TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII: (24) IL CONCILIO DI TRENTO. “SESSIONE VII”

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (24)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

Il Concilio di Trento: Sess. VII – XIV

Sessione VII, 3 marzo 1547, decreto sui Sacramenti.

Preambolo

1600. Per completare questa salutare dottrina sulla giustificazione, promulgata nella sessione precedente con il consenso unanime di tutti i padri, è sembrato opportuno trattare dei santissimi sacramenti della Chiesa. È attraverso di essi che ogni vera giustizia inizia, o, una volta iniziata, aumenta, o, una volta persa, viene riparata. Per questo il Santo Concilio Ecumenico e Generale di Trento… desiderando eliminare gli errori ed estirpare le eresie che sono sorte ai nostri giorni riguardo ai santissimi Sacramenti, o che sono sorte da eresie già condannate dai nostri Padri, o che sono state addirittura scoperte, compromettendo grandemente la purezza della Chiesa cattolica e la salvezza delle anime, in contrasto con l’insegnamento delle Sacre Scritture, con le tradizioni apostoliche e con l’accordo unanime dei Padri di altri Concili, questo santo Concilio ha deciso di emanare e decretare i seguenti canoni. Quelli che restano per completare l’opera iniziata saranno, con l’aiuto dello Spirito Santo, pubblicati in seguito.

Canoni sui Sacramenti in generale.

1601. 1. Se qualcuno dice che i Sacramenti della Nuova Legge non siano stati tutti istituiti da Gesù Cristo nostro Signore, o che ce ne siano più o meno di sette, cioè il Battesimo, la Cresima, l’Eucaristia, la Penitenza, l’Estrema Unzione, l’Ordine e il Matrimonio, o che uno di questi sette non sia veramente e propriamente un Sacramento, sia anatema.

1602. 2 Se qualcuno dice che questi Sacramenti della nuova Legge differiscano da quelli dell’antica Legge solo perché le cerimonie sono diverse ed i riti esterni sono diversi, sia anatema.

1603. 3 Se qualcuno dice che questi sette sacramenti sono così uguali che in nessun modo uno è più degno dell’altro, sia anatema.

1604. (4) Se qualcuno dice che i Sacramenti della Nuova Legge non sisno necessari per la salvezza, ma superflui, e che senza di essi, o senza il desiderio di essi, gli uomini ottengano da Dio la grazia della giustificazione (cf. 1559), essendo ammesso che non tutti per tutti: sia anatema..

1605. (5) Se qualcuno dice che questi Sacramenti siano stati istituiti solo per alimentare la fede, sia anatema.

1606. (6) Se qualcuno dice che i Sacramenti della Nuova Legge non contengano la grazia che significano, o che non conferiscano questa stessa grazia a coloro che non la ostacolano (cf. 1451), come se fossero solo segni esteriori della grazia e della giustizia ricevute dalla fede, e segni della professione cristiana con cui i fedeli si distinguono dagli infedeli tra gli uomini, sia anatema.

1607. (7) Se qualcuno dice che con tali Sacramenti la grazia non sia data sempre e a tutti, per quanto riguarda Dio, anche se siano ricevuti come dovrebbero essere, ma solo a volte e ad alcuni, sia anatema.

1608. (8) Se qualcuno dice che la grazia non viene conferita “ex opere operato” da questi Sacramenti della Nuova Legge, ma che la sola fede nella promessa divina sia sufficiente per ottenere la grazia, sia anatema.

1609. 9. Se qualcuno dice che nei tre Sacramenti del Battesimo, della Cresima e dell’Ordine Sacro non venga impresso nell’anima un carattere, cioè un marchio spirituale e indelebile tale da non poter essere ripetuto, sia anatema.

1610. 10. Se qualcuno afferma che tutti i Cristiani abbiano potere sulla parola e sull’amministrazione dei Sacramenti, sia anatema.

1611. 11. Se qualcuno dice che nei ministri, mentre compiono e conferiscono i Sacramenti, non sia richiesta l’intenzione di fare almeno ciò che fa la Chiesa: sia anatema.(cf. 1262).

1612. 12. Se qualcuno dice che un ministro in stato di peccato mortale, purché osservi tutto ciò che è essenziale riguardo al fare o al conferire il Sacramento, non faccia o conferisca il Sacramento: sia anatema (cf. 1154).

1613. 13. Se qualcuno dice che i riti ricevuti e approvati della Chiesa cattolica, in uso nella solenne amministrazione dei Sacramenti, possano essere disprezzati od omessi senza peccato, a volontà dei ministri, o cambiati in altri nuovi da qualsiasi pastore delle chiese, sia anatema.

Canoni sul Sacramento del Battesimo

1614. (1) Se qualcuno dice che il battesimo di Giovanni ha la stessa forza del battesimo di Cristo, sia anatema.

1615. (2) Se qualcuno dice che l’acqua vera e naturale non sia necessaria per il Battesimo, e quindi trasforma le parole di nostro Signore Gesù Cristo in una metafora: “Se uno non rinasce dall’acqua e dallo Spirito Santo”, Giovanni III: 5, sia anatema.

1616.3 Se qualcuno dirà che nella Chiesa romana, che è madre e maestra di tutte le Chiese, non si trovi la vera dottrina sul Sacramento del Battesimo, sia anatema.

1617.4 Se qualcuno dice che il Battesimo, anche se impartito dagli eretici nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, con l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa, non sia vero battesimo, sia anatema.

1618.5 Se qualcuno dice che il battesimo è libero, cioè non necessario per la salvezza, sia anatema (cf. 1524).

1619. 6. Se qualcuno dice che il battezzato non possa, anche se volesse, perdere la grazia, per quanto numerosi siano i suoi peccati, a meno che non voglia credere, sia anatema (cf. 1544).

1620. 7. Se qualcuno dice che i battezzati, con il loro Battesimo, non siano obbligati solo alla fede, ma anche all’osservanza di tutta la Legge di Cristo, sia anatema.

1621. 8. Se qualcuno dice che coloro che sono battezzati sisno liberi rispetto a tutti i comandamenti della santa Chiesa, sia quelli scritti che quelli tramandati, in modo da non essere obbligati ad osservarli: sia anatema.

1622. 9. Se qualcuno dice che bisogna ricordare agli uomini il battesimo in modo che comprendano che tutti i voti fatti dopo il battesimo sono nulli, in virtù della promessa già fatta nel battesimo stesso, come se questi voti minassero sia la fede professata in quel momento sia il battesimo stesso, sia anatema.

1623. 10. Se qualcuno dice che tutti i peccati commessi dopo il Battesimo siano rimessi o resi veniali dal solo ricordo e dalla fede del Battesimo ricevuto, sia anatema.

1624. 11. Se qualcuno dice che il vero Battesimo, conferito secondo i riti, debba essere ripetuto per chi ha negato la fede di Cristo tra gli infedeli, quando si è convertito e ha fatto penitenza: sia anatema.

1625. 12. Se qualcuno dice che nessuno deve essere battezzato se non all’età in cui Cristo fu battezzato o in punto di morte, sia anatema.

1626. 13. Se qualcuno dice che i neonati, poiché non fanno atto di fede, non debbano essere annoverati tra i fedeli dopo aver ricevuto il Battesimo, e che per questo motivo debbano essere ribattezzati quando hanno raggiunto l’età della discrezione, o che sia preferibile omettere il loro Battesimo piuttosto che battezzarli nella sola fede della Chiesa, loro che non credono con un atto personale di fede: sia anatema.

1627. 14. Se qualcuno dice che a questi bambini battezzati in questo modo si dovrebbe chiedere, quando sono cresciuti, se vogliono ratificare ciò che i padrini hanno promesso a loro nome quando sono stati battezzati, e che coloro che rispondono che non vogliono farlo dovrebbero essere lasciati al loro libero arbitrio e non costretti da alcuna sanzione a condurre una vita cristiana, se non escludendoli dal ricevere l’Eucaristia e gli altri Sacramenti fino a quando non si emendano: sia anatema.

Canoni sul sacramento della Confermazione.

1628. 1 Se qualcuno dice che la Cresima dei battezzati sia una cerimonia vana e non un vero e proprio Sacramento, o che in passato non fosse altro che una catechesi, con la quale coloro che si avvicinavano all’adolescenza rendevano conto della loro fede in presenza della Chiesa, sia anatema.

1629. 2. Se qualcuno dice che chi attribuisce qualche virtù al santo crisma della Confermazione faccia ingiustizia allo Spirito Santo, sia anatema.

1630. 3. Se qualcuno dice che il ministro ordinario della confermazione non sia il solo Vescovo, ma qualsiasi semplice Sacerdote, sia anatema (cf.1318).

Continuazione del Concilio di Trento sotto Giulio III.

GIULIO III: 7 febbraio 1550 – 23 Marzo 1555.

Sessione XIII, 11 ottobre 1551: decreto sul sacramento dell’Eucaristia.

Preambolo

1635. Il Santo Concilio Ecumenico e Generale di Trento… si riunì, non senza essere particolarmente guidato e governato dallo Spirito Santo, allo scopo di esporre la vera e antica dottrina della fede e dei Sacramenti, e di rimediare a tutte le eresie e ad altri gravissimi danni che oggi purtroppo turbano la Chiesa di Dio e la dividono in molte e varie parti. Fin dall’inizio, però, si preoccupò soprattutto di estirpare le erbacce e gli scismi esecrabili che il nemico, in questi nostri tempi infelici, ha seminato (Mt XIII, 15) nella dottrina della fede e nell’uso e nel culto della Santa Eucaristia, che tuttavia nostro Signore ha lasciato nella sua Chiesa come simbolo di quell’unità e di quell’amore con cui ha voluto che tutti i Cristiani fossero uniti e legati tra loro. Ecco perché questo stesso santo Concilio, trasmettendo la sana e autentica dottrina riguardante questo venerabile e divino Sacramento dell’Eucaristia, che la Chiesa cattolica, istruita da Gesù Cristo nostro Signore, ha lasciato nella sua Chiesa come simbolo di quell’unità e di quell’amore con cui ha voluto che tutti i Cristiani fossero uniti e legati insieme. Così pure, il sacro Sinodo, traendo la sana e sincera dottrina di questo santo e venerabile Sacramento, la santa Chiesa dal Signore stesso e dagli Apostoli, istruita dallo Spirito Santo che le ricorda di giorno in giorno tutta la verità (Gv XIV, 26), ha sempre conservato e conserverà fino alla fine del mondo, proibisce a tutti i Cristiani d’ora in poi di osare credere, insegnare o predicare qualcosa sulla santissima Eucaristia che non sia quanto spiegato e definito dal presente decreto.

Cap. 1. La Presenza Reale di Nostro Signore Gesù Cristo nella santissima Eucaristia.

1636. In primo luogo, il santo Concilio insegna e professa apertamente e inequivocabilmente che nel venerabile Sacramento della santa Eucaristia, dopo la consacrazione del pane e del vino, nostro Signore Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, è realmente, veramente e sostanzialmente (cf. 1651) contenuto sotto l’apparenza di queste realtà sensibili. Infatti, non vi è alcuna opposizione al fatto che il nostro Salvatore sieda sempre in cielo alla destra del Padre, secondo un modo di esistenza che è soprannaturale, e che tuttavia Egli sia per noi sacramentalmente presente in molti altri luoghi nella sua sostanza, con un modo di esistenza che difficilmente possiamo esprimere a parole, e che tuttavia possiamo riconoscere e credere costantemente come possibile a Dio (Mt XIX,26; Lc XVIII, 27) grazie al nostro pensiero illuminato dalla fede.

1637. Infatti tutti i nostri antenati, che facevano parte della vera Chiesa di Cristo e che parlavano di questo santissimo Sacramento, professavano molto apertamente che il nostro Redentore istituì questo mirabile Sacramento nell’ultima cena, quando, dopo aver benedetto il pane e il vino, testimoniò in termini chiari e precisi che dava loro il proprio Corpo e il proprio Sangue. Queste parole, ricordate dai santi Evangelisti (Mt 26,26-29 Mc 14,22-25 Lc 22,19-20 e poi ripetute da san Paolo 1Cor 11,24-25), sono presentate in un senso molto chiaro e proprio, secondo quanto inteso dai Padri. È quindi uno scandalo indegno vedere certi uomini litigiosi e perversi ridurli a figure insulse e immaginarie, con le quali si nega la verità della Carne e del Sangue di Cristo, contro il sentimento universale della Chiesa, che come colonna e fondamento della verità ” (1Tm 3,15) detesta come sataniche queste invenzioni escogitate da uomini empi, ella che riconosce, con uno spirito che sa sempre ringraziare e ricordare, questo eccezionale beneficio di Cristo.

Cap. 2. Il motivo dell’istituzione di questo santissimo Sacramento.

1638. Perciò il nostro Salvatore, lasciando questo mondo per il Padre, istituì questo Sacramento nel quale riversò le ricchezze del suo amore divino per gli uomini, “lasciando un memoriale delle sue opere meravigliose” (Sal 110,4), e ci diede, ricevendo questo Sacramento, di celebrare la sua memoria (Lc 22,19 1Co 11,24) e di proclamare la sua morte fino a quando verrà lui stesso (1Co 11,26) a giudicare il mondo. Egli ha voluto che questo Sacramento fosse cibo spirituale per le anime (Mt 26,26) che nutre e rafforza coloro che vivono della sua vita (cf. 1655), Colui che ha detto “chi mangia me, vivrà egli stesso per mezzo di me” (Gv 6,57), e come antidoto che ci libera dalle colpe quotidiane e ci preserva dai peccati mortali. Volle anche che fosse il pegno della nostra gloria futura e della felicità eterna, nonché il simbolo dell’unico Corpo di cui egli stesso è il capo (1Co XI, 3; Eph V, 23)e al quale volle che noi, come sue membra, fossimo legati dai più stretti vincoli di fede, speranza e carità, in modo da dire tutti la stessa cosa e da non avere divisioni tra noi (1Co 1,10).

Cap. 3. L’eccellenza della Santissima Eucaristia rispetto agli altri Sacramenti.

Altri sacramenti.

1639. La santissima Eucaristia ha certamente qualcosa in comune con gli altri Sacramenti in quanto è “simbolo di una realtà santa e forma visibile di una grazia invisibile”. Ma ciò che è eccellente e particolare è che gli altri Sacramenti hanno la virtù di santificare quando si ricorre ad essi, mentre nell’Eucaristia si trova l’Autore stesso della santità prima di riceverla (cf. 1654).

1640. In effetti, gli Apostoli non avevano ancora ricevuto l’Eucaristia dalle mani del Signore (Mt 26,26 Mc 14,22), eppure Egli affermò che era veramente il suo Corpo quello che presentava; ed è sempre stata fede della Chiesa di Dio che, subito dopo la consacrazione, il vero Corpo ed il Sangue di nostro Signore si trovassero sotto le specie del pane e del vino insieme alla sua anima e alla sua divinità. Certamente, se il Corpo è sotto la specie del pane e il Sangue sotto la specie del vino in virtù delle parole, il Corpo stesso è anche sotto la specie del vino, e il Sangue sotto la specie del pane, e l’anima sotto entrambe le specie, in virtù di questa connessione naturale e di questa concomitanza che unisce tra loro le parti di Cristo Signore che, risorto dai morti, non muore più (Rm 6,9) La divinità è unita, per questa mirabile unione ipostatica, al suo corpo e alla sua anima (cf. 1651; 1653).

1641. Per questo è vero che Cristo è contenuto sotto l’una o l’altra specie e sotto entrambe le specie insieme. Infatti, Cristo è totalmente e integralmente sotto la specie del pane e sotto qualsiasi parte di questa specie; allo stesso modo è totalmente sotto la specie del vino e sotto le sue parti (cf. 1653).

Cap. 4. Transustanziazione

1642. Poiché Cristo nostro Redentore ha detto che ciò che offriva sotto le specie del pane fosse veramente il suo corpo (Mt 26,26-29 Mc 14,22-25 Lc 22,19 1Co 11,24-26) si è sempre ritenuto nella Chiesa di Dio – e questo è ciò che questo santo Concilio dichiara anche oggi – che con la consacrazione del pane e del vino avviene un cambiamento di tutta la sostanza del pane nella sostanza del Corpo di Cristo nostro Signore e di tutta la sostanza del vino nella sostanza del suo Sangue. Questo cambiamento è stato giustamente e propriamente chiamato, dalla santa Chiesa cattolica, transustanziazione (cf. 1652).

Cap. 5. Il culto e la venerazione dovuti a questo santissimo Sacramento.

1643. Perciò non c’è motivo di dubitare che tutti i cristiani, secondo la consuetudine che è sempre stata ricevuta nella Chiesa cattolica, venerino questo santissimo sacramento con il culto di latria che è dovuto al vero Dio 1656. Infatti questo sacramento deve essere venerato non meno perché è stato istituito da Cristo Signore per nutrirci (Mt 26,26-29). Crediamo infatti che in esso sia presente lo stesso Dio che l’eterno Padre introdusse nel mondo quando disse: “E tutti gli Angeli di Dio lo adorino” (Eb 1,6 Sal 7XCVI ,7) che i Magi adorarono prostrandosi 6(Mt 2,11) e a cui tutta la Scrittura testimonia che fu adorato in Galilea dagli apostoli (Mt 28,17 Lc 24,52).

1644. Inoltre, il santo Concilio dichiara che nella Chiesa di Dio è stata introdotta la consuetudine, devota e religiosa, di celebrare questo eminente e venerabile Sacramento con speciale venerazione e solennità ogni anno in un giorno festivo particolare, e di portarlo con riverenza ed onore in processione per le strade e le piazze pubbliche. (Cf. 846) Infatti, è giusto che ci siano dei giorni santi in cui tutti i Cristiani, con manifestazioni singolari e straordinarie, testimonino la loro gratitudine ed il loro ricordo al loro comune Signore e Redentore per un beneficio così ineffabile e veramente divino, con il quale sono rappresentati la sua vittoria e il suo trionfo sulla morte. E fu così che la verità, vittoriosa sulla falsità e sull’eresia, trionfò, cosicché i suoi avversari, di fronte a un così grande splendore e alla grande gioia della Chiesa universale, o si indebolirono e si spezzarono, o appassirono, o, sopraffatti dalla vergogna e dalla confusione, giunsero un giorno a rassegnarsi.

Cap. 6. Il Sacramento della Santa Eucaristia conservato e portato ai malati.

1645. L’usanza di conservare la Santa Eucaristia in un luogo sacro è così antica che il secolo del Concilio di Nicea la conosceva già. Inoltre, portare la Santa Eucaristia agli ammalati e conservarla con cura nelle chiese non solo è molto equo e conforme alla ragione, ma è anche prescritto da molti Concili e osservato da una consuetudine molto antica della Chiesa cattolica. Per questo motivo questo santo Concilio ha stabilito che questa salutare e necessaria usanza debba essere assolutamente mantenuta (cf. 1657).

Cap. 7. La preparazione da fare per ricevere degnamente la della santa eucaristia

1646. Se non conviene a nessuno accostarsi ad una funzione sacra se non in modo santo, certamente quanto più un Cristiano scopre la santità ed il carattere divino di questo Sacramento celeste, tanto più deve fare attenzione a non accostarsi ad esso per riceverlo se non con grande rispetto e santità (cf. 1661): “Chi mangia e beve indegnamente mangia e beve la sua condanna, non discernendo il corpo di Cristo” (1Co XI, 29). Per questo motivo, chi desidera ricevere la Comunione deve ricordarsi del comandamento: “L’uomo si metta alla prova” (1Cor XI, 28).

1647. La consuetudine della Chiesa mostra chiaramente che questa prova sia necessaria affinché nessuno che sia consapevole di un peccato mortale, per quanto si ritenga contrito, possa accostarsi alla santa Eucaristia senza una previa Confessione sacramentale. Questo santo Concilio ha decretato che ciò debba essere sempre osservato da tutti i Cristiani, anche dai Sacerdoti che sono tenuti per ufficio a celebrare, purché possano ricorrere a un confessore. Che se, per urgente necessità, un Sacerdote ha dovuto celebrare senza confessarsi, si confessi al più presto (cf. 2058).

Cap. 8. L’uso di questo mirabile sacramento.

1648. Per quanto riguarda l’uso, i nostri padri hanno giustamente e saggiamente distinto tre modi di ricevere questo santo Sacramento. Hanno insegnato che alcuni lo ricevono solo sacramentalmente come peccatori. Altri lo ricevono solo spiritualmente: sono coloro che, mangiando per desiderio il pane celeste offerto loro con quella “fede” viva che “opera per mezzo dell’amore” (Gal V, 6), ne sentono il frutto e l’utilità. Infine, ci sono altri che lo ricevono sia sacramentalmente che spiritualmente (cf. 1658): sono coloro che si mettono alla prova e si preparano in modo tale da accostarsi a questa mensa divina dopo aver indossato la veste nuziale (Mt XXII,11-14). Nella ricezione dei Sacramenti, è sempre stata consuetudine della Chiesa di Dio che i laici ricevano la comunione dai Sacerdoti e che i Sacerdoti che celebrano ricevano essi stessi la comunione (cf. 1560); questa consuetudine, derivante dalla tradizione apostolica, deve essere giustamente e rettamente mantenuta..

1649. Infine, con affetto paterno, il Santo Concilio avverte, esorta, chiede e supplica, “per le viscere della misericordia di Dio” (Lc 1,78), tutti e ciascuno di coloro che portano il nome di Cristiano di riunirsi finalmente, formando un solo cuore, in questo “segno”, in questo “vincolo di carità”, in questo simbolo dell’accordo dei cuori; ricordando la grande maestà e l’ammirabile amore di nostro Signore Gesù Cristo, che ha dato la sua cara vita come prezzo della nostra salvezza, e il suo amore per noi (Gv VI, 48-58) affinché credano e venerino i santi misteri del suo Corpo e del suo Sangue con una fede così costante e salda, con un cuore così devoto, con una pietà e una riverenza tali da ricevere spesso questo pane supersostanziale (Mt VI,11). Che sia davvero la vita delle loro anime e la salute perpetua dei loro spiriti; che, forti del suo vigore 1Re 19,8 , possano completare il cammino del loro infelice pellegrinaggio ed entrare nella patria celeste, dove saranno nutriti senza alcun velo da questo pane degli angeli (Sal LXXII,25) che mangiano solo sotto i sacri veli.

1650. Poiché non basta dire la verità se non si rivelano e confutano gli errori, il santo Concilio decise di aggiungere i seguenti Canoni affinché tutti, una volta conosciuta la dottrina cattolica, comprendano anche quali eresie debbano essere scartate ed evitate.

Canoni sul Santo Sacramento dell’Eucaristia.

1651. (1) Se qualcuno dice che nel santissimo Sacramento dell’Eucaristia non siano contenuti realmente, veramente e sostanzialmente il Corpo ed il Sangue insieme all’anima ed alla divinità di nostro Signore Gesù Cristo, e di conseguenza tutto il Cristo, ma dice che vi siano solo come in un segno o in una figura o virtualmente, sia anatema (cf. 1636; 1640).

1652. 2 Se qualcuno dice che nel santissimo Sacramento dell’Rucaristia la sostanza del pane e del vino rimanga con il Corpo e il Sangue di nostro Signore Gesù Cristo, e se nega questo mirabile e unico cambiamento di tutta la sostanza del pane nel suo Corpo e di tutta la sostanza del vino nel suo Sangue, mentre le specie del pane e del vino rimangono, cambiamento che la Chiesa cattolica chiama molto opportunamente transustanziazione, sia anatema (cf. 1642).

1653. 3 Se qualcuno nega che nel venerabile sacramento dell’eucaristia il Cristo intero è contenuto sotto ciascuna specie e sotto ciascuna delle parti di entrambe le specie dopo la loro separazione, sia anatema 1641.

1654. 4 Se qualcuno dice che il Corpo e il Sangue di nostro Signore Gesù Cristo non siano nel mirabile Sacramento dell’Eucaristia dopo la consacrazione, ma solo quando vengano usati nel riceverli, né prima né dopo, e che il vero Corpo del Signore non rimanga nelle ostie o nelle porzioni consacrate che si conservano o rimangono dopo la comunione, sia anatema (cf.1639 s.).

1655. 5 Se qualcuno afferma che il frutto principale della Santissima Eucaristia sia la remissione dei peccati o che essa non produca altri effetti, sia anatema (cf. 1638).

1656. 6. Se qualcuno dice che nel santo Sacramento dell’Eucaristia, Cristo, l’unigenito Figlio di Dio, non debba essere adorato con un culto di latria, anche esteriore, e che, di conseguenza, non debba essere venerato con una particolare celebrazione festiva, né essere portato solennemente in processione secondo il lodevole ed universale rito o usanza della santa Chiesa, né essere offerto pubblicamente all’adorazione del popolo, essendo coloro che lo adorano idolatri: sia anatema (cf. 1643s.).

1657. 7 Se qualcuno dice che non sia lecito conservare la santa Eucaristia nel tabernacolo, ma che debba essere necessariamente distribuita ai presenti subito dopo la consacrazione, o che non sia lecito portarla con onore ai malati, sia anatema (cf. 1645).

1658. 8. Se qualcuno dice che il Cristo presentato nell’Eucaristia venganmangiato solo spiritualmente e non anche sacramentalmente e realmente, sia anatema (cf. 1648).

1659. 9. Se qualcuno nega che, una volta raggiunta l’età della discrezione, ogni Cristiano di entrambi i sessi sia tenuto a ricevere la Santa Comunione ogni anno almeno a Pasqua, secondo il comandamento della nostra santa madre Chiesa: sia anatema (cf. 812).

1660. 10. Se qualcuno dice che non sia lecito che il Sacerdote che celebra faccia egli stesso la Comunione, sia anatema (cf. 1648).

1661. 11. Se qualcuno dice che la sola fede sia una preparazione sufficiente per ricevere il Sacramento della santissima Eucaristia, sia anatema (cf. 1646). E affinché un così grande Sacramento non venga ricevuto indegnamente e quindi con morte e condanna, questo santo Concilio stabilisce e dichiara che coloro la cui coscienza sia gravata da peccato mortale, per quanto possano giudicarsi contriti, debbano necessariamente prima confessarsi sacramentalmente, se si può trovare un confessore. Se qualcuno avrà l’ardire di insegnare, predicare o affermare ostinatamente il contrario o addirittura di difenderlo nelle dispute pubbliche, sia per questo stesso fatto scomunicato (cf. 1647).

Sessione XIV, 25 novembre 1551

Dottrina sul Sacramento della penitenza.

1667. Il santo Concilio ecumenico e generale di Trento… parlò a lungo, in occasione del decreto sulla giustificazione (cf. 1542s; 1579), del Sacramento della Penitenza, che una certa necessità richiedeva a causa della relazione tra i soggetti. Tuttavia, la moltitudine di errori diversi riguardanti questo Sacramento è così grande che è difficile capire perché sia così importante …. [il Concilio] ha ritenuto di pubblica utilità dare una definizione più esatta e completa. In questo modo, una volta smascherati e respinti tutti gli errori, sotto la protezione dello Spirito Santo, la verità cattolica diventerà chiara ed inequivocabile. È questa verità che questo santo Concilio espone a tutti i Cristiani affinché la conservino sempre.

Capitolo 1: Necessità e istituzione del Sacramento della Penitenza.

1668. Se tutti i rigenerati fossero così grati a Dio da mantenere costantemente la giustizia ricevuta nel Battesimo dalla sua bontà e grazia, non ci sarebbe stato bisogno di istituire un Sacramento diverso da quello del Battesimo per la remissione dei peccati (cf. 1702). Ma poiché “Dio, ricco di misericordia” (Ef II,4), “sa di che pasta siamo fatti” (Sal CII,14), ha dato anche un rimedio che restituisca la vita a coloro che in seguito si sono abbandonati alla schiavitù del peccato ed al potere del diavolo: il sacramento della Penitenza (cf. 1701), con il quale la benedizione della morte di Cristo viene applicata a coloro che sono caduti dopo il Battesimo.

1669. Per tutti gli uomini che si sono macchiati di un qualsiasi peccato mortale, la Penitenza era certamente necessaria in ogni momento per ottenere la grazia e la giustizia, anche per coloro che avevano chiesto di essere lavati dal Sacramento del Battesimo, affinché, respinta ed emendata ogni perversità, detestassero una così grande offesa fatta a Dio, provando allo stesso tempo odio per il peccato ed un santo dolore nella loro anima. Così dice il Profeta: “Pentitevi e fate penitenza per tutte le vostre iniquità, e la vostra iniquità non sarà la vostra rovina” (Ezech XVIII, 30). Anche il Signore ha detto: “Se non fate penitenza, perirete tutti allo stesso modo” (Lc XIII,3). E il capo degli Apostoli, Pietro, nel raccomandare la penitenza ai peccatori che dovevano ricevere il Battesimo, disse: “Fate penitenza e ciascuno di voi sia battezzato” (At II,38).

1670. Ma prima della venuta di Cristo, la penitenza non era un sacramento; e dopo la sua venuta, non è un sacramento per nessuno prima del battesimo. Il Signore istituì questo sacramento della penitenza quando, risorto dai morti, soffiò sui discepoli dicendo: “Ricevete lo Spirito Santo e i peccati saranno rimessi a coloro ai quali li rimetterete e saranno trattenuti da coloro ai quali li tratterrete” (Gv X,22-23). I Padri hanno sempre unanimemente compreso (cf. 1703) che il potere di perdonare e trattenere i peccati, per riconciliare i fedeli decaduti dopo il Battesimo, è stato comunicato agli Apostoli e ai loro legittimi successori con un fatto così straordinario e con parole così chiare, e la Chiesa ha avuto ben ragione di respingere e condannare come eretici i Novaziani che, in passato, hanno ostinatamente negato il potere di perdonare i peccati. Perciò questo santo Concilio, approvando e facendo proprio questo autentico significato delle parole del Signore, condanna le false interpretazioni di coloro che falsamente deviano queste parole per applicarle al potere di predicare la Parola di Dio e il Vangelo di Cristo e per opporsi all’istituzione di questo sacramento.

Capitolo 2. Differenza tra il Sacramento della Penitenza e il Battesimo.

1672. Inoltre, si può notare che, sotto molti aspetti, questo Sacramento differisca dal Battesimo 1702. Infatti, a parte il fatto che la materia e la forma, che costituiscono l’essenza del zdacramento, siano molto diverse, è assolutamente chiaro che il ministro del Battesimo non debba essere un giudice, poiché la Chiesa non giudica nessuno che non sia entrato prima nella Chiesa attraverso la porta del Battesimo. “Infatti, che cosa ho da fare (dice l’Apostolo) per giudicare quelli che sono fuori? (1 Cor V,12). Lo stesso non vale per coloro che appartengono alla famiglia della fede, ,(Galati VI,10), che il Signore Cristo ha reso membra del suo Corpo una volta per tutte mediante il Battesimo (1 Corinzi XII,12-13). Infatti, era sua volontà che, se in seguito si fossero contaminati per qualche colpa, non venissero lavati con un Battesimo da ripetere, poiché ciò non è in alcun modo permesso nella Chiesa cattolica, ma che comparissero come colpevoli davanti a questo tribunale affinché, per sentenza dei Sacerdoti, fossero liberati, non una volta sola, ma ogni volta che, pentendosi dei peccati commessi, si rifugiassero in lui.

1672. Inoltre, il frutto del Battesimo è diverso da quello della Penitenza. In Ga III,27 diventiamo una nuova creatura in Lui, mentre otteniamo la piena e completa remissione di tutti i peccati. Non possiamo assolutamente raggiungere questa novità e integrità attraverso il Sacramento della Penitenza senza grandi lacrime e dolori da parte nostra, come richiede la giustizia divina. La Penitenza è stata quindi giustamente definita dai Padri “un Battesimo faticoso”. Questo Sacramento della Penitenza è necessario per la salvezza di coloro che sono caduti dopo il Battesimo, così come il Battesimo stesso lo è per coloro che non sono ancora stati rigenerati (cf. 1706).

Capitolo 3. Le parti e i frutti di questo Sacramento.

1673. Il santo Concilio insegna inoltre che la forma del Sacramento della Penitenza, in cui risiede principalmente la sua virtù, è posta in queste parole del ministro: “Ti assolvo, ecc.”, alle quali parole, secondo l’uso della santa Chiesa, si aggiungono lodevolmente alcune preghiere che, tuttavia, non riguardano in alcun modo l’essenza di questa forma e non sono necessarie per l’amministrazione di questo Sacramento. Gli atti del penitente stesso sono la quasi-materia di questo Sacramento di: contrizione, confessione e soddisfazione (cf. 1704). Nella misura in cui questi atti sono richiesti, perché di istituzione divina, nel penitente per l’integrità del sacramento, per una piena e perfetta remissione dei peccati, sono per questo detti parti della penitenza.

1674. Per quanto riguarda la virtù e l’efficacia del Sacramento, la riconciliazione con Dio è la sua realtà e il suo effetto; negli uomini pii che ricevono questo Sacramento con devozione, esso produce di solito pace e serenità ed una grande consolazione spirituale.

1675. Dicendo tutto questo sulle parti e sugli effetti di questo sacramento, il santo Concilio condanna allo stesso tempo le affermazioni di coloro che sostengono che i terrori che si impadroniscono della coscienza e della fede siano parti della penitenza (cf. 1704).

Capitolo 4 Contrizione.

1676. La Contrizione, che occupa il primo posto tra gli atti del penitente di cui si parla, è un dolore dell’anima ed una detestazione del peccato commesso, con il proposito di non peccare in futuro. Questo movimento di Contrizione è sempre stato necessario per ottenere il perdono dei peccati; in coloro che sono caduti dopo il Battesimo, prepara ancora alla remissione dei peccati se è unito alla fiducia nella misericordia divina e al desiderio di fare tutto il resto richiesto per ricevere questo Sacramento come si deve. Il Santo Concilio dichiara quindi che questa Contrizione comprende non solo l’abbandono del peccato, il proponimento e l’inizio di una nuova vita, ma anche l’odio della vecchia vita, secondo queste parole: “Gettate via da voi tutte le iniquità con cui avete prevaricato, e fatevi un cuore nuovo e uno spirito nuovo” (Ezechiele 18,31). E certamente chiunque abbia considerato queste grida dei santi: “Contro te solo ho peccato e in tua presenza ho fatto il male” (Sal 50,6); “Ho faticato con gemiti, ogni notte bagno il mio letto” (Sal VI,7); “Ricorderò per te tutti i miei anni nell’amarezza dell’anima mia” (Is XXXVIII 15), e altre del genere, capirà facilmente che provenivano da un odio violento della vita passata e da una detestazione molto grande dei peccati.

1677. Il Santo Concilio insegna inoltre che, anche se talvolta accade che questa Contrizione sia resa perfetta dalla carità e riconcili l’uomo con Dio prima che questo Sacramento sia effettivamente ricevuto, questa riconciliazione non debba tuttavia essere attribuita a questa sola Contrizione senza il desiderio del Sacramento, desiderio che è incluso in essa.

1678. La contrizione imperfetta 1705, che si chiama Attrizione, perché generalmente è concepita o dalla considerazione della bruttezza del peccato o dalla paura dell’inferno e della pena, se esclude la volontà di peccare unita alla speranza del perdono, il Santo Concilio dichiara che non solo non rende l’uomo un ipocrita e un peccatore più grande (cf. 1456), ma che sia anche un dono di Dio, un impulso dello Spirito Santo che, non abitando ancora nel penitente, ma solo muovendolo, gli viene in aiuto, affinché prepari per sé il cammino verso la giustizia. E sebbene senza il Sacramento della Penitenza non possa di per sé condurre il peccatore alla giustificazione, tuttavia lo dispone ad ottenere la grazia di Dio nel Sacramento della Penitenza. Fu molto utilmente colpito da questo timore il popolo di Ninive che fece una penitenza completa alla terrificante predicazione di Giona e ottenne misericordia dal Signore (Gion 3). Per questo motivo gli scrittori cattolici vengono falsamente calunniati, come se avessero insegnato che il Sacramento della Penitenza conferisca la grazia senza alcun buon movimento da parte di chi lo riceve; la Chiesa di Dio non ha mai insegnato né pensato questo. Ma falsa è la dottrina che insegna che la contrizione sia estorta e forzata, e non libera e volontaria (cf. 1705).

Capitolo 5. La confessione.

1679. Dall’istituzione del Sacramento della Penitenza, che è già stata spiegata, la Chiesa universale ha sempre inteso che anche la piena confessione dei peccati era stata istituita dal Signore (Gc 5,16 1Gv 1,9 Lc 5,14) e che era per diritto divino necessaria per tutti coloro che cadevano dopo il Battesimo (cf. 1707). Mentre stava per salire dalla terra al cielo, nostro Signore Gesù Cristo lasciò ai Sacerdoti il compito di sostituirlo (Mt 16,19 Mt 18,18 Gv 20,23) come presidenti e giudici a cui riferire tutte le colpe mortali in cui sarebbero caduti i Cristiani, affinché, in virtù del potere delle chiavi, pronunciassero la sentenza che rimetteva o tratteneva i peccati. È ovvio, infatti, che i Sacerdoti non potrebbero esercitare questo giudizio se la causa non fosse a loro nota, e che non potrebbero agire equamente nell’ingiunzione delle pene se i penitenti dichiarassero i loro peccati in modo generico e non piuttosto specificandoli e precisandoli.

1680. Da ciò deriva che i penitenti debbano elencare in confessione tutti i peccati mortali di cui sono a conoscenza dopo un serio esame di se stessi, anche se questi peccati siano molto nascosti e commessi solo contro gli ultimi due comandamenti del Decalogo (Es 20,17 Dt 5,21 Mt 5,28): a volte questi feriscono l’anima più gravemente e sono più pericolosi di quelli commessi in piena vista degli altri. Quanto ai peccati veniali, che non ci escludono dalla grazia di Dio e nei quali cadiamo abbastanza frequentemente, sebbene sia giusto, utile e per nulla presuntuoso dirli nella Confessione (cf. 1707), come dimostra la pratica degli uomini pii, tuttavia possono essere taciuti senza colpa ed essere espiati con molti altri rimedi. Ma poiché tutti gli altri peccati mortali, anche se commessi con il pensiero, rendono gli uomini “figli dell’ira” (Ef 2,4) e nemici di Dio, è indispensabile chiedere perdono a Dio con una Confessione franca e sincera. Per questo, sforzandosi di confessare tutti i peccati che vengono in mente, i Cristiani li offrono tutti, senza alcun dubbio, al perdono della misericordia di Dio (cf. 1707). Chi faccia diversamente, e ne nasconda consapevolmente alcuni, non offre nulla alla bontà divina che possa essere perdonato attraverso l’intermediazione del Sacerdote. “Infatti, se il malato arrossisce di scoprire al medico una ferita di cui questi ignora l’esistenza, la medicina non guarirà”.

1681. Ne consegue, inoltre, che anche le circostanze che cambiano il tipo di peccato (cf. 1707) devono essere spiegate nella confessione, perché senza di esse questi peccati non sono pienamente esposti dai penitenti né conosciuti dai giudici; non è possibile che questi ultimi siano in grado di giudicare la gravità delle colpe e di imporre ai penitenti la punizione necessaria per queste colpe. È quindi senza motivo che si insegni che queste circostanze siano state inventate da uomini oziosi o che si debba confessare solo una circostanza, per esempio che si è peccato contro il proprio fratello.

1682. È inoltre empio dire che la Confessione che si prescrive di fare in questo modo sia una cosa impossibile (cf. 1708) o chiamarla una tortura delle coscienze; è evidente infatti che nella Chiesa non si richieda altro ai penitenti che, dopo aver esaminato seriamente se stessi e dopo aver esplorato i recessi e gli angoli segreti della coscienza, confessare i peccati con i quali si ricordino di aver offeso mortalmente il loro Signore ed il loro Dio. Quanto agli altri peccati che non si presentino alla mente di chiunque rifletta seriamente, s’intende che sisno inclusi nell’insieme di questa confessione; per essi diciamo con fede le parole del profeta: “Signore, purificami dai miei peccati nascosti”. La difficoltà di una tale Confessione e la vergogna di dover scoprire i propri peccati potrebbero sembrare gravose se non fossero alleggerite dal numero e dall’importanza dei vantaggi e delle consolazioni che l’assoluzione porta certamente a tutti coloro che si accostano degnamente a questo Sacramento.

1683. D’altra parte, per quanto riguarda la modalità della Confessione segreta al solo Sacerdote, senza dubbio Cristo non ha proibito la confessione pubblica delle proprie colpe come punizione delle proprie colpe e come atto di umiltà personale, sia per dare l’esempio agli altri sia per edificare la Chiesa offesa. Tuttavia, questo precetto non deriva da un comandamento divino, e non sarebbe saggio che una legge umana comandasse di rivelare le proprie colpe, specialmente quelle segrete, con una confessione pubblica. (cf. 1706). Pertanto, poiché i santissimi e antichissimi Padri, con un consenso generale ed unanime, hanno sempre raccomandato la Confessione sacramentale segreta, che la santa Chiesa ha usato fin dall’inizio ed usa tuttora, la vana calunnia di coloro che non confessano i loro peccati è manifestamente smentita, come aliena dal divino comandamento, ed invenzione umana e che è iniziata con i Padri riuniti nel (quarto) Concilio Lateranense (cf. 1708). Infatti, nel Concilio Lateranense, la Chiesa non stabilì che i Cristiani dovessero confessarsi – aveva capito che ciò fosse necessario e istituito per diritto divino – ma che il precetto della Confessione dovesse essere adempiuto almeno una volta all’anno da tutti e ciascuno di coloro che avevano raggiunto l’età della ragione. Da ciò deriva che, nella Chiesa universale e con grande frutto per le anime, si osserva questa salutare consuetudine di confessarsi nel santo e propiziatissimo periodo della Quaresima, consuetudine che questo santo Concilio approva e abbraccia grandemente come pia e giusta da conservare (cf. 1708; 812).

Capitolo 6. Il ministro di questo sacramento e l’assoluzione.

1684. A proposito del ministro di questo Sacramento, il santo Concilio dichiara che sono false e del tutto estranee alla verità del Vangelo tutte le dottrine che estendono in modo pernicioso il ministero delle chiavi a ogni tipo di uomo, oltre ai Vescovi e ai Sacerdoti (cf. 1710). I loro autori pensano che queste parole del Signore: “Tutto ciò che legherete sulla terra sarà legato in cielo, tutto ciò che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo” (Mt 18,18) e : “A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi; a chi li riterrete, saranno ritenuti”, (Gv XX,23), siano state dette a tutti i cristiani indifferentemente e indistintamente, in contraddizione con l’istituzione del Sacramento, in modo che chiunque abbia il potere di rimettere i peccati, quelli pubblici con la correzione, con il consenso di colui che viene corretto, quelli segreti con una confessione spontanea fatta a chiunque. Il Santo Concilio insegna inoltre che anche i Sacerdoti in stato di peccato mortale esercitino, come ministri di Cristo, la funzione di rimettere i peccati in virtù dello Spirito Santo che hanno ricevuto con l’ordinazione, e che è un’opinione errata sostenere che questo potere non esista nei sacerdoti cattivi.

1685. Sebbene l’assoluzione del Sacerdote sia la dispensazione di un beneficio che non gli appartiene, tuttavia non è il solo e semplice ministero di annunciare il Vangelo o di dichiarare che i peccati siano perdonati, ma è come un atto giudiziario in cui una sentenza sia pronunciata dal Sacerdote come da un giudice (cf. 1709). Per questo il penitente non deve fare tanto affidamento sulla propria fede da pensare che, anche se non c’è contrizione in lui o se il Sacerdote non intenda agire seriamente e assolverlo davvero, egli sia comunque veramente assolto davanti a Dio grazie alla sua sola fede. Infatti, la fede non procurerebbe la remissione dei peccati senza la Penitenza, e sarebbe molto negligente per la sua salvezza chi sapesse che un Sacerdote lo abbia assolto per scherzo e non cercasse con cura un altro che agisse seriamente (cf. 1462).

Capitolo 7. Riserva di cause

1686. Pertanto, poiché la natura e la costituzione di un giudizio richiedono che la sentenza sia portata avanti nei soggetti, si è sempre ritenuto nella Chiesa di Dio – e questo Concilio conferma che ciò sia verissimo – che l’assoluzione pronunciata da un Sacerdote su qualcuno su cui non abbia giurisdizione ordinaria o delegata, non debba avere alcun valore.

1687. Ma un punto è sembrato ai nostri santissimi Padri di particolare interesse per la disciplina del popolo cristiano: alcuni peccati, del tipo più atroce e grave, non possono essere assolti da nessun Sacerdote, ma solo da quelli di grado più elevato. È quindi a buon diritto che i Sommi Pontefici, in virtù del potere supremo loro conferito nella Chiesa universale, hanno potuto riservare al loro particolare giudizio alcuni reati più gravi. E non dobbiamo dubitare, dal momento che tutto ciò che venga da Dio è disposto per ordine (Rm XIII,1), che ciò sia permesso a ciascun Vescovo nella propria diocesi, “per l’edificazione, non per la distruzione” (2Cor X,8; 2Cor XIII,10) in virtù dell’autorità conferita loro sui sudditi e che supera quella degli altri Sacerdoti inferiori, soprattutto per le colpe a cui è legata la censura della scomunica. È in pieno accordo con l’Autorità divina che questa riserva di colpe abbia valore non solo nella disciplina esterna, ma anche davanti a Dio (cf. 1711).

1688. Tuttavia, affinché nessuno si perda per questo motivo, nella Chiesa di Dio si è sempre sostenuto con grande devozione che non c’è più alcuna riserva nell’ora della morte e che, di conseguenza, tutti i Sacerdoti possano assolvere tutti i penitenti da tutti i possibili peccati e censure. Al di fuori dell’articolo di morte, i Sacerdoti, non potendo fare nulla nei casi riservati, si sforzeranno solo di persuadere i penitenti a ricorrere a giudici superiori e legittimi per beneficiare dell’assoluzione.

Capitolo 8. Necessità e frutto della soddisfazione.

1689. Infine, a proposito della Soddisfazione: di tutte le parti della Penitenza, per quanto sia stata da sempre raccomandata al popolo cristiano dai nostri Padri, tanto ai nostri tempi è estremamente attaccata, essenzialmente sotto la copertura della pietà, da coloro che hanno l’apparenza della pietà, ma negano quella che è la sua forza 2Tm III, 5). Il Santo Concilio dichiara quindi chesia totalmente falso e contrario alla Parola di Dio affermare che il Signore non perdoni mai una colpa senza perdonare benevolmente anche l’intera pena. Ci sono infatti esempi chiari e noti nella Sacra Scrittura che, al di là della tradizione divina, confutano molto chiaramente questo errore (cfr. Gen III,16-19; Num XII,14 Num XX,11 2 Sam XII,13-14).

1690. Certamente il carattere della giustizia divina sembra richiedere che coloro che abbiano peccato per ignoranza prima del Battesimo entrino in grazia in modo diverso da coloro che, una volta liberati dalla schiavitù del peccato e del diavolo, dopo aver ricevuto il dono dello Spirito Santo, non hanno avuto paura di violare consapevolmente il Tempio di Dio (1Co III,17) e di contraddire lo Spirito Santo (Ep IV, 30). È opportuno che la clemenza divina non ci perdoni i nostri peccati senza alcuna soddisfazione, in modo che, cogliendo l’occasione e considerando i nostri peccati abbastanza leggeri, cadiamo in quelli più gravi, offendendo e insultando lo Spirito Santo (Eb X,29), e accumulando tesori d’ira contro di noi per il giorno dell’ira (Rm II,5 Gc V,3). Non c’è dubbio, infatti, che queste punizioni espiatorie siano un grande deterrente dal peccato, agiscano da freno e rendano i penitenti più prudenti e vigili per il futuro; sono anche un rimedio per i postumi del peccato e rimuovono le abitudini viziose acquisite con una vita cattiva, facendo compiere azioni virtuose opposte a queste abitudini. E nessun modo è mai stato considerato più sicuro nella Chiesa di Dio per scongiurare il castigo minacciato dal Signore (Mt III,2 Mt III,8 Mt IV,17 Mt XI,21) che dedicarsi assiduamente a queste opere di penitenza con vero dolore del cuore. Inoltre, soffrendo quando siamo soddisfatti per i nostri peccati, diventiamo conformi a Cristo Gesù che ha soddisfatto per i nostri peccati (Rm V,10 Gv II,1-2) da cui proviene la nostra capacità (2Co III,5), avendo anche la certezza che se soffriamo con Lui, con Lui saremo glorificati (Rm VIII,17)

1691. Ma questa Soddisfazione, che paghiamo per i nostri peccati, non è nostra in modo tale che non avvrnga per mezzo di Gesù Cristo; perché noi, che da soli non possiamo fare nulla di ciò che viene da noi, con l’aiuto di Colui che ci fortifica possiamo fare ogni cosa (Ph 4,13). Così l’uomo non ha nulla di cui gloriarsi, ma tutta la nostra gloria è in Cristo (1Co I,31 2Co X,17 Ga VI,14) nel quale viviamo (Act XVII,28), nel quale meritiamo, nel quale soddisfiamo, rendendo degni i frutti della penitenza (Lc III,8 Mt III,8) che traggono la loro forza da Lui, sono offerti da Lui al Padre e sono accettati grazie a LLui dal Padre (cf. 1713ss.)

1692. I Sacerdoti del Signore devono quindi, per quanto lo Spirito e la prudenza suggeriranno, imporre le soddisfazioni salutari che sono appropriate, in relazione alla natura dei peccati ed alle possibilità dei penitenti. Se chiudessero gli occhi sui peccati e si mostrassero troppo indulgenti con i penitenti, imponendo opere molto leggere per colpe molto gravi, parteciperebbero ai peccati degli altri (1Tm V,22). Si ricordino che la soddisfazione che impongono non ha solo lo scopo di salvaguardare la vita nuova e di guarire la debolezza, ma anche di vendicare e punire i peccati del passato. Infatti, anche gli antichi Padri credevano ed insegnavano che il potere delle chiavi era dato ai Sacerdoti non solo per sciogliere, ma anche per legare (Mt 16,19 Mt 18,18 Gv 20,23) (cf. 1705). E non hanno ritenuto, per questo, che il Sacramento della Penitenza fosse un tribunale di ira e di dolori – cosa che nessun Cattolico ha mai pensato – né che, con tali soddisfazioni da parte nostra, la forza del merito di nostro Signore Gesù Cristo fosse oscurata o diminuita in parte. Non volendo capire questo, gli innovatori insegnano in modo tale che la migliore penitenza è una nuova vita (cf. 1457), che sopprimono ogni forza propria della soddisfazione e ogni ricorso ad essa (cf. 1713).

Capitolo 9. Opere di soddisfazione.

1693. Il Concilio insegna anche che la munificenza divina è così estesa che non solo le pene che ci infliggiamo spontaneamente come punizione per il peccato o che sono imposte dalla volontà di Dio, ma anche le pene che ci infliggiamo come punizione per il peccato e che sono imposte dalla volontà di Dio. secondo la misura della colpa, ma anche (che è il più grande segno di amore) che le prove temporali inflitte da Dio e da noi sopportate con pazienza, possano soddisfare presso Dio Padre per mezzo di Cristo Gesù (cf. 1713).

TUTTI IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (25): Concilio di Trento Sess. XIX-XXIII.

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S.S. LEONE XIII “GRAVISSIMAS”

Anche in Portogallo si fa sentire l’azione delle “conventicole di perdizione” che ostacolano l’opera degli Ordini religiosi e della Chiesa agendo sul governo corrotto e schiavizzato. Il Papa incoraggia Vescovi, religiosi e fedeli a rispettare le leggi emanate dalle autorità civili finché non intacchino la fede e la morale cattolica. Attualmente finte pseudoautorità religiose che sdoganano allegramente vizi ed amoralità riverniciandoli con altisonanti parole … libertà, uguaglianza, inclusione, tolleranza verso ogni ideologia anche la più perversa, promettendo la salvezza nel frequentare una falsa chiesa asservita alle logge massoniche ecclesiastiche dominanti ed usurpanti ben oltre il periodo degli insediamenti ariani nelle cariche religiose, invitando alla frequentazione di riti rosa+croce definiti come nuova messa, N. O. M., o ad invalidi, illeciti e sacrileghi pseudosacramenti compresi quelli che danno false ed invalide ordinazioni sacerdotali. Non parliamo poi delle leggi del governo dei burattini governativi, che tendono non solo a sopprimere, ma addirittura a cancellare dalla mente dei cittadini, le più elementari norme del vivere cristiano e naturale. A questo punto si impone effettivamente un reset, che il Signore sta già attuando con gli “angelos malos” (Ps. LXXVII. 49) utilizzandoli come castigo dell’umanità idolatra ed apostata. Al “pusillus grex” il compito di resistere saldi nella fede, “fortes in fide”, operosi nella carità, animati dalla speranza nella vita eterna promessa da Cristo a chi persevera fino alla fine.

GRAVISSIMAS
Lettera Enciclica di PAPA LEO XIII
SUGLI ORDINI RELIGIOSI IN PORTOGALLO

Al Cardinale Netto, Patriarca di Lisbona e ai Vescovi del Portogallo.

In mezzo alle gravi preoccupazioni che ci angosciano ogni giorno di più a causa della guerra dichiarata agli Ordini religiosi in molte zone, la lettera congiunta, eminente e piena di dignità, che, in adempimento del vostro dovere pastorale e della vostra riverenza per il vostro Sovrano, avete recentemente inviato al vostro Re fedele, è stata per Noi una straordinaria consolazione. Infatti, nulla potrebbe esserci più gradito che vedervi prontamente uniti sia per difendere le Congregazioni religiose sia per sostenerne le necessità e l’utilità. Perciò nulla Ci fa più piacere che approvare il vostro zelo e onorare i vostri sforzi con la lode che meritano.
2. In effetti, non c’è da meravigliarsi se voi, sia come coloro che presiedono la Chiesa sia come cittadini portoghesi, vi troviate in disaccordo con i recenti decreti contro le società religiose. È chiaro, infatti, che essi sono contrari ai diritti della Chiesa e al diritto dei fedeli di scegliere uno stato di vita; privano lo Stato di non pochi benefici eccezionali che gli derivano dagli Istituti religiosi, come gli stessi autori di questi decreti ammettono in modo incerto.
3. Ciò che si deve pensare delle condizioni imposte dal governo del Portogallo alle famiglie religiose, se si vuole che esse sopravvivano, lo avete già dichiarato in modo eminente. Bisogna però tenere sempre presente che, secondo la disciplina della Chiesa cattolica, nessun Ordine religioso può esistere o prosperare se il noviziato e i voti vengono eliminati. Perciò le leggi proprie di ogni Istituto, se necessario, devono essere rese conformi alle prescrizioni civili; ma ciò deve avvenire solo in modo da preservare la dignità dei singoli religiosi e, soprattutto, da mantenere integra la natura del loro stato sacro.
4. Con le forze unite, dovete decidere come far fronte alle perdite e ai pericoli che opprimono le società religiose e in che modo potete più opportunamente provvedere alla loro conservazione in mezzo a voi. È infatti opportuno che la Santa Sede si rimetta al giudizio congiunto di coloro che possono valutare più da vicino, essendo presenti come voi, la mente e le intenzioni delle autorità civili e le circostanze delle situazioni e dei luoghi. Per il resto, la stessa Sede Apostolica non mancherà di preoccuparsi di elaborare uno stile di vita adeguato, secondo norme e dispense appropriate, per i religiosi allontanati a forza dai loro domicili.
5. Continuate, dunque, a difendere strenuamente la causa della religione e della società civile, che avrà un esito favorevole solo se indicherete ai vostri fedeli un metodo chiaro e corretto di agire in pubblico. Continuate anche a fare ogni sforzo per unire e incrementare le forze cattoliche e per favorire le pubblicazioni e le organizzazioni che difendono i diritti della Chiesa. Promuovete diligentemente quell’armonia di volontà che mette da parte le opinioni private e le rivalità politiche di parte. Questo vi chiediamo vivamente.
6. Infine, in segno di assistenza divina e a testimonianza della nostra benevolenza, impartiamo con amore a voi, Venerabili Fratelli, e a tutti i fedeli del Portogallo, e in particolare ai membri degli ordini religiosi, la Benedizione Apostolica.
Dato a Roma, presso San Pietro, il 16 maggio 1901, nel 24° anno del Nostro Pontificato.
LEO XIII

FESTA DELLA SANTISSIMA TRINITA’ (2023)

FESTA DELLA SANTISSIMA TRINITÁ (2023)

O Dio, uno nella natura e trino nelle Persone, Padre, Figlio e Spirito Santo, causa prima e fine ultimo di tutte le creature, Bene infinito, incomprensibile e ineffabile, mio Creatore, mio Redentore e mio Santificatore, io credo in Voi, spero in Voi e vi amo con tutto il cuore.

Voi nella vostra felicità infinita, preferendo, senza alcun mio merito, ad innumerevoli altre creature, che meglio di me avrebbero corrisposto ai vostri benefìci, aveste per me un palpito d’amore fin dall’eternità e, suonata la mia ora nel tempo, mi traeste dal nulla all’esistenza terrena e mi donaste la grazia, pegno della vita eterna.

Dall’abisso della mia miseria vi adoro e vi ringrazio. Sulla mia culla fu invocato il vostro Nome come professione di fede, come programma di azione, come meta unica del mio pellegrinaggio quaggiù; fate, o Trinità Santissima, che io mi ispiri sempre a questa fede ed attui costantemente questo programma, affinché, giunto al termine del mio cammino, possa fissare le mie pupille nei fulgori beati della vostra gloria.

[Fidelibus, qui festo Ss.mæ Trinitatis supra relatam orationem pie recitaverint, conceditur: Indulgentia trium annorum;

Indulgentia plenaria suetis conditionibus (S. Pæn. Ap.,10 maii 1941).

[Nel giorno della festa della Ss. TRINITA’, si concede indulgenza plenaria con le solite condizioni: Confessione [se impediti Atti di contrizione perfetta], Comunione sacramentale [se impediti, Comunione Spirituale], Preghiera secondo le intenzioni del S. Padre, S. S. GREGORIO XVIII]

Canticum Quicumque


(Canticum Quicumque * Symbolum Athanasium)


Quicúmque vult salvus esse, * ante ómnia opus est, ut téneat cathólicam fidem:
Quam nisi quisque íntegram inviolatámque serváverit, * absque dúbio in ætérnum períbit.
Fides autem cathólica hæc est: * ut unum Deum in Trinitáte, et Trinitátem in unitáte venerémur.
Neque confundéntes persónas, * neque substántiam separántes.
Alia est enim persóna Patris, ália Fílii, * ália Spíritus Sancti:
Sed Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti una est divínitas, * æquális glória, coætérna majéstas.
Qualis Pater, talis Fílius, * talis Spíritus Sanctus.
Increátus Pater, increátus Fílius, * increátus Spíritus Sanctus.
Imménsus Pater, imménsus Fílius, * imménsus Spíritus Sanctus.
Ætérnus Pater, ætérnus Fílius, * ætérnus Spíritus Sanctus.
Et tamen non tres ætérni, * sed unus ætérnus.
Sicut non tres increáti, nec tres imménsi, * sed unus increátus, et unus imménsus.
Simíliter omnípotens Pater, omnípotens Fílius, * omnípotens Spíritus Sanctus.
Et tamen non tres omnipoténtes, * sed unus omnípotens.
Ita Deus Pater, Deus Fílius, * Deus Spíritus Sanctus.
Ut tamen non tres Dii, * sed unus est Deus.
Ita Dóminus Pater, Dóminus Fílius, * Dóminus Spíritus Sanctus.
Et tamen non tres Dómini, * sed unus est Dóminus.
Quia, sicut singillátim unamquámque persónam Deum ac Dóminum confitéri christiána veritáte compéllimur: * ita tres Deos aut Dóminos dícere cathólica religióne prohibémur.
Pater a nullo est factus: * nec creátus, nec génitus.
Fílius a Patre solo est: * non factus, nec creátus, sed génitus.
Spíritus Sanctus a Patre et Fílio: * non factus, nec creátus, nec génitus, sed procédens.
Unus ergo Pater, non tres Patres: unus Fílius, non tres Fílii: * unus Spíritus Sanctus, non tres Spíritus Sancti.
Et in hac Trinitáte nihil prius aut postérius, nihil majus aut minus: * sed totæ tres persónæ coætérnæ sibi sunt et coæquáles.
Ita ut per ómnia, sicut jam supra dictum est, * et únitas in Trinitáte, et Trínitas in unitáte veneránda sit.
Qui vult ergo salvus esse, * ita de Trinitáte séntiat.
Sed necessárium est ad ætérnam salútem, * ut Incarnatiónem quoque Dómini nostri Jesu Christi fidéliter credat.
Est ergo fides recta ut credámus et confiteámur, * quia Dóminus noster Jesus Christus, Dei Fílius, Deus et homo est.
Deus est ex substántia Patris ante sǽcula génitus: * et homo est ex substántia matris in sǽculo natus.
Perféctus Deus, perféctus homo: * ex ánima rationáli et humána carne subsístens.
Æquális Patri secúndum divinitátem: * minor Patre secúndum humanitátem.
Qui licet Deus sit et homo, * non duo tamen, sed unus est Christus.
Unus autem non conversióne divinitátis in carnem, * sed assumptióne humanitátis in Deum.
Unus omníno, non confusióne substántiæ, * sed unitáte persónæ.
Nam sicut ánima rationális et caro unus est homo: * ita Deus et homo unus est Christus.
Qui passus est pro salúte nostra: descéndit ad ínferos: * tértia die resurréxit a mórtuis.
Ascéndit ad cælos, sedet ad déxteram Dei Patris omnipoténtis: * inde ventúrus est judicáre vivos et mórtuos.
Ad cujus advéntum omnes hómines resúrgere habent cum corpóribus suis; * et redditúri sunt de factis própriis ratiónem.
Et qui bona egérunt, ibunt in vitam ætérnam: * qui vero mala, in ignem ætérnum.
Hæc est fides cathólica, * quam nisi quisque fidéliter firmitérque credíderit, salvus esse non póterit.

MESSA

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani,

comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Doppio di I° classe. – Paramenti bianchi.

Lo Spirito Santo, il cui regno comincia con la festa di Pentecoste, viene a ridire alle nostre anime in questa seconda parte dell’anno (dalla Trinità all’Avvento – 6 mesi), quello che Gesù ci ha insegnato nella prima (dall’Avvento alla Trinità – 6 mesi). Il dogma fondamentale al quale fa capo ogni cosa nel Cristianesimo è quello della SS. Trinità, dalla quale tutto viene (Ep.) e alla quale debbono ritornare tutti quelli che sono stati battezzati nel suo Nome (Vang.). Così, dopo aver ricordato, nel corso dell’ano, volta per volta, pensiero di Dio Padre Autore della Creazione, di Dio Figlio Autore della Redenzione, di Dio Spirito Santo, Autore della nostra santificazione, la Chiesa, in questo giorno specialmente, ricapitola il grande mistero che ci ha fatto conoscere e adorare in Dio l’Unità di natura nella Trinità delle persone (Or.). — « Subito dopo aver celebrato l’avvento dello Spirito Santo, noi celebriamo la festa della SS. Trinità nell’officio della Domenica che segue, dice S. Ruperto nel XII secolo, e questo posto è ben scelto perché subito dopo la discesa di questo divino Spirito, cominciarono la predicazione e la credenza, e, nel Battesimo, la fede e la confessione nel Nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo ». Il dogma della SS. Trinità è affermato in tutta la liturgia. È in Nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo che si comincia e si finisce la Messa e l’Ufficio divino, e che si conferiscono i Sacramenti. Tutti i Salmi terminano col Gloria Patri, gli Inni con la Dossologia e le Orazioni con una conclusione in onore delle tre Persone divine. Nella Messa due volte si ricorda che il Sacrificio è offerto alla SS. Trinità. — Il dogma della Trinità risplende anche nelle Chiese: i nostri padri amavano vederne un simbolo nell’altezza, larghezza e lunghezza mirabilmente proporzionate degli edifici; nelle loro divisioni principali e secondarie: il santuario, il coro, la navata; le gallerie, le trifore, le invetriate; le tre entrate, le tre porte, i tre vani, il frontone (formato a triangolo) e, a volte le tre torri campanili. Dovunque, fin nei dettagli dell’ornato il numero ripetuto rivela un piano prestabilito, un pensiero di fede nella SS. Trinità. — L’iconografia cristiana riproduce, in differenti maniere questo pensiero. Fino al XII secolo Dio Padre è rappresentato da una mano benedicente che sorge fra le nuvole, e spesso circondata da un nimbo: questa mano significa l’onnipotenza di Dio. Nei secoli XIII e XIV si vede il viso ed il busto del Padre; dal secolo XV il Padre è rappresentato da un vegliardo vestito come il Pontefice.Fino al XII secolo Dio Figlio è rappresentato da una croce, da un agnello o da un grazioso giovinetto come i pagani rappresentavano Apollo. Dal secolo XI al XVI secolo apparve il Cristo nella pienezza delle forze e barbato; dal XIII secolo porta la sua croce, ma spesso ancora è rappresentato dall’Agnello. — Lo Spirito Santo fu dapprima rappresentato da una colomba le cui ali spiegate spesso toccano la bocca del Padre e del Figlio, per significare che procede dall’uno e dall’altro. A partire dall’XI secolo fu rappresentato per questo sotto forma di un fanciullino. Nel XIII secolo è un adolescente, nel XV un uomo maturo come il Padre e il Figlio, ma con una colomba al di sopra della testa o nella mano per distinguerlo dalle altre due Persone. Dopo il XVI secolo la colomba riprende il diritto esclusivo che aveva primieramente di rappresentare lo Spirito Santo. — Per rappresentare la Trinità si prese dalla geometria il triangolo, che con la sua figura, indica l’unità divina nella quale sono iscritti i tre angoli, immagine delle tre Persone in Dio. Anche il trifoglio servì a designare il mistero della Trinità, come pure tre cerchi allacciati con il motto Unità scritto nello spazio lasciato libero al centro della intersezione dei cerchi; fu anche rappresentata come una testa a tre facce distinte su un unico capo, ma nel 1628 Papa Urbano VIII proibì di riprodurre le tre Persone in modo così mostruoso. — Una miniatura di questa epoca rappresenta il Padre ed il Figlio somigliantissimi, il medesimo nimbo, la medesima tiara, la medesima capigliatura, un unico mantello: inoltre sono uniti dal Libro della Sapienza divina che reggono insieme e dallo Spirito Santo che liunisce con la punta delle ali spiegate. Ma il Padre è più vecchio del Figlio; la barba del primo è fluente, del secondo è breve; il Padre porta una veste senza cintura e il pianeta terrestre; il Figlio ha un camice con cintura e stola poiché è Sacerdote. — La solennità della SS. Trinità deve la sua origine al fatto che le Ordinazioni del Sabato delle Quattro Tempora si celebravano la sera prolungandosi fino all’indomani, domenica, che non aveva liturgia propria. — Come questo giorno, così tutto l’anno è consacrato alla SS. Trinità, e nella prima Domenica dopo Pentecoste viene celebrata la Messa votiva composta nel VII secolo in onore di questo mistero. E poiché occupa un posto fisso nel calendario liturgico, questa Messa fu considerata costituente una festa speciale in onore della SS. Trinità. Il Vescovo di Liegi, Stefano, nato verso l’850, ne compose l’ufficio che fu ritoccato dai francescani. Ma ebbe vero principio, questa festa, nel X secolo e fu estesa a tutta la Chiesa da Papa Giovanni XXI nel 1334. — Affinché siamo sempre armati contro ogni avversità (Or.), facciamo in questo giorno con la liturgia professione solenne di fede nella santa ed eterna Trinità e sua indivisibile Unità (Secr.).

Incipit 

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Tob XII: 6.

Benedícta sit sancta Trínitas atque indivísa Unitas: confitébimur ei, quia fecit nobíscum misericórdiam suam.

[Sia benedetta la Santa Trinità e indivisa Unità: glorifichiamola, perché ha fatto brillare in noi la sua misericordia.]

Ps VIII: 2

Dómine, Dóminus noster, quam admirábile est nomen tuum in univérsa terra!
[O Signore, Signore nostro, quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!]

 Benedícta sit sancta Trínitas atque indivísa Unitas: confitébimur ei, quia fecit nobíscum misericórdiam suam. [Sia benedetta la Santa Trinità e indivisa Unità: glorifichiamola, perché ha fatto brillare in noi la sua misericordia.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria
Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.

Omnípotens sempitérne Deus, qui dedísti fámulis tuis in confessióne veræ fídei, ætérnæ Trinitátis glóriam agnóscere, et in poténtia majestátis adoráre Unitátem: quaesumus; ut, ejúsdem fídei firmitáte, ab ómnibus semper muniámur advérsis. 

[O Dio onnipotente e sempiterno, che concedesti ai tuoi servi, mediante la vera fede, di conoscere la gloria dell’eterna Trinità e di adorarne l’Unità nella sovrana potenza, Ti preghiamo, affinché rimanendo fermi nella stessa fede, siamo tetragoni contro ogni avversità.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános. Rom XI: 33-36.

“O altitúdo divitiárum sapiéntiæ et sciéntiæ Dei: quam incomprehensibília sunt judícia ejus, et investigábiles viæ ejus! Quis enim cognovit sensum Dómini? Aut quis consiliárius ejus fuit? Aut quis prior dedit illi, et retribuétur ei? Quóniam ex ipso et per ipsum et in ipso sunt ómnia: ipsi glória in sæcula. Amen”. 

[O incommensurabile ricchezza della sapienza e della scienza di Dio: come imperscrutabili sono i suoi giudizii e come nascoste le sue vie! Chi infatti ha conosciuto il pensiero del Signore? O chi gli fu mai consigliere? O chi per primo dette a lui, sí da meritarne ricompensa? Poiché da Lui, per mezzo di Lui e in Lui sono tutte le cose: a Lui gloria nei secoli. Amen.]

P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

DIO È CARITÀ.

La gloria del Cristianesimo, della Rivelazione cristiana, che ha per oggetto suo primo Dio, è di avere saputo e di saper parlare alla nostra mente e al nostro cuore, appagando i due supremi bisogni dell’anima, sapere e amare. Ce n’è per le intelligenze più aristocratiche, ce n’è per i cuori più umili, quelle si arrestano pensose, questi si fermano giocondi.  Oggi l’Epistola della domenica ha una parola delle più sublimi e delle più consolanti. Dio è carità: «Deus charitas est». Dio è un fuoco, una promessa, un suono infinito di amore, di bontà, di carità. La carità è il suo attributo, per noi Cristiani più alto, più caratteristico. Vedete, o fratelli, le armonie mirabili del dogma, della morale di N. S. Gesù Cristo. La carità è il grande comandamento della sua Legge, così grande che può parere e dirsi in qualche modo il solo: in realtà riassume, compendia in sé tutti gli altri. È « preceptum magnum in lege ». Bisogna amar Dio e tutti quelli e tutto ciò che Egli desidera vedere amato da noi. Amare Dio! Che gran parola! Se Dio permettesse all’uomo di amarlo, pensando quanto Egli è grande, quanto noi siamo piccini, dovremmo riguardarlo come una concessione straordinaria da parte di Dio. Ebbene, no, Dio non ci permette: Egli ci comanda di volerGli bene, come figli al Padre, come amici all’Amico. Ma noi Gli dobbiamo voler bene, perché (ecco il dogma) Egli è buono, anzi è la stessa bontà, una bontà non contegnosa, non fredda, una bontà calda, espansiva: è carità. Questo dogma corrisponde a quel precetto: nel precetto si raccoglie tutta la morale, in quel precetto e in questo dogma si compendia la storia dogmatica dei rapporti di Dio con noi. La carità è la chiave della Creazione, della Redenzione, della Santificazione. Noi siamo da tanti secoli ormai abituati a sentirci predicare questo ritornello: Dio è carità, che rimaniamo quasi indifferenti. Ma quei primi che raccolsero queste parole dalle labbra di Gesù e poi dagli Apostoli, ne rimasero estatici. Per secoli i Profeti avevano con una commossa eloquenza celebrato la grandezza di Dio e la Sua giustizia. Certo non avevano dimenticato la misericordia, attributo troppo prezioso perché nella sinfonia profetica potesse mancare. Ma la grande predicazione profetica era la predicazione della grandezza e della giustizia: volevano incutere il timore di Dio in quel popolo dalla dura cervice e dal cuore incirconciso. E parve una musica nuova e dolce questa del Figlio di Dio, di Gesù: Dio è bontà, è amore, è carità: vuole essere amato. E lo so, e l’ho detto e lo ripeto: al ritornello ci abbiamo fatto l’orecchio. Ma siamo noi ben convinti di questo dogma? Crediamo noi davvero, crediamo noi sempre alla bontà di Dio? Purtroppo l’amara interrogazione ha la sua ragion d’essere. Perché crederci davvero vuol dire amare Dio fino alla follia come facevano i Santi, e ciò è più difficile in certi momenti oscuri della vita, è un po’ difficile sempre. La carità di Dio è anch’essa misteriosa come sono misteriosi tutti gli attributi di Dio, dato che Dio stesso è mistero. – Oggi la Chiesa ce lo ricorda celebrando la SS. Trinità, il primo mistero della nostra fede, e cantando con le parole di Paolo: « O altitudo divitiarum sapientiæ et scientiæ Dei! » – Dio è un abisso dove la ragione da sola si smarrisce, guidata dalla fede cammina quanto quaggiù è necessario ed è possibile, come chi tra le tenebre ha una piccola, fida lucerna. È un abisso, è un mistero anche l’amore di Dio. Dobbiamo accettarlo, crederlo. Perciò l’Apostolo definisce i Cristiani così: gli uomini che hanno creduto e credono alla carità di Dio. « Nos credidimus charitati ». Ma credendo, e solo credendo a questo mistero della bontà, della carità di Dio per noi, per tutti, ci si rischiara il buio che sarebbe altrimenti atroce della nostra povera esistenza: ci si illumina quel sovrano dovere di amare anche noi il nostro prossimo che renderebbe tanto meno triste il mondo e la vita se noi ne fossimo gli esecutori fedeli. Il Dio della carità accenda nei nostri cuori la Sua fiamma e faccia splendere ai nostri sguardi la Sua luce!

 Graduale 

Dan III: 55-56. Benedíctus es, Dómine, qui intuéris abýssos, et sedes super Chérubim.

[Tu, o Signore, che scruti gli abissi e hai per trono i Cherubini.]

Alleluja

Benedíctus es, Dómine, in firmaménto cæli, et laudábilis in sæcula. Allelúja, 

[V.Benedetto sei Tu, o Signore, nel firmamento del cielo, e degno di lode nei secoli. Allelúia, alleluia.]

Dan III: 52 V. Benedíctus es, Dómine, Deus patrum nostrórum, et laudábilis in sæcula. Allelúja. Alleluja. 

[Benedetto sei Tu, o Signore, nel firmamento del cielo, e degno di lode nei secoli. Allelúia, allelúia]

Evangelium

Sequéntia  sancti Evangélii secúndum Matthæum. Matt XXVIII: 18-20

“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Data est mihi omnis potéstas in coelo et in terra. Eúntes ergo docéte omnes gentes, baptizántes eos in nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti: docéntes eos serváre ómnia, quæcúmque mandávi vobis. Et ecce, ego vobíscum sum ómnibus diébus usque ad consummatiónem sæculi”. 

« Gesù disse a’ suoi discepoli: Ogni potere mi fu dato in cielo ed in terra: andate adunque, ammaestrate tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo, insegnando loro di osservare tutte le cose, che io vi ho comandate: ed ecco io sono con voi tutti i giorni, fino al termine del secolo ».

OMELIA

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956.

LA DOMENICA È IL GIORNO DELLA SANTISSIMA TRINITÀ

Gli undici Apostoli camminavano verso la Galilea: le pie donne avevano detto a loro che Gesù li avrebbe attesi colà. Arrivarono. Dall’alto d’una collina, grande solenne ardente nel volto apparve a’ suoi Apostoli Gesù. « A me fu data ogni potestà in cielo e in terra; andate, istruite, battezzate tutte le genti: nel Nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo ». – Ecco il Mistero principale della nostra Fede, di cui la Chiesa celebra in questo giorno la festa solenne. Uno solo è Dio, ma in tre Persone, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Né, tra loro, si devono confondere le divine Persone, poiché altra è la Persona del Padre, altra quella del Figlio, altra quella dello Spirito Santo. Eppure, le tre divine Persone non hanno che un’unica e medesima natura, e le medesime perfezioni. Come immenso è il Padre, così immenso è il Figlio, così immenso è lo Spirito Santo. Come eterno è il Padre, così eterno è il Figlio, così eterno è lo Spirito Santo. Come Dio è il Padre, così Dio è il Figlio, così Dio è lo Spirito Santo. E tuttavia non vi sono tre Dei, ma uno è Iddio. S. Bernardo scriveva ad Eugenio Papa: « Tu domanderai forse come ciò sia possibile? Non domandarlo: ti basti credere che è così. Scrutare questo mistero è una temerità, crederlo invece è pietà. Conoscerlo sarà possibile solo nella vita eterna ». Sufficiat tibi credere sic esse. Credere nella santissima Trinità significa onorarla. E l’onore più grande che possiamo rendere a Dio è quello di santificare il giorno a Lui consacrato: la Domenica. Tre cose sono necessarie per santificare la domenica: astenersi dalle opere servili, rifuggire dai mondani e pericolosi divertimenti, praticare le opere di pietà. Coll’astensione dal lavoro noi rendiamo gloria a Dio Padre, che nella creazione del mondo lavorò per sei giorni, e al settimo riposò. Col rifuggire dai divertimenti illeciti, e da ogni occasione di peccato, noi rendiamo gloria a Dio Figlio, che per redimerci dal peccato, s’incarnò, patì e morì. Con le pratiche di pietà santificando l’anima nostra, noi rendiamo gloria a Dio Spirito Santo, che è il Santificatore delle anime. – 1. RIPOSO FESTIVO. Dio aveva chiamato Mosè sopra la vetta del monte. Era la vetta del monte circondata da una densa nube, da cui tratto tratto guizzavano lunghissimi lampi. Tutto il popolo invece, raccolto alle falde, tremava aspettando il ritorno di Mosè. Il Signore intanto diceva a Mosè: « Parla ai figli d’Israele e dirai loro: Custodite il mio sabato: chiunque lo profanerà, sarà punito di morte » (Es., XXXI, 14). E difatti quando, in giorno di sabato, si colse un uomo ad ammassar legna, fu trascinato fuori dall’abitato, e là, per ordine di Mosè e d’Aronne, venne lapidato da tutto il popolo. Quello che nell’antica legge, per gli Israeliti era il sabato, nella nuova legge è la Domenica per noi Cristiani. Ma perché Iddio comanda all’uomo di riposare durante questo giorno? Per insegnarci che l’uomo non è una macchina, non è una bestia. Le macchine lavorano e lavorano fin tanto che sono guaste e poi si gettano tra i rottami: ma le macchine sono state fatte per lavorare, l’uomo invece è stato creato per conoscere, amare, servire Dio. Le bestie lavorano tutto il giorno, e dopo che hanno lavorato e mangiato non possono desiderare altro: ma le bestie non hanno un’anima immortale. L’uomo invece ce l’ha: e deve pensare che la sua vita non finisce quaggiù e deve conquistarsi il Paradiso se non vuol cadere per sempre all’inferno. Ora com’è possibile che l’uomo pensi a tutto questo, se non ha un giorno libero, ma sempre è condannato a sudare tra i solchi, o tra le macchine d’un’officina, o tra i commerci, o negli uffici? So bene che molti Cristiani sanno trovare mille pretesti per violare il riposo festivo: è un lavoro urgente; c’è di mezzo un grosso guadagno; è la qualità del mio mestiere; è la miseria… Ma se poi si va in fondo a tutte queste scuse, una sola è la ragione di profanare la festa col lavoro: l’avarizia. A costoro io ricordo le parole del Santo Curato d’Ars: « Conosco due mezzi per precipitare alla rovina: rubare e lavorar in festa ». – 2. FUGGIRE IL PECCATO. Antioco, volendo distruggere Gerusalemme, vi mandò l’odioso capitano Apollonio, con un esercito di ventiduemila uomini e con l’ordine di ammazzare gli adulti, di vendere le donne e i giovinetti. Apollonio entrò nella città, ma simulando pace vi stette alcuni giorni tranquillamente, aspettando il giorno di festa quando tutto il popolo con le donne e i fanciulli sarebbe uscito fuori allegramente per le vie e le piazze a godere lo spettacolo dei suoi soldati. Nell’ora in cui la ressa era più fitta, improvvisamente, ad un cenno del capitano, tutti i soldati si scagliarono sulla gente convenuta, e scorrendo la città la riempiono di morti e di sangue (II Macc., V, 24-26). Questo macello di corpi è figura di un altro macello più tremendo: quello delle anime, che il demonio compie tutte le feste, in ogni paese, in ogni città. Ed ecco tutta la gioventù che non aspetta che la Domenica per riversarsi nei campi sportivi, nei teatri, nei balli. La Religione cristiana non è così severa da negare, dopo una settimana di fatica dura, qualche sollievo nel giorno di festa. Ma purtroppo, non è il sollievo del corpo e dell’anima che essi cercano, ma il peccato. Essi cercano la promiscuità dei sessi, cercano relazioni disoneste, cercano il pascolo dei loro sensi, cercano l’offesa di Dio.  Quand’è che si bestemmia di più? alla domenica. Quand’è che più frequentemente si prende l’ubriachezza? alla domenica. Quand’è che le donne ostentano di più una moda vergognosa e scandalosa? Alla domenica! Quand’è che si danno appuntamenti pericolosi, che si frequentano ritrovi mondani, che si sciupa nel gioco il sostentamento della famiglia? alla domenica. Dunque è così che i Cristiani santificano la festa? A che vale astenersi dalle opere servili, quando ci abbandoniamo al peccato che è l’opera più servile che l’uomo possa fare? Quì facit peccatum servus est peccati. Chi fa il peccato è schiavo del peccato. Quando i nemici di Gerusalemme videro le feste dei Giudei, risero di compassione e di disprezzo: Viderunt hostes sabbata eius et deriserunt (Ger., I, 7). Ma il demonio vedendo le nostre feste, o Cristiani, ride di gioia. Non è più la domenica il giorno del Signore, ma il suo giorno; non si onora più Iddio, ma lui, il nostro nemico orribile! – 3. LE OPERE DI PIETÀ. Mancavan sei giorni a Pasqua e Gesù mangiava in casa di Lazzaro il risuscitato, insieme ai suoi discepoli. Maria, sospinta dall’amore e dalla gratitudine, prese il vaso colmo d’unguento preziosissimo e lo ruppe sui piedi del Maestro divino: tutta la sala fu piena di profumo. Allora, Giuda Iscariota dall’occhio fosco in cui vagava già l’ombra del tradimento, disse: « Perché sciupare un profumo che poteva valere trecento danari?… ». Come fu stolto Giuda! ha stimato fino a trecento danari poche stille d’unguento, e poi offrirà il suo Dio al prezzo di trenta monete, ed anche a meno. Non facciamo forse così anche noi? Apprezziamo assai i campi, le biade, le bestie, i vestiti e poi, senza scrupolo, perdiamo la S. Messa anche in giorno di Domenica. Oh! se sapessimo che tesoro è la S. Messa, ben volentieri preferiremmo perdere ogni altra cosa, ma non questa! Ben volentieri sacrificheremmo qualsiasi affare, qualsiasi passeggiata, qualsiasi compagnia, ma non la S. Messa. Non crediate però che tutte le pratiche di pietà con le quali dobbiamo santificare la festa si riducano tutte a una Messa, forse sentita male e non interamente: oh non basta! C’è ancora la dottrina cristiana: perché v’è tanto male nel mondo? Perché  non si conosce più il Catechismo, non lo si studia più. Molti credono di supplire alla spiegazione della dottrina con una visita al cimitero. Credetelo: i nostri morti, in quel momento, sarebbero più contenti e più sollevati se ci sapessero in Chiesa, attenti alla dottrina cristiana. – Infine, per ben santificare le Domeniche ci sono i santi Sacramenti della Confessione e della Comunione. Beate le anime che ogni festa si accostano a questi Sacramenti; esse hanno compreso come si onora il Signore. – A Costantinopoli era scoppiata una grave peste: ogni giorno centinaia di persone, colpite dal male, stramazzavano per le vie, sulle piazze, nelle case; e senza cure e senza conforti morivano. S’era ricorso a tutti i rimedi, invano. S’erano fatte pubbliche preghiere, e penitenze, invano. Quando un fanciullo buono, rapito in visione, vide gli Angeli che gli insegnarono a cantare un inno meraviglioso alla SS. Trinità. Il fanciullo corse in mezzo al popolo, disse la mirabile visione, insegnò a tutti l’inno. Come fu cantato, subito la peste cessò. Quanti mali, o Cristiani, affliggono la nostra vita! Forse è la miseria, forse è la malattia, forse è la calunnia… Una nuova peste fa strage nel popolo cristiano: la peste dell’immoralità. Ebbene, per scampare da tutte queste sciagure, è necessario elevare un inno meraviglioso alla SS. Trinità: quello della santificazione della festa. Sia gloria al Padre, col riposo dalle opere servili. Sia gloria al Figlio con la fuga del peccato. Sia gloria allo Spirito Santo, con le opere di pietà. Ogni benedizione verrà data a coloro che santificano così la festa: « La pioggia scenderà nel tempo buono; la terra produrrà in abbondanza; gli alberi saranno carichi di frutti; io benedirò voi e i vostri figliuoli » (Levit., XXVI, 3-5). — CREDERE LA SANTISSIMA TRINITÀ. Il patriarca Abramo, nelle sue lunghe peregrinazioni, vide sovente Iddio. Un meriggio afoso, nella valle di Mambre, mentre godeva il fresco delle querce seduto sulla soglia della sua tenda, vide venire il Signore: Apparuit Dominus. Erano tre Persone ferme, non lontane da lui. Tres viri stantes. Abramo corse incontro, e sì buttò per terra, davanti a loro, adorando: Signore, se ho trovato grazia a’ tuoi occhi, non passarmi oltre! ». Misterioso parlare! Il vecchio amico di Dio che conosceva molti misteri, non divide i suoi omaggi, ma parla come fossero uno solo: vedeva tre Persone e adorava un Dio solo. E veramente uno è Dio, in tre Persone uguali e distinte. La nostra mente si confonde. E se anche avessimo la mente degli Angeli non ci capiremmo ancora: Dio abita una luce inaccessibile. Ma è appunto non comprendendo che riconosciamo che Egli è il nostro Dio e noi siamo la povera sua creatura che curva la fronte fino a terra come il vecchio Abramo, e crede. Dio l’ha detto, che non può mentire. La Chiesa l’insegna, che non può sbagliare. I nostri padri, da due mila anni, credono. E noi pure crediamo. Gloria Patri et Filio et Spiritui Sancto! La fede nel mistero principale, è il sacrificio più gradito a Dio. È l’atto che ci ottiene i più grandi favori.  – 1. È IL SACRIFICIO PIÙ GRADITO A DIO. Nell’Antico Testamento, quando l’uomo era ancora rozzo nello spirito, Dio si lasciava onorare col sacrificio di qualche animale che veniva, sull’altare, immolato in adorazione e in espiazione. Ma nel Salmo XLIX, Dio, apertamente, dice che non sono questi i sacrifici graditi: « … non gradirò i vitelli delle tue stalle, né i capretti del tuo gregge: possiedo già tutte le belve della foresta e tutte le  mandrie pascenti sul monte, e i buoi. Son miei perfino gli uccelli del cielo e i frutti della terra. E se anche sentissi fame, non avrei bisogno di mendicare da te: mia è tutta la terra, mia è ogni cosa sulla terra. Ma dovrò io mangiar carne di toro e ber sangue di agnello? A Dio offri un sacrificio di lode ». — Immola Deo sacrificium laudis. E quel sacrificio può rendere a Dio una gloria maggiore di quello della nostra intelligenza che, pur non comprendendo, crede sull’autorità di Dio? La nostra mente ha l’istinto di sapere il perché di ogni cosa e non s’acquieta sentendo da un altro, ma vuol essa vedere e provare. Nulla di questo è possibile davanti al mistero della Trinità; la nostra mente si perde, come una fiammella a petrolio sotto ai torrenti di luce che cadono dal sole in piena estate. Eppure Dio l’ha rivelato: Egli è uno e trino, e bisogna credere, altrimenti si perde l’anima. Quando ci dicono che Dio è Creatore, non ci è duro ammetterlo perché vediamo le cose create. Quando ci dicono che Dio è giusto, non ci è duro ammetterlo perché talvolta perfino gli uomini sono giusti. Quando ci dicono che Dio s’è fatto un uomo come noi, la nostra ragione sa trovare buoni argomenti di convenienza, tra cui quello dell’infinita bontà di Dio che ama comunicarsi alle sue creature. – Ma quando ci dicono che c’è un Dio solo in tre Persone: quando ci dicono che il Padre è Dio, il Figlio è Dio, lo Spirito Santo è Dio, eppure non sono tre Dei, la nostra mente non vede più nulla, non una esperienza, non una chiara analogia, non un motivo di convenienza. E non è assurdo: ma è realtà: la grande realtà di Dio. E credendo, la mente nostra sacrifica tutta se stessa in ossequio a Dio rivelante e compie il vero sacrificio di lode che Dio vuole dai Cristiani nel Nuovo Testamento e si unisce agli Angeli visti dal profeta che con occhi coperti dall’ali cantano: « Santo! Santo! Santo! ». – Dio, un giorno, volle provare Abramo col domandargli un sacrificio eroico. E Abramo prese il suo figlio, l’unico, e s’accingeva a sacrificarlo al Signore sulla vetta del monte. E già vibrava il colpo, quando Iddio, commosso, gli fermò la mano e lo volle premiare con una generosità non meno grande di quella che Abramo aveva avuto con Lui. « Perché tu hai fatto questo e non risparmiavi neppure il tuo unigenito, moltiplicherò la tua generazione, ti colmerò di bene, ti farò il più ricco e il più potente sulla terra ». Iddio, rivelandoci in questa vita il mistero della SS. Trinità, vuol prendersi una prova della nostra fedeltà a Lui, della stima che ne abbiamo. Abramo ubbidì a Dio anche allora che il comando ripugnava alla sua natura. Noi dobbiamo credere a Dio anche quando le sue rivelazioni sono incomprensibili alla nostra ragione, e ne avremo un gran premio. « Poiché tu hai creduto a un mistero molto superiore a te e a ogni idea d’uomo, poiché tu m’hai sacrificato il tuo unigenito, cioè la tua ragione, io ti riempirò di grazie, moltiplicherò i meriti delle tue orazioni, ti santificherò, ti glorificherò ». E la generosità di Dio Uno e Trino riempie tutta la vita del credente. Incomincia dal Battesimo: …io ti battezzo nel Nome del Padre, del Figlio, e dello Spirito Santo: l’uomo da schiavo diventa libero; da nudo diventa ricco, da figlio del peccato diventa figlio di Dio e Suo erede. Prosegue nella Cresima: …io ti confermo col crisma della salute nel Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo: e l’uomo da gracile creatura diventa un terribile soldato contro i nemici spirituali. Continua nella Penitenza: …io ti assolvo nel Nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo ed è per virtù di queste tre Persone divine, è per la fede nella loro unità e trinità che sparisce ogni colpa e ritorniamo innocenti. Ma ogni nostra azione, anche le più comuni, come il camminare, lavorare, mangiare, giocare, diventano sante e meritorie se fatte nel Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. E quando ci troveremo sul letto di morte, agli ultimi momenti della nostra vita, con quali voti e con quali nomi il Sacerdote conforterà la desolata anima nostra, al fatale passaggio? Col Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Proficiscere, anima christiana! Parti, anima cristiana, in Nome del Padre che ti ha creata, in Nome del Figlio che ti ha redenta, in Nome dello Spirito Santo che ti ha santificata. E i demoni, che ci aspettavano in agguato a quel varco pericoloso, fuggiranno, mentre verranno gli Angeli a raccogliere la tremante anima nostra, per presentarla a Dio.  — O Signore! — pregherà intanto il prete nell’ultima raccomandazione, — è per un povero peccatore che io imploro la tua clemenza; la sua vita non fu immune da debolezze e da cadute; tuttavia non negò il Padre il Figlio, lo Spirito Santo, ma credette. Licet enim peccaverit, tamen Patrem et Filium et Spiritum Sanctum non negavit sed credidit. Oh, come vorremo allora aver ripetuto sovente, con amore e con fede, questi Nomi divini! Un santo eremita s’era fatto costruire in una solitudine un’alta colonna, sulla cui cima visse molti anni. E là, in alto, sopra la terra cattiva, proteso verso il cielo sereno, non faceva altro che ripetere: « Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo! ». Se tutte le volte che abbiamo recitato il « Gloria » l’avessimo detto col rispetto e  con la fede di quell’anacoreta, quanti meriti avremmo accumulato per il cielo! Quanti meriti, se ogni nostra azione l’avessimo cominciata e finita nel Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo!

IL CREDO

Offertorium

Orémus

 Tob XII: 6. Benedíctus sit Deus Pater, unigenitúsque Dei Fílius, Sanctus quoque Spíritus: quia fecit nobíscum misericórdiam suam. 

[Benedetto sia Dio Padre, e l’unigenito Figlio di Dio, e lo Spirito Santo: poiché fece brillare su di noi la sua misericordia.]

Secreta

Sanctífica, quæsumus, Dómine, Deus noster, per tui sancti nóminis invocatiónem, hujus oblatiónis hóstiam: et per eam nosmetípsos tibi pérfice munus ætérnum. 

[Santífica, Te ne preghiamo, o Signore Dio nostro, per l’invocazione del tuo santo Nome, l’ostia che Ti offriamo: e per mezzo di essa fai che noi stessi Ti siamo eterna oblazione.]

Præfatio de sanctissima Trinitate

… Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui cum unigénito Fílio tuo et Spíritu Sancto unus es Deus, unus es Dóminus: non in unius singularitáte persónæ, sed in uníus Trinitáte substántiæ. Quod enim de tua glória, revelánte te, crédimus, hoc de Fílio tuo, hoc de Spíritu Sancto sine differéntia discretiónis sentímus. Ut in confessióne veræ sempiternǽque Deitátis, et in persónis propríetas, et in esséntia únitas, et in majestáte adorétur æquálitas. Quam laudant Angeli atque Archángeli, Chérubim quoque ac Séraphim: qui non cessant clamáre cotídie, una voce dicéntes:

[…veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: che col Figlio tuo unigénito e con lo Spirito Santo, sei un Dio solo ed un solo Signore, non nella singolarità di una sola Persona, ma nella Trinità di una sola sostanza. Cosí che quanto per tua rivelazione crediamo della tua gloria, il medesimo sentiamo, senza distinzione, e di tuo Figlio e dello Spirito Santo. Affinché nella professione della vera e sempiterna Divinità, si adori: e la proprietà nelle persone e l’unità nell’essenza e l’uguaglianza nella maestà. La quale lodano gli Angeli e gli Arcangeli, i Cherubini e i Serafini, che non cessano ogni giorno di acclamare, dicendo ad una voce:]…

Sanctus,

Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt coeli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis
Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Tob XII:6. Benedícimus Deum coeli et coram ómnibus vivéntibus confitébimur ei: quia fecit nobíscum misericórdiam suam. 

[Benediciamo il Dio dei cieli e confessiamolo davanti a tutti i viventi: poiché fece brillare su di noi la sua misericordia.]

Postcommunio 

Orémus.

Profíciat nobis ad salútem córporis et ánimæ, Dómine, Deus noster, hujus sacraménti suscéptio: et sempitérnæ sanctæ Trinitátis ejusdémque indivíduæ Unitátis conféssio.

[O Signore Dio nostro, giòvino alla salute del corpo e dell’ànima il sacramento ricevuto e la professione della tua Santa Trinità e Unità.

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

LO SCUDO DELLA FEDE (254)

LO SCUDO DELLA FEDE (254)

LA SANTA MADRE CHIESA NELLA SANTA MESSA (23)

SPIEGAZIONE STORICA, CRITICA, MORALE DELLA SANTA MESSA

Mons., BELASIO ANTONIO MARIA

Ed. QUINTA

TORINO, LIBRERIA SALESIANA EDITRICE, 1908

CAPO III

IL SACRIFICIO DIVINO

SECONDA PARTE DEL CANONE.

LA PARTECIPAZIONE

ossia la Comunione Divina.

ART.  II.

L’Orazione: Corpus Domini, etc.

L’ATTO DI AMORE.

« Il Corpo del Signore nostro Gesù Cristo custodisca l’anima mia in vita eterna. »

Spiegazione dell’orazione Corpus Domini.

L’anima finalmente si dà vinta all’amor di Dio, il suo Dio l’occupa tutta, dimentica la sua miseria, gettasi fra le braccia del suo Gesù: « o buon Gesù, o buon Gesù, o mio Dio, deh! la Divinità vostra, ovunque presente, accolga in me la vostra Persona divina: festeggiatevi, amatevi in me medesimo; io vi ricevo. Il vostro Corpo mi custodisca a vita eterna. Sì, lo spirito è, che vivifica: e ricevendovi m’incorporerò e mi trasmuterò in amore ed unità del vostro Spirito, o Gesù mio! (De Imit. Chr. lib. 4.) Eccomi sono a Voi; in Voi è riposto tutto, che io mi sappia e convengami desiderare. Signore Gesù Cristo, consolate l’anima del vostro servo, che oramai non può più vivere senza di Voi. Datemi Voi stesso; e mi basta. Oh! chi mi concede, che io ritrovi Voi solo, e a Voi apra il mio cuore, e come è desiderio dell’anima mia, io goda di Voi: e già nessuno mi signoreggi più, né creatura mi muova, né guardi a me; ma Voi solo mi guardiate come l’amico, come l’amante tratta l’amato suo! Questo Vi prego, questo desidero, di trasformarmi tutto in Voi, il mio cuore divellere da ogni cosa creata. Ah! Signore, quando sarò tutto unito a Voi, e in Voi assorto, e di me medesimo affatto dimentico! Veramente Voi siete il mio eletto fra mille, nel quale si diletta di stare l’anima mia in tutti i giorni della sua vita; ah! non solo in questa, ma nell’eternità. Veramente siete il mio pacificatore, nel quale è somma pace e vero riposo; e fuori di Voi travaglio, dolore e miseria infinita. » – « Possiedo Voi tutto interamente, Voi, mio Dio! Oh! qual creatura avete Voi avuto sì cara come l’anima, a cui Voi Vi comunicate, per pascerla di vostra Carne? Signore, prendetevi tutto intiero il mio cuore, e con Voi stringetelo intimamente. L’anima mia con Voi sia unita: allora si scuoteranno di giubilo le viscere mie; e se volete esser con me, io voglio esser con Voi ; questo è il mio desiderio, esser con Voi, ora, nel tempo, e per tutta l’eternità. Al paradiso adunque con Voi, o mio Gesù. » « Oh grazia da non potersi spiegare in parole! Oh ammirabile degnazione! Oh sviscerato amore in singolar maniera portato all’uomo! Ma che renderò io al Signore per grazia tale, per carità sì eccellente? Io non ho cosa, che Vi sappia donare, la quale più Vi possa essere a grado, fuorché ricevere il calice del Vostro Sangue. (De imit. Chri.) »

(Qui prende in mano il calice santissimo, e dice l’orazione seguente nell’atto dell’assunzione del santissimo Sangue.)

Orazione: Quid retribuam.

« Che cosa retribuirò io al Signore per tutto che Egli mi ha retribuito? Prenderò il calice della salute, ed invocherò il nome di Dio. Lodandolo invocherò il Signore, e sarò salvo da’ miei nemici. »

Esposizione.

« Che cosa retribuirò io al Signore per tutto che mi ha retribuito? » Col cuore così pieno di Dio, l’anima sente confusa che né tenerezza, nè gratitudine, nè tutti gli affetti umani non valgono a pezza a render merito e grazie, che degne siano. E che si debbe mai o potrà fare? Il Sacerdote nel bisogno di sfogargli in seno, se non le dovute grazie, almeno la nostra buona volontà, di essere infinitamente gratissimi, cerca collo sguardo se vi è chi lo intenda e l’aiuti in quel santissimo ufficio; ed oh! ha innanzi il calice del Sangue di Gesù Cristo: e sa, che Egli volle, che questo mistero d’amore sia eucaristico , cioè tutto fatto per ringraziare Dio di tutta sua bontà. Tremante d’amore, con tenerezza infinita, stringe subito fra le mani quel calice, e se lo pone in seno, dicendo col santo Profeta:

« Prenderò il calice della salute, ed invocherò il Nome di Dio. Chiamerò il mio Gesù a scendere dentro di me, e col mio a mischiare il suo Sangue SS., di questo riempirmi il cuore, sicché non d’altro palpiti che di gratitudine, e non per altro viva, che per rendergli grazie: e così Dio ringrazi Dio divinamente per sempre! » « Lodando invocherò il Signore. » – « Ah mio Signore (dobbiamo continuare col Sacerdote), troppo bene l’avete adempiuta la vostra promessa, di volere inebriare l’anime nostre ed il vostro popolo coll’abbondanza dei vostri doni (lerem. XXXI, 14). » Vi loderò sempre, sempre mi vi riposerò sul petto, a Voi tutto abbandonato. Ben sapendo che siete Voi il Signore onnipotente, tenendomi stretto a Voi v’ invocherò ad ogni istante, e da’ miei nemici andrò salvo sicuramente. Metterò la bocca al vostro Costato: e berrò io adunque il vostro Sangue? Ah! questo Sangue mi trasfonderà nelle vene quel sangue apostolico e sacerdotale, cristiano colle vostre virtù, eredità di eroi, per combattere colla forza della vostra Divinità i miei nemici. Ah! sorgano pure questi, e mi serrino intorno; io ho con me il Signore ! nelle loro battaglie otterrò salute e trionfo. »

(Prende qui il calice colla mano destra, fa con esso il segno di croce innanzi al petto, e dice):

Orazione: Sanguis.

« Il Sangue di Gesù Cristo Signor nostro custodisca l’anima mia nella vita eterna. »

Esposizione.

Egli segna di croce la persona sua, col Sangue di Gesù Cristo fra le mani, quasi per bagnarsi di quel Sangue divino le membra: anzi quasi volesse rinnovellare sopra delle sue membra le sacre stimmate del crocifisso suo Signore. Lo tiene un istante sollevato dinanzi, in atto di esclamare contemplandolo: « o Sangue divino, deh! scendi giù a mischiarti col sangue del povero uomo: e allora i palpiti del suo cuore pieno di questo Sangue saranno tanti slanci verso del Paradiso, dove finalmente vivremo eterna vita nel mio Dio.» – Beve il SS. Sangue, assumendo con esso anche il SS. Corpo, unito, come abbiamo detto, nel mistero della Risurrezione.

ART. IV.

Comunione del popolo.

Dio buono, a qual prodigio abbiamo noi assistito! Eh! si poteva, lo dobbiam dire ancora, si poteva immaginare un si grande miracolo di bontà di Dio? Dio si è abbassato all’uomo, l’uomo fu assorto in Dio. Così Gesù santissimo ci compenetra, e s’incorpora nelle nostre membra, mette in esse un’impressione delle sue piaghe, e sparge in noi l’unzione della Divinità. Colla bocca rosseggiante di Sangue divino, con l’anima in Dio rapita, e col cuor palpitante sul Cuore del Salvatore glorioso, appunto appunto noi non possiamo a meno che ricercargli ad una ad una le Piaghe sante! -;Ci si perdoni qui, se noi dimentichiamo l’ordine della santa azione. Il cuore colla potenza d’amore si slancia là, dove trova più tenero pascolo! E chi può frenare il cuore nei suoi impeti santi? Con in seno Gesù noi corriamo subito alla Madre del bell’amore perché ci aiuti nell’amarlo, come Ella sa troppo ben fare. Ora che faceva Maria? Povera Madre! si getta per terra sui sassi sotto la croce tutti bagnati del Sangue del Figliuol suo divino: e riceve Gesù morto, tutto straziato fra le sue braccia: lo stringe sul petto: e gli ripassa ad una ad una le piaghe. Par di vederla! con una mano a sollevargli i capelli tutti grommati di Sangue intorno al capo, e contandogli i fori delle spine: « Oh mio Gesù, esclamare, quante ferite han fatto quelle crude spine! Oh! ma queste ferite sono tante bocche, che gridano misericordia pei nostri figli. » Maria gli cercava le mani e i piedi e Maddalena doveva allora tentare di nasconderle, e dire col pianto: oh! non guardatele, o Madre, è troppo lo strazio !… E Maria: « lascia fare, son la sua Madre! » Nel veder quei piedi orribilmente squarciati diceva con gemito: « ma si avvieranno in Paradiso tanti che s’andavan perduti! » Maria pigliava tra le sue’ l’una mano santissima, e cogli occhi tutti in quella piaga e con ansioso lamento: « oh mio Gesù, prorompeva, che largo squarcio vi han fatto quei chiodi! » E ponendosela sul cuore, « questa, diceva, mi condurrà i figli dei nostri dolori in seno a Dio. » Maria prendeva l’altra mano trafitta, e ponendo la santa bocca su quella larghissima piaga: « salvatemeli tutti. » diceva gemendo, a grosse lagrime intanto le piovevano dagli occhi sulle piaghe immobili, Maria allargava il Costato, guardandovi dentro nella ferita. «Ah che largo squarcio vi ha fatto la lancia! oh Cuor mio, come vi vedo dentro! gemete Sangue ancora! »… e colla bocca convulsa sopra il Costato, versava dentro tutto il suo cuore: « e qui, qui, sclamava singhiozzando, qui metterò l’anime degli agonizzanti, che spirando con Voi o Gesù mi chiameran ad -aiutarle! E le porteremo in paradiso ….. » Maria… Ma baciamo col cuore in braccio a Maria le piaghe a Gesù, e diciamo: « O Gesù; io vi bacio il vostro Capo traforato di spine, e vi prometto sopra esso che appena mi verrà un brutto pensiero, griderò subito: Gesù e Maria, vi raccomando l’anima mia. O Gesù, io vi bacio i vostri Occhi grommati di Sangue per le cattive occhiate, la vostra bocca pesta di pugni per le bestemmie, piena di Sangue per i cattivi discorsi: e appena sarò tentato di occhiata, di parola cattiva, griderò subito): Gesù e Maria, vi raccomando l’anima mia! O Gesù, io vi bacio i vostri Piedi squarciati per le disobbedienze e per le «cattive occasioni; io vi prometto che quando sarò tentato di disobbedire, o di andare con persone e in occasioni pericolose, di andare a perdermi lontano da Voi, griderò subito: Gesù e Maria, vi raccomando l’ anima mia! O Gesù, io vi bacio il vostro Cuore lacerato; e Vi prometto che quando sarò affranto dai travagli, e non potrò più della vita, e nelle tentazioni più forti, farò la Comunione spirituale; mi getterò in braccio a Voi, o Gesù, appiè di Voi, o Maria: Io farò fino all’agonia, spirando in comunione spirituale nel vostro Costato tra le braccia a Voi, o Maria! » – Sì: abbiamo voluto fermarci in questo sfogo di pietà: perché sono diciotto secoli, che anime generose rispondono di atti eroici di virtù ad ogni piaga di Gesù; ed è nella Messa che vi depongono sopra di essa i più generosi proponimenti. – Comprendiamo anche che il Sacerdote, come l’Apostolo della carità, il tenero Giovanni, appresso appresso al Cuor di Maria addolorata, pigli sul Gesù la virtù di rigenerare figliuoli al cielo nel ministero dei Sacramenti. e come ne è cooperatore nel Sacrificio, così ne diventa poi delle anime Eccolo, eccolo quest’uom di Dio, che si rivolge al popolo, mostra sul petto sollevato il Santissimo, e dice: « Ecco l’Agnello di Dio, ecco Colui che toglie i peccati del mondo tutto. » Oh! bontà di Dio, pare voglia esclamare: Figliuoli, quanto è beata la nostra sorte; guardate qui! Iddio è nelle nostre mani, vedetelo; Egli è l’agnello che toglie tutti i peccati!… Ecco è Dio che viene a noi; umiliatevi, troppo vi è ragione di farlo, e dite pure che non siete degni, Domine, non sum dignus! umiliatevi ancora: Domine, non sum dignus! ma fatevi presso, non esitate, non vi ritirate per pietà; qui, qui, i miei figliuoli! O Signore, non siamo degni: Domine, non sum dignus! … Ma è il Corpo di Gesù Salvatore cotesto!… Ricevetelo, perché mira a questo fine il santo mistero di tutta la Redenzione, a venire cioè Dio Redentore in voi per portarvi seco in Paradiso. Ecco il fine della vita dei figliuoli di Dio, unirsi qui con Gesù, affine di essergli per sempre uniti a dar gloria a Dio in Paradiso. Adunque: « Il Corpo di Gesù Cristo custodisca l’anima vostra a vita eterna. » – Questo pensiero vale bene per tutto, affine di far vivere in modo i fedeli, da poter ricevere tutti i giorni il divin Redentore, come espresse il desiderio della Chiesa nel Concilio di Trento (Sess. 22, cap. 6.). Sicché il maggior castigo per i fedeli dovrebbe essere l’andarne privi per alcuni dì; per non esser ben disposti a poterlo fare (Imit. Chr., lib. 4.). Questo pensiero, più che tutto, dovrebbe animare i Sacerdoti a spendere ogni più cura, e fare della propria vita l’occupazione più cara nel preparare i fedeli, e condurli seco a questa Comunione ammiranda. Questa é la felicità del lor ministero: essere assunti in Dio, e dal seno a Dio ministrare le divine cose ai loro figliuoli (Heb. V,1). Destinati, i Sacerdoti ad ardere continuamente colle canoniche preci, come i Cherubini in cielo i loro incensi intorno a Gesù, che ci degna di sua presenza, questi uomini del Signore, amici del Dio vivente, ministri delle sue misericordie, angeli del nuovo Testamento, sposi della Divinità, che portano Cristo continuamente nel proprio petto, possono vivere nel mondo; ma saran collo spirito sempre nei tabernacoli del Signore. Devono conversare cogli uomini, coi quali camminano di conserva per compiere questo peregrinaggio; ma il cuor loro è là fisso, dove è tutto il tesoro. Partecipi dei disegni di Dio, essi hanno la missione degli Angioli custodi di accompagnare i fedeli, di salvarli dai pericoli e condurli a Dio. Né possono fare altrimenti, quando tutte le mattine, posando il capo sul Petto di Gesù, s’innebrian di carità al suo Costato. Ecco scendono giù dall’altare e corrono, come i buoni servi dell’Evangelo, in cerca dappertutto dei fedeli, e pregarli, eccitarli, fare istanza, sino all’importunità (2 Tim. IV,2) per fare ogni modo di obbligarli ad entrare al Convitto, perché partecipino di tanta beatitudine, tutti (Luc. XIV, 23), tutti i giorni, se lo potessero. E i fedeli?… O buon Gesù, non sapeste almeno con quale indifferenza ricevono i vostri inviti!… Eh! rispondono essi, che hanno i campi da coltivare, interessi da custodire, sposalizi e famiglie, a cui non possono togliere né anche un minuzzolo di tempo: né hanno voglia di donarsi per poco a Voi, a cui devono tutto! Se pure non rispondono di peggio, e la perdonano a chi ardisce venire ad essi cogli inviti divini a disturbarli di mezzo ai piaceri, che vogliono del miglior cuore godere (Luc. XIV). – Quindi il Sacerdote già si rivolgeva per dare nella santa Messa in comunione Iddio; ma ohimè! ora mai non vi è più chi ricevere lo voglia; tanto gli uomini sono sconoscenti! Il povero Sacerdote confuso e mortificato, che dovrà fare? Deh! esso almeno con quelle poche anime buone, che il Signore si conserva anche nei più poveri tempi si rivolga a far provare a Gesù, che vi è ancora sulla terra qualche cuore, che, si, lo sa amare teneramente! Essi si stringano al cuore Gesù con carità tenerissima, e lo preghino di perdonare a cotesti infelicissimi.

ORAZIONE DELLA PURIFICAZIONE,

Colle orazioni: Quod ore sumpsimus, et Corpus tuum, che darem tradotte nella spiegazione, il Sacerdote con ogni più fina cura, con tutto il cuor negli occhi e nelle mani, raccoglie i frammenti; e nell’atto di purificare il calice esclama in segreto a nome di tutti: « Quello che abbiamo ricevuto colla bocca, o Signore, concedeteci, di grazia che lo riceviamo anche collo spirito: e che, da questo dono che ci fate nel tempo, sempiterno rimedio noi riceviamo. » Intanto riceve nel calice un po’ di vino, con cui lo asterge. Di poi tenendo stretto al cuore Gesù, come si usa con persona carissima, a noi venuta, gli fa istanza a non volerlo più abbandonare, neppure colla reale sua presenza, e gli va dicendo: « il corpo vostro, che ho ricevuto, ed il vostro Sangue, che ho bevuto, compenetri le viscere mie, che così più non rimanga macchia di colpa in me, ricreato che sono da così puri e santi sacramenti. » E termina la preghiera rammentandogli che, essendo divenuto suo membro, ha un certo quale diritto di restar sempre con Lui, che vive e regna per tutti i secoli.

ART. V.

CONCLUSIONE DELLA SECONDA PARTE.

Deh! ci si permetta ancora uno sguardo sopra questo cumulo di misteriose maraviglie, in cui tutto, sì, tutto veramente è consumato! Questa è la vera magione del Padre celeste: e qui si rende immagine della città eterna descritta (Apoc. VI,9) da s. Giovanni. In mezzo alla Basilica, in fondo all’abside, ecco nel pontefice, o celebrante, quella figura umana, in cui Dio apparve al rapito Evangelista: nei preti i seniori, che genuflettono in adorazione: non vi mancano i candelabri ardenti, e i simbolici animali, e le coppe dei profumi, e l’Agnello… sì,l’Agnello divino, splendore del paradiso, in mezzo anche qui sull’altare! .. Altare di Dio santissimo! racchiude i santi corpi degli uccisi per la testimonianza resa al Verbo di Dio; mentre le anime beate di loro contemplano dal cielo. Sopra quelle vittime di trionfanti si posa il Salvatore che per tutti patì: e stanno a Lui d’intorno quelli, i quali per la passione di Lui sono redenti. Intanto già in Paradiso fu data una stola bianca a ciascuno, e fu detto loro di cantar l’Alleluia, e di darsi pace ancora per poco, fino a tanto che sia compiuto il numero dei conservi. Ora qui il buon padre di famiglia (Aug. serm. II de san. S. Giust. mur. 11; 4.) aduna i figli intorno alla mensa, ed aspetta che giungano tutti per la refezione comune. In questa dà il pegno di resurrezione anche dei corpi; nella quale sarà data anche un’altra stola, di che risplenderanno nell’eternità. Noi in questo tremendo istante e beatissimo, col cuore che palpita in Gesù Cristo, sublimati in tanta contemplazione, cerchiamo, se ci è dato, di comprendere la somma dei misteri, che nell’azione sacrosanta si sono compiuti, per più vivamente animarci al tenerissimo ringraziamento. Ecco in compendio tutto nel canone. Nella santa Messa si adora, si placa, si supplica, si ringrazia il Signore: perché sono questi i quattro fini, per cui si offerisce il gran Sacrificio. Ora noi crediamo di scorgere alla meglio questi quattro atti particolari nelle seguenti orazioni:

1° L’adorazione, nella quarta orazione del Canone, che consta di queste quattro parti:

Haec quotiescumque ecc.

Unde memores ecc.

Supra quae ecc.

Supplices te rogamus. ecc.

Qui secondo il volere di Dio preparata la vittima (Haec quotiescumque), con questo spettacolo divino dinanzi al cielo ed alla terra, nei misteri che si vanno misticamente rinnovando, della passione, risurrezione ed ascensione, se ne fa l’offerta solenne (nell’ oraz. Unde memores ). In essa tutte le promesse e le figure hanno compimento in modo degno di Dio (nell’ oraz. Supra quae). Il gran Pontefice eterno penetra a presentarla nel più alto dei cieli: e noi gli teniamo appresso coi cuori aperti, colle anime aspettanti la grazia, a cui ci acquista merito (nell’oraz. Supplices te rogamus). E qui al grande uopo dal Sacerdote si segna la croce sulla vittima, e dalla vittima, diremmo si deriva la croce sopra di noi per presentarci coperti delle Piaghe di Gesù Cristo a supplicare propiziazione.

2° La propiziazione si chiede nella quinta orazione del Canone, la quale consta del Memento ecc.

Nobis quoque peccatoribus ecc. Per quem omnia ecc. Per ipsum. ecc. cioè nella seconda parte del Canone. In questa parte il Redentore, raccolti intorno a Sè sotto la croce tutti i figli del suo Sangue, dà soddisfazione per tutti: per le anime del Purgatorio, per cui si chiede la pace eterna (nel Memento): poi peccatori per cui si domanda una parte di paradiso (nel Nobis quoque peccatoribus): Poi si stende l’influsso del divin sacrificio a tutte le creature (nel Per quem omnia). Finalmente, per usare l’espressione di san Bernardo, se santissimo e purissimo è Dio e troppo impuri e miserabili siamo noi, attaccandoci a Gesù Cristo, che ora penetra nel santuario celeste, noi troviamo in cielo la redenzione in esso (nel Per Ipsum). Di fatto abbiamo osservato, come col Corpo SS. fra le mani sollevato, a nome di tutti si dica dal celebrante: Per esso: cioè per Gesù così sacrificato non vi ha genere di riparazione che non si adempia: per Esso l’eternità di Dio onorata, la santità riverita, riconosciuta la sua giustizia, l’immensità divina dappertutto adorata. Finalmente assecondata la sua misericordia. Poiché coi peccati si fece un gran torto a Dio impedendo di usarla a tutti come vorrebbe la sua infinita bontà. Si dice con Esso; perché sì veramente qui tutto dai fedeli in unione con Gesù si eseguisce. Sì col Sacerdote alziamo gli occhi, e stendiamo le mani, e con Gesù, Pontefice e Vittima nostra: sospiriamo al Padre dal mistico Calvario: con Gesù allarghiamo le braccia vermiglie del Sangue divino: con Gesù imploriamo clemenza, mettendo innanzi al Padre l’immagine di quella orribile tristezza di sentirci quasi dal Padre abbandonati. Diciamo ancora: in Esso: perché troviamo la santità, e il fervore che ci manca, in Esso; come in Esso avremo la salute e la gloria. Poiché placato il Padre, lo Spirito Santo, Amor Sostanziale che unisce il Padre e il Figlio, perfezionerà l’opera della carità coll’unirci in Paradiso a cantare l’inno immortale 30 all’Eterno che ci redense.

3° L’ impetrazione delle grazie è nel Pater noster ecc., e nel Libera nos ecc. e nella preghiera della pace.

Come abbiamo osservato, Gesù in sacrificio, e noi, attaccatici a Gesù, ci slanciamo con Lui in seno al Padre: gli chiediamo la sua gloria, il suo regno, la sua giustizia, e per noi tutti i beni e la liberazione di tutti i mali (nel Pater noster, e nel Libera nos). Qui il Signore ci apre i tesori della bontà del suo Cuore divinamente paterno. Per compiere il misterioso sfogo della bontà divina, per la formazione della Chiesa versa dal Cuore aperto il Sangue, diremo, più vitale misto all’acqua, sopra di noi e in Lui nel bacio santo conglutinati della carità in Dio vivremo eternamente beati. (Vedansi Pax Domini ecc.: Haec commixtio ecc.) (Questo è il Canone della Chiesa Romana, come dalla madre di tutte le chiese dell’orbe fu ricevuto. Per questo troviamo in esso, massime nell’orazione Communicantes, i nomi dei Santi specialmente venerati in Roma – Card. Bona Iter. liturg. lib. 2, c. 17, n. 5.).

4° Il Ringraziamento, per compiere il quale noi ci abbracciamo a Gesù nella Comunione. Ah! qui noi allora unificati in Gesù Cristo ci gettiamo fra le braccia del Padre divino, rosseggianti del Sangue del suo Figlio, col calice in mano per ringraziarlo. Pretendiamo noi forse di avere compreso l’ordine degli altissimi misteri? Ah no! siamo troppo poveri di spirito. Resteremo col volto nella polvere ai piedi del santo Monte; mentre più pure anime e più sciolte dai legami terreni , salirono più in alto a contemplare da vicino il Roveto, che sempre arde e non mai si consuma. Noi qui anche ci consoliamo dal conforto di tanti Vescovi, i quali il Signore pose a reggere la sua Chiesa. Essi ci vanno assicurando che questo nostro lavoro, interpreta le intenzioni di nostra Madre, e riesce al bene dei nostri fratelli. Si vedano in parte le approvazioni al principio di questo Volume. – Vogliamo aggiungere coi palpiti della più viva consolazione l’approvazione che in modo privato ci mandò il SS. Papa Pio IX per mezzo di S. E. Mons. Sallua Arcivescovo di Calcedonia e Commissario Generale del S. Officio: mandandoci poi con grandissima degnazione una Medaglia d’oro, per mano del nostro Vescovo Mons. Sallua degnossi di scriverci che a questo nostro Libro è come tutto scritto col caldo Sangue di Gesù Cristo.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (23): il CONCILIO DI TRENTO “Sess. III-VI”

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (22)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

(Il Concilio di Trento: Sess. I. – VI)

CONCILIO DI TRENTO (19° ecumenico)

13 Dicembre 1545 – 4 dicembre 1563.

1° periodo di Trento: 1ª – 8ª sessione – dicembre 1545 – 1547 Periodo di Bologna: 9ª e 10ª sessione: marzo 1547 (febbraio 1548) – settembre 1549 2° periodo di Trento: 11ª – 16ª sessione: maggio 1551 – aprile 1552 3° periodo di Trento: 17ª – 25ª sessione: gennaio 1562 – dicembre 1563

3a Sessione 4 febbraio 1546 – Decreto sul Simbolo della fede

1500. Questo santo Concilio ecumenico e generale di Trento, giustamente riunito nello Spirito Santo, sotto la presidenza dei tre legati della Sede Apostolica, e considerata l’importanza delle questioni da trattare, specialmente quelle comprese sotto i titoli dell’estirpazione delle eresie e della riforma dei costumi, motivi principali della riunione, . . ha ritenuto necessario esprimere il Simbolo di fede utilizzato dalla Santa Chiesa Romana come il principio in cui tutti coloro che professano la fede di Cristo si riuniscono necessariamente, e l’unico fondamento contro il quale le porte dell’inferno non prevarranno mai (Mt XVI, 18), usando le parole con cui viene detto in tutte le chiese. (segue il Simbolo di Nicea-Costantinopoli (cf. 150).

4a Sessione: 8 aprile 1546

1501. Il Santo Concilio Ecumenico e Generale di Trento, legittimamente riunito nello Spirito Santo, … ha sempre davanti agli occhi lo scopo, nel sopprimere gli errori, di conservare nella Chiesa la purezza stessa del Vangelo, che, promesso in precedenza dai Profeti nelle sacre Scritture, fu promulgato per la prima volta dalla bocca stessa di nostro Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, il quale poi comandò che fosse predicato ad ogni creatura dai suoi Apostoli come fonte di ogni verità salvifica e di ogni regola morale (Mt XVI, 15). Vede anche chiaramente che questa verità e queste regole siano contenute nei libri scritti e nelle tradizioni non scritte che, ricevute dagli Apostoli dalla bocca di Cristo stesso o trasmesse per così dire di mano in mano dagli Apostoli sotto la dettatura dello Spirito Santo, sono giunte fino a noi. Per questo motivo, seguendo l’esempio dei Padri ortodossi, lo stesso santo Concilio riceve e venera con lo stesso sentimento di pietà e lo stesso rispetto tutti i libri sia dell’Antico Testamento che del Nuovo Testamento, poiché Dio è l’Autore unico di entrambi, così come le tradizioni stesse riguardanti sia la fede che la morale, in quanto provenienti dalla bocca di Cristo o dettate dallo Spirito Santo e conservate nella Chiesa Cattolica da una successione continua. Ha ritenuto opportuno allegare a questo decreto un elenco dei libri sacri, affinché non sorga alcun dubbio su quali libri siano stati ricevuti dal Concilio. Questi libri sono menzionati qui di seguito.

1502. Dall’Antico Testamento cinque libri di Mosè, cioè Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio; i libri di Giosuè, Giudici, Rut, i quattro libri dei Re, i due libri dei Paralipomeni, il primo libro di Esdra e il secondo, detto di Neemia, Tobit, Giuditta, Ester, Giobbe, il Salterio di Davide comprendente centocinquanta salmi, Proverbi, Ecclesiaste, il Cantico dei Cantici, Sapienza, Ecclesiastico, Isaia, Geremia con Baruc, Ezechiele, Daniele, i dodici Profeti minori, cioè Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Nahum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia, i due libri dei Maccabei, il primo e il secondo.

1503. Nuovo Testamento: i quattro Vangeli, secondo Matteo, Marco, Luca e Giovanni; gli Atti degli Apostoli scritti dall’Evangelista Luca; le quattordici epistole dell’Apostolo Paolo, ai Romani, due ai Corinzi, ai Galati, agli Efesini, ai Filippesi, ai Colossesi, due ai Tessalonicesi, due a Timoteo, una a Tito, Filemone, agli Ebrei, due dell’Apostolo Pietro, tre dell’Apostolo Giovanni, una dell’Apostolo Giacomo, una dell’Apostolo Giuda e l’Apocalisse dell’Apostolo Giovanni.

1504. Se qualcuno non accetta questi libri come sacri e canonici nella loro interezza, con tutte le loro parti, come si leggono abitualmente nella Chiesa cattolica e come si trovano nell’antica edizione della Vulgata latina; se ignora consapevolmente e intenzionalmente le tradizioni suddette, sia anatema.

1505. Tutti comprendano quindi l’ordine e il percorso che il Concilio seguirà, dopo aver posto le basi della confessione di fede, e soprattutto le testimonianze ed i supporti che utilizzerà per confermare i dogmi e ristabilire la morale nella Chiesa.

b) Decreto sull’edizione della Vulgata e sul modo di interpretare le Sacre Scritture.

Interpretazione delle Sacre Scritture

1506. Inoltre, lo stesso santo Concilio ritenne che potesse essere di grande utilità per la Chiesa di Dio sapere quale di tutte le edizioni latine dei libri sacri in circolazione dovesse essere considerata autentica: perciò stabilisce e dichiara che l’antica edizione della Vulgata, approvata nella Chiesa stessa da un lungo uso di tanti secoli, sia ritenuta autentica nelle lezioni pubbliche, nelle discussioni, nella predicazione e nelle spiegazioni, e che nessuno abbia l’audacia o la presunzione di rifiutarla con qualsiasi pretesto (3825).

1507. Inoltre, per frenare le menti indisciplinate. stabilisce che nessuno, in materia di fede o di morale che riguarda l’edificio della fede cristiana, osi, sulla base di un solo giudizio, interpretare la Sacra Scrittura in modo tale da deviarla verso il suo significato personale, andando contro il significato tenuto e tuttora tenuto dalla nostra santa Madre Chiesa, alla quale spetta giudicare il vero significato e l’interpretazione della Sacra Scrittura, o andando contro il consenso unanime dei Padri, anche se interpretazioni di questo tipo non dovessero mai essere pubblicate…

1508. Ma il santo Concilio vuole anche, come è giusto, imporre una regola in questo campo ai tipografi… perciò decreta e regola che d’ora in poi la Sacra Scrittura, specialmente questa antica edizione della Vulgata, sia stampata il più correttamente possibile; che a nessuno sia permesso di stampare o far stampare alcun libro che tratti di argomenti sacri senza il nome dell’autore, né di venderlo in futuro o di tenerlo in casa, se questi libri non siano stati prima esaminati e approvati dall’Ordinario…

5a Sessione, 17 giugno 1546: decreto sul peccato originale.

1510. Affinché la nostra fede cattolica, “senza la quale è impossibile piacere a Dio” (Eb XI,6), una volta liberata dagli errori, rimanga intatta nella sua purezza, e affinché il popolo cristiano non sia “trascinato da ogni vento di dottrina” (Ef IV, 14) – poiché il serpente antico (Ap XII,9 – Ap XX,2), il perpetuatore del peccato originale, è stato il primo ad essere portato via da Dio, (Ap XX, 2), nemico perenne del genere umano, tra i tanti mali che affliggono la Chiesa di Dio ai nostri giorni, ha dato origine non solo a nuove dispute sul peccato originale e sul suo rimedio, ma anche a vecchie dispute – il Santo Concilio Ecumenico e Generale di Trento. … vuole impegnarsi a riportare indietro coloro che stanno vagando e a rafforzare coloro che stanno vacillando. Pertanto, in base alla testimonianza delle Sacre Scritture, dei Santi Padri e dei Concili più approvati, nonché al giudizio e all’accordo della Chiesa stessa, esso stabilisce, confessa e dichiara quanto segue sul tema del peccato originale.

1511. 1. Se qualcuno non confessa che il primo uomo, Adamo, avendo trasgredito il comandamento di Dio nel Paradiso, perse immediatamente la santità e la giustizia in cui era stato stabilito e subì, per l’offesa costituita da questa prevaricazione, l’ira e l’indignazione di Dio e, successivamente, la morte con cui era stato precedentemente minacciato da Dio, e con la morte la prigionia sotto il potere di colui che in seguito “aveva l’impero della morte, cioè il diavolo” (He II,14); e che per l’offesa costituita da questa prevaricazione l’intero Adamo, nel corpo e nell’anima, fu mutato in uno stato peggiore (cf. 371): sia anatema!

1512. 2. “Se qualcuno afferma che la prevaricazione di Adamo abbia danneggiato solo se stesso e non i suoi discendenti”, e che ha perso la santità e la giustizia ricevute da Dio solo per sé e non anche per noi, o che, macchiato dal peccato di disobbedienza, “ha trasmesso solo la morte” e le pene “dal corpo a tutto il genere umano, ma non il peccato, che è la morte dell’anima”. Che sia anatema, “poiché contraddice l’Apostolo che dice: “Per mezzo di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e per mezzo del peccato la morte, e così la morte è passata in tutti gli uomini, avendo tutti peccato in lui (Rm V,12) cf. 372.

1513. 3 Se qualcuno afferma che questo peccato di Adamo – che è unico in origine e si trasmette per propagazione ereditaria e per via ereditaria – non sia stato commesso e trasmesso per propagazione ereditaria e non per imitazione, è proprio di ciascuno – , sia rimosso dalle forze della natura umana o da qualsiasi altro rimedio che non sia il merito dell’unico mediatore nostro Signore Gesù Cristo (cf. 1347) che ci ha riconciliati con Dio con il suo sangue (cf. Rm V,9 s.), “divenuto per noi giustizia, santificazione e redenzione” (1Co 1,30) o se nega che questo merito di Gesù Cristo sia applicato tanto agli adulti quanto ai bambini con il Sacramento conferito secondo la forma e l’uso della Chiesa: sia anatema. Perché “non c’è altro nome sotto il cielo dato agli uomini per mezzo del quale dobbiamo essere salvati” (At IV, 12). Da qui le parole: “Questo è l’Agnello di Dio, questo è colui che toglie i peccati del mondo” (Gv 1,19), e questa: “Voi tutti che siete stati battezzati, vi siete rivestiti di Cristo” (Ga 3,27).

1514. 4 “Se qualcuno nega che i bambini appena nati dalla madre debbano essere battezzati”, anche se provengono da genitori battezzati. “Oppure dice che essi siano sì battezzati per la remissione dei peccati, ma che non portino nulla del peccato originale proveniente da Adamo che è necessario espiare con il bagno di rigenerazione” per ottenere la vita eterna, “da cui consegue che per loro la forma del Battesimo per la remissione dei peccati non ha un significato vero ma falso: sia anatema. Non c’è infatti altro modo di intendere ciò che l’Apostolo dice: “Per mezzo di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo, e la morte per mezzo del peccato, e così la morte è passata in tutti gli uomini, avendo tutti peccato in lui” (Rm V,12), se non come l’ha sempre inteso la Chiesa cattolica ovunque. È infatti in virtù di questa regola di fede proveniente dalla tradizione degli Apostoli “che anche i neonati, i quali non hanno ancora potuto commettere alcun peccato proprio, sono tuttavia veramente battezzati per la remissione dei peccati, affinché ciò che hanno contratto per generazione sia purificato in loro mediante la rigenerazione (cf. 223). Infatti “nessuno può entrare nel Regno di Dio se non rinasce da acqua e Spirito Santo” (Gv III,5) .

1515. 5 Se qualcuno nega che, per la grazia di nostro Signore Gesù Cristo conferita nel Battesimo, la colpa del peccato originale sia rimessa, o anche se afferma che tutto ciò che è veramente e propriamente peccaminoso non è del tutto rimosso, ma è solo rasato o non imputato: sia anatema. Infatti, in coloro che sono nati di nuovo, nulla è oggetto dell’odio di Dio, perché “non c’è condanna” (Rm VIII,1) per coloro che sono veramente “sepolti nella morte con Cristo mediante il battesimo” (Rm 6,4), “che non camminano secondo la carne” (Rm 8,1). ma che, avendo deposto l’uomo vecchio e rivestito il nuovo, creato secondo Dio” (Ef IV,22-24 Col III,9s) sono diventati figli di Dio innocenti, senza macchia, puri, irreprensibili e amati, “eredi di Dio e coeredi con Cristo” (Rm VIII,17), in modo che nulla possa ostacolare il loro ingresso in cielo. Questo santo Concilio confessa e crede che la concupiscenza o il fuoco del peccato rimanga nei battezzati; poiché questa concupiscenza è lasciata da combattere, e non può nuocere a coloro che non vi acconsentono e vi resistono coraggiosamente per mezzo della grazia di Cristo. Inoltre, “chi combatte secondo le regole sarà coronato” (2 Tim II,5). Questa concupiscenza, che l’Apostolo chiama talvolta “peccato” (Rm 6,12-15 Rm 7,7 Rm 7,14-20), il santo Concilio la dichiara tale. La Chiesa cattolica dunque intende che sia stata chiamata peccato non perché sarebbe veramente e propriamente peccaminosa in coloro che sono nati di nuovo, ma perché viene dal peccato ed inclina al peccato. Se qualcuno la pensa diversamente, sia anatema.

1516. 6 Tuttavia, questo stesso santo Concilio dichiara che non è sua intenzione includere in questo decreto, in cui si tratta del peccato originale, la beata e Immacolata Vergine Maria, Madre di Dio, ma che le costituzioni di Papa Sisto IV, di felice memoria, debbano essere osservate sotto la minaccia delle pene in esse contenute, e le rinnova.

6a sessione, 13 gennaio 1547: decreto sulla giustificazione

Preambolo

1520. Non è senza perdita di molte anime e con grave danno per l’unità della Chiesa che si sia diffusa nel nostro tempo una dottrina errata sulla giustificazione. Pertanto, a lode e gloria di Dio onnipotente, per la pace della Chiesa e la salvezza delle anime, il Santo Concilio Ecumenico e Generale di Trento… si propone di esporre a tutti i Cristiani la vera e santa dottrina della giustificazione insegnata da Cristo Gesù, sole di giustizia (Ml IV,2), Autore della nostra fede, che la porta a perfezione (Eb 12,2), che gli Apostoli ci hanno tramandato e che la Chiesa cattolica, sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, ha sempre conservato, vietando severamente che in futuro qualcuno osi credere, predicare o insegnare diversamente da quanto stabilito e dichiarato dal presente decreto.

Cap. 1. L’impotenza della natura e della Legge a giustificare gli uomini.

1521. In primo luogo, il santo Concilio dichiara che. per avere una comprensione esatta e autentica della dottrina della giustificazione, sia necessario che ciascuno riconosca e confessi che, avendo tutti gli uomini perso la loro innocenza nella prevaricazione di Adamo (Rm 5,12 1Co 15,22 23), “sono diventati impuri” (Is 64,6) e (come dice l’Apostolo) “figli dell’ira per natura” (Eph 2,3) come è stato esposto nel decreto sul peccato originale, erano talmente “schiavi del peccato” (Rm VI, 20) e sotto il potere del diavolo e della morte, che non solo i pagani, per la forza della natura (cf. 1551), ma anche gli ebrei, per la stessa lettera della Legge di Mosè, non potevano liberarsi o sollevarsi da questo stato, anche se il libero arbitrio non era affatto estinto in loro (cf. 1555), sebbene indebolito e deviato nella sua forza (cf. 378).

Cap. 2. L’economia e il mistero della venuta di Cristo.

1522. Così avvenne che il Padre celeste, “Padre delle misericordie e Dio di ogni consolazione” (2Co 1,3), inviò Cristo Gesù agli uomini. Il Figlio suo (cf. 1551), annunciato e promesso prima della Legge e al tempo della Legge a molti santi Padri (Gn 49,10 Gn 49,18), quando venne quella benedetta “pienezza dei tempi” (Ep 1,10 Ga 4,4), affinché, da un lato, “riscattasse i Giudei soggetti alla Legge” (Ga 4,5) e, dall’altro, “i Gentili, che non perseguivano la giustizia, la raggiungessero” (Rm 9,30), e tutti ricevessero l’adozione filiale (Ga 4,5). È lui che “Dio ha fatto vittima propiziatoria con il suo sangue per mezzo della fede (Rm 3,25) per i nostri peccati, non solo per i nostri ma anche per quelli di tutto il mondo” (1Gv 2,2).

Cap. 3. Coloro che sono giustificati da Cristo.

1523. Ma sebbene egli sia “morto per tutti” (2 Cor V,15), non tutti ricevono il beneficio della sua morte, ma solo coloro ai quali viene comunicato il merito della sua Passione. Infatti, come in verità gli uomini non nascerebbero ingiusti se non fossero nati dalla discendenza corporea di Adamo, poiché quando vengono concepiti contraggono un’ingiustizia personale per il fatto di discendere corporalmente da lui, così non sarebbero mai giustificati se non rinascessero in Cristo, poiché attraverso questa rinascita viene loro concessa, per il merito della sua Passione, la grazia per cui diventino giusti. Per questa benedizione l’Apostolo ci esorta sempre a “rendere grazie al Padre, che ci ha resi degni di partecipare all’eredità dei santi nella luce, ci ha strappati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto, nel quale abbiamo la redenzione e il perdono dei peccati” (Col 1, 12-14).

Cap. 4. Schema della descrizione della giustificazione dell’empio, ed il modo del suo stato di grazia.

1524. Queste parole abbozzano una descrizione della giustificazione dell’empio, come trasferimento dallo stato in cui l’uomo è nato dal primo Adamo allo stato di grazia e di adozione dei figli di Dio (Rm VIII,15), attraverso il secondo Adamo, Gesù Cristo, nostro Salvatore. Dopo la promulgazione del Vangelo, questo trasferimento non può avvenire senza il bagno di rigenerazione (cf. 1618) o il desiderio di esso, secondo quanto è scritto “Nessuno può entrare nel Regno di Dio se non rinasce da acqua e Spirito Santo” (Gv 3,5).

Capitolo 5. La necessità per gli adulti di prepararsi alla giustificazione.

1525. Il Concilio dichiara inoltre che la giustificazione stessa negli adulti abbia origine nella grazia preveniente di Dio per mezzo di Gesù Cristo (cf. 1553), cioè in una chiamata da parte di Dio con la quale vengono chiamati senza alcun merito. In questo modo, coloro che si erano allontanati da Dio a causa dei loro peccati, spinti e aiutati dalla grazia, sono disposti a volgersi verso la giustificazione che Dio concede loro, acconsentendo e cooperando liberamente a questa stessa grazia (1554-1555). In questo modo, toccando Dio il cuore dell’uomo con l’illuminazione dello Spirito Santo, da un lato l’uomo stesso non è totalmente impotente, accogliendo questa ispirazione che gli è possibile rifiutare, dall’altro, però, senza la grazia di Dio, non gli è possibile, con la propria volontà, muoversi verso la giustizia al cospetto di Dio (cf. 1553). Perciò, quando nella Sacra Scrittura si dice: “Volgiti a me e io mi volgerò a te” (Zacc. 1,3), ci viene ricordata la nostra libertà; quando rispondiamo: “Volgici a te, o Signore, e ci convertiremo” (Lam. 5,21), riconosciamo che la grazia di Dio ce lo impedisce.

Cap. 6. Modalità di preparazione.

1526. Gli uomini sono disposti alla giustizia stessa (cf. 1557-1559) quando, mossi e aiutati dalla grazia divina, concependo in se stessi la fede che sentono predicare (Rm 10,17), vanno liberamente a Dio, credendo che sia vero tutto ciò che è stato divinamente rivelato e promesso (cf. 1562-1564) e, soprattutto, che Dio giustifichi gli empi “per sua grazia, mediante la redenzione che è in Cristo Gesù” (Rm 3,24); quando, comprendendo di essere peccatori e passando dal timore della giustizia divina, che li colpisce (cf.1558) molto utilmente, alla considerazione della misericordia di Dio, si elevano alla speranza, confidando che Dio, per amore di Cristo, sarà loro favorevole, cominciano ad amarlo come fonte di ogni giustizia e, per questo, si sollevano contro i peccati, animati da una sorta di odio e di detestazione (cf. 1559), cioè da quella penitenza che si deve fare prima del Battesimo (At 2,38); quando, infine, si propongono di ricevere il Battesimo, di iniziare una nuova vita e di osservare i comandamenti divini.

1527. Di questa disposizione è scritto: “Chi si avvicina a Dio deve credere che Egli è, e che ricompensa coloro che lo cercano” (Eb XI,6), e: “Abbi fiducia, figlio mio, ti sono rimessi i tuoi peccati” (Mt IX,2), e “Il timore del Signore scaccia i peccati” (Sir 1,27) , e: “Fate penitenza e ciascuno di voi sia battezzato nel nome di Gesù Cristo per la remissione dei peccati e riceverete il dono dello Spirito Santo” (At 2,38), e “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato” (Mt XXVIII,19-2) e : “Preparate i vostri cuori al Signore” (1Re VII,3).

Cap. 7 La giustificazione degli empi e le sue cause.

1528. A questa disposizione o preparazione segue la giustificazione vera e propria, che non è solo la remissione dei peccati (cf. 1561) ma anche la santificazione ed il rinnovamento dell’uomo interiore attraverso la ricezione volontaria della grazia e dei doni. In questo modo, l’uomo viene trasformato da ingiusto a giusto, da nemico ad amico, così da essere “erede della vita eterna nella speranza” (Tt III,7).

1529. Le cause di questa giustificazione sono queste: causa finale, la gloria di Dio e di Cristo e la vita eterna; causa efficiente: Dio che, nella sua misericordia, lava e santifica liberamente (1Co 6,11) con il sigillo e l’unzione (2Co 1,21-22) dello Spirito Santo promesso “che è il pegno della nostra eredità” (Eph 1,13-14); causa meritoria: l’unico Figlio prediletto di Dio, il nostro Signore Gesù Cristo, che, “mentre eravamo nemici” (Rm V,10), “per il grande amore con cui ci ha amati” (Ef II,4), con la sua santissima Passione sul legno della croce ha meritato la giustificazione per noi (cf. 1560) e ha soddisfatto Dio suo Padre per noi; causa strumentale, il sacramento del Battesimo, “sacramento della fede” senza il quale non c’è mai stata giustificazione per nessuno. Infine, l’unica causa formale è la giustizia di Dio, “non quella per cui Egli stesso è giusto, ma quella per cui ci rende giusti” (cf. 1560-1561), cioè quella per cui, avendola ricevuta in dono da Lui, siamo “rinnovati mediante una trasformazione spirituale della nostra mente” (Eph 4, 23) non solo siamo ritenuti giusti, ma siamo detti e siamo veramente giusti (1Gv 3,1), ciascuno ricevendo la giustizia in noi, secondo la misura che lo Spirito Santo condivide con ciascuno come vuole (1Co 12,11) e secondo la disposizione e la cooperazione di ciascuno.

1530. Infatti, sebbene nessuno possa essere giusto se non gli vengono comunicati i meriti della Passione del Signore nostro Gesù Cristo, tuttavia questo è ciò che viene fatto nella giustificazione degli empi, mentre, per il merito di questa santissima Passione, l’amore di Dio viene riversato dallo Spirito Santo nei cuori (Rm 5,5) di coloro che sono giustificati e abita in loro (cf. 1561). Perciò, con la remissione dei peccati, l’uomo riceve nella stessa giustificazione, per mezzo di Gesù Cristo, nel quale è inserito, tutti i seguenti doni infusi allo stesso tempo: fede, speranza e amore.

1531. Infatti, la fede senza la speranza e l’amore non ci unisce perfettamente a Cristo e non ci rende membra vive del suo Corpo. Per questo si dice veramente che la fede senza le opere è morta e inutile, (Gc II,17-20) (cf. 1569) e che in Cristo Gesù non ha valore né la circoncisione né l’incirconcisione, ma la fede “che opera per mezzo dell’amore” (Ga V,6 Ga VI,15) . È questo che, secondo la tradizione degli Apostoli, i catecumeni chiedono alla Chiesa prima del Sacramento del Battesimo, quando chiedono “la fede che porta la vita eterna” che, senza speranza e amore, la fede non può portare. Per questo, quando ricevono la vera e cristiana giustizia, questa prima veste (Lc XV,22) che viene data loro da Cristo al posto di quella che, con la sua disobbedienza, Adamo ha perso per sé e per noi, a chi è appena rinato viene subito ordinato di mantenerla candida ed immacolata, per portarla davanti al tribunale di nostro Signore Gesù Cristo e avere la vita eterna.

Cap. 8. Come possiamo capire che gli empi siano giustificati per fede e gratuitamente?

1532. Quando l’Apostolo dice che l’uomo è “giustificato per fede” (cf. 1559) e gratuitamente Rm (III,22-24), è necessario intendere queste parole nel senso in cui ha sempre e unanimemente ritenuto ed espresso la Chiesa cattolica, cioè che se si dice che siamo giustificati per fede, è perché “la fede è l’inizio della salvezza dell’uomo”, il fondamento e la radice di ogni giustificazione, che senza di essa “è impossibile piacere a Dio” (Eb XI,6) e condividere la sorte dei suoi figli (2Pt 1,4); E si dice che siamo giustificati liberamente perché nulla di ciò che precede la giustificazione, sia la fede che le opere, merita la grazia della giustificazione. Infatti, “se è grazia, non è per opera; altrimenti (come dice lo stesso Apostolo) la grazia non è più grazia” (Rm XI,6).

Cap. 9. Contro la vana fiducia degli eretici.

1533. Sebbene sia indispensabile credere che i peccati siano e siano sempre stati perdonati solo gratuitamente dalla misericordia divina per amore di Cristo, tuttavia nessuno, vantando la sicurezza e la certezza che i suoi peccati siano perdonati e riposando su questo, deve dire che i suoi peccati siano o siano stati perdonati, mentre questa fiducia vana e lontana da ogni pietà può esistere tra gli eretici e gli scismatici, molto più di quanto ai nostri giorni esista e sia predicata con grande rumore contro la Chiesa cattolica (cf. 1562).

1534. Ma non si deve neppure affermare che tutti coloro che sono stati veramente giustificati debbano essere senza esitazione convinti in se stessi di essere stati giustificati, né che nessuno è assolto dai suoi peccati e giustificato se non colui che crede con certezza di essere stato assolto e giustificato, e che è per questa sola fede che l’assoluzione e la giustificazione siano effettuate (cf. 1564), come se chi non crede questo dubitasse delle promesse di Dio e dell’efficacia della morte e della risurrezione di Cristo. Infatti, come nessun uomo pio deve dubitare della misericordia di Dio, dei meriti di Cristo, della virtù e dell’efficacia dei Sacramenti, così chiunque consideri se stesso, la propria debolezza e le proprie cattive disposizioni, può essere pieno di timore e di paura riguardo alla sua grazia (cf. 1563), poiché nessuno può sapere, con una certezza di fede che escluda ogni errore, di aver ottenuto la grazia di Dio.

Cap. 10 L’aumento della grazia ricevuta.

1535. Così, coloro che sono stati giustificati e sono diventati “amici di Dio” e “membri della sua famiglia” (Gv XV,15 Eph II,19) camminando “di virtù in virtù” (Sal 83,8) si rinnovano (come dice l’Apostolo) di giorno in giorno (2Co IV,16) , cioè mortificando le membra della loro carne Col (III,5) e presentandole come armi di giustizia per la santificazione (Rm VI,13-19) , osservando i comandamenti di Dio e della Chiesa; crescono in questa giustizia ricevuta per grazia di Cristo, la fede cooperando con le opere buone Gc 2,22 e sono più giustificati (cf. 1574; 1582), secondo quanto è scritto: “Chi è giusto sarà ancora giustificato” (Ap 22,11) e anche: “Non temere di essere giustificato fino alla morte” Si (XVIII,22) e ancora “Vedete che l’uomo è giustificato dalle opere e non dalla sola fede” (Gc II,24). Questo aumento della giustizia, la santa Chiesa lo chiede quando dice nella preghiera: Signore, aumenta la nostra fede, speranza e amore.

Cap. 11. L’osservanza dei comandamenti. La sua necessità e possibilità.

1536. Nessuno, per quanto giustificato, deve pensare di essere libero dall’osservanza dei Comandamenti (cf. 1570). Nessuno deve usare quell’espressione avventata che i Padri hanno proibito, pena l’anatema, e cioè che per l’uomo giustificato i comandamenti di Dio sono impossibili da osservare (cf. 1568; 1572; 397). “Dio infatti non comanda cose impossibili, ma nel comandare invita a fare ciò che si può e a chiedere ciò che non si può, e aiuta a farlo; i suoi comandi non sono gravosi (1Gv V,3), il suo giogo è soave e il suo fardello leggero (Mt XI,30) Infatti, chi è figlio di Dio ama Cristo; chi lo ama (come egli stesso testimonia) osserva le sue parole (Gv XIV,23), cosa che gli è sempre possibile con l’aiuto di Dio.

1537. Sebbene in questa vita mortale, santi e giusti come sono, cadano talvolta almeno nei peccati leggeri e quotidiani, che sono chiamati anche veniali (cf. 1573), non per questo cessano di essere giusti. Anzi, l’espressione umile e autentica dei giusti è: “Rimetti a noi i nostri debiti” (Mt VI,12) (229ss.) Per questo i giusti stessi devono sentirsi tanto più obbligati a camminare nella via della giustizia, poiché, ormai “liberati dal peccato, fatti servi di Dio” (Rm VI,22), vivendo “nella temperanza, nella giustizia e nella pietà” (Tt II,12), possono progredire attraverso Cristo Gesù, che ha dato loro accesso a questa grazia (Rm V,2). Per coloro che ha giustificato una volta, “Dio non abbandona se prima non è abbandonato da loro”.

1538. Per questo nessuno deve consolarsi con la sola fede (1559; 1569; 1570), pensando che per la sola fede sia stato costituito erede e otterrà l’eredità, anche se non soffre con Cristo per essere glorificato con lui (Rm VIII,17). Infatti Cristo stesso (come dice l’Apostolo), “pur essendo Figlio di Dio, con le sue sofferenze imparò ad obbedire e, dopo aver compiuto ogni cosa, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono” (Eb V,8-9). Per questo l’Apostolo stesso mette in guardia coloro che siano stati giustificati con queste parole: “Non sapete che nelle corse allo stadio tutti corrono, ma uno solo ottiene il premio? Correte perché possiate vincere. Per me, dunque, questo è il modo in cui corro, non a caso; questo è il modo in cui combatto, non lanciandomi nel vuoto. Ma castigo il mio corpo e lo rendo schiavo, per evitare che, dopo aver predicato agli altri, io stesso venga eliminato” (1Co IX,24 ss.). E Pietro, il principe degli Apostoli: “Siate diligenti nel rendere certa la vostra vocazione ed elezione con le vostre opere buone; così facendo non peccherete mai” (2Pt 1,10).

1539. È evidente che chi dice che in ogni azione buona il giusto pecchi almeno venialmente (cf. 1575; 1481 ss.) o (ciò che è più intollerabile) meriti la pena eterna; allo stesso modo coloro che dichiarano che il giusto pecca in tutte le sue azioni, se, volendo scrollarsi di dosso l’indolenza in esse e incoraggiarsi a correre nello stadio, considerano, insieme alla glorificazione messa al primo posto, la ricompensa eterna (cf. 1576; 1581), mentre è scritto: “Ho inclinato il mio cuore a compiere i tuoi comandamenti per la ricompensa” (Sal CXVIII,112), e che l’Apostolo dice di Mosè che “aveva gli occhi fissi sulla ricompensa” (Eb XI,26).

Cap. 12. Dobbiamo guardarci da un’avventata presunzione riguardo alla predestinazione.

1540. Nessuno, finché vive nella condizione mortale, deve presumere dal mistero nascosto della predestinazione divina di dichiarare con certezza di essere assolutamente nel numero dei predestinati (cf. 1565), come se fosse vero che una volta giustificato o non può più peccare (cf. 1573) o, se dovesse peccare, deve promettersi un sicuro pentimento. Infatti, se non per speciale rivelazione, non possiamo sapere chi Dio abbia scelto per sé (cf. 1566).

Cap. 13. Il dono della perseveranza.

1541. Lo stesso vale per il dono della perseveranza (cf. 1566). A questo proposito è scritto: “Chi persevererà sino alla fine sarà salvato” (Mt X,22; Mt XXIV,13): ciò può avvenire solo da parte di colui che “ha il potere di mantenere in piedi chi sta in piedi perché continui a stare in piedi” (Rm XIV,4) e di rialzare chi cade. Quindi nessuno prometta nulla a se stesso con assoluta certezza, anche se tutti devono riporre la loro più ferma speranza nell’aiuto di Dio. Dio infatti, se non saranno infedeli alla sua grazia, porterà a compimento l’opera buona, così come l’ha già iniziata (Fil 1,6), operando in loro la volontà e l’azione (Fil 2,13).(1572). Tuttavia, coloro che pensano di essere in piedi stiano attenti a non cadere (1 Cor 10,12) e lavorino alla loro salvezza con timore e tremore (Php II,12) con fatica, vigilanza, elemosina, preghiere e offerte, digiuno e castità (2 Cor VI,5-6). Sapendo, infatti, di essere rinati nella speranza della gloria (1Pt 1,3) ma non ancora nella gloria, devono temere la lotta che rimane loro contro la carne, contro il mondo, contro il diavolo, lotta nella quale potranno essere vittoriosi solo se, con la grazia di Dio, obbediranno alle parole dell’Apostolo: “Non siamo più tenuti a vivere secondo la carne. Perché se vivete secondo la carne, morirete. Ma se per mezzo dello Spirito mettete a morte le opere della carne, vivrete” (Rm VIII,12-13).

Cap. 14 I caduti e il loro recupero.

1542. Coloro che, dopo aver ricevuto la grazia della giustificazione, ne sono decaduti a causa del peccato, possono essere nuovamente giustificati (1579) quando, mossi da Dio, si attivano per recuperare la grazia perduta mediante il sacramento della penitenza, grazie ai meriti di Cristo. Questo metodo di giustificazione è il recupero del peccatore, che i Santi Padri hanno giustamente chiamato “la seconda tavola dopo il naufragio della perdita della grazia”. Per coloro che cadono in peccato dopo il battesimo, Cristo Gesù ha istituito il sacramento della penitenza quando ha detto: “Ricevete lo Spirito Santo, e a chi rimetterete i peccati saranno rimessi, e a chi li riterrete saranno ritenuti” (Gv 20,22-23) .

1543. Dobbiamo quindi insegnare che la penitenza del cristiano dopo una caduta è molto diversa dalla penitenza battesimale. Essa comprende non solo l’abbandono dei peccati e la loro detestazione, o “un cuore contrito e umiliato”, (Sal 50,19), ma anche la confessione sacramentale di essi, o almeno il desiderio di farla a tempo debito, l’assoluzione da parte di un sacerdote e, inoltre, la soddisfazione attraverso il digiuno, l’elemosina, le preghiere e altri pii esercizi della vita spirituale, non per rimettere la pena eterna – che è rimessa contemporaneamente alla colpa dal sacramento o dal desiderio del sacramento – ma per rimettere la colpa temporale (cf. 1580) che (come insegna la Sacra Scrittura) non è sempre completamente rimessa, come nel battesimo, a coloro che, ingrati per la grazia di Dio che hanno ricevuto, hanno vessato lo Spirito Santo (Ef IV,30) e non hanno avuto paura di violare il Tempio di Dio (1Co III,17).

Di questa penitenza è scritto: “Ricordati da dove sei caduto, fa’ penitenza e torna alle tue opere prime” (Ap II,51) e anche: “La tristezza secondo Dio produce penitenza per una salvezza duratura” (2Co VII,10) e anche “Fa’ penitenza” (Mt 3,2 Mt IV,17) , e “Fa’ degni frutti di penitenza” (Mt III,8 Lc 3,8).

Cap. 15 Ogni peccato mortale causa la perdita della grazia, ma non della fede.

1544. Contro gli spiriti astuti di certi uomini che, “con dolci discorsi e benedizioni, seducono i cuori semplici” (Rm 16,18) , si deve affermare che la grazia della giustificazione, che è stata ricevuta, si perde non solo con l’infedeltà (1577) , con la quale si perde anche la fede, ma anche con qualsiasi peccato mortale, anche se poi la fede (1578) non si perde. Si difende così la dottrina della Legge divina che esclude dal Regno di Dio non solo gli infedeli, ma anche i fedeli fornicatori, adulteri, effeminati, sodomiti, ladri, avari, ubriaconi, maldicenti, rapaci (1Cor 6,9)-10 e tutti gli altri che commettono peccati mortali dai quali, con l’assistenza della grazia divina, possono astenersi e a causa dei quali sono separati dalla grazia di Cristo (1577).

Cap. 16. Il frutto della giustificazione: il merito, la opere buone. La sua natura.

1545. È dunque in questa prospettiva che dobbiamo proporre agli uomini giustificati, sia che abbiano conservato incessantemente la grazia ricevuta, sia che l’abbiano recuperata dopo averla perduta, le parole dell’Apostolo: “Siate ricchi di ogni opera buona, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore” (1Cor XV,58) perché “Dio non è così ingiusto da dimenticare ciò che avete fatto e la carità che avete dimostrato nel suo nome” (Eb VI,10) , e : “Non perdete la vostra fiducia; essa avrà una grande ricompensa” (Eb X,35) . Ed è per questo che, a coloro che agiscono bene “fino alla fine” (Mt X,22 Mt XXIV,13) e che sperano in Dio, la vita eterna deve essere proposta sia come la grazia misericordiosamente promessa da Cristo Gesù ai figli di Dio, sia “come la ricompensa” che Dio, secondo la promessa da lui stesso fatta, concederà alle loro opere buone e ai loro meriti (1576 ; 1582). Questa, infatti, è “la corona di giustizia” che l’Apostolo ha detto essere “riservata a lui dopo la sua lotta e la sua corsa e che gli sarà data dal giusto giudice, non solo a lui ma anche a tutti coloro che attendono con amore la sua venuta” (2 Tim IV,7-8).

1546. Cristo Gesù stesso comunica costantemente la sua forza a coloro che sono stati giustificati, come il capo alle membra (Ef IV,15) , come la vite ai tralci (Gv XV,5) forza che precede, accompagna e segue sempre le loro opere buone e senza la quale queste non potrebbero in alcun modo essere gradite a Dio e meritorie (cf 1552). Dobbiamo quindi credere che non manchi nient’altro nei giustificati stessi perché si possa ritenere che essi abbiano soddisfatto pienamente la Legge di Dio, nelle condizioni di questa vita, con queste opere compiute in Dio (Gv III,21), e che abbiano veramente meritato di ottenere, a suo tempo, la vita eterna (cf 1582), se però moriranno in grazia (Ap XIV,13). Cristo, nostro Salvatore, non ha forse detto: “Se uno beve dell’acqua che io gli do, non avrà mai più sete; essa diventerà in lui un pozzo d’acqua che sgorga fino alla vita eterna” (Gv IV,14)?

1547. Così la nostra giustizia personale non è stabilita come proveniente personalmente da noi (2Co III:5) e la giustizia di Dio non è né ignorata né rifiutata (Rm X:3). Infatti, questa giustizia è detta nostra, perché siamo giustificati da questa giustizia che abita in noi (cf. 1560; 1561); e questa stessa giustizia è di Dio, perché è riversata in noi da Dio e per i meriti di Cristo.

1548. Non dobbiamo dimenticarlo: La Sacra Scrittura attribuisce certamente un tale valore alle opere buone che Cristo promette che anche chi dà a uno dei suoi più piccoli una tazza di acqua fresca non perderà la sua ricompensa (Mt X,42 Mc IX,40); e l’Apostolo attesta che la nostra “leggera tribolazione di un momento ci prepara oltre misura un peso eterno di gloria nei cieli” (2Co IV,17) Tuttavia, lungi da noi pensare che il cristiano confidi o si glori di se stesso e non del Signore (1Co 1,31 2Co X,17) la cui bontà verso gli uomini è così grande che vuole che i suoi doni siano i loro meriti (cf 1582; 248).

1549. E poiché “tutti pecchiamo in molte cose” (Gc III,2), ognuno deve avere davanti agli occhi non solo la misericordia e la bontà, ma anche la severità e il giudizio, e non deve essere tentato di pensare di essere un peccatore. E non si deve giudicare se stessi, anche se non si è consapevoli di alcuna colpa. Infatti, tutta la vita dell’uomo deve essere esaminata e giudicata, non dal giudizio dell’uomo, ma dal giudizio di Dio, “che metterà in luce i segreti delle tenebre e renderà manifesti i segreti del cuore; e allora ciascuno riceverà da Dio la lode che gli è dovuta” (1 Cor IV,4 ss), il quale, come è scritto, “renderà a ciascuno secondo le sue opere” (Rom II,6).

1550. Avendo esposto la dottrina cattolica sulla giustificazione (cf. 1583), che ciascuno deve accogliere fedelmente e fermamente per essere giustificato, il santo concilio ha ritenuto opportuno allegare i seguenti canoni, affinché tutti sappiano non solo ciò che devono tenere e seguire, ma anche ciò che devono evitare e fuggire.

Canoni sulla giustificazione.

1551. (1) Se qualcuno dice che un uomo può essere giustificato davanti a Dio con le sue opere – siano esse compiute dalle forze della natura umana o dall’insegnamento della legge – senza la grazia divina che viene per mezzo di Gesù Cristo, sia anatema (cf 1521).

1552. (2) Se qualcuno dice che la grazia divina per mezzo di Gesù Cristo è data solo perché l’uomo possa più facilmente vivere rettamente e meritare la vita eterna, come se per libera scelta e senza la grazia potesse ottenere entrambe le cose, anche se con difficoltà e fatica, sia anatema (cf. 1524 ss.).

1553.3 Se qualcuno dice che senza l’ispirazione preveniente dello Spirito Santo e senza il suo aiuto un uomo può credere, sperare e amare, o pentirsi, come è necessario perché gli sia concessa la grazia della giustificazione, sia anatema (cf 1525).

1554.4 Se qualcuno dice che la libera volontà dell’uomo, mossa e spinta da Dio, non coopera in alcun modo quando acconsente a Dio, che lo spinge e lo chiama a disporsi e a prepararsi per ottenere la grazia della giustificazione, e che non può rifiutarsi di acconsentire, se vuole, ma che come un essere inanimato non fa assolutamente nulla e si comporta in modo puramente passivo: sia anatema (cf. 1525).

1555.5 Se qualcuno dice che, dopo il peccato di Adamo, il libero arbitrio dell’uomo è andato perduto e si è estinto, o che è una realtà che porta solo il suo nome, molto più un nome senza realtà, una finzione finalmente introdotta da Satana nella Chiesa, sia anatema (cf. 1521; 1525; 1486).

1556. 6 Se qualcuno dice che non sia in potere dell’uomo impegnarsi nelle vie del male, ma che è in potere dell’uomo impegnarsi nelle vie del male, ma che sia le sue cattive che le sue buone azioni siano opera di Dio, non solo perché egli le permette, ma anche propriamente e da sé, così che il tradimento di Giuda non sarebbe meno opera sua che la vocazione di Paolo: sia anatema.

1557.7 Se qualcuno dice che tutte le opere compiute prima della giustificazione, in qualunque modo, sono veramente peccati e meritano l’odio di Dio, o che quanto più ci si sforza di disporsi alla grazia, tanto più si pecca gravemente, sia anatema (cf. 1526.).

1558. (8) Se qualcuno dice che il timore dell’inferno, con il quale, addolorati per i nostri peccati, ci rifugiamo nella misericordia di Dio o ci asteniamo dal peccare, è un peccato o rende gli uomini peggiori, sia anatema (cf. 1526; 1456).

1559. 9. Se qualcuno dice che l’empio è giustificato dalla sola fede, intendendo con ciò che non è richiesto nient’altro per cooperare all’ottenimento della grazia, e che non è in alcun modo necessario che egli si prepari e si disponga con un movimento della sua volontà: sia anatema (cf. 1532; 1538; 1465; 1460 ss.).

1560. 10. Se qualcuno dice che gli uomini sono giustificati senza la giustizia di Cristo, con la quale egli ha meritato per noi, o che sono formalmente giusti grazie a questa giustizia, sia anatema (cf. 1523; 1529).

1561. 11. Se qualcuno dice che gli uomini sono giustificati o per la sola imputazione della giustizia di Cristo, o per la sola remissione dei peccati, escludendo la grazia e la carità che è riversata nei loro cuori dallo Spirito Santo (Rm V,5) e abita in loro, o che la grazia con cui siamo giustificati è solo il favore di Dio, sia anatema (cf. 1528-1531 1545 ss.).

1562. 12. Se qualcuno dice che la fede che giustifica non è altro che la fiducia nella misericordia divina, che rimette i peccati per amore di Cristo, o che è solo per questa fiducia che siamo giustificati, sia anatema.(cf. 1533).

1563. 13. Se qualcuno dice che è indispensabile che ogni uomo, per ottenere la remissione dei peccati, creda con certezza e senza alcuna esitazione derivante dalla sua personale debolezza o mancanza di disposizione che i suoi peccati gli sono rimessi: sia anatema (cf. 1533 s; 1460-1464).

1564. 14. Se qualcuno dice che un uomo è assolto dai suoi peccati e giustificato perché crede con certezza di essere assolto e giustificato, o che è veramente giustificato solo chi crede di essere giustificato, e che solo questa fede ottiene l’assoluzione e la giustificazione, sia anatema. (cf. 1533 s ; 1460-1464.).

1565. 15. Se qualcuno dice che un uomo nato di nuovo e giustificato è tenuto a credere per fede di essere certamente tra i predestinati, sia anatema (cf. 1540).

1566. 16. Se qualcuno afferma con assoluta e infallibile certezza che avrà certamente il grande dono della perseveranza fino alla fine (Mt X,22 Mt XXIV,13), a meno che non l’abbia appreso per speciale rivelazione: sia anatema (cf. 1540 s.).

1567. 17. Se qualcuno dice che la grazia della giustificazione spetta solo a coloro che sono predestinati alla vita, e che tutti gli altri che sono chiamati sono certamente chiamati, ma non ricevono la grazia, perché sono predestinati al male dalla potenza divina, sia anatema.

1568. (8) Se qualcuno dice che i comandamenti di Dio siano impossibili da osservare anche da un uomo giustificato e stabilito nella grazia, sia anatema (cf. 1536).

1569. 19. Se qualcuno dice che nel Vangelo non si comandi nulla all’infuori della fede, che le altre cose sono indifferenti, né comandate né proibite, ma libere, o che i dieci comandamenti non riguardino i Cristiani, sia anatema (cf. 1536s.).

1570. 20. Se qualcuno dice che un uomo giustificato, per quanto perfetto, non sia tenuto a osservare i comandamenti di Dio e della Chiesa, ma solo a credere, come se il Vangelo fosse una pura e semplice promessa di vita eterna senza la condizione di osservare i comandamenti: sia anatema (cf. 1536s.).

1571. 21. Se qualcuno dice che Cristo Gesù sia stato dato da Dio agli uomini come Redentore in cui confidare, e non anche come legislatore a cui obbedire, sia anatema.

1572. 22. Se qualcuno dice che i giustificati possano perseverare nella giustizia senza un aiuto speciale da parte di Dio, o che non possano farlo con tale aiuto, sia anatema (cf. 1541.).

1573. 23. Se qualcuno dice che un uomo una volta giustificato non possa più peccare o perdere la grazia, e che quindi chi cade e pecca non sia mai stato veramente giustificato; o, al contrario, che possa in tutta la sua vita evitare tutti i peccati, anche quelli veniali, a meno che non sia per uno speciale privilegio di Dio, come la Chiesa ritiene a proposito della beata Vergine: sia anatema! (cf. 1537; 1549).

1574. 24. Se qualcuno dice che la giustizia ricevuta non sia conservata e neppure accresciuta davanti a Dio dalle opere buone, ma che queste opere siano solo il frutto e il segno della giustificazione ottenuta e non anche la causa del suo aumento, sia anatema (cf. 1535); per questo meriti la pena eterna; che non è dannato per questo solo motivo, perché Dio non imputa le sue opere per la dannazione: sia anatema (cf. 1539; 1481s).

1575. 25. Se qualcuno dice che in ogni buona opera il giusto pecchi almeno venialmente o (cosa ancor più intollerabile) mortalmente e che per questo meriti le pene eterne; che egli non sia dannato a causa di questo soltanto, perchè Dio non imputa le sue opere per la dannazione: sia anatema (cf. 1539, 1481 sg.).

1576. 26. Se qualcuno dice che, per le opere buone compiute in Dio (Gv III,21), i giusti non debbano aspettarsi e sperare la ricompensa eterna da Dio, a causa della sua misericordia e dei meriti di Gesù Cristo, se perseverano fino alla fine nel fare il bene e nell’osservare i comandamenti divini (Mt X,22 Mt XXIV,13): sia anatema. (cf. 1538).

1577. 27. Se qualcuno dice che non c’è peccato mortale se non quello di infedeltà, o che la grazia una volta ricevuta non possa essere persa da nessun altro peccato, per quanto grave ed enorme, se non quello di infedeltà: sia anatema (cf. 1544).

1578. 28. Se qualcuno dice che una volta perduta la grazia a causa del peccato, allo stesso tempo si perda la fede per sempre, o che la fede che rimane non sia una vera fede, perché non è viva (Gc II,26), o che chi ha fede senza carità non sia Cristiano, sia anatema (cf. 1544).

1579. 29. Se qualcuno dice che chi è caduto dopo il Battesimo non possa risorgere con la grazia di Dio, o che possa certamente recuperare la giustizia perduta, ma per sola fede, senza il Sacramento della Penitenza, come finora è stato professato, custodito e insegnato dalla santa Chiesa romana universale, istruita da nostro Signore e dagli Apostoli: sia anatema (cf. 1542).

1580. 30. Se qualcuno dice che, avendo ricevuto la grazia della giustificazione, ad ogni peccatore penitente venga perdonata la colpa e cancellata la condanna alla pena eterna, cosicché non resti da espiare alcuna condanna alla pena temporale, né in questo mondo né in quello a venire nel Purgatorio, prima che si possa aprire l’ingresso al regno dei cieli, sia anatema (cf. 1543).

1581. 31. Se qualcuno dice che il giustificato pecchi nel fare il bene in vista di una ricompensa eterna, sia anatema (cf. 1539).

1582. 32. Se qualcuno dice che le opere buone dell’uomo giustificato sono doni di Dio, in modo che non siano anche meriti buoni del giustificato; o che, con le opere buone che egli compie per mezzo della grazia di Dio e i meriti di Cristo (di cui è membro vivente), il giustificato non meriti veramente un aumento di grazia, la vita eterna e (se muore in grazia) l’ingresso nella vita eterna, nonché un aumento di gloria: sia anatema)! (cf. 1548, 1545-1550).

1583. 33. Se qualcuno dice che, con questa dottrina cattolica sulla giustificazione esposta dal santo Concilio nel presente decreto, faccia torto in parte alla gloria di Dio o ai meriti di Gesù Cristo nostro Signore, e non piuttosto che in tal modo vengano messe in luce la verità della nostra fede e la gloria di Dio e di Cristo Gesù: sia anatema!

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII: (24) IL CONCILIO DI TRENTO. “SESSIONE VII”

IL SACRO CUORE DI GESÙ (66)

IL SACRO CUORE (66)

P. SECONDO FRANCO

SACRO CUORE DI GESÙ

TORINO – Tipgrafia di Giulio Speirani e fligli – 1875

V° per delegazione di Mons. Arciv. Torino, 1 maggio 1875, Can. Ferdinando Zanotti.

Qual sia il fine della devozione al Cuor NS. di Gesù.

Se la divozione al Cuor SS. di Gesù non avesse alcun fine speciale, ma fosse solo un rendere onore, gloria, adorazione al Cuore SS., sarebbe questo un fine oltre ogni dire eccellente e basterebbe per ogni cosa: ma Gesù nell’atto di manifestare questo culto, manifestò anche un suo speciale intendimento. Ed è che i fedeli onorino il suo Cuore in ispirito di riparazione per le offese che Egli riceve soprattutto nel Sacramento di amore. Per entrare in questo spirito considerate come Gesù 1° sia offeso dove meno dovrebbe essere; 2° con qual malizia; 3° e da quali persone. Donde ne conchiuderete quanto sia doverosa una sì santa riparazione.

I. Gesù non dovrebbe essere offeso nel Sacramento di amore. Non vi è mai stato né mai vi sarà tempo od occasione in cui si debba o si possa offendere Gesù: giacché la sola necessità che vi sia in Cielo ed in terra e negli abissi è quello di non offenderlo, anzi di amarlo. Tuttavia se potesse per impossibile trovarsi un tempo in cui fosse meno scellerato l’offenderlo, sarebbe quando Egli non pensasse a noi, oppure anche ci percuotesse. Ma offenderlo mentre ci ama, mentre ci dà la prova più affettuosa di un amore che tiene rapito in estasi di meraviglia tutto il Cielo, deh! Chi può pensare una scelleraggine così inaudita? Eppure è il nostro caso. Gesù nella Eucaristia prodiga le finezze dell’amor suo in modo tanto indicibilmente affettuoso che per crederlo ci vuole la certezza immutabile della fede. Qui Gesù dimentica di essere Dio, per trattare interamente alla dimestica coll’uomo. Qui è padre, qui è sposo, qui è amico, qui è amante, qui fa da medico, qui da pastore: qui si fa luce, qui medicina, qui vita, qui verità. Volete adorarlo? adoratelo. Volete accarezzarlo? accarezzatelo. Volete parlargli? parlategli. Volete abbracciarlo? abbracciatelo, stringetelo. Volete mangiarlo? ‘Non vi sarebbe mai caduto neppur in pensiero che fosse possibile: ma Egli vi assicura che potete mangiarlo, anzi lo vuole, anzi il comanda. Se considerate un momento la sua dignità naturale, la sua grandezza infinita vi parrà un amore sì nuovo, sì immenso, sì compiacente, sì umile che vi riempirà di stupore. Eppure questa è la verissima verità. Che cosa converrebbe adunque che si facesse dai Cristiani che conoscono un tanto vero se non se star di continuo intorno agli altari, fargli compagnia, visitarlo, adorarlo, riceverlo, anticipare qui sulla terra con Lui sacramentato, come diceva S. Teresa, quello che i Santi fanno con Gesù svelato nel Cielo? Egli è dunque chiaro che se in niun tempo ed in niun luogo ha da essere offeso Gesù, molto meno il dovrebbe essere in questo mistero.

II. Eppure qui è offeso con malizia smisurata.

Notò S. Tommaso opportunamente che quasi tutto il culto della S. Chiesa è rivolto al Mistero dell’Eucaristia: ed è chiaro, perocché il culto Cristiano essendo il culto di Gesù Cristo, e Gesù essendo in questo mistero presente, a Lui dovevano rivolgersi i suoi fedeli. Ora che è accaduto? In cambio di questo culto di amore, la moderna empietà ha trovato il modo di offendere Gesù Cristo sacramentato in se stesso ed in tutto quello che gli appartiene. Alcuni eretici hanno osato negare la presenza reale di Cristo nel Sacramento. Ma gli empi moderni negano perfino la possibilità di questo mistero, negando che Cristo sia Dio. E poi congiungendo con solenne contraddizione l’infedeltà al sacrilegio, alcuni di loro sono giunti ne’ tenebrosi loro convegni a profanare la Sacra Ostia in maniere indegnissime. Da questa empietà procede poi quell’odio che portano a tutto quello che al divin Sacramento si riferisce. Non vanno più essi al tremendo e tanto salutare Sacrificio della Messa, oppure vi vanno per riempire la Chiesa di scandali colle irriverenze, colle risate, colle beffe ai Ss. Misteri si sono staccati al tutto dalla Mensa Eucaristica che per loro non ha sapore di alcuna sorta, e si sforzano d’impedire anche gli altri di parteciparne. Le processioni nelle quali Gesù sacramentato andava a ricevere le laudi de’ suoi figliuoli ed a spargere la sua benedizione sopra le intere città muovono loro stomaco e fanno quanto possono per attraversarle, per impedirle. I Sacramenti sono tutti ordinati, dice S. Tommaso, al massimo di essi che è l’Eucaristia o come disposizioni o come frutti di esso: ed a questi, ma soprattutto alla Comunione portano un odio diabolico. Il Sacerdozio quasi a primario suo oggetto è istituito in ordine alla Consacrazione e contro il Sacerdozio avventano i loro strali infiammati. Gesù in una parola, ha raccolto come in compendio tutte le prove del suo timore nella divina Eucaristia, e l’empietà contro la divina Eucaristia ha raccolto tutto il suo fiele. Or chi consideri tutto ciò come non arriverà a comprendere la necessità che vi ha di riparazione? Chi non vedrà che non basta che noi amiamo Gesù per questo debito personale che abbiamo con Lui, aia che dobbiamo eziandio dare qualche compenso ad un amore si oltraggiato?

III. Gesù è offeso gravemente da chi meno dovrebbe offenderlo. Si lamentava Gesù pel Profeta del tradimento di Giuda con queste parole. Se fosse stato un mio nemico a maledirmi, l’avrei comportato: ma tu mio guidatore, tu mio famigliare, tu che sedevi meco alla mensa, oravi meco nel tempio… oh non posso comportarlo. Si ininiicus meus maledixisset mihi, sustinuissem utique. Tu vero homo unanimes, dux meus et notus meus, qui dulces  mecum capiebas cibos, in Domo Dei ambulavimus cum consensu. (Ps. LIV, 13, 15). Lo stesso può ripetere ora Gesù nel divin Sacramento e lo stesso di fatto ripeté nell’atto d’istituire la devozione al suo Cuore sacrosanto. Si lagnò dell’indifferenza, della freddezza, della ingratitudine che trova nelle anime dei fedeli. In fatti qual indifferenza maggiore di quella di tanti Cattolici, che non si possono spingere per veruna guisa alla S. Mensa? Una volta per Pasqua e poi sono contenti di avere un anno dinanzi a sé libero da quella noia e da quel peso. Quale freddezza maggiore di quella che si vede in tante anime che non si curano di una Messa fuori di quella imposta, quando potrebbero così bene intenderla ogni giorno! Quanti non si curano né punto né poco che Egli se ne stia chiuso ne’ santi tabernacoli e mai non lo visitano, quanti non si degnano mai di ricevere la sua benedizione e quando intervengono dinanzi a Gesù come vi stanno? Ritti in piè, tesi della persona, affettando autorità, trattandolo come non farebbero un loro pari. Oh che freddezza! Oh che ingratitudine! Eppure ci si lamenta di peggio, dice che anche anime a Lui consacrate non gli portano amore. Questi sono Sacerdoti senza spirito che nei tremendi misteri lo strapazzano, sia pel cuore indisposto che vi apportano, sia per la maniera con cui celebrano il gran Sacrificio. Questi sono Religiosi senz’anima che, dopo d’aver consacrato a Gesù la loro vita, si dimenticano di Gesù e tornano ad amare quel mondo che avevano abbandonato, e si portano al S. altare da quei mondani che sono. Queste sono Religiose che, avendo scelto Gesù per isposo ora ne sono annoiate, e dissipate nello spirito aspirano ai carnami putridi dell’Egitto, perché hanno perduto il sapor della manna celestiale. Povero Gesù tradito dai nemici, abbandonato dagli amici, ansante di carità senza trovare ormai più cuori che vogliano saper di Lui! Ah chi non aspirerebbe a consolare un poco Gesù volgendosi al suo Cuore per ripararlo con amore più fervido, con Comunioni più numerose con apparecchi più solleciti, con ringraziamenti più affettuosi? Sia questo l’effetto, o lettore, della vostra devozione al Cuor SS. di Gesù ché ne avrete in questo e l’atto ed il premio!

Cuore di Gesù, delizia del Padre.

Che il Padre celeste abbia amato tutti gli uomini smisuratamente noi lo abbiamo dall’Evangelio, il quale ci testifica che il Padre amò il mondo sino a dargli il suo divino Unigenito. In questo dono ben si può raccogliere qual fosse l’affetto verso di noi del donatore. Ma che cosa poteva amare in noi figliuoli d’ira, schiavi della colpa, mancipati a satanasso? È chiaro che Egli ci amò nel suo divino Unigenito e guardandoci in Lui, in Lui ci volle ed elesse. Quanto dunque non dovette amare questo suo Unigenito divino, quali compiacenze non dovette trovare nel suo buon Cuore.

Raccoglietelo 1° da quello che esso è in sé; 2° da quello che esso fa; 3° da quello che in Lui facciamo.

.I. Il Padre si compiace nel Cuore SS. Di Gesù per quello che esso è.

Non è dubbio che il Padre celeste abbia sulla terra avuto molti e grandi servi che l’hanno onorato di tutto cuore. Fin dall’antica legge i santi Patriarchi, gli Abrami, gli Isacchi, i Giacobbi, ed altri molti lor somiglianti: poi i Profeti ed i giusti cominciando da Mosè sino a Malachia formano una catena mai non interrotta di servi fedeli del Signore. Molti più ne ha avuti la legge nuova incominciando dai santi Apostoli fino ai nostri giorni. Che però? Può il Padre divino di tanti suoi figliuoli (eccettuata la gran Vergine Maria per singolar privilegio) gloriarsi che tutti siano sempre stati totalmente secondo il suo cuore? Ah molti di loro furono un tempo anche peccatori gravi: ma quelli che non furono tali, quante imperfezioni, quante debolezze, quante infedeltà non commisero verso il Signore! Un solo cuore fu veramente tutto e sempre ed unicamente suo, pel quale fu immacolato anche il Cuore di Maria, ed è quello del divino Unigenito Gesù. Esso non ebbe un palpito, un atto di volere, un principio qualsiasi di volontà che non fosse totalmente conforme al volere dell’eterno Padre. Tantoché il Profeta annunziò di Lui che la divina legge la portava sempre in mezzo al cuore. Legem tuam in medio cordis mei. Ps. XXIX, 9. Ben poté dunque ilPadre annunziare a tutte le genti chequesti era il Figliuolo di tutta la suacompiacenza. Hic est Filius meus dilectus in quo mihi bene complacui. Matth. XXVII, 5.Ma è poco il dire che il Cuore di Gesùmai non ebbe ombra di volontà alienadal Padre: perché è vero il dire che ebbetutte le doti che il Padre seppe volere edesiderare in Lui. Non parliamo del donoincreato della divina Persona, per cuiessendo la sua Umanità cosa propria delVerbo, quel Cuore a tutto rigore deve dirsiil Cuore di Dio, parliamo anche solo delledoti create di cui è ricco. Tutti i doni delloSpirito Santo lo abbelliscono, tutte le virtùin grado ed eccellenza impossibile ad arrivarsida mente umana, lo adornano, imeriti di tutte le varietà di opere e dipatimenti lo arricchiscono, quindi il Padreceleste riceve da quel Cuore tutta quellapienezza di adorazione, di ringraziamento,di preghiera, di amore, di annientamento,di fiducia, in una parola di affetti e diculto a cui ha diritto. E però chi può direquale sia la compiacenza che il Padre hain Lui e per Lui dal quale è con tanta sovrabbondanza riveritoed amato. Oh Gesù mi rallegro con voi che siate collocato in sì alto seggio, e vi prego ad offrire anche per me al Padre vostro e mio tutta la disposizione del vostro Cuore sacrosanto.

Il. Il Padre si compiace nel Cuore SS. di Gesù per quello che esso fa.

Il Padre, come abbiam detto, amò infinitamente gli uomini da tutta l’eternità e li avrebbe voluto collocare nel regno della via gloria. Ma che? Le ragioni della divina Giustizia si opponevano. Che cosa fece Gesù il quale amava il Padre e noi d’immenso amore? Tolse sopra di sé di fornire la grande opera della Redenzione. E cosi al Padre somministrò il modo di soddisfare alla divina Giustizia e di contentare la sua brama della nostra salvezza. In questo però quanto ebbe da fare il suo Cuore pietoso! Dovette abbandonarsi a tutti i patimenti che alla nostra salute erano richiesti, e però in tutto il corso della sua vita mortale ebbe a soffrire umiliazioni, nascondimento e poi calunnie, ingiurie, percosse, agonia e morte. Che lunghi strazi e quanto dolorosi! Né bastando a questo Cuore una redenzione qualunque, ma volendo che fosse sovrabbondante, copiosa apud eum redemptio. Ps. CXXIX, 7, accrebbe secondo il suo amore le pene che per noi prese. Lasciò che il suo Cuore fosse ad un tempo straziato dai dolori, sopraffatto dalla tristezza, angustiato dalle noie, naufrago in un mare di non più intese carneficine. Or il Padre che conosceva tutto ciò che faceva per noi Gesù acciocché ridondasse alla sua gran gloria, come non dovette formare di quel Cuor divino l’oggetto delle sue più amorose compiacenze? E come non sarà per noi altrettanto, quando siamo quelli che ne godiamo tutti i vantaggi? Oh chi internandosi in quel Cuore amoroso vedesse quello che Egli ha fatto e patito per noi, dovrebbe pure una volta sentirgliene qualche riconoscimento e rendergliene qualche amore!

III. Per quello che facciamo in Lui. Ma la compiacenza del Padre doveva avere se non una intensità maggiore, una più larga estensione. Il Padre celeste stende le sue compiacenze dal suo Gesù anche a tutti quelli che appartengono a Gesù e ciò per amore di lui. Ora sapendo ciò Gesù Cristo prese ad amarci ardentemente con che trasse il suo Padre ad amare anche noi per quanto ne fossimo indegni. Fece di più. Dal tesoro del suo Cuore versò in noi tutte quelle qualità che potessero renderci amabili. Niuno vi ha tra i Cristiani che ignori che Gesù è la cagione meritoria non solo di tutte le grazie che noi riceviamo. Ma eziandio la fonte, la sorgente, o per parlar coll’Apostolo, la pienezza dalla quale tutti attingiamo. De plenitudine eius nos omnes accepimus. Joan. 1, 16. Quanti non sono i carismi, i doni, le maniere di santificazioni che rendono le anime accette a Dio! Or tutte queste grazie provengono dal suo Cuore. Per la carità e lo zelo onde rifulgono, i santi Apostoli sono le prime stelle del firmamento. Or tutta quella carità e zelo è una comunicazione che loro fa il Cuore divino. I santi Martiri sono insigni per la costanza e fortezza onde sostennero la S. Fede e formano le ammirande legioni che ora glorificano la divina Maestà. Ma tutta quella fortezza è una partecipazione di quella fortezza smisurata onde Gesù Cristo li ha agguerriti. Dite lo stesso delle opere dei santi Confessori, delle sante Vergini, di tutti i Giusti. Tanta virtù esercitata con sì eroica perfezione, tante opere di gloria divina condotta con intenzione sì pura, tante infermità, travagli, persecuzioni, tollerate con sì intera rassegnazione e costanza sono un inno di lande perenne alla Maestà divina: ma sono tutte virtù che dal Cuore divino sono provenute, sono state partecipate, poniamo pure che abbiano trovato fedeltà nella cooperazione. E però quanta estensione di gloria per tutta la SS. Ed Augustissima Trinità la quale tutta provenne dal Cuore di Gesù Cristo! Si può dire che Gesù non contento di quanto aveva fatto Egli in Persona a lande del Padre, si venne come moltiplicando in tanti servi suoi fedeli e tutti accese e tutti infiammò di amore per Lui, acciocché in tutti i secoli, la tutti i luoghi, da tutte le genti si esaltasse e magnificasse la Maestà divina. Ora essendo questa glorificazione divina tutto quello che può volere dagli uomini il Padre nostro che sta nei cieli, con quanto suo diletto debba mirare quel Cuore che dopo d’avere agli nomini meritato tanto bene, si è così tanto suo amore adoperato, perché gli uomini di fatto lo amassero e servissero sì perfettamente? Ah non credo di aver torto dicendo che il Cuore divino è la delizia del Padre celeste. Così ci concediate, o Gesù, che conformandoci col vostro Padre divino formiamo anche noi del vostro Cuore ogni nostra delizia.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (22): “da PIO II a LEONE X”

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (21)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

(da Pio II a Leone X)

PIO II: 19 Agosto 1458 – 14 agosto 1464

Condanna le proposte di Zanino de Solcia nella lettera “cum sicut accepimus“. 14 novembre 1459.

Errori di Zanino di Solcia.

1361. (1) Il mondo deve consumarsi e finire in modo naturale, il calore del sole consuma l’umidità della terra e dell’aria in modo che gli elementi si incendino.

1362. (2) E tutti i Cristiani devono essere salvati.

1363. (3) E ancora: Dio ha creato un altro mondo oltre a questo, e al tempo di quest’ultimo esistevano molti altri uomini e donne, e che quindi Adamo non era il primo uomo.

1364. (4) Allo stesso modo, Gesù Cristo non soffrì e morì per la redenzione per amore degli uomini, ma per la necessaria influenza delle stelle.

1365. (5) Allo stesso modo, Gesù Cristo, Mosè e Maometto hanno governato il mondo secondo il loro buon gusto.

1366. (6) Allo stesso modo: nostro Signore Gesù Cristo è nato illegittimo e non è nell’Ostia consacrata secondo l’umanità, ma solo secondo la divinità.

1367. (7) La lussuria al di fuori del matrimonio è un peccato solo a causa della sua proibizione da parte delle leggi positive, che quindi hanno regolato le cose meno bene, ed è solo per la sua proibizione da parte della Chiesa che gli viene impedito di seguire l’opinione di Epicuro come vera.

1368. (8) Inoltre: portare via le cose altrui non è un peccato mortale, anche se viene fatto contro la volontà del proprietario.

1369. (9) Infine, la Legge cristiana avrà fine attraverso la successione di un’altra Legge, così come la Legge di Mosè ebbe fine attraverso la Legge di Cristo.

Bolla “Exsecrabilis” 18 gennaio 1460 (1459 secondo il conteggio fiorentino).

La richiesta di un Concilio generale da parte del Papa.

1375. In questo tempo burrascoso è sorto quell’abuso esecrabile sconosciuto nei tempi antichi, per cui alcuni, pervasi da spirito di ribellione, non per desiderio di un giudizio più sano, ma per sfuggire a un peccato che hanno commesso, osano appellarsi al Romano Pontefice, il Vicario di Cristo, al quale fu detto nella persona del beato Pietro: “Pasci le mie pecorelle”, (Gv XXI: 17), e: “Tutto ciò che legherai sulla terra, sarà legato anche in cielo”, (Mt XVI: 19), per un futuro concilio. … Perciò, volendo respingere questo pernicioso veleno dalla Chiesa di Cristo…, condanniamo appelli di questo tipo e li riproviamo come erronei e detestabili”.

Bolla “Ineffabilis summi Providentia Patris“, 1º agosto 1464

Il sangue di Cristo nei tre giorni della morte.

1385. .. In virtù dell’Autorità Apostolica, stabiliamo e ordiniamo che d’ora in poi nessuno dei suddetti frati (Minori e Predicatori) sia autorizzato a discutere, predicare o parlare pubblicamente o privatamente della suddetta questione dubbia, o di persuadere altri che è manifestamente un’eresia o un peccato ritenere o credere (come si presuppone) che il santissimo Sangue sia stato in qualche modo separato o distinto dalla Divinità durante i tre giorni della Passione di nostro Signore Gesù Cristo, e questo fino a quando con una decisione riguardante questo dubbio non sarà stato definito da Noi e dalla Sede Apostolica ciò che si debba ritenere.

PAOLO II: 30 agosto 1464-26 luglio 1471

SISTO IV: 9 agosto 1471 – 12 agosto 1484.

Proposte di Pietro da Rivo condannate nella bolla “Ad Christi vicariidel 3 gennaio – 1474 testo di ritrattazione.

Errori sulla verità degli eventi futuri.

1391. (1) Quando in Luca I Elisabetta parla e dice alla beata Vergine Maria “Beata te che hai creduto, perché si compirà in te ciò che ti è stato detto dal Signore” (Lc I, 45), sembra sottintendere che queste proposizioni, cioè “Partorirai un figlio e lo chiamerai Gesù, sarà grande” ecc. (Lc I,31ss). non fossero ancora vere.

1392. (2) Allo stesso modo, quando alla fine di Luca Cristo dice, dopo la risurrezione: “Bisogna che si compia tutto ciò che è stato scritto su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi” (Lc XXIV, 44), sembra aver sottinteso che tali affermazioni erano prima prive di verità.

1393. (3) Allo stesso modo, Eb 10, dove l’Apostolo dice: “La legge è un abbozzo dei beni futuri” e “non un’espressione delle realtà stesse” Eb 10,1, sembra implicare che le proposizioni dell’antica Legge, che riguardano il futuro, non avevano ancora una verità certa.

1394. (4) Allo stesso modo, per la verità di una proposizione riguardante il futuro non è sufficiente che una cosa sia, ma si richiede che sia senza alcun ostacolo.

1395. (5) Allo stesso modo è necessario dire una delle due cose: o che non c’è alcuna verità attuale o effettiva negli articoli di fede riguardanti il futuro, o che ciò che è significato da essi non potrebbe essere impedito dalla volontà divina.

1396. (Censura🙂 scandalose e devianti dal cammino della fede cattolica.

Bolla “Salvator noster” a favore della Chiesa di San Pietro di Saintes, 3 agosto 1875.

Indulgenze per i defunti.

1398. E per procurare la salvezza delle anime, specialmente in un momento in cui esse sono più che mai bisognose dell’aiuto degli altri e meno che mai capaci di aiutare se stesse, desideriamo, in virtù della nostra Autorità Apostolica, venire in aiuto, con il tesoro della Chiesa, alle anime del Purgatorio che, avendo lasciato la luce del giorno unite a Cristo dall’amore, hanno meritato, durante la loro vita, di ricevere tale indulgenza. Con affetto paterno, per quanto ci è possibile presso Dio, concediamo e accordiamo, confidando nella misericordia e nella pienezza del potere divino, che se parenti, amici o altri devoti seguaci di Cristo diano – a beneficio delle anime che in Purgatorio sono esposte al fuoco per l’espiazione delle pene dovute al peccato – durante il suddetto periodo di dieci anni e al momento della visita della chiesa una determinata somma o valore per la riparazione della Chiesa di Saintes come ordinato dal decano e dal capitolo della suddetta chiesa o dal nostro collettore, o se la inviano per mezzo di un messaggero da loro scelto durante lo stesso periodo di dieci anni, vogliamo che questa indulgenza plenaria a titolo di suffragio (1405) sia per la remissione dei peccati di quelle anime del purgatorio per le quali – come si presuppone – sarà stata pagata la suddetta somma di denaro o di valore, e che sia a loro beneficio.

Costituzione “Cum præexcelsa” 27 febbraio 1477 (1476 secondo il secondo il computo della corte)

L’Immacolata Concezione di Maria.

1400 . Quando esaminiamo, con la dovuta considerazione, i segni insuperabili dei meriti con cui la Regina dei Cieli, la gloriosa Maria Madre di Dio, portata alle altezze del cielo, risplende tra le stelle come la stella del mattino. … riteniamo degno, anzi doveroso, invitare tutti i fedeli di Cristo, per il perdono e la remissione dei loro peccati, a rendere grazie e lode a Dio onnipotente per la mirabile concezione della Vergine Immacolata. La sua provvidenza, considerando da tutta l’eternità l’umiltà di questa Vergine, volendo riconciliare con il suo Creatore la natura umana sottoposta alla morte dalla caduta del primo uomo, l’ha resa dimora del suo unico Figlio preparandola per mezzo dello Spirito Santo; da Lei ha potuto assumere la carne della nostra condizione mortale per redimere il suo popolo, pur rimanendo vergine dopo il parto. Invitiamo i fedeli a celebrare la Messa e gli altri uffici divini istituiti a questo scopo nella Chiesa di Dio, e a frequentarli, affinché per i meriti e l’intercessione di questa stessa Vergine diventino degni della grazia divina.

Enciclica “Romani Pontificis Provida“, 27 novembre 1477.

Il significato delle parole “per modum suffragii” (“per modalità di suffragio”)

1405. Ci è stato quindi riferito negli ultimi mesi che, in occasione della pubblicazione dell’indulgenza concessa in altra occasione alla Chiesa dei Santi (cf. 1398), siano sorti diversi scandali e pericoli, e che alcuni predicatori … hanno interpretato male i nostri scritti e che, in occasione della suddetta indulgenza da Noi concessa a titolo di suffragio per le anime del Purgatorio, hanno affermato e affermano ancora pubblicamente che non sia più necessario pregare o presentare pii suffragi per queste anime. Di conseguenza, molti sono stati trattenuti dal fare la cosa giusta. Volendo scongiurare tali scandali ed errori, in virtù del nostro ufficio di pastore, abbiamo scritto a vari prelati di questa regione per spiegare ai fedeli di Cristo che questa indulgenza plenaria in suffragio delle anime del purgatorio sia stata da Noi concessa non perché gli stessi fedeli di Cristo siano trattenuti dal compiere opere pie e buone, ma perché essa giovi, a titolo di suffragio, alla salvezza delle anime, e che questa indulgenza giovi tanto quanto se per la salvezza di queste anime si facessero o si offrissero devote preghiere e pie elemosine.

1406. Poco tempo fa, tuttavia, abbiamo appreso, non senza grande dispiacere per il nostro cuore, che alcuni abbiano interpretato queste parole in modo meno giusto e del tutto diverso da quella che era ed è la Nostra intenzione… Infatti Noi… non abbiamo scritto e spiegato ai suddetti prelati che la suddetta indulgenza plenaria sembri giovare alle anime del Purgatorio tanto quanto se si facessero devote preghiere e pie elemosine. Non che fosse o sia nostra intenzione o che volessimo dedurre che l’indulgenza non giovi e non possa giovare più delle elemosine e delle preghiere, o che le elemosine e le preghiere giovino e possano giovare quanto un’indulgenza a suffragio, poiché sappiamo che le preghiere e le elemosine sono ben lontane da un’indulgenza a suffragio; ma abbiamo detto che vale “quanto”, cioè nel modo, “come se”, cioè nel modo in cui valgono le mie preghiere e le mie elemosine. E poiché le preghiere e le elemosine valgono come suffragi per le anime, Noi, ai quali è stata conferita dall’Alto la pienezza del potere, desiderando portare alle anime del Purgatorio aiuti e suffragi attinti dal tesoro della Chiesa universale, che consiste nei meriti di Cristo e dei suoi Santi e che ci è stato affidato, abbiamo concesso la suddetta indulgenza in modo tale che i fedeli stessi presentino questi suffragi per le anime che i defunti non possono più presentare da sole. Questo è ciò che abbiamo pensato e pensiamo nei nostri scritti…

1407. Come dunque il nostro santo e lodevole desiderio non può essere condannato da nessuno a ragion veduta, così anche l’intenzione e la sana comprensione che mirano solo ad un bene manifesto non devono essere combattute con l’ambiguità, poiché secondo la regola della scienza teologica ogni proposizione che contenga un significato dubbio deve sempre essere intesa secondo il significato che porti ad un’affermazione vera. Pertanto… decidiamo e dichiariamo d’ufficio che in tutti i nostri scritti la nostra intenzione è sempre stata ed è anche ora che questa indulgenza plenaria a titolo di suffragio per le anime che soggiornano in Purgatorio, così concessa, sia utile e proficua nel modo in cui la posizione comune dei Dottori riconosce che sia utile e proficua.

Proposte di Pietro d’Osma condannate nella Bolla “Licet ea quae de nostro mandato”, 9 agosto 1479.

Errori relativi alla Confessione sacramentale e alle Indulgenze

1411. (1) La confessione dei peccati in dettaglio, che in realtà deriva da uno statuto della Chiesa universale, non è conosciuta per diritto divino.

1412. (2) Per quanto riguarda la colpa e la pena, i peccati mortali sono cancellati nell’altro mondo senza Confessione, con la sola contrizione del cuore,

1413. (3) e i pensieri depravati sono cancellati dal solo dispiacere.

1414. (4) Non è necessario che la Confessione sia segreta.

1415. (5) Chi si confessa non deve essere assolto prima di aver completato la penitenza.

1416. (6) Il Romano Pontefice non può rimettere le pene del Purgatorio…

1417. (7) né dispensare da ciò che sia stato stabilito dalla Chiesa universale.

1418. (8) Per quanto riguarda la collazione della grazia, il Sacramento della penitenza è un sacramento di natura, ma non di istituzione del vecchio o del nuovo Testamento.

1419. (Censura🙂 Per maggiore prudenza, dichiariamo… che le suddette proposizioni siano false, ognuna di esse, contrarie alla santa fede cattolica, erronee e scandalose, del tutto estranee alla verità del Vangelo, e contrarie anche ai decreti dei santi Padri ed alle altre Costituzioni apostoliche, e che contengono una manifesta eresia.

Costituzione “Grave nimis“, 4 settembre 1483.

L’Immacolata Concezione di Maria.

1425. – Sebbene la santa Chiesa romana celebri pubblicamente e solennemente la festa della Concezione dell’Immacolata e sempre Vergine Maria, e abbia istituito per essa un ufficio speciale e particolare, alcuni predicatori di vari ordini, come abbiamo appreso, non si sono vergognati finora di affermare pubblicamente al popolo di varie città e regioni, e non cessano di predicare ogni giorno, che tutti coloro che ritengano o affermino che questa stessa gloriosa e immacolata Madre di Dio fu concepita senza la macchia del peccato originale, sono mortalmente peccatori o eretici, e che sono mortalmente peccatori o eretici se celebrano l’ufficio di questa Immacolata Concezione e ascoltano le prediche di coloro che affermano che fosse concepita senza questa macchia.

1426. … Con l’intenzione di opporsi a queste temerarie audacie… riproviamo e condanniamo – di nostra iniziativa, non su richiesta di alcuna petizione presentateci in merito, ma unicamente in seguito ad una nostra deliberazione e ad una conoscenza certa – le affermazioni di questi e di altri predicatori, chiunque essi siano, che osano affermare che coloro che credono e sostengono che la madre di Dio sia stata preservata dal peccato originale nel suo concepimento, si macchierebbero di eresia o peccherebbero mortalmente, o che se celebrassero questo servizio del concepimento o ascoltassero queste prediche incorrerebbero nella colpa di un peccato; Queste affermazioni Noi le riproviamo e le condanniamo, in virtù dell’Autorità Apostolica, come false, erronee e totalmente contrarie alla verità, così come i suddetti libri che sono stati pubblicati con questo contenuto. Sottoponiamo alla stessa pena e censuriamo coloro che osino affermare che coloro che sostengono l’opinione contraria, cioè che la gloriosa Vergine Maria non sia stata concepita senza peccato originale, sono colpevoli di eresia o di peccato mortale, dal momento che la questione non è ancora stata decisa dalla Chiesa romana e dalla Sede Apostolica.

INNOCENZO VIII:

29 agosto 1484 – 25 giugno 1484

Bolla “Exposit tuæ devotionis” a Jean de Cirey, Abate del monastero di Citeaux, diocesi di Chalon-sur-Saône, 9 aprile 1489

L’estensione del potere d’ordine del Sacerdote.

1435. Come Ci è stato reso noto da una richiesta presentataci poco tempo fa da voi, a voi e agli abati dei quattro monasteri summenzionati è stata concessa, in virtù dei privilegi e degli indulti apostolici, per il tempo del loro ufficio, l’autorizzazione a conferire tutti gli Ordini minori alle persone di quell’Ordine all’interno dei monasteri summenzionati, a benedire le tovaglie dell’altare ed altri ornamenti della Chiesa, a usare la mitra, l’anello e le altre insegne pontificie, nonché di impartire nei propri monasteri e negli altri monasteri o priorati a loro soggetti, e nelle chiese parrocchiali o di altro tipo a loro appartenenti in tutto o in parte, anche se non sono a loro soggette di diritto, una benedizione solenne dopo la celebrazione della Messa, dei Vespri e del Mattutino, a condizione che nessun Vescovo o legato della Sede Apostolica sia presente a tale benedizione. .. : Noi, che circondiamo questo ordine prima degli altri con un amore affettuoso e che intendiamo gratificarlo con grazie e privilegi non inferiori a quelli concessi dai nostri predecessori, essendo disposti a rispondere alle vostre richieste in merito, vi concediamo come favore speciale, in virtù dell’Autorità Apostolica e della conoscenza certa, a voi e ai vostri successori e ai suddetti Abati degli altri quattro suddetti monasteri, affinché ora e durante il tempo in cui saranno in carica, voi e loro possiate in futuro benedire liberamente e legittimamente i suddetti paramenti ed ornamenti ecclesiastici e tutti gli altri. .. consacrare i calici… … , consacrare gli altari in tutti i luoghi dell’ordine con il santo crisma precedentemente ricevuto da un Vescovo cattolico, e dare anche la solenne benedizione dopo la celebrazione della Messa, dei Vespri e dei Mattutini, e in modo che i monaci del suddetto ordine non siano costretti a correre qua e là fuori dal monastero, per ricevere gli Ordini di suddiaconato e diaconato, potete regolarmente conferire questi altri Ordini di suddiaconato e diaconato a coloro che ritenete idonei, voi e i vostri successori, a tutti i monaci del suddetto ordine, e i quattro suddetti Abati e i loro successori ai religiosi dei suddetti monasteri. ..

ALESSANDRO VI: 11 agosto 1492-18 agosto 1503

PIO III: 22 settembre-18 ottobre 1503.

GIULIO II: 31 ottobre 1503-21 febbraio 1513.

5° Concilio Lateranense (18° ecumenico) 3 maggio 1512-16 marzo 1517

Continuazione del V Concilio Lateranense sotto LEONE X

LEONE X: 11 marzo 1513-1 dicembre 15

8a sessione: Bolla “Apostolici regiminis“.

Dottrina sull’anima umana, contro i neo-aristotelici

1440. Ai nostri giorni… il seminatore di malizia, l’antico nemico del genere umano (Mt XIII,25), ha osato di nuovo seminare e moltiplicare nel campo del Signore errori molto perniciosi, che sono sempre stati respinti dai fedeli, riguardo all’anima, e principalmente all’anima ragionevole, cioè che è mortale e unica in tutti gli uomini. E ci sono alcuni che, indulgendo avventatamente alla filosofia, sostengono che ciò sia vero, almeno secondo la filosofia: volendo applicare un rimedio efficace contro questa pestilenza, con l’approvazione di questo santo Concilio, condanniamo e rimproveriamo tutti coloro che affermIno che l’anima intellettiva è mortale o unica in tutti gli uomini, o che siano in dubbio su questo argomento. Infatti, non solo è realmente, intrinsecamente ed essenzialmente una forma del corpo umano, come afferma il canone del nostro predecessore, Papa Clemente V, pubblicato nel Concilio di Vienna (cf. 902), ma è in verità immortale, soggetta alla molteplicità secondo la molteplicità dei corpi in cui è infusa, effettivamente moltiplicata, e soggetta ad essere moltiplicata in futuro…

1441. Poiché la verità non può in alcun modo essere contraria alla verità, definiamo quindi completamente falsa qualsiasi affermazione contraria alla verità della fede illuminata, e vietiamo con il massimo rigore che venga insegnata una posizione diversa. E stabiliamo che tutti coloro che aderiscano all’affermazione di tale errore, diffondendo così le eresie più condannabili, siano assolutamente evitati e puniti, in quanto detestabili e abominevoli eretici ed infedeli che minano la fede cattolica.

10a sessione, 4 maggio 1515: Bolla “Inter multiplices

L’usura e i monti di pietà.

1442. Alcuni maestri e dottori affermano che questi monti non siano leciti quando, dopo un certo tempo, gli amministratori di tali monti esigano dai poverissimi a cui viene fatto il prestito qualcosa di più del capitale; per questo motivo, questi monti non sfuggirebbero al crimine di usura… poiché nostro Signore, come attesta l’Evangelista Luca (VI, 34ss.), ci ha obbligato con un chiaro precetto a non aspettarci da un prestito più del capitale. Infatti, l’usura si verifica proprio quando, in seguito all’uso di una cosa che non produce frutti, ci si sforza di ottenere un surplus e un frutto senza sforzo, senza costi e senza rischi. …

1443. Molti altri maestri e dottori affermano… che, per un bene così grande e così necessario alla cosa pubblica, non si debba pretendere o sperare nulla a causa del solo prestito, ma che, per compensare questi stessi monti per le spese degli stessi amministratori e per tutto ciò che è connesso al loro necessario mantenimento, sia permesso, senza lucro e purché sia necessario e moderato, esigere e prendere qualcosa da coloro che sono beneficiati da tale prestito, poiché la norma di legge prevede che chi beneficia del beneficio debba anche sopportarne l’onere, soprattutto quando l’autorità apostolica acconsenta. Questi ultimi maestri e dottori mostrano, inoltre, che questa posizione è stata approvata dai nostri predecessori, i Pontefici Romani di felice memoria, Paolo II, Sisto IV, Innocenzo VIII, Alessandro VI e Giulio II.

1444. Desideriamo, quindi, trattare la questione in modo corretto, da un lato, per una preoccupazione di giustizia, per non aprire l’abisso dell’usura, e, dall’altro, per amore della pietà e della verità, per provvedere alle necessità dei poveri. Tenendo presenti queste due preoccupazioni, che sembrano riguardare la pace e la tranquillità di ogni repubblica cristiana, e con l’approvazione del santo Concilio, dichiariamo e definiamo che i suddetti monti di pietà, creati dalle repubbliche e da allora approvati e confermati dall’autorità della Sede Apostolica in cui, come compenso e indennizzo per le sole spese sostenute per la loro amministrazione e per altre cose connesse al loro mantenimento, si riceva qualcosa di moderato in aggiunta al prestito, senza profitto e a titolo di indennizzo, non presentano alcuna apparenza di male, non incitano al peccato e non sono in alcun modo da condannare; Inoltre, dichiariamo e definiamo che tale prestito sia meritorio, da lodare e approvare, e in nessun modo da considerare usurario. .. Vogliamo che tutti coloro… che d’ora in poi oseranno predicare o argomentare, oralmente o per iscritto, contro la presente dichiarazione e decisione… incorrano nella pena della scomunica, che è già stata inflitta…

11a sessione, 19 dicembre 1516 – Bolla “Pastor aeternus gregem“.

Il rapporto tra il Papa e il Concilio.

1445. Riteniamo che non possiamo e non dobbiamo, senza venir meno alla nostra coscienza…, essere trattenuti o impediti dal revocare questa Sanzione (pragmatica) (di Bourges) che è così dannosa, né ciò che contiene. Il fatto che questa stessa Sanzione e il suo contenuto siano stati pubblicati al Concilio di Basilea e che, mentre il Concilio era in sessione, siano stati ricevuti e accettati dall’assemblea di Bourges, non deve impressionarci, poiché tutto ciò è stato fatto dopo il trasferimento dello stesso Concilio di Basilea (a Ferrara, il 18 settembre 1437) da parte di Papa Eugenio IV, nostro predecessore, attraverso il conciliabolo di Basilea… e quindi non poteva più avere alcun valore. Infatti, non solo dalla testimonianza della Sacra Scrittura, dalle affermazioni dei Santi Padri e degli altri Romani Pontefici, nostri predecessori, e dai decreti dei sacri canoni, ma anche per ammissione degli stessi Concili, è chiaro che solo il Romano Pontefice in carica, in virtù del fatto che ha autorità su tutti i Concili, abbia pieno diritto e potere di convocare, trasferire e sciogliere i Concili…

Decreto “Cum postquam” a Cajetan de Vio, legato pontificio, 9 novembre 1518.

Indulgenze

1447. … Affinché in futuro nessuno possa invocare l’ignoranza della dottrina della Chiesa romana riguardo a queste indulgenze e alla loro efficacia, né accampare scuse con il pretesto dell’ignoranza, né ricorrere ad una protesta priva di fondamento, ma affinché queste persone siano convinte di essere colpevoli di una notoria menzogna e giustamente condannate, abbiamo ritenuto di dovervi indicare con questa lettera ciò che la Chiesa romana, che gli altri devono seguire come loro madre, abbia insegnato.

1448. Il Romano Pontefice, successore di Pietro, detentore delle chiavi e Vicario di Gesù Cristo sulla terra, in virtù del potere delle chiavi che aprono il Regno dei Cieli, toglie ai fedeli ciò che li ostacola, cioè la punizione e la pena dovuta per i peccati attuali: La Chiesa può, per giusti motivi, concedere a questi fedeli, membri di Cristo attraverso il vincolo della carità, sia che si trovino in questa vita sia che si trovino in Purgatorio, indulgenze tratte dalla sovrabbondanza dei meriti di Cristo e dei Santi. Quando, in virtù della sua Autorità Apostolica, concede indulgenze sia per i vivi che per i morti, distribuisce secondo la sua consuetudine il tesoro dei meriti di Gesù Cristo e dei Santi, applicando l’indulgenza stessa con l’assoluzione o applicandola per intercessione. Pertanto tutti coloro, vivi o defunti, che hanno veramente ricevuto questa indulgenza, sono liberati dalla pena temporale dovuta, secondo la giustizia divina, per i loro peccati attuali, nella misura equivalente all’indulgenza concessa o acquisita.

1449. E decretiamo, in virtù dell’Autorità Apostolica e del tenore delle presenti, che così tutti debbano pensare e predicare sotto pena di scomunica latae sententiae.

Bolla “Exsurge Domine“, 15 giugno 1520.

Errori di Martin Lutero.

1451. (1) È un’opinione eretica ma frequente che i sacramenti della Nuova Legge diano la grazia santificante a coloro che non la ostacolano.

1452. (2) Negare che il peccato rimanga in un neonato dopo il battesimo significa calpestare sia Paolo che Cristo.

1453. 3. la concentrazione del peccato impedisce l’ingresso in paradiso dell’anima che lascia il corpo, anche se non c’è un peccato vero e proprio.

1454. 4. la carità imperfetta del morente include necessariamente una grande paura, che da sola è sufficiente a provocare la pena del Purgatorio, e che impedisce l’ingresso in Paradiso.

1455. 5. Le tre parti della penitenza, contrizione, confessione e soddisfazione, non hanno alcun fondamento né nella Sacra Scrittura né negli antichi Dottori del Cristianesimo.

1456. 6. La contrizione, che si prepara cercando, ricapitolando e detestando i peccati, quando si ripensa alla propria vita nell’amarezza del cuore, (Is 38,15), soppesando la gravità, il numero e la bruttezza dei peccati, vedendo la beatitudine eterna perduta e la dannazione eterna subita, questa contrizione rende ipocriti e ancora più peccatori.

1457. 7. Molto vero e più eccellente di tutti gli insegnamenti finora dati sui tipi di contrizione è il proverbio: “Non fare il male in futuro è una penitenza sovrana; la migliore penitenza è una nuova vita”.

1458. 8. Non presumete in alcun modo di confessare i peccati veniali e nemmeno tutti i peccati mortali, perché è impossibile conoscere tutti i vostri peccati mortali. Ecco perché nella Chiesa primitiva si confessavano solo i peccati mortali manifesti.

1459. 9. Quando vogliamo confessare chiaramente tutti i nostri peccati, intendiamo non permettere che nulla sia perdonato dalla misericordia di Dio.

1460. 10. A nessuno vengono rimessi i peccati se non crede che siano rimessi quando il Sacerdote li rimette; inoltre, il peccato rimarrebbe se non si credesse che è rimesso; perché non bastano la remissione dei peccati e l’elargizione della grazia, ma occorre ancora credere che il peccato sia rimesso.

1461. 11. Non dovete assolutamente credere di essere assolti grazie alla vostra contrizione, ma grazie alla parola di Cristo: “Quello che perderete”, ecc. (Mt 16,19). Perciò vi dico: se avete ottenuto l’assoluzione dal Sacerdote e credete fermamente di essere assolti, sarete veramente assolti, qualunque sia la contrizione.

1462. 12. Se per impossibilità un penitente non fosse contrito, o se il sacerdote non lo abbia assolto seriamente, ma per scherzo, se tuttavia il penitente si crede assolto, lo è veramente.

1463. 13. Nel sacramento della penitenza e nella remissione dei peccati, il Papa o un Vescovo non fa più del più piccolo dei sacerdoti; inoltre, dove non c’è un Sacerdote, qualsiasi cristiano, anche una donna o un bambino, può fare lo stesso.

1464. 14. Nessuno è tenuto a rispondere al Sacerdote che è contrito, e il Sacerdote non deve chiederlo.

1465. 15. Grande è l’errore di coloro che si accostano al sacramento dell’Eucaristia confidando di essersi confessati, di non essere a conoscenza di alcun peccato mortale, di aver fatto preghiere e preparazioni precedenti: tutti questi mangiano e bevono il loro giudizio. Ma se credono e confidano di ottenere la grazia, questa sola fede li rende puri e degni.

1466. 16. Sembra opportuno che la Chiesa decida in un concilio comune di dare la comunione ai laici sotto entrambe le specie, e i boemi che prendono la comunione sotto entrambe le specie non sono eretici ma scismatici.

1467. 17. I tesori della Chiesa con cui il Papa concede le indulgenze non sono i meriti di Cristo e dei Santi.

1468. 18. Le indulgenze sono una pia frode ai danni dei fedeli e una dispensa dalle opere buone; sono del numero delle cose permesse, non del numero delle cose utili.

1469. 19. Le indulgenze, per coloro che le guadagnano veramente, non hanno alcun valore nel rimettere la pena dovuta per i peccati attuali davanti alla giustizia di Dio.

1470. 20. Sbagliano coloro che credono che le indulgenze siano salutari e utili per il profitto spirituale.

1471. 21. Le indulgenze sono necessarie solo per gravi reati pubblici, e sono concesse in realtà solo agli induriti e agli impazienti.

1472. 22. Ci sono sei tipi di uomini per i quali le indulgenze non sono né necessarie né utili: i morti o i moribondi, gli ammalati, coloro che hanno un legittimo impedimento, coloro che non hanno commesso colpe gravi, coloro che hanno commesso colpe gravi ma non pubbliche e coloro che compiono opere migliori.

1473. 23. Le scomuniche sono solo pene esterne e non privano un uomo delle comuni preghiere spirituali della Chiesa.

1474. 24. I Cristiani devono essere educati ad amare la scomunica piuttosto che a temerla.

1475. 25. Il Romano Pontefice, successore di Pietro, non è il Vicario di Cristo istituito da Cristo stesso, nella persona di Pietro, su tutte le Chiese del mondo intero.

1476. 26. Le parole di Cristo a Pietro “qualunque cosa tu leghi sulla terra, ecc.”. (Mt XVI,19) si estende solo a ciò che Pietro stesso ha legato.

1477. 27. È certo che non è in alcun modo in potere della Chiesa o del Papa stabilire articoli di fede, tanto meno leggi riguardanti la morale o le buone opere.

1478. 28. Se il Papa pensasse a questa o quella questione con gran parte della Chiesa, non sbaglierebbe; tuttavia non è né peccato né eresia pensarla diversamente, soprattutto in una materia non necessaria alla salvezza, finché il Concilio universale non abbia condannato un’opinione e approvato l’altra.

1479. 29. È aperta la strada per minare l’autorità dei Concili, per contraddire i loro atti, per giudicare i loro decreti, per confessare con fiducia ciò che sembra essere vero, sia che sia stato approvato o disapprovato da qualche Concilio.

1480. 30. Alcuni articoli di Giovanni Hus che sono stati condannati nel Concilio di Costanza sono del tutto cristiani, verissimi ed evangelici: nemmeno tutta la Chiesa potrebbe condannarli.

1481. 31. In ogni opera buona il giusto pecca.

1482. 32. Un’opera buona perfettamente compiuta è un peccato veniale.

1483. 33. Che gli eretici siano stati bruciati è contrario alla volontà dello Spirito.

1484. 34. Combattere contro i Turchi significa opporsi a Dio che, attraverso di loro, si prende cura delle nostre iniquità.

1485. 35. Nessuno è certo di non peccare incessantemente per natura, a causa del vizio occulto di orgoglio.

1486. 36. Il libero arbitrio, dopo il peccato, è qualcosa solo di nome; e finché fa ciò che è in suo potere, pecca mortalmente.

1487. 37. Il Purgatorio non può essere provato da nessun testo della Sacra Scrittura che sia nel canone.

1488. 38. Le anime del Purgatorio non sono sicure della loro salvezza, almeno non tutte. Nessuna ragione e nessun testo della Scrittura prova che esse non si trovino in uno stato in cui meritino e in cui aumenti la loro carità.

1489. 39. Le anime del Purgatorio non cessano di peccare finché cercano il riposo e aborriscono la pena.

1490. 40. Le anime liberate dal Ppurgatorio grazie ai suffragi dei vivi sono meno felici che se si fossero soddisfatte da sole.

1491. 41. I prelati ecclesiastici e i principi secolari non farebbero male se distruggessero tutti i mendicanti.

1492. (Censura🙂 Ciascuno dei suddetti articoli o errori lo condanniamo, lo riproviamo e lo rigettiamo completamente, a seconda dei casi, come eretico, o scandaloso, o falso, o come offensivo per le orecchie pie, o come fuorviante per le menti semplici, e come contrario alla verità cattolica.

ADRIANO VI: 9 gennaio 1522-14 settembre 1523

ADRIANO VII: 19 novembre 1523-25 settembre 1534

PAOLO III: 13 ottobre 1534-10 novembre 1549

Breve “Pastorale officium” all’Arcivescovo di Toledo, 29 maggio 1537.

Il diritto umano alla libertà e alla proprietà.

1495. Siamo venuti a conoscenza del fatto che l’imperatore dei Romani Carlo (V), al fine di dissuadere coloro che, in preda all’avidità, sono animati da uno spirito di disumanità nei confronti degli uomini, ha proibito con un editto pubblico a tutti i suoi sudditi che qualcuno abbia l’ardire di ridurre in schiavitù gli Indiani d’Occidente o del Sud, o di privarli dei loro beni. Poiché è Nostra volontà che questi Indiani, anche se sono fuori dal seno della Chiesa, non siano privati della loro libertà o della disposizione dei loro beni, o considerati come se dovessero esserlo, finché sono uomini e quindi capaci di credere e di raggiungere la salvezza che non siano distrutti dalla schiavitù, ma invitati alla vita con la predicazione e l’esempio; e poiché, inoltre, desideriamo frenare le imprese di questi empi così vili, e fare in modo che non siano meno inclini ad abbracciare la fede di Cristo perché sono stati rivoltati dalle ingiustizie e dai torti subiti, chiediamo … alla vostra prudenza di … proibire con la massima severità, sotto pena di scomunica, a tutti e a ciascuno, qualunque sia il loro rango, di osare ridurre in schiavitù i suddetti Indiani in qualsiasi modo, o di privarli dei loro beni.

Costituzione “Altitudo divini consilii“, 1 giugno 1537.

“Privilegium fidei”

1497. Per quanto riguarda il loro matrimonio (degli Indiani), stabiliamo che si osservi quanto segue: coloro che prima della conversione avevano più mogli secondo le loro usanze e non ricordano quale abbiano preso per prima, quando si convertiranno alla fede cristiana, ne prenderanno una – quella che desiderano – e contrarranno matrimonio con lei con le parole relative al presente come al solito.

Ma coloro che ricordano quale abbiano presa per prima, terranno quella e lasceranno le altre.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (23): il CONCILIO DI TRENTO “Sess. III-VI”

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA: GIUGNO 2023

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA: GIUGNO 2023

GIUGNO è il mese che la Chiesa Cattolica dedica al:

Sacratissimo CUORE DI GESÙ

Se la divozione al Cuor SS. di Gesù non avesse alcun fine speciale, ma fosse solo un rendere onore, gloria, adorazione al Cuore SS., sarebbe questo un fine oltre ogni dire eccellente e basterebbe per ogni cosa: ma Gesù nell’atto di manifestare questo culto, manifestò anche un suo speciale intendimento. Ed è che i fedeli onorino il suo Cuore in ispirito di riparazione per le offese che Egli riceve soprattutto nel Sacramento di amore. Per entrare in questo spirito considerate come Gesù 1° sia offeso dove meno dovrebbe essere; 2° con qual malizia; 3° e da quali persone. Donde ne conchiuderete quanto sia doverosa una sì santa riparazione…

(Secondo Franco S. J.: Il Cuore di Gesù)

Indulgenze per il mese di giugno:

252

a) Fidelibus, qui prima cuiusvis mensis feria sexta pio exercitio, in honorem Ssmi Cordis Iesu publice peracto, devote interfuerint, conceditur:

Indulgentia plenaria, additis sacramentali confessione, sacra Communione et oratione ad mentem Summi Pontificis.

Si autem eadem feria sexta aliquas preces ad reparandas hominum iniurias Ssmo Cordi Iesu illatas privatim recitaverint, conceditur:

Indulgentia plenaria suetis conditionibus; at ubi pium exercitium publice completur, huiusmodi indulgentia ab iis tantum acquiri potest, qui legitimo detineantur impedimento quominus exercitio publico intersint.

b) Fidelibus vero, qui ceteris per annum feriis sextis aliquas preces, ut supra, pie recitaverint, conceditur:

Indulgentia septem annorum semel qualibet feria sexta (in ogni venerdì della settimana)

(S. C. Indulg., 7 sept. 1897; S. Pæn. Ap., 1 iun. 1934 et 15 maii 1949).

253

Mensis sacratissimo Cordi Iesu dicatus

Fidelibus, qui mense iunio (vel alio, iuxta Rev.mi Ordinari prudens iudicium), pio exercitio in honorem Ssmi Cordis Iesu publice peracto devote interfuerint, conceditur:

Indulgentia decem annorum quolibet mensis die;

Indulgentia plenaria, si diebus saltem decem huiusmodi exercitio vacaverint et præterea peccatorum veniam obtinuerint, eucharisticam Mensam participaverint et ad Summi Pontificis mentem preces fuderint. Iis vero, qui præfato mense preces vel alia pietatis obsequia divino Cordi Iesu privatim præstiterint, conceditur:

Indulgentia septem annorum semel quolibet mensis die;

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodo quotidie per integrum mensem idem obsequium peregerint; at ubi pium exercitium publice habetur, huiusmodi indulgentia ab iis tantum acquiri potest, qui legitimo detineantur impedimento quominus exercitio publico intersint (S. C. Indulg., 8 maii 1873 et 30 maii 1902; S. Pæn. Ap., 1 mart. 1933).

(A coloro che nel mese di giugno praticano un pio esercizio in onore del Sacro Cuore di Gesù in pubblico, si concedono 10 anni, ed in privato 7 anni, e Indulgen. Plenaria se esso verrà praticato almeno per 10 giorni con le s. c.).

Altre indulgenze ove viene celebrato solennemente il Cuore Sacratissimo di Gesù con corso di predicazione.

650

Invocatio

Seigneur Jesus, couvrez de la protection de votre divin Coeur notre Tres Saint Pere le Pape. Soyez sa lumiere, sa force et sa consolation.

(Signore Gesù, ricoprite della protezione del vostro divin Cuore il nostro santissimo Papa – Gregorio XVIII -. Siate sua luce, sua forza, sua consolazione).

Indulgentia trecentorum dierum (S. Pæn. Ap 18 ian. 1924 et 19 iun. 1933).

LITANIAE

245

Kyrie, eleison.

Christe, eleison.

Kyrie, eleison.

Christe, audi nos.

Christe, exaudi nos.

Pater de cælis, Deus, miserere …

Fili, Redemptor mundi, Deus, miserere …

Spiritus Sancte, Deus, miserere …

Sancta Trinitas, unus Deus, misere

Cor Iesu, Filii Patris æterni, miserere

Cor Iesu, in sinu Virginis Matris a Spiritu Sancto formatum, miserere

Cor Iesu, Verbo Dei substantialiter unitum, miserere

Cor Iesu, maiestatis infinitæ, miserere

Cor Iesu, templum Dei sanctum, miserere

Cor Iesu, tabernaculum Altissimi, miserere

Cor Iesu, domus Dei et porta cæli, miserere

Cor Iesu, fornax ardens caritatis, miserere

Cor Iesu, iustitiæ et amoris receptaculum, miserere

Cor Iesu, bonitate et amore plenum, miserere

Cor Iesu, virtutum omnium abyssus, miserere

Cor Iesu, omni laude dignissimum, miserere

Cor Iesu, rex et centrum omnium cordium, miserere

Cor Iesu, in quo sunt omnes thesauri sapientiæ et scientiæ, miserere

Cor Iesu, in quo habitat omnis plenitudo divinitatis, miserere

Cor Iesu, in quo Pater sibi bene complacuit, miserere

Cor Iesu, de cuius plenitudine omnes nos accepimus, miserere nobis.

Cor Iesu, desiderium collium æternorum, miserere

Cor Iesu, patiens et multae misericordiæ, miserere

Cor Iesu, dives in omnes qui invocant te, miserere

Cor Iesu, fons vitæ et sanctitatis, miserere

Cor Iesu, propitiatio pro peccatis nostris, miserere

Cor Iesu, saturatum opprobriis, miserere

Cor Iesu, attritum propter scelera nostra, miserere

Cor Iesu, usque ad mortem obediens factum, miserere

Cor Iesu, lancea perforatum, miserere

Cor Iesu, fons totius consolationis, miserere

Cor Iesu, vita et resurrectio nostra, miserere

Cor Iesu, pax et reconciliatio nostra, miserere

Cor Iesu, victima peccatorum, miserere

Cor Iesu, salus in te sperantium, miserere

Cor Iesu, spes in te morientium, miserere

Cor Iesu, deliciæ Sanctorum omnium, miserere

Agnus Dei, qui tollis peccata mundi,  parce nobis, Domine.

Agnus Dei, qui tollis peccata mundi,  exaudi nos, Domine.

Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, miserere nobis.

y. Iesu, mitis et humilis Corde,

Jf. Fac cor nostrum secundum Cor tuum.

Oremus.

Omnipotens sempiterne Deus, respice in Cor dilectissimi Filii tui et in laudes et satisfactiones, quas in nomine peccatorum tibi persolvit, iisque misercordiam tuam petentibus, tu veniam concede placatus in nomine eiusdem Filii tui Iesu Christi: Qui tecum vivit et regnat in sæcula sæculorum. Amen.

Indulgentia septem annorum.

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodo quotidie per integrum mensem litaniae cum versiculo et oratione pia mente repetitæ fuerint (S. Rituum C., exhib. doc. 2 apr. 1899; S. Pæn. Ap., 10 mart. 1933).

 Queste sono le feste del mese di GIUGNO 2023

2 Feria Sexta Quattuor Temporum Pentecostes    Semiduplex

          Ss. Marcellini, Petri, atque Erasmi Martyrum  

3 Sabbato Quattuor Temporum Pentecostes    Semiduplex

4 Dominica Sanctissimæ Trinitatis    Duplex I. classis

5 S. Bonifatii Episcopi et Martyris    Duplex

6 S. Norberti Episcopi et Confessoris    Duplex

8 Festum Sanctissimi Corporis Christi    Duplex I. classis

9 Ss. Primi et Feliciani Martyrum    Simplex

10 S. Margaritæ Reginæ Viduæ    Semiduplex

11 Dominica II Post Pentecosten infra Octavam Corporis Christi – Sem.d. Dom.m.

       S. Barnabæ Apostoli    Duplex majus

12 S. Joannis a S. Facundo Confessoris    Duplex

13 S. Antonii de Padua Confessoris    Duplex

14 S. Basilii Magni Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

15 Ss. Viti, Modesti atque Crescentiæ Martyrum    Simplex

      Octavæ Sanctissimi Corporis Christi    Duplex majus

16 Sanctissimi Cordis Domini Nostri Jesu Christi    Duplex I. classis

18 Dominica III Post Pentecosten infra Oct. SSmi Cordis D.N.J.C. Semiduplex

S. Ephræm Syri Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

19 S. Julianæ de Falconeriis Virginis    Duplex

20 S. Silverii Papæ et Martyris    Simplex

21 S. Aloisii Gonzagæ Confessoris    Duplex

22 S. Paulini Episcopi et Confessoris    Duplex

23 Octavæ SSmi Cordis Jesu    Duplex majus

          In Vigilia S. Joannis Baptistæ    Simplex

24  In Nativitate S. Joannis Baptistæ    Duplex I. classis *L1*

25 Dominica IV Post Pentecosten    Semiduplex Dominica minor

          S. Gulielmi Abbatis    Duplex

26 Ss. Joannis et Pauli Martyrum    Duplex

28 S. Irenæi Episcopi et Martyris    Duplex

29 SS. Apostolorum Petri et Pauli    Duplex I. classis *L1*

30 In Commemoratione S. Pauli Apostoli    Duplex majus *L1*

LA VERGINE MARIA (8)

Il Vescovo Tihámer Toth

LA VERGINE MARIA (8)

Nihil Obstat: Dr. Andrés de Lucas, Canonico. Censore.

IMPRIMATUR: José María, Vescovo Ausiliare e Vicario Generale. Madrid, 27 giugno 1951.

CAPITOLO VIII

LA MADRE ADDOLORATA

Saggi e artisti di tutto il mondo salutano con grande gioia il giorno in cui il Re di Svezia assegna il Premio Nobel ai vincitori. Nel 1928, il premio per la letteratura fu assegnato a una scrittrice, Sigrid Undset. Il 7 dicembre era di passaggio a Stoccolma a ricevere il premio. A Oslo fu organizzata una grande festa in suo onore, ed il giorno dopo, in occasione della festa dell’Immacolata Concezione, si recò alla chiesa dei Domenicani e depose silenziosamente ai piedi dell’Addolorata la corona di alloro ricevuta la sera prima dai suoi ammiratori. Non sappiamo quante volte questa scrittrice di fama mondiale deve essersi inginocchiata davanti alla statua della Madre Addolorata. Non sappiamo quale sia il volto della Madre Addolorata su ambizioni, progetti di vita, sforzi, amore, pace. Sappiamo solo che milioni di persone che hanno guardato negli occhi della Madre del dolore, hanno trovato consolazione, e nuovo coraggio di vivere… ai piedi della Madre Addolorata! A Lei voglio dedicare questo capitolo: La Madre Addolorata! Sul sentiero della vita – un sentiero di rovi, sassoso, aspro e triste – vorrei condurre i miei lettori per far capire loro la meravigliosa influenza che il suo culto esercita sull’anima umana.

.I. Per prima cosa percorreremo il sentiero spinoso che Maria ha dovuto percorrere, perché solo così …

II. Scopriremo con chiarezza le fonti della vita che sgorgano dalla Madre Addolorata per addolcire le nostre pene.

I. MARIA SULLA VIA DEL DOLORE

Oggi, il nome che più spesso diamo a Maria è quello di “Beata Vergine”, ma con questo nome indichiamo piuttosto il suo stato attuale nei cieli e non la sua precedente vita terrena. Perché la sua vita terrena fu afflitta da tristi eventi, tanto che, tenendone conto, dobbiamo piuttosto chiamarla “Vergine Addolorata”. E questo non deve sorprenderci. Non dovrebbe meravigliarci che la corrente impetuosa della Passione di Cristo si sia manifestata così fortemente e intensamente nella Vergine Maria. Chi era così vicino a Cristo come Lei.  Lei è l’albero rigoglioso il cui fiore è Cristo, e se l’uragano ha portato via il fiore, non c’è da meravigliarsi che non lasci intatto l’albero? Non c’è da meravigliarsi se tutto ciò che Cristo ha sofferto… ha sofferto con Lui? Anche Maria? – Parliamo spesso dei sette dolori di Maria. Quali sono?

1. Il primo dolore che ha dovuto subire è stato molto prima della nascita di Cristo: voleva trascorrere tutta la sua vita nel tempio di Dio, e dovette lasciare il tempio per diventare la moglie di San Giuseppe. La decisione fu dolorosa, ma non esitò, perché anteponeva sempre la volontà del Signore ai propri desideri e progetti.

2. Il secondo dolore fu una prova ancora più difficile. All’inizio, San Giuseppe non sapeva in quale meraviglioso modo Dio volesse mandarci il suo Figlio unigenito. Guardava alla maternità di Maria e segretamente voleva ripudiarla. È facile comprendere la dolorosa ferita che questo pensiero debba aver inflitto all’anima purissima della Vergine.

3. Il dolore dell’esilio segue a Natale. La Sacra Famiglia cercava alloggio e trovò la crudeltà degli uomini… le fredde mura della stalla di Betlemme…, in inverno…, di notte…

4. Quaranta giorni dopo la nascita di Gesù ci fu la misteriosa profezia del vecchio Simeone. La Vergine Maria presenta il Bambino Gesù al tempio. E Simeone rivolge a Maria queste parole sconvolgenti: “Una spada ti trafiggerà l’anima” (Lc. II,35). Qual duri presentimenti dovevano avere le parole di Simeone nell’anima di Maria. Se un pugnale affilato trafigge la carne, se penetra in profondità nelle fibre, è doloroso, non è vero? Ma se un pugnale, una parola tagliente ferisce la nostra anima, e non solo la ferisce, ma la “trafigge”, quale orrenda sofferenza!  Le parole di Simeone hanno avuto sull’anima di Maria lo stesso effetto di un proiettile in una caccia grossa. Se non la uccide, la tormenta. Ci sono parole ed eventi – la madre che dice addio, le ultime parole del padre morente – che un uomo non potrà mai dimenticare nel corso della sua vita. Le parole di Simeone erano indimenticabili; vibravano continuamente nel cuore di Maria; quando si prendeva cura di Gesù, quando lo cullava, quando lo addormentava, sapeva sempre che lo stava preparando alla sofferenza. “Una spada trafiggerà la tua anima.” Posso immaginare la piccola casa di Nazareth: con che occhi, pieni di ansia, la Madre deve aver guardato molte volte il Bambino che cresceva! Come deve essersi sentita leggendo l’Antico Testamento o o ascoltandolo di sabato nella sinagoga, ciò che il Messia avrebbe dovuto soffrire! Come le profezie di Isaia e del salmo di Davide l’avrebbero fatta soffrire! Le profezie di Isaia ed il salmo di Davide che descrivono il Messia paziente: “Uomo dei dolori…, non è bello in apparenza, né è splendido…”, “è un verme e non uomo, il rimprovero di uomini e il rifiuto della plebe”. “Le sue ossa sono state contate”, “le sue mani e i suoi piedi sono stati perforati”…, oh, che pugnale di dolore deve aver trafitto l’anima della Vergine Maria!

5. E, nel frattempo, ha dovuto soffrire tutta l’amarezza della fuga in Egitto e tutte le privazioni di una vita in esilio.

6. Dovette poi perdere per tre giorni Gesù, quando aveva dodici anni, e dovette cercarlo con la massima ansia del suo cuore di madre. Era come una sorta di preparazione al grande addio, per la grande perdita, per il settimo dolore, alla morte di Cristo. Per essere veramente vicina a noi, doveva vivere il dolore supremo: la perdita del suo Figlio.

7. E questo fu il dolore supremo, il settimo dolore di Maria. – Alle orecchie di Maria giunse una notizia terrificante sul suo Figlio divino: Giuda lo ha tradito… Soldati rozzi e una folla immonda lo hanno catturato nell’orto… Anche Pietro lo ha rinnegato… Il popolo ruggisce ingrato: “Crocifiggilo!”… Frustate, spine… Possiamo avere un’idea di ciò che significasse per la Madre Addolorata ogni notizia che le giungeva? Si incoronava “Regina dei martiri”! Fu martirizzata, non versando il proprio sangue, ma con gli atroci tormenti della sua anima! Cristo è condannato e porta la sua croce sulle spalle. Suonano le trombe. I banditori aprono la marcia… Poi.., giovani, ragazzi… Chiodi, corda, martello, scala, cavalieri… Alla fine arriva Cristo, stanco, ferito, sanguinante, con la pesante croce sulla spalla. Ed ora, in un angolo… si svolge una scena che fa rabbrividire il sangue. Se i nemici di Cristo non fossero stati così inveterati, essi stessi si sarebbero commossi… Una parte della folla stessa è colta da un sentimento umano, e apre la strada: eccola! Maria! Invano le anime compassionevoli cercarono invano di fermarla. Non poteva rimanere a casa: voleva vedere ancora una volta suo Figlio. Ma che incontro! Più grande è l’amore, più grande è il dolore”, dice Sant’Agostino! Ma c’era in questo mondo amore materno che possa essere paragonato anche solo lontanamente a quello di Maria? Chi ha conosciuto Cristo come Lei? Lei, fu Lei a sentire dall’Angelo che suo Figlio sarebbe stato chiamato Figlio dell’Altissimo. È stata Lei a vedere i Magi dall’Oriente inginocchiati davanti a Lui, rendendogli omaggio. Per trent’anni non ha scoperto in Lui un solo difetto, una sola imperfezione, ma bontà, saggezza, amore. E ora questo Figlio è quell’uomo trascinato in tanta ignominia? E poi segue la crocifissione, la morte e la sepoltura. A questo punto la Vergine Maria doveva vedere aumentare i suoi meriti verso il cielo… La sua anima doveva scalare le rocce del Golgota, attraverso il terribile albero della croce, e ripetere lì il “Sia fatta la tua volontà”. Le parole umane non possono esprimere ciò che Maria ha sofferto ai piedi della croce; ciò che ha provato quando Gesù, il suo Figlio morto le era in grembo. San Girolamo dice che nel cuore della Madre si aprivano tante ferite quante ce n’erano nel corpo del Figlio… Le parole umane non possono descriverlo. Qui possiamo solo ripetere le parole della Sacra Scrittura: “La tua afflizione è grande come il mare; chi può aiutarti?” (Lamentazioni II, 13). Un giorno intonasti il “Magnificat“…; cosa dici ora, Madre Addolorata? Potresti dire come nell’Antico Testamento Noemi,: “Non chiamarmi Naomi (cioè, graziosa), ma chiamami Mara (che significa amara), perché l’Onnipotente mi ha riempito di grande amarezza” (Ruth 1:20). “O voi che passate per questa via, osservate e considerate se c’è un dolore simile al mio dolore” (Lamentazioni 1:12).

II LA MADRE ADDOLORATA E IL NOSTRO DOLORE

A) Lo spirito cristiano ricorre con particolare predilezione a questa Madre Addolorata, e la Chiesa cattolica ne promuove il culto con particolare pietà. Gli altri eventi della vita di Maria sono celebrati con una festa, ma qui  noi ne dedichiamo due: – il venerdì dell’Addolorata ed il 15 settembre – ed inoltre, la onoriamo anche con il Rosario (nei Misteri Dolorosi), con lo scapolare, con statue, pale d’altare, inni, cantici. Il pennello degli artisti ha rappresentato la Vergine Maria in forme una più bella dell’altra, e sebbene siano tutte vicine a noi, nessuna è così vicina a noi come quella di Maria nei dolori. Vicina a noi è l’immagine della “Madonna”, che rappresenta la Madre Gioiosa; l’immagine dell’Immacolata, che rappresenta la sempre Pura; l’immagine della Vergine Gloriosa, che rappresenta la trionfante Regina del cielo; ma nessuna di esse è così umana, nessuna di esse si impadronisce con tale potere su di noi, nessuna è così vicino al nostro cuore come l’immagine della Madre Addolorata. – Chi può sorprendersi Ricordiamo gli anni lontani dell’infanzia; qual è il ricordo più vivido che abbiamo di nostra madre? Quando e in quali circostanze ci ha impressionato maggiormente? Forse più di tutti gli altri, il momento in cui ci ha incoraggiato con gioia a muovere i primi passi? Le ninne nanne, forse, sono le ninne nanne che ci cantava? I suoi abbracci, quando ci stringeva al suo petto dopo una lunga assenza? È il volto gioioso della madre quello che più ricordiamo con il sentimento più intimo? No. Ma quello sguardo con cui lei si chinava, preoccupata, sul nostro letto, nelle notti febbrili, trascorse nell’insonnia e nel pianto per noi, e ancora di più quella tristezza che era causata da un nostro difetto o da qualche male ed il piangere a causa nostra. Bella e tenera è l’immagine della madre che gioisce con il suo bambino; ma più bella e tenera è l’immagine della madre che si prende cura del suo bambino e teme per lui. Per questo motivo la più toccante di tutte le immagini mariane è quella della Madre Sofferente, perché tutti i dolori di Maria erano per il suo Figlio divino. Se i bambini soccombono alla disgrazia, si rifugiano vicino alla madre. Così anche noi, nelle nostre disgrazie, cerchiamo rifugio vicino alla Madre di tutti, la Vergine Maria.

B) Cerchiamo di analizzare psicologicamente quella forza misteriosa che da due millenni a questa parte emana senza interruzione dal volto santo della Madre Addolorata e dalle anime degli afflitti. Cosa è questa forza consolatrice?

a) Prima di tutto, bisogna considerare la grandezza del dolore che la Madonna ha provato. Il grande dolore mitiga il piccolo dolore; entrando in contatto con il dolore degli altri, noi dimentichiamo i nostri piccoli dolori, e quando inciampiamo, lottiamo, noi, piccoli uomini, allora ci rivolgiamo alla Madre Addolorata e le mostriamo le nostre piccole o grandi pene quotidiane, i nostri dolori quotidiani, le nostre delusioni, le nostre amarezze, e come se ci vergognassimo, sentiamo che cosa insignificante sia tutto ciò che è nostro rispetto al mare di amarezza dei suoi dolori. E diciamo che non ce la facciamo più? E siamo disperati? Siamo noi quelli che si che si lamentano, dicendo che non è possibile sopportare la vita? D’altra parte, come è silenziosa Maria, come soffre senza pronunciare una parola di lamentela, con quale fiducia guarda al cielo, al Padre celeste!

b) Ma lo sguardo della Madre Addolorata

Madre Addolorata attenua le nostre sofferenze non solo per il fatto che abbia sofferto, ma le attenua ancora di più per il modo in cui ha sopportato le nostre stesse sofferenze ed ancor più per il modo in cui ha sopportato i suoi dolori. – Non è stata la Vergine Maria a redimerci, ma è stato il suo santo Figlio, che ha offerto per noi il sacrificio cruento sull’albero della croce. Ma proprio come ora il Sacerdote che celebra il santo Sacrificio della Messa, ed il diacono che lo assiste, così anche il Redentore, che ha offerto il sacrificio, aveva la sua Madre Addolorata ai piedi della croce, e la Madre lo servì come diacono. Ci sono alcune immagini che rappresentano Maria che sviene sul Calvario. Questo è falso: “Stabat mater“, la Madre Dolorosa era in piedi. Non è svenuta né sulla del Golgota né ai piedi della croce. Piangeva, soffriva, la sua anima era coperta di lutto, ma non in modo pagano. Ella non maledisse i persecutori di suo Figlio; non perse il controllo di se stessa, anche se era immersa in un mare di sofferenza. Cosa le comunicò questa forza? La sua fede. Solo la sua fede. Sapeva che la Passione del Figlio doveva portare all’eterna salvezza dell’umanità. “Sia fatto di me secondo la tua parola”, ripeté più e più volte, e nel compiere per noi l’immenso sacrificio di porre il proprio Figlio sull’altare della croce, divenne poi diacono di Cristo Redentore. – Come fu il dolore a rendere Maria degna del suo Figlio divino, così è anche il dolore che ci avvicina a Lui. Mostrare fervore e pregare quando non c’è nessuna difficoltà… è una cosa lodevole; ma la prova della vera fede è questa: perseverare contro il vento e la marea. Volete una corona per cingere le vostre tempie in cielo? Allora non temete, anche se un pugnale vi trafiggerà il cuore sulla terra. Sapete  in cosa consiste la grandezza spirituale? In perseverare e persino baciare la mano del Signore quando ci visita, quando ci mette alla prova, quando ci visita, quando sembra che ci abbandoni. Dio non fa eccezioni alla legge del dolore, nemmeno nel caso della Madre di Gesù…; perché mai dovrebbe farlo con me?

c) Inoltre, il potere consolatorio del culto della Madre Addolorata si manifesta anche nel fatto che Ella conduce le anime che la invocano nelle loro angosce, al suo Figlio divino, Gesù Cristo. Potremmo quasi quasi dire che Ella prenda le nostre ferite nelle sue mani materne e le bagni nel sangue di Cristo, che guarisce ogni cosa, affinché attraverso i nostri dolori non partecipiamo solo al sangue di Cristo, alle sue sofferenze, ma anche alla sua gloria. Come se avesse rivolto anche a noi le parole scritte da San Pietro: “Avendo sofferto nella sua stessa carne, armatevi anche voi di questi stessi sentimenti; che colui che ha sofferto nel proprio corpo, si allontana dal peccato” (I Pietro IV, 1). – Così, accanto alla Madre Addolorata, dolce consolazione trova anche l’anima che soffre a torrenti. Anche chi ha perso la persona più amata, sente che sotto lo sguardo consolante della Madre Addolorata si calmano gli  spasmi di dolore nel suo cuore e la ferita sanguinante dell’anima viene lenita. E pure, coloro che sono stati battuti, scossi, colpiti dal pugno di ferro della vita, si rialzano in piedi anche essi incoraggiati dall’immagine di Colei che sapeva stare in piedi quando il suo Figlio divino agonizzava sulla croce, e che ha saputo stare in piedi quando ha ricevuto nel suo grembo il cadavere insanguinato di suo Figlio. I visitatori della Basilica di San Pietro a Roma non smettono mai di contemplare una delle opere più belle dell’incomparabile artista Michelangelo: la “Pietà”. Cosa significa questa parola “Pietà”? “Immagine che muove a compassione”. Bene, questa statua muove davvero a compassione anche i cuori più induriti. La Madre Addolorata è seduta, con una profonda espressione di concentrazione; il suo vestito in ampie pieghe, e inclinando la testa leggermente a destra, Ella contempla… il cadavere del Figlio. Con il braccio destro lo tiene, il braccio sinistro è come se fosse caduto e la mano aperta ci parla nel suo silenzio con un gesto commovente e doloroso, a tutti quelli si fermano davanti alla statua: “Attenti e considerate se c’è dolore come il mio dolore” (Lamentazioni 1, 2).

* * *

Grande è il dolore della Vergine Madre…, eppure la sua anima non è spezzata. Ed è proprio qui che i sentimenti del Cristianesimo e del paganesimo sono opposti. I pagani pure consideravano il problema del dolore; anche la loro filosofia voleva spiegarlo in un modo o nell’altro, perché finché ci sono uomini sulla terra, c’è anche il dolore. Ma vedete qual sia, forse meglio che in ogni altro punto, l’impotenza della filosofia pagana. Anche l’arte pagana voleva creare la sua “madre dolorosa”, Niobe. In una certa occasione, Niobe, vedendo i suoi figli straordinariamente belli, fu presa al punto di deridere gli stessi dèi. Gli dei, offesi, si vendicarono sui figli e Niobe, in preda ad un terribile dolore, fu trasformata in pietra. Questa è l’enorme differenza tra Niobe e la Madre Addolorata. Anche Niobe perse i suoi figli; la Vergine Maria perse il suo. Ma il paganesimo non aveva una parola da dire sul dolore, e per questo motivo Niobe si trasformò in pietra per puro dolore, perché non trovava consolazione; Maria ha perso il suo Figlio, anche lei ha perso il suo Figlio; anche lei sospira, anche lei sospira, dicendo: “La mia afflizione è grande come il mare” (Lamento II, 13); ma non si abbatte, non si spezza, non si pietrifica, perché – guardate il volto della Pietà – dietro i tratti del dolore si legge la risposta della conformità alla volontà di Dio: “Ecco la serva del Signore, sia fatto di me secondo la tua parola.”. Una forza così benedetta e consolante che troviamo nella Madre Addolorata! Chi medita sulla profondità del suo culto, non cadrà nell’errore di affermare che esso non è altro che puro sentimentalismo, buono solo per i bambini e le donne. Niente affatto. Gli uomini che hanno la vita, possono trarre forza da questo culto. È il giovane che lotta per la purezza, quando, nel mezzo di una dura contesa e una lotta apparentemente senza speranza, cerca rifugio ai piedi della Madre Addolorata e sente che il suo sguardo soffoca la voce esigente dei suoi istinti; li tira fuori dall’uomo maturo che impara dalla Madre Addolorata ad annaffiare i propri dolori pagani con il sangue di Cristo e a sopportarli e santificarli con il fermo proposito di compiere la volontà di Dio, invece di alzare i pugni in segno di ribellione. Proprio per questo motivo, finché ci sono malattie, disgrazie, dolori, sofferenze sulla terra, cioè fino a quando gli uomini vivranno in terra, il culto della Madre Addolorata sarà una delle fonti più abbondanti di consolazione e di pace. Come l’edera ci aggrappiamo all’incrollabile colonna della Madre Addolorata in mezzo agli uragani della vita. Lei ha un cuore materno ed ascolta le nostre suppliche: “Madre di misericordia, prega per noi.”. “Salute dei malati, prega per noi”. A Lei sospiriamo in questa valle di lacrime perché rivolga i suoi occhi misericordiosi su di noi, perché siamo inscritti nel suo cuore con il dolore del Venerdì Santo. Con fiducia ci rivolgiamo a Lei in tutte le nostre tribolazioni e la preghiamo e la supplichiamo di assisterci soprattutto nell’ultimo e decisivo momento, quando non saremo più in grado di pregare l’Ave Maria come al solito: “Prega per noi ora e nell’ora della nostra morte”; ma quando la “e” verrà tagliata e dovremo dire: “Madre Addolorata, è giunto il momento per il quale ho implorato per tutta la vita il tuo aiuto; prega per noi ora…, ora…: nell’ora della nostra morte”. – Sulle rive del Mare del Nord si racconta la toccante storia della moglie di un marinaio. Il Mare del Nord è selvaggio, tempestoso, e l’uragano che lo sferza non di rado inghiotte i marinai che osano navigare in quelle acque. Il marito ed i figli erano in mare da diversi giorni e non riuscivano a ritrovare la strada del ritorno. La notte buia stava arrivando…., e non si vedeva nessuna luce che li guidasse. La povera donna stava lì sulla riva e aspettava terrorizzata…. E cosa escogitò, alla fine, come ultima risorsa? Diede fuoco alla sua la sua piccola casa, la sua unica fortuna…, e lì stava accanto al fuoco, piena di speranza .., fino a quando i pescatori smarriti, grazie alla luce di quelle fiamme, poterono tornare a casa. Anche la Vergine Maria ha sacrificato ciò che amava di più per tutti noi… ai piedi della croce si trova accanto al suo Figlio divino inchiodato alla croce…; lì sta e prega per noi, affinché, alla luce del grande sacrificio, tutti possiamo trovare la strada di casa… il regno benedetto del suo Figlio divino.

LA VERGINE MARIA (9)

NOVENA AL CORPUS DOMINI

NOVENA AL CORPUS DOMINI

(INIZIO 30 MAGGIO)

O Gesù, Sapienza infinita, concedetemi la grazia di conoscervi perfettamente per sempre amarvi di cuore e benedirvi in eterno. Gloria.

O Gesù, Signore padrone amorosissimo, fate che questo vostro indegnissimo servo non d’altro si ricordi e si pregi che di Voi e dell’infinita vostra bontà e misericordia. Gloria.

O Gesù, Salvatore amantissimo, non permettete che l’anima mia sia fatta schiava del peccato, e venga a perdere il tesoro inestimabile della vostra santissima grazia. Gloria.

O Gesù, Medico peritissimo, infondete nel bagno del vostro preziosissimo sangue l’anima mia, altrimenti troppo debole ed inferma, acciò resti per sempre sanata da tutti i suoi mali. Gloria.

O Gesù, vero Pane di vita, saziate l’anima mia  col delicatissimo cibo della vostra Carne celeste, acciò possa viver di Voi nella vita presente, ed esser con Voi beato nella futura. Gloria.

O Gesù, Gloria del Cielo, fate che tutti i miei pensieri, le mie parole, le mie azioni siano sempre diretti all’onor vostro, come ad ultimo fine e vero centro di beatitudine eterna. Gloria.

O Gesù, sopra ogni bene dolcissimo in Voi fermamente credo, in Voi vivamente spero, e Voi solo di tutto cuore, in questo SS. Sacramento, amo ed adoro: e per godere Voi solo ad ogni altro bene volontariamente rinunzio. Gloria.

LAUDA SION

Lauda, Sion, Salvatórem,
lauda ducem et pastórem
in hymnis et cánticis.


Quantum potes, tantum aude:
quia major omni laude,
nec laudáre súfficis.

Laudis thema speciális,
panis vivus et vitális
hódie propónitur.

Quem in sacræ mensa cenæ
turbæ fratrum duodénæ
datum non ambígitur.

Sit laus plena, sit sonóra,
sit jucúnda, sit decóra
mentis jubilátio.

Dies enim sollémnis agitur,
in qua mensæ prima recólitur
hujus institútio.

In hac mensa novi Regis,
novum Pascha novæ legis
Phase vetus términat.

Vetustátem nóvitas,
umbram fugat véritas,
noctem lux elíminat.

Quod in cœna Christus gessit,
faciéndum hoc expréssit
in sui memóriam.

Docti sacris institútis,
panem, vinum in salútis
consecrámus hóstiam.

Dogma datur Christiánis,
quod in carnem transit panis
et vinum in sánguinem.

Quod non capis, quod non vides,
animosa fírmat fides,
præter rerum órdinem.


Sub divérsis speciébus,
signis tantum, et non rebus,
latent res exímiæ.

Caro cibus, sanguis potus:
manet tamen Christus totus
sub utráque spécie.

A suménte non concísus,
non confráctus, non divísus:
ínteger accípitur.

Sumit unus, sumunt mille:
quantum isti, tantum ille:
nec sumptus consúmitur.

Sumunt boni, sumunt mali
sorte tamen inæquáli,
vitæ vel intéritus.

Mors est malis, vita bonis:
vide, paris sumptiónis
quam sit dispar éxitus.

Fracto demum sacraménto,
ne vacílles, sed meménto,
tantum esse sub fragménto,
quantum toto tégitur.

Nulla rei fit scissúra:
signi tantum fit fractúra:
qua nec status nec statúra
signáti minúitur.


Ecce panis Angelórum,
factus cibus viatórum:
vere panis filiórum,
non mitténdus cánibus.

In figúris præsignátur,
cum Isaac immolátur:
agnus paschæ deputátur:
datur manna pátribus.

Bone pastor, panis vere,
Jesu, nostri miserére:
tu nos pasce, nos tuére:
tu nos bona fac vidére
in terra vivéntium.

Tu, qui cuncta scis et vales:
qui nos pascis hic mortáles:
tuos ibi commensáles,
coherédes et sodáles
fac sanctórum cívium.
Amen. Allelúja.


(Loda, o Sion, il Salvatore,
loda il capo e il pastore,
con inni e càntici.

Quanto puoi, tanto inneggia:
ché è superiore a ogni lode,
né basta il lodarlo.

Il pane vivo e vitale
è il tema di lode speciale,
che oggi si propone.

Che nella mensa della sacra cena,
fu distribuito ai dodici fratelli,
è indubbio.

Sia lode piena, sia sonora,
sia giocondo e degno
il giúbilo della mente.

Poiché si celebra il giorno solenne,
in cui in primis fu istituito
questo banchetto.

In questa mensa del nuovo Re,
la nuova Pasqua della nuova legge
estingue l’antica.

Il nuovo rito allontana l’antico,
la verità l’ombra,
la luce elímina la notte.

Ciò che Cristo fece nella cena,
ordinò che venisse fatto
in memoria di sé.

Istruiti dalle sacre leggi,
consacriamo nell’ostia di salvezza
il pane e il vino.

Ai Cristiani è dato il dogma:
che il pane si muta in carne,
e il vino in sangue.

Ciò che non capisci, ciò che non vedi,
lo afferma pronta la fede,
oltre l’ordine naturale.

Sotto specie diverse,
che son solo segni e non sostanze,
si celano realtà sublimi.

La carne è cibo, il sangue bevanda,
ma Cristo è intero
sotto l’una e l’altra specie.

Da chi lo assume, non viene tagliato,
spezzato, diviso:
ma preso integralmente.

Lo assuma uno, lo assumino in mille:
quanto riceve l’uno tanto gli altri:
né una volta ricevuto viene consumato.

Lo assumono i buoni e i cattivi:
ma con diversa sorte
di vita e di morte.

Pei cattivi è morte, pei buoni vita:
oh che diverso ésito
ha una stessa assunzione.

Spezzato poi il Sacramento,
non temere, ma ricorda
che tanto è nel frammento
quanto nel tutto.

Non v’è alcuna separazione:
solo un’apparente frattura,
né vengono diminuiti stato
e grandezza del simboleggiato.

Ecco il pane degli Angeli,
fatto cibo dei viandanti:
in vero il pane dei figli
non è da gettare ai cani.

Prefigurato
con l’immolazione di Isacco,
col sacrificio dell’Agnello Pasquale,
e con la manna donata ai padri.

Buon pastore, pane vero,
o Gesú, abbi pietà di noi:
Tu ci pasci, ci difendi:
fai a noi vedere il bene
nella terra dei viventi.

Tu che tutto sai e tutto puoi:
che ci pasci, qui, mortali:
fa che siamo tuoi commensali,
coeredi e compagni dei santi del cielo.
Amen. Allelúia.)

Hymnus
Pange, lingua, gloriósi

Córporis mystérium,
Sanguinísque pretiósi,
Quem in mundi prétium
Fructus ventris generósi
Rex effúdit géntium.

Nobis datus, nobis natus
Ex intácta Vírgine,
Et in mundo conversátus,
Sparso verbi sémine,
Sui moras incolátus
Miro clausit órdine.

In suprémæ nocte cenæ
Recúmbens cum frátribus,
Observáta lege plene
Cibis in legálibus,
Cibum turbæ duodénæ
Se dat suis mánibus.

Verbum caro, panem verum
Verbo carnem éfficit;
Fitque sanguis Christi merum:
Et si sensus déficit,
Ad firmándum cor sincérum
Sola fides súfficit.


Sequens stropha, si coram Sanctissimo exposito Officium persolvatur, dicitur flexis genibus.

Tantum ergo Sacraméntum
Venerémur cérnui:
Et antíquum documéntum
Novo cedat rítui:
Præstet fides suppleméntum
Sénsuum deféctui.

Genitóri, Genitóque
Laus et jubilátio,
Salus, honor, virtus quoque
Sit et benedíctio:
Procedénti ab utróque
Compar sit laudátio.
Amen.


℣. Panem de cælo præstitísti eis, allelúja.
℟. Omne delectaméntum in se habéntem, allelúja.

(Canta, o lingua, il mistero
del Corpo glorioso
e del Sangue prezioso,
che in prezzo del mondo
ha versato il frutto d’un seno generoso
il Re delle genti.

Dato a noi e nato per noi
da intatta Vergine,
dopo d’esser vissuto nel mondo
e sparso il seme della parola,
chiuse la fine del suo pellegrinaggio
con una meravigliosa istituzione.

Nella notte dell’ultima cena,
sedendo a mensa coi fratelli,
pienamente osservata la legge
sui cibi prescritti,
al collegio dei dodici in cibo
dà se stesso colle sue mani.

Il Verbo incarnato, con una parola,
di vero pane fa sua carne;
e il vino diventa sangue di Cristo;
e se i sensi ciò non comprendono,
a persuadere un cuor sincero
basta la sola fede.

Quindi un tanto Sacramento
prostrati veneriamo;
e l’antico sacrificio
ceda il posto al nuovo rito;
la fede poi supplisca
al difetto dei sensi.

Al Padre e al Figlio
sia lode e giubilo,
salute, onore, potenza
e benedizione;
a Colui che procede da ambedue
sia pari lode.
Amen.

. Il pane del cielo hai dato loro, alleluia.
. Avente in sé ogni dolcezza, alleluia.)