CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA: AGOSTO 2023

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA: AGOSTO 2023

AGOSTO è il mese che la Chiesa cattolica dedica all’Assunzione in cielo della Vergine ed al Cuore Immacolato di Maria SS.

Surge! Jam terris fera bruma cessit,
Ridet in pratis decus omne florum,
Alma quæ Vitæ Génitrix fuísti,
Surge, María!

Lílium fulgens velut in rubéto,
Mortis auctórem teris una, carpens
Sóntibus fructum pátribus negátum
Arbore vitæ.

Arca non putri fabricáta ligno
Manna tu servas, fluit unde virtus,
Ipsa qua surgent animáta rursus
Ossa sepúlcris.

Prǽsidis mentis dócilis minístra,
Haud caro tabo pátitur resólvi;
Spíritus imo sine fine consors
Tendit ad astra.

Surge! Dilécto pete nixa cælum,
Sume consértum diadéma stellis,
Teque natórum récinens beátam
Excipe carmen.

Laus sit excélsæ Tríadi perénnis,
Quæ tibi, Virgo, tríbuit corónam,
Atque regínam statuítque nostram
Próvida matrem.
Amen.

[Inno  – dal Proprio dei Santi –
Sorgi! Cessi già in terra l’aspro inverno; rida nei prati ogni bellezza di fiori: tu, che fosti la divina Madre della Vita, sorgi, o Maria! / O giglio fulgente tra le spine, tu sola abbatti l’autore della morte, togliendo il frutto negato ai padri colpevoli con l’albero della vita. / Nell’arca fabbricata con legno non guasto conservi la manna, da cui fluisce la forza che dai sepolcri fa di nuovo risorgere, animate, le ossa. / Docile ministra della mente di Dio, la carne non si assoggetta alla corruzione; anzi per sempre consorte dello Spirito, sale al cielo, /Sorgi! Col tuo Diletto, vola in cielo, ricevi il diadema intrecciato di stelle ed accogli il carme dei figli, che ricanta, te beata. / Lode perenne alla Triade eccelsa, che a te, o Vergine, consegnò la corona
e provvide a stabilirti Regina e nostra Madre. Amen.]

Dagli Atti del Papa S. S. Pio XII

Poiché la Chiesa universale nel corso dei secoli ha manifestato la fede nell’Assunzione corporea della beata vergine Maria, e i Vescovi del mondo cattolico con quasi unanime consenso chiesero che questa verità, fondata sulla sacra Scrittura, insita profondamente nell’animo dei fedeli e sommamente consona con le altre verità rivelate, fosse definita come dogma di fede divina e cattolica, il sommo pontefice Pio XII, annuendo ai voti di tutta la Chiesa, stabilì di proclamare solennemente questo privilegio della beata vergine Maria. Perciò il primo novembre 1950, anno del massimo giubileo, a Roma, nella piazza della basilica di san Pietro, alla presenza di moltissimi Cardinali e Vescovi di santa romana Chiesa giunti anche dalle più remote regioni, dinanzi ad un’ingente moltitudine di fedeli, col plauso dell’universo mondo cattolico, con infallibile oracolo proclamò in questi termini l’assunzione corporea in cielo della beata vergine Maria: « Dopo aver innalzato ancora a Dio supplici istanze, ed aver invocato la luce dello Spirito di verità, a gloria di Dio onnipotente, che ha riversato in Maria la sua speciale benevolenza, ad onore del suo Figlio, re immortale dei secoli e vincitore del peccato e della morte, a maggior gloria della sua augusta Madre ed a gioia ed esultanza di tutta la Chiesa, per l’autorità di nostro Signore Gesù Cristo, dei santi apostoli Pietro e Paolo e nostra, pronunziamo, dichiariamo e definiamo esser dogma da Dio rivelato che l’immacolata Madre di Dio sempre vergine Maria, terminato il corso della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo ».

Il Cuore Immacolato di Maria SS. — Giunta tant’alto là dove niun’altra semplice creatura mai giungerà — quale sarà il cuore di Maria SS. verso di noi — esuli figli di Eva – eredi miserabili di colpe e di sciagure? — Il dubbio sarebbe ragionevole, se si trattasse d’una donna qualsiasi: — è tanto difficile che un cuore in festa armonizzi nel suo palpito con cuori in lutto: — com’è difficile che le luminose ebbrezze della gloria làscino ancor un affettuoso interesse alle necessità degli umili, ormai troppo al di sotto … Ma non è così di Maria SS. — anche nella gloria celeste il suo Cuore non muta! — È sempre il bel core d’una volta!

Cuore di Vergine! — Immune assolutamente dal peccato originale — come pure da qualsiasi personale mancanza — esso fu ed è Cuore senza alcun naturale difetto: — tanto si doveva alla sua dignità di Madre di Dio! — Inoltre esso fu ed è un Cuore ripieno incredibilmente della divina grazia — e dei doni dello Spirito Santo — anche per la continua corrispondenza usata qui in terra ai divini favori: — quanto dunque non dovette quel Cuore divenire anche soprannaturalmente sempre più bello — più perfetto — più degno di tutte le nostre simpatie — e quindi pienamente meritevole di tutta la nostra fiducia!

È Cuor di Regina! — Destinata da Dio all’Impero dell’Universo, — Impero anche spiccatamente di misericordia — la SS. Vergine ebbe, appunto per questo, dalla Divina Provvidenza un Cuore magnanimo — che cioè si piace di moltiplicare sulla più larga scala i suoi benefici. — Possiamo dunque approfittarne amplissimamente — assiduamente — e per l’anima e per il corpo — e per l’eternità e per il tempo — e per noi personalmente e per i nostri cari — per i nostri amici e dipendenti — e per quanti siano oggetto della nostra sollecitudine!

È Cuore di Madre! — « Cuore di Madre! ». — Lo capiamo noi che cosa voglia dire? — Allora n’avremo basta, per confidarci interamente a Maria SS. in tutte le nostre miserie — e di corpo — e di spirito — in tutte le afflizioni — e persino in quei giorni, in cui il rimorso travagliasse la povera anima nostra. — E, su quel Cuore materno posando il nostro capo, nulla avremo a temere: — ché Maria SS. è onnipotente a nostro favore — essendo insieme e Madre di Dio e Madre nostra: — onnipotente per grazia, dacché il suo Divin Figlio è l’Onnipotente per natura! (G. Monetti S.J.: Sapienza cristiana vol. II, p. 2)

389

Fidelibus, quolibet mensis augusti die, si ad honorem immaculati Cordis B. M. V. aliquas preces vel alia pietatis exercitia devote præstiterint, conceditur:

Indulgentia quinque annorum semel. dies vero, qui per integrum præfatum mensem eiderh exercitio quotidie vacaverint, conceditur: Indulgentia plenaria suetis conditionibus (S. C. S. Officii, 13 mart. 1913; S. Pæn. Ap., 2 iun. 1935).

Queste sono le feste del mese di AGOSTO 2023

1 Agosto S. Petri ad Vincula  Duplex majus *L1*

          Commemoratio: Ss. Mártyrum Machabæorum

2 Agosto S. Alfonsi Mariæ de Ligorio Episc. Conf. et Eccles. Doct.  Duplex m.t.v.

          Commemoratio: S. Stephani Papæ et Martyris

3 Agosto De Inventione S. Stephani Protomartyris  Semiduplex *L1*

4 Agosto S. Dominici Confessoris  Duplex majus m.t.v.

5 Agosto S. Mariæ Virginis ad Nives  Duplex majus

6 Agosto Dominica X Post Pentecosten II. Augusti    Semiduplex Dominica minor *I*

    In Transfiguratione Domini Nostri Jesu Christi  Duplex II. classis *L1*

7 Agosto S. Cajetani Confessoris  Duplex

            Commemoratio: S. Donati Episcopi et Martyris

8 Agosto Ss. Cyriaci, Largi et Smaragdi Martyrum  Semiduplex

9 Agosto S. Joannis Mariæ Vianney Confessoris  Duplex m.t.v.

             Commemoratio: S. Romani Martyris

10 Agosto S. Laurentii Martyris  Duplex II. classis *L1*

11 Agosto Ss. Tiburtii et Susannæ Virginis, Martyrum  Simplex

12 Agosto S. Claræ Virginis  Duplex

13 Agosto Dominica XI Post Pentecosten III. Augusti  Semiduplex Dominica minor *I*

    Ss. Hippolyti et Cassiani Martyrum    Simplex

14 Agosto In Vigilia Assumptionis B.M.V.  Simplex

               Commemoratio: S. Eusebii Confessoris

15 Agosto In Assumptione Beatæ Mariæ Virginis  Duplex I. classis *L1*

16 Agosto S. Joachim Confessoris, Patris B. M. V.  Duplex II. classis m.t.v.

17 Agosto S. Hyacinthi Confessoris  Duplex m.t.v.

18 Agosto S. Agapiti Martyris    Feria

19 Agosto S. Joannis Eudes Confessoris  Duplex

20 Agosto Dominica XII Post Pentecosten IV. Augusti  Semiduplex Dominica minor *I*

S. Bernardi Abbatis et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

21 Agosto S. Joannæ Franciscæ Frémiot de Chantal Viduæ  Duplex

22 Agosto Immaculati Cordis Beatæ Mariæ Virginis  Duplex II. classis

23 Agosto S. Philippi Benitii Confessoris  Duplex m.t.v.

24 Agosto S. Bartholomæi Apostoli  Duplex II. classis

25 Agosto S. Ludovici Confessoris  Semiduplex

26 Agosto S. Zephyrini Papæ et Martyris    Simplex

27 Agosto Dominica XIII Post Pentecosten V. Augusti  Semiduplex Dominica minor

S. Josephi Calasanctii Confessoris    Duplex

28 Agosto S. Augustini Episcopi et Confessoris et Ecclesiæ Doctoris  Duplex

             Commemoratio: S. Hermetis Martyris

29 Agosto In Decollatione S. Joannis Baptistæ  Duplex majus *L1*

              Commemoratio: S. Sabinæ Martyris

30 Agosto S. Rosæ a Sancta Maria Limanæ Virginis  Duplex

            Commemoratio: Ss. Felicis et Adaucti Martyrum

31 Agosto S. Raymundi Nonnati Confessoris  Duplex m.t.v.

1 LUGLIO: FESTA DEL PREZIOSISSIMO SANGUE DI CRISTO. (2023)

FESTA DEL PREZIOSISSIMO SANGUE DI CRISTO (2023)

1° LUGLIO.

Festa del Preziosissimo Sangue di N. S. Gesù Cristo.

Doppio di I’ classe. – Paramenti rossi.

La liturgia, ammirabile riassunto della storia della Chiesa, ci ricorda ogni anno che in questo giorno fu vinta, nel 1849, la Rivoluzione che aveva cacciato il Papa da Roma. A perpetuare il ricordo di questo trionfo e mostrare che era dovuto ai meriti del Salvatore, Pio IX, allora rifugiato a Gaeta, istituì la festa del Preziosissimo Sangue. Essa ci ricorda tutte le circostanze in cui fu versato. Questo sangue adorabile il Cuore di Gesù lo ha fatto circolare nelle membra; perciò, come nella festa del Sacro Cuore, anche oggi il Vangelo ci fa assistere al colpo di lancia che trafisse il costato del divino Crocifisso e ne fece colare sangue e acqua. Circondiamo di omaggi il Sangue prezioso del nostro Redentore, che il Sacerdote offre a Dio sull’altare.

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

V. Adjutórium nostrum ✠ in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor

Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
M. Misereátur tui omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis tuis, perdúcat te ad vitam ætérnam.
S. Amen.
S. Misereátur vestri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis vestris, perdúcat vos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, ✠ absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Apoc 5:9-10
Redemísti nos, Dómine, in sánguine tuo, ex omni tribu et lingua et pópulo et natióne: et fecísti nos Deo nostro regnum.
[Ci hai redento, Signore, col tuo sangue, da ogni tribù e lingua e popolo e nazione: hai fatto di noi il regno per il nostro Dio.]

Ps LXXXVIII:2
Misericórdias Dómini in ætérnum cantábo: in generatiónem et generatiónem annuntiábo veritátem tuam in ore meo.

V. Glória Patri, et Fílio, et Spirítui Sancto.
R. Sicut erat in princípio, et nunc, et semper, et in sǽcula sæculórum. Amen.
Redemísti nos, Dómine, in sánguine tuo, ex omni tribu et lingua et pópulo et natióne: et fecísti nos Deo nostro regnum.

[Ci hai redento, Signore, col tuo sangue, da ogni tribù e lingua e popolo e nazione: hai fatto di noi il regno per il nostro Dio.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, qui unigénitum Fílium tuum mundi Redemptórem constituísti, ac ejus Sánguine placári voluísti: concéde, quǽsumus, salútis nostræ prétium sollémni cultu ita venerári, atque a præséntis vitæ malis ejus virtúte deféndi in terris; ut fructu perpétuo lætémur in cœlis.
Per eúndem Dóminum nostrum Jesum Christum Fílium tuum, qui tecum vivit et regnat in unitáte Spíritus Sancti, Deus, per ómnia sǽcula sæculórum.
R. Amen.

[O Dio onnipotente ed eterno, che hai costituito redentore del mondo il tuo unico Figlio, e hai voluto essere placato dal suo sangue, concedi a noi che veneriamo con solenne culto il prezzo della nostra salvezza, di essere liberati per la sua potenza dai mali della vita presente, per godere in cielo del suo premio eterno.
Per il medesimo nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, in unità con lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
R. Amen.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Hebrǽos.
Hebr 9:11-15
Fratres: Christus assístens Póntifex futurórum bonórum, per ámplius et perféctius tabernáculum non manufáctum, id est, non hujus creatiónis: neque per sánguinem hircórum aut vitulórum, sed per próprium sánguinem introívit semel in Sancta, ætérna redemptióne invénta. Si enim sanguis hircórum et taurórum et cinis vítulæ aspérsus inquinátos sanctíficat ad emundatiónem carnis: quanto magis sanguis Christi, qui per Spíritum Sanctum semetípsum óbtulit immaculátum Deo, emundábit consciéntiam nostram ab opéribus mórtuis, ad serviéndum Deo vivénti? Et ídeo novi Testaménti mediátor est: ut, morte intercedénte, in redemptiónem earum prævaricatiónum, quæ erant sub prióri Testaménto, repromissiónem accípiant, qui vocáti sunt ætérnæ hereditátis, in Christo Jesu, Dómino nostro.
R. Deo grátias.

[Fratelli, quando Cristo è venuto come sommo sacerdote dei beni futuri, attraversando una tenda più grande e più perfetta, che non è opera d’uomo – cioè non di questo mondo creato – è entrato una volta per sempre nel santuario: non con il sangue di capri e di vitelli. ma con il proprio sangue, avendoci acquistato una redenzione eterna. Se infatti il sangue di capri e tori, e le ceneri di una giovenca, sparse sopra coloro che sono immondi, li santifica, procurando loro una purificazione della carne; quanto più il sangue di Cristo, che per mezzo di Spirito Santo si offrì senza macchia a Dio, purificherà la nostra coscienza dalle opere morte, per servire al Dio vivente? Ed è per questo che egli è mediatore di una nuova alleanza: affinché, essendo intervenuta la sua morte a riscatto delle trasgressioni commesse sotto l’antica alleanza, coloro che sono stati chiamati ricevano l’eredità eterna, oggetto della promessa, in Cristo Gesù nostro Signore.
R. Grazie a Dio.]

Graduale

1 Joann V:6; V:7-8
Hic est, qui venit per aquam et sánguinem, Jesus Christus: non in aqua solum, sed in aqua et sánguine.
V. Tres sunt, qui testimónium dant in cœlo: Pater, Verbum et Spíritus Sanctus; et hi tres unum sunt. Et tres sunt, qui testimónium dant in terra: Spíritus, aqua et sanguis: et hi tres unum sunt. Allelúja, allelúja.
1 Joann V:9
V. Si testimónium hóminum accípimus, testimónium Dei majus est. Allelúja.

[Questo è colui che è venuto con acqua e con sangue: Cristo Gesù; non con acqua soltanto, ma con acqua e con sangue.
V. In cielo, tre sono i testimoni: il Padre, il Verbo, lo Spirito Santo; e i tre sono uno. In terra, tre sono i testimoni: lo Spirito, l’acqua, il sangue; e i tre sono uno. Alleluia, alleluia]
V. Se accettiamo i testimoni umani, Dio è testimonio più grande. Alleluia.]

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Joánnem.
R. Glória tibi, Dómine.
Joann XIX:30-35
In illo témpore: Cum accepísset Jesus acétum, dixit: Consummátum est. Et inclináto cápite trádidit spíritum. Judæi ergo – quóniam Parascéve erat -, ut non remanérent in cruce córpora sábbato – erat enim magnus dies ille sábbati -, rogavérunt Pilátum, ut frangeréntur eórum crura et tolleréntur. Venérunt ergo mílites: et primi quidem fregérunt crura et altérius, qui crucifíxus est cum eo. Ad Jesum autem cum venissent, ut vidérunt eum jam mórtuum, non fregérunt ejus crura, sed unus mílitum láncea latus ejus apéruit, et contínuo exívit sanguis et aqua. Et qui vidit, testimónium perhíbuit; et verum est testimónium ejus.
R. Laus tibi, Christe.

[In quel tempo, quand’ebbe preso l’aceto, Gesù disse: «Tutto è compiuto!». Poi, chinato il capo, rese lo spirito. Allora i Giudei, essendo la Parascève, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato – era, infatti, un gran giorno quel sabato – chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e portati via. Andarono, dunque, i soldati e spezzarono le gambe al primo, e anche all’altro che era stato crocifisso con lui. Quando vennero a Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe: ma uno dei soldati gli trafisse con la lancia il costato, e subito ne uscì sangue ed acqua. Colui che ha visto ne rende testimonianza, e la sua testimonianza è veritiera.]

OMELIA

IL SANGUE DI GESÙ CRISTO LIBERA DA TUTTI I DIVINI FLAGELLI.

(D. Massimiliano MESINI miss. del Prez. Sangue: Sermoni sul Sangue Preziosissimo di Gesù Cristo. Tip. Malvolti, Rimini, 1884)

Videbo Sanguinem, et transibo vos, neo erit in vobis plaga disperdens.

EXOD. 12.

Fuggiva Giona per recarsi là, dove il Signor non volea. Montato egli sopra una nave, che veleggiava per tutt’altro paese, mentre un vento favorevole spirava in poppa, erasi poi dopo alcun tempo abbandonato in braccio ad un dolce sonno. Ma il Signore per la sua disubbidienza era giustamente irato con lui; e conturbò quindi cielo e mare, suscitando una fiera tempesta. Già venti impetuosi e contrari tra loro venendo quasi a zuffa tutto sconvolgono il mare, ora levando l’onde biancheggianti di spuma ben alte, ora aprendo voragini spaventose sino all’imo fondo. La nave frattanto viene qua e là trabalzata senza posa, e Giona segue a dormire tranquillo. Gridano i marinai armeggiando ora a prora ed ora a poppa, calando le vele, regolando attentamente il timone, alleggerendo la nave, e Giona non si scuote. Tutti pallidi in viso già si aspettano ad ogni momento, che, sfasciatasi la nave, o travolta, vadan naufraghi tra l’onde; e Giona, come se il caso non fosse suo, non si scompone. Pure non per altri, che per lui è quel ruggire di sì terribil fortuna, quell’infuriare de’ venti, quel nabisso del mare. Peccatori, per simil guisa voi avete irritato il cielo, avete il cielo nemico. Essendo Dio giustissimo, certamente le vostre colpe Egli non può lasciare impunite, e bene spesso non aspetta di castigarle solo dopo morte nell’inferno; ma anche in questa vita fa ai peccati tener dietro le più gravi sciagure. Già si può dire che fischiano per l’aria i molti e vari flagelli, con cui Dio percuote chi l’offende: Multa flagella peccatoris. E voi ve ne state indifferenti, dormite anche voi di grave sonno, come Giona, né vi scuotete, né timor vi prende dell’ira di Dio? È tempo ormai di scuotervi da un sì profondo letargo, tanto a voi dannoso. Se volete poi schivare non solo le pene eterne, ma anche ogni altro flagello di Dio irritato, e qualunque sciagura, sappiate, che il Sangue di G. C. è a ciò valevolissirno, come brevemente considereremo. Tutto ciò, che doveva essere effetto meraviglioso della redenzione operata da Gesù, tutto ciò, che doveva produrre la virtù del suo Sangue, fu già adombrato, lo notammo più volte, nelle figure dell’antico Testamento. Scegliamone alcune di maggior risalto, che facciano al nostro proposito, e servano a prova del nostro assunto. Erano venuti gli Ebrei alle mani cogli Amaleciti; grande battaglia si era appiccata. Mosè salì sopra di un monte, donde potesse vedere i due eserciti e la forte mischia, e pregò per la vittoria del popolo di cui era condottiero. Allorché nel pregare apriva ed alzava, e teneva distese le braccia, vincevan gli Ebrei; indietreggiavano, erano sgominati, s’ei vinto da stanchezza le calava. Ecco perché le braccia aperte e distese ei si fece reggere, finché completa e splendida venne riportata la vittoria sopra gli Amaleciti. Chi non ravvisa qui in Mosè il Redentore, che con le braccia distese in croce doveva offrire il sanguinoso Sacrificio? Onde S. Agostino esclamava: Vedete fin da ora superate le avversarie genti per la figura della croce: Videte jam tunc per sacramentum crucis superatas esse adversarias gentes. (De temp. Serm. 93) Lo stesso condottiero della gente Ebrea là nel deserto, allorché questa a castigo era infestata da infuocati serpenti, attaccata dai loro morsi ed uccisa, per comando divino elevò presso la terra di Edom sopra un legno un serpente di bronzo, nel quale guardando era di presente guarita. Che in quel serpente di bronzo sul legno si abbia da ravvisar Gesù Cristo confitto alla croce ve ne assicura Egli stesso con quelle parole registrate in S. Giovanni: Sicut Moyses exaltavit serpentem in deserto, ita exaltari oportet Filium hominis. (Joan. III). Ma volete voi, uditori carissimi, di ciò anche una più espressa figura? Eccovela. Avea il Signore per mezzo di Mosè ordinato a Faraone di lasciar libero partire il popolo Ebreo, che teneva in dura schiavitù. Ma Faraone ostinossi a non obbedire. Fu allora l’Egitto con terribili piaghe punito, di cui l’ultima e più severa fu la morte di tutti i primogeniti delle case Egiziane. Perché in così orrenda strage non avessero ad andare involti anche i primogeniti degli Ebrei, comandò Iddio che del sangue dell’agnello pasquale fossero tinti gli stipiti, e I’architrave della porta. Vedrò quel sangue Egli disse, e passerò oltre con l’ira mia, e farò passar oltre l’Angelo percussore, ministro delle mie vendette, e non toccherà voi la piaga sterminatrice: Videbo sanguinem, et transibo vos nec erit in vobis plaga disperdens. E perché questo se non perché in quel sangue è mostrata la figura del Sangue del Redentore? Quia Dominici Sanguinis per eum demonstratur exemplum. (Chrysost.). Per simil guisa Raab in premio d’avere salvati gli esploratori mandati da Giosuè fu liberata dall’esterminio di Gerico insieme a tutti i suoi, tenendo il patto d’indicare la propria abitazione collegar solo alle finestre una corda rossa a lei consegnata dai due israeliti. Ma questo segnale rubicondo che cosa mai significò, se non il Sangue di Gesù Cristo? Ce ne assicura S. Ambrogio: Qui color figurum Christi Sanguinis indicabat.(Serm. 46 de Salom.) E tu, o gran Veggente Ezechiello, dinne tu, che mirasti in quella celebre visione, che qui cade così in acconcio per noi. Comparve innanzi al Profeta un uomo coperto di vesti di lino, e che teneva ai fianchi un calamaio ad uso di scrivere. Ed il Signore comandargli di segnare con l’inchiostro di quel vaso tutti i buoni e i prescelti del popolo di Gerusalemme, i quali dovevano andar salvi dall’universale strage, che la giustizia divina stava per fare di quella città. Ma qual fu il segno col quale erano da indicarsi i salvandi? Fu il Tau, o dilettissimi, il quale per opinione concorde dei Padri ed interpreti alludeva alla croce, ed al Sangue della redenzione. Basti Origene: Tantum illi sospites servantur, Quos crucis pictura signavit. (Hom. In Ezec.) Ora, se il Sangue di Gesù Cristo solamente in simbolo e figura ebbe tanta virtù di esimere da così gravi sciagure, e di liberare da divini flagelli così pesanti, è assai facile il dedurre che potrà molto di più nella realtà. E chi non sa, che la cosa simboleggiata vale più del simbolo, vale più della figura il figurato? E dopo, che questo Sangue fu uscito dall’aperte vene di Cristo, forseché mancano esempi nelle storie ecclesiastiche, i quali ci mostrano di quanta virtù esso sia per liberare ancora da gravi infortuni di questa vita? Aprite le di grazia e vi troverete la città di Roma in grandi angustie, premuta, schiacciata, oppressa dal tirannico giogo di Massenzio, che superbamente la dominava. Chi fè respirar Roma finalmente libera da tanta tirannia, e da mostro così crudele? Costantino, o dilettissimi, il quale benché più debole di forze, pur attaccò con lui battaglia presso a ponte Milvio animato dalla visione di croce luminosa in aria colla scritta: Hoc signo vinces. Con questo segno vincerai. Costantino, che, fatta porre in cima a suoi labari quella croce, la quale ha tanta virtù, perché ornata della porpora del Sangue di Cristo re possente, ornata Regis purpura, dié tale una rotta all’esercito di Massenzio, e riportò una così splendida vittoria, che rimastovi morto lo stesso tiranno, ebbe fine il suo atroce governo, e fu principio ad un era di pace per Roma e per la Chiesa cristiana. E quando quel grande nostro genio italiano, Cristoforo Colombo concepiva l’ardimentosa idea di scoprir un nuovo mondo, chi lo incoraggio’, chi lo resse in mezzo a tante contraddizioni, chi lo scampò da tanti pericoli? La croce, o dilettissimi, la croce, ch’egli aveva in cima di sua mente religiosa, nella parte più eletta del suo cuore. Sì, fu la croce, che il fece trionfare delle basse invidie de’ suoi nemici, e gli procurò dal governo di Spagna alcune navi per il gran viaggio. Così poté egli spiegare nel venerdì 3 Agosto 1492 la bandiera con l’immagine del Crocifisso, e salpò dal porto mettendosi per mari sconosciuti. Fu pur la croce, che non gli fece venir meno la virtù dell’animo, e lo fece uscir incolume da tante e così fiere burrasche; fu la croce, che lo liberò dal feroce consiglio de’ suoi di gettarlo a mare tardandosi a scoprir terra. Era il venerdì 12 Ottobre, quando finalmente scopre la prima isola, che chiama del Salvatore, e vi discende con lo stendardo del Crocifisso in mano, e fra dolci lagrime là lo pianta sul suolo, con ciò significando, che per Gesù Cristo quelle nuove terre conquista. Ed in appresso sempre appoggiato alla virtù della croce, esausto di viveri non vien meno di confidenza, ed il mare contro ogni aspettazione glieli reca. In cerca di altri paesi è colto da furiosissima tempesta. Spera ancora nella croce, e ne campa; ed in un venerdì scopre le Azzorre, sicché egli è poi tutto in far conoscere ed onorare la croce ed il Crocifisso. Il Crocifisso pone sott’occhio ad un capo di selvaggi, che vinto da curiosità gli viene incontro; il Crocifisso mostra al primo Sovrano indigeno, con cui stringe amichevoli attenenze; il Crocifisso predica a quei barbari in cui si abbatte, ed in ogni borgata alza una croce, ed avvezza la gente a genuflettervisi innanzi e pregare. E sia pure, o carissimi, che le avversità di questa vita siano da voi ben meritate con i vostri peccati, giacché, propter peccata veniunt adversa. Il Sangue di Gesù Cristo non è forse valevole ad impetrare misericordia, purché non manchino in voi le buone e debite disposizioni? Ah! il Sacrificio del Golgota fu pur propiziatorio, ed ottenendo il perdono dei peccati, ebbe la virtù d’ottenere ancora la remissione d’ogni pena, d’ogni castigo anche temporale in questa vita. E quel Sacrifizio propiziatorio sul Golgota non fu già offerto una sola volta, ma ad ogni Messa si rinnova dai Sacerdoti, sebbene in un modo diverso ed incruento. Quindi anche il real Sangue di Cristo è l’oblazione che si fa a Dio. Oh! Qual voce potente ha questo Sangue per implorare pietà dall’Eterno Padre. Non già, come quello d’Abele, grida vendetta, ma misericordia, misericordia; ed ogni ira del Padre non può non ammollirsi alla vista ed alla voce del Sangue del Figliuol suo diletto. È osservazione fatta da molti scrittori ecclesiastici, che ora, benché la corruzione sia così grande e sia portata in trionfo l’empietà, ad ogni modo non avvengono più quelle grandi calamità nel mondo, appunto perché il Sangue di Gesù Cristo sale dai nostri altari quotidianamente profumo gradito a Dio più assai che tutte le vittime sacrificate nell’antico patto. E che farà poi il Sangue di Gesù Cristo conservatoci nel Ss.mo Sacramento per coloro che l’han carissimo al cuore, e l’onorano con una vita immacolata? Oh! da quali angustie, da qual tremendi pericoli esso fu scampo! Bastivi per tutti il seguente fatto. Era la citta d’Assisi assediata dai Saraceni, barbari, che univano alla ferocia grande valore. Già sempre più strettamente cingevano la misera città, minacciando di metter tutto a ferro ed a fuoco. Fatto disegno d’impadronirsi del convento, ov’era abbadessa S. Chiara, trovando chiuse le porte, accingevansi ad acquistarlo a viva forza; e già parte ponevan le scale, parte percuotevan fortemente la maggior porta per dentro penetrarvi. Immaginate voi lo spavento di quelle vergini spose di Gesù Cristo. Quali trepide colombe al sopravenire dello sparviero, eransi esse tutte tremando rifugiate nella stanza della loro madre, che giaceva di que’ giorni inferma. Che fa Chiara? Ella non si smarrisce in mezzo allo smarrimento generale. Così inferma si fa recare dalle sue figlie alla porta, ma vuole insieme con sé il vaso, dov’è custodito il Santissimo Sacramento dell’Eucaristia, e con in mano il Sangue di Gesù Cristo leva del cuore questa preghiera: Signore, non consegnare in potere di queste bestie feroci le vite di quelle che te confessano con le lor lodi, con le lor salmodie, e coi loro inni. Custodisci queste tue serve, che col tuo Prezioso Sangue hai redente. E ben tosto fa udita una voce: Io sempre vi custodirò. (Brev. Rom.) I Saraceni ben tosto, parte in rapida fuga all’improvviso si volsero, parte avendo già salito il muro, all’istante perdettero la vista, e ruinando precipitarono giù. Oh virtù, oh potenza del Sangue del Redentore! Io non avrei bisogno di aggiungere qui altro esempio, altro fatto, avendone già parecchi portati a provare quanto mi ero proposto, poiché il mio argomento quasi tutto sui fatti fu appoggiato. Nondimeno per seguitare il costume, e per eccitare sempre più voi a ricorrere al Sangue di Gesù Cristo, abbiatevi anche questo ch’è di data abbastanza recente, ed a parecchi di voi contemporaneo. È pur viva, e fresca, ed onorata, anzi in venerazione la memoria del grande Pontefice Pio IX. Egli dopo aver riscossi grandi applausi al principio del suo Pontificato, vide pur troppo gli osanna mutati ben presto in crucifige, quando egli oppose il forte petto ad una setta, che il voleva trascinare nell’amministrazione del governo là dov’egli mai non volle, e non poteva andare. Si fecero sedizioni di piazza, si commisero delitti atroci, la stessa vita del Pontefice venne minacciata e insidiata. Stava in forse Pio IX di fuggire a salvamento fuori de’ suoi stati già in mano dell’anarchia, quando gli giunse di Francia la sacra pisside, che con entrovi la S. Eucarestia, fu di così grande conforto a Pio VI nel suo arresto e viaggio forzato sino a Valenza. Allora ogni titubare cessa, e la risoluzione è già presa. Pio fugge, ma ha con sé quella sacra pisside, ha nelle mani il Sangue di Gesù Cristo: la sua fuga non può non riuscire a bene. Benché abbia guardie nemiche fin nell’anticamera, può loro sottrarsi senza che se n’avvedano, e varca i confini del suo Stato, e va sicuro, com’aquila, che, alzato il volo, dall’alto mira sicura coloro, che stavano a guardia del suo nido. Arriva incolume a Gaeta, dove da Re Ferdinando II di Napoli viene ospitato a grand’onore. Ma attendete ancora, che vi è ben altro. Il servo di Dio Giovanni Merlini, Superiore Generale dei Missionari del Prezioso Sangue, di cui si sono iniziati i processi per giudicare della sua virtù e santità, recossi in quei giorni a Gaeta, presentossi al Papa, da cui era amato, e gli comunicò il desiderio che si avea, che la Festa del Preziosissimo Sangue fosse estesa al mondo universo. Si stringesse con voto a ciò fare, e ricupererebbe lo Stato, tornando trionfante nella sua Roma. Pio IX volle su pensarvi seriamente, ed il 30 Giugno del 1849 fece scrivere che, senza far voto, subito e di proprio arbitrio avrebbe fatta piena la dimanda del Merlini. Intanto quel dì stesso venne dai Francesi venuti in aiuto del Papa occupata una porta di Roma, ed il dì appresso, festa del Prezioso Sangue, le truppe repubblicane del Mazzini capitolarono, e si arresero. Memore di tanto favore Pio IX stese il sospirato decreto elevando tal festa a rito doppio di seconda classe in tutta la Chiesa, e poté poi non molto dopo rientrare trionfante e più glorioso di prima nella sua Roma. Volete, dunque anche voi, uditori, andar liberi da tanti pericoli, che ne circondano, da tante insidie, che tendono il demonio, ed il mondo? Abbiate, vel raccomando caldamente, divozione soda, e tenera insieme verso il gran prezzo del nostro riscatto. Con in mano questo pegno di salvezza voi non patirete danno tra pericoli, ed insidie di qualunque specie. Uditori, siamo in un mondo, che specialmente a’ nostri giorni è tutto posto in sul maligno. La più grande immoralità passeggia sfacciata sotto la luce del sole, l’empietà più grande alza il capo, e giganteggia. Se la Giustizia divina, tarda a vendicarsi, non può però lasciar impunite tante scelleraggini. Già ha preso in mano la coppa, dove bolle il suo furore, e già l’ha inchinata da questa a quella parte per versarlo in sulla terra: Et inclinavit ex hoc in hoc. Già inondazioni, terremoti, ed altre gravi sciagure vanno qua e là desolando il mondo. Ma non è vuotata del tutto quella coppa tremenda vi è la feccia, ove si concentrano le più acerbe vendette divine: Verumtamen fæx ejus non est exinanita. Beveranno di questa, sì beveranno tutti i peccatori: Bibent omnes peccatores terræ. (Ps. LXXIV). In quei terribili frangenti abbiate in pronto il Sangue di Gesù Cristo da presentare all’Eterno Padre, e non dubitate, che vedendo Egli questo Sangue, passerà oltre, senza esercitare contro di voi il suo rigore, né affliggerà voi alcuna piaga distruggitrice. Lo disse, e ne assicurò gli Ebrei, e trattavasi allora del sangue dell’agnello pasquale, che era figura solamente del Sangue di quell’Agnello, che doveva togliere i peccati del mondo. Quanto più lo dirà adesso, e manterrà la promessa, trattandosi della realtà: Videbo Sanguinem, et transibo vos, nec erit in vobis plaga disperdens.

IL CREDO

Offertorium

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
Orémus.
1 Cor X:16
Calix benedictiónis, cui benedícimus, nonne communicátio sánguinis Christi est? et panis, quem frángimus, nonne participátio córporis Dómini est?

[Il calice dell’eucarestia che noi benediciamo non è forse comunione del sangue di Cristo? Il pane che noi spezziamo non è forse comunione col corpo di Cristo?]

Secreta

Per hæc divína mystéria, ad novi, quǽsumus, Testaménti mediatórem Jesum accedámus: et super altária tua, Dómine virtútum, aspersiónem sánguinis mélius loquéntem, quam Abel, innovémus.


[O Dio onnipotente, concedi a noi, per questi divini misteri, di accostarci a Gesù, mediatore della nuova alleanza, e di rinnovare sopra il tuo altare l’effusione del suo sangue, che ha voce più benigna del sangue di Abele.]
Per eúndem Dóminum nostrum Jesum Christum Fílium tuum, qui tecum vivit et regnat in unitáte Spíritus Sancti, Deus, per ómnia sǽcula sæculórum.
R. Amen.

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de Sancta Cruce
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui salútem humáni géneris in ligno Crucis constituísti: ut, unde mors oriebátur, inde vita resúrgeret: et, qui in ligno vincébat, in ligno quoque vincerétur: per Christum, Dóminum nostrum. Per quem majestátem tuam laudant Angeli, adórant Dominatiónes, tremunt Potestátes. Cæli cælorúmque Virtútes ac beáta Séraphim sócia exsultatióne concélebrant. Cum quibus et nostras voces ut admítti júbeas, deprecámur, súpplici confessióne dicéntes:

[È Veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: Che hai procurato la salvezza del genere umano col legno della Croce: così che da dove venne la morte, di là risorgesse la vita, e chi col legno vinse, dal legno fosse vinto: per Cristo nostro Signore. Per mezzo di Lui la tua maestà lodano gli Angeli, adorano le Dominazioni e tremebonde le Potestà. I Cieli, le Virtù celesti e i beati Serafini la celebrano con unanime esultanza. Ti preghiamo di ammettere con le loro voci anche le nostre, mentre supplici confessiamo dicendo:]

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster, qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Hebr IX:28
Christus semel oblátus est ad multórum exhauriénda peccáta: secúndo sine peccáto apparébit exspectántibus se in salútem.

[Il Cristo è stato offerto una volta per sempre: fu quando ha tolto i peccati di lutti. Egli apparirà, senza peccato, per la seconda volta: e allora darà la salvezza ad ognuno che lo attende.]

Postcommunio

S. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
Orémus.
Ad sacram, Dómine, mensam admíssi, háusimus aquas in gáudio de fóntibus Salvatóris: sanguis ejus fiat nobis, quǽsumus, fons aquæ in vitam ætérnam saliéntis:

[Ammessi, Signore, alla santa mensa abbiamo attinto con gioia le acque dalle sorgenti del Salvatore: il suo sangue sia per noi sorgente di acqua viva per la vita eterna:]
Qui tecum vivit et regnat in unitáte Spíritus Sancti Deus per ómnia sǽcula sæculórum.
R. Amen.

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA: LUGLIO 2023

CALENDARIO0 LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA: LUGLIO 2023

Ordinò già Iddio nell’ antica legge, che nel suo altare il fuoco mai non mancasse. Non si curò, che sempre si scannassero vittime, che sempre si bruciassero incensi, che sempre si offrisse- ro doni, ma il fuoco volle sempre acceso: “Ignis autem in altari semper ardebit”. (Levit. 6) Non è, uditori “carissimi, senza mistero questo precetto. Il fuoco è simbolo dell’amore; l’altare, dice Gregorio il Grande, è figura del nostro cuore, che d’amore dev’ardere continuamente verso Dio. Per questo diceva Gesù Cristo: Ignem veni mittere in terram, et quid volo nisi ut accendatur? (Luc. 12) E studiossi poi di accendere vieppiù quest’amor divino inverso di sé con lo spargere il suo Sangue sulla croce, come ieri abbiam visto. Ma all’amor di Dio va necessariamente congiunto l’amor del prossimo, giacché il dobbiamo amare non per simpatia solamente, o per belle doti, che attraggano, ma per Iddio, la cui immagine è ugualmente scolpita nell’anima di tutti; ma per Gesù Cristo, dal quale redenti col suo Sangue, siam divenuti tutti fratelli, di cui Egli è il primogenito. Gesù Cristo in fatti non cessò mai d’inculcare, e di spiegare il precetto di questa dilezione fraterna del prossimo in tutta la sua vita. Ma giuntone al termine là nella cena dell’ultima notte rinnovò agli Apostoli, e nella persona degli Apostoli anche a noi questo precetto, per dare a vedere quanto gli stesse a cuore. Lo chiamò suo: Hoc est præceptum meum, e fece così intendere, che l’osservanza di questo dovesse essere il contrassegno sicuro, a cui si avrebbero da ravvisare i suoi seguaci, i suoi discepoli. Soggiunse poi, che si dovevano amare come Egli li aveva amati: Hoc est præceptum meum, ut diligatis invicem, sicut dilexi vos. Questo è il precetto dell’amore del prossimo dal modocon cui ci ha amato Gesù Cristo sulla croce, spargendo per noi il suo Sangue prezioso.

[P. M. Mesini, Miss. Del Preziosissimo Sangue: SERMONI AL SANGUE PREZIOSISSIMO DI GESU’ CRISTO, Tipog. Malvolti, Rimini, 1884]

217

Fidelibus, qui mense iulio pio exercitio, in honorem pretiosissimi Sanguinis D. N. I. C. publiceperacto, devote interfuerint, conceditur:

Indulgentia decem annorum quolibet mensis die;

Indulgentia plenaria, additis sacramentali confessione, sacra Communione et oratione ad mentem Summi Pontificis, si diebus saltem decem eidem exercitio adstiterint.

lis vero, qui præfato mense preces aliave pietatis obsequia in honorem eiusdem pretiosissimi Sanguinis privatim præstiterint, conceditur:

Indulgentia septem annorum semel singulis diebus;

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, si quotidie per integrum mensem idem pietatis obsequium obtulerint; at ubi pium exercitium publice habetur, huiusmodi indulgentia ab iis tantum acquiri potest, qui legitimo detineantur impedimento, quominus exercitio publico intersint

(S. C. Indulg., 4 iun. 1850; S. Pæn. Ap., 12 maii 1931).

ORATIONES

218

0 Sangue prezioso di Gesù, prezzo infinito del riscatto dell’umanità peccatrice, bevanda e lavacro delle anime nostre, che proteggete continuamente la causa degli uomini presso il trono della suprema Misericordia, profondamente io vi adoro, e vorrei per quanto mi e possibile compensarvi delle ingiurie e degli strapazzi, che Voi ricevete di continuo dalle umane creature e specialmente da quelle, che ardiscono temerariamente di bestemmiarvi. E chi non benedirà questo Sangue di infinito valore? Chi non si sentirà infiammato d’affetto verso Gesù che lo sparse? Chi sarei io, se non fossi stato ricomprato da questo Sangue divino? Chi l’ha cavato dalle vene del mio Signore fino all’ultima stilla? Ah! questo è stato certamente l’amore. O amore immenso, che ci ha donato questo balsamo salutevolissimo! 0 balsamo inestimabile scaturito dalla sorgente di un amore immenso, deh! Fa’ che tutti i cuori, tutte le lingue ti possano lodare, encomiare e ringraziare adesso e per sempre. Amen.

Indulgentia quingentorum dierum (Pius VII, 18 oct. 1815; S. Pæn. Ap., 25 iun. 1932).

219

Eterno Padre, io vi offro il Sangue preziosissimo di Gesù Cristo in isconto dei miei peccati, in suffragio delle anime sante del purgatorio e per i bisogni di santa Chiesa.

Indulgentia quingentorum dierum.

Indulgentia trium annorum, si mense vertente iulio oratio recitata fuerit.

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodo quotidie per integrum mensem oblationis actus elicitus fuerit (Pius VII, 22 sept. 1817; S. Pæn. Ap., 10 mart. 1933 et 3 apr. 1941).

220

I. Eterno Padre, io vi offro i meriti del Sangue preziosissimo di Gesù, vostro diletto Figlio e mio Redentore divino, per la propagazione ed esaltazione della mia cara Madre la santa Chiesa, per la conservazione e prosperità del suo Capo visibile il Sommo Pontefice Romano, per i Cardinali, Vescovi e Pastori di anime, e per tutti i Ministri del Santuario.

Gloria Patri. Sia sempre benedetto e ringraziato Gesù, che col suo Sangue ci ha salvato.

II. Eterno Padre, io vi offro i meriti del Sangue preziosissimo di Gesù, vostro diletto Figlio e mio Redentore divino, per la pace e concordia dei Re e dei Principi cattolici, per l’umiliazione dei nemici della santa Fede e per la felicità del popolo cristiano.

Gloria Patri. Sia sempre benedetto, ecc.

III. Eterno Padre, io vi offro i meriti del Sangue preziosissimo di Gesù, vostro diletto Figlio e mio Redentore divino, per il ravvedimento degli increduli, per l’estirpazione di tutte le eresie e per la conversione dei peccatori.

Gloria Patri. Sia sempre benedetto, ecc.

IV. Eterno Padre, io vi offro i meriti del Sangue preziosissimo di Gesù, vostro diletto Figlio e mio Redentore divino, per tutti i miei parenti, amici e nemici, per gl’indigenti, infermi e tribolati, e per tutti quelli, per cui sapete che io debbo pregare e volete che io preghi.

Gloria Patri. Sia sempre benedetto, ecc.

V. Eterno Padre, io vi offro, i meriti del Sangue preziosissimo di Gesù, vostro diletto Figlio e mio Redentore divino, per tutti quelli, che quest’oggi passeranno all’altra vita, affinché li liberiate dalle pene dell’inferno e li ammettiate con la maggior sollecitudine al possesso della vostra gloria.

Gloria Patri. Sia sempre benedetto, ecc.

VI. Eterno Padre, io vi offro i meriti del Sangue preziosissimo di Gesù Cristo, vostro diletto Figlio e mio Redentore divino, per tutti quelli che sono amanti di sì gran tesoro, per quelli che sono uniti con me nell’adorarlo ed onorarlo e per quelli in fine che si adoprano nel propagarne la devozione.

Gloria Patri. Sia sempre benedetto, eco.

VII. Eterno Padre, io vi offro i meriti del Sangue preziosissimo di Gesù, vostro diletto Figlio e mio Redentore divino, per tutti i miei bisogni spirituali e temporali, in suffragio delle sante anime del purgatorio, e specialmente di quelle che sono state più devote del prezzo della nostra redenzione e dei dolori e delle pene della nostra cara Madre Maria santissima.

Gloria Patri. Sia sempre benedetto, ecc.

Viva il Sangue di Gesù adesso e sempre e per tutti i secoli dei secoli. Amen.

Indulgentia trium annorum.

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodo oblationis actus per integrum mensem quotidie reiteratus fuerit (Pius VII, 22 sept. 1817; S. Pæn. Ap., 12 maii 1931).

221

Domine Iesu Christe, qui de caelis ad terram de sinu Patris descendisti et Sanguinem tuum pretiosum in remissionem peccatorum nostrorum fudisti: te humiliter deprecamur, ut in die iudicii ad dexteram tuam audire mereamur: Venite benedicti. Qui vivis et regnas in sæcula sæculorum. Amen (ex Missali Rom.).

Indulgentia quinque annorum.

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, si quotidiana orationis recitatio in integrum mensem producta fuerit (S. Pæn. Ap., 22 nov. 1934).

222

Omnipotens sempiterne Deus, qui unigenitum Filium tuum mundi Redemptorem constituisti, ac eius Sanguine placari voluisti: concede quæsumus, salutis nostræ pretium solemni cultu ita venerari, atque a præsentis vitae malis eius virtute defendi in terris, ut fructu perpetuo lætemur in cælis. Per eumdem Christum Dominum nostrum. Amen (ex Missali Rom.).

Indulgentia quinque annorum.

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, oratione quotidie per integrum mensem devote repetita (S. Pæn. Ap., 15 iul. 1935).

Queste sono le feste del Mese di Luglio 2023:

1 Luglio Pretiosissimi Sanguinis Domini Nostri Jesu Christi  Duplex I. classis *L1*

2 luglio Dominica V Post Pentecosten  Semiduplex Dominica minor *I*

                 In Visitatione B. Mariæ Virginis.

3 luglio S. Leonis II Papæ et Confessoris  Semiduplex

5 luglio S. Antonii Mariæ Zaccaria Confessoris  Duplex

6 luglio Octavæ Ss. Petri et Pauli  Duplex majus

7 luglio Ss. Cyrilli et Methodii Pont. et Conf.  Duplex

8 luglio S. Elisabeth Reg. Portugaliæ Viduæ   

9 luglio Dominica VI Post Pentecosten  Semiduplex Dominica minor

10 luglio Ss. Septem Fratrum Martyrum, ac Rufinæ et Secundæ Virginum et Martyrum  Semiduplex

11 luglio S. Pii I Papæ et Martyris   

12 luglio S. Joannis Gualberti Abbatis  Duplex

13 luglio S. Anacleti Papæ et Martyris  Semiduplex

14 luglio S. Bonaventuræ Episcopi Confessoris et Ecclesiæ Doctoris  Duplex

15 luglio S. Henrici Imperatoris Confessoris    Feria

16 luglio Dominica VII Post Pentecosten  Semiduplex Dominica minor *I*

               Beatæ Mariæ Virginis de Monte Carmelo

17 luglio S. Alexii Confessoris   

18 luglio S. Camilli de Lellis Confessoris  Duplex

                 Commemoratio: pro Ss. Symphorosa et Septem Filiis Martyribus

19 luglio S. Vincentii a Paulo Confessoris  Duplex

20 luglio S. Hieronymi Æmiliani Confessoris  Duplex

               Commemoratio: S. Margaritæ, Virginis et Martyris

21 luglio S. Praxedis Virginis   

22 luglio S. Mariæ Magdalenæ Pœnitentis  Duplex *L1*

23 luglio Dominica VIII Post Pentecosten  Semiduplex Dominica minor

               S. Apollinaris Episcopi et Martyris    Duplex

24 luglio S. Christinæ Virginis et Martyris    Feria

25 luglio S. Jacobi Apostoli  Duplex II. classis

                 Commemoratio: S. Christophori Martyris

26 luglio S. Annæ Matris B.M.V.  Duplex II. classis

27 luglio S. Pantaleonis Martyris   

28 luglio Ss. Nazarii et Celsi Martyrum, Victoris I Papæ et Martyris ac Innocentii I Papæ et Confessoris  Duplex

29 luglio S. Marthæ Virginis  Duplex

30 luglio Dominica IX Post Pentecosten I. Augusti  Semiduplex Dom. minor *I*

                S. Abdon et Sennen Martyrum   

31 luglio S. Ignatii Confessoris  Duplex majus

FESTA DEL SACRATISSIMO CUORE DI GESU’ (2023)

FESTA DEL SACRATISSIMO CUORE DI GESÙ (2023)

VENERDÌ DOPO L’OTTAVA DEL CORPUS DOMINI.

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Doppio di Ia cl. con Ottava privilegiata di 3° ordine. – Param. bianchi.

Il Protestantesimo nel secolo XVI e il Giansenismo nel XVIII avevano tentato di sfigurare uno dei dogmi essenziali al Cristianesimo: l’amore di Dio verso tutti gli uomini. Lo Spirito Santo, che è spirito d’amore, e che dirige la Chiesa per opporsi all’eresia invadente, affinché la Sposa di Cristo, lungi dal veder diminuire il suo amore verso Gesù, lo sentisse crescere maggiormente, ispirò la festa del Sacro Cuore. L’Officio di questo giorno mostra « il progresso trionfale del culto del Sacro Cuore nel corso dei secoli. Fin dai Primi tempi i Padri, i Dottori, I Santi hanno celebrato l’amore del Redentore nostro e hanno detto che la piaga, fatta nel costato di Gesù Cristo, era la sorgente nascosta di tutte le grazie. Nel medio-Evo le anime contemplative presero l’abitudine di penetrare per questa piaga fino al Cuore di Gesù, trafitto per amore verso gli uomini » (2° Notturno). — S. Bonaventura parla in questo senso: « Per questo è stato aperto il tuo costato, affinché possiamo entrarvi. Per questo è stato ferito il tuo Cuore affinché possiamo abitare in esso al riparo delle agitazioni del mondo (3° Nott.). Le due Vergini benedettine Santa Geltrude e Santa Metilde nel XIII secolo ebbero una visione assai chiara della grandezza della devozione al Sacro Cuore:. S. Giovanni Evangelista apparendo alla prima le annunziò che « il linguaggio dei felici battiti del Cuore di Gesù, che egli aveva inteso, allorché riposò sul suo petto, e riservato per gli ultimi tempi allorché il mondo invecchiato raffreddato nell’amore divino si sarebbe riscaldato alla rivelazione di questi misteri (L’araldo dell’amore divino. – Libro IV c 4). Questo Cuore, dicono le due Sante, è un altare sul quale Gesù Cristo si offre al Padre, vittima perfetta pienamente gradita. È un turibolo d’oro dal quale s’innalzano verso il Padre tante volute di fumo d’incenso quanti gli uomini per i quali Cristo ha sofferto. In questo Cuore le lodi e i ringraziamenti che rendiamo a Dio e tutte le buone opere che facciamo, sono nobilitate e diventano gradite al Padre. — Per rendere questo culto pubblico e ufficiale, la Provvidenza suscitò dapprima S. Giovanni Eudes, che compose fin dal 1670, un Ufficio ed una Messa del Sacro Cuore, per la Congregazione detta degli Eudisti. Poi scelse una delle figlie spirituali di S. Francesco di Sales, Santa Margherita Maria Alacoque, alla quale Gesù mostrò il suo Cuore, a Paray-le-Monial il 16 giugno 1675, il giorno del Corpus Domini, e le disse di far stabilire una festa del Sacro Cuore il Venerdì, che segue l’Ottava del Corpus Domini. Infine Dio si servì per propagare questa devozione, del Beato Claudio de la Colombière religioso della Compagnia di Gesù, che mise tutto il suo zelo a propagare la devozioni al Sacro Cuore». (D. GUERANGER, La festa del Sacro Cuore di Gesù). – Nel 1765, Clemente XIII approvò la festa e l’ufficio del Sacro Cuore, e nel 1856 Pio IX l’estese a tutta la Chiesa. Nel 1929 Pio XI approvò una nuova Messa e un nuovo Officio del Sacro Cuore, e vi aggiunse una Ottava privilegiata. Venendo dopo tutte le feste di Cristo, la solennità del Sacro Cuore le completa riunendole tutte in un unico oggetto, che materialmente, è il Cuore di carne di un Uomo-Dio e formalmente, è l’immensa carità, di cui questo Cuore è simbolo. Questa festa non si riferisce ad un mistero particolare della vita del Salvatore, ma li abbraccia tutti. È la festa dell’amor di Dio verso gli uomini, amore che fece scendere Gesù sulla terra con la sua Incarnazione per tutti (Off.) che per tutti è salito sulla Croce per la nostra Redenzione (Vang. 2a Ant. dei Vespri) e che per tutti discende ogni giorno sui nostri altari colla Transustanziazione, per applicarci i frutti della sua morte sul Golgota (Com.). — Questi tre misteri ci manifestano più specialmente la carità divina di Gesù nel corso dei secoli (Intr.). È « il suo amore che lo costrinse a rivestire un corpo mortale » (Inno del Mattutino). È il suo amore che volle che questo cuore fosse trafitto sulla croce (Invitatorio, Vang.) affinché ne scorresse un torrente di misericordia e di grazie (Pref.) che noi andiamo ad attingere con gioia (Versetto dei Vespri); un’acqua, che nel Battesimo ci purifica dei nostri. peccati (Ufficio dell’Ottava) e il sangue, che, nell’Eucaristia, nutrisce le nostre anime (Com.). E, come la Eucaristia è il prolungamento dell’Incarnazione e il memoriale del Calvario, Gesù domandò che questa festa fosse collocata immediatamente dopo l’Ottava del SS. Sacramento. — Le manifestazioni dell’amore di Cristo mettono maggiormente in evidenza l’ingratitudine degli uomini, che corrispondono a questo amore con una freddezza ed una indifferenza sempre più grande, perciò questa solennità presenta essenzialmente un carattere di riparazione, che esige la detestazione e l’espiazione di tutti i peccati, causa attuale dell’agonia che Gesù sopportò or sono duemila anni. — Se Egli previde allora i nostri peccati, conobbe anche anticipatamente la nostra partecipazione alle sue sofferenze e questo lo consolò nelle sue pene (Off.). Egli vide soprattutto le sante Messe e le sante Comunioni, nelle quali noi ci facciamo tutti i giorni vittime con la grande Vittima, offrendo a Dio, nelle medesime disposizioni del Sacro Cuore in tutti gli atti della sua vita, al Calvario e ora nel Cielo, tutte le nostre pene e tutte le nostre sofferenze, accettate con generosità. Questa partecipazione alla vita eucaristica di Gesù è il grande mezzo di riparare con Lui, ed entrare pienamente nello spirito della festa del Sacro Cuore, come lo spiega molto bene Pio XI nella sua Enciclica « Miserentissimus » (2° Nott. dell’Ott.) e nell’Atto di riparazione al Sacro Cuore di Gesù, che si deve leggere in questo giorno davanti al Ss. Sacramento esposto.

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Ps XXXII: 11; 19
Cogitatiónes Cordis ejus in generatióne et generatiónem: ut éruat a morte ánimas eórum et alat eos in fame.

[I disegni del Cuore del Signore durano in eterno: per strappare le anime dalla morte e sostentarle nella carestia.]


Ps XXXII: 1
Exsultáte, justi, in Dómino: rectos decet collaudátio.

[Esultate nel Signore, o giusti, la lode conviene ai retti.]

Cogitatiónes Cordis ejus in generatióne et generatiónem: ut éruat a morte ánimas eórum et alat eos in fame.

[I disegni del Cuore del Signore durano in eterno: per strappare le ànime dalla morte e sostentarle nella carestia.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.
Deus, qui nobis in Corde Fílii tui, nostris vulneráto peccátis, infinítos dilectiónis thesáuros misericórditer largíri dignáris: concéde, quǽsumus; ut, illi devótum pietátis nostræ præstántes obséquium, dignæ quoque satisfactiónis exhibeámus offícium.  

[O Dio, che nella tua misericordia Ti sei degnato di elargire tesori infiniti di amore nel Cuore del Figlio Tuo, ferito per i nostri peccati: concedi, Te ne preghiamo, che, rendendogli il devoto omaggio della nostra pietà, possiamo compiere in modo degno anche il dovere della riparazione.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Ephésios. Eph III: 8-19

Fratres: Mihi, ómnium sanctórum mínimo, data est grátia hæc, in géntibus evangelizáre investigábiles divítias Christi, et illumináre omnes, quæ sit dispensátio sacraménti abscónditi a sǽculis in Deo, qui ómnia creávit: ut innotéscat principátibus et potestátibus in cœléstibus per Ecclésiam multifórmis sapiéntia Dei, secúndum præfinitiónem sæculórum, quam fecit in Christo Jesu, Dómino nostro, in quo habémus fidúciam et accéssum in confidéntia per fidem ejus. Hujus rei grátia flecto génua mea ad Patrem Dómini nostri Jesu Christi, ex quo omnis patérnitas in cœlis ei in terra nominátur, ut det vobis, secúndum divítias glóriæ suæ, virtúte corroborári per Spíritum ejus in interiórem hóminem, Christum habitáre per fidem in córdibus vestris: in caritáte radicáti et fundáti, ut póssitis comprehéndere cum ómnibus sanctis, quæ sit latitúdo, et longitúdo, et sublímitas, et profúndum: scire étiam supereminéntem sciéntiæ caritátem Christi, ut impleámini in omnem plenitúdinem Dei.

[Fratelli: A me, minimissimo di tutti i santi è stata data questa grazia di annunciare tra le genti le incomprensibili ricchezze del Cristo, e svelare a tutti quale sia l’economia del mistero nascosto da secoli in Dio, che ha creato tutte cose: onde i principati e le potestà celesti, di fronte allo spettacolo della Chiesa, conoscano oggi la multiforme sapienza di Dio, secondo la determinazione eterna che Egli ne fece nel Cristo Gesù, Signore nostro: nel quale, mediante la fede, abbiamo l’ardire di accedere fiduciosamente a Dio. A questo fine piego le mie ginocchia dinanzi al Padre del Signore nostro Gesù Cristo, da cui tutta la famiglia e in cielo e in terra prende nome, affinché conceda a voi, secondo l’abbondanza della sua gloria, che siate corroborati in virtù secondo l’uomo interiore per mezzo del suo Spirito. Il Cristo abiti nei vostri cuori mediante la fede, affinché, ben radicati e fondati nella carità, possiate con tutti i santi comprendere quale sia la larghezza, la lunghezza e l’altezza e la profondità di quella carità del Cristo che sorpassa ogni concetto, affinché siate ripieni di tutta la grazia di cui Dio è pienezza inesauribile.]

Graduale

Ps XXIV:8-9
Dulcis et rectus Dóminus: propter hoc legem dabit delinquéntibus in via.
V. Díriget mansúetos in judício, docébit mites vias suas.

[Il Signore è buono e retto, per questo addita agli erranti la via.
V. Guida i mansueti nella giustizia e insegna ai miti le sue vie.]
Mt XI: 29

ALLELUJA

Allelúja, allelúja. Tóllite jugum meum super vos, et díscite a me, quia mitis sum et húmilis Corde, et inveniétis réquiem animábus vestris. Allelúja.

[Allelúia, allelúia. Prendete sopra di voi il mio giogo ed imparate da me, che sono mite ed umile di Cuore, e troverete riposo alle vostre anime. Allelúia

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Joánnem.
Joannes XIX: 31-37
In illo témpore: Judǽi – quóniam Parascéve erat, – ut non remanérent in cruce córpora sábbato – erat enim magnus dies ille sábbati, – rogavérunt Pilátum, ut frangeréntur eórum crura, et tolleréntur. Venérunt ergo mílites: et primi quidem fregérunt crura et alteríus, qui crucifíxus est cum eo. Ad Jesum autem cum veníssent, ut vidérunt eum jam mórtuum, non fregérunt ejus crura, sed unus mílitum láncea latus ejus apéruit, et contínuo exívit sanguis et aqua. Et qui vidit, testimónium perhíbuit: et verum est testimónium ejus. Et ille scit quia vera dicit, ut et vos credátis. Facta sunt enim hæc ut Scriptúra implerétur: Os non comminuétis ex eo. Et íterum alia Scriptúra dicit: Vidébunt in quem transfixérunt.

[In quel tempo: I Giudei, siccome era la Parasceve, affinché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato – era un gran giorno quel sabato – pregarono Pilato che fossero rotte loro le gambe e fossero deposti. Andarono dunque i soldati e ruppero le gambe ad entrambi i crocifissi al fianco di Gesù. Giunti a Gesù, e visto che era morto, non gli ruppero le gambe: ma uno dei soldati gli aprì il fianco con una lancia, e subito ne uscì sangue e acqua. E chi vide lo attesta: testimonianza verace di chi sa di dire il vero: affinché voi pure crediate. Tali cose sono avvenute affinché si adempisse la Scrittura: Non romperete alcuna delle sue ossa. E si avverasse l’altra Scrittura che dice: Volgeranno gli sguardi a colui che hanno trafitto.]

OMELIA

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956.

FATE IL CUORE NOSTRO SIMILE AL VOSTRO

Viveva or sono molti anni, forse settecento, una santa di nome Ludgarda. Di lei non si potrà mai dimenticare una gentile e meravigliosa storia. Per le sue aspre penitenze e il molto amore, Dio le aveva fatto grazia di guarire i malati: a volte bastava che le sue mani bianche d’innocenza toccassero le piaghe perché rimarginassero; ed a volte bastava che l’ombra della sua persona sottile sfiorasse un infermo perché balzasse sanato da un male che né medici né medicine avevano potuto alleviare. Sicché da ogni parte si accorreva a lei, e tanta ressa si faceva alla porta del suo monastero, che non le restò più un’ora né  del giorno né della notte, per pregare in pace. Allora la Santa disse al Signore così: « A che scopo, Signore, questa grazia se m’impedisce di trattenermi intimamente con voi? Toglietemela: in modo però da cambiarmela in meglio ». Le rispose il Signore: « Che cosa vuoi in cambio? ». Ella supplicò: « Vorrei, per mia maggior devozione, diventar tanto intelligente da capire i salmi latini che leggo nel mio salterio ». E fu esaudita. Ora, davanti all’altare, santa Ludgarda leggeva e rileggeva con insaziabile dolcezza il salterio; le si illuminavano d’ogni più riposto senso le parole oscure, i versetti astrusi. Tutto capiva, anche quello che i dottori patentati allo Studio di Parigi o di Colonia non avrebbero mai potuto capire. Ma non durò molto in questa consolazione: s’accorse che il profitto non era così grande come se l’era immaginato, e restava un angolo di vuoto nella sua anima. Per ciò disse ancora al Signore: « A me, che sono ignorante e semplice, cosa giova conoscere i segreti della Scrittura? ». « Che cosa vuoi dunque? ». « Voglio il vostro Cuore, per possedere l’amore che v’è dentro ». « Questo, — rispose Gesù, — non è possibile, se prima non mi dài il tuo Cuore ». Offrendoglielo, tutta tremante, la santa esclamò: « E così sia, Signore! ». Cristiani, ciò che più vale non è essere scienziati e neanche compir miracoli; ma per tutti è necessario amar il Signore ed offrirgli il proprio cuore. Chi non possiede l’amore di Dio, non conosce Dio, il quale è Amore. Chi non conosce quest’amore non è Cristiano vero, perché i Cristiani sono quelli che conobbero e credettero nell’amore. Ma nessuno meglio di S. Paolo può commentarci l’episodio di S. Ludgarda. « Se distribuissi ai poveri tutte le mie sostanze fino all’ultimo quattrino, se anche mi buttassi nel fuoco per salvare qualcuno e bruciassi al suo posto, ma non avessi l’amore di Dio, non guadagnerei nulla; sapessi parlare le lingue degli uomini e quelle degli Angeli, ma non avessi l’amore di Dio, non sarei diverso da una campana squillante o da un tamburo battente. Fossi profeta che legge il futuro, fossi scienziato che scopre i misteri dell’universo, trasportassi perfino le montagne, se non ho l’amore di Dio, sono un bel niente ». Qualcuno potrà pensare: — Come posso amare Dio, se Egli abita una luce inaccessibile, e mai nessuno l’ha potuto vedere? — È vero; ma Egli si è abbassato fino a noi nel suo Figlio fatto uomo. E Gesù dischiuse una strada corta e facile per condurci tutti all’amore. Quando la lancia del soldato, passando tra costa e costa, squarciò il divinissimo Cuore, il cammino fu aperto. Per esso mettiamoci: entriamo, tremando, adorando, nel Cuore di Gesù. Osserviamo i suoi palpiti, i suoi sentimenti, per accodarvi quelli del nostro povero e fangoso cuore. Due sono i palpiti essenziali del sacro Cuore di Gesù: uno di religione verso il Padre, uno d’amore Verso gli uomini. Sono questi due palpiti che devono battere il ritmo anche al nostro polso. – 1. PALPITO DI RELIGIONE VERSO IL PADRE. Le creature, non essendo che un nulla coperto di polvere e di peccato e d’ignoranza, non sono capaci di adorare Iddio come conviene alla sua eccelsa maestà. Ora, Nostro Signore s’è fatto uomo appunto perché ci fosse un cuor di carne come il nostro, ma capace di rendere a Dio un omaggio degno. I falsi omaggi. Non occorre ricordare quante idee sbagliate di Dio la gente s’era fatte. Alcuni se l’erano immaginato come un grande Assente che dopo aver creato il mondo s’era ritirato in alto in alto, abbandonando tutto, disinteressandosi di tutto, dimentico di tutto. Così quaggiù ogni uomo poteva vivere per sé, a suo piacimento, senza un ricordo per l’Assente: bastava non offenderlo. Altri se l’erano immaginato come un Tiranno inesorabile che aveva emanato i suoi difficili comandamenti (i rabbini ne contavano 613) e poi s’era messo in vedetta, pronto con tuoni, con folgori, con diluvi, con incendi, con pestilenze e guerre a sterminare i trasgressori. Così gli uomini davanti a Lui non avevano palpito se non di paura, come quello dello schiavo davanti al suo proprietario, o del cane davanti al bastone. Altri infine avevano penetrato Dio come un Padrone giusto e obbligato a stipendiare con ricompense materiali le loro prestazioni. Così i loro omaggi erano tutti in forma: di meschini contratti: « Ti dò questo, se mi dai quello ». Uno di costoro è il fariseo della parabola, che con ostentazione snocciolava le sue opere di pietà: — Io digiuno tre volte alla settimana, pago puntualmente la decima…; e aspettava che Dio lo ricompensasse al più presto con adeguate controprestazioni. L’omaggio del Cuore di Gesù. Ma venne finalmente un cuore capace di adorare Dio: fu l’unico vero turibolo che dalla terra levasse al Cielo l’incenso dell’adorazione perfetta. — Esso è cuore di vero uomo. Per ciò si pone davanti a Dio come creatura davanti all’Onnipotente del Cielo e della terra, dei visibili e degli invisibili. Chi può descrivere i suoi palpiti di umiliazione, di sommissione, di sacrificio? « Ecco: son venuto spontaneamente a sostituirmi ai sacrifici che ti spiacquero; mi sono offerto e consacrato per immolarmi a gloria tua, in luogo delle vittime, per il peccato ». E si consuma in questa religiosa riconoscenza del Dio onnipotente. Per sé non ha più nome, per sé non ha più desideri né interessi: « solo il regno di Dio venga »; per sé non ha tenuto neppure la propria volontà, ma l’ha inserita energicamente in quella di Dio: « Non la mia volontà si compia, bensì la tua. Mio cibo è fare la volontà di Colui che mi ha mandato ». — Ma il Cuore di Gesù è anche di vero Figlio di Dio. Perciò non solo i suoi palpiti di adorazione acquistano un valore infinito, ma diventano anche tenerissimi d’amore filiale. L’Onnipotente è suo Padre vero. Non è il gelido Assente, ma lo vede in ogni momento, dappertutto lo sente, lo ama. Se discendendo nella valle scorge ai margini un bianco giglio, il cuore gli sobbalza e gli fa dire: « Osservate: non fila né tesse, eppure di che bianco velluto è coperto! È mio Padre che lo veste ». Se uno stormo di passeri attraversa il cielo, con un segreto impeto di gioia li guarda ed esclama: « Osservate: non seminano, non mietono. È mio Padre che li nutre: nessun passero muore senza ch’Egli lo sappia ». Se il cielo della mattina, tutto rosso, preannunzia la pioggia, oppure un’alba freschissima promette una giornata serena, il suo cuore trema di riconoscenza e gli fa dire: « È mio Padre che manda il sole e la pioggia ». Se gli avviene, accarezzando la testa d’un bambino, di solcare con le dita i folti riccioli, subito trasale e pensa che suo Padre « ha contato fino all’ultimo i capelli che ogni uomo porta sul capo ». Come l’ago calamitato è costantemente volto a settentrione, così tutto il suo Sacro Cuore è orientato verso il Padre onnipotente. Padre e non tiranno; Padre e non padrone. Perciò, qualsiasi cosa capiti, Egli non si conturba mai. « Colui che m’ha mandato è con me, e non mi lascia solo, ed io faccio sempre ciò che piace a Lui ». E se capita la sofferenza, dal momento che è il Padre che gliela manda, è buona la sofferenza e beati sono quelli che piangono, beati quelli che sono perseguitati, beati i poveri! E se capita la morte, Egli « ubbidiente fino alla morte, anzi fino alla morte di croce », esclama: « Affinché il mondo conosca che Io amo il Padre, e che faccio come mi comanda, su, andiamo via di qui, andiamo a morire! ». I nostri omaggi. Poiché il Cuore di Gesù è la regola d’ogni cuore umano, se vogliamo piacere a Dio Padre, dobbiamo accordare i nostri palpiti a quelli del Sacratissimo Cuore. Imparando dal suo Cuore umile e mite, troveremo la pace delle anime nostre. Dunque anche i nostri devono essere palpiti di creatura davanti al Creatore onnipotente. Bisogna praticamente persuaderci che non siamo noi i padroni di noi stessi, che non siamo al mondo per i nostri perversi piaceri, ma unicamente per dare gloria a Dio, per conoscerlo e servirlo. Inoltre i nostri palpiti devono essere di figlio davanti a un vero Padre. Per ciò: 1) Dobbiamo ricordarci di Lui con affettuosa preghiera, ogni mattino ed ogni sera. Che pena, quando s’incontrano Cristiani che non pregano mai come se non avessero mai avuto un Padre nei cieli! 2) Dobbiamo sentire riconoscenza d’ogni utile o bella posa ch’Egli ci dona: della vita, della salute, della famiglia; del sole col quale ci illumina, del fuoco col quale ci riscalda; dell’acqua che beviamo, della terra che coltiviamo… 3) Dobbiamo infine credere al suo amore immenso quando Egli ce lo nasconde dentro alle afflizioni. Il bambino piange e soffre se la mamma lo costringe a sorbire la medicina amara, pure la beve con fiducia perché sente che non può essere veleno e che dopo gli verrà un gran bene. Bisogna crederlo, Cristiani: ogni tribolazione che Dio manda è una medicina amara ma efficace. Dio è Padre, e non fa soffrire nessuno per niente. Soltanto quando ci sforzeremo di sentire in noi quello che Gesù sente in sé, potremo mettere nel suo Cuore, fornace ardente, il nostro cuore piccolo come un granello d’incenso perché bruci davanti a Dio in odore di soavità. Allora i nostri omaggi diverranno una sol cosa con gli omaggi dell’Unigenito di Dio, e Dio Padre sarà amato e glorificato come desidera. – 2. PALPITI D’AMORE VERSO GLI UOMINI. Con tre parole si possono ricapitolare tutti i palpiti d’amore che Gesù ha per gli uomini: Incarnazione, Crocifissione, Eucaristia. Incarnazione. Immaginate un empio che il re sia stato costretto a condannare a morte. Mentre è trascinato per la via verso il supplizio, dall’alta finestra del palazzo reale il figlio unico del re guarda. E tanto amor di compassione lo prende al cuore, egli discende nella strada per mettersi al posto del condannato e morire in sua vece. Ma prima però, perché la cosa fosse possibile, nasconde lo splendore delle sue vesti gemmate sotto il rosso mantello d’un qualsiasi manuale. È gran miracolo se a questo mondo si trova uno cui basti il cuore di morire per un innocente, eppure a Lui è bastato il cuore di morir per un empio, e quell’empio eravamo noi, e quel cuore pazientissimo in amare è il Cuore di Gesù, di Colui che nascose la sua sfolgorante divisa nella carne per farsi uomo come noi, e morire in vece di noi. E non solo incarnandosi ci ha liberati dalla dannazione, ma ci ha resi figli del re, cioè di Dio, come che ci introduce nel palazzo del re, cioè il Paradiso, come in casa nostra. Crocifissione. Per la redenzione, non era necessario che Egli morisse: sarebbe bastato un solo sospiro di bocca, una lacrima, una goccia di sangue era quello che bastava alla nostra salvezza, non c’era bisogno della suprema prova dell’amore: la morte. Dopo una notte d’agonia e d’ingiurie, dopo una crudele flagellazione, per tre ore resiste inchiodato sulla croce. S. Brigida ebbe una rivelazione impressionante. Gesù le confidò nell’estasi che non è morto per il dolore, ma per l’amore. In quegli estremi istanti, fu sorpreso da un impeto d’amore per gli uomini, così veemente che il suo cuore si spezzò, ed emise lo spirito. Eucaristia. Perché il suo Cuore di carne rimanesse veramente vicino a noi per sempre, Gesù ha istituito la santa Eucaristia. Così ad ogni momento può rivolgere dall’altare quel dolcissimo invito: « Voi che soffrite e siete faticati, venite da me che vi ristorerò ». Né il timore della nostra indegnità ci tenga distanti dal suo Cuore Eucaristico, dal quale ancora sgorga la consolante parola: « Non son venuto per i giusti ma per i peccatori; sono gli ammalati che hanno bisogno del medico ». Se un padre è angosciato, s’accosti a questo divin Cuore palpitante di compassione dietro i veli dell’ostia, e si udrà ripetere come al capo della sinagoga: « Non temere: soltanto credi nel mio amore ». Se una mamma piange per un suo grande dolore, il Cuor di Gesù non sa resistere e tremante di pietà le s’avvicina, come un giorno alla donna di Naim, e le mormora: « Non piangere così! ». Quando alla Somenica la folla riempie le chiese, e ciascuno gli confida i secreti crucci della settimana, ancora il brivido della compassione assale il suo Cuore. Ancora ha tenerissimi palpiti per i bambini. Io credo che se un bimbo innocente s’avvicina al suo altare, Egli, non visto, ancora se lo stringe in grembo, e, non udito, ancora esclama: « Se non vi farete piccoli così da lasciarvi abbracciare sul mio Cuore, non entrerete nel regno dei cieli ». Quante volte mirando la bianca fede dei nostri fanciulli, il cuore ridondante di gioia gli erompe in un caldo inno di lode « Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti ed agli intelligenti e le hai manifestate ai piccoli ». — Pensino bene i genitori quanto amaro dispiacere fanno al Sacro Cuore, qualora trascurassero di avvicinare a Lui i propri figliuoli! Né le sue delicate preferenze per i malati, il Cuore di Gesù le ha smesse nell’Eucaristia. È quel medesimo Cuore che non era capace di mettersi a mangiare, se prima non avesse guarito l’ammalato ch’era entrato nella stanza. Ancora, Egli le più tenere e più squisite parole le rivolge ai sofferenti: « Figlio mio! Figlia mia!» Si pensi alla crudeltà di coloro che ritardano agli infermi il conforto del Cuore divino! Si pensi all’enorme sacrilegio di chi lasciasse morire un Cristiano senza la Comunione! – Quanto infinitamente lontano è il nostro misero cuore da quello di Gesù! Quanto poco amore del nostro prossimo, quanto poco amore di Dio,  lo fa palpitare! E invece quanto troppo amore di noi stessi… Ss. Ignazio ottenne grazia di cambiare il suo cuore d’uomo terreno ed ottenerne uno nuovo, celeste, ardentissimo, in tutto simile a quello di Gesù! È ben questo che al Cuore di Gesù dobbiamo chiedere nella sua festa. Che ci cambi il vecchio cuore egoistico, sensuale, pietroso, e ci dia un cuore nuovo, che ami Iddio Padre come Egli l’ama, che ami il prossimo come Egli l’ama. Per ciò lo supplichiamo come già lo supplicarono, pieni di fede, i nostri antichi padri: « Dischiuditi, piaga purpurea, lasciami dentro passare! Dischiuditi, rosa del Cuore, che esali profumo incantevole! Che il mio cuore s’accordi al tuo Cuore ».

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps LXVIII: 21

Impropérium exspectávi Cor meum et misériam: et sustínui, qui simul mecum contristarétur, et non fuit: consolántem me quæsívi, et non invéni.

[Obbrobrii e miserie si aspettava il mio Cuore; ed attesi chi si rattristasse con me: e non vi fu; cercai che mi consolasse e non lo trovai.]

Secreta

Réspice, quǽsumus, Dómine, ad ineffábilem Cordis dilécti Fílii tui caritátem: ut quod offérimus sit tibi munus accéptum et nostrórum expiátio delictórum.

[Guarda, Te ne preghiamo, o Signore, all’ineffabile carità del Cuore del Tuo Figlio diletto: affinché l’offerta che Ti facciamo sia gradita a Te e giovi ad espiazione dei nostri peccati].

Præfatio
de sacratissimo Cordis Jesu

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui Unigénitum tuum, in Cruce pendéntem, láncea mílitis transfígi voluísti: ut apértum Cor, divínæ largitátis sacrárium, torréntes nobis fúnderet miseratiónis et grátiæ: et, quod amóre nostri flagráre numquam déstitit, piis esset réquies et poeniténtibus pater et salútis refúgium. Et ídeo cum Angelis et Archángelis, cum Thronis et Dominatiónibus cumque omni milítia coeléstis exércitus hymnum glóriæ tuæ cánimus, sine fine dicéntes:

 [È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: Che hai voluto che il tuo Unigenito, pendente dalla croce, fosse trafitto dalla lancia del soldato, così che quel cuore aperto, sacrario della divina clemenza, effondesse su di noi torrenti di misericordia e di grazia; e che esso, che mai ha cessato di ardere d’amore per noi, fosse pace per le anime pie e aperto rifugio di salvezza per le ànime penitenti. E perciò con gli Angeli e gli Arcangeli, con i Troni e le Dominazioni, e con tutta la milizia dell’esercito celeste, cantiamo l’inno della tua gloria, dicendo senza fine:

Sanctus….

Preparatio Communionis
Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Joannes XIX: 34

Unus mílitum láncea latus ejus apéruit, et contínuo exívit sanguis et aqua.

[Uno dei soldati gli aprì il fianco con una lancia, e subito ne uscì sangue e acqua.]

Postcommunio

Orémus.
Prǽbeant nobis, Dómine Jesu, divínum tua sancta fervórem: quo dulcíssimi Cordis tui suavitáte percépta;
discámus terréna despícere, et amáre cœléstia:

[O Signore Gesù, questi santi misteri ci conferiscano il divino fervore, mediante il quale, gustate le soavità del tuo dolcissimo Cuore, impariamo a sprezzare le cose terrene e ad amare le cose celesti]

ACTUS REPARATIONIS ET CONSECRATIONIS

Iesu dulcissime, cuius effusa in homines caritas, tanta oblivione, negligentia, contemptione, ingratissime rependitur, en nos, ante altaria [an: conspectum tuum] tua provoluti, tam nefariam hominum socordiam iniuriasque, quibus undique amantissimum Cor tuum afficitur, peculiari honore resarcire contendimus. Attamen, memores tantæ nos quoque indignitatis non expertes aliquando fuisse, indeque vehementissimo dolore commoti, tuam in primis misericordiam nobis imploramus, paratis, voluntaria expiatione compensare flagitia non modo quæ ipsi patravimus, sed etiam illorum, qui, longe a salutis via aberrantes, vel te pastorem ducemque sectari detrectant, in sua infìdelitate obstinati, vel, baptismatis promissa conculcantes, suavissimum tuæ legis iugum excusserunt. Quæ deploranda crimina, cum universa expiare contendimus, tum nobis singula resarcienda proponimus: vitæ cultusque immodestiam atque turpitudines, tot corruptelæ pedicas innocentium animis instructas, dies festos violatos, exsecranda in te tuosque Sanctos iactata maledicta àtque in tuum Vicarium ordinemque sacerdotalem convicia irrogata, ipsum denique amoris divini Sacramentum vel neglectum vel horrendis sacrilegiis profanatum, publica postremo nationum delicta, quæ Ecclesiæ a te institutæ iuribus magisterioque reluctantur. Quæ utinam crimina sanguine ipsi nostro eluere possemus! Interea ad violatum divinum honorem resarciendum, quam Tu olim Patri in Cruce satisfactionem obtulisti quamque cotidie in altaribus renovare pergis, hanc eamdem nos tibi præstamus, cum Virginis Matris, omnium Sanctorum, piorum quoque fìdelium expiationibus coniunctam, ex animo spondentes, cum præterita nostra aliorumque peccata ac tanti amoris incuriam firma fide, candidis vitæ moribus, perfecta legis evangelicæ, caritatis potissimum, observantia, quantum in nobis erit, gratia tua favente, nos esse compensaturos, tum iniurias tibi inferendas prò viribus prohibituros, et quam plurimos potuerimus ad tui sequelam convocaturos. Excipias, quæsumus, benignissime Iesu, beata Virgine Maria Reparatrice intercedente, voluntarium huius expiationis obsequium nosque in officio tuique servitio fidissimos ad mortem usque velis, magno ilio perseverantiæ munere, continere, ut ad illam tandem patriam perveniamus omnes, ubi Tu cum Patre et Spiritu Sancto vivis et regnas in sæcula sæculorum.

Amen.

[ATTO DI RIPARAZIONE AL SACRATISSIMO CUORE DI GESÙ

Gesù dolcissimo, il cui immenso amore per gli uomini viene con tanta ingratitudine ripagato di oblìo, di trascuratezza, di disprezzo, ecco che noi prostrati dinanzi ai tuoi altari intendiamo riparare con particolari attestazioni di onore una così indegna freddezza e le ingiurie con le quali da ogni parte viene ferito dagli uomini l’amantissimo tuo Cuore.

Ricordando però che noi pure altre volte ci macchiammo di tanta indegnità e provandone vivissimo dolore, imploriamo anzitutto per noi la tua misericordia, pronti a riparare con volontaria espiazione, non solo i peccati commessi da noi, ma anche quelli di coloro che errando lontano dalla via della salute, o ricusano di seguire Te come pastore e guida ostinandosi nella loro infedeltà, o calpestando le promesse del Battesimo hanno scosso il soavissimo giogo della tua legge.

E mentre intendiamo espiare tutto il cumulo di sì deplorevoli delitti, ci proponiamo di ripararli ciascuno in particolare: l’immodestia e le brutture della vita e dell’abbigliamento, le tante insidie tese dalla corruttela alle anime innocenti, la profanazione dei giorni festivi, le ingiurie esecrande scagliate contro Te e i tuoi Santi, gli insulti lanciati contro il tuo Vicario e l’ordine sacerdotale, le negligenze e gli orribili sacrilegi ond’è profanato lo stesso Sacramento dell’amore divino, e infine le colpe pubbliche delle nazioni che osteggiano i diritti e il Magistero della Chiesa da Te fondata.

Oh! potessimo noi lavare col nostro sangue questi affronti! Intanto, come riparazione dell’onore divino conculcato, noi Ti presentiamo — accompagnandola con le espiazioni della Vergine Tua Madre, di tutti i Santi e delle anime pie — quella soddisfazione che Tu stesso un giorno offristi sulla croce al Padre e che ogni giorno rinnovi sugli altari: promettendo con tutto il cuore di voler riparare, per quanto sarà in noi e con l’aiuto della tua grazia, i peccati commessi da noi e dagli altri e l’indifferenza verso sì grande amore con la fermezza della fede, l’innocenza della vita, l’osservanza perfetta della legge evangelica specialmente della carità, e d’impedire inoltre con tutte le nostre forze le ingiurie contro di Te, e di attrarre quanti più potremo al tuo sèguito. Accogli, Te ne preghiamo, o benignissimo Gesù, per intercessione della Beata Vergine Maria Riparatrice, questo volontario ossequio di riparazione, e conservaci fedelissimi nella tua ubbidienza e nel tuo servizio fino alla morte col gran dono della perseveranza, mercé il quale possiamo tutti un giorno pervenire a quella patria, dove Tu col Padre e con lo Spirito Santo vivi e regni, Dio, per tutti i secoli dei secoli. Così sia.] .

Indulgentia quinque annorum.

Indulgentia plenaria, additis sacramentali confessione, sacra Communione et alicuius ecclesiæ aut publici oratorii visitatione, si quotidie per integrum mensem reparationis actus devote recitatus fuerit.

Fidelibus vero, qui die festo sacratissimi Cordis Iesu in qualibet ecclesia aut oratorio etiam (prò legitime utentibus) semipublico, adstiterint eidem reparationis actui cum Litaniis sacratissimi Cordis, coram Ssmo Sacramento sollemniter exposito, conceditur:

Indulgentia septem annorum;

Indulgentia plenaria, dummodo peccata sua sacramentali pænitentia expiaverint et eucharisticam Mensam participaverint (S. Pæn. Ap., 1 iun. 1928 et 18 mart. 1932).

[Indulg. 5 anni; 7 anni nel giorno della festa – Plenaria se recitata per un mese con Confessione, Comunione, Preghiera per le intenzioni del Sommo Pontefice, visita di una chiesa od oratorio pubblico. – Nel giorno della festa del Sacratissimo Cuore di Gesù, 7 anni, e se confessati e comunicati, recitata con le litanie de Sacratissimo Cuore, davanti al SS. Sacramento solennemente esposto: Indulgenza plenaria].

LITANIA SACRATISSIMI CORDIS IESU

Tit. XI, cap. II

Indulg. septem annorum; plenaria suetis condicionibus, dummodo cotidie per integrum mensem litania, cum versiculo et oratione pia mente repetita fuerint.

Pius Pp. XI, 10 martii 1933

KYRIE, eléison.

Christe, eléison.

Kyrie, eléison.

Christe, audi nos.

Christe, exàudi nos.

Pater de cælis, Deus, miserére nobis.

Fili, Redémptor mundi, Deus, miserére.

Spiritus Sancte, Deus, miserére.

Sancta Trinitas, unus Deus, miserére nobis.

Cor Iesu, Filii Patris ætèrni, miserére.

Cor Iesu, in sinu Virginis Matris a Spiritu Sancto formàtum, miserére.

Cor Iesu, Verbo Dei substantiàliter unitum, miserére.

Cor Iesu, maiestàtis infinitæ, miserére nobis.

Cor Iesu, templum Dei sanctum, miserére.

Cor Iesu, tabernàculum Altissimi, miserére.

Cor Iesu, domus Dei et porta cæli, miserére.

Cor Iesu, fornax ardens caritàtis, miserére.

Cor Iesu, iustitiæ et amóris receptàculum, miserére.

Cor Iesu, bonitàte et amóre plenum, miserére.

Cor Iesu, virtùtum omnium abyssus, miserére.

Cor Iesu, omni laude dignissimum, miserére.

Cor Iesu, rex et centrum omnium córdium, miserére.

Cor Iesu, in quo sunt omnes thesàuri sapiéntiæ et sciéntias, miserére.

Cor Iesu, in quo habitat omnis plenitùdo divinitàtis, omiserére.

Cor Iesu, in quo Pater sibi bene complàcuit,miserére.

Cor Iesu, de cuius plenitudine omnes nos accépimus, miserére.

Cor Iesu, desidérium cóllium æternórum, miserére.

Cor Iesu, pàtiens et multæ misericórdiaæ, miserére.

Cor Iesu, dives in omnes qui invocant te, miserére.

Cor Iesu, fons vitae et sanctitàtis, miserére nobis.

Cor Iesu, propitiàtio prò peccàtis nostris, miserére.

Cor Iesu, saturàtum oppróbriis, miserére.

Cor Iesu, attritum propter scelera nostra, miserére.

Cor Iesu, usque ad mortem obédiens factum, miserére.

Cor Iesu, làncea perforàtum, miserére.

Cor Iesu, fons totius consolatiónis, miserére.

Cor Iesu, vita et resurréctio nostra, miserére.

Cor Iesu, pax et reconciliàtio nostra, miserére.

Cor Iesu, victima peccatórum, miserére.

Cor Iesu, salus in te speràntium, miserére.

Cor Iesu, spes in te moriéntium, miserére.

Cor Iesu, deliciæ Sanctórum omnium, miserére.

Agnus Dei, qui tollis peccata mundi,parce nobis, Dòmine.

Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, exàudi nos, Dòmine,

Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, miserére nobis.

V. Iesu, mitis et hùmilis Corde.

R. Fac cor nostrum secùndum Cor tuum.

Orèmus.

Ominipotens sempitèrne Deus, réspice in Cor dilectissimi Filii tui, et in laudes et satisfactiónes, quas in nòmine peccatórum tibi persólvit, iisque misericórdiam tuam peténtibus tu véniam concede placàtus, in nòmine eiùsdem Filii tui Iesu Christi:

Qui tecum vivit et regnat in sæcula sæculórum.

R. Amen.

[Litanie del S. Cuore di Gesù

(Signore, abbi pietà di noi

Cristo, abbi pietà di noi.

Signore, abbi pietà di no:

Cristo, ascoltaci

Cristo, esaudiscici.

Dio, Padre celeste, abbi pietà di noi (ogni volta)

Dio, Figlio Redentore del mondo, abbi …

Dio, Spirito Santo, ….

Santa Trinità, unico Dio …

Cuore di Gesù, Figlio dell’Eterno Padre, abbi pietà di noi (ogni volta)

Cuore di Gesù, formato dallo Spirito Santo nel seno della Vergine Madre …

Cuore di Gesù, sostanzialmente unito al Verbo di Dio …

Cuore di Gesù, di maestà infinita …

Cuore di Gesù, tempio santo di Dio …

Cuore di Gesù, tabernacolo dell’Altissimo, …

Cuore di Gesù, casa di Dio e porta del Cielo, …

Cuore di Gesù, fornace ardente di carità, …

Cuore di Gesù, ricettacolo di giustizia e di amore, …

Cuore di Gesù, pieno di bontà e di amore, …

Cuore di Gesù, abisso di ogni virtù, …

Cuore di Gesù, degnissimo di ogni lode, …

Cuore di Gesù, Re e centro di tutti i cuori, …

Cuore di Gesù, in cui sono tutti i tesori di sapienza e di scienza, …

Cuore di Gesù, in cui abita la pienezza della divinità, …

Cuore di Gesù, in cui il Padre ha posto le sue compiacenze, …

Cuore di Gesù, dalla cui abbondanza noi tutti ricevemmo, …

Cuore di Gesù, desiderio dei colli eterni, …

Cuore di Gesù, paziente e misericordiosissimo, …

Cuore di Gesù, ricco con tutti coloro che ti invocano, …

Cuore di Gesù, fonte di vita e di santità, …

Cuore di Gesù, propiziazione pei peccati nostri. …

Cuore di Gesù, satollato di obbrobrii, …

Cuore di Gesù, spezzato per le nostre scelleratezze, …

Cuore di Gesù, fatto obbediente sino alla morte, …

Cuore di Gesù, trapassato dalla lancia, …

Cuore di Gesù, fonte d’ogni consolazione,

Cuore di Gesù, vita e risurrezione nostra, …

Cuore di Gesù, pace e riconciliazione nostra. …

Cuore di Gesù, vittima dei peccati, …

Cuore di Gesù, salute di chi in Te spera, …

Cuore di Gesù, speranza di chi in Te muore, …

Cuore di Gesù, delizia di tutti i Santi, …

Agnello di Dio che togli peccati del mondo, perdonaci o Signore.

Agnello di Dio che togli peccati del mondo, esaudiscici, o Signore

Agnello di Dio che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi.

V. Gesù, mansueto e umile di cuore,

R. Rendi il nostro cuore simile al tuo.

Preghiamo

O Dio onnipotente ed eterno, guarda al Cuore del tuo dilettissimo Figlio, alle lodi ed alle soddisfazioni che Esso ti ha innalzato, e perdona clemente a tutti coloro che ti chiedono misericordia nel nome dello stesso tuo Figlio Gesù Cristo, che vive e regna con te, Dio, in unità con lo Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli.

R. Così sia.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa).

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA.

FESTA DEL CORPUS DOMINI (2023)

FESTA DEL CORPUS DOMINI (2023)

Doppio di I cl. con Ottava privilegiata di 2° ordine.

Paramenti bianchi.

Dopo il dogma della SS. Trinità, lo Spirito Santo ci rammenta quello dell’Incarnazione di Gesù, facendoci celebrare con la Chiesa il Sacramento per eccellenza che, riepilogando tutta la vita del Salvatore, dà a Dio gloria infinita e applica alle anime in tutti i momenti i frutti della Redenzione (Or.) ». Gesù ci ha salvati sulla Croce e l’Eucarestia, istituita alla vigilia della passione di Cristo, ne è il perpetuo ricordo (Or.). L’altare è il prolungamento del Calvario, la Messa annuncia « la morte del Signore » (Ep.). Infatti Gesù vi si trova allo stato di vittima; poiché le parole della doppia consacrazione ci mostrano che il pane si è cambiato in Corpo di Cristo, e il vino in Sangue di Cristo; di modo che per ragione di questa doppia consacrazione, che costituisce il Sacrificio della Messa, le specie del pane hanno una ragione speciale a chiamarsi « Corpo di Cristo», benché contengano Cristo tutto intero, poiché Egli non può morire, e le specie del vino una ragione speciale a chiamarsi « Sangue di Cristo », per quanto anche esse contengano Cristo tutt’intero. E così il Salvatore stesso, che è il Sacerdote principale della Messa, offre con Sacrificio incruento, nel medesimo tempo che i suoi Sacerdoti, il suo Corpo e il suo Sangue che realmente furono separati sulla croce, e che sull’altare lo sono in maniera rappresentativa o sacramentale. – D’altra parte si vede che l’Eucarestia fu istituita sotto forma di cibo (All.) perché possiamo unirci alla vittima del Calvario. L’Ostia santa diviene così il « frumento che nutre le nostre anime » (Intr.). E a quel modo che il Cristo, come Figlio di Dio, riceve la vita eterna dal Padre, così i Cristiani partecipano a questa vita eterna (Vang.) unendosi a Gesù mediante il Sacramento che è il Simbolo dell’unità (Secr.). Così, questo possesso anticipato della vita divina sulla terra mediante l’Eucarestia, è pegno e principio di quella di cui gioiremo pienamente in Cielo (Postcom.). « Il medesimo pane degli Angeli che noi mangiamo ora sotto le sacre specie, dice il Concilio di Trento, ci alimenterà in Cielo senza veli », poiché saremo faccia a faccia nel Cielo, con Colui che contempliamo ora con gli occhi della fede sotto le specie eucaristiche. – Consideriamo la Messa come centro di tutto il culto eucaristico della Chiesa; consideriamo nella Comunione il mezzo stabilito da Gesù per farci partecipare più pienamente a questo divino Sacrifizio; così la nostra devozione verso il Corpo e il Sangue del Salvatore ci otterrà efficacemente i frutti della sua redenzione. Per comprendere il significato della Processione che segue la Messa, richiamiamo alla mente come gli Israeliti onorassero l’Arca d’Alleanza che simboleggiava la presenza di Dio in mezzo a loro. Quando essi eseguivano le loro marce trionfali, l’Arca santa avanzava portata dai leviti, in mezzo ad una nuvola d’incenso, al suono degli strumenti di musica, di canti, e di acclamazioni di una folla entusiasta. Noi Cristiani abbiamo un tesoro molto più prezioso, perché nell’Eucaristia possediamo Dio stesso. Siamo dunque santamente fieri di fargli scorta ed esaltiamo, per quanto è possibile, il suo trionfo.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Ps LXXX: 17.
Cibávit eos ex ádipe fruménti, allelúia: et de petra, melle saturávit eos, allelúia, allelúia, allelúia.
Ps 80:2

[Li ha nutriti col fiore del frumento, allelúia: e li ha saziati col miele scaturito dalla roccia, allelúia, allelúia, allelúia.]

Exsultáte Deo, adiutóri nostro: iubiláte Deo Iacob.

[Esultate in Dio nostro aiuto: rallegratevi nel Dio di Giacobbe.]

Gloria Patri,…

Cibávit eos ex ádipe fruménti, allelúia: et de petra, melle saturávit eos, allelúia, allelúia, alleluja

[Li ha nutriti col fiore del frumento, allelúia: e li ha saziati col miele scaturito dalla roccia, allelúia, allelúia, allelúia.

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.
Deus, qui nobis sub Sacraménto mirábili passiónis tuæ memóriam reliquísti: tríbue, quǽsumus, ita nos Córporis et Sánguinis tui sacra mystéria venerári; ut redemptiónis tuæ fructum in nobis iúgiter sentiámus:

[O Dio, che nell’ammirabile Sacramento ci lasciasti la memoria della tua Passione: concedici, Te ne preghiamo, di venerare i sacri misteri del tuo Corpo e del tuo Sangue cosí da sperimentare sempre in noi il frutto della tua redenzione:]

Lectio

Léctio Epistolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corinthios
1 Cor XI: 23-29
Fratres: Ego enim accépi a Dómino quod et trádidi vobis, quóniam Dóminus Iesus, in qua nocte tradebátur, accépit panem, et grátias agens fregit, et dixit: Accípite, et manducáte: hoc est corpus meum, quod pro vobis tradétur: hoc fácite in meam commemoratiónem.
Simíliter ei cálicem, postquam cenávit, dicens: Hic calix novum Testaméntum est in meo sánguine. Hoc fácite, quotiescúmque bibétis, in meam commemoratiónem. Quotiescúmque enim manducábitis panem hunc et cálicem bibétis, mortem Dómini annuntiábitis, donec véniat. Itaque quicúmque manducáverit panem hunc vel bíberit cálicem Dómini indígne, reus erit córporis et sánguinis Dómini. Probet autem seípsum homo: et sic de pane illo edat et de calice bibat. Qui enim mánducat et bibit indígne, iudícium sibi mánducat et bibit: non diiúdicans corpus Dómini.

(Fratelli: Io lo appreso appunto dal Signore, ciò che ho trasmesso anche a voi: che il Signore Gesù la notte che fu tradito, prese del pane, e dopo aver reso le grazie, lo spezzò, e disse: Prendete e mangiate, questo è il mio corpo che sarà offerto per voi: fate questo in memoria di me. Parimenti, dopo aver cenato, prese il Calice, e disse: Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue. Tutte le volte che Lo berrete, fate questo in memoria di me. Poiché ogni volta che mangerete questo pane, e berrete questo calice, annunzierete la morte di Signore fino a che egli venga. Perciò chiunque mangerà questo pane, o berrà il calice del Signore indegnamente, sarà reo del corpo e del sangue del Signore. Ciascuno, dunque, esamini se stesso, e poi mangi di questo pane e beva di questo calice. Poiché chi mangia e beve indegnamente, mangia e beve la propria condanna, non distinguendo il corpo del Signore.)

Né dagli uomini, né dagli altri Apostoli – dice s. Paolo – io so ciò che vi ho insegnato sull’Eucaristia; ma Gesù Cristo stesso me l’ha rivelato. Non tralascia la circostanza del tempo; la notte stessa – dice egli – in cui il Salvatore fu tradito da uno dei suoi Apostoli, dato in mano de’ suoi nemici e trattato con la peggior crudeltà, istituì questo divin Sacramento, pegno il più prezioso del suo amore, ed attestato il più splendido della sua tenerezza. Colà propriamente fu fatto il testamento di questo amabile Padre, col quale dà tutto se stesso ai suoi figli, poche ore davanti la sua morte. S. Paolo entra quindi in molte particolarità di quanto avvenne in quella sì meravigliosa istituzione. È da osservare che l’Apostolo e tutti gli Evangelisti hanno voluto raccontare fin le minime circostanze di tale istituzione. Il Salvatore prese il pane. Gesù Cristo non poteva prendere che pane senza lievito, il solo di cui era permesso servirsi nel fare la pasqua: onde con ragione nella Chiesa romana si consacra con pane azzimo. Egli ringrazia il Padre suo della potestà che gli ha comunicato; i quali atti di ringraziamento eran sempre il preludio quand’era per operare le meraviglie più straordinarie. Quindi avendo spezzato il pane che teneva in mano, disse: Prendete e mangiate, questo è il mio corpo, che sarà dato per voi. Non disse: prendete e mangiate questo pane; ma prendete e mangiate, questo è il mio Corpo; la sostanza che Io vi offro sotto queste specie, è il Corpo mio, non è più pane. Poiché il Verbo eterno, la stessa Verità, dice: Questo è il mio corpo, siamone convinti, dice s. Giovanni Grisostomo, crediamolo senza esitanza, riguardiamolo con gli occhi di una fede viva. Questo è il mio Corpo: tale è la virtù e la forza delle parole della consacrazione, di produrre, come causa efficiente, ciò che esse esprimono. Perché tali proposizioni si trovino vere, bisogna solamente che la cosa che esse indicano esista dopo che son pronunziate. Ciò che Gesù Cristo prese in mano, non era che pane; ma appena Egli ebbe pronunziate le parole: Questo è il mio corpo, tutta la sostanza del pane fu annichilata, ed in ciò che Gesù Cristo diede a mangiare ai suoi Apostoli non restò altra sostanza che il suo proprio Corpo, il quale indi a poche ore doveva esser dato in mano ai suoi nemici, saziato d’obbrobri, flagellato e crocifisso. Non vi restavan del pane che le sole apparenze, cioè il colore, la figura, il peso, il sapore, che si dicono comunemente specie. Nel Nuovo Testamento non abbiamo nulla di più formale, di più preciso, di meglio indicato che questa realtà del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo nell’adorabile Eucaristia. Ogni volta che si parla di questo divino mistero, o nel sesto capitolo di s. Giovanni, o in tutti gli altri Evangelisti, od in s. Paolo, sempre vi si parla di una presenza e di un mangiare realmente e corporalmente il Corpo ed il Sangue di Gesù Cristo. Il senso delle figure non vi entra affatto, anzi n’è escluso positivamente, poiché il Corpo che Gesù Cristo dette a mangiare a’ suoi Apostoli era il medesimo, secondo la sua parola, di quello che abbandonava alle ignominie della sua passione ed alla croce per riscattarci. Questo è il mio Corpo, che sarà dato per voi. Ora senz’essere Manicheo, nessuno ardirebbe dire che il Corpo del Figliuolo di Dio non sia stato dato alla morte che in figura. Dal tempo degli Apostoli fino ai nostri giorni, tutta la Chiesa ha sempre creduto che il Corpo di Gesù Cristo sia realmente e veramente offerto in Sacrifizio, distribuito ai fedeli nella Comunione, e realmente presente nell’Eucaristia; e noi non potremmo parlare della presenza reale di Gesù Cristo nel Santissimo Sacramento in modo più chiaro, più formale, più preciso di quel che hanno fatto i Padri dei primi secoli. – Voi mi direte forse, dice s. Ambrogio, che questo pane che vi si dà a mangiare nella Comunione è pane usuale ed ordinario. È vero che prima delle parole sacramentali questo pane fosse pane; ma dopo la Consacrazione, in luogo del pane si trova il Corpo di Gesù Cristo. Ecco che deve essere indubitabile per noi. Ma come si può fare, continua il medesimo Padre, che ciò che è pane sia il Corpo di Gesù Cristo? E risponde: Per la Consacrazione, la quale non contiene, se non che le proprie parole di Gesù Cristo; poiché, prosegue egli, in tutto ciò che precede la Consacrazione, il Sacerdote parla in suo nome, quando loda e benedice il Signore, ovvero prega per il re e per il popolo; ma quando arriva alla Consacrazione, il Sacerdote non parla più in suo nome, ma è Gesù Cristo medesimo che parla per la bocca del Sacerdote. È dunque, a dir propriamente, è la parola di Gesù Cristo medesimo che opera questo Sacramento; quella parola, io dico, che dal nulla ha create tutte le cose. Egli ha parlato, continua il medesimo Padre, e tutte le cose sono state fatte; ha comandato, ed ogni cosa è uscita dal nulla. Or, prima della Consacrazione, non vi era affatto il Corpo di Gesù Cristo, non eravi che pane ordinario: ma dopo la Consacrazione, io ve lo ripeto, non vi è più pane, ma è il Corpo di Gesù Cristo. Se S. Ambrogio avesse avuto a rispondere ai Protestanti dei nostri giorni, avrebbe egli potuto parlare in modo più preciso e più chiaro? – S. Cirillo, patriarca di Gerusalemme, che viveva nel IV secolo, spiegando al suo popolo le principali verità della Religione, gli diceva: La dottrina di S. Paolo sul divino mistero dell’Eucaristia deve più che bastare a stabilir la vostra credenza circa un sì augusto Sacramento. Questo grande Apostolo ci diceva nella lezione che avete udita, come la notte istessa che questo divin Salvatore doveva esser tradito, prese del pane, e rese le grazie, lo spezzò e disse: Prendete e mangiate; questo è il mio Corpo. E parimente prendendo il calice, disse: Bevete, questo è il mio Sangue. Dopo dunque che Gesù Cristo ha detto del pane che aveva preso: Questo è il mio Corpo, chi è che oserà di avere il minimo dubbio? E poiché il medesimo Gesù Cristo ha detto così affermativamente: Questo è il mio Sangue, chi potrà mai dubitare di questa verità, e dire che non sia realmente il suo Sangue? E come! dice egli, Colui che ha cangiato l’acqua in vino alle nozze di Cana, non meriterà che crediamo che Egli cangi il vino nel suo prezioso Sangue? Sotto le specie del pane e del vino, continua il medesimo Padre, il Salvatore ci dà il suo Corpo ed il suo Sangue; in guisa che noi portiamo veramente Gesù Cristo nel nostro corpo, quando riceviamo il suo: Sic enim efficimur Christiferi, cum corpus ejus et sanguinem in membra nostra recipimus. I pani della proposizione dell’antico Testamento sono aboliti: noi non abbiamo nel Nuovo che questo pane celeste e questo calice di salute, i quali santificano l’anima e il corpo. E perciò, conclude egli, guardatevi bene dall’immaginarvi che ciò che vedete non sia che pane e vino: è realmente il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo: bisogna che la fede corregga l’idea che ve ne danno i sensi. Guardatevi bene dal giudicarne con gli occhi o dal sapore, ma la fede vi renda certa e indubitabile questa verità, essere il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo che voi ricevete. Queste sono le parole di S. Cirillo. Ecco quale è stata la fede dei primi fedeli sull’Eucaristia. Si è sempre creduto nella Chiesa, dal primo giorno della sua nascita fino a noi, che la sostanza del pane e del vino si cangi nella sostanza del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo: ed è ciò che la Chiesa chiama transustanziazione, cioè cangiamento di sostanza; e per la virtù onnipotente delle parole di Gesù Cristo, che il Sacerdote pronunzia in nome del Salvatore, si opera questo portento. Se Dio poté cangiare la moglie di Lot in una statua di sale, la verga di Aronne in un serpente, e l’acqua in vino alle nozze di Cana, dicevano i Padri della Chiesa quando istruivano i novelli battezzati per la prima comunione, perché questo medesimo Dio non potrà cangiare il pane ed il vino nel suo sacro Corpo e nel suo prezioso Sangue nel Sacramento dell’Eucaristia? – Ogni volta che mangerete di questo pane, dice Gesù Cristo, e berrete di questo calice, annunzierete la morte del Signore, fino a tanto che Egli venga. Il Sacrifizio incruento di Gesù Cristo non differendo che nel modo dal Sacrifizio cruento del medesimo Salvatore, deve richiamare alla mente di quelli che vi partecipano, la memoria della morte di Gesù Cristo. Con queste parole: Fino a tanto che Egli venga, S. Paolo ci mostra che il Sacramento dell’Eucaristia durerà sino alla fine del mondo. Chiunque, pertanto, mangerà di questo pane o berrà di questo calice indegnamente, dice il S. Apostolo, sarà reo di delitto contro il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo. Questa espressione prova in modo convincente la presenza reale del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo. Qual orrore non dobbiamo avere del peccato che commettono coloro, i quali fanno Comunioni sacrileghe! Non è un Sacrifizio che essi offrono, dice s. Giovanni Grisostomo, è un omicidio che commettono; non è un nutrimento che prendono, è un veleno. Colui che mangia questo pane e beve di questo calice indegnamente, mangia e beve la sua condanna, per la colpa di non discernere il Corpo del Signore; cioè egli ha in se stesso la prova visibile del suo peccato; e il suo processo, per così dire, è bell’e fatto. Questo divin Salvatore è il suo Giudice, questo pane di vita è il decreto della sua morte. Sacrilegio, tradimento, nera ingratitudine, crudele ipocrisia, quanti delitti in una sola Comunione fatta indegnamente! E quali ne sono gli effetti? Spessissimo l’induramento e l’impenitenza finale.

(L. Goffiné, Manuale per la santificazione delle Domeniche e delle Feste; trad. A. Ettori P. S. P.  e rev. confr. M. Ricci, P. S. P., Firenze, 1869).

Graduale

Ps CXLIV: 15-16
Oculi ómnium in te sperant, Dómine: et tu das illis escam in témpore opportúno.

[Gli occhi di tutti sperano in Te, o Signore: e Tu concedi loro il cibo a tempo opportuno.]

V. Aperis tu manum tuam: et imples omne animal benedictióne. Allelúia, allelúia.

[Apri la tua mano: e colma ogni essere vivente della tua benedizione]

Ioannes VI: 56-57
Caro mea vere est cibus, et sanguis meus vere est potus: qui mandúcat meam carnem et bibit meum sánguinem, in me manet et ego in eo. Alleluia.

[La mia carne è veramente cibo, e il mio sangue è veramente bevanda: chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, rimane in me e io in lui. Alleluia.]

Sequentia
Thomæ de Aquino.

Lauda, Sion, Salvatórem,
lauda ducem et pastórem
in hymnis et cánticis.

Quantum potes, tantum aude:
quia maior omni laude,
nec laudáre súfficis.

Laudis thema speciális,
panis vivus et vitális
hódie propónitur.

Quem in sacræ mensa cenæ
turbæ fratrum duodénæ
datum non ambígitur.

Sit laus plena, sit sonóra,
sit iucúnda, sit decóra
mentis iubilátio.

Dies enim sollémnis agitur,
in qua mensæ prima recólitur
huius institútio.

In hac mensa novi Regis,
novum Pascha novæ legis
Phase vetus términat.

Vetustátem nóvitas,
umbram fugat véritas,
noctem lux elíminat.

Quod in coena Christus gessit,
faciéndum hoc expréssit
in sui memóriam.

Docti sacris institútis,
panem, vinum in salútis
consecrámus hóstiam.

Dogma datur Christiánis,
quod in carnem transit panis
et vinum in sánguinem.

Quod non capis, quod non vides,
animosa fírmat fides,
præter rerum órdinem.

Sub divérsis speciébus,
signis tantum, et non rebus,
latent res exímiæ.

Caro cibus, sanguis potus:
manet tamen Christus totus
sub utráque spécie.

A suménte non concísus,
non confráctus, non divísus:
ínteger accípitur.

Sumit unus, sumunt mille:
quantum isti, tantum ille:
nec sumptus consúmitur.

Sumunt boni, sumunt mali
sorte tamen inæquáli,
vitæ vel intéritus.

Mors est malis, vita bonis:
vide, paris sumptiónis
quam sit dispar éxitus.

Fracto demum sacraménto,
ne vacílles, sed meménto,
tantum esse sub fragménto,
quantum toto tégitur.

Nulla rei fit scissúra:
signi tantum fit fractúra:
qua nec status nec statúra
signáti minúitur.

Ecce panis Angelórum,
factus cibus viatórum:
vere panis filiórum,
non mitténdus cánibus.

In figúris præsignátur,
cum Isaac immolátur:
agnus paschæ deputátur:
datur manna pátribus.

Bone pastor, panis vere,
Iesu, nostri miserére:
tu nos pasce, nos tuére:
tu nos bona fac vidére
in terra vivéntium.

Tu, qui cuncta scis et vales:
qui nos pascis hic mortáles:
tuos ibi commensáles,
coherédes et sodáles
fac sanctórum cívium.
Amen. Allelúia.

[Loda, o Sion, il Salvatore, loda il capo e il pastore,  con inni e càntici.
Quanto puoi, tanto inneggia:  ché è superiore a ogni lode,  né basta il lodarlo.
Il pane vivo e vitale  è il tema di lode speciale,  che oggi si propone.
Che nella mensa della sacra cena,  fu distribuito ai dodici fratelli,  è indubbio.
Sia lode piena, sia sonora,  sia giocondo e degno  il giúbilo della mente.
Poiché si celebra il giorno solenne,  in cui in primis fu istituito  questo banchetto.
In questa mensa del nuovo Re,  la nuova Pasqua della nuova legge  estingue l’antica.
Il nuovo rito allontana l’antico,  la verità l’ombra,  la luce elimina la notte.
Ciò che Cristo fece nella cena,  ordinò che venisse fatto  in memoria di sé.
Istruiti dalle sacre leggi,  consacriamo nell’ostia di salvezza  il pane e il vino.
Ai Cristiani è dato il dogma:  che il pane si muta in carne,  e il vino in sangue.
Ciò che non capisci, ciò che non vedi,  lo afferma pronta la fede,  oltre l’ordine naturale.
Sotto specie diverse,  che son solo segni e non sostanze,  si celano realtà sublimi.
La carne è cibo, il sangue bevanda,  ma Cristo è intero  sotto l’una e l’altra specie.
Da chi lo assume, non viene tagliato,  spezzato, diviso:  ma preso integralmente.
Lo assuma uno, lo assumino in mille:  quanto riceve l’uno tanto gli altri:  né una volta ricevuto viene consumato.
Lo assumono i buoni e i cattivi:  ma con diversa sorte  di vita e di morte.
Pei cattivi è morte, pei buoni vita:  oh che diverso esito  ha una stessa assunzione.
Spezzato poi il Sacramento,  non temere, ma ricorda  che tanto è nel frammento  quanto nel tutto.
Non v’è alcuna separazione:  solo un’apparente frattura,  né vengono diminuiti stato  e grandezza del simboleggiato.
Ecco il pane degli Angeli,  fatto cibo dei viandanti:  in vero il pane dei figli non è da gettare ai cani.
Prefigurato con l’immolazione di Isacco, col sacrificio dell’Agnello Pasquale, e con la manna donata ai padri.
Buon pastore, pane vero,  o Gesú, abbi pietà di noi:  Tu ci pasci, ci difendi:  fai a noi vedere il bene  nella terra dei viventi.
Tu che tutto sai e tutto puoi:  che ci pasci, qui, mortali:  fa che siamo tuoi commensali,  coeredi e compagni dei Santi del cielo.  Amen. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangéli secúndum S. Ioánnem.
Ioann VI: 56-59
In illo témpore: Dixit Iesus turbis Iudæórum: Caro mea vere est cibus et sanguis meus vere est potus. Qui mandúcat meam carnem et bibit meum sánguinem, in me manet et ego in illo. Sicut misit me vivens Pater, et ego vivo propter Patrem: et qui mandúcat me, et ipse vivet propter me. Hic est panis, qui de coelo descéndit. Non sicut manducavérunt patres vestri manna, et mórtui sunt. Qui manducat hunc panem, vivet in ætérnum.

[Gesù disse un giorno alle turbe della Giudea: « La mia carne è veramente cibo, e il mio sangue è veramente bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, resta .in me, e Io in lui. Come il Padre vivente ha mandato me, e io vivo per il Padre; così chi mangerà da me, vivrà per me. Questo è il pane che discese dal cielo. Non come i vostri padri, che mangiarono la manna e morirono: chi mangia di questo pane, vivrà in eterno » (Giov. VI, 56-59). ]

OMELIA

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956.

FESTA DEL «CORPUS DOMINI»

LA SANTA MESSA

A Cafarnao Gesù promise con parole nitide e ferme che avrebbe istituito l’Eucaristia: « Io sono il Pane Vivo disceso dal cielo. La mia carne è veramente cibo ed il mio sangue è veramente bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me ed io in lui. E vivrà in eterno ». È questo un tale prodigio d’Amore, che molti quando per la prima volta lo sentirono annunziare, non ci poterono credere e se ne andarono via da Gesù. Gesù piuttosto che raccorciare sulla nostra misura il suo Amore immenso, li lasciò andare. Quello che aveva promesso, mantenne fedelmente quella sera in cui sarebbe stato tradito. Consacrò il pane e il vino e li distribuì dicendo: « Prendete e mangiate: questo è il mio Corpo. Prendete e bevete: questo è il calice del mio Sangue che sarà sparso per voi e per molti in remissione dei peccati ». Da quella sera gli uomini ebbero sulla terra una partecipazione del convito del Paradiso. Grande veramente è il banchetto Eucaristico: in esso si riceve Gesù Cristo medesimo, il quale si unisce a noi, infonde nel nostro cuore e nella nostra volontà il suo amore e il suo volere, e poi insieme a noi si offre al Padre, glorifica la SS. Trinità, e ci rende così degni della vita eterna e divina. Troppo grande mistero, troppo bello, perché la nostra piccola mente possa arrivare a capirlo! Rinnoviamo la fede. – Noi fermamente crediamo, garantiti come siamo dalla infallibile parola del Figlio di Dio: « Questo è il mio Corpo: prendete e bevete. Fate questo in memoria di me ». Quando il Sacerdote nella santa Messa ripete queste parole consacratorie, il medesimo Gesù che troneggia glorificato nel Cielo, si fa presente sull’altare. Com’è possibile ciò? Ci sono dunque due Gesù, uno in Vielo e uno sull’altare? Ci sono tanti innumerevoli Gesù quanti sono i tabernacoli, quante sono le particole consacrate? No: non c’è che un solo Gesù, Il Salvatore non può essere moltiplicato: è soltanto la presenza che viene moltiplicata. Senza dubbio è un grande mistero. Tenterò con un paragone di farci intorno un poco di luce. Ecco, io in mezzo alla Chiesa lancio una parola sola, questa: « Gesù! ». Che parola avete sentito voi? Tutti, la stessa identica parola. Eppure voi siete molti, e ciascuno di voi l’ha sentita intera per conto suo, nella sua anima, come se fosse stato qui solo nella chiesa. Dunque la medesima e unica parola è diventata presente in ciascuno di voi. In un modo simile, ma assai più concreto, il medesimo identico Gesù è presente interamente e realmente in ciascuna ostia. Dopo aver rinnovata la fede, dopo aver accennata alla più elementare difficoltà, svolgerò il mistero eucaristico nel suo aspetto più essenziale, quello della santa Messa. – 1. IL GRANDE SACRIFICIO DELLA S. MESSA. Il Sacramento dell’Eucaristia s’incentra tutto nella Messa: è in essa che si genera Gesù Eucaristico e che viene immolato per la remissione dei nostri peccati, è solo per essa che vien distribuito in nutrimento delle anime; è per un prolungamento di essa che resta aspettando giorno e notte ed accogliendo quanti hanno bisogno e desiderio di Lui. È il medesimo sacrificio del Calvario che durante la S. Messa si rende presente e attuale sull’altare, benché senza più dolore né spargimento di sangue, con la S. Messa veramente il Nome di Dio può essere santificato sulla terra come lo è in Cielo. Il Cielo è l’infinita, luminosa basilica dove l’unico Sacerdote, Gesù Cristo, rende continuamente alla SS. Trinità tutta la gloria che già le donò con la sua sanguinosa immolazione sul Calvario: « Osservate — avverte Bossuet — come Egli si avvicini al Padre, e gli presenti le piaghe irrimarginabili, ancor vermiglie di quel divino Sangue della Nuova Alleanza, versato nel doloroso Venerdì quando morì per la redenzione delle anime » (Sermone sull’Ascensione). La terra a sua volta è la vasta cripta dove il Papa, i Vescovi, e all’incirca 400 mila preti celebrano quotidianamente la S. Messa, cioè prestano il loro ministero affinché l’unico Sacerdote Gesù Cristo, anche quaggiù possa rioffrire a Dio il suo Corpo e il suo Sangue, che per la prima volta gli offrì tra gli spasimi della croce. Dunque quel medesimo Gesù che S. Giovanni vide come un Agnello immolato sull’altare sublime del Cielo, lo possediamo anche noi come Agnello immolato sugli altari di questa terra. In Paradiso gli Angeli e i Santi non restano inattivi attorno al grande Sacerdote, ma a Lui s’uniscono, si offrono con Lui. Così deve avvenire sulla terra: « Quando assistiamo al divin Sacrificio — dice S. Gregorio Magno — è necessario che sacrifichiamo anche noi stessi con la contrizione del cuore… La Vittima divina non ci gioverà presso Dio se non ci facciamo anche noi vittime congiunte ad essa » (Dial., LIV). Dunque, assistendo alla S. Messa dobbiamo metterci sulla patena d’oro, piccole ostie accanto alla grande Ostia, offrirci a Dio senza riserve. La S. Messa diventa allora un dramma vissuto, e assistervi non significa far da spettatore più o meno commosso, ma prendervi una parte tutt’altro che indifferente: unirci a Gesù, consacrificarci con Lui. Che vuol dire questo? Innanzi tutto, vuol dire accettazione amorosa di tutte le pene e di tutte le contrarietà inevitabili della nostra vita. Poi vuol dire rinuncia a tutti quei piaceri, quelle abitudini che possano essere desiderati dalla nostra natura corrotta, ma che la legge di Dio proibisce. Senza questo duplice sacrificio non si potrà mai partecipare veramente alla santa Messa. Se ci sono poi anime generose che desiderano consacrificarsi più pienamente, dirò che ogni giorno sono innumerevoli le occasioni per prepararci a sentire sempre meglio la S. Messa; lo stesso alzarci di buon mattino è sacrificare la nostra pigrizia; adempiere coscienziosamente il nostro dovere è sacrificare la negligenza, a tavola si può sacrificare la nostra golosità; in compagnia si può sacrificare il desiderio di dire o di ascoltare cose inutili, o peggio; con l’elemosina si può sacrificare la nostra avarizia. Il Card. Mercier diceva: « Che cos’è un Cristiano? Cristiano è uno che va a Messa ». Quando la Messa è vissuta come abbiamo spiegato, la definizione è perfetta. – 2. COME VI PARTECIPANO GLI UOMINI. Tutti i fedeli sono invitati al gran banchetto eucaristico della santa Messa, ed invitati tutti i giorni. Non squillano per questo ogni alba le campane, voci di Dio che chiama alla sua grande cena? Tutti i fedeli sono poi obbligati sotto pena di peccato mortale a sentire la S. Messa ogni domenica e ogni festa di precetto. A questo proposito potremmo distinguere tre categorie di Cristiani.

a) Quelli che rifiutano. E sono molti, specialmente uomini, che non ascoltano più la Messa nemmeno nei giorni festivi. Moltissimi che la tralasciano saltuariamente, senza preoccuparsi del grave peccato che commettono. Se li avvisate vi capiterà di sentire qualcuna di queste risposte: « Sono all’officina tutta la settimana: ho solo la festa per lavorare il mio giardino, il mio campo… Non ho quindi tempo di venire in chiesa » oppure: « Non ho che la Domenica per riposarmi un po! Per riordinare le cose di casa; e non voglio sciuparla. Ed anche: «La Messa, che noia! Se poi c’è la predica, mi prendono le vertigini. Si aspetta solo la Domenica per potere andare in lieta compagnia a godere l’aria dei monti e dei laghi!…. La ragione profonda di questa condotta è unica: essi non sanno il male che si fanno e la gloria che negano a Dio; essi non capiscono più il Sacrificio della Croce né il Sacrificio dell’Altare che lo rinnova; essi non sono più Cristiani.

b) La seconda categoria è di quelli che a Messa tornano ancora, ma più per abitudine che per interiore convinzione. Vanno perché ci sono sempre andati fin da bambini: perché è quasi uno svago e possono incontrarsi con quella persona, o dare uno sguardo a quell’altra; perché non vogliono sentire i rimproveri dei buoni genitori o della buona moglie. Arrivano in ritardo ed escono prima della fine: preferiscono stare dietro le colonne e non vedono nulla di quello che avviene sull’altare; e di solito si fermano in fondo addossati alla porta. Non hanno corona, non hanno libro di preghiera; non aprono bocca. Rimangono là con un’aria tra disvagati ed annoiati, a cui soprattutto preme che il momento d’andarsene arrivi presto. – La loro condotta morale in famiglia, in ufficio o in officina non è migliore di chi non ha l’usanza della Messa; ed è spesso per colpa loro che capita d’udire: « Chi va in Chiesa è peggiore degli altri ».

c) V’è però la categoria dei buoni Cristiani, per i quali la Messa domenicale è un sacrosanto dovere ed un soave conforto. Tra questi s’incontrano belle anime capaci di considerevoli sacrifici, pur di soddisfare al precetto festivo. Di essi molti hanno imparato anche a capire e a seguire liturgicamente il divin Sacrificio. Sanno che tutti i Cristiani formano un Corpo mistico di cui Cristo è il centro vitale. Sanno pure che le anime in stato di grazia vivono della vita stessa di Cristo. Sanno di consacrarsi insieme a Lui per la gloria del Padre. Leggono il messalino o qualche provvido libretto che riporta le orazioni della S. Messa, e gustano la profondità e la bellezza di quelle preghiere, e vivono il dramma divino che passa fra la terra e il Cielo. – S. Francesco Borgia aveva un divino istinto che lo guidava verso l’Eucaristia, e benché alcune volte non si sapeva dove fossero conservate le sacre specie, da quel divino istinto egli era condotto verso di esse infallibilmente (Brev. Ambr., 1 ott.). Cristiani, un dolce desiderio deve pur spingere anche noi verso l’Eucaristia, specialmente verso la Messa. Ogni Messa è un tesoro di gloria per Dio, di grazia per noi: perché non siam presi dalla divina avarizia di accumulare queste ricchezze, che neppure la morte ci potrà rapire? Perché, se lo possiamo, non ascoltare la Messa ogni giorno? – Ebbene, quanti la salute cagionevole e le preoccupazioni tengono via dalla Messa quotidiana [e l’impossibilità attuale di poter partecipare ad una vera Messa cattolica celebrata da un Sacerdote con missione canonica ricevuta da un vero Vescovo con Giurisdizione efficace “una cum” il Santo Padre impedito – ndr. ], rivolgano pur da lontano i loro pensieri a Gesù che in quel momento, s’immola. Il Signore gradirà la loro spirituale offerta d’amore.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Levit. XXI: 6
Sacerdótes Dómini incénsum et panes ófferunt Deo: et ideo sancti erunt Deo suo, et non pólluent nomen eius, allelúia.

[I sacerdoti del Signore offrono incenso e pane a Dio: perciò saranno santi per il loro Dio e non profaneranno il suo nome, allelúia.]

Secreta

Ecclésiæ tuæ, quǽsumus, Dómine, unitátis et pacis propítius dona concéde: quæ sub oblátis munéribus mýstice designántur.

[O Signore, Te ne preghiamo, concedi propizio alla tua Chiesa i doni dell’unità e della pace, che misticamente son figurati dalle oblazioni presentate.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de Nativitate Domini

Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Quia per incarnáti Verbi mystérium nova mentis nostræ óculis lux tuæ claritátis infúlsit: ut, dum visibíliter Deum cognóscimus, per hunc in invisibílium amorem rapiámur. Et ídeo cum Angelis et Archángelis, cum Thronis et Dominatiónibus cumque omni milítia cæléstis exércitus hymnum glóriæ tuæ cánimus, sine fine dicéntes.

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: Poiché mediante il mistero del Verbo incarnato rifulse alla nostra mente un nuovo raggio del tuo splendore, cosí che mentre visibilmente conosciamo Dio, per esso veniamo rapiti all’amore delle cose invisibili. E perciò con gli Angeli e gli Arcangeli, con i Troni e le Dominazioni, e con tutta la milizia dell’esercito celeste, cantiamo l’inno della tua gloria, dicendo senza fine:]
Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

1 Cor XI: 26-27
Quotiescúmque manducábitis panem hunc et cálicem bibétis, mortem Dómini annuntiábitis, donec véniat: itaque quicúmque manducáverit panem vel bíberit calicem Dómini indígne, reus erit córporis et sánguinis Dómini, allelúia.

[Tutte le volte che mangerete questo pane e berrete questo calice, annunzierete la morte del Signore, finché verrà: ma chiunque avrà mangiato il pane e bevuto il sangue indegnamente sarà reo del Corpo e del Sangue del Signore, allelúia.]

Postcommunio

Orémus.
Fac nos, quǽsumus, Dómine, divinitátis tuæ sempitérna fruitióne repléri: quam pretiósi Corporis et Sanguinis tui temporalis percéptio præfigúrat:

[O Signore, Te ne preghiamo, fa che possiamo godere del possesso eterno della tua divinità: prefigurato dal tuo prezioso Corpo e Sangue che ora riceviamo].

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

FESTA DELLA SANTISSIMA TRINITA’ (2023)

FESTA DELLA SANTISSIMA TRINITÁ (2023)

O Dio, uno nella natura e trino nelle Persone, Padre, Figlio e Spirito Santo, causa prima e fine ultimo di tutte le creature, Bene infinito, incomprensibile e ineffabile, mio Creatore, mio Redentore e mio Santificatore, io credo in Voi, spero in Voi e vi amo con tutto il cuore.

Voi nella vostra felicità infinita, preferendo, senza alcun mio merito, ad innumerevoli altre creature, che meglio di me avrebbero corrisposto ai vostri benefìci, aveste per me un palpito d’amore fin dall’eternità e, suonata la mia ora nel tempo, mi traeste dal nulla all’esistenza terrena e mi donaste la grazia, pegno della vita eterna.

Dall’abisso della mia miseria vi adoro e vi ringrazio. Sulla mia culla fu invocato il vostro Nome come professione di fede, come programma di azione, come meta unica del mio pellegrinaggio quaggiù; fate, o Trinità Santissima, che io mi ispiri sempre a questa fede ed attui costantemente questo programma, affinché, giunto al termine del mio cammino, possa fissare le mie pupille nei fulgori beati della vostra gloria.

[Fidelibus, qui festo Ss.mæ Trinitatis supra relatam orationem pie recitaverint, conceditur: Indulgentia trium annorum;

Indulgentia plenaria suetis conditionibus (S. Pæn. Ap.,10 maii 1941).

[Nel giorno della festa della Ss. TRINITA’, si concede indulgenza plenaria con le solite condizioni: Confessione [se impediti Atti di contrizione perfetta], Comunione sacramentale [se impediti, Comunione Spirituale], Preghiera secondo le intenzioni del S. Padre, S. S. GREGORIO XVIII]

Canticum Quicumque


(Canticum Quicumque * Symbolum Athanasium)


Quicúmque vult salvus esse, * ante ómnia opus est, ut téneat cathólicam fidem:
Quam nisi quisque íntegram inviolatámque serváverit, * absque dúbio in ætérnum períbit.
Fides autem cathólica hæc est: * ut unum Deum in Trinitáte, et Trinitátem in unitáte venerémur.
Neque confundéntes persónas, * neque substántiam separántes.
Alia est enim persóna Patris, ália Fílii, * ália Spíritus Sancti:
Sed Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti una est divínitas, * æquális glória, coætérna majéstas.
Qualis Pater, talis Fílius, * talis Spíritus Sanctus.
Increátus Pater, increátus Fílius, * increátus Spíritus Sanctus.
Imménsus Pater, imménsus Fílius, * imménsus Spíritus Sanctus.
Ætérnus Pater, ætérnus Fílius, * ætérnus Spíritus Sanctus.
Et tamen non tres ætérni, * sed unus ætérnus.
Sicut non tres increáti, nec tres imménsi, * sed unus increátus, et unus imménsus.
Simíliter omnípotens Pater, omnípotens Fílius, * omnípotens Spíritus Sanctus.
Et tamen non tres omnipoténtes, * sed unus omnípotens.
Ita Deus Pater, Deus Fílius, * Deus Spíritus Sanctus.
Ut tamen non tres Dii, * sed unus est Deus.
Ita Dóminus Pater, Dóminus Fílius, * Dóminus Spíritus Sanctus.
Et tamen non tres Dómini, * sed unus est Dóminus.
Quia, sicut singillátim unamquámque persónam Deum ac Dóminum confitéri christiána veritáte compéllimur: * ita tres Deos aut Dóminos dícere cathólica religióne prohibémur.
Pater a nullo est factus: * nec creátus, nec génitus.
Fílius a Patre solo est: * non factus, nec creátus, sed génitus.
Spíritus Sanctus a Patre et Fílio: * non factus, nec creátus, nec génitus, sed procédens.
Unus ergo Pater, non tres Patres: unus Fílius, non tres Fílii: * unus Spíritus Sanctus, non tres Spíritus Sancti.
Et in hac Trinitáte nihil prius aut postérius, nihil majus aut minus: * sed totæ tres persónæ coætérnæ sibi sunt et coæquáles.
Ita ut per ómnia, sicut jam supra dictum est, * et únitas in Trinitáte, et Trínitas in unitáte veneránda sit.
Qui vult ergo salvus esse, * ita de Trinitáte séntiat.
Sed necessárium est ad ætérnam salútem, * ut Incarnatiónem quoque Dómini nostri Jesu Christi fidéliter credat.
Est ergo fides recta ut credámus et confiteámur, * quia Dóminus noster Jesus Christus, Dei Fílius, Deus et homo est.
Deus est ex substántia Patris ante sǽcula génitus: * et homo est ex substántia matris in sǽculo natus.
Perféctus Deus, perféctus homo: * ex ánima rationáli et humána carne subsístens.
Æquális Patri secúndum divinitátem: * minor Patre secúndum humanitátem.
Qui licet Deus sit et homo, * non duo tamen, sed unus est Christus.
Unus autem non conversióne divinitátis in carnem, * sed assumptióne humanitátis in Deum.
Unus omníno, non confusióne substántiæ, * sed unitáte persónæ.
Nam sicut ánima rationális et caro unus est homo: * ita Deus et homo unus est Christus.
Qui passus est pro salúte nostra: descéndit ad ínferos: * tértia die resurréxit a mórtuis.
Ascéndit ad cælos, sedet ad déxteram Dei Patris omnipoténtis: * inde ventúrus est judicáre vivos et mórtuos.
Ad cujus advéntum omnes hómines resúrgere habent cum corpóribus suis; * et redditúri sunt de factis própriis ratiónem.
Et qui bona egérunt, ibunt in vitam ætérnam: * qui vero mala, in ignem ætérnum.
Hæc est fides cathólica, * quam nisi quisque fidéliter firmitérque credíderit, salvus esse non póterit.

MESSA

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani,

comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Doppio di I° classe. – Paramenti bianchi.

Lo Spirito Santo, il cui regno comincia con la festa di Pentecoste, viene a ridire alle nostre anime in questa seconda parte dell’anno (dalla Trinità all’Avvento – 6 mesi), quello che Gesù ci ha insegnato nella prima (dall’Avvento alla Trinità – 6 mesi). Il dogma fondamentale al quale fa capo ogni cosa nel Cristianesimo è quello della SS. Trinità, dalla quale tutto viene (Ep.) e alla quale debbono ritornare tutti quelli che sono stati battezzati nel suo Nome (Vang.). Così, dopo aver ricordato, nel corso dell’ano, volta per volta, pensiero di Dio Padre Autore della Creazione, di Dio Figlio Autore della Redenzione, di Dio Spirito Santo, Autore della nostra santificazione, la Chiesa, in questo giorno specialmente, ricapitola il grande mistero che ci ha fatto conoscere e adorare in Dio l’Unità di natura nella Trinità delle persone (Or.). — « Subito dopo aver celebrato l’avvento dello Spirito Santo, noi celebriamo la festa della SS. Trinità nell’officio della Domenica che segue, dice S. Ruperto nel XII secolo, e questo posto è ben scelto perché subito dopo la discesa di questo divino Spirito, cominciarono la predicazione e la credenza, e, nel Battesimo, la fede e la confessione nel Nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo ». Il dogma della SS. Trinità è affermato in tutta la liturgia. È in Nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo che si comincia e si finisce la Messa e l’Ufficio divino, e che si conferiscono i Sacramenti. Tutti i Salmi terminano col Gloria Patri, gli Inni con la Dossologia e le Orazioni con una conclusione in onore delle tre Persone divine. Nella Messa due volte si ricorda che il Sacrificio è offerto alla SS. Trinità. — Il dogma della Trinità risplende anche nelle Chiese: i nostri padri amavano vederne un simbolo nell’altezza, larghezza e lunghezza mirabilmente proporzionate degli edifici; nelle loro divisioni principali e secondarie: il santuario, il coro, la navata; le gallerie, le trifore, le invetriate; le tre entrate, le tre porte, i tre vani, il frontone (formato a triangolo) e, a volte le tre torri campanili. Dovunque, fin nei dettagli dell’ornato il numero ripetuto rivela un piano prestabilito, un pensiero di fede nella SS. Trinità. — L’iconografia cristiana riproduce, in differenti maniere questo pensiero. Fino al XII secolo Dio Padre è rappresentato da una mano benedicente che sorge fra le nuvole, e spesso circondata da un nimbo: questa mano significa l’onnipotenza di Dio. Nei secoli XIII e XIV si vede il viso ed il busto del Padre; dal secolo XV il Padre è rappresentato da un vegliardo vestito come il Pontefice.Fino al XII secolo Dio Figlio è rappresentato da una croce, da un agnello o da un grazioso giovinetto come i pagani rappresentavano Apollo. Dal secolo XI al XVI secolo apparve il Cristo nella pienezza delle forze e barbato; dal XIII secolo porta la sua croce, ma spesso ancora è rappresentato dall’Agnello. — Lo Spirito Santo fu dapprima rappresentato da una colomba le cui ali spiegate spesso toccano la bocca del Padre e del Figlio, per significare che procede dall’uno e dall’altro. A partire dall’XI secolo fu rappresentato per questo sotto forma di un fanciullino. Nel XIII secolo è un adolescente, nel XV un uomo maturo come il Padre e il Figlio, ma con una colomba al di sopra della testa o nella mano per distinguerlo dalle altre due Persone. Dopo il XVI secolo la colomba riprende il diritto esclusivo che aveva primieramente di rappresentare lo Spirito Santo. — Per rappresentare la Trinità si prese dalla geometria il triangolo, che con la sua figura, indica l’unità divina nella quale sono iscritti i tre angoli, immagine delle tre Persone in Dio. Anche il trifoglio servì a designare il mistero della Trinità, come pure tre cerchi allacciati con il motto Unità scritto nello spazio lasciato libero al centro della intersezione dei cerchi; fu anche rappresentata come una testa a tre facce distinte su un unico capo, ma nel 1628 Papa Urbano VIII proibì di riprodurre le tre Persone in modo così mostruoso. — Una miniatura di questa epoca rappresenta il Padre ed il Figlio somigliantissimi, il medesimo nimbo, la medesima tiara, la medesima capigliatura, un unico mantello: inoltre sono uniti dal Libro della Sapienza divina che reggono insieme e dallo Spirito Santo che liunisce con la punta delle ali spiegate. Ma il Padre è più vecchio del Figlio; la barba del primo è fluente, del secondo è breve; il Padre porta una veste senza cintura e il pianeta terrestre; il Figlio ha un camice con cintura e stola poiché è Sacerdote. — La solennità della SS. Trinità deve la sua origine al fatto che le Ordinazioni del Sabato delle Quattro Tempora si celebravano la sera prolungandosi fino all’indomani, domenica, che non aveva liturgia propria. — Come questo giorno, così tutto l’anno è consacrato alla SS. Trinità, e nella prima Domenica dopo Pentecoste viene celebrata la Messa votiva composta nel VII secolo in onore di questo mistero. E poiché occupa un posto fisso nel calendario liturgico, questa Messa fu considerata costituente una festa speciale in onore della SS. Trinità. Il Vescovo di Liegi, Stefano, nato verso l’850, ne compose l’ufficio che fu ritoccato dai francescani. Ma ebbe vero principio, questa festa, nel X secolo e fu estesa a tutta la Chiesa da Papa Giovanni XXI nel 1334. — Affinché siamo sempre armati contro ogni avversità (Or.), facciamo in questo giorno con la liturgia professione solenne di fede nella santa ed eterna Trinità e sua indivisibile Unità (Secr.).

Incipit 

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Tob XII: 6.

Benedícta sit sancta Trínitas atque indivísa Unitas: confitébimur ei, quia fecit nobíscum misericórdiam suam.

[Sia benedetta la Santa Trinità e indivisa Unità: glorifichiamola, perché ha fatto brillare in noi la sua misericordia.]

Ps VIII: 2

Dómine, Dóminus noster, quam admirábile est nomen tuum in univérsa terra!
[O Signore, Signore nostro, quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!]

 Benedícta sit sancta Trínitas atque indivísa Unitas: confitébimur ei, quia fecit nobíscum misericórdiam suam. [Sia benedetta la Santa Trinità e indivisa Unità: glorifichiamola, perché ha fatto brillare in noi la sua misericordia.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria
Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.

Omnípotens sempitérne Deus, qui dedísti fámulis tuis in confessióne veræ fídei, ætérnæ Trinitátis glóriam agnóscere, et in poténtia majestátis adoráre Unitátem: quaesumus; ut, ejúsdem fídei firmitáte, ab ómnibus semper muniámur advérsis. 

[O Dio onnipotente e sempiterno, che concedesti ai tuoi servi, mediante la vera fede, di conoscere la gloria dell’eterna Trinità e di adorarne l’Unità nella sovrana potenza, Ti preghiamo, affinché rimanendo fermi nella stessa fede, siamo tetragoni contro ogni avversità.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános. Rom XI: 33-36.

“O altitúdo divitiárum sapiéntiæ et sciéntiæ Dei: quam incomprehensibília sunt judícia ejus, et investigábiles viæ ejus! Quis enim cognovit sensum Dómini? Aut quis consiliárius ejus fuit? Aut quis prior dedit illi, et retribuétur ei? Quóniam ex ipso et per ipsum et in ipso sunt ómnia: ipsi glória in sæcula. Amen”. 

[O incommensurabile ricchezza della sapienza e della scienza di Dio: come imperscrutabili sono i suoi giudizii e come nascoste le sue vie! Chi infatti ha conosciuto il pensiero del Signore? O chi gli fu mai consigliere? O chi per primo dette a lui, sí da meritarne ricompensa? Poiché da Lui, per mezzo di Lui e in Lui sono tutte le cose: a Lui gloria nei secoli. Amen.]

P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

DIO È CARITÀ.

La gloria del Cristianesimo, della Rivelazione cristiana, che ha per oggetto suo primo Dio, è di avere saputo e di saper parlare alla nostra mente e al nostro cuore, appagando i due supremi bisogni dell’anima, sapere e amare. Ce n’è per le intelligenze più aristocratiche, ce n’è per i cuori più umili, quelle si arrestano pensose, questi si fermano giocondi.  Oggi l’Epistola della domenica ha una parola delle più sublimi e delle più consolanti. Dio è carità: «Deus charitas est». Dio è un fuoco, una promessa, un suono infinito di amore, di bontà, di carità. La carità è il suo attributo, per noi Cristiani più alto, più caratteristico. Vedete, o fratelli, le armonie mirabili del dogma, della morale di N. S. Gesù Cristo. La carità è il grande comandamento della sua Legge, così grande che può parere e dirsi in qualche modo il solo: in realtà riassume, compendia in sé tutti gli altri. È « preceptum magnum in lege ». Bisogna amar Dio e tutti quelli e tutto ciò che Egli desidera vedere amato da noi. Amare Dio! Che gran parola! Se Dio permettesse all’uomo di amarlo, pensando quanto Egli è grande, quanto noi siamo piccini, dovremmo riguardarlo come una concessione straordinaria da parte di Dio. Ebbene, no, Dio non ci permette: Egli ci comanda di volerGli bene, come figli al Padre, come amici all’Amico. Ma noi Gli dobbiamo voler bene, perché (ecco il dogma) Egli è buono, anzi è la stessa bontà, una bontà non contegnosa, non fredda, una bontà calda, espansiva: è carità. Questo dogma corrisponde a quel precetto: nel precetto si raccoglie tutta la morale, in quel precetto e in questo dogma si compendia la storia dogmatica dei rapporti di Dio con noi. La carità è la chiave della Creazione, della Redenzione, della Santificazione. Noi siamo da tanti secoli ormai abituati a sentirci predicare questo ritornello: Dio è carità, che rimaniamo quasi indifferenti. Ma quei primi che raccolsero queste parole dalle labbra di Gesù e poi dagli Apostoli, ne rimasero estatici. Per secoli i Profeti avevano con una commossa eloquenza celebrato la grandezza di Dio e la Sua giustizia. Certo non avevano dimenticato la misericordia, attributo troppo prezioso perché nella sinfonia profetica potesse mancare. Ma la grande predicazione profetica era la predicazione della grandezza e della giustizia: volevano incutere il timore di Dio in quel popolo dalla dura cervice e dal cuore incirconciso. E parve una musica nuova e dolce questa del Figlio di Dio, di Gesù: Dio è bontà, è amore, è carità: vuole essere amato. E lo so, e l’ho detto e lo ripeto: al ritornello ci abbiamo fatto l’orecchio. Ma siamo noi ben convinti di questo dogma? Crediamo noi davvero, crediamo noi sempre alla bontà di Dio? Purtroppo l’amara interrogazione ha la sua ragion d’essere. Perché crederci davvero vuol dire amare Dio fino alla follia come facevano i Santi, e ciò è più difficile in certi momenti oscuri della vita, è un po’ difficile sempre. La carità di Dio è anch’essa misteriosa come sono misteriosi tutti gli attributi di Dio, dato che Dio stesso è mistero. – Oggi la Chiesa ce lo ricorda celebrando la SS. Trinità, il primo mistero della nostra fede, e cantando con le parole di Paolo: « O altitudo divitiarum sapientiæ et scientiæ Dei! » – Dio è un abisso dove la ragione da sola si smarrisce, guidata dalla fede cammina quanto quaggiù è necessario ed è possibile, come chi tra le tenebre ha una piccola, fida lucerna. È un abisso, è un mistero anche l’amore di Dio. Dobbiamo accettarlo, crederlo. Perciò l’Apostolo definisce i Cristiani così: gli uomini che hanno creduto e credono alla carità di Dio. « Nos credidimus charitati ». Ma credendo, e solo credendo a questo mistero della bontà, della carità di Dio per noi, per tutti, ci si rischiara il buio che sarebbe altrimenti atroce della nostra povera esistenza: ci si illumina quel sovrano dovere di amare anche noi il nostro prossimo che renderebbe tanto meno triste il mondo e la vita se noi ne fossimo gli esecutori fedeli. Il Dio della carità accenda nei nostri cuori la Sua fiamma e faccia splendere ai nostri sguardi la Sua luce!

 Graduale 

Dan III: 55-56. Benedíctus es, Dómine, qui intuéris abýssos, et sedes super Chérubim.

[Tu, o Signore, che scruti gli abissi e hai per trono i Cherubini.]

Alleluja

Benedíctus es, Dómine, in firmaménto cæli, et laudábilis in sæcula. Allelúja, 

[V.Benedetto sei Tu, o Signore, nel firmamento del cielo, e degno di lode nei secoli. Allelúia, alleluia.]

Dan III: 52 V. Benedíctus es, Dómine, Deus patrum nostrórum, et laudábilis in sæcula. Allelúja. Alleluja. 

[Benedetto sei Tu, o Signore, nel firmamento del cielo, e degno di lode nei secoli. Allelúia, allelúia]

Evangelium

Sequéntia  sancti Evangélii secúndum Matthæum. Matt XXVIII: 18-20

“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Data est mihi omnis potéstas in coelo et in terra. Eúntes ergo docéte omnes gentes, baptizántes eos in nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti: docéntes eos serváre ómnia, quæcúmque mandávi vobis. Et ecce, ego vobíscum sum ómnibus diébus usque ad consummatiónem sæculi”. 

« Gesù disse a’ suoi discepoli: Ogni potere mi fu dato in cielo ed in terra: andate adunque, ammaestrate tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo, insegnando loro di osservare tutte le cose, che io vi ho comandate: ed ecco io sono con voi tutti i giorni, fino al termine del secolo ».

OMELIA

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956.

LA DOMENICA È IL GIORNO DELLA SANTISSIMA TRINITÀ

Gli undici Apostoli camminavano verso la Galilea: le pie donne avevano detto a loro che Gesù li avrebbe attesi colà. Arrivarono. Dall’alto d’una collina, grande solenne ardente nel volto apparve a’ suoi Apostoli Gesù. « A me fu data ogni potestà in cielo e in terra; andate, istruite, battezzate tutte le genti: nel Nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo ». – Ecco il Mistero principale della nostra Fede, di cui la Chiesa celebra in questo giorno la festa solenne. Uno solo è Dio, ma in tre Persone, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Né, tra loro, si devono confondere le divine Persone, poiché altra è la Persona del Padre, altra quella del Figlio, altra quella dello Spirito Santo. Eppure, le tre divine Persone non hanno che un’unica e medesima natura, e le medesime perfezioni. Come immenso è il Padre, così immenso è il Figlio, così immenso è lo Spirito Santo. Come eterno è il Padre, così eterno è il Figlio, così eterno è lo Spirito Santo. Come Dio è il Padre, così Dio è il Figlio, così Dio è lo Spirito Santo. E tuttavia non vi sono tre Dei, ma uno è Iddio. S. Bernardo scriveva ad Eugenio Papa: « Tu domanderai forse come ciò sia possibile? Non domandarlo: ti basti credere che è così. Scrutare questo mistero è una temerità, crederlo invece è pietà. Conoscerlo sarà possibile solo nella vita eterna ». Sufficiat tibi credere sic esse. Credere nella santissima Trinità significa onorarla. E l’onore più grande che possiamo rendere a Dio è quello di santificare il giorno a Lui consacrato: la Domenica. Tre cose sono necessarie per santificare la domenica: astenersi dalle opere servili, rifuggire dai mondani e pericolosi divertimenti, praticare le opere di pietà. Coll’astensione dal lavoro noi rendiamo gloria a Dio Padre, che nella creazione del mondo lavorò per sei giorni, e al settimo riposò. Col rifuggire dai divertimenti illeciti, e da ogni occasione di peccato, noi rendiamo gloria a Dio Figlio, che per redimerci dal peccato, s’incarnò, patì e morì. Con le pratiche di pietà santificando l’anima nostra, noi rendiamo gloria a Dio Spirito Santo, che è il Santificatore delle anime. – 1. RIPOSO FESTIVO. Dio aveva chiamato Mosè sopra la vetta del monte. Era la vetta del monte circondata da una densa nube, da cui tratto tratto guizzavano lunghissimi lampi. Tutto il popolo invece, raccolto alle falde, tremava aspettando il ritorno di Mosè. Il Signore intanto diceva a Mosè: « Parla ai figli d’Israele e dirai loro: Custodite il mio sabato: chiunque lo profanerà, sarà punito di morte » (Es., XXXI, 14). E difatti quando, in giorno di sabato, si colse un uomo ad ammassar legna, fu trascinato fuori dall’abitato, e là, per ordine di Mosè e d’Aronne, venne lapidato da tutto il popolo. Quello che nell’antica legge, per gli Israeliti era il sabato, nella nuova legge è la Domenica per noi Cristiani. Ma perché Iddio comanda all’uomo di riposare durante questo giorno? Per insegnarci che l’uomo non è una macchina, non è una bestia. Le macchine lavorano e lavorano fin tanto che sono guaste e poi si gettano tra i rottami: ma le macchine sono state fatte per lavorare, l’uomo invece è stato creato per conoscere, amare, servire Dio. Le bestie lavorano tutto il giorno, e dopo che hanno lavorato e mangiato non possono desiderare altro: ma le bestie non hanno un’anima immortale. L’uomo invece ce l’ha: e deve pensare che la sua vita non finisce quaggiù e deve conquistarsi il Paradiso se non vuol cadere per sempre all’inferno. Ora com’è possibile che l’uomo pensi a tutto questo, se non ha un giorno libero, ma sempre è condannato a sudare tra i solchi, o tra le macchine d’un’officina, o tra i commerci, o negli uffici? So bene che molti Cristiani sanno trovare mille pretesti per violare il riposo festivo: è un lavoro urgente; c’è di mezzo un grosso guadagno; è la qualità del mio mestiere; è la miseria… Ma se poi si va in fondo a tutte queste scuse, una sola è la ragione di profanare la festa col lavoro: l’avarizia. A costoro io ricordo le parole del Santo Curato d’Ars: « Conosco due mezzi per precipitare alla rovina: rubare e lavorar in festa ». – 2. FUGGIRE IL PECCATO. Antioco, volendo distruggere Gerusalemme, vi mandò l’odioso capitano Apollonio, con un esercito di ventiduemila uomini e con l’ordine di ammazzare gli adulti, di vendere le donne e i giovinetti. Apollonio entrò nella città, ma simulando pace vi stette alcuni giorni tranquillamente, aspettando il giorno di festa quando tutto il popolo con le donne e i fanciulli sarebbe uscito fuori allegramente per le vie e le piazze a godere lo spettacolo dei suoi soldati. Nell’ora in cui la ressa era più fitta, improvvisamente, ad un cenno del capitano, tutti i soldati si scagliarono sulla gente convenuta, e scorrendo la città la riempiono di morti e di sangue (II Macc., V, 24-26). Questo macello di corpi è figura di un altro macello più tremendo: quello delle anime, che il demonio compie tutte le feste, in ogni paese, in ogni città. Ed ecco tutta la gioventù che non aspetta che la Domenica per riversarsi nei campi sportivi, nei teatri, nei balli. La Religione cristiana non è così severa da negare, dopo una settimana di fatica dura, qualche sollievo nel giorno di festa. Ma purtroppo, non è il sollievo del corpo e dell’anima che essi cercano, ma il peccato. Essi cercano la promiscuità dei sessi, cercano relazioni disoneste, cercano il pascolo dei loro sensi, cercano l’offesa di Dio.  Quand’è che si bestemmia di più? alla domenica. Quand’è che più frequentemente si prende l’ubriachezza? alla domenica. Quand’è che le donne ostentano di più una moda vergognosa e scandalosa? Alla domenica! Quand’è che si danno appuntamenti pericolosi, che si frequentano ritrovi mondani, che si sciupa nel gioco il sostentamento della famiglia? alla domenica. Dunque è così che i Cristiani santificano la festa? A che vale astenersi dalle opere servili, quando ci abbandoniamo al peccato che è l’opera più servile che l’uomo possa fare? Quì facit peccatum servus est peccati. Chi fa il peccato è schiavo del peccato. Quando i nemici di Gerusalemme videro le feste dei Giudei, risero di compassione e di disprezzo: Viderunt hostes sabbata eius et deriserunt (Ger., I, 7). Ma il demonio vedendo le nostre feste, o Cristiani, ride di gioia. Non è più la domenica il giorno del Signore, ma il suo giorno; non si onora più Iddio, ma lui, il nostro nemico orribile! – 3. LE OPERE DI PIETÀ. Mancavan sei giorni a Pasqua e Gesù mangiava in casa di Lazzaro il risuscitato, insieme ai suoi discepoli. Maria, sospinta dall’amore e dalla gratitudine, prese il vaso colmo d’unguento preziosissimo e lo ruppe sui piedi del Maestro divino: tutta la sala fu piena di profumo. Allora, Giuda Iscariota dall’occhio fosco in cui vagava già l’ombra del tradimento, disse: « Perché sciupare un profumo che poteva valere trecento danari?… ». Come fu stolto Giuda! ha stimato fino a trecento danari poche stille d’unguento, e poi offrirà il suo Dio al prezzo di trenta monete, ed anche a meno. Non facciamo forse così anche noi? Apprezziamo assai i campi, le biade, le bestie, i vestiti e poi, senza scrupolo, perdiamo la S. Messa anche in giorno di Domenica. Oh! se sapessimo che tesoro è la S. Messa, ben volentieri preferiremmo perdere ogni altra cosa, ma non questa! Ben volentieri sacrificheremmo qualsiasi affare, qualsiasi passeggiata, qualsiasi compagnia, ma non la S. Messa. Non crediate però che tutte le pratiche di pietà con le quali dobbiamo santificare la festa si riducano tutte a una Messa, forse sentita male e non interamente: oh non basta! C’è ancora la dottrina cristiana: perché v’è tanto male nel mondo? Perché  non si conosce più il Catechismo, non lo si studia più. Molti credono di supplire alla spiegazione della dottrina con una visita al cimitero. Credetelo: i nostri morti, in quel momento, sarebbero più contenti e più sollevati se ci sapessero in Chiesa, attenti alla dottrina cristiana. – Infine, per ben santificare le Domeniche ci sono i santi Sacramenti della Confessione e della Comunione. Beate le anime che ogni festa si accostano a questi Sacramenti; esse hanno compreso come si onora il Signore. – A Costantinopoli era scoppiata una grave peste: ogni giorno centinaia di persone, colpite dal male, stramazzavano per le vie, sulle piazze, nelle case; e senza cure e senza conforti morivano. S’era ricorso a tutti i rimedi, invano. S’erano fatte pubbliche preghiere, e penitenze, invano. Quando un fanciullo buono, rapito in visione, vide gli Angeli che gli insegnarono a cantare un inno meraviglioso alla SS. Trinità. Il fanciullo corse in mezzo al popolo, disse la mirabile visione, insegnò a tutti l’inno. Come fu cantato, subito la peste cessò. Quanti mali, o Cristiani, affliggono la nostra vita! Forse è la miseria, forse è la malattia, forse è la calunnia… Una nuova peste fa strage nel popolo cristiano: la peste dell’immoralità. Ebbene, per scampare da tutte queste sciagure, è necessario elevare un inno meraviglioso alla SS. Trinità: quello della santificazione della festa. Sia gloria al Padre, col riposo dalle opere servili. Sia gloria al Figlio con la fuga del peccato. Sia gloria allo Spirito Santo, con le opere di pietà. Ogni benedizione verrà data a coloro che santificano così la festa: « La pioggia scenderà nel tempo buono; la terra produrrà in abbondanza; gli alberi saranno carichi di frutti; io benedirò voi e i vostri figliuoli » (Levit., XXVI, 3-5). — CREDERE LA SANTISSIMA TRINITÀ. Il patriarca Abramo, nelle sue lunghe peregrinazioni, vide sovente Iddio. Un meriggio afoso, nella valle di Mambre, mentre godeva il fresco delle querce seduto sulla soglia della sua tenda, vide venire il Signore: Apparuit Dominus. Erano tre Persone ferme, non lontane da lui. Tres viri stantes. Abramo corse incontro, e sì buttò per terra, davanti a loro, adorando: Signore, se ho trovato grazia a’ tuoi occhi, non passarmi oltre! ». Misterioso parlare! Il vecchio amico di Dio che conosceva molti misteri, non divide i suoi omaggi, ma parla come fossero uno solo: vedeva tre Persone e adorava un Dio solo. E veramente uno è Dio, in tre Persone uguali e distinte. La nostra mente si confonde. E se anche avessimo la mente degli Angeli non ci capiremmo ancora: Dio abita una luce inaccessibile. Ma è appunto non comprendendo che riconosciamo che Egli è il nostro Dio e noi siamo la povera sua creatura che curva la fronte fino a terra come il vecchio Abramo, e crede. Dio l’ha detto, che non può mentire. La Chiesa l’insegna, che non può sbagliare. I nostri padri, da due mila anni, credono. E noi pure crediamo. Gloria Patri et Filio et Spiritui Sancto! La fede nel mistero principale, è il sacrificio più gradito a Dio. È l’atto che ci ottiene i più grandi favori.  – 1. È IL SACRIFICIO PIÙ GRADITO A DIO. Nell’Antico Testamento, quando l’uomo era ancora rozzo nello spirito, Dio si lasciava onorare col sacrificio di qualche animale che veniva, sull’altare, immolato in adorazione e in espiazione. Ma nel Salmo XLIX, Dio, apertamente, dice che non sono questi i sacrifici graditi: « … non gradirò i vitelli delle tue stalle, né i capretti del tuo gregge: possiedo già tutte le belve della foresta e tutte le  mandrie pascenti sul monte, e i buoi. Son miei perfino gli uccelli del cielo e i frutti della terra. E se anche sentissi fame, non avrei bisogno di mendicare da te: mia è tutta la terra, mia è ogni cosa sulla terra. Ma dovrò io mangiar carne di toro e ber sangue di agnello? A Dio offri un sacrificio di lode ». — Immola Deo sacrificium laudis. E quel sacrificio può rendere a Dio una gloria maggiore di quello della nostra intelligenza che, pur non comprendendo, crede sull’autorità di Dio? La nostra mente ha l’istinto di sapere il perché di ogni cosa e non s’acquieta sentendo da un altro, ma vuol essa vedere e provare. Nulla di questo è possibile davanti al mistero della Trinità; la nostra mente si perde, come una fiammella a petrolio sotto ai torrenti di luce che cadono dal sole in piena estate. Eppure Dio l’ha rivelato: Egli è uno e trino, e bisogna credere, altrimenti si perde l’anima. Quando ci dicono che Dio è Creatore, non ci è duro ammetterlo perché vediamo le cose create. Quando ci dicono che Dio è giusto, non ci è duro ammetterlo perché talvolta perfino gli uomini sono giusti. Quando ci dicono che Dio s’è fatto un uomo come noi, la nostra ragione sa trovare buoni argomenti di convenienza, tra cui quello dell’infinita bontà di Dio che ama comunicarsi alle sue creature. – Ma quando ci dicono che c’è un Dio solo in tre Persone: quando ci dicono che il Padre è Dio, il Figlio è Dio, lo Spirito Santo è Dio, eppure non sono tre Dei, la nostra mente non vede più nulla, non una esperienza, non una chiara analogia, non un motivo di convenienza. E non è assurdo: ma è realtà: la grande realtà di Dio. E credendo, la mente nostra sacrifica tutta se stessa in ossequio a Dio rivelante e compie il vero sacrificio di lode che Dio vuole dai Cristiani nel Nuovo Testamento e si unisce agli Angeli visti dal profeta che con occhi coperti dall’ali cantano: « Santo! Santo! Santo! ». – Dio, un giorno, volle provare Abramo col domandargli un sacrificio eroico. E Abramo prese il suo figlio, l’unico, e s’accingeva a sacrificarlo al Signore sulla vetta del monte. E già vibrava il colpo, quando Iddio, commosso, gli fermò la mano e lo volle premiare con una generosità non meno grande di quella che Abramo aveva avuto con Lui. « Perché tu hai fatto questo e non risparmiavi neppure il tuo unigenito, moltiplicherò la tua generazione, ti colmerò di bene, ti farò il più ricco e il più potente sulla terra ». Iddio, rivelandoci in questa vita il mistero della SS. Trinità, vuol prendersi una prova della nostra fedeltà a Lui, della stima che ne abbiamo. Abramo ubbidì a Dio anche allora che il comando ripugnava alla sua natura. Noi dobbiamo credere a Dio anche quando le sue rivelazioni sono incomprensibili alla nostra ragione, e ne avremo un gran premio. « Poiché tu hai creduto a un mistero molto superiore a te e a ogni idea d’uomo, poiché tu m’hai sacrificato il tuo unigenito, cioè la tua ragione, io ti riempirò di grazie, moltiplicherò i meriti delle tue orazioni, ti santificherò, ti glorificherò ». E la generosità di Dio Uno e Trino riempie tutta la vita del credente. Incomincia dal Battesimo: …io ti battezzo nel Nome del Padre, del Figlio, e dello Spirito Santo: l’uomo da schiavo diventa libero; da nudo diventa ricco, da figlio del peccato diventa figlio di Dio e Suo erede. Prosegue nella Cresima: …io ti confermo col crisma della salute nel Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo: e l’uomo da gracile creatura diventa un terribile soldato contro i nemici spirituali. Continua nella Penitenza: …io ti assolvo nel Nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo ed è per virtù di queste tre Persone divine, è per la fede nella loro unità e trinità che sparisce ogni colpa e ritorniamo innocenti. Ma ogni nostra azione, anche le più comuni, come il camminare, lavorare, mangiare, giocare, diventano sante e meritorie se fatte nel Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. E quando ci troveremo sul letto di morte, agli ultimi momenti della nostra vita, con quali voti e con quali nomi il Sacerdote conforterà la desolata anima nostra, al fatale passaggio? Col Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Proficiscere, anima christiana! Parti, anima cristiana, in Nome del Padre che ti ha creata, in Nome del Figlio che ti ha redenta, in Nome dello Spirito Santo che ti ha santificata. E i demoni, che ci aspettavano in agguato a quel varco pericoloso, fuggiranno, mentre verranno gli Angeli a raccogliere la tremante anima nostra, per presentarla a Dio.  — O Signore! — pregherà intanto il prete nell’ultima raccomandazione, — è per un povero peccatore che io imploro la tua clemenza; la sua vita non fu immune da debolezze e da cadute; tuttavia non negò il Padre il Figlio, lo Spirito Santo, ma credette. Licet enim peccaverit, tamen Patrem et Filium et Spiritum Sanctum non negavit sed credidit. Oh, come vorremo allora aver ripetuto sovente, con amore e con fede, questi Nomi divini! Un santo eremita s’era fatto costruire in una solitudine un’alta colonna, sulla cui cima visse molti anni. E là, in alto, sopra la terra cattiva, proteso verso il cielo sereno, non faceva altro che ripetere: « Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo! ». Se tutte le volte che abbiamo recitato il « Gloria » l’avessimo detto col rispetto e  con la fede di quell’anacoreta, quanti meriti avremmo accumulato per il cielo! Quanti meriti, se ogni nostra azione l’avessimo cominciata e finita nel Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo!

IL CREDO

Offertorium

Orémus

 Tob XII: 6. Benedíctus sit Deus Pater, unigenitúsque Dei Fílius, Sanctus quoque Spíritus: quia fecit nobíscum misericórdiam suam. 

[Benedetto sia Dio Padre, e l’unigenito Figlio di Dio, e lo Spirito Santo: poiché fece brillare su di noi la sua misericordia.]

Secreta

Sanctífica, quæsumus, Dómine, Deus noster, per tui sancti nóminis invocatiónem, hujus oblatiónis hóstiam: et per eam nosmetípsos tibi pérfice munus ætérnum. 

[Santífica, Te ne preghiamo, o Signore Dio nostro, per l’invocazione del tuo santo Nome, l’ostia che Ti offriamo: e per mezzo di essa fai che noi stessi Ti siamo eterna oblazione.]

Præfatio de sanctissima Trinitate

… Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui cum unigénito Fílio tuo et Spíritu Sancto unus es Deus, unus es Dóminus: non in unius singularitáte persónæ, sed in uníus Trinitáte substántiæ. Quod enim de tua glória, revelánte te, crédimus, hoc de Fílio tuo, hoc de Spíritu Sancto sine differéntia discretiónis sentímus. Ut in confessióne veræ sempiternǽque Deitátis, et in persónis propríetas, et in esséntia únitas, et in majestáte adorétur æquálitas. Quam laudant Angeli atque Archángeli, Chérubim quoque ac Séraphim: qui non cessant clamáre cotídie, una voce dicéntes:

[…veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: che col Figlio tuo unigénito e con lo Spirito Santo, sei un Dio solo ed un solo Signore, non nella singolarità di una sola Persona, ma nella Trinità di una sola sostanza. Cosí che quanto per tua rivelazione crediamo della tua gloria, il medesimo sentiamo, senza distinzione, e di tuo Figlio e dello Spirito Santo. Affinché nella professione della vera e sempiterna Divinità, si adori: e la proprietà nelle persone e l’unità nell’essenza e l’uguaglianza nella maestà. La quale lodano gli Angeli e gli Arcangeli, i Cherubini e i Serafini, che non cessano ogni giorno di acclamare, dicendo ad una voce:]…

Sanctus,

Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt coeli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis
Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Tob XII:6. Benedícimus Deum coeli et coram ómnibus vivéntibus confitébimur ei: quia fecit nobíscum misericórdiam suam. 

[Benediciamo il Dio dei cieli e confessiamolo davanti a tutti i viventi: poiché fece brillare su di noi la sua misericordia.]

Postcommunio 

Orémus.

Profíciat nobis ad salútem córporis et ánimæ, Dómine, Deus noster, hujus sacraménti suscéptio: et sempitérnæ sanctæ Trinitátis ejusdémque indivíduæ Unitátis conféssio.

[O Signore Dio nostro, giòvino alla salute del corpo e dell’ànima il sacramento ricevuto e la professione della tua Santa Trinità e Unità.

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA: GIUGNO 2023

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA: GIUGNO 2023

GIUGNO è il mese che la Chiesa Cattolica dedica al:

Sacratissimo CUORE DI GESÙ

Se la divozione al Cuor SS. di Gesù non avesse alcun fine speciale, ma fosse solo un rendere onore, gloria, adorazione al Cuore SS., sarebbe questo un fine oltre ogni dire eccellente e basterebbe per ogni cosa: ma Gesù nell’atto di manifestare questo culto, manifestò anche un suo speciale intendimento. Ed è che i fedeli onorino il suo Cuore in ispirito di riparazione per le offese che Egli riceve soprattutto nel Sacramento di amore. Per entrare in questo spirito considerate come Gesù 1° sia offeso dove meno dovrebbe essere; 2° con qual malizia; 3° e da quali persone. Donde ne conchiuderete quanto sia doverosa una sì santa riparazione…

(Secondo Franco S. J.: Il Cuore di Gesù)

Indulgenze per il mese di giugno:

252

a) Fidelibus, qui prima cuiusvis mensis feria sexta pio exercitio, in honorem Ssmi Cordis Iesu publice peracto, devote interfuerint, conceditur:

Indulgentia plenaria, additis sacramentali confessione, sacra Communione et oratione ad mentem Summi Pontificis.

Si autem eadem feria sexta aliquas preces ad reparandas hominum iniurias Ssmo Cordi Iesu illatas privatim recitaverint, conceditur:

Indulgentia plenaria suetis conditionibus; at ubi pium exercitium publice completur, huiusmodi indulgentia ab iis tantum acquiri potest, qui legitimo detineantur impedimento quominus exercitio publico intersint.

b) Fidelibus vero, qui ceteris per annum feriis sextis aliquas preces, ut supra, pie recitaverint, conceditur:

Indulgentia septem annorum semel qualibet feria sexta (in ogni venerdì della settimana)

(S. C. Indulg., 7 sept. 1897; S. Pæn. Ap., 1 iun. 1934 et 15 maii 1949).

253

Mensis sacratissimo Cordi Iesu dicatus

Fidelibus, qui mense iunio (vel alio, iuxta Rev.mi Ordinari prudens iudicium), pio exercitio in honorem Ssmi Cordis Iesu publice peracto devote interfuerint, conceditur:

Indulgentia decem annorum quolibet mensis die;

Indulgentia plenaria, si diebus saltem decem huiusmodi exercitio vacaverint et præterea peccatorum veniam obtinuerint, eucharisticam Mensam participaverint et ad Summi Pontificis mentem preces fuderint. Iis vero, qui præfato mense preces vel alia pietatis obsequia divino Cordi Iesu privatim præstiterint, conceditur:

Indulgentia septem annorum semel quolibet mensis die;

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodo quotidie per integrum mensem idem obsequium peregerint; at ubi pium exercitium publice habetur, huiusmodi indulgentia ab iis tantum acquiri potest, qui legitimo detineantur impedimento quominus exercitio publico intersint (S. C. Indulg., 8 maii 1873 et 30 maii 1902; S. Pæn. Ap., 1 mart. 1933).

(A coloro che nel mese di giugno praticano un pio esercizio in onore del Sacro Cuore di Gesù in pubblico, si concedono 10 anni, ed in privato 7 anni, e Indulgen. Plenaria se esso verrà praticato almeno per 10 giorni con le s. c.).

Altre indulgenze ove viene celebrato solennemente il Cuore Sacratissimo di Gesù con corso di predicazione.

650

Invocatio

Seigneur Jesus, couvrez de la protection de votre divin Coeur notre Tres Saint Pere le Pape. Soyez sa lumiere, sa force et sa consolation.

(Signore Gesù, ricoprite della protezione del vostro divin Cuore il nostro santissimo Papa – Gregorio XVIII -. Siate sua luce, sua forza, sua consolazione).

Indulgentia trecentorum dierum (S. Pæn. Ap 18 ian. 1924 et 19 iun. 1933).

LITANIAE

245

Kyrie, eleison.

Christe, eleison.

Kyrie, eleison.

Christe, audi nos.

Christe, exaudi nos.

Pater de cælis, Deus, miserere …

Fili, Redemptor mundi, Deus, miserere …

Spiritus Sancte, Deus, miserere …

Sancta Trinitas, unus Deus, misere

Cor Iesu, Filii Patris æterni, miserere

Cor Iesu, in sinu Virginis Matris a Spiritu Sancto formatum, miserere

Cor Iesu, Verbo Dei substantialiter unitum, miserere

Cor Iesu, maiestatis infinitæ, miserere

Cor Iesu, templum Dei sanctum, miserere

Cor Iesu, tabernaculum Altissimi, miserere

Cor Iesu, domus Dei et porta cæli, miserere

Cor Iesu, fornax ardens caritatis, miserere

Cor Iesu, iustitiæ et amoris receptaculum, miserere

Cor Iesu, bonitate et amore plenum, miserere

Cor Iesu, virtutum omnium abyssus, miserere

Cor Iesu, omni laude dignissimum, miserere

Cor Iesu, rex et centrum omnium cordium, miserere

Cor Iesu, in quo sunt omnes thesauri sapientiæ et scientiæ, miserere

Cor Iesu, in quo habitat omnis plenitudo divinitatis, miserere

Cor Iesu, in quo Pater sibi bene complacuit, miserere

Cor Iesu, de cuius plenitudine omnes nos accepimus, miserere nobis.

Cor Iesu, desiderium collium æternorum, miserere

Cor Iesu, patiens et multae misericordiæ, miserere

Cor Iesu, dives in omnes qui invocant te, miserere

Cor Iesu, fons vitæ et sanctitatis, miserere

Cor Iesu, propitiatio pro peccatis nostris, miserere

Cor Iesu, saturatum opprobriis, miserere

Cor Iesu, attritum propter scelera nostra, miserere

Cor Iesu, usque ad mortem obediens factum, miserere

Cor Iesu, lancea perforatum, miserere

Cor Iesu, fons totius consolationis, miserere

Cor Iesu, vita et resurrectio nostra, miserere

Cor Iesu, pax et reconciliatio nostra, miserere

Cor Iesu, victima peccatorum, miserere

Cor Iesu, salus in te sperantium, miserere

Cor Iesu, spes in te morientium, miserere

Cor Iesu, deliciæ Sanctorum omnium, miserere

Agnus Dei, qui tollis peccata mundi,  parce nobis, Domine.

Agnus Dei, qui tollis peccata mundi,  exaudi nos, Domine.

Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, miserere nobis.

y. Iesu, mitis et humilis Corde,

Jf. Fac cor nostrum secundum Cor tuum.

Oremus.

Omnipotens sempiterne Deus, respice in Cor dilectissimi Filii tui et in laudes et satisfactiones, quas in nomine peccatorum tibi persolvit, iisque misercordiam tuam petentibus, tu veniam concede placatus in nomine eiusdem Filii tui Iesu Christi: Qui tecum vivit et regnat in sæcula sæculorum. Amen.

Indulgentia septem annorum.

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodo quotidie per integrum mensem litaniae cum versiculo et oratione pia mente repetitæ fuerint (S. Rituum C., exhib. doc. 2 apr. 1899; S. Pæn. Ap., 10 mart. 1933).

 Queste sono le feste del mese di GIUGNO 2023

2 Feria Sexta Quattuor Temporum Pentecostes    Semiduplex

          Ss. Marcellini, Petri, atque Erasmi Martyrum  

3 Sabbato Quattuor Temporum Pentecostes    Semiduplex

4 Dominica Sanctissimæ Trinitatis    Duplex I. classis

5 S. Bonifatii Episcopi et Martyris    Duplex

6 S. Norberti Episcopi et Confessoris    Duplex

8 Festum Sanctissimi Corporis Christi    Duplex I. classis

9 Ss. Primi et Feliciani Martyrum    Simplex

10 S. Margaritæ Reginæ Viduæ    Semiduplex

11 Dominica II Post Pentecosten infra Octavam Corporis Christi – Sem.d. Dom.m.

       S. Barnabæ Apostoli    Duplex majus

12 S. Joannis a S. Facundo Confessoris    Duplex

13 S. Antonii de Padua Confessoris    Duplex

14 S. Basilii Magni Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

15 Ss. Viti, Modesti atque Crescentiæ Martyrum    Simplex

      Octavæ Sanctissimi Corporis Christi    Duplex majus

16 Sanctissimi Cordis Domini Nostri Jesu Christi    Duplex I. classis

18 Dominica III Post Pentecosten infra Oct. SSmi Cordis D.N.J.C. Semiduplex

S. Ephræm Syri Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

19 S. Julianæ de Falconeriis Virginis    Duplex

20 S. Silverii Papæ et Martyris    Simplex

21 S. Aloisii Gonzagæ Confessoris    Duplex

22 S. Paulini Episcopi et Confessoris    Duplex

23 Octavæ SSmi Cordis Jesu    Duplex majus

          In Vigilia S. Joannis Baptistæ    Simplex

24  In Nativitate S. Joannis Baptistæ    Duplex I. classis *L1*

25 Dominica IV Post Pentecosten    Semiduplex Dominica minor

          S. Gulielmi Abbatis    Duplex

26 Ss. Joannis et Pauli Martyrum    Duplex

28 S. Irenæi Episcopi et Martyris    Duplex

29 SS. Apostolorum Petri et Pauli    Duplex I. classis *L1*

30 In Commemoratione S. Pauli Apostoli    Duplex majus *L1*

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA: MAGGIO 2023

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA: MAGGIO 2023

[Abbiamo non solo il diritto, ma il vero e proprio obbligo di onorare la Vergine Maria. Questo è dimostrato nel modo più chiaro dal testamento di Cristo. Il Venerdì Santo è il giorno più importante della storia universale. Cristo è inchiodato sulla croce e Maria gli è vicina, perché dove Cristo soffre, sua Madre è lì con Lui. È stata Lei a portarlo nel mondo. Ha voluto essere presente anche alla sua morte. Non è possibile leggere senza emozione il Vangelo di San Giovanni quando si riferisce alle parole pronunciate dal Signore dalla croce: “Donna, ecco tuo figlio! Poi disse al discepolo: “Ecco tua madre”. E da quel momento il discepolo la prese come madre” (Gv XIX, 26-27). Ecco il testamento del Signore: Madre, sii una madre protettrice, patrona degli uomini, per i quali ho dato il mio sangue e la mia vita; guarda tuo figlio. Figlio, ecco hai tua madre. Lei non è la tua regina, non è la tua imperatrice…, non è mia madre…, no, è tua madre. – E allora, se ci viene chiesto con quali titoli onoriamo la Vergine Maria, in quale passaggio Cristo abbia comandato il suo culto, la nostra risposta è questa: è qui che lo ha comandato. Quando disse a San Giovanni, e in lui a tutti noi: “Ecco tua madre”. Da quel momento Maria è la nostra Madre celeste. E da quel momento il canto sulle labbra degli uomini non cessa mai. – Ecco i fondamenti dogmatici del nostro culto di Maria. Maria non ha perso il suo potere di Madre di Dio, nemmeno nei cieli, al contrario, lì anzi lo esercita in modo ancora più efficace. La Madre di Dio deve avere, in un certo senso, un ascendente su Dio, nel senso che Dio ascolta le sue preghiere con piacere. Maria prega, intercede incessantemente per noi, perché siamo tutti fratelli e sorelle di Cristo, e quindi siamo anche figli di Maria. E il suo Figlio divino ha affidato tutti noi alla sua cura e alla sua protezione. Che gioia sapere che abbiamo in cielo una Madre di bontà, una potente Protettrice, sempre pronta a prendere nelle sue mani i nostri affari e presentare le nostre suppliche al suo Divino Figlio!]

(Toth Tihamer: La Vergine Maria – 1953)

PIA EXERCITIA

325

Fidelibus, qui mense maio pio exercitio in honorem beatæ Mariæ Virginis publice peracto devote interfuerint, conceditur:

Indulgentia septem annorum quolibet mensis die:

Indulgentia plenaria, si diebus saltem decem huiusmodi exercitio vacaverint et præterea sacramentalem confessionem instituerint, ad sacram Synaxim accesserint et ad mentem Summi Pontificis oraverint.

Iis vero, qui præfato mense preces vel alia pietatis obsequia beatæ Mariæ Virgini privatim præstiterint, conceditur: Indulgentia quinque annorum semel, quolibet mensis die;

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, si quotidie per integrum mensem idem obsequium peregerint; at ubi pium exercitium publice habetur, huiusmodi indulgentia ab iis tantum acquiri potest, qui legitimo detineantur impedimento quominus exercitio publico intersint (Secret. Mem. 21 mart, 1815; S. C. Indulg., 18 iun. 1822; S. Pænit. Ap., 28 mart. 1933).

[Ai fedeli che praticheranno un pio esercizio in onore della Beata Vergine Maria, si concedono 7 anni (se in pubblico) o 5 anni (se in privato) di indulgenza per ogni giorno del mese, e indulgenza plenaria s. c. se praticato per almeno 10 giorni]

CANTICUM, HYMNI ET ANTIPHONAE

320

Magnificat anima mea Dominum:

Et exsultavit spiritus meus in Deo salutari meo.

Quia respexit humilitatem ancillæ suæ: ecce

enim ex hoc beatam me dicent omnes generationes.

Quia fecit mihi magna qui potens est: et sanctum nomen eius.

Et misericordia eius a progenie in progenie timentibus eum.

Fecit potentiam in brachio suo: dispersit superbo mente cordis sui.

Deposuit potentes de sede, et exaltavit humiles.

Esurientes implevit bonis: et divites dimisit inanes.

Suscepit Israel puerum suum, recordatus misericordia è suæ.

Sicut locutus est ad patres nostros, Abraham et semini eius in sæcula.

(Luc., I, 46).

Indulgentia trium annorum.

Indulgentia quinque annorum, si canticum in festo Visitationis B. M. V. vel quolibet anni sabbato recitatum fuerit.

(5 anni nella festa della Visitazione e in qualsiasi sabato dell’anno)

Indulgentia plenaria s. c.  

(20 sept. 1879 et 22 febr. 1888; S. Paen. Ap., 18 febr. 1936 et 12 apr. 1940).

321

Ave maris stella, Dei Mater alma,

Atque semper Virgo, Felix caeli porta.

Sumens illud Ave Gabrielis ore,

Funda nos in pace Mutans Hevæ nomen.

Solve vincla reis, Profer lumen caecis,

Mala nostra pelle, Bona cuncta posce.

Monstra te esse matrem, Sumat per te preces

Qui pro nobis natus Tulit esse tuus.

Virgo singularis, Inter omnes mitis,

Nos culpis solutos Mites fac et castos.

Vitam præsta puram, Iter para tutum,

Ut videntes Iesum Semper collætemur.

Sit laus Deo Patri, Summo Christo decus,

Spiritui Sancto, Tribus honor unus. Amen.

Indulgentia trium annorum.

Indulgentia plenaria s. c. per un mese.

(S. C. Indulg., 27 ian. 1888; S. Pæn. Ap ., 27 mart. 1935).

322

O gloriosa Virginum, Sublimis inter sidera,

Qui te creavit, parvulum. Lactente nutris ubere.

Quod Heva tristis abstulit, Tu reddis almo germine:

Intrent ut astra flebiles, Cæli recludis cardines.

Tu regis alti ianua, Et aula lucis fulgida:

Vitam datam per Virginem Gentes redemptæ plaudite.

Iesu, tibi sit gloria, Qui natus es de Virgine,

Cum Patre et almo Spiritu, In sempiterna sæcula. Amen.

( e x Brev. Rom.).

Indulgentia trium annorum.

Indulgentia plenaria s. c. per un mese.

(S . Pæn. Ap., 22 nov. 1934).

323

Alma Redemptoris Mater,

quæ pervia cæli Porta manes, et stella maris, succurre cadenti,

Surgere, qui curat, populo: tu quæ genuisti,

Natura mirante, tuum sanctum Genitorem,

Virgo prius ac posterius, Gabrielis ab ore Sumens illud Ave, peccatorum miserere.

(ex Brev. Rom.).

Indulgentia quinque annorum.

Indulgentia plenaria, s. c. per l’intero mese

(S. Pæn. Ap., 15 febr. 1941).

QUESTE SONO LE FESTE del mese di MAGGIO 2023

1 Maggio S. Joseph Opificis    Duplex I. classis *L1

2 Maggio S. Athanasii Episcopi Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

3 Maggio Inventione Sanctæ Crucis    Duplex II. classis *L1*

4 Maggio S. Monicæ Viduæ    Duplex

5 Maggio S. Pii V Papæ et Confessoris    Duplex m.t.v.

6 Maggio S. Joannis Apostoli ante Portam Latinam    Duplex majus *L1*

7 Maggio Dominica IV Post Pascha    Semiduplex Dominica minor *I*

                 S. Stanislai Episcopi et Martyris    Duplex

8 Maggio In Apparitione S. Michaëlis Archangeli    Duplex majus *L1*

9 Maggio S. Gregorii Nazianzeni Ep. Confessoris et Ecclesiæ Doctoris – Duplex

10 Maggio S. Antonini Episcopi et Confessoris    Duplex m.t.v.

11 Maggio Ss. Philippi et Jacobi Apostolorum    Duplex II. classis *L1*

12 Maggio Ss. Nerei, Achillei et Domitillæ Virg.

atque Pancratii Martyrum    Semiduplex

13 Maggio S. Roberti Bellarmino Ep Confessoris et Eccl. Doctoris – Duplex m.t.v.

14 Maggio S. Bonifatii Martyris    Simplex

15 Maggio S. Joannis Baptistæ de la Salle Confessoris    Duplex m.t.v.

                     Feria Secunda in Rogationibus   

16 Maggio S. Ubaldi Episcopi et Confessoris    Semiduplex

                     Feria Tertia in Rogationibus   

17 Maggio S. Paschalis Baylon Confessoris    Duplex

                      Feria Quarta in Rogationibus in Vigilia Ascensionis   

18 Maggio In Ascensione Domini    Duplex I. classis *I*

19 Maggio S. Petri Celestini Papæ et Confessoris    Duplex

20 Maggio S. Bernardini Senensis Confessoris    Semiduplex

21 Maggio Dominica infra Octavam Ascensionis  Semiduplex Dominica minor *I*

22 Maggio Feria II infra Octavam Ascensionis    Ferial

23 Maggio Feria III infra Octavam Ascensionis    Ferial

24 MaggioFeria IV infra Octavam Ascensionis    Ferial *I*

25 Maggio Octavæ Ascensionis    Duplex majus

                   S. Gregorii VII Papæ et Confessoris    Duplex

26 Maggio Feria VI post Octavam Ascensionis    Semiduplex *I*

                   S. Philippi Neri Confessoris    Duplex

27 Maggio Sabbato in Vigilia Pentecostes    Feria privilegiata *I*

                  S. Bedæ Venerabilis Confessoris et Ecclesiæ Doctoris   

28 Maggio Dominica Pentecostes    Duplex I. classis

29 Maggio Die II infra octavam Pentecostes    Duplex I. classis

30 Maggio Die III infra octavam Pentecostes    Duplex I. classis

31 Maggio Beatæ Mariæ Virginis Reginæ  Semiduplex

                  Feria Quarta Quattuor Temporum Pentecostes    Semiduplex

FESTA DI S. MARCO EVANGELISTA (2023)

25 APRILE

FESTA DI S. MARCO EVANGELISTA (2023)

I. Litanie Maggiori. — Paramenti viola.

STAZIONE A S. PIETRO

La Chiesa celebra oggi due solennità che non hanno alcun rapporto tra loro. Le Litanie Maggiori e la Festa di san Marco, istituita posteriormente. A Roma, vi era un tempo, il 25 aprile, la solennità pagana dei Robigalia. Essa consisteva principalmente in una processione che usciva dalla città per la porta Flaminia, si dirigeva verso il Ponte Milvio e terminava in un santuario suburbano situato sulla via Claudia, dove s’immolava una pecora in onore di un dio o di una dea Robigo (Dio o dea della ruggine. DELEHAVE (H), Les Légendes hagiographiques, 1927, p. 170).

La Litania Maggiore fu la sostituzione d’una cerimonia cristiana alla cerimonia pagana. Il percorso ci è reso noto da una convocazione di S. Gregorio il Grande. È quasi identico a quello della processione pagana. Tutti i fedeli di Roma si recavano alla chiesa di S. Lorenzo in Lucina, la più vicina alla porta Flaminia. La processione usciva da questa stessa porta, faceva stazione a S. Valentino, traversava il ponte Milvio, poi girava a sinistra verso il Vaticano. Dopo essersi fermata a una croce, si recava nella basilica di S. Pietro per la celebrazione. dei Santi Misteri. Questa litania si recita in tutta la Chiesa per allontanare i flagelli, e attirare la benedizione di Dio sulle messi. «Dègnati dare e conservare i frutti della terra, te ne preghiamo, ascoltaci », canta la Chiesa traversando processionalmente le campagne. L’intera Messa mostra quel che può ottenere la preghiera assidua, quando in mezzo alle nostre avversità (Orazioni, Off.) ricorriamo con fiducia al nostro Padre celeste (Ep., Vang., Comm.).

2. S. Marco, Evangelista.

Doppio di 2. cl. – Paramenti rossi.

Marco, discepolo di S. Pietro, è uno dei quattro Evangelisti (Or.) che scrissero, sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, un riassunto della vita di Gesù. Il suo racconto comincia con la missione di Giovanni Battista, » la cui voce si è fatta udire nel deserto »; lo si rappresenta con un leone coricato ai suoi piedi, perché il leone, uno dei quattro animali simbolici della visione d’Ezechiele (Ep.), fa risuonare il deserto dei suoi ruggiti. Fu uno dei settantadue discepoli (Vang.) e andò in Egitto dove per primo annunciò il Cristo ad Alessandria, La predicazione del suo Vangelo, che il suo martirio venne a confermare, lo fece entrare nella gloria (Segr.). Il suo corpo fu trasportato a Venezia, di cui è il patrono dal IX secolo. Roma possiede una chiesa dedicata a S. Marco, dove si fa Stazione il lunedì della terza settimana di Quaresima. Profittiamo degli insegnamenti di S. Marco, che scrisse il Vangelo del Cristo e lo predicò, e ricorriamo alle sue preghiere (Or.).

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Orémus,
Aufer a nobis, quǽsumus, Dómine, iniquitátes nostras: ut ad Sancta sanctórum puris mereámur méntibus introíre. Per Christum, Dóminum nostrum. Amen.
[Togli da noi, o Signore, le nostre iniquità: affinché con ànimo puro possiamo entrare nel Santo dei Santi. Per Cristo nostro Signore. Amen.]
Orámus te, Dómine, per mérita Sanctórum tuórum, quorum relíquiæ hic sunt, et ómnium Sanctórum: ut indulgére dignéris ómnia peccáta mea. Amen.

 [Ti preghiamo, o Signore, per i mériti dei tuoi Santi dei quali son qui le relíquie, e di tutti i tuoi Santi: affinché ti degni di perdonare tutti i miei peccati. Amen.]

Introitus

Ps LXIII:3
Protexísti me, Deus, a convéntu malignántium, allelúja: a multitúdine operántium iniquitátem, allelúja, allelúja.

[Nascondimi dalle insidie dei malvagi, o Dio, alleluia; dal tumulto dei malfattori, alleluia, alleluia.]


Ps LXIII:2
Exáudi, Deus, oratiónem meam cum déprecor: a timore inimíci éripe ánimam meam.

[Ascolta, o Dio, la mia voce tra i gemiti; preserva la mia vita dal timore del nemico.]

V. Glória Patri, et Fílio, et Spirítui Sancto.
R. Sicut erat in princípio, et nunc, et semper, et in sǽcula sæculórum. Amen.

Protexísti me, Deus, a convéntu malignántium, allelúja: a multitúdine operántium iniquitátem, allelúja, allelúja.

[Ascolta, o Dio, la mia voce tra i gemiti; preserva la mia vita dal timore del nemico.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Orémus.
Deus, qui beátum Marcum Evangelístam tuum evangélicæ prædicatiónis grátia sublimásti: tríbue, quǽsumus; ejus nos semper et eruditióne profícere et oratióne deféndi.


[O Dio, che hai reso glorioso il tuo santo evangelista Marco, con la grazia della predicazione del vangelo: concedi a noi di trarre sempre profitto dal suo insegnamento, e di essere difesi dalla sua preghiera.]
Per Dóminum nostrum Jesum Christum, Fílium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitáte Spíritus Sancti Deus, per ómnia sǽcula sæculórum.
R. Amen.

Orémus.

Pro rogationibus
Præsta, quǽsumus, omnípotens Deus: ut, qui in afflictióne nostra de tua pietáte confídimus; contra advérsa ómnia, tua semper protectióne muniámur.

[Nelle nostre pene, noi ci rifugiamo fiduciosi nella tua misericordia, o Dio onnipotente, e tu, concedi a noi, contro ogni male protezione e difesa.]

Lectio

Léctio Ezechiélis Prophétæ.
Ezech 1:10-14
Similitúdo vultus quátuor animálium: fácies hóminis, et fácies leónis a dextris ipsórum quatuor: fácies autem bovis a sinístris ipsórum quátuor, et fácies áquilæ désuper ipsórum quátuor. Fácies eórum et pennæ eórum exténtæ désuper: duæ pennæ singulórum jungebántur et duæ tegébant córpora eórum: et unumquódque eórum coram fácie sua ambulábat: ubi erat ímpetus spíritus, illuc gradiebántur, nec revertebántur cum ambulárent. Et similitúdo animálium, aspéctus eórum quasi carbónum ignis ardéntium et quasi aspéctus lampadárum. Hæc erat visio discúrrens in médio animálium, splendor ignis, et de igne fulgur egrédiens. Et animália ibant et revertebántur in similitúdinem fúlguris coruscántis.
R. Deo grátias.

[Ecco l’aspetto di ciascuno dei quattro esseri viventi: tutti e quattro avevano faccia di uomo e di leone alla loro destra; tutti e quattro avevano faccia di bove a sinistra; al disopra di tutti e quattro v’era la faccia dell’aquila. Così era il loro aspetto. Le loro ali si stendevano in alto, due ali di ciascuno si univano, e due coprivano il corpo. Ciascuno di essi andava in direzione della sua faccia, andavano dove portava l’impeto dello spirito, e nel camminare non si volgevano indietro. In quanto alla forma di questi esseri viventi, il loro aspetto era come fuoco di carboni ardenti e come lampade accese. Ecco quanto vedevo scorrere nel mezzo di quei viventi: splendore di fuoco, e dal fuoco uscir folgori. Ed essi andavano e venivano a somiglianza di folgori lampeggianti.]

Alleluja

Ps 88:6
Confitebúntur cœli mirabília tua, Dómine: étenim veritátem tuam in ecclésia sanctórum. Allelúja.

[I cieli cantano le tue meraviglie, o Signore, e la tua fedeltà nell’assemblea dei santi. Alleluia.]
Ps XX: 4.
Posuísti, Dómine, super caput ejus corónam de lápide pretióso. Allelúja.

[Gli hai posto in capo, o Signore, una corona di pietre preziose. Alleluia.]

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Lucam.
R. Glória tibi, Dómine.
Luc 10:1-9
In illo témpore: Designávit Dóminus et alios septuagínta duos: et misit illos binos ante fáciem suam in omnem civitátem et locum, quo erat ipse ventúrus. Et dicébat illis: Messis quidem multa, operárii autem pauci. Rogáte ergo Dóminum messis, ut mittat operários in messem suam. Ite: ecce, ego mitto vos sicut agnos inter lupos. Nolíte portare sácculum neque peram neque calceaménta; et néminem per viam salutavéritis. In quamcúmque domum intravéritis, primum dícite: Pax huic dómui: et si ibi fúerit fílius pacis, requiéscet super illum pax vestra: sin autem, ad vos revertátur. In eádem autem domo manéte, edéntes et bibéntes quæ apud illos sunt: dignus est enim operárius mercéde sua. Nolíte transíre de domo in domum. Et in quamcúmque civitátem intravéritis, et suscéperint vos, manducáte quæ apponúntur vobis: et curáte infírmos, qui in illa sunt, et dícite illis: Appropinquávit in vos regnum Dei.

[In quel tempo: Il Signore scelse anche altri settantadue discepoli e li mandò a due a due innanzi a sé in ogni città e luogo dove egli era per andare. E diceva loro: «La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il padrone della messe che mandi operai per la sua mietitura. Andate! Ecco, io vi mando come agnelli in mezzo a lupi. Non portate né borsa, né sacca, né sandali; e per la strada non salutate nessuno. In qualunque casa entrerete, dite prima di tutto: “Pace a questa casa”. E se ci sarà un figlio di pace riposerà su di lui la pace vostra, altrimenti ritornerà a voi. E nella stessa casa restate, mangiando e bevendo di quel che vi dànno; perché l’operaio è degno della sua mercede. Non girate di casa in casa. E in qualunque città entrerete, se vi accolgono, mangiate di quel che vi sarà messo davanti e guarite gli infermi che ci sono, e dite loro: “Sta per venire a voi il Regno di Dio”».]

OMELIA

SAN MARCO (Omelia)

(Otto Hophan: Gli Apostoli, trad. G. Scattolon; Marietti ed. 1951.N. h. M. Fantuzzi, C. E. D. – Impr. A. Mantiero Vesc. di Treviso, 15 oct. 1949)

San Marco non appartiene agli Apostoli, dei quali la serie augusta si conchiude con Paolo, l’« ultimo », il «minimo », come egli stesso si ritiene nella sua umiltà’. Marco però è Evangelista, il secondo dei quattro Evangelisti, che insieme col terzo, Luca, come lui non Apostolo, è preso nel mezzo fra gli evangelisti-apostoli Matteo e Giovanni quasi a protezione e sostegno; lo troviamo già in cataloghi antichi del quarto e quinto secolo dopo Paolo, ma prima dei settanta discepoli, perché non era quanto un Apostolo, ma era di più d’un semplice discepolo. Marco nei Libri Sacri del Nuovo Testamento è ricordato dieci volte, ora solamente col suo nome ebraico Giovanni, ora soltanto col nome romano Marco, ora col doppio nome Giovanni-Marco; e, come per il suo grande maestro Saulo-Paolo, anche per lui un po’ alla volta il nome ebraico scomparve nell’ombra, prevalse il nome di Marco, finché a Roma questo divenne il suo nome esclusivo. Il Synaxarion quale padre suo indica un certo Aristobolo; la Sacra Scrittura ricorda soltanto la madre e in modo da far concludere che il padre morì per tempo, non prima però del Giovedì Santo. Egli dovette rimaner senza il padre esattamente in quegli anni in cui aveva il massimo bisogno di lui; ché nemmeno la migliore delle madri può compensare del tutto il padre; ne manca per natura la mano ferma, cosciente delle mete e anche dura, se necessario; e si direbbe che questa deficienza abbia avuto il suo riflesso nell’educazione di Marco meno virile, meno coerente e sicura. Siamo indotti a rilevarlo dal fatto del suo ritorno alla madre, mentre gli si delineavano dinanzi gli strapazzi del primo viaggio apostolico; il prete romano Ippolito (+ 235) ha per il nostro Evangelista l’appellativo « kolobodaktylos — dal dito monco »; è vero però che l’espressione potrebbe alludere ad una mano piccola, esile, e il senso potrebbe essere: mani piccole non possono serrarsi in pugni pesanti, atti a dominare le difficoltà. La madre di Marco, Maria, era una donna religiosa, colta e ricca; anche fosse vero, secondo l’informazione d’uno scritto arabico, che aveva perduto il suo vistoso patrimonio, nondimeno al tempo della sua vedovanza era ancora così benestante che possedeva una grande casa in Gerusalemme, messa dal suo pio sentimento a disposizione della giovane comunità cristiana, perché vi tenesse le sue adunanze. Secondo lo storico della Chiesa Niceforo, Maria sarebbe stata una « sorella » di Pietro, o « una figlia della zia della moglie di Pietro », come con complicata espressione precisa, in fatto di parentela, lo scritto arabico or ora ricordato; e a dir vero, un rapporto di parentela, per quanto largo, di Pietro spiegherebbe bene le sue relazioni con la casa di Maria e anche la sua evidente benevolenza per Marco. Questa donna, riferisce il Synaxarion arabico, era di molto talento ed istruì lei stessa il figlio, cui insegnò la lingua greca, la francese (latina?) ed ebraica. E fece molto bene, perché il suo Marco, secondo i disegni della Provvidenza sarebbe divenuto un giorno l’interprete di Pietro. Quante volte il Signore dona alle mamme un presentimento dei suoi piani sublimi! Riprendiamo con gusto all’idillio e all’ideale della cara vita familiare di questa gentile signora col suo figlio Marco; ella raccoglieva tutto il suo vedovo amore sul suo Marco, suo figlio, suo sole, e suo tutto; e Marco stendeva le sue mani delicate e il suo giovane cuore all’amore di sua madre, che l’andava plasmando. La Sacra Scrittura ricorda anche un altro vincolo di parentela del nostro Marco: egli era « il cugino — anepsiòs, consobrinus — di Barnaba »; questa espressione di solito è tradotta con « cugino », ma potrebbe tradursi anche con « nipote », e quindi Barnaba, che gli Atti degli Apostoli esaltano quale « uomo esimio, ripieno di Spirito Santo e di fede », sarebbe stato lo zio di Marco e probabilmente da parte del padre, giacché egli pure, secondo l’esplicita testimonianza della Scrittura, apparteneva alla tribù di Levi. Marco era ricco, colto, bello, circondato da cure e custodito, il beniamino di tutti. Gli « Atti di Marco », uno scritto della metà del quarto secolo, lo esaltano come un uomo « di buona indole e soffuso di divina bellezza »; descrivono poi il suo simpatico esteriore dicendo: « Era di portamento nobile e svelto; aveva belli gli occhi e un volto dal color d’oro, come un campo di grano, il naso non ricurvo ma diritto e sopracciglia aderenti ». Chi dalla vita è trattato ruvidamente, è tentato d’amaramente invidiare individui in tal modo illuminati dal sole, quasi vengano viziati dalla sorte; ma perché non ci dovrebbero essere anche le persone felici e belle? Esse sono una ricchezza del mondo povero e un raggio singolarmente fulgido del perfetto Iddio. Anche Marco fu un prediletto della natura e lo fu pure della grazia, che importa ancor più. – MARCO E GESÙ. Ma quanta parte dipende dalla famiglia, nella quale un uomo cresce! La casa può essere la sua eterna benedizione, come può pure divenire motivo della spaventosa rovina. Marco, favorito da Dio e dall’azione della Provvidenza, fu adagiato entro alla culla del Cristianesimo; egli crebbe insieme col recente Cristianesimo e nello stesso luogo; Marco e la giovane società di Cristo son come fratelli gemelli. Secondo un’antica tradizione degna di fede, la sala fortunata, nella quale si compirono i più augusti Misteri, quali la celebrazione della Cena il Giovedì Santo, le apparizioni del Risorto nei giorni pasquali, il soffio dello Spirito Santo nella bufera di Pentecoste, era la sala della casa materna di Marco; nelle supreme ore cristiane egli stava là, non certo come uno di coloro che circondavano Gesù direttamente, ma almeno come uno che è ammesso; poiché chi avrebbe potuto allontanare un buon giovane, specialmente se si trattava del figlio della padrona di casa, tanto ospitale? Silenzioso dunque, stupito, tutt’occhi e tutt’orecchi, egli visse con gli altri i sublimissimi eventi e, anche se non comprese il loro significato — non lo compresero del tutto nemmeno gli Apostoli —, presagì però che quivi, nella casa della madre sua, s’avveravano cose divine e nella sua sensibile anima di ragazzo s’impressero incancellabilmente le scene più stupende del Vangelo. – Quando i due Apostoli Pietro e Giovanni, nel pomeriggio del Giovedì Santo, gli tennero dietro ostinatamente per tutte le vie sino a casa, mentre s’allontanava dalla fonte, dove s’era portato per attingere acqua, egli si guardò attorno attonito; fin d’allora egli fu presente a Gesù, poiché con ragione si suppone che fosse Marco quel giovane, con la brocca d’acqua, che il Signore diede ai due Apostoli come segno: « Seguitelo! E dov’egli entra, ivi dite al padrone di casa: “Il Maestro ci fa chiedere: Dov’è la stanza, nella quale Io possa mangiare la Pasqua con i miei Discepoli?”. Egli vi farà vedere una grande stanza superiore, arredata di divani per la mensa. È già pronta; ivi preparate per noi ». Con la gioia ed il fervore d’un ragazzetto, cui è dato di prestare dei servizi insoliti, Marco aiutò Pietro e Giovanni nel preparare la cena pasquale; li aiuterà anche più tardi, nel preparare il vero Agnello pasquale per gli uomini. E giunse la sera; arrivavano gli altri dieci Apostoli, seri, silenziosi, oppressi, così gli sembrava, e s’avvicinavano alla casa; venne poi il Signore, pallido ma dignitoso. Mentre veniva accolto, Egli posò la mano sul capo di Marco, quella mano, che al domani sarebbe stata trafitta; poi Maria, la mamma, allontanò dal gruppo di quelle persone il figlio; ma chi vorrebbe rimproverarlo, se ben presto fu di nuovo dinanzi alla porta chiusa della sala? Sentì le parole sublimi, da lontano soltanto, certamente, non vicino come Giovanni, che più tardi le mise in iscritto; indietreggiò spaventato, quando Giuda aprì violentemente la porta e gli passò dinanzi precipitoso; messosi a letto, non s’addormentò e udì i passi che si dileguavano; che convenga seguire…? – Tre giorni dopo, di soppiatto, gli stessi individui vennero nella medesima sala; veramente non erano proprio gli stessi, perché erano venuti spiando come malfattori e sconvolti come fossero dei disperati; nessuno aveva avuto per lui uno sguardo o una parola di saluto. Quando da lassù, nella sala, giunse all’orecchio del nostro giovane lo strepito come d’un’esplosione di terrore e subito poi di festa, egli corse su, presso la porta chiusa, compresse il suo scarno corpo contro la parete, spiò attraverso una sottile fessura e fu colpito da tanta luce, che i suoi occhi ne soffrirono. Marco termina la prima stesura del suo Vangelo con la relazione della apparizione del Risorto alle pie donne: « Paura e timore s’erano impadroniti delle donne. Per il grande timore, non ne fecero parola a nessuno »; forse in queste singolari espressioni freme pure la prima esperienza pasquale di Marco stesso. La casa dei suoi genitori doveva essere per la terza volta il teatro d’una sublimissima grazia nel giorno di Pentecoste. Giovane com’era, sulle prime dovette sentirsi poco sicuro, quando « improvvisamente si levò un rumore dal cielo, come se giungesse una violenta bufera, il quale riempì tutta la casa, dov’essi erano raccolti ». Poi calarono le lingue fiammeggianti e una di esse accese del fuoco dello Spirito Santo anche Marco e gli infuse quella chiarezza e vigoria, che vampeggia ancor oggi nel suo Vangelo. Oh, come è vero che nella vita d’un uomo molto dipende dalla casa, dov’egli è a casa! – È vero che la stessa Sacra Scrittura attesta solo che la casa di Maria, la madre di Marco, servì, come una prima Chiesa, per le assemblee della prima comunità cristiana in Gerusalemme al tempo della persecuzione di Erode Agrippa (41-44); per questo ricevette il titolo onorifico di « madre di tutte le chiese », di  ‘Santa Sion » e di « chiesa degli Apostoli », e in un’epoca posteriore fu edificata nel suo posto una vasta Chiesa, nella quale venne inclusa anche la casa dell’Apostolo Giovanni, detta « Dormitio Mariæ Virginis — il rimpatrio della Vergine Maria » —, situata lì vicino. Questa indicazione però della Scrittura illumina quanto afferma la tradizione. Se Maria, la nobile e religiosa signora, mise a disposizione della comunità cristiana la sua casa, è probabile che l’avesse aperta già al Signore, i primi Cristiani anzi, proprio per questo si sarebbero ritrovati insieme tanto volentieri in quella casa, perché essa era stata consacrata cioè dallo stesso Signore e dallo Spirito Santo. – Anche queste riunioni dei primi Cristiani nella casa di sua madre furono per Marco, giovane allora in fiorente sviluppo, una ricca sorgente di grazia e decisive per la sua vita. Quivi gli Apostoli andavano e venivano e trattavano delle loro sollecitudini, dei loro piani e successi; quivi si rifugiarono i primi Cristiani di Gerusalemme nei giorni penosi delle persecuzioni da parte del Sinedrio, di Paolo e di Erode. Inobliabile restò per Marco soprattutto quella notte di pasqua, durante la quale l’intera giovane Chiesa pregava per la salvezza di Pietro dalle mani di Erode, assetate di sangue: fu picchiato alla porta del cortile; « la fanciulla Rode accorse e stette ad ascoltare; riconobbe la voce di Pietro, ma per la gioia dimenticò di aprire la porta; rientrò correndo e annunziò che Pietro stava alla porta. Quelli le replicarono: “Sei ben fuori di te!”; ma lei insisteva a dire ch’era così; allora pensarono: “È il suo Angelo”; ma Pietro continuava a picchiare. Allora aprirono, videro e sbigottirono. Egli fece loro cenno con la mano di fare silenzio e raccontò loro come il Signore l’avesse liberato dal carcere » (Act. XII, 1-17). Per lo più bussare ad una porta significa pure bussare a un cuore; Marco, con cuore grande e festante, aveva aperto la porta al Signore e a Pietro, e li vide entrare venire verso di sé come verso ad una primavera; aprì loro anche il suo cuore? – Tenero e sensibile del ragazzo. Nel suo Vangelo egli ha notato un particolare, ch’è in se stesso senza importanza, ma che s’incontra solamente in lui: « Dopo di che (dopo cioè la cattura sul Monte degli Olivi), tutti Lo abbandonarono e fuggirono. Un giovanetto però, che indossava sul nudo corpo un lenzuolo soltanto, Lo seguì; quando lo si volle acciuffare, lasciò andare il lenzuolo e se ne fuggì nudo »! Si ammette abbastanza comunemente che in questo episodio del Vangelo Marco, come un artista nel suo quadro, abbia delineato se stesso; e quante cose ci svela questo piccolo autoritratto! Nella grande notte dell’ultima Cena, egli non aveva potuto dormire, come sua madre invece aveva desiderato e sollecitato, perché aveva percepita la tensione, che gravava su quella notte; aveva intercettate parecchie espressioni del discorso d’addio e a un certo momento gli sembrò di sentire un risonar di spade; se la svignò da casa, ma di soppiatto per non scontrarsi col volere della mamma e in tenuta certamente strana, ma era notte e aveva il sangue caldo. Protetto dall’oscurità, trovò sul Monte degli Olivi un nascondiglio, donde ascoltò confuso il gemito del Maestro, il russare dei Discepoli e lo strepito degli sbirri, che accerchiarono Gesù con spade e bastoni. – E qui, in questo primo e unico fatterello, nel quale Marco stesso compare nel Vangelo, è già manifesta la sua affezione per Gesù. Gli Apostoli fuggirono; gli stessi Pietro e Giovanni seguirono soltanto da lontano; ma il caro Marco si tenne vicino, da presso a Gesù. In quel momento gli occhi divini del Signore, ancor pregni di mestizia per il tradimento di Giuda, si rischiararono un po’ e si riposarono con compiacenza su quel nobile giovanetto. Quando i soldati stesero i loro pesanti pugni per colpire quest’ultimo e giovanissimo amico di Gesù, egli lasciò nelle loro mani il ridicolo lenzuolo e rimase nudo. E questa nudità, come un simbolo, indica già l’avvenire: Marco, il nostro giovanetto custodito, curato, delicato, per amore di Gesù abbandonerà tutto e con la sua spogliazione dimostrerà ch’egli è un autentico discepolo del Maestro: non aprì a Gesù solo la porta di casa, Gli aprì pure la porta del suo cuore. – MARCO E PAOLO. Marco e Paolo s’incontrarono probabilmente per la prima volta quando, nell’anno 44, Barnaba e Paolo portarono a Gerusalemme la generosa colletta della comunità etnicocristiana di Antiochia per i bisogni della povera Chiesa madre. Barnaba, lo zio, dovette presentare suo nipote Marco allo sguardo indagatore di Paolo con soddisfatta compiacenza; e il nipote, quand’ebbe udito della vita cristiana dei convertiti dal paganesimo, se ne scese ad Antiochia, quasi come un dono prezioso, che Gerusalemme offriva in compenso della colletta ricevuta. Da anni, infatti, ormai Marco s’era scelto Gesù quale scopo supremo della sua vita; adesso era divenuto un giovanotto robusto e brillante di circa venti primavere, che, come un albero di maggio, voleva portare frutto; le lontane regioni lo allettavano, gli suscitavano in cuore entusiasmo e gioia, cui forse s’aggiungeva pure un po’ di spirito d’avventura; e delle avventure ardite, liete e penose, non mancano nemmeno nel seguire Cristo. Era capitato bene; proprio in quel tempo Barnaba e Paolo intendevano cimentarsi nel rischio del primo viaggio apostolico; gli Atti degli Apostoli a questo punto inseriscono la notizia: « Avevano con loro quale assistente Giovanni (Marco) », non per i loro servizi personali, ma, in senso biblico, quale ministro della Parola, per l’amministrazione del Battesimo e per gli altri aiuti connessi con l’opera missionaria; dalla prima lettera ai Corinti sappiamo però che Paolo riteneva la predicazione come compito suo proprio; Marco, felice come un giovane sacerdote, regalava a piene mani la sua prima benedizione. Ma il viaggio andava oltre a quello che egli aveva immaginato; Cipro fu ben presto attraversata ed evangelizzata, e Paolo si spingeva più innanzi; anzi la sua intenzione di spingersi, attraverso il Tauro, nell’altipiano di Pisidia e Licaonia nell’Asia Minore non si palesò che lassù a Perge. Il viaggio importava una marcia al minimo di dieci giorni di cammino faticoso e altrettanto pericoloso, giacché nell’antichità la stessa scortese pianura di Panfilia era infamata e temuta a motivo dei suoi abitanti bellicosi e rapinatori; persino i Romani riuscirono ad avvicinarsi alle popolazioni semibarbare del Tauro soltanto dopo lunga fatica. Gli Atti degli Apostoli a questo punto ci fanno sapere di Marco: « Si separò da Paolo e Barnaba e tornò a Gerusalemme ». Ce ne domandiamo il perché. Il Sacro Testo stesso però allude ad un motivo: quello che spaventò il buon Marco fu semplicemente l’inaudita fatica del viaggio apostolico; i disagi già sostenuti in Siria, a Cipro e sino a Perge gli avevano fatto provare che l’andare in missione era molto di più che un’allegra e devota avventura; finora aveva resistito, ma non si sentiva in grado di prendere parte anche alla seconda tappa del viaggio. Ci è lecito disapprovare il ritorno di Marco come una fuga vile? Solo a pochi è concesso di affermarsi come eroi già al primo assalto; anche l’eroe deve formarsi attraverso l’aspra lotta e la molteplice rinuncia; il nostro amabile giovane invece fu strappato in età troppo immatura e troppo alle svelte al suo genere di vita nobile, abituato bene e forse un po’ viziato; e venne meno. Ma se un giovane vien meno una volta, verrà poi meno sempre? – Paolo e Barnaba, i due vecchi e fedeli amici, non si staccarono sicuramente solo a motivo di Marco; una profonda amicizia quale la loro non si spezza per un episodio così insignificante. « Si venne (fra Paolo e Barnaba) a un’aspra tensione — non solamente a “una divergenza di opinioni”, come spesso, ripiegando, si traduce, perché il greco “paroxysmés” significa veramente di più che opinione diversa soltanto —, e la conseguenza fu che si separarono l’uno dall’altro; Barnaba fece viaggio con Marco per Cipro, Paolo invece si elesse Sila e s’incamminò con lui per il suo viaggio ». Ci rallegriamo con Marco, perché almeno uno credette ancora in lui, il buon Barnaba; che sarebbe stato di lui, se tutti l’avessero condannato come un vile? Quali decisioni per una giovane vita, se nell’ora opportuna una persona retta offre la sua mano perché prosegua e perché ascenda! La separazione nondimeno lascia dopo di sé un senso di scontentezza, persino il letichino Girolamo lamenta che questa lite fra Paolo e Barnaba fa vedere due grandi nella loro umana meschinità. – Allontanandoci però un poco dalla scena incresciosa, lo sconcerto diminuisce; gli uomini retti traggono vantaggio anche dalle vicende ingiuste; alla fine anche quella lite per causa di Marco tornò a maggior vantaggio di tutti. Questi, che non aveva ancora smesso di sognare, per quell’allarme di Paolo fu salutarmente scosso dai castelli in aria della sua bella giovinezza; si vide d’un tratto posto dinanzi all’inesorabile aut-aut: o uomo o vigliacco; tenne conto della dolorosa ma salutare lezione dell’Apostolo ed « essa lo fece migliore », scrive il Crisostomo; il rimprovero: «Non è venuto con noi nell’opera » gli stava conficcato nello spirito come un pungolo; dimostrerà in seguito ch’esso non aveva più ragione d’essere. Dal canto suo Paolo mutò parere nei riguardi di Marco. Scrive di lui in tre passi del suo epistolario; nella breve lettera a Filemone lo nomina come « collaboratore » al primo posto, persino prima di Luca; ai Colossesi, ai quali l’invia con degli incarichi, raccomanda caldamente: « Per riguardo a Marco avete già ricevuto istruzioni; se viene a voi, accoglietelo amichevolmente » e poco prima della morte, quasi come ultimo desiderio, domanda instantemente a Timoteo… Marco! « Porta con te Marco! Posso ben aver bisogno dei suoi servizi ». E infine nemmeno Barnaba nutrì alcun rancore per Paolo, ce lo attesta un passo della prima lettera ai Corinti. – La provvidenza di Dio è così sapiente e benigna, da tendere nel telaio dei suoi piani di salvezza le nostre stesse imperfezioni, e così tramutò anche quella lite umana in benedizione divina: la separazione e il raffreddamento fra Paolo e Barnaba ebbero per conseguenza che l’evangelizzazione s’inoltrò nel mondo in due direzioni anziché in una soltanto. Marco e Paolo! Oggi, ripensando a loro, non possiamo trattenerci da un sorriso, ed essi stessi dovettero sorridere, quando, circa dieci anni dopo, si diedero la mano al di lì, a Roma. Tutti e due divennero più grandi per l’aiuto che l’uno porse all’altro: Paolo a motivo di Marco divenne più mite e Marco a motivo di Paolo divenne più uomo. Il popolo fedele onora Marco quale « signore dell’atmosfera » e patrono contro i fulmini e la grandine; in un’antica benedizione del tempo era ricordato espressamente il suo nome: ci prova tutta l’amabilità di Marco il fatto ch’egli, nonostante il torto patito, ritornò nuovamente a Paolo e si fece, dimentico di sé, suo collaboratore. Ma egli è così: un cielo azzurro, che neppure il fulmine e il tuono di Paolo poterono offuscare. Oh, avessimo noi molti Marco! – MARCO E PIETRO. Marco è come un’edera verdeggiante, che dei suoi viticci ricopre festosamente le due torri principali della Chiesa, Pietro e Paolo; anche Pietro infatti stette in rapporti speciali con lui. La Sacra Scrittura veramente parla in un unico luogo di questi rapporti, ma con una parola, che dice quanto molte pagine. Pietro, terminando la sua prima lettera alle comunità dell’Asia Minore, scrive: «Vi saluta la Chiesa con voi eletta di Babilonia e Marco, mio figlio »; questa sola espressione ci richiama i vincoli d’amicizia intimi e di lunga data fra i due. Egli fu certamente a Roma con Pietro, quando questi, negli anni 63-64, scrisse la sua prima lettera, e questo è pure confermato dai testi riguardanti Marco dell’epistolario paolino. Pietro, il pescatore del lago di Tiberiade schietto, ma sempre un po’ goffo, fu certamente lieto d’avere presso di sé, qual « protonotario pontificio » nel senso etimologico della parola, suo « figlio Marco », che era un segretario abile, elegante e premuroso. E questi — è il patrono anche dei notai e degli scrivani — gareggiava in servizi, felice di poter esibire al semplice Pietro la prova della sua attitudine, che Paolo invece aveva respinta. I suoi rapporti cordiali con Pietro sono richiamati da una narrazione apocrifa, la quale riferisce del suo soggiorno, certo leggendario, ad Aquileia, ma poi per la nostalgia di Pietro non avrebbe più resistito e se ne sarebbe tornato a Roma, dov’era il suo amico, padre e Pontefice. L’antichità cristiana, a cominciare da Papia (+ 130), chiamò Marco l’« interprete — hermeneutés-interpres — di Pietro », titolo, che potrebbe indurci a ritenere che egli abbia tradotto in greco o in latino i discorsi tenuti dall’Apostolo agli uditori romani in lingua aramaica; questi però possedeva certamente la lingua greca, almeno quanto era necessario per farsi intendere dai suoi ascoltatori; è probabile quindi che quel titolo « interprete di Pietro » rimandi alla redazione scritta fatta da Marco della predicazione orale di Pietro; l’antico Papia stesso riferisce che Marco mise in iscritto i detti e i fatti di Gesù, predicati da Pietro. Ci troviamo così dinanzi al monumento più bello e più importante dell’amicizia fra i due: il Vangelo di Marco. – MARCO EVANGELISTA. Marco a Roma fu pregato dai cavalieri imperiali di mettere per iscritto le istruzioni, che Pietro aveva loro impartite; quando questi ne venne a conoscenza, non ne impedì il suo interprete né lo incoraggiò; Eusebio però, rifacendosi a Clemente, riferisce che Pietro poi approvò espressamente il Vangelo completo e stabilì che se ne desse lettura nelle chiese. Gli scrittori ecclesiastici più antichi, più vicini ai tempi apostolici sono unanimi nel mostrare l’intima connessione del vangelo di Marco con la predicazione di Pietro, Tertulliano anzi lo chiama senz’altro « il Vangelo di Pietro ». Passando a considerare il Vangelo stesso, possiamo affermare che gli occhi vivaci e buoni di Pietro ci rivolgono il loro sguardo quasi da ogni riga. Il contenuto e l’indole del suo insegnamento li conosciamo abbastanza bene attraverso le sue otto prediche contenute negli Atti degli Apostoli e le sue due lettere; ora il Vangelo di Marco appare esserne l’eco fedele. – Matteo e Marco! Nei loro Vangeli si rispecchiano chiaramente anche gli autori; il Vangelo di Marco quindi, lascia a desiderare quanto ad adattamento, forbitezza e bell’ordine, che caratterizzano il Vangelo del pubblicano, amante del sistema e dello schema; il secondo Vangelo è impetuoso come lo stesso Pietro, non ingegnoso nella distribuzione del materiale, non delicato nell’espressione; non importa molto a Pietro scambiare un nominativo con un accusativo, di tralasciare una parola, di annettere direttamente una muova sezione; un insegnante di lingue s’indispettirebbe e farebbe scorrere molto inchiostro rosso; che consolazione per gli scolari! – Come attesta l’antichità cristiana, Marco scrisse il suo Vangelo per gli etnicocristiani, specialmente per quelli di Roma, « spinto dalle preghiere insistenti dei Cristiani di Roma, perché volesse lasciar loro un ricordo scritto delle istruzioni proposte da Pietro a viva voce ». – Un largo influsso nella struttura del secondo Vangelo l’ebbe anche l’accolta di lettori romani e di qui dipende la sua divergenza sotto molti aspetti da quello di Matteo. Marco, avendo per destinatari immediati del suo Vangelo degli etnicocristiani, omise molta parte di quello, che Matteo, scrivendo per i giudeocristiani, aveva messo in risalto della vita tanto ricca di Gesù per provare la sua messianità; la comunità cristiana di Roma non se ne intendeva e non aveva l’interesse dei Cristiani di Palestina quanto all’adempimento delle profezie del Vecchio Testamento, per le questioni della legge mosaica e per i conflitti di Gesù con i Farisei. Marco tralascia questi dettagli; non ha quindi il discorso sul monte, non il discorso « Guai a voi! »; in lui non incontriamo neppure la parola « Legge », che nel Vangelo di Matteo ha una parte così importante; quando deve ricordare istituzioni e usi giudaici, si dà premura di spiegarli ai lettori, che li ignorano. Gli interessa di far conoscere ai Romani non tanto le parole di Gesù quanto piuttosto le sue opere; il loro animo calmo e pratico è guadagnato al Signore più rapidamente dai fatti di Lui che non per mezzo di dottrine; ecco perché nel secondo Vangelo troviamo in prima linea i miracoli e perché nel riferirli Marco generalmente non fa abbreviazioni. In modo singolarmente perspicuo e attraente descrive i miracoli sugli ossessi, poiché la virtù divina del Signore si rivela quanto mai possente nella repressione del demonio e per i Romani, che sapevano della potenza diabolica, era tanto efficace. Attenendosi a questi criteri, Marco delineò nel suo Vangelo una figura di Cristo, che inonda di giubilo e di orgoglio ogni cuore cristiano: ci dipinse Cristo Re! Il primo versetto intona con accordo vigoroso il tema di tutto il Vangelo: « Il Vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio»; e ai piedi della croce, confermando e ammirando, il centurione romano risponde come un’eco lontana e grida: « Veramente quest’Uomo era il Figlio di Dio ». – MARCO MISSIONARIO. Pietro era morto, Paolo era morto, ma Gesù « rimane lo stesso ieri, e oggi, e in eterno »; anche dopo la morte dei due Principi, cui Marco aveva servito con fedeltà e cui forse aveva chiusi gli occhi affranti, l’opera del Re continuò per mezzo del discepolo. Numerose testimonianze attestano che annunziò il lieto messaggio in Egitto, ove anche fondò la chiesa di Alessandria, della quale fu il primo presule. – È abbastanza frequente la notizia di Marco inviato da Roma in Egitto, dove avrebbe portato il suo Vangelo già scritto; Giovanni Crisostomo invece, secondo il quale Marco avrebbe scritto il Vangelo soltanto in Egitto, è solo ad affermarlo. L’antica tradizione, secondo la quale Marco lasciò l’Egitto l’ottavo anno di governo dell’imperatore Nerone — l’anno 62 —, stabilendovi come capo della chiesa di Alessandria Aniano, prima calzolaio, è conciliabile con i dati biblici, i quali esigono ch’egli si trovasse a Roma al più tardi l’anno 62. Che apostolato movimentato il suo! Cipro! Roma! Egitto! Roma! Asia Minore! Roma! Alessandria! Com’è divenuto ricco e attivo! Un giorno, quando con Paolo doveva attraversare il Tauro, gli era venuto meno l’animo; e adesso gareggia quasi col suo rigido maestro nel travaglio della peregrinazione apostolica. Marco dà ragione a tutti coloro, che non si sgomentano per il fallimento dei giovani. – Egli morì probabilmente nell’anno 14° dell’impero di Nerone e, secondo una relazione, di morte naturale, secondo un’altra come martire. Gli « Atti di Marco » descrivono il suo rimpatrio così: mentre, nella festa di Pasqua, che in quell’anno cadeva il giorno 24 aprile, stava celebrando le funzioni solenni, fu preso dai pagani, che in quel giorno stesso celebravano la loro festa in onore di Serapide, fu legato con funi al collo e in questo modo straziante fu trascinato per le vie di Alessandria; poi il corpo lacerato fu gettato in carcere, dove nella notte un Angelo confortò il Martire: « Marco, ministro di Dio, il tuo nome è scritto nel libro della vita eterna e la tua memoria non si cancellerà in perpetuo; gli Angeli custodiranno la tua anima e il tuo corpo non imputridirà nella terra »; il giorno appresso il crudele tormento fu ripetuto; Marco vi soccombette e il suo corpo fu bruciato. La Chiesa romana il 25 aprile, giorno della sua morte, ne accompagna la festa con una processione rogazionale attraverso le verdeggianti campagne e fra gli alberi in fiore: non fu anche Marco come un albero fiorente, bello ma in pericolo nel fiore della sua giovinezza? Volesse il Cielo che tutti gli alberi di maggio portassero a maturazione i frutti copiosi e pregiati di Marco! La leggenda delle sue reliquie, che dovrebbe essere sorta veramente soltanto nel secolo nono, fa l’impressione d’essere bizzarra: dopo la conquista dell’Egitto da parte dei Saraceni, l’imperatore Leone l’Armeno (813-820) proibì ogni traffico con Alessandria; ma, nonostante l’ingiunzione di questo divieto fatta dal doge Giustiniano (827-830), i due distinti veneziani Bono e Rustico si portarono ad Alessandria, dove trovarono i Cristiani in grande preoccupazione; essi allora decisero di rubare i resti mortali dell’Evangelista per sottrarli a un eventuale colpo di mano degli increduli e portarli al sicuro in terra cristiana; per dissimulare il pio inganno, indossarono le reliquie di Santa Claudia, vergine, del mantello di seta di Marco e su d’un’imbarcazione riuscirono a portare felicemente il bramato tesoro delle reliquie a Venezia. Vogliamo lasciare ai Veneziani San Marco! Anche presso di loro egli trova tutto bello, come nel tempo della sua giovinezza: la maestosa basilica che gli eressero (976-1071), la piazza meravigliosa che seppero crearle dinanzi, come una sorella della piazza di San Pietro a Roma — Pietro e Marco! —. Che ha da che fare il leone con Marco? È il simbolo di lui come evangelista, perché nel primo capitolo del suo Vangelo scrive del « deserto », dove il leone ha la sua patria. Marco e il leone! In un dipinto del Pinturicchio il leone guarda, come fosse un uomo, tristemente, perché può solamente ruggire, non può essere anche così amabile com’è Marco. E ancor più mirabile è quest’altra cosa, che il « kolobodaktylos », il Marco dalle dita piccole e delicate, abbia nella sua persona e nella sua opera qualche cosa della forza del leone. – E in questo forse sta il mistero e la grandezza di Marco, ch’egli cioè, ch’era stato tanto circondato da cure, sia divenuto per Cristo e in Cristo un leone.

IL CREDO

Offertorium

Orémus

Ps 88:6
Confitebúntur cœli mirabília tua, Dómine: et veritátem tuam in ecclésia sanctórum, allelúja, allelúja.

[I cieli cantano le tue meraviglie, o Signore, e la tua fedeltà nella assemblea dei santi, alleluia, alleluia.]

Secreta

Beáti Marci Evangelístæ tui sollemnitáte tibi múnera deferéntes, quǽsumus, Dómine: ut, sicut illum prædicátio evangélica fecit gloriósum: ita nos ejus intercéssio et verbo et ópere tibi reddat accéptos.

[Nella festa del tuo santo evangelista Marco ti presentiamo questa offerta, Signore: come la predicazione del vangelo lo rese glorioso, così la sua intercessione renda noi a te graditi in parole ed opere.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.
de Apostolis
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre: Te, Dómine, supplíciter exoráre, ut gregem tuum, Pastor ætérne, non déseras: sed per beátos Apóstolos tuos contínua protectióne custódias. Ut iísdem rectóribus gubernétur, quos óperis tui vicários eídem contulísti præésse pastóres. Et ídeo cum Angelis et Archángelis, cum Thronis et Dominatiónibus cumque omni milítia cœléstis exércitus hymnum glóriæ tuæ cánimus, sine fine dicéntes:

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis
Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps 63:11
Lætábitur justus in Dómino, et sperábit in eo: et laudabúntur omnes recti corde, allelúja, allelúja.

[Il giusto gioisce nel Signore, in Lui si rifugia; e ne menano vanto tutti gli animi retti, alleluia, alleluia.]

Postcommunio

Orémus.

Tríbuant nobis, quǽsumus, Dómine, contínuum tua sancta præsídium: quo, beáti Marci evangelístæ tui précibus, nos ab ómnibus semper tueántur advérsis.
I[l tuo sacramento, o Signore, sia a noi un continuo aiuto: e, per le preghiere del tuo santo evangelista Marco, ci protegga sempre da ogni avversità.]

Pro rogationibus
Vota nostra, quǽsumus, Dómine, pio favóre proséquere: ut, dum dona tua in tribulatióne percípimus, de consolatióne nostra in tuo amóre crescámus.
[Compi, Signore, con paterna bontà, le nostre preghiere: perché nutriti e consolati nella nostra sofferenza dai tuoi santi doni, cresciamo nel tuo amore.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa).

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

LITANIE DEI SANTI

Kyrie eleison,

Christe eleison,

Kyrie eleison.

Christe, audi nos;

Christe, exaudi nos;

Pater de cœlis Deus, Miserere nobis,

Fili redentor mundi Deus, Miserere nobis.

Spiritus Sancte Deus, Miserere nobis.

Sancta Trinitas unus Deus, Miserere…

Sancta Maria, ora pro nobis.

Sancta Dei Genitrix, ora

Sancta Virgo virginum, ora

Sancte Michael, ora

Sancte Gabriel, ora

Sancte Raphael, ora

Omnes sancti Angeli et Archangeli, orate

Omnes sancti beatorum Spirituum Ordines, orate

Sancte Joannes Baptista, ora

Sancte Joseph, ora…

Omnes sancti Patriarchæ et Prophetæ, orate…

Sancte Petre, ora…

Sancte Paule, ora…

Sancte Andrea, ora…

Sancte Jacobe, ora…

Sancte Joannes, ora…

Sancte Thoma, ora…

Sancte Jacobe, ora…

Sancte Philippe, ora…

Sancte Bartholomæe, ora…

Sancte Matthæe, ora…

Sancte Simon, ora…

Sancte Thaddæe, ora …

Sancte Mathia, ora …

Sancte Barnaba, ora…

Sancte Luca, ora…

Sancte Marce, ora…

Omnes sancti Apostoli et Evangelistas, orate…

Omnes sancti Discipuli Domini, orate…

Omnes sancti Innocentes, orate…

Sancte Stephane, ora…

Sancte Laurenti, ora…

Sancte Vincenti, ora…

Sancti Fabiane et Sebastiane, orate…

Sancti Joannes et Paule, orate…

Sancti Cosma et Damiane, orate…

Sancti Gervasi et Protasi, orate …

Omnes sancti Martyres, orate…

Sancte Silvester, ora…

Sancte Gregori, ora…

Sancte Ambrosi, ora…

Sancte Augustine, ora…

Sancte Hieronyme, ora…

Sancte Martine, ora…

Sancte Nicoláe, ora…

Omnes sancti Pontifices et Confessores, orate …

Omnes sancti Doctores, orate …

Sancte Antoni, ora

Sancte Benedicte, ora…

Sancte Bernarde, ora

Sancte Dominice, ora

Sancte Francisce, ora

Omnes sancti Sacerdotes et Levitæ, orate …

Omnes sancti Monachi et Eremitæ, orate …

Sancta Maria Magdalena, ora…

Sancta Agatha, ora …

Sancta Lucia, ora …

Sancta Agnes, ora …

Sancta Cæcilia, ora…

Sancta Catharina, ora

Sancta Anastasia, ora

Omnes sanctæ Vìrgines Viduæ, orate…

Omnes Sancti et Sanctæ Dei, intercedite pro nobis.

Propitius esto, parce nobis, Domine.

Propitius esto, exaudi nos, Domine.

Ab omni malo, libera nos Domine.

Ab omni peccato libera nos,…

Ab ira tua, libera…

A subitanea et improvisa morte, libera …

Ab insidiis diaboli, libera nos …

Ab ira, et odio et omni mala voluntate, libera nos…

A spiritu fornicationis, libera …

A fulgure et tempestate, libera …

A flagello terræmotus, libera …

A peste, fame et bello, libera …

A morte perpetua, libera …

Per misterium sanctæ incarnationis tuæ, libera …

Per adventum tuum, libera …

Per nativitatem tuam, libera …

Per baptismum et sanctum jejunium tuum, libera …

Per crucem et passionem tuam, libera …

Per mortem et sepolturam tuam, libera …

Per sanctam resurrectionem tuam, libera …

Per admirabilem ascensionem tuam, libera …

Per adventum Spiritus Sancti Paracliti, libera …

In die judicii, libera …

Peccatores, te rogamus, audi nos.

Ut nobis parcas, te rogamus …

Ut nobis indulgeas, te rogamus

Ut ad veram poenitentiam nos perducere digneris, te rogamus …

Ut Ecclesiam tuam sanctam regere et conservare digneris, te rogamus …

Ut [domnum apostolicum] et omnes ecclesiasticos ordines in sancta religione conservare digneris, te rogamus…

Ut inimicos sanctæ Ecclesiaæ humiliare digneris, te rogamus…

Ut regibus et principibus christianis pacem et veram concordiam donare digneris, te rogamus …

Ut cuncto populo christiano pacem et unitatem largiri digneris, te rogamus …

Ut nosmetipsos in tuo sancto servitio confortare et conservare digneris, te rogamus …

Ut mentes nostras ad cœlestia desideria erigas, te rogamus …

Ut omnibus benefactoribus nostris sempiterna bona retribuas, te rogamus…

Ut animas nostras, fratrum, propinquorum, et benefactorum nostrorum ab æterna damnatione eripias, te rogamus …

Ut fructus terræ dare et conservare digneris, te rogamus …

Ut omnibus fidelibus defunctis requiem æternam donare digneris, te rogamus …

Ut nos exaudire digneris, te rogamus …

Fili Dei, te rogamus …

Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, parce nobis, Domine.

Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, exaudi nos, Domine.

Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, miserere nobis.

Christe, audi nos.

Christe, exaudi nos.

Kyrie eleison.

Christe eleison.

Kyrie eleison.

Pater noster, (secreto)

… et ne nos inducas in tentationem,

Sed libera nos a malo.

Salmo 69

Deus, in adjutórium meum intènde; * Domine ad adjuvàndum me festina. Confundàntur, et revereàntur,* qui quærunt animam meam: Avertàntur retrórsum, et erubéscant, * qui volunt mihi mala: Avertàntur statim erubescéntes, * qui dicunt mihi: Euge, éuge. Exùltent et læténtur in te omnes qui quærunt te, * et dicant semper: Magnificétur Dóminus: qui diligunt salutare tuum. Ego vero egénus, et pàuper sum: * Deus, àdjuva me. Adjùtor meus, et liberator meus es tu: * Domine ne moréris. – Glòria Patri, etc.

V. Salvos fac servos tuos,

R. Deus meus speràntes in te.

V. Esto nobis, Dòmine, turris fortitùdinis,

R. A facie inimici.

V. Nihil proficiat inimicus in nobis.

R. Et filius iniquitàtis non appónat nocére:

V. Dòmine, non secundum peccata nostra fàcias nobis.

R. Neque secundum iniquitàtes nostras retribuas nobis.

V. Oremus prò Pontifice nostro Gregorio,

R. Dominus consérvet eum, et vivificet eum et beàtum faciat eum in terra, et non tradat eum in anima inimicórum éjus.

R. Oremus prò benefactóribus nostris.

R. Ritribùere dignàre, Dòmine, òmnibus nobis bona facientibus propter nomen tuum vitam ætérnam. Amen.

V. Oremus prò fidélibus defùnctis.

R. Requiem ætérnam dona eis, Dòmine, et lux perpétua luceat eis.

V. Requiescant in pace.

R. Amen.

V. Pro fratribus nostris abséntibus.

R. Salvos fac servos tuos, Deus meus, speràntes in te.

V. Mitte eis, Dòmine, auxilium de sancto:

R. Et de Sion tuére eos.

V. Domine, exaudi oratiónem meam.

R. Et clamor meus ad te veniat.

V. Dominus vobiscum.

R. Et cum spiritu tuo.

Oremus

Deus, cui próprium est miseréri semper et parcere: sùscipe deprecatiònem nostram, ut nos, et omnes fàmulos tuos, quos delictorum caténa constringit, miseràtio tuæ pietàtis clementer absólvat. [O Dio, che soltanto Tu usi sempre misericordia e largisci perdono, accogli la nostra preghiera affinché la tua generosa e pietosa bontà liberi noi e tutti i tuoi servi dalle catene del peccato.]

Exàudi, quæsumus, Domine, sùpplicum preces. A confiténtium tibi parce peccatis; ut pàriter nobis indulgéntiam tribuas benignus et pacem. [Esaudisci, o Signore, le nostre supplici preghiere e perdona i peccati di coloro che a Te li confessano, accordando pure a noi tutti benignamente il perdono e la pace.]

Ineffàbilem nobis, Dómine, misericórdiam tuam cleménter osténde: ut simul nos et a peccàtis omnibus éxuas, et a pœnis, quas pro his meremur, eripias. [Mostraci, o Signore, la tua ineffabile misericordia! essa ci liberi da tutti i peccati e ci sottragga alle pene che meritiamo.]

Deus, qui culpa offénderis, pœniténtia placàris; preces populi tui supplicàntis propitius réspice, et flagella tuæ iracùndiæ, quas prò peccàtis nostris meremur, avèrte. [O Dio, che sei offeso dalla colpa e placato dalla penitenza, rivolgi benigno lo sguardo al tuo popolo supplice ed allontana i flagelli del tuo sdegno, che abbiamo meritato con i nostri peccati.]

Omnipotens sempitèrne Deus, miserére famulo tuo Pontifici nostro Gregorio et dirige eum secundum tuam clementiam in viam salutis ætérnas: ut, te donante, tibi placita cupiat, et tota virtute perficiat. [O Dio onnipotente ed eterno, abbi pietà del tuo servo Gregorio, nostro Papa, e conducilo nella via della eterna salvezza secondo la tua clemenza: col dono della tua grazia egli ricerchi ciò che Tu desideri e lo adempia con tutta la sua forza.]

Deus, a quo sancta desidéria, recta Consilia, et justa sunt opera: da servis tuis illam, quam mundus dare non potest, pacem; ut et corda nostra mandatis tuis dedita, et hostium sublata formidine, tempora sint tua protectione tranquilla. [O Dio, sorgente di desideri santi, di retti giudizi, di opere giuste, elargisce ai tuoi servi la pace che il mondo non può dare affinché i nostri cuori assecondino i tuoi comandamenti e, liberi dal timore dei nemici, per la tua protezione viviamo giorni di tranquillità.]

Ure igne Sancti Spiritus renes nostros, et cor nostrum, Domine: ut tibi casto corpore serviamus et mundo corde placeàmus. [Purifica, o Signore, col fuoco dello Spirito Santo i nostri sensi e i nostri affetti, affinché possiamo servirti con corpo puro e piacerti per mondezza di cuore.]

Fidelium Deus omnium conditor et redemptor, animàbus famulorum famularumque tuàrum, missionem cunctorum tribue peccatorum: ut indulgéntiam, quam semper optavérunt, piis supplicationibus consequàntur. [O Dio, creatore e redentore di tutti i fedeli, concedi alle anime dei tuoi servi e delle tue serve la remissione di tutti i peccati, affinché, pel mezzo delle nostre fervide suppliche, ottengano il perdono che hanno sempre desiderato.]

Actiones nostras, qæsumus Domine, aspirando præveni, et adjuvàndo proséquere: ut nostra oràtio et operàtio a te semper incipiat, et per te cœpta finiàtur. [Previeni, o Signore, le nostre azioni con la tua ispirazione e accompagnale col tuo aiuto, affinché ogni nostra preghiera e ogni nostra attività sempre da Te abbia inizio e, intrapresa, per Te giunga a compimento.]

Omnipotens sempitèrne Deus, qui vivorum dominaris simul et mortuorum, omniumque misereris quos tuos fide et opere futuros esse prænoscis: te supplices exoràmus; ut prò quibus effundere preces decrévimus, quosque vel præsens sæculum adhuc in carne rétinet, vel futurum jam exutos corpore suscepit, intercedéntibus omnibus Sanctis tuis, pietastis tuæ cleméntia, omnium delictorum suorum venia consequàntur. Per Dominum nostrum Jesum Chrìstum, etc. [O Dio onnipotente ed eterno, che regni sui vivi e sui morti ed hai misericordia verso tutti coloro che per la fede e le opere prevedi saranno tuoi, umilmente Ti raccomandiamo coloro per i quali intendiamo pregare, sia che la vita presente ancora li trattenga nel corpo, sia che, spogliati del corpo, li abbia già accolti la vita futura; fa’ che ottengano dalla tua misericordiosa clemenza il perdono dei loro peccati per l’intercessione di tutti i tuoi Santi. Per il ….]

V. Dóminus vobiscum.

R. Et cum spiritu tuo.

V. Exàudiat nos omnipotens et miséricors Dominus.

R. Amen.

V. Et fidélium ànimæ per misericórdiam Dei requiescant in pace.

R. Amen



25 Aprile: SAN MARCO EVANGELISTA

SAN MARCO EVANGELISTA

(Otto Hophan: Gli Apostoli, trad. G. Scattolon; Marietti ed. 1951. N. h.: M. Fantuzzi, C. E. D. – Impr.: A. Mantiero Vesc. di Treviso, 15 oct. 1949)

Marco in questo libro non sta accanto a Paolo per caso o per una allegra ironia come nel celebre quadro del Dürer; questo posto gli spetta realmente. Egli non appartiene più agli Apostoli, dei quali la serie augusta si conchiude con Paolo, l’« ultimo », il « minimo », come egli stesso si ritiene nella sua umiltà. Marco però è Evangelista, il secondo dei quattro Evangelisti, che insieme col terzo, Luca, come lui non Apostolo, è preso nel mezzo fra gli evangelisti-apostoli Matteo e Giovanni quasi a protezione e sostegno; lo troviamo già in cataloghi antichi del quarto e quinto secolo dopo Paolo, ma prima dei settanta discepoli, perché non era quanto un Apostolo, ma era di più d’un semplice discepolo. Marco nei Libri Sacri del Nuovo Testamento è ricordato dieci volte, ora solamente col suo nome ebraico Giovanni, ora soltanto col nome romano Marco, ora col doppio nome Giovanni-Marco; e, come per il suo grande maestro Saulo-Paolo, anche per lui un po’ alla volta il nome ebraico scomparve nell’ombra, prevalse il nome di Marco, finché a Roma questo divenne il suo nome esclusivo. È vero che i critici ritennero di dover distinguere due o anche tre Marco: Giovanni Marco, che s’accompagnò a Paolo; Marco, che accompagnò Pietro e scrisse il secondo Vangelo; e in realtà alcuni dati si possono conciliare solamente con un po’ di fatica; ma gli Scritti Sacri non offrono nessun motivo per questa distinzione; un pacato esame dei diversi testi mostra ch’è possibile ordinare nel corso della vita d’un unico e medesimo Marco le indicazioni apparentemente contrastanti; ne riparleremo ancora, ma frattanto possiamo aggiungere che oggi il doppio Marco è comunemente abbandonato. – Marco era per origine ebreo, ma nacque probabilmente fuori della Palestina; in una compilazione liturgica della chiesa coptica, il Synaxarion arabico, leggiamo che la terra della sua infanzia fu la « Pentapoli », la regione delle cinque città dell’antichità: Cirene, Apollonia, Barka, Tauchira ed Euesperida. Lo stesso Synaxarion quale padre suo indica un certo Aristobolo; la Sacra Scrittura ricorda soltanto la madre e in modo da far concludere che il padre morì per tempo, non prima però del Giovedì Santo. Egli dovette rimaner senza il padre esattamente in quegli anni, in cui aveva il massimo bisogno di lui; ché nemmeno la migliore delle madri può compensare del tutto il padre; ne manca per natura la mano ferma, cosciente delle mete e anche dura, se necessario; e si direbbe che questa deficienza abbia avuto il suo riflesso nell’educazione di Marco meno virile, meno coerente e sicura. Siamo indotti a rilevarlo dal fatto del suo ritorno alla madre, mentre gli si delineavano dinanzi gli strapazzi del primo viaggio apostolico; delle informazioni antiche poi, anche se non del tutto indubbie, ci riferiscono pure un altro fatterello della sua giovinezza, che non sarebbe avvenuto, se il padre gli fosse stato a fianco: si troncò lui stesso il pollice per rendersi inabile al servizio nel Tempio secondo la legislazione del Vecchio Testamento, giacché era obbligato al servizio sacerdotale, come discendente della tribù di Levi; quest’ultima notizia ci viene riferita dall’antico prologo al Vangelo di Marco, che risale al quarto secolo. Povero pollice! Ma forse questa leggenda attribuisce all’evangelista Marco un’automutilazione, che, nell’eccesso del suo fervore ascetico, aveva fatta un Marco monaco; quantunque il prete romano Ippolito (+ 235) ha per il nostro Evangelista l’appellativo « kolobodaktylos — dal dito monco »; è vero però che l’espressione potrebbe alludere ad una mano piccola, esile, e il senso potrebbe essere: mani piccole non possono serrarsi in pugni pesanti, atti a dominare le difficoltà. La madre di Marco, Maria, era una donna religiosa, colta e ricca; anche fosse vero, secondo l’informazione d’uno scritto arabico, che aveva perduto il suo vistoso patrimonio, nondimeno al tempo della sua vedovanza era ancora così benestante che possedeva una grande casa in Gerusalemme, messa dal suo pio sentimento a disposizione della giovane comunità cristiana, perché vi tenesse le sue adunanze. Secondo lo storico della Chiesa Niceforo, Maria sarebbe stata una « sorella » di Pietro, o « una figlia della zia della moglie di Pietro », come con complicata espressione precisa, in fatto di parentela, lo scritto arabico or ora ricordato; e a dir vero, un rapporto di parentela, per quanto largo, di Pietro spiegherebbe bene le sue relazioni con la casa di Maria e anche la sua evidente benevolenza per Marco. Questa donna, riferisce il Synaxarion arabico, era di molto talento ed istruì lei stessa il figlio, cui insegnò la lingua greca, la francese (latina?) ed ebraica. E fece molto bene, perché il suo Marco, secondo i disegni della Provvidenza sarebbe divenuto un giorno l’interprete di Pietro. Quante volte il Signore dona alle mamme un presentimento dei suoi piani sublimi! Riprendiamo con gusto all’idillio e all’ideale della cara vita familiare di questa gentile signora col suo figlio Marco; ella raccoglieva tutto il suo vedovo amore sul suo Marco, suo figlio, suo sole, e suo tutto; e Marco stendeva le sue mani delicate e il suo giovane cuore all’amore di sua madre, che l’andava plasmando. La Sacra Scrittura ricorda anche un altro vincolo di parentela del nostro Marco: egli era « il cugino — anepsiòs, consobrinus — di Barnaba »; questa espressione di solito è tradotta con « cugino », ma potrebbe tradursi anche con « nipote », e quindi Barnaba, che gli Atti degli Apostoli esaltano quale « uomo esimio, ripieno di Spirito Santo e di fede », sarebbe stato lo zio di Marco e probabilmente da parte del padre, giacché egli pure, secondo l’esplicita testimonianza della Scrittura, apparteneva alla tribù di Levi. Quanto egli si sia mostrato benevolo e fedele a suo nipote, lo veniamo a conoscere dalle relazioni degli Atti: piuttosto che mettere dalla parte del torto Marco, rinunciò all’amicizia dell’Apostolo gigante, Paolo. Se ora mettiamo insieme tutti questi brevi, vari e singolari elementi, ne risulta una figura di giovane lieta e solatia: Marco era ricco, colto, bello, circondato da cure e custodito, il beniamino di tutti. Gli « Atti di Marco », uno scritto della metà del quarto secolo, lo esaltano come un uomo « di buona indole e soffuso di divina bellezza »; descrivono poi il suo simpatico esteriore dicendo: « Era di portamento nobile e svelto; aveva belli gli occhi e un volto dal color d’oro, come un campo di grano, il naso non ricurvo ma diritto e sopracciglia aderenti ». Chi dalla vita è trattato ruvidamente, è tentato d’amaramente invidiare individui in tal modo illuminati dal sole, quasi vengano viziati dalla sorte; ma perché non ci dovrebbero essere anche le persone felici e belle? Esse sono una ricchezza del mondo povero e un raggio singolarmente fulgido del perfetto Iddio. Anche Marco fu un prediletto della natura e lo fu pure della grazia, che importa ancor più.

MARCO E GESÙ

Ma quanta parte dipende dalla famiglia, nella quale un uomo cresce! La casa può essere la sua eterna benedizione, come può pure divenire motivo della spaventosa rovina. Marco, favorito da Dio e dall’azione della Provvidenza, fu adagiato entro alla culla del Cristianesimo; egli crebbe insieme col recente Cristianesimo e nello stesso luogo; Marco e la giovane società di Cristo son come fratelli gemelli. Secondo un’antica tradizione degna di fede, la sala fortunata, nella quale si compirono i più augusti Misteri, quali la celebrazione della Cena il Giovedì Santo, le apparizioni del Risorto nei giorni pasquali, il soffio dello Spirito Santo nella bufera di Pentecoste, era la sala della casa materna di Marco; nelle supreme ore cristiane egli stava là, non certo come uno di coloro che circondavano Gesù direttamente, ma almeno come uno che è ammesso; poiché chi avrebbe potuto allontanare un buon giovane, specialmente se si trattava del figlio della padrona di casa, tanto ospitale? Silenzioso dunque, stupito, tutt’occhi e tutt’orecchi, egli visse con gli altri i sublimissimi eventi e, anche se non comprese il loro significato — non lo compresero del tutto nemmeno gli Apostoli —, presagì però che quivi, nella casa della madre sua, s’avveravano cose divine e nella sua sensibile anima di ragazzo s’impressero incancellabilmente le scene più stupende del Vangelo. – Quando i due Apostoli Pietro e Giovanni, nel pomeriggio del Giovedì Santo, gli tennero dietro ostinatamente per tutte le vie sino a casa, mentre s’allontanava dalla fonte, dove s’era portato per attingere acqua, egli si guardò attorno attonito; fin d’allora egli fu presente a Gesù, poiché con ragione si suppone che fosse Marco quel giovane, con la brocca d’acqua, che il Signore diede ai due Apostoli come segno: « Seguitelo! E dov’egli entra, ivi dite al padrone di casa: “Il Maestro ci fa chiedere: Dov’è la stanza, nella quale Io possa mangiare la Pasqua con i miei Discepoli?”. Egli vi farà vedere una grande stanza superiore, arredata di divani per la mensa. È già pronta; ivi preparate per noi ». Con la gioia ed il fervore d’un ragazzetto, cui è dato di prestare dei servizi insoliti, Marco aiutò Pietro e Giovanni nel preparare la cena pasquale; li aiuterà anche più tardi, nel preparare il vero Agnello pasquale per gli uomini. E giunse la sera; arrivavano gli altri dieci Apostoli, seri, silenziosi, oppressi, così gli sembrava, e s’avvicinavano alla casa; venne poi il Signore, pallido ma dignitoso. Mentre veniva accolto, Egli posò la mano sul capo di Marco, quella mano, che al domani sarebbe stata trafitta; poi Maria, la mamma, allontanò dal gruppo di quelle persone il figlio; ma chi vorrebbe rimproverarlo, se ben presto fu di nuovo dinanzi alla porta chiusa della sala? Sentì le parole sublimi, da lontano soltanto, certamente, non vicino come Giovanni, che più tardi le mise in iscritto; indietreggiò spaventato, quando Giuda aprì violentemente la porta e gli passò dinanzi precipitoso; messosi a letto, non s’addormentò e udì i passi che si dileguavano; che convenga seguire…? – Tre giorni dopo, di soppiatto, gli stessi individui vennero nella medesima sala; veramente non erano proprio gli stessi, perché erano venuti spiando come malfattori e sconvolti come fossero dei disperati; nessuno aveva avuto per lui uno sguardo o una parola di saluto. Quando da lassù, nella sala, giunse all’orecchio del nostro giovane lo strepito come d’un’esplosione di terrore e subito poi di festa, egli corse su, presso la porta chiusa, compresse il suo scarno corpo contro la parete, spiò attraverso una sottile fessura e fu colpito da tanta luce, che i suoi occhi ne soffrirono. Marco termina la prima stesura del suo Vangelo con la relazione della apparizione del Risorto alle pie donne: « Paura e timore s’erano impadroniti delle donne. Per il grande timore, non ne fecero parola a nessuno »; forse in queste singolari espressioni freme pure la prima esperienza pasquale di Marco stesso. La casa dei suoi genitori doveva essere per la terza volta il teatro d’una sublimissima grazia nel giorno di Pentecoste. Giovane com’era, sulle prime dovette sentirsi poco sicuro, quando « improvvisamente si levò un rumore dal cielo, come se giungesse una violenta bufera, il quale riempì tutta la casa, dov’essi erano raccolti ». Poi calarono le lingue fiammeggianti e una di esse accese del fuoco dello Spirito Santo anche Marco e gli infuse quella chiarezza e vigoria, che vampeggia ancor oggi nel suo Vangelo. Oh, come è vero che nella vita d’un uomo molto dipende dalla casa, dov’egli è a casa! – È vero che la stessa Sacra Scrittura attesta solo che la casa di Maria, la madre di Marco, servì, come una prima Chiesa, per le assemblee della prima comunità cristiana in Gerusalemme al tempo della persecuzione di Erode Agrippa (41-44); per questo ricevette il titolo onorifico di « madre di tutte le chiese », di  ‘Santa Sion » e di « chiesa degli Apostoli », e in un’epoca posteriore fu edificata nel suo posto una vasta Chiesa, nella quale venne inclusa anche la casa dell’Apostolo Giovanni, detta « Dormitio Mariæ Virginis — il rimpatrio della Vergine Maria » —, situata lì vicino. Questa indicazione però della Scrittura illumina quanto afferma la tradizione. Se Maria, la nobile e religiosa signora, mise a disposizione della comunità cristiana la sua casa, è probabile che l’avesse aperta già al Signore, i primi Cristiani anzi proprio per questo si sarebbero ritrovati insieme tanto volentieri in quella casa, perché essa era stata consacrata cioè dallo stesso Signore e dallo Spirito Santo. – Anche queste riunioni dei primi Cristiani nella casa di sua madre furono per Marco, giovane allora in fiorente sviluppo, una ricca sorgente di grazia e decisive per la sua vita. Quivi gli Apostoli andavano e venivano e trattavano delle loro sollecitudini, dei loro piani e successi; quivi si rifugiarono i primi Cristiani di Gerusalemme nei giorni penosi delle persecuzioni da parte del Sinedrio, di Paolo e di Erode. Inobliabile restò per Marco soprattutto quella notte di pasqua, durante la quale l’intera giovane Chiesa pregava per la salvezza di Pietro dalle mani di Erode, assetate di sangue: fu picchiato alla porta del cortile; « la fanciulla Rode accorse e stette ad ascoltare; riconobbe la voce di Pietro, ma per la gioia dimenticò di aprire la porta; rientrò correndo e annunziò che Pietro stava alla porta. Quelli le replicarono: “Sei ben fuori di te!”; ma lei insisteva a dire ch’era così; allora pensarono: “È il suo Angelo”; ma Pietro continuava a picchiare. Allora aprirono, videro e sbigottirono. Egli fece loro cenno con la mano di fare silenzio e raccontò loro come il Signore l’avesse liberato dal carcere » (Act. XII, 1-17). Per lo più bussare a una porta significa pure bussare a un cuore; Marco, con cuore grande e festante, aveva aperto la porta al Signore e a Pietro, e li vide entrare venire verso di sé come verso a una primavera; aprì loro anche il suo cuore? – Non ignoriamo che una nota dell’antico Papia sembra affermare che Marco non conobbe affatto di persona Gesù: « Non vide il Signore nella carne e nemmeno Lo udì »; ma questa e simili testimonianze antiche, che trattano di Marco come Evangelista, vogliono solamente dire ch’egli non fu, come gli Evangelisti Matteo e Giovanni, testimonio immediato oculare e auricolare degli avvenimenti evangelici; il così detto Frammento Muratoriano lascia persino intravvedere che egli di quando in quando fu presente alle scene del Vangelo. Epifanio e alcuni altri antichi scrittori ecclesiastici scorgono in Marco uno dei settantadue discepoli, uno anzi di quelli, che defezionarono dal Signore nella sinagoga di Cafarnao, dopo il discorso eucaristico, e più tardi nuovamente riconquistato da Pietro; ma tali asserzioni sono confutate dall’età stessa molto giovanile di Marco. Egli dunque vide il Signore, ma ancora con gli occhi grandi del bambino e col cuore tenero e sensibile del ragazzo. Nel suo Vangelo egli ha notato un particolare, ch’è in se stesso senza importanza, ma che s’incontra solamente in lui: « Dopo di che (dopo cioè la cattura sul Monte degli Olivi), tutti Lo abbandonarono e fuggirono. Un giovanetto però, che indossava sul nudo corpo un lenzuolo soltanto, Lo seguì; quando lo si volle acciuffare, lasciò andare il lenzuolo e se ne fuggì nudo »! Si ammette abbastanza comunemente che in questo episodio del Vangelo Marco, come un artista nel suo quadro, abbia delineato se stesso; e quante cose ci svela questo piccolo autoritratto! Nella grande notte dell’ultima Cena, egli non aveva potuto dormire, come sua madre invece aveva desiderato e sollecitato, perché aveva percepita la tensione, che gravava su quella notte; aveva intercettate parecchie espressioni del discorso d’addio e a un certo momento gli sembrò di sentire un risonar di spade; se la svignò da casa, ma di soppiatto per non scontrarsi col volere della mamma e in tenuta certamente strana, ma era notte e aveva il sangue caldo. Protetto dall’oscurità, trovò sul Monte degli Olivi un nascondiglio, donde ascoltò confuso il gemito del Maestro, il russare dei Discepoli e lo strepito degli sbirri, che accerchiarono Gesù con spade e bastoni. – E qui, in questo primo e unico fatterello, nel quale Marco stesso compare nel Vangelo, è già manifesta la sua affezione per Gesù. Gli Apostoli fuggirono; gli stessi Pietro e Giovanni seguirono soltanto da lontano!; ma il caro Marco si tenne vicino, da presso a Gesù. In quel momento gli occhi divini del Signore, ancor pregni di mestizia per il tradimento di Giuda, si rischiararono un po’ e si riposarono con compiacenza su quel nobile giovanetto. Quando i soldati stesero i loro pesanti pugni per colpire quest’ultimo e giovanissimo amico di Gesù, egli lasciò nelle loro mani il ridicolo lenzuolo e rimase nudo. E questa nudità, come un simbolo, indica già l’avvenire: Marco, il nostro giovanetto custodito, curato, delicato, per amore di Gesù abbandonerà tutto e con la sua spogliazione dimostrerà ch’egli è un autentico discepolo del Maestro: non aprì a Gesù solo la porta di casa, Gli aprì pure la porta del suo cuore.

MARCO E PAOLO

Marco e Paolo s’incontrarono probabilmente per la prima volta quando, nell’anno 44, Barnaba e Paolo portarono a Gerusalemme la generosa colletta della comunità etnicocristiana di Antiochia per i bisogni della povera Chiesa madre. Barnaba, lo zio, dovette presentare suo nipote Marco allo sguardo indagatore di Paolo con soddisfatta compiacenza; e il nipote, quand’ebbe udito della vita cristiana dei convertiti dal paganesimo, se ne scese ad Antiochia, quasi come un dono prezioso, che Gerusalemme offriva in compenso della colletta ricevuta. Da anni, infatti, ormai Marco s’era scelto Gesù quale scopo supremo della sua vita; adesso era divenuto un giovanotto robusto e brillante di circa venti primavere, che, come un albero di maggio, voleva portare frutto; le lontane regioni lo allettavano, gli suscitavano in cuore entusiasmo e gioia, cui forse s’aggiungeva pure un po’ di spirito d’avventura; e delle avventure ardite, liete e penose, non mancano nemmeno nel seguire Cristo. Era capitato bene; proprio in quel tempo Barnaba e Paolo intendevano cimentarsi nel rischio del primo viaggio apostolico; gli Atti degli Apostoli a questo punto inseriscono la notizia: « Avevano con loro quale assistente Giovanni (Marco) », non per i loro servizi personali, ma, in senso biblico, quale ministro della Parola, per l’amministrazione del Battesimo e per gli altri aiuti connessi con l’opera missionaria; dalla prima lettera ai Corinti sappiamo però che Paolo riteneva la predicazione come compito suo proprio; Marco, felice come un giovane sacerdote, regalava a piene mani la sua prima benedizione. Ma il viaggio andava oltre a quello che egli aveva immaginato; Cipro fu ben presto attraversata ed evangelizzata, e Paolo si spingeva più innanzi; anzi la sua intenzione di spingersi, attraverso il Tauro, nell’altipiano di Pisidia e Licaonia nell’Asia Minore non si palesò che lassù a Perge. Il viaggio importava una marcia al minimo di dieci giorni di cammino faticoso e altrettanto pericoloso, giacché nell’antichità la stessa scortese pianura di Panfilia era infamata e temuta a motivo dei suoi abitanti bellicosi e rapinatori; persino i Romani riuscirono ad avvicinarsi alle popolazioni semibarbare del Tauro soltanto dopo lunga fatica. Gli Atti degli Apostoli a questo punto ci fanno sapere di Marco: « Si separò da Paolo e Barnaba e tornò a Gerusalemme ». Ce ne domandiamo il perché. Qualcuno ha affermato che Marco era disgustato, perché Paolo sempre più chiaramente aveva assunta la direzione della missione; e di fatto d’or innanzi negli Atti si dirà sempre: « Paolo e Barnaba» e non più: « Barnaba e Paolo »; altri ha voluto scorgere in quel ritorno una protesta di Marco contro la missione di Paolo fra i gentili, libera dalla Legge; il Sacro Testo stesso però allude a un altro motivo: quello che spaventò il buon Marco fu semplicemente l’inaudita fatica del viaggio apostolico; i disagi già sostenuti in Siria, a Cipro e sino a Perge gli avevano fatto provare che l’andare in missione era molto di più che un’allegra e devota avventura; finora aveva resistito, ma non si sentiva in grado di prendere parte anche alla seconda tappa del viaggio. Il Synaxarion arabico più sopra ricordato conferma questa interpretazione, scrivendo: « Quando Marco, andando in giro per accompagnare Paolo e Barnaba, constatò quanti colpi e disprezzi essi dovevano tollerare, li abbandonò in Panfilia e tornò a Gerusalemme»; e un’omilia del nono secolo ce lo dipinge con squisita ingenuità: « Marco disse fra sé: questi uomini non hanno requie; preferisco tornarmene a mia madre; presso di lei troverò da mangiare. La mamma sua però ne sentì gran dolore ». Le mamme…! Ci è lecito disapprovare il ritorno di Marco come una fuga vile? Solo a pochi è concesso di affermarsi come eroi già al primo assalto; anche l’eroe deve formarsi attraverso l’aspra lotta e la molteplice rinuncia; il nostro amabile giovane invece fu strappato in età troppo immatura e troppo alle svelte al suo genere di vita nobile, abituato bene e forse un po’ viziato; e venne meno. Ma se un giovane vien meno una volta, verrà poi meno sempre? In questo sta la colpa di Paolo nei riguardi di Marco, perché, a causa di quell’unica ora di debolezza, gli negò la propria fiducia e lo disanimò, contro il monito ch’egli stesso rivolge ai padri. Quando infatti Marco, nell’anno 49, tre o quattro anni forse dopo il doloroso episodio di Perge, valendosi della mediazione di Barnaba, si fece annunziare per il secondo viaggio apostolico, Paolo gli rispose con un brusco rifiuto: « Paolo non ritenne opportuno di assumere colui, che dalla Panfilia li aveva lasciati in asso e non era andato con loro all’opera »; egli temeva evidentemente che l’incerto giovane se ne andasse da loro una seconda volta per tornarsene a casa o che comunque, nelle difficoltà imprevedibili e forse straordinarie del nuovo viaggio, tornasse più di ostacolo che di aiuto. Eppure, la richiesta di Marco avrebbe dovuto colpire Paolo; era così evidente che il povero giovane cercava, mediante un’attiva prestazione, di riparare il mal fatto e di redimersi dai suoi piccini sentimenti. Il ricordato Synaxarion riferisce: « Quando Paolo e Barnaba tornarono a Gerusalemme e raccontarono della conversione dei pagani e quali miracoli Iddio avesse operato per mezzo di loro, Marco si pentì di quanto aveva fatto per irriflessione »; l’informazione anzi leggendaria dello Pseudo-Marco dice persino che da principio il nostro giovane non aveva affatto osato presentarsi a Paolo; poi per tre sabati consecutivi lo pregò ginocchioni del suo perdono; invano! Dinanzi a questo duro comportamento di Paolo non possiamo sottrarci all’impressione che influissero su di lui non solo dei reali motivi, ma anche dei motivi personali. L’offrirsi di Marco per il secondo viaggio apostolico cadde subito dopo il conflitto di Antiochia; un momento fatale! Paolo, infatti, non aveva ancora potuto inghiottire che in quella circostanza non fosse stato con lui nemmeno il suo amico Barnaba: «Persino Barnaba si lasciò trascinare da quella simulazione »; e Marco fu vittima di quell’irritazione, egli, come si dice, fece traboccare il vaso. – Paolo e Barnaba, i due vecchi e fedeli amici, non si staccarono sicuramente solo a motivo di Marco; una profonda amicizia quale la loro non si spezza per un episodio così insignificante. « Si venne (fra Paolo e Barnaba) a un’aspra tensione — non solamente a “una divergenza di opinioni”, come spesso, ripiegando, si traduce, perché il greco “paroxysmés” significa veramente di più che opinione diversa soltanto —, e la conseguenza fu che si separarono l’uno dall’altro; Barnaba fece viaggio con Marco per Cipro, Paolo invece si elesse Sila e s’incamminò con lui per il suo viaggio». Ci rallegriamo con Marco, perché almeno uno credette ancora in lui, il buon Barnaba; che sarebbe stato di lui, se tutti l’avessero condannato come un vile? Quali decisioni per una giovane vita, se nell’ora opportuna una persona retta offre la sua mano perché prosegua e perché ascenda! La separazione nondimeno lascia dopo di sé un senso di scontentezza, persino il letichino Girolamo lamenta che questa lite fra Paolo e Barnaba fa vedere due grandi nella loro umana meschinità. – Allontanandoci però un poco dalla scena incresciosa, lo sconcerto diminuisce; gli uomini retti traggono vantaggio anche dalle vicende ingiuste; alla fine anche quella lite per causa di Marco tornò a maggior vantaggio di tutti. Questi, che non aveva ancora smesso di sognare, per quell’allarme di Paolo fu salutarmente scosso dai castelli in aria della sua bella giovinezza; si vide d’un tratto posto dinanzi all’inesorabile aut-aut: o uomo o vigliacco; tenne conto della dolorosa ma salutare lezione dell’Apostolo ed « essa lo fece migliore », scrive il Crisostomo; il rimprovero: «Non è venuto con noi nell’opera » gli stava conficcato nello spirito come un pungolo; dimostrerà in seguito ch’esso non aveva più ragione d’essere. Dal canto suo Paolo mutò parere nei riguardi di Marco. Scrive di lui in tre passi del suo epistolario; nella breve lettera a Filemone lo nomina come « collaboratore » al primo posto, persino prima di Luca; ai Colossesi, ai quali l’invia con degli incarichi, raccomanda caldamente: « Per riguardo a Marco avete già ricevuto istruzioni; se viene a voi, accoglietelo amichevolmente » e poco prima della morte, quasi come ultimo desiderio, domanda instantemente a Timoteo… Marco! « Porta con te Marco! Posso ben aver bisogno dei suoi servizi ». E infine nemmeno Barnaba nutrì alcun rancore per Paolo, ce lo attesta un passo della prima lettera ai Corinti. – Non torna ad onore degli Apostoli né giova alla nostra utilità passare timidamente sotto silenzio il loro lato troppo umano. Che essi siano stati dei lottatori, costituisce la loro grandezza e la nostra consolazione; ma la provvidenza di Dio è così sapiente e benigna, da tendere nel telaio dei suoi piani di salvezza le nostre stesse imperfezioni, e così tramutò anche quella lite umana in benedizione divina: la separazione e il raffreddamento fra Paolo e Barnaba ebbero per conseguenza che l’evangelizzazione s’inoltrò nel mondo in due direzioni anziché in una soltanto. Marco e Paolo! Oggi, ripensando a loro, non possiamo trattenerci da un sorriso, ed essi stessi dovettero sorridere, quando, circa dieci anni dopo, si diedero la mano al di lì, a Roma. Tutti e due divennero più grandi per l’aiuto che l’uno porse all’altro: Paolo a motivo di Marco divenne più mite e Marco a motivo di Paolo divenne più uomo. Il popolo fedele onora Marco quale « signore dell’atmosfera » e patrono contro i fulmini e la grandine; in un’antica benedizione del tempo era ricordato espressamente il suo nome: ci prova tutta l’amabilità di Marco il fatto ch’egli, nonostante il torto patito, ritornò nuovamente a Paolo e si fece, dimentico di sé, suo collaboratore. Ma egli è così: un cielo azzurro, che neppure il fulmine e il tuono di Paolo poterono offuscare. Oh, avessimo noi molti Marco!

MARCO E PIETRO

Marco è come un’edera verdeggiante, che dei suoi viticci ricopre festosamente le due torri principali della Chiesa, Pietro e Paolo; anche Pietro infatti stette in rapporti speciali con lui. La Sacra Scrittura veramente parla in un unico luogo di questi rapporti, ma con una parola, che dice quanto molte pagine. Pietro, terminando la sua prima lettera alle comunità dell’Asia Minore, scrive: «Vi saluta la Chiesa con voi eletta di Babilonia e Marco, mio figlio »; questa sola espressione ci richiama i vincoli d’amicizia intimi e di lunga data fra i due. Ordinariamente essa viene interpretata della paternità spirituale di Pietro, conseguita con l’amministrazione del battesimo a Marco; ma questo solo fatto, cui probabilmente è da aggiungere pure una certa parentela naturale, non basta a spiegare gli intimi rapporti fra Pietro e Marco; fra di loro vigeva anche una parentela dell’anima; Marco anzi, sotto molti aspetti, ci fa l’impressione d’un Pietro giovane, rinato, perché come lui è vivace, vispo, amabile e come lui fu una volta debole; se nel suo Vangelo poté rendere così fedelmente la predicazione di Pietro, lo si deve sicuramente anche al fatto che l’indole di Pietro rispondeva così bene alla sua, propria. – È difficile determinare il momento preciso, dal quale Pietro e Marco presero a vivere insieme. Alcuni pensano già all’anno 42: la notte, in cui Rode, la fanciulla distratta, fece finalmente entrare Pietro, Marco, il figlio della casa, si sarebbe unito all’Apostolo e l’avrebbe accompagnato nella fuga « nell’altro luogo », ripetendo, per così dire, il suo nobile accompagnamento di Gesù nella notte del Monte degli Olivi; a questo riguardo, può sorprendere che Pietro nella sua lettera alle comunità del « Ponto, Galazia, Cappadocia, Asia e Bitinia » aggiunga l’unico saluto di Marco; lo conoscevano esse di persona? Qualora egli, nella circostanza della liberazione dell’Apostolo, l’avesse seguito anche sino a Roma, questo suo primo soggiorno romano sarebbe stato sicuramente breve, poiché i dati biblici esigono ch’egli si trovasse pronto in Antiochia al più tardi nell’anno 45, per il famoso e funesto viaggio con Paolo sino a Cipro e a Perge. Marco potrebbe essersi accompagnato a Pietro anche dopo finito il suo viaggio apostolico con Barnaba a Cipro e quindi verso il 51-52; una sua attività in Egitto, di cui scriveremo ancora, non vi si opporrebbe. Egli fu certamente a Roma con Pietro, quando questi, negli anni 63-64, scrisse la sua prima lettera, e questo è pure confermato dai testi riguardanti Marco dell’epistolario paolino. Pietro, il pescatore del lago di Tiberiade schietto, ma sempre un po’ goffo, fu certamente lieto d’avere presso di sé, qual « protonotario pontificio » nel senso etimologico della parola, suo « figlio Marco », che era un segretario abile, elegante e premuroso. E questi — è il patrono anche dei notai e degli scrivani — gareggiava in servizi, felice di poter esibire al semplice Pietro la prova della sua attitudine, che Paolo invece aveva respinta. I suoi rapporti cordiali con Pietro sono richiamati da una narrazione apocrifa, la quale riferisce del suo soggiorno, certo leggendario, ad Aquileia, ma poi per la nostalgia di Pietro non avrebbe più resistito e se ne sarebbe tornato a Roma, dov’era il suo amico, padre e Pontefice. L’antichità cristiana, a cominciare da Papia (+ 130), chiamò Marco l’« interprete — hermeneutés-interpres — di Pietro », titolo, che potrebbe indurci a ritenere che egli abbia tradotto in greco o in latino i discorsi tenuti dall’Apostolo agli uditori romani in lingua aramaica; questi però possedeva certamente la lingua greca, almeno quanto era necessario per farsi intendere dai suoi ascoltatori; è probabile quindi che quel titolo « interprete di Pietro » rimandi alla redazione scritta fatta da Marco della predicazione orale di Pietro; l’antico Papia stesso riferisce che Marco mise in iscritto i detti e i fatti di Gesù, predicati da Pietro. Ci troviamo così dinanzi al monumento più bello e più importante dell’amicizia fra i due: il Vangelo di Marco.

MARCO EVANGELISTA

Marco scrisse un Vangelo, il secondo nell’ordine attuale dei Vangeli canonici. Il primo e principale testimonio ne è il vecchio Papia, la cui testimonianza però è più antica di lui, perché s’appoggia alla dichiarazione del « presbitero Giovanni », dell’Apostolo cioè di questo nome. Ecco com’essa dice: « Anche questo diceva il presbitero (Giovanni): Marco, un interprete di Pietro, ha messo in iscritto esattamente tutto quello, di cui si ricordava. Però (scrisse) quello, che dal Signore è stato detto o fatto, non secondo l’ordine. Marco cioè non ha udito il Signore né Lo ha accompagnato; ma più tardi, come già detto, ha udito Pietro, che disponeva i suoi insegnamenti secondo i bisogni e non come uno, che dia un’esposizione scritta dei discorsi del Signore. Così Marco non ha affatto peccato, se scrisse alcunché così, come si ricordava. Poiché solo d’una cosa ebbe cura, di non omettere nulla di quello che aveva udito o di non dire in questo il non vero ». A. questa antichissima testimonianza se ne aggiungono altre molto importanti, come ad esempio quella di Clemente Alessandrino (+ 231): Marco a Roma fu pregato dai cavalieri imperiali di mettere per iscritto le istruzioni, che Pietro aveva loro impartite; quando questi ne venne a conoscenza, non ne impedì il suo interprete né lo incoraggiò; Eusebio però, rifacendosi a Clemente, riferisce che Pietro poi approvò espressamente il Vangelo completo e stabilì che se ne desse lettura nelle chiese. Gli scrittori ecclesiastici più antichi, più vicini ai tempi apostolici sono unanimi nel mostrare l’intima connessione del vangelo di Marco con la predicazione di Pietro, Tertulliano anzi lo chiama senz’altro « il Vangelo di Pietro ». Passando a considerare il Vangelo stesso, possiamo affermare che gli occhi vivaci e buoni di Pietro ci rivolgono il loro sguardo quasi da ogni riga. Il contenuto e l’indole del suo insegnamento li conosciamo abbastanza bene attraverso le sue otto prediche contenute negli Atti degli Apostoli e le sue due lettere; ora il Vangelo di Marco appare esserne l’eco fedele; confrontandolo, per esempio, col discorso che l’Apostolo disse in casa di Cornelio, abbiamo l’impressione d’avere dinanzi una descrizione e uno sviluppo di quanto a grandi linee Pietro aveva abbozzato in casa del primo pagano accolto nella Chiesa. Marco narra con forza e colore la preparazione al lieto messaggio mediante la predicazione del Battista, il battesimo e le tentazioni di Gesù, la vocazione dei primi discepoli (capitolo 1, 1-20); segue lo svolgimento dell’attività in Galilea: il giorno dei miracoli a Cafarnao, i primi cinque conflitti con i Farisei, il ministero sul lago e le peregrinazioni intorno ad esso — il Vangelo del pescatore! — (capitoli 1, 21-8, 26); la conclusione del ministero galilaico: la professione di Pietro e la rivelazione del mistero della croce (capitoli 8, 27-9, 50); infine il compimento: il viaggio a Gerusalemme, la Domenica delle Palme e la Pasqua (capitoli 10, 1-16, 20). – Ma desideriamo vedere in qual modo il Vangelo di Marco si regoli con lo stesso Pietro. Modo abbastanza singolare! Si fa spesso parola di lui, più diffusamente che dagli altri Evangelisti; ma quando si tratta della sua preminenza e dei suoi privilegi, Marco si fa muto; non poté certamente evitare di concedergli il primo posto nel catalogo degli Apostoli, ma il fratello suo Andrea, non lo collocò al secondo posto, come fanno Matteo e Luca, bensì al quarto. Marco sembra pure ignorare che il suo maestro una volta camminò miracolosamente sulle onde del lago, che con un miracolo gli fu pagata la tassa e con un altro gli fu riempita la barca di pesci sino a sprofondare, che gli fu promessa una speciale preghiera del Signore. Ancor più meraviglia che nel secondo Vangelo non s’incontrino neppure quelle parole essenziali, che costituiscono il fondamento della grandezza propria di Pietro: « Tu sei Pietro, la roccia, e su questa roccia Io edificherò la mia Chiesa. A te darò le chiavi del regno dei Cieli »; e invano vi cercheremmo anche quelle altre, notate da Giovanni: « Pasci le mie pecore! Pasci i miei agnelli! ». Al contrario, quando si tratta di qualche cosa di sgradito e che fa arrossire, come ad esempio della natura irriflessiva di Pietro, della sua replica audace, del suo sonno sul Monte degli Olivi e anzitutto della sua triplice negazione, che ancor oggi fa arrossire ogni suo amico, allora Marco racconta tutto esatto e circostanziato. Il caro discepolo deve aver avuta spesso la tentazione di sopprimere qualche scena troppo penosa per il padre e amico suo Pietro, ma questi nella sua umiltà non tollerò che lo facesse. Ci richiama a questa umiltà di Pietro, che emerge dal Vangelo di Marco, già il Crisostomo: « Marco, il discepolo di Pietro, non ha messo in iscritto questo importante episodio — il saldo dell’imposta con un miracolo  —, perché con esso era congiunto un grande onore per Pietro; ha scritto invece il suo rinnegamento; quello che metteva in vista lo ha taciuto; forse il suo maestro gli aveva proibito di far sapere le cose mirabili riguardanti la sua persona ». Comunque, Pietro non decantò certamente le sue prerogative, che quindi non entrarono neppure nel vangelo di Marco; di qui una prova dal Vangelo stesso della sua genuinità. – Ma anche il suo stile e la sua lingua ci ricordano Pietro. Il vocabolario del secondo Vangelo ricorre lo stesso anche nelle lettere e nei discorsi del Principe degli Apostoli; la sola paroletta « euthys-subito », che in questo Vangelo non ricorre meno di 43 volte, tradisce Pietro, ch’era un sanguigno così pronto, che lo si potrebbe chiamare l’Apostolo « Subito ». Quanta vivacità e chiarezza poi nella narrazione di Marco e come è evidente che si compiace nella descrizione! Si leggano, ad esempio, le relazioni della guarigione della mano rattrappita, della guarigione del fanciullo ossesso e soprattutto il drammatico episodio dei duemila porci nella regione dei Geraseni: l’obiettivo Matteo riferisce tranquillo: « Gli spiriti cattivi Lo pregarono: “Se ci cacci, mandaci nel branco di porci”. Egli rispose loro: “Andatevene!”. Allora se n’andarono ed entrarono nei porci. Di conseguenza l’intero branco si precipitò giù per il declivio nel lago e annegò nelle onde ». Marco invece con più forza, occhi attenti e orecchi protesi descrive: « Lo spirito cattivo gridò ad alta voce: “Che ho da fare con Te, Gesù, Figlio di Dio, dell’Altissimo? Io Ti scongiuro per Iddio di non tormentarmi…”. Poi lo pregava insistentemente di non cacciarlo via dalla regione. Sul pendio del monte pascolava una gran mandria di porci. Allora lo pregarono: “Permettici di entrare nei porci”. Lo permise loro. La mandria allora di circa duemila capi si precipitò giù per il pendio nel lago e nel lago affogò ». –  Matteo e Marco! Nei loro Vangeli si rispecchiano chiaramente anche gli autori; il Vangelo di Marco quindi, lascia a desiderare quanto ad adattamento, forbitezza e bell’ordine, che caratterizzano il Vangelo del pubblicano, amante del sistema e dello schema; il secondo Vangelo è impetuoso come lo stesso Pietro, non ingegnoso nella distribuzione del materiale, non delicato nell’espressione; non importa molto a Pietro scambiare un nominativo con un accusativo, di tralasciare una parola, di annettere direttamente una muova sezione; un insegnante di lingue s’indispettirebbe e farebbe scorrere molto inchiostro rosso; che consolazione per gli scolari! Già Papia osservava questa deficienza « nell’ordine », e intendeva precisamente la noncuranza letteraria del secondo Vangelo. Che interesse poteva avere per Pietro? Non era suo metodo badare accuratamente che la sua predica si presentasse in due parti con tre pensieri ciascuna, che fluisse con l’armonia del ritmo, che non le mancassero i geniali giochi di parole; la sua bocca sovrabbondava della pienezza del suo cuore, e Marco mise in iscritto le cose dette appunto come erompevano dal cuore del maestro, sciolte e fresche come una gorgogliante sorgente. – Gli studi sulla caratteristica del secondo Vangelo hanno sempre più imposto il silenzio a quelle teorie razionalistiche, secondo le quali bisognava distinguere fra il Vangelo dell’Urmarco e il Vangelo del Marco odierno; ché nel secondo Vangelo attuale è impresso troppo profondamente il sigillo di Marco-Pietro perché lo si possa negare, senza dire del fatto controllabile da ognuno dell’uso del Vangelo da parte già dei più antichi scrittori ecclesiastici. Oggi sono ancora discussi i versetti 9-20 dell’ultimo capitolo. Essi mancano nei due manoscritti greci più antichi e in qualche traduzione orientale molto antica; ricorrono anche, in questa sezione finale, delle espressioni sconosciute al resto del Vangelo; nondimeno non è possibile addurre una prova convincente che i versetti in questione non abbiano per autore Marco, poiché la stragrande maggioranza dei manoscritti — 160 contro 7 — ha la medesima finale del secondo Vangelo odierno; potrebbe darsi che, come Giovanni, anche Marco abbia terminato il suo Vangelo con l’attuale conclusione soltanto in un tempo posteriore; tutti del resto concedono ch’egli non poté terminare col versetto 16, 8. – Come attesta l’antichità cristiana, Marco scrisse il suo Vangelo per gli etnicocristiani, specialmente per quelli di Roma, « spinto dalle preghiere insistenti dei Cristiani di Roma, perché volesse lasciar loro un ricordo scritto delle istruzioni proposte da Pietro a viva voce ». Una tradizione orientale, conservataci da Diounisio bar Salibi, dice a questo riguardo: «Poiché i Romani sapevano che Pietro voleva andarsene per predicare in altri luoghi, lo pregarono di scrivere un Vangelo; egli però non assecondò il loro desiderio, perché non ne aveva il tempo, giacché, in qualità di capo dei predicatori, doveva predicare il suo Vangelo al popolo giudaico e ai pagani; temeva anche che i fedeli, per accogliere il suo, mettessero in disparte i tre (altri) Vangeli, perché egli era il capo e il primo; e infine, a causa del suo rinnegamento, egli si riteneva indegno di scrivere il Vangelo. Per questo pregò che scrivesse Marco, suo discepolo, e questi riferì tutto quello, che aveva ascoltato dalla sua bocca ». Quest’informazione erra certamente in quanto presenta il Vangelo di Marco come l’ultimo dei quattro Vangeli; non è né l’ultimo né il primo, ma, per la quasi unanime testimonianza della tradizione, è il secondo; l’epoca della sua redazione deve cadere fra gli anni 51-62, fu certamente scritto prima della morte di Pietro (+ 67), come assicurano Clemente Alessandrino e gli altri antichi scrittori ecclesiastici. – Un largo influsso nella struttura del secondo Vangelo l’ebbe anche l’accolta di lettori romani e di qui dipende la sua divergenza sotto molti aspetti da quello di Matteo. Marco, avendo per destinatari immediati del suo Vangelo degli etnicocristiani, omise molta parte di quello, che Matteo, scrivendo per i giudeocristiani, aveva messo in risalto della vita tanto ricca di Gesù per provare la sua messianità; la comunità cristiana di Roma non se ne intendeva e non aveva l’interesse dei Cristiani di Palestina quanto all’adempimento delle profezie del Vecchio Testamento, per le questioni della legge mosaica e per i conflitti di Gesù con i Farisei. Marco tralascia questi dettagli; non ha quindi il discorso sul monte, non il discorso « Guai a voi! »; in lui non incontriamo neppure la parola « Legge », che nel Vangelo di Matteo ha una parte così importante; quando deve ricordare istituzioni e usi giudaici, si dà premura di spiegarli ai lettori, che li ignorano. Gli interessa di far conoscere ai Romani non tanto le parole di Gesù quanto piuttosto le sue opere; il loro animo calmo e pratico è guadagnato al Signore più rapidamente dai fatti di Lui che non per mezzo di dottrine; ecco perché nel secondo Vangelo troviamo in prima linea i miracoli e perché nel riferirli Marco generalmente non fa abbreviazioni. In modo singolarmente perspicuo e attraente descrive i miracoli sugli ossessi, poiché la virtù divina del Signore si rivela quanto mai possente nella repressione del demonio e per i Romani, che sapevano della potenza diabolica, era tanto efficace. Attenendosi a questi criteri, Marco delineò nel suo Vangelo una figura di Cristo, che inonda di giubilo e di orgoglio ogni cuore cristiano: ci dipinse Cristo Re! Il primo versetto intona con accordo vigoroso il tema di tutto il Vangelo: « Il Vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio»; e ai piedi della croce, confermando e ammirando, il centurione romano risponde come un’eco lontana e grida: « Veramente quest’Uomo era il Figlio di Dio ». Il Vangelo di Marco presenta questo titolo « Figlio di Dio » senza spiegarne la profondità, come invece fa Giovanni; però, anche se l’Evangelista non istruisce espressamente circa la preesistenza e l’uguaglianza sostanziale di Gesù col Padre, tutti i lineamenti della figura di Gesù da lui tracciata rimontano alla Causa prima e alla origine divina; poiché l’onnipotenza, che inerisce a Gesù, non è a casa sua che in Dio soltanto. Il Vangelo di Marco, essendo il più corto di tutti, è pure il meno usato fra tutti; e nondimeno esso ha anche per la nostra epoca e soprattutto per il mondo maschile la sua utilità particolare: la figura di Cristo, che s’è levata sopra il nostro secolo, grande, serena, sublime, è la figura del Vangelo di Marco, è Cristo, il Figlio di Dio, pieno di potere e di forza; Cristo, il Re troneggiante; Cristo il Signore del mondo. Vicini a un eroismo menzognero, i nostri occhi si sono aperti alla grandezza di Cristo; dinanzi a Lui e dinanzi a Lui soltanto pieghiamo con orgoglio il nostro ginocchio: « Veramente quest’Uomo è il Figlio di Dio! ».

MARCO MISSIONARIO

Pietro era morto, Paolo era morto, ma Gesù « rimane lo stesso ieri, e oggi, e in eterno »; anche dopo la morte dei due Principi, cui Marco aveva servito con fedeltà e cui forse aveva chiusi gli occhi affranti, l’opera del Re continuò per mezzo del discepolo. Numerose testimonianze attestano che annunziò il lieto messaggio in Egitto, ove anche fondò la chiesa di Alessandria, della quale fu il primo presule. Questa tradizione è attendibile, anche se i due luminari della chiesa alessandrina, Clemente e Origene, serbano a questo riguardo assoluto e curioso silenzio. Alessandria e Antiochia! Antiochia, la città di Paolo e Alessandria, la città di Marco! Si direbbe che la tensione fra Paolo e Marco si fosse comunicata anche alle loro città. Ambedue, infatti, le città furono centri della cultura cristiana e anzitutto della scienza biblica, in contrasto però fra loro; la scuola alessandrina indagò il senso allegorico delle Sacre Scritture, la scuola antiochena invece quello storico. Per un ministero di Marco in Egitto abbiamo a nostra disposizione alcuni anni fra il 52 e il 62 e poi nuovamente gli anni, che seguirono al rimpatrio deI Principi degli Apostoli. Se interroghiamo le più antiche informazioni riguardo all’epoca, in cui andò in Egitto, e la durata del suo ministero ivi esercitato, otteniamo risposte diverse. È abbastanza frequente la notizia di Marco inviato da Roma in Egitto, dove avrebbe portato il suo Vangelo già scritto; Giovanni Crisostomo invece, secondo il quale Marco avrebbe scritto il Vangelo soltanto in Egitto, è solo ad affermarlo. L’antica tradizione, secondo la quale Marco lasciò l’Egitto l’ottavo anno di governo dell’imperatore Nerone — l’anno 62 —, stabilendovi come capo della chiesa di Alessandria Aniano, prima calzolaio, è conciliabile con i dati biblici, i quali esigono ch’egli si trovasse a Roma al più tardi l’anno 62. Possiamo dunque affermare come molto probabile che Marco si sia portato ad Alessandria verso l’anno 54 e abbia esercitato il ministero ecclesiastico come presule della città sino all’anno 62. Se dovessimo prestare orecchio alle chiacchiere, che intorno all’opera di Marco in Egitto si leggono negli « Atti di Marco », scritti verso la metà del quarto secolo, a lui sarebbe stato assegnato l’Egitto fin dal momento della separazione degli Apostoli, per primo avrebbe predicato il Vangelo in tutta la regione e poi in Libia, nella Marmarica, nell’Ammoniaca, l’oasi di Giove Ammon, e nella Pentapoli, la terra della sua infanzia; indi ricevette in ispirito l’ordine di mettersi in cammino verso Alessandria per presentarsi al Faraone; all’entrata in città, le scarpe gli si rompono; si rivolge a un calzolaio; riparandole, questi si ferisce seriamente; Marco lo guarisce con un miracolo, lo istruisce intorno al Figlio di Dio Gesù Cristo; a questo punto il calzolaio lamenta, rimpiangendo, che i ragazzi egiziani vengono istruiti soltanto nell’Iliade e nell’Odissea; Marco amministra ad Aniano e alla sua famiglia il battesimo e lo consacra vescovo della chiesa di Alessandria, prima ch’egli debba sottrarsi con la fuga alle insidie degli idolatri sdegnati. Secondo la leggenda scappa poi nella Pentapoli, ma i documenti storici, quali la lettera di Pietro, quella ai Colossesi e quella a Filemone, esigono ch’egli in questo tempo sia a Roma; di qui fu inviato da Pietro o da Paolo in Asia Minore per una missione; nell’anno 66/67 Paolo prega e ottiene che dall’Asia Minore, ritorni di nuovo a Roma, donde, dopo la morte dei Principi degli Apostoli, parte nuovamente per Alessandria, dove lavora nella propria vigna; le antiche informazioni, infatti, sono unanimi nell’attestare un’attività di Marco ad Alessandria in due tempi. Che apostolato movimentato il suo! Cipro! Roma! Egitto! Roma! Asia Minore! Roma! Alessandria!. Com’è divenuto ricco e attivo! Un giorno, quando con Paolo doveva attraversare il Tauro, gli era venuto meno l’animo; e adesso gareggia quasi col suo rigido maestro nel travaglio della peregrinazione apostolica. Marco dà ragione a tutti coloro, che non si sgomentano per il fallimento dei giovani. – Egli morì probabilmente nell’anno 14° dell’impero di Nerone e, secondo una relazione, di morte naturale, secondo un’altra come martire. Gli « Atti di Marco » descrivono il suo rimpatrio così: mentre, nella festa di Pasqua, che in quell’anno cadeva il giorno 24 aprile, stava celebrando le funzioni solenni, fu preso dai pagani, che in quel giorno stesso celebravano la loro festa in onore di Serapide, fu legato con funi al collo e in questo modo straziante fu trascinato per le vie di Alessandria; poi il corpo lacerato fu gettato in carcere, dove nella notte un Angelo confortò il Martire: « Marco, ministro di Dio, il tuo nome è scritto nel libro della vita eterna e la tua memoria non si cancellerà in perpetuo; gli Angeli custodiranno la tua anima e il tuo corpo non imputridirà nella terra »; il giorno appresso il crudele tormento fu ripetuto; Marco vi soccombette e il suo corpo fu bruciato. La Chiesa romana il 25 aprile, giorno della sua morte, ne accompagna la festa con una processione rogazionale attraverso le verdeggianti campagne e fra gli alberi in fiore: non fu anche Marco come un albero fiorente, bello ma in pericolo nel fiore della sua giovinezza? Volesse il Cielo che tutti gli alberi di maggio portassero a maturazione i frutti copiosi e pregiati di Marco! La leggenda delle sue reliquie, che dovrebbe essere sorta veramente soltanto nel secolo nono, fa l’impressione d’essere bizzarra: dopo la conquista dell’Egitto da parte dei Saraceni, l’imperatore Leone l’Armeno (813-820) proibì ogni traffico con Alessandria; ma, nonostante l’ingiunzione di questo divieto fatta dal doge Giustiniano (827-830), i due distinti veneziani Bono e Rustico si portarono ad Alessandria, dove trovarono i Cristiani in grande preoccupazione; essi allora decisero di rubare i resti mortali dell’Evangelista per sottrarli a un eventuale colpo di mano degli increduli e portarli al sicuro in terra cristiana; per dissimulare il pio inganno, indossarono le reliquie di Santa Claudia, vergine, del mantello di seta di Marco e su d’un’imbarcazione riuscirono a portare felicemente il bramato tesoro delle reliquie a Venezia. Vogliamo lasciare ai Veneziani San Marco! Anche presso di loro egli trova tutto bello, come nel tempo della sua giovinezza: la maestosa basilica che gli eressero (976-1071), la piazza meravigliosa che seppero crearle dinanzi, come una sorella della piazza di San Pietro a Roma — Pietro e Marco! —, le vie azzurre che s’intrecciano attraverso la città, le imbarcazioni dagli svolazzanti nastri variopinti, i mandolini che tanto soavemente s’insinuano nell’orecchio e nel cuore; questo paradiso sta davvero bene per Marco! Libero l’animo da ogni pensiero e desiderio, l’occhio dalla gondola dondolante si ricrea nella bellezza di Venezia, che sale dal mare come una prima visione dell’Oriente. Ma resta ancora il leone! Che ha da che fare il leone con Marco? È il simbolo di lui come evangelista, perché nel primo capitolo del suo Vangelo scrive del « deserto », dove il leone ha la sua patria. Marco e il leone! In un dipinto del Pinturicchio il leone guarda, come fosse un uomo, tristemente, perché può solamente ruggire, non può essere anche così amabile com’è Marco. E ancor più mirabile è quest’altra cosa, che il « kolobodaktylos », il Marco dalle dita piccole e delicate, abbia nella sua persona e nella sua opera qualche cosa della forza del leone. – E in questo forse sta il mistero e la grandezza di Marco, ch’egli cioè, ch’era stato tanto circondato da cure, sia divenuto per Cristo e in Cristo un leon