gesù, chi vi potrà sollevare, se mai amore non dice basta? Siete voi il sollievo della sete vostra medesima col dare a noi di codesta sete una sete ardente di amore prima di offendervi. Moriamo dunque, anime, moriam di amore; e sciogliendo in pianto di tenerezza il nostro cuore, alleviamo la sete a Gesù colle lacrime del nostro pentimento e dolore.

Qui meditazione e strofa:

“Qual giglio candido

Allorché il cielo

Nemico negagli

Il fresco umor

Il capo languido

Sul verde stelo

Nel raggio fervido

Posa talor.

Fra mille spasimi

Tal pure esangue

Di sete lagnasi

Il mio Signor.

Ov’è quel barbaro,

Che mentr’Ei langue,

Il refrigerio

Di poche lagrime

Gli neghi ancor?”

Indi per alleviar la sete a Gesù gli si dia il cuore, cinque volte dicendo quello che segue:

“Gesù mio dolcissimo ed assetato, io vi consegno il mio cuore”.

Poscia: Credo in Dio, etc..

LA SESTA PAROLA.

“Tutto già è terminato”.

Già, o Anime, si adempirono le profezie della antiche Scritture: il fine già si compì degli alti decreti di Dio; furono pagati già alla divina giustizia i debiti dei peccatori: fu già comperato al vero suo prezzo il premio della beatitudine per li giusti: si è dato già fine alla schiavitù del demonio, e principio al trionfo della gloria: già il dolcissimo nostro Gesù è nell’ultimo estremo agonizzando tra orribili svenimenti, dopo d’aver terminato gli uffici tutti di Redentore; e già dentro le porte della morte sta finalmente offrendo la dolce sua vita in prò dei peccatori. Entra, o Anima, nell’intima sua memoria, e tutte vedrai presenti le petizioni che dovranno farsi all’eterno Padre sino alla fine del mondo: tutte le fa Gesù Cristo: e per Lui e per la morte sua tutte hanno le suppliche un favorevole rescritto. Già il dispaccio è spedito di tutte le altre disposizioni del mondo finché starà in piedi: e da questa morte, che già compie, tutta dipende la nobile restaurazione dei seggi del Cielo. Guarda quel gran Signore, che in questo punto vide colla sua alta sapienza tutte le tue battaglie e tentazioni, le tue più secrete cadute, i tuoi più occulti pensieri, tutti gli avvenimenti della tua vita, tutti i tuoi pericoli di peccare e di dannarti. Guarda, come applica a te tutta la sua Passione e Morte, come se fossi tu solo l’oggetto unico dell’amor suo. Rendigli infinite grazie di quello che ebbe per te sì speciale, come fossi al, mondo tu solo. Adesso è che il sovrano suo Padre gli concede la salvazione di quei gran peccatori che son dalle storie riferiti; e le eroiche imprese dei Santi: adesso è che dà valore ai suoi Apostoli, fortezza ai suoi martiri, purità alle Vergini, coraggio ai Confessori ed ai Penitenti; adesso che vede pieni i campi delle raccolte dei giusti, e retti i suoi tempi, popolati i suoi chiostri, abbattuti gli idoli e inalberata in ogni parte la trionfale insegna della sua Croce: adesso che vede dover per la sua morte ricever lume moltissime nazioni e salvarsi ancora le più barbare. E nel mirare 1’adempimento di questi sì alti fini della sua Redenzione, si raccolse quasi come nell’intimo del suo cuore a vedere se altra cosa gli restasse a fare e patire per i peccatori: “Quid ultra debui facere et non fecit?” Che doveva io fare per li peccatori e che non ho fatto? Che altro mancami a fare? O Redentore dell’anima mia! no, non vi resta più altro a fare. Arrivaste alla cima più alta della carità, al segno ultimo dell’amore, quanto poteva far l’amor vostro, tanto avete Voi fatto e patito. Osservando dunque il Salvatore che niente più gli rimaneva di fare in obbedienza al Padre, ed in riparo degli uomini, alzò la voce e con generoso affetto disse: “Consummatum est”. Tutto è già terminato, tutto conchiuso. Siate benedetto, o Redentore dell’ anima mia, per un beneficio e per una carità così immensa. Concedetemi o Signore, che pel preziosissimo vostro Sangue possa anch’io della mia vita dirvi con pentimento vero: Già tutto è finito: è finito l’offendervi: son finiti miei scandali: finite le mie iniquità : tutto è conchiuso per amor vostro; tutto è terminato.Ah! come sarà stato, o Anime, in questo momento quel cuore, quella volontà di Gesù Cristo? Che fuoco, che amorevolezze, che tenerezze? Queste, Anime, è il tempo di far provvisione d’amore; ché sta avvampando Gesù. Tutto, dice, è già terminato, tutto compiuto; non mi resta più nulla: fin qua poterono giungere i miei affetti: arse già il fuoco fin dove poté; il cuor già mi bolle entro il petto nel suo accendimento maggiore. All’incendio, o cuori amanti, petti gelati, al petto di Gesù. Oh tiepidi cuori! Questo è già terminato. O peccatori insensibili! Questo ha già conchiuso; la fiamma è già nel suo punto: gettatevi nell’incendio del cuor di Gesù:amore e più amore; ardore ed ardore sempre più. Sia cosi, Gesù mio. Esso pur unisca il mio cuore, disfatto da dolore ed arso nel vostro amore.

Qui meditatione e strofa:

“L’alta impresa è già compita;

E Gesù con braccio forte,

Negli abissi la ria morte,

Vincitor precipitò.

Chi alle colpe ornai ritorna

Della morte brama il regno,

E di quella vita è indegno

Che Gesù ci ridonò”.

Poi in rendimento di grazie per aver compiuta la nostra Redenzione si recita:

“Vi ringrazio, o Signore, che compiste la mia Redenzione; sia, o mio Gesù, per la salvezza mia”.

Indi: Credo in Dio, etc..

LA SETTIMA PAROLA.

“Padre, nelle vostre mani raccomando

lo spirito mio”.

In quest’ultima parola ci dà il nostro amorosissimo Redentore l’ultimo documento dell’amor suo, insegnandoci l’atto il più importante e sublime per l’ora strema della morte; abbandonarsi cioè e mettersi tutto quanto con umile confidenza nelle mani di Dio, come nelle mani del nostro Padre. Gesù Cristo insegna a morire. Impariamo, o Cristiani, ciò che è la morte da quella del nostro Salvatore. Oh che passo tremendo! oh che arduo punto! Nell’accostarvisi un Uomo-Dio, si altera la sua santissima Umanità: perde la faccia il suo colore, s’annerano le labbra, tra le angustie ed agonie scuotesi tutto il corpo. Anche quell’alto ed animoso grido, con cui, già vicino a spirare, raccomandò il suo spirito nelle mani dell’ eterno Padre che lo poteva liberar della morte, fu accompagnato da tenere lagrime: Cum clamore valido et lachrymis. Muore così un Uomo-Dio. E voi, uomini, riguardate la morte con tanta indifferenza? Siete mortali, e vivete così trascurati? E come potete mostrarvi insensibili alla considerazione di un momento così terribile? Anime , cosa sia il morire, osservatelo in Gesù; mirate cosa sia agonizzare. Che battaglie! che angustie! che dolori! Oh passo forte! Come ci può essere persona che differisca le sue disposizioni a quel tempo, in mezzo ad amarezze di tanto affanno? Come c è uomo che riservi a quell’ora, fra tali e tante ambasce, l’affare più serio e più difficile della salute? Ora, ahimè, d’agonia! chi potrà ponderarvi? Quali angustie non soffrì Gesù nella separazione dell’anima e del sacro suo corpo! L’anima santissima riguardava in quel corpo il suo prezioso compagno, vi riguardava quella carne pura di Maria; quella stretta unione; ed al vedersene distaccare, la se parazione era sì dolorosa che obbligò tramutarsi e a tremarne tutta la sacratissima Umanità. Oh forza del morire: oh duro colpo che fa scuotere un Uomo-Dio! Ma siate benedetto, o mio Gesù, che vi metteste Voi in codeste agonie per aiutar me a passare il fiume delle mie miserie, Voi, o Signore, lo tragittaste per addolcire a me le amarezze della mia morte. – Or trovandosi in questo estremo il Redentor nostro Gesù, fece silenzio e domandò ai mortali attenzione con quell’alto vigoroso grido; significando di voler già morire, e per insegnarne a noi la sublime e sincera maniera, prima che spiri, raccomanda e pone il suo spirito nelle mani dell’eterno suo Padre, dicendoGli con gran riverenza: Padre, nelle vostre mani raccomando lo spirito mio. Oh che eccelso e divino ammaestramento! Gesù Cristo onora in questo atto il suo eterno Padre col maggior onore che può rendergli: perché mettendo nelle mani di Lui il suo spirito, mostra verso del Padre l’immenso amor suo, la sua sicura fiducia, la sua profonda umiltà, la sua total sottomissione: giacché si consegna Egli tutto alla discrezione e provvidenza di Lui, come a Padre fedele, giusto, santo, potente che mancar non può mai a chi a Lui si affida, né lascia di esser asilo infallibile di misericordia e di sicurezza, e nelle cui mani consegnando l’anima, non può non esser che felice e beata. Col più sublime atto della sua dottrina e perfezione così c’insegna Cristo a morire. Oh eterno Padre, giusto e santo! col sacro spirito dell’amabilissimo vostro Gesù pongo anch’io, e raccomando il mio spirito nelle vostre mani. Ricevetemi, o Signore, fin da quest’ora per sempre: miratemi agonizzante fra tanti pericoli di offendervi: miratemi tra le battaglie e gli sbigottimenti delle mie tentazioni e cadute: non mi lasciate andar giù, Padre pietosissimo, che insieme col dolcissimo Figlio vostro Gesù raccomando il mio spirito nelle vostre mani, non solo nell’ora della mia morte, ma in tutto il tempo ancora della mia vita. Nelle mani vostre raccomando, o Signore, lo spirito mio, quanto ho, quanto sono. Abbiate di me misericordia. – Avendo il nostro Redentore Gesù raccomandato il suo spirito nelle mani dell’eterno Padre, vide che l’ora si andava già accostando di renderlo: ed affinché tutto il mondo conoscesse che moriva spontaneo, per volontaria obbedienza al Padre, e per amore verso degli uomini, alla morte diede licenza di giungere. Innanzi però di morire, per mostrare che non era la morte che gli facesse piegar la testa, ma il peso immenso dell’amor suo, Egli stesso prima di spirare inchinò dolcemente sul petto la testa sua sacrosanta. Oh inchinamento tutto pieno di profondi misteri! Con tale inchina mento significò il Salvatore la sua obbedienza all’eterno suo Padre, la sua propensione e benevolenza versi degli uomini, la sua povertà ed umiltà, il non avere in croce ove posar la sua testa , per la gravità delle nostre colpe, che col peso gli facevan chinare il capo e morire. La chinò anche alla ingrata terra per congedarsi da lei, e darle nel suo spirare, come al principio del mondo, spirito di nuova vita. La chinò inoltre per chiamar con tal segno i peccatori all’amor suo, invitandoli alle carezze e tenerezze del suo cuore. Rivolse per ultimo questa inclinazione alla sua dolcissima Madre Maria (che trafìtta dolore stava ai piedi della croce) per farle questa riverenza profonda, e prendere da Lei congedo, dirigendo a Lei l’estremo fiato del viver suo, anche per insegnare agli uomini che non può veruno partir bene dal mondo, se non con dirigere a Maria e per mezzo di Maria l’ultimo respiro della sua vita. Siate benedetto, o Maestro della mia vita, pei misteri della santa vostra inchinazione, e per gl’insegnamenti che in essa mi dà la carità vostra infinita. – Chinata in tal modo con tanti misteri la testa del nostro amorosissimo Redentore, non rimanendogli più che fare per render l’anima, comincia a tramutarsi, e tutto trema il sacro suo corpo al volersene distaccare l’anima sacratissima. Già la morte, per esercitare il suo officio, principia a spogliar di colore il suo bellissimo volto, già gli affila il naso, già gli fa livide le labbra, già gli sfigura il sembiante, già gli esalta il petto, già gli va togliendo il respiro, e tutte le insensibili creature, all’accorgersi che già vuole spirare il loro Creatore, non possono trattenersi di risentisene e cominciano a cangiarsi gli elementi. Il sole si ottenebra, la luna si fa sanguigna, i cieli si oscurano, geme e trema la terra, e tutto il mondo piange e si scuote. Deh, Gesù mio, aspettate un poco, o Signore, che voglio anche io morir con Voi: moriamo insieme, o mio Gesù: che se Voi morite di amor per me, io voglio morire d’amor per Voi. No, più non mi curo di vivere, o mio Dio, se vi ho da tornare ad offendere e crocifiggere. – O Gesù del mio cuore! veggo già che l’ora si affretta; ben Voi potete morire, o Redentore dell’anima mia, che tutto il cielo, in terra tutta stanno con grande aspettazione attendendo la vostra morte. Con le braccia aperte l’attende il vostro eterno Padre per raccogliere il vostro Spirito; l’attendono gli Angeli per applaudire alla vostra vittoria; l’attendono i Padri santi nel Limbo, per risplendere alla vista di Voi in libertà gloriosa, l’attendono tutti i giusti per rendervi eterne grazie e lodi ; l’attendono tutti i peccatori per ispezzarsi il cuore di dolore, con fermo proponimento di più non esservi ingrati, tutto finalmente 1’attende il mondo per rinnovarsi, e gli uomini tutti per vedersi redenti dalla schiavitù del peccato. – Vedendo pertanto il Signore l’ansietà ed i sopiri con cui tutto il mondo aspetta la sua morte, già si arrende alle brame, ed in mezzo al suo affetto e alle sue tenerezze verso i peccatori, consegna il suo spirito all’eterno Padre, e la sua Vita ed il suo Sangue pel general rimedio di tutti gli uomini. Via dunque, dolcissimo mio Gesù: già è ora: morite dunque, e Redentore dell’anima mia, ed allorché dopo morte sarete col vostro eterno Padre, pregatelo, o Signore, che sempre siamo coi Voi; che viviamo e moriamo nella grazia vostra, nel vostro amore per il vostro preziosissimo Sangue, Passione e Morte; che per la vostra gran riverenza sarete ben ascoltato e favorito per noi peccatori, vostri redenti e cari. Oh altissimo Iddio! Oh incomprensibile maestà! Voi solo, o Signor grande, potete intendere ed apprezzare la morte del vostro Figlio, il nostro Signore Gesù Cristo. L’uomo l’ascolta, e si rimane insensibile, cieco, sordo e muto. Vede morire il suo Dio, e non sospira, non piange, non si ravvede, mentre sa che muore il suo Dio, perché non muoia egli eternamente nell’Inferno. Oh che obbligazione tremenda! oh Venerdì Santo! oh tre Ore d’Agonia! Svegliate, o mortali, codesti occhi dell’addormentata vostra fede; muore il vostro Dio per voi, e alcuno non havvi che non muoia d’amore e di dolore col suo Dio? Per i vostri peccati Egli muore, e non havvi alcuno che non muoia di disgusto d’aver peccato? Oh Dio, oh cieli, oh pietre prestateci voi la vostra commozione per morir oggi col nostro Redentore Gesù Cristo di amore e di dolore. A morir, Anime, con Gesù Cristo, a morir d’amore, a morir di dispiacere per averLo offeso.

Qui inginocchiandosi tutti, cantano i musici.

Iesus antem, emissa voce magna, espiravit.

Dopo qualche minuto di silenzio, ripiglieranno

“Gesù morì .. Ricopresi

di nero ammanto il cielo

I duri sassi spezzansi,

Si squarcia il sacro velo,

E l’universo attonito

compiange il suo Signor.

Gesù morì insensibile

In mezzo a tanto duolo

Più dei macigni stupido,

Resterà l’uomo solo,

Che coi suoi falli origine

Fu del comun dolor?”

.(1) Chi fa le tre Ore continuate di Agonia nel Venerdì Santo in pubblico o in privato; solo o in unione di altri, meditando o recitando Salmi, Inni ed altre preci, purché sia confessato e comunicato il Giovedì Santo, pregando secondo l’intenzione del sommo Pontefice, o le farà nella seguente settimana di Pasqua, guadagna INDULGENZA PLENARIA da potersi applicare alle Anime Purganti, (Pio VII, 14 febbraio 1815).

 

L’UFFICIO DELLE TENEBRE

[Dom Guéranger: l’Anno Liturgico, I vol.]

Prima dell’ultima riforma, la Chiesa anticipava, negli ultimi tre giorni della Settimana Santa, il Notturno al pomeriggio della vigilia, per permettere ai cristiani di parteciparvi. Mattutino e Lodi venivano quindi recitati nel pomeriggio. In seguito tali ore vennero scomode, occupate dal lavoro, e quindi la Chiesa ha stabilito di celebrare l’ufficio nelle ore normali. Per quanto lo permettono le loro occupazioni, i fedeli devono cercare di prendervi parte. Quanto al merito di tale devota assistenza, non v’è, dubbio ch’è superiore ad ogni altra pratica di devozione privata. Il mezzo più sicuro per arrivare al cuore di Dio è sempre quello di servirsi come intermediaria della sua Chiesa; quanto alle salutari impressioni che potranno aiutarci a penetrare i misteri di questi tre grandi giorni, ordinariamente, quelle che attingeremo nei divini Uffici saranno più potenti e più solide di quelle che potremo trovare nei libri degli uomini. Nutrita della meditazione delle parole e dei riti della Liturgia, l’anima cristiana s’avvantaggerà doppiamente degli esercizi e delle letture, alle quali non mancherà d’abbandonarsi secondo la particolare devozione. In questi anniversari, sarà dunque la preghiera della Chiesa la base sulla quale eleveremo tutto l’edificio della pietà cristiana: e con essa imiteremo i nostri padri, che, nei secoli di fede, erano così profondamente cristiani, perché vivevano della vita della Chiesa per mezzo della sua Liturgia.

GIOVEDÌ’ SANTO

AL NOTTURNO

Carattere di tale Ufficio.

L’Ufficio del Mattutino e delle Lodi dei tre ultimi giorni della Settimana Santa differisce non poco da quello degli altri giorni dell’anno. Giovedì, Venerdì e Sabato la Chiesa tralascia quelle esclamazioni di gioia e di speranza con cui suole cominciare la lode di Dio. Non si sente il recitativo del « Domine, labia mea aperies : Signore, sciogli le mie labbra, affinché possa annunziare la tua lode »; nè il “Deus, in adjutorium meum intende”: O Dio, vieni in mio soccorso; né il Gloria Patri alla fine dei Salmi, dei Cantici e dei Responsori. Negli Uffici rimane solo ciò ch’è loro essenziale nella forma, scomparendo tutte quelle vive aspirazioni che i secoli vi avevano aggiunte.

Il Nome.

Si dà comunemente il nome di Tenebre ai Mattutini ed alle Lodi degli ultimi tre giorni della Settimana Santa, perché vengono celebrate al mattino presto, prima del levar del sole.

Il Triangolo dei quindici ceri.

[Ufficio delle tenebre a Sessa Aurunca -CE-]

Un rito imponente e misterioso, esclusivo di questi Uffici, conferma tale appellativo. Nel tempio, presso l’altare, si colloca un grande candeliere di forma triangolare, dove si dispongono quindici ceri. Questi ceri, come pure i sei dell’altare, sono di cera gialla, come quelli degli Uffici dei Defunti. Al termine d’ogni Salmo, o Cantico, si spegne successivamente uno dei ceri del grande candeliere; alla fine ne rimarrà acceso uno solo, quello posto al vertice del triangolo. Ora spieghiamo il senso di queste diverse cerimonie. Siamo nei giorni in cui la gloria del Figlio di Dio rimane eclissata sotto le ignominie della sua Passione. Egli era la « luce del mondo », potente in opere ed in parole, poco fa accolto dalle acclamazioni di tutto un popolo; ed ora eccolo spogliato di tutte le sue grandezze e divenuto « l’uomo dei dolori, un lebbroso », dice Isaia; « un verme della terra, e non più uomo », dice il Re Profeta; « un motivo di scandalo per i suoi discepoli», dice egli stesso. Tutti s’allontanano da Lui: Pietro stesso nega d’averlo conosciuto. Tale abbandono e tale defezione pressoché generale sono appunto figurati nell’estinzione successiva dei ceri che stanno sul Triangolo e di quelli dell’altare.

Un antico rito.

Secondo un’usanza di origine franca, che ci è confermata da Amalario e ch’ebbe vita fino alla recente riforma, essendo stati spenti i ceri dell’altare durante la recita del Benedictus, il cerimoniere prendeva l’unico cero rimasto acceso sul candeliere e lo teneva appoggiato sull’altare durante il canto dell’antifona che si ripete dopo il Cantico. Poi andava a nascondere questo cero, senza spegnerlo, dietro l’altare. E lo conservava così, lontano da tutti gli sguardi, per tutta la recita del Miserere e della sua orazione conclusiva. Terminata la quale, si faceva un po’ di rumore contro gli scanni del coro fino all’apparire del cero ch’era stato nascosto dietro l’altare. Con la sua luce sempre conservata annunciava la fine dell’Ufficio delle Tenebre. – In realtà, la luce misconosciuta del Cristo non s’era mai spenta. Si metteva per un momento il cero sull’altare per indicare ch’esso era là come il Redentore sul Calvario dove soffriva e moriva. Poi, per significare la sepoltura di Gesù, si nascondeva il cero dietro l’altare e la sua luce scompariva. Allora un brusio confuso si diffondeva nel tempio immerso nelle tenebre per la scomparsa di quell’ultima fiammella. Tale rumore, unito alle tenebre, esprimeva la convulsione della natura nel momento in cui, spirato il Salvatore sulla croce, la terra aveva tremato, le rocce si erano spaccate e s’erano aperti i sepolcri. Ma tutto ad un tratto il cero riappariva nel pieno splendore della sua luce e tutti rendevano omaggio al vincitore della morte.

Le Lamentazioni di Geremia su Gerusalemme.

Le Lezioni del primo Notturno di ciascuno di questi tre giorni sono prese dalle Lamentazioni di Geremia. In esse vediamo lo spettacolo desolante che offrì la città di Gerusalemme, quando il suo popolo fu portato prigioniero in Babilonia, in punizione del peccato dell’idolatria. La collera di Dio è tutta impressa su queste rovine che Geremia deplora con parole così vere e terribili. Però un tale disastro non era che la figura d’un altro ancora più spaventoso. Se Gerusalemme cade in mano altrui ed è condannata alla solitudine dagli Assiri, almeno conserva il proprio nome; del resto, il Profeta che oggi si lamenta sopra di lei, aveva pure predetto un limite alla sua desolazione, che non sarebbe durata più di settant’anni. Ma nella seconda rovina la città infedele perdette anche il nome. Riedificata poi dai vincitori, per più di due secoli portò il nome di Elia Capitolina; e se, ristabilita la pace della Chiesa, tornò a chiamarsi Gerusalemme, non fu in ossequio a Giuda, ma per ricordarsi del Dio del Vangelo che Giuda aveva crocifisso nella sua città. – Non è valsa la pietà di S. Elena e di Costantino, né i valorosi sforzi dei crociati a ridare in maniera durevole a Gerusalemme almeno l’ombra d’una città secondaria: la sua sorte è d’essere schiava degl’infedeli, fino alla fine dei tempi. È la maledizione che s’è attirata addosso in questi giorni: ecco perché la santa Chiesa, per farci capire la grandezza del delitto commesso, ci fa rintronare nelle orecchie i pianti del Profeta, che solo ha potuto adeguare le lamentazioni ai dolori. È un’elegia commovente, che si canta su un tono semplicissimo, e risale alla più remota antichità. Le lettere dell’alfabeto ebraico, che separano le strofe, indicano la forma acrostica che questo poema contiene nell’originale; noi le cantiamo perché anche i Giudei le cantavano.

BENEDIZIONE DEGLI OLI SANTI

La seconda Messa che anticamente si celebrava il Giovedì Santo, era accompagnata dalla consacrazione degli Oli santi, rito annuale che ha sempre richiesto il Vescovo come consacratore. Ora questa importante cerimonia si compie nella prima Messa, detta crismale, che si celebra solo nelle cattedrali. Avendo luogo soltanto nelle chiese cattedrali, noi non illustreremo qui tutti i dettagli di questa benedizione; però neppure vogliamo privare i lettori dell’utile istruzione che potranno ricavare dal mistero degli Oli santi. La fede c’insegna che, se mediante l’acqua noi siamo rigenerati, mediante l’olio consacrato siamo confermati e fortificati. L’olio è fra i principali elementi, che il divino autore dei Sacramenti scelse a significare ed insieme produrre la grazia nelle anime. – La Chiesa ha fissato molto per tempo il giorno, nel quale rinnovare ogni anno i santi Oli, la cui virtù è molto grande, sotto i suoi molteplici aspetti; infatti s’avvicina il momento in cui ne deve fare abbondante uso sui neofiti, che genererà nella notte di Pasqua. Occorre quindi che i fedeli conoscano dettagliatamente la sacra dottrina d’un sì alto simbolo; e noi qui la spiegheremo, sebbene brevemente, per eccitare la loro riconoscenza verso il Redentore, che s’è servito di creature visibili nelle opere della sua grazia, dando loro, per il suo sangue, la virtù sacramentale che ormai in esse risiede.

L’Olio degl’infermi.

Il primo degli Oli santi a ricevere la benedizione del Vescovo è quello che si chiama l’Olio degli infermi, e che è la materia del sacramento dell’Estrema Unzione. Esso cancella nel cristiano morente i resti del peccato, lo fortifica nell’estremo combattimento e, per la virtù soprannaturale che possiede, talvolta gli restituisce anche la sanità corporale. Anticamente, la benedizione di quest’Olio non si faceva solo il Giovedì Santo, perché il suo uso è per così dire, continuo (i). Più tardi la si fissò nel giorno in cui si consacrano gli altri due Oli per la somiglianza dell’elemento che loro è comune. – I fedeli assisteranno con raccoglimento alla santificazione di quell’olio che un giorno scorrerà sulle loro membra languenti e purificherà ogni parte del loro corpo: pensino alla loro ultima ora, e benedicano l’inesauribile bontà del Salvatore, « che fa scorrere abbondante il suo sangue insieme a questo liquido prezioso » (Bossuet, Orazione funebre ad Enrichetta d’Inghilterra).

Il sacro Crisma.

Il più nobile degli Oli santi è il Sacro Crisma, e la sua consacrazione si svolge con maggiore solennità. Per mezzo del Crisma lo Spirito Santo imprime il suo indelebile sigillo nel cristiano già membro di Gesù Cristo per il Battesimo. Mentre l’Acqua ci fa nascere, l’Olio del Crisma ci conferisce robustezza; e finché non riceviamo questa unzione, non possediamo ancora la perfezione del carattere di cristiano: unto di quest’olio, il fedele diviene visibilmente un membro dell’Uomo-Dio, il cui nome Cristo significa l’unzione ricevuta come Re e Pontefice. La consacrazione del cristiano col Crisma è talmente nello spirito dei nostri misteri, che all’uscire dal fonte battesimale, un momento prima d’essere ammesso alla Confermazione, il neofita riceve sulla testa una prima unzione, sebbene non sacramentale, di quest’Olio regale, a dimostrare ch’egli già partecipa della regalità di Gesù Cristo. – Per esprimere con un segno sensibile l’alta dignità del Crisma, la tradizione apostolica vuole che il Vescovo vi unisca del balsamo, che rappresenta ciò che l’Apostolo chiama « il buon odore di Cristo » (II Cor. II, 15), [I Canoni d’Ippolito (III secolo) ci mostrano questa cerimonia in tutte le Messe pontificali. Sul punto di terminare il Canone della Messa, il Vescovo benediceva i frutti o i legumi che gli si presentavano, e così pure consacrava l’olio che doveva servire all’unzione dei malati, sia nel sacramento dell’Estrema Unzione che per privata devozione, come si fa oggi di quello d’alcuni santuari], di cui è anche scritto «che correremo all’odore dei suoi profumi» (Cant. 1, 3). La rarità e l’alto costo dei profumi, in Occidente, obbligò la Chiesa Latina ad usare il balsamo solo nella confezione del sacro Crisma; mentre la Chiesa Orientale, più favorita dal clima e dai prodotti delle regioni che abita, vi fa entrare fino a trentatrè sorta di profumi che, condensati con l’Olio santo, formano un unguento dall’odore delizioso. Oltre all’uso sacramentale nella Cresima e sui nuovi battezzati, il sacro Crisma è usato dalla Chiesa nella consacrazione dei Vescovi, per ungerne la testa e le mani; in quella dei calici e degli altari e nella benedizione delle campane; infine, per la dedicazione delle Chiese, in cui il Vescovo ne segna le dodici croci che attesteranno ai posteri la gloria della casa di Dio.

L’Olio dei Catecumeni.

Il terzo degli Oli santi è quello chiamato dei Catecumeni. Non è materia d’alcun Sacramento, ma è ugualmente d’istituzione apostolica, e serve nelle cerimonie del Battesimo per le unzioni che si fanno al Catecumeno sul petto e sulle spalle, prima dell’immersione o infusione dell’acqua. Si usa anche nell’ordinazione dei Sacerdoti, per ungere le mani, e nella consacrazione dei Re e delle Regine. Sono queste le nozioni che deve conoscere il fedele, per avere un’idea della funzione compiuta dal Vescovo nella Messa odierna, in cui, come canta S. Fortunato nell’Inno che daremo qui appresso, egli soddisfa al suo dovere operando la triplice benedizione che non può venire che da lui solo.

I SALMI NEL NOME DI GIUSEPPE

Oggi, ultimo giorno di marzo, mese che la Santa Madre Chiesa dedica a S. Giuseppe, segnaliamo questa pia devozione che ci permette di ricordare frequentemente questo Santo straordinario, e per la quale si guadagnano le indulgenze concesse da S. S. PIO VII.

I SALMI NEL NOME DI GIUSEPPE

J

I Antiph. Ioseph, Virum Mariae, de qua natus est Iesus, qui vocatur Christus.

Salmo IC

Jubilate Deo, omnis terra; servite Domino in laetitia.

Introite in conspectu ejus in exsultatione.

Scitote quoniam Dominus ipse est Deus; ipse fecit nos, et non ipsi nos;

populus ejus, et oves pascuae ejus.

Introite portas ejus in confessione, atria ejus in hymnis; confitemini illi.

Laudate nomen ejus,

quoniam suavis est Dominus; in aeternum misericordia ejus, et usque in generationem et generationem veritas ejus. Gloria Patri etc.

1 Antiph. Ioseph, Virum Mariae, de qua natus est Iesus, qui vocatur Christus.

O

2. Antiph. Ioseph de domo David, et nomen virginis Maria.

Salmo XLVI

Omnes gentes, plaudite manibus; jubilate Deo in voce exsultationis:

Qoniam Dominus excelsus, terribilis, rex magnus super omnem terram.

Subjecit populos nobis, et gentes sub pedibus nostris.

Elegit nobis haereditatem suam; speciem Jacob quam dilexit.

Ascendit Deus in jubilo, et Dominus in voce tubae.

Psallite Deo nostro, psallite; psallite regi nostro, psallite;

quoniam rex omnis terrae Deus, psallite sapienter.

Regnabit Deus super gentes; Deus sedet super sedem sanctam suam.

Principes populorum congregati sunt cum Deo Abraham, quoniam dii fortes terrae vehementer elevati sunt. Gloria Patri, etc.

 

2. Antiph. Ioseph de domo David, et nomen virginis Maria.

S

3. Antiph. Ioseph vir eius cum esset iustus, et nollet eam tradùcere.  

Salmo CXXVIII

Saepe expugnaverunt me a juventute mea, dicat nunc Israel;

Supra dorsum meum fabricaverunt peccatores;  prolongaverunt iniquitatem suam.

Dominus justus concidit cervices peccatorum.

Confundantur, et convertantur retrorsum omnes qui oderunt Sion. de quo non implevit manum suam qui metit, et sinum suum qui manipulos colligit.

Fiant sicut foenum tectorum, quod priusquam evellatur exaruit,

de quo non implevit manum suam qui metit, et sinum suum qui manipulos colligit.

Et non dixerunt qui praeteribant: Benedictio Domini super vos. Benediximus vobis in nomine Domini.

3. Antiph. Ioseph vir eius cum esset iustus, et nollet eam tradùcere. 

E

 4. Antiph. Ioseph Fili David, noli timere accipere Mariam coniugem tuam.

Salmo LXXX.

Exsultate Deo adjutori nostro, jubilate Deo Jacob.

Sumite psalmum, et date tympanum; psalterium jucundum, cum cithara.

Buccinate in neomenia tuba, in insigni die solemnitatis vestrae;

Quia praeceptum in Israel est, et judicium Deo Jacob.

Testimonium in Joseph posuit illud, cum exiret de terra Aegypti; linguam quam non noverat audivit.

Divertit ab oneribus dorsum ejus; manus ejus in cophino servierunt.

In tribulatione invocasti me, et liberavi te. Exaudivi te in abscondito tempestatis; probavi te apud aquam contradictionis.

Audi, populus meus, et contestabor te. Israel, si audieris me,  non erit in te deus recens, neque adorabis deum alienum.

Ego enim sum Dominus Deus tuus, qui eduxi te de terra Aegypti. Dilata os tuum, et implebo illud.

Et non audivit populus meus vocem meam, et Israel non intendit mihi.

Et dimisi eos secundum desideria cordis eorum; ibunt in adinventionibus suis.  Si populus meus audisset me, Israel si in viis meis ambulasset,

pro nihilo forsitan inimicos eorum humiliassem, et super tribulantes eos misissem manum meam.

Inimici Domini mentiti sunt ei, et erit tempus eorum in saecula.

Et cibavit eos ex adipe frumenti, et de petra melle saturavit eos. Gloria Patri, etc.

 4. Antiph. Ioseph Fili David, noli timere accipere Mariam coniugem tuam.

F

  1. Antiph. Ioseph exurgens a somno, fecit sicut præcèpit ei Angelus

Salmo LXXXVI.

Fundamenta ejus in montibus sanctis;

diligit Dominus portas Sion super omnia tabernacula Jacob.

Gloriosa dicta sunt de te, civitas Dei!

Memor ero Rahab et Babylonis, scientium me; ecce alienigenæ, et Tyrus, et populus Aethiopum, hi fuerunt illic.

Numquid Sion dicet: Homo et homo natus est in ea, et ipse fundavit eam Altissimus? Gloria Patri, etc. 

5. Antiph. Ioseph exurgens a somno, fecit sicut præcèpit ei Angelus.

V. Constituit eum Dominum domus suae.

R . Et principem omnis possessionis suae. 

OREMUS.

Deus qui ineffabili providentia beatum Joseph sanctissimæ Genitricis tuæ Sponsum eligere dignatus es; præsta quæsumus, et quem Protectorem veneramur in terris, intercessorem habere mereamur in coelis. Qui vivis et regnas per omnia sæcula etc.  Amen.

HYMNUS

Deus, qui gratiam impotes,

Coelestium dona expetunt.

losephi Nomen invocent,

Opemque poscant sùpplices.

Ioseph vocato Nomine

Deus adest petentibus,

Auget piis iustitiam,

Culpamque deìet impis.

Ioseph piis quaerentibus

Dantar beata munera,

Dantur palma victoriae

Agonis in certàmine

Amplexus inter Virginis,

Castaeque Prolis placido

Vitam sopóre dèserens.

Morièntium fit regala.

Illo nihil potèntius,

Cuius parentem nùtibus,

Et subditum imperiia

Deum vidèrunt Aethera.

Illo nihil perfèctius,

Qui Sponsus almae Virginis

Electus est, Altissimi

Custos, paiensque creditus.

O ter beata, et ampilus

Honor sit libi, Trinitas,

Pater Verbunque et Spiritus,

Sanctoque loseph Nomini. Amen

Antiph. Adiutor est in tribulationis, et Protector

omnibus beatus Ioseph nomen suum pie invocantibus.

V). Sit Nomen beati Josephi benedictum.

R). Ex hoc, nune et usque in sæculum.

OREMUS.

Deus, qui mirabilis in Sanctis tuis, mirabiliæ in beato Josepho, eam coelestium donorum dispensatorem super familiam tuam constituisti: presta quæsumus, ut cuius Nomen devoti veneramus eius precibus et meritis adiuti ad portum salutis feliciter perveniamus.  – Amen.

 [Chi recita ogni giorno i salmi, le cui lettere iniziali compongono il nome di s. Giuseppe, Sposo di Maria SS, coll’Inno “Dei qui gratìam impotes, e le Orazioni “Deus qui ineffabili” etc, e “Deus qui mirabilis” etc, lucra l’indulgenza di 7 anni e 7 quarantene per ogni volta; ed indulgenza Plen. una volta al mese in un giorno ad arbitrio purché si confessi e si comunichi, e preghi come al solito. Chi ha frequentati detti Salmi nell’anno lucra Indulgenza Plenaria nella Domenica terza dopo Pasqua, confessandosi e comunicandosi in detta Domemica. — Tutte le dette Indulgenze possono applicarsi alle Anime Purganti – 

 

 

LA CONTRIZIONE PERFETTA

“La ricezione del Sacramento della penitenza è un precetto divino che riguarda tutti coloro che, dopo il Battesimo, si sono resi colpevoli di peccato mortale. È l’obbligo più severo, poiché è certo che non vi sia nessun altro mezzo attraverso il quale si possa essere riconciliati con Dio. Un desiderio reale o implicito di confessarsi, unita alla contrizione perfetta, è necessario come un mezzo necessario per chi non può andare alla confessione. ”

-Rev.mo p. F. X. Schouppe, corso di istruzione religiosa: apologetica, dogmatica e morale: ad uso dei collegi e delle scuole, 1879, Impr.

Questo è di grande significato soprattutto per questi giorni di “catacomba”, quando molti di noi non hanno un accesso nel fare una confessione presso un sacerdote vero, è una risorsa per ogni anima l’essere consapevole di altri mezzi di salvezza che la madre Chiesa fornisce ai suoi figli fedeli che non possono confessarsi, al fine di farli riconciliare con Dio e ripristinarne così l’amicizia, guadagnando i frutti di una confessione. Ecco la fonte dello scritto: Repertorium Oratoris Sacri, contenente il profilo di 600 sermoni, 1878. 

CONTRIZIONE PERFETTA

Il ritorno del figliol prodigo, di Bartolomé Esteban Murillo (1667-70)

“E avvenne che, mentre andavano, furon mondati.” [Lc. XVII, 14]. Il Vangelo ci ricorda degli effetti prodotti dalla contrizione perfetta. Prima che i lebbrosi si fossero mostrati ai sacerdoti, mentre andavano sulla loro strada, furono risanati. Questi dieci lebbrosi sono, secondo i Santi Padri, figura dei peccatori. Come essi furono risanati prima che si mostrassero al sacerdote, così anche noi siamo mondati dalla lebbra spirituale dalla contrizione perfetta, prima che ci mostriamo al sacerdote. O effetto meraviglioso della contrizione perfetta! Poiché è di fondamentale importanza l’avere una conoscenza completa della contrizione perfetta, ho deciso di renderlo oggetto della nostra presente riflessione.

COS’È LA CONTRIZIONE PERFETTA?

Noi abbiamo l’obbligo indispensabile di amare Dio al di sopra di ogni cosa e di manifestare questo amore osservando i suoi comandamenti. “Colui che ama i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama”. [S. Giovanni XIV, 21]. Pertanto, nell’essere attaccati ad una cosa creata, contro la sua volontà, noi Gli rifiutiamo i dovuti affetti del nostro cuore dedicandoli alle creature, alle quali abbiamo attribuito un valore superiore a Lui. – Con la contrizione perfetta questo disturbo viene regolato, ed il cuore del peccatore ama nuovamente Dio sopra tutte le cose. Pertanto, quando Dio chiama alla penitenza, dirà quel che ha detto San Remigio a Clodoveo re di Francia, quando stava per battezzarlo: “Brucia quello che tu hai adorato e adora quello che tu hai bruciato”. Se desideriamo la remissione dei nostri peccati, è necessario innanzitutto amare sopra ogni cosa nostro Signore che abbiamo disprezzato, e d’ora in poi disprezziamo l’odio, la lussuria, la vendetta, l’orgoglio, ecc., dei quali ci siamo in precedenza deliziati. – Dopo questa premessa, possiamo senza difficoltà comprendere che cosa sia la contrizione perfetta. È l’odio profondo del nostro peccato, perché con esso offendiamo Dio, che dobbiamo ora amare sopra ogni cosa, con il fermo proposito di non peccare mai più. Si deduce da questo che la contrizione perfetta consiste nell’amore di Dio e nell’odio del peccato, che tuttavia sono inseparabili, come la bella rosa e la sua spina. – Ma cerchiamo ora di meditare un po’ di più sulla natura dell’amore per Dio e l’odio del peccato, cosicché possiamo dare una conoscenza più chiara di ciò che costituisce la contrizione perfetta. L’amore necessario per una perfetta contrizione non è quell’amore di tenerezza che si percepisce nel cuore quando si ama con fervore una creatura cara. Le affezioni causate da questo amore a volte sono così forti da privare l’uomo della sua pace mentale e turbare l’equilibrio della sua ragione. L’amore di Dio, anche se è auspicabile pure per Lui l’amore di tenerezza, invece, è un amore molto più nobile che consiste in una profonda riverenza, un’adorazione che preferisce la sua amicizia a tutte le cose, per cui si è sempre pronti a rinunciare a tutti i beni terreni, piuttosto che all’amicizia di Dio. Nathan parla a David di un uomo che non aveva nulla, tranne che una piccola pecorella, che era cresciuta in casa sua insieme ai suoi figli, mangiava il suo pane, beveva dalla sua coppa e dormiva nel suo seno, essendo per lui come una figlia (II re XII, 3): egli intratteneva cioè gli affetti più teneri per questa piccola creatura. Supponiamo ora che avesse ucciso questo piccolo agnello per salvare uno sconosciuto dalla fame, il suo amore sarebbe stato più perfetto per l’agnello o per lo straniero? Si può dire con certezza: il suo amore per lo straniero! Il suo amore per l’agnello era indubbiamente più tenero, ma per salvare la vita del suo prossimo, egli ha acconsentito ad uccidere il suo agnello. Questo è l’amore di cui parlo, sul quale si fonda la contrizione perfetta: un amore di riverenza, di stima, che anche se non è così tenero come il nostro amore per i genitori, gli amici ed altri, dei nostri compagni animali, tuttavia determina la nostra volontà di sopportare la perdita di tutto ciò, al fine di ottenere l’amicizia e la grazia di Dio. Da questo possiamo concludere che non è così difficile acquisire una contrizione perfetta, come molti sembrano pensare. – Per quanto riguarda l’odio del peccato, che è necessariamente connesso con la contrizione perfetta, è necessario conoscere che non è necessario sentire o percepire un affetto come si percepisce l’odio contro un serpente a sonagli che venga nella nostra direzione. L’odio del peccato è un atto per cui la nostra volontà si pente del peccato, desiderando di non averlo mai commesso, e così essendo in grado di distruggerlo con la determinazione, di subire le più grandi sofferenze piuttosto che peccare ancora; e tutto questo, perché il peccato è un’offesa contro la grazia e la maestà divina, e non solo perché dobbiamo temere l’ira divina. Sebbene tale contrizione include necessariamente la risoluzione a modificare la nostra vita, è consigliabile operare questo fermo proposito esplicitamente. [CF. s. Tommaso, Summa III p. q. 85, art. 6].

SUI MEZZI PER ACQUISIRE LA CONTRIZIONE PERFETTA.

Da quello che abbiamo sentito si deduce che la contrizione perfetta non è solo opera della grazia divina. Questa compunzione salirà nei cuori di tutti coloro che impiegheranno i mezzi adeguati. Questi mezzi sono:

1. la preghiera;

2. la meditazione sulle perfezioni divine;

3. la riflessione sull’ignominia del peccato.

1.- poiché la preghiera è il mezzo universale per ottenere grazie di ogni tipo, è quindi senza dubbio il mezzo sicuro per ottenere la grazia della contrizione perfetta; questa, essendo soprannaturale, deve provenire dalla grazia, secondo Geremia, che dice: “Convertiteci a voi o Signore, e noi saremo convertiti”. [Lam. v, 21]. – Dio ci ha promesso questa grazia se noi Gliela chiediamo: “quando cercherai il Signore tuo Dio, lo troverai, se lo cercherai con tutto il tuo cuore e con tutti gli affetti dell’anima tua.” [Deut. IV, 29].

2.- per quanto riguarda la meditazione sulle perfezioni divine, è sufficiente selezionarne una alla volta, perché troviamo così grande bellezza e maestà in ognuna di esse, da indurre in noi una perfetta carità. Selezioniamo ad esempio la sua infinita bellezza e richiamiamo alla mente che la bellezza di tutte le creature reali e possibili, è un fascio che scorre da questo Sole eterno; che gli Angeli sono rapiti da questa bellezza divina, nella contemplazione delle quali trovano la stessa gioia ineffabile, come il primo giorno. Richiamare in mente che, se gli spiriti maligni e le anime condannate avessero contemplato questa bellezza anche solo per un momento, non avrebbero potuto che amare Dio. In modo simile si può meditare su ogni altro tipo di perfezione divina, soprattutto sulla sua bellezza infinita che lo indusse a creare noi, per poi rigenerarci nel seno della sua Chiesa; o alla sua infinita misericordia inducendolo a prendere la forma di un servo, per diventare come uno di noi e morire per noi sull’albero della maledizione; “Rimetti a noi i nostri peccati e sii per noi il nostro cibo nel Santissimo Sacramento”. Tali e simili riflessioni sul Signore metteranno una carità perfetta e la contrizione nei nostri cuori.

3.- Inoltre, riflettiamo sull’oltraggio grande che abbiamo commesso con i nostri peccati contro Dio. A motivo delle nostre basse passioni, dei piaceri sensuali, noi abbiamo abbandonato la grazia e l’amicizia divina. Un cambio orribile!

III. SOLUZIONE DI ALCUNI DUBBI CIRCA LA CONTRIZIONE PERFETTA.

Ora che avete sentito che cosa è la contrizione perfetta, e come essa si manifesta, cerchiamo di rimuovere alcuni dubbi che i cristiani avanzano frequentemente per quanto riguarda la contrizione perfetta. – 1.- Si sente spesso che alcuni restano nell’inclinazione al peccato, quando si fa un atto di contrizione, cosa che fa temere che la contrizione non sia avvenuta come dovrebbe essere. Rispondo: questa inclinazione è o volontaria, procedendo dal nostro senso perverso, o è involontaria, procedendo dalla natura umana perversa. Se il primo è il caso, non si dispone di nessuna vera contrizione; se questa inclinazione continua ad alimentare la perversa natura senza il nostro consenso, questo non ostacola la perfezione della nostra contrizione. Ma come possiamo distinguere tra queste due fonti dell’inclinazione del male? Se siete fermamente determinati, qualunque cosa accada, a non commettere il peccato ancora una volta, la contrizione non è imperfetta come conseguenza della cattiva inclinazione. Se si esita tra il bene e male, se la risoluzione non è durevole, ma una mera volizione, la contrizione è difettosa. 2.- Molti intrattengono timori per quanto riguarda la perfezione della loro contrizione perché non hanno versato lacrime. Siate rassicurati! Le lacrime sono né necessarie, né possibili per tutti. Il figliol prodigo non ha versato lacrime — almeno la sacra Scrittura non ne parla — tuttavia la sua contrizione era senza dubbio perfetta. – 3.- A volte ci si sente stanchi, perché si sa, per triste esperienza, che la ricaduta è probabile e forse più che probabile. Coraggio! La paura, a causa della nostra fragilità, non esclude la ferma volontà di evitare il peccato. La certezza di non voler peccare più è una cosa; la risoluzione al non più peccare, è un’altra. S. Filippo Neri temeva tutti i giorni a causa della sua fragilità. Ma chi negherà che avesse una contrizione perfetta? Se siamo fermamente decisi a non peccare più, ci si può sentire tranquilli. 4.- Altri avanzano timori perché sanno che una parte nella loro contrizione è dovuta non tanto all’amore di Dio, ma al timore della punizione. Io rispondo loro, che l’uomo può pentirsi dei suoi peccati a motivo dell’amore e, nello stesso tempo, per paura del castigo. Una donna che è stata infedele al marito, non può non può pentirsi del suo delitto per il doppio motivo della paura della punizione e per la grande contumelia che riceverà da suo marito? Pentiti, quindi, dei tuoi peccati solo per la paura della punizione eterna, e la contrizione sarà imperfetta; rifletti poi sulla grazia e maestà divina offesa da te e la tua contrizione sarà perfetta. 5.- Vi sento dire: secondo quello che il nostro padre spirituale predica oggi, la contrizione perfetta non sembra così ardua. Ma ti abbiamo spesso sentito dire come è dimostrato dalla scrittura, dalle testimonianze dei Santi Padri e per nostra triste esperienza, che i peccatori non riescono ad invocare la contrizione sul loro letto di morte. Come si conciliano queste due asserzioni tra loro? – Ed io dico, perchè? Ad esempio David non poteva camminare con l’armatura di Saul, non perché era impossibile di per sé, ma perché “lui non era abituato ad essa” [Non posso camminare con tutto questo, perché non sono abituato. – I Re XVII, 39]. In questo senso e per lo stesso motivo, io ho tentato così spesso di infondervi cautela nel non mettere la vostra fiducia nella conversione sul letto di morte. Il Santo Cardinale Bellarmino ha assistito una volta con il dolore nel cuore, alla morte di un peccatore disperato sul letto di morte, impedito nel tentativo di fare una buona contrizione, perché egli non aveva mai imparato a farlo dalla pratica nella sua vita.

I VANTAGGI DELLA CONTRIZIONE PERFETTA.

Anche se non potrà mai verificarsi il caso secondo cui non sarà assolutamente necessaria per la vostra salvezza la contrizione perfetta, tuttavia i grandi vantaggi che derivano da essa dovrebbero indurre a fare frequenti atti di contrizione perfetta. E quali sono questi vantaggi? 1.- Con una contrizione perfetta il peccatore è istantaneamente purificato dai suoi peccati e adottato come uno dei figli di Dio, mentre a motivo del peccato egli aveva il diavolo per suo padre. [Voi che avete per padre il diavolo, e volete compiere i desideri del padre vostro. – S. Giovanni VIII, 44] 2.- Se stiamo già in uno stato di grazia, la grazia e la bellezza della nostra anima è aumentata e moltiplicata. Una sposa usa grandi sforzi per aumentare la sua bellezza, cosicché possa essere amata di più dal suo sposo, e la tua anima è la sposa di Dio. 3.- Con la perfetta contrizione la pena temporale dovuta per i nostri peccati del passato è interamente o, almeno in parte, estinta: si spengono le fiamme del Purgatorio! Si siamo negligenti nel fare l’atto di contrizione perfetta, si mostra chiaramente o che non si creda al tormento che procurano le sofferenze del Purgatorio; o che noi stessi siamo il nostro nemico. 4.- ogni atto di contrizione perfetta aumenta la nostra gloria nei cieli; ed un loro minimo incremento è infinitamente più prezioso del mondo intero. 5.- Una perfetta contrizione ripetuta spesso toglie la paura dolorosa dalla quale molti cristiani, seppur pii, sono tormentati dall’essere esclusi dall’amore di Dio. Colui che fa ogni giorno un atto di contrizione perfetta, dice Suarez, può essere certo che tra i suoi molti atti di contrizione ce n’è almeno uno che ha rimosso il suo peccato. (De Gratia IX, 11, n. 7). 6.- Questo costante ricordo dei nostri peccati sarà un seme di mansuetudine e di pazienza ed uno spirito di penitenza. “Sopporterò lo sdegno del Signore perché ho peccato contro di lui”, [Michea VII, 9].

Conclusione: la Beata Angela de Foligno, in conseguenza del suoi frequenti atti di contrizione, desiderava essere calpestata da tutti e divenne famosa per la sua austerità. Leggiamo nella vita di molti altri santi che, per la loro straordinaria compunzione, erano guidati da un odio sacro di se stessi. È esperienza frequente dei confessori che i penitenti, come conseguenza di una grande contrizione, siano indotti a chiedere una grande penitenza e mortificare gravemente la loro carne mediante volontarie opere di penitenza. Cerchiamo di imitarli!

[Fonte: Repertorium Oratoris Sacri, contenenti  di circa 600 sermoni, per tutte le domeniche e le festività dell’anno ecclesiastico, con l’approvazione del vescovo di Fort Wayne, versione 1878, pagina 383, capitolo: 13ª Domenica dopo Pentecoste]

Atto di contrizione

O mio Dio! Mi dispiace vivamente per avervi offeso; e detesto tutti i miei peccati, perché temo la perdita del cielo e le pene dell’inferno, ma soprattutto perché ho offeso Voi, mio Dio, infinitamente buono e meritevole di tutto il mio amore. Sono risoluto, con l’aiuto della vostra grazia, a confessare i miei peccati, a farne penitenza e ad emendare la mia vita. Amen.

Dobbiamo quindi metterci nelle mani di Dio misericordioso e attendere il giorno in cui potremo ricevere l’assoluzione sacramentale da un sacerdote cattolico approvato con missione. Molti di noi dovranno probabilmente morire senza un sacerdote, come ha fatto Paul McCabe nel 1971 (Vedi Veritas, agosto 1971), e come altri hanno fatto. Preghiamo per la gerarchia in esilio e supportiamola… Dobbiamo confidare in Dio… mantenere i suoi comandamenti… manteniamo la fede… rispettiamo le leggi e le sentenze della Chiesa Apostolica. Non facciamoci ingannare o confondere dalla contro-Chiesa del v-2 o dagli intellettualmente disonesti, gli effimeri ‘sedevacantisti’ ‘dalle false sacrileghe messe.” [ndr.-]

 

 

25 MARZO: ANNUNCIAZIONE DELLA VERGINE SANTISSIMA

Gloria di questo giorno.

È grande questo giorno negli annali dell’umanità ed anche davanti a Dio, essendo l’anniversario del più solenne avvenimento di tutti i tempi. Il Verbo divino, per il quale il Padre creò il mondo, s’è fatto carne nel seno d’una Vergine ed è venuto ad abitare in mezzo a noi (Gv. 1, 14). Adoriamo le grandezze del Figlio di Dio che si umilia, rendiamo grazie al Padre che ha amato il mondo sino a dargli il suo Figlio Unigenito (Ibid. III, 16), ed allo Spirito Santo che con la sua onnipotente virtù opera un sì profondo mistero. Ecco che sin da questo tempo di penitenza noi preludiamo alle gioie del Natale; ancora nove mesi, e l’Emmanuele oggi concepito nascerà in Betlemme, ed i cori angelici c’inviteranno a salutare questo nuovo mistero.

La promessa del Redentore.

Nella settimana di Settuagesima meditammo la caduta dei nostri progenitori e udimmo la voce di Dio tuonare la triplice sentenza, contro il serpente, la donna e l’uomo. Però, una speranza fece luce nella nostra anima e, nel mezzo degli anatemi, una divina promessa brillò come un faro di salvezza: il Signore sdegnato disse all’infernal serpente che un giorno la sua superba testa sarebbe schiacciata, e che sarebbe stato il piede d’una donna a colpirlo terribilmente.

Il suo adempimento.

Ed ecco giunto il momento in cui il Signore realizzerà l’antica promessa. Per millenni il mondo aveva atteso; e nonostante le fitte tenebre e le iniquità, tale speranza non svanì. Col succedersi dei secoli, la misericordia divina moltiplicò i miracoli, le profezie, le figure, per rinnovare il patto che si degnò stringere con l’umanità. – Si vide scorrere il sangue del Messia da Adamo a Noè, da Sem ad Abramo, Isacco e Giacobbe, da David e Salomone a Gioacchino; ed ora, nelle vene della figlia di Gioacchino, Maria. Maria è la donna per la quale sarà tolta la maledizione che pesava sulla nostra stirpe. Il Signore, facendola immacolata, decretò un’inconciliabile inimicizia fra lei e il serpente; ed è proprio oggi, che questa figlia di Eva riparerà la caduta della madre sua, rialzerà il suo sesso dall’abbassamento in cui era piombato, e coopererà direttamente ed efficacemente alla vittoria che il Figlio di Dio in persona riporterà sul nemico della sua gloria e del genere umano.

L’Annunciazione.

La tradizione ha segnalato alla santa Chiesa la data del 25 Marzo, come il giorno che vide il compimento di questo mistero (Sant’Agostino, La Trinità, 1. 4, c. 5). Maria se ne stava sola nel raccoglimento della preghiera, quando vide apparirle l’Arcangelo disceso dal cielo per chiederne il consenso nel nome della SS. Trinità. Ascoltiamo il dialogo fra l’Angelo e la Vergine, e nello stesso tempo riportiamoci col pensiero ai primordi del mondo. Un Vescovo martire del II secolo, S. Ireneo, eco fedele dell’insegnamento degli Apostoli, ci fa paragonare questa grande scena a quella che avvenne nel paradiso terrestre (Contro le eresie, 1. 5, c. 19).

Nel Paradiso terrestre.

Nel giardino di delizie si trova una vergine alla presenza d’un angelo, col quale ella discorre. Pure a Nazaret una vergine è interpellata da un angelo, col quale pure ritesse un dialogo; ma l’angelo del paradiso terrestre è uno spirito tenebroso, mentre quello di Nazaret è uno spirito di luce. Nei due incontri è sempre l’angelo a iniziare il discorso. « Perché, dice lo spirito maledetto alla prima donna, perché Dio vi ha comandato di non mangiare del frutto di tutte le piante del paradiso? » Vedi come già si nota, nell’impazienza di questa domanda, la provocazione al male, il disprezzo, l’odio verso la debole creatura nella quale Satana perseguita l’immagine di Dio!

A Nazaret.

Guardate invece l’angelo di luce, con quale dolcezza e con quale pace s’avvicina alla novella Eva! con quale rispetto riverisce questa umana creatura! « Ave, o piena di grazia! Il Signore è con te, tu sei benedetta fra tutte le donne ». Chi non sente nell’accento celeste di tali parole respirare pace e dignità! Ma continuiamo a seguire l’accostamento.

Eva.

La donna dell’Eden, imprudente, ascolta la voce del seduttore ed è sollecita nel rispondergli. La curiosità la spinge a prolungare la conversazione con lui, che l’istiga a scrutare i segreti di Dio, senza affatto diffidare del serpente che le parla; fra poco, però, si vergognerà al cospetto di Dio.

Maria.

Maria ascolta le parole di Gabriele; ma questa Vergine, prudentissima, come l’elogia la Chiesa, rimane silenziosa, chiedendo a se stessa donde possano provenire le lodi di cui è fatta oggetto. La più pura, la più umile delle vergini teme le lusinghe; e il celeste messaggero non sentirà da Lei una parola, che non riguardi la sua missione durante il colloquio. « Non temere, o Maria, egli risponde alla novella Eva, perché hai trovato grazia presso Dio; ecco, concepirai nel seno e partorirai un figlio, e gli porrai nome Gesù. Questi sarà grande e sarà chiamato Figlio dell’Altissimo; e il Signore Dio gli darà il trono di David suo padre; e regnerà in eterno sulla casa di Giacobbe; e il suo regno non avrà mai fine ». – Quali magnifiche promesse venute dal cielo da parte di Dio! quale oggetto più degno d’una nobile ambizione d’una figlia di Giuda, che sa di quale gloria sarà circondata la madre del Messia! Però Maria non è per niente tentata da sì grande onore. Ella ha per sempre consacrata la sua verginità al Signore, per essere più strettamente unita a Lui nell’amore; la più gloriosa mèta ch’Ella potrebbe raggiungere violando questo sacro voto, non riesce a smuovere la sua anima: « Come avverrà questo, Ella risponde all’Angelo, se io non conosco uomo ? ».

Eva.

La prima Eva non mostra uguale calma e disinteressamento. Non appena l’angelo perverso la rassicura che può benissimo violare, senza timore di morire, il precetto del divino benefattore, e che il premio della disobbedienza consisterà nell’entrare a far parte, con la scienza, alla stessa divinità, ecco che ne rimane soggiogata. – L’amore di se stessa le ha fatto in un istante dimenticare il dovere e la riconoscenza; e sarà felice di liberarsi al più presto dal duplice vincolo che le pesa.

Maria.

Così si mostra la donna che ci mandò alla rovina. Ma quanto differente ci appare l’altra che ci doveva salvare! La prima, crudele verso la posterità, si preoccupa unicamente di se stessa; la seconda, dimentica se stessa, riflettendo ai diritti che Dio ha su di lei. Rapito l’Angelo da tale fedeltà, finisce di svelare il disegno divino: «Lo Spirito Santo scenderà in te e la potenza dell’Altissimo ti adombrerà, per questo il Santo che nascerà da te sarà chiamato Figlio di Dio. – Ed ecco, Elisabetta, tua parente, ha concepito anche lei un figlio nella sua vecchiaia, ed è già nel sesto mese, lei ch’era detta sterile; ché niente è impossibile presso Dio ». A questo punto l’Angelo ha terminato il suo discorso ed attende in silenzio la decisione della Vergine di Nazaret.

La disobbedienza di Eva.

Portiamo ora lo sguardo sulla vergine dell’Eden. Appena Io spirito infernale ha finito di parlare, essa guarda con concupiscenza il frutto proibito, perché aspira all’indipendenza cui la metterà in possesso quel frutto sì piacevole. Con mano disobbediente s’avvicina a coglierlo; lo prende e lo porta avidamente alla bocca; e nel medesimo istante la morte s’impossessa di lei: morte dell’anima, per il peccato che estingue il lume della vita; morte del corpo che, separato dal principio dell’immortalità, diventa così oggetto di vergogna e di confusione, sino a che si dissolverà in polvere.

L’obbedienza di Maria.

Ma distogliamo lo sguardo dal triste spettacolo, e ritorniamo a Nazaret. Maria, nelle ultime parole dell’Angelo, vede manifesto il volere divino. Infatti la rassicura che, mentre le è riservata la gioia di essere la Madre di un Dio, serberà la sua verginità. Allora Maria s’inchina in una perfetta obbedienza, ed al celeste inviato risponde: « Ecco l’ancella del Signore : si faccia di me secondo la tua parola ». Così, l’obbedienza della seconda donna ripara la disobbedienza della prima, avendo la Vergine di Nazaret detto nient’altro che questo: avvenga dunque, FIAT che il Figlio eterno di Dio, che secondo il decreto divino aspettava la mia parola, si faccia presente, per opera dello Spirito Santo, nel mio seno, e cominci la sua vita umana. Una Vergine diventa Madre, e Madre d’un Dio; ed è l’abbandono di questa Vergine alla somma volontà che la rende feconda, per la virtù dello Spirito Santo. Mistero sublime che stabilisce relazioni di figlio e di madre tra il Verbo eterno ed una creatura, e mette in possesso dell’Onnipotente uno strumento degno di assicurargli il trionfo contro lo spirito maligno, che con la sua audacia e perfidia sembrava aver prevalso fino allora contro il piano divino!

La sconfitta di satana.

Non vi fu mai sconfitta più umiliante e completa di quella di Satana in questo giorno. Il piede della donna, che gli offrì una sì facile vittoria, grava con tutto il suo peso sulla superba testa che gli schiaccia. Ed Eva in questa figlia si risolleva a schiacciare il serpente. – Dio non ha preferito l’uomo per tale vendetta, perché in tal caso l’umiliazione di Satana non sarebbe stata così profonda; contro un tal nemico il Signore dirige la prima preda dell’inferno, la vittima più debole e più indifesa. – In premio di sì glorioso trionfo, una donna d’ora innanzi regnerà, non solo sugli angeli ribelli, ma su tutto il genere umano, anzi su tutti i cori degli Spiriti celesti. Dall’eccelso suo trono. Maria Madre di Dio domina sopra l’intera creazione; negli abissi infernali, invano Satana ruggirà nella sua eterna disperazione, pensando al danno che si fece nell’attaccare per primo un essere fragile e credulo, che Dio ha bellamente vendicato; e nelle altissime sfere, i Cherubini e i Serafini alzeranno lo sguardo a Maria, in attesa d’un sorriso e per gloriarsi d’eseguire i minimi desideri della Madre di Dio e degli uomini.

La salvezza dell’umanità.

Pertanto, strappati al morso del maledetto serpente per l’obbedienza di Maria, noi figli di questa umanità salutiamo oggi l’aurora della nostra liberazione; e, usando le stesse parole del cantico di Debora, tipo di Maria vincitrice, che canta il proprio trionfo sui nemici del popolo santo, diciamo: «Vennero meno i forti d’Israele e stettero inermi, finché non sorse Debora, finché non sorse una madre in Israele. Il Signore ha inaugurato nuove guerre ed ha rovesciato le porte dei nemici » (Giud. V, 7-8). Prestiamo l’orecchio ad ascoltare nei passati secoli, la voce d’un’altra vittoriosa donna, Giuditta, che canta a sua volta: « Lodate il Signore Dio nostro, il quale non ha abbandonato coloro che hanno sperato in Lui, e per mezzo di me sua serva ha compiuta la sua misericordia, da lui promessa alla casa di Israele, e in questa notte con la mia mano ha ucciso il nemico del suo popolo. E il Signore onnipotente che l’ha colpito dandolo in mano d’una donna che l’ha trafitto » (Giud. XIII, 17-18; 16,7). .

Azione di grazie.

Con queste ultime parole, o Maria, fu decretata la nostra sorte. Voi accondiscendete al desiderio del Cielo: ed ecco che il vostro assenso garantisce la nostra salvezza. O Vergine! O Madre! O benedetta fra le donne, accogliete, insieme agli omaggi degli Angeli, le azioni di grazie, di tutto il genere umano. Per mezzo vostro siamo salvi dalla rovina, in voi è redenta la nostra natura, perché siete il trofeo della vittoria dell’uomo sul suo nemico. – Rallegrati, o Adamo, nostro padre, ma sopra tutto trionfa tu, o Eva, madre nostra! voi che, genitori di tutti noi, foste anche per tutti noi autori di morte, omicidi della vostra progenie prima di diventarne padri. – Ora consolatevi di questa nobile figlia che vi è stata data; tu specialmente, o Eva! Cessa i tuoi lamenti: da te, all’inizio, uscì il male, e da te, d’allora sino ad oggi, fu contagiato tutto il tuo sesso; ma ecco giunto il momento che l’obbrobrio scomparirà e l’uomo non avrà più ragione di piangere a causa della donna. Un giorno, cercando di giustificare la propria colpa, l’uomo prontamente fece cadere su di lei un’accusa crudele: “La donna che mi desti per compagna mi ha dato il fruito ed io ne ho mangiato”. O Eva, va’ dunque a Maria; rifugiati nella tua figlia, o madre. La figlia risponderà per la madre, è lei che ne cancellerà la vergogna, lei che per la madre offrirà soddisfazione al padre; poiché, se per la donna l’uomo cadde, solo per la donna potrà rialzarsi. – Che dicevi allora, o Adamo? La donna che mi desti per compagna mi ha dato il frutto ed io ne ho mangiato. Malvagie parole, che accrescono il tuo peccato e non lo cancellano. Ma la Sapienza divina ha vinto la tua malizia, attingendo nel tesoro della sua inesauribile bontà il mezzo per procurarti il perdono che aveva cercato di meritarti nel darti l’occasione di rispondere convenientemente alla domanda che ti faceva. – Tu avrai una donna in cambio d’una donna: una donna prudente per una donna stolta, una donna umile per una donna superba, una donna che invece di un frutto di morte ti darà l’alimento di vita, che invece di un cibo avvelenato produrrà per te il frutto dell’eterne delizie. Cambia dunque in parole riconoscenti la tua ingiusta accusa, dicendo ora: Signore, la donna che m’hai data per compagna mi ha dato il frutto dell’albero della vita, ed io ne ho mangiato; è un frutto soave alla mia bocca, perché con esso m’avete ridata la vita (S, Bernardo, 2.a Omelia sul Missus est).

L’Angelus.

Non chiuderemo questa giornata senza ricordare e raccomandare la pia e salutare istituzione che la cristianità solennizza giornalmente in ogni paese cattolico, in onore del mistero dell’Incarnazione e della divina maternità di Maria. Tre volte al giorno, al mattino, a mezzogiorno e alla sera, si ode la campana e i fedeli, all’invito di quel suono si uniscono all’Angelo Gabriele per salutare la Vergine Maria e glorificare il momento in cui lo stesso Figlio di Dio si compiacque assumere umana carne in Lei. Dall’Incarnazione del Verbo il nome suo è echeggiato nel mondo intero. Dall’Oriente all’Occidente è grande il nome del Signore; ma è pur grande il nome di Maria sua Madre. Da qui il bisogno del ringraziamento quotidiano per il mistero dell’Annunciazione, in cui agli uomini fu dato il Figlio di Dio. Troviamo traccia di questa pratica nel XIV secolo, quando Giovanni XXII apre il tesoro delle indulgenze a favore dei fedeli che reciteranno l’Ave Maria, la sera, al suono della campana che ricorda loro la Madre di Dio. Nel XV secolo S. Antonino c’informa nella sua Somma che il suono delle campane si faceva, allora, mattina e sera nella Toscana. Solo nel XVI secolo troviamo in un documento francese citato da Mabillon il suono delle campane a mezzogiorno, che si aggiunge a quello dell’aurora e del tramonto. Fu così che Leone X approvò tale devozione, nel 1513, per l’abbazia di Saint-Germain des Près, a Parigi. – D’allora in poi l’intera cristianità la tenne in onore con tutte le sue modifiche; i Papi moltiplicarono le indulgenze; dopo quelle di Giovanni XXII e di Leone X, nel XVIII secolo furono emanate quelle di Benedetto XIII; ed ebbe tale importanza la pratica, che a Roma, durante l’anno giubilare, in cui tutte le indulgenze eccetto quelle del pellegrinaggio a Roma, rimangono sospese, stabilì che le tre salutazioni che si suonano in onore di Maria, avrebbero dovuto continuare ad invitare i fedeli a glorificare insieme il Verbo fatto carne. – Quanto a Maria, lo Spirito Santo aveva già preannunciati i tre termini della pia pratica, esortandoci a celebrarla soave « come l’aurora » al suo sorgere, splendente « come il sole » nel suo meriggio e bella « come la luna » nel suo riflesso argenteo.

Preghiera all’Emmanuele.

O Emmanuele, Dio con noi, « voi voleste redimere l’uomo, e per questo veniste dal cielo ad incarnarvi nel seno d’una Vergine »; ebbene, oggi il genere umano saluta il vostro avvento. Verbo eterno del Padre, dunque a voi non bastò trarre l’uomo dal nulla con la vostra potenza; nella vostra inesauribile bontà voi volete anche raggiungerlo nell’abisso di degradazione in cui è piombato. A causa del peccato l’uomo era caduto al di sotto di se stesso; e voi, per farlo risalire ai divin’ destini per i quali l’avevate creato, veniste in persona a rivestire la sua sostanza per elevarlo fino a voi. – Nella vostra persona, oggi ed in eterno, Dio si fece uomo, e l’uomo divenne Dio. Per adempiere le promesse della Cantica, voi vi uniste all’umana natura, e celebraste le vostre nozze nel seno verginale della figlia di David. O annichilamento incomprensibile! O gloria inenarrabile! Il Figlio di Dio s’è annientato, e il figlio dell’uomo glorificato. A tal punto ci avete amato, o Verbo divino, ed il vostro amore ha trionfato della nostra miseria. – Lasciaste gli angeli ribelli nell’abisso scavato dalla loro superbia, e nella vostra pietà vi fermaste in mezzo a noi. E non con un solo sguardo misericordioso voi ci salvaste, ma venendo su questa terra di peccato a prendere la forma di schiavo (Fil. II, 7), e cominciando una vita di umiliazioni e di dolori. O Verbo incarnato, che venite per salvarci e non per giudicarci (Gv. XII, 47), noi vi adoriamo, vi ringraziamo, vi amiamo: fateci degni di tutto ciò che il vostro amore vi mosse a fare per noi.

A Maria.

Vi salutiamo, o Maria, piena di grazia, in questo giorno in cui vi allietate dell’onore che vi fu attribuito. L’incomparabile vostra purezza, attirò gli sguardi del sommo Creatore di tutte le cose, e la vostra umiltà lo fece venire nel vostro seno; la sua presenza accresce la santità della vostra anima e la purità del vostro corpo. Con quali delizie sentite il Figlio di Dio vivere della vostra vita e prendere dalla vostra sostanza il nuovo essere cui si unisce per nostro amore! Ecco, è già stretto fra voi e Lui il legame noto soltanto a Voi: è il vostro Creatore, e Voi ne siete la Madre; è il vostro Figlio, e voi siete una sua creatura. Davanti a Lui si piega ogni ginocchio, o Maria! Perché è Dio del cielo e della terra; ma pure ogni creatura s’inchina davanti a Voi, perché Lo portaste nel vostro seno e Lo allattaste; sola fra tutti gli esseri, Voi potete chiamarLo, come il Padre celeste : « Mio figlio! ». – O donna incomparabile, Voi siete lo sforzo supremo della potenza divina: accogliete dunque l’umile sottomissione del genere umano, che si gloria di Voi più che gli stessi Angeli, perché avete il suo stesso sangue e la medesima natura. – O novella Eva, figlia dell’antica, senza peccato! Per la vostra obbedienza ai divini decreti salvaste la vostra madre e tutta la sua figliolanza, ridando l’innocenza perduta al Padre vostro ed all’intera sua famiglia. Il Signore che portate ci assicura tutti questi beni, ed è per Voi che noi Lo possiamo avere; senza di Lui noi rimarremmo nella morte, e senza di Voi Egli non potrebbe riscattarci, perché in Voi attinge il sangue prezioso che ne sarà il pegno. La sua potenza protesse la vostra purezza nell’istante dell’Immacolata concezione, nella quale si formò il sangue di un Dio per la perfetta unione fra la natura divina con quella umana. Oggi, o Maria, si compie la divina profezia dopo l’errore: « Porrò inimicizia fra la donna e il serpente ». Finora gli uomini temevano il demonio e, nel loro traviamento, erigevano ovunque altari in suo onore. Ma oggi il vostro terribile braccio abbatte il suo nemico. Voi l’avete battuto per sempre con l’umiltà, la castità e l’obbedienza; e non potrà più sedurre le nazioni. Per Voi, o nostra Liberatrice, siamo stati strappati al suo potere, in preda al quale potremmo ancora essere gettati solo dalla nostra perversità e ingratitudine. Non lo permettete, o Maria! aiutateci! E se, in questi giorni di emendazione, proni ai vostri piedi, riconosciamo che purtroppo abusammo della grazia celeste, di cui voi diveniste il canale nella festa della vostra Annunciazione, fateci rivivere, o Madre dei viventi, per la vostra potente intercessione al trono di Colui che oggi diventa vostro Figlio in eterno. – O Figlia degli uomini, o nostra cara sorella, per la salutazione dell’Arcangelo, per il vostro verginale turbamento, per la fedeltà al Signore, per la prudente umiltà, per il vostro consenso liberatore, vi supplichiamo, convertite i nostri cuori, fateci sinceramente penitenti e preparateci ai grandi misteri che stiamo per celebrare. Oh, quanto saranno dolorosi per Voi, o Maria! come sarà breve il passaggio dalle gioie dell’Annunciazione alle tristezze della Passione! Ma Voi volete far rallegrare l’anima nostra pensando alla felicità del vostro cuore, quando, lo Spirito divino vi coprì con le sue ali ed il Figlio di Dio fu anche vostro Figlio. Perciò, restiamo tutto il giorno vicino a Voi, nell’umile casa di Nazaret. Fra nove mesi Betlemme ci vedrà prostrati, coi pastori ed i Magi, ai piedi di Gesù Bambino che nascerà per gioia vostra e per la nostra salvezza; allora, noi ripeteremo insieme agli Angeli: « Gloria a Dio nell’alto dei cieli, e sulla terra pace agli uomini di buona volontà! »

PER L’ANNUNCIAZIONE (25 Marzo)

[G. Riva: Manuale di Filotea, Milano, 1888]

Questa festa in cui si commemora la incarnazione del Verbo nel seno verginale di Maria, fu celebrata fino dai tempi apostolici, ond’è che si fanno su di essa due omelie di S. Gregorio il Taumaturgo, il quale nell’anno 246 fu fatto Vescovo di Neocesarea.

I. – Immacolata Maria, che specialmente per la vostra umiltà e verginità meritaste di essere, a preferenza di tutte le donne più famose, eletta a Madre del vostro Creatore, ottenete a noi tutti la grazia di sempre amare, e di sempre praticare come Voi queste due sì belle virtù, onde meritarci a vostra somiglianza, il gradimento del nostro Signore. Ave.

II. Immacolata Maria, che vi turbaste nel sentire celebrate da un Angelo le vostre lodi, ottenete a noi tutti la grazia di avere anche noi, a somiglianza di Voi, un sentimento così basso di noi medesimi, che disprezzando le lodi della terra, attendiamo solo a meritarci l’approvazione del cielo. Ave.

III. Immacolata Maria, che preferiste il pregio di Vergine alla gloria di Madre di Dio, quando questa non si fosse potuto conciliare coi vostri angelici proponimenti, ottenete a noi tutti la grazia di essere, a costo di qualunque sacrificio, sempre fedeli nell’osservanza della legge santa di Dio e delle nostre buone risoluzioni, Ave.

IV. Immacolata Maria, che con umiltà non più udita vi chiamaste ancella di Dio quando l’arcangelo Gabriele vi preconizzava per di Lui Madre, ottenete a noi tutti la grazia che non ci insuperbiamo giammai per qualunque dono più singolare ci venga fatto da Dio, ma che anzi ci serviamo di tutto per più avanzarci nella via della virtù, ed unirci più strettamente al vero fonte di felicità. Ave.

V. Immacolata Maria, che per la salute degli uomini non ricusaste l’incarico di divenir Madre del Redentore, quantunque conosceste con chiarezza il dolorosissimo sacrificio che ne avreste dovuto fare un giorno sopra la croce, quindi la passione amarissima che avreste dovuto Voi medesima sostenere con Lui, ottenete a noi tutti la grazia che non ci rifiutiamo giammai a qualunque sacrificio che da noi richieda il Signore per la gloria del suo nome, e la salute dei nostri fratelli. Ave.

VI. Immacolata Maria, che col fiat da voi proferito nell’accettare l’incarico di divenir madre del Verbo, rallegraste il cielo, consolaste la terra, e spaventaste l’inferno, ottenete a noi tutti la grazia d’aver sempre una gran confidenza nel vostro santo patrocinio, affinché per Voi veniamo noi pure a godere il frutto di quella Redenzione così copiosa di cui foste, o gran Vergine, la sospirata cooperatrice. Ave.

VII. Immacolata Maria, che con un miracolo tutto nuovo diveniste Madre del Verbo, senza macchiare menomamente la vostra illibatissima purità, ottenete a noi tutti la grazia di essere sempre così riservati e modesti negli sguardi, nelle parole e nel tratto, che non veniamo mai a macchiare la castità conveniente al nostro stato.

VIII. Immacolata Maria, che contraeste una relazione così intima con tutta la ss. Trinità da diventar nel tempo stesso Figlia del Divin Padre, Madre del divin Piglio, e Sposa dello Spirito Santo, ottenete a noi tutti la grazia di tener sempre l’anima nostra così monda, che meritiamo di essere con verità il tempio vivo del Padre che ci ha creati, del Figliuolo che ci ha redenti e dello Spirito Santo che ci ha santificati.

IX. Immacolata Maria, che aveste la gloria singolarissima di portare nel vostro verginal seno Colui che i cieli e la terra non sono capaci di contenere, ottenete a noi tutti la grazia di esercitarci continuamente, a somiglianza di Voi, nell’umiltà, nella penitenza, nella carità e nell’orarazione, onde ricevere degnamente e con frutto lo stesso vostro divin Figliuolo, quando sotto le specie sacramentali si degna di venire dentro di noi: e fate ancora che siamo graziati di questa visita al punto della nostra morte, onde potere svelatamente contemplarlo, amarlo e possederlo con Voi in compagnia degli Angioli e dei Santi in Paradiso. Ave, Gloria.

ORAZIONE.

Deus, qui de beatæ Maria Virginis utero Verbum tuum, Angelo nunciante, carnem suscipere voluisti, præsta supplicibus tuis ut qui vero eam Genitricem Dei credimus, eius apud te intercessionibus adjuvemur. Per eundem Dominum, etc.

 

LE CINQUE PIAGHE di NOSTRO SIGNORE GESU’ CRISTO

Il venerdì della III settimana di Quaresima, è dedicato alle SS. Piaghe di N. S. GESU’ CRISTO.  Onoriamole con la meditazione e la preghiera.

I. Signore mio Gesù Cristo, io adoro la piaga del vostro piede sinistro. Vi ringrazio di averla per me sofferta con tanto dolore e con tanto amore. Compatisco la pena vostra e quella della vostra afflitta Madre, e per i meriti di questa santa piaga, vi prego di concedermi il perdono dei miei peccati, dei quali con tutto il cuore mi pento, sopra ogni male per essere stati altrettante offese alla vostra intima bontà. Maria addolorata, pregate Gesù per me. Pater, Ave, Gloria.

[Per le piaghe che soffristi, Gesù mio, con tanto amore, e con tanto tuo dolore, abbi pur di me pietà.]

II. Signore mio Gesù Cristo, io adoro la piaga del vostro piede destro. Vi ringrazio per averla per me sofferta con tanto dolore e con tanto amore. Compatisco la pena vostra e quella della vostra afflitta Madre, e per i meriti di questa santa piaga vi prego a darmi forza di non cadere per l’avvenire mortale. Maria addolorata pregate Gesù per me. Pater, Ave, Gloria.

[Per le piaghe che soffristi, Gesù mio, con tanto amore, e con tanto tuo dolore, abbi pur di me pietà.].

III. Signore mio Gesù Cristo, io adoro la piaga della vostra mano sinistra. Vi ringrazio per averla per me sofferta con tanto dolore e con tanto amore. Compatisco la pena vostra e quella della vostra afflitta Madre, e per i meriti di questa santa piaga vi prego di liberarmi dall’inferno tante volte da me meritato, dove non potrei più amarvi. Maria addolorata pregate Gesù per me. Pater, Ave, Gloria.

[Per le piaghe che soffristi, Gesù mio, con tanto amore, e con tanto tuo dolore, abbi pur di me pietà.].

IV. Signore mio Gesù Cristo, io adoro la piaga della vostra mano sinistra. Vi ringrazio per averla per me sofferta con tanto dolore e con tanto amore. Compatisco la pena vostra e quella della vostra afflitta Madre, e per i meriti di questa santa piaga vi prego di donarmi la goria del Paradiso, dove vi amerò perfettamente e con tutte le mie forze. Maria addolorata pregate Gesù per me. Pater, Ave, Gloria.

[Per le piaghe che soffristi, Gesù mio, con tanto amore, e con tanto tuo dolore, abbi pur di me pietà.].

V. Signore mio Gesù Cristo, io adoro la piaga del vostro costato. Vi ringrazio per aver voluto anche dopo la morte soffrire quest’altra ingiuria, senza dolore sì, ma con sommo amore. Compatisco la vostra afflitta Madre che fu sola a sentire tutta la pena; e per i meriti di questa santa piaga vi prego di concedermi il dono del vostro santo amore, acciocché io vi ami sempre in questa vita per venire poi nell’altra ad amarvi eternamente in Paradiso. Maria addolorata pregate Gesù per me. Pater, Ave, Gloria.

[Per le piaghe che soffristi, Gesù mio, con tanto amore, e con tanto tuo dolore, abbi pur di me pietà.].

Un Pater, Ave e Gloria, pregando secondo le intenzioni del Sommo Pontefice [Gregorio XVIII], per l’acquisto delle indulgenze.

V. Adoramus te Christe, et benedicimus tibi,

R. Quia per sanctam Crucem tuam redemisti mundum.

V. Ora pro nobis, Virgo dolorosissima.

R. Ut digni efficiamur promissionibus Christi.

Oremus

Deus, qui unigeniti Filii tui, pretioso sanguine, vivificæ Crucis vexillum santificare voluisti, concede quæsumus, eos qui ejusdem sanctæ Crucis gaudent honore, tua quoqueubique protectione gaudere. Per eundem Christum Dominum nostrum. Amen.

LA PASSIONE DI GESU’ CRISTO

In questi venerdì di quaresima, si ricordano gli strumenti della Passione di Cristo e le sue ferite: 1° venerdì: La corona; 2° venerdì: i chiodi e la lancia; 3° venerdì: il sacro lenzuolo, 4° venerdì: le piaghe di Gesù-Cristo; 5° venerdì: il suo Preziosissimo sangue. Oggi ci occuperemo della Santa Croce e degli Strumenti della Passione.

DEVOZIONE ALLA SANTA CROCE

ISTRUZIONE.

La storia dell’Invenzione e dell’Esaltazione della S. Croce su cui, per opera di Gesù Cristo, fu compita la redenzione di tutto il genere umano, è troppo interessante per essere passata sotto silenzio. Facciamone dunque qualche cenno.

Invenzione della Santa Croce.

Costantino, detto il grande, figlio di Costanzo Cloro e di S. Elena, dopo essere stato presente alla morte del proprio padre nella Gran Bretagna, fu dichiarato imperatore in suo luogo, il giorno 25 luglio 306. Investito della suprema autorità, cominció a regnare nell’Inghilterra, nelle Gallie e nella Spagna, ch’erano ì paesi dominati da Costanzo, quando da Diocleziano fu associato all’Impero. Ma dopo qualche anno, sentendo che Massenzio in Roma cercava di usurpargli il trono, mosse dal Reno contro di lui, e sapendo che il suo nemico era assai maggiore di forza, dacché non aveva meno di duecentomila uomini, chiama in soccorso il Dio dei Cristiani, pei quali aveva gran propensione. La sua speranza non lo tradì, che anzi, il giorno innanzi alla battaglia, trovandosi alle porte di Roma qualche ora dopo il mezzogiorno, a vista di tutto il suo esercito, non che di lui che ne era a capo, apparve nel cielo una Croce, più luminosa del sole, e intorno alla quale si leggevano queste parole — Con questa bandiera tu vincerai. — “In hoc Signo vinces”. La notte seguente Gesù Cristo gli apparve in sogno, e mostrandogli di nuovo la Croce apparsa nel cielo il giorno avanti, gli comandò di farne subito costruire una in tutto simile a quella che gli era mostrata, e di usarla come stendardo di guerra, che avrebbe certissima la vittoria. Appena svegliato l’imperatore, diede gli ordini opportuni per fare questa nuova bandiera tanto famosa sotto il nome di Labaro, la quale consisteva in una lunga picca tutta coperta di oro traversata in alto da un altro legno che formava una Croce dalle cui braccia pendeva un velo tessuto d’oro, e di pietre preziose. Al sommo della Croce brillava una ricca corona d’oro, nel cui mezzo stavano le lettere greche indicanti il nome di Cristo. Con questa nuova bandiera che veniva portata dai veterani più distinti per valore e per pietà, si avanzò Costantino verso Massenzio, e al Ponte Mìlvio, detto ora il Ponte Molle, lo sconfisse per modo che il tiranno preso la fuga e si annegò nel Tevere il 28 Ottobre del 312. Questa è quella grande vittoria che determinò Costantino a dichiarare la Religione Cristiana libera in tutto l’impero; il che fece con formale decreto sottoscritto in Milano nell’anno 313; tanto più che, vinto Massenzio, trionfò anche di Licinio Imperator d’Oriente persecutore fierissimo del Cristianesimo, e cosi divenne egli solo padrone del mondo conosciuto a quei tempi. Pochi sono i fatti che abbiano tante prove quante ne vanta l’apparizione della Croce a Costantino. – Eusebio ci assicura d’averlo sentito dalla bocca stessa dell’Imperatore. Lattanzio che scrisse prima di Eusebio ne parla come di fatto innegabile: cosi fan pure Filistorgio nei suoi frammenti, Socrate e Sozomeno nelle loro storie, nonché Gelasio di Cizico negli Atti di s. Artemio martirizzato sotto Giuliano, oltre l’essere attestato da infinite iscrizioni e medaglie che si riferiscono a quell’ epoca, non che dalla statua che il Senato fece erigere a Costantino, nelle cui mani fu posta come strumento di sua vittoria, la Croce. – Risoluto Costantino di far trionfare la Croce in tutte le parti del suo impero, comandò prima di tutto di abbattere quei tempii profani che l’imperatore Adriano aveva fatto innalzare sopra del Santo Sepolcro, dopo di averlo riempito di terra e nascosto alla vista comune con un pavimento di pietra. Datone l’ordine a Draciliano governatore di Palestina e partecipatene la notizia a s. Macario vesc. di Gerusalemme, Elena, madre dell’Imperatore, quantunque fosse già sugli 80 anni, volle prendere personalmente la direzione, e pose ogni suo studio nel ricercare la santa Croce. Dopo un lungo scavare, si giunse a scoprire il Sepolcro, e in sua vicinanza tre croci della stessa grandezza e della stessa forma, per cui non si poteva distinguere quale fosse quella del Salvatore, tanto più che il titolo ordinato da Pilato, e portante le parole “Gesù Nazareno Re de’ Giudei”, era confuso tra ì vari legni. – Nell’impossibilità di ben conoscere quale delle tre croci fosse quella che si cercava, s. Macario suggerì all’imperatrice portarle tutte e tre alla casa di una gentildonna che era moribonda. Fatta una fervida preghiera, e portate le croci alla casa della ammalata, si provò a toccarla con esse; ma mentre nessun effetto si ebbe dalle due prime, al tocco della terza l’ammalata si vide perfettamente guarita. Alcuni altri riferiscono che la Santa Croce sia stata riconosciuta per la istantanea risurrezione di un morto che sopra di essa fu steso, mentre niente era avvenuto applicandolo alle altre due croci! – Riconosciuta la vera Croce, si fondò una Chiesa nel luogo in cui fu trovata, ed ivi la si depose in una grande custodia di sommo valore. Una porzione però fu da s. Elena mandata al suo figlio in Costantinopoli, ed un’altra fu spedita alla Chiesa da lei fondata in Roma e che ora si conosce sotto il nome di Santa Croce di Gerusalemme, alla quale regalò anche il titolo della croce, che venne posto al sommo di un’arcata ove fu trovato nel 1492 chiuso in una cassetta di piombo. – Costantino per ispirare a tutto il mondo gran rispetto alla Croce, comandò che in tutta l’estensione dei suoi domini non si adoperasse mai più la croce per supplizio dei malfattori, il che fu praticato in progresso da tutti ì suoi antecessori. – La parte più considerabile della Croce fu fatta chiudere da s. Elena m un astuccio d’argento, e lasciata a Gerusalemme sotto la custodia del vescovo S. Macario [di cui oggi 10 marzo festeggiamo la memoria –ndr.-] che la depose nella magnifica chiesa costrutta sul santo Sepolcro. – Da tutte le parti concorsero sempre i fedeli a venerare sì gran Reliquia, ed è pur rimarcabile il fatto che da s. Paolino è riferito nella sua lettera a Severo, cioè che per quanti pezzetti ne fossero staccati, dessa non veniva mai a scemarsi, producendosi a misura che veniva tagliata come fosse 1egno ancor vivo. S, Cirillo di Gerusalemme, che viveva 25 anni dopo la Invenzione della santa Croce, protesta che dopo essersene distribuiti tanti pezzetti da trovarsene in ogni parte del mondo, la Croce era ancora della stessa grandezza, e grossezza, come non fosse mai stata toccata da alcuno, e paragonava questo fatto ai pani moltiplicati nel deserto per satollare 5 mila persone.

ESALTAZIÓNE DELLA SANTA CUOCE.

Come l’apparizione della Croce a Costantino, e la scoperta del sacro legno fatta da s. Elena diede occasione alla festa dell’invenzione della S, Croce, che però, al dir del Baronio, non si rese universale che nel 720, così il riacquisto di sì santo strumento, fatto da Eraclio, diede nuovo lustro alla festa della Esaltazione, che già si celebrava dai Greci e dai latini nel sesto secolo, e anche nel quinto. Cosroe II, re di Persia, sotto pretesto di vendicare l’imperatore Maurizio trucidato da Foca, si mosse con grande esercito contro quest’ultimo, e in poco tempo si impadronì della Siria e della Palestina, mettendo a fuoco ed a sangue tutto l’Oriente. – Eraclio figliuolo del governatore dell’Africa, animato dai voti del popolo che stanco della tirannide di Foca, lo proclamava imperatore, approda con un’armata navale a Costantinopoli, ove sconfisse le truppe nemiche, e, impadronitosi del tiranno, gli fece troncare la testa. Non ottenne appena questa vittoria, che cercò di fare la pace con Cosroe, affinché, senza spargere altro sangue, si ritirasse nei proprii stati, cioè nel regno di Persia. Cosroe, superbo delle prime conquiste, rifiutò ogni condizione, fece nuove scorrerie, strinse d’ asilo Gerusalemme, e presala nell’anno 625, portò seco nella Persia, coi principali della città e il vescovo Zaccaria, i più preziosi tesori che vi poté trovare, e fra questi la vera Croce su cui era morto il Salvatore. Allora Eraclio risolvette di farla finita; e, confidando nella protezione del cielo, parti colle sue truppe per la Persia. La sua marcia fu un continuo trionfo, e sconfitti tutti i Persiani che d’allora in poi non riacquistarono mai più il loro primitivo splendore, costrinse alla fuga il loro Re, che fu poi fatto morire dal proprio figlio Siroe, com’egli a colpi di bastone aveva fatto morire il proprio padre Ormisda. – Debellati così tutti i nemici, Eraclio cedette alle istanze di Siroe che domandava la pace; e la prima condizione che gli impose fu quella di restituire tutto quello che Cosroe avea rubato in Palestina, e specialmente la Santa Croce. Fu allora che questa nel 628, fu portata trionfalmente, fra le acclamazioni e gli ossequi di tutto il popolo a Costantinopoli. L’anno seguente l’imperatore si imbarcò per portarla in Gerusalemme. E giuntovi felicemente, la volle portare egli stesso nei tempio fabbricato da Costantino sopra’il Calvario. Ma arrivato alla porta che serve di introduzione al sacro monte, si sentì impediti i suoi passi da una forza invisibile e irresistibile. Allora il patriarca Zaccaria, che lo accompagnava, lo avvisò che ciò proveniva dall’essere egli vestito pomposamente, e quindi in modo non proprio per imitar Gesù Cristo nel portare la croce. – Depose subito l’imperatore le regie insegne; si vestì di abito penitenziale, e trovò di poter procedere liberamente, come procedette difatti al compimento dei propri voti. E cosi la santa Croce fu nel 629 riposta per mano di Eraclio in quel luogo medesimo da cui 14 anni prima era stata rubata da Cosroe. Siccome ciò avvenne nel 14 Settembre, in cui molti eran già soliti festeggiare la Santa Croce, cosi fu universalmente stabilita in tal giorno la solennità della sua Esaltazione.

DEGLI ALTRI STRUMENTI DELLA PASSIONE.

Veduto quello che diede origine alle due feste della Santa Croce, tornerà molto caro il conoscere che cosa avvenne degli altri strumenti della Passione, che furono da s. Elèna trovati nel luogo medesimo della Croce, essendo antico costume di seppellire presso il tumulo dei giustiziati tutti gli strumenti che avean servito al loro supplizio.

I SANTI CHIODI.

Presso la Croce del Redentore s. Elena trovò ì Chiodi che avevan servito alla sua crocifissione. Né durò fatica a riconoscerli, perché, a differenza degli altri, che erano tutti coperti di ruggine, questi conservavano ancora la primitiva lucidezza. In quanto al numero, è insegnamento di s. Gregorio di Tours, seguito dal papa Innocenzo III che fossero quattro i Chiodi che erano stati a contatto colle mani e coi piedi del Redentore, senza parlare di quello che aveva servito pel titolo o cartello, che stava al sommo della croce, e di altri che si rendevano indispensabili per connettere al legno diritto il legno trasversale. Dei quattro Chiodi che penetrarono nelle carni divine del Redentore, uno fu da s. Elena calato riverentemente nel mare Adriatico per calmare una tempesta violentissima che minacciava la di lei vita, per render più sicuro quel golfo che per la sua voracità si chiamava la voragine dei naviganti. Acquietatosi il mare a quel contatto s. Elena regalò quel chiodo alla chiesa di Treveri, di cui era allora arcivescovo s. Agrizio. Gli altri tre furono mandati a Costantino, il quale se ne servì per garantire da ogni sinistro la propria persona, mettendone uno nel suo diadema più ricco, ossia l’elmo di parata, e collocando gli altri due nella briglia e nel morso del suo cavallo, onde gli servissero di scudo impenetrabile fra ì tanti pericoli delle battaglie. Questi chiodi si conservarono in Costantinopoli fino all’epoca dell’imperatore Giustiniano, imperocché si sa che il pontefice s. Vigilio, che si trovava in quella città per la famosa condanna dei tre Capitoli nel 555 giurò per la virtù dei santi Chiodi e del santo freno che ivi si conservava. Nell’anno poi 586, dall’imperatore Costantino Tiberio, furono regalati a s. Gregorio Magno, nell’occasione che ritornava a Roma, dopo aver sostenuto presso la corte di Costantinopoli l’impegno di Apocrisario, ossia legato del Papa, che era s. Agapito. Fu allora che il Santo Chiodo, già allogato nel diadema di Costantino, fu dato in dono alla basilica della Santa Croce m Roma, un altro venne donato alla chiesa di s. Giovanni in Monza, ove fu poscia incastrato nella parte interiore della celebre Corona Ferrea, che serve anche attualmente per l’incoronazione dei Re. Quello inserito da Costantino nel freno de! suo cavallo fu regalato alla Metropolitana di Milano, ove si conserva tuttora in una specie di magnifica cappella costruita nella parte superiore della volta del coro. – Non deve poi far meraviglia che molte altre chiese si vantino di possedere sì preziosa reliquia, dacché per soddisfare alla pietà dei fedeli desiderosi di tanto tesoro, si sa che fu limato uno dei veri chiodi, specialmente quello che era a Roma, e che appunto per questo ora non ha più punta. E questa limatura si è rinchiusa in altri Chiodi fatti alla foggia dei veri, e così si sono in certa guisa moltiplicati. Si e pur trovato altro modo di farne molti, col mettere a contatto del chiodo vero, degli altri appositamente preparati a sua somiglianza. S. Carlo Borromeo, cosi scrupoloso in fatto di Reliquie aveva molti Chiodi fatti a somiglianza di quello che si venera in Milano, e, dopo averli ad esso accostati li distribuiva ai distinti personaggi che voleva regalare; ed uno di questi fu da lui donato qual reliquia preziosa a Filippo II Re delle Spagne. Di una somigliante devozione si trovano le tracce nei secoli i più remoti. S. Gregorio Magno, ed altri papi, diedero, come grande reliquia, un po’ di limatura delle catene di s. Pietro, che poi mettevasi in altre catene fatte a somiglianza di quelle. Nelle opere del P. Onorato di s. Maria, che è uno dei critici più giudiziosi, si legge un fatto che conferma quanto si è detto, ed è un miracolo autentico operatosi per mezzo di un taffetà fatto a somiglianza del cuore della gran vergine santa Teresa.

LA SANTA LANCIA.

Trovata da s. Elena, cogli altri strumenti della Passione di Cristo, la lancia che gli aperse il costato, fu posta nella debita venerazione. Ma in progresso di tempo, temendosi l’invasione dei Saraceni, fu segretamente sotterrata in Antiochia, ove fu trovata nel 1098, nella cui occasione accaddero molti miracoli. Allora da Antiochia fu trasportata a Gerusalemme, e di lì a poco a Costantinopoli. L’imperatore Balduino II ne mandò la punta alla Repubblica di Venezia in pegno d’una somma di danaro che dessa gli aveva prestato. S. Luigi Re di Francia pagò ai Veneti la somma per cui era impegnata quella reliquia, e la fece trasportare a Parigi, ov’è custodita nella Santa Cappella. Il rimanente della Lancia rimase a Costantinopoli anche dopo che i Turchi se ne furono impadroniti. – Nel 1492, il Sultano Bajazette, per mezzo di un suo ambasciatore, la mandò in regalo al Papa Innocenzo XII, rinchiusa in una ricchissima custodia, facendogli dire nel tempo stesso che la punta della sacra Lancia era in mano del Re di Francia.

LA SANTA SPUGNA.

Quando Cosroe spogliò delle cose le più preziose la chiesa del santo Sepolcro in Gerusalemme, il patrizio Niceta, per mezzo di un amico di Sarbazara, Generale dei Persiani, giunse a sottrarre alla nemica invasione la santa Spugna cui fu presentato l’aceto al Salvator Crocifisso, non che la Lancia che gli aveva ferito il Costato. – Queste due reliquie furono mandate a Costantinopoli, e depositate nella cattedrale, la santa Spugna al 14 Settembre dello stesso anno 628 , e la santa Lancia al 20 ottobre: e ciascuna esposta per due giorni alla venerazione dei Fedeli. La santa Spugna che da Balduino II fu consegnata colla punta della Lancia ai Veneziani, per pegno del prestito che gli aveva fatto, fu di là trasportata da s. Luigi nella santa Cappella in Parigi, onde poi fu mandata a Roma, ove si conserva ancora nella chiesa di san Giovanni Laterano, e si vede ancora tinta di rosso sanguigno.

LA SANTA CORONA.

L’imperatore Balduino II vedendo che la città di Costantinopoli stava per cader nelle mani dei Saraceni e dei Greci, donò la corona di spine a s. Luigi suo parente, per ricompensarlo di tanti sacrifici che aveva fatti per la difesa dell’impero d’Oriente e della Palestina. S. Luigi fu gratissimo a quesdono che gli venne per la via di Venezia; i n segno di rinoscenza, pagò spontaneamente un grosso prestito che l’impero aveva contratto colla Repubblica. Questo prezioso tesoro, rinchiuso in una cassetta suggellata, fu da Venezia portato in Francia da Religiosi specchiatissimi per santità. S. Luigi gli andò incontro 14 miglia di là di Sens, col corteggio della madre, dei fratelli, dei primi principi, e dei primi Prelati: ed egli stesso con Roberto d’Artois, suo secondo fratello, camminando a piedi nudi, volle portare la santa Corona nella cattedrale di Sens, donde poi con gran solennità, fu trasportata a Parigi, e deposta in una cappella magnifica espressamente per lei fabbricata, ed officiata da un apposito Capitolo, e questa è quella che si chiama la Santa Cappella. – Dalla santa Corona si sono staccate alcune spine per farne dono ad altre chiese: ma se ne sono anche fatte molte ad imitazione delle vere, e, come si è detto dei Chiodi, col contatto delle vere Spine che sono quasi tutte lunghissime, si resero venerabili tutte le altre che furono fatte in progresso a loro somiglianza.

LA SANTA COLONNA.

La colonna a cui fu legato Gesù Cristo quando fu sottoposto alla flagellazione, per testimonianza dei due SS. Gregorio, il Nazianzeno ed il Turonese, non che di s. Prudenzio e s. Girolamo, fu religiosamente custodita in Gerusalemme insieme alle altre reliquie della Passione. Ma, per opera del cardinale Giovanni Colonna, legato del papa Onorio II, in oriente, fu trasportata a Roma nell’anno 1221, e collocata in una piccola Cappella della chiesa di santa Prassede, ove si vede tuttora a traverso di una grata di ferro. Essa è di marmo grigio, lunga un piede e mezzo; nella base ha un piede di diametro, ma nella parte superiore non ha che otto pollici. Vi si vede ancora un anello di ferro, che è quello a cui s’attaccavano i colpevoli. Alcuni credono che questa non sia che una parte della Colonna che servì alla Passione di Cristo, ma siccome non si vede alcuna frattura, cosi si ritiene che sia intera.

IL SANTO SEPOLCRO

Era costume fra gli Ebrei di seppellire i loro morti non in una fossa di terra, ma bensì i n un sasso scavato a modo di piccola stanza che veniva nell’estrema sua parte coperta con una grossa Lastra di pietra. Di tal natura fu pure il sepolcro già preparato sul monte Calvario per un grande della Giudea, qual era Giuseppe d’Arimatea, e che da lui fu ceduto al Nazareno fatto cadavere perché avesse una sepoltura possibilmente conveniente alla sua dignità. Questo luogo santificato dalla dimora che vi fece per circa tre giorni Gesù Cristo defunto, e reso gloriosissimo per i miracoli che accompagnarono la sua Risurrezione, non poteva non divenire un oggetto di somma venerazione per i Cristiani. Presa però dall’Imperatore Tito nell’anno 70, cioè 37 anni dopo la morte di Cristo, la città di Gerusalemme, fu ridotta, secondo la profezia evangelica, a un mucchio di rovine. Più tardi, cioè nel 134 sotto l’imperatore Adriano ne furono cacciati tutti i giudei che l’avevan in gran parte rifabbricata, e la città fu rovinata in modo da divenire inabitabile. Tre anni dopo, lo stesso Principe la fece ricostruire sotto il nome di Elia Capitolina, e, per cancellarvi ogni traccia di Cristianesimo, fece collocare la statua di Venere sul Calvario nel luogo preciso della Crocifissione del Nazareno, e la statua di Giove sul suo sepolcro. Finalmente nell’anno 327, dopo che Costantino ebbe abbracciato il Cristianesimo, l’imperatrice Elena sua madre vi fece abbattere ogni avanzo di idolatria, vi cercò e vi trovò la vera croce ove erasi consumato il sacrificio della nostra salute, poi fece innalzare una bellissima chiesa sul Sepolcro ov’era stato deposto il divin Redentore. Questa chiesa, che è coperta da una gran cupola, e unita ad altre due chiese anch’esse coperte di cupole di minor mole, forma con esse un solo tempio, la cui gran nave è illuminata dalla maggior cupola che si innalza sopra del santo Sepolcro. – Ben tosto quel luogo fu frequentato dai Cristiani che vi andavano in pellegrinaggio da tutte le parti del mondo. S. Geronimo nella lettera a s. Paola dice che questa santa vedova era entrata nel s. Sepolcro, baciandone per rispetto la terra. E S. Agostino (De Civit. Dei, c, 22, c, 8) racconta che fedeli ne raccoglievano la polvere, e la conservavano come preziosissima, operandosi con essa molti miracoli. La vista del santo Sepolcro venne in seguito disturbata dai Saraceni che, impadronitisi della Palestina nell’anno 639, vessavano orribilmente i Cristiani che vi si portavano in pellegrinaggio. Queste vessazioni sdegnarono per modo le nazioni cristiane, che si risolvette di farla finita con quei barbari persecutori degli Innocenti. Quindi i Principi d’Europa, capitanati dal francese Goffredo di Buglione, incominciarono quelle famose spedizioni di truppe Cristiane in Asia che si celebrarono sotto il nome di Crociate, perché in tal circostanza tutti i soldati portavano per distintivo una croce rossa sul petto. Per l’opera di questi valorosi, Gerusalemme fu riconquistata dai Cristiani l’anno 1099, ma sgraziatamente questo dominio non durò che 88 anni, in capo ai quali, cioè nel 1187, Gerusalemme con tutta la Terra Santa, cadde in potere di Saladino sultano di Egitto e di Siria, i cui successori la tennero sino al 1517 in cui furono soggiogati dai Turchi, che sono anche attualmente i padroni di tutta la Palestina. – Malgrado però queste vicende, il Santo Sepolcro colla relativa chiesa fu sempre rispettato; e mediante il pagamento di un certo tributo, fu concesso ai Religiosi Francescani di stabilirsi la propria dimora in un vicino convento da loro fabbricato anche allo scopo di alloggiarvi i Pellegrini che recansi alla visita dei Luoghi Santi, Non è pero a tacersi che la devozione dei Cristiani visitanti il santo Sepolcro deve essere pagata a caro prezzo, perché i Turchi che ne sono i padroni, esigono un fisso tributo per ogni volta che si entra nella chiesa del santo Sepolcro. Onde è che si trovano dei pellegrini che per non pagare un nuovo tributo sortendo dopo la prima visita, stettero in essa dei mesi interi, senza mai sortire, ricevettero il vitto quotidiano da una piccola finestra destinata a questo scopo, sebbene traversata da una sbarra di ferro. Non saranno dunque mai abbastanza lodati quei santi Francescani Religiosi che ne tengono la custodia, e che malgrado le più grandi persecuzioni non abbandonarono mai quella santissima impresa. Come non sarà mai abbastanza raccomandato ai fedeli di largheggiare nella elemosina che, specialmente in Quaresima si raccoglie pei Luoghi Santi, dacché dessa serve non solamente a mantenere quei religiosi che ne sono i custodi, a pagare gli annui tributi che loro sono imposti dai Turchi, ma ancora a supplire alle spese occorrenti per la custodia di tutti gli altri santi Luoghi di Palestina, non che pel mantenimento dei pellegrini che vi sono alloggiati, e dei ragazzi d’ambo sessi, che, raccolti in apposite case, vi sono santamente allevati, onde servano un qualche giorno di apostoli nelle loro famiglie, e cosi santifichino gli altri nell’atto stesso che sempre più vanno santificando sé stessi. – Nel 1811 un incendio rovinò il magnifico tempio di s. Sepolcro. Però le fiamme risparmiarono il sepolcro di Gesù-Cristo, il vicino convento cattolico, e le cappelle delle otto nazioni del cristianesimo. Quel tempio fu nel 1812 riedificato a spese dei monaci Greci, creduti gli autori di quel disastro. – Nel 1834 nuove sciagure immersero nella più desolante costernazione la citta santa, poiché oltre la sventura della presenza degli Arabi che cola portavano i l sacco e la fame, uno spaventevole terremoto, che durò per ben tre minuti, scoppiò nel giorno 23 Maggio di detto anno, in conseguenza del quale il tempio marmoreo del s. Sepolcro fu scosso a segno che minacciava l’estrema rovina. Fortunatamente però desso stette ancor saldo, e se nel 1865 la gran cupola di detto tempio minacciava di andare in isfascio, diverse potenze, cioè la Porta, la Russia, e specialmente la Francia, gareggiarono nell’impegno di ripararne subito tutti ì danni. – A proposito del s. Sepolcro è molto edificante ciò che scrive ve di sè stesso nel suo Itinerario di Palestina, il grande autore del Genio del Cristianesimo Chateaubriand: « Forse i lettori mi domanderanno quali sentimenti io abbia provato entrando in luogo così santamente formidabile. A tal domanda io non saprei cosa rispondere, tanti furono i sentimenti che si impossessarono del mio animo in un sol colpo. Dirò solo che entrato nella piccola camera del s. Sepolcro, vi restai per circa mezz’ora in ginocchio come assorto, senza poter levar ì miei occhi dalla pietra su cui fu depositato Gesù Cristo defunto. Un dei due religiosi che mi servivano di guida stava presso di me colla fronte prostrata al marmo, l’altro tenendo in mano l’Evangelio leggeva al fiocco lume della lampada, i passi relativi al santo Sepolcro. Tutto ciò che io posso assicurare si è che alla vista di quel sepolcro trionfale io non sentiva che la mia debolezza: e quando la mia guida gridó con s Paolo, dov’è o Morte, la tua vittoria? ov’è il tuo pungolo? mi pareva di sentire all’orecchio la voce della morte rispondere “Io sono stata vinta ed incatenata in questo monumento dal glorioso Autor della vita! » – Ecco i sentimenti che deve in noi risvegliare la memoria del santo Sepolcro.

ORAZIONE ALLA SANTA CROCE.

Con tutto le forze del mio cuore, vi amo, vi lodo, vi benedico, vi adoro, o vera Cattedra di sapienza, per tutti i popoli della terra, o Arma debellatrice di tutte le infernali potenze, o strumento inestimabile della comune redenzione, santissima Croce di Gesù Cristo. Voi, nobilitata dal sangue dell’Agnello divino, siete divenuta tutt’assieme la speranza dei peccatori, il conforto de’ penitenti, la consolazione dei giusti, e il carattere distintivo di tutti i discepoli del vero Dio. I più potenti Re della terra si recano sempre ad onore il farvi ossequio, e, piantandovi in mezzo alle lor corone, vi dichiarano pubblicamente per la loro difesa, per la lor gloria. Deh, apprenda io una volta quelle divine lezioni di umiltà, di pazienza, di mansuetudine, di carità, di costanza che ci diede morendo sopra di voi l’Autore di nostra fede, il Consumatore della nostra salvezza! Colla contrizione la più sincera io detesto tutto quel tempo in cui ho ricusato di conformare ai vostri insegnamenti la mia condotta: e colla risoluzione la più ferma, protesto di volere per l’avvenire portarvi con santo coraggio e con edificante allegrezza, mortificando in ogni maniera gli affetti sregolati del mio cuore, i sensi sempre ribelli del mio corpo, e sopportando con pazienza e con gioja, tutte quelle traversie con che l’amoroso mio Salvatore si compiacerà di provarmi, onde, dopo essere stato con Lui compagno degli obbrobri e delle pene che soffrì disteso sulle vostre braccia, possa partecipare con Lui alla beatitudine di quel regno di cui voi siete la chiave. 3 Pater all’agonia di Gesù.

[da: Manuale di Filotea, del sac. G. Musso, XXX ed. Milano 1888]

TEMPO DI QUARESIMA [3]

Capitolo III

PRATICA DELLA QUARESIMA

[Dom Guéranger: l’Anno Liturgico, vol. I

Il timore salutare.

Dopo avere impiegato tre intere settimane a riconoscere le malattie della nostra anima e ad approfondire le ferite che ci ha fatte il peccato, ora dobbiamo sentirci preparati alla penitenza. Conosciamo meglio la giustizia e la santità di Dio ed i pericoli ai quali s’espone l’anima impenitente; per operare nella nostra anima un ritorno sincero e durevole, abbiamo abbandonato le vane gioie e le futilità del mondo; fu cosparsa di cenere la nostra testa, ed il nostro orgoglio si dovette umiliare sotto la sentenza di morte che si compirà in ciascuno di noi. Ma nel corso della prova che durerà quaranta giorni, così lunghi alla nostra debolezza, non saremo privati della presenza del nostro Salvatore. Sembrava ch’egli si fosse nascosto ai nostri occhi durante queste settimane, che risuonavano delle maledizioni pronunciate contro l’uomo peccatore; ma la sua assenza ci era salutare: era bene, per noi, imparare a tremare al tuono delle vendette divine. – « Principio della sapienza è il timor di Dio » (Sal. CX, 10); ed è perché siamo stati presi dal timore, che s’è risvegliato nelle nostre anime il sentimento della penitenza.

L’esempio affascinante di Cristo.

Ora, apriamo gli occhi e vediamo. È lo stesso Emmanuele che, raggiunta l’età dell’uomo, si mostra di nuovo a noi, non più sotto le sembianze del dolce bambino che adorammo nella culla, ma simile a un peccatore, tremante e umiliato dinanzi alla suprema maestà che noi abbiamo offesa, ed ai piedi della quale egli s’è offerto in nostra cauzione. Nell’amore fraterno che ci porta, è venuto ad incoraggiarci con la sua presenza ed i suoi esempi. Noi ci dedicheremo per lo spazio di quaranta giorni al digiuno ed all’astinenza: e Lui, l’innocente, consacrerà lo stesso tempo ad affliggere il suo corpo. Ci allontaneremo per un po’ di tempo dai rumorosi piaceri e dalle riunioni mondane: ed Egli si apparterà dalla compagnia e dalla vista degli uomini. Vorremo frequentare con più assiduità la casa di Dio e darci con più ardore alla preghiera: ed egli passerà quaranta giorni e quaranta notti a conversare col Padre, nell’atteggiamento d’un supplicante. Penseremo agli anni trascorsi, nell’amarezza del nostro cuore, e gemeremo a causa delle nostre iniquità: ed Egli le espierà con la sofferenza e le piangerà nel silenzio del deserto, come se le avesse commesse Lui. – È appena uscito dalle acque del Giordano, or ora da Lui santificate e rese feconde, e lo Spirito Santo Lo conduce verso la solitudine. – È giunta l’ora, per Lui, di manifestarsi al mondo; ma prima ha un grande esempio da darci: sottraendosi alla vista del Precursore e della folla, che vide la divina Colomba posarsi sopra di Lui e intese la voce del Padre celeste, si dirige là, verso il deserto. A breve distanza dal fiume s’eleva un’aspra e selvaggia montagna, chiamata in seguito dalle età cristiane la montagna della Quarantena. – Dalla sua ripida cresta si domina la pianura di Gerico, il corso del Giordano e il Mar Morto, che ricorda la collera di Dio. Là, nel fondo d’una grotta naturale approfondita nella roccia, si viene a stabilire il Figlio dell’Eterno, senz’altra compagnia che le bestie, che hanno scelta in quei luoghi la loro tana. Gesù vi penetra senz’alcun alimento per sostenere le sue forze umane; in quello scosceso ridotto manca perfino l’acqua per dissetarlo; solo la nuda pietra si offre a dar riposo alle sue membra spossate. Non prima di quaranta giorni gli Angeli s’avvicineranno e verranno a porgergli il nutrimento. – È così che il Salvatore ci precede e sorpassa nella via della santa Quaresima: provandola e adempiendola prima di noi, per far tacere col suo esempio tutti i nostri pretesti, tutti i nostri ragionamenti, e tutte le ripugnanze della nostra mollezza e della nostra superbia. Accettiamo quest’insegnamento in tutta la sua estensione e comprendiamo finalmente la legge dell’espiazione. Il Figlio di Dio, disceso da quell’austera montagna, apre la sua predicazione con questa sentenza, che indirizza a tutti gli uomini: «Fate penitenza, che il regno dei cieli è vicino » (Mt. IV, 17). Apriamo i nostri cuori a quest’invito del Redentore, affinché non sia obbligato a destarci dal nostro sonno con quella terribile minaccia che fece intendere in altra circostanza: « Se non farete penitenza, perirete tutti » (Lc. XIII, 3).

La vera penitenza.

Ora, la penitenza consiste nella contrizione del cuore e nella mortificazione del corpo: due parti che le sono essenziali. È stato il cuore dell’uomo a volere il male, e spesso il corpo l’ha aiutato a commetterlo. D’altra parte, essendo l’uomo composto dell’uno e dell’altro egli li deve unire entrambi nell’omaggio che rende a Dio. Il corpo avrà parte o alle delizie dell’eternità o ai tormenti dell’inferno; non c’è, dunque, vita cristiana completa, e neppure valida espiazione, se nell’una e nell’altra esso non si associa all’anima.

La conversione del cuore.

Ma il principio della vera penitenza sta nel cuore: lo impariamo dal Vangelo negli esempi del figliuol prodigo, della peccatrice, di Zaccheo il pubblicano e di S. Pietro. Perciò bisogna che il cuore abbandoni per sempre il peccato, che se ne dolga amaramente, che lo detesti e ne fugga le occasioni. A significare tale disposizione la Sacra Scrittura si serve di un’espressione ch’è passata nel linguaggio cristiano, e ritrae mirabilmente lo stato dell’anima sinceramente ravveduta dal peccato: essa lo chiama Conversione. Il cristiano, durante la Quaresima, deve esercitarsi nella penitenza del cuore e considerarla come il fondamento essenziale di tutti gli atti propri di questo santo tempo. Ma sarebbe sempre illusoria, se non aggiungesse l’omaggio del corpo ai sentimenti interni ch’essa ispira. Il Salvatore, sulla montagna non s’accontenta di gemere e di piangere sui nostri peccati: li espia con la sofferenza del proprio corpo; e la Chiesa, ch’è la sua infallibile interprete, ci ammonisce che non sarà accolta la penitenza del nostro cuore, se non l’uniremo all’esatta osservanza dell’astinenza e del digiuno.

Necessità dell’espiazione.

Come s’illudono, dunque, tanti onesti cristiani che si credono irreprensibili, specialmente quando dimenticano il loro passato e si paragonano agli altri, e, pienamente soddisfatti di se stessi, non riflettono mai ai pericoli d’una vita comoda ch’essi contano di condurre fino all’ultimo momento! A volte essi credono di non dover più pensare ai loro peccati: non li hanno confessati sinceramente? La regolarità con la quale conducono ormai la vita non è prova della loro solida virtù? Che hanno ancora da fare con la giustizia di Dio? E li vediamo puntualmente sollecitare tutte le dispense possibili, nella Quaresima: perché l’astinenza sarebbe loro d’incomodo, e il digiuno non è più conciliabile con la salute, con le occupazioni e le abitudini di oggi. Non pretendono affatto di essere migliori di questi e quelli che non digiunano e non fanno astinenza; e siccome non sono neppure capaci di avere il pensiero di supplire con altre pratiche di penitenza, quelle prescritte dalla Chiesa, è chiaro che, senza accorgersi e insensibilmente, finiranno col non essere più cristiani. – La Chiesa, testimone di questa spaventevole decadenza del senso soprannaturale, temendo una resistenza che accelererebbe ancora di più le ultime pulsazioni d’una vita moribonda, continua ad allargare la via delle mitigazioni; nella speranza di conservare una scintilla di cristianesimo, in un avvenire migliore, essa preferisce affidare alla giustizia di Dio i figli che non l’ascoltano più, quando indica loro i mezzi di propiziarsi quella giustizia fin da questo mondo. – E quei cristiani s’abbandonano alla massima sicurezza, senza darsi mai il pensiero di paragonare la loro vita con gli esempi di Gesù Cristo e dei Santi, e con le norme secolari della penitenza cristiana.

Dispense e tiepidezza.

Vi sono senza dubbio delle eccezioni ad un simile pericoloso rilassamento, ma quanto sono rare, specialmente nelle nostre città! Quali pregiudizi, quali vani pretesti e quali infausti esempi contribuiscono a guastare le anime! Quante volte, dalla bocca di quegli stessi che si gloriano della prerogativa di cattolici, si sente pronunciare l’ingenua scusa che non fanno astinenza e non digiunano, perché l’astinenza e il digiuno li mettono a disagio e li affaticano troppo! come se l’astinenza e il digiuno non avessero precisamente lo scopo d’imporre su questo corpo di peccato (Rom. VI, 6) un giogo penoso! Veramente costoro sembrano aver perduto il senno. Ma quanto sarà grande la loro meraviglia quando il Signore, nel giorno del suo giudizio li metterà a confronto con tanti poveri musulmani che, in seno ad una religione tanto sensuale e depravata, pure sanno trovare in sé ogni anno, il coraggio d’adempiere le due privazioni dei trenta giorni del loro Ramadan! – Ma è proprio necessario confrontarli con altri quelli che si dicono incapaci di sopportare le astinenze e i digiuni così ridotti di una Quaresima, quando Dio li vede ogni giorno sovraccaricarsi di tante e ben più penose fatiche nella ricerca degli interessi e dei godimenti di questo mondo? Quanta salute sciupata nei piaceri, almeno frivoli, e sempre pericolosi! l’avessero invece mantenuta in tutto il suo vigore, e fosse stata la loro vita regolata e dominata dalla legge cristiana, piuttosto che dal desiderio di piacere al mondo! Ma la rilassatezza è tale, che non si concepisce nessun turbamento e nessun rimorso; si rimandala Quaresima al Medio Evo, senza osservare che la remissività della Chiesa ha sempre proporzionato le osservanze alla nostra debolezza fisica e morale. S’è conservata o riconquistata, per la misericordia divina, la fede dei padri; e non ci si è ancora ricordati che la pratica della Quaresima è un indice essenziale di cattolicesimo, e che la Riforma protestante del XVI secolo ebbe come una delle sue principali finalità, scritta pure sulla sua bandiera, l’abolizione dell’astinenza e del digiuno.

Dispensa legittima e necessità del pentimento.

Ma, si dirà, non vi possono essere delle legittime dispense? Sicuramente ve ne sono, e, in questo secolo di svigorimento generale, ben di più che nei secoli precedenti. Però stiamo bene attenti a non equivocare. Se tu hai forze per tollerare altre fatiche, perché non ne avrai per compiere il dovere dell’astinenza? Che se ti arresta il timore d’un lieve incomodo, hai dimenticato che i peccati non saranno rimessi senza espiazione? L’opinione dei medici che presagiscono un indebolimento delle tue forze, in seguito al digiuno, può avere una fondata ragione; ma la questione è di sapere, se questa mortificazione della carne, la Chiesa non te la prescrive. appunto nell’interesse della tua anima. Ma ammettiamo pure che la dispensa sia legittima, che la tua salute incorrerebbe un vero pericolo, e che, se osservassi alla lettera le prescrizioni della Chiesa, ne soffrirebbero i tuoi doveri essenziali; in questo caso, pensi di sostituire con altre opere di penitenza quelle che le tue forze non ti permettono di praticare? chiedi a Dio la grazia di potere, un altr’anno, partecipare ai meriti dei tuoi fratelli, adempiendo con essi quelle sante pratiche che devono essere il motivo della misericordia e del perdono? Se è così, la dispensa non ti nuocerà; e quando la festa di Pasqua inviterà i figli fedeli della Chiesa alle sue ineffabili gioie, anche tu potrai unirti fiducioso a quelli che avranno digiunato; perché, se la debolezza del tuo corpo non t’avrà permesso di seguirli esteriormente, il tuo cuore sarà rimasto fedele allo spirito della Quaresima.

Beneficio dell’istituzione del digiuno.

Scrivendo queste pagine, abbiamo di mira solo i lettori cristiani che ci hanno seguiti fino a questo punto; ma che sarebbe, se dovessimo considerare il risultato della sospensione delle sante leggi della Quaresima sopra la massa delle popolazioni, specialmente delle città? Perché i nostri scrittori cattolici, i quali hanno illustrate tante questioni, non hanno insistito sui tristi effetti che produce nella società la cessazione d’una pratica che, mentre ricorda ogni anno il bisogno dell’espiazione, conserverebbe più d’ogni altra istituzione il sentimento del bene e del male? Non occorre riflettere a lungo, per comprendere la superiorità di un popolo che s’impone, per quaranta giorni all’anno, una serie di privazioni, allo scopo di riparare le violazioni da esso commesse nell’ordine morale, sopra un altro che in nessun periodo dell’anno pensa alla riparazione ed all’emendaménto

Coraggio e confidenza.

Si rianimino di coraggio, dunque, i figli della Chiesa, ed aspirino a quella pace della coscienza ch’è solo assicurata all’anima veramente penitente. L’innocenza perduta si riacquista con l’umile confessione della colpa, quando è accompagnata dall’assoluzione del sacerdote; ma il fedele si guarderà bene dal pericoloso pregiudizio, che non ha più niente da fare dopo il perdono. Ricordiamo l’avvertimento così grave dello Spirito Santo nella Scrittura : « Del peccato perdonato non essere senza timore » (Eccli. V, 5). La certezza del perdono è in ragione del mutamento del cuore; e tanto più uno si può abbandonare alla confidenza, quanto più costante ha in sé il dispiacere dei peccati e la premura di espiarli per tutta la vita. « L’uomo non sa se sia degno di amore o di odio » (Eccli. IX, 1), aggiunge la Scrittura; e può sperare d’essere degno di amore colui che sente in sé di non essere abbandonato dallo spirito di penitenza.

La preghiera.

Entriamo dunque risoluti nella santa via che la Chiesa apre davanti a noi, e fecondiamo il nostro digiuno con gli altri due mezzi che. Dio ci indica nei Libri sacri: la Preghiera e l’Elemosina. Come con la parola digiuno la Chiesa intende tutte le opere della mortificazione cristiana, così con quella della preghiera essa comprende tutti quei pii esercizi, per mezzo dei quali l’anima s’indirizza a Dio. – La frequenza più assidua alla chiesa, l’assistenza quotidiana al santo Sacrificio, le devote letture, la meditazione sulle verità della salvezza e sui patimenti del Redentore, l’esame di coscienza, la recita dei Salmi, l’assistenza alla predicazione particolare di questo santo tempo, e soprattutto il ricevere i Sacramenti della Penitenza e della Eucaristia, sono i principali mezzi coi quali i fedeli possono offrire al Signore l’omaggio della loro Preghiera.

L’elemosina.

L’elemosina contiene tutte le opere di misericordia verso il prossimo; e i santi Dottori della Chiesa l’hanno all’unanimità raccomandata, come il complemento necessario del Digiuno e della Preghiera durante la Quaresima. È una legge stabilita da Dio, alla quale Egli stesso ha voluto assoggettarsi, che la carità esercitata verso i nostri fratelli, con l’intenzione di piacere a Lui, ottiene sul suo cuore paterno lo stesso effetto che se fosse esercitata direttamente verso Lui; tale è la forza e la santità del legame col quale ha voluto unire gli uomini fra di loro. E, come Egli non accetta l’amore di un cuore chiuso alla misericordia, così riconosce per vera, e come diretta a sé, la carità del cristiano che, sollevando il proprio fratello, onora quel vincolo sublime, per mezzo del quale tutti gli uomini sono uniti a formare una sola famiglia, il cui Padre è Dio. Appunto in virtù di questo sentimento, l’elemosina non è semplicemente un atto di umanità, ma s’innalza alla dignità d’un atto di religione, che sale direttamente a Dio e ne placa la giustizia. – Ricordiamo l’ultima raccomandazione che fece l’Arcangelo San Raffaele alla famiglia di Tobia, prima di risalire al cielo : « Buona cosa è la preghiera col digiuno, e l’elemosina val più dei monti di tesori d’oro, perché l’elemosina libera dalla morte, purifica dai peccati, fa trovare la misericordia e la vita eterna » (Tob. XII, 8-9). Non è meno precisa la dottrina dei Libri Sapienziali: « L’acqua spegne la fiamma, e l’elemosina resiste ai peccati » (Eccli. III, 33). « Nascondi l’elemosina nel seno del povero, ed essa pregherà per te contro ogni male » (Ibid. XXIX, 15). Che tali consolanti promesse siano sempre presenti alla mente del cristiano, e ancor più nel corso di questa santa Quarantena; e che il povero, il quale digiuna per tutto l’anno, s’accorga che questo è un tempo in cui anche il ricco s’impone delle privazioni. Di solito una vita frugale genera il superfluo, relativamente agli altri tempi dell’anno; che questo superfluo vada a sollievo dei Lazzari. Niente sarebbe più contrario allo spirito della Quaresima, che gareggiare in lusso e in spese di mensa con le stagioni in cui Dio ci permette di vivere nell’agiatezza che ci ha data. È bello che, in questi giorni di penitenza e di misericordia, la vita del povero si addolcisca, a misura che quella del ricco partecipa di più a quella frugalità ed astinenza, che sono la sorte ordinaria della maggior parte degli uomini. Allora, sia poveri che ricchi, si presenteranno con sentimento veramente fraterno a quel solenne banchetto della Pasqua che Cristo risorto ci offrirà fra quaranta giorni.

Lo spirito di raccoglimento.

Finalmente, v’è un ultimo mezzo per assicurare in noi i frutti della Quaresima, ed è lo spirito di raccoglimento e di separazione dal mondo. Le abitudini di questo santo tempo devono distinguersi sotto ogni rapporto da quelle del resto dell’anno; altrimenti l’impressione salutare che abbiamo ricevuta nel momento che la Chiesa c’imponeva la cenere sulla fronte, svanirà in pochi giorni. Perciò il cristiano deve far tregua coi vani divertimenti del secolo, con le feste mondane e coi trattenimenti profani. Quanto agli spettacoli perversi e svenevoli, o alle veglie di piacere, che sogliono essere lo scoglio della virtù e il trionfo dello spirito del mondo, se in nessun tempo è lecito al discepolo di Gesù Cristo comparirvi, se non per una situazione particolare o per pura necessità, come potrebbe intervenirvi in questi giorni di penitenza e di raccoglimento, senza rinnegare in qualche maniera il suo nome di cristiano, e senza rinunciare a tutti i sentimenti di un’anima penetrata del pensiero delle sue colpe e del timore dei giudizi di Dio? La società cristiana oggi, purtroppo, non ha più, durante la Quaresima, quella gravità esteriore di austera tristezza che abbiamo ammirato nei secoli di fede; ma fra Dio e e l’uomo, e l’uomo e Dio, nulla è mutato; e rimane sempre la grande parola: «Se non farete penitenza, perirete tutti». Oggi sono molto pochi a dare ascolto a quella parola, e per questo molti periscono.Ma coloro nei quali essa cade, devono ricordarsi degli ammonimenti che dava il Salvatore nella Domenica di Sessagesima: egli diceva che parte della semente viene calpestata dai passanti, o divorata dagli uccelli dell’aria; parte è seccata dall’aridità dei sassi che la ricevono; e parte, infine, è soffocata dalle spine. Perciò, non risparmiamo cure, affinché diventiamo quella buona terra, che non solo riceve la semente, ma ne centuplica i frutti per la raccolta del Signore che s’avvicina.

L’attraente austerità della Quaresima.

Leggendo queste pagine, nelle quali ci siamo sforzati d’esprimere il pensiero della Chiesa così come ci viene significato, oltre che nella Liturgia, anche nei santi canoni dei Concili e negli scritti dei santi Dottori, forse più d’uno dei nostri lettori avrà rimpianto la dolce e graziosa poesia, di cui si mostrava ricco l’anno liturgico nei quaranta giorni che celebrammo la nascita dell’Emmanuele. Già il Tempo della Settuagesima venne a stendere un mesto velo su quelle sorridenti immagini; ed ora siamo entrati in un deserto arido, irto di spine e privo d’acque zampillanti. Ma non dobbiamo dolercene, perché la Chiesa conosce i nostri veri bisogni e li vuole appagare. – Per avvicinarci al Bambino Gesù, essa non ci chiese che una leggera preparazione, con l’Avvento, perché i misteri dell’Uomo-Dio erano ancora all’inizio. Molti vennero al presepio con la semplicità dei pastori betlemiti, non conoscendo ancora abbastanza né la santità del Dio incarnato, né la precaria e colpevole condizione della loro anima; ma oggi che il Figlio dell’Eterno è entrato nella via della penitenza, e fra poco Lo vedremo in preda a tutte le umiliazioni e a tutti i dolori, sull’albero della croce, la Chiesa ci fa uscire dalla nostra sciocca sicurezza, e vuole che ci percotiamo il petto, che affliggiamo le nostre anime e mortifichiamo i nostri corpi, perché siamo peccatori. La penitenza dovrebbe essere il retaggio dell’intera nostra vita; le anime ferventi non l’interrompono mai; è quindi giusto e salutare per noi, che una buona volta ne facciamo almeno la prova, in questi giorni che il Salvatore soffre nel deserto, in attesa del momento in cui spirerà sul Calvario. Raccogliamo ancora dalle sue labbra le parole che rivolse alle donne di Gerusalemme che piangevano al suo passaggio, il giorno della sua Passione: « Ché se si tratta così il legno verde, che sarà del secco?» (Lc. XXIII, 31). Ma, per la misericordia del Redentore, il legno secco può riprendere la linfa e sfuggire al fuoco. Tale è la speranza e il desiderio della santa Chiesa, ed è per questo che ci impone il giogo della Quaresima. Percorrendo costantemente questa via faticosa, i nostri occhi a poco a poco vedranno brillare la luce. Se eravamo lontani da Dio col peccato, questo santo tempo sarà la nostra via purgativa, come dicono i mistici dottori; e i nostri occhi si purificheranno, perché arrivino a contemplare il Dio vincitore della morte. Se poi camminiamo già nei sentieri della via illuminativa, dopo aver approfondito così vantaggiosamente la bassezza dalle nostre miserie, nel Tempo della Settuagesima, ritroveremo ora Colui ch’è la nostra Luce; infatti, se abbiamo saputo vederlo sotto le sembianze del Bambino di Betlem, Lo riconosceremo anche, senza fatica, nel divino Penitente del deserto e presto nella vittima sanguinante del Calvario.