Consacrazione alla SS. Vergine di La Salette

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Consacrazione alla SS. Vergine di La Salette 

   “O Santissima Madre, Nostra Signora di La Salette, che solo per mio amore, avete versato tante lacrime amare nella vostra misericordiosa apparizione, guardatemi dall’alto con benevolenza mentre mi consacro a Voi senza riserva alcuna. Da questo giorno, la mia gloria sarà quella di sapere che io sono un vostro figlio, per poter asciugare le vostre lacrime e consolare il vostro afflitto cuore. Cara Madre, ricevetemi sotto la vostra protezione e singolare custodia, nel seno della vostra misericordia, a Voi raccomando oggi e sempre l’anima mia, e il corpo mio; a voi affido ogni mia speranza e consolazione, ogni angustia e miseria, la vita mia e la fine della vita mia.

Degnatevi, o carissima Santa Madre, di illuminare la mia intelligenza, di dirigere i miei passi, di consolarmi con la vostra materna protezione, in modo che, esente da ogni errore, al riparo da ogni pericolo di peccato, rafforzato contro i miei nemici, possa, con ardore e coraggio intrepido, camminare nei sentieri tracciati per me da Voi e dal vostro Figliuolo. Amen”.

bambini la salette

“Il Santuario di La Salette è di grande autenticità ed è destinato ad per avere un gran futuro”.

“Amo questa devozione e sono lieto che essa sia divulgata”.

[S.S. Papa Pio IX] 

“Con tutto il mio cuore, benedico La Salette e tutto ciò che appartiene a La Salette”.

[Papa Leone XIII]

“Io approvo la promozione di questa consacrazione.”

Papa Gregorio XVIII (15/06/2015)

Ricordatevi o Nostra Signora di “La Salette”, vera Madre di dolore, delle lacrime che avete versate per me sul Calvario; ricordatevi anche della pena che vi siete data per me, al fine di sottrarmi alla giustizia di DIO, e vedete se, dopo aver fatto tanto per il Figlio vostro, potete ora abbandonarlo. Rianimato da questo consolante pensiero, io mi prostro ai vostri piedi malgrado le mie infedeltà e le mie ingratitudini. Non disprezzate la mia preghiera, o Vergine Riconciliatrice, ma convertitemi, fatemi la grazia di amare Gesù al di sopra di tutto e di consolar Voi stessa con una vita santa, perché possa un giorno vedervi in cielo Amen.

Indulgenza 500 giorni (S. Pæn. Ap., 20 nov. 1930)

Omelia della II Domenica dopo Pasqua.

Omelia della Domenica II dopo Pasqua

[Canonico G.B. Musso, 1851 -imprimatur-]

Gesù Buon Pastore

GesùBuonPastore

   “Ego sum pastor bonus”, dice nell’odierno Vangelo secondo la Volgata Cristo nostro Signore, e secondo il testo greco: “Ego sum ille pastor bonus”! quasi dir voglia: “Io son quel buon Pastore veduto in ispirito dai Patriarchi, predetto dai Profeti, e figurato in Abele, in Giacobbe, in Davide, tutti pastori amatissimi della propria greggia”. Il buon pastore mette la vita per sue pecorelle. Ma il mercenario, che non è, e non merita il nome di pastore, al vedere appressarsi il lupo abbandona l’armento, si dà alla fuga, onde il lupo fa strage, rapisce, disperde le spaventate agnelle. E perché pratica così vilmente il mercenario? Appunto per questo che egli è mercenario, prezzolato, a cui le pecore non appartengono, ed altro non ha a cuore che il proprio vantaggio. Io però, che sono il vero e buon Pastore, Io che conosco ad una ad una le mie pecorelle, e da esse son conosciuto, Io per la loro salvezza son pronto a dare e darò la mia vita, “animam meam pono prò ovibus meis”.

Così parla, così dipinge sè stesso l’amorosissimo nostro Redentore. Seguiamo, uditori fedeli, l’evangelica allegoria, e vediamo quanto è mai buono questo nostro divin Pastore, e quanto noi dobbiam essere sue docili e buone pecorelle.

Merita ogni attenzione il dolce argomento.

I – Per lo peccato del nostro incauto progenitore Adamo, eravam noi come tante pecore erranti, “omnes nos quasi oves erravimus” (Isaia LV, v, 6). Immaginate una greggia percossa e dispersa da fulmine tremendo aggirarsi per balze e per dirupi senza guida, senza pastore, non può questa altro aspettarsi che il precipizio o le zanne del lupo. Tal’era la condizione infelice dell’umana nostra natura, “omnes nos quasi oves erravimus”. Quando il Figliuol di Dio, mosso a pietà di noi, lascia le novantanove pecorelle, ossia, come spiegano dotti Spositori, i nove cori degli Angeli, e viene quaggiù in cerca della pecora smarrita, cioè della perduta umana generazione, e viene, “saliens in montibus transiliens colles”(Cant. II, 8), vale a dire, dal cielo nel seno della Vergine Madre, da questo nella grotta di Betlemme, da Betlemme in Egitto, indi a Nazaret, e finalmente in Gerosolima. Qui osservate com’Egli adempie col fatto quanto aveva già detto colle sue parole, che per la salute delle sue pecorelle sacrificherà la sua vita. “Animam mea pono pro ovibus meis”.

Vedete voi quella turba di fanti, di sgherri con faci, con lanterne, con bastoni, con spade avvicinarsi all’orlo degli ulivi? In capo a questa masnada è Giuda traditore. Ecco il lupo. Che fa il buon Pastore in tal cimento? Di sé non curando, pensa soltanto a sottrar dalle loro mani i suoi cari. Va incontro al capo ed alla schiera, e, chi cercate voi? dice intrepido e fermo. Se Gesù Nazzareno, Io son quel desso, lasciate però ire in pace i miei discepoli, “sinite hos abire” (Joan. XXVIII, 8). Così avvenne: Gesù resta fra le funi e le ritorte, e i suoi discepoli si salvano colla fuga.

Ecco il buon Pastore in mano de’ lupi rabbiosi tratto a’ tribunali, legato ad una colonna. Oh Dio! quale ne fanno sanguinosissimo scempio! Ed Egli intanto va dicendo in suo cuore: questo mio sangue laverà le macchie delle mie pecorelle, sarà il balsamo per le loro ferite, sarà il prezzo del loro riscatto, e la morte, a cui mi avvicino, darà ad esse la vita, “animam meam pono pro ovibus meis, et ego vitam aeternam do eis” (Jonn. X).

Era tanto l’amor di Davide ancor pastorello per la paterna greggia, che qualora orso o leone giugnea a rapire una qualche agnella, armato di tutto se stesso se gli scagliava contro, e ghermitolo per la gola, gli togliea dalle zanne la palpitante preda. Tanto fece per noi il divino nostro Pastore; con questa differenza però, che Davide acquistò nome di valoroso e di forte, e Gesù Pastor buono, fu computato tra gli scellerati, e qual malfattore crocefisso.

Sembrerà questa l’ultima prova dell’amor di Gesù nostro buon Pastore verso di noi suo gregge avventuroso. Ma no: compiuta l’umana redenzione, rotta la catena della nostra schiavitù, prima di separarsi da noi per ascendere al Padre, udite con quai sentimenti e con qual cuore prende a parlare a Simon Pietro. Simone figliuol di Giovanni, gli dice, mi ami tu più di tutti questi, che qui son presenti? “Simon Joannis, diligis me plus his” (Joan. XXI)? Signore, Pietro rispose, sì che io Vi amo, e voi lo sapete. Se veramente tu mi ami, ripiglia Gesù, dammi prove dell’amor tuo con pascere gli agnelli della mia greggia, “pasce agnos meos”. Ma tu mi ami davvero? soggiugne Gesù per la seconda volta. Ah Signore, ripete Simon Pietro, Voi vedete il mio cuore, mi protesto che Vi amo. Se dunque tu mi ami, pasci i miei agnelli, pasce agnos meos. Con una terza domanda Gesù l’interroga: Pietro, tu mi ami? Mio Signore, risponde Pietro turbato e confuso, Voi lo chiedete a me? Niuna cosa è al vostro sguardo nascosta, Voi siete lo scrutatore dei cuori: e meglio di me sapete che Vi amo. Conoscerò, conchiude Gesù, il tuo amore per me dalla cura che avrai di pascere le mie pecorelle, pasce oves meas. Breve fu il suono di queste parole, ma a quale e quanto grave senso si estendono! Pietro, parmi dir volesse, tu sei quella pietra, che ho posta per fondamento della mia Chiesa. A te, primo fra’ miei Apostoli, e mio vicario, ho dato in modo tutto singolare le chiavi del regno de’ cieli, e con esse la potestà suprema di sciogliere e di legare con giudizio irrefragabile pronunziato sulla terra, ed approvato nel cielo. Ma ciò non basta. Ti costituisco da questo istante Pastore universale di tutto il gregge che mi son formato col mio Vangelo, co’ miei sudori, collo sborso di tutto il sangue mio. Tu pascerai non solo i miei agnelli, ma come Pastor de’ pastori anche le pecore madri, “pasces oves meas”. Pasci dunque gli uni e le altre con guidarle all’erbe salubri, e ai limpidi fonti. Pasce colla dottrina, colla predicazione, coll’esempio, coi sacramenti: difendi la mia e la tua greggia e da quei lupi, che l’assalgono a viso aperto, e da quei, che si ascondono sotto la pelle di agnelli: ad un cuore che mi ama, o Pietro, Io devo affidarla, e non ad altri darne il governo, che a un cuore che abbia dell’amore per me, “pasce agnos meos, pasce oves meas”.

II Che dite, che vi pare, uditori del cuore, dell’amore, della bontà del divino nostro Pastore? Che cura, che impegno, che sollecitudine, che tenerezza per noi! Quale ora dovrà essere la nostra corrispondenza? Ecco, Egli è il nostro buon Pastore, dobbiam noi essere sue fide e buone pecorelle. E come? Egli stesso nel suo Vangelo ce n’insegna il modo. “Oves meae, dice, vocem meam audiunt” (Joan. X. 27). Le mie pecorelle ascoltano la mia voce e l’apprezzano, ascoltano i miei avvisi e li seguono, ascoltano i miei precetti e gli osservano, ascoltano le mie ispirazioni e le accolgono, ascoltano la voce de’ miei ministri e la rispettano, ascoltano parola da loro annunziata e ne profittano. “Oves meae voce meam audiunt”. È questo un segno, che sono pecorelle del mio ovile quelle anime che ascoltano e si pascono della mia parola letta ne’ libri, predicata da’ pergami; e a tenore delle verità e delle massime ch’essa propone, emendano la vita, regolano il costume, raffrenano le passioni, adempiono la legge, praticano la virtù, edificano il prossimo, santificano sé stesse, “oves meae vocem meam audiunt”.

Ma che segno sarebbe se invece si ascoltasse più volentieri la voce de’ bugiardi figliuoli degli uomini, che promuovono dubbi circa la fede, che spargono massime ereticali, che bestemmiano quel che ignorano? Che sarebbe se più piacessero i laidi discorsi, i motti maliziosi, le favole oscene, le scandalose novelle? Di queste pecore infette, rognose, direbbe Gesù, io non sono il Pastore, esse non appartengono al mio ovile , “non sunt ex hoc ovili”(Joan. X, 16).

Le pecore inoltre hanno in sommo orrore il lupo, orror tale, che al solo sentirne gli ululati, sebbene difese da ben chiuso e riparato ovile pure si vedono ritirarsi negli angoli più rimoti, e tremar da capo a piedi, tanto è l’orrore e lo spavento di questo loro nemico. È tale, ascoltanti, l’orror vostro, il vostro spavento per il peccato, nemico dell’anima vostra? Ne temete il pericolo, ne fuggite l’aspetto? Buon segno, miei cari, se è così, buon segno; voi siete pecorelle del gregge di Cristo. Perseverate ad odiarlo, ad abbominarlo, e dite sempre col reale profeta: Iniquitàtem odio habui et abominatus sum (Ps. 118).

Altra proprietà delle pecore, dice Cristo Signore, è il seguitare il proprio pastore, di cui conoscono la voce e la persona, “oves illum sequuntur” (Joan.). Siamo disposti a seguir l’orme del nostro Pastore Gesù Cristo? Beati noi, arriveremo a buon termine. Chi mi seguita, dice Egli, non cammina fra le tenebre dell’errore, “qui sequitur me, non ambulat in tenebris” (Joann. VIII, 12). Ma chi vuol venir dietro a me, convien che neghi se stesso e le proprie voglie, che si addossi la propria croce, e calchi le mie pedate; “Si quis vult post me venire, abneget semetipsum, tollat crucem suam, et sequatur me” (Luc. IX, 23). E che vuol dire, interroga S. Agostino, questo sequatur me? Vuol dire imitare i suoi esempi, “quid est me sequatur, nisi me imitetur? (Tract. 51, in Jo.). Chi corre la vita del piacere non imita Gesù, che va per quella del Calvario. Gli esempi di questo nostro Pastore sono di umiltà e di mansuetudine, di pazienza, di carità; non può esser sua pecorella chi non è imitatore delle sue virtù.

La pecora finalmente dà il latte e la lana come in retribuzione al pastore che la guida, la pasce, la governa e la difende. Gesù buon Pastore, o fedeli, anche Egli vuol da voi, e vi chiede il latte e la lana; ma non per sé. Vi chiede il latte, cioè la cristiana educazione della vostra prole. I sentimenti di pietà, di timor di Dio, di religione, di rettitudine, di onestà, ed altre buone e sante massime, sono quel latte, che dovete istillare nel cuor de’ vostri figliuoli. I salutari avvisi, i saggi consigli, le dolci ammonizioni a’ vostri inferiori, a’ vostri eguali, anche questo è latte, col quale S.Paolo avea pasciuti i suoi figli rigenerati in Cristo Gesù, lac potum dedi (I Cor. V, 2), e che Gesù aspetta da voi.

Aspetta da voi, e vi domanda anche la lana per coprire tanti suoi poverelli mezzo ignudi, esposti al rigor delle stagioni, tremanti, intirizziti dal freddo. Oh Dio ! Se il vostro cuore non si commuove, in vista di tanta miseria, come potete sperare di essere riguardati da Gesù Cristo in qualità di sue pecorelle? Visitate, visitate la vostra casa, aprite i guardaroba, o facoltosi, e vi troverete tante vesti rimesse, quanto per voi inutili, tanto pe’ poveri necessarie. Per carità coprite Cristo ignudo ne’ vostri ignudi fratelli. Imitate S. Martino ancor catecumeno, S. Filippo Benizio, S. Giovanni Canzio, S. Tommaso da Villanuova, e tanti altri caritatevoli servi di Dio, che si trassero le vesti di dosso per coprire l’altrui nudità. contrassegno più chiaro, carattere più certo di nostra predestinazione non vi è di questo, qual è spargere le viscere della nostra carità verso i bisognosi nostri fratelli.

Ma il vestire non basta, convien anche cacciar la fame, la fame, dico, che fa andar pallidi tanti vecchi cadenti, tante vecchierelle tremanti, tanti storpi impotenti, che fa languire tanti infermi sulla paglia, che fa gemere tante famiglie che non han cuore a mostrar faccia.

Ravviviamo la fede, cristiani miei cari. Nel giorno estremo, nella gran valle saranno da’ capri separate le agnelle, e alla destra parte da Gesù benedette; quelle agnelle, dissi, che avranno dato ascolto alla sua voce, che avranno seguito i suoi esempi, avuto in orrore il peccato e dato il latte di cristiana educazione alla prole e la lana a soccorso degl’indigenti. A queste Cristo Signore rivolto in aria dolcissima, “venite a me, dirà loro, voi avete camminato sull’orme mie, voi mi siete stati fedeli, mi avete pasciuto famelico, e coperto ignudo, venite per voi non son giudice, sono e sarò per sempre il vostro buon Pastore, venite ai pascoli, venite ai fonti di eterna vita, il mio regno sarà il vostro ovile; voi sarete sempre mie, Io sempre vostro”. Vogliam noi, uditori, goder di simil sorte? Siamo buone, fide, docili pecore, e sarà Gesù nostro buono ed eterno Pastore.

Preghiere per ogni giorno – Domenica –

PREGHIERE ed “Esercizio di Virtù” PER OGNI GIORNO DELLA SETTIMANA

DOMENICA

Alla SS. Trinità

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[da: La via del Paradiso, III edizione, Siena 1823 -imprimatur-]

In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti, Amen.

– Domine, labia mea aperies;

– Et os meum annunciabit laudem tuam.

Sia benedetta, lodata, glorificata, e per sempre ringraziata la SS. Trinità.

I. Voi tutti invoco, o SS. Angioli della prima Gerarchia, Angeli, Arcangeli e Principati, perché insieme con noi adoriate la SS. Trinità, e le rendiate grazie di tutti benefizj, che della sua misericordia e Potenza abbiamo ricevuto, ed in particolare della potenza del Padre per averci creati dal nulla, e data un’anima a sua immagine, e somiglianza, capace della Beatitudine eterna; e a nome nostro pregateLo, che ci dia lume, e forza di confermarla nella sua grazia Divina, per amarLo poi, e goderLo eternamente nella Celeste Patria.

Sia benedetta, lodata, glorificata, e sempre ringraziata la Santissima Trinità,

   “Gloria Patri, et Filio, et Spiritui Sancto, sicut erat in principio, et nunc, et semper; et in sæcula sæculorum. Amen”. [Si dica nove volte].

Credo in Deum Patrem etc. [si dica il Credo].

– Sanctus, Sanctus, Sanctus; Sanctus Pater, Sanctus Filius, Sanctus Spiritus Sanctus. O Beata Trinitas unus Deus, miserere nostri [Si dica tre volte].

II. Voi tutti invoco, o Santi Angioli della seconda Gerarchia, Podestà, Virtù, e Dominazioni, perché insieme con noi adoriate la SS. Trinità, e Le rendiate grazie di tutti i benefici, che dalla sua misericordia, e sapienza abbiamo ricevuti, e in particolare dalla infinita Sapienza del Divin Figlio per averci redenti dalla schiavitù del Demonio, prendendo umana carne, e morendo sopra il Legno della Croce; e a nome nostro pregateLo, che ci conceda grazia di detestare i nostri peccati con la memoria continua di un tanto benefizio, e di collocare le anime nostre nelle sue amorosissime Piaghe, onde partecipare colla sua Divina Grazia del frutto di una sì copiosa Redenzione.

Sia benedetta, lodata, glorificata, e sempre ringraziata la Santissima Trinità.

“Gloria Patri, et Filio” etc. [Sì dica nove volte]. Credo in Deum, Patrem etc. [Si dica il Credo].

Sanctus, Sanctus, Sanctus; Sanctus Pater, Sanctus Filius, Sanctus Spiritus Sanctus. O Beata Trinitas Unus Deus, miserere nostri. [Si dica tre volte].

III. Voi tutti invoco, o Santi Angioli della terza Gerarchia, Troni e Cherubini, e Serafini, perché con Noi adoriate la SS. Trinità, e Le rendiate grazie di tutti i benefizi, che dalla sua Misericordia, e Bontà abbiamo ricevuti, e in particolare dalla immensa Bontà, del Divinissimo Spirito, che continuamente inspira modi bastanti per santificarci; e a nome nostro pregateLo, che infiammandoci il cuore di una perfetta carità ci conceda vera cognizione di noi stessi, e del nostro Dio, onde conservare sempre illibata nelle anime nostre la sua divina Grazia, e ottenere così quel fine, per cui siamo stati creati.

Sia benedetta, lodata, glorificata, e sempre ringraziata la Santissima Trinità,

“Gloria Patri, et Filio” etc. [Sì dica nove volte] .

– Credo in Deum, Patrem ec. [Si dica il Credo].

Sanctus, Sanctus, Sanctus; Sanctus Pater, Sanctus Filius, Sanctus Spiritus Sanctus. O Beata Trinitas Unus Deus, miserere nostri. [Si dica tre volte].

Sia benedetta, lodata, glorificata, e sempre ringraziata la Santissima Trinità,

“Gloria Patri, et Filio” etc. [Sì dica tre volte] . 

Antif. Te Deum Patrem Ingenitum, Te Filium Unigenitum, Te Spiritum Sanctum   Paraclitum, Sanctam et Individuam Trinitatem, toto corde et ore confitemur, laudamus, atque benedicimus; Tibi gloria in sæcula.

-Benedicamus Patrem, et Filium cum Sancto Spiritu.

-Laudemus, et superexaltemus eum in sæcula.

Oremus

Omnipotens sempiterne Deus, qui dedisti famulis tuis in confessione veræ Fidei æternæ Trinitatis gloriam agnoscere, et in potenzia Majestatis adorare Unitatem, quæsumus, ut ejusdem Fidei firmitate ab omnibus semper muniamur adversis; Per Dominum nostrum Jesum Christum etc. Amen.

[I Padri Natale, Mancusi, e Giuseppe Erasmo affermano che questa preghiera fu rivelata ad un illustre Servo di Dio della Compagnia di Gesù, che bramava di glorificare la SS. Trinità in una maniera che fosse di suo maggior gradimento. I 30 Gloria Patri, e i tre Credo sono ad onore dei 33 anni, ne’ quali il nostro Signore Gesù Cristo glorificò in terra la SS. Trinità con la sua Vita, Passione e Morte. Per ogni Gloria Patri si lucrano 30 giorni d’indulgenza.]

Esercizio di virtù:

UMILTÀ

L’umiltà è una Virtù, che ci dà la perfetta cognizione di noi stessi, delle nostre miserie, delle nostre debolezze, del nostro nulla: e perciò c’impedisce di stimarci, e di sollevarci sopra lo stato in cui dobbiamo essere, e ci rende spregevoli a noi medesimi, e modera o annienta il desiderio che naturalmente abbiamo di essere stimati, onorati, e preferiti agli altri. Esercitatevi dunque oggi in questa virtù fondamentale del vero Cristiano, e fare qualche azione, che la riguardi particolarmente, ricordandovi di ciò che dice Gesù Cristo – Imparate da me, che sono mansueto, ed umile di cuore. Se non divenite piccioli come i Bambini, non entrerete nel Regno de’Cieli. Prendete sempre l’ultimo posto, ovunque siate. Tutto ciò, che la maggior figura nel mondo, è aggetto di abbominazione dinanzi a Dio. 

Sei Gradi di Umiltà.

1- Non dite cosa, che ridondi in vostra lode .

2- Confondetevi, se ricevete lodi ripensando, che non siete quale vi giudicano.

3- Non fate opera veruna per vostro onore, ma unicamente e puramente per gloria di Dio.

4- Giudicate tutti migliori di voi; scusate gli altrui mancamenti , ed aggravate i vostri difetti.

5- Soffrite con pazienza i disprezzi, considerando che maggiori gli meritate per i vostri peccati.

6- Desiderate di patire un qualche oltraggio senza vostra colpa, per rassomigliarvi in qualche cosa a Gesù, che tanti ne tollerò per voi .

Preghiera .

   O Gesù, Salvatore delle anime nostre, che per darci l’esempio della vera umiltà siete disceso dal Cielo in terra: e vestendovi della nostra carne, voleste nascere in una stalla, esser circonciso, ed esser battezzato al pari di un peccatore; lavaste i piedi ai vostri Discepoli; foste coperto d’ignominie, e trattato come l’ultimo de’ viventi; e che finalmente vi piacque di esser posto in Croce fra due ladri; concedetemi una umiltà profonda, affinché non abbia mai stima alcuna di me medesimo, né disprezzo per il Prossimo, ma riconoscendo anzi la mia bassezza e viltà, mi sottoponga di buon’animo a tutti per amor vostro . Fatemi la grazia; o mio Dio, che profitti de’ consigli, che per la emenda de’ miei difetti mi verranno suggeriti, e che in cuor mio non mi adiri contro chiunque potesse rimproverarmene, e manifestargli altrui. Rendetemi insomma, come voi, mansueto, ed umile di cuore. Così sia.

La ruspa nella Chiesa?

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La ruspa nella Chiesa?

“Il rito invalido della consacrazione dei vescovi”

18 giugno 1968: la “ruspa” Montini abbatte la trave portante della Chiesa?

   18 giugno del 1968? Che cosa è successo in questa data, vi chiederete? Alla maggior parte delle persone, e soprattutto a coloro che, militando nella “anti-chiesa” conciliare, infiltrata palesemente dalla sinagoga di satana, si reputano ancora cattolici, nonostante l’evidenza dei fatti dimostri che essi siano modernisti ultraprotestanti massonizzati fino al midollo, e non abbiano più alcuna idea di che cosa significhi essere cattolici, non conoscendo più il Catechismo, la Tradizione dei Padri, e soprattutto il Magistero della Chiesa, credendo che il tutto si risolva nella frequentazione di un rito paganeggiante, protestantizzato, massonizzato in 33 “scene” con al centro l’agape rosa+croce ed il deicidio offerto al “signore dell’universo”, che ancora essi osano definire “Messa”, della quale non hanno nemmeno la più pallida idea, o avvezzi a sacramenti francamente invalidi ed illeciti “somministrati” da falsi sacerdoti invalidamente ordinati da falsi vescovi molti dei quali di discendenza massonica, o da “cani sciolti”, senza giurisdizione e missione canonica: a queste persone, dicevo, questa data non dice alcunché! Molti di noi hanno ormai compreso che il cosiddetto “novus ordo missae”, è un nuovo vero “mostro conciliare”, dal tenore gnostico-luciferino, schiaffo cruento a tutta la dogmatica cattolica ed ai dettami evangelici, oltre che alla tradizione bi-millenaria della Santa Chiesa Cattolica. Qualcuno ha obiettato: “ … ma non è stato concesso con il “summorum pontificum” del 2007 di celebrare in “forma straordinaria” la Messa antica?” A parte che questa è stata una ennesima “presa per i fondelli” (ci si passi l’espressione rustica), il considerare cioè la “vera” Messa solo un rito straordinario, da celebrare “una tantum” per accontentare gli inguaribili antiquati e trogloditi tradizionalisti, alla domanda si può rispondere tranquillamente con quanto affermava Don Carl Pulvermacher nel 1977: “Quando saranno scomparsi i sacerdoti validamente consacrati, essi [i modernisti-massonizzati della sinagoga di satana –n.d.r.-] permetteranno la celebrazione della Messa in latino”. Questa espressione, apparentemente candida ed ingenua, nascondeva una verità sconvolgente che purtroppo si è realizzata sotto una sapiente regia, non solo umana, come vedremo, ma anche e soprattutto luciferina. È quanto cercheremo di illustrare in questo scritto.

L’argomento che tratteremo, addentrandoci nei meandri di Encicliche, Codici, trattati antichi e recenti, occidentali ed orientali, riguarda la “consacrazione dei vescovi”, la cui formula è stata modificata ed applicata, appunto per la prima volta, in quel fatidico 18 giugno 1968, formula che costituisce un passaggio fondamentale ed obbligato nella costruzione della Gerarchia cattolica, nonché la base di tutti i Sacramenti. Scardinando con machiavellica lucidità questa “Consacrazione”, con il renderla cioè invalida nella “materia” e nella “forma”, tutto l’edificio Cattolico, umanamente, crolla inesorabilmente nel giro di pochi decenni, esattamente come è accaduto negli ultimi anni, lasciando veramente la Chiesa Cattolica, come annunziato dalla SS. Vergine alle apparizioni de La Salette, oscurata da una eclissi mostruosa: “… la Chiesa sarà eclissata!” … da un “orribile mostro conciliare”!

Iniziamo quindi con ordine, poiché l’argomento è della somma importanza in riferimento alla salvezza della nostra anima, che nella maggior parte dei casi è, nel mondo della nuova “chiesa dell’uomo”, affidata a semplici laici vestiti, come da sacrilego carnevale, da vescovi, cardinali o preti (che in verità hanno già “coerentemente” dismesso l’abito sacerdotale, abbigliandosi alla moda e con indumenti griffati, come ognuno può constatare).

Partiamo allora dalle basi teoriche iniziando da considerazioni teologiche apparentemente barbose, ma indispensabili per una corretta comprensione dell’argomento. Dalla teologia dei Sacramenti apprendiamo che: “L’ordinazione vescovile è fondamentale essendo la “sorgente” di tutti i Sacramenti, sia direttamente, [pensiamo alla Cresima e all’Ordine sacerdotale], sia Indirettamente: [i Sacerdoti ordinati, con missione canonica, amministrano a loro volta: Eucarestia, Battesimo, Confessione, Matrimonio, Unzione degli infermi].”

Affinché un Sacramento abbia validità, sono necessarie tre cose: “la materia, la forma e l’intenzione” (v. Tab. 1). Ad esempio, per il Battesimo occorre l’acqua (materia), poi è indispensabile la forma (cioè le parole: “io ti battezzo nel Nome … etc.”, ed infine l’intenzione conforme a quella della Chiesa Cattolica. Se nel bagnare la testa al bambino, l’officiante dice: “ io ti lavo la testa nel nome …”, pur in una cerimonia in chiesa con tutti gli elementi circostanti abituali validi, il Sacramento non ha alcuna efficacia, e rappresenta al massimo il tentativo di uno shampoo per il mancato battezzato. Allo stesso modo se il celebrante dicesse: “io ti battezzo nel nome di Renzi, Berlusconi e Bersani, il Sacramento non sarebbe valido, poiché non conforme alle intenzioni della Chiesa che sono quelle di battezzare nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. A tutti è chiaro allo stesso modo che nel Sacramento dell’Eucaristia la “materia” è il pane azzimo e, se per caso si usasse un’ostia di cioccolato bianco, ci sarebbe invalidità del Sacramento anche nel proferire la “vera” formula della Transustanziazione. Nel caso del Sacramento dell’Ordine, la materia è rappresentata dal “contatto” fisico tra l’impositore ed il ricevente l’ordine, come spiega mirabilmente San Tommaso nella “Summa” e quindi dall’imposizione delle mani. La sostanza di una “forma” sacramentale costituisce una cosa che è indipendentemente dagli accessori o cose accidentali che la circondano. Pertanto la “sostanza” di una forma sacramentale è il suo significato. “Il significato deve corrispondere alla grazia prodotta dal Sacramento”. Nel Concilio di Trento si definisce (Denzinger 931): «Il concilio dichiara, inoltre, che nella somministrazione dei Sacramenti c’è sempre nella Chiesa il potere di decidere o modificare, lasciando salva la sostanza di questi sacramenti, così come Essa giudichi meglio convenire all’utilità di coloro che li ricevono, e nel rispetto dei Sacramenti stessi, secondo la diversità delle cose, dei tempi e dei luoghi.»

   Veniamo a chiarire già da subito che cos’è la significatio “ex adjunctis” di un Sacramento, [significato adiuvante] elemento, questo, che costituisce il punto centrale della questione e di cui discuteremo pure ampiamente in seguito. Per il momento ci basti sapere: • Il valore o l’efficacia dei Sacramenti viene da Cristo, non dalla Chiesa; e il Cristo ha voluto che essi si comportino nella maniera degli agenti naturali, “ex opere operato”.

  • Un ministro indegno o anche eretico (ma non con scomunica “maggiore”, anche se “ipso facto”!) amministra validamente i Sacramenti se utilizza “scrupolosamente” la materia e la forma proprie a ciascun Sacramento, con l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa.
  • L’utilizzazione della materia e della forma del Sacramento, con l’integralità della “significatio ex adjunctis” garantisce che il ministro manifesti l’intenzione della Chiesa.
  • La “significatio ex adjunctis” deve esprimere il significato del Sacramento; se le modifiche introducono una “contraddizione”, il Sacramento non ha efficacia perché manca manifestamente l’intenzione.
  • Se la “significatio ex adjunctis” è tronca, il Sacramento può essere dubbio perché l’intenzione può praticamente mancare.

– In questi casi è legittimo ricercare le intenzioni di coloro che hanno modificato il rito per valutare la sua validità (cf. notazione di Leone XIII in “Apostolicae Curae”).

E in quel fatidico, nefando giorno, il “18 giugno 1968” si è perpetrata l’“Eliminazione radicale” del rito romano antico, consacrato “infallibilmente” da Pio XII nel 1947! Fortunatamente, con l’aiuto della Provvidenza, si è costituito un “piccolo resto” di consacrati “isolati”, in costante pericolo di vita, vescovi, Cardinali e sacerdoti usciti dalla “scuola” e dalle “mani” del Cardinale Siri (eletto validamente Papa almeno 3 volte all’unanimità, incarico accettato col nome di Gregorio XVII), che potranno così perpetuare, ad onta degli adoratori di lucifero, i marrano-massoni, attuali usurpatori, la Chiesa Cattolica, unica Chiesa fondata da Cristo, fuori dalla Quale non c’è salvezza eterna (extra Ecclesia nulla salus!), ed adempiere a tutte le promesse di “indefettibilità” (di assistenza continua) che il Signore Gesù ci ha fatto nel Santo Vangelo! Come questo sia potuto succedere, chi siano stati gli infami autori di questo sfregio luciferino alla Santa Chiesa Cattolica, e quindi a N.S. Gesù Cristo stesso, a Dio Padre Creatore, ed allo Spirito Santo (con una specifica eresia “anti-filioque” nella formula), con quali assurdi e, per certi aspetti, ridicoli pretesti abbiano compiuto questo sacrilego aberrante misfatto, lo vedremo a breve.

Oggi i fedeli si trovano oramai al cospetto di una “contro-religione” totalmente “A-cattolica”, nella quale è stato reso invalido il Rito della Consacrazione vescovile, con la conseguente invalidità di TUTTE le Ordinazioni sacerdotali e di tutti i “Sacramenti”, amministrati quindi illecitamente, invalidamente e sacrilegamente da laici, consapevoli o meno, “finti” preti e “carnevaleschi” vescovi! Persino gli occupanti, usurpatori recenti del “Soglio di Pietro”, non hanno mai ricevuto una ordinazione vescovile valida! “Si è trattato invero di un’operazione chirurgica mirata, di un cesello orafo “a sfregio”, della rimozione dell’ingranaggio fondamentale di tutto l’impianto gerarchico-ecclesiastico, strutturato come un perfetto “orologio svizzero”, immagine terrena della Gerarchia celeste, e di cui l’orologiaio “perfido” conosceva esattamente il meccanismo, tutto incentrato sulla Consacrazione vescovile: rimuovendo la ruotina “cardine”, si è avviata una caduta con effetto “domino” che sta portando inesorabilmente alla distruzione totale della Gerarchia ecclesiastica (almeno di quella apparente!), con la creazione conseguente di una “falsa” gerarchia composta da semplici laici, cosa della quale purtroppo non ci si è resi ancora conto in pieno (sperando che non ce se ne renda conto solo una volta sprofondati nell’inferno, quando cioè oramai è troppo tardi!). Ma veniamo ai fatti!

Abbiamo già ricordato sommariamente i capisaldi teologici dei Sacramenti Cattolici, ora torneremo in particolare sul significato dell’ “ex adjunctis”, già in precedenza accennato, elemento essenziale di un Sacramento. Che cos’è allora la “Significatio ex adjunctis” di un Sacramento (Significato delle parole aggiunte)? A costo di essere ripetitivi, cerchiamo di fissare bene in mente:

  • Il valore o l’efficacia dei Sacramenti viene da Cristo, non dalla Chiesa; e il Cristo ha voluto che essi si comportino nella maniera degli agenti naturali, “ex opere operato” (attuati mediante un’operazione).
  • Un ministro indegno, o peccatore notorio, (… ma non lo scomunicato, anche “ipso facto”!) amministra validamente i Sacramenti se utilizza scrupolosamente la materia e la forma proprie a ciascuno con l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa (come già ricordato).
  • L’utilizzazione della materia e della forma del sacramento, con l’integralità della “significatio ex adjunctis” garantisce che il ministro manifesti l’intenzione della Chiesa.
  • La “Significatio ex adjunctis” deve esprimere il “significato del Sacramento”; se le modifiche introducono una contraddizione, il Sacramento non ha efficacia perché “manca manifestamente l’intenzione”.
  • Se la significatio ex adjunctis è tronca, il Sacramento può essere dubbio perché l’intenzione può praticamente mancare.

L’antichità del rito tradizionale.

  • Il Padre Jean Morin (1591-1659), sapiente oratore, pubblicava nel 1655 un’opera rimarchevole sul soggetto degli “ordines” latini ed Orientali. Si tratta del: “Commentarius de sacris Ecclesiae ordinationibus secundum antiquos et recentiores Latinos, Graecos, Syros et Babylonios in tres partes distinctus”, la cui seconda edizione apparve ad Amsterdam nel 1695.
  • Più tardi, un benedettino di Saint-Maur, Dom Martene (1654-1739), pubblicava nel 1700, una sapiente edizione, notevole per rigore, raccogliendo i “Pontificali” di ordinazione della Chiesa Cattolica antecedenti all’anno ‘300 fino alla sua epoca. – Si tratta del ”De antiquis Ecclesiae ritibus libri quatuor”. Dom Martene fu discepolo di Dom Martin, e fu diretto per molto tempo da Dom Mabillon. Su queste autorevoli basi, e su una tradizione millenaria, S.S. Papa Pacelli, Pio XII, definì con Magistero solenne, “infallibile” ed “irreformabile” la formula definitiva (formula, si badi bene, che aveva consacrato un elenco lunghissimo di “fior” di Papi, Cardinali e Vescovi, Santi per vita, fede e dottrina, avallati da fatti straordinari e miracoli!).

La decisione infallibile di Pio XII:

I lavori scientifici di recensione e di giustapposizione dei riti (Padre Morin, Dom Martène, etc.) hanno permesso di identificare la “forma invariabile, essenziale, nel rito latino, da più di 17 secoli”. • A partire da tali lavori, Pio XII ha designato “infallibilmente” le parole del “prefazio” che costituiscono la “forma” essenziale del Sacramento (in: Costituzione Apostolica “Sacramentum Ordinis”, punto 5, del 30 nov. 1947). Eccole:

   “Comple in Sacerdote tuo ministerii tui summam, et ornamentis totius glorificationis instructum coelestis unguenti rore sanctifica”. («Compi nel tuo sacerdozio la pienezza del tuo ministero, e, rivestitolo con le insegne della più alta dignità, santificalo con la rugiada del celeste unguento»)

S. Pio XII cioè non ha creato un rito, Egli ha semplicemente designato la forma essenziale del Sacramento in un Rito di tradizione quasi bi-millenaria. Al termine della Costituzione Apostolica citata, chiude con le terribili parole, che dovrebbero far tremare l’inferno (ma non hanno fatto tremare il “santo” della sinagoga di satana: il marrano e capo degli “Illuminati di Baviera”, noto omosessuale e spia del K.G.B., G. B. Montini, il sedicente Paolo VI, anti-Papa insediato al posto del Cardinale Siri, -validamente eletto con il nome di Gregorio XVII, esiliato sotto minaccia atomica … ma questa è un’altra storia … la racconteremo in altra sede!-: “Nulli igitur homini liceat hanc Constitutionem a Nobis latam infringere vel eidem temerario ausu contraire” (… a nessun uomo è lecito infrangere questa Costituzione o modificarla con temerario ardimento). Or dunque, Pio XII non ha creato nulla: egli ha semplicemente constatato e quindi definito la “forma essenziale” nel Prefazio del Rito di Consacrazione nel Pontificale (il volume che contiene tutte le cerimonie presiedute dai Vescovi ed Autorità Superiori).

A questo punto, incomprensibilmente, apparentemente senza motivazioni apostoliche, teologiche, liturgiche,

il RIBALTONE!!!:

Eliminazione radicale della forma essenziale del rito latino.

21 anni dopo la promulgazione infallibile di Pio XII della “forma” essenziale, rimasta invariata per oltre 17 secoli, G.B. Montini (il sedicente antipapa Paolo VI) la sopprime totalmente.

S.S. Pio XII, nel 1947, in ”Sacramentum ordinis” ha designato le parole del prefazio che costituiscono la “forma” essenziale, le riportiamo ancora:“Comple in Sacerdote tuo ministerii tui summam, et ornamentis totius glorificationis instructum coelestis unguenti rore santifica”. Il marrano Montini, usurpante la Cattedra di S. Pietro, con un ribaltone sacrilego senza precedenti, ha designato nel 1968 nel Pontificalis romani un’altra forma essenziale che non conserva NULLA della forma essenziale fissata “infallibilmente” da Pio XII. Ecco la nuova “assurda” formula: “Et nunc effúnde super hunc Eléctum eam virtútem, quæ a te est, Spíritum principálem, quem dedísti dilécto Fílio tuo Iesu Christo, quem ipse donávit sanctis Apóstolis, qui constituérunt Ecclésiam per síngula loca ut sanctuárium tuum, in glóriam et laudem indeficiéntem nóminis tui”. Questo è un fatto di portata e gravità senza pari!! Non resta una sola parola, una sola sillaba della “forma” che S.S. il Papa Pio XII aveva giustamente (1947) definito infallibilmente essenziale e assolutamente richiesta per la validità del sacro Episcopato !

In breve: … « la “forma” essenziale e necessaria alla validità è stata TOTALEMENTE soppressa dal nuovo ordinale di Paolo VI!» (Abbé V.M. Zins, 2005). Questo il fatto nudo e crudo, vedremo poi gli infami autori di tale sfregio sacrilego e le blasfeme e le ridicole ragioni addotte a sostegno del ribaltone, che è tra l’altro veicolo sottile di eresie perniciose e gravissime, contro la SS. Trinità, contro l’Incarnazione del Cristo, e contro lo Spirito Santo, configurando un assurdo gnostico-manicheo, peraltro già intrufolato nell’anglicanesimo e nel giansenismo, un movimento novatore, pre-modernista del 1700, condannato giustamente come eretico, e contro il quale il nostro S. Alfonso Maria de’ Liguori è stato un martello tenace ed implacabile nella sua denuncia e demolizione. Chi pensa che con questo rito, o partecipando a pseudo-funzioni (??) tenute da laici, falsamente consacrati da questo rito, faccia parte della Chiesa Cattolica, è un illuso: pensando di marciare sotto il vessillo di Cristo, in realtà segue lo stendardo di satana. “Apriamo gli occhi: il nostro pensiero costante, l’unico che conti per davvero, sia sempre la conquista della salvezza dell’anima, che si ottiene con laboriosità ininterrotta, mediante la vigilanza, la prudenza, la preghiera incessante e la conoscenza delle Sacre Scritture, rigorosamente e correttamente interpretate, e del Magistero autentico della Chiesa, Corpo mistico di Cristo, Sposa immacolata di Cristo, Maestra e via di Verità e Vita. Non c’è posto per la falsa misericordia che chiude i due occhi sulla peccaminosità, sul pentimento, prospettando infine l’inferno “buono” per tutti!!!”

Gli autori dell’infamia

Cerchiamo allora di esaminare più da vicino la questione riguardante la formula di consacrazione dei vescovi. Intanto ci cominciamo a chiedere chi ne siano gli autori. Guarda caso, ci troviamo a che fare con personaggi già noti, fortemente compromessi con istituzioni massoniche e ferocemente anticristiane, al centro delle “apparenti” stravaganze già arcinote nella cosiddetta “nuova messa”, un rito di ispirazione vagamente anglicano-protestante, vera liturgia rosa+croce in 33 ”atti”, osannante il massonico e gnostico “signore dell’universo” al quale viene pure offerto il deicidio di Gesù Cristo, e fuorviante totalmente dal contesto teologico tridentino, pertanto carico di anatemi imperituri, in particolare per chi ne ha o ne dovrebbe avere consapevolezza. Non paghi dello “scoop” anticattolico ed antiliturgico, di per se stesso già gravissimo, e mirando a radere al suolo totalmente la Gerarchia cattolica, e quindi la Chiesa stessa, avviano questa nuova “pratica” che, confondendo tradizioni apostoliche inesistenti, costruite in biblioteca per attribuirsi un’aureola di sapienza (un “baro” da falsi sapienti), e mescolando riti orientali, siriaci ed africani, di difficile controllo documentale, ed oltretutto già rigettati nel passato perché eretici e blasfemi, creano questo nuovo rito gettando fumo negli occhi con ignobili menzogne e contraffazioni. E allora, chi sono gli autori del Pontificale Romano? Eccoli: Giovanni Battista Montini, detto Paolo VI, figura arcinota, il cui ruolo, decisivo nella “contro-Chiesa”, è riconosciuto ormai da tutti come determinante. Non ci dilungheremo affatto su tale losco figuro, anche perché la cosa, a noi di stomaco delicato, ci farebbe nauseare e vomitare, e così rinviamo i lettori al trittico di Don Luigi Villa che lo ha “degnamente” e compiutamente descritto con dovizia di particolari ed abbondante documentazione. L’altro degno ancor più losco figuro, già noto ai lettori attenti, è il mons. Annibale Bugnini, il tristemente noto BUAN 1365/75 (nome in codice di appartenenza alla “loggia”) che ebbe la “sfortuna” di dimenticare ad una conferenza in Vaticano, su una sedia, una borsa che malauguratamente fu rinvenuta da un giornalista che ne rivelò il contenuto (oh, questi giornalisti non si fanno mai i fatti propri!): erano documenti segreti della loggia di appartenenza massonica dell’incauto. Così “sgamato”, fu inviato come nunzio apostolico in Iran, per chiudere ingloriosamente la sua turpe carriera. Ma l’incarico più “tecnico” fu assunto da un oscuro benedettino, dom. Bernard Botte, OSB, di cui nessuno aveva mai saputo nulla, (a Buan probabilmente lo avrà segnalato l’amico e compagno di loggia: Salma, Salvatore Marsili, abate OSB dell’abazia di Finalpia, anch’egli finito nella lista Pecorelli!), e che qualche anno prima del nuovo pontificale, pubblicava un libro in cui illustrava una strana e fino ad allora oscura, presunta “tradizione di Ippolito”, un Ippolito che non si capisce chi fosse stato, o forse “Ippoliti”, visto che se ne contano due o tre (!?!), la stessa “tradizione” già implicata fraudolentemente nella stesura della “messa di BUAN” (l’attuale rito spacciato per Messa cattolica dalla setta marrano-modernista, attualmente usurpante il Soglio di Pietro)!

Il “Pontificalis Romani” (con il nuovo Sacramento dell’Ordine) è stato promulgato da Giovanni Battista Montini, la “ruspa”, l’anti-papa, sedicente Paolo VI, il 18 giugno 1968. – Montini nomina Annibale Bugnini, che è stato quindi l’artefice (il braccio della ruspa in azione!) dei due documenti liturgici essenziali del suo “pontificato”, demolitore ruspante: 1) il Pontificalis Romani, promulgato il 18 giugno 1968 e 2): in Cena Domini, promulgato il 03 Aprile 1969 (Novus Ordo Missae). Il 07 gennaio 1972, Montini ha egli stesso “ordinatoBugnini all’Episcopato (ovviamente in modo invalido!!), nominandolo poi, il 15 gennaio 1976, Arcivescovo titolare di Dioclentiana. Ma davanti allo scandalo della sua nota e divulgata appartenenza massonica fin dal 23 aprile del 1963, sotto il nome in codice di ’Buan 1365/75, lo “esilia” come pro-Nunzio apostolico a Teheran … oramai il burattino logoro e “scoperto” si poteva mettere da parte, con un bel calcio nel fondo schiena!

Dom Bernard Botte, benedettino dell’abbazia del Mont-César (Belgio) fu, sotto l’autorità di Bugnini, il principale artigiano del testo, inventando la rocambolesca ricostruzione di un fantomatico rito, da una pretesa tradizione apostolica di Ippolito (ma non sa nemmeno lui di quale Ippolito si tratti!), nota evidentemente a lui solo …, e di cui non si era mai sentito parlare in precedenza nella Chiesa … una favola partorita dalla fervida fantasia di questo strambo benedettino, [forse compagno dell’abate di Finalpia, Salvatore Marsili, affiliato con la sigla Salma 1278/49 e compagno di Buan nella P2], subito fatta propria da chi intendeva distruggere la Gerarchia, il Sacerdozio ed i Sacramenti cattolici.

Quali sono le origini del Pontificalis Romani, e da dove proviene questa formula di Paolo VI? Le Ragioni addotte da Montini, il falso “papa” Paolo VI nel Pontificalis Romani per promulgare questa riforma, ufficialmente sono:

– « … Si è giudicato bene di ricorrere, tra le fonti antiche, alla preghiera consacratoria che si trova nella “Tradizione apostolica di Ippolito di Roma”, documento dell’inizio del terzo secolo, e che, in una grande parte, è ancora osservata nella liturgia dell’ordinazione presso i Copti ed i Siriaci occidentali. In tal modo, si rende testimonianza, nell’atto stesso dell’ordinazione, dell’accordo tra la tradizione orientale ed occidentale sul carico apostolico dei Vescovi » Paolo VI (Pontificalis Romani,1968). L’inganno è palese, poiché è provato (come vedremo più avanti) che :

– La pretesa (*) Tradizione apostolica attribuita ad Ippolito di Roma, o ad altri autori, è un tentativo di ricostituzione fatto da Dom Botte dopo il 1946, ed « in modo costruttivo », secondo l’espressione di R.P. Hanssens, nel 1959.

– La Tradizione apostolica d’Ippolito suscita dal 1992 un dibattito tra specialisti che la qualificano come di «pretesa Tradizione apostolica», quindi quantomeno dubbia, se non fantomatica! Questa controversia divenne oggetto di un seminario nel 2004 nel quale si concluse che: –1) La preghiera di consacrazione di Paolo VI si ispira, ma non s’identifica, con la pretesa Tradizione apostolica attribuita ad Ippolito; essa rappresenta una creazione “artificiale” di Dom Botte nel 1968.

.2) La preghiera consacratoria di Paolo VI, la cui forma essenziale è ispirata alla pretesa (*) Tradizione Apostolica d’Ippolito, presenta delle similitudini con i riti Abissini, riti di eretici “monofisiti”, i quali non costituiscono dei riti validi, ma piuttosto dei riti risultanti da dibattiti teologici nati alla fine del XVII secolo.

.3) I riti copto e siriaco non utilizzano affatto la formula detta d’Ippolito, (dello stesso avviso è perfino Dom Botte!). inoltre i riti utilizzati dal siriaco al copto, ai quali ci si è falsamente ispirati, venivano utilizzati per insediare un Patriarca già consacrato Vescovo, e quindi non conferivano in alcun caso il Sacramento dell’ordine!

.4) La formula del c.d. Paolo VI non manifesta alcun «accordo tre le tradizioni orientale ed occidentale», ma viene recuperata piuttosto da una pretesa (*) ’Tradizione apostolica d’Ippolito’, testo che secondo alcuni proviene invece da ambiti egiziano-alessandrini, nei quali i riti traducono, secondo Burton Scott Easton, le influenze della sinagoga (The Apostolic Tradition of Hippolytus, Burton Easton, 1934, pag. 67 ed. del 1962, Archon Books).

(*) [Noi abbiamo préferito scrivere, in accordo con il comitato internazionale “Rore sanctifica”: La “pretesa” tradizione apostolica a proposito di questo documento denominato: “la Tradizione apostolica attribuita ad Ippolito” (o a diversi autori “Ippoliti”), conformandoci così alla denominazione dei lavori Scientifici ed universitari che si è imposta da un paio di decenni nel mondo degli specialisti che trattano di questo soggetto.]

In sostanza, la “contestazione d’Ippolito”, conosciuta dagli specialisti già dal 1946, ossia ben 22 anni prima del Pontificalis Romani, continua nel 1990 ed oltre, anche da parte dei Bollandisti (Gesuiti seguaci di Bolland, particolarmente eruditi nelle documentazioni ecclesiastico-liturgiche). Sarebbe troppo lungo e noioso riportare tutti i documenti, veri o presunti, ed i dibattiti successivi sul tema! In conclusione, la preghiera consacratoria di Paolo VI s’ispira, ma non riproduce neppure quella della pretesa (*) “Tradizione Apostolica d’Ippolito’ che è stata quindi solo un po’ di “fumo negli occhi”, un “bluff” per prendere tempo in attesa di tempi migliori e … di nuove invenzioni, e costituisce pertanto una creazione artificiale di Dom Botte nel 1968. L’inganno verrà meglio compreso successivamente, quando qualche “topo di biblioteca”, inopportuno ed inatteso intrigante, va a scovare le formule ed i riti orientali nelle lingue originali, fraudolentemente addotti essere un modello di ispirazione onde fondere le consuetudini liturgiche occidentali ed orientali, sicuri che nessuno mai andasse a verificarle, fidandosi della perizia dei falsi “sapienti” incaricati; questo però ci fa capire ulteriormente la volontà sottile con la quale si sia perpetrato l’inganno tra l’indifferenza, l’insipienza e, non voglia Iddio, la connivenza di tanti presunti “conoscitori di cose divine”, mollemente adagiati nei loro dorati e molleggiati giacigli, come i “cani muti” già catalogati dal profeta Isaia! Ma … “Qui habitat in caelis irridebit eos, et Dominus subsannabit eos.”(Ps. II, 4)! Tremate, il giudizio arriverà anche per voi … come un ladro, quanto meno ve lo aspettate … e lì sarà pianto e stridor di denti!

Osservando la giustapposizione dei riti succitati, ne esce una grande similitudine, anche se confusa, tra il rito di Paolo VI e “l’ordinanza ecclesiastica” nella sua recensione etiopica ed i riti abissini; la preghiera consacratoria quindi, la cui formula essenziale era inizialmente considerata essere parte della pretesa’Tradizione apostolica d’Ippolito’, è similare ai riti abissini! Ma questo “archeologismo storico-geografico” è manifestamente essere una eresia monofisita e quindi antitrinitaria! Infatti i riti abissini devono essere letti nel contesto del “monofisismo: Nunc autem effunde desuper virtutem Spiritus principalis, quem dedisti dilecto Filio tuo Jesu Christo [… allora dunque effondi dall’alto la virtù dello Spirito principale, che hai dato al Figlio tuo diletto Gesù Cristo]. Ciò vale ugualmente per la forma dell’Ordinanza ecclesiastica di recensione etiopica: … Et nunc effunde eam quae a te est virtutem principalis spiritus, quem dedisti dilecto puero tuo Iesu Christo … [… ed ora effondi quella che da te è la virtù dello Spirito principale …]. Ma perché questa formula afro-orientale, è sostanzialmente eretica, anzi blasfema, applicata ad una Consacrazione vescovile? L’enigma che si pone nella formula, riguarda lo “spiritus principalis”, che designerebbe lo Spririto-Santo (anche se lo “spirito del principe” – come pure correttamente si potrebbe tradurre – ci sembra ben altra cosa, oltretutto con un vago “odore di zolfo”!), il quale viene trasmesso al Figlio, e questo significherebbe quindi, nel contesto etiope-abissino, che Gesu-Cristo diviene Figlio di Dio per mezzo di questa “operazione” che è per essi dunque una unzione divinizzante o meglio una “adozione” seguita da una “unione deificante”, quindi una “sola” natura sussistente, ciò che corrisponde appunto al “monofisismo”. [il “Monofisismo”, eresia condannata dal Concilio di Calcedonia nel 451, “riconosceva” al Cristo la sola natura divina, negando che la natura umana di Cristo fosse sostanzialmente la nostra, fatto che quindi impedirebbe la nostra Redenzione attraverso di Lui e negherebbe il “fiat” della Vergine Maria”. Esso ancora oggi è praticato dalle chiese orientali copte di Egitto ed Etiopia e dalle maronite della Siria occidentale].

Queste concezioni alle quali si è accennato, debordano inoltre dal quadro della Cristologia per estendersi alla Teologia Trinitaria, poiché, per questa formula così malamente manipolata, lo Spirito-Santo non sarebbe consustanziale al Figlio. L’affermazione è pertanto “antitrinitaria”, ed “anti-filioque”. In parole povere c’è un’aberrante similitudine tra il rito del sedicente Paolo VI ed i riti appartenenti agli eretici monofisiti!.

Questi riti di consacrazione, ai quali si richiama il Montini, appartengono nei fatti a “chiese” eretiche che adottano principi già condannati abbondantemente dal Magistero Cattolico, principi antitrinitari e cristologicamente a-cattolici.

Senza volerci addentrare ulteriormente in questioni molto “specialistiche”, possiamo concludere che alla fine il rito di Botte-Bugnini-Montini, non è né copto, né maronita occidentale, essendo essi confusamente sovrapposti tra loro ma non coincidenti, e quel che più è evidente è che la preghiera consacratoria (la forma del Sacramento), non riprende nemmeno quella della pretesa “tradizione apostolica” del fantomatico Ippolito; dissimili sono pure il rito nestoriano ed armeno!

Questi fatti contraddicono la parola del Montini secondo la quale: “… si è ben giudicato di ricorrere, tra le fonti antiche alla preghiera consacratoria che si trova nella tradizione apostolica di Ippolito di Roma, documento dell’inizio del III secolo, e che, per una gran parte è ancora osservata nella liturgia dell’ordinazione presso i Copti ed i Siriani occidentali”.

No, non è Pinocchio a Bengodi, ma Paolo VI, il falso “papa”, in “Pontificalis Romani” [forse sarebbe meglio ribattezzarlo “ponte-fecalis”!]. In realtà sappiamo oggi benissimo, e chiunque può constatarlo, come i riti copto e siriaco occidentale non utilizzino affatto la “prefabbricata” preghiera consacratoria della pretesa “Tradizione apostolica di Ippolito”. Lo stesso dom Botte, in opere successive, aggiungeva fandonie a menzogne per giustificare il suo operato chiaramente in malafede. Ad esempio in un’opera del 1957, opponeva la “tradizione apostolica di Ippolito”, alla tradizione siriaca autentica [“La formula di ordinazione – la grazia divina nei riti orientali”; in l’Oriente siriano, abst., vol. II, fasc. 3, 3° trim. 1957, Parigi, pag. 285-296]. Si tratta alla fine, di un inaudito abuso, quello perpetrato il 18 giugno 1968 dall’antipapa sedicente Paolo VI; egli ha avuto il “temerario ardimento” di rimpiazzare un rito latino antico, invariabile nella sua forma essenziale da oltre 17 secoli, con una creazione artificiale ricavata da una ricostruzione di dom Botte apparsa negli anni 1950, e poi nel 1990 contestata dagli specialisti (quelli veri!). Il Montini si è giustificato con un sedicente ritorno alle origini, un falso archeologismo, riproducendo il metodo utilizzato da eresiarchi in passato, nei confronti del quale S.S. Leone XIII scriveva, bollandoli severamente: «essi hanno grandemente sfigurato l’insieme della liturgia conformemente alle dottrine erronee dei novatori, con il pretesto di ricondurla alla sua forma primitiva ». (Lettera enciclica: Apostolicae curae, 1896).

Si è preteso giustificarsi con delle menzogne: a) la forma citata non riproduce affatto la forma della pretesa tradizione apostolica attribuita ad Ippolito; b) la forma citata non è mai stata in uso nei riti copto e siriano occidentale. Si è commesso un attentato contro lo Spirito-Santo, avendo avuto, come detto, l’audacia inaudita di rimpiazzare, con una creazione puramente umana, un rito invariabile nella sua forma essenziale e quasi bi-millenaria, di cui lo Spirito-Santo è stato garante della costanza, coronata poi dalla decisione infallibile di Pio XII (Sacramentium ordinis) meno di 21 anni prima dell’atto ignobile del fasullo Paolo VI e quindi irreformabile da parte di un “vero” Papa [un vero Papa non avrebbe mai apportato, né poteva, una modifica al Magistero definito da un suo predecessore!]. Ecco quindi le origine smascherate di un rito aberrante: una creazione puramente umana!

Ricordiamo al proposito, anche per respirare un po’ di aria pura, San Tommaso d’Aquino che pone la questione: “Dio è il solo a realizzare l’effetto interno al sacramento?” Risposta: «Ci sono due modi di realizzare un effetto: in qualità di agente principale o in qualità di strumento. Secondo la prima maniera, è Dio solo che realizza l’effetto del Sacramento. Ecco perché Dio solo penetra nelle anime ove risiede l’effetto del Sacramento, e un essere non può agire direttamente la dove Egli non c’è. Anche perché appartiene solo a Dio il produrre la “grazia”, che è l’effetto interiore del sacramento (S. Th. I-II, Q.112, a. 1). Inoltre, il carattere, effetto interiore di certi Sacramenti, è una virtù strumentale derivante dall’agente principale che è qui Dio. Ma, nella seconda maniera, cioè agendo in qualità di ministro, l’uomo può realizzare l’effetto interiore del Sacramento; perché il ministro e lo strumento hanno la stessa definizione: l’azione dell’uno conduce ad un effetto interiore sotto la mozione dell’Agente principale che è Dio. » [Summa theologiae -III, Q.64, 1-]. In poche parole, l’uomo non è che il ministro, lo strumento dell’azione di Dio in un Sacramento. E qui sorge la domanda: “Chi è che ci assicura in modo assolutamente certo che Dio agisce al meglio in un rito creato nel 1968”? Seguiamo ancora San Tommaso, che si chiede: “L’istituzione dei sacramenti ha solo Dio per autore? « È a titolo di strumento, lo si è visto, che i Sacramenti realizzano degli effetti spirituali. Ora lo strumento trae la sua virtù dall’Agente principale. Vi sono due agenti, nel caso di un Sacramento: Colui che lo istituisce, e colui che usa del Sacramento già instituito applicandolo quanto a produrre il suo effetto. Ma la virtù del Sacramento non può venire da colui che non fa che usarne, perché non si tratta così se non al modo di un ministro. Rimane dunque che la virtù del Sacramento gli viene da Colui che l’ha instituito. La virtù del Sacramento non venendo che da Dio, ne risulta che Dio solo ha istituito i sacramenti». [Summa theologiae -III, Q.64, 1-] Dio solo ha istituito i Sacramenti, e allora: Chi ci assicura in modo assolutamente certo che un rito creato nel 1968 trasmetta la “virtù” di un Sacramento che ha solo Dio come autore? Chiediamo venia ed un po’ di pazienza, per la lunga citazione di San Tommaso, che però è fondamentale nella logica da seguire nel valutare teologicamente e dottrinalmente il problema. Egli continua: : “L’istituzione dei sacramenti ha Dio solo per autore? « Obiezione n°1: Non sembra, perché è la Santa Scrittura che ci fa conoscere le istituzioni divine. Ma ci sono alcuni elementi dei riti sacramentali che non si ritrovano menzionati nella Santa Scrittura, come la santa Cresima, con la quale si dà la confermazione, e l’olio con cui si ungono i sacerdoti, e certe altre parole e gesti che sono in uso nei Sacramenti. Risposta all’obiezione n° 1: Gli elementi del rito sacramentale che sono d’istituzione umana non sono necessari al Sacramento, ma contribuiscono alla solennità di cui lo si circonda per eccitare devozione e rispetto in quelli che lo ricevono. Quanto agli elementi necessari ai sacramenti, essi sono stati istituiti dal Cristo stesso, che è nello stesso tempo Dio ed uomo; e se essi non ci sono tutti rivelati nelle Scritture, la Chiesa comunque li ha ricevuti dall’insegnamento ordinario degli Apostoli; è così che San Paolo scrive (1 Co XI, 34) : «Per gli altri punti, io li regolerò alla mia venuta». [Summa theologiae -III, Q. 64, 1-]. Se gli elementi del rito “necessari” al Sacramento sono stati istituiti dal Cristo stesso, chi è che ci assicura in modo assoluto che gli elementi del rito creato (… nientemeno che da dom B. Botte, l’amico di Buan 1365/75, !?!) nel 1968 contengano effettivamente gli elementi necessari al Sacramento istituito dallo stesso N.S. Gesù Cristo? Ricordiamo, al proposito, pure il giudizio di San Pio X :« … allorché si sappia bene che la Chiesa non ha il diritto di innovare nulla che tocchi la sostanza del sacramento » [San Pio X, 26 dicembre 1910, “Ex quo nono”]. Quindi veniamo alle “1+3” condizioni di validità del Sacramento di consacrazione: 1) Perché una consacrazione episcopale sia valida, si richiede innanzitutto che il consacratore abbia egli stesso il potere d’ordine, cioè che egli sia validamente (ed ontologicamente) Vescovo (che non sia ad esempio un massone di 30° grado scomunicato “ipso facto”!). Successivamente, sono necessarie 3 condizioni all’esistenza del Sacramento della consacrazione episcopale (vale a dire alla sua validità) : • la materia e la forma: « I sacramenti della nuova legge devono significare la grazia che essi producono e produrre la grazia che essi significano. Questo significato deve ritrovarsi … in tutto il rito essenziale, e cioè nella materia e nella forma; ma esso appartiene particolarmente alla “forma”, perché la materia è una forma indeterminata per se stessa, ed è la “forma che la determina” ». [Leone XIII, Apostolicae Curae, 1896]. • l’intenzione del consacratore: «la forma e l’intenzione sono egualmente necessarie all’esistenza del sacramento», «Il pensiero o l’intenzione, dal momento che è una cosa interiore, non cade sotto il giudizio della Chiesa; ma Essa deve giudicarne la manifestazione esteriore » [Leone XIII, in Apostolicae Curae, 1896]. E il Santo Padre S.S. Pio XII sottolinea efficacemente la questione alla “Conclusione dei lavori del 1° congresso internazionale della liturgia pastorale d’Assisi”, il 22 settembre 1956: «Ricordiamo a questo proposito ciò che Noi diciamo nella Nostra Constituzione Apostolica “Episcopalis Consecrationis” del 30 novembre 1944 (Acta Ap. Sedis, a. 37, 1945, p. 131-132). Noi vi determiniamo che nella consacrazione episcopale i due Vescovi che accompagnano il Consacratore, devono avere l’intenzione di consacrare l’Eletto, e che essi devono per conseguenza compiere i gesti esteriori e pronunciare le parole, per mezzo delle quali il potere e la grazia da trasmettere siano significate e trasmesse. Non è dunque sufficiente che essi uniscano la loro volontà a quella del Consacratore principale e dichiarino che essi fanno proprie le sue parole e le sue azioni. Essi stessi devono compiere quelle azioni e pronunziare le parole essenziali.»! Ma quali siano state le modifiche o soppressioni “sospette” (per usare un eufemismo) del rito montiniano? Ecco cosa è stato soppresso: -.1) Il giuramento del futuro vescovo che promette a Dio «di promuovere i diritti, gli onori, i privilegi dell’autorità della santa Chiesa romana… d’osservare con tutte le sue forze, e di farle osservare agli altri, le leggi dei santi Padri, i decreti, le ordinanze, le consegne ed i mandati apostolici … di combattere e di perseguire secondo il suo potere gli eretici [una delle principali funzioni del vescovo!!!], gli scismatici ed i ribelli verso il nostro San Pietro, il Papa, ed i suoi successori». -2) L’esame attento del candidato sulla sua fede, comprendente la domanda di confermare ciascuno degli articoli del credo. -3) L’istruzione del vescovo: «Un vescovo deve giudicare, interpretare, consacrare, ordinare, offrire il sacrificio, battezzare e confermare». In nessuna parte, quindi, il nuovo rito menziona che la funzione del vescovo sia quella di ordinare, di confermare e di giudicare (di slegare e legare). -4) La preghiera che precisa le funzioni del vescovo, dopo la preghiera consacratoria. Nel Pontificalis Romani, si definisce quindi una forma essenziale insufficiente. Per Pio XII, la forma deve significare in modo univoco l’intenzione del rito di fare un Vescovo per ordinare dei preti: «allo stesso modo, la sola forma sono le parole che determinano l’applicazione di questa materia, parole che significano in un modo univoco gli effetti sacramentali, cioè il potere di ordine e la grazia dello Spirito Santo, parole che la Chiesa accetta ed impiega come tali» [Pio XII, Sacramentum Ordinis, 1947].

La forma designata come “essenziale” da Paolo VI non indica il potere d’ordine né la grazia dello Spirito-Santo come grazia del Sacramento: « La forma consiste nelle parole di questa preghiera consacratoria; tra di esse, ecco quelle che appartengono alla natura “essenziale”, sicché sono quelle esatte perché l’azione sia valida: «Et nunc effunde super hunc electum eam virtutem, quæ a te est, Spiritum principalem, quem dedisti dilecto Filio Tuo Jesu Christo, quem ipse donavit sanctis apostolis, qui constituerunt Ecclesiam per singula loca, ut sanctuarium tuum, in gloriam et laudem indeficientem nominis tui» [ed ora effondi su questo eletto quella virtù che viene da Te, lo Spirito “principale” (e chi è!?! -n.d.r.-), che desti al Figlio tuo diletto, e che Egli donò ai suoi Apostoli, perché si costituisse la Chiesa come tuo santuario a gloria e lode del tuo Nome …] (Paolo VI, Pontificalis Romani, 1968.] I termini supposti per definire il vescovo figurano in un’altra parte del prefazio: «ut distribuát múnera secúndum præcéptum tuum » [Paolo VI, Pontificalis Romani, 1968). Alla maniera degli anglicani, i difensori del rito montiniano devono allora invocare l’“unità morale” del rito. Nel Pontificalis Romani, la forma essenziale è senza dubbio, insufficiente. Il sacramento (ex opere operato) non può operare ciò che esso non significa!!! « La sola forma sono le parole che determinano l’applicazione di questa materia, parole che significano in modo univoco gli effetti sacramentali, cioè il potere d’ordine e la grazia dello Spirito-Santo, parole che la Chiesa accetta ed impiega come tale». [Pio XII, Sacramentum ordinis, 1947]. Le parole del prefazio del Pontificalis romani “non” significano il potere d’ordine: “Ut distribuant munera secundum praeceptum tuum”. (Che essi distribuiscano dei “doni” (di chi!?!) secondo il tuo comandamento). Il termine adottato “distribuant munera” è equivoco, esso esprime dei doni, dei carichi, delle funzioni (vedere il diz. Gaffiot per “munus”), si tratta di un termine profano che non esprime affatto il potere d’ordine. Dom Botte traduce il greco κλήρους (Klerous) con ’carichi’ (La Tradition apostolique, Ed. Sources chrétiennes, maggio 1968). Ora un “carico” ecclesiastico non è un ordine. Un anglicano può accettare l’espressione di distribuzione di carichi, un luterano ugualmente. Questa ambiguïtà è voluta … siamo ben lontani dalle parole essenziali del rito latino (comple sacerdote tuo); queste parole esprimono in modo univoco il potere d’ordine (Episcopum oportet … ordinare – il Vescovo deve ordinare!).

Il sacramento (ex opere operato) non può operare ciò che esso non significa e quindi la forma è da considerarsi “difettosa”. A differenza di tutti i riti precedentemente adottati, è patente la “contro-intenzione” del rito, quella di “non” significare il potere di ordinazione dei preti, e quindi la volontà di non ordinare! Noi abbiamo messo in evidenza una contro-intenzione a livello della forma del rito, contro-intenzione che appare in un contesto ecumenico che fornisce la “chiave” per la comprensione della messa in atto di questo rito. Non a caso Jean Guitton, scriveva: «Questa Chiesa ha cessato di chiamarsi cattolica per chiamarsi ecumenica», ed il massone Bugnini (sempre lui, quello della messa del baphomet, il Buan 1365/75!) dichiarava sull’Osservatore Romano del 19 marzo del 1965: “Noi dobbiamo spogliare le nostre preghiere Cattoliche e la liturgia Cattolica da tutto ciò che potrebbe rappresentare l’ombra di una pietra d’inciampo per i nostri “fratelli” separati (quelli che la Chiesa una volta chiamava “eretici” e “scismatici”,, vale a dire i Protestanti.-n.d.r.-)”. Un caso simile, a proposito delle false ordinazioni anglicane, fu inesorabilmente ed infallibilmente stroncato da un Papa “vero”, S.S. Leone XIII nella sua famosa (oggi occultata con ogni mezzo dai marrani e dagli apostati modernisti conciliari!) lettera Enciclica del 1896, la già citata “Apostolicae curae” nella quale si dimostravano 4 punti: –1) La forma del Sacramento è stata rimpiazzata da una forma ambigua che non significa precisamente la grazia che produce il Sacramento. (come quella di Montini!) –2) Il rito anglicano è stato composto e pubblicato in circostanze di odio del Cattolicesimo (come quello del marrano Montini! –n.d.r.-) e in uno spirito settario ed eterodosso (appunto quello ecumenico e neoterico); – 3) Le espressioni del rito anglicano non possono avere un senso Cattolico (così come quello del rito modernista novordista –n.d.r.-). – .4) L’intenzione del rito anglicano è contrario a ciò che fa la Chiesa (la vera Chiesa Cattolica). Una conclusione infallibile, irreformabile e senza appello!!!

E allora siamo qui a parlare di una cosa gravissima, della quale pochi sono a conoscenza, e coloro che sanno, si guardano bene dal farne parola, e cioè della INVALIDITA’ formale e materiale della consacrazione vescovile del “Pontificalis Romani”, che sta producendo nei fatti l’estinzione dell’Ordine sacerdotale cattolico e di conseguenza di tutti i Sacramenti: quella che oggi appare essere la Chiesa Cattolica, è costituita in realtà da un esercito di laici, di “zombi” spirituali, da “finti” e presunti sacerdoti e vescovi che stanno lentamente ma inesorabilmente soppiantando i pochi veri “residui” Vescovi e sacerdoti, oramai solo ultraottantenni, e cioè i Vescovi ordinati con il “rito Cattolico”, o sacerdoti ordinati da “veri” Vescovi a loro volta ordinati prima del fatidico 18 giugno 1968.

Discorreremo adesso addirittura delle ERESIE contenute nella formula del rito del “Pontificalis Romani”!! Effettivamente costateremo nella “forma” essenziale:.1) un’eresia monofisita, 2) un’eresia anti-filioque, 3) un’eresia anti-Trinitaria, tali da configurare una forma essenziale “kabbalista e gnostica” (la Gnosi in generale, e quella talmudica-cabbalista in particolare, è propriamente la “teologia” di lucifero), e creare quindi un “eletto manicheo”. Una forma quindi, che non solo rende invalida ogni presunta consacrazione, ma ne inverte i valori spirituali, consacrando cioè un “servo di lucifero”, quasi un rituale da 30° grado massonico. C’è chi ha attaccato la Chiesa dal tetto, chi dalle mura esterne, che dal portone e dalle finestre, ma Montini, “ruspa” di lucifero, L’ha praticamente rasa al suolo, scardinandone i pilastri portanti: la Santa Messa e la Consacrazione vescovile con la sequela di tutti i Sacramenti!

Ma torniamo alla nostra formula di ispirazione copto-etiopica, come dimostrato in precedenza: «Et nunc effunde super hunc electum eam virtutem, quæ a te est, Spiritum principalem, quem dedisti dilecto Filio Tuo Jesu Christo» [Pontificalis Romani, 1968 (forma essenziale)]. Qui si afferma l’eresia monofisita, l’eresia dei monofisiti etiopici [che negano la natura divina di Cristo]. Queste due righe citate infatti si ritrovano tal quali nel loro rito abissino di consacrazione episcopale. Questa eresia consiste nel considerare che il Cristo abbia bisogno di ricevere dal Padre lo Spirito-Santo per divenire ‘Figlio di Dio’, e per poter comunicare a sua volta, lo Spirito-Santo ai suoi Apostoli. Il Figlio riceve lo Spirito ad un dato momento (al battesimo secondo gli Etiopi) cosa quindi che nega la natura del “Fiat” della Santissima Vergine Maria, “fiat” che permette nello stesso momento la sua verginale Concezione, realizzando così il Mistero centrale della Fede Cattolica: l’Incarnazione di Nostro Signore Gesù-Cristo, vero uomo e vero Dio per mezzo dello Spirito-Santo. Negazione totale della verità cattolica dell’Incarnazione del Verbo! Ma nella “forma essenziale” c’è spazio per l’eresia anti-Filioque [l’eresia di Fozio e dei sedicenti “Ortodossi”, scismatici ed eretici orientali, che negano il procedere dello Spirito-Santo anche dal Figlio]. In questa forma infatti si afferma l’eresia anti-Filioque etiopica, secondo la quale “Non è più il Figlio che spira, con il Padre, lo Spirito-Santo (cf. il filioque del Simbolo di Nicea), ma è il Figlio che riceve dal Padre lo Spirito-Santo. Si tratta di una inversione (secondo un tipico costume satanico), delle relazioni nella Santa Trinità tra il Figlio e lo Spirito-Santo. Incredibile! Pensare che al Credo della Messa la Chiesa ci fa cantare a proposito dello Spirito-Santo «qui ex Patre Filioque procedit»!. Questa formula esprime la fede della Chiesa nello Spirito Santo come terza Persona della Santa Trinità. Lo Spirito-Santo procede dal Padre e dal Figlio come da un solo Principio e possiede, con il Padre ed il Figlio, gli stessi attributi di onnipotenza, di eternità, di santità; Esso è uguale al Padre ed al Figlio a causa della divinità che è Loro propria. L’utilizzazione del termine Puer Jesus Christus nella “forma”, in Ippolito, «modello» del rito della consacrazione dei vescovi riformato dal Montini, è rimpiazzato da: “dilectus Filius” = tuo Figlio diletto, Gesù Cristo. Malgrado tutto, questa correzione indica ancora e sempre una inferiorità del Figlio poiché il Cristo è designato anche, come nei Greci scismatici, come canale transitorio dello Spirito-Santo. Manca dunque allo Spirito-Santo la relazione essenziale in seno alla Santa Trinità come Persona emanante dal Padre e dal Figlio dall’eternità. Un errore fondamentale dunque che rende la forma dell’ordinazione intrinsecamente inoperante e dunque invalida!. Ed anche se la rettitudine della fede del vescovo consacrante fosse certa, questa non potrebbe “sopperire” né correggerebbe la forma e l’intenzione che è normalmente veicolata dal rito. Ma non è ancora finita: la “forma” inventata da B. Botte per Bugnini, su richiesta di Montini, proclama anche una eresia anti-Trinitaria! Ed infatti il «Signore» che è: Dio, il Padre; il Figlio Gesù-Cristo, consustanziale al Padre; e «lo Spirito che fa i capi (!?!) e che Tu hai dato al tuo Figlio diletto, Gesù-Cristo» non costituiscono affatto una designazione teologicamente corretta delle tre Persone divine nell’unità della sostanza e distinte per le loro Relazioni proprie! Qui il discorso è sottile, ma è palese il voler rinnegare la formulazione di San Tommaso quando dice: Pater et Filius et Spiritus Sanctus dicuntur “unum” et non unus. (Quodl. 6,1+2) [si dicono un “unico” e non uno]. Di conseguenza la nuova formula di consacrazione episcopale è egualmente invalida a causa di questa eresia antitrinitaria. Ma c’è ancora dell’altro: questa “forma” sembra a ragione, provenire addirittura da un sistema gnostico e kabbalista! Riportiamo ancora la formula: «Et nunc effunde super hunc electum eam virtutem, quæ a te est, Spiritum principalem, quem dedisti dilecto Filio Tuo Jesu Christo » Con la modifica di “Spiritus principalis” in “Spiritum principalem”: cioè un genitivo che diviene un accusativo, l’essere dello Spirito è assimilato ad una qualità (forza), lo Spirito diviene cioè una sorta d’“energia”, e non più una “Persona”. Questo concetto eretico deriva da un sistema “gnostico” (il discorso sui concetti della “gnosi spuria” e kabbalista, richiederebbe un’opera monumentale). La messa in equivalenza mediante un accusativo, proprio della “fabbricazione” di Dom Botte (che non si ritrova né presso gli etiopi, né nella sinossi della ’Tradizione apostolica’ e neppure nelle Costituzioni apostoliche), tra la “forza” (virtus) che viene dal Padre e lo Spiritus principalis, fa nuovamente assimilare la Persona dello Spirito-Santo ad una semplice “qualità” proveniente da Dio, ma senza essere Dio. Questo è nuovamente un negare lo Spirito-Santo come Persona divina e quindi la sua consustanzialità divina. Ma addirittura in certe traduzioni “diocesane” lo Spirito vi appare con una minuscola, ma egualmente il ’Figlio’ vi appare con una minuscola: “Signore, spandi su Colui che tu hai scelto la tua forza, lo spirito sovrano che tu hai dato a tuo figlio”. Facendo il legame di questi elementi con la concezione kabbalista di Elia Benamozegh, si arriva alla riduzione dello Spirito e del Figlio a due “eoni” inviati da Dio, ma che non sono Dio, bensì degli “éoni” [coppia di entità che Dio manderebbe ogni tanto per “illuminare” gli uomini], come nel sistema dell’eretico gnostico Valentino, o delle forze semplici, “virtù” o energie spirituali. Questo riduce la Santa Trinità ad un concetto puramente simbolico, espressione di un sistema gnostico sotto le apparenze monoteiste. Questo lascia trasparire la profonda conoscenza che il “marrano” Montini [la cui famiglia materna era giudaica, o più probabilmente kazara] avesse della kabbala e della gnosi spuria che egli ha travasato nel Cattolicesimo facendola apparire “cristiana” ai poveri “ignari” fiduciosi della sua (finta) infallibilità! A chi volesse saperne di più, si consiglia : “Dell’Origine dei Dogmi Cristiani”, di Elia Bénamozegh. Cap. III. Caratteri dello Spirito-Sainto, pag. 271, e, sempre dello stesso rabbino, gli: Atti del convegno di Livorno (settembre 2000) Alessandro Guetta (ed.) Edizioni Thalassa de Paz, Milano, coop srl. – Dicembre 2001 Via Maddalena, 1 – 20122 Milano. Quindi la SS. Trinità è intesa seconda la “gnosi spuria”: «Non è più la Trinità di Persone nell’unità della sostanza, ma è l’Infinito, l’Assoluto, l’Eternità, l’Immensità incomprensibile, inintelligibile, vuota e senza alcuna forma, l’“ensof” in cui le tre Persone non sono più che delle emanazioni temporali (…). Secondo il paganesimo, l’Essere primordiale, che è nello stesso tempo il Non-essere, si differenzia e si rivela solamente dopo un certo tempo, facendo emanare dal suo vuoto interiore le tre divinità che i pagani hanno adorato. Così si elimina la S.S. Trinità in vista della religione noachide. E qui il discorso si allargherebbe a dismisura esulando dalle intenzioni di questo scritto. Ricordiamo solo che la negazione dell’eternità della Trinità divina è la negazione della creazione “ex nihilo”, è la negazione della differenza essenziale tra Dio e l’universo; è l’abbassamento del Creatore al livello della sua creatura o la deificazione della creatura, in particolare dell’uomoIn verità questa è stata sempre la costante del “falso” pontificato di Montini: sostituire l’uomo a Dio. Oltre queste chiare eresie e l’intento noachide, la “forma” montiniana, nasconde un’ulteriore intenzione “occulta”, quella di designare un «Eletto» manicheo, aggiungendo l’espressione : “super hunc Electum”. Electus ha due sensi (cristiani) secondo il Gaffiot (termine electus) • scelto da Dio per la salvezza,: VULG. Luc. 18,7 • scelto per ricevere il battesimo : AMBR. Hel. 10, 34. Poi il Gaffiot aggiunge un ultimo senso: • membro d’élite della setta dei manichei, [eretici gnostici, seguaci di Mani]: MINUC. 11,6. Ora, essendo gnostica la natura del sistema dal quale deriva questa formula, questo è il vero senso, e cioè: l’intenzione del rito d’ordinazione episcopale di Paolo VI è un rito che conferisce dei poteri ad un eletto manicheo! .

Il grande autore cattolico francese Dom Guéranger (quando in Francia c’erano ancora i sacerdoti cattolici! … bei tempi …) nelle “Instituzioni Liturgiche”, presenta in 12 punti fondamentali la «Marcia dei pretesi riformatori del cristianesimo » : – Egli dimostra che l’eresiarca antiliturgista odia la Tradizione, rimpiazza le formule liturgiche con i testi della Scrittura Santa per interpretarli a suo modo, introduce delle formule «perfide», rivendica i diritti dell’antichità di cui si fa beffe cambiandone il rito, sopprime tutto ciò che esprime i misteri della fede cattolica, rivendica l’uso della lingua volgare, sopprime le genuflessioni ed altri atti di pietà della liturgia cattolica, odia la Potenza papale, organizza la distruzione dell’episcopato, rigetta l’autorità di Roma per gettarsi nelle braccia del principe temporale. Alla luce delle considerazioni di dom Guéranger, della cui retta dottrina c’è da essere assolutamente certi, siamo quindi alla presenza di eresie antiliturgiste, e del maggiore eresiarca antiliturgista mai comparso sulla faccia della terra: G. B. Montini, sedicente Paolo VI, “giustamente” in procinto di canonizzazione, “santo” della attuale “sinagoga di satana” che oggi domina la Sede di Pietro ed i Sacri palazzi dell’urbe e dell’orbe, così come da visione profetica del Santo Padre Leone XIII (un “vero” Papa)!

Ma torniamo al nostro argomento, facendo un po’ di riepilogo. Ripetiamolo, anche ad essere petulanti: il rito Romano, soppresso il 18 giugno del 1968, è un rito antico, invariabile nella sua forma essenziale da più di 17 secoli, ed infatti tutti i Vescovi cattolici di rito latino (tra i quali Santi straordinari, tipo S. Francesco di Sales, S. Alfonso Maria de’ Liguori, tanto per citarne qualcuno), sono stati consacrati con questo rito. Che cosa, quindi ha questo nuovo Rito che non va? Si può rispondere così: “ Il rito di Pontificalis Romani è stato creato nel 1968 e non è MAI stato utilizzato nella Chiesa. Nessun Vescovo cattolico è mai stato consacrato in questo rito. Questo rito non possiede gli «elementi necessari» secondo la teologia sacramentale. (dell’angelico Dottore) Esso è INTRINSECAMENTE invalido. Questo non è un rito cattolico!!! A tal proposito accenniamo ancora all’“eletto manicheo”, che sarebbe l’unico titolo che il rito, o meglio questa “pantomima”, spacciata per consacrazione vescovile, conferirebbe! Gli “eletti” manichei, o “perfetti”, costituivano, nell’ambito del Manicheismo, una “religione” di carattere gnostico, che annoverava influssi disparati derivanti da tradizioni giudaiche, iraniane, ed afro-orientali, in un “minestrone” ecumenico comprendente elementi di buddismo, cristianesimo, zoroastrismo, tradizioni iraniche, giudaismo talmudico e paganesimo variegato, il tutto ben cementato dalla cosmogonia e teogonia gnostica, in un sistema codificato secondo presunte “rivelazioni” spirituali di un “paracleto”, il presunto “spirito gemello” di Mani (da cui Manicheismo), nobile personaggio vissuto nel III secolo d. C. in Persia: “eletti” quindi, erano un gruppo ristretto di religiosi osservanti rigorose norme morali e comportamentali, che libererebbero le “fiammelle” divine imprigionate nei corpi materiali creati da un “demiurgo” malefico, il Dio dei Cristiani: agli eletti si contrapponevano gli “auditores” che erano i collaboratori degli eletti, verso i quali avevano doveri servili (elemosine), che non li avrebbero però liberati dalla materia continuando così ad essere obbligati a trasmigrare in corpi diversi (metempsicosi gnostica!). L’obiettivo inconfessato della sceneggiata della “falsa” consacrazione cattolica vescovile, non è altro quindi che la blasfema “istituzione” di eletti manichei (vescovi della anti-chiesa gnostica) nell’ambito della dottrina gnostica, “gnosticismo” del quale è infarcito il talmudismo “spurio” giudaico, al quale si “abbeverava”, per tradizione familiare, l’apostata Montini e si abbeverano i marrani della “quinta” colonna infiltrati nella Chiesa, nonché tutti gli aderenti alle conventicole massoniche! I fatti e gli argomenti fin qui riportati hanno dimostrato quanto segue, per il rito di consacrazione episcopale promulgato da Giovan Battista Montini, il 18 giugno 1968 a Roma, nel Pontificalis Romani:

.1) Questo rito non è antico, ma è stato creato nel maggio 1968 da diversi materiali. .2) Questo rito rivendica una origine oggi contestata dagli specialisti (veri) della questione.

.3) Questo rito non riproduce affatto quello della pretesa (*) “Tradizione apostolica” attribuita ad Ippolito.

.4) Questo rito non è, e non lo è mai stato, praticato in Oriente, presso i copti ed i siriani occidentali.

.5) Questo rito si rivela, dall’inchiesta, non essere null’altro che una “costruzione” puramente umana di Dom Botte.

.6) Questo rito possiede una “forma” essenziale insufficiente.

.7) Questo rito non esprime l’intenzione di conferire il potere di ordinare dei sacerdoti cattolici.

.8) Questo rito subisce le condanne che Leone XIII indirizzò (in “Apostolicae curae”) infallibilmente ai riti anglicani simili in tutto al rito montiniano.

.9) Questo rito nega la Santa Trinità.

.10) Questo rito nega l’unione ipostatica delle due nature nella Persona di N.S. Gesù Cristo

.11) Questo rito nega la “spirazione” dello Spirito dal Figlio, nega cioè il “Filioque” .12) Questo rito veicola una concezione kabbalista e gnostica dello Spirito-Santo. .13) Questo rito rilancia, nel 1968, l’attacco contro lo Spirito-Santo sviluppato mezzo secolo prima dal rabbino di Livorno, Elia Benamozegh (1828-1900).

.14) Questo rito serve a creare, in modo sacrilego e blasfemo, gli “eletti” Manichei, e quindi vescovi gnostici!

Ne risulta da ciò che precede, così come dai testi infallibili di Leone XIII, di Pio XII e del Magistero tutto, che è assolutamente IMPOSSIBILE considerare un rito tale come INTRINSECAMENTE VALIDO e capace di consacrare dei veri Vescovi cattolici, veri successori degli Apostoli di Nostro Signore Gesù-Cristo.

 

La strana sindrome di nonno Basilio -13-

 

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La strana sindrome di nonno Basilio-13-

   Eccomi ancora qui, esimio direttore, spero di non essere diventato una presenza ingombrante per lei e per i suoi lettori. Oggi le voglio raccontare un episodio occorsomi recentemente che mi vede protagonista con i soliti miei nipoti ed una figura nuova, nientemeno che una “fiamma” ( anche se mi pare che me ne avesse già presentata un’altra non molto tempo fa … ma … questi giovani!) di mio nipote Mimmoo, una certa Martina, una bella ragazza, per la verità, dall’aria seriosa, forse con un tantino di “puzza al naso”, molto sicura di sé, ma gentile nei modi e rispettosa. Era un giovedì, lo ricordo bene, perché è il giorno dedicato tra l’altro alla preghiera per i sacerdoti, giorno in cui recito abitualmente la “preghiera infuocata” di San Luigi Maria Grignion De Montfort, sottolineandone alcuni punti con i miei nipoti. Trattasi, come lei ben sa, di una stupenda preghiera dai toni profetici, che il Santo faceva per invocare l’aiuto di Dio e della Santa Vergine sui sacerdoti della sua congregazione, ed è zeppa di riferimenti biblici sia vetero-, che soprattutto neo-testamentari. Si sprecano naturalmente le citazioni dal salterio, a cominciare dall’incipit “Memor esto congregationis tuæ quam possedisti ab initio …” dal salmo LXXIII e via via, fino ad un’ampia citazione dal Salmo LXVII, che, le dico sinceramente, è uno di quelli miei favoriti anche se, come concordano unanimamente i Padri della Chiesa, di problematica comprensione, e di cui il Santo della Vandea offre una interpretazione veramente illuminante, e attinente ai nostri tempi. Caro direttore, colgo qui l’occasione per invitarla a pregare, lei con i suoi lettori, per i sacerdoti di questa “congregazione” degli ultimi tempi, che consentirà alla Chiesa attraverso l’unica “vera” linea apostolica, di rivivere e tornare agli splendori più vivi, con questa stupenda orazione, che a quanto sembra è finita nei cassetti polverosi, sostituita da preghiere banali, impregnate di ecumenismo indifferentista, impastate spesso con elementi sentimentali e sociologici di dubbia interpretazione, e finanche veicolo di “sterco” gnostico. Qui siamo nella sicurezza “cattolica” della vera tradizione!! Pare che sia efficace anche nei casi più difficili! A questo punto si inserisce Martina, che esordisce dicendo che in effetti la Bibbia è l’unica norma di fede e di morale, e scoprendo subito la certe, prosegue col dire che la giustificazione si ottiene per grazie mediante la fede, indipendentemente dalle opere buone, e dal rifiuto del Magistero ecclesiastico in nome del sacerdozio universale dei fedeli e dell’assistenza diretta dello Spirito Santo ai fedeli che leggono la Bibbia, ciò che giustifica il libero esame. La mia chiesa, dice tra lo stupore di tutti noi, è costituita dalla comunità dei fedeli, in cui i pastori hanno il compito di predicare la parola di Dio e amministrare i sacramenti che sono due, il Battesimo e la Cena. Il culto consiste nella predicazione della parola di Dio e nella Santa Cena, si rifiuta il concetto di Messa come Sacrificio, ma si ritiene ci sia una consustanziazione, ossia una specie di presenza di Cristo nel pane e nel vino. A questo punto, subodorando la magagna, dico: “visto che tu hai apprezzato i versetti biblici, cara Martina, ti chiedo, ma cosa è per te la Bibbia? Lei prontamente mi risponde: “La Bibbia è tutto, è una rivelazione completa, pertanto non c’è bisogno di nient’altro, né di documenti, né proposizioni, né dogmi o asserzioni presunte”. “Martina, scusami -ribatto io- visto che dici di conoscere bene la Sacra Scrittura, ma in quale passo è scritto questo?” “Ma guardi, mi risponde, lo ritengo evidente. La presunta Tradizione è da evitare … rappresenta un’aggiunta papista non sostenuta dalla Bibbia”. Figlia cara, ribatto io, la Tradizione è tutto ciò che non è scritto nella Bibbia, conservato per ininterrotta trasmissione orale e scritto successivamente in vari documenti della Chiesa, in parte divenuto articolo di Fede in seguito alla proclamazione di dogmi da parte del Papa o di atti di Concili. Non ha valore … e perché? C’è forse un passo, un capitolo, un versetto della Bibbia che dica di essere l’unica fonte della dottrina? Dimmi dove questo è scritto!!…” “… non saprei,… no non c’è”. Cara Martina, alla fine del vangelo di San Giovanni si afferma esplicitamente ed espressamente che tutti i libri del mondo non basterebbero a contenere l’immensità della Rivelazione divina, e che le poche cose scritte sono state scritte per la salvezza degli uomini, perché credendo abbiano la salvezza nel nome di Cristo”! “Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù, che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere”. (Giov. XXI, 25) … “ma quella di Giovanni è una semplice figura retorica “… “Beh, visto che tu capisci tutto e tratti il Vangelo come un qualunque testo letterario e non come parola di Dio”; “no, no, aspetti … sì, è parola di Dio, ispirata non dettata”.  “Cara Martina, Dio quindi ha parlato a patriarchi, profeti, apostoli, ma ti chiedo ancora … Gesù, ai suoi Apostoli in particolare, ha mai ordinato di scrivere”? “Ma … non c’è la prova …” risponde lei imbarazzata, “E allora come mai sono stati scritti? Una cosa ascoltata o vista da persone diverse, viene raccontata o descritta in modo diverso, anche perché fatto in tempi diversi … l’ispirazione quindi non preserva da imprecisioni o inesattezze umane. Ciascuno ha scritto quello che ricordava. Ad esempio in San Matteo i ladroni che insultavano Gesù erano due, mentre in San Luca era uno solo, mentre l’altro Lo implorava di ricordarsi di lui … la parola di Dio si contraddice forse?” “Ah,no … non è possibile …”! “Ecco, vedi che discrepanze del genere provano che i due Autori attingono alla medesima tradizione, ricordata in modo diverso evidentemente … Questo dimostra quindi la priorità della Tradizione sulla Scrittura, che tu pensi di conoscere solo perché ogni tanto citi qualche versetto con il quale sei stata imbeccata … e ancora, perché S. Paolo scrive: “Restate saldi… e conservate le tradizioni che vi sono state insegnate, sia a VIVA VOCE, sia per iscritto” (II Tess. II, 14)! “E poi, Martina, perché le Traduzioni della Bibbia in tutte le lingue volgari senza conservare gli originali autentici?” Qui con aria seccata, un po’ saccente, esplode: “.. la Chiesa papista aveva vietato le traduzioni per mantenere il suo controllo autoritario … la gente spasimava per poter leggere la Bibbia, ma non poteva perché solo pochi dotti conoscevano le lingue antiche …”. Qui si inserisce la Caterina, mia nipote, un po’ a sorpresa: “… e quali conseguenze ha avuto la diffusione della Bibbia tradotta in tutte le lingue … finalmente a disposizione di tutti, grazie all’invenzione della stampa? La conseguenza più funesta è stata, ovvio, l’interpretazione a proprio piacimento, col risultato di una confusione babelica, quello che volevano appunto i settari, e che la Chiesa voleva evitare e che faceva sia con la spiegazione corretta ed univoca dei Padri e dei dottori riconosciuti, sia di Occidente che d’Oriente, sia con la Storia Sacra divulgata con mezzi visivi (sculture e affreschi …) e sonori (canti inni e mottetti sacri)! Dalla materna sollecitudine della Chiesa, la gente, anche se analfabeta, poteva imparare tutto quello che c’era da sapere per salvare l’anima”. “E già – riprende col viso congesto Martina – solo quello che serviva al potere papista … la Bibbia doveva essere alla portata di tutti! …”. Ma si doveva pure interpretare! “A questo ci hanno pensato Lutero ed i vari interpreti protestanti …”. “E tu, cara Martina, tu ritieni di saperla spiegare meglio dei vari Papi e dei dottori della Chiesa? Ma che modestia … e chi ti da l’autorità e la certezza che la tua interpretazione sia corretta?”. “… e poi vorrei farti un’altra domanda elementare, (ma d’altra parte, io che sono oramai “al lumicino”, posso permettermi solo questo …). Scusami, Martina, ma … Cristo è un’unica Persona? E perché avrebbe dovuto fondare più chiese?”. “Si, ma le ha fatte fondare dai suoi Apostoli” “… e che cos’è la Chiesa?” … “La Chiesa è comunità dei credenti”, mi risponde prontamente” … “ma credenti in cosa”? ribatto io … le varie confessioni divergono tra loro in fatto di dottrina, come possono costituire una comunità? … ci sono quindi credenze correte ed altre non corrette … dunque sono portato a pensare che alcune confessioni sbagliano, visto che pare ce ne siano in giro circa sedicimila!?! … lo scopo delle sedicimila sette è quindi solo negativo, cioè niente carità, niente verità, solo unione per distruggere la Chiesa unica e vera, quella Cattolica romana, in combutta con le conventicole esoteriche, gnostiche e mondialiste. E allora se nelle varie confessioni ci sono dottrine false, qual è la vera dottrina?”. “Ma è quella luterana epurata dagli errori papisti” mi risponde piccata!. “Perdonami ancora, Martina, ( … ho come il sospetto che cominci ad infastidirsi …) ma se il Fondatore è unico, doveva lasciare la continuazione della sua opera ad un suo Vicario, e questi ad un altro dopo di lui e così via … e visto l’importanza dei Martiri era ovvio che il luogo che aveva visto il martirio del primo Vicario, dovesse essere il cuore della Chiesa”. “Ma questo non dimostra che il vicario debba essere necessariamente il Vescovo di Roma!”, mi rintuzza altera! “E chi dovrebbe essere secondo te? Tutti i successivi Vicari di Cristo: Lino, Cleto, Clemente, Sisto e … fino a S. Marcello I (mi rivolgo a Mimmo che assiste …, un po’ “sulle spine” e via via sempre più paonazzo a questo dialogo) prima di Costantino il Grande, che ufficializzò poi il culto nell’Impero, sono morti martiri a Roma (l’unico a non essere ucciso, ma solo per caso, fu il diciassettesimo: Papa S. Callisto). E sempre a Roma, il centro della Chiesa, designato da Cristo stesso. il Signore Gesù, che, apparso a S. Pietro che fuggiva dalla furia neroniana, appena fuori Roma, alla richiesta: “quo vadis Domine?”, risponde “… a farmi crocifiggere di nuovo a Roma, al tuo posto”. Allora Pietro comprende il senso della missione affidatagli e ritorna a Roma per affrontare impavido il martirio sulla croce a testa all’ingiù”. “Ma è solo una leggenda, sbotta ancora Martina!”. “Certo tutto il Cristianesimo è una leggenda, come vuole la “riforma” dalla quale nasce lo scetticismo, la secolarizzazione, il rifiuto del soprannaturale, il nulla per finire nel pleroma o nell’ensof! Infatti le filosofie successive, provenienti dalle conventicole dei rosa+croce e dallo gnosticismo giudaico-massonico, dal naturalismo al nichilismo, attraverso i secoli, sono state generate dal pensiero protestante, ferocemente anti-tomistico, così come lo sfruttamento dei popoli mascherato da lotta di classe, e finanche il “modernismo” infiltratosi subdolamente nella chiesa di Cristo, Una, Santa, cattolica, Apostolica Romana … ma di questo parleremo un’altra volta. E poi che cosa è una leggenda? È “ciò che si legge” si legge ciò che è stato scritto per tramandarne la memoria, perché era un fatto buono, di amore, che non andava dimenticato … sono le radici della nostra cultura, del nostro essere, del nostro esistere. Leggende autentiche, di verità, di apparizioni, di miracoli. Ma credendo solo in una Bibbia manipolata a proprio uso e consumo, mutilata, interpretata da chiunque, anche senza essersi sottoposto alla prova del palloncino per verificarne il tasso alcoolemico … è così che il ramo amputato dalla vite si secca e muore per essere gettato nel fuoco”. E a proposito di alcool, stanco di blaterare, invito la bellicosa Martina a bere con me un “goccetto” di buon vinello nostrano, tanto per lubrificare le corde vocali, ma lei … non capisco perché … rifiuta! E poiché vedo che Mimmo la porta via imbarazzato e celere, la invito a tornare per poterle chiedere delle altre stranezze, che puzzano di eresia da un miglio di distanza, da lei professate. Direttore, prosit! Saluti e … sentirà, … ne vedremo ancora di belle!

 

 

 

denunciare i lupi

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Denunciare i lupi!!

  1. Tommaso d’Aquino insegna l’obbligo per un cattolico

di denunciare i peccatori:

 

Per la pubblica denunzia dei peccati dobbiamo distinguere. Infatti i peccati sono o pubblici od occulti. Se sono pubblici non si deve provvedere soltanto al colpevole perché diventi più onesto, ma anche agli altri che sono a conoscenza del peccato perché non ne siano scandalizzati. Perciò questi peccati devono essere rimproverati pubblicamente, stando all‘esortazione dell‘Apostolo [1 Tm V, 20]: «Quelli che risultano colpevoli riprendili alla presenza di tutti, perché anche gli altri ne abbiano timore»; parole queste che, secondo S. Agostino [ De verbo. Dom. xvi, 7.] si riferiscono ai peccati pubblici.

Se invece si tratta di peccati occulti, allora valgono le parole del Signore: «Se il tuo fratello commette una colpa contro di te» (Matteo, XVIII,15): poiché quando uno offendesse te pubblicamente davanti agli altri, allora non peccherebbe solo contro di te, ma anche contro gli altri, turbandoli. Siccome però anche con i peccati occulti si può predisporre l’offesa di altri, dobbiamo qui suddistinguere. Infatti ci sono dei peccati occulti che causano al prossimo un danno, corporale o spirituale: quando uno, p. es., tratta segretamente la consegna della città al nemico; oppure quando un eretico privatamente distoglie i credenti dalla fede. E poiché in tal caso chi pecca segretamente non pecca solo contro di te, ma anche contro gli altri, bisogna subito procedere alla denunzia, per impedire tale danno: a meno forse che uno non fosse fermamente persuaso di poterlo impedire con un’ammonizione segreta. (Summa, II-II, q. 33, art. 7.) .

Senza la vera fede è impossibile piacere a Dio.

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Senza la vera fede è impossibile piacere a Dio

   “La virtù della fede, fondamento di una vita cristiana, ci dà una certezza assoluta delle verità che noi crediamo; una certezza più assoluta di quella che si basa sulla testimonianza dei nostri occhi e della ragione: essa poggia su Dio, la cui parola non può fallire, e sulla Chiesa, che è similarmente infallibile quando ci insegna la sua parola. ”

[Rev.do p. Francois Xavier Schouppe S.J. (fonte: “Brevi sermoni per le Messe basse della Domenica” Esposizione metodica della dottrina cristiana, composta da quattro serie: A, p. 290, London: Burns & Oates, Imprimatur 1883].

“Essere un vero Cattolico significa possedere il più saldamente tutte quelle verità che Cristo e suoi Apostoli hanno insegnato, che la Chiesa Cattolica ha sempre proclamato, che i Santi hanno professato, che i Papi e i Concili hanno definito, e che i Padri e Dottori della Chiesa hanno difeso. Colui che nega o esita nell’accettare anche una sola di quelle verità, non è cattolico. Egli afferma così di esercitare il diritto di giudizio privato per quanto riguarda la dottrina di Cristo, e quindi è un eretico. Il vero cattolico riconosce e crede che non ci possa essere nessun compromesso tra Dio e il diavolo, tra verità ed errore, tra la fede ortodossa ed eresia!”

[-fr. Michael Mueller, C.SS. R., A.D.1880]

Omelia della Domenica in Albis e I dopo Pasqua

san Tommaso A.

Omelia della Domenica in Albis e I dopo Pasqua

-Dio si vede-

   Allorché Gesù Cristo risorto, glorioso trionfatore della morte e dell’inferno, apparve a porte chiuse ai suoi discepoli, ov’erano congregati, non era con essi Tommaso; ed eglino al suo arrivo presero a narrargli la prodigiosa comparsa del divino Maestro, l’annunzio di pace, la vista delle sue mani e del suo lato, ed il gaudio di cui erano stati ripieni: ed egli, “se non vedrò, disse, nelle sue mani l’apertura dei chiodi, e nel suo lato quella della lancia, ed entro non vi porrò il dito e la mano, alle vostre parole non presterò fede”. Per guarire l’incredulità di Tommaso si degnò comparire per la seconda volta il buon Redentore, ed entrato a porte chiuse, ov’era Tommaso con tutti gli altri discepoli, annunziata di nuovo la pace, rivolto a Tommaso, “ecco, disse, le mie mani, ecco il mio fianco, appressati, e metti pure e dito e mano nelle mani mie, e nel traforato mio petto, e cessa d’essere incredulo, e impara ad essere fedele”. Tommaso allora, io credo, esclamò, voi siete il mio Signore e il mio Dio. “Dominus meus, et Deus meus”. Ah Tommaso, ripigliò Gesù, tu credi, è vero, ma dopo aver veduto: beati coloro che senza il testimonio de’ sensi credono alla rivelata verità. Ma l’apostolo Tommaso, entra qui S. Gregorio magno (Hom. 26 in Evang.), non fu del tutto incredulo. Altro fu ciò che vide, altro ciò che credette. Vide e palpò l’umanità del suo Signore, ma confessò credendo la sua divinità, che veder non potea – qui facciam punto, uditori umanissimi. Qual fu quella di San Tommaso, nel senso del citato Gregorio, tale desiderio che sia la vostra fede. Dalle create cose, che sono sotto i vostri occhi, io vorrei che ascendeste a vedere quel Dio che le trasse dal nulla. Questi ingannati figliuoli degli uomini van dicendo, che Dio non si vede! Dio non si vede da chi veder nol vuole; ma dalla vista di tutto il creato si vede Dio, come lo vide Tommaso dalla veduta umanità del Salvatore. Dio dunque si vede, che mi accingo a dimostrarvi, se mi seguite cortesi con tutta attenzione.

Dio si vede. Non parlo d’Abramo, che vide per lume superno nella pienezza dei tempi Iddio liberatore, e il giorno in cui doveva spuntare per la salvezza del mondo. “Vidit et gavisus est” (Joan. VIII, 56). Non parlo di Isaia, che vide il Signore assiso su di un trono sublime, adorato da tutte le angeliche intelligenze. Non parlo dell’evangelista S. Giovanni, che estatico Lo contemplò nell’isola di Patmos, né di tanti altri profeti che in simboli Il videro, e in misteriose figure, e perciò si chiamarono veggenti. Cessate son le profezie, i simboli, le figure. Iddio ora in altro modo si vede. Si vede non con gli occhi del corpo, ma con quelli dell’intelletto. Cogli occhi del corpo né si vede, né veder si può, perché Iddio, purissimo spirito, affatto esente dalla materia, non è oggetto proporzionato all’organo materiale degli occhi corporei. Se alcun di noi volesse veder con gli occhi il suon di un musicale strumento, o veder con l’orecchio una statua, una pittura, si renderebbe ridicolo. Agli oggetti diversi vanno applicati i diversi sentimenti del corpo, e perciò siccome con l’occhio non può vedersi il suono di una cetra, lo squillo di una tromba; così con l’occhio stesso non si può vedere Dio, perché oggetto non proporzionato a quest’organo, perché spirito affatto immateriale, purissimo, semplicissimo.

Se Dio però è necessariamente invisibile all’occhio corporeo, agli occhi della mente Egli è visibilissimo. Quante cose da noi si veggono coll’intelletto, sebben non si veggano cogli occhi del corpo! L’anima puro spirito non è visibile agli occhi nostri, e pur si vede cogli occhi dell’intelletto e della ragione. Per adattarmi alla capacità di tutti, portiamoci col pensiero a piè del soglio di Salomone. Ecco qui due madri che contrastano per due bambini, uno vivo e l’altro estinto. Ditemi in qual di questi due si trova l’anima? In questo corpicciuolo pallido, freddo, contraffatto? Non già. In quest’altro, voi dite, rubicondo, vezzoso, qui è l’anima che gli dà vita, grazia e movimento. E come osate ciò asserire, se l’anima non è visibile, se non la vedete? La vediamo ben chiaro nel colore del volto, nella vivacità dello sguardo, nel riso, nel moto, nel gesto.

Voi vedete la faccia altrui, dice S. Agostino (Tract. 75 in Joan.), e non vedete la vostra. Per l’opposto voi non vedete l’altrui coscienza, l’intenzione, il pensiero altrui, e pur vedete la coscienza vostra, il vostro pensare, le vostre affezioni, le vostre tendenze, e quanto si aggira nella vostra mente, nella vostra memoria, nel vostro cuore. E come vedete tutto ciò? Colla vista intellettuale della vostr’anima ragionevole. Si presenta al vostro sguardo una nave, dice il romano oratore, che in alto mare appena spunta sull’orizzonte: vedete che al variar dei venti, varia le vele, che si tiene salda contro i flutti, i turbini e le procelle, che a tenor dell’arte nautica regola il proprio corso, e voi dite, quella nave è ben governata da bravo nocchiero. Se foste richiesti, come potete asserire, che sta al governo di quella nave un esperto nocchiero che non si vede, e appena da voi si scopre la nave stessa? Lo veggio, francamente risponderebbe ciascuno di voi, lo vedo con gli occhi di mia facoltà intellettiva, coll’uso della mia ragione, la quale mi insegna essere cosa impossibile, che quella nave fra tanti e così diversi accidenti di mar tempestoso, di fieri contrasti, di minacciose procelle, possa tenersi forte, e così ben regolare il suo corso, senza la mente, la mano, la direzione di un valente pilota.

Così premesso e ben inteso, ritorniamo al nostro argomento. Sono presso a sei mila anni che esiste questo globo terraqueo, equilibrato sopra se stesso in mezzo all’aere. Sono anni altrettanto che il sole, ogni giorno, secondo la frase dell’Ecclesiaste, spunta dall’oriente, tramonta all’occaso, si aggirano sul nostro capo la luna, le stelle, i pianeti. Or io domando: chi ha dato il moto a questi corpi di mole immensa? La materia per se stessa è inerte, non può mettersi in movimento senza impulso d’un estrinseco agente. Questo agente si dee necessariamente supporre che abbia in sé una innata virtù di dare ai corpi il moto, senza bisogno di altro movente, per non risalire ad una successione infinita, ch’è un assurdo che offende il buon senso, e ripugna alla ragione. Questo libero agente dunque è una prima cagione, eterna, che esiste da sé, che a quei corpi materiali, ai quali è dato l’essere, diede ancora il movimento, e questo primo agente, e questa causa motrice è Dio. Son presso a sei mila anni che la terra si veste di erbe, si adorna di fiori, biondeggia di spighe, e di tanti frutti è feconda; erbe e frutti che agli uomini, ai quadrupedi, ai volatili, ai rettili, somministrano opportuno alimento; erbe e frutti che in se stessi conservano i semi, onde riprodursi e moltiplicarsi a pro di tutte le creature viventi. Domando or di nuovo, chi ha introdotto al mondo questa tanto ben ordinata armonia tra cielo e terra, tra elementi e piante, tra stagioni e stagioni, tra uomini ed animali? Chi è l’Autore d’un ordine così sorprendente? Chi lo mantiene con tanta costanza, che il corso di tanti secoli non ha potuto alterare d’un punto? Se così asserite, perché non affermate altrettanto allorché con stupore ammirate la struttura magnifica d’un superbo palazzo? Perché lodate il saggio architetto? Perché non dite piuttosto che è spuntato da terra a guisa d’un fungo? Perché incontrandovi con un bel quadro encomiate l’eccellente pittore, e non attribuite invece l’egregio lavoro ad un accidentale rovescio di colori, così a caso accozzati?Possibile che in tutte le opere dell’arte si ravvisi un autore, e non si riconosca poi in tante meraviglie, che ci presenta la natura?

Leggete il gran libro del mondo, come lo leggeva un S. Antonio Abate. Nel mare, ne’ fiumi, ne’ monti, nelle piante, ne’ fiori, riscontrava egli le orme parlanti d’una Sapienza creatrice, che il tutto regge, che governa il tutto a benefizio dell’uomo, e che alla sua provvidenza per le necessità dello stesso unisce il comodo che lo solleva, il gusto che lo conforta, il bello che lo ricrea.

Della grandezza delle create cose, dice lo scrittore della Sapienza, e dalla loro bellezza è facile conoscere e vedere in quelle il volto e la mano del creatore che li formò. “A magnitudinis speciei, et creaturae cognoscibiliter poterit Creator horum videri! (Sap. XIV). L’essenza di Dio, soggiunge S. Paolo, l’onnipotenza, e tutti gli altri suoi infiniti attributi sono al nostro sguardo invisibili, ma dall’uomo ragionevole, per mezzo delle cose create, se ne acquista l’intelligenza, e coll’intelletto si conoscono e veggono. “Invisibilia ipsius a creatura mundi, per ea quae facta sunt, intellecta conspiciuntur” (Rom. I, 20). Si conosce da questo, prosegue lo stesso Apostolo, l’eterno potere, e la divinità di Colui che le produsse, “sempiterna quoque eius virtus, et divinitas”; così che coloro che veder nol vogliono si fan rei di una cecità inescusabile, “ita ut sint inexcusabiles”. Fin qui l’Apostolo delle genti. Queste divine cose invisibili le conobbe pure col lume della natura e della grazia la verginella e martire S. Barbara. Per ea, leggiamo nella sua storia, “per ea quae visibilia facta sunt, divina opitulante gratia, ad invisibilia pervenit.” Rapita quest’anima pura dalla beltà, dalla magnificenza, dall’ordine, dal concerto delle visibili creature, da queste, come per via di gradi, salì a contemplare e a conoscere le altissime invisibili divine perfezioni, fino a consacrare a Dio il giglio della sua verginità, eleggendoLo per isposo, fino a tenersi costante nelle più fiere persecuzioni, e ne’ più atroci tormenti, fino a lasciare il capo e la vita sotto la spada del proprio crudelissimo genitore.

Perché voi dunque, direi a taluni, nello spettacolo meraviglioso della natura non vedete Dio? Quel Dio che le trasse dal nulla? Ecco il perché: avete, come dice l’Apostolo, l’intelletto oscurato dalle tenebre degli errori, che corrono in questo secolo. Il peccato, le ree passioni vi han posto una benda che vi accieca: il fuoco de’ sensuali piaceri manda un fumo sì denso, che, secondo la frase del reale Profeta, non vi lascia vedere neppur la luce del mezzo giorno. “Supercecidit ignis, et non viderem solem”. Come volete vedere Dio nello specchio delle creature, se le creature da Dio proibite sono il vostro idolo? Se, per far tacere i rimorsi della rea vostra coscienza, dite nel vostro cuore che Dio non esiste? Lo dite nel cuore, lo so, per iniquo desiderio di perversa volontà, dir nol potete per convincimento e persuasione del vostro intelletto. E pur il dite. E perché? È facile il conoscerlo. Perché coll’idea di un Dio per voi chimerico, vorreste sottrarvi alle sue minacce vorreste respirare l’aura lusinghiera di una piena libertà di coscienza: perché questo Dio, che negate, amareggia i turpi vostri piaceri: perché avete tutto il motivo di temerlo nemico, e giusto punitore dei vostri misfatti: ond’è che a vostro dispetto, anche non volendo, Lo conoscete, ma in un’oscura idea tumultuosa, senza merito, e senza profitto.

Cristiani devoti, da questo tratto che non fu per voi, ritorno a voi. Iddio si vede col cuore, dice S. Agostino citando quelle parole evangeliche:“Beati mundo corde, quotiam ipsi Deum videbunt” (De serm. dom. in mont. c. 2), e come l’occhio corporeo non può distinguere gli oggetti sensibili, se non è purgato dalle fecce e dall’immondezze; così un cuor che dalle macchie del peccato, e da ree affezioni purgato e mondo non sia, non può vedere Dio con merito nella vita presente, e nol vedrà per castigo nella vita futura. Volete fin d’ora vedere Dio cogli occhi dell’anima? Conchiude S. Agostino, Lo vedrete, ma prima pensate a purgare il cuore: “Deum videre vis? Prius cogita de corde mundando” (Serm. 173. De temp.). Un cuor puro, un cuor mondo chiedeva al Signore il penitente Profeta. Un cuore puro per battesimale innocenza, o mondato per sacramentale penitenza, egli è come un nitido specchio che vede in sé rappresentata l’immagine di Dio. Iddio che abita in un cuor innocente, o in cuor ravveduto, si fa conoscere colla luce, che gli comunica, colla pace di cui lo riempie. Ah dunque, fedeli amatissimi “mundemus, ci esorta l’Apostolo Paolo, “mundemus nos ab omni inquinamento carnis, et spiritus” (2 ad Cor. VII, 1). Purghiamoci da ogni lordura d’opera carnale, da ogni infezione e traviamento di spirito, e per tal mezzo vedremo Dio in tutto il creato, Lo vedremo rappresentato, dice il citato Apostolo, come in lucido specchio:“Videmus nunc per speculum in aenigmate” (1 Cor. XIII, 12), Lo vedremo cogli occhi dell’intelletto e della fede, per vederLo poi “facie ad faciem” nella beata eternità, che Dio ci conceda!

Lettera di S. Atanasio al suo gregge (IV secolo d.C.)

S. Atanasio

Lettera di S. Atanasio al suo gregge (IV secolo d.C.)

“Dio solo vi consoli! … Che cosa vi rattrista… è il fatto che altri hanno occupato le chiese con la violenza, mentre voi, durante questo periodo, ne siete fuori? È un dato di fatto che essi hanno i locali: ma voi avete la Fede Apostolica! Essi possono occupare le nostre chiese, ma sono al di fuori della vera Fede. Voi rimanete fuori dai luoghi di culto, ma la Fede abita in voi! Prendiamo in considerazione: che cosa è più importante, il luogo o la Fede? La vera Fede, ovviamente! Chi ha perso e chi ha vinto nella lotta: colui che occupa gli edifici, o colui che custodisce la Fede? Vero è che le premesse sono buone solo quando è predicata la Fede Apostolica: tutto è santo, quando tutto si svolge là in modo Santo…

Voi siete coloro che sono felici: voi che rimanete all’interno della Chiesa della vostra Fede, che vi attenete saldamente ai fondamenti della Fede che vi proviene dalla Tradizione Apostolica. E anche se un’esecrabile gelosia ha cercato di scuoterla in tante occasioni ed in diversi modi, non è riuscita nell’intento! Ma sono essi che hanno deviato dalla Fede, allontanandosene nella crisi attuale! Nessuno mai prevarrà sulla vostra Fede, amati fratelli! E noi crediamo pure che Dio ci ridarà indietro le nostre chiese un giorno.

E quanto più violentemente essi cercano di occupare i luoghi di culto, tanto più essi si separano dalla Chiesa. Essi sostengono di rappresentare la Chiesa, ma in realtà, da se stessi se ne stanno espellendo, andando fuori strada. Anche se i Cattolici fedeli alla Tradizione sono ridotti ad una manciata, essi sono la vera Chiesa di Gesù Cristo”!

(Coll. selecta SS. Eccl. Patrum, Caillau e Guillou, vol. XXXII, pp. 411-412)

La strana sindrome di nonno Basilio -12

nonnoCaro direttore, mi permetto oramai, indegnamente, di fregiarmi del titolo di suo amico, non so se la cosa le faccia piacere … spero di si, perché per me oramai lo è! Riflettevo qualche giorno fa sull’espressione che ripetutamente Gesù nel Vangelo cita: “Chi ha orecchie per intendere, intenda!”… e alla mia povera mente, non le saprei dire perché, si presenta la figura del profeta Giona per il quale si staglia alla perfezione il detto: “non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire”, pare oggi molto in voga, specie in certi ambienti che è meglio non specificare, ma che lei saprà certamente individuare. Giona (che significa “colomba”) inviato a Ninive, è figura degli Apostoli inviati a predicare il Vangelo ai pagani, ci diceva lo Zio Tommaso, di Gesù stesso che restò tre giorni e tre notti nel sepolcro, come Giona nel ventre della balena, e dello Spirito Santo che scese su Gesù sotto forma di colomba … ma … “attenzione, -interviene Caterina all’improvviso, non essendomi accorto del suo ingresso in sala- una colomba che vola verso l’alto a testa in su, … perché a testa in giù, come in certe insegne liturgiche attuali, tipo la croce pettorale dell’usurpante “Ciccio formaggio” [la solita macchietta di Mimmo!?!], rappresenta ben altro spirito …, quello della colomba del satanico O.T.O., … per non dire del baphomet rappresentato sulla stessa croce pettorale” (… direttore, ma che vorrà mai dire, boh !?). “La conversione di Ninive – dialogo quindi con Caterina – è figura di quella di Roma destinata ad essere la capitale della Nuova Alleanza. Gesù stesso, agli ebrei che gli chiedevano un segno, rispose: “vi sarà dato il segno di Giona il profeta: come infatti Giona è stato ingoiato nel ventre di una balena per tre giorni e tre notti, così il Figlio dell’uomo sarà [sepolto] nel seno della terra tre giorni e tre notti” (Mt., XII, 39-40). Gesù, citando Giona, annuncia la sua morte, la sepoltura e la resurrezione. La missione di Giona continua quella dei profeti a lui anteriori, i quali avevano minacciato sventure (d’altra parte questo è il ruolo del profeta!), castighi per i peccati di Israele, specialmente per i peccati di idolatria e d’infedeltà a Dio. Ma gli ebrei non avevano voluto credere ai profeti e non si erano convertiti. Allora Dio, prima di scatenare la sua collera, fa un ultimo tentativo: suscita un nuovo profeta, Giona, e lo manda a Ninive, la grande metropoli pagana, una specie di New York dell’epoca, una delle più importanti in quei tempi, ricca di ogni corruzione (come oramai la quasi maggioranza delle nostre città e cittadine nostrane attuali!). I Niniviti si convertiranno, a differenza degli ebrei che non avevano voluto convertirsi quando erano stati inviati loro gli altri profeti, anzi li avevano perseguitati ed uccisi”. Ricordo brevemente i fatti narrati, soprattutto a beneficio di mio nipote, giunto inatteso, Mimmo, un testone, carentissimo in fatto di conoscenze bibliche: “Il Signore dice a Giona: “Va’ a Ninive, rimprovera ai suoi abitanti la loro iniquità e poi ritorna a Me”. Giona si alza, ma invece di obbedire, fugge lontano da Dio, in direzione opposta a Ninive, verso Tarsis, nella Spagna meridionale, allora estremo limite della navigazione mediterranea. Certamente Giona, formato da Elia, sapeva che Dio è Onnipresente, ma da buon “pio-israelita” pensava che, in virtù dell’Alleanza stipulata con Abramo, non sarebbe mai intervenuto fuori della Giudea. Egli pensava che, una volta fuori della Giudea, Dio lo avrebbe lasciato in pace. Ma perché mai non voleva predicare ai Niniviti? San Girolamo (in: Commento su Giona, Prologo, P.L., t. XXV, c. 1.117) lo spiega così: “Innanzi tutto si vedeva sminuito nella sua dignità profetica, essendo egli trasferito presso i pagani. Tutti gli altri profeti erano stati inviati in Israele, Giona, invece, era … diciamo … declassato, poiché inviato in Assiria, a Ninive! Inoltre lo Spirito Santo gli aveva rivelato che la conversione dei pagani avrebbe segnato la fine del primato di Israele. Per Giona, che, pur essendo un profeta, era pur sempre un uomo e un “pio israelita’, questo era un compito ingrato; non se la sentiva! Infine Giona sapeva bene che ‘Dio è misericordioso, paziente, sempre pronto a perdonare chi si pente’, ed è proprio per questo che non voleva andare a Ninive, per rispetto umano o paura che, qualora essa si fosse pentita, Dio l’avrebbe perdonata e lui avrebbe fatto una figura meschina”. Giona, quindi, si imbarca per traversare il Mediterraneo e andare addirittura verso la Spagna meridionale. Ma Dio non è d’accordo … fa sollevare una grande tempesta! Tutti i passeggeri, che sono pagani, sono presi dal panico, mentre solo Giona resta indifferente, poiché, tormentato dal rimorso di aver disobbedito a Dio, è noncurante di ciò che succede attorno a lui e, per la tristezza, si addormenta. Il capitano della nave, anche lui un pagano, meravigliato da tanta calma, lo prende per un “santo” e lo invita a pregare il “suo” Dio. Giona comincia a pregare, ma la tempesta non cessa. Allora i pagani pensano che quella tempesta sia l’effetto dell’ira di chissà quale divinità offesa, e tirano a sorte per sapere chi ne sia il colpevole. La sorte cade su Giona. I marinai gli chiedono allora che cosa fare per calmare la collera di Dio, ed egli risponde: “prendetemi e gettatemi in mare. Infatti so che è a causa del mio peccato che la tempesta si è sollevata”. I marinai, pur se addolorati, lo gettano in mare, che immediatamente si calma ed allora una balena ingoia il profeta. Giona, nel ventre della balena, prega Dio, Gli chiede perdono e promette di fare la sua volontà. Dio allora comanda alla balena di “sputare” Giona sulla riva del mare. Giona, questa volta, non avendo altra scelta, si reca a Ninive e predica la penitenza per i peccati che vi si commettono. Ninive era talmente grande che ci volevano tre giorni di marcia a piedi per percorrerla da un capo all’altro … e pensare che allora non c’era il traffico automobilistico! … Giona durante la sua “marcia” non cessa di gridare: “Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta”. I Niniviti, impressionati sia dal messaggio che dalla gravità del messaggero, si pentono e fanno penitenza dei loro peccati, credendo in Dio. La cosa giunge sino alle orecchie del re: ossia il popolo comincia il “pentimento”, Dio lo accetta e decide di non distruggere Ninive; poi interviene anche il re (come nel Natale di Gesù prima vanno ad adorarLo i pastori, poi tre re pagani). Questo per farci capire che il regno di Cristo non domina solo sulle singole anime, ma su tutta la società, poiché l’uomo è creato “animale socievole” e quindi in società, sotto la legittima autorità, e non solo in privato, deve dare a Dio il culto dovutoGli. Anche il re fece pubblica penitenza, si rivestì di sacco e si cosparse il capo di cenere. Ecco perché Gesù porta i Niniviti ad esempio contro i Giudei del suo tempo: mentre i Niniviti, che erano pagani, si convertirono di fronte alla predicazione di Giona, un semplice profeta, i Giudei non vollero convertirsi di fronte alla predicazione di Gesù Cristo, vero Dio e vero Uomo. Questo episodio ci fa capire che già nell’Antico Testamento si preparava la missione “ad Gentes”, s’iniziava l’universalismo religioso del Nuovo Testamento”. Sempre rivolto alla mia cara nipote, con un sorriso di compiacenza, continuo: “Gesù e san Paolo l’hanno promulgato e praticato, ma era già nello spirito del Giudaismo mosaico, totalmente diverso da quello talmudico cabalistico, che idolatra Israele e odia i goym (in particolare noi stupidi ed insulsi –secondo loro- Cristiani!). Il Giudaismo attuale, per quanto possa ricordare, ha rotto con Mosè ed i profeti, ha assorbito culti pagani, idolatri e frutto di superstizione, mutuati dai popoli loro confinanti e dalle peregrinazioni erranti a cui erano sottoposti, ed in particolare è impregnato da dottrine gnostiche, cioè della dottrina del serpente primordiale. In realtà il vero Giudaismo con Mosè e tutti i profeti annunciava Cristo e la Chiesa, che è il vero e nuovo Israele, secondo lo spirito e non secondo la carne. I Sommi Sacerdoti, gli scribi e i farisei-sadducei hanno crocifisso Gesù, e la storia continua nella sua Chiesa, Corpo mistico di Cristo. È proprio ciò che Gesù rimprovera ai Giudei del suo tempo: “i pagani di Ninive fecero penitenza, e voi no; perciò inciampando nella Pietra angolare,“morirete nel vostro peccato” l’orgoglio (il peccato massimo, come recita il salmo XVIII): il rifiuto del Messia, che perdura tuttora! “Le vicende attuali, ricorda Caterina, evidentemente ben ferrata sull’argomento, ci mostrano che nulla è cambiato, lo stesso odio che animava i Giudei increduli duemila anni fa contro Cristo, anima quelli increduli di oggi contro la Chiesa e contro chi, come Giona, predica la verità, la penitenza, Gesù Cristo, unico Salvatore dell’uomo, sia pagano, sia ebreo. Roma, come Ninive, si è convertita, prima il popolo, poi Costantino; invece Gerusalemme, tranne il “piccolo resto” degli Apostoli e dei primi discepoli cristiani, con qualche sporadico caso nel corso dei secoli, si è indurita (prima i sacerdoti, poi il popolo) nel rifiuto di Cristo”. Mimmo, che sembra avere un impegno urgente, sollecita la conclusione del discorso … “Giona, dopo aver terminato la sua missione di tre giorni, scappa da Ninive, ha paura di essere distrutto assieme ad essa, si rifugia su una collina abbastanza, ma non troppo, lontana, per veder, al sicuro, il castigo della città. Passano quaranta giorni e Ninive non è distrutta. Allora Giona si rattrista e si incollerisce, teme di fare la figura del brocco, falso profeta. “Giona ha paura delle umiliazioni – interviene ancora Caterina – e chiede a Dio di farlo morire. Dio, allora, gli dà una piccola lezione: fa nascere un albero di ricino che lo ripari dal sole; in una sola notte spunta e diventa alto e frondoso, in modo da poter far ombra al profeta che lo apprezza grandemente; però il giorno dopo, Dio manda un verme che, rodendo le radici dell’arbusto, lo fa seccare. Il sole sorge implacabile, un vento di scirocco caldo comincia a soffiare e rende l’aria insopportabile. Giona ne è talmente “sciroccato” che di nuovo comincia a pregar Dio di ritirarselo da questo brutto mondo. Dio lo interroga: “Credi che tu possa indignarti perché un alberello si è seccato?”. Giona risponde di sì! Dio lo rimprovera dicendogli: “Tu sei in collera perché un alberello che è nato in una notte, senza alcuna tua fatica, è seccato in un giorno. E tu vorresti che Io assista, indifferente, alla distruzione di questa enorme città con i suoi abitanti che si son pentiti?”. Uscito Mimmo, anche lui “sciroccato”, cerco di trarre le opportune considerazioni. Mi rivolgo all’attenta Caterina e continuo a dire: “questo libro biblico ispirato vuole farci capire il mistero della Misericordia di Dio verso gli uomini, anche i più disgraziati, anche i pagani o non-ebrei, che riconoscono le loro miserie e ne chiedono perdono. Sant’Agostino (Epistola 102 ad Deogratias, PL, t. XXXIII, c. 383 ss.) ci spiega la morale di questo episodio, come ci ricordava opportunamente lo zio Tommaso, santo sacerdote, nelle sue lezioni domenicali a noi nipoti che pendevamo (ma non sempre!) dalle sue labbra, così: «Giona gioca un ruolo ingrato, in questa scena finale, oltre che nella prima [la fuga]. Egli è figura del popolo ebraico, che si irrita quando vede che anche le nazioni pagane sono chiamate da Cristo al suo Regno. Invece di far penitenza come i Niniviti, o i pagani convertiti dai dodici Apostoli, resta in disparte, urtato, piagnucoloso e lamentoso, sulla collina. L’alberello rappresenta la religione mosaica dell’Antica Alleanza, che deve cedere il passo – seccando – alla Nuova ed Eterna Alleanza. Il sole che brucia l’albero è Cristo “Sol justitiae”, il verme che ne rode le radici è ancora Gesù: “Ego sum vermis et non homo” (e Felicina per compiacere lo zio iniziava subito la recita del salmo XXI), simbolo dell’umiltà. Ma questo vermicello, in poco tempo, secca l’albero, poiché Cristo è venuto non solo per Israele ma per tutte le genti e, quindi, secca tutte le speranze e le glorie terrestri dell’Israele carnale (le fronde dell’albero, sotto cui Giona si riparava). Preghiamo – conclude il Santo Vescovo d’Ippona il “verme divino”, Gesù, che ci roda, ci consumi e tolga da noi ogni albagia». E Caterina aggiunge subito: ricordo di aver letto un libro di don Barsotti che parla proprio di questo argomento e commentava: «Israele non è eletto per la distruzione dei popoli, ma per la loro salvezza” (p. 20); Israele non voleva capire che tutti i popoli e tutte le terre non solo erano sotto il dominio sovrano di Dio, ma erano creature del suo amore […], ciò lo ferisce nel suo orgoglio. […] L’unica cosa che avrebbe dovuto fare Dio [e dovrebbe ancora … secondo gli ebrei] era  quella di distruggere tutte le Nazioni per far regnare Israele”. Ma “Quando Israele vorrà conservare esclusivamente per sé i doni che ha ricevuto da Dio … viene condannato, rigettato, e al suo posto entrano le Nazioni”; “… è vero, Caterina cara, in effetti tutto il Libro di Giona sembra voglia ‘canzonare’ Israele che non sa accettare il piano divino”, e vedi che il Signore ha uno spiccato senso dell’umore, un po’ come “Pulcinella, che ridendo e scherzando, disse la verità”! E poi, proprio questo è il destino del cristiano: essere gettato in mare, essere ingoiato dal pesce, perché nell’abisso della tenebra possa scoppiare dal suo cuore il grido della speranza”. Però, caro direttore, attenzione!… : “il profeta è un cibo indigesto. E così come il pesce non riuscì a digerire Giona, allo stesso modo il mondo non riuscirà mai a digerire Cristo e la sua Chiesa”! Ma una volta “sputato” fuori, risorge a nuova vita e a nuovo splendore! Diceva al proposito lo zio Pierre, senza farsi ascoltare troppo in giro (ed anche lei, mi raccomando!): “… non si illudano i tentacoli, le propaggini, vere armi agenti nell’ombra per conto della “balena cabalista”, e cioè le conventicole massoniche, le associazioni politiche agnostiche, comuniste o progressiste (in progresso verso il nulla e verso il fuoco inestinguibile dell’inferno!), e tutte le istituzioni mondialiste, che preparano il nuovo ordine (o meglio disordine!) mondiale, compresa l’antichiesa modernista ecumenica! [ma che linguaggio strano, questo zio Pierre!] create e sostenute con i mezzi finanziari immensi di cui sono stati defraudati i popoli goym ingannati, ed il cui unico vero fine, al quale lavorano in combutta incessantemente, è quello di distruggere, a qualunque costo, il Cristianesimo e la Chiesa cattolica! Ma “… portae inferi non praevalebunt!” Babilonia sarà distrutta al colmo del suo splendore, sarà arsa quando si riteneva ormai vittoriosa e sicura, protetta dai baluardi della propria infamia, della propria superbia e del disprezzo delle leggi divine; la Babele adultera, prostituita a tutti gli idoli, cadrà miseramente nella desolazione nel pieno del suo orgoglio, attirandosi la giusta ira divina che non avrà alcuna remora né pietà nel radere al suolo e sprofondare negli inferi la culla degli abomini insieme a tutti i suoi falsi sacerdoti e profeti. S. Giovanni nell’Apocalisse ha tutto predetto, e tutto si attuerà, stiamone certi … !” . Caro Direttore, a questo punto la saluto e le auguro un buon pranzo, magari con un buon piatto di pesce, ma … che non sia indigesto, mi raccomando! Buon appetito a tutti da Nonno Basilio e famiglia. Alla prossima.