Omelia della Domenica V dopo Epifania (rec.)

Omelia della Domenica V dopo l’Epifania

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. I -1851-]

(Vangelo sec. S. Matteo XIII, 24-30)

zizzania

Zizzania e Frumento.

 “Non avete voi seminato (così al proprio padrone i suoi servi agricoltori) non avete seminato nel vostro campo il buon frumento? Come dunque è spuntata insieme con esso la mala zizzania”? – “Volete che sull’istante ci conduciamo ad estirparla?”- “No, rispose il padrone, perché essendo ancor tenere le pianticelle del grano, sradicherete colla zizzania il buon frumento. Lasciate pur crescere l’uno e l’altra sino alla maturità, e darò allora i miei ordini ai mietitori. Farò che, separata dal grano quest’erba malvagia, stretta in fascetti sia gettata al fuoco, e il buon frumento sia portato e custodito nel mio granaio”. Fin qui la parabola del corrente Evangelo. Uditene la facile interpretazione. Quel padrone, padre di famiglia, è il nostro Padre celeste; il campo, in cui è seminato il grano e la zizzania, è la santa Chiesa, che nel suo seno accoglie buoni e cattivi, discoli e ubbidienti figliuoli. Questa mescolanza però non è durevole. Verrà il tempo della messe, e la morte con falce inesorabile troncherà grano e zizzania. Si farà prima al tribunale di Cristo giudice, poscia nel giorno estremo la gran separazione. Saran divisi i petulanti capretti dalle innocenti pecorelle, l’eletto frumento dalla maledetta zizzania, gli eletti da’ reprobi. Verranno questi da’ demoni gettati ad ardere nel fuoco eterno, e quelli portati dagli angeli nel regno dei cieli. Fedeli miei, qual sarà la nostra sorte? Possiamo argomentarlo fin da ora: Siam noi zizzania? aspettiamoci il fuoco. Siam frumento? Il cielo sarà la nostra mansione. A chi più vi assomigliate? Acciò possiate meglio comprenderlo, vi esporrò da prima le naturali qualità della zizzania, che applicheremo a noi in senso morale; v’indicherò dappoi le naturali proprietà del frumento che applicheremo a noi altresì nel senso stesso. Da questo confronto potrete conoscere qual sarà per essere la vostra eterna sorte.

I . Sulla scorta di S. Basilio ( S. Basil. In 5 Hom. Ex.), e degl’indagatori della natura, osserviamo le qualità della zizzania. È questa un’erba malvagia, che nasce in pessimo terreno, e talvolta in mezzo al frumento, erba che poco s’innalza di terra. Si assomigliano a questa coloro che sempre intenti alla terra coi pensieri, coi desideri, e cogli affetti del cuore, altro non hanno in mira, che il lucro, l’interesse, e gli acquisti dei beni terreni. Uomini creati pel cielo non pensano, anzi, al dir del re Profeta, hanno stabilito di non pensare che alla terra, e nella terra fissar gli occhi, fissar le radici di una dominante passione, “Oculos suos statuerunt declinare in terram(Ps. XVI). A costoro io direi, se mi ascoltassero, miei cari, disinganniamoci; il nostro fine non son le cose che passano col tempo. Siam fatti pel cielo; lassù, dice l’Apostolo, dobbiamo innalzare la mente e il cuore, “quæ sursum sunt sopite, non quæ super terram” (Ad. Col. III). Da questa terra ci staccherà la morte, e quanto più, le radici delle nostre affezioni alla terra saranno tenaci e profonde, tanto più il taglio riuscirà doloroso, e incontreremo la mala sorte della rea zizzania. – S’insinua inoltre quest’erba maligna fra le radici dell’ancor tenera biada, e dove la rende sterile, dove la fa perire. Figura più espressiva delle scandalose persone non vi è di questa. Gesù Cristo infatti, dice il Crisostomo, chiamò tutti gli scandali e tutti gli scandalosi col nome di zizzania. “Omnia scandala et eos qui faciunt iniquitatem zizaniorum nomine significasse intelligitur(in Cat. Aurea D. Th.). La zizzania, di cui parla l’odierno Vangelo, fu sparsa dì notte da un uomo nemico, “inimiciis homo hoc fecit”. Questi, secondo i sacri espositori, è il demonio, che per mano degli uomini sparge nel mondo la scandalosa zizzania. Il demonio, dice S. Agostino, ha i suoi apostoli: son questi gli scandalosi, che coi laidi discorsi, col vestir immodesto, colle oscene pitture, colle invereconde poesie, coi libri ereticali, colle massime all’Evangelio contrarie fan perire l’innocenza, corrompono i buoni costumi, e danno morte a tante anime incaute. Che possono aspettarsi gl’iniqui seminatori di questa diabolica zizzania, se non il fuoco? – La zizzania in fine produce frutti così cattivi, che se per incuria misti col frumento vanno sotto la macina, e ridotti in farina restano mescolati col pane, cagionano a chi lo mangia vertigini, capogiri, e ubriaca rendono la persona; onde quel frutto, presso varie nazioni, si appella con nome significante quel brutto effetto. Oh, a quanti in questo secolo pervertito gira il capo circa le verità della fede! Finché vissero da buoni cristiani, finché, mantennero una retta coscienza ed una onesta condotta, non furono soggetti a capogiri intorno ai dogmi della santa religione; sana era la mente, perché sano era il cuore. Ma dopo aver mangiata la velenosa zizzania in quell’eretico autore, in quel poeta lascivo, in quella pratica disonesta, in quella rea amicizia, lo stomaco si è alterato, il cuore si é corrotto, e son saliti al cerebro vapori rivoltosi, ed hanno invasato l’intelletto dubbi, incertezze rispetto all’eterne verità. Che avviene poi di ognun di costoro? Le ree sue passioni, trovandosi senza freno, l’assalgono, gli tolgono l’uso della retta ragione; ond’egli ebro, insensato più non conosce sé stesso, e nel furor della sua ebbrezza, rompe il freno della coscienza, squarcia il velo di ogni naturale onestà, scuote il giogo della legge umana e divina, e per lui Dio più non esiste. “Dixit insipiens in corde suo, non est Deus(Ps. XIII, 1). O povera umanità presa da un’ubriachezza di nuova foggia! “Paupercula et ebria, non a vino” (Isai. LI, 21). Ma l’esito di questa ebbriosa smania sarà simile a quella di un povero uomo plebeo, che agitato dal vino uscito di senno, si gloria, si vanta, si crede ricco, potente, animoso, e digerito il vino si trova debole, infermo, avvilito, e riconosce ridotta ad uno stato peggiore la propria miseria. Durino pur quanto la vita i deliri dell’iniqua zizzania, alla fine stretta in fasci, a fasci sarà gettata “ad comburendum”. – Date ora, fratelli carissimi, un interiore sguardo a voi stessi, ed osservate se fra voi e le pessime qualità della descritta zizzania, trovaste mai qualche confronto. Se fosse così, deh per carità, cangiate vita, cangiate costume. A questo fine, dicono i S. Agostino e Tommaso, ( In catena aurea) il padrone evangelico non volle che così subito si estirpasse la zizzania del campo, per significarci che Iddio pietoso pazientemente aspetta che quei peccatori, che sono zizzania, possano coll’aiuto della grazia, per vera penitenza, trasformarsi in grano eletto.

  1. II. Passate ora a vedere, secondo l’evangelica allegoria, se piuttosto, come mi giova sperare, siete simili al buon frumento. Vien questo gettato sul campo, e sepolto sotterra, ove mercé la pioggia, e il calore del sole si schiude, si sviluppa, e vi muore per rinascere moltiplicato in biondeggianti spighe. Ecco il tipo di un buon cristiano. Egli nel suo battesimo, secondo la frase di S. Paolo (Rom. VI, 4), fu sepolto con Cristo, per poi risorgere con Cristo; ma prima deve morire di sua mistica morte colla rinunzia al mondo, al demonio, e alla carne. Né crediate esser questa una mia applicazione ingegnosa. È Gesù Cristo che precisamente lo afferma nel suo santo Vangelo colla similitudine del frumento, “nisi granum frumenti , dice egli, cadens in terram mortuum fuerit, ipsum solum manet(Ion. XII, 24). Se come un granello di frumento in seno” alla terra l’uomo cristiano non muore, resterà sterile, e non potrà rinascere a vita migliore. Ma come una tal morte va intesa? Udite: sono in noi tutte le passioni, e tutte pel peccato d’origine, al male inclinate, la superbia, l’avarizia, la lussuria, l’invidia, la gola, l’iracondia, l’accidia, e come tante fiere stanno chiuse nel nostro cuore, come in un serraglio. Il tenere in freno queste bestie feroci cogli aiuti della ragione e della fede, il correggerle, il mortificarle, è come dar loro la morte: ucciderle non è possibile, ma si possono e si debbono, coll’impero della volontà, assistita dalla grazia, soffocare in guisa che non arrivino ad offendere né coi denti, né cogli artigli. L’uomo infame vive, ma pure è morto alla vita civile. Del pari vive sono le nostre passioni, ma se si raffrenano i loro moti, se s’impediscono i loro sfoghi, han vita, ma perché senz’azione, si possono dir morte,come morte al mondo si appellano le religiose persone, che pei voti solenni non han più beni propri, non più libertà di stato, non più elezione di volontà. È questa la mistica morte. Ma perché più facile in noi si renda, conviene anche dar morte agli strumenti dei quali si servono le malnate nostre passioni. I sensi del corpo son le armi, son gli incentivi delle nostre passioni, e di queste non si vinceranno gli assalti, se non si spuntano quest’armi, se non si estinguono quest’incentivi. Mortificazione dunque dei sensi in tutto ciò ch’è contrario alla legge di Dio e della Chiesa: custodia d’occhi, che non trascorrano in oggetti pericolosi; freno alla lingua, che non prorompa in maldicenze, in imprecazioni, in bestemmie; freno alla gola, che osservi la temperanza e i comandati digiuni; in somma, mortificazione della carne per vivere secondo lo spirito, come inculca l’Apostolo. Ma questo spirito conviene che muoia anch’esso nell’uso delle sue facoltà, Deve morir l’intelletto coll’umile sottomissione in credere tutto ciò che Dio ha rivelato, la memoria colla dimenticanza delle ricevute offese, la volontà con la perfetta rassegnazione a quella di Dio in ogni cosa. Ecco la mistica necessaria morte, di cui parla il Redentore in quella sua grande e meravigliosa sentenza, così chiamata da S. Agostino: “Qui amat animam suam perdet eam(Ion. XII, 23). Chi ama l’anima sua, e vuol salvarla, la faccia morire a tutte le disordinate sue voglie. Il martire S. Ignazio, discepolo di S. Giovanni Evangelista, Vescovo d’Antiochia, da Traiano condannato alle bestie nell’anfiteatro romano, mandò lettera ai fedeli di Roma, che n’attendevano l’arrivo, e: “figliuoli miei, scriveva, io son frumento di Cristo, sarò stritolalo dai denti delle fiere come dalla mola, per esser fatto pane mondo, accettevole agli occhi suoi. “Frumentum Christi sum, dentibus bestiarum molar, ut panis mundus veniar(Hieron. De Script. Eccl.). Questa é ben altra morte; Iddio nelle circostanze presenti non l’esige da noi; ma nell’ordine dell’attuale provvidenza, non può dispensarci dalla morte de’ nostri sensi, delle nostre potenze, delle nostre passioni, come veniva dicendo. – Il frumento inoltre giunto a maturità va sotto le verghe, e a colpi sonori si sguscia, e si divide dalla sua paglia. Veniamo al senso morale. Se voi, sotto i pubblici o privati flagelli, che vengono dalla mano di Dio, o per castigo o per prova, abbassate il capo, e con pazienza e rassegnazione dite con Giobbe, “sit nomen Domini benedictum”; buon segno, voi siete grano eletto. Ma se voi sotto la sferza delle tribolazioni, delle quali abbonda questa valle di pianto, se nelle malattie, nelle disgrazie, nelle persecuzioni, come un rospo sotto il flagello, raddoppiate il veleno, prorompete in maledizioni, vomitate bestemmie, ve la prendete contro Dio, contro gli uomini, come autori dei vostri guai, mentre non ne son che gli strumenti, ohimè, voi non siete buon grano. Mirate un S. Paolo, e salutarmente confondetevi, udite questo grande Apostolo delle genti: “Io, dice egli, sono stato per ben tre volte battuto con verghe, ed una volta sepolto sotto una tempesta di pietre per amor di Gesù Cristo, e a gloria del suo santo nome: “Ter virgis cæsus sum, semel lapidatus sum pro Christi nomine(2 ad Cor. XI, 25). – Gesù stesso, dice S. Agostino, era un grano di frumento sottoposto ai flagelli de’ perfidi Giudei, “erat granum mortificandum infidelitater judeorum(Tract. 51 in Ioan.). A questi esempi, che dice la nostra delicatezza, che aborre ogni sorta di mortificazione, e che né pure nelle tribolazioni, che scansar non si possono, sa fare della necessità virtù? Finalmente il frumento, per purgarlo dall’inutile paglia, posto nel vaglio vien agitato, ed esposto allo spirar del vento, che via portando la paglia dispersa, lo lascia cader sull’aia purgato e mondo. Le morale applicazione su questo punto ce la somministra Gesù Cristo con quel che disse a S. Pietro ed agli Apostoli: “Ecce Satanas expetivit vos, ut cribraret sicut triticum”(Luc. XXII, 31). Ha concepito il demonio l’iniqua idea di ventilarvi come frumento nel vaglio. Così avvenne; gli Apostoli, i cristiani in ogni tempo sono stati dal demonio, e dai seguaci di lui, agitati nel vaglio delle persecuzioni, ed esposti al vento delle false dottrine; ma si son mantenuti saldi nella fede, e sani nel costume. Seguite l’esempio. Il nemico non dorme; non cedete ai suoi assalti, state fermi ai venti delle tentazioni, degli scandali e degli errori, e come grano purgato, farete certa la vostra elezione e salvezza. – Da queste due pitture della zizzania e del frumento potrete conoscere a quale più vi assomigliate. Se nella zizzania riscontrate il vostro ritratto, ohimè! il fuoco vi aspetta; se nel frumento, consolatevi, avete un gran segno della beata vostra predestinazione.

 

J.-J. GAUME: IL SEGNO DELLA CROCE [lett. 12-14]

Gaume-282x300

LETTERA DECIMASECONDA.

7 dicembre.

Mio caro Federico

Il segno della croce nulla ha perduto della sua forza, e della sua necessità. È vero: i tiranni sono morti, e gli anfiteatri cadono in rovina, il segno della croce ha trionfato degli uni e degli altri; ma se i secondi non più si levano dalle loro ruine, i primi, di tanto in tanto, sortono dalle loro tombe. La razza de’ Neroni non sarà giammai estinta, e la più terribile deve ancora venire! – Con un furore antico, quelli, che sono apparsi di poi i Cesari, hanno decimato i cristiani; quest’altra razza parimente immortale, è razza consacrata alla morte, come dice Tertulliano, “expeditum morti genus”. Quanto hanno fatto ieri in occidente, e quello che fanno oggi in oriente, potranno farlo domani daportutto dove comandano. Avviso a’ combattenti: nessuno dimentichi ove trovasi la sorgente della forza! Attendendo, ricorda, caro amico, che la pace ancora ha i suoi martiri, “habet et pax martyres suos”. Qual è l’uomo che non ha uno, o più Neroni? V’ha un giorno della sua vita ragionevole, e ancora un’ora, in cui egli non debba vegliare, o combattere? Che dico? venti volte al giorno degli oggetti seducenti si presentano ai suoi sguardi, de’ pensieri non buoni importunano il suo spirito, i sensi in rivolta solleticano il suo cuore a vili tradimenti. Oh! che egli ha bisogno di forza! Dove la troverà? Nel segno della croce. – La testimonianza de’ secoli, l’esperienza de’ veterani e de’ coscritti della virtù, attestano oggi, come ieri, il sovrano potere del segno divino, per dissipare gl’incanti seduttori, scacciare i pravi pensieri e reprimere i movimenti della concupiscenza. Ascolta il poeta de’ martiri, Prudenzio, che conobbe ad un tempo i dettagli dei loro trionfi ed il segreto delle loro vittorie. « Quando all’invito del sonno tu cerchi il casto letto, segna della croce la tua fronte ed il tuo cuore. La croce ti preserverà d’ogni peccato: le potenze infernali fuggono al suo cospetto; l’anima santificata per essa, non sa vacillare »“…. Fac cum vocante somno Castum petis cubile, Frontem locumque cordis Crucis figura signet; Crux pellet omne crimen, Fugiunt crucem tenebra;. Tali dicata signo Mens fluctuare nescit”. Àpud S. Greg. Turón, lib. I Miracul c. 106. Ascolta ancora il capo della eterna battaglia. I grandi genii e gran santi peritissimi dell’arte della guerra spirituale, che si chiama ascetismo, tutti non hanno che una sola voce per esortare i soldati cristiani all’uso del segno della croce. « Senti il tuo cuore infiammarsi? dice san Giovanni Grisostomo: fa il segno della croce sul petto, e all’istante istesso la collera si dissiperà al pari del fumo» [“Si succendi cor tuum senseris, pectus continuo signaculo crucis signato, et ira illieo tamquam pulvis dissipabitur”. (S. Joan. Chris. Rom.il. 88 in Matth.]. – E sant’Agostino: « Amalec vostro nemico, cerca di sbarrarvi la strada e d’impedirvi l’Avanzare? Fate il segno della croce, sarà vinto » [“Si adversarius Amalecita iter intercludere atque impedire conabitur, pro reverentissima extensione brachiorum e-jusdem crucis indicio superetur.” (S. August. Homil, 20, lib. 50, Bomil.J. ]. Ed il gran servo di Dio, Marco, che predice all’imperatore Leone l’ora della morte. « Per propria esperienza conosco come siffatto segno dissipi le interne guerre, e produca la sanità dell’anima. Immediatamente dopo il segno della croce la grazia opera: tutto si calma » [“Statini post Signum crucis gratia sic operatur : sedat omnia membra pariter et ror.” (Biblioth. PP. toni. V.)]. – San Massimo di Torino: «Dal segno della croce noi dobbiamo attendere la guarigione delle nostre ferite. Se il veleno dell’avarizia si sparge nelle nostre vene, facciamo il segno della croce, ed il veleno sarà cacciato. Se lo scorpione della voluttà ci punge, facciamo ricorso allo stesso mezzo, e noi guariremo. Se gl’immondi pensieri della terra cercano insozzarci, facciamo il segno della croce, e noi vivremo vita divina » [Apud S. Ambros. Serm. 55]. -San Bernardo : « chi è l’uomo si padrone de’suoi pensieri da non averne d’impuri? Ma son da reprimere i loro attacchi, e tosto, per vincere l’inimico là dov’egli sperava 4rionfare. L’infallibile mezzo per riuscirvi è fare il segno della croce » [De passione Dom. c. XIX, ti. 65]. – San Pier Damiano : « Se per caso sperimentate che un pensiero non buono sorga nel vostro spirito, operate col pollice il segno della croce, e siate certi che tosto svanirà » [“Cum pravam tibimet cogitationem esse persenseris, e x – tento police protinus, cor tuum signare festines, certus etc (Institut. Monast.)]. – Il pio Teberlh: “Niente v’ha di più efficace, che il segno della croce, per dissipare le tentazioni per quanto siano disonorevoli” [“Signo crucis nihil efflcacius ad turpes effugandas tentationes”. (lib. viar. Domin. c. XXI)]. – Riassumiamo tutte queste testimonianze: « Qualsiasi la tentazione, che ci appéna, conchiude san Gregorio di Tours, noi dobbiamo respingerla. Epperò fate, non vigliaccamente ma con coraggio il segno della croce o sulla vostra fronte, o sul vostro petto » [“Viriliter et non tepide Signum vel fronti, vel pectori salutare superponas”. (S. Greg. Tur. ubi supra)]. – Se fosse mestieri confermare con la storia quanto tu leggi, mille fatti lo confermerebbero. Un solo basti. È la rivelazione di che fu favorito un santo monaco a nome Patroclo, con la quale Iddio gli manifestò la potenza sovrana di questo segno contro le tentazioni. – Un di il demonio trasformandosi in angelo di luce si mostrò al venerabile abate, e con parole d’ogni maniera di astuzia gli consigliava lasciare la solitudine e tornare al mondo. L’uomo di Dio sentendosi correre per le vene come un fuoco, si prostese sul suolo e pregò il Signore, perché eseguita fosse la sua volontà. La preghiera è accolta. Un angelo gli appare, e siffattamente gli parla: “Se tu vuoi conoscere il mondo, ascendi questa colonna e tu saprai quel che si sia. Rapito in estasi il pio solitario crede avere dinanzi a sé una colonna di prodigiosa altezza, e l’ascende. Dal sommo di essa vede omicidi, furti, massacri, fornifìcazioni e tutti i delitti del mondo. Ah! esclama, Signore non permettete che io torni in un luogo di tante abominazioni. E l’angelo a lui: Cessa adunque dal desiderare il mondo, per non perire con lui; invece corri nel tuo oratorio, prega il Signore che ti dia con che sostenerti nel mezzo delle prove del tuo pellegrinaggio. Detto, fatto: trovò un segno di croce scolpito in un mattone, e tosto comprese il dono di Dio, e che questo segno è inespugnabile fortezza contro le tentazioni [Greg. Turon, Vita Patr., c. 9]. – Un martire della guerra, o un martire della pace: ecco l’uomo lungo il corso della vita. Ed alla morte che cosa è egli? Vedi questo infermo in preda al dolore ed abbandonato dal mondo, circondato da’ soli parenti ed amici impotenti a soccorrerlo? Per lo passato il tempo che fugge; per l’avvenire, l’eternità che si avanza, in cui sentasi trascinato, senza che alcuna potenza umana possa ritardare il momento della partenza, e addolcire le agonie del viaggio. – Questo malato, sei tu, mio caro, sono io, è ogni uomo ricco o povero che sia, suddito o monarca. Se lungo le guerre della vita noi abbiamo bisogno di lume, di forza, di consolazione e di speranza, dimmi, se un tal bisogno non cresce di mille tanti nelle lotte decisive della morte? E bene, il segno della croce opera tutto ciò. Per questa nuova considerazione desso fu caro ai nostri avi, e dev’esserlo ancora a noi. Come i martiri andando all’ultima battaglia non mancavano di fortificarsi col segno della croce, cosi i veri cristiani de’ secoli passati facevano ricorso a questo medesimo segno, per addolcire i dolori e santificare la loro morte: citiamo qualche esempio. – Parlando della sua diletta sorella, santa Macrina, ch’egli stesso assisté negli estremi momenti della vita, san Gregorio Nisseno cosi si esprime: « Ella diceva: Signore, per mettere in fuga l’inimico, e proteggere la loro vita, voi avete dato a quelli, che vi temono, il segno della croce. E pronunziando tali parole ella formava il segno adorabile sopra i suoi occhi, le labbra ed il cuore » [Vita di santa Macrina]. – I primi cristiani alcune volte a vece di fare il segno della croce con la mano sul punto di morire, lo facevano distendendo le braccia, e ciò appellavano il sacrifizio della sera, “sacrifìcium vespertinum”. A questo modo di fare il segno della croce Arnobio applica le parole del Salmista: L’elevazione delle mani è il mio sacrifizio della sera. Egli dice, che tale sia il nostro sacrifizio della sera, voglio dire della sera della vita, quando tutta la nostra attenzione è da porre ad elevare le nostre mani in croce, per consolarci nel Signore, nel momento, che corriamo a lui [“Tunc enim in sacrificio vespertino sumus. Ibi est tota nostra cogitationis ponenda intentio, ut levantes manus nostras, in signo crucis, dum ad Dominum pergimus, gratulemur in Christo Jesu”. (In Ps. CXL)]. – In pari attitudine morì Paolo il patriarca del deserto, come lo trovò Antonio [“Introgressus speluncam, vidit gcnibus complicatis, e recta cervice, extensisque in altum manibus, corpus exanime” (S. Hieron. De Vita S. Pauli).] – Né altrimenti san Pacomio: « Essendo sul punto di morire, scrive lo scrittore della sua vita, egli si armò del segno della croce, vide con grande gioia un angelo di luce venire a lui, e rese la sua santa anima a Dio » [Vita di S. Pacomio. c. 53]. – Della stessa maniera morì santo Ambrogio. « L’ultimo giorno di sua vita, scrive il prete Paolino,’ da poi circa l’undecima ora, fino a che egli rese l’anima, pregò con le mani distese in croce » [“Eodem tempore quo migravit ad Dominum, ab hora circiter undecima diei, usque ad illam horam qua emisit spiritum expansis manibus in modum crucis, oravit. – Paulin. in Vit. S. Ambr.]. – Da Milano passiamo a Costantinopoli. Ecco un altro Vescovo che muore. Santo Eutichio, dice il suo istoriografo, fu preso da violenta febbre verso la metà della notte, e restò per ben sette giorni in tale stato, non cessando di pregare e di fortificarsi col segno della croce [“Vehementi febre circa mediam noctem correptus e s t: atque ita mansit septem dies, assidue precibus incumbens. Seque signo crucis muniens”. (Apud Sur. 2. Jul.)]. – Compiamo il nostro viaggio in Francia ed assistiamo alla morte di qualche nostro re. Arrestiamoci ad Aix-la-Chapelle per vedervi morire il grande imperatore: L’indomani giunto, dice un Vescovo testimone oculare, Carlo Magno sapendo quel che dovesse fare distese la destra e come poté, si segnò la fronte, il petto e tutto il corpo [“Incrastinum vero, luce adveniente, sciens quod facturus erat, extensa manu dextra, virtute, qua poterat, signum sánelas crucis fronti impressit, et super pectus et omne corpus consignavit”. (Thegan. De Gestis. Ludov. Imper.)]. Tale doveva essere la morte di questo grande uomo. E suo figlio Luigi il Pio, disposti gli affari, ordinò che si recitasse presso di lui l’uffizio della notte, e che sul suo petto si mettesse una reliquia della croce, e lungo questo tempo, come le forze glielo permettevano, egli faceva il segno della croce sulla fronte e sul petto, e quando era stanco pregava il fratello di continuare [“His peractis et dictis, præcepit ut ante se celebrarentur vigilia? nocturnas, et tigno sanctae crucis pectus munirete; et quamdiu manu propria tarn frontem quara pectus eodem si gnáculo insignibat. Si quando lassabatur per manus fratris sui natu id fieri poscebat”. (Apud Gretzer, lib. IV, c. 26, p. 618)]. – Veniamo ad uno de’ suoi più degni successori, il buon re Roberto. Negli ultimi giorni di sua vita, egli non rifiniva dall’implorare il soccorso de’ santi del cielo col gesto e con la voce; si fortificava col segno della croce sulla fronte, su gli occhi, sulle narici e le labbra, sulla gola e gli orecchi, in memoria della Incarnazione, della Natività, della Passione, Risurrezione, dell’Ascensione del Signore, e della venuta dello Spirito Santo. Una tale consuetudine era stata conservata da questo principe in tutta la sua vita, e giammai trasandò d’aver con lui dell’acqua benedetta [“Dei sanctis in auxilium suum venire, voce, signis inde sinenter orabat, muniens se semper in fronte et in oculis, naribus et labiis, gutture et auribus, per signum sanctæ crucis, memoria Dominica; incarnationis, nativitatis, passionis, resurrectionis et ascensionis et Spirltus Sancti. Habuit hoc ex more in vita; cui nunquam defuit volúntate aqua benedicta”. (Helgald. in Epitom. vit. Robert)]. – Citiamo ancora Luigi il Grosso. Vedendosi presso a morte, fece stendere un tappeto sulla terra, e sopra di esso spargere della cenere in forma di croce, e fattosi deporre da’ suoi uffiziali su di questo letto di morte, che gli ricordava quello del re del Calvario, il virtuoso monarca non cessò di fare il segno della croce fino all’ultimo respiro [“Elevata aliquantulum manu omnes benedixit, rogavitque adstantes episcopo! ut sanctissimis suis manibus cum crucis signo communirent”. Aipud Sur. 25 maii]. Per finire, morire come un Dio v’ha forse qualche cosa che disonori? Quel che disonora è morire senza comprendere la morte, morire con la insensibilità delle bestie. – Tu hai visto i martiri pregare i loro fratelli di segnarli del segno della croce innanzi morissero, se da per sé non lo potessero eseguire; ora i nostri avi facevano del pari morendo di morte naturale. Oltre l’esempio di Luigi Debonnaire che tu hai letto; voglio ricordartene qualche altro de’ primi secoli, dessi mostrano la continuazione della tradizione. – San Zenobio, amicissimo di santo Ambrogio, sul punto di terminar la sua vita con una morte preziosa, elevò le mani e fece il segno della croce su quanti Io circondavano; quindi pregò i vescovi di fare sopra di lui con le mani consacrate il segno della forza, della speranza e della salute [S. Elig. De rectitud. catech. etc. inter opp. S. August. tom. VI]. – Dal letto di un prete passiamo al talamo di un semplice fedele. Una giovane con rispettoso affetto assiste la tenera ed illustre madre. Oggi quasi tutti usano prestare a’ loro più cari infermi delle cure materiali, si farebbero coscienza di trasandare la minima prescrizione del medico, ma l’assistenza cristiana? Le prescrizioni del divin medico, e della Chiesa nostra madre? qual è la loro sollecitudine a compierle? I nostri avi più intelligenti e migliori di noi a queste cure univano quelle dell’anima. A Bethelemme l’illustre figlia de’ Fabii muore. Presso del letto è Eustachio, degna figlia di tal madre. Che cosa fa quest’angelo di tenerezza ? « Dessa non cessa, dice san Girolamo, dal fare il segno della croce sulle labbra e sul petto di sua madre, studiando di addolcire le sue sofferenze con l’impressione del segno consolatore » [“Eustochium Paulæ matris os stomachumque signabat, et matris dolorem crucis impressione nitebatur lenire”. – S. Hier. in Epitaph. Paulae]. – Tu il vedi: nella vita ed alla morte il segno della croce era presso i nostri avi il mezzo costantemente usato per ottenere a sé ed agli altri lume, forza, rassegnazione, coraggio e speranza. Il segno della croce è dunque gran cosa! esclamava un testimone di questi ammirabili effetti: “Magna res signum crucis” [Apud Sur. 10 Aug.]! Domani noi vedremo la sua efficacia in un nuovo ordine di cose.

LETTERA DECIMATERZA.

8 dicembre.

Povero nell’ordine spirituale l’uomo non l’è meno nell’ordine temporale : il suo corpo e l’anima non vivono che di accatto. Fra i beni necessarii al corpo ve n’hanno due, mio caro, che voglio ricordarti : la sanità, e la sicurezza. Il segno della croce ci procura con efficacia l’una e l’altra. – La sanità. Il Verbo eterno è la vita vivente e vivificante. L’evangelo parlandoci di Lui quando viveva nel mezzo degli uomini ci dice una parola quanto semplice, altrettanto sublime : Una virtù emanava da lui che guariva tutte le infermità; “virtus de illo exibat et sanabat omnes”. L’istoria c’insegna che questa parola può intendersi a cappello del segno della croce. – Che i primi cristiani si servissero del segno della croce a guarire le malattie, nulla v’ha di meglio dimostrato. San Cirillo e san Giovanni Crisostomo, uno patriarca di Gerusalemme e l’altro di Costantinopoli, affermano con ogni asseveranza, che il segno della croce continuava a guarire le infermità e i morsi delle bestie feroci al loro tempo, come all’epoca de’ loro maggiori [“Hoc Signum ad hodiernum diem curat morbos”. (Cateeh. XIII; S. Cris., hom. 54, in Math.]. – Veniamo alle prove: Tutti i sensi dell’uomo sono soggetti a delle infermità. Cominciamo dal più nobile, la vista. Se invece d’impallidire di continuo su gli autori pagani i giovani leggessero gli atti de’ martiri, troverebbero in quelli di san Lorenzo il gran miracolo, che ancora celebra la Chiesa, qui per signum crucis coecos illuminavit. L’illustre arcidiacono di Roma era entrato in una casa di un cristiano, dove trovavasi il cieco Crescenzio. Questi distruggendosi in lagrime si gettò ai suoi piedi dicendo: “Mettete la vostra mano sugli occhi miei, perché io veda”. Il beato Lorenzo profondamente commosso gli risponde: “Il nostro signore Gesù, che ha aperti gli occhi al cieco, ti doni la vista”. E si dicendo, fa il segno della croce su gli occhi di Crescenzio, che tosto vide la luce ed il beato Lorenzo [Vita del santo scritta da S. Oven vesc. di Raven, c. XXIX]. – Il dotto Teodoreto ci racconta quanto segue della propria madre: « Mia madre aveva tale una infermità negli occhi, che inutilmente la medicina aveva posto in uso tutti i suoi mezzi contro di essa. Tutti i vecchi volumi ed autori interrogati, nessuno dava mezzo a guarirne. In tale stato noi eravamo, quando un’amica venne a vedere mia madre, e le parlò d’un certo santo uomo per nome Pietro, e contolle d’un miracolo da esso operato. Ella diceva: La moglie del Governatore d’Oriente era affetta dallo stesso male: si diresse a Pietro dimorante a Pergamo, « questi la guarì pregando per lei, e facendo sopra di essa il segno della croce. Mia madre non perde un istante; corre per l’uomo di Dio, si getta ai suoi piedi e lo prega della guarigione. E questi a lei: “Io non sono che un povero peccatore, io non ho punto presso Dio il potere che voi credete”. Mia madre raddoppia le preghiere, e lagrimando protesta che non partirebbe se non guarita. Dio, riprese Pietro, è il medico di questi mali; egli esaudisce quelli che credono. Desso vi esaudirà non per i miei meriti, ma per la vostra fede. Se questa è in voi vera, sincera, pura e senza esitazione, trasandate medici e medicine, ed accettate il rimedio che Dio vi offre. Si dicendo, distese la mano su l’occhio, e fattovi il segno della croce il male disparve » [“Haec cum dixisset, manum imposuit oculo, et salutane crucis signo facto, morbum expuiit”. [Hist. ss. Patr. in Petr.]. – De’ fatti men lontani da noi ti mostreranno che questo segno attraversando i secoli non ha mai cessato di essere il migliore degli oculisti. S. Eloi vescovo di Noyon, passando uno de’ ponti di Parigi, guarì un cieco, che invece di chiedergli un soccorso, lo pregò che lo segnasse su gli occhi col segno della croce [Mabillon, Vita del santo, torn. 11]. – Uri simile miracolo leggesi nella vita di S. Frobert abate di un monastero presso Trojes nella Champagne. Era ancora fanciulletto, quando la madre cieca da più anni lo prese sulle sue ginocchia, e carezzatolo lo pregò di fare il segno della croce sopra i suoi occhi. Sulle prime il giovane santo si ricusò; ma, dietro le instanze materne, invocò il santo nome del Signore, fece il segno della croce richiesta, ed al momento la madre riebbe la vista [Atti di S. Seb.] – Il Mabillon nella vita di S. Bernardo cita oltre trenta ciechi di ogni età e condizione, che in Francia, Italia ed Alemagna furono guariti, alla presenza de’ re e de’ principi, col mezzo del segno della croce [Mabillon ubi supra]. – Dalla vista passiamo all’ udito. Come N. S. il segno della croce rende l’udito a’ sordi, e la loquela ai muti. Eccoci in Roma e nel palazzo del Prefetto: un giovane e brillante ufficiale è innanzi a noi, per nome Sebastiano. Questo nome illustre è ignoto nei collegi. Tu apprenderai ai tuoi compagni che S. Sebastiano comandava la prima coorte pretoriana al tempo di Diocleziano, che, alla moderna vuol dire, colonnello di un reggimento della guardia imperiale. Dotato di eloquenza pari al suo coraggio, egli usava i doni di Dio ad animare i martiri, che ogni giorno venivano tradotti al pretorio. In uno fra questi, Zoe femmina del prefetto ebbe la ventura di ascoltare uno di questi discorsi. Tuttavolta pagana, fu si commossa, che gittossi in ginocchio, e, comeché muta da poi sei anni, col gesto faceva intendere di voler essere cristiana. Fu intesa. Un segno di croce sulle labbra le diede la parola, di che, il primo uso che fece, fu in dimandare il battesimo [“Signavit eum Pater… et continuo dolor et omnisque tumor ascessi” (Mabillon vita lib. VI, c. 5, n. 17] – Tu dirai loro altresì, che con lo stesso mezzo l’immortale abate di Chiaravalle, san Bernardo, ha guarito un numero immenso di sordi e muti. A Cotogna una giovinetta sorda e muta; a Bourlemont un fanciullo sordo e muto dalla natività; a Bile un sordo; a Metz un sordo al cospetto di una folla immensa; a Costanza, a Spira, a Maastricht de’ sordi e de’ muti; a Troyes una giovinetta zoppa e muta alla presenza de’ vescovi Geoffrai di Langres, e di Enrico di Troyes. In fine, a Chiaravalle un fanciullo sordo-muto, che attendeva da quindici giorni il suo ritorno [“Ut signum sancte crucis expressit, confestim omnis vigor per membra diffunditur. (Vita cap. XLVI)].Mentre il Santo soggiornava a Spira, dove operava molte miracolose guarigioni, arrivò Anselmo vescovo di Havelsperg, cui una infermità di gola rendeva pressoché impossibile l’inghiottire ed il parlare. Voi dovreste guarirmi, disse questi a S. Bernardo. E S. Bernardo piacevolmente a lui: “Se voi aveste la fede di queste buone femmine, io potrei, può essere, operar su di voi in pari modo”. – “Se la mia fede non basta, riprese il Vescovo, mi guarisca la vostra”. Allora il Santo lo toccò facendo su di lui il segno della croce, ed all’instante istesso l’enfiagione ed il dolore sparirono [ Fleury, Hist. Eccl., lib. XXIV, n. 28.]. – II tatto è il senso sparso in tutto il corpo, epperò presenta agli attacchi delle infermità maggior presa. Come allontanare tutti i mali, gli uni più dolorosi degli altri, a cui è esposto? Per quanto numerosi siano, consola il pensiero che nessuno di essi sfugge alla potenza salutare del segno della croce, che, con la sua virtù, ricorda quella di colui, che guariva ogni maniera d’infermità ira gli uomini, “omnem languorem in populo”. – Uno de’ vescovi venuto in gran fama di santità, che abbia governato la diocesi di Parigi, è S. Germano. Questi conducevasi un giorno a render visita ad Ilario vescovo di Poitiers, suo degno collega. Sul suo passaggio due uomini gli presentarono, con pena, una donna muta e priva dell’uso delle gambe. Tosto che il Santo ebbe fatto il segno della croce sopra di essa, dessa ricuperò la favella e le gambe di modo, che dopo tre giorni si condusse a render grazie al suo benefattore [“Mox multa eius membra cruce consignât, et ille se sentit incolumis.” Vit., lib. IV]. – Un miracolo simile fu operato da S. Eutimio, il grande arcivescovo di Palestina. Terabone, figlio del governatore de’ Seraceni nell’Arabia, fin dalla fanciullezza aveva perduto per paralisi la metà del corpo; com’ebbe inteso parlare della virtù del santo Abate, si fece condurre presso di lui in compagnia del padre e della madre, con numeroso seguito di barbari. Il Santo lo segnò con la croce, e tosto guarì. Siffatta guarigione produsse la conversione de’ suoi genitori non solo, ma ancora de’ Saraceni compagni di viaggio, e spettatori del miracolo [Vit., lib. IV., c. 41, Vita, lib. II]. – Gran tempo dopo questo miracolo, che aveva rallegrato l’Oriente, un simile fu operato da San Vincenzo Ferreri a Nantes in Francia, nella persona di un uomo paralitico da 18 anni, che gli fu presentato perché lo benedicesse. Non ho oro, nè argento, disse il Santo all’infermo, ma pregherò il Signore perché ti conceda la sanità dell’anima, e del corpo. Come ebbe detto tali parole fece il segno della croce sulle membra dell’infermo. Il paralitico guarisce, si alza, e rende grazie a Dio ed al suo benefattore, torna a casa sua, senza più nulla risentire del passato malore! [Mabillon ubi supra, Lib. IV, c. 6, n. 33]. – È tale alcuna volta la forza del dolore da far perdere il bene dell’intelletto e la sanità dell’anima a’ poveri figli di Adamo; ma il segno della croce spinge la sua forza in queste nuove trincee del male. Edmer, istoriografo di S. Anselmo Arcivescovo di Cantorberi racconta, che questo Santo andando a Cluni, guarì col segno della croce una femmina affetta di follia, e furiosa. S. Bernardo operò lo stesso a Sechigen, e a Cologna. In quest’ultima città gli fu presentata una femmina frenetica per la morte del marito, che usava delle sue esaltate forze contro sé stessa di modo, da doverle assicurare le braccia con catene. Il Santo ebbe pietà di lei; fece il segno della croce sopra di essa, e tosto tranquilla rivenne all’uso della ragione. – Il Verbo Redentore, che il Vangelo mostra, come il medico di febbri ostinate, ha comunicato al segno della croce la virtù di operare simile prodigio. S. Prix Vescovo di Clermont nell’Alvernia, essendo venuto nel Monastero di Dorange, vi trovò l’abate Amarin infermo di pessima febbre, di maniera, ch’eragli impossibile camminare e prendere cibo. Il santo Vescovo ricorse all’arma sua ordinaria e pagò il suo scotto con un miracolo, risanando col segno della croce siffattamente l’infermo, che andò perfettamente guarito della infermità sua [“Cura vexilluiu crucis super ægrum fecisset, protinus, fugata febre, sanatus aeger surrexit” Vite de’ SS. 25 Jan.]. – Dello stesso potere è dotato contro una malattia più difficile a guarire ; l’epilessia. Nella vita di S. Malachia, Arcivescovo di Armagli, morto a Chiaravalle, S. Bernardo dice : « Inanzi partisse per Roma, dove si conduceva per ricevere il pallio da Eugenio III, il santo Arcivescovo guarì un epilettico col segno della croce». E S. Bernardo istesso operò simile prodigio nella persona di una giovinetta della Champagna a Troyes [“Signavit eam statimque locuta est”: Mabillon, ubi supra, c. XIV, n . 47. – Secondo l’esempio da me datovi, guarite i lebbrosi, aveva detto N. S. I Discepoli raccolsero questa parola, la cui virtù divina è passata nel segno della croce. La fama di Francesco Saverio era sparsa in tutte le Indie, e dessa faceva accorrere presso il Santo i lebbrosi da tutti i luoghi, per ottenere la guarigione tante volte inutilmente sperata. Uno fra questi, non osando di comparire in pubblico, pregò il Santo di condursi presso di lui. Il Saverio non poté soddisfarlo, ed in sua vece commise ad un compagno una tal visita, dicendogli di domandare per tre volte all’infermo se crederebbe al Vangelo, ove venisse guarito, e che dopo tale promessa lo segnasse per tre volte col segno della croce. Tutto fu eseguito come il Santo avea detto, ed il lebbroso guarì [Vita, lib. V, p. 347]. – Innanzi procedere più oltre, credo esser mestieri, mio caro, il ricordarti una osservazione di S. Giovanni Crisostomo, da aver presente ragionando dell’azione del segno della croce, sia nella guarigione delle malattie, che per l’allontanamento de’ tristi accidenti. Se alcuna volta i mali non sono guariti e le calamità allontanate, tutta volta il segno della croce convenevolmente sia eseguito, non è difetto di potere del segno, ma perché questi mali ci sono utili prove [“Morbis imperans terribile est hoc nomen, et si non abigerit morbum, non hinc est quod infirmimi sit hoc nomen, sed quod utilis est morbus”. Ad Coloss. II, homil IX]. – V’ha una infermità non meno crudele della lebbra, ma più comune: il cancro. Ma questa come tutte le altre infermità umane non resiste alla potente azione della croce. Ascolta quanto narra S. Agostino testimone oculare. « A Cartagine una nobilissima donna per nome Innocenza aveva nel petto un canchero stimato da’ medici incurabile. – Il medico nulla le aveva nascosto del suo stato, ed Innocenza, posta in Dio ogni sua fiducia, da lui solo attendeva la guarigione. Una notte, verso la Pasqua, è avvertita in sogno di condursi al battistero nel luogo delle donne, e di far fare dalla prima catecumena che trovasse, il segno della croce sul membro infermo, ubbidisce, ed è guarita. Il medico meravigliato trovandola risanata, volle saperne il come. La donna tutto gli narrò. Il medico con grande indifferenza, il che faceva temere alla donna dicesse qualche parola contro N. S., disse: Io mi attendeva qualche cosa straordinaria. E vedendola inquieta, soggiunse: “Che v’ha di meraviglioso che Gesù Cristo abbia guarito un cancro; Egli che ha dato la vita ad un morto dopo quattro interi giorni!” [“Quid grande fuit Christus sanare cancrum, qui quatriduannui mortuum suscitavit.” Aug. de Civ.Dei, lib. XXII, c. 8]. – A tutte queste infermità naturali spesso si congiungono gli attacchi delle bestie feroci e velenose, per togliere all’uomo la sanità e la vita. Contro esse gran rimedio è il segno della croce. Il santo anacoreta Tolasce, scrive Teodoreto, viaggiando fra le tenebre della notte, calpestò una vipera. Il rettile furioso lo morde nella pianta del piede. Il Santo s’inclina, porta la destra sulla ferita, e la vipera gliela morde, come altresì la sinistra accorsa al soccorso della destra. La bestia di tutto ciò non contenta, lo addentò per circa dieci volte, e poi si cacciò nella sua tana, lasciando la vittima in preda ad intollerabili dolori. In siffatto stato il servo di Dio crede non dover far ricorso a medicine. Per guarire le ferite si contentò impiegare i mezzi della fede: il segno della croce, la preghiera, e l’invocazione del santo nome di Dio ([“Sed neque tunc passus est uti arte medica, sed vulneribus adhibuit sola fidei medicamenta, crucisque signaculum, et orationem, et Dei invocationem.” (Tbecdoret. in Thalass).]. Padrone della vita, N. S. , lo è ancora della morte. – Questo impero sovrano si trova nel segno della croce. Ecco quanto leggesi nella vita di S. Domenico. Predicava il Santo in Roma: una dama, per nome Guttadona, devotissima di lui, per assistere al suo sermone, aveva lasciato a casa un figlio infermo, al suo ritorno lo trovò morto. Senza dar sfogo al materno dolore, assembra le sue donne e porta il fanciullo a S. Domenico. Lo incontra alla porta del convento di S. Sisto, depone il morto a’ suoi piedi, e disfacendosi in lacrime, gliene domanda la vita. Il Santo commosso s’inginocchia, e dopo breve preghiera fa il segno della croce, prende il fanciullo per la mano e lo rende in vita alla madre pregandola di profondo segreto. Ma che! la buona donna nell’eccesso della gioia pubblicò l’avvenuto miracolo in tutta Roma [Vita di S. Dom., lib. II, c. 3]. – Tu il vedi chiaro, mio caro Federico, io mi son contentato di citare uno o due fatti per ciascuna malattia, che se tutti rapportar si volessero, molti volumi non potrebbero neppure contenerli. S. Agostino, S. Crisostomo, S. Cirillo, S. Efrem, S. Gregorio Nisseno, S. Paolino e cento altri testimoni dell’Oriente e dell’Occidente di tutti i secoli mostrano, con migliaio di fatti, che il segno adorabile di Colui ch’è venuto per guarire ogni infermità, non ha mai cessato dal rendere la vista ai ciechi, l’udito ai sordi, la parola ai muti, la sanità agl’infermi e la vita ai morti. – Ecco l’istoria. È mestieri accettarla come è, o farne in pezzi le pagine e cader nello scetticismo: o farne un’altra più sapiente, più coscienziosa e veridica. Domanda a’ tuoi compagni se hanno polsi da ciò, e quando dessa sarà’ compilata, noi vedremo. A domani.

LETTERA DECIMAQUARTA.

9 dicembre.

Il segno della croce potente a rendere la sanità e la vita, mostra ugual potere, mio caro Federico, contro quanto può comprometterla. Qui ancora i fatti abbondano, ma i limiti di una lettera non mi consentono altro che citarne alcuni. Di poi la rivolta originale, tutti gli elementi sono sottoposti all’influenza di satana, congiurano contro l’uomo, l’aria, il fuoco, l’acqua, e che so io! gli fanno una guerra continua, e soventi volte mortale. A nostra difesa l’arma universale stabilita è il segno della croce! – Il Signore, la cui voce comanda ai venti ed alle tempeste, loro parla per lo mezzo di questo segno. Leggiamo di Niceta Vescovo di Treviri, che viaggiando alla volta della sua diocesi si addormentò sulla nave, che aveva noleggiata. A mezzo del corso levasi furiosa tempesta, che squarciate le vele, messi in pezzi gli alberi, minacciava la nave di certo naufragio. I viaggiatori spaventati lo destano. Ed egli, tranquillo fa il segno della croce sulle onde in furore, e queste placatesi lasciano succedere la calma alla furiosa tempesta (1). (1) [“Excitatus quoque a suis fecit Signum crucis super aquas, et cessavit procella.” (S. Greg. Turon. Dt glor. confes. c. XVII.)]. – È fede cattolica espressa nel Pontificale Romano che satana sia l’autore di molte tempeste, e, nell’aria, dimora di lui e degli angeli suoi, esercita particolare e trista influenza. Soventi volte egli reca di tali uragani per disertare le campagne, e soprattutto per far guai agli uomini da bene, che si studiano distruggere il suo impero. Di questi fenomeni, di fatti, usava per rendere inutile la predicazione di Vincenzo Ferreri. Il Santo, atteso il numero della gente, che d’ogni dove si traeva ai suoi sermoni, non poteva predicare in chiese, che anguste tornavano a contenere tanto popolo, ma su per le piazze, e queste erano sempre gremite di fedeli, ebrei, e maomettani, che per i sermoni di Vincenzo si rendevano cattolici, o se lo erano, divenivano migliori. Satana a distorre tanto bene usava quest’arte. Raccoglieva venti e nubi, suscitava tempeste tali, che il popolo impaurito si cacciava nelle case, e solo restava Vincenzo. La più terribile di tutte le tempeste fu quella suscitata in una borgata di Cotogna. Il Santo, secondo il suo solito dopo la Messa, innanzi deponesse i sacri paramenti, col segno della croce e con l’acqua benedetta, fattosi alla porta della chiesa, costrinse satana a restar tranquillo tutto quel giorno [“Sparsit aquam sacratam, ed deinde crucis expressit Signum; illico tempestas dissipatur…. saepissime…. ortas tempestates crucis signo compescuit. (Vit. lib. III)]. – Come l’aria cosi il fuoco ubbidisce al segno della croce. S. Tiburzio, figlio del Prefetto di Roma, è condannato a bruciar l’incenso ai falsi numi e camminare sul letto di fuoco. Il giovane martire fa il segno della croce, e senza esitare si avanza nel mezzo delle braci, ed in piedi e nudo, « Rinunzia, dice egli al giudice, adesso ai tuoi errori, e riconosci che non v’ha altro vero Dio che il nostro. Metti, se te ne basta l’animo, la tua mano nell’acqua bollente in nome di Giove, e questo che chiami Dio le impedisca di recarti nocumento alcuno. Per me, mi sembra un letto di rose questo che calpesto » [Atti di S. Sebast.]. – Sulpizio Severo racconta, come saputolo da S. Martino istesso, che una notte il fuoco si appiccò alla stanza del santo taumaturgo delle Gallie. Egli si risveglia, e confuso si studia estinguere il fuoco; ma inutili tornarono gli sforzi! Rasserenatosi, non più pensa né a salvarsi, né ad estinguere il fuoco, ma, fiduciando in Dio, fa il segno della croce. Le fiamme si dividono, e piegandosi in arco sul capo di lui, gli lasciano continuare la preghiera [Ep. 1 ad Euseb. Praesbyt.: e Vita di S. Martino, lib. X]. – Lascia che io ti parli di un fatto personale del gran Vescovo. Inimico instancabile dell’idolatria, Martino, aveva abbattuto un tempio d’idoli quanto antico, altrettanto in gran fama, e restava solo un gran pino, che sorgeva d’allato al tempio. Egli volevalo distrutto, comeché oggetto di superstizione; ma i sacerdoti degli idoli ed i pagani vi si opponevano a tutt’uomo. In fine, questi dissero al coraggioso vescovo: “Poiché tu hai tanta fiducia nel tuo Dio, noi abbatteremo l’albero a patto, che tu resti sotto di esso quando cadrà. La condizione fu accettata. Un popolo immenso si assembra e gremisce lo spazio dove l’albero doveva essere abbattuto; alla presenza di esso S. Martino lasciasi legare e mettere su quel punto verso cui l’albero inclinava. Ai compagni del Santo un fremito correva per le vene, che l’albero a metà asciato pendeva su Martino, e fra pochi istanti ne sarebbe schiacciato: ma l’uomo di Dio era tutto tranquillo, ed elevata la mano, fa contro il cadente albero il segno della croce. A questo segno l’albero si erge, e come spinto da violentissimo vento cade dalla parte opposta. Un grido d’ammirazione si eleva, e non v’ha quasi alcuno che non domandi il battesimo! [Ubi supra.]. – Questo avvenimento accaduto nelle Gallie è ripetuto in Italia. Onorato, santo abate, e fondatore di un monastero di Fondi, che raccoglieva 200 monaci, vide minacciata l’opera sua di totale ruina. Un gran monte era a cavaliere del monastero, e dal sommo di esso staccasi tale un macigno, che rotolando giù per la china avrebbe schiacciato e monastero, e frati. Onorato accorre; invoca il santo Nome di Dio, distende la mano destra ed oppone al macigno il segno salvatore. L’enorme massa si arresta, ed immobile si tiene sul pendio del monte sino ai giorni nostri [ S. Greg. (Dial., lib. I. c. 1)]. – Dall’occidente passiamo all’oriente, e noi troveremo che la potenza sovrana di questo segno non è limitata per differenza di latitudine, né di longitudine. Ascolta S. Girolamo. Il terremoto che seguì la morte di Giuliano l’apostata portò il mare fuori i suoi limiti, e quasi Dio avesse minacciato il mondo di un nuovo diluvio, o che l’universo dovesse rientrare nel caos, le navi si trovarono su i monti spintevi dal furore de’ flutti. Gli abitanti d’Epidauro spaventati per le grandi masse di acqua, che cadevano su i monti, e temendo che la patria fosse trasportata da esse, si condussero presso il santo vecchio Ilarione, e presolo, lo condussero alla loro testa quasi ad una battaglia, contro le acque. Giunti alla riva, il santo fece per tre volte il segno della croce sull’arena. A questo segno le acque si gonfiano, ascendono ad una altezza incredibile come irritate dell’ostacolo, che loro opponeva Ilarione; ma, dopo poco tempo, abbonacciate, rientrano nel loro letto senza più sorpassare il sacrato limite. Epidauro e tutta la contrada pubblicano questo miracolo, e le madri lo raccontano a’ figli perché la posterità ne risapesse [“Qui cum tria crucis signa pinxisset in sábulo, manusque contra tenderet, incredibile dictu est in quantam altitudinem intumescens mare ante eum steterit, ac diu fremens et quasi ad obicem indignans, paulatim in scmetipsum relapsum est”. (Tif. S. Hilarión, vers. fin.]. – Eccoti un altro fatto analogo, ma più recente. Mezey istoriografo francese narra che le pioggie del 1106 avevano fatto straripare i fiumi ed i laghi di modo, che le innondazioni producevano un nuovo diluvio. Le sole preghiere e le processioni furono potente rimedio contro questo flagello, e , come fu fatto il segno della croce sulle acque, incontanente entrarono nel loro letto [Ist. di Francia, tom. II, p. 135]. – Se la verga mosaica, figura della croce, ha potuto dividere le acque del Mar Rosso, e tenerle sospese come monti, perché il segno istesso della croce non potrà rientrare le acque nel loro letto? Torniamo all’immortale Tebaide, e lascia che io dica una qualche meraviglia, di che i suoi angelici abitanti furono gli attori, ed il segno della croce strumento. Uno di essi, Giuliano, chiamato Sabas, o il vecchio da’ capelli bianchi, traversando l’arida solitudine, s’imbatte in un enorme dragone. Lo spaventoso animale getta sovra di lui uno sguardo sanguigno, apre l’affamata gola, e si slancia per divorarlo. Il venerabile senza scomporsi rallenta il passo, invoca il nome di Dio, fa il segno della croce: il mostro stramazza morto [“At ego Dei nomen appellans, digitoque trophaeum crucis ostendens, et omnem metum excussi, et belluam extemplo corruentem vidi”. (Theodoret. Relig. hist., c. 2]. – Più lontano, osserva Marciano, solitario della Siria, che rinnova lo stesso prodigio. Egli pregava alla porta della sua stanzuccia quando Eusebio, suo discepolo, gli grida di lontano per avvertirlo che un rettile mostruoso, poggiato sul muro dalla parte d’oriente, è per slanciarsi sopra lui e divorarlo, e però si desse alla fuga. Marciano riprende il discepolo di siffattamente impaurirsi; fa il segno della croce, e soffia contro la spaventevole bestia. Si vide allora l’effetto della parola primitiva: “Metterò una guerra a morte fra la tua razza e la sua”. Il fiato uscito dalla bocca del santo fu come un fuoco, che invase di modo il dragone, che cadde in pezzi come bruciata canna [“Digito crucis signum expressit, et ore insufflans, veteres inimicitias pate fecit ; mox enim draco, spiritu oris, veluti fiamma quadam correptns, exustae instar arundinis, in multas partes dissectus est”. (Ibid. c. 3]. – Sarebbe facile narrare i molteplici fatti che hanno avuto luogo in queste celebri contrade; ma per riunire le meraviglie dello stesso genere percorriamo l’Italia, serbandoci tornare in Oriente. S. Gregorio il grande racconta che S. Amanzio, prete di Tiferno, oggi città di Castello nell’Umbria, aveva tale impero su i serpenti i più temuti e terribili, che queste bestie non potevano restare in sua presenza. Un segno solo di croce faceva morire quanti ne incontrasse, e se per salvarsi si cacciavano in qualche buco, lo chiudeva con lo stesso segno, e la serpe n’ era estratta morta da una potenza invisibile. Era un vero compimento delle parole del Signore: “Uccideranno i serpenti”, [“serpentes tollent”] – [“In quolibet loco, quamvis immanissimae asperitalis ser-pentem repererit, mox ut eum signo crucis signaverit, estingui”. (S. Greg. Dialog., lib. IH, c. 35)]. – Tu sai che N. S. aggiunge immediatamente: « E se » eglino beveranno alcun che di avvelenato, non ne avranno nocumento alcuno, “Et si mortiferum quid biberint, non eis nocebit ». Qualche prova tra mille. La città di Bosra nell’Idumea aveva a vescovo S. Giuliano. Alcuni notabili, in odio della religione, stabilirono avvelenarlo; all’uopo corruppero il servo del vescovo perché apprestasse il veleno al padrone in una coppa. Lo sciagurato ubbidisce. Il santo divinamente sapendo quanto sul conto suo si facesse, depone la tazza, e dice al servo: Va da mia parte presso i principali abitanti, ed invitali a pranzar meco. Egli sapeva essere fra questi i rei. Tutti accettarono l’invito. Allora il santo, che non voleva diffamare nessuno, disse con estrema dolcezza: Poiché volete avvelenare il povero Giuliano, ecco il veleno, io lo beverò. Ciò detto, segnò per tre fiate la coppa, dicendo: “In nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo io bevo questa tazza”. Egli la beve sino all’ultima gocciola, senza averne nocumento alcuno. A sì strano spettacolo gl’inimici gli caddero ai piedi implorando perdono [“Voce mitissima omnibus dixit: si arbitramini humilem Julianum vencno occidere, ecce coram vobis pestiferum calicem bibo: signansque ter digito suo calicem, et dicens: In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti bibo hunc calicem, bibit illuni coram omnibus tot uni, atque illaesus perstitit. Quod illi cum vidissent, prostrati veniam petiere. (Sophron. in Prat. Spirit.)]. – È mestieri essere bacelliere del secolo decimonono per ignorare il fatto seguente. Se v’ha una vita da esser nota a tutti, è per fermo, quella del patriarca de’ monaci di occidente, Benedetto. Nuovo Mosè, a lui ed ai suoi figli l’Europa deve l’esser stata sottratta alla barbarie. Mostrate una landa materiale o morale che dal Benedettino non sia stata dissodata? Un principio civilizzatore che non sia stato coltivato, insegnato e praticato? Dio sa a prezzo di quali sacrifìzii! Quel che sappiamo si è, che satana, vecchio Faraone, non rincula d’innanzi ad alcun mezzo per impedire l’opera liberatrice; epperò come Benedetto si raccoglie nella solitudine, gli si assembrano d’intorno alcuni monaci, indegni di tal nome, supplicando il santo di rendersene direttore. Questi loro impone una regola, e con la parola e 1’esempio cerca accostumarli al giogo della disciplina. Vani sforzi! Gli esempi feriscono l’orgoglio de’ frati, le parole ne provocano la collera e ne accendono l’odio. La risoluzione è presa; il superiore deve morir di veleno: pensato, fatto. Un bicchier di vino avvelenato gli è presentato, perché, secondo il costume, lo benedicesse. Benedetto lo benedice, ma il bicchiere va in mille schegge. Il santo comprese che una coppa di morte gli era presentata, che non poteva reggere al segno della vita [“Extensa manu Benedictas Signum crucis edidit, et vas quod longius tenebatur, eodem signo rupit, sieque confractum est, ac si in illo vase mortis pro cruce lapidem dedisset. Intellexit protinus vir Dei quia potum mortis habuerat, quod portare non potuit Signum vitae”. (S. Greg. Dialog., lib. II, c. 3)]. – Per questi esempi e per mille altri di simil fatta t’è facil cosa comprendere qual potente preghiera sia il segno della croce, quante grazie ne apporti, e come preservi questa nostra fragile esistenza da’ pericoli che la minacciano e circondano. – In Francia, nella Spagna e nell’Italia e credo nelle altre regioni, i cattolici costumano segnarsi al tuono della folgore, e quando lampeggia. Gl’indifferenti se ne burlano, come se i veri cattolici de’ secoli scorsi, che ci precedettero, fossero tutti spiriti da nulla e superstiziose femminucce. Ora ne’ casi indicati ed in tutti i pericoli noi vediamo il segno della croce in uso presso i cristiani dell’oriente e dell’occidente, sino da’ primi tempi della Chiesa. S. Efrem, S. Agostino, S. Gregorio di Tours, mille altri testimoni, l’han visto per noi e l’attestano. « Se il lampo squarcia le nubi, dice il santo Diacono di Edessa, se la folgore scoppia, l’uomo s’impaura, e tutti intimoriti c’inchiniamo verso la terra » [“Si repente fulgur aliquod, vel tonitruum clarius ac vastius contingat, omnem subito sui formidine perterrèt hominem, cunclique horrore perculsi in terram nos inclinamus”. (S. Ephrem. Serra, de Cruc). – Il Santo parla del segno della croce, e benché non lo nomini, è evidente che esso aveva luogo in questa circostanza, poiché non si mancava di farlo ad ogni istante e nelle azioni le più ordinarie]. – S. Angostino parlando di quelli, che usano mondane riunioni, aggiunge: « Se un qualche accidente loro mette paura, tosto formano il segno della croce » (2). (S) [“Si forte aliqua ex causa expavescunt, continuo se signant.” Aug.,lib. 50 homel.: homel. XXI]. – S. Gregorio racconta, come cosa nota a tutti, che sotto l’impressione di un timore ed a vista di qualsiasi pericolo, i cristiani facevano ricorso al segno protettore. Fra mille fatti il seguente ne sia prova [S. Greg. Turon., lib. Il miracul., S. Martini, c. 45]. – Due uomini si conducevano da Ginevra a Losanna. Un uragano violento li sorprende, accompagnato da spessi lampi e tuoni. Uno de’ viaggiatori, secondo l’uso cristiano, fa il segno della croce, e l’altro beffandosene gli dice: Che? scacci le mosche ? Lascia le superstizioni da femminette. Simili anticaglie disonorano la religione, e sono indegne di un uomo illuminato! Non ebbe detto ciò, che un fulmine lo stende morto a’ piedi del compagno. Questi continuò a difendersi col segno salutare; compì il suo viaggio prosperamente, e propalò da per tutto l’accaduto [Tilman.. Collec. de’ Santi, lil. VII, c 58]. – Avviso agli spiriti forti! – Il segno della croce non protegge solamente la umana vita, ma quanto gli appartiene: desso è pegno di sicurezza. Quindi l’uso universale di apporre siffatto segno sulle case, nei campi, su i frutti e gli animali. « I cattolici , dice il grave Stuckius, hanno delle preghiere accompagnate dal segno della croce per ciascuna creatura, per le acque, le foglie, i fiori, l’agnello pasquale, il latte, il miele, il formaggio, il pane, i legumi, le uova, il vino, l’olio ed i vasi a contenerlo. In ciascuna formula di benedizione eglino domandano espressamente che la malefica potenza di satana ne sia allontanata, e pregano Dio per ottenere la sanità dell’anima e del corpo ». II giorno della Risurrezione benedicono il latte, il miele, le vivande, le uova, il pane, quanto si conserva ed è considerato’ come salutare all’anima. Il giorno dell’Ascensione, le erbe, le piante, le radici per loro comunicare una virtù divina. Il giorno di S. Giovanni il vino, considerato, senza tale benedizione, come impuro e male. Il giorno di S. Giovanni i pascoli; ed in quello di S. Marco le messi. E con ciò eseguono il comando di S. Paolo, che impone a’ fedeli di benedire quanto serve alla vita, e renderne grazie a Dio; uso misterioso, di che i Teologi apportano eccellenti ragioni [“Cuius sane rei a theologis, et quidem optimae, gravissima que rationes afferuntur”. Stukius Àntiq convivivi, lib. II, C. 36, p. 430′]. – Queste creature liberate, mercé il segno della croce, dalla influenza di satana, diventano strumento della inesausta bontà del Creatore ». – Leggesi in S. Gregorio di Tours, che una malattia distruggeva siffattamente il bestiame da temerne fin la perdita [“Mox dicto citius, clandestina peste propulsa, pecora liberala sunt”. s. Grog. Turon., lib. Ili Mimati. S. Martin, c. XVIII]. – Nella loro costernazione, alcuni abitanti si condussero alla basilica di S. Martino, presero l’olio che bruciavasi nella lampada, e dell’acqua benedetta; portatisi nelle loro dimore, con essi segnarono le teste delle bestie non ancora affette, e ne diedero a bere a quelle, che non erano ancora perite: tutte furono salve.

[NOTA – Perché i fedeli possano intendere come per le benedizioni siano le cose sottratte all’azione di satana, vogliamo aggiungere a quanto dice l’autore, poche parole sulla “benedizione ecclesiastica”. Innanzi tutto è da avvertire, che benedire, da che è la voce benedizione, può avere un triplice significato. Il primo è dalla parola istessa che significa parlare vantaggiosamente di qualcuno, lodarlo, dirne del bene. Psal. XXXIII. Benedicami Augurare altresì prosperità è il secondo: Super populum tuum benedictio tua. Psal. III. Infine il terzo significa consacrare, santificare una qualche cosa, perché fosse o convenevole materia del sacrifizio o dei sacramenti, o che divenga strumento di salute sia per l’anima, che pel corpo. In quest’ultimo significato, dicesi benedizione ecclesiastica. Questo non è altro che una cerimonia ecclesiastica, con la quale la Chiesa dimanda a Dio del bene per le persone, o le cose. Distinguesi quindi dalla benedizione divina, che è conferire il bene dimandato, e dalla benedizione che ciascuno può dare, come quella de’ genitori e de’ superiori tutti. Questa benedizione ecclesiastica è di due specie, l’una invocativa, l’altra costitutiva. Per la prima si domanda a Dio il bene per la persona o la casa, senza che venga mutata la destinazione, o natura dell’oggetto per cui domandasi. Di siffatta natura è la benedizione episcopale o sacerdotale, ecc. Per la seconda le cose e le persone sono costituite in uno stato permanente di cosa sacra, religiosa, dedicata a Dio siffattamente, da non poter tornare ad uso profano. Gli oggetti e le persone siffattamente benedette possono avere un triplice fine e scopo. Sono dirette a significare e rappresentare qualche cosa di sacro come il cereo pasquale, le immagini, le palme, ecc., o ad esercitare gli uffici di religione, come i vescovi e i preti, i monaci; o a servire di mezzo a benedire, a santificare le cose e le persone, come l’acqua benedetta, gli oli, le vesti sacre. – Per la benedizione constitutiva le cose sono sottratte all’azione di satana; poiché la Chiesa per l’autorità ricevuta contro satana nella persona degli apostoli, impedisce a questo inimico esercitare le sue influenze su quanto da essa è deputato al culto divino; ed ancora perché in alcune benedizioni comincia dagli esorcismi, ed in tutte, usa sempre del segno della croce (l), che ha per suo scopo ed effetto scacciare satana, come santo Agostino: Tract. 118 in loan., et ser. de temp. 181, e san Giovanni Grisostomo, hom. 55 in Malli, insegnano. Istesso effetto è prodotto dalla benedizione invocativa. La preghiera della Chiesa è meritoria ed impetrativa, però il suo ministro pregando Dio in suo nome nella benedizione, affinché sottraesse le persone e le cose all’azione di satana, il Signore, se la sua bontà lo crede espediente per la salute de’ fedeli, ascolta la preghiera della sua sposa: Matth. VII, Luc. II. “Petite et accipietis; omnis qui petit accipit”].

Citiamo un ultimo esempio della potenza protettrice del segno della croce. S. Germano, vescovo di Parigi, si portava ad incontrare le reliquie di. S. Simforiano martire, quando gli abitanti di un villaggio, ch’egli traversava, lo pregarono di aver compassione di una povera vedova, il cui piccolo campo era divorato dagli orsi. “Vieni, gli dicevano, a vedere il povero campo, e le bestie distruggitrici fugiranno per la tua presenza”. Tuttavolta i compagni del santo si opponessero, egli si recò sul campo e lo benedisse col segno della croce. Tosto arrivarono due orsi, ma presi da furore cominciano a combattere fra loro; uno resta ucciso, l’altro gravemente ferito, che in seguito fu morto a colpi di piuoli, e la vedova nulla ebbe più a temere per la sua raccolta [Fortunati, In vita S. Germani.] – L’istoria e piena di simili fatti; ma basti per quest’oggi.

La basilica distrutta

basilica-distrutta

La basilica distrutta

Ha forse un significato simbolico la rovina a Norcia della Basilica di San Benedetto, patrono dell’Europa una volta cristiana? E’ forse il sigillo della Chiesa europea, che oramai ha perso ogni legame con il Cattolicesimo Romano? Il Patrono d’Europa ha voluto segnalare così a tutti noi che il suo patrocinio sull’Europa è decaduto, polverizzato? Roma e tutta l’Europa, come  anticipato da molteplici profezie, sono in piena e conclamata apostasia, guidate da una falsa e blasfema gerarchia che ha insediato la “sinagoga di satana” tra le mura della Chiesa Cattolica. A noi sparuti, superstiti Cattolici che vogliono con ostinazione conservare la fede in Cristo e nella sua vera ed unica Chiesa, in comunione con il Santo Padre Gregorio XVIII, non resta che attendere il ben meritato castigo e, nella penitenza e nella sofferenza, pregare il Cuore Immacolato della Vergine Maria perché abbia di noi pietà ed acceleri il suo trionfo sulle “porte del male”, onde la Chiesa di Cristo, Maestra dei popoli, e UNICA Via della salvezza eterna, possa nuovamente far risplendere nel mondo la luce della verità. La foto è perfetta: della Basilica solo la facciata è rimasta, così come solo la facciata esterna conserva la falsa “chiesa dell’uomo”, l’ecumenista e modernista blasfemo “tempio” postconciliare.

ORIGINI DELLA « QUINTA COLONNA »

30 cardinal-lienart-cardinal-bea-freemasons

[Il trionfo della quinta colonna]

ephod-paul-ix-jewish-freemason

[Il trionfo del sommo marrano]

lupo StemmaPonte

ORIGINI DELLA « QUINTA COLONNA »

[M. Pinay: “Complotto contro la Chiesa”- Roma, 1962]

 Allo scopo di fornire esauriente dimostrazione sulla fondatezza dei fatti da noi narrati nel precedente capitolo, chiameremo in causa un testimonio illustre ed importante le cui prove, soprattutto per gli ebrei, sono esaurienti ed indiscutibili. Ci riferiamo all’insigne storico ebreo contemporaneo Cecil Roth, giustamente stimato, nel mondo giudaico come il più illustre. Soprattutto in materia di criptogiudaismo. Nella sua celebre opera Historia de los Marranos (con l’appellativo di marrani l’autore ebreodefinisce dispregiativamente coloro tra gli ebrei che per paura o per tornaconto personale hanno nascosto e nascondono la loro origine e la loro fede religiosa, n.d’A.). Cecil Roth ci rivela molti interessanti dettagli su come gli ebrei, grazie alla loro apparente conversione, riuscirono ad introdursinella Cristianità, comportandosi in pubblico come cristiani, però conservando in segreto la religione ebrea. Egli ci dimostra anche come questa fede clandestina possa trasmettersi da padre in figlio, coperta dall’apparente attivismo cristiano. – Nella sua opera suddetta — Editoriale d’Israele, Buenos-Ayres, anno 1946 (anno ebreo 5706) — Cecil Roth scrive testualmente :

« Introduzione- Precedenti del cripto-giudaismo

« Il cripto-giudaismo, nelle sue diverse forme, è antico come lo stesso giudaismo. Nei tempi della dominazione ellenica in Palestina, i deboli di carattere cercavano di nascondere la loro origine, allo scopo di sottrarsi al ridicolo negli esercizi atletici. Sotto la ferula romana essi continuarono egualmente nei loro sotterfugi onde evitare il pagamento dell’imposta speciale ebrea: il Fisco giudaico, istituito dopo la caduta di Gerusalemme. Lo storico Svetonio ci fornisce una viva relazione delle angherie patite da un nonagenario, sul conto del quale si intendeva scoprire se fosse o no ebreo. « L’attitudine ebrea ufficiale, così come viene espressa nelle sentenze dei rabbini, non può essere maggiormente chiara. Un uomo può e deve salvare la sua vita in pericolo, con qualsiasi mezzo, eccezion fatta per l’assassinio, l’incesto, e l’idolatria. Questa massima si applicava nei casi in cui veniva imposto un pubblico gesto di rinuncia alla fede. Il semplice occultamento del Giudaismo era, in cambio, una cosa del tutto diversa. Gli intransigenti esigevano, è vero, che non si rinunziasse agli abiti tradizionali, anche se ciò veniva imposto come mezzo di oppressione religiosa. Ma una così ferma fedeltà ai principi non poteva essere richiesta a tutti. La legge ebraica tradizionale stabilisce, e consente; eccezione nei casi in cui, per forza maggiore, sia impossibile osservare i precetti e quando tutto il Giudaismo vive giorni difficili. « Il problema divenne attuale negli ultimi anni dei tempi talmudici, nel secolo quinto, durante le persecuzioni di Zoroastro in Persia, ma fu però risolto, più che con il conformismo attivo alla religione dominante, grazie ad una forzata negligenza delle tradizionali osservanze. Il Giudaismo divenne, in un certo modo sotterraneo e solo dopo alcuni anni recuperò la sua intera libertà. « Con l’avvento delle dottrine cristiane, impostesi definitivamente in Europa nel secolo quarto, ebbe inizio una fase particolare della vita ebrea. La nuova fede reclamava per se il possesso della verità e considerava, inevitabilmente, il proselitismo come uno dei suoi maggiori obblighi morali. La Chiesa riprovava, questo è certo, la conversione forzosa. I battesimi impartiti in condizioni siffatte eranoconsiderati nulli. Papa Gregorio il Grande (590-604) li condannò ripetutamente, pur accogliendovolentieri quei proseliti che erano stati attratti con altri mezzi. La maggior parte dei suoi successori seguirono il suo esempio. Malgrado ciò non sempre la proibizione pontificia veniva rispettata, pur riconoscendo, naturalmente, che la conversione forzosa, non era ortodossa. Per evitarla gli ebrei venivano larvatamente minacciati di espulsione e anche di morte; mentre veniva loro detto, che qualora si fossero fatti battezzare sarebbero stati salvi. – « Capitava quindi, a volte, che gli ebrei dovessero sottomettersi a questa dura necessità. E in questo caso la loro conversione al Cristianesimo si considerava spontanea. Si ebbe, in questo modo, una conversione forzosa in massa a Mahon (Minorca), nell’anno 418, sotto gli auspici del vescovo Severo. Un episodio simile capitò a Clermont, in Francia, la mattina del giorno dell’Assunzione dell’anno 576; e nonostante la disapprovazione di Gregorio il Grande, tale esempio venne seguito in diversi altri luoghi della Francia stessa. Nell’anno 629 il re Dagoberto ordinò che tutti gli ebrei accettassero il battesimo pena l’esilio. Il sistema fu imitato dopo poco tempo anche in Lombardia. « Evidentemente le conversioni ottenute con questo mezzo non potevano esser sincere. E nei limiti del possibile le vittime continuavano a praticare occultamente la loro religione e approfittavano della prima occasione per ritornare alla fede dei loro antenati. Un clamoroso caso del genere ebbe a verificarsi in Bisanzio, sotto Leone, nell’anno 723. La Chiesa lo sapeva e faceva quanto era in suo potere per evitare che gli ebrei continuassero a intrattenere relazioni con i loro fratelli rinnegati, qualunque fosse stato il mezzo con il quale era stata ottenuta la conversione. « I rabbini chiamavano questi apostati riluttanti « anusim » (forzati), trattandoli diversamente da coloro che rinnegavano la fede di propria volontà. Una delle prime manifestazioni della sapienza rabbinica in Europa fu il libro di Gerschom, di Magonza, Luce dell’esilio, scritto all’incirca nell’anno 1000, nel quale veniva vietato di trattare duramente i « forzati » che ritornavano al Giudaismo. Proprio il figlio dello scrittore era stato vittima delle persecuzioni; e pur essendo morto come cristiano Gerschom lo piangeva come se fosse morto nella sua vera fede. « Nel servizio di sinagoga c’è una orazione che implora la protezione divina per tutta la Casa d’Israele, anche per i ” forzati ” che fossero in pericolo, in terra a in mare senza fare distinzione alcuna. Quando ebbe inizio il martirologio del giudaismo medioevale, con la strage sul Reno, verificatasi durante la prima crociata (1096) numerose persone accettarono il battesimo per aver salvala vita. Più tardi, incoraggiati e protetti da Salomon Ben Isaac de Troyes (Rachi), il grande saggio ebreo francese, molti di loro ritornarono alla fede dei padri, malgrado che le autorità ecclesiastiche guardassero di malocchio la perdita di queste preziose anime, guadagnate da loro alla Chiesa. « Il fenomeno del marranismo senza dubbio, va altre la conversione forzosa e la conseguente pratica segreta del giudaismo. La sua caratteristica principale è questa : la fede clandestina si trasmette egualmente da padre in figlio. « Una delle ragioni addotte per giustificare l’espulsione degli ebrei dall’Inghilterra, nel 1290, fu che essi seducevano i recenti convertiti, e li facevano ritornare nel « vomito del giudaismo ». Cronisti ebrei aggiungono che molti ragazzi vennero sequestrati e inviati nel nord del paese, dove continuarono per lungo tempo a praticare la loro antica religione. Anche a questo fatto si deve, informa uno di essi, la prona accettazione della Riforma, così come la predilezione per i nomi biblici e certe peculiarità dietetiche scozzesi. La versione è meno improbabile di quanto a prima vista potrebbe sembrare e costituisce un interessante esempio di come il fenomeno del cripto-giudaismo possa rivelarsi nei luoghi apparentemente meno indicati. “Duecento anni dopo che gli ebrei furono espulsi dal sud della Francia, taluni maliziosi esperti in genealogia scopriranno tracce di sangue ebreo — di quegli ebrei! — in talune altolocate famiglie, le quali stando alle dicerie continuarono a praticare il giudaismo nella intimità dei loro focolari. Si tratta, è chiaro, di ebrei, che preferirono restare nel Paese quali cattolici dichiarati e confessi, anziché affrontare le asprezze e le incognite dell’esilio. « Esempi simili esistono anche nei tempi molto più prossimi a noi. Il più notevole di tutti è l’episodio dei neofiti di Puglia (Italia) venuto recentemente alla luce dopo molti secoli di oblio. Verso la fine del secolo XIII gli Angioini, che regnavano su Napoli, provocarono una conversione generale degli ebrei dei loro domini, la cui comunità risiedeva nelle vicinanze di Trani. Sotto il nome di « neofiti » i convertiti continuarono a vivere come cripto-giudei durante più di tre secoli e la loro segreta fedeltà all’ebraismo fu uno dei motivi per i quali l’Inquisizione fu tanto attiva a Napoli nel secolo XVI. Molti di essi morirono sul rogo, a Roma nel febbraio del 1572; tra essi tale Teofilo Panarelli, un saggio di illustre reputazione. Alcuni riuscirono a fuggire nei Balcani e s’incorporarono nelle locali comunità. I loro discendenti conservano ancora oggi, nel sud dell’Italia, taluni vaghi ricordi dell’ebraismo. « Né il fenomeno può dirsi ristretto unicamente al mondo cristiano, perché si è infatti verificato sovente anche in diversi luoghi di quello musulmano, dove è ancora facile imbattersi in antiche comunità di criptogiudei. I daggatun del Sahara, per esempio, continuarono a praticare i loro precetti ebrei molto dopo la loro formale conversione all’Islam, ed i loro eredi odierni non li hanno ancora del tutto dimenticati. I donmeh di Salonicco, altro esempio, discendono da coloro che seguirono lo pseudomessia Sabbetai Zevi nella sua apostasia, e, anche se ostentatamente appaiono quali perfetti mussulmani, praticano in segreto un giudaismo messianico. « Oltre a questi, si hanno numerosi altri esempi. Le persecuzioni religiose in Persia, iniziatesi nel secolo XVII, hanno lasciato nel Paese, particolarmente a Meshed, numerose famiglie che osservano privatamente il Giudaismo con puntigliosa scrupolosità, mentre esteriormente appaiono come devotissime adepte della fede dominante. « Il Paese tipico del cripto-giudaismo è, però, la Spagna. La tradizione è divenuta colà talmente generale e lunga, che è da sospettarsi l’esistenza di una predisposizione marranica nell’atmosfera stessa del paese. Già nel periodo romano gli ebrei erano numerosi e influenti. Molti di essi pretendevano discendere addirittura dalla aristocrazia di Gerusalemme, condotta in esilio da Tito e dai precedenti conquistatori. Nel secolo V, dopo le invasioni barbariche, la loro situazione migliorò assai, in quanto i Visigoti, voltisi alla forma ariana del cristianesimo, erano favorevoli agli ebrei perché strettamente monoteisti, e anche perche essi formavano una influente minoranza il cui appoggio valeva la pena di assicurarsi. « Convertitisi però alla fede cattolica, i Visigoti dimostrarono subito il tradizionale zelo di tutti i neofiti e gli ebrei furono immediatamente le vittime di questo zelo. Salito al trono Recaredo nell’anno 589, la legislazione ecclesiastica cominciò ad essere applicata sin nei minimi dettagli. I suoi successori non furono invece così severi. Asceso alla regalità Sisebuto (612-620) prevalse però il suo acceso fanatismo. Questi infatti, forse istigato dall’imperatore bizantino Eraclio, promulgò nel 616 un editto col quale ordinò il battesimo di tutti gli ebrei del suo regno, pena l’esilio e la confisca dei beni. Stando ai resoconti dei cronisti del tempo novantamila ebrei abbracciarono la fede cristiana. Fu questa il primo dei grandi disastri che la storia degli ebrei spagnoli dovette registrare. « Fino al regno di Rodrigo, l’ultimo dei Visigoti, la tradizione persecutoria fu seguita fedelmente, salvo brevi interruzioni. Durante gran parte di questo tempo infatti, la pratica del giudaismo era completamente proibita, ma allorquando la vigilanza del governo divenne meno rigida, i più recenti convertiti approfittarono della situazione per tornare alla loro fede d’origine. I successivi Concili di Toledo, dal quarto sino al decimo ottavo, consacrarono le loro energie nel prescrivere sempre nuove norme che impedissero il ritorno alla sinagoga. I figli dei sospetti vennero separati dai loro padri, ed educati in una atmosfera cristiana incontaminata. Venne fatta obbligo ai conversi di firmare una dichiarazione con la quale essi si impegnavano a non praticare in futuro nessun rito ebreo, eccezion fatta per l’interdizione della carne di maiale per la quale essi affermavano di sentir ripugnanza fisica. « Malgrado. questa però, la infedeltà dei recenti convertiti e dei loro discendenti continuò notoriamente e costituì sempre uno dei più gravi problemi della politica visigota, sino all’invasione araba del 711. – « Il gran numero di ebrei trovati nel Paese dagli arabi dimostra il completo fallimento di tutti i ripetuti tentativi di convertirli. Così ha avuta inizio nella Penisola Iberica la tradizione marranica. « Con la venuta degli arabi ebbe inizio per gli ebrei di Spagna un’età d’oro; prima con il califfato di Cordova, e, dopo la sua caduta, (1012) nei regni minori che si costituirono sulle rovine, del califfato, il giudaismo peninsulare si rafforzò notevolmente e le sue comunità superarono in numero, cultura e ricchezza tutte le altre dell’Occidente. « La lunga tradizione di tolleranza s’interruppe con l’invasione degli Almoravidi, all’inizio del secolo XII. Quando i puritani Almohades — una setta nord-africana — vennero chiamati nella penisola, nel 1148, per contenere la minacciosa avanzata delle forze cristiane, la reazione esplose violenta. I nuovi governanti introdussero in Spagna l’intolleranza di cui avevano data prova in Africa e la pratica religiosa, vuoi dell’Ebraismo che del Cristianesimo, venne proibita nelle provincie ancora soggette al dominio musulmano. La maggior parte degli ebrei si rifugiarono allora nei regni cristiani del nord, e da questo periodo data l’inizio dell’egemonia delle comunità israelitiche della Spagna cristiana. « La minoranza di coloro che non potettero fuggire, e che non riuscirono a salvarsi dall’essere sgozzati a venduti schiavi, segui invece l’esempio dato anni prima dai fratelli del Nord-Africa: abbracciò la religione dell’lslam. Nel sua intima però, continuò a professare la fede dei suai avi. Così ebbe vita, ancora una volta nella Penisola Iberica il fenomeno dei proseliti insinceri che pagavano, unicamente con le labbra, il loro tributo alla religione dominante, mentre nel segreto dei focolari coltivavano la tradizione ebrea. La loro infedeltà era notoria ». [Cecil Roth, Historia de los Marranos, Ediz. cit., da p. 11 a 18]. – Sin qui la trascrizione integrale del testo del suddetto storico ebreo, Cecil Roth, che dimostra: – I. Che il cripto-giudaismo o giudaismo clandestino, nelle sue diverse forme, è antico come gli stessi ebrei e che gli stessi ebrei — anche nei tempi dell’antichità pagana — ricorrevano già all’artificio di nascondere la loro qualità e quindi apparire come membri ordinari del popolo Gentile nel cui territorio vivevano. – II. Che nel secolo V dell’era cristiana, durante la persecuzioni Zoroastrica in Persia, il Giudaismo si trasformò sicuramente in occulto. – III. Che con l’affermarsi, nel IV secolo, della dottrina cristiana, ebbe inizia una nuova fase della vita ebrea, in quanto la Chiesa reclamava il possesso esclusivo della Verità, considerando, così, inevitabilmente, il proselitismo come uno dei suoi maggiori obblighi morali. – Anche se la Chiesa cristiana condannò le conversioni forzose e si adoperò per proteggere gli ebrei, tollerò, pur tuttavia, che gli stessi venissero fatti oggetto di pressioni o posti dinanzi a dilemmi che inducessero a convertirsi; e in questo caso le conversioni vennero giudicate spontanee. L’autore suddetto cita in proposito le conversioni di questo genere avvenute a Minorca, in Francia e in Italia durante i secoli V e VI dell’era cristiana, per dopo concludere che queste conversioni di ebrei al Cristianesimo non poterono esser sincere e che i convertiti continuarono quindi a praticare occultamente il Giudaismo. – L’autore stesso segnala inoltre che qualcosa del genere si verificò anche a Bisanzio, ai tempi di Leone, nell’anno 723, dimostrando così che già nel secolo ottavo dell’era cristiana, ossia altre milleduecento anni orsono, dalla Francia a Costantinopoli, cioè da un estrema all’altro dell’Europa Cristiana, l’infiltrazione degli ebrei nella Santa Chiesa era divenuta un fenomeno generale, mediante, appunto, le false conversioni. – Tutto ciò ha condotto alla formazione di un giudaismo sotterranea che vive al fianco di quello palese i cui membri apparentemente sembrano cristiani. In quella parte del libro in cui l’autore parla della leggenda di Elcanan, il Papa ebreo, si rileva ancora una volta quale è l’ideale supremo che questi falsi cristiani hanno coltivato e accarezzato in tutti i tempi : impadronirsi delle Alte Dignità della Chiesa, sino a poter collocare un Papa ebreo clandestino sul Trono di San Pietro. In questo modo essi s’impadronirebbero della Santa Chiesa per tentare — naturalmente invano — di distruggerla. – IV. Che nel marranismo, altre alla finta conversione e alla segreta pratica della religione anteriore, deve riscontrarsi una radicata tradizione che obbliga gli ebrei a trasmettere questa loro tendenza di padre in figlio. L’autore, infatti, ricordo quanto accadde in Inghilterra e nella Scozia, a partire dall’anno 1290, dove una delle ragioni addotte per espellere gli ebrei, fu che essi inducevano i convertiti a praticare il Giudaismo e un’altra che molti bambini venivano raccolti e inviati nel nord del Paese, dove potevano continuare nella loro antica religione. Occorre rilevare, a questo punto, che dopo il 1290, l’Ebraismo restò proscritto in tutta la Gran Bretagna, dove nessuno poté eleggere dimora senza essere cristiano. La menzione fatta dall’illustre storico ebreo — il quale ha tratta le notizie da un cronista dell’epoca — relativa alla supina acquiescenza degli inglesi alla Riforma e alla loro predilezione per i nomi biblici, dovute ancora una volta, fu la « quinta colonna » ebrea, costituita da questi falsi convertiti al cristianesimo, quella che, operando nella Gran Bretagna, facilitò la sua separazione dalla Chiesa di Roma. Apparve evidente anche in Gran Bretagna che attraverso queste false conversioni la Santa Chiesa, lungi dall’ottenere la sperata salvazione di alcune anime, ne perdette milioni di altre, in quanto i discendenti dei falsi convertiti hanno fomentato lo scisma protestante. Anche il caso dei neofiti del Sud dell’Italia, riferita da Cecil Roth, i quali operarono lo loro falsa conversione al cristianesimo, spicca per la sua evidenza. Dovette trattarsi, non c’è dubbio, di un fatto molto importante, se di questo fu obbligata ad occuparsi la Santa Inquisizione, per cui molti dei perseguiti finirono i loro giorni a Roma, sul rogo. E’ anche importantissimo sottolineare che la Santa Inquisizione che funzionò a Roma fu, naturalmente la Santa Inquisizione Pontificia, la cui benemerita istituzione, avvenuta nel Medio Evo — e ciò non sarà mai ripetuta abbastanza! — riuscì a bloccare per tre secoli i progressi della bestia apocalittica dell’Anticristo. – V. Che il fenomeno del cripto-giudaismo non fu affatto limitato al mondo cristiano. Si verificò, infatti, anche in diversi luoghi del mondo mussulmano, dove non è difficile incontrare, come l’autore segnala, antiche comunità ebree le quali, al pari di quelle operanti nella Cristianità, pur apparendo devote alla religione del Paese, coltivavano in segreto i loro antichi riti di origine. Ciò rivela che la « quinta colonna » ebrea è operante anche in seno alla religione islamica e che quindi non si è davvero lontani dalla verità affermando che le divisioni e le continue rivolte tra i seguaci di Maometto sono dovute a questa specie di giudaismo. – VI. Che il Paese tipico del cripto-giudaismo è la Spagna, dove la tradizione è stata tanto lunga e diffusa che si può persino sospettare l’esistenza di una predisposizione marranica, nell’atmosferastessa del Paese. – Crediamo che altrettanto possa dirsi del Portogallo e dell’America Latina, dove le organizzazioni segrete dei marrani, ovviamente coperte con la maschera del falso cattolicesimo, hanno creato, come in Spagna, tanti scompigli e si sono infiltrate nel Clero e nelle organizzazioni cattoliche. – Sono in maggioranza marrani anche coloro che controllano le organizzazioni della massoneria e del comunismo e che formano il potere occulto che le dirige. Come in altre parti del mondo, inoltre, anche nei suddetti Paesi, il movimenta antipatria è diretto da ebrei. Ebrei la cui religione è, in gran parte, occulta e sotterranea, celata sotto le apparenze dell’ortodosso eppur falso cristianesimo e sotto i cristianissimi nomi spagnoli e portoghesi che quattro a cinque secoli fa, vennero presi ai padrini di battesimo che testimoniarono sulla conversione e adottati dai loro antenati. – Un conversione opportunistica e di tutto comodo, come abbiamo visto, quindi ostentata e falsa al cento per cento.

2 NOVEMBRE-COMMEMORAZIONE DEI DEFUNTI

_purgatory2 NOVEMBRE

Commemorazione dei DEFUNTI

[Dom Gueranger – l'”anno liturgico” Vol.II]

Non vogliamo, o fratelli, che ignoriate la condizione di quelli che dormono nel Signore, affinché non siate tristi come quelli che non hanno speranza (I Tess. IV, 12). La Chiesa ha oggi lo stesso desiderio che aveva l’Apostolo quando scriveva ai primi cristiani. La verità a riguardo dei morti mette in mirabile luce l’accordo della giustizia e della bontà in Dio, sicché anche i cuori più duri non resistono alla caritatevole pietà che questo accordo ispira, e, nello stesso tempo, offre la più dolce delle consolazioni al lutto di quelli che piangono. Se la fede ci insegna che esiste un Purgatorio dove i peccati da espiare costringono i nostri cari, ci insegna anche che noi possiamo essere loro di aiuto (Concilio di Trento, sess. XXV) ed è teologicamente certo che la loro liberazione, più o meno sollecita, è nelle nostre mani. Ricordiamo qui qualche principio di natura, per chiarire la dottrina.

L’espiazione del peccato.

Ogni peccato causa al peccatore due danni, perché insudicia l’anima e la rende passibile di castigo. Dal peccato veniale, che implica un semplice disgusto del Signore e la cui espiazione dura soltanto qualche tempo, si arriva alla colpa mortale, che implica difformità e rende il colpevole oggetto di abominio davanti a Dio, sicché la sanzione non può essere che un bando eterno, se l’uomo non previene col pentimento, in questa vita, la sentenza irrevocabile. Però, anche cancellando il peccato mortale, si evita la dannazione, ma non ogni debito del peccatore è sempre cancellato. È vero che un’eccezionale sovrabbondanza di grazia sul prodigo può talvolta, come avviene regolarmente nel Battesimo e nel martirio, sommergere nell’abisso dell’oblio divino anche l’ultima traccia del peccato, ma è cosa normale che, in questa vita o nell’altra, la giustizia sia soddisfatta per ogni peccato.

Il merito.

In opposizione al peccato, qualsiasi atto di virtù porta al giusto un doppio profitto: merita per l’anima un nuovo grado di grazia e soddisfa per la pena dovuta per i peccati passati nella misura di una giusta equivalenza, che davanti a Dio spetta alla fatica, alla privazione, alla prova accettata, alla libera sofferenza di uno dei membri del suo Figlio prediletto. Ora, mentre il merito non si può cedere e resta cosa personale di chi lo acquista, la soddisfazione si presta a spirituali transazioni come moneta di scambio, potendo Dio accettarla come acconto o come saldo in favore di altri, – chi è disposto a cedere può essere di questo mondo o dell’altro – alla sola condizione che chi cede deve lui pure in forza della grazia, far parte del corpo mistico del Signore, che è unito nella carità (I Cor. XII, 27). – Come spiega Suarez, nel trattato dei Suffragi, tutto ciò è conseguenza del mistero della Comunione dei santi, manifestato in questo giorno. Penso che questa soddisfazione dei vivi per i morti vale in giustizia (esse simpliciter de iustitia) ed é accettata secondo tutto il suo valore e secondo l’intenzione di colui che l’applica, sicché, per esempio, se la soddisfazione che deriva dal mio atto, serbata per me, mi valesse in giustizia la remissione di quattro gradi di purgatorio, ne rimette altrettanti all’anima per la quale mi piace offrirla (De Suffragiis, Sectio VI).

Le indulgenze.

È noto come la Chiesa in questo assecondi il desiderio dei suoi figli e, con la pratica delle Indulgenze, metta a disposizione della loro carità un tesoro inesauribile al quale di epoca in epoca le soddisfazioni sovrabbondanti dei Santi si aggiungono à quelle dei martiri, a quelle di Maria Santissima e alla riserva infinita delle sofferenze del Signore. Quasi sempre la Chiesa permette che queste remissioni di pena concesse col suo potere diretto ai viventi siano applicate ai morti che non appartengono più alla sua giurisdizione, per modo di suffragio, nel modo cioè che abbiamo veduto. Per cui ogni fedele può offrire a Dio, che lo accetta, il suffragio o soccorso delle proprie soddisfazioni. È sempre la dottrina di Suarez, il quale insegna pure che l’Indulgenza ceduta ai defunti nulla perde dell’efficacia e del valore che avrebbe per noi che siamo ancora in vita. – Le Indulgenze ci sono offerte dappertutto e in tutte le forme e dobbiamo saper utilizzare questo tesoro, ottenendo misericordia alle anime in pena. Vi è miseria più toccante della loro? É così pungente che nessuna miseria della terra l’uguaglia e tuttavia così degna che nessun lamento turba il « fiume di fuoco, che nel suo corso impercettibile le trascina poco a poco all’oceano del paradiso » (Mons. Gay, Vita e virtù cristiane. Della carità verso la Chiesa, 2). Per esse il cielo è impotente perché in cielo non si merita più e Dio stesso, infinitamente buono, ma infinitamente giusto, non può concedere la liberazione, se non hanno integralmente pagato il debito che le ha seguite oltre il mondo della prova (Mt. V, 26). E il debito forse fu contratto per causa nostra, forse insieme con noi e le anime si volgono a noi, che continuiamo a sognare piaceri mentre esse bruciano, e potremmo con facilità abbreviare i loro tormenti! Abbiate pietà di me, abbiate pietà di me voi almeno che siete miei amici, perché la mano del Signore mi ha raggiunto (Giob. XIX, 21).

La preghiera per le anime del Purgatorio.

Lo Spirito Santo non si contenta oggi di conservare lo zelo delle vecchie confraternite, che nella Chiesa si propongono il suffragio dei trapassati, quasi che il Purgatorio rigurgiti più che mai per l’affluenza di moltitudini precipitate in esso ogni giorno dalla mondanità del secolo, e forse per l’approssimarsi del rendiconto finale e universale, che chiuderà i tempi. Suscita infatti nuove associazioni e anche famiglie religiose con l’unico compito di promuovere in ogni maniera la liberazione o il sollievo delle anime sofferenti. – In quest’opera di nuova redenzione dei prigionieri vi sono cristiani che si espongono e si offrono a prendere sopra se stessi le catene dei fratelli rinunciando totalmente, come a tale scopo è consentito, non solo alle proprie soddisfazioni, ma anche ai suffragi che potessero ricevere dopo la morte: atto eroico di carità questo, che non deve essere compiuto senza riflessione, ma che la Chiesa approva [Propagato nel secolo XVIII dai Chierici Regolari Teatini e arricchito di favori spirituali dai Papi Benedetto XIII, Pio VI e Pio IX], perché molto glorifica il Signore e perché il rischio che si corre di un ritardo temporaneo della felicità eterna merita al suo autore di essere per sempre più vicino a Dio, in terra con la grazia e in cielo con la gloria. – Se i suffragi del semplice fedele sono così preziosi, sono molto più preziosi quelli della Chiesa intera nella solennità della preghiera pubblica e nell’oblazione dell’augusto Sacrificio, in cui Dio soddisfa a se stesso per ogni peccato degli uomini! Come già la Sinagoga (II Macc. XII, 46), la Chiesa fin dalla sua origine ha pregato per i morti. Mentre onorava con azioni di grazie i suoi figli martiri nell’anniversario del loro martirio, ricordava con suppliche l’anniversario della morte degli altri suoi figli, che potevano non essere ancora giunti al cielo. Nei sacri Misteri pronunciava quotidianamente il nome degli uni e degli altri col doppio scopo di lode e di supplica; e allo stesso modo che non potendo ricordare in ogni chiesa particolare tutti i beati del mondo intero, tutti li comprendeva in un unico ricordo, così, dopo le raccomandazioni relative al giorno e al luogo, ricordava i morti in generale. Chi non aveva parenti, né amici, osserva sant’Agostino, non restava privo di suffragi, perché riceveva, per ovviare alla loro mancanza, le tenerezze della Madre comune (De cura prò mortuis, IV). – Siccome la Chiesa aveva sempre seguito la stessa linea nel ricordare i beati e i morti, era da prevedersi che l’istituzione di una festa di tutti i Santi avrebbe portato con sé l’attuale Commemorazione dei defunti. Nel 998, secondo la Cronaca di Sigeberto di Gembloux, l’Abate di Cluny, sant’Odilone, la istituì in tutti i monasteri da lui dipendenti, stabilendo che fosse sempre celebrato il giorno dopo la festa dei Santi. Egli rispondeva così alle rampogne dell’inferno che, con visioni – che troviamo ricordate nella sua vita (Jostsald, 2, 13) – accusava lui e i suoi monaci di essere i più intrepidi soccorritori di anime che le potenze dell’abisso avessero a temere nel luogo di espiazione. Il mondo applaudì al decreto di Sant’Odilone, Roma lo adottò e divenne legge per tutta la Chiesa latina. I Greci fanno una prima Commemorazione dei morti nella vigilia della nostra domenica di Sessagesima, che per essi è di fine carnevale o di Apocreos, nella quale ricordano la seconda venuta del Signore. Essi danno il nome di Sabato delle anime a quel giorno e al sabato precedente la Pentecoste, in cui di nuovo pregano solennemente per tutti i morti.

Le tre Messe.

I sacerdoti possono dal 1915 celebrare tre Messe, grazie alla pietà di Benedetto XV. Una delle Messe è lasciata all’intenzione del celebrante, la seconda è celebrata secondo le intenzioni del Papa e la terza per tutti i fedeli defunti. L’intenzione di Benedetto XV era di venire in soccorso con questa generosità, non solo a quelli che cadevano a migliaia sui campi di battaglia, durante la guerra, ma anche alle anime che avevano visto le loro fondazioni di Messe spogliate dalla Rivoluzione dalla confisca dei beni ecclesiastici.Più recentemente Pio XI accordò una indulgenza plenaria applicabile alle anime del Purgatorio per la visita al Cimitero il 2 novembre e ciascuno degli otto giorni seguenti, a condizione che sia fatta una preghiera secondo le intenzioni del Sommo Pontefice.

I VESPRI DEI MORTI

Eloquenza e scienza non raggiungeranno mai l’altezza di insegnamento e la potenza di supplica che regnano nell’Ufficio dei Morti. Solo la Chiesa conosce i segreti dell’altra vita e la via del cuore di Cristo, solo la Madre può avere il tatto supremo che le permette di consolare gli orfani, gli abbandonati, quelli che sono rimasti sulla terra in lacrime, alleggerendo la purificazione dolorosa ai figli che l’hanno lasciata.

Primo Salmo. [CXIV]

Dilexi: il primo canto del purgatorio è un canto di amore. Le angosce di quaggiù sono finite, sono lontani i pericoli dell’inferno e, confermata in grazia, l’anima non pecca più ed ha in sé soltanto riconoscenza per la misericordia che l’ha salvata, per la giustizia che la purifica e la rende degna di Dio. Il suo stato di quiete assoluta e di attesa fiduciosa è tale che la Chiesa lo chiama « un sonno di pace » (Canone della Messa). – Piacere a Dio, un giorno, senza riserve! Separata dal corpo che l’appesantiva, la distraeva con mille futili preoccupazioni (Sap. IX, 15) l’anima si immerge in questa unica aspirazione e converge tutte le sue energie, tutti i tormenti, dei quali ringrazia il cielo, perché aiuta la sua debolezza a soddisfare tale aspirazione. O crogiolo benedetto nel quale si consumano i resti del peccato, in cui si paga ogni debito! Dalle sue fiamme soccorritrici, sparita ogni traccia dell’antica sozzura, l’anima piglierà il volo verso lo Sposo veramente felice, sicura che le compiacenze del Diletto non avranno per essa limitazioni.

Secondo Salmo. [CXIX]

Come però si prolunga il suo esilio doloroso! Se è in comunione con gli abitanti del cielo per mezzo della carità, il fuoco che la castiga non è materialmente diverso da quello dell’inferno. Il suo soggiorno confina con quello dei maledetti, deve sopportare la vicinanza del Cedar infernale, dei nemici di ogni pace, dei demoni, che perseguitarono la sua vita mortale con assalti, con insidie, che al tribunale di Dio ancora l’accusavano con bocche ingannatrici. La Chiesa si appresta a supplicare: Strappatela alle porte dell’inferno.

Terzo Salmo. [CXX]

Tuttavia l’anima non vien meno e, levando i suoi occhi verso le montagne, sa che può contare sul Signore, che non è abbandonata dal cielo che l’attende, né dalla Chiesa della quale è figlia. Per quanto sia vicino alla regione del pianto eterno, il purgatorio, in cui giustizia e pace si abbracciano (Sai. LXXXIV, 11), non è inaccessibile agli Angeli. Questi augusti messaggeri portano il conforto di divine comunicazioni alle quali si aggiunge l’eco delle preghiere dei beati e dei suffragi della terra. L’anima è ormai sovrabbondantemente assicurata che il solo male, il peccato, non la può più toccare.

Quarto Salmo. [CXXIX]

L’uso del popolo cristiano dedica alla preghiera per i morti il Salmo CXXIX in modo particolare: è un grido di angoscia e, nello stesso tempo, di speranza. La privazione cui sono sottoposte le anime nel purgatorio deve toccare profondamente il nostro cuore. Non hanno ancora raggiunto il cielo, ma ormai hanno cessato di appartenere alla terra e hanno con ciò perduto i favori con i quali Dio compensa i pericoli del viaggio in questo mondo di prove e, per quanto siano perfetti i loro atti di amore, di fede e di speranza, esse non meritano più. Delle sofferenze, che accettate come sono, varrebbero a noi la ricompensa di mille martiri, nulla rimane a queste anime, nulla fuorché il fatto del regolamento di un conto, che la sentenza del giudice ha appurato. – Come non possono meritare, non possono neppure soddisfare come noi alla giustizia per mezzo di equivalenze da Dio accettate. La loro impotenza a giovare a se stesse è più radicale di quella del paralitico di Betsaida (Gv. V) perché la piscina della salvezza la possiede la terra con l’augusto Sacrificio, i Sacramenti e l’uso delle chiavi onnipotenti affidate alla Chiesa. – Ora la Chiesa, che non ha più giurisdizione su di esse, conserva però la sua tenerezza di Madre e la sua potenza presso lo Sposo non è diminuita e quindi fa sue le loro preghiere, apre i tesori, che la sovrabbondante redenzione del Signore le ha procurati, paga con il suo fondo dotale Colui che le ha costituito il fondo stesso, perché liberi le anime o allevii le loro pene e in questo modo, senza ledere alcun diritto, la misericordia si apre il passo e raggiunge l’abisso in cui regnava soltanto la giustizia.

Quinto Salmo.[CXXXVII]

Ti loderò, perché mi hai esaudito. La Chiesa non prega mai invano e l’ultimo salmo dice la sua riconoscenza e la riconoscenza delle anime che l’Ufficio che sta per terminare ha liberate dall’abisso o per lo meno avvicinate al cielo. Grazie a quell’Ufficio e cioè alla Chiesa, più d’una delle anime ancora prigioniere è entrata nella luce. Seguiamo col pensiero e con il cuore i nuovi eletti, che sorridendo e ringraziando noi, loro fratelli o figli, si elevano radiosi dalla regione delle ombre e cantano: Ti glorificherò, 0 Signore, davanti agli Angeli, ti adorerò, finalmente, nel tuo santo tempio! No, il Signore non disprezza le opere delle sue mani.

purgatotio-2

Omelia di S. S. GREGORIO XVII (Cardinal SIRI)

Commemorazione dei defunti [1972]

Un’altra volta, come ieri giorno di tutti i Santi, oggi abbiamo ascoltato le otto beatitudini (Mt V, l-12a), il codice della santità. Noi saremo giudicati secondo questo codice; quelli per i quali intendiamo pregare sono stati giudicati secondo questo codice. – Vedete, è probabile ed è anche abbastanza naturale che quello che ci spinge a pregare per i morti sono cari ricordi, nostalgie, che portiamo in noi di esperienze pregresse, cari volti, cari contorni; e allora preghiamo. In questo caso vedete che il movente della preghiera per i morti è legato a cose personali e allora, quando la preghiera per i morti è legata a memorie personali, affetti che la morte ha interrotto almeno nella loro esterna manifestazione, noi finiamo per pregare per pochi, e i morti sono tanti, tanti. – Dobbiamo portarci su motivazioni più grandi per andare al largo. La preghiera per i defunti, specialmente fatta in una chiesa cattedrale, nella prima chiesa di Liguria, deve andare al largo, e occorrono ragioni che non siano soltanto affettive o sentimentali, ma che ci spingano al largo. – E una ragione l’avete avuta ora nella lettura del Vangelo. Quando si pensa che tutti coloro che sono andati all’eternità – cosa che accadrà per tutti noi -, sono stati giudicati secondo questo codice della santità – “Beati i poveri di spirito, beati i pacifici, beati i miti, beati quelli che hanno fame e sete, beati i misericordiosi”, per arrivare a sentirci dire: “Beati voi quando vi perseguiteranno e diranno di voi ogni male a cagion mia”, capite bene che allora viene freddo a pensarci; se non ci fosse il soccorso della misericordia di Dio, ci si arresterebbe. Ma quando si pensa che tutta l’umanità è stata giudicata su questo codice, quella umanità per la quale è stato promulgato, la cosa diventa difficile. E allora la nostra preghiera deve andare al largo: non basta chiudersi nei nostri ricordi, anche belli, anche onesti, nelle nostre nostalgie, che possono essere utili per la nostra vita, perché talvolta le nostalgie ripresentano le cose migliori, i volti più esemplari, le circostanze più entusiasmanti verso il bene della nostra vita, ma bisogna andare al largo e ricordarsi della serietà di questo giudizio che hanno dovuto passare. Noi, quando siamo al buio o alla mezza luce, non vediamo le macchie dei nostri abiti, ma quando ci esponiamo al sole in una giornata limpida, al sole di mezzogiorno, vediamo quasi le macchie che non ci sono. Ma vi immaginate voi la esposizione di un’anima di fronte a Dio! Come le macchie che la flebile mezza luce poteva anche consentire a noi di non vedere, diventano vivificate, presenti, qualificate per la vergogna di chi le porta. – Ho detto questo perché noi qui non preghiamo solo per la cerchia dei nostri morti, ma in questa cattedrale si è obbligati a pregare, andando al largo, per tutti. Quasi tutti non li abbiamo conosciuti, non abbiamo motivi umani che ci evochino qualche cosa che personalmente ci stringe, ma è la realtà di Dio, la realtà del giudizio e la realtà del criterio in questo giudizio che muove a pregare per tutti. – Anche perché normalmente succede questo: che si ha, si avrà quello che si è dato; un giorno in questa cattedrale pregheranno per tutti noi che siamo qui. Se ragioneranno secondo quello che ho detto in questa sera, la rugiada della loro preghiera arriverà anche a noi. Ma se non facciamo noi, non possiamo aspettare troppo che gli altri facciano. Non è egoismo, è soltanto l’implorazione del misero, del povero – e lo siamo tutti davanti a Dio -, che allarga le braccia, perché abbiamo bisogno della misericordia di Dio come quelli che sono morti non meno che quelli che verranno dopo di noi, e vogliamo poterla cantare in eterno.

FESTA DI OGNISSANTI

 

ognissanti

Hymnus

Placare, Christe, servulis,

Quibus Pátris clementiam

Tuæ ad tribunal grátiæ

Patrona Virgo póstulat.

Et vos beáta, per novem

Distincta gyros ágmina,

Antíqua cum præsentibus,

Futúra damna péllite.

Apóstoli cum vatibus,

Apud severum Júdicem,

Veris reorum flétibus

Exposcite indulgéntiam.

Vos purpurati mártyres,

Vos candidati præmio

Confessiónis, éxsules

Vocate nos in pátriam.

Chorea casta vírginum,

Et quos erémus íncolas

Transmísit astris, cælitum

Locáte nos in sédibus.

Auférte gentem pérfidam

Credéntium de fínibus,

Ut unus omnes únicum

Ovíle nos pastor regat.

Deo Patri sit glória,

Natóque Pátris unico,

Sancto simul Paráclito,

In sempitérna sæcula. Amen.

[Ti placa, o Cristo, coi servi, per i quali la clemenza del Padre implora, presso il tribunale della tua grazia, la Vergine patrona. E voi, schiere beate in nove cori distinte, gli antichi, presenti e futuri mali da noi allontanate. Apostoli e Profeti, presso il severo Giudice al sincero pianto dei rei, implorate clemenza. Voi, porporati Martiri, voi, candidi e gloriosi Confessori, da questo esilio chiamateci alla patria. Casto stuolo delle Vergini, e quanti dall’eremo migraste a popolare il cielo, nelle sedi locateci dei celesti. Sperdete la gente perfida di mezzo ai credenti, onde tutti in unico ovile ci governi un sol Pastore. Sia gloria a Dio, Padre, e al Figlio suo unigenito, insieme collo Spirito Paraclito, per i secoli eterni. Amen.]

 

FESTA DI TUTTI I SANTI

La festa della Chiesa trionfante.

[Dom Gueranger, “l’anno liturgico” vol. II]

« Vidi una grande moltitudine, che nessuno poteva contare, d’ogni nazione, d’ogni tribù, d’ogni lingua e stavano davanti al trono vestiti di bianco, con la palma in mano e cantavano con voce potente: Gloria al nostro Dio » (Apoc. VII, 9-10). Il tempo è cessato e l’umanità si rivela agli occhi del profeta di Pathmos. La vita di battaglia e di sofferenza della terra (Giob. VII, 1) un giorno terminerà e l’umanità, per molto tempo smarrita, andrà ad accrescere i cori degli spiriti celesti, indeboliti già dalla rivolta di Satana, e si unirà nella riconoscenza ai redenti dell’Agnello e gli Angeli grideranno con noi: Ringraziamento, onore, potenza, per sempre al nostro Dio! (Apoc. VII, 11-14). – E sarà la fine, come dice l’Apostolo (I Cor. 15, 24), la fine della morte e della sofferenza, la fine della storia e delle sue rivoluzioni, ormai esaurite. Soltanto l’eterno nemico, respinto nell’abisso con tutti i suoi partigiani, esisterà per confessare la sua eterna sconfitta. Il Figlio dell’uomo, liberatore del mondo, avrà riconsegnato l’impero a Dio, suo Padre e, termine supremo di tutta la creazione e di tutta la redenzione, Dio sarà tutto in tutti (ibid. 24-28). Molto prima di san Giovanni, Isaia aveva cantato: Ho veduto il Signore seduto sopra un trono alto e sublime, le frange del suo vestito scendevano sotto di lui a riempire il tempio e i Serafini gridavano l’uno all’altro: Santo, Santo, Santo, il Signore degli eserciti: tutta la terra è piena della sua gloria (Is. VI, 1-3). – Le frange del vestimento divino sono quaggiù gli eletti divenuti ornamento del Verbo, splendore del Padre (Ebr. I, 3), perché, capo della nostra umanità, il Verbo l’ha sposata e la sposa è la sua gloria, come egli è la gloria di Dio (I Cor. XI, 7). Ma la sposa non ha altro ornamento che le virtù dei Santi (Apoc. XIX, 8): fulgido ornamento, che con il suo completarsi segnerà la fine dei secoli. La festa di oggi è annunzio sempre più insistente delle nozze dell’eternità e ci fa di anno in anno celebrare il continuo progresso della preparazione della Sposa (Apoc. XIX, 7).

Confidenza.

Beati gli invitati alle nozze dell’ Agnello! (ibid. 9). Beati noi tutti che, come titolo al banchetto dei cieli, ricevemmo nel battesimo la veste nuziale della santa carità! Prepariamoci all’ineffabile destino che ci riserba l’amore, come si prepara la nostra Madre, la Chiesa. Le fatiche di quaggiù tendono a questo e lavoro, lotte, sofferenze per Dio adornano di splendenti gioielli la veste della grazia che fa gli eletti. Beati quelli che piangono! (Mt. V, 5). – Piangevano quelli che il Salmista ci presentava intenti a scavare, prima di noi, il solco della loro carriera mortale (Sal. CXXV) e ora versano su di noi la loro gioia trionfante, proiettando un raggio di gloria sulla valle del pianto. La solennità, ormai incominciata, ci fa entrare, senza attendere che finisca la vita, nel luogo della luce ove i nostri padri hanno seguito Gesù, per mezzo della beata speranza. – Davanti allo spettacolo della felicità eterna nella quale fioriscono le spine di un giorno, tutte le prove appariranno leggere. O lacrime versate sulle tombe che si aprono, la felicità dei cari scomparsi non mescolerà forse al vostro rammarico la dolcezza del cielo? Tendiamo l’orecchio ai canti di libertà che intonano coloro che, momentaneamente da noi separati, sono causa del nostro pianto. Piccoli o grandi (Apoc. XIX, 5), questa è la loro festa e presto sarà pure la nostra. – In questa stagione, in cui prevalgono brine e tenebre, la natura, lasciando cadere i suoi ultimi gioielli, pare voler preparare il mondoall’esodo verso la patria che non avrà fine. Cantiamo anche noi con il salmista: « Mi sono rallegrato per quello che mi è stato detto: Noi andremo nella casa del Signore. O Gerusalemme, città della pace, che ti edifichi nella concordia e nell’amore, noi siamo ancora nei vestiboli, ma già vediamo i tuoi perenni sviluppi. – L’ascesa delle tribù sante verso di te prosegue nella lode e i tuoi troni ancora liberi si riempiono. Tutti i tuoi beni siano per quelli che ti amano, o Gerusalemme, e nelle tue mura regnino la potenza e l’abbondanza. Io ho messo ormai in te le mie compiacenze, per gli amici e per i fratelli, che sono già tuoi abitanti, e, per il Signore nostro Dio, che in te abita, in te ho posto il mio desiderio » (Sal. CXXI).

Storia della festa.

Troviamo prima in Oriente tracce di una festa in onore dei Martiri e san Giovanni Crisostomo pronunciò una omelia in loro onore nel iv secolo, mentre nel secolo precedente san Gregorio Nisseno aveva celebrato delle solennità presso le loro tombe. Nel 411 il Calendario siriaco ci parla di una Commemorazione dei Confessori nel sesto giorno della settimana pasquale e nel 539 a Odessa, il 13 maggio, si fa la «memoria dei martiri di tutta la terra». In Occidente i Sacramentari del V e del VI secolo contengono varie messe in onore dei santi Martiri da celebrarsi senza giorno fisso. Il 13 maggio del 610, Papa Bonifacio IV dedicò il tempio pagano del Pantheon, vi fece trasportare delle reliquie e lo chiamò S. Maria ad Martires. L’anniversario di tale dedicazione continuò ad essere festa con lo scopo di onorare in genere tutti i martiri. – Gregorio III, a sua volta, nel secolo seguente, consacrò un oratorio « al Salvatore, alla sua Santa Madre, a tutti gli Apostoli, martiri, confessori e a tutti i giusti dormienti del mondo intero ». – Nell’anno 835, Gregorio IV, desiderando che la festa romana del 13 maggio fosse estesa a tutta la Chiesa, provocò un editto dell’imperatore Luigi il Buono, col quale essa veniva fissata al 1 novembre. – La festa ebbe presto la sua vigilia e nel secolo xv Sisto IV la decorò di Ottava obbligatoria per tutta la Chiesa.

Desiderare l’aiuto dei Santi.

 «Perché possiamo sperare tanta beatitudine dobbiamo desiderare ardentemente l’aiuto dei Santi, perché quanto non possiamo ottenere da noi ci sia concesso per la loro intercessione.» Abbiate pietà di noi, sì, abbiate pietà di noi, voi che siete nostri amici. Voi conoscete i nostri pericoli, voi conoscete la nostra debolezza; voi sapete quanto grande è la nostra ignoranza, e quanta la destrezza dei nostri nemici; voi conoscete la violenza dei loro attacchi e la nostra fragilità. Io mi rivolgo a voi, che avete provato le nostre tentazioni, che avete vinto le stesse battaglie, che avete evitato le stesse insidie, a voi ai quali le sofferenze hanno insegnato ad avere compassione.» Io spero inoltre che gli angeli stessi non disdegneranno di visitare la loro specie, perché è scritto: visitando la tua specie non peccherai » (Giob. V, 24). Del resto, se io conto su di essi perché noi abbiamo una sostanza spirituale e una forma razionale simile alla loro, credo di poter maggiormente confidare in coloro che hanno, come me, l’umanità e che sentono perciò una compassione particolare e più intima per le ossa delle loro ossa e la carne della loro carne.

Confidenza della loro intercessione.

»Non dubitiamo della loro benevola sollecitudine a nostro riguardo. Essi ci attendono fino a quando anche noi non avremo avuta la nostra ricompensa, fino al grande giorno dell’ultima festa, nella quale tutte le membra, riunite alla testa sublime, formeranno l’uomo perfetto in cui Gesù Cristo, nostro Signore, degno di lode e benedetto nei secoli, sarà lodato con la sua discendenza. Così sia » (Discorso sui Santi, passim).

OMELIA di S.S. GREGORIO XVII (G. Siri)

TUTTI I SANTI – S. Messa (1972)

Fratelli miei, tra poco procederemo all’ordinazione sacerdotale di questi quattro diaconi. Ora, riflettiamo bene sul Vangelo che abbiamo sentito leggere. E tolto dal capitolo 5° di Matteo (vv. 1- 12a) e fa parte del Discorso detto della Montagna. Non mi fermo a commentare le otto beatitudini espresse, ma, considerando l’insieme del brano evangelico, mi limito ad alcuni rilievi di carattere generale, che peraltro ritengo estremamente importanti. – Dobbiamo partire da questo punto: le otto beatitudini, enunciate e proclamate ora, contengono il codice della santità. Questo va affermato in modo certo, va scolpito, perché c’è da desiderare che si finisca in questo mondo una buona volta di giocare con le parole, sostituendo le parole e gli slogans al Vangelo, e si ritorni a parlare puramente e semplicemente con le parole che ha usato Nostro Signore Gesù Cristo. Si è abusato e si abusa troppo di parole generiche, che possono dire tutto quello che si vuole e che possono anche dire nulla. Qui abbiamo i l codice della santità. E vorrei osservare che la meta proposta non solo ai sacerdoti, ma ai fedeli è la santità. La santità corrisponde alla giustizia in senso biblico, perché nella Sacra Scrittura quando si parla di giustizia si intende tutto l’insieme per cui una creatura intelligente può piacere a Dio ed entrare nel beneplacito divino. Dico: si deve tendere alla giustizia. Non basta tendere alla comunione, è troppo poco; non basta tendere alla liberazione – chissà poi da che -, è troppo poco; non basta tendere alla solidarietà, è troppo poco; non basta tendere alla redenzione dei mali terreni, che non avverrà mai, è troppo poco, ed è talmente troppo poco da essere un inganno per tutti, poveri e ricchi. Si tende alla santità! Il Vangelo ci chiama a questo traguardo, ed è necessario pronunciare una parola di severa condanna su tutte le sostituzioni e su tutti gli alibi che si tendono a offrire con tante parole vuote agli uomini, alibi affinché facciano tutto quello che loro comoda e per di più si credono, ingannandosi, dì Poter meritare la vita eterna. Dunque è a questo codice della santità che si deve guardare. Le parole umane ci possono ingannare, quelle divine no. – Veniamo ad una seconda considerazione di ordine generale: questi otto canoni che portano alla santità e che sono tali che uno li comprende tutti, sono fra di loro reversibili come gli universali nell’ente. Questi otto canoni hanno un punto di arrivo, che sta al di sopra della santità ed è la vita eterna, perché Gesù promette per quelli che osserveranno questi canoni il Regno di Dio ultimo, perfetto, che è il Cielo. È necessario guardare alla vita eterna. È essa che domina la vita del tempo; gli altri elementi, che possono nello svolgersi dei fatti diventare indicativi per noi, sono elementi che in tanto vanno accolti in quanto possono essere certamente recepiti nella tendenza alla vita eterna. Tutto riguarda la vita eterna: quello che faremo oggi, quello che abbiamo fatto ieri, quello che faremo domani, un lungo domani. Tutto è giustificato solo se tende alla vita eterna. L’alternativa alla vita eterna per i destini ultimi si chiama dannazione; per il tempo, e cioè l’esperienza della vita, si chiama il nulla. Difatti gli uomini sembra che si divertano; non è così! In realtà la gran parte, la quasi totalità del loro divertirsi è semplicemente una fuga. Hanno paura di se stessi, del mistero che portano nell’anima loro e del mistero che sta al fondo di tutte le cose e della storia. La vita eterna: si parli di quella, anche perché in tanto si aggiustano, meglio diremo, si rabberciano le cose di questo mondo in quanto tendiamo alla vita eterna, perché è sul filo di questa tentazione che sta la risoluzione di tutti i problemi terrestri degli uomini. E questa è la seconda considerazione generale. – Passo ad una terza: negli otto canoni della santità noi abbiamo una rivelazione che abbaglia. Tutto quello che potrebbe sembrare rifiuto per gli uomini, serve benissimo per la vita eterna. Gli uomini dal fomite della loro concupiscenza sono portati ad amare prima di tutto se stessi e poi le cose, in quanto le cose sono un arricchimento di se stessi. Dire a loro e parlare a loro della povertà di spirito, la prima delle beatitudini, cioè del distacco del cuore dai beni terreni, è cosa che agli sprovveduti può far paura. E invece no, è la cosa più utile che a loro si possa suggerire sia per l’eternità sia anche per il tempo, perché quando nel tempo si ha il cuore distaccato dalle cose terrene, tutti noi diventiamo padroni e sovrani e solo allora abbiamo l’indipendenza e la libertà. Quando uno non ha il cuore distaccato da se stesso e dai beni terreni, dica quel che vuole, non è un uomo libero, fa pietà, e voi capite quale scorta di pietà occorre avere nel cuore a vedere e a sentire tutto quello che vediamo e sentiamo. Ecco la rivelazione abbagliante degli otto canoni della santità: tutto quello che il mondo scarta come se fosse minorazione, come se fosse debolezza, come se fosse asservimento – no! -; la fame e la sete di giustizia, la sofferenza, il pianto, la mitezza (scambiata dagli uomini come una debolezza, mentre è la più grande forza per dominarli): tutto questo, quello che il mondo pare rifiutare, tutto serve alla vita eterna. Ma l’ho già detto: è quello che serve di più anche a risolvere le questioni terrene. E ringraziamo Iddio che noi, molte volte prigionieri delle cose, di questa terra e costretti quasi al pianto dal loro maligno intersecarsi, possiamo guardare le vicende di questo mondo in qualche modo, non del tutto, come le vedremo quando saremo arrivati nella casa del Padre. – E finalmente vi prego di osservare: questi otto canoni cominciano tutti con la parola “beati”. È grande questo, perché la parola “beati” non si riferisce solo al fatto che avremo la vita eterna e che intanto possiamo godere della speranza e dell’attesa della vita eterna, ma si riferisce anche al tempo. In questo mondo ci può essere una beatitudine, naturalmente imperfetta, naturalmente relativa, naturalmente ridotta e naturalmente contestabile dagli altri. Comunque nostro Signore afferma che in questo mondo pure può esistere una certa beatitudine iniziale, perché l’insieme delle beatitudini fa capire che la beatitudine perfetta è nel Regno, lassù, non quaggiù, ma la possiamo avere. E la cosa è da Lui esplicitamente detta nell’ultima beatitudine, con la quale chiuderemo il nostro discorso, perché dice della peggior cosa di cui abbiano paura gli uomini addirittura: “in questo momento godete ed esultate” (Mt 5, 12). È la rivelazione stupenda di questo canone della santità: Nostro Signore non ci ha condannati alla tristezza di questo mondo, no; sa che ce ne sarà, ma non ci ha condannati, non ci ha obbligati ad essere perennemente tristi, tutt’altro. Ci ha insegnato persino a godere ed esultare quando le cose secondo una piccola ragione umana sembrerebbero addirittura disastrose. E ringraziamo Iddio, perché sappiamo sempre dove poterci rifugiare comunque vadano le cose di questo mondo. – Ed ora, l’ultima beatitudine: “Beati voi quando vi perseguiteranno e, mentendo, diranno di voi ogni male a causa mia” (Mt 5, 11). Causa sua: attenti bene alle parole! “Godete allora ed esultate perché è grande la vostra ricompensa nei cieli” (Mt 5, 12a). Più di così non si può dire. Cari tra poco sacerdoti, questa beatitudine portatela con voi e ringraziate Dio, imparate a ringraziare Dio e a godere quando gli altri vi daranno fastidio. Il fastidio è un inizio della persecuzione, ma è già una piccola persecuzione. Ne troverete tante di cose che vi daranno fastidio. Sappiate che il Salvatore ha detto: “Delle più grandi cose che danno fastidio, godete ed esultate”. Per poter godere ed esultare imparate per tempo a ringraziare Dio di tutte le cose che vi andranno a traverso. Imparate per tempo! Quando si è imparato a ringraziare sempre Iddio, a questo mondo non ci si sta poi troppo male, e non esageriamo con le cose tristi e con le cose severe fuori posto. Portatela con voi questa ottava beatitudine. Ed ora, cari fratelli questa solennità di tutti i Santi è non sotto tutti i punti di vista, ma sotto un certo punto di vista la più grande solennità dell’anno, e noi in questa cattedrale la celebriamo come tale. Perché? Perché è la festa in cui siamo tutti uno, noi quaggiù e quelli che sono in Cielo. Avete sentito legger la visione dell’Apocalisse (7, 2-4.9-14), della liturgia eterna. La visione di questa liturgia eterna è una visione composta con elementi umani, pertanto è un segno, soltanto un segno, che però getta la nostra mente in una ricerca verso l’infinito. Oggi siamo una cosa sola noi e i Santi. È questo i l giorno. Anche perché tra i Santi, dei quali celebriamo la festa, non ci sono soltanto quelli che sono stati canonizzati o beatificati, ci sono tutti coloro che sono in Cielo con Dio. Quindi pensiamo alle molte persone che abbiamo conosciuto. Oggi siamo con loro.

NOVEMBRE è il mese che la Chiesa dedica alle Anime Sante del Purgatorio

“Ahimè, quanto debole è la nostra fede! Se un animale domestico, un piccolo cane cade nel fuoco, si ritarda forse a trarlo fuori? E vedere i vostri genitori, benefattori, le persone più care, contorcersi tra le fiamme del Purgatorio, non è forse nostro dovere urgente alleviare le loro pene? Si ritarda, si consente che passino lunghi giorni di sofferenza per quelle povere anime, senza che si faccia uno sforzo per esercitare le buone opere che possano lenire i loro dolori “.

Schouppe, dal suo libro:. Purgatorio, pp 238-239, 1893 Imprimatur

purgatorio-1

PREGHIERA

L’eterno riposo donate loro, o Signore, e risplenda ad essi la luce perpetua: per sempre con i vostri santi, perché Voi siete misericordioso!

V. Il Signore sia con voi.

R. E con il tuo spirito.

Supplici, Vi preghiamo, o Signore, perché la preghiera del vostro popolo possa essere a beneficio delle anime delle ancelle e dei vostri servi defunti: liberandoli da tutti i loro peccati, rendeteli partecipi della vostra redenzione. Amen.

L’eterno riposo donate loro, o Signore, e lasciate che risplenda su di essi la luce perpetua. Amen. Possano le loro anime e le anime di tutti i fedeli defunti, per la misericordia di Dio, riposare in pace. Amen

anime-purganti

Preghiera per le anime del Purgatorio

O Gesù, Voi che avete sofferto e siete morto affinché tutta l’umanità fosse salvata e portata alla eterna felicità:

Per i cari genitori e nonni, *(*… Gesù mio Misericordia!)

Per i miei fratelli, sorelle ed altri parenti, … *

Per … i miei padrini di battesimo e Cresima, … *

…. i benefattori miei spirituali e temporali, …*

…. i miei amici e vicini, … *

… coloro per i quali ho amore ed obbligo di pregare, *

… coloro che hanno subito da me oltraggi o danni, … *

…. coloro che sono particolarmente amati da Te, … *

…. coloro la cui liberazione è vicina, … *

…. coloro che desiderano essere maggiormente uniti a Te, … *

…. coloro che sopportano le più grandi sofferenze … *

… coloro la cui liberazione è più remota, *

… coloro che non sono mai ricordati, … *

… le anime sofferenti meritevoli per i loro servizi alla Chiesa, … *

…. i ricchi, che sono ora i più indigenti, …*

…. i potenti, che ora sono impotenti, …*

…. i ciechi spirituali di un tempo, che ora vedono la loro follia, … *

…. i frivoli, che hanno trascorso il loro tempo nell’ozio, … *

…. i poveri, che non cercano i tesori del cielo, … *

…. i tiepidi, che hanno dedicato poco tempo alla preghiera, … *

…. gli indolenti, che hanno trascurato di compiere opere buone, … *

…. quelli di poca fede, trascurati nel ricevere frequenti sacramenti, *

…. i peccatori abituali, salvati da un miracolo della grazia, … *

…. genitori che non hanno vegliato sui loro figli, … *

…. i superiori non solleciti per la salvezza di quelli loro affidati,… *

…. coloro dediti alle ricchezze ed ai piaceri mondani, … *

…. coloro che per mondanità, non hanno usato ricchezza e talenti al servizio di Dio, … *

…. coloro che assistendo alla morte di altri, non pensano mai alla loro, … *

…. coloro che non prevedevano vita nell’aldilà, … *

…. coloro la cui pena è grave a causa delle cose grandi a loro affidate, …*

…. i Papi, re e governanti, …*

…. i vescovi ed i loro consiglieri, …*

… i miei insegnanti e direttori spirituali, … *

…. i sacerdoti defunti di questa diocesi, … *

…. i sacerdoti e religiosi della Chiesa cattolica, … *

…. i difensori della santa fede, … *

…. coloro che sono morti sul campo di battaglia, … *

…. coloro che hanno combattuto per il loro paese, … *

…. coloro che sono stati sepolti in mare, … *

…. coloro che sono morti di colpo apoplettico, … *

…. coloro che sono morti di attacchi di cuore, … *

…. coloro che hanno sofferto e sono morti di cancro, … *

…. coloro che sono morti improvvisamente in incidenti, … *

…. coloro che sono morti senza gli ultimi riti della Chiesa, … *

…. coloro che moriranno nelle prossime ventiquattro ore, … *

…. la mia povera anima quando dovrà comparire davanti al vostro tribunale … *

concilio-di-trento

 Il Concilio di Trento – IL PURGATORIO

 primo decreto

Iniziato al terzo giorno del mese di dicembre, MDLXIII., e terminato il quarto giorno, sotto il Sommo Pontefice, Pio IV.

Poiché la Chiesa cattolica, istruita dallo Spirito santo, conforme alle sacre scritture e all’antica tradizione, ha insegnato nei sacri concili, e recentissimamente in questo Concilio ecumenico (403), che il purgatorio esiste e che le anime lí tenute possono essere aiutate dai suffragi dei fedeli e in modo particolarissimo col santo sacrificio dell’altare, il santo Sinodo comanda ai vescovi che con diligenza facciano in modo che la sana dottrina sul purgatorio, quale è stata trasmessa dai santi padri e dai sacri concili (404), sia creduta, ritenuta, insegnata e predicata dappertutto. – Nelle prediche rivolte al popolo meno istruito, si evitino le questioni più difficili e più sottili, che non servono all’edificazione, e da cui, per lo più, non c’è alcun frutto per la pietà. Così pure non permettano che si diffondano e si trattino dottrine incerte o che possano presentare apparenze di falsità. Proibiscano, inoltre, come scandali e inciampi per i fedeli, quelle questioni che servono (solo) ad una certa curiosità e superstizione e sanno di speculazione. – I vescovi, inoltre, abbiano cura che i suffragi dei fedeli viventi e cioè i sacrifici delle messe, le preghiere, le elemosine ed altre pere pie, che si sogliono fare dai fedeli per altri fedeli defunti, siano fatti con pietà e devozione secondo l’uso della Chiesa e che quei suffragi che secondo le fondazioni dei testatori o per altro motivo devono essere fatti per essi, vengano soddisfatti dai sacerdoti, dai ministri della Chiesa e dagli altri che ne avessero l’obbligo, non sommariamente e distrattamente, ma diligentemente e con accuratezza. [Conciliorum Oecumenicorum decreta. – EDB]

purgatotio-2

 Qui di seguito sono elencate le feste che cadono in questo mese:

 

1 novembre: Tutti i Santi, doppio della Classe I

2 novembre: Commemorazione di tutti i fedeli defunti, doppio.

4 novembre: PRIMO VENERDI / S. Carlo Borromeo, Vescovo e Confessore, doppio; Commemoration of Ss. Commemorazione dei Ss.Vitalis and Agricola Martyrs. Vitale e Agricola Martiri.

5 novembre: PRIMO SABATO del mese

6 novembre: XXV Domenica dopo Pentecoste, doppio.

8 novembre: Commemorazione dei Quattro Santi Coronati martiri.

9 novembre: Dedicazione della Arcibasilica del Santissimo Salvatore, doppio della Classe II; Commemorazione di San Teodoro Martire.

10 novembre: S. Andrea Avellino Confessor, doppio; Commemoration of Ss. Commemorazione dei Ss. Trifone Martire, Respicio e Nymfa Martiri.

11 novembre: San Martino Vescovo e Confessore, doppio; Commemorazione di San Menna Martire.

12 novembre: San Martino I Papa e Martire, semplice.

13 Novembre : XXVI Domenica dopo Pentecoste, doppio.

14 novembre: San Josaphat Vescovo e Martire, Doppio.

15 novembre: San Alberto Magno Vescovo, Confessore e Dottore della Chiesa, doppio.

16 novembre: Santa Gertrude Virgin, doppio.

17 novembre: San Gregorio Taumaturgo Vescovo e Confessore, semplice.

18 novembre: Dedicazione delle basiliche dei Ss. Pietro e Paolo, Grande doppio

19 novembre: Santa Elisabetta Vedova, doppio;

Commemorazione di San Ponziano Papa e Martire.

20 novembre: XXVII Domenica dopo Pentecoste, doppio.

21 novembre: Presentazione della Beata Vergine Maria, Gran doppio

22 novembre: Santa Cecilia Vergine e Martire, Doppio.

23 novembre: San Clemente I Papa e Martire, doppio; Commemorazione    di S. Felicita Martire.

24 novembre: San Giovanni della Croce Confessore e Dottore della Chiesa, doppio; Commemorazione di San Crisogono Martire.

25 novembre: Santa Caterina (di Alessandria) Vergine e Martire, Doppio.

26 novembre: San Silvestro Abate, doppio; Commemorazione di San Pietro di Alessandria Vescovo e Martire.

(INIZIO DEL TEMPO SANTO DI AVVENTO)

27 novembre: I Domenica di Avvento, doppio della II Classe.

29 novembre: Commemorazione di San Saturnino.

30 novembre: S. Andrea Apostolo, doppio della Classe II.

Possano le anime di tutti i fedeli defunti, per la misericordia di Dio, riposare in pace. Amen. Amen.

Festa di CRISTO RE

Festa di CRISTO RE

 cristo-re

Et dedit ei potestatem, et honorem, et regnum: et omnes populi, tribus, et linguae ipsi servient: potestas ejus, potestas aeterna, quae non auferetur: et regnum ejus, quod non corrumpetur. [Dan VII, 14]

 Deus, judicium tuum regi da, et justitiam tuam filio regis; judicare populum tuum in justitia, et pauperes tuos in judicio.  [3] Suscipiant montes pacem populo, et colles justitiam. [4] Judicabit pauperes populi, et salvos faciet filios pauperum, et humiliabit calumniatorem.  [5] Et permanebit cum sole, et ante lunam, in generatione et generationem. [6] Descendet sicut pluvia in vellus, et sicut stillicidia stillantia super terram. [7] Orietur in diebus ejus justitia, et abundantia pacis, donec auferatur luna.

[8] Et dominabitur a mari usque ad mare, et a flumine usque ad terminos orbis terrarum. [Ps. LXXI: 3,8]

cristo_re-3

 

CRISTO RE

LETTERA ENCICLICA

QUAS PRIMAS

AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI

PRIMATI ARCIVESCOVI VESCOVI

E AGLI ALTRI ORDINARI

AVENTI CON L’APOSTOLICA SEDE

PACE E COMUNIONE:

SULLA REGALITÀ DI CRISTO.

PIO PP. XI

VENERABILI FRATELLI

SALUTE E APOSTOLICA BENEDIZIONE

cristo-re-5

Introduzione

Nella prima Enciclica che, asceso al Pontificato, dirigemmo a tutti i Vescovi dell’Orbe cattolico — mentre indagavamo le cause precipue di quelle calamità da cui vedevamo oppresso e angustiato il genere umano — ricordiamo d’aver chiaramente espresso non solo che tanta colluvie di mali imperversava nel mondo perché la maggior parte degli uomini avevano allontanato Gesù Cristo e la sua santa legge dalla pratica della loro vita, dalla famiglia e dalla società, ma altresì che mai poteva esservi speranza di pace duratura fra i popoli, finché gli individui e le nazioni avessero negato e da loro rigettato l’impero di Cristo Salvatore. – Pertanto, come ammonimmo che era necessario ricercare la pace di Cristo nel Regno di Cristo, così annunziammo che avremmo fatto a questo fine quanto Ci era possibile; nel Regno di Cristo — diciamo — poiché Ci sembrava che non si possa più efficacemente tendere al ripristino e al rafforzamento della pace, che mediante la restaurazione del Regno di Nostro Signore. – Frattanto il sorgere e il pronto ravvivarsi di un benevolo movimento dei popoli verso Cristo e la sua Chiesa, che sola può recar salute, Ci forniva non dubbia speranza di tempi migliori; movimento tal quale s’intravedeva che molti i quali avevano disprezzato il Regno di Cristo e si erano quasi resi esuli dalla Casa del Padre, si preparavano e quasi s’affrettavano a riprendere le vie dell’obbedienza.

L’Anno Santo e il Regno di Cristo

E tutto quello che accadde e si fece, nel corso di questo Anno Santo, degno certo di perpetua memoria, forse non accrebbe l’onore e la gloria al divino Fondatore della Chiesa, nostro supremo Re e Signore? – Infatti, la Mostra Missionaria Vaticana quanto non colpì la mente e il cuore degli uomini, sia facendo conoscere il diuturno lavoro della Chiesa per la maggiore dilatazione del Regno del suo Sposo nei continenti e nelle più lontane isole dell’Oceano; sia il grande numero di regioni conquistate al cattolicesimo col sudore e col sangue dai fortissimi e invitti Missionari; sia infine col far conoscere quante vaste regioni vi siano ancora da sottomettere al soave e salutare impero del nostro Re. E quelle moltitudini che, durante questo Anno giubilare, vennero da ogni parte della terra nella città santa, sotto la guida dei loro Vescovi e sacerdoti, che altro avevano in cuore, purificate le loro anime, se non proclamarsi presso il sepolcro degli Apostoli, davanti a Noi, sudditi fedeli di Cristo per il presente e per il futuro? – E questo Regno di Cristo sembrò quasi pervaso di nuova luce allorquando Noi, provata l’eroica virtù di sei Confessori e Vergini, li elevammo agli onori degli altari. E qual gioia e qual conforto provammo nell’animo quando, nello splendore della Basilica Vaticana, promulgato il decreto solenne, una moltitudine sterminata di popolo, innalzando il cantico di ringraziamento esclamò: Tu Rex gloriæ, Christe!  – Poiché, mentre gli uomini e le Nazioni, lontani da Dio, per l’odio vicendevole e per le discordie intestine si avviano alla rovina ed alla morte, la Chiesa di Dio, continuando a porgere al genere umano il cibo della vita spirituale, crea e forma generazioni di santi e di sante a Gesù Cristo, il quale non cessa di chiamare alla beatitudine del Regno celeste coloro che ebbe sudditi fedeli e obbedienti nel regno terreno. – Inoltre, ricorrendo, durante l’Anno Giubilare, il sedicesimo secolo dalla celebrazione del Concilio di Nicea, volemmo che l’avvenimento centenario fosse commemorato, e Noi stessi lo commemorammo nella Basilica Vaticana tanto più volentieri in quanto quel Sacro Sinodo definì e propose come dogma la consustanzialità dell’Unigenito col Padre, e nello stesso tempo, inserendo nel simbolo la formula «il regno del quale non avrà mai fine», proclamò la dignità regale di Cristo. – Avendo, dunque, quest’Anno Santo concorso non in uno ma in più modi ad illustrare il Regno di Cristo, Ci sembra che faremo cosa quanto mai consentanea al Nostro ufficio apostolico, se, assecondando le preghiere di moltissimi Cardinali, Vescovi e fedeli fatte a Noi sia individualmente, sia collettivamente, chiuderemo questo stesso Anno coll’introdurre nella sacra Liturgia una festa speciale di Gesù Cristo Re. – Questa cosa Ci reca tanta gioia che Ci spinge, Venerabili Fratelli, a farvene parola; voi poi, procurerete di adattare ciò che Noi diremo intorno al culto di Gesù Cristo Re, all’intelligenza del popolo e di spiegarne il senso in modo che da questa annua solennità ne derivino sempre copiosi frutti.

Gesù Cristo è Re

Gesù Cristo Re delle menti, delle volontà e dei cuori

Da gran tempo si è usato comunemente di chiamare Cristo con l’appellativo di Re per il sommo grado di eccellenza, che ha in modo sovreminente fra tutte le cose create. In tal modo, infatti, si dice che Egli regna nelle menti degli uomini non solo per l’altezza del suo pensiero e per la vastità della sua scienza, ma anche perché Egli è Verità ed è necessario che gli uomini attingano e ricevano con obbedienza da Lui la verità; similmente nelle volontà degli uomini, sia perché in Lui alla santità della volontà divina risponde la perfetta integrità e sottomissione della volontà umana, sia perché con le sue ispirazioni influisce sulla libera volontà nostra in modo da infiammarci verso le più nobili cose. Infine Cristo è riconosciuto Re dei cuori per quella sua carità che sorpassa ogni comprensione umana (Supereminentem scientiae caritatem [1]) e per le attrattive della sua mansuetudine e benignità: nessuno infatti degli uomini fu mai tanto amato e mai lo sarà in avvenire quanto Gesù Cristo.

Ma per entrare in argomento, tutti debbono riconoscere che è necessario rivendicare a Cristo Uomo nel vero senso della parola il nome e i poteri di Re; infatti soltanto in quanto è Uomo si può dire che abbia ricevuto dal Padre la potestà, l’onore e il regno [2], perché come Verbo di Dio, essendo della stessa sostanza del Padre, non può non avere in comune con il Padre ciò che è proprio della divinità, e per conseguenza Egli su tutte le cose create ha il sommo e assolutissimo impero.

La Regalità di Cristo nei libri dell’Antico Testamento.

E non leggiamo infatti spesso nelle Sacre Scritture che Cristo è Re ? Egli invero è chiamato il Principe che deve sorgere da Giacobbe [3], e che dal Padre è costituito Re sopra il Monte santo di Sion, che riceverà le genti in eredità e avrà in possesso i confini della terra [4]. Il salmo nuziale, col quale sotto l’immagine di un re ricchissimo e potentissimo viene preconizzato il futuro Re d’Israele, ha queste parole: «II tuo trono, o Dio, sta per sempre, in eterno: scettro di rettitudine è il tuo scettro reale» [5]. – E per tralasciare molte altre testimonianze consimili, in un altro luogo per lumeggiare più chiaramente i caratteri del Cristo, si preannunzia che il suo Regno sarà senza confini ed arricchito coi doni della giustizia e della pace: «Fiorirà ai suoi giorni la Giustizia e somma pace… Dominerà da un mare all’altro, e dal fiume fino alla estremità della terra» [6]. A questa testimonianza si aggiungono in modo più ampio gli oracoli dei Profeti e anzitutto quello notissimo di Isaia: «Ci è nato un bimbo, ci fu dato un figlio: e il principato è stato posto sulle sue spalle e sarà chiamato col nome di Ammirabile, Consigliere, Dio forte, Padre del secolo venturo, Principe della pace. Il suo impero crescerà, e la pace non avrà più fine. Sederà sul trono di Davide e sopra il suo regno, per stabilirlo e consolidarlo nel giudizio e nella giustizia, da ora ed in perpetuo» [7]. E gli altri Profeti non discordano da Isaia: così Geremia, quando predice che nascerà dalla stirpe di Davide il “Rampollo giusto” che qual figlio di Davide «regnerà e sarà sapiente e farà valere il diritto e la giustizia sulla terra» [8]; così Daniele che preannunzia la costituzione di un regno da parte del Re del cielo, regno che «non sarà mai in eterno distrutto… ed esso durerà in eterno» [9] e continua: «Io stavo ancora assorto nella visione notturna, quand’ecco venire in mezzo alle nuvole del cielo uno con le sembianze del figlio dell’uomo che si avanzò fino al Vegliardo dai giorni antichi, e davanti a lui fu presentato. E questi gli conferì la potestà, l’onore e il regno; tutti i popoli, le tribù e le lingue serviranno a lui; la sua potestà sarà una potestà eterna che non gli sarà mai tolta, e il suo regno, un regno che non sarà mai distrutto» [10]. E gli scrittori dei santi Vangeli non accettano e riconoscono come avvenuto quanto è predetto da Zaccaria intorno al Re mansueto il quale «cavalcando sopra un’asina col suo piccolo asinello» [11] era per entrare in Gerusalemme, qual giusto e salvatore fra le acclamazioni delle turbe?

Gesù Cristo si è proclamato Re

Del resto questa dottrina intorno a Cristo Re, che abbiamo sommariamente attinto dai libri del Vecchio Testamento, non solo non viene meno nelle pagine del Nuovo, ma anzi vi è confermata in modo splendido e magnifico. E qui, appena accennando all’annunzio dell’arcangelo da cui la Vergine viene avvisata che doveva partorire un figlio, al quale Iddio avrebbe dato la sede di David, suo padre, e che avrebbe regnato nella Casa di Giacobbe in eterno e che il suo Regno non avrebbe avuto fine [12] vediamo che Cristo stesso dà testimonianza del suo impero: infatti, sia nel suo ultimo discorso alle turbe, quando parla dei premi e delle pene, riservate in perpetuo ai giusti e ai dannati; sia quando risponde al Preside romano che pubblicamente gli chiedeva se fosse Re, sia quando risorto affida agli Apostoli l’ufficio di ammaestrare e battezzare tutte le genti, colta l’opportuna occasione, si attribuì il nome di Re [13], e pubblicamente confermò di essere Re [14] e annunziò solennemente a Lui era stato dato ogni potere in cielo e in terra [15]. E con queste parole che altro si vuol significare se non la grandezza della potestà e l’estensione immensa del suo Regno?

Non può dunque sorprenderci se Colui che è detto da Giovanni «Principe dei Re della terra» [16], porti, come apparve all’Apostolo nella visione apocalittica «scritto sulla sua veste e sopra il suo fianco: Re dei re e Signore dei dominanti» [17]. Da quando l’eterno Padre costituì Cristo erede universale [18], è necessario che Egli regni finché riduca, alla fine dei secoli, ai piedi del trono di Dio tutti i suoi nemici [19].

Da questa dottrina dei sacri libri venne per conseguenza che la Chiesa, regno di Cristo sulla terra, destinato naturalmente ad estendersi a tutti gli uomini e a tutte le nazioni, salutò e proclamò nel ciclo annuo della Liturgia il suo autore e fondatore quale Signore sovrano e Re dei re, moltiplicando le forme della sua affettuosa venerazione. Essa usa questi titoli di onore esprimenti nella bella varietà delle parole lo stesso concetto; come già li usò nell’antica salmodia e negli antichi Sacramentari, così oggi li usa nella pubblica ufficiatura e nell’immolazione dell’Ostia immacolata. In questa laude perenne a Cristo Re, facilmente si scorge la bella armonia fra il nostro e il rito orientale in guisa da render manifesto, anche in questo caso, che «le norme della preghiera fissano i principi della fede». Ben a proposito Cirillo Alessandrino, a mostrare il fondamento di questa dignità e di questo potere, avverte che «egli ottiene, per dirla brevemente, la potestà su tutte le creature, non carpita con la violenza né da altri ricevuta, ma la possiede per propria natura ed essenza» [20]; cioè il principato di Cristo si fonda su quella unione mirabile che è chiamata unione ipostatica. Dal che segue che Cristo non solo deve essere adorato come Dio dagli Angeli e dagli uomini, ma anche che a Lui, come Uomo, debbono essi esser soggetti ed obbedire: cioè che per il solo fatto dell’unione ipostatica Cristo ebbe potestà su tutte le creature. – Eppure che cosa più soave e bella che il pensare che Cristo regna su di noi non solamente per diritto di natura, ma anche per diritto di conquista, in forza della Redenzione? Volesse Iddio che gli uomini immemori ricordassero quanto noi siamo costati al nostro Salvatore: «Non a prezzo di cose corruttibili, di oro o d’argento siete stati riscattati… ma dal Sangue prezioso di Cristo, come di agnello immacolato e incontaminato» [21]. Non siamo dunque più nostri perché Cristo ci ha ricomprati col più alto prezzo [22]: i nostri stessi corpi sono membra di Cristo [23].

Natura e valore del Regno di Cristo

Volendo ora esprimere la natura e il valore di questo principato, accenniamo brevemente che esso consta di una triplice potestà, la quale se venisse a mancare, non si avrebbe più il concetto d’un vero e proprio principato. – Le testimonianze attinte dalle Sacre Lettere circa l’impero universale del nostro Redentore, provano più che a sufficienza quanto abbiamo detto; ed è dogma di fede che Gesù Cristo è stato dato agli uomini quale Redentore in cui debbono riporre la loro fiducia, ed allo stesso tempo come legislatore a cui debbono obbedire [24]. – I santi Evangeli non soltanto narrano come Gesù abbia promulgato delle leggi, ma lo presentano altresì nell’atto stesso di legiferare; e il divino Maestro afferma, in circostanze e con diverse espressioni, che chiunque osserverà i suoi comandamenti darà prova di amarlo e rimarrà nella sua carità [25]. Lo stesso Gesù davanti ai Giudei, che lo accusavano di aver violato il sabato con l’aver ridonato la sanità al paralitico, afferma che a Lui fu dal Padre attribuita la potestà giudiziaria: «Il Padre non giudica alcuno, ma ha rimesso al Figlio ogni giudizio» [26]. Nel che è compreso pure il diritto di premiare e punire gli uomini anche durante la loro vita, perché ciò non può disgiungersi da una propria forma di giudizio. Inoltre la potestà esecutiva si deve parimenti attribuire a Gesù Cristo, poiché è necessario che tutti obbediscano al suo comando, e nessuno può sfuggire ad esso e alle sanzioni da lui stabilite.

Regno principalmente spirituale

Che poi questo Regno sia principalmente spirituale e attinente alle cose spirituali, ce lo dimostrano i passi della sacra Bibbia sopra riferiti, e ce lo conferma Gesù Cristo stesso col suo modo di agire. – In varie occasioni, infatti, quando i Giudei e gli stessi Apostoli credevano per errore che il Messia avrebbe reso la libertà al popolo ed avrebbe ripristinato il regno di Israele, egli cercò di togliere e abbattere questa vana attesa e speranza; e così pure quando stava per essere proclamato Re dalla moltitudine che, presa di ammirazione, lo attorniava, Egli rifiutò questo titolo e questo onore, ritirandosi e nascondendosi nella solitudine; finalmente davanti al Preside romano annunciò che il suo Regno “non è di questo mondo”. – Questo Regno nei Vangeli viene presentato in tal modo che gli uomini debbano prepararsi ad entrarvi per mezzo della penitenza, e non possano entrarvi se non per la fede e per il Battesimo, il quale benché sia un rito esterno, significa però e produce la rigenerazione interiore. Questo Regno è opposto unicamente al regno di Satana e alla “potestà delle tenebre”, e richiede dai suoi sudditi non solo l’animo distaccato dalle ricchezze e dalle cose terrene, la mitezza dei costumi, la fame e sete di giustizia, ma anche che essi rinneghino se stessi e prendano la loro croce. Avendo Cristo come Redentore costituita con il suo sangue la Chiesa, e come Sacerdote offrendo se stesso in perpetuo quale ostia di propiziazione per i peccati degli uomini, chi non vede che la regale dignità di Lui riveste il carattere spirituale dell’uno e dell’altro ufficio?

Regno universale e sociale

D’altra parte sbaglierebbe gravemente chi togliesse a Cristo Uomo il potere su tutte le cose temporali, dato che Egli ha ricevuto dal Padre un diritto assoluto su tutte le cose create, in modo che tutto soggiaccia al suo arbitrio. Tuttavia, finché fu sulla terra si astenne completamente dall’esercitare tale potere, e come una volta disprezzò il possesso e la cura delle cose umane, così permise e permette che i possessori debitamente se ne servano. A questo proposito ben si adattano queste parole: «Non toglie il trono terreno Colui che dona il regno eterno dei cieli» [27]. Pertanto il dominio del nostro Redentore abbraccia tutti gli uomini, come affermano queste parole del Nostro Predecessore di immortale memoria  Leone XIII, che Noi qui facciamo Nostre: «L’impero di Cristo non si estende soltanto sui popoli cattolici, o a coloro che, rigenerati nel fonte battesimale, appartengono, a rigore di diritto, alla Chiesa, sebbene le errate opinioni Ce li allontanino o il dissenso li divida dalla carità; ma abbraccia anche quanti sono privi di fede cristiana, di modo che tutto il genere umano è sotto la potestà di Gesù Cristo» [28]. – Né v’è differenza fra gli individui e il consorzio domestico e civile, poiché gli uomini, uniti in società, non sono meno sotto la potestà di Cristo di quello che lo siano gli uomini singoli. È lui solo la fonte della salute privata e pubblica: «Né in alcun altro è salute, né sotto il cielo altro nome è stato dato agli uomini, mediante il quale abbiamo da essere salvati» [29], è lui solo l’autore della prosperità e della vera felicità sia per i singoli sia per gli Stati: «poiché il benessere della società non ha origine diversa da quello dell’uomo, la società non essendo altro che una concorde moltitudine di uomini» [30]. – Non rifiutino, dunque, i capi delle nazioni di prestare pubblica testimonianza di riverenza e di obbedienza all’impero di Cristo insieme coi loro popoli, se vogliono, con l’incolumità del loro potere, l’incremento e il progresso della patria. Difatti sono quanto mai adatte e opportune al momento attuale quelle parole che all’inizio del Nostro pontificato Noi scrivemmo circa il venir meno del principio di autorità e del rispetto alla pubblica potestà: «Allontanato, infatti — così lamentavamo — Gesù Cristo dalle leggi e dalla società, l’autorità appare senz’altro come derivata non da Dio ma dagli uomini, in maniera che anche il fondamento della medesima vacilla: tolta la causa prima, non v’è ragione per cui uno debba comandare e l’altro obbedire. Dal che è derivato un generale turbamento della società, la quale non poggia più sui suoi cardini naturali» [31].

Regno benefico

Se invece gli uomini privatamente e in pubblico avranno riconosciuto la sovrana potestà di Cristo, necessariamente segnalati benefici di giusta libertà, di tranquilla disciplina e di pacifica concordia pervaderanno l’intero consorzio umano. La regale dignità di nostro Signore come rende in qualche modo sacra l’autorità umana dei principi e dei capi di Stato, così nobilita i doveri dei cittadini e la loro obbedienza. – In questo senso 1’Apostolo Paolo, inculcando alle spose e ai servi di rispettare Gesù Cristo nel loro rispettivo marito e padrone, ammoniva chiaramente che non dovessero obbedire ad essi come ad uomini ma in quanto tenevano le veci di Cristo, poiché sarebbe stato sconveniente che gli uomini, redenti da Cristo, servissero ad altri uomini: «Siete stati comperati a prezzo; non diventate servi degli uomini» [32]. Che se i principi e i magistrati legittimi saranno persuasi che si comanda non tanto per diritto proprio quanto per mandato del Re divino, si comprende facilmente che uso santo e sapiente essi faranno della loro autorità, e quale interesse del bene comune e della dignità dei sudditi prenderanno nel fare le leggi e nell’esigerne l’esecuzione. – In tal modo, tolta ogni causa di sedizione, fiorirà e si consoliderà l’ordine e la tranquillità: ancorché, infatti, il cittadino riscontri nei principi e nei capi di Stato uomini simili a lui o per qualche ragione indegni e vituperevoli, non si sottrarrà tuttavia al loro comando qualora egli riconosca in essi l’immagine e l’autorità di Cristo Dio e Uomo. – Per quello poi che si riferisce alla concordia e alla pace, è manifesto che quanto più vasto è il regno e più largamente abbraccia il genere umano, tanto più gli uomini diventano consapevoli di quel vincolo di fratellanza che li unisce. E questa consapevolezza come allontana e dissipa i frequenti conflitti, così ne addolcisce e ne diminuisce le amarezze. E se il regno di Cristo, come di diritto abbraccia tutti gli uomini, cosi di fatto veramente li abbracciasse, perché dovremmo disperare di quella pace che il Re pacifico portò in terra, quel Re diciamo che venne «per riconciliare tutte le cose, che non venne per farsi servire, ma per servire gli altri”» e che, pur essendo il Signore di tutti, si fece esempio di umiltà, e questa virtù principalmente inculcò insieme con la carità e disse inoltre: «II mio giogo è soave e il mio peso leggero?» [33]. – Oh, di quale felicità potremmo godere se gli individui, le famiglie e la società si lasciassero governare da Cristo! «Allora veramente, per usare le parole che il Nostro Predecessore Leone XIII venticinque anni fa rivolgeva a tutti i Vescovi dell’orbe cattolico, si potrebbero risanare tante ferite, allora ogni diritto riacquisterebbe l’antica forza, tornerebbero i beni della pace, cadrebbero dalle mani le spade, quando tutti volentieri accettassero l’impero di Cristo, gli obbedissero, ed ogni lingua proclamasse che nostro Signore Gesù Cristo è nella gloria di Dio Padre» [34].

cristo-re-4

La Festa di Cristo Re

Scopo della festa di Cristo Re

E perché più abbondanti siano i desiderati frutti e durino più stabilmente nella società umana, è necessario che venga divulgata la cognizione della regale dignità di nostro Signore quanto più è possibile. Al quale scopo Ci sembra che nessun’altra cosa possa maggiormente giovare quanto l’istituzione di una festa particolare e propria di Cristo Re. – Infatti, più che i solenni documenti del Magistero ecclesiastico, hanno efficacia nell’informare il popolo nelle cose della fede e nel sollevarlo alle gioie interne della vita le annuali festività dei sacri misteri, poiché i documenti, il più delle volte, sono presi in considerazione da pochi ed eruditi uomini, le feste invece commuovono e ammaestrano tutti i fedeli; quelli una volta sola parlano, queste invece, per così dire, ogni anno e in perpetuo; quelli soprattutto toccano salutarmente la mente, queste invece non solo la mente ma anche il cuore, tutto l’uomo insomma. Invero, essendo l’uomo composto di anima e di corpo, ha bisogno di essere eccitato dalle esteriori solennità in modo che, attraverso la varietà e la bellezza dei sacri riti, accolga nell’animo i divini insegnamenti e, convertendoli in sostanza e sangue, faccia si che essi servano al progresso della sua vita spirituale. – D’altra parte si ricava da documenti storici che tali festività, col decorso dei secoli, vennero introdotte una dopo l’altra, secondo che la necessità o l’utilità del popolo cristiano sembrava richiederlo; come quando fu necessario che il popolo venisse rafforzato di fronte al comune pericolo, o venisse difeso dagli errori velenosi degli eretici, o incoraggiato più fortemente e infiammato a celebrare con maggiore pietà qualche mistero della fede o qualche beneficio della grazia divina. Così fino dai primi secoli dell’era cristiana, venendo i fedeli acerbamente perseguitati, si cominciò con sacri riti a commemorare i Martiri, affinché — come dice Sant’Agostino — le solennità dei Martiri fossero d’esortazione al martirio [35]. E gli onori liturgici, che in seguito furono tributati ai Confessori, alle Vergini e alle Vedove, servirono meravigliosamente ad eccitare nei fedeli l’amore alle virtù, necessarie anche in tempi di pace. – E specialmente le festività istituite in onore della Beata Vergine fecero sì che il popolo cristiano non solo venerasse con maggior pietà la Madre di Dio, sua validissima protettrice, ma si accendesse altresì di più forte amore verso la Madre celeste, che il Redentore gli aveva lasciato quasi per testamento. Tra i benefici ottenuti dal culto pubblico e liturgico verso la Madre di Dio e i Santi del Cielo non ultimo si deve annoverare questo: che la Chiesa, in ogni tempo, poté vittoriosamente respingere la peste delle eresie e degli errori. – In tale ordine di cose dobbiamo ammirare i disegni della divina Provvidenza, la quale, come suole dal male ritrarre il bene, così permise che di quando in quando la fede e la pietà delle genti diminuissero, o che le false teorie insidiassero la verità cattolica, con questo esito però, che questa risplendesse poi di nuovo splendore, e quelle, destatesi dal letargo, tendessero a cose maggiori e più sante. – Ed invero le festività che furono accolte nel corso dell’anno liturgico in tempi a noi vicini, ebbero uguale origine e produssero identici frutti. Così, quando erano venuti meno la riverenza e il culto verso l’augusto Sacramento, fu istituita la festa del Corpus Domini, e si ordinò che venisse celebrata in modo tale che le solenni processioni e le preghiere da farsi per tutto l’ottavario richiamassero le folle a venerare pubblicamente il Signore; così la festività del Sacro Cuore di Gesù fu introdotta quando gli animi degli uomini, infiacchiti e avviliti per il freddo rigorismo dei giansenisti, erano del tutto agghiacciati e distolti dall’amore di Dio e dalla speranza della eterna salvezza. – Ora, se comandiamo che Cristo Re venga venerato da tutti i cattolici del mondo, con ciò Noi provvederemo alle necessità dei tempi presenti, apportando un rimedio efficacissimo a quella peste che pervade l’umana società.

Il “laicismo”

La peste della età nostra è il così detto laicismo coi suoi errori e i suoi empi incentivi; e voi sapete, o Venerabili Fratelli, che tale empietà non maturò in un solo giorno ma da gran tempo covava nelle viscere della società. Infatti si cominciò a negare l’impero di Cristo su tutte le genti; si negò alla Chiesa il diritto — che scaturisce dal diritto di Gesù Cristo — di ammaestrare, cioè, le genti, di far leggi, di governare i popoli per condurli alla eterna felicità. E a poco a poco la religione cristiana fu uguagliata con altre religioni false e indecorosamente abbassata al livello di queste; quindi la si sottomise al potere civile e fu lasciata quasi all’arbitrio dei principi e dei magistrati. Si andò più innanzi ancora: vi furono di quelli che pensarono di sostituire alla religione di Cristo un certo sentimento religioso naturale. Né mancarono Stati i quali opinarono di poter fare a meno di Dio, riposero la loro religione nell’irreligione e nel disprezzo di Dio stesso. – I pessimi frutti, che questo allontanamento da Cristo da parte degli individui e delle nazioni produsse tanto frequentemente e tanto a lungo, Noi lamentammo nella Enciclica Ubi arcano Dei e anche oggi lamentiamo: i semi cioè della discordia sparsi dappertutto; accesi quegli odii e quelle rivalità tra i popoli, che tanto indugio ancora frappongono al ristabilimento della pace; l’intemperanza delle passioni che così spesso si nascondono sotto le apparenze del pubblico bene e dell’amor patrio; le discordie civili che ne derivarono, insieme a quel cieco e smoderato egoismo sì largamente diffuso, il quale, tendendo solo al bene privato ed al proprio comodo, tutto misura alla stregua di questo; la pace domestica profondamente turbata dalla dimenticanza e dalla trascuratezza dei doveri familiari; l’unione e la stabilità delle famiglie infrante, infine la stessa società scossa e spinta verso la rovina. – Ci sorregge tuttavia la buona speranza che l’annuale festa di Cristo Re, che verrà in seguito celebrata, spinga la società, com’è nel desiderio di tutti, a far ritorno all’amatissimo nostro Salvatore. Accelerare e affrettare questo ritorno con l’azione e con l’opera loro sarebbe dovere dei Cattolici, dei quali, invero, molti sembra non abbiano nella civile convivenza quel posto né quell’autorità, che s’addice a coloro che portano innanzi a sé la fiaccola della verità. – Tale stato di cose va forse attribuito all’apatia o alla timidezza dei buoni, i quali si astengono dalla lotta o resistono fiaccamente; da ciò i nemici della Chiesa traggono maggiore temerità e audacia. Ma quando i fedeli tutti comprendano che debbono militare con coraggio e sempre sotto le insegne di Cristo Re, con ardore apostolico si studieranno di ricondurre a Dio i ribelli e gl’ignoranti, e si sforzeranno di mantenere inviolati i diritti di Dio stesso.

La preparazione storica della festa di Cristo Re

E chi non vede che fino dagli ultimi anni dello scorso secolo si preparava meravigliosamente la via alla desiderata istituzione di questo giorno festivo? Nessuno infatti ignora come, con libri divulgati nelle varie lingue di tutto il mondo, questo culto fu sostenuto e sapientemente difeso; come pure il principato e il regno di Cristo fu ben riconosciuto colla pia pratica di dedicare e consacrare tutte le famiglie al Sacratissimo Cuore di Gesù. E non soltanto famiglie furono consacrate, ma altresì nazioni e regni; anzi, per volere di Leone XIII, tutto il genere umano, durante l’Anno Santo 1900, fu felicemente consacrato al Divin Cuore. – Né si deve passar sotto silenzio che a confermare questa regale potestà di Cristo sul consorzio umano meravigliosamente giovarono i numerosissimi Congressi eucaristici, che si sogliono celebrare ai nostri tempi; essi, col convocare i fedeli delle singole diocesi, delle regioni, delle nazioni e anche tutto l’orbe cattolico, a venerare e adorare Gesù Cristo Re nascosto sotto i veli eucaristici, tendono, mediante discorsi nelle assemblee e nelle chiese, mediante le pubbliche esposizioni del Santissimo Sacramento, mediante le meravigliose processioni ad acclamare Cristo quale Re dato dal cielo. – A buon diritto si direbbe che il popolo cristiano, mosso da ispirazione divina, tratto dal silenzio e dal nascondimento dei sacri templi, e portato per le pubbliche vie a guisa di trionfatore quel medesimo Gesù che, venuto nel mondo, gli empi non vollero riconoscere, voglia ristabilirlo nei suoi diritti regali. – E per vero ad attuare il Nostro divisamento sopra accennato, l’Anno Santo che volge alla fine Ci porge la più propizia occasione, poiché Dio benedetto, avendo sollevato la mente e il cuore dei fedeli alla considerazione dei beni celesti che superano ogni gaudio, o li ristabilì in grazia e li confermò nella retta via e li avviò con nuovi incitamenti al conseguimento della perfezione. – Perciò, sia che consideriamo le numerose suppliche a Noi rivolte, sia che consideriamo gli avvenimento di questo Anno Santo, troviamo argomento a pensare che finalmente è spuntato il giorno desiderato da tutti, nel quale possiamo annunziare che si deve onorare con una festa speciale Cristo quale Re di tutto il genere umano. – In quest’anno infatti, come dicemmo sin da principio, quel Re divino veramente ammirabile nei suoi Santi, è stato magnificato in modo glorioso con la glorificazione di una nuova schiera di suoi fedeli elevati agli onori celesti; parimenti in questo anno per mezzo dell’Esposizione Missionaria tutti ammirarono i trionfi procurati a Cristo per lo zelo degli operai evangelici nell’estendere il suo Regno; finalmente in questo medesimo anno con la centenaria ricorrenza del Concilio Niceno, commemorammo la difesa e la definizione del dogma della consustanzialità del Verbo incarnato col Padre, sulla quale si fonda l’impero sovrano del medesimo Cristo su tutti i popoli.

L’istituzione della festa di Cristo Re

Pertanto, con la Nostra apostolica autorità istituiamo la festa di nostro Signore Gesù Cristo Re, stabilendo che sia celebrata in tutte le parti della terra l’ultima domenica di ottobre, cioè la domenica precedente la festa di tutti i Santi. Similmente ordiniamo che in questo medesimo giorno, ogni anno, si rinnovi la consacrazione di tutto il genere umano al Cuore santissimo di Gesù, che il Nostro Predecessore di santa memoria Pio X aveva comandato di ripetere annualmente. – In quest’anno però, vogliamo che sia rinnovata il giorno trentuno di questo mese, nel quale Noi stessi terremo solenne pontificale in onore di Cristo Re e ordineremo che la detta consacrazione si faccia alla Nostra presenza. Ci sembra che non possiamo meglio e più opportunamente chiudere e coronare 1’Anno Santo, né rendere più ampia testimonianza della Nostra gratitudine a Cristo, Re immortale dei secoli, e di quella di tutti i cattolici per i beneficî fatti a Noi, alla Chiesa e a tutto l’Orbe cattolico durante quest’Anno Santo. – E non fa bisogno, Venerabili Fratelli, che vi esponiamo a lungo i motivi per cui abbiamo istituito la solennità di Cristo Re distinta dalle altre feste, nelle quali sembrerebbe già adombrata e implicitamente solennizzata questa medesima dignità regale. – Basta infatti avvertire che mentre l’oggetto materiale delle attuali feste di nostro Signore è Cristo medesimo, l’oggetto formale, però, in esse si distingue del tutto dal nome della potestà regale di Cristo. La ragione, poi, per cui volemmo stabilire questa festa in giorno di domenica, è perché non solo il Clero con la celebrazione della Messa e la recita del divino Officio, ma anche il popolo, libero dalle consuete occupazioni, rendesse a Cristo esimia testimonianza della sua obbedienza e della sua devozione. – Ci sembrò poi più d’ogni altra opportuna a questa celebrazione l’ultima domenica del mese di ottobre, nella quale si chiude quasi l’anno liturgico, così infatti avverrà che i misteri della vita di Gesù Cristo, commemorati nel corso dell’anno, terminino e quasi ricevano coronamento da questa solennità di Cristo Re, e prima che si celebri e si esalti la gloria di Colui che trionfa in tutti i Santi e in tutti gli eletti. – Pertanto questo sia il vostro ufficio, o Venerabili Fratelli, questo il vostro compito di far sì che si premetta alla celebrazione di questa festa annuale, in giorni stabiliti, in ogni parrocchia, un corso di predicazione, in guisa che i fedeli ammaestrati intorno alla natura, al significato e all’importanza della festa stessa, intraprendano un tale tenore di vita, che sia veramente degno di coloro che vogliono essere sudditi affezionati e fedeli del Re divino.

I vantaggi della festa di Cristo Re

Giunti al termine di questa Nostra lettera Ci piace, o Venerabili Fratelli, spiegare brevemente quali vantaggi in bene sia della Chiesa e della società civile, sia dei singoli fedeli, Ci ripromettiamo da questo pubblico culto verso Cristo Re. – Col tributare questi onori alla dignità regia di nostro Signore, si richiamerà necessariamente al pensiero di tutti che la Chiesa, essendo stata stabilita da Cristo come società perfetta, richiede per proprio diritto, a cui non può rinunziare, piena libertà e indipendenza dal potere civile, e che essa, nell’esercizio del suo divino ministero di insegnare, reggere e condurre alla felicità eterna tutti coloro che appartengono al Regno di Cristo, non può dipendere dall’altrui arbitrio. – Di più, la società civile deve concedere simile libertà a quegli ordini e sodalizi religiosi d’ambo i sessi, i quali, essendo di validissimo aiuto alla Chiesa e ai suoi pastori, cooperano grandemente all’estensione e all’incremento del regno di Cristo, sia perché con la professione dei tre voti combattono la triplice concupiscenza del mondo, sia perché con la pratica di una vita di maggior perfezione, fanno sì che quella santità, che il divino Fondatore volle fosse una delle note della vera Chiesa, risplenda di giorno in giorno vieppiù innanzi agli occhi di tutti. – La celebrazione di questa festa, che si rinnova ogni anno, sarà anche d’ammonimento per le nazioni che il dovere di venerare pubblicamente Cristo e di prestargli obbedienza riguarda non solo i privati, ma anche i magistrati e i governanti: li richiamerà al pensiero del giudizio finale, nel quale Cristo, scacciato dalla società o anche solo ignorato e disprezzato, vendicherà acerbamente le tante ingiurie ricevute, richiedendo la sua regale dignità che la società intera si uniformi ai divini comandamenti e ai principî cristiani, sia nello stabilire le leggi, sia nell’amministrare la giustizia, sia finalmente nell’informare l’animo dei giovani alla santa dottrina e alla santità dei costumi. – Inoltre non è a dire quanta forza e virtù potranno i fedeli attingere dalla meditazione di codeste cose, allo scopo di modellare il loro animo alla vera regola della vita cristiana. – Poiché se a Cristo Signore è stata data ogni potestà in cielo e in terra; se tutti gli uomini redenti con il Sangue suo prezioso sono soggetti per un nuovo titolo alla sua autorità; se, infine, questa potestà abbraccia tutta l’umana natura, chiaramente si comprende, che nessuna delle nostre facoltà si sottrae a tanto impero.

Conclusione

Cristo regni!

È necessario, dunque, che Egli regni nella mente dell’uomo, la quale con perfetta sottomissione, deve prestare fermo e costante assenso alle verità rivelate e alla dottrina di Cristo; che regni nella volontà, la quale deve obbedire alle leggi e ai precetti divini; che regni nel cuore, il quale meno apprezzando gli affetti naturali, deve amare Dio più d’ogni cosa e a Lui solo stare unito; che regni nel corpo e nelle membra, che, come strumenti, o al dire dell’Apostolo Paolo, come “armi di giustizia” [36] offerte a Dio devono servire all’interna santità delle anime. Se coteste cose saranno proposte alla considerazione dei fedeli, essi più facilmente saranno spinti verso la perfezione. – Faccia il Signore, Venerabili Fratelli, che quanti sono fuori del suo regno, bramino ed accolgano il soave giogo di Cristo, e tutti, quanti siamo, per sua misericordia, suoi sudditi e figli, lo portiamo non a malincuore ma con piacere, ma con amore, ma santamente, e che dalla nostra vita conformata alle leggi del Regno divino raccogliamo lieti ed abbondanti frutti, e ritenuti da Cristo quali servi buoni e fedeli diveniamo con Lui partecipi nel Regno celeste della sua eterna felicità e gloria. – Questo nostro augurio nella ricorrenza del Natale di nostro Signore Gesù Cristo sia per voi, o Venerabili Fratelli, un attestato del Nostro affetto paterno; e ricevete l’Apostolica Benedizione, che in auspicio dei divini favori impartiamo ben di cuore a voi, o Venerabili Fratelli, e a tutto il popolo vostro.

Dato a Roma, presso S. Pietro, il giorno 11 Dicembre dell’Anno Santo 1925, quarto del Nostro Pontificato.

PIUS PP. XI

 [1] Ef., 3, 19.

[2] Dan., 7, 13-14.

[3] Num., 24, 19.

[4] Ps. 2, 6.

[5] Ps., 44, 6.

[6] Ps. 44, 8.

[7] Is., 9, 6-7.

[8] Jer., 23, 5.

[9] Dan., 2, 44.

[10] Dan., 7, 13-14.

[11] Zach., 9, 9.

[12] Lc., 1, 32-33.

[13] Matth., 25, 31-40.

[14] Joh., 18, 37.

[15] Matth., 28, 18.

[16] Apoc., 1, 5.

[17] Apoc. 19, 16.

[18] Hebr., 1, 1.

[19] I Cor., 15, 25.

[20] In Luc., 10.

[21] I Petr., 1, 18-19.

[22] I Cor., 6, 20.

[23] Ibid., 6, 15.

[24] Conc. Trid., Sess. VI, can. 21.

[25] Joh., 15, 10.

[26] Joh., 5, 22.

[27] Brev. Rom. Inno del Mattutino dell’Epifania.

[28]  Leone Pp. XIII, Enc. Annum Sacrum, 25. V.1899.

[29] Act., 4, 12.

[30] S. Agostino, Lettera a Macedone, III.

[31] Pio Pp. XI, Enc. Ubi arcano Dei.

[32] I Cor., 7, 23.

[33] Matth. 11, 30.

[34] Leone Pp. XIII, Enc. Annum sanctum, 25.V.1899.

[35] Sant’Agostino, De Sanctis, Serm. 47.

[36] Rom., 6, 13.

cristo-re-12

Hymnus

Te sæculórum Príncipem, Te, Christe, Regem Géntium, Te méntium, te córdium Unum fatémur árbitrum. Scelésta turba clámitat: Regnáre Christum nólumus: Te nos ovántes ómnium Regem suprémum dícimus. O Christe, Princeps Pácifer, Mentes rebélles súbjice: Tuóque amóre dévios, Ovíle in unum cóngrega. Ad hoc cruénta ab árbore Pendes apértis bráchiis, Diráque fossum cúspide Cor igne flagrans éxhibes. Ad hoc in aris ábderis Vini dapísque imágine, Fundens salútem fíliis Transverberáto péctore. Te natiónum Praesides Honóre tollant público, Colant magístri, júdices, Leges et artes éxprimant. Submíssa regum fúlgeant Tibi dicáta insígnia: Mitíque sceptro pátriam Domósque subde cívium. Jesu tibi sit glória, Qui sceptra mundi témperas, Cum Patre, et almo Spíritu, In sempitérna saecula. Amen.

[Inno Te, Principe dei secoli, te, Cristo, Re delle Genti, te delle menti te dei cuori noi riconosciamo unico arbitro. L’empia turba grida: Non vogliam che Cristo regni: te noi festanti di tutti t’acclamiam Re sovrano. O Cristo, Principe della Pace, le menti ribelli sottometti: e col tuo amor gli sviati in un solo ovil raduna. Per questo dall’albero cruento pendi colle braccia aperte, e trafitto da lancia crudele il Cuor mostri acceso d’amore. Per questo sugli altari rimani nascosto sotto le specie del pane e del vino, diffondendo la salute ai figli dal petto squarciato. Te i Presidenti delle nazioni esaltino con pubblico onore, riveriscano i maestri e i giudici, esprimano le leggi e le arti. Sottomesse risplendano le insegne dei re a te consacrate: e al tuo mite scettro assoggetta la patria e le case dei cittadini. O Gesù, sia gloria a te, che governi gli scettri del mondo, col Padre, e collo Spirito Santo, per i secoli eterni. Amen.]

Hymnus (2)

Æterna Imago Altíssimi, Lumen, Deus, de Lumine, Tibi, Redémptor gloria, Honor, potéstas regia. Tu solus ante sæcula Spes atque centrum témporum, Cui jure sceptrum Géntium Pater supremum credidit. Tu flos pudicæ Vírginis, Nostræ caput propaginis, Lapis caducus vértice Ac mole terras occupans. Diro tyranno subdita, Damnáta stirps mortalium, Per te refregit víncula Sibique cælum víndicat. Doctor, Sacerdos, Legifer Præfers notátum sánguine In veste “Princeps príncipum Regumque Rex Altíssimus”. Tibi voléntes subdimur, Qui jure cunctis imperas: Hæc civium beátitas Tuis subesse légibus. Jesu, tibi sit gloria, Qui sceptra mundi temperas, Cum Patre et almo Spiritu, In sempiterna sæcula. Amen.

[Inno Eterna Immagine dell’Altissimo, Dio, Luce da Luce, a te, Redentore, la gloria, l’onore, la potestà regia. Tu solo prima dei secoli la speranza e il centro dei tempi; cui a buon diritto lo scettro supremo delle Nazioni il Padre ha dato. Tu il fiore della purissima Vergine, il capo della nostra schiatta, la pietra caduta dal vertice, che colla sua mole occupa la terra. Soggetta a crudele tiranno, la stirpe dannata dei mortali, per te ha spezzato le sue catene, e si appropria il cielo. Dottore, Sacerdote, Legislatore tu porti segnato col sangue sulla veste: «Principe dei principi, Altissimo Re dei re». Volenti siamo soggetti a te, che per diritto a tutti comandi: questa la felicità dei cittadini, esser soggetti alle tue leggi. O Gesù, sia gloria a te, che governi gli scettri del mondo, col Padre, e collo Spirito Santo, per i secoli eterni. Amen.]

 

Inno (3)

Vexílla Christus ínclyta – Late triúmphans éxplicat: Gentes adéste súpplices, Regíque regum pláudite. Non Ille regna cládibus: Non vi metúque súbdidit – Alto levátus stípite, Amóre traxit ómnia. O ter beáta cívitas Cui rite Christus ímperat, Quæ jussa pergit éxsequi Edícta mundo caelitus! Non arma flagrant ímpia, Pax usque firmat foedera, Arrídet et concórdia, Tutus stat ordo cívicus. Servat fides connúbia, Juvénta pubet íntegra, Pudíca florent límina Domésticis virtútibus. Optáta nobis spléndeat Lux ista, Rex dulcíssime: Te, pace adépta cándida, Adóret orbis súbditus. Jesu tibi sit glória, Qui sceptra mundi témperas, Cum Patre, et almo Spíritu, In sempitérna saecula. Amen. [Inno I fulgidi vessilli Cristo trionfante spiega largamente: Genti, prostratevi supplici, e applaudite al Re dei re. Egli non colle stragi, non colla violenza o terrore ha soggiogato i regni: sollevato sull’alto della croce, tutto a sé ha tratto coll’amore. O città beatissima, su cui debitamente Cristo impera, che continua ad eseguire le leggi intimate al mondo dal cielo! Non l’armi crudeli vi risuonano, la pace vi firma sempre i patti, vi sorride ancor la concordia, sicuro vi sta l’ordine civico. La fede vi conserva i connubi, la gioventù vi cresce integra, pudiche fioriscon le case nelle domestiche virtù. Risplenda su noi questa desiata luce, o Re dolcissimo: te, conseguita una piena pace, adori l’orbe soggetto. O Gesù, sia gloria a te, che governi gli scettri del mondo, col Padre, e collo Spirito Santo, per i secoli eterni. Amen.]

cristo_re-8

Col I :12-20 Fratres: Grátias ágimus Deo Patri, qui dignos nos fecit in partem sortis sanctórum in lúmine: qui erípuit nos de potestáte tenebrárum, et tránstulit in regnum Fílii dilectiónis suæ, in quo habémus redemptiónem per sánguinem ejus, remissiónem peccatórum: qui est imágo Dei invisíbilis, primogénitus omnis creatúra: quóniam in ipso cóndita sunt univérsa in cœlis et in terra, visibília et invisibília, sive Throni, sive Dominatiónes, sive Principátus, sive Potestátes: ómnia per ipsum, et in ipso creáta sunt: et ipse est ante omnes, et ómnia in ipso constant. Et ipse est caput córporis Ecclésiæ, qui est princípium, primogénitus ex mórtuis: ut sit in ómnibus ipse primátum tenens; quia in ipso complácuit omnem plenitúdinem inhabitáre; et per eum reconciliáre ómnia in ipsum, pacíficans per sánguinem crucis ejus, sive quæ in terris, sive quæ in cœlis sunt, in Christo Jesu Dómino nostro.

[Fratelli: Rendiamo grazie a Dio Padre, che ci ha fatti degni di partecipare alla sorte dei santi nella luce, che ci ha strappati dalla potestà delle tenebre e ci ha trasportati nel regno del dilettissimo Figlio suo in cui abbiamo redenzione, mediante il sangue di Lui, e remissione dei peccati. Egli è l’immagine del Dio invisibile, il primogénito di ogni creatura, poiché in Lui sono state fatte tutte le cose nel cielo e nella terra, le visibili e le invisibili, sia i troni, sia le dominazioni, sia i principati, sia le potestà; tutte le cose sono state create per mezzo di Lui e per Lui. Egli è prima di tutto, e tutte le cose sussistono in Lui. Ed Egli è il capo del corpo della Chiesa: Egli è il principio, il primo a rinascere di tra i morti, onde abbia il primato in tutte le cose. Poiché fu beneplacito del Padre che in Lui abitasse ogni pienezza, e che per mezzo di Lui e per Lui fossero seco riconciliate tutte le cose, pacificando, mediante il sangue della sua croce, le cose della terra e le cose del cielo, nel Cristo Gesú nostro Signore.]

Vang. di S. Giovanni XVIII:33-37 In illo témpore: Dixit Pilátus ad Jesum: Tu es Rex Judæórum? Respóndit Jesus: A temetípso hoc dicis, an álii dixérunt tibi de me? Respóndit Pilátus: Numquid ego Judǽus sum? Gens tua et pontífices tradidérunt te mihi: quid fecísti? Respóndit Jesus: Regnum meum non est de hoc mundo. Si ex hoc mundo esset regnum meum, minístri mei útique decertárent, ut non tráderer Judǽis: nunc autem regnum meum non est hinc. Dixit ítaque ei Pilátus: Ergo Rex es tu? Respóndit Jesus: Tu dicis, quia Rex sum ego. Ego in hoc natus sum et ad hoc veni in mundum, ut testimónium perhíbeam veritáti: omnis, qui est ex veritáte, audit vocem meam.

[In quel tempo: Pilato disse a Gesú: Sei tu il Re dei Giudei? Gesú gli rispose: Lo dici da te, o altri te l’hanno detto di me? Rispose Pilato: Sono forse Giudeo? La tua gente e i sommi sacerdoti ti hanno messo nelle mie mani. Che cosa hai fatto? Rispose Gesú: Il mio regno non è di questo mondo; se fosse di questo mondo, i miei ministri certo si adopererebbero perché non fossi dato in potere ai Giudei: dunque il mio regno non è di quaggiú. Allora Pilato gli disse: Dunque tu sei Re? Rispose Gesú: È come dici, io sono re. Per questo sono nato e per questo sono venuto al mondo, a rendere testimonianza alla verità. Chiunque sta per la verità, ascolta la mia voce.]

cristo_re-11

ATTO DI CONSACRAZIONE AL SACRO CUORE DI GESÙ

Da recitare per ordine di S. S. Pio XI

nella Festa di Nostro Signore Gesù Cristo Re.

Si può recitare anche in altre occasioni.

O Gesù dolcissimo, o Redentore del genere umano, riguardate a noi umilmente prostrati dinanzi al vostro altare. Noi siamo vostri, e vostri vogliamo essere; e per poter vivere a Voi più strettamente congiunti, ecco che ognuno si consacra al vostro Sacratissimo Cuore. Molti purtroppo non Vi conobbero mai; molti, disprezzando i vostri comandamenti, Vi ripudiarono. O benignissimo Gesù, abbiate misericordia e degli uni e degli altri; e tutti quanti attirate al vostro Cuore santissimo. O Signore, siate il re non solo dei fedeli, che non si allontanarono mai da Voi, ma anche di quei figli prodighi che Vi abbandonarono; fate che questi quanto prima ritornino alla casa paterna, per non morire di miseria e di fame. Siate il Re di coloro che vivono nell’inganno dell’errore, o per discordia da Voi separati; richiamateli al porto della verità e all’unità della fede, affinché in breve si faccia un solo ovile sotto un solo Pastore. Siate il Re di tutti quelli che sono ancora avvolti nelle tenebre dell’idolatria o dell’islamismo; e non ricusate di trarli tutti al lume e al regno vostro. Riguardate infine con occhio di misericordia i figli di quel popolo che un giorno fu il prediletto; scenda anche sopra di loro, lavacro di redenzione e di vita, il Sangue già sopra di essi invocato. Largite, o Signore, incolumità e libertà sicura alla vostra Chiesa; largite a tutti i popoli la tranquillità dell’ordine; fate che da un capo all’altro della terra risuoni quest’unica voce; Sia lode a quel Cuore divino, da cui venne la nostra salute; a Lui si canti gloria e onore nei secoli. Così sia.

 Segue la recita delle litanie del Sacro Cuore di Gesù.

Omelia della Domenica IV dopo Epifania

Omelia della Domenica IV dopo l’Epifania

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. I -1851-]

(Vangelo sec. S. Matteo VIII, 23-27)

tempesta-sedata

Sonno del peccatore.

Ascende il divin Redentore, accompagnato dai suoi discepoli, su la navicella di Pietro, e si abbandona a un dolce sonno. Intanto si scatenano i venti, si turba il mare, s’alzano i flutti, e stan per sommergere il combattuto naviglio, e Gesù dorme, “ipse vero dormiebat”. Che sonno, è questo, uditori? Che mistero in ciò si nasconde? Egli è, s’io ben mi avviso, un’immagine dell’uomo giusto, che in mezzo alle agitazioni di questo mar tempestoso, qual è il mondo, riposa in pace. Tutto l’opposto dell’uomo peccatore, che dorme in seno al peccato, ma nel peccato non trova riposo. Il suo sonno è piuttosto un letargo, che annunzia la vicina sua morte. Gesù fu svegliato dalla preghiera degli spaventati discepoli, e tosto fe’ sentire il suo comando e il suo potere al mare e ai venti: cessarono questi, e l’agitato mare si cangiò sull’istante in perfettissima calma. Se le preghiere fossero valevoli a destare il peccatore addormentato nella sua colpa, vorrei gettarmi a’ suoi piedi e dirgli; fratel mio, “miserere animae tuae”, abbiate pietà dell’anima vostra: non aspettate a svegliarvi sulle porte dell’eternità. Aprite gli occhi sul vostro pericolo;Surge qui dormis, et exurge a mortuis” (Ad Ephes. V,4): sorgete da questo sonno mortifero, foriero d’eterna morte. Le preghiere non bastano? Volete che per agevolare il vostro risorgimento ve ne adduca i più efficaci motivi? Lo farò senza più. Vi mostrerò da prima quanto Iddio ha fatto per risvegliarvi dal sonno di morte, e poscia quanto dovete far voi per corrispondere alle amorose premure ch’Egli ha di salvarvi. –

.I. Per rendere più sensibile e fruttuosa la presente spiegazione, dal sonno del divino Maestro passiamo al sonno d’un suo discepolo: avremo in ciò una luminosa scorta, onde conoscere i tratti della divina bontà, e l’obbligo della nostra corrispondenza. Là nel fondo di oscura prigione in Gerosolima, condannato a morte da Erode Agrippa, giaceva l’apostolo Pietro, e in mezzo ai custodi e alle catene tranquillamente dormiva. Quand’ecco un Angelo da Dio spedito sgombra con improvvisa luce le tenebre della carcere, e data una scossa al fianco di Pietro lo sveglia, e “sorgi” gli dice, “surge”! Mirate se non è questa una viva figura e dello stato dell’uomo peccatore, e della condotta di Dio pietoso per ricondurlo a ravvedimento e a salvezza. Peccatore fratello, io parlo con voi, io parlo di voi. Il grave peccato v’à oscurato l’intelletto, voi siete in tenebre ed ombre di morte, la sentenza di vostra eterna condanna è scritta in cielo, i demòni vi stanno a fianco, e voi stretto da tante catene, quante sono le vostre colpe, in mezzo a tanti pericoli profondamente dormite. Che ha fatto Iddio per sottrarvi da tanto rischio, per svegliarvi dal fatale letargo? Ha fatto le tante volte balenare alla vostra mente una luce superna, che vi faceva vedere la bruttezza del vizio, la bellezza della virtù, la vanità del mondo, l’importanza della salute, la miseria del vostro stato, la brevità della vita, l’orrore della morte, l’eternità delle pene. La fede dell’eterne verità si è fatta sentire vostro malgrado. Ai lampi di tanta luce più che sufficiente a farvi aprir gli occhi ha aggiunto Iddio sempre pietoso colpi e percosse: colpi d’ostinata siccità, di storilezza di campagne, di spaventosi tremoti questi pubblici flagelli ha fatto succedere particolari percosse: quella lite, peste della vostra pace, rovina della vostra famiglia, quella perdita sul mare, quella sventura nel traffico, quella lunga malattia, la morte in fine di quel vostro congiunto, tanto per voi necessario. Colpi son questi della mano di Dio diretti a scuotervi dal sonno mortifero. Pure seguitaste a dormire, come Giona al fragor de’ tuoni e della tempesta; e il misericordioso Signore per risanarvi non cessò di ferirvi. Vi ferì nel più vivo del cuore con acerbi rimorsi, con pungenti stimoli, con nere malinconie, che v’han fatto conoscere e toccar con mano che il peccato è una spina che vi trafigge, un tossico che vi avvelena, un cancro che vi rode le viscere. Fra tante punture mal soffrendo voi stesso vi siete alquanto commosso, ma, come uomo sonnacchioso, rivolto sull’altro fianco, avete prolungato la rea vostra sonnolenza. E il vostro buon Dio, mai stanco d’adoperarsi intorno a voi, vi ha fatto sentir la sua voce, voce interna di vive ispirazioni, di forti chiamate, d’amorevoli inviti, voce esterna de’ suoi ministri sul pergamo, de’ suoi sacerdoti nel sacro tribunale, voce di quell’amico fedele, di quel congiunto zelante del vostro bene, voce di quel libro devoto, che a caso vi capitò alle mani, voce partita da quel cadavere, che vi venne sott’occhio. In queste occasioni la misericordia di Dio vi ripeteva le parole dell’Angelo a Pietro dormiente , “surge!”, “sorgi”, o figlio, dal tuo sonno dannevole, sorgi dalle tue tenebre, sorgi dalle tue catene, sorgi dal miserando tuo stato, “surge”! A queste voci amorevoli avete chiuse le orecchie, e serrato il cuore. Or via, non si parli più del passato. Si tiri un velo su i vostri rifiuti. Vediamo ora quel che far dovete per corrispondere alle divine chiamate, e ritorniamo a S. Pietro.

.II. Tre comandi gli fece l’Angelo liberatore, di sorgere immantinente “surge velociter”, di adattarsi la veste “circumda tibi vestimentum tuum”, e di seguirlo, “et sequere me” (Act. XIX, 7,8) . La stessa voce fa sentire a voi in questo giorno quel Dio, che vi vuol salvo. Sorgete, e presto senza indugio sorgete dalla cattività del peccalo, “surge velociter”. Il ritardo può essere per voi fatale. Non dite: “risorgerò”, l’avete detto tante altre volte che lascerete il peccato, che verrà la quaresima, che in quel tempo più opportuno vi convertirete davvero. Venne la quaresima, e differiste la vostra conversione alla Pasqua, dalla Pasqua alla Pentecoste e dalla Pentecoste all’altra quaresima. Rimettere ad altro tempo un affare dì tanta conseguenza è manifesto indizio di poco buona volontà. So che per questa dilazione non mancano pretesti. Io sono, voi dite, assediato da tanti affari, che mi tolgono la necessaria quiete dell’animo e il tempo materiale per pensare a me stesso,- campagne da coltivare, frutti da raccogliere, negozi da spedire, liti da sostenere, conti da aggiustare, viaggi da intraprendere. Finiti questi disturbi, cessati quest’impedimenti… Non più per carità. Che affari, che travagli, che conti! L’affare più importante è quello dell’eterna salute, la lite più seria è quella da vincersi col demonio al divin tribunale, il viaggio più premuroso è quello che conduce all’eternità. Adesso è il tempo accettevole, adesso è l’ora propizia per sorgere ornai dal pigro sonno fatale, “Hora est iam de somno surgere” (Ad Rom. XIII, 11); se voi differite, la dilazione sarà la vostra rovina. Una conversione futura quanto più vi lusinga, tanto é più ingannevole. Il tempo sta in man di Dio. Verrà tempo che non avrete più tempo, e vi pentirete senza rimedio di non aver profittato del tempo. Avverrà a voi, che Dio vi guardi, come ai generi di Lot: “surgite”, disse loro il giusto Lot con somma premura, “surgite”, uscite presto da Sodoma, è imminente il suo sterminio, sta per piovere su di essa il fuoco dal cielo; ma quegli scioperati, non curando l’avviso, restarono avvolti nell’incendio dell’infame città. La seconda cosa, che l’Angelo impose a S. Pietro, fu che prese le proprie vesti se le cingesse attorno, “Circunda tibi vestimentum tuum”. Voi al sacro fonte col carattere battesimale avete vestiti gli abiti delle teologali virtù: fede, speranza e carità. Di questi abiti per il peccato mortale vi siete in certo modo spogliati. Povera fede! Le ree vostre passioni han fatto illanguidire; anzi dopo la lettura di quell’empio libro, dopo il discorso di quel miscredente è morta in voi la fede, e come una veste logora l’avete abbandonata. Ah! per pietà ripigliatela, “circumda tibi vestimentum tuum”. Esiste un Dio, esiste l’idea d’un Dio a dispetto di tutti gli sforzi dell’empietà, a dispetto di tutte le violenze, che far si possono all’intelletto. L’idea d’un Dio esistente si può cacciar dal cuore per un atto di ribelle volontà, ma non dalla mente per ragionevole convincimento. Esiste un Dio premiatore dei buoni, punitore de’ malvagi. Dopo pochi giorni di vita, la morte manderà il corpo al sepolcro, l’anima all’eternità. Qual sarà la sua sorte? La vita presente deciderà della futura. Vita da peccatore: eternità di rancore. Ecco quel che insegna la fede: ripigliatene l’abito con ben ponderarne le infallibili verità, con applicarle all’attuale vostro bisogno, “circumda tibi vestimentum tuum.” Rivestitevi in seguito dell’abito della speranza. In chi avete fino ad ora fondate le vostre speranze? Nel mondo? Ma il mondo è un traditore, ed una trista speranza ve l’ha fatto chiamar più volte con questo nome. Il mondo è una scena volubile, che oggi vi alletta, domani vi contrista. La sua incostanza non può render sicura la vostra fiducia, “praeterit figura huius mundi (I. Ad Cor. VII, 31 ). Sperereste negli uomini? Ma questi sono o mentitori per malizia, o fallaci per impotenza, “Mendaces filii hominum” (Ps. LXI, 10). Non vi appoggiate dunque ad una canna sdrucita, e ad un muro pendente. Ponete tutta la vostra fiducia in Dio: Egli è l’amico vero; niuno ch’abbia sperato in Lui è mai rimasto confuso. La carità finalmente è quella veste nuziale, che assumer dovete. Di questa vi rivestirà il Padre celeste, se a Lui fareste ritorno sull’orme del figliuol prodigo. Imitate l’umiltà di questo figlio ravveduto, il suo pentimento, il suo dolore. Ai piedi del ministro di Dio deponete l’uomo vecchio con tutti i suoi vizi, spogliatevene affatto colla manifestazione sincera delle vostre colpe, colla contrizione più viva del vostro cuore: vestitevi dell’uomo nuovo con intraprendere una vita nuova, una vita cristiana, che vi dia fonduta speranza d’eterna vita. Forniti così delle vesti della fede, della speranza e della carità, resta il tener diètro all’Angelo, che, come S. Pietro, v’invita a seguitarlo, “sequere me”. Fatevi scelta d’un dotto, pio e prudente confessore. Egli, dice S. Francesco di Sales, è l’Angelo visibile delle nostre anime: egli si farà scorta a’ vostri passi, vi allontanerà dai pericoli, vi guiderà per la strada della salute. E quand’anche al vostro cammino si frapponessero porte di ferro, come a S. Pietro, s’apriranno agevolmente innanzi a voi: vincerete, volli dire, coi suoi consigli ogni difficoltà, supererete ogni ostacolo, finché arrivati in luogo d’eterna sicurezza, possiate dire ancor voi, come l’Apostolo Pietro: “ora conosco in verità che il Signore ha mandato il suo Angelo a liberarmi”: quegli diceva dalle mani d’Erode, io da quelle del demonio. Io dormiva, e il mio sonno profondo era sonno di morte; mi sono svegliato, perché mi ha steso la destra il pietoso Signore: “Ego dormivi, et soporatus sum, et exurrexi quia Dominus suscepit me” (Ps. V, 6). – Ho finito, ma se potessi supporre che fra voi molti ancor dormono, “et dormiunt multi” ( I ad Cor. XI, 50), udite, vorrei dir loro, quel che mi suggerisce il mio ministero, e l’amor che vi porto. Voi volete persistere nel sonno del vostro peccato? Morrete nel vostro peccato, e vi sveglierete sulle porte dell’inferno. Dormiva Sisara assicurato dal cortese accoglimento di Giaele, e in mezzo al sonno trafitto dall’una all’altra tempia da lungo e grosso chiodo, dal luogo del suo riposo cadde nel luogo di tutti i tormenti. Dormiva Oloferne ben lontano dal temere la morte, e in mezzo al sonno, tronco il capo dalla prode Giuditta, dal suo letto piombò nell’abisso. Dormivano le vergini stolte, “dormitaverunt omnes, et dormierunt” (Matt. XXV, 5), e perché sprovviste dell’olio della carità e dell’opere buone, furono escluse per sempre dalle nozze dello sposo celeste. Ah! Mio Dio non permettete mai che avvenga ad alcun di noi somigliante sventura.

L’ARCICONFRATERNITA DEL CUORE IMMACOLATO DI MARIA

L’ARCICONFRATERNITA DEL CUORE IMMACOLATO DI MARIA

cuore_immacolato_di_maria

Annunciamo che è riaperto il registro dell’Arciconfraternita del Cuore Immacolato di Maria: con piena approvazione esso è stato nuovamente istituito nel settembre 2015, dal nostro Santo Padre, Papa GREGORIO XVIII. Tutti i cattolici (in comunione con il Papa Gregorio XVIII, successore di Gregorio XVII cardinal Siri), di qualunque età, rango e Paese, possono far parte dell’Arciconfraternita.

– Il registro dell’Arciconfraternita contiene i nomi dei Vescovi, sacerdoti, religiosi e laici di tutte le condizioni ed età. Con la loro Consacrazione al Cuore di Maria, possono così invocare su di sé gli effetti Benefici della sua protezione. Per diventare un membro, è necessario essere iscritti all’Albo dell’Arciconfraternita. Dopo avere ottenuto l’iscrizione, il membro deve indossare la medaglia dell’Immacolata Concezione (medaglia miracolosa), come segno della sua associazione. Si tratta di un esercito del Cuore Immacolato di Maria, ufficialmente riconosciuto dalla Chiesa Cattolica. Tutti i membri iscritti vengono pertanto consacrati al Cuore Immacolato di Maria.

Che cosa è richiesta per l’idoneità all’iscrizione?

Eventuali censure dei candidati devono essere rimosse, onde essere in comunione piena con l’attuale Sommo Pontefice, S. S. Papa Gregorio XVIII, successore di Papa Gregorio XVII (il “Cardinale” Siri). Nel caso contrario, essendo pluriscomunicati da bolle e concili vari [ad es.: se del N.O. il Concilio di Trento, il C. Vaticano 1870; bolla “execrabilis” di Pio II, “Quo primum” Pio V, etc. – ndr. -] si è fuori dalla Chiesa Cattolica, e quindi non si può accedere all’Arciconfraternita. La scomunica di “Execrabilis” essendo “latae sententiae”, può essere rimossa solo dal Santo Padre [quello vero, da non confondere con l’anti-papa “clown” che ci mostrano i media] o da un suo delegato.

Una volta iscritti con successo, quali sono i requisiti richiesti ai membri?

1) indossare una medaglia miracolosa (meglio se benedetta da un vero sacerdote cattolico in comunione con il Santo Padre – controllare che non sia quella deturpata dai massoni satanisti -v. immagine-,- ndr.-).

differenza-medaglie-madonna-delle-grazie-vere-e-false

Vera medaglia [due stelle in alto] – Falsa medaglia [una stella in alto]

2) Si consiglia almeno una Ave Maria ogni giorno per la conversione dei peccatori e per le intenzioni dell’Arciconfraternita del Cuore Immacolato. Inoltre i membri sono invitati a pregare il “Memorare”, il “Sub tuum præsidium” e l’invocazione: “Refugium Peccatorum, ora pro nobis” (Rifugio dei peccatori, prega per noi). Questo tuttavia non obbliga il membro sotto pena di peccato.

– I membri sono esortati ogni mattina a consacrare al Cuore Immacolato di Maria preghiere, rosari, buone opere, elemosine, atti di pietà, mortificazioni e penitenze, che possano offrire nel corso della giornata, attraverso l’Arciconfraternita. In questo modo tutti gli altri membri dell’Arciconfraternita potranno beneficiare delle grazie relative, ed essere a loro volta collaborativi.

– Un membro iscritto dell’Arciconfraternita non contrae obbligo sotto pena di peccato, pertanto non è di assoluta necessità pregare le orazioni raccomandate e comunicarle. Lo zelo per la gloria di Dio e la salvezza delle anime, l’amore per la Vergine Santa e il desiderio di ottenere i vantaggi spirituali collegati a questi santi esercizi, sono gli unici motivi per adempierli. Ma è bene osservare che coloro che li trascurano completamente, o che li soddisfano con indifferenza, si privano delle tante grazie che altrimenti potrebbero ricevere.

Storia in breve:

Dopo circa sei anni di preparazione, venne fondata nel dicembre 1836, una associazione devozionale nella parrocchia di Notre Dame des Victoires, Parigi: la “Confraternita del cuore Immacolato di Maria”. Da allora, si sono verificate numerose conversioni e miracoli per l’intercessione del Cuore Immacolato. Il 24 aprile 1838, Papa Gregorio XVI, la ufficializzò nel suo “breve apostolico” dal titolo: “Questa umile confraternita, l’Arciconfraternita del Cuore Immacolato di Maria”. Questa Arciconfraternita fu onorata con grandi privilegi dallo stesso Papa. Nel settembre 2015, la Gerarchia in esilio ci ha informato, che il nostro Santo Padre Papa Gregorio XVIII, ha dato piena approvazione onde ripristinare questa sacra devozione.

aihm

PREGHIERE SUGGERITE

AVE MARIA

Ave Maria, gratia plena, Dominus tecum; Benedicta tu in mulieribus et benedictus fructus ventris tui, Jesus. Sancta Maria, Mater Dei, ora pro nobis peccatoribus, nunc et in hora mortis nostrae. Amen. [Ave o Maria, piena di grazie, il Signore è con Te; Tu sei benedetta fra le donne e benedetto è il frutto del tuo seno Gesù. Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori, ora e nell’ora della nostra morte. Così sia.]

 MEMORARE

Memorare, O piissima Virgo Maria, non esse auditum a saeculo, quemquam ad tua currentem praesidia, tua implorantem auxilia, tua petentem suffragia, esse derelictum. Ego tali animatus confidentia, ad te, Virgo Virginum, Mater, curro, ad te venio, coram te gemens peccator adsisto. Noli, Mater Verbi, verba mea despicere; sed audi propitia et exaudi. Amen. [Ricordatevi, o piissima Vergine Maria, non essersi mai udito al mondo che alcuno abbia ricorso al vostro patrocinio, implorato il vostro aiuto, chiesto la vostra protezione, e sia stato abbandonato. Animato da tale confidenza, a voi ricorro, o Madre, o Vergine, a voi vengo e, peccatore contrito, innanzi a voi mi prostro. Non vogliate, o Madre del Verbo, disprezzare le mie preghiere, ma ascoltatemi, proprizia ed esauditemi. Così sia.].

SUB TUUM PRÆSIDIUM

Sub tuum præsidium confugimus, Sancta Dei Genitrix; nostras deprecationes ne despicias in necessitatibus nostris, et a periculis cunctis libera nos semper, Virgo gloriosa et benedicta. [Sotto la vostra protezione ci rifugiamo, o santa Madre di Dio: non disdegnate le preci che vi innalziamo nelle necessità, ma salvateci da tutti i pericoli, o gloriosa, o benedetta sempre Vergine Maria.].

INVOCATIO

Refugium Peccatorum, ora pro nobis. [Rifugio dei peccatori, prega per noi].

PARCE DOMINE

Parce Domine, parce populo tuo: ne in æternum irascaris.

V. Converte nos, Deus salutaris noster.

R. Et averte iram tuam a nobis.

Oremus.

Deus misericors et clemens, exaudi preces quas pro fratribus pereuntibus gementes in conspectu tuo effundimus: ut conversi ab errore viæ suæ liberentur a morte; et ubi abundat delictum, superabundet gratia. Per Christum Dominum nostrum. Amen.

 [PERDONA, O SIGNORE – Perdona Signore, perdona il tuo popolo, e non irarti in eterno. – V. Rialzaci, Dio della  nostra salvezza! – R. E placa il tuo sdegno su di noi. – Preghiamo: Dio misericordioso e clemente, ascolta le nostre preghiere che gementi innalziamo al tuo cospetto per i fratelli erranti, affinché convertiti dall’errore del loro cammino, siano liberati dalla morte; e dove abbonda il peccato, sovrabbondi la grazia. Per il Signore Nostro Gesù-Cristo. Così sia.].

 aihm-2

Arciconfraternita del Santissimo e Immacolato Cuore di Maria, per la conversione dei peccatori.

Questa associazione, con sede nella chiesa di Notre Dame des Victoires, Parigi, è stata canonicamente approvata da Papa Gregorio (XVI), da un breve, datato 24 aprile 1838, ed elevata al rango di Arciconfraternita, con il potere di aggregare altri confraternite dello stesso titolo, e stabilite per lo stesso oggetto.

Indulgenze concesse a favore di questa associazione.

Una indulgenza plenaria alle condizioni solite [preghiera secondo le intenzioni del Papa, Confessione e Comunione] *  (* in caso di indisponibilità del Sacramento della Confessione e della Comunione, si deve ricorrere a: Atti di perfetta contrizione e alla comunione spirituale,  rispettivamente).

1. Nel giorno della ammissione.

2. Nella feste della: – Circoncisione di nostro Signore, – Purificazione, – Annunciazione, – Natività, – Assunzione, – Immacolata Concezione, – Dolori della Beata Vergine; – nella festa della Conversione di S. Paolo, e quella di Santa Maria Maddalena.

3. Nella Domenica immediatamente precedente la Settuagesima.

4. Nell’anniversario del battesimo dell’associato. Per lucrare quest’ultima indulgenza, oltre a rispettare le condizioni usuali, è indispensabile che la persona abbia recitato almeno un’Ave Maria al giorno durante l’anno per la conversione dei peccatori.

5. Indulgenza plenaria al momento della morte (Gregorio XVI., 24 Aprile 1838) …

6. Indulgenza plenaria, alle solite condizioni, può anche essere acquisita nelle feste di San Giuseppe, San Giovanni Battista e San Giovanni Evangelista (Pio IX., 9 dicembre 1847).

Per essere un membro di questa associazione, unico requisito è che il proprio nome debba essere inserito nel registro.  Si è voluto, ma non di obbligo (12 Mag 1843), che ogni membro dovrebbe recitare un’Ave Maria quotidiana per la conversione dei peccatori. Essi sono anche esortati a portare la Medaglia Miracolosa, come viene chiamata, e di ripetere, di tanto in tanto, la giaculatoria: “O Maria concepita senza peccato pregate per noi che ricorriamo a Voi“.

Dal libro: Il libro delle Sante indulgenze, completo dei decreti della Sacra Congregazione delle indulgenze e di altre fonti approvate; 1876, Imprimatur.  Capitolo 68, pagine 152-154

cuore-di-maria-4

Feste della Arciconfraternita del CUORE IMMACOLATO DI MARIA

La festa principale della Arciconfraternita, si celebra ogni anno nell’ultima Domenica dopo l’Epifania, immediatamente precedente la Domenica di Settuagesima. L’ufficio è in onore del Cuore Immacolato di Maria.  Una indulgenza plenaria è concessa a quei membri che ricevono la Santa Comunione in questo giorno, e anche nelle altre feste dell’Arciconfraternita. [Se la Santa Comunione e la Messa non sono disponibili in questi giorni, si consiglia di fare la comunione spirituale. Non bisogna mai partecipare a qualsiasi “messa”, che non sia in comunione con il Papa Gregorio XVIII, sotto pena di scomunica “Ipso Facto” dalla Chiesa Cattolica, cosa che condurrebbe l’anima al diavolo.

 Le feste dell’Arciconfraternita sono:

 1. L’ultima Domenica dopo l’Epifania, immediatamente precedente la Domenica Settuagesima (mobile ogni anno),

2. La Circoncisione di nostro Signore (1 gennaio),

3. L’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria (8 dicembre),

4. La Natività della Beata Vergine Maria (8 settembre),

5. L’Annunciazione (25 marzo, soggette a modifiche se cade nella settimana della Passione, o la Settimana Santa, o l’ottava di Pasqua),

6. La Purificazione della Beata Vergine Maria (2 febbraio),

7. I dolori della Beata Vergine Maria (15 settembre e il Venerdì precedente il Venerdì Santo),

8. L’Assunzione della Beata Vergine (15 agosto),

9. La Conversione di S. Paolo (25 gennaio),

10. Festa di Santa Maria Maddalena (22 luglio).

Queste due ultime feste sono state adottate dalla Arciconfraternita: – 1° come ringraziamento per la misericordia che Dio ha avuto nel convertire e santificare il grande Apostolo delle genti e l’illustre Penitente (Santa Maria Maddalena); – 2° per ottenere la loro protezione nel lavoro della conversione delle anime, e presentarli come modello di peccatore pentito.

Nella festa dei Dolori della Beata Vergine, il Venerdì precedente alla settimana di Passione, e il 15 settembre, l’Arciconfraternita onora in un modo speciale l’afflizione del Cuore di Maria, durante la Passione del suo caro Figlio con lo “Stabat Mater” cantato dopo la Messa del giorno.

addolorata-3

Tutti i sabati dell’anno, in particolare il primo Sabato di ogni mese, sono giorni di devozione al Cuore Immacolato di Maria; gli associati sono esortati a santificarli come tali, e per onorare la loro Madre benedetta in maniera speciale.