25 maggio: SAN GREGORIO VII, PAPA E CONFESSORE

“Diléxi iustítiam et odívi iniquitátem, proptérea morior in exsílio”.

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Papa Gregorio VII, di nome Ildebrando, nacque a Siena in Toscana. Grande innanzitutto per dottrina, santità e ogni virtù, diede gloria mirabile a tutta la Chiesa di Dio. Adolescente, rivestì l’abito religioso nel monastero di Cluny e servì Dio con tanto ardore di pietà da essere eletto priore dai padri di quel monastero. Nominato poi abate del monastero di san Paolo fuori le mura, a Roma, e più tardi ancora cardinale di santa romana Chiesa, portò a compimento importantissimi incarichi e legazioni sotto i sommi pontefici Leone IX, Vittore II, Stefano IX, Nicolò II e Alessandro II. Alla morte di papa Alessandro, fu eletto, con unanime consenso, Sommo Pontefice. Emerse come combattente e strenuo difensore delle libertà ecclesiastiche. Per questo soffrì molto e fu costretto ad allontanarsi da Roma. Mentre stava per morire, le sue ultime parole furono : « Ho amato la giustizia e odiato l’iniquità perciò muoio in esilio ». Salì al cielo nel 1085, e il suo corpo fu sepolto con grandi onoranze nella cattedrale di Salerno.

In un momento particolarmente critico per la Santa Chiesa, il monaco Ildebrando, divenuto Papa con il nome di Gregorio VII, si trovò ad affrontare le gravi minacce che il potere temporale portava alla libertà della Chiesa. Celebre è la sua resistenza, da uomo forte qual’era, alle pretese di Enrico IV con relative scomuniche, antipapa, scisma ed episodi da narrazione epica. Le sofferenze derivategli da queste vicende turbinose vengono descritte da lui stesso in una lettera indirizzata a sant’Ugo di Cluny. « Tali sono, egli dice, le angosce alle quali siamo in preda, che quegli stessi che vivono con noi, non soltanto non possono più sopportarle, ma non ne sostengono neppure più la vista. Il santo re Davide diceva al Signore: “All’affollarsi de’ miei interni affanni, le tue consolazioni mi deliziano l’anima” (Sal. XCIII, 19); ma per noi, molto spesso, la vita è una noia e la morte un voto ardente. Se accade che Gesù, il dolce consolatore, vero Dio e vero uomo, si degni tendermi la mano, la sua bontà rende la gioia al mio cuore afflitto; ma per poco che Egli si ritiri, la mia perturbazione giunge all’eccesso. In quel che dipende da me, muoio continuamente; in ciò che viene da Lui, a momenti io vivo. Se le mie forze cedono del tutto, io grido dicendogli con voce gemente: “Se imponesti un fardello così pesante a Mosè ed a Pietro, mi pare che ne sarebbero sopraffatti”. Cosa può succedere di me, che sono niente, in confronto a loro? Tu, dunque, Signore, non devi fare che una cosa: governare Tu stesso con il tuo Pietro il Pontificato che mi è imposto; altrimenti mi vedrai soccombere; ed il pontificato sarà ricoperto di confusione nella mia persona».

È Roberto il Guiscardo che con i Normanni giunge a Roma a cacciare lo scomunicato Enrico IV ed il falso papa da questi illegittimamente insediato, mettendo a sacco la città eterna. Gregorio trova temporaneo rifugio nell’abazia di Cassino, ove tra l’altro si verifica un significativo episodio: durante la Messa, una colomba bianca si posa sulla sua spalla e gli parla all’orecchio: non è difficile, da questo esplicito simbolo, riconoscere l’azione dello Spirito Santo che dirigeva e governava i pensieri e gli atti del santo Pontefice. Nei primi mesi del 1085 si reca allora a Salerno ove presiede alla dedicazione della Chiesa nella quale ancora oggi riposa il corpo di San Matteo. Muore così in esilio, lontano dalla Cattedra di cui era legittimo occupante, compiendo un martirio non cruento, ma non meno doloroso ed umiliante, perdonando, come Gesù Cristo sulla croce, coloro che lo avevano offeso, tranne i figli della perdizione (Enrico IV e l’usurpante Guiberto), ed affidando l’intrepida contessa Matilde di Canossa al coraggioso vescovo Anselmo di Lucca.

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In omaggio a Gregorio VII, il cardinale Siri, eletto una prima volta Papa nel conclave del 1958, scelse il nome di Gregorio XVII, e di lui ironicamente seguì la sorte. Anch’egli infatti morì dopo lungo esilio a Genova, costretto da “coloro che hanno per padre il diavolo”, e dai loro adepti, i “marrani della quinta colonna nella Chiesa”, a lasciare la cattedra di Pietro in balia degli usurpanti che avrebbero dovuto portare, secondo i piani, allo sfascio totale la Chiesa cattolica, ma … “Qui habitat in caelis irridebit eos, et Dominus subsannabit eos”. [Se ne ride chi abita i cieli, li schernisce dall’alto il Signore].

    Ancora molti cattolici oggi non hanno familiarità, o hanno grandi difficoltà, solo a pensare come anche qualche altro Papa sia stato costretto all’esilio. Così è opportuno citare i precedenti storici (esempi concreti) dei Papi legittimi e validamente ordinati che furono costretti all’esilio da Roma a causa dei nemici della fede, prima del ventesimo secolo.

Il seguente è un elenco parziale dei Papi che sono stati costretti all’esilio da Roma prima del ventesimo secolo. La maggior parte di essi morì o fu martirizzata mentre era ancora in esilio:

  • S.Clemente I: esiliato e martirizzato
  • S.Ponziano: Esiliato e martirizzato
  • S. Cornelio: Esiliato e martirizzato.
  • Liberio: Esiliato durante l’eresia ariana.
  • San Lucio.
  • S. Stefano I: Morì in esilio.
  • S. Marcello I: Morì e fu martirizzato.
  • S. Eusebio: Morì in esilio.
  • San Silverio: Esiliato e martirizzato
  • S. Martino I esiliato e martirizzato.
  • San Leone IX
  • Innocenzo II: Esiliato per 8 anni ma riconquistò il seggio di Pietro a Roma dopo l’abdicazione dell’antipapa Vittorio IV.
  • S. Gregorio VII: morì in esilio a Salerno.
  • Pio VI: Morì a Valencia!
  • Pio VII: Esiliato e imprigionato da Napoleone per 15 anni!
  • Pio IX: Esiliato a Gaeta per 9 mesi, è stato successivamente un prigioniero in Vaticano!

La successiva, invece, è una lista parziale degli antipapi che hanno usurpato l’ufficio di Papa a Roma, sia durante la sua assenza, sia anche simultaneamente alla presenza di un vero Papa, prima del ventesimo secolo:

  • Ippolito: 217-235 D.C.
  • Novaziano: 251 D.C.
  • Felice II: Novembre 355-365 D.C.
  • Cristoforo: Settembre 903 – gennaio 904 D.C.
  • Bonifacio VII: Giugno e luglio, 974 e agosto 984 – luglio 985 D.C.
  • Benedetto IX: Fu dapprima eletto come vero papa nel 1032 A.D.; successivamente dimessosi, tornò come antipapa dal novembre 1047 al luglio 1048 D.C.
  • Benedetto X: dall’aprile 1058 al gennaio del 1059 D.C.
  • Silvestro IV: Novembre 1105 -1111 D.C.
  • Celestino II: 1124 D.C.
  • Anacleto II: da Febbraio 1030 a gennaio 1038 D.C.
  • Vittore IV: 1038 da marzo a maggio 1038 D.C.
  • * Giovanni XXIII: dal maggio 1410 a maggio 1415 A.D. (Cardinale Baldassarre Cosa) che è rimasto a Roma dal 1411 al 1413 durante lo scisma che si protrasse dal 1378 al 1418 D.C.

*Nota: Angelo Roncalli dopo aver usurpato l’ufficio papale di Papa Gregorio XVII [“Siri”] nel 1958 D.C., prese il nome di Giovanni XXIII, lo stesso nome dell’anti-papa Baldassarre Cosa, che usurpò l’ufficio pontifico durante l’esilio del vero Papa, ed una volta effettuata la sua usurpazione, anche nella stessa Roma. La politica nella Chiesa Romana è sempre stata quella di non prendere il nome di un anti-papa. Molti hanno già compreso che questo è stato un segnale criptico dell’anti-Papa Roncalli (che ha convocato l’apostata Pseudo-Concilio Vaticano II e fatto cardinale il principale agente marrano, capo degli Illuminati di Baviera, G.B. Montini) ai suoi compagni “fratelli” in tutto il mondo per segnalare a coloro che “dovevano capire”, che era iniziata la “rivoluzione finale”, gli stessi ai quali poi Montini segnalava gongolante che, grazie a lui, “il fumo di satana, era penetrato nella Chiesa” – [intelligenti pauca!]

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“Roma perderà la fede e diventerà la sede dell’Anticristo… La Chiesa sarà in eclissi..”, queste parole si sono compiutamente realizzate ai nostri tempi, fino all’ultima sillaba.

[Nostra Signora di La Salette a Melanie Calvat nel 1846 A.D., in un’apparizione riconosciuta  ed approvata pienamente dalla Chiesa]

 

24 maggio festa di Maria Ausiliatrice

24 maggio festa di Maria Ausiliatrice

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[Dom Guéranger: “l’anno liturgico” – vol II, p. 663]

La festa di oggi.

Ora, ecco, in questo giorno, una festa di Maria! Affrettiamoci a dire che essa non è iscritta nel calendario universale della santa Chiesa; ma aggiungiamo allo stesso tempo che si è talmente diffusa, con l’approvazione della Sede Apostolica, che questo Anno Liturgico sarebbe stato incompleto se non avessimo dato un posto a questa solennità. Il suo scopo è di onorare la Madre di Dio sotto il titolo di Aiuto dei cristiani, appellativo meritato per gl’innumerevoli favori che questa potentissima Ausiliatrice non cessa di effondere sulla cristianità. Dal giorno in cui lo Spirito Santo discese su Maria nel Cenacolo, affinché Ella cominciasse ad esercitare, sulla Chiesa militante, il suo potere di Regina, fino alle ultime ore che durerà questo mondo, chi potrebbe enumerare tutte le occasioni nelle quali Ella ha segnalato o segnalerà la sua azione protettrice sugli eredi del figlio suo? Le eresie sono sorte di volta in volta, appoggiate dal braccio dei potenti della terra! Sembrava che dovessero divorare la stirpe dei fedeli; ma esse sono cadute, di volta in volta, le une sulle altre, atterrate da un colpo mortale! E la santa Chiesa ci rivela che è stato il braccio di Maria a sferrare il colpo “Gaude, Maria Virgo, cunctas haereses sola interemisti in universo Mundo”. (Officio della Santissima Vergine, al Mattino,- VII.a antifona.).pio_v_El_Greco_050

Se scandali inauditi e tirannie senza nome sono sembrati intralciare per un momento il cammino della Chiesa, il braccio sempre armato dell’invincibile Regina ha poi reso libero il passaggio! e la Sposa del Redentore ha avanzato libera e fiera, lasciando dietro di sè gli ostacoli spezzati ed i suoi nemici abbattuti. È proprio richiamando alla memoria tante meraviglie che il grande Papa san Pio V, l’indomani della vittoria di Lepanto, durante la quale la nostra augusta trionfatrice aveva annientato per sempre la potenza navale dei Turchi, giudicò che era venuto il momento d’iscrivere nelle Litanie della santa Vergine, al seguito dei titoli di cui la Chiesa la saluta, quello di “Aiuto dei cristiani”.

Il ritorno a Roma di Pio VII.

Era riservato al secolo scorso di vedere Pio VII, riprendere questo bel titolo e farne l’oggetto di una festa commemorativa dei soccorsi che Maria si è degnata dare ai cristiani in tutte le epoche. Ed il giorno che ne è stato stabilito non poteva essere scelto meglio.

Il 24 maggio dell’anno 1814, Pio VII rientra a Roma, tra le acclamazioni di tutto il popolo.

Pio VII

Egli esce da una prigionia di cinque anni, durante la quale il governo della cristianità è stato totalmente sospeso. Le potenze, coalizzate contro il suo oppressore, non hanno avuto l’onore di spezzarne i ferri; e stato colui che lo riteneva lontano da Roma, a dichiararlo libero di ritornarvi fin dagli ultimi mesi dell’anno precedente; ma il Pontefice ha voluto prender tempo e il 25 gennaio lascia Fontainebleau. Roma, nella quale Egli rientra, è stata unita all’impero francese, cinque anni prima, con un decreto nel quale si leggeva il nome di Carlo Magno; essa, la città di san Pietro, si è vista ridotta ad un capoluogo di dipartimento, amministrata da un prefetto e, quasi a cancellare per sempre il ricordo di ciò che fu la città dei Papi, il suo nome è stato dato come appannaggio al presunto erede della corona imperiale di Francia.

Quale giorno è quello del 24 maggio, che illumina il ritorno trionfale del Pontefice in qualità di Pastore e di Sovrano, tra le mura di quella sacra città, da dove una notte era stato strappato da alcuni soldati! Gli eserciti vengono incontrati sulla via, percorsa da Pio VII a piccole tappe, e l’Europa s’inchina di fronte al suo diritto. Tale diritto sorpassa in antichità, come in dignità, quello di tutti i re; e tutti, senza distinzione per gli eretici, gli scismatici, ed i cattolici, si faranno un dovere di riconoscerlo solennemente. Ma ciò non ci rivela ancora completamente la grandiosità del prodigio che si è degnata operare la potentissima Ausiliatrice. Per comprendere la realtà, è importante ricordarsi che testimone di questo fatto meraviglioso è il secolo XIX; che lo vede effettuato durante gli anni e in cui subisce ancora il giogo ignominioso del volterianismo, in cui vivono ancora in ogni luogo gli autori e i complici dei delitti e dell’empietà che furono quasi il coronamento del XVIII secolo. Tutto sembrava contrario ad un risultato così pieno ed inatteso; la coscienza cattolica era lungi dall’essere allora risvegliata, come lo fu più tardi; l’azione celeste doveva manifestarsi direttamente; ed è per rivelare al mondo cristiano questa realtà, che Roma ha consacrato annualmente la giornata del 24 maggio in trofeo a Maria Aiuto dei Cristiani.

Restaurazione del trono Pontificio.

Cerchiamo adesso di capire l’intenzione divina nella doppia restaurazione che oggi Cristo opera per mezzo delle mani della sua augusta Madre.

Pio VII era stato condotto via da Roma e detronizzato; Egli vi viene ristabilito come Papa e come sovrano temporale. Nei giorni della festa della Cattedra di san Pietro a Roma e ad Antiochia, noi abbiamo esposto la dottrina della Chiesa, la quale c’insegna che la successione ai diritti conferiti da Cristo a san Pietro è legata alla qualità, di Vescovo di Roma. Ne segue che la residenza in questa città è, allo stesso tempo, di diritto e di dovere del successore di Pietro salvo il caso in cui, nella sua sapienza, egli giudichi di allontanarsene per qualche tempo. Colui dunque, che coi mezzi della forza materiale costringe il Sommo Pontefice a stare fuori di Roma, o l’impedisce di risiedervi, agisce contro la volontà divina; poiché il Pastore deve abitare in mezzo al suo gregge. Ed essendo stata la Chiesa Romana preposta da Cristo alle altre Chiese del mondo, queste hanno diritto di trovare in Roma, predestinata ad un tale onore da tutto il suo passato, Colui che allo stesso tempo è il Dottore infallibile della fede e la sorgente di ogni potere spirituale.

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Il primo beneficio di cui oggi noi siamo debitori verso Maria, è dunque quello di avere restituito lo Sposo alla Sposa, e ristabilito nelle sue condizioni normali il governo supremo della santa Chiesa. Il secondo favore, è di avere ridato al Pontefice il potere temporale, che è la garanzia più sicura della sua indipendenza nell’esercizio del potere spirituale. Tristi fatti riportati dalla storia, hanno rivelato più di una volta i danni di uno stato di cose che mette il Papa alle dipendenze di un principe; e l’esperienza del passato, dimostra che la città di Roma, se non restasse sotto il dominio del papato, potrebbe incorrere, agli occhi della cristianità, nel rimprovero di non avere sempre saputo vegliare alla libertà ed alla dignità della Chiesa nell’elezione del Sommo Pontefice, La sapienza divina ha provveduto al bisogno dell’immenso gregge di Cristo preparando, fin dall’inizio, le basi del dominio temporale del papato su Roma ed il suo territorio, anche prima che la spada dei Franchi intervenisse per vendicare, per costituire ed ingrandire quel prezioso dominio che è un bene della cristianità. Chiunque osa invaderlo, reca il più palese attentato alla libertà di tutta la Chiesa; e noi, un mese fa, abbiamo udito il grande dottore sant’Anselmo, quando c’insegnava che « Dio null’altro ama tanto in questo mondo, quanto la libertà della sua Chiesa ». Ed è per questo che l’ha sempre rivendicata.

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   Preghiamo la Santissima Vergine Maria “Auxilium Christianorum”, perché ancora una volta, con lo schiacciare la testa al serpente maledetto ed agli impostori usurpanti, renda possibile il ritorno a Roma del vero Papa, la restaurazione del Papato con la Gerarchia in esilio secondo Diritto apostolico, la legittima occupazione della Cattedra di Pietro, ed il trionfo della Chiesa Cattolica oggi “eclissata”:

MARIA, Auxilium Christianorum: orate pro nobis!

catene S. Pietro

le catene di S. Pietro

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Alla Madonna Ausiliatrice dei Cristiani: preghiera di S. Giovanni Bosco

 O Maria, Vergine potente, Tu grande ed illustre presidio della Chiesa, Tu aiuto meraviglioso dei cristiani, Tu terribile come esercito ordinato a battaglia; Tu, che sola hai distrutto ogni eresia in tutto il mondo, oh! Nelle nostre angustie, nelle nostre lotte, nelle nostre strettezze difendici dal nemico, e, nell’ora della morte, accogli l’anima nostra in Paradiso. Così sia. [ind. 3 anni, plen s.c. p.t.m.].

Preghiera a Maria Ausiliatrice

[S.S. Leone XIII, con breve del 10 marzo 1900, concede 300 giorni di Indulgenza ogni volta che si recita questa preghiera almeno con cuore contrito]

“O Santissima ed Immacolata Vergine Maria Madre nostra tenerissima, e potente aiuto dei Cristiani, noi ci consacriamo interamente al vostro dolce amore e al vostro santo servizio. Vi consacriamo la mente co’ suoi pensieri, il cuore co’ suoi affetti, il corpo co’ suoi sentimenti e con tutte le sue forze, e promettiamo di voler sempre operare alla maggior gloria di Dio ed alla salute delle anime. – Voi intanto, o Vergine incomparabile, che siete sempre stata l’Ausiliatrice del popolo cristiano, deh!, continuate a mostrarvi tale specialmente in questi giorni. Umiliate i nemici di nostra santa Religione, e rendetene vani i malvagi intenti. Illuminate e fortificate i Vescovi e i Sacerdoti, e teneteli sempre uniti ed obbedienti al Papa, Maestro infallibile; preservate dall’irreligione e dal vizio l’incauta gioventù: promuovete le sante vocazioni ed accrescete il numero dei sacri Ministri affinché per mezzo loro il regno di Gesù Cristo si conservi tra noi, e si estenda fino agli ultimi confini della terra. Vi preghiamo ancora, o dolcissima Madre, che teniate sempre rivolti i vostri sguardi pietosi sopra l’incauta gioventù esposta a tanti pericoli, sopra i poveri peccatori moribondi; siate per tutti, o Maria, dolce speranza, Madre di misericordia e porta del Cielo. – Ma anche per noi vi supplichiamo gran Madre di DIO. Insegnateci a ricopiare in noi le vostre virtù, in particolar modo l’angelica modestia, l’umiltà profonda, l’ardente carità, affinché, per quanto è possibile, col nostro contegno, colle nostre parole, col nostro esempio rappresentiamo al vivo in mezzo al mondo Gesù Benedetto vostro Figliuolo, e facciamo conoscere ed amare Voi, e con questo mezzo possiamo riuscire a salvare molte anime. – Fate altresì, o Maria Ausiliatrice, che noi siamo tutti raccolti sotto i l vostro manto di Madre. Fate che nelle tentazioni noi vi invochiamo con fiducia; fate insomma che il pensiero di Voi sì buona, sì amabile, sì cara, il ricordo dell’amore che portate ai vostri divoti, ci sia di conforto, da renderci vittoriosi contro i nemici dell’anima nostra, in vita ed in morte, affinché possiamo andare a farvi corona nel bel Paradiso. Così sia.!

 

DIGIUNO E ASTINENZA

DIGIUNO E ASTINENZA

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I bambini di Fatima praticavano eroici digiuni e penitenze per aiutare a salvare le povere anime dall’inferno.

[da E. Barbier: I tesori di Cornelio Alapide]

  1. Necessità del digiuno e dell’astinenza. — 2. Esempi di digiuno e di astinenza. — 3. Eccellenza del digiuno. — 4. Fallaci pretesti per non digiunare. — 5. Diverse specie di digiuno.
  2. Necessità del digiuno e dell’astinenza. — E nell’antica e nella nuova legge Dio comanda il digiuno… La Chiesa ne fa un precetto… “Togli le legna al fuoco, se vuoi estinguere la fiamma”, canta un antico poeta. Ma qual fuoco più vorace della concupiscenza? Bisogna dunque che si faccia digiunare la carne. « È molto meglio per te, scriveva S. Gerolamo, sentirti dolere il ventre che non la mente; ti giova di più comandare alla carne che non obbedirle; zoppicare del piede che non nella pudicizia. Col rigore dei digiuni e delle vigilie si devono respingere le infocate saette del diavolo: chi se la gode nelle delicatezze, pare vivo, ma è morto ».

Platone proibiva di prendere cibo due volte al giorno e di mangiare a sazietà (De Leg.). Necessità del digiuno e dell’astinenza per evitare il peccato… Per espiare i peccati commessi… Per respingere e vincere il demonio. « Donde viene, dicevano gli apostoli a Gesù Cristo, che noi non abbiamo potuto cacciare questo demonio? Ed egli a loro: Questa genìa di demoni non si può scacciare se non con la preghiera e col digiuno » (Mc. IX, 27-28). È cosa impossibile mantenersi casto senz’essere mortificato. Il digiuno è di obbligo sotto pena di peccato mortale, per chi ha compiuto l’età di ventun anno, eccetto che legittime ragioni lo dispensino.

  1. Esempi di digiuno e di astinenza. — Gli esempi che noi abbiamo di digiuno e di astinenza ce ne provano la necessità. Mosè, Elia, Gesù, digiunano quaranta giorni. Dietro l’esempio di quei digiuni la Chiesa ha stabilito il digiuno della Quaresima. I primi cristiani digiunavano tutti i giorni e facevano un solo pasto sul cadere del sole. Gli eremiti, gli anacoreti, digiunavano continuamente. In tutti i secoli i religiosi hanno digiunato; i veri fedeli si fecero sempre scrupolo del digiuno. Digiuna Giuditta, digiuna Ester, sul trono. I loro digiuni avevano i Giudei, ed i Maomettani anche essi hanno i loro digiuni che osservano esattamente. S. Giovanni Battista digiuna e osserva astinenza tutti i giorni, nel deserto, per trent’anni, non cibandosi che di miele selvatico e di locuste. Tutti i Niniviti, dal bambino al vecchio, dal più grande al più piccolo, dal mendicante al re, osservano un digiuno rigoroso; e fanno digiunare perfino gli animali…
  2. Eccellenza del digiuno. — « L’astinenza, predicava S. Leone, è madre di casti pensieri, di retti desideri, di salutari consigli, e per mezzo delle volontarie mortificazioni, la carne muore alla concupiscenza, lo spirito ringiovanisce alla virtù ». « Che cos’è il digiuno? scrive S. Ambrogio; non altro se non l’immagine e la sostanza della vita celeste. È il cibo dell’anima, l’alimento dello spirito, la vita degli angeli, la morte della colpa, la distruzione dei delitti, il farmaco della salute, la radice della grazia, il fondamento della castità, il cammino più breve per cui si arriva a Dio». Ascoltate S. Efrem: «Il digiuno è il carro per montare al cielo. Il digiuno suscita i profeti, insegna la sapienza ai legislatori. Il digiuno coabita col corpo senza nuocergli e fa buona guardia all’anima. Il digiuno è arma invincibile in mano ai soldati, è palestra d’esercizio agli atleti. Il digiuno respinge le tentazioni, dispone alla pietà, smorza l’ardore del fuoco, chiude le fauci ai leoni, indirizza al cielo le preghiere; è la madre della santità, l’educatore della gioventù, l’ornamento dei vecchi ». « Il digiuno, nota S. Gerolamo, è non solamente una virtù perfetta, ma il fondamento delle altre virtù; è la santificazione, la pudicizia, la prudenza, virtù senza le quali nessuno può vedere Iddio ». La fame, dice S. Ambrogio, è l’amica della verginità, la nemica della lussuria, mentre la gola mette a repentaglio la castità, nutrisce le passioni. Perciò S. Basilio dice che chi digiuna è simile agli Angeli. Giovanni Crisostomo, dopo di aver osservato che, come il soldato è nulla senza le armi e le armi a nulla valgono senza il soldato, così l’orazione poco vale senza il digiuno e il digiuno poco giova senza l’orazione, chiama il digiuno, « alimento dell’anima », e tale che « purga la mente, solleva il senso, sottomette la carne allo spirito, rende il cuore contrito e umiliato, dissipa le nebbie della concupiscenza, estingue gli ardori della libidine, accende la fiaccola della castità ». « Ecco, dice S. Atanasio, che cosa fa il digiuno: guarisce le malattie, calma l’impeto del sangue, mette in fuga i demoni, scaccia i cattivi pensieri, rende l’anima più candida e bella, il cuore più puro, il corpo più vegeto e robusto ». « Noi sappiamo, dice S. Pietro di Ravenna, che il digiuno è la cittadella di Dio, il campo di Gesù Cristo, la fortezza dello Spirito Santo, l’insegna della fede, il regno della castità, il trofeo della santità ». « Il digiuno, osserva S. Ambrogio, servì come di carro trionfale ad Elia per ascendere al cielo ». « Giacché per la gola, scrive S. Gregorio, abbiamo perduto la gioia del paradiso, affatichiamoci a riconquistarla con l’astinenza; mentre l’anima versa lagrime di pentimento, maceriamo coi digiuno la carne che si lasciò vincere dai piaceri del senso ». « Chi diede a Sansone la forza meravigliosa? Non è forse il digiuno, pel quale fu concepito nel seno materno? dice S. Basilio: “Sì, il digiuno l’ha concepito, il digiuno l’ha nutrito, il digiuno l’ha reso un miracolo di forza”. Il digiuno, continua il citato dottore, genera i profeti, aumenta le forze ai forti, è fonte di sapienza ai legislatori, è armatura a chi combatte. Dal digiuno trasse vita e forza il gran Sansone il quale, finché vi si mantenne fedele vinse da solo migliaia di nemici, tolse e portò via le porte della città, sbranò i leoni. Ma quando cedette alla gola e alla sensualità eccolo preso dai nemici, accecato e fatto zimbello alle burle dei monelli ». « I digiuni, predicava S. Leone, ci rendono più forti contro i peccati, vincono le concupiscenze, respingono le tentazioni, abbassano l’orgoglio, mitigano l’ira, e portano a perfetta maturità di perfezione i buoni desideri e gli affetti del cuore ». Samuele, radunato il popolo in Maspliat, lo fortificò, come osserva S. Gerolamo, con un digiuno da lui intimato e lo rese per ciò vittorioso de’ suoi nemici (In Lib. Reg.). Per poter combattere il nemico, dice S. Leone, ristorarono le forze dell’anima e del corpo con severo digiuno; si astennero dal mangiare e dal bere; e per vincere i loro nemici cominciarono vincere in se stessi gli stimoli della gola (Serm. de Quadrag.). A proposito di Giuditta che, come dice la Scrittura, digiunava tutti i giorni, eccetto il sabato (Iudith VIII, 6), così scrive S. Ambrogio: « Bevevano e si ubriacavano quelli del seguito di Oloferne, ma non beveva Giuditta la quale digiunava tutti i giorni eccetto il sabato; e munita di quest’arma si avanza e mette sossopra tutto l’esercito degli Assiri. Per l’energia, di una risoluzione presa tra i rigori dell’astinenza, essa mozza il capo ad Oloferne, salva il suo pudore, porta vittoria. Giuditta fortificata col digiuno, penetra nelle tende straniere; Oloferne sepolto nel vino non sente nemmeno il colpo che lo ferisce a morte. Così il digiuno di una sola donna sgomina un intero esercito di Assiri e salva il popolo di Dio ». Spinto dall’odio e dalla crudeltà di Amari, il re Assuero ordina lo sterminio dei Giudei che gemevano nella schiavitù. Ester, appena lo sa, spaventata dell’imminente pericolo, ricorre a Dio. Depone gli ornamenti reali, e veste il lutto; in vece dei profumi si copre il capo di cenere e di polvere, affligge il suo corpo col digiuno. E intanto ordina a Mardocheo che raduni quanti Giudei troverà in Susa, e tutti insieme preghino per lei, non mangino né bevano per tre giorni e tre notti; digiunerà, anch’essa con le sue figlie. Dopo di ciò è risoluta, non ostante il divieto della legge, ad entrare non chiamata nella stanza del re, e ad esporsi al pericolo di morte per salvare il popolo (Esther IV, 16). A questo punto dice S. Ambrogio: « Ester divenne col digiuno più bella, perché il Signore accresceva la sua grazia in quell’anima sobria ». E infatti nel punto stesso in cui comparve innanzi al re, Dio, dice la Scrittura, cangiò il cuore di Assuero il quale le si gettò tra le braccia gridando: Che hai tu, Ester? io sono tuo fratello, non temere, tu non morrai (Est. XV, 11, 13). Di questo modo Ester col suo digiuno e con la sua preghiera si prepara un nome immortale, ottiene la libertà del suo popolo, il patibolo per Aman, la giustizia per Assuero, la gloria per Iddio. « Colei che digiuna tre giorni, commenta S. Ambrogio, piace agli occhi del re e ottiene quel che domanda, la salute del popolo, li mentre Aman siede alla mensa del re, paga in mezzo alla sua intemperanza la pena che merita la sua ubbriachezza. E dunque il digiuno, il sacrificio della riconciliazione, l’aumento della virtù, il maestro della continenza, l’istitutore della pudicizia, l’umiltà dello spirito, la flagellazione della carne corrotta, la forma della sobrietà, la norma della virtù, la purificazione dell’anima, la mano della misericordia, la scuola della mansuetudine, lo stimolo della carità, la grazia della vecchiezza, la custodia della gioventù, li sollievo degli infermi, l’alimento dei sani, il viatico, il tesoro di tutta la vita ». « Ester, dice S. Efrem, macerata dal digiuno tiene fronte a innumerevoli agguerrii e squadre, lacera l’inumano decreto e placa il tiranno; depresse l’audacia di Aman e conservò illeso Israele ». Giuda Maccabeo e la sua falange ottengono coi loro digiuni il soccorso del cielo e numerose vittorie sui loro potenti nemici (Machab.). I Niniviti sono condannati dalla giustizia divina ad essere distrutti; digiunano tutti rigorosamente e tosto Iddio loro perdona. Gli apostoli digiunano e pregano, lo Spirito Santo discende sopra di loro, li riempie de’ suoi doni, e ne fa degli eroi… Ambrogio attribuisce tutti i miracoli di Elia a’ suoi digiuni. « La voce di Elia, dice questo padre, uscita dà una bocca santificata dal digiuno, chiuse il cielo al sacrilego popolo giudaico. In virtù del suo digiuno risuscitò il figlio della vedova, fece cadere la pioggia, discendere il fulmine dal cielo; il suo digiuno di quaranta giorni gli meritò di essere portato al cielo su di un carro di fuoco, di essere alla presenza di Dio e di conversare con lui. Infine, più digiuna e più è potente e per mezzo del digiuno arresta le onde del Giordano ». II digiuno è la santità del corpo, dell’anima, della memoria, dell’intelletto. Il digiuno prolunga la vita, preserva da mille infermità precoci e crudeli… Qual è la prima e principale prescrizione di un medico? qual è il rimedio più generale? la dieta, la quale altro non è se non un digiuno e un’astinenza assoluta.
  3. Fallaci pretesti per non digiunare. — Si portano mille vani pretesti per esimersi dalla legge dei digiuno: l’età, la debolezza di stomaco, le occupazioni, la rigidezza della legge, ecc… O cielo! i peccatori non possono digiunare, cioè non hanno la forza di salvarsi e l’hanno per dannarsi! Infatti costa più sforzo andare all’inferno che al paradiso… Ah! il mondo pretende sacrifizi, torture, privazioni; impone ordini e doveri mille volte più penosi di quelli del Vangelo… Così poca energia per il bene e tanta attività per il male!… Quei medesimi i quali si credono troppo deboli per sostenere un digiuno o un’astinenza, sanno poi incontrare privazioni, affrontare pericoli di salute ove si tratti di guadagnare una piccola somma di denaro; per un po’ di onore, o di fango, o d’oro, arrischiano tutto, e intanto per la grazia, per il cielo, per l’acquisto della gloria eterna, alcuni giorni di digiuno paiono loro — poverini che sono tanto deboli! — il peso più insopportabile! Ah! non è già la debolezza della complessione la vera causa della violazione di una legge utile e santa, ma l’indebolimento della fede, l’indifferenza, la gola, l’empietà… Ammettiamo pure che la vostra sanità sia debole, ma non siete forse voi medesimi la causa della perdita della vostra sanità? Non la rovinate voi con l’avarizia, con la dissolutezza, con la crapula, con la collera, coi giuochi, con le veglie, coi bagordi? Ah! bene spesso il disordine della sanità proviene dai disordini delle passioni!… Oh quanti abusano di questa sanità, dono prezioso del Signore!…
  4. Diverse specie di digiuno. — Vi è il digiuno della volontà. Noi abbiamo digiunato, dicono taluni; ora perché non ha Iddio accettato i nostri digiuni? Perchè, risponde Isaia, nei vostri digiuni vi servono di norma i vostri capricci e non la volontà di Dio (Isai. LVIII, 3). E sapete qual è il digiuno gradito a Dio? Uditelo dal medesimo profeta: «Sciogliete le trame degli empi, consolate gli afflitti, liberate i prigionieri; spezzate il vostro pane all’affamato, accogliete in vostra casa il povero; vedendo un nudo vestitelo e non disprezzate i vostri fratelli (Ib. 6-7).

Se ciò farete, la vostra luce risplenderà come l’aurora; Iddio vi renderà la sanità, la vostra giustizia vi farà un nome e la gloria del Signore vi circonderà, tutt’intorno. Allora invocherete Dio ed egli vi esaudirà; al primo vostro grido risponderà: Eccomi» (Ib. 9). Da queste parole del profeta noi rileviamo che, affinché il digiuno dei cristiani sia accetto al Signore, bisogna: 1° che l’anima si astenga dai vizi mentre il corpo si astiene dal cibo, come si esprime S. Gerolamo. Difatti lo scopo del digiuno è di umiliare il corpo ed assoggettarlo all’anima, di sottomettere l’anima alla ragione, la ragione alla virtù e allo spirito, lo spirito a Dio; e se non mirate a questo fine, invano adoperate il rimedio dei digiuni; come appunto, osserva il Crisostomo, inutilmente ingoia la medicina quell’infermo che non sa astenersi dai cibi nocivi. « Il merito dei nostri digiuni, dice S. Leone, non sta tutto nella sola astinenza dal cibo; e poco giova, se si toglie l’alimento al corpo e intanto si lascia che lo spirito s’impingui d’iniquità, la lingua corra sfrenata ai mal nocivi. « Se la bocca sola ha peccato, dice S. Bernardo, basta che essa sola digiuni, ma se peccarono anche tutte le altre membra, perché non saranno anch’esse macerate dal digiuno? Digiuni dunque l’occhio e si trattenga dagli sguardi inutili e da ogni vana curiosità; digiuni I’orecchio tenendosi chiuso alle vane ciarle; digiuni la lingua e si freni dalla mormorazione e dalla maldicenza; digiuni la mano astenendosi dai gesti inutili. Ma digiuni soprattutto l’anima, tenendosi lontana dal peccato, e rinunziando alla propria volontà : poiché ogni altro digiuno, senza questo, non è accetto a Dio ». Bisogna pertanto rendere meritorio il digiuno del corpo accompagnandolo col digiuno dell’anima e con l’astinenza dai peccati. Questo vogliono dire quelle parole di Gioele: Santificate il digiuno (I, 14) e: “Nunc ergo, dicit Dominus, convertimini ad me in toto corde vestro, in jejunio, et in fletu, et in planctu” [Or dunque – parola del Signore – ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti”.] (Joel II. 12). Poiché, santificare il digiuno vuol dire, spiega S. Gregorio, « aggiungere all’offerta che si fa a Dio della mortificazione della carne, ogni sorta di opere buone. Cessi l’ira e la discordia; invano si macera il corpo, so non si mette freno ai cattivi appetiti dell’anima ». « Che vale, dice S. Gerolamo, deprimere il corpo col digiuno, se lo spirito s’innalza con l’orgoglio? Che lode meriterà il pallore del digiuno sul volto di colui che mostra, il livore dell’invidia? Che virtù è non bere vino e ubriacarsi d’ira e di odio? ». 2° Fate parte del vostro pane al povero (Isai. LVX, 7). Ecco la seconda condizione, che Dio esige nel digiuno perché gli sia gradito. « Il digiuno, dice S. Gregorio, dev’essere condito di pietà e di limosina; bisogna dare al povero quello che si sottrae allo stomaco; si offra del cibo all’affamato, si dia alloggio al pellegrino, si vesta il nudo. Quello che togli a te, donalo ad altri, e quel mezzo con cui affliggi la tua carne serva a ristorare le forze, degli altri ». Santificate il digiuno. « Il nostro digiuno, scrive S. Basilio, se vogliamo che penetri i cieli, abbia due ali, la preghiera cioè e la giustizia. Quello che santifica il digiuno è l’intenzione pura e la preghiera fervente, che devono offrire il digiuno alla Maestà divina ».

 

La strana sindrome di nonno Basilio: 20

 

nonno

Egregio direttore, la saluto cordialmente prima di passare a raccontarle quanto è capitato in questi giorni nella mia famiglia, a lei oramai nota in quasi tutti i componenti, viventi e trapassati, antichi e recenti. Tra questi ultimi si è da poco aggiunta, anche se per motivi pratici di collaborazione con mia moglie, oramai “attempata” e con qualche difficoltà nella gestione di una casa oramai per noi troppo grande e di un marito malandato e malfermo, una signora pacioccona, ben piantata fisicamente, proveniente dall’est europeo, di carattere gradevole e dall’accento con cadenze tra lo slavo ed il napoletano, cosa che la rende più simpatica e spesso comica, quasi teatrale: la simpaticissima Ludmilla, nome che tutti noi affettuosamente abbiamo abbreviato in Mila. Ricordo con certezza che era un sabato, giorno in cui mi piace recitare con Caterina, la mia carissima nipote, il “Piccolo Ufficio della Beata Vergine Maria”, ovviamente, manco a dirglielo, nella forma tradizionale in latino. Caterina è molto attenta a questa recita che lei cerca di effettuare ogni giorno da quando ha indossato lo Scapolare del Carmelo impostole solennemente, così come richiesto dalla Santa Vergine a Fatima per resistere “fortes in fide”  nei tempi presenti (che la cara nipotina sostiene essere di diffusa e profonda apostasia … mah?! Ed ecco che Mila, tra una faccenda e l’altra, ascoltandoci immersi nella preghiera, inizia a dire: “ … la venerazione per la Madre di Gesù Maria Santissima è comune alla nostra religione!”. “È vero – rispondo io prontamente – ma allora perché negate i dogmi della Immacolata Concezione e dell’Assunzione proclamati dalla Chiesa Cattolica?”. Ludmilla non si aspettava questa replica, e sorpresa se ne esce con un: “no saccio mo’ dire questo pobblemo”. “… e allora te lo comincio a spiegare –ribatto-: intanto c’è il motivo solito e cioè che, sebbene gli Ortodossi, dai quali provieni, affermino che Maria sia la Tutta Pura, esente dal peccato attuale, si ostinano a negare che Maria nacque priva del peccato originale, e questo ovviamente solo per evitare di fornire punti d’unione con la Teologia cattolica, la quale non è invenzione di nuovi dogmi, cara Mila, cari lettori e caro direttore (come lei ben sa, naturalmente!), ma approfondimento e chiarimento del deposito della Tradizione apostolica”. Poi mi rivolgo a Caterina, interessata alla questione, e riprendo: “Un altro esempio che riprova paradossalmente, nello stesso ambito ortodosso, la verità dei dogmi cattolici, è che loro stessi credono nella Dormizione di Maria Vergine, con successiva Assunzione al Cielo (dogma che la Chiesa Cattolica ha affermato solennemente solo nel 1950 con il “mio” Papa, l’immenso Pio XII – e qui non posso fare a meno di accendermi di sacro fuoco!) e che gli Ortodossi professano da sempre “senza saperlo”. “Ora, come sarebbe possibile l’Assunzione in Cielo del corpo di Maria –osserva argutamente Caterina- se fosse macchiato dal peccato originale?” . “Giusto, ma i sedicenti Ortodossi rispondono a questo quesito con una dottrina sul peccato originale già condannata dalla Chiesa ben prima del Grande Scisma (e che in teoria dunque loro non dovrebbero accogliere, ma lo fanno comunque, commettendo il grave peccato contro lo Spirito Santo: “impugnare la verità conosciuta”… e da loro stessi già accettata in precedenza). Questa dottrina è nota come semipelagianesimo”. In questo frangente giunge pure Mimmo con il suo amico, Yuri. “E adesso da dove è uscito questo .. semipela…coso … come si dice?”. “Cari ragazzi, vi racconto allora l’evento: quando l’eretico Pelagio, nel IV secolo, affermò che la libertà umana sarebbe di per sé in grado di realizzare la salvezza attraverso un’autonoma decisione di accogliere o non accogliere la Grazia e attraverso la capacità di compiere opere buone; la Chiesa prontamente condannò infallibilmente questa eresia, detta, dal nome del suo fondatore, pelagianesimo, nel Concilio di Efeso (431), e sant’Agostino di Ippona (Santo anche per gli orientali!) emerse come la figura cardine in questa lotta antipelagiana. Successivamente, alcuni teologi marsigliesi elaborarono una nuova dottrina, detta semipelagianesimo, per contrastare quello che a loro avviso era una visione troppo rigida sul peccato originale, spregiativamente chiamata “agostinismo” e che vedevano in Tertulliano e sant’Agostino i principali esponenti. Questi teologi semipelagiani diffusero in Oriente la dottrina secondo la quale Adamo ed Eva commisero sì, il peccato originale, ma i loro discendenti ereditarono solo le conseguenze del peccato e non anche la colpa (la Chiesa invece insegna che l’uomo eredita dai progenitori sia la colpa sia le conseguenze, per questo motivo se uno muore senza valido Battesimo cristiano non può accedere nel regno dei cieli, come anche insegna il Vangelo). Questa dottrina semipelagiana fu condannata infallibilmente nel Concilio di Orange nel 529, (quindi ben prima del Grande Scisma, per cui anche gli Ortodossi la dovrebbero rigettare), eppure continuò ad essere insegnata e creduta presso le chiese orientali. Per queste ragioni, gli Ortodossi, e guardo Yuri di sottecchio, oggi insegnano che la Madonna non è definibile come Immacolata Concezione, in quanto tutti gli uomini vengono concepiti “immacolati”, perché non ereditano la colpa originale ma solo le conseguenze del peccato. La Madonna avrebbe mantenuto semplicemente il naturale stato di innocenza per tutta la propria vita, a differenza degli altri uomini, e quindi considerata degna di essere assunta in cielo dopo la Dormizione. Questa è ovviamente un’eresia assurda, grande quanto il Monte Bianco, che impedisce ulteriormente la già compromessa unità con gli scismatici per gravissimi motivi dottrinali…” . Nella discussione si inserisce ancora Mimmo che accenna, affascinato, al concetto di Theosis (letteralmente “divinizzazione”), concetto che da noi in occidente viene interpretato in modo gnostico e fuorviante rispetto alla Theosis ortodossa. Sono costretto ancora a puntualizzare: “Vedi Mimmo, lo stesso concetto da te enunciato è presente nel Cattolicesimo, se non più approfondito addirittura, dato che è in Occidente che questo concetto è nato, per opera di San Cirillo d’Alessandria e di Sant’Agostino di Ippona, due dottori della Chiesa. Ne parla in maniera eminente anche San Tommaso d’Aquino, e ti ricordo che la teologia tomista ha carattere vincolante”… “ … eh sì altro che Rahner e Ratzinger”-sbotta Caterina- (direttore, ma questi mo’ chi sono … da dove spuntano fuori?). “La theosis –riassumo- non è divinizzazione nel senso che l’Uomo deve divenire uguale a Dio. Questa falsa interpretazione è di matrice gnostica, panteistica, emanatistica, professata dalle conventicole filosofeggianti pseudo-filantropiche adoranti il baphomet, oltre che radice del modernismo, già solo per questo chiaramente luciferino [perciò ampiamente condannato, stroncato da tutti i Papi dalla fine del ‘700 in poi], rifacendosi alla falsa promessa del “serpentone” dell’Eden, allorquando disse: “Mangiate dell’albero della vita e sarete come Dio” “Eritis sicut Dei” (mi sembra di risentire la voce dello zio Tommaso nelle sue omelie …). L’uomo sarà divino nel senso che sarà perfetto in sé, ad opera dello Spirito Santo, solo “dopo” il Giudizio Universale, e questo è un concetto base non solo della teologia ortodossa, ma anche di quella cattolica. Chi afferma il contrario lo fa per ignoranza o perché a servizio del “farfariello” (il nemico, come con disprezzo lo chiamava la cara nonna Margherita). Scrive l’Aquinate, l’Angelo della scuola, come appellato ai miei tempi: “L’Unigenito Figlio di Dio, volendo che noi fossimo partecipi della sua divinità, assunse la nostra natura, affinché, fatto uomo, facesse gli uomini dèi” (Opusculum 57 in festo Corporis Christi, ) . Questo logicamente non significa che noi diverremo parte integrante della Trinità o assumeremo gli attributi perfettissimi di Dio. L’uomo è corrotto dal peccato originale, egli è per il momento incline (ma non in maniera inesorabile) al male, tuttavia la sua vera natura è quella di amare Dio e compiere il bene. Dunque in questo senso il termine divinizzazione è da intendere come “restaurazione della natura primigenia dell’uomo”, natura perfetta e non perfettissima (che ha invece solo Dio) … mi rivolgo di colpo a Yuri e gli chiedo: “Ma tu a quale chiesa orientale appartieni?”. “Ma perché quante chiese ci sono?” chiede Mimmo sbalordito. “Le chiese ortodosse sono acefale, non hanno cioè un’unità, ogni singolo vescovo è un capo a sé stante, autonomo nella sua giurisdizione, e le chiese ortodosse rappresentano chiese nazionali, e non si capisce perché si ostinino a proclamarsi cattoliche, cioè universali, visto che nei fatti sono ristrette ad un ambito geografico circoscritto! Ma la divisione (e la confusione, soprattutto!) c’è anche a livello cristologico, ….. Tu forse non sai, Mimmo, che la Chiesa Cattolica dichiarò solennemente nel Concilio di Calcedonia (451) che in Cristo vi sono due nature, quella umana e quella divina, non mescolate e non rappresentando però in Lui due persone distinte. La gran parte delle chiese ortodosse orientali accetta la definizione di Calcedonia sulla natura di Cristo, ma altre si sono divise ulteriormente e sono dette “non-calcedonesi”. Una di queste è la chiesa difisista, detta anche nestoriana, dal fondatore di questa cristologia eretica: Nestorio, che sosteneva che in Gesù Cristo le due nature, umana e divina, formavano due persone distinte e poneva come conseguenza il fatto che la Santa Vergine Maria non fosse Madre di Dio, ma solo dell’Uomo Gesù. Le chiese monofisiste si oppongono alle chiese ariane (ormai scomparse, Deo gratias!). Mentre le seconde proclamavano unicamente la natura umana di Cristo, le prime ne proclamano unicamente la natura divina. Gesù Cristo – dicono loro – non è vero uomo, ma solo vero Dio. Così facendo, accettarono le eresie di matrice gnostica quale il Docetismo e spianarono la strada ad alcune correnti eretiche successive, quale il Catarismo, e in seguito influenzarono uno dei cardini dell’Islam, con  tanto di matrice gnostica:  sia docetisti che catari, infatti, sostenendo unicamente la divinità di Cristo, affermavano anche che Egli non poteva soffrire, né avere un genere sessuale proprio, né morire, e quindi la morte in croce fu solo apparente, né ovviamente avere Maria per Madre, in quanto Gesù è solo vero Dio, essendo generato direttamente dal Padre e Maria fu solo il mezzo per manifestare il Verbo al mondo, ma in alcun modo concorse alla procreazione del Corpo. Le chiese monofisite sostengono che la natura di Cristo è solo una, dovuta al mescolamento di quella umana e quella divina. Divinità e umanità, dunque, in Gesù Cristo sono confuse, non nettamente distinte, come invece sostiene il Concilio di Calcedonia. Costituiscono queste alcune delle chiese ortodossi più influenti, come quella copta, quella etiopica e quella armena. Che guazzabuglio, … Yuri, cerca di tornare alla vera fede, quella proclamata anche dai tuoi antenati!” Ma è giunta l’ora della “pappa” e mettiamo da parte allora i guazzabugli mentali che confondono coloro che credono di essere Cattolici, come Mimmo ed il suo “presunto” parroco, oramai facente parte anche lui, poverino – dice Caterina – della “spelonca latronum” insediata come “sinagoga di satana” nella Chiesa di Cristo, e che cerca la verità nel dialogo con confusi, schizofrenici, dementi e allucinati, atei strampalati e chi più ne ha più ne metta! … ma che vorrà dire direttore?! … Questi non mi fanno capire più nulla, mi aiuti la prego, mi aiuti! … adesso ci mancavano solo le collaboratrici domestiche e gli idraulici dell’est ad alimentare la “bagarre”, ed a confondermi ancor più … “salvum me fac, Domine, non confundar…” ! La saluto caramente. Mi rifarò vivo appena mi riprenderò … Suo, nonno Basilio e famiglia.

Rinnovazione delle Promesse fatte al Battesimo

Rinnovazione delle Promesse fatte al Battesimo

[Da: la via del paradiso, 3^ed. Siena 1823]

Da recitarsi nel giorno anniversario della nostra nascita e nelle maggiori Solennità, particolarmente il dì dell’Epifania del Signore, col simbolo degli Apostoli e con gli Atti Cristiani.

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Ecco o mio DIO, il Figliuol prodigo, il quale, dopo aver fatto nel Sacro Battesimo una professione solenne di rinunziare al demonio, alle sue pompe, alle sue opere, di non vivere più secondo le inclinazioni dell’uomo antico, e di seguire inviolabilmente le massime di Gesù-Cristo per grazia, e fatto tempio vivo del Santo Spirito, ha dissipato questi beni preziosi, ed ha perduto queste gloriose distinzioni per le sue colpe.

Ah! Mio Padre e mio DIO, ho peccato contro di Voi, ho offeso Voi, violando i miei voti con uno spergiuro orribile, e la mia professione cristiana con una vergognosa apostasia. No, non sono più degno d’esser chiamato vostro figliuolo. Ma pure eccomi alla vostra presenza per chiederVi perdono, e per darVi soddisfazioni per tutti i peccati commessi dopo il Battesimo, e perché voglio in avvenire vivere unicamente per Voi: approvo e ratifico tutte le promesse che furono fatte in mio nome nell’atto del mio Battesimo. Rinunzio nuovamente al demonio, vale a dire alle leggi e alle massime corrotte del mondo, di cui egli è il principe. Rinunzio alle sue pompe, cioè al falso splendore degli onori, ed alle lusinghe de’ piaceri. Rinunzio ugualmente alle sue opere, che sono i vizi ed i peccati, e rinunzio generalmente a tutte le inclinazioni del primo uomo.

Protesto e prometto solennemente, quando a Voi piacerà prolungare i miei giorni, di vivere sempre nella pratica ed osservanza delle Sante Regole Evangeliche, e di operare secondo gli esempi e nello spirito di Gesù-Cristo, che è spirito di umiltà, che fugge gli onori, spirito di povertà, che distacca il cuore dall’effetto delle ricchezze; spirito di penitenza, che tiene la carne soggetta colla mortificazione dei sensi.

Mi rammenterò nel breve tempo che ancora mi resta da vivere, che il Sacerdote, nelle sacre cerimonie del mio Battesimo, tre volte soffiò verso di me per discacciarne il demonio, e che il Santo Spirito, il quale è rappresentato da questo soffio, vi subentrò per essere l’anima di tutte le mie azioni, e per farmi vivere della vita di Gesù Cristo.

Mi rammenterò che io sono stato immerso e come sepolto nel sacro Fonte e nelle acque battesimali, per farmi conoscere ch’io debbo essere morto a tutte le inclinazioni del peccato, e ch’io fui sepolto con Gesù Cristo in questo Sacramento, per resuscitare con Lui alla nuova vita della grazia.

Mi rammenterò che quella unzione del Sacro Crisma, la quale mi fu fatta sulla fronte, significa che, essendo io divenuto mediante il Battesimo, membro di un corpo di cui Gesù Cristo è il Capo, spero aver parte all’unzione della sua grazia ed ai lumi del suo Spirito.

Mi rammenterò che mi fu imposta quella sacra fascia che suol darsi in vece della candida veste, la quale davasi nei primi tempi ai novelli battezzati, per far loro comprendere che avevano contratto l’obbligazione di menare una vita senza macchia, come convienesi a quei che hanno l’onore d’essere i pretendenti alla vita eterna, “candidati aeternitatis”.

Finalmente non dimenticherò giammai che mi fu posta in mano una candela accesa per indicare le tre virtù principali, cioè la Fede, la Speranza e la Carità, le quali debbono in me risplendere colle buone opere ed i santi esempi.

Mio DIO, la grazia del mio Battesimo è l’opera vostra. “Domine, opus tuum in medio annorum vivifica illud”. Rinnovatela in me, Ve ne supplico, perché Vi è facile il farlo in ogni età. Riparatene le rovine cagionate da’ miei peccati colla vostra misericordia, e conservatemi a Voi più fedele in avvenire, e perseverante nelle obbligazioni e nei voti contratti al mio Battesimo per i meriti di Gesù Cristo Signore Nostro. Così sia.

La SANTISSIMA TRINITA’

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ss. TRINITA’

[Da: “Sermones” di S. Antonio di Padova]

   In questo brano evangelico viene espressamente proclamata la fede nella Santa Trinità. Dal Padre e dal Figlio viene mandato lo Spirito Santo: queste tre divine Persone sono una sola sostanza e perfette nell’uguaglianza. Unità nell’essenza e pluralità nelle Persone. Il Signore rivela chiaramente l’Unità della divina sostanza e la Trinità delle Persone, quando dice: “Andate e battezzate tutte le genti, nel nome Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” (cf. Mt XXVIII.19). Dice appunto «nel nome», e non «nei nomi», per indicare l’unità della sostanza. E con i tre nomi che aggiunge, indica che sono «Tre Persone».

Nella Trinità è il principio ultimo di tutte le cose, la bellezza perfettissima e la suprema beatitudine. Per «principio ultimo», come dimostra Agostino nella sua opera “La vera religione”, s’intende Dio Padre, dal Quale sono tutte le cose, dal Quale sono il Figlio e lo Spirito Santo. Per «bellezza perfettissima» si intende il Figlio, cioè la verità del Padre, per nulla diverso da Lui; bellezza che con lo stesso Padre e nello stesso Padre adoriamo, che è forma di tutte le cose, da un solo DIO create e a un solo DIO ordinate. Per «suprema beatitudine» e «somma bontà» s’intende lo Spirito Santo, che è dono del Padre e del Figlio; dono che noi dobbiamo adorare e credere immutabile insieme con il Padre e il Figlio.

In riferimento alle cose create, intendiamo la Trinità in una sola sostanza, vale a dire un solo Dio Padre dal Quale proveniamo, un unico Figlio per mezzo del quale esistiamo, e un solo Spirito nel quale viviamo; vale a dire: il principio al Quale ci riferiamo, la forma, il modello al quale tendiamo e la grazia con la quale veniamo riconciliati. E affinché la nostra mente si innalzi alla contemplazione del Creatore, e creda senza ombra di dubbio all’Unità nella Trinità e alla Trinità nell’Unità, consideriamo quale impronta della Trinità ci sia nella mente stessa. Dice Agostino nell’opera “La Trinità: «Benché la mente umana non sia della stessa natura di Dio, dobbiamo tuttavia cercare e trovare la sua immagine – della quale nulla di meglio esiste – in ciò che di meglio c’è nella nostra natura, vale a dire nella mente. La mente si ricorda di se stessa, comprende se stessa e ama se stessa. Se riconosciamo questo, riconosciamo anche la Trinità: non certo DIO, ma l’immagine di DIO. Qui infatti compare una certa trinità: della memoria, dell’intelligenza e dell’amore o della volontà. Queste tre facoltà non sono tre vite, ma una sola vita; né tre menti, ma una sola mente; non tre sostanze, ma una sola sostanza. Memoria vuol dire relazione a qualche cosa; intelligenza e volontà, o amore, indicano pure relazione a qualche cosa; la vita invece è in se stessa e mente e sostanza. Quindi, queste tre facoltà sono una sola cosa, in quanto sono una sola vita, una sola mente e una sola sostanza.

Queste tre facoltà, pur essendo distinte tra loro, sono dette una cosa sola, perché esistono sostanzialmente nello spirito. E la mente stessa è quasi la genitrice, e la sua cognizione è quasi la sua prole. La mente infatti, quando riconosce se stessa, genera la conoscenza di sé ed è essa sola la genitrice della sua conoscenza. Terzo viene l’amore, che procede dalla mente stessa e dalla sua conoscenza, quando la mente, conoscendo se stessa, si ama: non potrebbe infatti amare se stessa se non conoscesse se stessa. E ama anche la prole in cui si compiace cioè la conoscenza di sé: e così l’amore è una specie di legame tra genitrice e prole. Ecco quindi che in queste tre parole – memoria, intelligenza e amore – compare una certa impronta della Trinità. (VI dom. dopo Pasqua)

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   Come il Figlio è dal Padre, e da entrambi è lo Spirito Santo, così l’intelletto è la volontà, e da entrambi la memoria: e senza queste tre facoltà l’anima non può essere completa, perfetta; e per quanto riguarda l’eterna felicità, uno solo di questi doni, senza gli altri non è sufficiente. E come DIO Padre, DIO Figlio e DIO Spirito Santo non sono tre dei ma sono un solo DIO in tre Persone, così anche l’anima intelletto, l’anima volontà e l’anima memoria non sono tre anime, ma un’anima sola, che ha tre potenze, nelle quali presenta in modo meraviglioso l’immagine di DIO. E con queste tre facoltà, in quanto sono le facoltà superiori, ci è comandato di amare il Creatore, affinché ciò che si comprende e si ama, sia anche sempre nella memoria. E per DIO non basta l’intelletto, se all’amore verso di Lui non partecipa anche la volontà; e neppure l’intelletto e la volontà sono sufficienti, se non si aggiunge la memoria, per mezzo della quale DIO è sempre presente a chi Lo intende e Lo ama. E poiché non c’è istante nel quale l’uomo non fruisca o non abbia bisogno della bontà di DIO, così DIO dev’essere sempre presente nella sua memoria. (Dom. XXIII dopo Pent.).

 

(da S. Fulgenzio vesc.):

Per hanc unitatem naturalem totus Pater in Filio, et Spiritu Sancto est, totus Filius in Patre, et Spiritu Sancto est, totus quoque Spiritus Sanctus in Patre, et Filio. Nullus horum extra quemlibet ipsorum est: quia nemo alium aut praecedit aeternitate, aut excedit magnitudine, aut superat potestate: quia nec Filio, nec Spiritu Sancto, quantum ad naturae divinae unitatem pertinet, aut anterior, aut maior Pater est: nec Filii aeternitas, atque immensitas, velut anterior, aut maior, Spiritus Sancti immensitatem aeternitatemque aut praecedere, aut excedere naturaliter potest.

[Per questa unità di natura il Padre è tutto nel Figlio e nello Spirito Santo, il Figlio tutto nel Padre e nello Spirito Santo, e lo Spirito Santo tutto nel Padre e nel Figlio. Nessuno di essi sussiste separatamente fuori degli altri due: perché nessuno precede gli altri nell’eternità, o li supera in grandezza, o li sorpassa in potere: poiché il Padre, per quanto riguarda l’unità della sua natura divina, non è né anteriore né maggiore del Figlio e dello Spirito Santo; né l’eternità o immensità del Figlio può, quasi anteriore o maggiore, per necessità della natura divina precedere o sorpassare l’immensità e l’eternità dello Spirito Santo.]

 

Ecco la vera fede cattolica:

Sant_Atanasio

Symbolum Athanasium

Quicúmque vult salvus esse, * ante ómnia opus est, ut téneat cathólicam fidem: Quam nisi quisque íntegram inviolatámque serváverit, * absque dúbio in ætérnum períbit. Fides autem cathólica hæc est: * ut unum Deum in Trinitáte, et Trinitátem in unitáte venerémur. Neque confundéntes persónas, * neque substántiam separántes. Alia est enim persóna Patris, ália Fílii, * ália Spíritus Sancti: Sed Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti una est divínitas, * æquális glória, coætérna maiéstas. Qualis Pater, talis Fílius, * talis Spíritus Sanctus. Increátus Pater, increátus Fílius, * increátus Spíritus Sanctus. Imménsus Pater, imménsus Fílius, * imménsus Spíritus Sanctus. Ætérnus Pater, ætérnus Fílius, * ætérnus Spíritus Sanctus. Et tamen non tres ætérni, * sed unus ætérnus. Sicut non tres increáti, nec tres imménsi, * sed unus increátus, et unus imménsus. Simíliter omnípotens Pater, omnípotens Fílius, * omnípotens Spíritus Sanctus. Et tamen non tres omnipoténtes, * sed unus omnípotens. Ita Deus Pater, Deus Fílius, * Deus Spíritus Sanctus. Ut tamen non tres Dii, * sed unus est Deus. Ita Dóminus Pater, Dóminus Fílius, * Dóminus Spíritus Sanctus. Et tamen non tres Dómini, * sed unus est Dóminus. Quia, sicut singillátim unamquámque persónam Deum ac Dóminum confitéri christiána veritáte compéllimur: * ita tres Deos aut Dóminos dícere cathólica religióne prohibémur. Pater a nullo est factus: * nec creátus, nec génitus. Fílius a Patre solo est: * non factus, nec creátus, sed génitus. Spíritus Sanctus a Patre et Fílio: * non factus, nec creátus, nec génitus, sed procédens. Unus ergo Pater, non tres Patres: unus Fílius, non tres Fílii: * unus Spíritus Sanctus, non tres Spíritus Sancti. Et in hac Trinitáte nihil prius aut postérius, nihil maius aut minus: * sed totæ tres persónæ coætérnæ sibi sunt et coæquáles. Ita ut per ómnia, sicut iam supra dictum est, * et únitas in Trinitáte, et Trínitas in unitáte veneránda sit. Qui vult ergo salvus esse, * ita de Trinitáte séntiat. Sed necessárium est ad ætérnam salútem, * ut Incarnatiónem quoque Dómini nostri Iesu Christi fidéliter credat. Est ergo fides recta ut credámus et confiteámur, * quia Dóminus noster Iesus Christus, Dei Fílius, Deus et homo est. Deus est ex substántia Patris ante sǽcula génitus: * et homo est ex substántia matris in sǽculo natus. Perféctus Deus, perféctus homo: * ex ánima rationáli et humána carne subsístens. Æquális Patri secúndum divinitátem: * minor Patre secúndum humanitátem. Qui licet Deus sit et homo, * non duo tamen, sed unus est Christus. Unus autem non conversióne divinitátis in carnem, * sed assumptióne humanitátis in Deum. Unus omníno, non confusióne substántiæ, * sed unitáte persónæ. Nam sicut ánima rationális et caro unus est homo: * ita Deus et homo unus est Christus. Qui passus est pro salúte nostra: descéndit ad ínferos: * tértia die resurréxit a mórtuis. Ascéndit ad cælos, sedet ad déxteram Dei Patris omnipoténtis: * inde ventúrus est iudicáre vivos et mórtuos. Ad cuius advéntum omnes hómines resúrgere habent cum corpóribus suis; * et redditúri sunt de factis própriis ratiónem. Et qui bona egérunt, ibunt in vitam ætérnam: * qui vero mala, in ignem ætérnum. Hæc est fides cathólica, * quam nisi quisque fidéliter firmitérque credíderit, salvus esse non póterit. V. Glória Patri, et Fílio, * et Spirítui Sancto. R. Sicut erat in princípio, et nunc, et semper, * et in sǽcula sæculórum. Amen. Ant. Gloria tibi Trinitas * aequalis, una Deitas, et ante omnia saecula, et nunc et in perpetuum.

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La Santa Chiesa Cattolica, l’unica vera Chiesa fondata da Gesù Cristo, nella quale unicamente c’è salvezza eterna, crede, professa, venera ed adora la Santissima Trinità, e non è da considerarsi alla stregua delle false cosiddette “religioni monoteiste”. Il monoteismo ebraico-talmudico, il monoteismo islamico, il monoteismo massonico, il monoteismo deistico filosofico, non hanno che un unico e medesimo principio: il baphomet – prometeo – lucifero, in totale antitesi al Trinitarismo e all’Incarnazione redentiva di Gesù-Cristo, il Quale è presente nel suo Vicario sulla terra: il “Flos Florum” succeduto al “Pastor et Nauta”, Gregorio!

Pertanto il “vero” cattolico proclama con il Re-Profeta: “Benedíctus Dóminus, Deus Israël, qui facit mirabília solus: Et benedíctum nomen maiestátis eius in ætérnum: et replébitur maiestáte eius omnis terra: fiat, fiat.” [Ps. LXXII:20] – “Quóniam hic est Deus, Deus noster in ætérnum et in sǽculum sǽculi: ipse reget nos in sǽcula. Glória Patri, et Fílio, et Spirítui Sancto”. (Ps. XLVII: 13) –  “ Magnus Dóminus, et laudábilis nimis: * terríbilis est super omnes deos. Quóniam omnes dii géntium dæmónia: * Dóminus autem cælos fecit”. (Ps. XCV: 5)

Omelia della Domenica I dopo Pentecoste

Omelia della Domenica I dopo Pentecoste

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. II -1851-]

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-Giudizi temerari-

“Siate imitatori, dice a tutti noi nell’odierno Vangelo il divino Salvatore, siate imitatori della misericordia del vostro Padre celeste, con esser misericordiosi ancor voi”. Per essere tali, astenetevi dal giudicare i vostri fratelli con giudizio e non sarete giudicati, non condannate e non sarete condannati: “Nolite iudicare, et non iudicabimini, nolite condemnare, et non condemnabimini”. Se un cieco guida un altro cieco, cadono ambedue nella fossa. La vostra volontà è una potenza cieca, la sua guida è l’intelletto. L’intelletto che non può conoscere il pensiero, l’intenzione dell’altrui mente, né l’interno del cuore altrui, anch’esso in questa parte è cieco. Se egli dunque si porti a formar sinistro giudizio de’ prossimi suoi, un cieco guiderà l’altro cieco, e cadranno entrambi in colpe di temerari giudizi e d’ingiuste condanne. “Numquid potest caecus caecum ducere? Nonne ambo in foveam cadunt?” E poi con che coraggio scoprite negli occhi altrui una tenua festuca e non vi accorgete della grossa trave che sta negli occhi vostri? Ipocriti, il vostro zelo è una ingiustizia. Togliete prima da’ vostri la trave, e penserete poi a togliere la pagliucola dall’occhio del vostro fratello. Ecco con quali energiche forme si esprime contro i giudizi temerari il nostro legislatore Cristo Gesù. A secondare i suoi divini comandi, i suoi amorevoli avvisi, diretti a preservarci da tanto male, io passo ancor più a dimostrarvi quanto sono fallaci, quanto sono ingiusti i giudizi degli uomini che temerari ardiscono erigersi in giudici degli altri uomini. La grazia di Dio e la vostra attenzione, o signori, renda profittevole la presente spiegazione.

I . “Mendaces filii hominum in stateris”. Bugiardi, dice il re Profeta, sono i figliuoli degli uomini nelle loro bilance. Queste bilance sono i giudizi che l’uomo fa de’ suoi simili. Chi adopra queste bilance non è per l’ordinario la giustizia e la ragione, ma o un genio naturale o una viziosa passione. Il genio è un cristallo che fa vedere tutti gli oggetti tinti dello stesso colore. La passione è un peso che prepondera ad ogni buon senso, è un fumo che offusca la mente, è una benda che toglie la vista. Agli occhi di Gionata Davidde, perché amico, è un oggetto di amore, agli occhi di Saullo, perchè lo teme suo successore nel regno, è un oggetto d’invidia e d’odio mortale. Giuditta, che tutta spirante pompa e bellezza si porta al campo Assiro, desta in Ozia principe di Betulia stima, ammirazione e rispetto: eccita per 1’opposto in Oloferne pensieri e sentimenti oltraggiosi alla di lei onestà. Tanto è vero che la disposizione dell’animo è la molla che agisce sui nostri concetti, e dà movimento ed impulso ai nostri giudizi. Ond’è che dall’altrui genio, e dall’altrui passione dipende il giudizio che si forma in noi. “Ex alienis affectibus iudicamur(D. Anton. Ep.). Così la ragion persuade, così mostra 1′ esperienza. Guidato dunque da queste scorte ingannevoli, non può essere se non fallace il giudizio degli uomini.

Fallaci sono altresì gli umani giudizi, perché per lo più fondati sull’apparenza; perciò Gesù ci proibisce il giudicare secondo l’esteriore aspetto delle cose che si appresentano al nostro sguardo o alla nostra mente, “nolite judicare secundum faciem(Jo. VII, 24). Chi avesse veduto il giovane Giuseppe fuggir dalla stanza della sua padrona, che col di lui mantello fra le mani gridava forte, tacciandolo di tentatore, l’avrebbe creduto colpevole, e si sarebbe ingannato. Chi avesse veduto Abramo alzar la spada in atto di uccidere l’innocente suo figlio, “padre crudele” avrebbe gridato tra sdegno e pietà, padre crudele! … e si sarebbe ingannato. E non si ingannò Eli credendo Anna, madre del Profeta Samuele, ebbra, agitata dal vino, perché pregava con affannoso trasporto e straordinario fervore? E non s’ingannarono gl’isolani di Malta nel riputare S. Paolo uomo malvagio, perseguitato dall’ira di Dio in terra ed in mare, perché appena salvato dal naufragio lo videro morsicato da vipera velenosa? L’apparenza dunque non è regola di buon giudizio, ella anzi è la via dell’inganno. Lo disse anche un gentile, “decipimur specie recti(Horat.).

Se dunque, io dico a voi, l’apparenza è un’ingannatrice, se non vorreste che altri formassero giudizio di voi dalla sola apparenza perché vi fate lecito per leggieri indizi dar corpo all’ombre, ammetter dubbi, fomentar sospetti, precipitar giudizi? Perché un saluto di convenienza, un sorriso d’urbanità stimarlo un segno di turpe amicizia? Perché la nuova veste di quella figlia che sarà frutto de’ suoi lavori, o risparmio del suo sostentamento, la credete regalo di qualche seduttore ? Perché la pallidezza di quell’altra v’ingerisce sospetti ingiuriosi alla sua onestà? Perché coloro che coll’industria e col sudore si avanzano in acquisti ed in possessi, li giudicate ladri od usurai? Se non fate senno, se non cangiate costume, arriverà a voi ciò che si legge de’ Moabiti. Il sole appena alzato all’orizzonte co’ rossicci vapori coloriva l’acque stagnanti nel campo de’ collegati col re d’Israele. Quel rosseggiante riverbero lo credettero sangue uscito dalle ferite de’ loro nemici trucidati tra di loro; perciò ingannati si avvicinano al campo per rapirne le spoglie. Si avvidero dell’errore, ma troppo tardi, onde restarono vittime del proprio inganno, e pagarono col sangue vero un sangue apparente. Giudici per mere apparenze, i vostri giudizi sanguinosi dell’onore, della condotta, della fama de’ vostri fratelli ricadranno sopra di voi. Giudicate? Sarete giudicati. Condannate? sarete condannati!

II. Né solamente sono fallaci gli umani giudizi perché basati sull’apparenza, ma ingiusti, perché mancanti d’autorità. Chi siete voi, v’interroga l’apostolo, che vi arrogate l’autorità di giudicare il vostro fratello? “Tu quis es, qui judicas fratrem tuum?(Ad. Rom. XIV). Siete voi superiori, maestri, padri di famiglia? Se tali siete, dovete credere che quei vostri figli, quei vostri discepoli sieno morigerati, che vostra figlia sia cauta, sia costumata; ma per regola di buon governo invigilate su’ loro andamenti, indagando, informandovi, con chi trattano, con chi si accompagnano, non vi fidate, temete, il cuor sempre vi batta su la loro condotta. Fuor di questo grado di superiorità, che vi autorizza ad ammetter dubbi e ragionevoli sospetti per impedire il male de’ vostri sudditi, non vi è permesso formar giudizi de’ vostri eguali. A Dio soltanto supremo padrone delle sue creature, a Dio scrutatore dei cuori, cui nulla può esser celato, a Dio appartiene il giudicare di noi. Io, dic’Egli, sono il giudice e il testimonio di tutte le vostre azioni. “Ego sum iudex et testis, dicit Dominus” (Sem. XXIX, 23). Ella è dunque un’intollerabile temerità che l’uomo si usurpi quel che a Dio solo compete.

Ingiusti sono altresì i nostri giudizi, perché formati senza cognizione di causa. Sapeva il sommo Iddio il peccato de’ nostri progenitori, ciò non di meno per nostra istruzione istituisce una forma di giudizio. Chiama a sé Adamo, interroga Eva, domanda il perché hanno trasgredito il suo precetto. Più: l’infame delitto di Sodoma, oltre la scandalosa pubblicità ne’ suoi contorni, era, secondo l’espressione del sacro Testo, salito fino al cielo a provocare la divina vendetta; pure, prima di venire alla condanna udite come Dio parlò: “discenderò dall’alto: ed in persona mi porterò sul luogo a vedere e a riconoscere di presenza il corpo di quel nefando misfatto. “Descendam, et videbo utrum clamorem, qui venit ad me, opere compleverint (Gen. XVIII, 21). Aveva forse bisogno il Signore di una informazione locale a foggia umana? Tutto ciò sta così espresso per dare a noi lezione ed avviso; a noi che al primo indizio, ad una semplice ombra, subito fabbrichiamo sospetti e giudizi sul dorso de’ nostri prossimi, e con tutta franchezza si taglia, si decide, si pronunzia prepotente quel ricco, usuraio quel mercante, sedotta quella figlia, infedele quella maritata, ipocrita quel divoto, ingiusto quel giudice, bugiardo quel povero uomo, strega quella povera vecchia.

Eh mio Dio! Sapete donde derivano siffatti giudizi che uccidono la carità e la giustizia? Dal cuore hanno la loro sorgente, e partono dal cuore, “de corde exeunt”, dice Gesù Cristo, “de corde exeunt cogitationes malae” (Matt. XV, 19). Un cuor maligno, un cuore infetto manda queste nere esalazioni alla mente, e i mali pensieri si accordano colle cattive affezioni del cuore. Datemi un cuor retto, in un cuor retto abita la carità, e la carità non ammette pensieri malvagi, charitas non cogitat malum (1 Ad Cor., XIII). Retto, rettissimo era il cuore di S. Giuseppe, e benché avesse sott’occhio la pregnezza della sua sposa, ben lontano dal concepirne sinistra idea, l’ammirava come uno specchio della più illibata onestà, e voleva ritirarsi per lasciarne a Dio il pensiero. Retto era il cuore di Valentiniano imperatore, che al riferir di S. Ambrogio, non sapeva pensar male de’ suoi sudditi, tuttoché delinquenti. Se giovani attribuiva la colpa all’ardor del sangue in quell’inesperta età, se vecchi, alla debolezza della mente, se poveri, alla necessità e alla miseria, se ricchi, alla forza della tentazione. In somma separava sempre l’intenzione dall’azion cattiva, e volea più tosto ingannarsi col pensar bene, che far violenza al suo cuore pensando male. Così è un cuor ben fatto, un cuor innocente sarà la vittima dell’altrui malizia, piuttosto che pensar male dell’altrui condotta.

Tutto l’opposto per chi ha in seno un cuor mal affetto: per la rea sua disposizione vede colla fantasia quel che non si presenta alla vista, tutto interpreta in senso obliquo, studia, macchina sull’altrui conto, esamina, critica parole, azioni, costumi senza eccezion di persone, cerca il nodo nel giunco, e trova il suo gusto in pascersi di dubbi immaginari, idee chimeriche, d’aerei supposti, di temerari sospetti, di sinistri giudizi. Che occupazione pessima è questa mai! Quanto di danno all’anima, quanto d’ingiuria al prossimo, quanto di offesa a Dio!

Miei dilettissimi questi disordini son troppo contrari alla virtù non solo e alla divina legge, ma alla ragione pur anche ed al buon senso. Volete evitarli? Togliete dall’occhio vostro la trave, togliete cioè dal vostro animo la passione, la malignità, l’avversione, l’invidia che fan vedere negli occhi altrui le festuche, e le fan comparire legnami da fabbriche. Non giudicate dall’apparenza. La Maddalena appariva a Simone il lebbroso tuttavia peccatrice, ed era già giustificata e santa. Non giudicate sugli altrui rapporti quasi sempre falsi e calunniosi. Per questi la casta Susanna, creduta colpevole, fu prossima ad essere lapidata, se Dio pel profeta Daniele non avesse difesa la sua innocenza. Non giudicate in modo veruno, perché ignorando l’intenzione dell’operante, non potete avere cognizione di causa, né pur la Chiesa dell’interno. Non giudicate perché non avete autorità; a Dio solo spetta il giudizio, e non a voi. Il giudizio che farete del vostro prossimo formerà il processo del giudizio vostro al tribunale di Cristo giudice. La stessa misura che adopererete per gli altri, sarà quella con cui sarete voi misurati. “Eadem quippe mensura, qua mensi fueritis, remitietur vobis”. Non giudicate, miei cari, e non sarete giudicati, “nolite iudicare et non iudicabimini”: non condannate, e non sarete condannati, “nolite condemnare, et non condemnabimini ”.

Missione dello Spirito Santo.

Missione dello Spirito Santo

[mons. J.J.Gaume: “Trattato dello Spirito Santo”. Firenze-1887-]

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     Per quanto lo permettano le oscurità della presente vita, noi conosciamo lo Spirito Santo in sé medesimo. Esso è la terza Persona della SS. Trinità. Egli è Dio come il Padre ed il Figliuolo. Ei procede dall’uno e dall’altro mediante una sola spirazione e come da un solo e medesimo Principio, senza che per ciò vi sia né posterità, né priorità, né ineguaglianza qualsiasi tra Colui che procede e quelli da’ quali egli procede. Esso è il fondatore e il Re della Città del bene. Sotto i suoi ordini diretti sono poste tutte le schiere angeliche, notte e giorno dappertutto, per proteggere nelle quattro parti del mondo, i fratelli del Verbo incarnato contro gli assalti delle legioni infernali. Amore consustanziale del Padre e del Figliuolo, a Lui si attribuisce per appropriazione di linguaggio, l’opera per eccellenza dell’adorabile Trinità. Qual’è quest’opera? La creazione? No! La Redenzione? No!. Qual’è dunque? La santificazione e la glorificazione; il Padre crea, il Figliuolo riscatta, lo Spirito Santo santifica; il Padre fa degli uomini, il Figliuolo dei Cristiani, lo Spirito Santo dei Santi e dei beati. L’opera dello Spirito Santo è dunque più sublime di quella del Padre e del Figliuolo, poiché essa è il compimento e dell’una e dell’altra. [“Haec est enim voluntas Dei sanctifìcatio vestra”. I Thess., IV, 3.]

Che quest’opera suprema appartenga allo Spirito Santo, la prova è chiara. È Esso che forma Maria, la Madre del Redentore e, nel seno verginale di Maria, il Redentore medesimo. Esso che Lo dirige, che Lo ispira, che Gli dà incarico di fare miracoli e che Lo glorifica: “Ille me glorificabit”. Come prolungamento di quest’opera di universale santificazione, è Esso che forma la Chiesa, Madre del cristiano, e nel seno verginale della Chiesa, lo stesso cristiano, fratello del Verbo incarnato. Esso che lo dirige, che lo ispira, che lo innalza a poco a poco alla santificazione, e dalla santificazione alla gloria. [“Verbum caro factum habuit a Spiritu sancto, qui totum hoc unionis hominis cum Deo opus in Christo peregit, eumque ita sanctificavit, ut illi virtutem dederit omnes homines sanctifìcandi“. In Epist. Ad Rom c. I, 4.]. Questa grande opera, magnifica sintesi di tutte le opere del Padre e del Figliuolo, non poteva rimanere isolata nelle inaccessibili regioni dell’eternità. Che anzi, doveva essa diventare palpabile e compiersi nel tempo. Per compierla, lo Spirito Santo ha dunque avuto una missione. Prima di andare più oltre fa d’uopo spiegare questa parola tanto spesso pronunziata e tanto poco intesa. Allorché essa parla delle divine Persone, la Teologia cattolica intende per missione: “La eterna destinazione di una persona della Trinità al compimento di un opera del tempo: destinazione che le è data dalla Persona da cui essa procede” [“Missio est unius personae a persona ex qua procedit destinatio ad aliquem effectum temporalem”. Vid. S. Th., i p., q. 43, art. 2, ad 2. — Vitass., De Triniti q. 8, art. 5.]. Fin da “ab eterno” era deciso che il Verbo si farebbe uomo e verrebbe nel mondo per salvarlo [“Non enim misit Deus Filium suum in mundum, ut sudice mundum, sed ut salvetur mundus per ipsum”. Joan., III, 17.]: ecco la sua missione. Fin da “ab eterno” era deciso che lo Spirito Santo verrebbe nel mondo per santificarlo: ecco la sua missione!

Parimente nelle Persone divine, vi sono tante missioni divine quante sono processioni. Il Padre non ha missione, perché Egli non procede da nessuno. Il Figliuolo riceve la sua missione dal Padre solo, perché non procede che da Lui. [“Qui misit me Pater“. Joan VIII, 16. — “Misit Deus Filium suum“. Gal., IV, 4.]. Lo Spirito Santo riceve la sua missione dal Padre e dal Figliuolo, perché Egli procede dall’uno e dall’altro. [“Cum autem venerit Paracletus, quem ego mittam vobis a Patre”. Joan., XV, 26].  Ascoltiamo sant’Agostino: « Il Figliuolo, dice, è mandato dal Padre, perché è apparso nella carne, e non il Padre. Vediamo altresì che lo Spirito Santo è stato mandato dal Figliuolo: “Quando Io me n’anderò, Io ve lo manderò”; e dal Padre: Il Padre ve Lo manderà in mio nome. Con ciò, vedesi chiaro che il Padre senza il Figliuolo, né il Figliuolo senza il Padre non ha mandato lo Spirito Santo; ma ha ricevuto la sua missione dall’uno e dall’ altro. Del Padre solo non si legge in nessun luogo che sia stato mandato. E la ragione è che Egli non è né generato, né procedente da nessuno. Infatti, non è né la luce, né il calore che manda il fuoco; ma è il fuoco che manda il calore e la luce. » [Contra Serm. Arian., c. IV, n. 4, opp. t. VIII, p. 964].

Ammiriamo per un po’ la profonda giustezza del divino linguaggio. Allorché egli annunziava lo Spirito Santo ai suoi Apostoli, il Verbo incarnato dice: « Egli mi glorificherà, imperocché Egli prenderà del mio e ve l’annunzierà. Tutto ciò che appartiene a mio Padre è mio. Ecco perché ho detto: Egli prenderà del mio e ve l’annunzierà. » [Joan. XVI, 14, 15]. Non dice, prenderà di me, perché sarebbe dire in qualche maniera, ch’Egli sarebbe il solo principio dello Spirito Santo, e che lo Spirito Santo procede dal Figliuolo, come il Figliuolo procede dal Padre, vale a dire da Lui solo. Ma non è cosi. Per questo Egli dice: Egli piglierà del mio, e non “di me”. Imperocché, ancorché Egli prenda da Lui, non prende di Lui tranne ciò che Egli medesimo ha preso dal Padre. Di guisa che la missione dello Spirito Santo viene insieme e dal Figliuolo e dal Padre, dal quale il Figliuolo stesso ha tutto ricevuto. Del resto, non bisogna credere che la missione implichi una inferiorità qualunque in colui che la riceve, relativamente a colui che la dà. La missione non denota molto meno una inferiorità, quanto la stessa processione di cui è la conseguenza: l’Angelo della scuola dice con ragione: « Nelle persone divine, la missione è senza separazione, senza divisione della natura divina che è una, e la medesima nel Padre e nel Figliuolo e nello Spirito Santo; essa non indica dunque che una semplice distinzione d’origine. » [“Talis missio est sine separatione, sed habet solam distinctionem originis“, I p., q. 48, art. 1, ad 4]. Cosi, per adoperare un paragone imperfetto, il raggio è mandato dal centro, e il fiore dalla pianta, senza esserne separato, e conservando la natura dell’uno e dell’altro. Completiamo queste nozioni fondamentali, aggiungendo che vi sono due sorta di missioni per il Figliuolo e per lo Spirito Santo: una visibile e l’altra invisibile.  Per il Figliuolo, la missione visibile fu l’Incarnazione: per lo Spirito Santo: la sua comparsa al battesimo di Nostro Signore, sul Thabor, e il giorno della Pentecoste.

Per il Figliuolo, la missione invisibile ha luogo tutte le volte che Egli viene, Sapienza infinita, e Luce soprannaturale a comunicarsi all’anima preparata, nella quale abita come nel suo tempio; per lo Spirito Santo, la missione invisibile si rinnova ogni volta che viene, come Amore infinito, Carità soprannaturale, a comunicarsi all’anima ben disposta, nella quale egli abita come in suo santuario. [S. Aug., apud S. 71., i p., q. 48, art. 6, ad 1]. Lo scopo di questa duplice missione è di assimilare l’anima alla Persona divina che gli è inviata: “Similis ei erimus”. Ora, siccome il Figlio, Luce eterna, e lo Spirito Santo, Amore eterno, sono stati mandati per l’intero mondo, così l’intenzione di Dio è di assimilarsi l’umano genere, e assimilandoselo, mediante la verità e la carità, di deificarlo. O uomo! se tu comprendessi il dono di Dio: “Si scires donum Dei!” Cotale missione, nel concetto divino, non è transitoria ma permanente: essa è infatti fino a che l’uomo non vi pone fine col peccato mortale. Essa non arreca soltanto all’anima i lumi del Figliuolo e i doni dello Spirito Santo: ma il Figliuolo e lo Spirito Santo vengono in Persona ad abitare in lei. [“Si quis diligit me…. ad eum veniemus et mansionem apud eum faciemus”. Joan., XIV, 23]. Completare l’opera del Verbo, facendo nei cuori ciò ch’Egli aveva fatto nelle menti, compiere così la trasformazione dell’uomo in Dio: tale è la magnifica missione dello Spirito Santo. In ragione stessa della sua importanza, essa dovette essere l’ultimo termine del concetto divino; per conseguenza l’anima della storia, il motore e la chiave di tutti gli avvenimenti compiuti dall’origine del mondo in poi. Se dunque l’Incarnazione del Verbo ha dovuto essere conosciuta da tutti i popoli; e per ciò, promessa, figurata; predetta, preparata sino dalla nascita dell’uomo, con più forte ragione ha dovuto essere altrettanto della missione dello Spirito Santo, compimento dell’Incarnazione; i fatti confermano il ragionamento.

Spirito Santo

Ora, affinché sia bene inteso che le promesse, le figure, le profezie, le preparazioni di cui andremo disegnando il quadro, si riferiscono alla terza persona della SS. Trinità, e non ad un altro spirito, è bene il ricordare l’insegnamento dei Padri, intorno al significato della parola “Spirito” nella Scrittura. Basti a noi udire sant’Agostino : « Si può, dice egli, domandare se, allorquando la Scrittura dice lo “Spirito di Dio”, senza aggiungere niente, bisogni intendere lo Spirito Santo, la terza Persona della Trinità consustanziale al Padre ed al Figliuolo; per esempio: “Là dove è lo Spirito di Dio, ivi è la libertà”, e altrove: “Iddio ce l’ha rivelato mediante il suo Spirito”; e altresì: “ciò che è nascosto in Dio, nessuno lo sa, fuorché lo Spirito di Dio”. In questi passi, come in moltissimi altri dove nulla è aggiunto, si tratta evidentemente dello Spirito Santo. Il contesto lo fa comprendere abbastanza. Difatti, di chi altri parla la Scrittura quando dice: “Lo stesso Spirito rende testimonianza allo spirito nostro, che noi siamo i figliuoli di Dio”; e: “lo Spirito medesimo, aiuta la nostra infermità, è un solo e medesimo Spirito che opera tutte queste cose distribuendole a ciascuno come gli piace”. In tutti questi luoghi, né la parola Dio, né la parola Santo, è aggiunta alla parola Spirito; e nonostante si parli chiaramente dello Spirito Santo. « Io non so se si potrebbe provare con un esempio solo, autentico, che là dove la Scrittura nomina lo Spirito di Dio senza aggiunta, essa non voglia parlare dello Spirito Santo, ma bensì di un altro spirito buono quantunque creato. Tutti i testi citati per stabilire il contrario sono dubbiosi, ed avrebbero bisogno di chiarimento. » [De divers. Quaest. lib. II. n. 6, p. 187, opp. t. VI, S. Th., I p., q. 74, art. III, ad 4].

Come vedemmo, nei consigli eterni era deciso che due Persone dell’Augusta Trinità discenderebbero visibilmente sulla terra: il Figliuolo per salvare il mondo coi suoi meriti infiniti, lo Spirito Santo per santificarlo con la effusione delle sue grazie. Ma quando un monarca, teneramente amato dal suo popolo, deve visitare le diverse parti del suo regno per seminare dei benefizi, tutti gli spiriti sono preoccupati della sua venuta. La fama lo precede; come pure i corrieri: tutte le strade si aprono dinanzi a lui, e niente è dimenticato per preparargli un ricevimento degno delle speranze ch’egli fa nascere, e dell’entusiasmo che ispira. Non vi è cristiano che non lo sappia: ecco ciò che ha fatto Dio per preparare la venuta del Verbo incarnato. Promesso, figurato, predetto, atteso per quaranta secoli, il Desiderato delle genti, domina maestosamente il mondo antico. Esso è l’anima della Legge e dei Profeti, l’oggetto di tutti i voti, la fine di tutti gli avvenimenti, lo scopo dell’innalzamento e della caduta degli imperi: insomma Egli è l’asse divina intorno a cui gira tutto il governo dell’universo. Questa preparazione, sorprendente per grandezza e per maestà, non era dovuta soltanto alla seconda Persona della SS. Trinità, ma altresì alla TERZA! Eguale al Figliuolo per la dignità di sua natura, superiore in un senso per la sublimità della sua missione, e dovendo come il Figliuolo scendere personalmente sulla terra, lo Spirito Santo doveva, come il Messia, essere preceduto da una lunga sequela di promesse, di figure, di profezie, di preparazioni, per essere non meno del Messia, l’oggetto costante dell’ universale aspettativa: “Desideratus cunctis gentibus”. Questa induzione della fede non inganna punto. La storia ci mostrerà la terza Persona della Trinità, occupante lo stesso posto della seconda, e nel concetto di Dio, e nella speranza del genere umano e nella direzione di tutti gli avvenimenti del mondo antico, per il lungo intervallo di quattromila anni.

L’ESAME DI COSCIENZA

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L’ESAME DI COSCIENZA

[E. Barbier: “I tesori di Cornelio Alapide]

  1. NECESSITÀ DELL’ESAME DI COSCIENZA. — « Osservate, o fratelli, scriveva Paolo, se vi diportate con prudenza » — Videte, fratres, quomodo caute ambuletis (Eph.V, 15). «Esaminatevi, imparate a conoscervi», dice S. Giovanni — “Videte vosmetipsos” ( II, 8 ). « Io veglierò su me stesso, diceva Abacuc, come una sentinella in vedetta, mediterò quello che mi sarà detto, e quello che avrò da rispondere ai rimproveri del Signore » — “Super custodiam meam stabo, et figam gradum super munitionem, et contemplabor ut videam quod dicatur mihi, et quid respondeam ad arguentem me” (II,1). Noi siamo gli economi di Dio, non dimentichiamo dunque che Egli medesimo, figurandosi nel padrone evangelico, ci assicura che chiederà esatto conto al fattore infedele dell’amministrazione dei suoi averi: — “Redde rationem villicationis tuae” (Luc . XVI, 2). Ora chi potrà rendere questo conto se non chi lo rivede di tratto in tratto? Un economo tiene le sue partite assestate, e le conosce a perfezione… Un negoziante ripassa i suoi debiti, le sue perdite, i suoi guadagni. Così dobbiamo fare noi ogni giorno. « Io sono passato, dice Salomone, per il campo dell’indolente, e per la vigna dello stolto, e ho trovato tutto ingombro di ortiche, la cinta era sfasciata, le spine ne coprivano la superficie » — “Per agrum hominis pigri transivi, et per vineam viri stulti; et ecce totum repleverant urticae, et operuerunt superficiem eius spinae, et maceria lapidum destructa erat(Prov. XXIV, 30-31). Ecco la misera condizione a cui si riduce a poco a poco un’anima la quale rifugge dall’entrare in se medesima per esaminarsi seriamente… il loglio sopra il buon grano » — “Cum dormirent homines, venit inimicus eius, et superseminavit zizania in medio tritici” (Matth. XIII, 26 ) . La Scrittura, i santi padri, i maestri di spirito, tutti caldamente raccomandano l’esame di coscienza… È una delle cose più importanti della religione… Nessuna occupazione ce ne deve dispensare… Sono due le principali ragioni che ce ne confermano la necessità: 1) Questo esame è necessario per conoscere i nostri trascorsi e concepirne pentimento. 2) E necessario per non più peccare. Questo esame è tutt’insieme una penitenza ed un rimedio preventivo…
  2. TEMPO E MODO DI FARE L’ESAME DI COSCIENZA. — Tra le Sentenze auree di Pitagora, S. Gerolamo cita la seguente: « Bisogna principalmente mattina e sera, esaminare quel che faremo e quel che abbiamo fatto » (Lib. III, Apol. contra Rufin. c. X ); e il poeta diceva: « Non lasciare che i tuoi occhi si chiudano al sonno, prima che tu abbia esaminato le azioni della giornata ». Nell’opera di Galeno Su la Conoscenza e sui Rimedi delle malattie dell’anima, leggiamo: « Richiamatevi ogni giorno alla mente quello che avete detto e fatto. Spesso lungo il giorno, ma principalmente la sera e la mattina, applicatevi a questo esame». Bonaventura, trattando della purità della vita, raccomanda come mezzo molto acconcio a conservarla, l’esaminare sette volte ogni giorno la propria vita, considerando attentamente e indagando in qual modo abbiamo passato le nostre ore innanzi a Dio (Epist. XXV, memor. 24). Anche S. Doroteo consigliava di osservare alla mattina come fosse trascorsa la notte, e alla sera come si fosse impiegata la giornata, per emendarsi e fare penitenza (Serm. II ). Sant’Ignazio di Loyola costumava esaminarsi in ciascun’ora, paragonando ora con ora, giorno con giorno, settimana con settimana, mese con mese, per vedere in che cosa avesse progredito e in che cosa fosse indietreggiato (In Vita). « Nessuno, diceva S. Bernardo a’ suoi religiosi, vi ama più di voi medesimi, e nemmeno nessuno vi giudicherà più fedelmente di voi medesimi. Fate dunque il mattino una rivista della notte, e stabilite i mezzi più adatti per bene impiegare il giorno che comincia; la sera poi chiedetevi conto del giorno trascorso, e risolvete di passare santamente la notte. Con questo mezzo voi diventerete quasi impeccabili» (Ad fratres de monte Dei). « Entrate nel vostro cuore, dice Ugo da S. Vittore, e scrutatelo con tutta diligenza; considerate donde venite, dove andate, che fate, in qual modo vivete, che cosa perdete, che cosa guadagnate, se progresso o regresso sia il vostro vivere giornaliero, quali pensieri vi occupino, quali affetti vi dominino, da qual parte più frequentemente e più fortemente il nemico vostro vi assalga; e quando voi conoscerete lo stato vostro interiore ed esteriore, non solamente quel che siete, ma quello che dovreste essere, allora da questa conoscenza di voi medesimi v’innalzerete alla contemplazione di Dio». (De Anima, lib. III). Dice ancora S. Bernardo: « Deve anzitutto l’uomo che intende alla sapienza, considerare quello ch’egli è; quello che vi è dentro di lui, e quel che vi è fuori, quel che sopra, quel che contro, quel che prima, e quel che poi. Questa considerazione ben fatta ha per frutto il conoscimento della propria fiacchezza, la carità del prossimo, il disprezzo del mondo, l’amor di Dio. Impari a regnare sopra se medesimo, a regolare la sua vita e i suoi costumi, ad accusare se medesimo al proprio tribunale, a condannarsi sovente, a non rimandarsi mai impunito. Segga la giustizia che condanna; e le si presenti, in atto di rea, la coscienza che accusa e rimorde (De conscient.) ». La stessa cosa consiglia l’Ecclesiastico: « Discuti te stesso, prima di essere chiamato in giudizio, e troverai compatimento innanzi a Dio » — Ante iudicium interroga te ipsum, et in conspectu Dei invenies propitiationem (XVIII, 20). « Esaminiamo e discutiamo le nostre strade », diceva Geremia — “Scrutemus vias nostras et quaeramus” (Lament. III, 40); quindi il re Ezechia esclamava a Dio: « Io ripenserò innanzi a voi tutti i miei anni, nell’amarezza dell’anima mia ». — “Recogitabo tibi omnes annos meos, in amaritudine animae meae” (Isaia XXXVIII, 15). « Innalzi, scrive il Crisostomo, dentro di te il tuo spirito un tribunale, sul quale assiso il tuo pensiero faccia da giudice dell’anima e della coscienza tua; fa venire davanti a te tutte le tue mancanze, chiama a rassegna quel che interiormente hai commesso di male, e ad ogni colpa assegna il dovuto castigo. Di’ teco medesimo frequentissimamente: “Perché ho fatto questa quell’altra cosa? Perché ho osato commettere questa o quella colpa?” Che se la tua coscienza rifugge da quello che fai tu e poi, curiosa, indaga i fatti altrui, dille: Io non ebbi incarico di giudicare gli altri nè ho citato te in giudizio perché tu difendessi gli altri; e richiamala spesso a questo dovere di esaminarsi. Se poi non vuole chiamarsi in colpa e non può difendersi dalle accuse ma ammutolisce, tu battila di santa ragione, come serva altera e viziosa, perché queste busse non la uccideranno, ma la salveranno dalla morte (Homil. XLIII in Matth. ) ». Scrutiamo, dice S. Bernardo, tastiamo e cerchiamo tutti i labirinti, i più reconditi meati, le azioni tutte della nostra vita, i segreti più chiusi della nostra coscienza. Esaminiamo i fatti e le tendenze nostre, e non crediamo di aver fatto profitto nel bene quando avremo scoperto delle colpe, ma bensì quando avremo condannato queste colpe scovate con l’esame. Può dire di non essersi esaminato invano, chi riconosce di aver bisogno di ripetere sovente questo esame. Quando nel cercare abbiamo veduto la necessità di cercare ancora, noi abbiamo cercato bene. E se noi scrutiamo il cuore e la coscienza nostra ogni volta che ne avremo bisogno, noi lo faremo del continuo; perché noi siamo mai liberi di nemici e di ferite» (Serm. LVIII in Cant.). Esaminiamoci con sincerità; esaminiamo sottilmente e a fondo il nostro cuore, e non sarà cosa rara trovarvi appiattata qualche passione, qualche difetto che macchia tutte le nostre azioni, che spiace a Dio, e tien da noi lontani i suoi doni. Schiantate e gettate via questo vizio segreto, questo vizio famigliare se amate la benedizione di Dio, la dolce rugiada dei celesti favori …. Bisogna esaminarsi su ciò che si è fatto, e nel modo con cui si è fatto … Di qual difetto mi sono emendato quest’oggi? a qual peccato ho resistito? sono io migliore? Bisogna fare con se medesimo le parti di testimonio, di accusatore, di giudice, di esecutore… Bisogna non istancarsi nè scoraggiarsi mai, ma perseverare in questo esame, imitando il coltivarore, il giardiniere, il viaggiatore, ecc… Figuriamoci che ogni giorno il Signore dica a noi, come a Geremia: « Io ti ho messo oggi perché schianti e distrugga e perda e dissipi e edifichi e pianti — “Ecce constitui te hodie ut evellas, et destruas, et disperdas, et dissipes, et aedifices, et plantes” (Jerem. I, 10) .
  3. ECCELLENZA DELL’ESAME DI COSCIENZA. — Non c’è cosa più utile, più lodevole, più santa che il penetrare in sé medesimi… Dopo un sottile e diligente esame, le colpe vengono all’aperto e ne segue il pentimento, le lacrime, i proponimenti, il cambiamento di vita …. L’essenziale di un esame di coscienza è che si risolva nel dolore e nel proponimento: ora un esame serio ed assiduo procura l’uno e l’altro. Infatti l’angelo mandato a rassicurare Daniele, gli dice: « Non temere; perché fino dal primo giorno in cui proponesti di mortificarti innanzi a Dio, la tua preghiera fu esaudita, ed io sono venuto » — “Noli metuere, Daniel; quia ex die primo quo posuisti cor tuum ad intelligendum ut te affligeres in conspectu Dei tui exaudita sunt verba tua, et ego veni” ( Dan. X, 12 ) . Quando mai Giuseppe si fece conoscere a’ suoi fratelli, li abbracciò al suo seno, pianse con loro, e li ricolmò di favori? solamente dopo che ebbero narrato schiettamente i loro torti, e palesati i loro salutari rimorsi (Gen. XLIV, 12 ). Così fa Dio con quelli che dopo un severo esame di se stessi si chiamano in colpa. « Il conoscere se stesso è la massima e la più eccellente istruzione, dice Clemente Alessandrino; perché chi conosce se stesso, conosce Dio (Stromat. Lib. I) ». Perciò S. Agostino esclamava: « O Dio, che non cangiate, datemi ch’io conosca voi e conosca me (Soliloq. C. I) ». Iddio, scrive lo stesso santo dottore, verrà, si mostrerà, esaminerà e convincerà quando il mutamento del cuore non sarà più possibile. Io vi porrò in faccia a voi medesimi, dice Iddio. Fate dunque subito voi medesimo quello che più tardi farà Dio. Cessate dal gettarvi dietro le spalle i vostri peccati per non vederli, ma poneteveli sotto gli occhi. Salite al tribunale della vostra mente e siate vostro giudice: il timore vi castighi, la confessione delle vostre miserie si faccia largo attraverso le nubi dell’amor proprio, e gridate al vostro Dio: Io conosco la mia iniquità, e la mia colpa mi sta del continuo innanzi allo sguardo. Mettete dinanzi a voi quello che prima tenevate dietro di voi, per timore che più tardi il divin Giudice non vi ponga Egli medesimo in faccia vostra, e non possiate più sfuggirgli; affinché la sua giustizia non vi abbranchi come leone, senza che nessuno possa scamparvi (in Psalm XLIX ). Ambrogio insegna che la conoscenza di se medesimo devo precedere quella di Dio e che alla conoscenza di Dio non si arriva se non con la conoscenza di se stesso, e per mezzo delle buone opere (Offic. lib. I ). È sentenza di Socrate che « chi non conosce se stesso non è capace né a governar sé, né a reggere gli altri» (Anton. in Meliss.). Ora dove mai l’uomo impara a conoscersi, se non nell’esame di coscienza?… Quindi S. Bernardo dice: « Applicati a conoscere te stesso, poiché sarai molto più buono e più lodevole se conoscerai te stesso che se, ignorando te stesso, tu fossi istruito del corso degli astri, della virtù delle erbe, della natura degli uomini e degli animali, e di tutte le cose celesti e terrestri. Ritorna dunque, e restituisci te a te stesso (De consider.) ». Udite come esclamava S. Francesco d’Assisi: « Chi sei tu, o Signore, e chi sono io? Tu l’abisso dell’essere, del bene, della sapienza, della virtù, della perfezione, della gloria; io il baratro del niente, del male, dell’ignoranza, dei vizi, delle miserie e di ogni abbiezione (In vita) ».
  4.  DUE SORTA DI ESAME. — Vi sono due sorta di esame: il particolare e il generale: quello riguarda un solo punto; questo invece tutto quello che si è pensato, desiderato, fatto od omesso lungo il giorno… L’esame particolare devo mirare principalmente a ciò che più ci sta su l’anima…; alla passione dominante…, alla tentazione che più ci travaglia, alla virtù di cui abbiamo più difetto, ecc.. Caduto il comandante, tutto l’esercito è sgominato; così pure, estirpato il vizio dominante, tutti gli altri vengono facilmente sradicati. Chi va ad uccidere un serpente, non colpisce su tutta la lunghezza del suo corpo, ma mira alla testa perché, schiacciata questa, tutto è finito. Così è delle passioni; colpite il capo, e voi avrete colto e sterminato tutto il rimanente… Davide va di filato a Golia… Quel che preme a un medico è accertarsi della sede della malattia; così quello che più deve importare a voi si è di conoscere dove si annidi la vostra principale malattia. Perché una cattiva erba non cresca, bisogna estirparla dalle radici. L’esame di coscienza molte volte non approda a nulla di buono perché non si volge a indagare e discutere quello che è di maggiore importanza. Intanto però è bene che all’esame particolare si aggiunga il generale.

Preghiera per l’acquisto delle SANTE INDULGENZE

 

INDULGENZE

indulgenze

I S T R U Z I O N I

per l’ acquisto delle Sante Indulgenze.

[da: “La via del Paradiso”, Siena, 1823 –imprimatur.]

Le Indulgenze suppliscono alla debolezza de’ Penitenti, rimettendo loro per l’applicazione dei meriti di Gesù Cristo, e per la intercessione di Maria SS., e dei Santi ciò che manca alla loro penitenza, e perciò assolvono da quella pena, che tratteneva la misericordia di Dio, finché non si fosse pienamente soddisfatto alla sua Giustizia.

Le disposizioni necessarie a lucrare le Indulgenze sono:

1. Una intenzione retta, e pura, cioè: non il desiderio di esimersi dalla penitenza proporzionata ai peccati, ma la brama viva, che i meriti di Gesù Cristo, e la intercessione di Maria SS., e dei Santi suppliscano alla nostra debolezza, e che, avendo per mezzo della Confessione ottenuto il perdono delle colpe, nulla siavi che impedisca il pieno, e più sollecito e più sollecito godimento di DIO.

  1. Si deve essere affatto esente dal peccato, e da qualunque attacco al medesimo, e averne interamente abbandonate le occasioni; altrimenti, qual perdono e quale indulgenza potrebbe aspettarsi da Dio, chi fosse tuttavia disposto a nuovamente offenderLo?
  2.  Bisogna avere una ferma risoluzione di soddisfare a Dio con gli esercizi di penitenza, perché senza questa disposizione la intera penitenza, cioè la Contrizione e la conversione del cuore non possono essere né vere, né sincere.
  3.  Pregare finalmente, come ha ordinato il Sommo Pontefice (quello vero! –n.d.r.) nell’accordare le Indulgenze. E siccome per ordinario suole ingiungere l’obbligo di pregare Dio per l’esaltazione di S. Chiesa, per la estirpazione delle Eresie, e per la pace fra i Principi Cristiani a chi , confessato e comunicato, abbia le suddette necessarie disposizioni, così vi si propongono le seguenti Preghiere, con le quali, devotamente recitate nella Chiesa, o all’ Altare , ov’è l’ Indulgenza, soddisferete alle opere ingiunte da Sua Santità. – Avvertite, che l’Indulgenza plenaria medesima non si può lucrare che una sola volta al giorno.

Così la Sacra Congregazione de’ Riti nel 1717, eccettuata l’Indulgenza del Perdono, che dai primi Vespri del primo Agosto fini ai secondi del seguente giorno si può acquistare due volte in tutte le Chiese dell’Ordine dell’ Ordine di S. Francesco, visitandole replicatamente, e recitando di nuovo le Preci solite, di modo ché una volta si può lucrare per i Vivi , l’altra pe’ Defunti, come nella Dichiarazione della Sacra Congregazione del Concilio nel 1723: Le Indulgenze, che diconsi applicabili anche ai Defunti, non può il Fedele acquistarle per se stesso e per i Defunti, ma o per sé solamente, o per i Defunti. Se nella Città, o nel Paese vi siano in due chiese due diverse indulgenze plenarie applicabili ai vivi e ai morti, se ne potrà applicare una ai defunti, e l’altra a sé medesimo, visitando ambedue le Chiese nel modo prescritto . – Se nella Concessione delle Indulgenze parziali vi sarà, il “Quoties id egerint, toties Indulgentiam, consequantur”, si potranno acquistare tante volte, quante si replicherà l’opera ingiunta, v. gr. alla recita della Giaculatoria: “Sia benedetta la Santa purissima Concezione Immacolata della Vergine Maria” , vi è annessa l’Indulgenza di anni cento ogni volta. Salutando altrui con dire: “lodato Gesù Cristo”, o rispondendo al saluto: “Così sia”, si lucrano ogni volta 25 giorni d’Indulgenza, e così di molte altre. Siate dunque santamente avidi di arricchirvi di questo tesoro spirituale, che supplisce per i meriti di Gesù Cristo alla debolezza della nostra penitenza, con la quale dobbiamo soddisfare alla Giustizia Divina, o in questa vita, o nel Purgatorio. Ma ohimè! quanti ai nostri giorni o nulla sanno d’Indulgenze, o le disprezzano stoltamente, o vilmente le trascurano! Non siate voi nel numero di costoro.

P R E G H I E R A

Per l’acquisto delle Sante Indulgenze.

In Nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti. Amen.

– O Padre Celeste pieno di Carità, eccomi ai vostri piedi ad implorare le vostre misericordie. Io spero di avere ottenuto, in virtù del Sacramento della Penitenza la condonazione delle pene eterne dell’Inferno; ma ohimè! Quanto giustamente io temo, che la debolezza della mia contrizione, e tanti miei difetti non mi rendano tuttavia debitore alla vostra ineffabile Giustizia di molte pene temporali in questa, o nell’altra vita. Ah! Signore, allontanate lo sguardo dai miei demeriti, e mirate i meriti infiniti di Gesù Cristo Figlio vostro diletto, che la Santa Chiesa, Madre pietosa, e indulgente oggi qui distribuisce ai Fedeli. Accettate dunque, o mio Dio, la Vita, la Passione, il Sangue e la Morte del mio Redentore: e con la pienezza della vostra Divina Clemenza assolvetemi da tutte le pene, delle quali son debitore alla vostra divina Giustizia, rendendomi partecipe del tesoro inestimabile della Chiesa, avvalorato da una viva Fede, da una ferma Speranza, e da una Carità ardente per l’amabile mio Crocifisso Gesù, sorgente inesausta di ogni bontà, e di ogni misericordia. Dio di Amore, Dio di maestà ascoltate benigno la voce delle mie miserie; esaudite le mie suppliche, e regnate nell’anima mia con la vostra grazia, acciò regni in eterno con Voi nella vostra gloria. Fatevi conoscere ancora, adorare, e obbedire da tutti i Popoli vostri servi, e figliuoli, come Vi conoscono, Vi adorano, e Vi obbediscono gli Angeli vostri Ministri. Provvedete al necessario nostro mantenimento, perché niente ci distolga dal servirVi, ed amarVi; perdonateci le nostre colpe; sosteneteci col vostro braccio potente contro le insidie, e le tentazioni dei nostri nemici visibili, e invisibili; liberateci insomma per vostra carità da tutti i mali temporali, ed eterni. Tutto ciò Vi domando per le viscere della vostra paterna misericordia, per i meriti di Maria SS., degli Angeli, e de’ Santi tutti del Pradiso, e principalmente per le Sacratissime Piaghe di Gesù Cristo, che riverente adoro con tutto il mio spirito, dicendo:

Adoro, Gesù mio, la Piaga Santissima del vostro piede sinistro, e per quel sangue, che dalla medesima versaste, caldamente vi raccomando la concordia e la pace fra i Principi Cristiani, l’estirpazione dell’Eresie, e della incredulità, il trionfo della S. Cattolica Fede, e la più gloriosa esaltazione della Santa Romana Chiesa. Pater, Ave, Gloria.

Adoro, Gesù mio, la Piaga Santissima del vostro piede destro, e per quel Sangue, che dalla medesima versaste, caldamente Vi raccomando il Sommo Pontefice (Gregorio XVIII–n.d.r. -), i nostri Sovrani, e tutti i Principi ecclesiastici (in esilio – ndr. -), e Secolari, perché possano propagare la vostra Santa Religione, e felicemente e santamente governare i Popoli sottoposti. Vi raccomando ancora tutti gli Ordini Ecclesiastici, perché siano quali Voi li volete, istrumenti abili al nostro ammaestramento e a glorificare il vostro Santissimo Nome. Pater, Ave, Gloria.

Adoro, Gesù mio, la Piaga Santissima della vostra mano sinistra e per quel Sangue che dalla medesima versaste, caldamente Vi raccomando la mia Famiglia, il Padre mio Spirituale, i Parenti, i Benefattori, i Poverelli, gli Amici, i Nemici, gli Afflitti, gl’Infermi, e gli Agonizzanti, perché versiate sopra di loro l’abbondanza delle vostre temporali, e spirituali benedizioni. Pater, Ave, Gloria.

Adoro, Gesù mio, la Piaga Santissima della vostra mano destra, e per quel Sangue, che dalla medesima versaste, caldamente Vi raccomando le Anime Sante del Purgatorio, e in particolare quelle dei miei Parenti, Amici, e Benefattori; quelle, che furono più devote dell’acerbissima vostra Passione, e dei Dolori della Beatissima Vergine Maria; quelle, per le quali ho maggior obbligo di pregarVi, e quelle che sono le più abbandonate, e più bisognevoli di particolari suffragi. Dio mio, una sola goccia del vostro preziosissimo Sangue è bastevole alla soddisfazione dei peccati di mille mondi; versatela dunque pietoso sopra quelle vostre care Spose, perché lavate così da ogni reliquia delle antiche loro colpe, volino a benedirVi, e ringraziarVi in eterno. Pater, Ave, Gloria.

Adoro, Gesù mio, la Piaga Santissima del vostro Costato, e per quel Sangue, e quell’Acqua, che dalla medesima versaste, caldamente Vi raccomando tutto me stesso. In questa Piaga amorosa sarà la mia perpetua abitazione; in questa voglio vivere, e voglio morire, perché in questo dolce asilo di misericordia Voi giudichiate l’Anima mia, sperando fermamente, che non vorrete strapparla dal vostro Cuore paterno per gettarla ad ardere nelle fiamme fra i nemici del vostro Santissimo Nome”. Pater, Ave, Gloria .

V.: Domine, exaudi Orationem meam;

R.: et clamor meus ad te veniat.

Oremus.

Domine Jesu Christe, per quinque illa Vulnera tua, quae tibi in Cruce nostri amor inflixit, tuis famulis subveni, quos pretioso Sanguine redemisti. Qui vivis, et regnas in saecula saeculorum. Amen.

Adoro, Gesù mio, il vostro Capo santissimo con inaudita crudeltà coronato di Spine, e per quel Sangue, che da tante ferite versaste, esaudite, Vi supplico, le pie intenzioni de’ Sommi Pontefici, che hanno accordata, e confermata questa santa Indulgenza a gloria vostra, e per salute spirituale di tutti i fedeli. Così sia.  Pater, Ave, Gloria .

Oremus.

Ecclesie tuae, quaesumus, Domine, preces placatus admitte, ut destructis adversitatibus, et erroribus universis, secura tibi serviat libertate.

Deus omnium Fidelium Pastor et Rector, Famulum tuum Gregorium, quem Pastorem Ecclesie tuae praeesse voluisti, propitius respice; da Ei, quaesumus, verbo et exemplo, quibus praest proficere, ut ad vitam una cum grege sibi credito perveniat sempiternam. Per Christum Dominum nostrum. Amen.

Santo N., o Santa N., di cui si fa oggi gloriosa commemorazione aiutatemi con le vostre efficaci orazioni, e impetratemi la grazia di fare acquisto della S. Indulgenza, per la povera anima mia, (o per le Anime del Purgatorio), e di vivere santamente, e più santamente morire. Amen.

Pater, Ave, e Gloria .

Oremus.

Quaesumus, Domine Deus noster, Sanctorum tuorum praesidia nos adjuvent, quia non desinis propitius intueri, quos talibus auxiliis concesseris adjuvari. Per Christum Dominum nostrum. Amen.

Misereatur nostri, Omnipotens Deus, et dimissis peccatis nostri perducat nos ad vitarm aeternam. Amen.

Indulgentiam, absolutionem et remissionem peccatorum nostrorum tribuat nobis Omnipotens, et misericors Dominus. Amen.

Dominus nos benedicat, ab omni malo defendat, et ad vitam perducat aeternam, et Fidelium animae per misericordiam Dei requiescant in pace. Amen.

   In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti. Amen.

Dopo la preghiera al Santo di cui si celebra la Festività, se prendete l’Indulgenza per l’anima vostra, potrete, quando il tempo ve lo permetta, recitare l’Uffizio della Beatissima Vergine, o le sue Litanie, o i Salmi Penitenziali, ovvero le sole Litanie dei Santi o i Salmi Graduali, o l’Uffizio piccolo della S. Croce, o dello Spirito Santo, o del SS. Sacramento, o della Concezione Immacolata di Maria SS., o almeno gli Atti Cristiani o qualunque altra Orazione di vostro piacimento.

Se acquistate l’Indulgenze per le Anime del Purgatorio, aggiungerete l’Uffizio de’ Morti, o il solo Vespro, o i Salmi “Misere mei Deus”, e “De profundis”, o la Sequenza “Dies irae, dies illa”, o le Sacre Offerte, e gli atti Cristiani, e cosi potrete lusingarvi di ottenere dalla misericordia del Signore tanto maggior frutto, quanto maggiori saranno le vostre disposizioni; poiché, dicono i Padri, che nessuno può esser certo di acquistare le Indulgenze plenarie nella loro totalità e interezza.

Applicate spesso le Indulgenze alle Anime del Purgatorio, se bramate per voi la stessa carità; poiché i Padri medesimi osservano che i Giusti, i quali si purificano in quelle fiamme, possono essere esclusi dalla Giustizia di Dio da qualche specie di suffragio in pena di qualche loro incuria e mancanza.