NOVENA A SAN PASQUALE BAYLON

NOVENA A S. PASQUALE BAYLON (inizio 8 maggio, festa il 17 maggio)

m. il 17 mag. 1592, can. da Innoc. XII, 1672.

I. Ammirabile S. Pasquale, che nella umiltà della vostra condizion di guardiano di pecore, non peraltro vi appigliaste allo studio delle umane lettere che per meglio conoscere Iddio e riverir colla recita del piccolo Ufficio la sua SS. Madre, e poi faceste propria delizia il camminar sempre a piedi ignudi, anche fra i dirupi e le spine, il dormire incomodo o sulla terra, o sopra un tavolato, con un tronco per vostro guanciale, e il visitare quotidianamente la santa immagine di Maria, impetrate a noi tutti la grazia di viver sempre staccati da tutte le cose del mondo, di non ambire altra scienza che quella delle legge di Dio, di zelar sempre l’onore della sua SS. Madre, e di avanzarci mai sempre nella evangelica mortificazione, onde assicurarci quel regno che è divinamente promesso a tutti i poveri di spirito. Gloria...

II. Ammirabile S. Pasquale, che, entrato nell’ordine dei Minori, diveniste, sebbene ancor giovine, il modello dei più provetti adempiendo con ogni esattezza tutte le incombenze che vi vennero affidate, ora di portinajo, ora di cercatore, ora di refettoriere; e ad un’aria sempre dolce e mansueta, a una modestia affatto angelica, a uno spirito tutto eroico di penitenza aggiungeste una tenerezza tutta nuova verso dei poveri, a cui non ardiste mai di ricusar la limosina per timor di negarla a G. C. che vuol essere ne’ suoi poveri riconosciuto, ottenete a noi tutti la grazia di adempire con ogni esattezza tutti i doveri del nostro stato, di far sempre in ispirito d’obbedienza quanto ci potesse venire imposto da tutti i nostri maggiori, e di essere sempre cosi mansueti, così caritativi verso dei nostri fratelli specialmente se poveri, da meritarci quelle speciali benedizioni che sono promesse a tutti gli uomini misericordiosi. Gloria …

III. Ammirabile S. Pasquale, che, professando mai sempre divozione specialissima a Gesù Cristo sacramentato, aveste ancora il privilegio di contemplarlo visibile sotto le specie eucaristiche e di alzarvi per fino dalla vostra bara, e spalancare visibilmente i vostri occhi per adorare l’Ostia sacramentata nel Sacrificio che veniva offerto per vostro suffragio, per quelle ammirabili prerogative che voi aveste di penetrare il secreto dei cuori, di rivelare le cose future, di ricondurre sulla strada della salute le anime più sviate, e di restituire alla pristina sanità gli infermi più disperati, impetrate a noi tutti la grazia di zelar sempre col maggior impegno il culto del SS. Sacramento, che è la ricchezza e il decoro del Cristianesimo, onde meritarci per questo mezzo una vita sempre conforme ai vostri santissimi esempii, e assicurarci dopo la morte la partecipazione alla vostra gloria. Gloria

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S.S. BENEDETTO XIV – “UBI PRIMUM”

Il Santo Padre Benedetto XIV, appena insediato sul trono di s. Pietro, inizia il suo glorioso Pontificato, sollecitando i successori degli Apostoli, i Vescovi della santa Chiesa, a compiere il proprio dovere nei confronti del gregge che devono pascolare nel campo dottrinale per condurli all”eterna salvezza, con cura estrema e perfetta abnegazione, onde assolvere pienamente al compito che Gesù Cristo ha loro affidato e di cui chiederà minuzioso resoconto. Solo un esempio vogliamo riportare per meglio comprendere il tenore della lettera: « … invano il Pastore cercherà di difendersi con la scusa che il lupo ha rubato e divorato le pecore mentre egli era assente e ignaro; infatti, se si esamina la questione fino in fondo, appare evidente che nessun male o scandalo si manifesta in una Diocesi tanto abbandonata, che non sia da attribuire a colui che doveva richiamare con le sue ammonizioni i sudditi che uscivano dal retto sentiero, sollecitarli con l’esempio, animarli con le parole, tenerli a freno con l’autorità e con la carità …». Basterebbe leggere questa lettera per capire come gli infiltrati della massoneria nella Chiesa, abbiano lavorato alacremente per eludere tutte le raccomandazioni del Santo Pontefice Romano e svuotare la “sposa di Cristo” di ogni contenuto spirituale salvifico, fino a farne un carapace privo di anima e di un corpo canonicamente valido come oggi appare la falsa chiesa-sinagoga di satana, e questo in apparenza. Sappiamo infatti, che la vera Chiesa sia stata portata in salvo nel deserto dallo Spirito, secondo la profezia in Apoc. XII, e che mai le porte degli inferi prevarranno sulla vera Chiesa, potranno sì combatterla, eclissarla, chiuderla in un sepolcro di apparente sparizione, ma non potranno mai annientarla, perché Essa, come il Cristo fondatore, dopo tre giorni resusciterà più bella e vitale che mai per ricevere la seconda e definitiva venuta del suo divin Fondatore. Cristo ha vinto il mondo, e chi ha fede in Lui e nella sua vera Chiesa, lo vincerà ugualmente con la preghiera, la penitenza e la pazienza, frutto della grazia elargita a profusione da Dio Trino il Creatore onnipotente.

Benedetto XIV
Ubi primum

Allorché piacque a Dio, ricco di misericordia, collocare la Nostra umile persona nella Sede suprema del Beato Pietro e assegnare a Noi, benché nessun merito Ci raccomandi, la vicaria potestà di Nostro Signore Gesù Cristo per il governo di tutta la sua Chiesa, Ci sembrò che alle Nostre orecchie risonasse quella voce divina: “Pascola i miei agnelli; pascola le mie pecore“; cioè che fosse imposta al Romano Pontefice, successore dello stesso Pietro, la missione di guidare non solo gli agnelli del gregge del Signore, che sono i popoli sparsi per tutta la terra, ma anche le pecore, cioè i Vescovi, che, come le madri per gli agnelli, generano i popoli in Gesù Cristo e una seconda volta li partoriscono. – Accettate dunque, Fratelli, con questa nostra lettera, anche le parole del Vostro Pastore. Chiamati al compito di spronare, nella pienezza del mandato affidatoci da Dio, Voi comprendete quanto nei Nostri stessi inviti e nelle Nostre esortazioni Ci stia a cuore di non trascurare nessuno dei Nostri doveri, e quanto grande sia la forza della Nostra paterna carità verso di voi: in forza di essa, siamo portati a desiderare al massimo che dal profitto delle sante pecore provengano gioie eterne ai Pastori.

1. Innanzi tutto, in verità, operate con impegno e con ogni Vostra possibilità affinché l’integrità dei costumi e lo studio del culto divino risplendano nel Clero, e che la disciplina ecclesiastica sia conservata integra e sana, e sia ristabilita là dove sia caduta. È abbastanza noto, infatti, che non vi è nulla che più efficacemente ammaestri, stimoli e infiammi tutto il popolo alla pietà, alla religione e alle norme della vita cristiana quanto l’esempio di coloro che si sono dedicati al Divino ministero. Pertanto, l’acutezza della Vostra mente deve essere rivolta prima di tutto a far sì che con accurata scelta siano iscritti alla milizia clericale coloro dai quali a ragione si può prevedere che la loro vita sia oggetto di ammirazione da parte di quanti camminano nella legge del Signore, procedono di virtù in virtù e con la loro opera portano un vantaggio spirituale alle Vostre Chiese. Per certo, è meglio avere pochi Ministri, ma onesti, idonei ed utili, che molti i quali non siano per nulla destinati all’edificazione del Corpo di Cristo, che è la Chiesa. Voi, Fratelli, non ignorate quanta prudenza richiedano in proposito ai Vescovi i Sacri Canoni; quindi non lasciatevi distogliere da quanto prescritto (che deve essere osservato totalmente) né da qualsiasi rispetto umano, né da inopportune suggestioni dell’ambiente, né da richieste di patrocinatori. Soprattutto bisogna osservare il precetto dell’Apostolo, di non ordinare nessuno troppo frettolosamente, allorché si tratta di promuovere qualcuno ai Sacri Ordini e ai Santissimi Ministeri, dei quali nulla è più divino. Infatti, non basta l’età che le sacre leggi della Chiesa prescrivono per ciascun Ordine, né indiscriminatamente deve aprirsi il passaggio a posizioni più elevate, quasi di diritto, a tutti coloro che siano già stati posti in qualche Ordine inferiore. Voi dovete con grande attenzione e diligenza indagare se il modo di vivere di coloro che hanno preso i primi Ministeri sia stato conforme, e il loro progresso nelle sacre dottrine sia stato tale che veramente si debbano giudicare degni di sentirsi dire: “Sali più in alto“. Quanto è meglio, inoltre, che taluni rimangano ad un grado inferiore, piuttosto che siano promossi ad uno più alto, con maggior pericolo per loro e motivo di scandalo per gli altri.

2. E giacché importa soprattutto che coloro i quali sono chiamati al servizio del Signore siano formati fin dalla giovane età alla pietà, all’integrità dei costumi e alla disciplina canonica (come le pianticelle novelle nel loro inizio), Vi deve quindi stare a cuore che, dove eventualmente non siano ancora stati istituiti i Seminari dei Chierici, vengano istituiti quanto prima possibile, o siano ampliati quelli già esistenti se, data la situazione della Chiesa, vi sia bisogno di un numero maggiore di Alunni, impiegando a questo scopo i mezzi che i Vescovi hanno già il potere di procurare, e ai quali Noi ne aggiungeremo altri se da Voi saremo informati della loro necessità. – In verità è indispensabile che gli stessi Collegi siano vigilati dalla Vostra particolare cura: ispezionandoli spesso; esaminando la vita, l’indole e il progresso negli studi dei singoli adolescenti; destinando maestri preparati e uomini forniti di spirito ecclesiastico per la loro formazione; onorando talvolta le loro esercitazioni letterarie o le funzioni ecclesiastiche con la Vostra presenza; infine concedendo alcuni privilegi a coloro che abbiano dato più evidente prova dei loro meriti ed abbiano riportato maggiore lode. Non Vi pentirete di avere somministrato tale irrigazione a questi arboscelli durante la loro crescita; anzi la Vostra opera Vi porterà consolanti frutti nella copiosa abbondanza di buoni operai. Senza dubbio molto spesso i Vescovi furono soliti lamentarsi che la messe era molta e gli operai pochi; ma forse avrebbero dovuto anche dolersi di non aver dedicato essi stessi lo zelo necessario per formare operai pari e adeguati alla messe. Infatti i buoni e valorosi operai non nascono, ma si fanno; e spetta soprattutto alla solerzia e all’impegno dei Vescovi che si facciano.

3. Inoltre è della massima importanza che la cura delle anime sia affidata a coloro che per dottrina, pietà, purezza di costumi e per insigni esempi di buone opere possono far luce negli altri in tal misura da essere giudicati luce e sale del popolo. Costoro sono veramente i primi Vostri collaboratori nell’istruire, reggere, purificare, dirigere sulla via della salvezza, e incitare alle virtù cristiane il gregge a Voi affidato. Quindi è facile comprendere quanto debba starvi a cuore che siano prescelti all’ufficio parrocchiale coloro che meritatamente siano giudicati i più idonei a dirigere utilmente le folle. Ma soprattutto insistete perché tutti coloro che hanno cura d’anime nutrano di salutari parole (almeno le domeniche e nelle altre feste comandate) le genti loro affidate, secondo la propria e la loro capacità, insegnando tutto ciò che i fedeli di Cristo devono apprendere per la loro salvezza e spiegando gli articoli della legge divina, i dogmi della Fede e inculcando nei fanciulli i rudimenti della Fede stessa, dopo aver rimosso del tutto ogni cattiva abitudine, dovunque si manifesti. E invero, come potranno dare ascolto, se manca il predicatore? O in che modo i popoli potranno comprendere una legge che prescrive un giusto credo e un giusto comportamento, se i pastori di anime saranno stati, in tale ufficio, pigri, negligenti e inoperosi? Non si può comprendere compiutamente con l’animo o spiegare con le parole quanto danno per la Repubblica Cristiana derivi dalla negligenza di coloro, ai quali è affidata la cura delle anime, soprattutto nell’insegnare ai fanciulli il Catechismo. – Sarà poi di grande vantaggio se vi impegnerete in modo che tanto coloro che hanno cura d’anime, quanto coloro che sono destinati a ricevere le confessioni dei penitenti, per alcuni giorni e ogni anno attendano agli esercizi spirituali: certamente in tale pio ritiro si rinnoveranno nella loro vita spirituale e dall’alto saranno rivestiti di virtù idonee a compiere con più premura e alacrità quei doveri che si rivolgono alla gloria di Dio, al profitto e alla salute spirituale del prossimo.

4. In verità già sapete, Fratelli, che per divino precetto fu ordinato a tutti i Pastori di anime di conoscere le loro pecorelle e di nutrirle con la predicazione del verbo divino, con la somministrazione dei Sacramenti e con l’esempio di ogni opera buona; ma non possono affatto adempiere a questi e agli altri doveri pastorali, come è ovvio, coloro che non vigilano, e non assistono il loro gregge, e non custodiscono assiduamente la vigna del Signore alla quale sono stati preposti come custodi. Pertanto, dovete rimanere nel vostro posto di guardia, e conservare nella Vostra Chiesa, o Diocesi, la residenza personale alla quale siete obbligati dal vincolo del Vostro incarico, conforme a quanto dichiarano e prescrivono chiaramente numerosi decreti dei Concili generali e le Costituzioni dei Nostri Predecessori. Guardatevi poi dal credere che sia consentito ai Vescovi essere assenti per tre mesi ogni anno per capriccio o per qualsivoglia motivo. Perché ciò sia lecito ai Vescovi, occorre che una giusta causa richieda una tale assenza, e che ad un tempo si escluda che al gregge possa derivarne alcun danno. – Ricordate inoltre che il futuro Giudice sarà Colui agli occhi del quale tutte le cose sono nude e aperte, perciò fate in modo che la causa sia veramente tale da trovar credito presso questo supremo Principe dei Pastori che quanto prima vi chiederà conto del sangue delle pecore a Voi affidate. In questo processo, invano il Pastore cercherà di difendersi con la scusa che il lupo ha rubato e divorato le pecore mentre egli era assente e ignaro; infatti, se si esamina la questione fino in fondo, appare evidente che nessun male o scandalo si manifesta in una Diocesi tanto abbandonata, che non sia da attribuire a colui che doveva richiamare con le sue ammonizioni i sudditi che uscivano dal retto sentiero, sollecitarli con l’esempio, animarli con le parole, tenerli a freno con l’autorità e con la carità. Chi poi non comprende che è molto meglio affrontare le questioni altrove, quando fosse necessario, per mezzo di altri, piuttosto che dallo stesso Vescovo dimorante fuori della sua Diocesi; e che l’impegno, certo più urgente di tutti, di custodire e dirigere il gregge, sia assolto direttamente dal Vescovo e non attraverso intermediari? Infatti, tali ministri siano pure idonei e stimati quanto si vuole, tuttavia il gregge non è così aduso ad ascoltare la loro voce, come la voce del suo vero pastore; e per vasta esperienza è risaputo che la loro opera vicaria non sostituisce a sufficienza la vigilanza e l’azione dello stesso Vescovo, che è soccorso dalla grazia particolare dello Spirito Santo.

5. A queste cose Vi ammoniamo ed esortiamo, Fratelli, perché come anche in ogni amministrazione domestica nulla è più utile del fatto che lo stesso padre di famiglia guardi bene di frequente tutto, e promuova con la sua vigilanza l’operosità e la diligenza dei suoi, così Vi comandiamo di visitare Voi stessi le Vostre Chiese e le Vostre Diocesi (a meno che intervenga una grave e legittima causa, che imponga che ciò sia affidato ad altri), affinché conosciate Voi stessi le Vostre pecore e il volto del Vostro gregge. – Quella sicurissima sentenza, che sopra abbiamo ricordata, che non è ammessa scusa per il pastore se il lupo mangia le pecore, e il pastore non lo sa, è certamente ispirata da grande paura e terrore. Senza dubbio il Vescovo ignorerà molte cose, molte gli rimarranno nascoste, o quantomeno le apprenderà più tardi del necessario, se non si reca in ogni parte della sua Diocesi. Se di persona non vede, non ascolta, non verifica dovunque, non sa a quali mali porgere la medicina e quali siano le cause di essi e in quale modo possa con lungimiranza provvedere a che essi, una volta repressi, non possano manifestarsi di nuovo. Inoltre, è tale la fragilità umana che nel campo del Signore (la cura del quale è affidata al Vescovo) a poco a poco crescono sterpi, spine ed erbe inutili e dannose, qualora il coltivatore non ritorni spesso a tagliarle; perciò la stessa floridezza, ottenuta con le sue vigili fatiche, con l’andar del tempo finirà per affievolirsi. Ma non è neppure sufficiente che le Diocesi siano da Voi visitate e che con le Vostre opportune disposizioni si provveda alla loro gestione: vi resta ancora il compito di controllare, con ogni sforzo, che sia veramente messo in pratica tutto ciò che durante le visite fu convenuto. Infatti, sarà nulla l’utilità delle leggi, anche se ottime, se ciò che fu stabilito a parole non è tradotto correttamente nei fatti da chi ne ha il mandato. Perciò, dopo che avrete preparato farmaci salutari per espellere o allontanare le malattie delle anime, non per questo il Vostro zelo si attenui, ma dovrete sollecitare con ogni Vostra energia l’applicazione delle disposizioni da Voi impartite; e conseguirete questo scopo soprattutto per mezzo di visite reiterate.

6. Da ultimo, per dire molte cose in breve, Fratelli, è opportuno che in ogni funzione sacra ed ecclesiastica e in ogni esercizio del culto Divino e della pietà, Voi stessi siate promotori, conduttori e maestri, perché sia il Clero, sia tutto il gregge attingano luce quasi dallo splendore della Vostra santità e si riscaldino alla fiamma della Vostra carità. Pertanto nella frequente e devota offerta del tremendo Sacrificio, durante la solenne celebrazione delle Messe, nell’amministrare i Sacramenti, nell’esercizio degli Uffici Divini, nella pompa e nella lucentezza dei templi, nella disciplina della Vostra casa e della Vostra famiglia, nell’amore dei poveri e nell’aiuto che recherete loro, nel visitare e soccorrere gl’infermi, nell’ospitare i pellegrini, infine in ogni manifestazione della virtù Cristiana, sarete Voi il modello del Vostro gregge, in modo che tutti siano Vostri imitatori, come Voi di Cristo, così come conviene ai Vescovi, che lo Spirito Santo pose a governare la Chiesa di Dio, che Egli conquistò col suo sangue. Considerate spesso gli Apostoli, al posto dei quali siete subentrati, per seguire le loro orme nel sopportare le fatiche, le veglie, gli affanni; nel tener lontani i lupi dai Vostri ovili, nell’estirpare le radici dei vizi, nell’esporre la legge evangelica, nel ricondurre a salutare penitenza coloro che hanno peccato. Vi sarà accanto, per certo, Dio onnipotente e misericordioso, il cui soccorso ci rende tutto possibile; a Voi non verrà meno neppure l’aiuto dei Principi religiosi, come senza alcun dubbio crediamo. Inoltre, da questa Santa Sede non Vi mancheranno gli aiuti ogni volta che riterrete necessaria la Nostra apostolica autorità. Pertanto con grande coraggio e con grande fiducia venite a Noi, Voi tutti, che amiamo come fratelli, collaboratori e Nostra corona in nome di Gesù Cristo; venite alla Santa Romana Chiesa, madre, guida e maestra Vostra e di tutte le Chiese, da dove ebbe origine la Religione e dove è la pietra della Fede, la fonte dell’unità dei Sacerdoti, la dottrina dell’incorrotta verità; nulla infatti può essere per Noi più desiderato e più gradito che insieme con Voi essere al servizio della gloria di Dio e affaticarci per la custodia e la diffusione della Fede Cattolica; per salvare le anime verseremmo con somma gioia, se fosse necessario, il Nostro stesso sangue e la Nostra vita. E ora Vi inciti e Vi stimoli nella Vostra corsa la grande e sicura ricompensa che Vi attende. Infatti, quando apparirà il Principe dei Pastori, riceverete l’incorruttibile corona della gloria, la corona della giustizia che è stata riservata ai fedeli interpreti dei misteri di Dio e agli strenui e vigili custodi della casa d’Israele che è la Santa Chiesa dello stesso Dio. Noi che per quanto indegni facciamo le Sue veci in terra, molto affettuosamente benediciamo Voi Fratelli e con paterno amore impartiamo la Nostra stessa Apostolica Benedizione anche al Vostro Clero e al Vostro fedele popolo.

Dato a Roma, presso Santa Maria Maggiore, il 3 dicembre 1740, anno primo del Nostro Pontificato.

DOMENICA IV DOPO PASQUA (2023)

DOMENICA IV DOPO PASQUA (2023)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semidoppio. – Paramenti bianchi.

La liturgia di questo giorno esalta la giustizia di Dio (Intr., Vang.) che si manifesta col trionfo di Gesù e l’invio dello Spirito Santo. « La destra del Signore ha operato grandi cose risuscitando Cristo da morte » (All.) e facendolo salire al cielo nel giorno dell’Ascensione. È bene per noi che Gesù lasci la terra, poiché dal cielo Egli manderà alla sua Chiesa lo Spirito di verità (Vang.), per eccellenza, che viene dal Padre dei lumi (Ep.). Lo Spirito Santo ci insegnerà ogni verità (Vang., Off., Secr.), esso « ci annunzierà » quello che Gesù gli dirà e noi saremo salvi se ascolteremo questa parola di vita (Ep.). Lo Spirito Santo ci dirà le meraviglie che Dio ha operate per il Figlio (Intr., Off.) e questa testimonianza della splendida giustizia resa a Nostro Signore consolerà le anime nostre e ci sarà di sostegno in mezzo alle persecuzioni. Siccome, secondo quanto dice S. Giacomo, « la prova della nostra fede produce la pazienza e questa bandisce l’incostanza e rende le opere perfette », noi imiteremo in tal modo la pazienza del nostro Dio « e del Padre nostro », nel quale « non vi è né variazione né cambiamento » (Ep.), e « i nostri cuori saranno allora là dove si trovano le vere gioie » (Or.). Lo Spirito Santo convincerà inoltre satana e il mondo del peccato che hanno commesso mettendo a morte Gesù (Vang., Comm.) e continuando a perseguitarlo nella sua Chiesa.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Ps XCVII:1; 2
Cantáte Dómino cánticum novum, allelúja: quia mirabília fecit Dóminus, allelúja: ante conspéctum géntium revelávit justítiam suam, allelúja, allelúja, allelúja.

[Cantate al Signore un cantico nuovo, allelúia: perché il Signore ha fatto meraviglie, allelúia: ha rivelato la sua giustizia agli occhi delle genti, allelúia, allelúia, allelúia.]

Ps XCVII: 1
Salvávit sibi déxtera ejus: et bráchium sanctum ejus.

[Gli diedero la vittoria la sua destra e il suo santo braccio.]

Cantáte Dómino cánticum novum, allelúja: quia mirabília fecit Dóminus, allelúja: ante conspéctum géntium revelávit justítiam suam, allelúja, allelúja, allelúja.

[Cantate al Signore un cantico nuovo, allelúia: perché il Signore ha fatto meraviglie, allelúia: ha rivelato la sua giustizia agli occhi delle genti, allelúia, allelúia, allelúia.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.
Deus, qui fidélium mentes uníus éfficis voluntátis: da pópulis tuis id amáre quod prǽcipis, id desideráre quod promíttis; ut inter mundánas varietátes ibi nostra fixa sint corda, ubi vera sunt gáudia.

[O Dio, che rendi di un sol volere gli ànimi dei fedeli: concedi ai tuoi pòpoli di amare ciò che comandi e desiderare ciò che prometti; affinché, in mezzo al fluttuare delle umane vicende, i nostri cuori siano fissi laddove sono le vere gioie.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Jacóbi Apóstoli
Jas I 17-21
Caríssimi: Omne datum óptimum, et omne donum perféctum desúrsum est, descéndens a Patre lúminum, apud quem non est transmutátio nec vicissitúdinis obumbrátio. Voluntárie enim génuit nos verbo veritátis, ut simus inítium áliquod creatúræ ejus. Scitis, fratres mei dilectíssimi. Sit autem omnis homo velox ad audiéndum: tardus autem ad loquéndum et tardus ad iram. Ira enim viri justítiam Dei non operátur. Propter quod abjiciéntes omnem immundítiam et abundántiam malítiæ, in mansuetúdine suscípite ínsitum verbum, quod potest salváre ánimas vestras.


[Caríssimi: Ogni liberalità benefica e ogni dono perfetto viene dall’alto, scendendo da quel Padre dei lumi in cui non è mutamento, né ombra di vicissitudine. Egli infatti ci generò di sua volontà mediante una parola di verità, affinché noi siamo quali primizie delle sue creature. Questo voi lo sapete, miei cari fratelli. Ogni uomo sia pronto ad ascoltare, lento a parlare e lento all’ira. Poiché l’uomo iracondo non fa quel che è giusto davanti a Dio. Per la qual cosa, rigettando ogni immondezza e ogni resto di malizia, abbracciate con animo mansueto la parola innestata in voi, la quale può salvare le vostre ànime.]

L’Apostolo S. Giacomo, detto il Minore, era venuto a conoscere che tra i Cristiani convertiti dal Giudaismo e disseminati fuori della Palestina serpeggiavano gravi errori, nell’interpretazione della dottrina loro insegnata, specialmente rispetto alla necessità delle buone opere. Inoltre, in mezzo alle tribolazioni cui andavano soggetti, c’era pericolo che riuscissero a farsi strada le vecchie abitudini. Per premunire contro l’errore questi suoi connazionali dispersi, e per richiamarli a una vita più austera, S. Giacomo scrive loro una lettera. In essa si insiste sulla necessità che alla fede vadano congiunte le buone opere. Si danno, poi, varie norme, perché tanto nella vita privata, quanto nelle relazioni sociali siano guidati da uno spirito veramente cristiano; e vengono confortati nelle loro tribolazioni. L’Epistola è tolta dal cap. 1 di questa lettera. Da Dio deriva ogni bene. Da Lui abbiamo avuto il dono inestimabile della vita della grazia, per mezzo della predicazione del Vangelo, parola di verità. Questa parola di verità ciascuno deve accogliere con prontezza, con semplicità, con spirito di mansuetudine.

Alleluja

Allelúja, allelúja.
Ps CXVII:16.
Déxtera Dómini fecit virtútem: déxtera Dómini exaltávit me. Allelúja.

[La destra del Signore operò grandi cose: la destra del Signore mi ha esaltato. Allelúia.]

Rom VI:9
Christus resúrgens ex mórtuis jam non móritur: mors illi ultra non dominábitur. Allelúja.

[Cristo, risorto da morte, non muore più: la morte non ha più potere su di Lui. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Joánnem
Joannes XVI: 5-14

In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Vado ad eum, qui misit me: et nemo ex vobis intérrogat me: Quo vadis? Sed quia hæc locútus sum vobis, tristítia implévit cor vestrum. Sed ego veritátem dico vobis: expédit vobis, ut ego vadam: si enim non abíero, Paráclitus non véniet ad vos: si autem abíero, mittam eum ad vos. Et cum vénerit ille, árguet mundum de peccáto et de justítia et de judício. De peccáto quidem, quia non credidérunt in me: de justítia vero, quia ad Patrem vado, et jam non vidébitis me: de judício autem, quia princeps hujus mundi jam judicátus est. Adhuc multa hábeo vobis dícere: sed non potéstis portáre modo. Cum autem vénerit ille Spíritus veritátis, docébit vos omnem veritátem. Non enim loquétur a semetípso: sed quæcúmque áudiet, loquétur, et quæ ventúra sunt, annuntiábit vobis. Ille me clarificábit: quia de meo accípiet et annuntiábit vobis.

[In quel tempo: Gesú disse ai suoi discepoli: Vado a Colui che mi ha mandato, e nessuno di voi mi domanda: Dove vai? Ma perché vi ho dette queste cose, la tristezza ha riempito il vostro cuore. Ma io vi dico il vero: è necessario per voi che io me ne vada, perché se non me ne vado, non verrà a voi il Paraclito, ma quando me ne sarò andato ve lo manderò. E venendo, Egli convincerà il mondo riguardo al peccato, riguardo alla giustizia e riguardo al giudizio. Riguardo al peccato, perché non credono in me; riguardo alla giustizia, perché io vado al Padre e non mi vedrete più; riguardo al giudizio, perché il principe di questo mondo è già condannato. Molte cose ho ancora da dirvi: ma adesso non ne siete capaci. Venuto però lo Spirito di verità, vi insegnerà tutte le verità. Egli, infatti, non vi parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito: vi annunzierà quello che ha da venire, e mi glorificherà, perché vi annunzierà ciò che riceverà da me.]

OMELIA

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956.)

L’ADDIO DI GESÙ

Finita la cena, — era l’ultima cena che il Figlio di Dio mangiava coi figli degli uomini, — Gesù e gli undici Apostoli s’incamminarono verso il monte degli Ulivi. C’era lassù un orto chiamato il Getsemani, ove il Signore soleva pregare. Quando la silenziosa compagnia, passata la valle del Cedron, cominciò a risalire per una stradetta incassata tra gli ulivi ed i vigneti, Gesù disse agli Apostoli tenerissime cose. E concluse: « Ed ora torno a Colui che mi ha mandato ». Tutti tacevano in angoscia: non era la prima volta, quella sera, che il Maestro parlava di partire. E, quantunque non immaginassero che quella era l’ultima notte di Gesù, tuttavia per i continui accenni che Egli faceva della sua prossima partenza, cominciarono a temere. E quando disse: « Ora torno a Colui che mi ha mandato », si strinse la gola dei discepoli, e nessuno poté rispondere. « Come? », disse Gesù, « non parlate? Vi ho detto che me ne vado e nessuno mi domanda dove? ». Nell’oscurità e nel silenzio della sera per la stradetta ascendente tra i filari d’ulivi e di viti, il Maestro li sentiva lottare coi singhiozzi. Perciò aggiunse: « Perché vi ho detto queste cose, il vostro cuore è gonfio di tristezza. Non affliggetevi: vi dico che è necessario per voi che me ne vada ». Come una madre che deve andare lontano e si vede attorno i figliuoli piangenti, li raccomanda a qualche parente e promette vicino il suo ritorno, così anche Gesù fece due promesse per consolare i suoi Apostoli alla sua partenza. « È necessario per voi ch’io vada; perché s’io non vado, il Paracleto non verrà » — Lo Spirito Santo non poteva venire prima della morte di Cristo perché gli uomini erano ancora schiavi del peccato originale; era necessario che Gesù morendo ci redimesse, affinché lo Spirito Santo, che non abita in un corpo soggetto al peccato, potesse venire in noi. « È  necessario per voi ch’io vada: perché vi possa preparare un posto, e quando lo avrò preparato, ritornerò da voi, e vi prenderò con me; e starete per sempre dove sarò io ». Noi in Paradiso, prima della morte di Cristo, non potevamo andare: era necessario che Gesù morendo entrasse per il primo e ce lo aprisse, perché anche noi dietro a Lui vi potessimo entrare. Dunque, com’è stato buono, più che una mamma, Gesù con noi! Prima di partire ha pensato a noi, per la nostra vita e per la nostra morte. Per la nostra vita ci ha promesso lo Spirito Santo; per la nostra morte ci ha promesso che tornerà Lui a prenderci e a portarci dove Egli sta. Ciò che importa, adesso, è sapere quello che dobbiamo fare perché lo Spirito Santo abiti in noi in questa vita, e perché nell’ora della nostra morte venga Gesù a prenderci e condurci in Cielo. – 1. PERCHÈ LO SPIRITO SANTO ABITI IN NOI. La Vergine siracusana, santa Lucia, fu accusata al governatore Pascasio perché rifiutava la mano d’un giovane idolatra. Essa si difese e disse: « Non ho promesso fedeltà a nessun uomo, ma solo a Dio ». Il governatore, adirato, comandò: « Fra i tormenti la si costringa a tacere! A lui rispose Lucia: « Le parole non mancheranno mai sulle labbra dei servi di Dio. L’ha detto Gesù: Quando vi troverete davanti ai re ed ai magistrati, non angustiatevi per le cose che dovete dire; lo Spirito Santo che è in voi vi suggerirà tutto » – « Dunque, lo Spirito Santo è in te? ». « Sì: coloro che vivono casti e pii sono templi dello Spirito Santo ». Allora il governatore maligno aggiunse: « Penserò a farti cessare di essere casta e pia e non sarai più il tempio dello Spirito Santo ». Ma la vergine, levate le mani e gli occhi al cielo, pregava. Ecco, o Cristiani: perché lo Spirito Santo abiti in noi è necessario vivere pii e casti. Pii: con la frequenza dei Sacramenti, con la preghiera in casa ed in Chiesa. Casto: con l’onestà della vita, con la fuga dalle occasioni cattive, con l’amore alla propria famiglia. È vicina la Pentecoste, la grande festa che ricorda la discesa dello Spirito Santo sopra gli Apostoli: prepariamo i nostri cuori con una vita casta e pia. E se alcuno sentisse pesare sulla sua coscienza una grave colpa, si purifichi con la santa Confessione, altrimenti lo Spirito Santo non verrà in lui e non sentirà gli effetti della sua presenza. « Quando verrà lo Spirito consolatore — ha detto Gesù — Egli v’insegnerà ogni verità ». Beate le anime caste e pie, perché da Lui saranno consolate! In ogni dolore, in ogni croce proveranno una soave dolcezza, perché lo Spirito Santo presente in loro, ascolterà ogni gemito e preparerà per essi una ricompensa eterna. Beate le anime caste e pie, perché da Lui saranno ammaestrate, e comprenderanno come tutte le cose di quaggiù non siano altro che un inganno, e non val la pena d’attaccare il cuore nostro ad esse. – 2. PERCHÈ GESÙ RITORNI NELL’ORA DI NOSTRA MORTE. L’ora più terribile della vita è quella di nostra morte. Soffrire i mali dell’agonia che ci strapperanno stille di freddo sudore; chiuder gli occhi e non riaprirli più a vedere le persone e le cose amate; andar via da questo mondo senza portar via niente con noi, neppure un soldo, neppure un frustolo di pane; e non sapere dove si vada e come sarà… Al di là della morte chi verrà a prenderci? Gesù o il demonio? Oh, se fossimo sicuri che verrà Gesù a condurci dove Egli è, a star sempre con Lui, a non morir più, a godere eternamente, come sarebbe dolce la morte! Sarebbe il termine d’ogni dolore, anzi l’inizio della gioia senza confine. Ebbene, Gesù ha promesso che tornerà a prendere i suoi discepoli per dare ad essi quel posto che si sono guadagnati in Paradiso. Quando il cappellano entrò nella stanza della santa di Lisieux morente, cercò di confortarla ad accettar la morte con rassegnazione. « Padre! — rispose santa Teresa, — non c’è bisogno di rassegnazione se non per vivere. A morire io provo gioia: perché Gesù stesso verrà a prendermi. E quando si è con Gesù non si muore ma si entra nella vita ». Beati quelli che muoiono bene! Morire bene: ecco lo scopo di tutto il nostro vivere. Ma noi sappiamo che nulla s’impara se non con l’esercizio e con la pratica. Come s’impara a fabbricare? fabbricando. Come s’impara a morire? morendo. « Ogni giorno io muoio », diceva San Paolo; ed ogni giorno moriva al mondo, ai piaceri, alle lusinghe del demonio e delle passioni. Da questo si spiega com’egli potesse scrivere: « Io bramo di morire per trovarmi con Cristo ». Cupio dissolvi et esse cum Christo. « Io bramo di morire perché la morte è un guadagno per me » (Filip., I, 21,23). Sulla tomba di Scoto, filosofo francescano, fu scritto « Semel sepultus bis mortuus ». Fu sepolto una volta sola e morì due volte: la prima, mentre viveva facendo penitenza e rinnegando se stesso. Se vogliamo morir bene, anche noi ogni giorno dobbiamo imparare a morire: devono morire nella nostra mente i cattivi pensieri; devono morire sulle nostre labbra le parole cattive di bestemmia, di impurità, di odio, di mormorazione; devono morire nella nostra vita le opere cattive, solo deve vivere in noi la volontà di Dio. Solo così Gesù ritornerà a prenderci nell’ora di nostra morte. – Moriva un bambino di sei anni: s’accorgeva di morire, ma non aveva paura. Volgendosi alla mamma che singhiozzava, ingenuamente le chiedeva: « Mamma, domani, quando sarò in cielo e mi verrà sonno, Gesù a dormire mi metterà nella cuna o mi prenderà sulle sue braccia? ». Sulle braccia di Gesù tu dormi ora, o piccolo innocente! Ma anche noi se sapremo conservare il nostro cuore buono e puro come quello di un bambino, anche noi Gesù prenderà sulle sue braccia, nell’ora di nostra morte. E sia così. — IL GIUDIZIO DELLO SPIRITO SANTO. Gesù conforta così i suoi Apostoli: « No, il mondo non vincerà perché manderò lo Spirito Santo a giudicarlo, e lo convincerà di peccato, di giustizia e di giudizio ». E San Tommaso spiega queste parole oscure dicendo che lo Spirito Santo giudicherà il mondo: de iustitia — ossia delle opere buone omesse; de peccato — che non doveva commettere; de iudicio — ossia dei falsi apprezzamenti del mondo, che disprezza i beni eterni, per stimare i beni fugaci e bugiardi. – 1. DE PECCATO. Una notte nella città di Cambrai le campane suonarono spaventosamente a stormo. I cittadini balzavano dal sonno, s’affacciavano alle finestre con gli occhi sbarrati: un chiarore fosco e sanguigno, un fumo denso entrava in ogni via, suscitando ombre paurose. Giù nelle strade c’era gente che accorreva affannosamente; gente che gridava: « La cattedrale in fiamme ». Sulla piazza della cattedrale era tutto un popolo che impotente vedeva il suo tempio, il simbolo della fede dei padri, rovinare dal sommo. Le lingue di fuoco sfuggivano dalle strombature delle finestre, avvolgevano le lesene, su su fino al cornicione, ed erompevano liberamente sul tetto con un crepitìo di selvaggio trionfo. Tratto tratto qualche rombo sordo e lungo: le volte crollavano in un vortice di fumo e di faville. Le colonne, i capitelli, gli stucchi, le guglie, le statue dei santi, tutto precipitava. In mezzo alla folla, senza una parola, senza una lacrima, il Vescovo, Mons. Reghier guardava… « Che disastro! Che disastro! » urlavano attorno a lui; ed egli rispose: « Disastro: è vero. Ma non è come un peccato ». Il peccato è la ribellione contro Dio che ci ha creati, che ci ha redenti, che ci conserva; è il grido di lucifero: Non serviam! Il peccato è l’ingratitudine più feroce di un figlio verso suo padre che l’ha nutrito con la sua carne, che l’ha dissetato con il suo sangue, che ha dato la sua vita per lui. Filios enutrivi et exaltavi: ipsi autem spreverunt me. Il peccato priva l’anima della sua bellezza, deforma in essa l’immagine di Dio e la spoglia di tutti i meriti che prima s’era con tanta fatica acquistati. Miseros fact populos peccatum (Prov., IV, 34). Il peccato significa il supplizio eterno, in atroci tormenti, nel fuoco e nelle tenebre: il peccato è l’inferno: Ibunt hi in supplicium æternum. Eppure gli uomini peccano tanto facilmente: preferiscono il peccato ai mali del corpo, alla povertà, al disonore, al rinnegamento dei sensi. Non così però i santi: S. Francesco Regis ad un peccatore che non si voleva convertire, così lo scongiurava: « Uccidimi se vuoi, ma non peccare un’altra volta ». Non come il mondo giudicherà lo Spirito Santo quando verrà a convincerlo di peccato: Arguet mundum de peccato. – 2. DE IUSTITIA. S. Giovanni Damasceno racconta che in una città della Grecia v’era una strana costumanza. Ogni anno si andava lontano a cercare uno straniero e, tra il plauso del popolo e i canti e i fiori, lo si portava trionfalmente a reggere la città. E l’infelice s’illudeva beatamente nello splendore del trono e nelle ricchezze della reggia. Ma finito l’anno, la città con urla vergognose lo cacciava in una scogliera brulla in mezzo al mare: senza veste, senza cibo. E là sulla sabbia dell’isola sterile, quell’infelice re d’un anno scontava ad una ad una quelle fugaci ore di gloria. Ma una volta si trasse a reggere la città un uomo che era saggio. Egli non si lasciò lusingare né dagli onori né dai banchetti. Ogni giorno, segretamente, faceva trafugare all’isola fatale e vesti e cibi e oro e pietre e legnami da costruzione. E quando il popolo si levò per cacciarlo via, egli non si fece pregare, ma se ne fuggì contento verso la scogliera ove tante ricchezze lo attendevano. Questo re d’un anno siam noi, sulla terra, o Cristiani; finita la breve vita dovremo passare verso l’isola dell’eternità. Infelice colui che non avrà fatto opere di giustizia: là non troverà né pane, né veste, né casa per la sua felicità, ma troverà lo Spirito Santo a giudicarlo de iustitia quam debuit facere et non fecit. Ma se ogni giorno noi faremo qualche azione buona per l’eternità, qualche mortificazione, qualche preghiera, qualche elemosina per amor di Dio, quando verrà la morte a cacciarci dal regno di questa terra, non ci rincrescerà ma fuggiremo beatamente verso il regno del cielo migliore. Bisogna dunque operare il bene, intanto che siamo vivi. E a questo lo Spirito Santo ci spinge con gemiti inenarrabili. Quante buone ispirazioni, quanti palpiti d’amore, ogni giorno Dio ci concede! È un povero che stende la mano sul nostro passaggio, è il buon esempio di un vicino, è una campana che nel silenzio mattutino ci sforza a balzar dalle coltri e a recarci nella Chiesa a pregare. Hodie si vocem eius audieritis, nolite obdurare corda vestra (Ps., XCIV, 8). – 3. DE JUDICIO. Frate Galdino, arrivato nella casa d’Agnese, per prendere un po’ di fiato, raccontò il famoso miracolo delle noci (MANZONI, Cap. III). La conclusione è veramente graziosa. Padre Macario, passando per una viottola nel campo di un benefattore del convento, vide che stavano sradicando un magnifico noce, perché da anni non dava frutti. Padre Macario persuase il benefattore a lasciar ancora quella pianta nella terra. E il brav’uomo ubbidì, promettendo metà del raccolto per il convento. A primavera fiorì a bizzeffe, e a suo tempo, noci a bizzeffe. Ma il benefattore del convento non ebbe la fortuna di bacchiarle, perché andò prima a ricevere il premio della sua carità. Aveva lasciato però un figliuolo di stampo ben diverso. Costui, un giorno, aveva invitato alcuni suoi amici dello stesso pelo e, gozzovigliando, raccontava la storia del noce e rideva dei frati, a cui credeva d’avergliela fatta, facendosi nuovo della promessa di suo padre. Que’ giovinastri ebber voglia d’andar a vedere quello sterminato mucchio di noci; e lui li mena su in granaio. Apre l’uscio, va verso il cantuccio dove era stato riposto il gran mucchio, mentre dice: — Guardate; — guarda egli stesso, e vede… che cosa? Un bel mucchio di foglie secche. Povero sciocco: come s’era ingannato. Lo stesso sbigottimento subiranno i poveri mondani, quando lo Spirito Santo li convincerà dei loro falsi apprezzamenti. Arguet mundum de iudicio. Tu credevi d’essere al mondo solo per il corpo, e invece era per l’anima. Tu pensavi d’esser al mondo per diventar ricco, e hai sudato, dì e notte, lealmente e slealmente, ti sei logorato tutta la vita, trascurando ogni dovere per amare, per ammassare… che cosa? Un bel mucchio di foglie secche. Tu pensavi d’essere al mondo per raggiungere un posto, per farti un nome, ed almanaccavi sempre disegni di grandezza e di dominio. E che cosa hai raccolto? Guarda … un bel mucchio di foglie secche. Tu pensavi d’esser al mondo per soddisfare le tue passioni: ed hai creduto trovar gioia nel libero sfogo d’ogni impuro desiderio. E cos’hai raccolto? Guarda… un bel mucchio di foglie marce. – Quando S. Metodio arrivò alla corte del Re dei Bulgari, dipinse in una sala della reggia una scena spaventosa. Dio era nel mezzo con tutta la sua maestà. Di qua, di là, gli uomini pallidi, confusi, angosciati, aspettavano il proprio destino. Il principe ne fu spaventato: « Ricordati o re, — disse il santo — che così tu verrai giudicato ». Il re si convertì. Ricordiamo noi pure, o Cristiani, che saremo giudicati de peccato, de iustitia, de judicio. Questo pensiero ci stia dinanzi sempre a infonderci un santo timore.

IL CREDO

Offertorium

Orémus.
Ps LXV:1-2; LXXXV:16
Jubiláte Deo, univérsa terra, psalmum dícite nómini ejus: veníte et audíte, et narrábo vobis, omnes qui timétis Deum, quanta fecit Dóminus ánimæ meæ, allelúja.

[Acclama a Dio, o terra tutta, canta un inno al suo nome: venite e ascoltate, tutti voi che temete Iddio, e vi narrerò quanto il Signore ha fatto all’ànima mia, allelúia.]

Secreta

Deus, qui nos, per hujus sacrifícii veneránda commércia, uníus summæ divinitátis partícipes effecísti: præsta, quǽsumus; ut, sicut tuam cognóscimus veritátem, sic eam dignis móribus assequámur.

[O Dio, che per mezzo degli scambi venerandi di questo sacrificio ci rendesti partecipi dell’unica somma divinità: concedici, Te ne preghiamo, che come conosciamo la tua verità, così la conseguiamo mediante una buona condotta.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

Paschalis
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre: Te quidem, Dómine, omni témpore, sed in hac potíssimum die gloriósius prædicáre, cum Pascha nostrum immolátus est Christus. Ipse enim verus est Agnus, qui ábstulit peccáta mundi. Qui mortem nostram moriéndo destrúxit et vitam resurgéndo reparávit. Et ídeo cum Angelis et Archángelis, cum Thronis et Dominatiónibus cumque omni milítia cœléstis exércitus hymnum glóriæ tuæ cánimus, sine fine dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare: Che Te, o Signore, esaltiamo in ogni tempo, ma ancor piú gloriosamente in questo giorno in cui, nostro Agnello pasquale, si è immolato il Cristo. Egli infatti è il vero Agnello, che tolse i peccati del mondo. Che morendo distrusse la nostra morte, e risorgendo ristabilí la vita. E perciò con gli Angeli e gli Arcangeli, con i Troni e le Dominazioni, e con tutta la milizia dell’esercito celeste, cantiamo l’inno della tua gloria, dicendo senza fine:]

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Joann XVI:8

Cum vénerit Paráclitus Spíritus veritátis, ille árguet mundum de peccáto et de justítia et de judício, allelúja, allelúja.

[Quando verrà il Paràclito, Spirito di verità, convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio, allelúia, allelúia]

Postcommunio

Orémus.
Adésto nobis, Dómine, Deus noster: ut per hæc, quæ fidéliter súmpsimus, et purgémur a vítiis et a perículis ómnibus eruámur.

[Concédici, o Signore Dio nostro, che mediante questi misteri fedelmente ricevuti, siamo purificati dai nostri peccati e liberati da ogni pericolo.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

LO SCUDO DELLA FEDE (250)

LO SCUDO DELLA FEDE (250)

LA SANTA MADRE CHIESA NELLA SANTA MESSA (19)

SPIEGAZIONE STORICA, CRITICA, MORALE DELLA SANTA MESSA

Mons., BELASIO ANTONIO MARIA

Ed. QUINTA

TORINO, LIBRERIA SALESIANA EDITRICE, 1908

CAPO III

IL SACRIFICIO DIVINO

SECONDA PARTE DEL CANONE.

CAPO III

LA PARTECIPAZIONE

ossia la Comunione Divina.

L’eterno è riconciliato coi peccatori. Il Padre celeste ha in seno il Figlio, che tornato dalla terra, gli porta in braccio colla sua divina l’umana natura, con quelle Piaghe che fan compassione, ricordandogli le piaghe della povera umanità, di cui fa parte l’umanità sua stessa, che in Sé ha assunta Gesù. E qui crediamo che Egli dica al Padre, che quei poveri suoi fratelli hanno troppo bisogno di Dio. Dall’altare, intanto, se li chiama intorno, e mediatore tra noi e Dio prega per noi, e a noi mette sul labbro la sua parola divina a dir tutto quello che non sa dire la parola umana, quasi ci dicesse in segreto: « andate là, fate coraggio, domandate tutto: ché vi sarà dato. Con voi pregherò Io stesso. » – Oh sì! ci voleva proprio solo Gesù per esprimere tutti gli affetti divini e gli immensi bisogni dell’anima nostra. Così per mezzo delle auguste cerimonie, che accompagnano il santo Sacrificio, la Chiesa ci ha fatto passare dall’apparecchio all’istruzione, dall’istruzione all’offerta e dall’offerta alla consacrazione, in cui si avvicinò al Redentore nostro. Qui è da ricordare, come Gesù le tante volte raccomandava di pregare. Un bel dì gli Apostoli a Lui: « Maestro, dissero, Voi ci raccomandate tanto di pregare; ma non sappiamo pure che dire; insegnateci Voi… » « Bene, disse Gesù, venite qui con me. » E, ci par di contemplarlo nel tirarseli tutti d’intorno sul monte, e inginocchiarsi in mezzo di loro, e levati gli occhi e le mani al cielo, dir loro con quella sua grazia: « dite su, con me: o Padre!… ; » e gli Apostoli a rispondere « o Padre ! » E Gesù: « Padre nostro, che siete nei cieli; » e gli Apostoli avranno taciuto… E Gesù: « dite su, Padre nostro… ; » e gli Apostoli, pare a noi, almen Pietro con quell’anima ardente avrà detto per tutti: « o Gesù Cristo: mai no, noi chiamar Dio nostro Padre?… Noi con una lingua di fango, con un cuor di terra… noi! dire Padre nostro! Ditelo Voi: Padre mio: e noi, Padre del nostro Maestro, del Vostro Figlio Gesù!… » Ma Gesù, che volle mettersi tutto con noi, e il suo Sangue versarci in cuore, pare di sentirlo a dire: « Figliuoli del Sangue mio, come io son nel Padre, io sono in Voi; fate coraggio, chiamate Dio col nome di Padre. » Ed insegnava il Pater noster. – Orazione al tutto divina! No, nessun filosofo, niuna scuola, niuna religione ha sognato mai di dire agli uomini: chiamate Dio col nome di Padre! Vogliamo bene osservare qui, che tutte le volte che nella divina officiatura si prega col Pater noster, si recita sempre questa orazione in segreto: mentre nella Messa per contrario, prima di cominciarla, si rompe il silenzio, per avvisare il popolo di accompagnar questa preghiera; e poi si recita ad alta voce: « Pater noster. » L’economia della Chiesa può darci di quest’uso la spiegazione. Ella soleva nei primi secoli tenere nascosti i più alti misteri agli infedeli, ed anche ai catecumeni, fino all’ora che dovevano esser promossi al Battesimo. Quest’uso di un prudente segreto era detto Disciplina arcani: la disciplina del secreto (Ben XIV.). Utile, anzi necessaria disciplina a quei tempi, in cui essendo i Cristiani dispersi in mezzo ai popoli pagani, uomini di grossa mente e d’idee troppo materiali nel fatto della religione; il manifestare i più sublimi misteri sarebbe stato un esporli alle derisioni, ed al sacrilegio, e dare occasione alle più bizzarre interpretazioni ed a mostruose contraffazioni, di cui restano i saggi nelle eresie degli Gnostici e d’altri antichi erranti. Quindi, l’orazione domenicale non si faceva conoscere se non ai provati: perché in essa chiamandosi Padre Iddio, si temeva, non forse volessero quelli che non erano ancora bene illuminati, fare del Dio del cielo un dio di sozze generazioni, di cui il paganesimo aveva più che troppi esempi sconcissimi. Era perciò l’ultima che s’insegnava ai catecumeni immediatamente avanti all’amministrazione del Battesimo. Si voleva che fossero ben fermi, prima che lor si confidasse quella preghiera, ed illuminati così da potere comprendere com’essa fosse il compendio di tutte le cattoliche verità, o il breviario, siccome la chiama Tertulliano, di tutta l’evangelica dottrina: perché si recitasse colle debite disposizioni. Ora abbiamo osservato, come alle officiature intervenivano coi catecumeni anche gl’infedeli: perciò quando si aveva da esprimere questa veramente confidenza, che ci ha fatta Iddio di sua bocca divina, se ne dava il segno, si sospendeva il salmeggiare, e si recitava in secreto. Nella Messa invece a quest’ora erano presenti i soli fedeli, le porte erano chiuse, tenuti lontani i profani. Qui adunque si potevano esporre i più teneri misteri, ed era lecito trattar con Dio colla libertà di figliuoli, incorporati in Gesù Cristo: e quindi l’alzar, ora che era tempo, della voce del Sacerdote, era un fare invito ai fedeli di aprir tutto il cuore col loro Padre Divino. Ecco di fatto come gl’incoraggia a pregare così nelle seguenti parole:

Oremus: Præceptis salutaribus ecc. ossia l’invito a recitare l’Orazione domenicale.

« Preghiamo: avvisati dai salutari precetti, e formati alla scuola divina del Vangelo, osiamo dire: Padre nostro ecc. ecc. »

Esposizione dell’invito: Præceptis ecc.

Abbiamo detto, che i fedeli a questo punto del Sacrificio si trovano tra le braccia di Dio: ed il Sacerdote loro fa qui invito a confidargli il cuore con tutti i suoi bisogni: e questo vuol dire pregare. Gli Apostoli appresero da Gesù Cristo, l’ora del Sacrificio essere propizia per effonder l’anima innanzi a Dio col Pater noster (Hieron. lib, 3, ad Pel.).

Oremus: Preghiamo adunque tutti in comune, e le dimande nostre siano in nome di tutti, affinché il Signore ascolti: ché quando ciascun privato prega per sé, prega nello stesso tempo per tutti i suoi fratelli (Io. Chrys. Hom. De Lazaro.). Vedendoci trattati da Dio con miracoli di tale bontà, noi non dobbiamo sapere far altro che gettarci ai suoi piedi, e in parole piene di pietà sfogare il dolore di averlo offeso. Se non che il Sacerdote si rammenta a conforto, che l’altissimo Iddio ci ha fatto dire dal suo Figlio: che per Mediatore abbiamo Lui presso del Padre in cielo: poiché è proprio Gesù col suo labbro benedetto, che ci fece il bel racconto, che sarà sempre il più gran conforto dei peccatori anche più disgraziati. Giova il ripeterlo qui a pascolo di tenerezza (Luc. 15.). Era una volta, dice Gesù, uno sciagurato di figlio, che fattosi tutto il suo bene dare dal padre, ed al più buono dei padri voltate le spalle, gettossi coi mondani a sollazzo, e tutto che possedeva mandò a male nella voragine dei vizi. Perduto ogni bene di Dio: ridotto sul lastrico, in tanta miseria che disputava le ghiande agli immondi ciacchi, li per morire di fame; si ricordò allora di avere ancora un padre, che trattava tanto bene sino gli ultimi servitorelli. Sorge e si avvia alla sua casa. Il buon padre allora innanzi alla casa passeggiava sotto l’ombra del suo viale, e doveva sospirare appunto il ritorno del figliuolo, che piangeva perduto: quando da lungi vede venire su un poverino, tutto lacero, e coperto di cenci cadenti, insozzato di fango, cogli irti capelli, consunto dall’inedia, colle gote riarse. Egli guarda…. Oh! gli par di conoscere…. quel peregrino da niente… che viene innanzi peritoso, impaurito… Ah possibile!… Oh Dio!… il cuor gli vuol saltare fuori dal petto… Eh! Proprio il suo povero figlio! Il padre non va, no, si getta con un salto incontro…. lo abbraccia al collo, lo stringe al petto, l’innonda di baci in quella foga d’affetti!… « Oh! padre, esclama il povero figlio, ho fatto tanto male! » Ma il padre gli chiude la bocca a furia di baci… « Oh padre! vi ricordate quel di… in cui vi ho abbandonato?…» Ma il padre gli risponde a calde lagrime: « mi ricorderò sempre del dì in cui sei ritornato! » « Ah padre! vi debbo far schifo, così sozzo che sono! » Ma il padre: « presto la mia veste più bella!… » Gliela getta addosso, e lo copre tutto di quel ricco paludamento! Il figliuolo colla testa china a pianger forte: e il padre sotto a ricevere le lacrime sul suo volto: e gli ribaciava la bocca!… Padre, sarò l’ultimo servitore in casa vostra!… Ma il padre, stringendolo al seno, lo mena in casa… e grida: « Presto il gran convito; è questo per la mia casa il più bel dì, il mio povero figliuolo era scappato, adesso è ritornato!… era perduto, adesso non lo perdo più! » Deh! non andiamo più in là: è meglio che noi diciamo: « O Gesù, v’abbiamo inteso per bene! » Questa non è istoria, ma un racconto, che vi suggerisce il vostro cuore, e con tenerissimo ingegno lo avete inventato Voi, per metterci sotto gli occhi ciò che vuol fare a noi il Padre divino, a cui Voi ci ritornate. Anche noi sciagurati, lasciato Dio, che è benedetto in eterno, cercammo beni ingannevoli, lontano dal Padre di tutti i beni, affamati di peccati, divenimmo abbietti in vita di colpe…. brancolammo in mezzo a quelle schifezze… Ah! che orror di miseria! Eh via, eh via, siamo ricondotti da Voi in seno al Padre… Per Voi ci è concesso, oh siate benedetto, Redentore pietosissimo! sì ci è concesso lo spirito di adozione (3 Ioan. III, I.), e tanta carità da poter chiamarci, ed essere veramente noi i figliuoli, e chiamarlo con Voi Padre nostro! (Avvertiamo, che l’esposizione del Pater noster fu da noi tratta da s. Cipriano, Tertulliano, s. Giovanni Grisostomo ecc., come anche da s. Teresa. – Può sembrare a taluno che qui interrompiamo troppo la spiegazione della Messa: ma, più noi crediamo di far cosa grata ai pii e colti nostri lettori coll’esporre, come in un quadro circondato dai commenti inspirati ai santi autori, che citiamo dalla loro pietà illuminata, il Pater noster, compendio delle verità cattoliche. Questa divina preghiera, le cui parole sono come tanti palpiti del Cuor di Gesù, basti a mostrare che è divina la Religione Cristiana a chi ha mente d’ intendere.). Invero i precetti evangelici dice s. Cipriano, sono i fondamenti che sostengono l’edifizio della nostra speranza, sono gli appoggi della nostra fede, e gli alimenti del nostro cuore. Ben volle Dio, che molte cose ci fossero dette dai profeti suoi servi; ma maggiori ce ne ha fatto insegnare dal Figlio suo, mettendoci in bocca Egli stesso la sua orazione. – Noi parliamo con essa al Padre divino colle parole del Figlio, e gli mettiamo innanzi i nostri bisogni colla supplica scritta col Sangue del suo Gesù: o meglio è il Consustanziale suo Figlio, che batte al Cuore del Padre divino, perché apra ed introduca seco noi altri figliuoli, che tien per mano di fuori. Il Padre ci vuol ricevere in seno, e vuole che ci assidiamo al convito. La preghiera della nostra fede sorga adunque diritta a Dio sotto la forma di figliale affezione. Ecco che mentre non a Mosè, non al popolo tutto d’Israele mai rivelò il Nome suo ineffabile: possiamo noi il Creatore dell’universo invocare col più tenero dei nomi, e gli gridiamo: « O Padre. » – « Perciò (S. Teresa.) quando vedremo il cielo, ripeteremo. è quella la vostra casa, o Padre: quando prenderemo in mano le vesti, i cibi, e tutto che Voi ci date, ripeteremo con allegrezza: quanto siete buono, o Padre! Quando alcuna cosa ci darà pena o travaglio, noi diremo rassegnati; eh! vuol essere per noi la buona cosa, perché ce la manda il Padre. Mio buon Dio, ci siete proprio Padre! mi guardo d’intorno, sono in casa di mio Padre; stendo lebraccia, e mi sento in seno all’amabile provvidenza di mio Padre; ché tale si è fatto conoscere Dio, quando col darci il Figliuol suo per nostro fratello, ci adottò tutti per figli. » Perciò quando noi tutti fratelli ci presentiamo qui dinanzi col Primogenito a capo di noi, allora col Padre (così Tertulliano) invocando il Figliuolo Gesù, invocando la Madre che è la Chiesa, formando con essi una sola famiglia in terra, ripeteremo piangendo di consolazione: « O Padre nostro. » –  Col dire nostro noi riconosceremo per nostri fratelli (così s. Gio. Grisostomo) i tanti figliuoli dello stesso Dio: dunque chi avrà cuore di oltraggiare i suoi fratelli? Anzi, uniti tutti insieme colla concordia e colla carità, mentre Gesù ci ordinava la preghiera in comune, perché noi siamo un corpo solo; terremo per mano la Chiesa, che dicemmo Madre in terra; ma il Padre nostro siete Voi, « Che siete nei cieli. » Siamo adunque adottati da Dio per figli? Questa è angusta e sublime adozione, che ci dà il diritto di pretendere tutti i beni del Padre Celeste! (così s. Gio. Grisostomo) Paragona, o mio fratello, quello che siamo per natura con quello che la bontà del nostro Dio ci ha fatto. Noi usciti dal nulla, fatti di terra, noi preda del tempo, ieri non esistevamo, e ora abbiamo Iddio per Padre in cielo. Ma noi chiamandolo Padre, siamo in obbligo di diportarci come figliuoli di Lui, sicché anche esso si compiacerà di esserci Padre, come noi ci onoriamo di essergli figli. Viviamo come se fossimo templi in cui abita Dio, ed essendo celesti e spirituali, non ci occupiamo, se non di cose celesti e spirituali. Deh! pigliamo l’ali della fede per volare da questa terra d’esilio in seno al Padre in cielo (ancora s. Gio. Grisostomo) perché questa è voce di libertà e piena di fiducia di quanti credettero in Dio, a cui diede la potestà di divenire suoi figli (Sacram. di Gel. Pap.).

« Sia santificato il vostro nome. » Padre, siam peccatori, è vero, ma rapiti in seno alla vostra Divinità, attoniti innanzi alla vostra grandezza, inabissati nella vostra bontà; Padre, ora per noi che vi conosciamo così bene, il maggior bisogno del nostro cuore è la gloria di Voi, che tanto la meritate. Siate adunque conosciuto, amato, servito e benedetto da tutte le creature: e la vostra santità (s. Gio. Gris.) sia di tutto glorificata nelle opere nostre, che siano degne di un tale Padre. Così risplenda la vostra luce in noi, affinché gli uomini vedano le opere nostre in terra, e diano gloria a voi in cielo (s. Gio. e s. Cipriano). Là in cielo quella corona di Angeli non resta mai dall’esclamare: « santo, santo, santo. » Deh! anche noi candidati degli Angeli, qui coi nostri voti dalla terra rispondendo, ci associamo al coro dei beati in cielo; le voci e le opere nostre accordando a quest’inno sublime di tutte le creature, a Voi, o Padre e Signore dell’universo, sia gloria da questa universale armonia (Tertulliano). Noi, dunque, dice ancora s. Giovanni Grisostomo, acclamiamo santo il Nome di Dio; non già perché noi possiamo aggiungergli santità; ma come acclamiamo ai principi, chiamandoli imperatori e re, per manifestare l’approvazione nostra, che essi siano al possesso di tale dignità: così noi manifestiamo meglio a Dio il desiderio nostro, ben pregandolo subito dopo, che Egli estenda per tutto l’universo il suo regno, colle parole: « Venga il regno vostro. » Dice qui s. Cipriano: non appartiene ad altri che ad un’anima pura questa dimanda. Voi avete udita la sentenza di Paolo: non regni il peccato nel corpo vostro mortale (Rom. VI). Posciaché avremo purificate le nostre azioni, i nostri pensieri, le nostre parole, diciamo a Dio: « Venga il vostro regno. » Perché gemendo sotto le catene dei sensi e delle passioni, preghiamo Dio, che ci liberi dal peccato, sicché diventiamo servi della giustizia. Così in queste parole diciamo di non volere legare il nostro cuore ai beni passeggieri e caduchi di questa vita; e di non tener per beni, se non quelli che sono immortali (Gio. Grisostomo). Ben regna Dio in eterno; ma noi supplichiamo, che Egli regni nell’anima nostra, che ha conquistata col Sangue suo; e sia Esso la nostra risurrezione, al dir dell’Apostolo: perché risuscitando con Esso, noi formeremo il regno suo celeste. Desideriamo finalmente (Tertull.), che Egli anticipi il regnare, e non ci prolunghi il servire. Semplici parole, ma fondamenti di una Religione, che guida gli uomini a regnare eternamente in Dio. Con esse chiediamo il compimento degli eletti nella consumazione dei secoli. « Venga adunque più presto che sia possibile il regno vostro, desiderio di noi Cristiani, confusione dei vostri nemici, allegrezza degli Angeli. Ché per questo regno noi combattiamo. » Ancora, vogliamo aggiungere con s. Teresa, queste sono di quelle celesti cortesie, di che le anime ricambiano Dio,  dicessero: Signore, voi fate tanto per regnare nei nostri cuori; anche noi, anche noi sospiriamo solo il vostro regno. Accennando dunque il paradiso (s. Teresa): « là, diciamo, è il regno del nostro Padre. Voi intanto, o Signore, stendete anche qui sulla terra il regno conquistato dal Sangue di Gesù Cristo. Fate che la vostra Chiesa raccolga nel suo seno tutti gli uomini, nostri fratelli. Oh! quanti di loro sono nella schiavitù del peccato: redimeteci tutti nella libertà del regno della vostra giustizia, e portateci a regnare con Voi in paradiso. » (S. Gio. Grisostomo). –  Quando l’anima è disposta così, (s. Teresa) lascia tutta a Dio la cura di sé, e delle cose sue. E a Lui dice come s. Caterina da Siena: abbiate Voi pensiero di me, ché io avrò pensiero di Voi. Facciamo ben dunque il maggior nostro interesse, quando ci rimettiamo a Dio, che vuol pigliarsi cura di noi, anzi si obbliga a farlo, più tosto che non affannarci da noi che non possiamo allungare di un centimetro un capello della nostra testa. L’anima non ha da fare altro che ripetere:

« Sia fatta la vostra volontà come in cielo, così in terra. » Come se dicessimo, così s. Cirillo (Mystag. 6,): « O Signore, possa io eseguire i vostri voleri sulla terra, come gli Angioli li eseguiscono in cielo. Oh via: facciamo veramente da figliuoli di Dio, lasciandoci dal suo Spirito condurre. » « Signore concedeteci (s. Gio. Grisostomo) che conformiamo totalmente la nostra vita a quella dei Santi, che sono già in cielo: così non facciamo mai, se non quello, che Voi volete. Date sostegno alle virtuose risoluzioni delle anime nostre, che pur vorrebbero essere vostre, ma trovano debolezza nei corpi. Si sforzano esse di correre, per unirsi a Voi nelle regioni celesti, ma il peso di questa carne arresta il loro volo, e le fa ricadere in terra. Siate Voi il nostro sostegno, e ciò che sembra eccedere le forze di nostra natura, ci diverrà facile. » Non domandiamo adunque che Dio faccia ciò che vuole (s. Cip.): e chi mai può impedire che Dio faccia ciò che gli talenta. Ma noi preghiamo, perché Egli adempia il volere suo in tutti, anche negli infedeli. Anche la povera volontà umana gli raccomandiamo; che le faccia volere ciò che è buono: sicché, come Gesù nell’Orto, anche nei più duri cimenti, quando sentiamo il peso delle debolezze della nostra carne, sotto di esso mandiamo tal grido al Padre: « non la nostra mala, sì la vostra buona volontà sia fatta! » Pronti con Gesù anche ad immolarci interamente ai voleri del divin Padre. Attacchiamoci adunque alla croce con Gesù Cristo, e colla pazienza corriamo alla corona. Questo è l’essere coeredi con Gesù Cristo. Fermi nella certezza (Tertull.) che la somma volontà di Dio è la salute di quelli, che Egli ha adottati, noi staremo fra le braccia del suo amore, affinché ci porti al cielo; tranquilli come i bambini in grembo alla madre. E di fatto. a chi possiamo affidarci meglio che al braccio di così amabile provvidenza, che di ogni più minuto essere si prende così sollecita cura? É sapientissimo il Signor nostro, e conosce tutto ciò che è bene; è onnipotente e può operarlo: è buono fino a salvarci col sacrificarsi per noi. Ah! gridiamo in braccio a Lui. « Fate Voi, fate Voi tutto che volete per recare a salute i figli vostri. » Bello è il pensiero di santa Teresa: Pongasi l’anima ai piedi del Padre, Signore e Sposo, come l’amabile Ester e quivi dica: « Signore, sono la serva che desidera nient’altro, che fare la vostra volontà. » Ed il Signore nella sua celeste clemenza (Tertull.) si degnerà sollevarci .come figliuole e spose.

« Dateci oggi il nostro pane quotidiano. »

Oggi non mettiamoci in pena per la dimane pronti ogni giorno alla partenza; atteggiati sempre come viaggiatori, i quali non più si fermano che un istante, per concedere alla natura il necessario. Ché non abbiamo qui la città permanente, ma siamo in via per giungere alla futura. Signore, dateci adunque la provvisione del dì. Dateci (s. Cipr.) il pane che supera ogni sostanza, che mantiene la vita spirituale dell’anima nostra ogni giorno. In tutti gl’istanti abbiamo bisogno di Dio; come bimbi giriamo intorno alla mensa, ed aspettiamo dalle mani del Padre il sostentamento, che solo può dare Egli; il quale apre la mano, e tutti gli esseri animati ricevono l’alimento. – Abbiamo adunque un Padre che pensa a noi: e noi riposiamo sulla sua provvidenza (s. Cipr.). Noi abbiam domandato il regno suo e la sua giustizia: tocca a Lui di compiere la sua promessa, di aggiungerci tutto che per noi sia bene. Se noi non gli balziamo fuori delle braccia, ci potrà Egli lasciar perire nel suo seno? Ma qui noi domandiamo il Pane vivo, disceso dal cielo, Gesù che adoriamo nel Sacramento, perché il pane della vita è Cristo Gesù (s. Cipr.) « Dateci oggi » potevano ben dire con maggior verità quei fervorosi antichi Cristiani, e lo possono ancora parecchi devoti, i quali nel desiderio eccessivo della Comunione, e per viva tenerezza di cuore non possono tener le lagrime: anzi colla bocca aperta del cuore insieme e del corpo, fino delle midolle anelano al loro Dio, fonte vivo: non sapendo altrimenti gustare, né empierne la propria fame, se non hanno con tutta dolcezza e spirituale avidità preso quel Corpo divino (Im. di Crist. Lib. 4); essendo per loro il più acerbo castigo l’esser per pochi dì della Comunione privati. La Comunione adunque, la s. Comunione è quotidiana. Deh adunque non stiam digiuni in punizione di qualche nostra colpa! (S. Cipr.). Diciamo bensì: dateci il pane quotidiano, perché sempre ci conviene domandare l’immunità dal peccato, per modo che siamo degni delle celesti vivande (Sacram. di Gelas. P.). – Pigliamo la beata usanza, tutte le volte che diciamo: Panem nostrum quotidianum, di gettarci in braccio a Gesù con una Comunione spirituale, e dire col cuore: « dateci il pan della vita il Vostro Corpo. » Ben s’intende che è il pane della vita eterna, che gli domandiamo: perché, se domandassimo il pane da mantenerci solo per la vita presente, non sarebbe che l’alimento, che ci munisce per andare al supplizio (Tertull.). Il perché (dice s. Teresa) io non mi posso persuadere, che si domandi il pane materiale, tanto più che ad un tanto Padre non istà bene il domandar tali cose basse, che Egli dà alle creature inferiori, senza che le domandino. Anzi Egli ci ha avvisati di chieder prima le cose del regno suo; ché del restante la divina Maestà si prenderebbe pensiero. Domandasi adunque il pane della dottrina evangelica colle virtù; ed il SS. Sacramento, in cui il cuor nostro si pasce di Dio stesso. Perciò quando gli domandiamo che ci dia il pane quotidiano e sopra sostanziale, è lo stesso che dirgli; « Vogliamo Voi, o Signore, perché niente ci può bastare senza di Voi. » Quindi è da prendere la beata usanza, tutte le volte che recitiamo il Pater noster, di slanciarci, dicendo queste parole, in cuore a Gesù nel santo ciborio, e dirgli contriti ed innamorati: « dateci il nostro pane! » Cioè si dovrebbe fare ognora con questa vivissima giaculatoria la Comunione spirituale. Perché veramente è questo il pane nostro, il Pan del padre: e tutta la vita cristiana dev’essere un sospirare a Lui per vivere solo di Dio (S. Cirillo Mist. 5).

« Rimettete a noi i nostri debiti, siccome noi li rimettiamo ai nostri debitori. »

Dice s. Giovanni Grisostomo: parole son queste di un senso assai profondo e formidabile, ed è come se colui che prega, dicesse a Dio: « Signore, io per me ho rimesso ciò che mi si doveva, anche Voi rimettete a me quel che vi debbo: ho dato, ed anche Voi ora date a me: ho perdonato, ed anche Voi ora perdonate a me. Che se non ho dato nulla al mio prossimo, se non gli ho rimesso il suo debito, non mi rimettete il mio: se ho maltrattato il mio fratello, non risparmiate me meschino: se mi son dimostrato duro verso di lui o spietato, trattatemi pure senza pietà: in una parola usate verso di me quella misura, che ho usato verso il mio prossimo. E vi sarà chi non voglia perdonare ancora? Ben dunque si dovrebbe (per lo men male) consigliare gli infelici, che son fermi di non voler perdonare, che non ardissero di pregare a Dio coll’orazione, che Cristo ha loro insegnato, chiamandolo Padre, e tanto meno lasciarsi trovare presenti al divin Sacrificio. Guai a loro! eglino si tirerebbero in capo la più esecrata maledizione, che il diavolo potesse contro a lor mandar dall’inferno. Nel grande atto di sacrificare a Dio l’immacolato Agnello di pace che leva i peccati del mondo ed impetra agli uomini misericordia, il Sacerdote in nome e persona dei fedeli, che sono presenti, fa al Padre la grande orazione, con la quale prega, che Dio voglia, per i meriti del suo Figliuolo, perdonare a noi i nostri peccati, come noi ai nostri fratelli perdoniamo le offese. Dimitte nobis debita nostra sicut et nos dimittimus ,debitoribus nostris. Ah! questo sarebbe quasi un fulmine: perché ciò importa, che essendo noi duri ed inflessibili al voler perdonare, anche Dio faccia con noi il somigliante: ed è un invitare e provocare la divina giustizia a fulminarci la sentenza d’eterna riprovazione, suggellata dal Sangue di Gesù Cristo, che in quell’atto doveva suggellare il riscatto della pace e della grazia a noi meritata; ed è un dire: Dio giusto! perché siete giusto e verace, come noi non vogliamo perdonare, e così voi in eterno non ci perdonate; della qual cosa niente di più orribile si può immaginare. Adunque se alcuno di costoro si trova alla Messa, esca, fugga di presente dal luogo santo, si separi dalla comunione dei fedeli della vittima per loro offerta: costui staria men male coi diavoli nell’inferno. Ah! Dunque, vinciamo ogni difficoltà e perdoniamo. Preghiamo, preghiamo che Dio ci conceda la grazia di perdonare. – Quando invece perdonando ci abbracciamo all’altare, e mostrando Gesù al Padre, gli possiam dire: « tuttoché peccatori non vogliamo temere di nostra salute, questo nostro Signore Gesù ha obbligato la fede sua dicendoci: se voi avrete rimesso agli uomini i loro peccati, il Padre Celeste rimetterà i debiti vostri. » (Matt. n. 14). S. Giovanni l’Elemosiniere stava sull’altare, e nell’atto di presentar l’offerta si ricordò dell’avviso di Dio di lasciar sull’altare l’offerta e di correre prima a riconciliarsi e poi venire a compier l’azione: e non poté più restarvi tranquillo. Corse giù dall’altare, cercò di un diacono che si credeva da lui offeso: al tutto volle con lui riconciliarsi: allora tornò contento a far l’offerta nella speranza di ottenere misericordia, col poter dire con sincerità: « perdonate a me, come io agli altri ho perdonato. »

« Non c’inducete in tentazione. »

Assaliti continuamente (s. Cipr.) o dal demonio, o dai nostri simili, o dai nostri sensi, siamo ad ogni istante in pericolo di soccombere, se non abbiamo ricorso alla grazia dell’onnipotente Iddio. Ma coraggio! Gesù ci ha manifestato che il demonio nulla può conta di noi, se non in quanto lo permette Iddio. Preghiamo adunque (s. Cipr.), non già di non essere mai tentati: guai all’uomo che non fu mai tentato! Egli nulla sa (Eccl. 34), e non è sperimentato. Ma preghiamo che Dio porti in mano l’anima nostra: ché quando ci terrà saldi la mano di Dio, noi cammineremo sopra gli abissi, e monteremo sopra il capo alle tempeste, e in mezzo agli attacchi dei nostri sensi troveremo occasione a sempre nuove vittorie. Quindi conchiude qui Tertulliano: « fate orazione. » Alcuni andarono soggetti alla tentazione, perché abbandonarono il Signore e si diedero piuttosto a dormire che a pregare. Preghiamo adunque che ci liberi dalle tentazioni, o dandoci grazia di non essere tentati, o dandoci grazia di non essere vinti. Il popolo risponde: « Liberateci dal male. » Liberateci cioè dal demonio, dal peccato e dalla eterna dannazione, orribilissimo di tutti i mali. Anche Gesù, per confortarci nel sentimento di nostra debolezza, pregava il padre, lo liberasse dai mali che gli soprastavano. Preghiamo pure il Padre, che ci liberi dal male, d’ogni mal di colpa e di pena, da tutto ciò, che crede Egli essere per noi male. La preghiera dice s. Cipriano, termina con queste parole, che ne sono il compendio. Non rimane più niente che si possa chiedere a Dio, giacché, impetrata la protezion di Dio contro il male che ci avversa, siam sicuri da tutti gli assalti del demonio e del mondo. Il Sacerdote risponde: « così sia. » Padre, Signore, Iddio, deh! per vostra grazia ci concedete tutto, di che vi preghiam nell’orazion vostra. Poi seguita l’orazione: Libera nos, detta Embolismo, cioè interposizione od intercalazione, perché ripiglia (Card. Bona, Rer. litur. lib. 2, n. 2) in certo qual modo la parola Libera nos, e si diffonde a numerare i mali, da cui si chiede di essere liberati; essendo come uno sfogo, che si prende l’animo nel versare in cuore al Padre delle misericordie la confidenza delle proprie miserie.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (11) “da EUGENIO I ad AGATONE”

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (11)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

(Da Eugenio I a Agatone)

EUGENIO I: 10 agosto 654 – 2(3 ?) giugno 657

VITALIANO: 30 luglio 657 – 27 gennaio 672

ADEODATO II: 11 aprile 672-17 (16 ?) Giugno 676

11° “Concilio di Toledo”, iniziato il 7 novembre 675

Professione di fede.

La Trinità divina.

525. (1) Confessiamo e crediamo che la santa ed ineffabile Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, sia un solo Dio per natura, di una sola sostanza, di una sola natura, di una sola maestà e di una sola potenza.

(2) E professiamo che il Padre non sia né generato né creato, ma  ingenito. Non trae la sua origine da nessuno, da cui il Figlio è nato e lo Spirito Santo ha ricevuto la processione.  È quindi la fonte e l’origine di tutta la Divinità.

(3) Egli è anche il Padre della sua stessa essenza, che dalla sua ineffabile sostanza generò il Figlio, e tuttavia non ha generato altro che ciò che Egli stesso è (Lui, il Padre, cioè la sua ineffabile Essenza), ha anche ineffabilmente generato il Figlio dalla sua sostanza): Dio (generò Dio), la luce, la luce, da Lui dunque “ogni paternità in cielo e in terra”. (Ef III,15)

526. (4) Affermiamo anche che il Figlio sia nato dalla sostanza del Padre senza inizio, prima dei secoli, e tuttavia non sia stato creato; perché né il Padre è mai esistito senza il Figlio, né il Figlio mai senza il Padre.

(5) E tuttavia il Padre non è dal Figlio come il Figlio è dal Padre, perché il Padre non ha ricevuto la generazione dal Figlio, come il Figlio l’ha ricevuta dal Padre. Il Figlio è dunque Dio dal Padre, ma il Padre non è Dio dal Figlio. È il Padre del Figlio, ma non è Dio attraverso il Figlio. Il Figlio è Figlio del Padre e Dio attraverso il Padre. Il Figlio, tuttavia, è uguale in tutto e per tutto a Dio, il Padre, perché non ha mai iniziato né cessato di nascere.

(6) Crediamo anche che Egli sia di una sola sostanza con il Padre; per questo si dice che è homoousios al Padre, cioè della stessa sostanza del Padre; in greco homos significa “uno” e ousia “sostanza”; le due parole insieme significano “una sola sostanza”. Dobbiamo credere che il Figlio sia stato generato e che non è nato dal nulla o da un’altra sostanza, ma dal seno del Padre, cioè dalla sua sostanza.

(7) Eterno è il Padre, eterno è il Figlio. Se il Padre è sempre stato, ha sempre avuto un Figlio, di cui era il Padre. Per questo confessiamo che il Figlio è nato dal Padre senza un inizio.

(8) Tuttavia questo stesso Figlio di Dio, in quanto generato dal Padre, non lo chiamiamo “parte della sua natura divisa”, ma affermiamo che il Padre perfetto ha generato il suo Figlio perfetto senza senza diminuzione o divisione, perché appartiene alla sola Divinità non avere un Figlio disuguale.

(9) Questo Figlio è Figlio di Dio per natura, non per adozione, e dobbiamo credere che il Padre non lo abbia generato né per volontà né per necessità, perché in Dio non c’è necessità e la volontà non precede la sapienza.

527. (10) Crediamo anche che lo Spirito Santo, che è la terza Persona della Trinità, sia Dio, uno e uguale al Padre e al Figlio, della stessa sostanza e anche della stessa natura; tuttavia, non è né generato né creato, ma procede da entrambi ed è lo Spirito di entrambi.

(11) Crediamo anche che lo Spirito non sia né innato né generato, in modo che non venga considerato, se diciamo che non è generato, che affermiamo due Padri, o se diciamo che sia generato, predichiamo due Figli; eppure Egli è un’entità che non è stata creata, e non si dica che sia solo lo Spirito del Padre, ma che sia lo Spirito del Padre e del Figlio.

(12) Infatti, non procede dal Padre verso il Figlio, né procede dal Figlio per santificare le creature, ma sembra aver proceduto sia dall’uno che dall’altro, perché è riconosciuto come la carità o la santità di entrambi.

(13) Crediamo, quindi, che lo Spirito Santo sia inviato da entrambi, come il Figlio è inviato dal Padre; ma non è considerato inferiore al Padre e al Figlio, come il Figlio testimonia di essere inferiore al Padre e allo Spirito Santo a causa della carne che ha assunto.

528. (14) Questo è il modo di parlare della Santa Trinità: bisogna dire che non è triplice, ma trina. Non si può dire che la Trinità sia in un solo Dio, ma che un solo Dio sia Trinità.

(15) Nei nomi delle persone che esprimono le relazioni, il Padre è riferito al Figlio, il Figlio al Padre, lo Spirito Santo a entrambi: quando si parla delle tre Persone in considerazione delle relazioni, si ritiene che siano una sola natura o sostanza.

(16) Non affermiamo tre sostanze come tre Persone, ma una sola sostanza e tre Persone.

(17) Il Padre, infatti, è Padre non in relazione a se stesso, ma in relazione al Figlio; il Figlio è Figlio non in relazione a se stesso, ma in relazione al Padre. Allo stesso modo, lo Spirito Santo non si riferisce a se stesso, ma al Padre e al Figlio, ma al Padre e al Figlio, perché è chiamato Spirito del Padre e del Figlio.

(18) Allo stesso modo, quando diciamo “Dio”, non esprimiamo una relazione con un altro, come quella del Padre con il Figlio o del Figlio col Padre, o dello Spirito Santo col Padre ed il Figlio, ma si dice “Dio” soprattutto in riferimento a se stesso.

529. (19) Se ci viene chiesto di ciascuna delle Persone, dobbiamo confessare che è Dio. Si dice che il Padre è Dio, che il Figlio è Dio, che lo Spirito Santo è Dio, ciascuno in particolare; eppure non sono tre dèi, ma un solo Dio.

(20) Allo stesso modo si dice che il Padre è onnipotente, il Figlio è onnipotente, lo Spirito Santo è onnipotente; eppure, non sono tre onnipotenti, ma un solo onnipotente, come noi professiamo una sola luce ed un solo principio.

(21) Confessiamo e crediamo che ogni Persona in particolare sia pienamente Dio e che tutti e tre siano un solo Dio; abbiano una sola divinità, una sola maestà, una sola potenza indivisa, uguale, che non diminuisce in ciascuno, né aumenta in tutti e tre; infatti, non è minore quando ogni Persona viene chiamata Dio in particolare; non è maggiore quando le tre Persone sono chiamate un solo Dio.

530. (22) Questa santa Trinità, che è un unico vero Dio, non è al di fuori del numero ma non èracchiuso nel numero. Nelle relazioni tra le Persone appare il numero; nella sostanza della Divinità non si può cogliere nulla che possa essere contato. C’è quindi un’indicazione di numero solo nelle relazioni tra le Persone, ma non c’è numero per loro, perché sono riferite a se stesse.

(23) Per questa Santa Trinità è quindi necessario un nome di natura, che non può essere usato al plurale nelle tre Persone. Per questo crediamo a quanto dice la Scrittura: “Grande è il nostro Signore e grande è la sua potenza e la sua sapienza è senza numero” (Sal CXLVI,5).

(24) Il fatto che diciamo che queste tre Persone siano un unico Dio non significa che possiamo dire che il Padre sia lo stesso del Figlio, o che il Figlio sia il Padre, o che Colui che è lo Spirito Santo sia il Padre o il Figlio.

(25) Perché colui che è il Figlio non è il Padre e colui che è il Padre non è il Figlio, né lo Spirito Santo è il Padre o il Figlio; eppure il Padre è ciò che è il Figlio, il Figlio ciò che è il Padre, il Padre e il Figlio sono lo stesso dello Spirito Santo, cioè un solo Dio per natura.

(26) Infatti, quando diciamo che il Padre non è uguale al Figlio, ci riferiamo alla distinzione delle Persone. Ma quando diciamo che il Padre è lo stesso del Figlio, il Figlio è lo stesso del Padre, lo Spirito Santo è lo stesso del Padre e del Figlio, esprimiamo che ciò appartiene alla natura o alla sostanza con cui Dio è, perché sono sostanzialmente uno: distinguiamo sì le persone, ma non dividiamo la Divinità.

531. (27) Riconosciamo dunque la Trinità nella distinzione delle Persone; professiamo l’unitàper la natura o sostanza. Questi tre sono dunque uno nella natura, non nella Persona.

(28) Tuttavia, non dobbiamo concepire queste tre Persone come separabili, poiché crediamo che nessuna di Esse sia mai esistita, né abbia mai compiuto alcuna opera né prima dell’altra, né dopo l’altra, né senza l’altra.

(29) Esse sono infatti inseparabili sia in ciò che sono sia in ciò che fanno, poiché tra il Padre che genera, il Figlio che è generato e lo Spirito Santo che procede, non crediamo che ci sia alcun intervallo di tempo in cui Colui che genera avrebbe preceduto di un momento il generato, o il generato avrebbe mancato colui che genera, o lo Spirito Santo, nel procedere, sarebbe apparso dopo il Padre ed il Figlio.

(30) Perciò dichiariamo e crediamo che questa Trinità sia inseparabile e distinta. Parliamo di tre Persone, come definite dai nostri Padri, perché siano conosciute come tali, non perché siano separate.

(31) Infatti, se consideriamo ciò che la Sacra Scrittura dice della Sapienza: “Ella è lo splendore della luce eterna” Sap VII, 26), così come vediamo che lo splendore è un tutt’uno con la luce, inseparabilmente, così confessiamo che il Figlio non possa essere separato dal Padre.

(32) Come non confondiamo queste tre Persone, la cui natura è una ed inseparabile, così dichiariamo anche che non possano essere separate in alcun modo.

532 (33) La Trinità stessa, infatti, si è degnata di mostrarcelo così chiaramente che anche nei nomi con cui ciascuna Persona è stata designata, Egli non ha permesso che l’una fosse compresa senza l’altra. Il Padre, infatti, non può essere conosciuto senza il Figlio e il Figlio non viene scoperto senza il Padre.

(34) La relazione stessa, nella sua denominazione personale, impedisce la separazione delle Persone e, quando non le nomina, le indica insieme. Nessuno può intendere uno di questi nomi che non sia costretto a capire anche gli altri.

(35) Essendo dunque questi tre uno e questo uno tre, ciascuno conserva tuttavia la sua proprietà. Il Padre ha l’eternità senza nascita, il Figlio ha l’eternità con la nascita e lo Spirito Santo ha la processione senza nascita, con l’eternità.

L’incarnazione.

533 (36) Crediamo che di queste tre Persone, solo la Persona del Figlio abbia assunto una vera natura umana, senza peccato, dalla santa e immacolata Vergine Maria, per la liberazione del genere umano; Egli è nato da Lei secondo un nuovo ordine, secondo una nuova nascita: un nuovo ordine, perché invisibile nella sua divinità, appare visibile nella carne; una nuova nascita, perché una verginità intatta non ha conosciuto il contatto virile ed ha fornito la materia del suo corpo fecondato dallo Spirito Santo.

(37) La ragione non può comprendere questo parto della Vergine; nessun esempio lo illumina. Se la ragione lo comprende, non è ammirevole; se gli esempi lo illuminano, non sarà più speciale.

(38) Tuttavia, non è necessario credere che lo Spirito Santo sia il Padre del Figlio, perché Maria ha concepito all’ombra di questo stesso Spirito Santo, poiché non debba sembrare che il Figlio abbia due Padri: è certamente empio dire questo.

534 (39) In questa mirabile concezione, la Sapienza, dopo essersi costruita una dimora, “il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”. (Gv I, 14). Tuttavia, questo Verbo non si è trasformato o cambiato nella carne, in modo che Colui che voleva essere uomo cessasse di essere Dio; ma “il Verbo si è fatto carne in modo che in Lui non ci sia solo il Verbo di Dio e la carne dell’uomo, ma anche un’anima umana ragionevole, e che tutto ciò che è Dio si dica a proposito di Dio e tutto ciò che è uomo, a proposito dell’uomo.

(40) Nel Figlio di Dio crediamo che vi siano due nature, quella della Divinità e quella dell’umanità, che l’unica Persona di Cristo le abbia unite in sé in modo tale che è impossibile separare la divinità dall’umanità e l’umanità dalla divinità.

(41) Pertanto, Cristo è perfetto Dio e perfetto uomo nell’unità di una sola Persona. Tuttavia, dicendo che ci siano due nature nel Figlio, non facciamo in modo che ci siano due Persone in Lui, per non aggiungere alla Trinità – Dio non voglia – una quaternità.

(42) Dio Verbo, infatti, non ha preso la persona dell’uomo, ma la sua natura, e nella Persona eterna della Divinità ha assunto la sostanza temporale della carne.

535. (43) Allo stesso modo crediamo che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo abbiano una sola sostanza, senza dire che la Vergine Maria ha partorito l’unità di questa Trinità: Ella ha partorito solo il Figlio, che solo ha assunto la nostra natura nell’unità della sua Persona.

(44) Dobbiamo anche credere che l’Incarnazione del Figlio di Dio sia stata realizzata da tutta la Trinità, perché le opere della Trinità non possono essere divise. Tuttavia, il Figlio da solo ha preso la forma di servo (Phil. II,7) nella singolarità di persona, non nell’unità della natura divina; in ciò che è proprio del Figlio, non in ciò che è comune alla Trinità:

(45) questa forma è stata unita all’unità della Persona, in modo che il Figlio di Dio e il Figlio dell’uomo siano un unico Cristo. Allo stesso modo Cristo, nelle sue due nature, è composto da tre sostanze, quella del Verbo, che deve essere riferita alla sola essenza di Dio, quelle del corpo e dell’anima che appartengono al vero uomo.

536. (46) Egli ha dunque in sé la duplice sostanza della sua divinità e della nostra umanità.

(47) Poiché è venuto da Dio Padre senza un inizio, si dice che sia solo nato, perché non è stato fatto né predestinato; ma poiché è nato dalla Vergine Maria, si deve credere che sia nato, fatto e predestinato.

(48) Ma in Lui sono mirabili entrambe le generazioni, perché è stato generato dal Padre senza madre prima dei secoli, e perché alla fine dei secoli è stato generato da una madre, senza un padre. In quanto Dio, ha creato Maria; come uomo, è stato creato da Maria. È padre e figlio di Maria sua madre.

(49) Allo stesso modo, poiché è Dio, è uguale al Padre; essendo uomo, è inferiore al Padre.

(50) Allo stesso modo dobbiamo credere che Egli sia più e meno di se stesso. Nella forma di Dio, il Figlio è più di se stesso, perché ha assunto l’umanità a cui la divinità è superiore; ma nella forma di schiavo, è meno di se stesso, cioè nell’umanità che è riconosciuta come inferiore alla Divinità.

(51) Infatti, come la carne che ha assunto lo rende inferiore non solo a suo Padre, ma anche a Se stesso, così anche secondo la sua divinità, per la quale è uguale al Padre, Egli e il Padre sono più che uomo, che solo la Persona del Figlio ha assunto.

537 (52) Allo stesso modo, si cerca di capire se il Figlio possa essere allo stesso tempo uguale allo Spirito Santo e più grande di Lui, poiché si ritiene che sia talvolta uguale al Padre e talvolta inferiore al Padre, risponderemo: secondo la forma di Dio, è uguale al Padre ed inferiore al Padre, secondo la forma di Dio, è uguale al Padre e allo Spirito Santo; secondo la forma di schiavo, è inferiore al Padre e allo Spirito Santo, perché non si è incarnato né lo Spirito Santo né Dio Padre, ma solo la Persona del Figlio.

(53) Allo stesso modo crediamo che questo Figlio, come Persona, sia distinto ma inseparabile dal Padre e dallo Spirito Santo; come natura sia distinto dalla natura umana che ha assunto. Allo stesso modo, insieme alla natura umana, costituisce una Persona; con il Padre e lo Spirito Santo, è la natura o sostanza della Divinità.

538 (54) Tuttavia, dobbiamo credere che il Figlio non sia stato inviato solo dal Padre, ma anche dallo Spirito Santo, poiché Egli stesso dice per mezzo del Profeta: “Ecco, ora il Signore ha mandato me e il suo Spirito.” (Is XLVIII,16).

(55) Si riconosce anche che è stato mandato da Se stesso, perché indivisibile non è solo la volontà, ma l’operazione di tutta la Trinità.

(56). Colui che era chiamato unigenito prima dei secoli, è diventato il primogenito nel tempo: unico in ragione dell’Essenza divina, unigenito a motivo dell’essenza divina, primogenito a motivo della natura della carne che ha assunto.

La redenzione.

539 (57) Nella forma di uomo che assunse, crediamo che Egli fu, secondo la verità del Vangelo, concepito senza peccato, nato senza peccato, morto senza peccato, che da solo è “diventato peccato” per noi, cioè un sacrificio per i nostri peccati.

(58) Tuttavia, Egli ha sofferto la Passione per noi, rimanendo intatta la sua divinità. Fu condannato a morte, morì di una vera morte di carne sulla croce; e il terzo giorno, risuscitato con il suo stesso potere è risorto dalla tomba.

Il destino dell’uomo dopo la morte.

540 (59) Così l’esempio del nostro Capo ci porta a confessare che ci sia una vera risurrezione della carne per tutti i morti.

(60) Non crediamo che risorgeremo in un corpo etereo o in un altro tipo di carne, secondo i deliri di alcuni, ma in quella carne con cui viviamo, esistiamo e ci muoviamo.

(61) Nostro Signore e Salvatore, dopo aver fornito il modello di questa santa risurrezione, ha riconquistato con la sua Ascensione il trono paterno che la sua Divinità non aveva mai abbandonato.

(62) Seduto alla destra del Padre, è atteso per giudicare tutti i vivi e tutti i morti per la fine dei tempi.

(63) Da lì verrà con tutti i Santi [Angeli ed uomini] per giudicare e rendere a ciascuno la ricompensa che gli è dovuta, secondo ciò che ciascuno ha fatto nel corpo, sia in bene che in male. (2 Co V, 10).

(64) Crediamo che la Santa Chiesa cattolica, redenta con il suo sangue, regnerà con Lui per sempre.

(65) Riuniti in questa Chiesa, crediamo e professiamo un solo Battesimo per la remissione di tutti i peccati.

(66) In questa fede crediamo sinceramente nella risurrezione dei morti e attendiamo le gioie dell’età futura.

(67) Non ci resta che chiedere questo nella nostra preghiera: quando, dopo l’esecuzione e la fine del giudizio, il Figlio avrà consegnato il suo Regno a Dio suo Padre (1Cor XV, 24), possa renderci partecipi di esso, affinché, per la fede che ci unisce a Lui, possiamo regnare con Lui senza fine.

541 (68) Questa è l’affermazione della fede che professiamo. Per mezzo di essa, le dottrine di tutti gli eretici sono annientate; con essa si purificano i cuori dei fedeli; con essa si arriva gloriosamente a Dio… [nei secoli dei secoli. Amen.]

DONO: 2 novembre 676 – 11 aprile 678

AGATONE: 27 giugno 678 – 10 gennaio 681

Lettera Consideranti mihi agli Imperatori, 27 marzo 680

La Trinità divina.

542. Questa è dunque la fede evangelica e apostolica e la tradizione che ne è la regola: noi confessiamo che la santa e indivisibile Trinità, cioè il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo, si di una sola divinità, di una sola natura e sostanza o essenza, e proclamiamo anche che sia di una sola volontà naturale, di una sola forza, operazione, signoria, maestà, potenza e gloria. E tutto ciò che è stato detto di questa stessa santa Trinità per quanto riguarda l’essenza, istruiti in ciò dalla dottrina che è la regola, noi vogliamo intenderlo al singolare come un’unica natura delle tre Persone consustanziali.

Il Verbo incarnato.

543. Ma quando professiamo la nostra fede riguardo ad una di queste tre Persone della santa Trinità, il Figlio di Dio, Dio Verbo, e del mistero della sua adorabile economia nella carne, spieghiamo, secondo la tradizione del Vangelo, tutto ciò che appartiene all’unico e medesimo Signore, il nostro Salvatore Gesù Cristo, in una duplice maniera, cioè, proclamiamo le sue due nature, quella divina e quella umana, dalle quali e nelle quali Egli esiste ugualmente secondo un’unione mirabile ed inseparabile. Confessiamo anche che ognuna delle sue nature abbia la sua proprietà naturale: che il Divino possieda tutto ciò che è divino, e l’umano tutto ciò che è umano, con l’eccezione del peccato. E riconosciamo che entrambe appartengono all’unico e medesimo Dio, Verbo incarnato, cioè divenuto uomo, senza confusione, senza separazione, senza cambiamento; solo l’intelligenza discerne ciò che è unito, a causa dell’errore che la confusione rappresenterebbe. Infatti, detestiamo allo stesso modo la blasfemia della divisione e quella della mescolanza.

544. Ma quando confessiamo due nature, nonché due volontà naturali e due operazioni, non diciamo che siano contrarie l’una all’altra o che siano in opposizione tra loro, né che siano per così dire separate in due Persone o ipostasi; ma diciamo che lo stesso Gesù Cristo, così come ha due nature, ha anche in sé due volontà e due operazioni naturali: cioè, ha in comune la volontà e l’operazione divina da tutta l’eternità con la volontà e le operazioni dall’eternità con il Padre coessenziale, e che la volontà e l’operazione umana l’ha presa temporalmente da noi con la nostra natura.

545. Inoltre, la Chiesa apostolica di Cristo … riconosce, a motivo delle proprietà naturali, che ciascuna di queste nature di Cristo sia completa, e tutto ciò che si riferisce alle proprietà delle nature lo confessa come due volte dato, dal momento che nostro Signore Gesù Cristo stesso è sia Dio completo che uomo completo, sia da e in due nature…Di conseguenza… confessa e proclama che in Lui vi sono anche due volontà naturali e due operazioni naturali. Infatti, se si intendesse la volontà come personale, si dovrebbe anche, dato che parliamo di tre Persone nella Santa Trinità, che parlare di tre volontà personali e tre operazioni personali (il che è assurdo e totalmente empio). Ma se,come implica la verità della fede cristiana, la volontà è naturale, dove si parla di questo della Santa ed Inseparabile Trinità, sarà necessario riconoscere anche, quindi, un’unica volontà naturale ed un’unica operazione naturale. Ma quando confessiamo nell’unica Persona di nostro Signore Gesù Cristo, mediatore tra Dio e gli uomini (1Tm II, 5), due nature: la divina e l’umana, in cui Egli esiste ugualmente dopo l’ammirabile unione, così come confessiamo due nature, confessiamo regolarmente anche le sue due volontà naturali e le sue due operazioni naturali.

Concilio di Roma, Lettera dogmatica sinodaleOmnium bonorum spes” agli imperatori, 27 marzo 680.

La Trinità divina.

546. Noi crediamo in Dio Padre… e nel suo Figlio… e nello Spirito Santo, Signore e vivificante, che procede dal Padre, che è co-adorato e con-glorificato con il Padre e con il Figlio: la Trinità nell’unità e l’unità nella Trinità, cioè nell’unità dell’essenza, ma nella Trinità delle Persone o ipostasi. Confessiamo Dio Padre, Dio Figlio e Dio Spirito Santo, non tre dèi, ma un solo Dio, Padre e Figlio e Spirito Santo; non la l’ipostasi di tre nomi, ma una sola sostanza delle tre ipostasi; Esse possiedono un’unica essenza o sostanza o natura, cioè un’unica Divinità, un’unica eternità, un’unica potenza, un’unica signoria, un’unica gloria, un’unica adorazione, un’unica volontà essenziale e un’unica ed una sola operazione della stessa santa ed indivisibile Trinità, che ha creato, ordina e conserva.

547. Confessiamo che l’unico di questa stessa santa e coessenziale Trinità, Dio Verbo, che nacque dal Padre prima dei secoli, negli ultimi secoli discese dal cielo per noi e per la nostra salvezza, e si fece carne dallo Spirito Santo e da Maria santa, immacolata e gloriosa, sempre Vergine, nostra Signora, veramente e propriamente Madre di Dio secondo la carne, che cioè nacque da Lei e divenne veramente uomo; lo stesso è vero Dio e lo stesso è vero uomo, Dio da Dio Padre, ma uomo dalla Vergine Madre, incarnato da quella carne che aveva un’anima razionale ed intellettuale; lo stesso è consustanziale a Dio secondo la Divinità e consustanziale a noi secondo l’umanità, simile a noi in tutto tranne che nel peccato; fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, patì e fu sepolto e risuscitò. ..

548. Riconosciamo, dunque, che un solo e medesimo Gesù Cristo nostro Signore, l’unigenito Figlio di Dio, esiste di due e in due sostanze senza confusione, senza mutamento, senza divisione e senza separazione, non essendo mai abolita dall’unione la differenza delle nature, ma al contrario rimanendo inalterate le proprietà delle due nature, che concorrono in una sola persona ed in una sola ipostasi; non è diviso o scisso in una dualità di Persone, né è confuso in una sola natura composta. Ma riconosciamo che un solo e medesimo Figlio, Dio Verbo, nostro Signore Gesù Cristo, non è un altro in un altro, né un altro e un altro, ma è lo stesso in due nature, cioè in Divinità ed umanità, anche dopo l’unione ipostatica. Infatti, né il Verbo fu mutato nella natura della carne, né la carne fu mutata nella natura del Verbo, poiché entrambi rimasero ciò che erano per natura, poiché la differenza delle nature unite in Lui, da cui è composto senza confusione, senza separazione, senza cambiamento, la riconosciamo solo per riflessione: ‘una infatti dalle due, ed entrambe da una perché l’elevazione della Divinità così come l’umiltà della carne sono allo stesso tempo, ciascuna dalle due nature, conservando intatta la sua proprietà anche dopo l’unione, e ‘l’una e l’altra forma facendo in comunione con l’altra ciò che le è proprio: il Verbo operando ciò che appartiene al Verbo, e la carne eseguendo ciò che appartiene alla carne: l’uno brillando nei miracoli, l’altro soccombendo sotto gli oltraggi’. (v. n. 294). Perciò, come confessiamo che Egli abbia veramente due nature o sostanze, cioè la Divinità e l’umanità, senza confusione, divisione o cambiamento, così confessiamo che abbia due volontà naturali e due operazioni, poiché la regola della pietà ci insegna che un solo e medesimo Signore Gesù Cristo è perfetto Dio e perfetto uomo (vv. 501-522). Ci viene infatti dimostrato dalla regola di pietà, ciò che è stato stabilito dalla tradizione apostolica ed evangelica e dall’insegnamento dei santi Padri, e che la santa Chiesa cattolica ed apostolica e i venerabili Sinodi riconoscono.

3° Concilio di Costantinopoli (6° ecumenico)

7 novembre 680-16 settembre 681.

Condanna dei monoteliti e di papa Onorio I

550. Dopo aver esaminato le lettere dogmatiche scritte da Sergio, un tempo patriarca di questa città imperiale, ed affidato alla protezione di Dio, a Ciro, allora Vescovo di Phasis, così come a Onorio, un tempo Papa dell’antica Roma, come anche la lettera scritta da quest’ultimo, Onorio, in risposta allo stesso Sergio [cf.487], e avendo constatato che esse contraddicono totalmente gli insegnamenti apostolici dei santi Concili e di tutti i santi Padri riconosciuti, e che essi seguono piuttosto le false dottrine degli eretici, li respingiamo totalmente e li aborriamo come dannosi per le anime.

551. Per quanto riguarda coloro, cioè, di cui rifiutiamo le empie dottrine, abbiamo giudicato cheanche i loro nomi siano banditi dalla santa Chiesa, cioè i nomi di Sergio… il quale ha iniziato a scrivere di questa empia dottrina, di Ciro di Alessandria, di Pirro, di Paolo e Pietro, e di coloro che hanno presieduto la sede di quella città affidata alla protezione di Dio e che la pensavano come questi; poi anche quella di Teodoro, già Vescovo di Faran; tutte queste persone sono state citate da Agatone, il santissimo e beatissio Papa dell’antica Roma, nella sua lettera all’Imperatore [542-545] e da lui respinti in quanto contrari alla nostra fede ortodossa; e decretiamo che anche questi sono soggetti ad anatema.

552. Ma con loro siamo dell’opinione che Onorio, già Papa dell’antica Roma, debba essere bandito dalla santa Chiesa di Roma e di colpirlo con l’anatema, perché abbiamo trovato nella lettera scritta da lui a Sergio che seguisse in tutto l’opinione di quest’ultimo e confermasse i suoi empi insegnamenti.

XVIII sessione, 16 settembre 681.

Definizione delle due volontà e operazioni in Cristo.

553. Il presente Santo Concilio Ecumenico ha fedelmente ricevuto e accolto a braccia aperte la relazione fatta dal santissimo e benedetto Papa dell’antica Roma Agatone al nostro religiosissimo e fedelissimo Imperatore Costantino, che per nominativamente rifiutava coloro che predicavano e insegnavano, come è stato mostrato sopra, una sola volontà e una sola attività nell’economia del Cristo, nostro vero Dio fatto carne [cfr. 542-545]; allo stesso modo ha ricevuto anche l’altra relazione sinodale inviata sotto lo stesso santissimo Papa dal santo sinodo dei centoventicinque Vescovi amati da Dio alla Sua divinamente saggia Serenità (cfr. 546-548). Che queste relazioni fossero in accordo con il santo Concilio di Calcedonia (vv. 300-306) e con il Tomo di Leone, il santissimo e benedetto Papa della stessa antica Roma, indirizzato a San Flaviano (vv. 290-295), che questo Concilio chiamava pilastro dell’ortodossia.

554. Erano in accordo anche con le lettere sinodali scritte dal beato Cirillo contro l’empio Nestorio ed inviate ai Vescovi orientali. Secondo i cinque Concili santi ed ecumenici ed i santi Padri approvati, questa definisce e confessa unanimemente il nostro Signore Gesù Cristo, nostro vero Dio, uno della santa, consustanziale e vivificante Trinità, perfetto in divinità e perfetto, allo stesso modo, in umanità; veramente Dio e veramente uomo, allo stesso modo, fatto di un corpo e di un’anima; consustanziale e consanguineo; consustanziale con il Padre nella Divinità e consustanziale con noi, in tutto simile a noi, tranne che per il peccato (Heb, IV: 15).

555. Generato dal Padre prima dei secoli secondo la divinità, e negli ultimi giorni per noi e per la nostra salvezza, lo stesso, dallo Spirito Santo e dalla Vergine Maria, che è di diritto e realmenteMadre di Dio, secondo l’umanità; un solo e medesimo Cristo, Figlio, Signore, unigenito, riconosciuto senza confusione, senza mutamento, senza separazione, senza divisione; la differenza delle nature non essendo in alcun modo abolita a causa dell’unione, ma anzi la proprietà di ciascuna natura è conservata e contribuisce ad una sola Persona e ad una sola ipostasi. Egli non è né separato né diviso in due persone, ma è un solo e medesimo Figlio, l’unigenito, Dio Verbo, il Signore Gesù Cristo, come i profeti hanno detto di Lui molto tempo fa, come Gesù Cristo stesso ci ha insegnato e come il Credo e come ci ha tramandato il Credo dei santi Padri.

556. Allo stesso modo proclamiamo in Lui, secondo l’insegnamento dei santi Padri, due volontà naturali e due attività naturali, senza divisione, senza cambiamento e senza confusione. Le due volontà naturali non sono, come hanno detto gli empi eretici, opposte l’una all’altra, tutt’altro. Ma la sua volontà umana segue la sua volontà divina ed onnipotente, non vi si oppone, ma si sottomette ad essa. La volontà della carne doveva essere mossa e sottomessa alla volontà divina, secondo il sapientissimo Atanasio. Infatti, così come la sua carne è detta essere ed èla carne di Dio Verbo, così la volontà naturale della sua carne è detta essere la volontà di Dio Verbo, come Egli stesso dichiara: “Sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà del Padre che mi ha mandato”. (Gv VI, 38). Dichiara che la volontà della sua carne è la sua, poiché la carne è diventata sua. Infatti, così come la sua carne animata, tutta santa e immacolata, non è stata soppressa essendo divinizzata, ma è rimasta nel proprio limite e nel proprio scopo, così anche la sua volontà umana, essendo divinizzata, non è stata soppressa. Anzi, è stata salvaguardata, secondo la parola di Gregorio il Teologo: “Infatti l’atto di volontà di colui che è considerato Salvatore non si oppone a Dio, essendo totalmente divinizzato”.

557. Noi glorifichiamo le due attività naturali, senza divisione, senza cambiamento, senzaconfusione, in nostro Signore Gesù Cristo, nostro vero Dio, cioè un’attività divina ed una umana, secondo Leone, l’ispirato di Dio, che afferma molto chiaramente: “Ogni natura fa in comunione con l’altra ciò che è proprio della sua natura”, il Verbo operando ciò che è del Verbo, e il corpo ciò che è del corpo” [v. 294]. In effetti non concederemo che esista un’unica attività naturale di Dio e della creatura per non elevare il creato alla sostanza divina e abbassare la sublimità della natura divina al livello che genera esseri. Riconosciamo infatti che i miracoli e le sofferenze sono quelli dell’uno e dell’altro, secondo l’una e l’altra natura di cui è composto e in cui ha il suo essere, come diceva l’ammirabile Cirillo (cfr. 255 260, 271-273, 423)

558. Conservando totalmente ciò che è senza confusione o divisione, proclamiamo il tutto in una formula concisa: credendo che l’uno della Trinità sia anche, dopo l’incarnazione, il nostro Signore Gesù Cristo, il nostro vero Dio, diciamo che abbia due nature che risplendono nella sua unica ipostasi. In essa, durante la sua esistenza secondo l’economia, ha manifestato i suoi miracoli e le sue sofferenze, non in apparenza, ma in verità. La differenza naturale in questa stessa ipostasi è riconoscibile in quanto che ogni natura vuole e compie ciò che le è proprio in comunione con l’altra. Per questo motivo glorifichiamo due volontà naturali e due attività naturali, che contribuiscono entrambe alla salvezza del genere umano.

559. Avendo formulato questi punti con totale precisione e accuratezza, definiamo che a nessuno è permesso proporre un’altra confessione di fede, cioè scriverla, comporla, meditarla o insegnarla ad altri. Per quanto riguarda coloro che osano comporre un’altra confessione di fede, di diffondere, insegnare o trasmettere un altro simbolo a coloro che desiderano convertirsi dal paganesimo, dal giudaismo, o da qualsiasi eresia, alla conoscenza della verità, o introdurre un qualsiasi nuovo linguaggio o un’espressione inventata per invalidare i punti che abbiamo appena definito,se fossero Vescovi o chierici, sarebbero esclusi, i Vescovi dall’episcopato e i chierici dal clero;se fossero monaci o laici, sarebbero colpiti da anatema.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (12) “da LEONE II a GREGORIO II”

IL SACRO CUORE DI GESÙ (65)

IL SACRO CUORE (65)

P. SECONDO FRANCO

SACRO CUORE DI GESÙ

TORINO – Tipgrafia di Giulio Speirani e fligli – 1875

V° per delegazione di Mons. Arciv. Torino, 1 maggio 1875, Can. Ferdinando Zanotti.

Perehè si presti un cultò speciale al Cuore Santissimo Gesti Cristo.

La prima domanda che si fa da molti, quando si sentono proporre la divozione al Cuore SS. di Gesù, suole esser questa. Qual ragione vi ha di onorare specialmente il Cuore di Gesù Cristo? Sia pure un oggetto degno d’infinita lode, tuttavia non basta adorare, come sempre si è fatto, tutto intero il nostro Signor Gesù Cristo? Si potrebbe rispondere semplicemente che, avendo Nostro Signore fatto conoscere che gli era carissimo un tal culto, ed essendovi noi confortati da Santa Chiesa, questo è bastante perché l’abbracciamo con ogni fiducia. Ma vi sono ragioni saldissime che a ciò fare ci muovono, che sarà utile il considerare e varranno eziandio per solido fondamento a quel che diremo dappoi. Queste ragioni si possono brevemente accogliere in questo. 1° Che la fede ci mostra adorabile il Cuor divino. 2. Che la pietà peculiarmente il domanda. 3. Che lo stesso Cuor divino soavemente ci attrae.

I. La Fede cristiana ci mostra adorabile il Cuor divino. La fede cristiana insegna che in Gesù Cristo vi sono due nature, le quali sussistono in una sola Persona, che è quella del divin Verbo. Che quindi Gesù Cristo sia che si risguardi secondo la natura divina, sia secondo l’umana, deve essere adorato collo stesso supremo culto di latria, con cui si adora la divinità. Una adoratione Deum Verbum incarnatum cum propria ipsius carne adorat, sicut ab initio Dei Ecclesiæ traditum est. Così il V. Conc. tenuto in Laterano. E la ragione di ciò è che sebbene l’umanità sacrosanta del Redentore per sé medesima non sia Dio, né  si confonda colla divinità, tuttavia come è Umanità assunta dal Verbo, il quale è Dio, così deve essere col Verbo adorata in quel modo medesimo onde si adora Iddio. – Esprime questa dottrina di Santa Chiesa mirabilmente S. Giovanni Damasceno. « Uno è Gesù Cristo perfetto Iddio, perfetto uomo, cui noi col Padre e collo Spirito Santo adoriamo di una sola adorazione insieme alla sua Carne immacolata. Né ricusiamo di adorare la carne, poiché l’adoriamo nella Persona del Verbo che in sé l’ha assunta: né per questo adoriamo una creatura, poiché non adoriamo la carne presa da sé sola, ma come congiunta alla divinità e perché le due Nature di Lui sono unite nella Persona del divin Verbo ». Così il Santo. Di che se ne trae che come tutto il nostro Gesù, cioè la Persona del Verbo colle due Nature Umana e Divina che le sono proprie, sono l’oggetto assoluto ed adeguato di ogni nostro culto, così l’umanità sua sacrosanta con tutte le parti che la compongono, in quanto è fatta natura del divin Verbo, è oggetto della nostra adorazione parziale. Or posto ciò quel Cuore è certamente adorabile. Ma se è adorabile perché non l’adoreremo? Tutto sta che vi siano ragioni speciali per farlo, e queste vi sono oltre ogni dire efficaci.

Il. La pietà cristiana ce lo domanda a gran voce. Conciossiaché non potendo noi adorare l’Umanità SS. di Gesù Cristo se non secondo le manifestazioni che esso si compiace di farne (dacché possiamo solo adorarlo in quanto lo conosciamo) in quel Cuore le manifestazioni di Gesù ci appaiono più belle, più tenere, più commoventi che tutto altrove. Infatti, come e dove è che ci si manifesta Gesù? Nella sua vita mortale Ei ci si presenta sotto le forme amabili ora di bambino per noi lattante, ora di fanciullo per noi affaticato, ora di giovane per noi nascoso in una bottega, ora di annunziatore della parola di vita eterna e quindi in tutti questi stati noi siamo in caso di adorarlo. Nella sua Passione ci si dà a vedere agonizzante nell’orto, coronato di spine, lacero da flagelli, confitto su di una Croce e riscuote in tutti quegli stati la nostra adorazione. Nella divina Eucaristia ci appare e medico delle nostre piaghe, e amante sviscerato di tutti noi, e cibo sostanziale delle anime e pegno di eterna vita: e secondo che lo conosciamo, qui pur l’adoriamo. Nel Cielo Gesù ci mostra la sua SS. Umanità rivestita di gloria, alla destra del Padre, e ci rappresenta la carità, la misericordia, la benignità onde ama ciascuno di noi come capo le sue membra, come arbore i suoi rami, come Redentore i suoi riscattati, ed è, come è chiaro, oggetto di tutte le nostre adorazioni. Ma dove ci presenti poi il suo Cuore squarciato da cruda lancia, che versa fino le ultime stille di acqua e sangue che in lui si contengono, che ci rammemora come tutto ci abbia dato quel che possedeva sino al Cuore, che tutto si è immolato fino allo squarciamento del Cuore, che tutti ci offre i suoi doni e le sue grazie sino ad aprirci per ogni rifugio e conforto il suo medesimo Cuore, come non dovrà a sé rapire tutti i nostri affetti? E di quale argomento più tenero ed affettuoso può occuparsi la pietà cristiana? Potrà mai un’anima che senta meno indegnamente di Gesù non sentirsi attratto soavemente a riamarlo, ad adorarlo, a glorificarlo?

III. Lo stesso Cuor divino ci attrae. Gesù stesso offrendoci il Cuore ci porge il più caro invito che possa farci ad adorarlo, ossequiarlo, amarlo. Che cosa è infatti il SS. Cuore di Gesù? È il principio immediato di tutte le sue opere e di tutti i suoi patimenti. Perché mai Gesù si affaticò per trentatré anni in sulla terra? Perché fondò la Chiesa, perché operò la Redenzione con sì smisurati patimenti, perché ci dischiuse il Cielo, insomma perché tanto fece e tanto patì per noi? L’unica risposta che si può dare a tante interrogazioni non è poi mai altra che pure questa: perché il suo Cuore pietoso arse per noi di amore smisuratissimo. In quel Cuore vi è dunque la cagione, il principio di tutto quello che ha fatto e patito per noi. Cagione che supera in eccellenza l’effetto che ne provenne, perocché più è che Gesù si sia degnato di amarci che non è che ci abbia colmati di grazie, se pur è vero, come è verissimo che più del dono valga il donatore. Di che possiamo dire con verità che il suo Cuore è il compendio ed il fiore più bello di tutte le sue opere. Ne è il compendio perché tutte muovono dall’amore del suo Cuore il quale le elesse, le volle, ne sopportò le necessarie fatiche per eseguirle, ne fece diremo così le spese. Ne è il fiore più bello perché è quello che pone il colmo a tutte le sue degnazioni. Se è amabile Gesù che vagisce in fasce, quel che più ci ferisce è che quei vagiti sono per nostro amore. Se è bello Gesù già tutto sparso di sudore nella sua bottega, quel che più ci muove è il pensare che per amore di noi Egli lavora. Se è mirabile Gesù che percorre la Giudea, che dirozza gli Apostoli, che fonda la Chiesa, il più soave di quello spettacolo è l’amore con cui viene divisando sì belle imprese. E così contemplando Gesù in croce, o nella divina Eucaristia, o lassù nel Cielo quel che più ci commuove è l’amore paziente, l’amor prigioniero, l’amore che ci prepara le sedi celesti. Quanti debiti adunque abbiamo con quel Cuore sacrosanto che tanto ci ha amato! Quante ferite d’amore partono verso di noi da quel buon Cuore!

Cor Jesu flagrans amore nostri, infiamma cor nostrum amore tui.

I. Qual sia l’oggetto materiale della devozione

al SS. Cuore.

Che il Cuore SS. di Gesù sia adorabile l’abbiamo considerato già. Si può ora richiedere in qual modo cel proponga ad adorare la S. Chiesa. Al che è da rispondere brevemente che essa ci presenta come oggetto materiale di questo culto quel Cuore SS. quale si trova in Gesù Cristo, e come oggetto spirituale l’amore smisurato che Gesù ci ha portato e ci porta incessantemente. Per l’uno e per l’altro capo cotesta devozione riesce ammiranda. Considerate frattanto l’oggetto materiale, e vedrete che ad adorarlo peculiarmente cel persuadono d’accordo 1° la sua dignità, 2° la nostra riconoscenza, 3° la pietà nostra.

.1° La sua dignità. Il Cuore in G. Cristo è un cuore vivo, è un cuore congiunto a tutta l’Umanità sacrosanta di Gesù Cristo. Ora quel Cuore non trae la vita naturale se non dall’anima, la quale è senza dubbio l’anima più perfetta che sia uscita dalle mani di Dio creatore. La umanità di G. C. di cui è parte sì precipua il Cuore, è sostentata, come abbiam detto, dalla Persona del divin Verbo, quindi è l’Umanità del Figliuolo di Dio; e se è così, come è certamente, il Cuore di Gesù Cristo è il Cuore di Dio. Quindi la divinità sebbene non distrugga il cuore umano, pure inondandolo di sé medesima, lo innalza, lo sublima ad una dignità infinita. La porpora diventa nobile allorché è portata da un Monarca: ma non cessa per questo di essere sempre separabile da lui, poiché è cosa estrinseca al medesimo. Non è così del Cuore del nostro Gesù. Esso è stato coll’Umanità sacrosanta sì fattamente congiunto alla Persona del Figlio di Dio che è e sarà in eterno il Cuore di Dio. Il Verbo divino che in sé medesimo è immutabile per mezzo di questo cuore palpita, si rallegra, si affligge, si consola, va soggetto a tutte le affezioni della nostra vita mortale, e la nostra umanità di rincontro in Gesù Cristo in maniere al tutto ineffabili è ammessa alle ricchezze, alla gloria, alla maestà della Divinità. Quale oggetto non è pertanto quel Cuore divino anche preso solo materialmente! Come non accarezzerà volentieri ognuno di noi questo Cuore che è accarezzato così intimamente, dalla divinità che l’ha fatto Cuore suo in eterno?

II. La nostra riconoscenza. Due sono senz’alcun dubbio i maggiori beni che noi abbiamo ricevuto da Dio in questa valle di lagrime, lì dono della S. Fede e la divina Eucaristia. La Fede perché è la radice di tutti gli altri doni, e la porta per cui solo si entra a parteciparne e senza di cui è al tutto impossibile il mai pervenire a piacere al Signore: la divina Eucaristia perché contiene non solo le grazie più elette che Dio comunica agli uomini, ma la fonte stessa, l’autore medesimo della grazia N. S. Gesù Cristo. Ora questi due doni volle il Signore che immediatamente ci pervenissero dal Cuore dolcissimo di Gesù Cristo trafitto in croce. Conciossiaché qual è il mistero che sul Calvario si è compiuto? L’Evangelio ci fa sapere che trapassato il costato e ferito il Cuore di Gesù, prontamente ne sgorgò acqua e sangue. Or che cosa è quell’acqua, che cosa è quel sangue? Ah non è soltanto l’ultima prova di quell’affetto per cui Gesù ci volle dare fino all’ultima stilla il sangue delle sue vene, ma per sentimento di tutti i Padri è la grazia della Fede che vien raffigurata in quell’acqua che ne diviene nel Battesimo lo strumento, è il dono della Eucaristia simboleggiato in quel sangue che a noi si comunica nei santi misteri. Cosi lo notò tra molti altri S. Giovanni Grisostomo, osservando che prima noi siamo mondati coll’acqua, poi col sangue siamo consacrati. Primum enim aqua diluimur, deinde sanguine dedicamur. Il perché se vi ha un Sacramento il quale mi ha purificato dalla colpa, mi ha infusa la fede, la speranza,la carità, mi ha conferito l’onore sublimissimo d’esser Figliuolo di Dio, che mi ha conferito il diritto all’eterna eredità, iolo debbo a quel Cuore sacrosanto che mel’ha concesso. Se posso ora con invidiadegli Angeli accostarmi a Gesù Cristo, cibarnele carni immacolate, beverne il preziosissimosangue ed attingere dalla fontestessa ogni maniera di grazie io lo debboal Cuore SS. di Gesù che nell’amor suome le ha dischiuse. Quale riconoscenza nondovrebbe essere la mia! Come potrei mirarequel Cuore senza sentirmi grato a’suoi doni, e come ricevere i suoi donisenza risalir subito alla sorgente da cuimi sono provenuti?

III. La nostra pietà. Dovrei andare anche più oltre: questi smisurati beni mi provengano dal Cuore di Gesù non solo, ma dal Cuore di Gesù ferito e squarciato. Deh! che cosa è questa? Una piaga sanguinolente in mezzo ad un Cuore, e ad un Cuor divino! Chi avrebbe potuto farla se Egli già non l’avesse voluta? Poteva forse l’umana barbarie giungere fino a quell’estremo? E donde avrebbe preso la forza quand’anche ne avesse avuto l’ardire? Ah, quel Cuore è ferito perché ha voluto, e del volerlo ne fa cagione una ferita immensamente più profonda che già gli aveva fatto il suo inestimabile amore. Così lo considera l’amante S. Bernardo, dicendo: Mira come il nostro dolce Gesù a guisa di rosa sia tutto fiorente. Contemplane tutto il corpo ed osserva se v’abbia parte di Lui che non mostri il color sanguigno della rosa. Sono rosei i piedi e le mani, roseo costato altresì, benché sia più pallido il colore, poiché frammista al sangue vi scaturì eziandio dell’acqua. Ora quel colore è indizio dell’ardentissima sua carità. Rubet in indicium ardentissintæ charitatis. Il dolore e l’amore fanno a gara: questo per ardere maggiormente, quello per maggiormente patire. Contendunt passio et charitas, ista ut plus ardeat, illa ut plus rubeat. Che se questo è vero di tutte le ferite sacrosante del Redentore, comenol sarà peculiarmente del suo Cuore dolcissimoche è pure il centro della sua carità?Oh le altre ferite le ha tollerateperché era ferito il suo Cuore, ed all’amoredi questo Cuore dobbiamo tutte le altre sue pene. Gli è però che i Santi trovano che se tutte le piaghe di Gesù sono altrettante porte di salute per gli uomini, quella del Cuore è la più spaziosa ed amena: se tutte le piaghe di Gesù sono fontane donde derivano le grazie e le consolazioni celesti, la piaga del Cuore è quella che mena le acque più abbondanti e più deliziose: se tutte le piaghe di Gesù sono un luogo dolcissimo di rifugio pei peccatori, il suo Cuore è il più sicuro ed il più favorevole. Sanno essi che questa è la cagione intima delle altre sue ferite e però in esse amano di riposarsi tranquillamente di preferenza. Oh perché non prenderemo anche noi a fare altrettanto? Quando ripensiamo ai benefici che Gesù ci ha compartiti, soprattutto alla fede che ci ha donata, all’Eucaristia che per noi ha istituita, perché, dico, non rimonteremo alla sorgente da cui tutto ci è provenuto? Quando mireremo alle sue piaghe perché non ci arresteremo di preferenza al suo Cuore? E perché non ricorreremo a lui nelle nostre necessità più urgenti? Se tanto ha fatto già per noi, Ei ci dimostra quel che sia ancora disposto a fare. Quel Cuore è sempre lo stesso, sempre ci ama, sempre per noi si adopera. Deh! adoperiamoci. ancor noi una volta ad amarlo!

Cor Jesu pro me vulneratum miserere mei.

II. Qual sia l’oggetto spirituale della devozioue al SS.. Cuore.

Il Cuore di Gesù è oggetto di adorazione in sé medesimo perché è il Cuore del Verbo di Dio. Ma di che cosa inoltre è simbolo naturale. Chiunque veda un cuore non può non sentirsi risvegliare il concetto dell’amore. Trattandosi poi di un cuore impiagato, aperto, sormontato da una croce, come è quello di Gesù, il concetto dell’amore infinito che ci ha portato, riesce evidente. Ed appunto per richiamarci alla mente cotesto amore, Egli ci ha offerto il suo SS. Cuore, ed intende coll’offrircelo di provocare i nostri cuori ad un’affettuosa corrispondenza. Qual è dunque l’amore, che ci ricorda? Un amore che non ha limiti 1° nella durata; 2° nella efficacia; 3° nella soavità.

I. Non ha limiti nella durata. Non erano ancora i cieli, non era ancora la terra, non esistevano ancora né Angeli né uomini, e Gesù Verbo divino già era. In principio erat Verbum. E là nel seno delPadre, tra gli splendori della divina gloriaviveva col Padre e collo Spirito Santo infinitamentebeato. Però da tutta l’eternitàEgli aveva già presente il nostro esserefuturo, la nostra caduta, la nostra rovinaed aveva presente altresì tutto quello cheper nostro rimedio avrebbe operato. Né in qualunque modo l’aveva presente, macon infinita compiacenza prendeva dilettodel bene che avrebbe fatto a ciascuno di noi. Vedeva quel che per noi avrebbe patito, quel che avrebbe meritato, la larghezzadivina con cui ce ne avrebbe conmille maniere di grazie, di Sacramenti,di dottrine, di esempi applicati i frutti edi tutto ciò si compiaceva infinitamente.Vedeva i vantaggi che ce ne sarebbero ridondatidi santificazione nella vita presente,di gloria nella vita avvenire e sene rallegrava. Chi lo mosse ad una degnazionecosi smisurata? I nostri meriti? Eche meriti vide in noi carichi d’iniquità?Forse la nostra natura lo esigeva? Ma ecome può richiedere la natura doni chetanto sono sopra ogni natura? Nulla lopoté muovere fuori di quella bontà infinitaper cui si compiacque di amarci diun amore tutto gratuito. E così per tuttaun’eternità si contentò di amarci. In charitate perpetua dilexi te. (Jer. 31, 3). Mio Dioche cosa è questa? Il Verbo di Dio chepensa a me da tutti i secoli, che mi tienpresente, che con tutto sé mi ama? Ah. Uomini, uomini, che v’intenerite se unapersona vi si mantiene fedele ad amarvi qualche anno, sarete dunque freddi perun amore che ha durato un’eternità? Igenitori più affettuosi, gli sposi più teneri,gli amici, i fratelli più affezionati vi hannoamato qualche anno, Gesù Verbo divinovi ha amato un’eternità e solo per Lui nonavrete una fibra che si risente di amore?Oh quando comprenderete che ad un amore eterno ci vuole nulla meno per contraccambioche un’eternità di amore?

II. Non ha limiti nell’efficacia. L’amore che da tutta l’eternità mi portò Gesù non è stato sempre racchiuso in lui solo, ma fu per noi divinamente operoso. Conciossiaché questo lo mosse, dice S. Gregorio, a dare passi da gigante in nostro favore. Mosso dall’amore il Verbo divino venne a vestirsi della nostra umanità quale uno di noi. Qual eccesso di amore che un Dio si sia sottoposto a tutte le infermità di una creatura, quale noi siamo! Né prese la nostra umanità, intorniata di quelle delizie che pur poteva offrire questa misera terra, ma la elesse nelle condizioni più misere di povertà, di abbiettezza, di nascondimento. Dalla vita misera passò più oltre e venne ai dolori, alle agonie, alle ambasce d’una crudelissima morte. Quali prove di amore non sono queste! Eppure di abisso passò ad altro abisso. Non gli bastò di nascondere la sua divinità sotto le spoglie dell’umanità, l’amore gli fe’ nascondere anche questa sotto le specie di poco pane e di poco vino nel mistero Eucaristico per poter così rimanere lungo i secoli a nostro conforto. Di tutte queste opere immense poi quale fu il vantaggio che per noi intese? Volle che noi dalla schiavitù del demonio fossimo redenti, volle che di figliuoli d’ira diventassimo figliuoli di Dio, volle che di miseri condannati che eravamo alle eterne pene fossimo ravviati invece ad una eterna beatitudine. A questo fine accumulò meriti e poi ce ne fece comunicazione. Radunò soddisfazioni e poi le fece nostre. Sparse il suo sangue divino e poi con esso diede valore alle nostre opere, ai nostri patimenti di meritare la vita eterna. Quale operosità nell’amore di Gesù Cristo! Eppure o disconoscere queste verità volgarissime della nostra S. Fede, o confessare che l’amore di Gesù è stato come un amore eterno, così un amore efficacissimo a nostro riguardo. Ed è di qua che le anime amanti non si contentano di amar Gesù a parole, ma procurano di operare per Lui, di mortificarsi per lui, di non darsi posa per lui fino a sacrificarsi per Lui totalmente. Ah se Gesù vi chiedesse qualche particolar sacrificio, sarebbe questo il giorno da non negarglielo.

III. Non ha limiti nella soavità. La grandezza dell’amore di Gesù alla fortezza divina con cui ci ama congiunge una ugual tenerezza. Imperocché se Gesù avesse voluto solo la nostra salvezza ei la poteva ottenere impiegando anche solo un atto della sua divina volontà. Ma ciò non gli bastava se non mostrava altresì la tenerezza dell’amor suo. Che cosa elesse adunque? Volle impiegarvisi con invenzioni si dolci, sì tenere, sì amorose che ottenessero l’effetto, e mostrassero tutto insieme la sua tenerezza infinita. Il Verbo divino poteva salvare gli uomini senza farsi uomo, ma volle abbracciare strettamente la natura nostra assumendola in sé, esaltarla, dignificarla, accarezzarla, divinizzarla. Perché cosi? Ah ci saremmo sentiti più amati avendo un Dio Uomo al pari di noi. Fattosi già uomo poteva con una preghiera, con una lagrima, con un sospiro redimerci a tutto rigor di giustizia, perché dunque le spine, i flagelli, la crocifissione, la morte? Se poco gli avessimo costato, ci saremmo forse creduti amati poco: ora Egli vuole che conosciamo l’infinita tenerezza che ha per noi, quindi colla immensità delle pene ce l’ha dimostrata. Non era necessario che Gesù rimanesse con noi lungo i secoli: perocché qualunque gran bene avrebbe potuto farcelo senza la sua presenza reale nell’Eucaristia. Ma troppo maggiore affetto dimostra quel bene che si fa in persona: quindi Gesù vuol essere Lui a venire da noi, Lui a guarirci, Lui a mondarci, Lui a santificarci: e vuole di presenza trattenersi con noi, e cuore a cuore con noi comunicarsi. Sono queste tenerezze ineffabili della carità di Gesù. Ora non vi sembra che un amore sì lungo, sì smisurato, si affettuoso non meriti qualche corrispondenza? Sappiate adunque che appunto per rendere questa è stata istituita la devozione al suo Cuore divino. In questi tempi di tanta freddezza Ei vuole ristorare il regno della carità. Aspirate adunque ad esser dei primi che si consacrano a sì bella impresa e se ne allontani solo colui che creda non esser dovere di un Cristiano rendere amor per amore. Ma chi invece intenderà che il più grande ed il più dolce nostro dovere è di amarlo per quell’amore che ci ha portato, vede altresì quanto debba amare quel SS. Cuore.

Diligam te fortitudo mea.

GNOSI, LA TEOLOGIA DI sATANA (66): LA TEOSOFIA (2)

LA  TEOSOFIA (2)

(Enciclopedia APOLOGETICA della RELIGIONE CATTOLICA – QUARTA ED. – Trad. T. Dragone, Ed. PAOLINE, ALBA 1953. Impr. Parigi 1948, ed. it. Impr. 1953, P. Gianolio)

CAPITOLO III. – PRATICHE DELLA TEOSOFIA

I tre scopi. -La Società Teosofica, nel programma che presenta ai suoi possibili aderenti, espone i suoi scopi (Programma ufficiale posto nell’Appendice del libro della Blavatsky, The Key; Programma ufficiale 1912, ne La Société Théosophique: son objecte et son utilité, (ausiège de la Soc. Théos. de France). Lo stesso programma alla fine delle opere della Besant e altri. Sulle variazioni della stesura cfr. MARTINDALE, o. c., p. 32):

1. « Costituire il nucleo di una fratellanza universale dell’Umanità senza distinzione di razze, di credo, di sesso, di casta o di colore ». Nei programmi recenti, non figura più la parola « casta ». certamente per non urtare i pregiudizi indù.

2. « Promuovere lo studio delle letterature, delle religioni, delle scienze arientali: arie e altre ». I nuovi programmi fissano così questo secondo paragrafo: Promuovere lo studio comparato delle religioni, delle filosofie e delle scienze: the study of comparative religion, philosophy and science ».

3. a Indagare le leggi non ancora spiegate della natura ed i poteri psichici dell’uomo, scopo che è perseguito soltanto da una parte dei membri della Società. Nei nuovi programmi, invece di « poteri psichici », si legge: « poteri latenti dell’uomo ». Questa modifica mira certamente a impedire la confusione dei teosofi con gli spiritisti e con tutti quelli che cercano i « fenomeni psichici » isolati dal concatenamento generale, ascetico e morale della teosofia.

« L’adesione al primo di questi scopi è richiesta soltanto a quelli che vogliono far parte della Società » (nuovi programmi). In seguito, praticando le altre due regole, e specialmente la terza, avranno la possibilità di diventare veri teosofi ». – «Nessuno è escluso dalla Società perché non crede agli insegnamenti teologici Si può perfino respingerli tutti, eccetto il principio della fraternità umana…» (ivi). – Il terzo scopo esprime in termini generali le pratiche necessarie alla formazione del vero teosofo, pratiche che ora studieremo (Seguiremo le indicazioni date dalla Besant nel libretto: Le Sentier du disciple).

HELENE BLAVATSKY

La disciplina. – « L’aspirante teosofo deve assoggettarsi alla disciplina Karma Yoga (ivi, p. 18: Yoga: unione; Karma: azione. È l’« unione con la Legge divina il sé umano ed il sé cosmico » raggiunta con « l’azione » metodica), del Sentiero della prova, poi del Sentiero del discepolo propriamente detto (cfr. A. BESANT, La Sagesse Antique, p. 447), che lo condurranno progressivamente fino allo stato di pieno sviluppo e di attitudine al Nirvàna. Qui, non possiamo pensare di descrivere tappa per tappa la lunga formazione, che può anche continuare per incarnazioni successive (Besant, Le Sentier, p. 113.). Indichiamone almeno le tendenze generali. Un controllo delle passioni: collera, amore, avidità dei beni materiali, etc. Bisogna imparare a essere moderati, calmi, puri, e soprattutto combattere e sviluppare la bontà estesa a tutti gli esseri, che deriva dalla convinzione che quanti formano unità nel Sé unico (ivi, p. 20 s., p. 44, e l’art. cit. dell’Encyclopcedia of religion and Ethics, p. 300, col. 2.) – Questa riforma dei costumi e del carattere è accompagnata e condizionata da una disciplina dello spirito. Bisogna imparare « a controllare il mentale turbolento », a combattere la dispersione dello spirito negli eventi del mondo sensibile. Viene esplicitamente raccomandata la pratica della « meditazione » come « concentrazione » del pensiero sopra un unico oggetto e lotta contro le distrazioni, come pure la sorveglianza sulla condotta, che assomiglia molto all’esame di coscienza. Compiute tutte queste preparazioni, il discepolo è maturo per ricevere l’insegnamento di un mahàtma: gli si apre il Sentiero del discepolo; è degno di trovare il Maestro e lo troverà. E il Maestro, con la sua chiaroveggenza superiore lo distinguerà in mezzo alla folla degli uomini. Potrà accadere che il discepolo non veda fisicamente il suo Maestro e, « nello stato normale di veglia », forse immaginerà di calcare da solo il sentiero, ma il Maestro sarà là, e in certe circostanze, in certi stati, come nel sonno fisico, ne percepirà e sentirà la presenza ». – Sotto l’influsso e la direzione del Maestro, si compirà l’iniziazione vera e propria, che farà cadere le « illusioni capitali »: prima quella di credere alla realtà del mondo empirico; poi « l’illusione della personalità » e l’iniziato finirà col dirsi: « lo sono Quello; io sono Brama ».

L’illuminazione. – Allora « sarà giunto al contatto assoluto con la realtà » e non conoscerà più teoricamente, ma per esperienza, « come fatti reali », « come fenomeni della natura verificati da lui stesso » gl’insegnamenti della teosofia, quali « la grande verità della reincarnazione », quella del Karma, l’esistenza dei mah’àtma, ecc. In che modo? Mediante lo sviluppo di quelle « facoltà latenti » di cui parla il programma teosofico e che fu perseguito in tutto il corso della formazione del discepolo. (Cfr. Le Sentier; v. pure in L’évolution de la vie et de la forme, della BESANT, un curioso parallelo tra la scienza moderna, che osserva dei fatti esteriori dai quali trae le sue induzioni, e la scienza antica, che la teosofia si propone di restaurare, in cui l’uomo conosce le cose attraverso il proprio interno, attraverso « la vita che è in lui stesso… perché solo la vita può rispondere alle vibrazioni di ciò che vive: la sua opera consiste nello sviluppare se stesso, nell’estrarre dagli abissi della propria natura i poteri divini che vi sono celati… Basta fare degli strumenti » – p. 25). Il termine sarà uno stato di « onniscienza » che si estende a tutta la realtà conoscibile nell’universo, al quale appartiene l’iniziato, con poteri corrispondenti e proporzionati, cioè l’« onnipotenza » nel medesimo universo. D’altronde, questi poteri saranno esercitati soltanto per il bene degli altri e per il progresso dell’umanità, poiché l’individuo perfetto non può avere altri scopi. A questo punto supremo, l’uomo sarà divenuto un budda e potrà entrare nel Nirvàna quando vorrà. – I teosofi non finiscono di parlare delle varie specie di « chiaroveggenza » acquistate durante la formazione, poiché con le intuizioni dei piani eterico » e « astrale » si vede attraverso gli oggetti opachi, si sente attraverso i muri, si percepisce Paura che avvolge i corpi viventi come una bruma luminosa e che, con le sue piccole varietà, permette di diagnosticare a colpo sicuro i pensieri e i sentimenti d’una persona e penetrare i segreti delle coscienze (LEADBEATF.R, La Clairvoyance, p. 34 s., 49 s.). A queste altezze, si fa la conoscenza degli « spiriti della natura »: gli elfi e le fate del folklore; s’incontrano anime disincarnate, ecc.. In una zona ancor più elevata, chiamata « piano mentale », si manifestano « gli spiriti superiori » (Angeli o Arcangeli del Cristianesimo), i grandi Iniziati, gli Adepti, con la cui guida il discepolo, giunto a questo piano. si può istruire (ivi). Sarebbe fastidioso entrare nei particolari di tutte le divisioni e suddivisioni di questi piani soprafisici e delle percezioni che vi si ottengono. Leadbeater su questo argomento ha scritto un intero volumetto, dove ci spiega dottamente le varie chiaroveggenze e il modo di servirsene: chiaroveggenze che conducono fino ai fatti lontani nello spazio e nel tempo, e perfino sul passato più remoto (l’Atlantide!) (Cfr, le intenzioni della Blavatsky sul continente misterioso – G. T., p. 64); chiaroveggenze che conducono sul futuro, ecc. Per far accettare più facilmente la realtà di queste facoltà sopranormali, egli si appella abilmente ai fatti finora poco studiati di telepatia, di presentimento, di trasmissione del pensiero, ecc. Mentre questi fatti, quali si presentano all’osservatore volgare, appaiono sporadici e quasi completamente sottratti alla direttiva della volontà umana, la teosofia pretende di insegnare un metodo per produrli e dirigerli con sicurezza (V. alcuni esempi del modo con cui Steiner intende la chiaroveggenza, il suo metodo e i suoi oggetti. G. T., pp. 137-141; 171, nota 2, p. 172 s.; p. 183 s..; Steiner conosceva per esempio nei particolari la storia dell’Atlantide, questo continente che avrebbe occupato parte dello spazio coperto attualmente dall’Atlantico e che assieme alla civiltà che fioriva in essa sarebbe scomparta in un cataclisma. Questa civiltà non ha nessun segreto per il « veggente », e Steiner ci avverte molto seriamente che « il tempo » di cui parla « non è conosciuto attraverso nessun documento… Qui ci occupiamo di occultismo, e non di critica storica’. La Science occulte, pp. 232, 235). Questi sono i punti capitali dell’insegnamento teosofico; essi comportano sviluppi dettagliati e prolissi sull’antropologia (costituzione dell’essere umano mediante sette principi) e sulla cosmologia (origine ed evoluzione dei mondi), nei quali non ci interessa entrare. Si possono trovare riassunti nelle opere speciali.

ANNIE BESANT

CAPITOLO IV. – APPREZZAMENTO

Errori filosofici e religiosi. – Anche senza insistere, gli errori della dottrina teosofica risultano da se stessi. Il panteismo, la negazione di un Dio personale e distinto dal mondo, il rigetto esplicito della creazione. l’identità dell’io con Dio, un’evoluzione che finisce nella fusione del finito nell’Infinito; d’altra parte, la realtà non solo del mondo sensibile, ma dei fatti di coscienza più personali, è ridotta a un’illusione; le individualità Particolari sono confuse in un » Sè » unico. Sono questi gravi errori che una sana filosofia deve confutare. (Tutti i soliti concetti diabolici di cui abbiamo ampiamente parlato nei numeri precedenti al riguardo della “gnosi” teologia di satana – ndr. -). Ma siccome ora non scriviamo un manuale di filosofia, non ci accingiamo a trattare questioni che appartengono alla filosofia generale e che richiederebbero uno sviluppo troppo vasto per trovar posto in quest’articolo. Quindi, rimandiamo il lettore ai libri che le espongono. Questi errori filosofici capitali interessano già profondamente la fede, ma ad essi la teosofia ne aggiunge, nel campo propriamente religioso, altri non meno gravi. Le teorie della reincarnazione e di un Karma cieco sostituito alla giustizia personale di Dio; l’affermazione che la sorte definitiva dell’uomo non viene decisa alla sua morte fisica e la correlativa negazione di un cielo e di un inferno eterni; il rigetto categorico della preghiera, del valore della penitenza, dell’idea d’un’espiazione, d’una redenzione operata dalla morte di Cristo; perfino Gesù abbassato al livello di un uomo molto evoluto, privato della Divinità unica, assoluta, esclusiva che Egli possiede col Padre e con lo Spirito Santo; infine, l’esoterismo che riserva ad un’élite la vera conoscenza religiosa e permette di dare ai dommi un senso completamente diverso da quello definito e che la Chiesa vi annette: osservando con un colpo d’occhio l’insieme di questo ammasso di errori, ci si accorge che, tra gli articoli della nostra fede, ve ne siano ben pochi che la teosofia non scalzi alla base e che essa formi un corpo di dottrine radicalmente incompatibili con la credenza cattolica: in breve, ne è la contraddizione positiva. Non possiamo non stupire altamente che vi siano persone illuse al punto di credere di poter conciliare le due cose. Ed è vero, come fu detto, che il Cristiano, per farsi teosofo, deve apostatare, tanto che la Chiesa la quale, nel corso dei secoli, ha condannato in modo speciale parecchi di questi errori, ha ragione di mettere i suoi fedeli in guardia contro tutta la teosofia, di proibire di entrare nelle sue associazioni e di leggerne le pubblicazioni, che perciò stesso sono tutte all’Indice (Decreto del Sant’Uffizio, 18 luglio 1919).

Origini torbide. – La madre della teosofia moderna è la signora Blavatsky che, col preteso influsso dei misteriosi mahàtma, la concepì e la diede alla luce. Ora è facile ammettere che questa donna russa eccentrica e sfacciata non abbia nessun carattere di un messia, di un messaggero di Dio. Lo stesso si deve pensare dell’inquieta Besant. Abbiamo alluso a certi scandali che macchiarono gl’inizi della Società Teosofica. Ci sono prima di tutto le soperchierie di cui fu convinta la signora Blavatsky, la quale assicurava che i mahàtma avevano inviato lettere e anche doni ai loro discepoli. Ora, con una buona perizia, fu riconosciuto che le lettere furono scritte da lei stessa; venne scoperto che il « santuario » di Adyar era un trucco e che, tra il resto, conteneva un armadio a doppio fondo, dov’erano cautamente nascosti i doni dei mahàtma. L’inchiesta condotta dall’Hodgson sul posto per conto della Società per le ricerche psichiche di Londra giunse a risultati gravi sul conto dei fondatori della teosofia moderna, e conclude: « Da parte nostra, consideriamo la Signora Blavatsky né come lo strumento di veggenti segreti né come una volgare avventuriera; pensiamo che abbia acquistato diritto al titolo di un ricordo permanente come uno degli impostori più consumati, ingegnosi e interessati ricordati dalla storia » (Prcceedings of the Society for Psychical Research, vol. III, 1885, p. 207, G. T., p. 80.). Per apprezzare tutto il valore di questo verdetto, è bene ricordare che la Società per le ricerche psichiche per principio non è ostile ad ammettere fatti anormali e scientificamente inspiegabili, e anzi, ha il compito di ricercarli, e dopo l’inchiesta, ne riconobbe alcuni come veri. I suoi membri sono in uno stato di spirito che risponde in modo molto esatto a quello rappresentato in Francia dal professor Ch. Richet (Olcott, qualificato dalla signora Blavatsky come « sciocco » al dire di Hodgson, non possedeva « una grande capacità per apprezzare una prova di fatto » (Proceedings, tom. cit., p. 311). Quanto alla Besant, certamente meno ingenua e che certamente era a conoscenza dell’affare di Adyar, restò tuttavia per tutta la sua vita discepola fedele della signora Blavatsky.). – Alla morte della signora Blavatsky, seguì uno scandalo d’ordine morale. Uno dei dottori della teosofia, il Leadbeater, venne accusato di aver insegnato il vizio ai suoi giovani allievi col pretesto del progresso delle facoltà occulte. Fu tradotto davanti a una commissione di teosofi, non riuscì a giustificarsi e venne escluso come indegno dalla Società (1906); ma, poco dopo, la Besant, divenuta presidente, lo fece reintegrare e, dopo una qualsiasi sconfessione e la promessa di non ricominciare (!) se lo assunse come collaboratore intimo. Di questa collaborazione apparvero i frutti. Scoppiò un terzo scandalo, che potrebbe venir qualificato come effetto di follia. D’accordo con la Besant, Leadbeater scelse an giovane indù per farne un mahatma; dopo iniziato, venne dichiarato Budda, reincarnazione di Cristo, ecc., e fu fatto adorare da una folla di teosofi (1911). I congiunti del giovane intentarono un processo a Leadbeater e alla Besant per aver sviato un minorenne; molti membri della Società non poterono sopportare più a lungo queste pazzie e diedero le dimissioni. Il che non impedì alla Besant e al suo collaboratore di conservare il loro ufficio e di occupare sempre ano dei posti maggiori tra i dottori della teosofia attuale. – Sarebbe ingiusto attribuire a Steiner qualche responsabilità nel perpetrare questi atti scandalosi, che però non poteva ignorare. E se l’ultimo affare, quello del nuovo Budda, contribuì verosimilmente a distaccarlo dalla Società, i primi due fatti non gl’impedirono di entrarvi o di restarci ed esserne perfino il propagandista fervente. A nostro avviso, questo è un gruppo di fatti che gettano una luce assai torbida sugli ambienti dove nacque e si sviluppò la teosofia moderna.

Affermazioni gratuite. – La teosofia non presenta i titoli che giustificano l’insegnamento che sono l’autorità dell’insegnante o una dimostrazione proposta all’intelligenza dei discepoli. La teosofia si appella all’autorità dei mahàtma, che però esistono solo nelle favole, creati dal bisogno d’ingannare grossolanamente. Le uniche autorità reali in teosofia sono quelle delle signore Blavatsky e Besant e dei loro collaboratori, come Leadbeater e altri, i quali tutti hanno un’autorità molto debole. Anche Steiner si richiama a maestri misteriosi che gli sarebbero apparsi, all’occorrenza anche in forme banali. Possiamo essere scettici sulla realtà della loro esistenza e del loro carattere soprannaturale, e per chiunque gli creda, resta in campo unicamente l’autorità del dottor Steiner, che non s’impone affatto col carattere dell’infallibilità. – La teosofia dimostra quello che afferma? Questa dimostrazione potrebbe poggiare su argomenti accessibili alla ragione naturale e normale dell’uomo, desunti, per esempio, da fatti storici ben accertati, analoghi ai « motivi di credibilità » che precedono l’adesione alla rivelazione cristiana. I teosofi talvolta tentano dimostrazioni di questo genere e i « fenomeni meravigliosi » fatti vedere ad Adyar o altrove decisero numerose conversioni alla teosofia. Ma abbiamo veduto la qualità di queste meraviglie. Si traggono argomenti anche dal valore intrinseco della dottrina, dal « lume che essa proietta su tutti i problemi della vita », da « tutto l’insieme delle sue verità » che racchiude quanto i filosofi e le religioni del mondo intero hanno di buono. Disgraziatamente però, come abbiamo visto, le soluzioni date dai teosofi ai grandi problemi vitali sono tutt’altro che soddisfacenti: il panteismo, la negazione della personalità umana, ecc. gettano ombra anziché far luce, e frutti di grande fantasia sono i loro tentativi di accostare la teosofia alle grandi filosofie o religioni; la loro erudizione vuol essere accolta con cautela; la leggenda rosa-crociana è piena di favole; gli elementi affastellati in questi tentativi di sincretismo sono totalmente eteroclitici. E, come afferma Steiner, la storia in uso nella teosofia non ha nulla in comune con una scienza critica. Che mezzo resta dunque per convincere? La sola esperienza, l’intuizione. La teosofia primitiva e l’antroposofia proclamano di non volersi imporre come un domma, senza l’esperienza personale di ciascuno e ci comandano di non ammettere nulla che non sia a verificato da noi stessi ». Ma allora, è inutile osservare che, in questo caso, gli argomenti addotti sopra sono superflui; e se tutto dipende dall’esperienza personale, non si venga a parlarci d’altro né del carattere « tradizionale » della dottrina, né del suo valore intrinseco, né dell’autorità dei mahàtma o di altri maestri. Si tratta soltanto di vedere ciò che si presenta nel piano astrale, mentale, ecc. Prendendo quindi queste intuizioni in se stesse, la loro natura è molto sospetta, poiché, innanzitutto, sono intuizioni che vengono dirette. Il discepolo sa già in anticipo quello che deve vedere e, prima di cominciare egli stesso l’esperienza, ha già l’itinerario tracciato e descritti i siti e i personaggi che incontrerà. Direi che tutti i discepoli hanno con sé lo stesso Baedecker teosofico, onde non ci stupisce se tutti vedono o credono di vedere le stesse cose. Si aggiunga che le intuizioni vengono acquistate con uno speciale allenamento mediante prolungati esercizi volontari, che equivalgono a un metodo d’autosuggestione. Rimbaud si allenava all’allucinazione e riuscì ad averne (« Mi abituai all’allucinazione semplice: vedevo molto francamente una moschea al posto di un’officina.., un salone al fondo di un lago ». Une saison sa enfer. Alchimie du verbe, p. 70.). Gli studenti teosofi o antroposofi seguono la stessa via, non senza pericolo per la sanità mentale . – Infine, queste intuizioni sono incontrollabili e riguardano oggetti fuori dell’esperienza comune, e quindi, non temono smentite. Puoi dire tutto quello che vuoi dell’Atlantide e della sua civiltà, perché nessuno potrà mai andare a vedere. Questo significa che la certezza delle credenze teosofiche poggia sulle nuvole dell’immaginazione (Anche la mistica cristiana riconosce visioni sensibili o immaginative, che però è ben lungi dal porre al posto supremo: anzi, i dottori, e san Giovanni della Croce per primo, li guardano con occhio estremamente diffidente e mettono in guardia i devoti sulle illusioni che possano causare. Tanto più la Chiesa non fa riposare su di esse la certezza dei suoi dommi.).

CONCLUSIONE

La teosofia ebbe innegabili successi. Ora, ci si può chiedere come mai essa, così com’è, abbia potuto ingannare tante persone. È probabile che una parte del successo si possa attribuire al suo apparato scientifico. La teosofia non promulga dogmi da credere sulla sua parola, ma invita ciascuno a verificare personalmente le sue affermazioni, conforme al gusto di certezza positiva e sperimentale predominante ai nostri giorni (I), lusingando l’autonomia intellettuale di cui l’uomo moderno è così geloso. Eliminata ogni autorità spirituale, ciascuno elabora egli stesso il suo credo. – Tuttavia, crediamo che non sia questa la spiegazione principale. La nostra civiltà è molto sviluppata in senso pratico, utilitario, materiale, senza saziare, anzi irritando i bisogni spirituali dell’uomo e lasciando aperto un vuoto nelle anime. Che cosa potrà colmarlo? la fede cristiana? Ma questa, in molti, è scomparsa  o vacilla e, per un grande numero, se pure è ancora fede cristiana, si riduce ad un vago sentimentalismo diffuso su un fondo di estrema ignoranza religiosa. Perciò, si spiega come i nostri contemporanei accolgano facilmente tutte le dottrine che promettono di aprire una finestra sul mistero delle cose, sul divino, sull’aldilà, sui destini d’oltretomba. Ora, sappiamo quanto la teosofia sia generosa di simili promesse… Cattolici che conoscono solo alla superficie la loro religione nativa ed i tesori spirituali che essa racchiude, urtati dall’aspetto tutto esteriore e giuridico che essa riveste in certuni, desiderosi di trovare qualcosa di più profondo che non sanno definire, si lasciano affascinare dagl’inviti della teosofia senza preoccuparsi di esaminare i titoli, come il naufrago che si aggrappa al primo oggetto che trova, ma in realtà non sanno a che cosa si aggrappano. – Prima di tutto, molti ignorano le torbide origini del movimento teosofico, e per questo, malgrado il carattere ripugnante di certi particolari, noi seguendo il P. de Grandmaison, ci siamo creduti in dovere di far conoscere queste origini. La teosofia distribuisce programmi a prima vista inoffensivi e che inoltre stuzzicano la curiosità promettendo interessanti rivelazioni. Chi assiste alle adunanze o legge le opere teosofiche, ascolta bellissime declamazioni sull’ascensione delle anime, sulla necessità di disciplinare la propria vita, di domare i bassi istinti, ecc. D’altronde, questa propaganda di fronte ai credenti assicura che le loro convinzioni non saranno toccate e che potranno essere conservate immutate, e questo basta a rassicurarli. Ma c’è una questione preliminare che è bene trattare. Chi parla così? L’oratore, il teosofo scrittore, o almeno i primi iniziatori, i fondatori, i dottori, sui quali si basa, meritano fiducia? Un Leadbeater è qualificato per fare l’elogio della purezza? Una Blavatsky, una Besant sono qualificate per predicarci la sincerità e la rettitudine? Possono costoro essere considerati come inviati da Dio, con la missione di trasmettere i suoi messaggi e di guidarci a Lui?… Ma lo spirito critico dei nuovi adepti non arriva fino a questo punto. D’altronde, ai Cattolici vengono celati la qualità o i legami massonici dei dirigenti, né vengono posti in vista l’aperta ostilità delle due fondatrici contro la Chiesa, il disegno superbo di Steiner di fronte all’ortodossia. – Molti di coloro che si accostano alla teosofia o all’antroposofia non sanno proprio con chi trattano. –  Tuttavia, separiamo la dottrina dai suoi rappresentanti. Gli ampi orizzonti teosofici affascinano molti spiriti, che vengono invitati a varcare il cerchio ristretto dei loro abituali orizzonti per gettarsi nell’Infinito. Il panteismo appare grandioso, profondo, perfino poetico, specialmente quando è espresso nella bella lingua dei libri sacri dell’India, i cui estratti, scelti abilmente, costellano le pubblicazioni teosofiche. L’intelligenza, che ama riposare in qualcosa di completo, si trova davanti ad un sistema speculativo e insieme morale, ascetico, che si dice mistico; da parte sua, l’amor proprio è contento di poter superare il livello mentale dell’uomo volgare come pure quello dei semplici Cristiani docilmente sottomessi alla loro Chiesa, i quali, si pensa, non vanno oltre la lettera dei loro dommi; piace far parte di un circolo di « iniziati », depositari di profondi segreti, d’un’élite di « chiaroveggenti »… Né ci si ferma ad esaminare se l’essenza di ciò che si abbraccia non sia viziata da contraddizioni ed incoerenze. Molti spiriti, anche colti e perfino brillanti, non sono capaci di questa riflessione o sono troppo pigri per impegnarvisi. – Soprattutto, s’impongono le pretese « spirituali » della teosofia che non ha abbastanza anatemi per il materialismo contemporaneo, per la nostra civiltà meccanica ed industrializzata, per le basse aspirazioni dell’umanità media; si presenta come una scuola di alta spiritualità e di « mistica », e forse proprio per questo seduce le anime belle. Si, esse vengono realmente sedotte, poiché alla teosofia manca soprattutto il senso dello spirituale autentico. Lo spirito moderno aborrisce dall’astratto, che tuttavia rappresenta una vasta zona dell’immateriale, e si getta perdutamente sull’esperienza concreta, senza distinguere bene l’esperienza sensibile dall’altra. Siffatta confusione appare, per esempio. anche qua e là negli scritti di un Bergson. I teosofi, che sono spiriti molto meno raffinati, ci cascano in pieno e nel modo più grossolano, come abbiamo dimostrato altrove, a proposito di R. Steiner. – La confusione risalta crudamente nella Blavatsky, nella Besant e loro consorti. La teosofia afferma di ridurre tutto allo spirito e si dice « idealista », ma concepisce perfino lo spirito come una materia, e nell’identificazione di questi due principi, la fusione è a vantaggio della materia, poiché lo spirito, secondo la teosofia, in definitiva non è che materia più fine, più delicata e sortile, una specie di materia vaporizzata. Così i vari piani che s’incontrano durante le tappe dell’iniziazione sono tutti costituiti dalla materia la quale, a mano a mano che si sale, diventa soltanto meno pesante e meno « densa » (A. BESANT, La Sagesse Antique, pp. 171, 184, 208 e passim.). Anche i pensieri hanno colori vari e contorni lineari e forma materiale, tendono alla a perfezione geometrica », e sono realmente piccoli corpi proiettati all’esterno dal soggetto pensante, lanciati fuori come pallottole che talvolta rimbalzano e tornano a colpire il loro autore (Rimbalzano lungo la traiettoria già percorsa… per gettarsi sul loro creatore con una forza proporzionale a quella della loro proiezione – ivi, p. 1091). Tutto questo preteso « spirituale » è solo « vibrazione », proprio come la materia di certe teorie fisiche moderne. La vibrazione è il carattere universale della vita, da quella divina fino a quella latente dei minerali. Tutto è vibrazione » (A. Besant); la « ragione pura » è « costituita da vibrazioni » (La Sagesse Antique, p. 208); « l’energia del Logos creatore [è] un moto vorticoso incomparabilmente rapido [e che] buca lo spazio » ((ivi, p. 71. Per far vedere fino a che punto possa giungere la grossolanità della concezione trascriviamo ancora questo testo che tocca il burlesco e dove la metafisica più sublime della teosofia prende la forma di una illustrazione di embriologia: « Quando la Monade umana emerge dal seno del Logos, pare che un sottile filamento di luce, isolato da una guaina di sostanza buddica, si stacchi dal luminoso oceano dell’Atma. A questo filo è sospesa una scintilla circondata da un involucro ovoidale, ecc. » La Sagesse Antique, p. 260.). Pare basti questo per aprire gli occhi di chi pensa di trovare nella teosofia un mezzo per il progresso spirituale. Da questo e dagli altri punti di vista, chiunque cerchi di tirare i veli speciosi che coprono la teosofia troverà in essa soltanto il vuoto.

G. d. T. de Tonquédec.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (10) “da Onorio I a Martino I”

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (10)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

(Da Onorio I a Martino I)

ONORIO I: 27 ottobre 625 – 12 ottobre 638

4° Concilio di Toledo, iniziato il 5 dicembre 633: capitoli.

Professione di fede trinitaria e cristologica.

485 – (Cap. 1) Conformemente alle divine Scritture e alla dottrina che abbiamo ricevuto dai santi Padri, confessiamo che il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo sono di una sola divinità e sostanza; credendo nella Trinità nella diversità delle persone e predicando l’unità nella divinità, non confondiamo le persone, né separiamo la sostanza. Diciamo che il Padre non è stato generato da nessuno, affermiamo che il Figlio non è stato fatto dal Padre, ma generato; dello Spirito Santo confessiamo che non è stato né fatto né generato, ma procede dal Padre e dal Figlio; lo stesso nostro Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio e creatore di tutto, è stato generato prima dei secoli dei secoli dalla sostanza del Padre, negli ultimi tempi, per la redenzione del mondo, è disceso dal Padre, lui che non ha mai cessato di essere con il Padre; perché si è incarnato dallo Spirito Santo e dalla santa e gloriosa Vergine Maria, la Madre di Dio, e da lei soltanto è nato; Lo stesso Signore Gesù Cristo, l’unico della Santa Trinità, assunse l’uomo completo nell’anima e nella carne, senza peccato, rimanendo ciò che era, assumendo ciò che non era, uguale al Padre nella divinità, inferiore al Padre nell’umanità, avendo in una sola persona le proprietà di entrambe le nature; perché in lui c’erano due nature, Dio e uomo: non due figli e due dèi, ma la stessa persona in entrambe le nature; sopportò la Passione e la morte per la nostra salvezza, non nella forza della divinità, ma nella debolezza dell’umanità; discese agli inferi per liberare i santi che vi erano rinchiusi e, vinto il potere della morte, risuscitò; è sceso negli inferi per liberare i santi che vi erano detenuti e, avendo vinto il potere della morte, è risorto; poi, salendo in cielo, verrà in futuro per giudicare i vivi e i morti; purificati dalla sua morte e dal suo sangue, abbiamo ottenuto la remissione dei peccati, per essere da lui risuscitati all’ultimo giorno nella carne in cui viviamo ora e nella forma in cui il Signore è risorto; alcuni riceveranno da lui la vita eterna e altri saranno elevati alla gloria di Dio.

Alcuni riceveranno da lui la vita eterna per i meriti della giustizia, altri la condanna alla pena eterna per i loro peccati. Questa è la fede della Chiesa cattolica, e questa professione di fede noi la manteniamo e la conserviamo, e chi la mantiene più fermamente avrà la salvezza eterna.

L’Apocalisse di Giovanni, Libro delle Sacre Scritture.

486. (Cap. 17) L’autorità di molti Concili e i decreti sinodali dei santi Vescovi romani attribuiscono il libro dell’Apocalisse all’evangelista Giovanni e hanno ordinato che sia accolto tra i libri divini. E poiché sono molti coloro che non ne ricevono l’autorità e trascurano di proclamarlo nella Chiesa di Dio, se qualcuno ora non lo riceve o non lo proclama in Chiesa durante le Messe da Pasqua a Pentecoste, sarà scomunicato.

Lettera “Scripta fraternitatis” al Patriarca Sergio di Costantinopoli – Costantinopoli, 634

Le due volontà e le operazioni in Cristo.

487 – Sotto la guida di Dio giungeremo alla misura della retta fede che gli Apostoli della verità hanno diffuso con la regola delle sante Scritture: confessando che il Signore Gesù Cristo, mediatore di Dio e degli uomini 1Tm II, 5 ha operato ciò che è divino per mezzo dell’umanità unita al Verbo di Dio secondo la natura (in greco: Secondo l’ipostasi) e che lo stesso ha operato ciò che è umano mediante la carne assunta in modo ineffabile ed unico e riempita dalla divinità in modo distinto (in greco: senza distinzione), senza confusione e senza cambiamento. … così che manifestamente, con grande stupore della mente, si riconosce che (la carne capace di soffrire) è unita (alla divinità), mentre le differenze delle due nature rimangono in modo meraviglioso… Perciò confessiamo anche una sola volontà del Signore nostro Gesù Cristo, perché in effetti la nostra natura, non la colpa, è stata assunta dalla Divinità: cioè quella natura che fu creata prima del peccato, e non quella che fu viziata dopo la trasgressione. Cristo infatti… concepito dallo Spirito Santo senza peccato, nacque anch’Esso senza peccato dalla santa e immacolata Vergine, Madre di Dio, senza aver conosciuto alcun contatto con la natura viziata… Non c’era infatti altra legge nelle sue membra, né una volontà diversa e contraria a quella del Salvatore, poiché Egli nacque senza essere soggetto alla legge della condizione umana… Che il Signore Gesù Cristo, Figlio e Verbo di Dio “per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose” (Gv 1,3), sia Egli stesso l’unico operatore della divinità e dell’umanità, è chiaramente dimostrato da tutta la Sacra Scrittura. Quanto al fatto che, a causa delle opere della divinità e dell’umanità, si debbano dire o concepire solo una o due operazioni derivate, non ci interessa; lo lasciamo ai grammatici che hanno l’abitudine di vendere ai bambini termini acquisiti per derivazione. Per quanto ci riguarda, non abbiamo appreso dalle Scritture che il Signore Gesù Cristo e il suo Spirito Santo hanno una o due operazioni, ma abbiamo riconosciuto che ha operato in molti modi.

Lettera “Scripta dilectissimi filii” a Sergio di Costantinopoli.

Le due operazioni di Cristo.

488 – Per quanto riguarda la dottrina della Chiesa e ciò che dobbiamo ritenere e insegnare, per amore della semplicità degli uomini e per porre fine alle inestricabili oscurità delle controversie… non dobbiamo definire una o due operazioni nel mediatore di Dio e degli uomini, ma confessare che le due nature, unite in una sola natura nell’unico Cristo, operano e agiscono ciascuna in connessione con l’altra, cioè la divina opera ciò che è di Dio e l’umana opera ciò che è della carne: insegnando che, senza divisione e senza confusione o cambiamento, la natura di Dio non è stata cambiata in uomo nè la natura umana in Dio, ma confessando che le differenze delle nature rimangono intatte. Desiderando quindi… evitare lo scandalo di una nuova invenzione, non dobbiamo definire e predicare una o due operazioni, ma invece dell’unica operazione che alcuni affermano, dobbiamo confessare in verità l’unico Cristo Signore che opera in entrambe le nature; e invece delle due operazioni, scartando il termine doppia operazione, dobbiamo piuttosto proclamare con noi che le due nature stesse, cioè quella della divinità e quella della carne assunta, operano ciò che è loro proprio nell’unica Persona del Figlio unigenito di Dio Padre, senza confusione o divisione, e senza cambiamento.

6° Concilio di Toledo, iniziato il 9 gennaio 638.

La Trinità e il Figlio di Dio, il Salvatore fatto carne.

490 – Crediamo e confessiamo la santissima e onnipotente Trinità, il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo, un solo Dio, non solitario, di una sola essenza, forza, potenza, maestà e natura, inseparabilmente distinto in Persone, indistinto quanto all’essenza nella sostanza della Divinità, Creatore di tutte le creature; il Padre, increato è la fonte e l’origine di tutta la Divinità; il Figlio è stato generato, increato, dal Padre senza tempo, prima di ogni creatura, senza inizio; perché il Padre non è mai esistito senza il Figlio, né il Figlio senza il Padre, eppure il Figlio è Dio da Dio Padre, e il Padre non è Dio da Dio Figlio, il Padre del Figlio non è Dio dal Figlio; ma è Figlio del Padre e Dio dal Padre, uguale in tutto al Padre, vero Dio da vero Dio; lo Spirito Santo, invece, non è né generato né creato, ma è lo Spirito di entrambi che procede dal Padre e dal Figlio; e quindi sono uno nella sostanza, perché uno procede da entrambi. Ma in questa Trinità c’è una tale unità di sostanza che è priva di pluralità e conserva l’uguaglianza, e non è minore in ciascuna delle Persone che in tutte, né maggiore in tutte che in ciascuna.

491 – Di queste tre Persone della Divinità, confessiamo che solo il Figlio, per la redenzione del genere umano, al fine di rimuovere i debiti del peccato che abbiamo contratto all’inizio con la disobbedienza di Adamo, sia uscito dal segreto e dal mistero del Padre, ed abbia assunto da Maria, la santa e sempre Vergine, l’uomo senza peccato, cosicché lo stesso Figlio di Dio Padre è anche Figlio dell’uomo, perfetto Dio e perfetto uomo, cosicché l’unico Cristo è uomo e Dio in due nature, una nella Persona, cosicché non si aggiungerebbe una quaternità alla Trinità se in Cristo la persona fosse duplicata. Egli è quindi inseparabilmente distinto dal Padre e dallo Spirito Santo nella Persona, ma dall’uomo assunto è distinto nella natura, e il nostro Signore Gesù Cristo è, come abbiamo detto, uno in due nature e in una sola Persona, uguale al Padre nella forma di divinità, inferiore al Padre nella forma di schiavitù; è da questo che dobbiamo comprendere le sue parole nel Salmo XXI:11: “Dal seno di mia madre tu sei il mio Dio”. Egli solo, dunque, è nato da Dio senza madre, è nato dalla Vergine senza padre, e “il Verbo si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14); e sebbene tutta la Trinità abbia cooperato alla formazione dell’uomo assunto, perché le opere della Trinità sono inseparabili, tuttavia Egli solo ha assunto l’uomo nella singolarità della persona, non nell’unità della natura divina, in ciò che è proprio del Figlio, non in ciò che è comune alla Trinità; Infatti, se avesse mescolato la natura dell’uomo e quella di Dio, tutta la Trinità avrebbe assunto il corpo, poiché è stabilito che la natura della Trinità è una, ma non la Persona.

492 – Questo Signore Gesù Cristo è stato dunque mandato dal Padre, prendendo ciò che non era e non perdendo ciò che era, non potendo essere danneggiato a causa di ciò che è suo, mortale a causa di ciò che è nostro, ed è venuto in questo mondo per salvare i peccatori e per giustificare coloro che credono, e Colui che faceva miracoli è stato consegnato a causa delle nostre iniquità, è morto per la nostra espiazione; È stato risuscitato per la nostra giustificazione; per le sue piaghe siamo stati salvati Is 53,5 , riconciliati con Dio Padre per mezzo della sua morte e risuscitati per mezzo della sua risurrezione; attendiamo anche la sua venuta alla fine dei secoli, per dare ai giusti la loro ricompensa e agli empi il loro castigo, secondo il suo giustissimo giudizio.

493 – Crediamo anche che la Chiesa cattolica, senza macchia nelle sue opere né ruga nella sua fede, sia il suo corpo e che otterrà il Regno con il suo Capo, Gesù Cristo l’Onnipotente, dopo che questa realtà corruttibile avrà indossato l’incorruzione e questa realtà mortale l’immortalità, 1 Cor XV, 43 , affinché Dio sia tutto in tutti, 1 Cor XV, 28 . Con questa fede i cuori sono purificati (Act XV, 9), con essa le eresie sono estirpate, in essa tutta la Chiesa abita già nel Regno celeste e si glorifica finché rimane nel mondo presente; e non c’è salvezza in nessun’altra fede: “Non c’è infatti nome sotto il cielo offerto agli uomini nel quale dobbiamo essere salvati” (Act IV, 12).

SEVERINO: 28 maggio – 2 agosto 640

GIOVANNI IV: 24 dicembre 640-12 ottobre 642

Lettera “Dominus qui dixit”, all’imperatore Costantino III (Difesa di Papa Onorio), primavera 641.

Il significato delle parole di Onorio riguardo alle due volontà.

496. – Il Patriarca Sergio di benedetta memoria informò il suddetto Pontefice della città di Roma, di santa memoria (Onorio), che c’erano alcuni che affermavano che c’erano due volontà contrarie nel nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo; avendo appreso ciò, il suddetto Papa rispose che come il nostro Salvatore è un’unica unità, così è stato concepito e nato miracolosamente al di sopra di tutti gli uomini. E in ragione della sua santa economia incarnata insegnò che il nostro Redentore, come è perfetto Dio, è anche perfetto uomo, cosicché, nato senza alcun peccato, ristabilisce la nobiltà dello stato originale che il primo uomo aveva perso con la trasgressione. È nato quindi come secondo Adamo, senza peccato, né nella nascita né nei rapporti con gli uomini; infatti, il Verbo fatto carne a somiglianza di carne peccaminosa ha assunto tutto ciò che è nostro, senza portare alcuna colpa derivante dalla trasmissione della trasgressione…. L’unico e solo mediatore senza peccato di Dio e dell’uomo è dunque l’uomo Cristo Gesù (1Tim II,5), concepito e nato libero tra i morti. Nell’economia della sua carne santa egli non ebbe mai due volontà opposte, e mai la volontà della sua carne contraddisse la volontà del suo spirito… Poiché, dunque, sappiamo che in Lui, quando nacque e fu in relazione con gli uomini, non c’era assolutamente alcun peccato, dichiariamo, come è giusto, e confessiamo in verità una sola volontà nell’umanità della sua santa economia, e non predichiamo due volontà contrarie, dello spirito e della carne, come in un semplice uomo, come alcuni eretici evidentemente sostengono nel loro delirio.

497 – È in questo modo, dunque, che appare… ciò che egli (Papa Onorio) scrisse (a Sergio), cioè che nel nostro Salvatore non ci sono in alcun modo due volontà opposte, cioè nelle sue membra Rm VII, 23 poiché Egli non ha contratto alcun difetto dalla trasgressione del primo uomo. Ma affinché nessuno di minore intelligenza possa rimproverare (Onorio) di parlare solo della natura umana e non anche di quella divina… chi discute deve sapere che si tratta di una risposta data a una domanda del suddetto Patriarca. Anche per il resto, è consuetudine applicare l’aiuto della medicina dove c’è la ferita. E anche il beato Apostolo evidentemente lo faceva spesso quando si adattava all’abitudine degli uditori; a volte, quando parlava della natura più eminente,

tace totalmente sulla natura umana; a volte, trattando dell’economia umana, non tocca il mistero della sua divinità…

498 – Il mio predecessore ha detto, dunque, nel suo insegnamento sul mistero dell’incarnazione di Cristo, che in Lui non c’erano, come in noi peccatori, due volontà contrarie, dello spirito e della carne. Alcuni hanno trasformato questa affermazione in una loro concezione e hanno pensato che egli avrebbe insegnato una sola volontà della sua divinità e della sua umanità, il che è totalmente contrario alla verità.

TEODORO I: 24 novembre 642 –

14 maggio 649

MARTINO I: 5 luglio 649-17 giugno 653 (16 settembre 653)

Concilio Lateranense, 5-31 ottobre 649.

a) Professione di fede.

500 Le due volontà e operazioni in Cristo

(Testo latino) E come confessiamo le sue due nature unite senza confusione, così anche le sue due volontà naturali, la divina e l’umana, per confermare perfettamente e senza diminuire che uno e lo stesso, Gesù Cristo nostro Signore e Dio, è veramente perfetto Dio e perfetto uomo in tutta verità, e che così ha voluto e operato la nostra salvezza divinamente e umanamente.

(Testo greco)

E come confessiamo le sue due nature unite senza confusione o divisione, così in accordo con le nature, due volontà, la divina e l’umana, e due operazioni naturali, la divina e l’umana, affinché confermiamo perfettamente e senza omissioni che l’unico e solo Gesù Cristo, nostro Signore e Dio, è veramente per natura perfetto Dio e perfetto uomo, ad eccezione del peccato, e che così ha voluto ed operato divinamente e umanamente la nostra salvezza.

b) Canoni.

Condanna degli errori riguardanti la Trinità e Cristo

501 – Can. 1. Se qualcuno non confessa, secondo i santi Padri, in senso proprio e vero, il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo, Trinità nell’unità e unità nella T rinità, cioè un solo Dio in tre ipostasi consustanziali della stessa gloria, e per le tre una sola e medesima divinità, natura, sostanza, potenza, signoria, regalità, autorità, volontà, operazione, increata, senza inizio, inconcepibile, immutabile, creatrice di tutti gli esseri e protettrice di essi, sia condannato. (Testo greco). Se qualcuno non confessa, secondo i santi Padri, in senso proprio e vero, il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo, trinità nell’unità e unità nella trinità, cioè un solo Dio in tre ipostasi consustanziali della stessa gloria, e per le tre una sola e medesima Divinità, natura, potenza, signoria, regalità, autorità, volontà, operazione, sovranità, increata, senza inizio, senza limite, immutabile, creatrice degli esseri e che li tiene insieme nella sua provvidenza, sia condannato.

502 – Can. 2. Se qualcuno non confesserà, secondo i santi Padri, in senso proprio e vero, che uno della santa, consustanziale e adorabile Trinità, Dio Verbo stesso, è disceso dal cielo, si sia incarnato dallo Spirito Santo e dalla sempre vergine Maria, si è fatto uomo nella carne, è stato crocifisso per noi, è stato sepolto, è risorto il terzo giorno, è asceso al cielo e siede alla destra del Padre; verrà di nuovo con la gloria del Padre con la carne presa da lui e animata dall’intelletto, per giudicare i vivi e i morti, sia condannato. (Testo greco). Se qualcuno non confessa, secondo i santi Padri, in senso proprio e vero, che uno della santa, consustanziale e adorabile Trinità, Dio Verbo stesso, discese dal cielo, si incarnò dallo Spirito Santo e da Maria, la tutta santa e sempre vergine, e si fece uomo, è stato crocifisso nella carne volontariamente per noi e per la nostra salvezza, ha sofferto, è stato sepolto, è risorto il terzo giorno, è salito al cielo e siede alla destra del Padre, con la carne che ha preso e che è animata dall’intelletto, per giudicare i vivi e i morti, sia condannato.

503 – Can. 3. Se qualcuno non confesserà, secondo i santi Padri, in senso proprio e vero, la santa, sempre vergine e immacolata Maria come Madre di Dio, poiché è in senso proprio e vero, Dio stesso il Verbo, generato da Dio Padre prima di tutti i secoli, che Ella concepì dallo Spirito Santo negli ultimi giorni senza seme, e partorì senza corruzione, rimanendo inalterata la sua verginità anche dopo il parto, sia condannato (testo greco). Se qualcuno non confessa, secondo i santi Padri, in senso proprio e vero, la Madre di Dio la santa, sempre vergine e immacolata Maria, poiché è in senso proprio e vero, Dio stesso il Verbo, generato da Dio Padre prima di tutti i secoli, che negli ultimi secoli concepì dallo Spirito Santo senza seme e partorì senza corruzione, rimanendo inalterata la sua verginità anche dopo il parto, sia condannato.

504 Can. 4. Se qualcuno non confessa, secondo i santi Padri, in senso proprio e vero, due nascite dell’unico e solo Gesù Cristo, nostro Signore e Dio, sia prima dei secoli di Dio Padre, incorporeo ed eterno, sia di Maria, santa e sempre vergine, Madre di Dio, corporea, alla fine dei tempi, e un solo e medesimo Gesù Cristo, nostro Signore e Dio, consustanziale a Dio Padre secondo la divinità, e consustanziale con l’uomo e con la madre secondo l’umanità, e lo stesso capace di soffrire nella carne, incapace di soffrire nella divinità, limitato nel corpo, illimitato nella divinità, lo stesso creato e increato, terrestre e celeste, visibile ed intelligibile, concepibile e inconcepibile, affinché per mezzo dello stesso sia ristabilito l’uomo completo e Dio, l’uomo completo che era caduto in potere del peccato, sia condannato. (Testo greco). Se qualcuno non confessa, secondo i santi Padri, in senso proprio e vero, che ci sono due nascite dell’unico e solo Gesù Cristo nostro Signore, una prima dei secoli, da Dio Padre, incorporea ed eterna, e l’altra da Maria, santa, sempre vergine, nella carne, in questi ultimi giorni, e un solo e medesimo Gesù Cristo nostro Signore e Dio, consustanziale con Dio Padre secondo la divinità, consustanziale con la Vergine e Madre in umanità, e lo stesso capace di soffrire nella carne, incapace di soffrire nella divinità, limitato nel corpo, illimitato nello spirito, lo stesso increato e creato, terrestre e celeste, visibile e intelligibile, concepibile e inconcepibile, affinché per mezzo dello stesso, sia uomo completo che Dio, l’uomo completo che era caduto in potere del peccato fosse ristabilito, sia condannato.

505 – Can. 5. Se qualcuno non confesserà, secondo i santi Padri, in senso proprio e vero, un’unica natura incarnata di Dio Verbo, nel senso che si dice che la nostra sostanza si sia fatta carne completamente e senza restrizioni in Cristo Dio, con la sola eccezione del peccato, sia condannato (testo greco). Se qualcuno non confessa, secondo i santi Padri, in senso proprio e vero, che “l’unica natura di Dio Verbo si è fatta carne” significhi, con l’espressione “si è fatta carne”, la sostanza conformata a noi completamente e senza restrizioni in Cristo Dio stesso, con la sola eccezione del peccato, sia condannato.

506 – Can. 6. Se qualcuno non confesserà, secondo i santi Padri, in senso proprio e vero, che di due e in due nature, sostanzialmente unite, senza confusione e senza divisione, è uno stesso Signore e Dio Gesù Cristo, sia condannato (testo greco). Se qualcuno non confessa, secondo i santi Padri, in senso proprio e vero, che di due nature, la divinità e l’umanità, e in due nature, la divinità e l’umanità, unite secondo l’ipostasi senza confusione e senza divisione, è un solo e medesimo Signore e Dio Gesù Cristo, sia condannato.

507 Can. 7. Se qualcuno non confessa, secondo i santi Padri, in senso proprio e vero, che la differenza sostanziale delle nature sia custodita in Lui senza confusione e senza divisione, sia condannato (testo greco). Se qualcuno non confessa, secondo i santi Padri, in senso proprio e vero, che la differenza sostanziale delle nature, dopo la loro ineffabile unione per cui esiste l’unico e solo Gesù Cristo, sia custodita in Lui senza confusione e senza divisione, sia condannato.

508 Can. 8. Se qualcuno non confessa, secondo i santi Padri, in senso proprio e vero, che l’unione sostanziale delle nature sia riconosciuta in Lui senza divisione e senza confusione, sia condannato (testo greco). Se qualcuno non confessa, secondo i santi Padri, in senso proprio e vero, che l’unione delle nature secondo la congiunzione, o, per dire veramente, secondo l’ipostasi, da cui esiste l’unico e solo Cristo, sia riconosciuta in Lui senza divisione e senza confusione, sia condannato.

509. Se qualcuno non confessa, secondo i santi Padri, in senso proprio e vero, che le proprietà naturali della sua divinità e della sua umanità siano conservate in Lui costantemente e senza diminuzione, sia condannato (testo greco). Se qualcuno non confessa, secondo i santi Padri, in senso proprio e vero, che le proprietà naturali della divinità di Cristo siano conservate in Lui costantemente e senza diminuzione, in modo da confermare veramente che Egli sia lo stesso, secondo natura, perfetto Dio e perfetto uomo, sia condannato.

510 Can. 10. Se qualcuno non confessa, secondo i santi Padri, in senso proprio e vero, due volontà dello stesso e unico Cristo nostro Dio unite in un unico accordo, la divina e l’umana, in quanto con ciascuna delle sue due nature lo stesso ha voluto, per natura, la nostra salvezza, sia condannato (testo greco). Se qualcuno non confessa, secondo i santi Padri, in senso proprio e vero, due volontà dell’unico Cristo Dio, unite in pieno accordo, la divina e l’umana, poiché secondo ciascuna delle sue due nature Egli era per natura capace di volere la nostra salvezza, sia condannato.

511. Se qualcuno non confessa, secondo i santi Padri, in senso proprio e vero, due operazioni, unite in pieno accordo, del medesimo e unico Cristo nostro Dio, la divina e l’umana, poiché secondo ciascuna delle due nature Egli è, per natura, l’operatore della nostra salvezza, sia condannato (testo greco). Se qualcuno non confessa, secondo i santi Padri, in senso proprio e vero, due operazioni dello stesso e unico Cristo Dio, unite in pieno accordo, la divina e l’umana, poiché secondo ciascuna delle sue due nature Egli opera la nostra salvezza, sia condannato.

512 Can. 12. Se qualcuno confessa, secondo gli empi eretici, una sola volontà e una sola operazione di Cristo nostro Dio, e con ciò sopprime ciò che i santi Padri confessano, e nega l’economia di Colui che è il nostro Salvatore, sia condannato (testo greco). Se qualcuno confessa, secondo gli empi eretici, una sola natura, una sola volontà, una sola operazione della divinità e dell’umanità di Cristo, rovesciando così ciò che confessano i santi Padri e negando l’economia di Colui che è il nostro Salvatore, sia condannato.

513. Se qualcuno, secondo gli empi eretici, mentre in Cristo Dio due volontà e due operazioni, la divina e l’umana, sono sostanzialmente custodite in unità e devotamente insegnate dai nostri santi Padri, professa, contro la dottrina dei santi Padri, una sola volontà ed una sola operazione, sia condannato (testo greco). Se qualcuno, secondo gli empi eretici, contemporaneamente alle due volontà e operazioni, la divina e l’umana, che in Cristo Dio sono sostanzialmente custodite in unità e devotamente confessate dai nostri santi Padri, comanda di professare anche, contro la loro dottrina, una sola operazione, sia condannato.

514 Can. 14. Se qualcuno, secondo gli empi eretici, contemporaneamente all’unica volontà e all’unica operazione professata dagli eretici nella loro empietà, nega e ripudia anche le due volontà e le due operazioni, cioè la divina e l’umana, che nello stesso Cristo Dio sono salvaguardate in unità e insegnate dai santi Padri, sia condannato (testo greco). Se qualcuno, secondo gli empi eretici, oltre all’unica volontà e all’unica operazione professata dagli eretici nella loro empietà in Cristo Dio, nega e ripudia anche le due volontà e le due operazioni, cioè la divina e l’umana, che nello stesso Cristo sono custodite fisicamente in unità ed insegnate in Lui in modo ortodosso dai santi Padri, sia condannato.

515. Can. 15. Se qualcuno, secondo gli empi eretici, nella sua stoltezza considera l’operazione divino-umana, che i greci chiamano “teandrica“, come una sola e medesima, ma non la confessa, secondo i santi Padri, come duplice, cioè divina ed umana, o considera questo nuovo appellativo “divino-umano” come se designasse una sola operazione, ma non significasse la meravigliosa e gloriosa unione delle due, sia condannato (testo greco).

516 Can. 16. Se qualcuno, secondo gli empi eretici, per abolire le due volontà e operazioni, cioè la divina e l’umana, che in Cristo sono sostanzialmente salvate in unione e sono state piamente insegnate dai santi Padri, nella sua follia lega opposizioni e divisioni al mistero della sua economia, e per questo non riferisce le parole evangeliche ed apostoliche su questo stesso Salvatore all’unica e medesima Persona, e sostanzialmente allo stesso Signore Gesù Cristo nostro Dio, secondo il beato Cirillo, affinché si veda che Egli sia lo stesso, per natura, Dio e uomo, sia condannato. (Testo greco). Se qualcuno, secondo gli empi eretici, volesse abolire le due volontà e le due operazioni, la divina e l’umana, che in Cristo Dio sono sostanzialmente salvate in unione e sono devotamente insegnate dai santi Padri, introduce nella sua follia opposizioni e divisioni nel mistero, e per questo non attribuisce le parole dei Vangeli e degli Apostoli su questo Salvatore all’unico e medesimo nostro Signore Gesù Cristo, secondo il beato Cirillo, per certificare che lo stesso sia per natura Dio e veramente uomo, sia condannato.

517. Can. 17. Se qualcuno non confesserà, secondo i santi Padri, in senso proprio e vero, tutto ciò che è stato tramandato e predicato alla santa, cattolica e apostolica Chiesa di Dio, sia dagli stessi santi Padri che dai cinque venerabili Concili universali, fino all’ultimo dettaglio, in parola e in spirito, sia condannato (testo greco). Se qualcuno non confesserà, secondo i santi Padri, in senso proprio e vero, tutto ciò che sia stato tramandato e predicato alla Chiesa di Dio santa, cattolica ed apostolica, sia dagli stessi santi Padri che dai cinque Concili ecumenici riconosciuti, fino all’ultimo dettaglio, nella parola e nello spirito, sia condannato.

518. Can. 18. Se qualcuno non respinge e anatematizza secondo i santi Padri, d’accordo con noi e nella stessa fede, con la propria anima e la propria bocca, tutti coloro che la Chiesa santa, cattolica e apostolica di Dio – cioè i cinque santi Concili universali e d’accordo con tutti i provati Padri della Chiesa – respinge e anatematizza come i più abominevoli eretici, insieme a tutti i loro empi scritti, fino all’ultimo dettaglio, (testo greco). Se qualcuno non respinge e anatematizza secondo i santi Padri, d’accordo con noi e della stessa fede, con la propria anima e la propria bocca, tutti coloro che la Chiesa santa, cattolica ed apostolica di Dio – cioè i cinque santi Concili ecumenici e tutti i Padri riconosciuti della Chiesa che la pensano allo stesso modo – respinge e anatematizza come empi eretici, con tutti i loro empi scritti, fino all’ultimo dettaglio, …

519. cioè Sabellio, Ario, Eunomio, Macedonio, Apollinare, Polemone, Eutiche, Dioscoro, Timoteo Aelureo, Severo, Teodosio, Colluto, Temistio, Paolo di Samosata, Diodoro, Teodoro, Nestorio, il persiano Teodoro, Origene, Didimo, Evagrio e tutti gli altri eretici presi insieme… (testo greco) – cioè Sabellio, Ario, Eunomio, Macedonio, Apollinare, Polemone, Eutyches, Dioscoro, Timoteo Aelureo, Severo, Teodosio, Colluto, Temistio, Paolo di Samosata, Diodoro, Teodoro, Nestorio, Teodoro persiano, Origene, Didimo, Evagrio e tutti gli altri eretici insieme…

520. … se dunque qualcuno… non respinge e non anatematizza le empie dottrine della loro eresia e ciò che è stato empiamente scritto da chiunque a loro favore o per spiegarle, nonché i suddetti eretici, cioè Teodoro, Ciro, Sergio, Pirro e Paolo… o se qualcuno considera come condannato o addirittura deposto uno di coloro che sono stati deposti e condannati da questi o da altri come loro perché non pensa la stessa cosa di questi, ma confessa con noi la dottrina dei santi Padri, e se non lo considera, al contrario… come un combattente pio e ortodosso della Chiesa cattolica e considera come tale piuttosto questi empi e le loro decisioni detestabili in questa materia e le loro sentenze nulle, inefficaci e invalide, e per di più empie, esecrabili e reprobe, costui sia condannato. (Testo greco) Se dunque qualcuno… non respinga e non anatemizzi le dottrine più empie della loro eresia e ciò che è stato empiamente scritto da chiunque in loro favore o in loro difesa, nonché i suddetti eretici, cioè Teodoro, Ciro, Sergio, Pirro e Paolo… o se qualcuno considera deposto o addirittura condannato uno di quelli che sono stati deposti o condannati da questi o da altri che la pensano come questi, perché non pensa quello che pensano loro, ma confessa con noi la dottrina dei santi Padri, e se non lo considera, al contrario. … come un combattente pio e ortodosso per la Chiesa cattolica, e considera invece come tali quegli empi e le loro ingiuste decisioni in questa materia e le loro vane, inefficaci e invalide sentenze, e ancora più empi, esecrabili e reprobi, sia condannato un tale uomo.

521 Can. 19. Se qualcuno professa e pensa palesemente ciò che sostengono gli empi eretici, e nella sua vana impudenza dice che questi sono gli insegnamenti di pietà che coloro che osservano e servono la Parola – cioè i cinque santi Concili universali – hanno tramandato fin dall’inizio, e calunnia così gli stessi santi Padri e i cinque santi Concili summenzionati per ingannare i semplici o per difendere la propria empia perfidia, sia condannato. (Testo greco). Se qualcuno pensa e insegna palesemente ciò che gli empi eretici sostengono, e nella sua stolta fretta dice che questi siano gli insegnamenti di pietà che coloro che osservano e servono la Parola – cioè i cinque santi Concili ecumenici – hanno tramandato fin dall’inizio, e così calunnia gli stessi santi Padri ed i cinque suddetti santi Concili ecumenici per ingannare i semplici e difendere la propria fede erronea ed empia, sia condannato.

522 – Can. 20. Se qualcuno, secondo gli empi eretici, in qualsiasi modo… rimuova illegalmente i limiti che i santi Padri della Chiesa cattolica – cioè i cinque Concili universali – hanno irrevocabilmente stabilito, e cerchi incautamente novità e presentazioni di un’altra fede, o libri, o lettere, o scritti, o firme, o false testimonianze, o sinodi, o atti di dibattito, o vane ordinazioni non riconosciute dai canoni ecclesiastici, o delegazioni improprie e senza fondamento, e se in generale, come sono soliti fare gli eretici, qualcuno fa qualsiasi altra cosa con la sua attività diabolica e con modi subdoli e astuti contro la pia predicazione degli ortodossi della Chiesa cattolica – cioè dei suoi santi Padri e sinodi – al fine di distruggere la sincera confessione del nostro Signore e Dio Gesù Cristo, e se persisterà in queste azioni empie fino alla fine senza pentirsi, tale uomo sia condannato in eterno, “e che tutto il popolo dica: così sia”. Sal CVI, 48 (testo greco).

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (11) “da EUGENIO I ad AGATONE”

GNOSI, TEOLOGIA DI sATANA (65): LA TEOSOFIA (1)

LA  TEOSOFIA (1)

(Enciclopedia APOLOGETICA della RELIGIONE CATTOLICA – QUARTA ED. – Trad. T. Dragone, Ed. PAOLINE, ALBA 1953. Impr. Parigi 1948, ed. it. Impr. 1953, P. Gianolio)

Fin verso il termine del secolo xrx, l’uso corrente e le storie della filosofia, per teosofia intendevano una tradizione esoterica, che si vantava di possedere il segreto di un modo di conoscere superiore all’esercizio normale e ordinario delle facoltà umane mediante estasi, intuizioni, illuminazioni sovrarazionali, per cui gli iniziati godevano di corrispondenti poteri d’azione, magici e teurgici. I Neoplatonici alessandrini, gl’Illuminati dei secoli XVII e XVIII, come Giacomo Boehme, Swedenborg, Saint-Martin e molti altri rappresentavano questa tradizione. Ma dopo che, nel 1875, venne fondata a New York la Società Teosofica, per teosofia s’intende, se non esclusivamente, almeno principalmente, il movimento inaugurato da questa società e seguito dai raggruppamenti che ne sorsero per dissidio o in altro modo. Nel presente articolo, prendiamo il termine in quest’ultimo senso.

 CAPITOLO I. – ORIGINE E FONDATORI DELLA TEOSOFIA.

Il primo slancio: le signore Blavatsky e Annie Besant. In primo piano, appaiono due  donne: la prima è una grande dama russa, discendente da una nobile famigli del Mecklenburg, stabilitasi nella Russia meridionale e alleata con la grande aristocrazia dell’impero zarista. Giovane visionaria e indomabile, Elena Petrowna di Hahn, per rispondere a una sfida (La governante le aveva detto: « Nessuno ti sposerebbe, nemmeno il generale Blavatsky » – MARTINDALE, Theosophy, p. 15), a diciassette anni sposò l’ultrasettantenne generale Blavatsky per abbandonarlo subito e correre il vasto mondo con un destino procelloso. Senza seguirla in tutti i suoi vagabondaggi, la troviamo in Egitto, nell’Asia Minore, nelle Indie, negli Stati Uniti, in Italia, a Londra, Parigi, Odessa. Nell’Asia Minore, fa conoscenza col « mago » copto Paulos Metamon che l’affascina con i suoi prodigi; pratica lo spiritismo con ardore, apre « circoli di miracoli », non è insensibile alla politica, frequenta gli ambienti rivoluzionari ed anarchici, senza dimenticare le logge massoniche; si mette in relazione con Mazzini, si affilia alla società carbonara della Giovane Europa, entra fra le truppe di Garibaldi che accompagna nelle sue spedizioni, e quando il generale, il 25 ottobre 1867, penetra nel territorio pontificio, la signora Blavatsky. vestita da uomo, con i capelli tagliati, indossando la camicia rossa ed impugnando il fucile, è nelle prime file dei garibaldini. A Viterbo, combatte contro gli zuavi del generai Kanzler e a Mentana la volontaria Blavatsky viene colpita da due pallottole… è creduta morta e abbandonata in un fosso. Si rimette per riprendere il vagabondaggio e le esperienze spiritiche e occultistiche. Come ci dice lei stessa con un racconto infinitamente sospetto, un viaggio al Tibet (1852) fu il fatto più saliente, che orientò la sua vita; colà avrebbe incontrato un Mahàtma e sarebbe rimasta sotto la sua direzione. Finito il lungo ritiro, ormai « iniziata » e in possesso della Dottrina occulta, sarebbe rientrata nel mondo per propagarvi la buona novella. Vero o no tutto questo, durante i viaggi negli Stati Uniti, incontrò il colonnello Olcott dalle aspirazioni concordanti con le sue e con lui aperse un salotto dove si vedevano tutte le specie di « fenomeni », come tavoli giranti, materializzazioni di spiriti, etc.. Tra i frequentatori del salotto, erano Alberto Pike e il generale Sothern, gran maestro aggiunto della massoneria americana. Finalmente, insieme con Olcott, il 17 novembre 1875, fonda a New York la Società Teosofica (il cui centro venne poi trasferito ad Adyar, sobborgo di Madras). Olcottne era il presidente e la Blavatsky, segretaria con compito, se così possiamo dire, dottrinale. In molte opere e articoli, la signora Blavatsky diventa l’apostola infaticabile della Teosofia. – Stando al giudizio non malevolo del colonnello Olcott, la signora Blavatsky aveva una « duplice personalità » e appariva ora come una « russa menzognera » e ora come un’« ispirata ». Ad ogni modo, questo è certo, che la sua potenza suggestiva, fascinatrice, dominatrice era senz’eguali, e che non minori erano le sue capacità d’inventiva e l’immaginazione creatrice. La faccenda del Tibet fu decisamente smentita, e i fenomeni che essa produceva o allegava lasciarono scoprire frodi grossolane. Il suo carattere e comportamento rispecchiavano il tipo di santità cristiana non più che quello dell’ascetismo indù. Una persona che le fu molto vicina e per molto tempo associata ne traccia questo profilo fisico e morale: « Aveva corporatura gigantesca, appetito vorace; inveteratamente appassionata per il tabacco, ma con un linguaggio facilmente grossolano », calpestava tutte le convenienze e perfino  le regole comuni del bene e del male. Era d’umore terribile, con odii implacabili. Con la sua esperienza personale dell’infinita credulità del genere umano, lo copriva copriva con un disprezzo trascendente senza risparmiare neppure i suoi familiari, compreso il bravo Olcott che trattava da imbecille, da babbeo, (muff), da «bambolone spalmato di psicologia » (psychologized baby). –  La Blavatsky morì nel 1891, e il posto di segretaria venne occupato da un’inglese con tre quarti di sangue irlandese, la signora Besant, nata Annie Wood, separata dal marito, un ministro del culto anglicano, madre di due figli, che furono sottratti alle sue cure per le sue ardenti campagne maltusiane. Di temperamento instabile e focoso, umore « bohème » come quello della signora Blavatsky, Annie Besant, dopo molte trasformazioni e voltafaccia spirituali, da un cristianesimo mistico passò all’ateismo militante, e alla fine, venne affascinata dalla fondatrice della società teosofica, di cui si fece discepola entusiasta e, alla morte di Olcott (1907), da segretaria diventò presidente della Società. In molti scritti e innumerevoli conferenze, predicò la dottrina con una convinzione contagiosa e con grande successo, incarnando, per così dire, la teosofia in se stessa. Nel 1911, nel grande anfiteatro della Sorbona, sotto la presidenza di Liard, vicerettore dell’Accademia di Parigi, davanti al nuovo budda reincarnato, Alcyone o Krishnamourti, la Besant espose le sue idee in una conferenza di cui si occupò tutta la stampa francese. La sua ardente parola trovò eco perfino nelle Indie. Stabilitasi a Benares e vivendo come i bramini, raccomanda agli indù di rimanere se stessi e non aggregarsi alle religioni dell’occidente, presentando specialmente il Cattolicesimo come il grande nemico (Martindale).

I dissidenti: l’Antroposofia di R. Steiner. – Nella Società Teosofica, sotto l’influsso dell’americano W. Quan Judge, accusato dalla signora Besant di aver inventato di sana pianta messaggi attribuiti ai Mahatma, si produsse uno scisma (1898), avendo W. Quan Judge accusato a sua volta la Besant della stessa sopercheria. Vi fu un processo, e Quan Judge si staccò e presiedette un gruppo di teosofi dissidenti facenti capo a Point Loma (California), che ignorano naturalmente la Besant e Olcott e riconoscono solo la defunta Blavatsky, formando l’United Brotherhood and Theosofical Society (Fraternità unita e società teosofica). Anche in Italia, il più cospicuo gruppo di teosofi, quello di Roma, guidato da Decio e Olga Calvari e da A. Agabiti, si distaccò dalla Società Teosofica aderendo dapprima alla Lega teosofica indipendente fondata a Benares nel 1909 e vivendo poi di vita propria intesa segnatamente alla ricerca mistica. – Più tardi, scoppiò un altro scisma molto più importante. Questa volta, il capo che presentiamo è  un uomo, Rudolf Steiner, nato nel 1861 a Kraljevic da una famiglia ebrea e morto nel 1925 a Dornach presso Basilea. Fu educato nel Cattolicesimo, fece parte del coro dei fanciulli della sua parrocchia, e ben presto, ebbe « intuizioni » sulla realtà opposta a «la sensazione irrefragabile di potenze occulte che agivano dietro e attraverso di lui per dirigerlo » (E. Schouré) e che finirono coll’apparirgli in forma umana prima nella persona di un « botanico bizzarro », riconosciuto poi come inviato da un Maestro lontano e invisibile che però sorvegliava il giovane, poi nella persona di stesso Maestro, una specie di Mahatma occidentale di nome sconosciuto. Nello stesso tempo, Steiner studia i grandi filosofi tedeschi Kant, Fichte, Schelling e soprattutto Hegel, che, da un punto di vista ancora esoterico, gl’insegna come l’essere si sviluppa e si evolve. Le scienze naturali, che studia con passione, gli danno la stessa lezione e subisce un forte influsso di Haeckel, del quale però rifiuta il grossolano materialismo. Dopo aver conseguito il dottorato in filosofia a Vienna, collabora alla riedizione delle opere scientifiche di Goethe, al quale più tardi dedicherà il suo Istituto, il « Goetheanum ». Infatti, Goethe, con le sue idee divinatrici sulla evoluzione degli esseri naturali, col suo gusto per l’occultismo, ben visibile in Faust, e con la iniziazione giovanile alla Rosa-Croce, rappresenta molto bene le due tendenze di Steiner e meritava il suo patronato. Steiner in  politica fu « socialdemocratico », e per qualche tempo, militò in una scuola di questo partito. – Presentando Stainer al pubblico francese, E. Schuré insiste assai sulla differenza dell’occultismo del dottore austriaco e quello della Blavatsky e della Besant, la quale ultima si ricollega specialmente alle dottrine indiane, mentre Steiner pretende di ricollegarsi con la tradizione occidentale degli antichi misteri della Grecia, della Siria, dell’Egitto, riflessa, a quanto egli crede, nel quarto Vangelo, nell’Apocalisse e, attraverso lo gnosticismo, nella Kabala, ecc. e culminante nella favolosa personalità di Cristiano Rosenkreuz, il sedicente fondatore della società segreta dei Rosa+Croce. In questa tradizione, come la pensa e descrive Steiner, Cristo occupa un posto centrale, non però come Dio incarnato, ma come supremo Iniziato. Però, non dimentica l’India e le riserva anzi il posto d’onore, conservando tutte le dottrine fondamentali della teosofia induista. Quindi, non ci stupisce che Steiner, nel 1902, diventi membro della Società Teosofica ed in breve occupi un posto di primo piano, facendosene l’ardente propagandista, diffondendola largamente in Germania e nella Svizzera, dove prosperò, poi\in Francia, dove E. Schuré la volgarizza presentandola al grande pubblico. A poco a poco, sorgono divergenze tra il nuovo venuto e i direttori della teosofia primitiva; la personalità e l’influsso invadente di Steiner adombrano Annie Besant, mentre nella Società Teosofica avvengono scandali di cui parleremo in seguito. Basti dire che, per incidenti i cui particolari qui non interessano, Steiner venne escluso dalla Società (1913) e trasse maggior parte dei membri tedeschi e svizzeri. Sorse così una nuova teosofia che s’intitola: Società Antroposofica e che ebbe il suo centro nella Freie Hochschule fiir Geisteswissenschaften (Libera Scuola Superiore per lo studio delle scienze dello spirito) con sede nell’edificio del « Goetheanum » fondato a Dornach (Svizzera), secondo le regole d’« un’architettura antroposofica ». Steiner svolse un’intensa attività di conferenziere e scrittore, con parola eloquente, talvolta poetica, che, col magnetismo personale (33) e la cultura innegabilmente superiore a quella delle signore Blavatsky e Besant, gli guadagnò numerosi partigiani, senza lasciarsi affatto piegare dai loschi fatti che avevano screditato l’antica teosofia. Per questo, l’Antroposofia prosperò specialmente nei paesi germanici. Tuttavia, le opere di Steiner, tradotte da uomini come E. Schuré e Giulio Sauerwein ebbero la stessa accoglienza in Francia e fecero delle « conversioni ». Steiner si spaccia come gran Maestro dell’Ordine dei « Rosa+Croce » in cui si entra con un’iniziazione della quale scrive il P. de Granmaison: « Senza pretendere di decidere se e in qual misura il dottor Steiner appartenga alla massoneria rosacrociana, bisogna constatare che l’iniziazione da lui conferita assomiglia come una sorella a quella delle logge massoniche… » (Grandmaison p. 150: Non si può dubitare sull’appartenenza della Besant alla massoneria, poiché compare nelle pubblicazioni massoniche come una sorella… del grado più alto, il trentatreesimo – G.T., p. 103, nota 2. Il rabbino Elia Benamozegh di Livorno, nel suo libro Israel et l’Umanaé, dovendo parlare delle relazioni del giudaismo con la massoneria scrive: « Se c’è una cosa certa è che la teologia della Massoneria, non è che teosofia e corrisponde a quella della Cabbala). C’è però un decoro più brillante, e nella cerimonia, il gran Maestro pontifica in camice e mantello scarlatto. Però conosciamo solo l’iniziazione dell’ apprendista » Rosa+Croce; invece, quella al grado di maestro e gli altri gradi superiore è rigorosamente proibita dalla disciplina del segreto alla curiosità dei profani.

CAPITOLO II. – DOTTRINE DELLA TEOSOFIA

Fonti. – La teosofia si vanta di derivare dalla sapienza dell’India e da questa sorgente antica attinge i suoi insegnamenti. E colore di orientalismo autentico hanno indubbiamente e grosso modo il panteismo, il carattere illusorio del mondo sensibile, l’evoluzione progressiva e la reincarnazione delle anime, la legge del Karma, la conoscenza dell’essere vero raggiunta non con processi volgari o scientifici, ma con intuizioni cui si arriva con un allenamento metodico, compito proprio dei maestri nell’iniziazione le opere della alle Blavatsky, della Besant e consorti sono costellate di  di termini sancriti e continui rimandi alle opere braminiche; ma disgraziatamente quest’erudizione indù, non fu giudicata di buona lega dagli specialisti del pensiero indù, che non hanno abbastanza disprezzo per essa. René Guenon, pur sdegnando il letteralismo di questi specialisti ed illudendosi di trarre alla luce la verità chiusa nei Vedanta. È tuttavia concorde con essi nel trattare le interpretazioni teosofiche come caricature. – La questione delle fonti indù è connessa con quella dell’esistenza dei Mahàtma, dai quali la teosofia pretende ricevere i messaggi; ma bisogna dire che si tratta soltanto d’un’enorme mistificazione, e al riguardo, nel The Key to Theosophy (La chiave della teosofia) della Blavatsky, c’è un passo molto curioso. A chi le domanda con insistenza se esistano realmente tali maestri, ella finisce col dire che ciò importa poco; ma se essa inventò i maestri, deve anche averne inventato l’insegnamento, la loro sublime e benefica dottrina, ammessa da tanti spiriti superiori, destinata a colmare le lacune della scienza attuale, come si scoprirà in cent’anni », ecc. E allora, « che imporla che esistano o no, dal momento che esiste la signora Blavatsky di cui difficilmente si può contestare l’esistenza? ». Non è possibile burlarsi più spassosamente del mondo. – Anche i lama del Tibet, tra i quali si crede siano esistiti alcuni Mahàtma, ne ignorano l’esistenza, e una severa inchiesta di Hodgson, condotta nelle Indie per conto della Società di ricerche psichiche di Londra, arrivò alla stessa conclusione negativa. La causa è spacciata.

I principali punti dottrinali. – Compendiamo le dottrine fondamentali della teosofia e dell’antroposofia notando che non interessano la presente opera le differenze che dividono le due dottrine, essendo in gran parte secondarie, poiché ambedue le dottrine sfruttano un fondo comune. Steiner, anziché rinnegare le dottrine generali della Società Teosofica, le espone anche lui, sebbene a modo suo (7). Non dimentichiamo che Steiner, per vari anni, fu uno dei membri più in vista della Società. Noi, quindi, attingeremo la maggior parte delle nostre citazioni dalle pubblicazioni della teosofia primitiva. contentandoci di ricordare di sfuggita alcune concordanze e divergenze di Steiner.

a) Dio. – « Ogni grande religione, dice A. Besant, ha una parte interiore e una parte esteriore, uno spirito e un corpo; da una parte, la conoscenza di Dio che è la vita eterna; dall’altra, i dommi, i riti, le cerimonie… La teosofia o misticismo è la conoscenza diretta che l’uomo ha di Dio, e appartiene egualmente a tutte le grandi religioni, come la vita che le sostiene, e ogni individuo, anche fuori di qualsiasi organizzazione religiosa, la può acquistare… », ed è « un vero teosofo » chiunque la possiede. Perciò, i dommi, i riti, sacramentali o puramente cerimoniali, non hanno importanza, e Dio si può trovare in essi tutti; basta interpretarli « esotericamente » o teosoficamente. In che cosa consiste la « conoscenza diretta » di Dio? « L’uomo — risponde la Besant — è essenzialmente un essere spirituale, perché il suo io o spirito è un’emanazione dell’Io o Spirito universale, cioè di Dio. Quindi, se l’uomo conosce se stesso e il suo io più profondo, conosce Dio… ». In quest’esperienza, in cui l’uomo sprofonda se stesso coscientemente fin nelle profondità del proprio essere, oltre il corpo, le passioni, le emozioni, l’intelligenza e la ragione, egli « realizza (cioè percepisce) se stesso come separato da tutto questo, come « Io » puro, essere puro… L’Essere universale, in cui così l’io sfocia, trascende tutti gli esseri ed è eguale in tutti… Sopra quest’esperienza riposano le due verità fondamentali della teosofia, cioè l’immanenza e la trascendenza di Dio, la solidarietà o fraternità di tutti gli esseri viventi ». Il teosofo si sente identico nella natura a Dio e a tutti gli esseri, potendo così « mescolare il suo io con quello di tutti gli esseri che sono attorno a lui e abitare coscientemente nelle loro forme come nella propria » (Il). La dottrina è evidentemente panteista, come ammette chiaramente la Besant: « La teosofia… è panteista: Dio è tutto e tutto è Dio ». Le stesse idee si trovano sostanzialmente nell’antroposofia. È vero che Steiner parla molto meno di Dio, e al posto di Dio, mette l’uomo al centro della prospettiva, donde il nome di antroposofia invece di teosofia. Ma si chiami o no « divina », la realtà prima e fondamentale resta sostanzialmente unica e non si esce dal monismo. La pratica di una qualsiasi religione non è proibita né dall’antroposofia né dalla teosofia: si tratta solo di comprendere e interpretare secondo lo spirito ciò che l’uomo volgare intende alla lettera. Quest’atteggiamento finisce col coincidere con quello raccomandato dal modernismo .

b) L’evoluzione. – Dio, la Sostanza unica o Principio primo, l’Assoluto, come può prendere forma nel Cosmo e in particolare nell’uomo? Risposta: con un’evoluzione necessaria. E a che cosa tende quest’evoluzione? Al riassorbimento degli esseri nella Sorgente infinita da cui sono usciti. – Riguardo all’origine delle cose, l’idea di creazione, che comporta un’attività personale, intelligente, libera e distinta dalla sua opera è respinta risolutamente. Si può trovare qua e là la parola, che però bisogna capire. « Noi crediamo — dice la Blavatsky — in un Principio universale, radice di tutto da cui tutto procede e in cui tutto sarà riassorbito alla fine del grande ciclo dell’essere, la nostra divinità.., è il misterioso potere dell’evoluzione e dell’involuzione, la potenza creatrice onnipresente, onnipotente e anche onnisciente… La nostra Divinità, in breve, è la costruttrice eterna dell’universo non per creazione, ma per evoluzione incessante (incessantly evolving, not creating): quest’universo sviluppa se stesso partendo dalla propria essenza, e non è fatto ». Secondo Steiner, al principio esiste solo lo spirituale, e la storia dell’universo è quella della condensazione dello spirito in materia più o meno spessa e densa, dando luogo ad esseri molteplici e diversi e, attraverso stadi evolutivi e trasformazioni successive, avanzando verso l’unificazione finale dello spirito puro. In sostanza, nel ritmo del mondo, vi sono due fasi alternate: quella dell’espirazione con cui l’Essere emette fuori di se stesso le diverse realtà, e quella dell’ispirazione, con cui li riassorbe in sé. I miti dell’India chiamano questo la respirazione di Brama, il sonno e il risveglio, la notte e il giorno di Brama. In fondo però, il vero essere è soltanto spirito. « Filosoficamente — scrive la Besant — la teosofia è idealista ». La materia nasce quando lo spirito s’addormenta, diminuisce o arresta la sua attività. « Lo spirito è materia in potenza, e la materia è semplicemente lo spirito cristallizzato, come il ghiaccio, è vapore cristallizzato » (Blavansky, Key, p. 33. Si noterà qui una singolare somiglianza perfino nelle parole colla dottrina bergsoniana dell’origine della materia. E non è questa l’unica somiglianza, poiché anche altre idee bergsoniane non dispiacciono ai teosofi: l’idea d’una realtà universalmente costituita da vibrazioni; quella d’una corrente unica di vita che attraversa tutti gli esseri; quella dell’evoluzione umana che finirà col creare il superuomo; « l’universo macchina per creare dèi »; il Cristo, riuscita eccezionale di questa evoluzione. D’altra parte, è noto che Bergson ammetteva la possibilità d’una prova sperimentale della sopravvivenza, in cui l’anima si manifesterebbe dopo la dissoluzione del corpo fisico attuale (L’énergie spirituelle, p. 62). R. Guénon crede che vi siano stati rapporti personali tra Bergson e la teosofia, perché la sorella del filosofo aveva sposato Mac Gregor, che rappresentava in Francia l’Order of the Golden Datvn in the outer, società occultista segreta, e fratello del conte Mac Gregor Mathers, segretario della Societas Rosicruciana in Anglia, società dello stesso genere, strettamente alleata della precedente e che si diceva « in relazione di amicizia » con la Società Teosofica. La signora Mac Gregor, nata Bergson, insieme al ben noto occultista Giulio Bois partecipò a un tentativo di restaurare il culto di Iside a Parigi nel 1899 e nel 1903- (Revue de philosophie, 1921, p. 40 e 41, riprodotto in Le Théosophisme, pp. 35, 36). Perciò, la materia, il mondo sensibile, i corpi non sono il vero essere; sono un’illusione, una pura apparenza, una specie di allucinazione e di sogno dello spirito. « L’unica, universale ed eterna realtà proietta periodicamente un riflesso di se stessa nelle profondità infinite dello spazio. Questo riflesso che voi considerate come universo materiale oggettivo, noi teosofi lo consideriamo nulla più che un’illusione temporanea. Solo ciò che è eterno è reale ». « Gl’individui umani, « tu ed io », personalità fuggenti, oggi questo e domani quello, non sono altro che illusioni ». Sprofondato nel suo sogno, che è il mondo dei corpi, lo spirito, in forza della sua natura, tende a emergere e a risvegliarsi; degradato nella materia, aspira a ritrovare la sua purezza integrale e ritornare alla sua sorgente, all’Atma, lo Spirito Assoluto, l’Essenza universale. Conforme a questa teoria, con « intuizioni » che vedono direttamente e dettagliatamente quello che è avvenuto migliaia di anni addietro, i teosofi e gli antroposofi fondano una cosmogonia fantastica, che fa uscire i mondi da altri mondi e dove si succedono le razze infraumane, sovrumane e umane.

e) Il destino umano. – Torniamo all’uomo, dalla cui situazione di spirito incarnato deriva per l’individuo il dovere di sforzarsi, con un’ascesi metodica, di superare la materia praticando l’altruismo, elevandosi a piani superiori di conoscenza, ecc.. Quando l’opera di perfezionamento non fosse compiuta alla morte fisica, ne deriva la necessità di una o più reincarnazioni. In questo modo, nel corso del loro destino, le anime emigrano da un corpo all’altro. Tutta l’evoluzione cosmica e personale è soggetta alla legge del Karma, che i teosofi presentano come semplice espressione di causalità universale: « Nessuna causa, dalla più alta all’infima, manca di produrre l’effetto che deve produrre…

Il Karma è questa legge invisibile e sconosciuta che adatta saggiamente, intelligentemente, equamente ogni effetto a ciascuna causa » e funziona su tutti i piani: fisico, mentale, spirituale, e da esso derivano le leggi della natura. Il Karma ha la stessa essenza dell’Assoluto: « La nostra idea della Deità universale, sconosciuta, rappresentata dal Karma, è quella di un potere che non può fallire, e quindi, non può nemmeno provare collera o pietà; equità assoluta, che lascia ogni causa, grande o piccola, operare i suoi inevitabili effetti », i quali, essendo proporzionati alle loro cause, sono anche giusti. Il Karma rappresenta la giustizia stretta e imparziale », e quindi, è detto a saggio, intelligente, equo », pur non essendo personale. In realtà, propriamente parlando, « il Karma non punisce e non ricompensa ed è semplicemente la legge unica e universale che guida infallibilmente, e per così dire, ciecamente tutte le altre leggi… sulla linea delle loro rispettive causalità ». Applicato all’uomo nelle sue successive esistenze, il Karma esige che in ciascuna esistenza egli subisca le conseguenze delle esistenze anteriori. La teosofia e l’antroposofia concepiscono i pensieri, i sentimenti e gli atti come entità dotate di vita propria, che, sebbene create dal soggetto cui restano legate come attraverso un cordone ombelicale, hanno però esteriormente uno sviluppo autonomo e producono ineluttabilmente tutte le loro conseguenze. Una volta messe al mondo, non possono più essere ricuperate e abolite. Quindi, l’anima che s’incarna nuovamente ritrova i risultati delle sue vite passate da cui dipendono il suo carattere attuale, la condizione sociale e lo stesso stato fisico. Nessun intervento personale e libero può ostacolare il Karma, né  può essere efficace la volontà che si pente, ritratta e sconfessa il suo passato. La teosofia indignata rigetta come ingiusta la soddisfazione offerta per un altro e la redenzione per mezzo di Cristo. (BLAVATSKY, Key, p. 223: Cfr. C.T., p. 37. D’altronde, i teosofi di tutte le tendenze comprendono male il domma della Redenzione, perché lo considerano nella visuale protestante, luterana, calvinista, dove il cristiano appare giustificato dalla semplice fede nel sacrificio di Gesù e dalla fiducia che gli sia applicato. La Chiesa Cattolica insegna che la grazia meritata dal Sacrificio di Cristo è la causa prima della conversione, ma che questa conversione o mutamento della volontà — con tutte le conseguenze che produce nella vita — è una realtà non materiale, ma morale e che perciò può avere un’efficacia reale. Una delle tare della teosofia è la misconoscenza delle realtà veramente spirituali.).Se ci fosse un Dio personale, non avrebbe diritto di perdonare »; ma noi sappiamo che un simile Dio non esiste e non crediamo all’espiazione da parte di un altro o che possa venir « meno il minimo peccato da parte di qualche dio, fosse pure un « Assoluto personale » o un Infinito, supposto che possa esistere » (Key). Evidentemente, in questo sistema, non c’è posto per la preghiera e l’« io » è l’unico artista del proprio destino, « il salvatore di se stesso in ogni mondo che attraversa e in ogni sua incarnazione » (ivi). – Sorge ora una questione: la ferrea legge del Karma lascia sussistere la libertà umana? I teosofi lo affermano e mantengono con forza la realtà del libero arbitrio, l’intera responsabilità dell’uomo riguardo alla sorte che lo attende, convinti che il Karma non distrugga la libertà più delle leggi necessarie della natura, ammesse da tutti, attraverso le quali la libertà si traccia una via obbedendo loro e utilizzandole per i suoi fini. Il fatto che i miei atti una volta posti siano in qualche modo « immortali e non possano essere eliminati dall’Universo » prima che abbiano esaurito tutti i loro effetti, non mi toglie la possibilità di porre altri atti, differenti, anche opposti, che avranno anch’essi le loro conseguenze necessarie, e quindi modificheranno l’insieme del mio Karma che, in questo caso, non è più una legge assolutamente universale. Anche se inchiodate nell’impero del Karma, sussiste una quantità di zone franche sulla cui soglia cessa la sua giurisdizione. D’altronde, non è facile conciliare l’esistenza di molte libertà individuali e capaci d’entrare in conflitto, con l’identità fondamentale di tutti gli esseri nel senso dell’Essere primo, l’unico reale. Le personalità distinte sono un’illusione: il « sè » di tutti è unico ed esso solo esiste. Quest’unità assoluta come può esprimersi in apparenze discordanti? (« Tutti gli ” Io ” sono della stessa essenza, e appartengono all’emanazione primordiale di un solo “Io” infinito e universale » Blavatsky, Key, p. 110. La coscienza dell’iniziato giunto a un certo grado « conosce e sente come ” il Sé ” di tutti » (A. BESANT, La Sagesse Antique, trad. frane. p. 471. Le Sentier du disciple, trad. franc. p. 114). La maggior parte degli scrittori cattolici che si occupano di teosofia pensano che il Karma implichi la negazione della libertà (GRANDMAISON, G. T., p. 6o; MAINAGE, Les Principes de la Théosophie, pp. 283, 284; MARTINDALE., Theosophy, p. 891. Però secondo i teosofi al principio degli esseri diversi e finiti c’è un atto libero dell’Assoluto, dell’ « Uno senza secondo », in cui nasce un desiderio, una « volontà di moltiplicarsi » (A. BESANT, Le Sentier du disciple. p. 9; L’ Avolution de la vie et de la forme, pp. 39, 115 ecc.); cosi pure il Logos che lo manifesta limita volontariamente se stesso » (A. BESANT, La Sagesse Antique, trad. franc. p. 68). Questa libertà radicale sussiste sotto le manifestazioni che assume, sotto le conseguenze necessarie che sviluppa nel Karma: essa continua a risiedere nel « Sè unico, ma non la si vede perché non potrebbe intervenire e manifestarsi come ha fatto una prima volta. La vera difficoltà consiste nel concepire questa « prima volta »: non si capisce come un Assoluto, supposto incapace per essenza di « avere alcuna relazione col finito e il condizionato » (Blavatsky Key, p. 62) possa limitare se stesso e divenire condizionato. Questa difficoltà delle relazioni dell’Infinito e del finito che la Blavatsky muove contro l’idea di creazione (che pertanto non suppone affatto l’identità dell’infinito e del finito!) si ritorce, e questa volta con valore e forza piena, contro l’idea di un Assoluto che limita se stesso.). Il termine dell’evoluzione umana è il Nirvana, che è annientamento totale. L’individuo completamente evoluto, giunto al culmine della perfezione, allo stato « divino », non è più soggetto alla necessità della reincarnazione. Un impulso naturale lo porta a inabissarsi nell’Atma, a fondersi nell’Essere assoluto, dove non sussiste distinzione o separazione di sorta. Allora, « esso non è più nulla, perché è tutto; è completamente annientato in quanto forma apparenza, cosa figurata, ma come Spirito assoluto esiste ancora, perché è divenuto l’Essere stesso ». (BESANT, La Sagesse Antique, p.262. Cfr. G. T., p. 39. Questa nozione del Nirvana differisce sensibilmente dalla nozione o dalle nozioni autenticamente buddistiche, anche se la teosofia si richiama ad esse. assai più impacciata e certamente influenzata dalle dottrine panteistiche d’Occidente.). – Per compassione dei fratelli umani meno evoluti, per insegnare loro la via della salute, esso può rinunciare provvisoriamente al riposo del Nirvana e scegliere d’incarnarsi ancora: così fece Sakyamuni, il grande Budda, nella sua ultima vita terrestre; così ancora fanno queste Guide misteriose, i Mahatma, dei quali la Società Teosofica si pretende la messaggera.

GNOSI, LA TEOLOGIA DI sATANA (66): LA TEOSOFIA (2)

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (9) “da Pelagio I a Bonifacio V”

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (9)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

(Da Pelagio I a Bonifacio V)

PELAGIO I:  16 aprile 556 – 3, (4)? Mar.561

Lettera “Humani generis” al re Childeberto I, 3 febbraio 557

Fides Pelagii Papæ

441 – [La Trinità divina] Credo dunque in un solo Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo: cioè nel Padre onnipotente, eterno, non generato; nel Figlio generato dalla sostanza o dalla natura dello stesso Padre, prima di qualsiasi inizio di tempo o di eternità, cioè (dell’Onnipotente) onnipotente, uguale, coeterno e consustanziale a Colui che lo ha generato; anche nello Spirito Santo, onnipotente, uguale a entrambi, cioè al Padre e al Figlio, coeterno e consustanziale; che, procedendo dal Padre fuori dal tempo, è lo Spirito del Padre e del Figlio; quindi in tre Persone o tre ipostasi di una sola essenza o natura, di una sola forza, di una sola operazione, di una sola beatitudine e di una sola potenza; così che l’unità è trina e la Trinità è una, secondo la verità della parola del Signore che dice: “Andate e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”. Mt XXVIII: 19. Dice “nel nome” e non “nei nomi”, sia per mostrare l’unico Dio attraverso il Nome indistinto dell’essenza divina, sia per far conoscere la distinzione delle Persone manifestata dalle loro proprietà (cfr. 415); Infatti, il fatto che i tre abbiano un solo Nome per quanto riguarda la Divinità, manifesta l’uguaglianza delle Persone, e viceversa l’uguaglianza delle Persone non permette di riconoscere in esse qualcosa che sarebbe estraneo ad esse o che si aggiungerebbe ad esse, in modo che ciascuno di essi sia veramente e perfettamente Dio, e tutti e tre siano veramente e perfettamente un unico Dio, vale a dire che la pienezza della divinità debba essere riconosciuta in ciascuno di essi senza che vi sia nulla di mancante in nessuno di essi e senza che vi sia nulla di più nei tre.

442 – [Il Figlio di Dio incarnato]. Ma di questa santa, beatissima e consustanziale Trinità, credo e professo che una sola Persona, cioè il Figlio di Dio, sia sceso dal cielo negli ultimi tempi per la salvezza del genere umano, ma senza lasciare il trono del Padre e il governo del mondo; e quando lo Spirito Santo discese sulla beata Vergine Maria e la potenza dell’Altissimo la coprì con la sua ombra, questo stesso Verbo e Figlio di Dio entrò misericordiosamente nel grembo di questa stessa santa Vergine Maria, e si unì alla carne della sua carne, animata da un’anima ragionevole e intellettuale; e la carne non fu creata prima, il Figlio di Dio venne su di essa dopo, ma come è scritto: “Quando la Sapienza si costruì una dimora”, Pr IX,11, immediatamente la carne nel grembo della Vergine divenne carne del Verbo di Dio. Perciò il Verbo e Figlio di Dio si è fatto uomo senza alcun cambiamento o conversione della natura del Verbo e della carne, l’una e l’altra natura, la divina e l’umana, e così Cristo Gesù è apparso, cioè è nato, vero Dio e, allo stesso modo, vero uomo, mantenendo intatta la verginità della Madre, che lo ha generato rimanendo Vergine così come lo ha concepito vergine. Per questo confessiamo la stessa beata Vergine Maria Madre di Dio in tutta verità, poiché ha portato il Verbo incarnato di  di Dio. C’è dunque un solo e medesimo Cristo Gesù, vero Figlio di Dio e lo stesso che è vero Figlio dell’uomo, perfetto nella divinità lo stesso perfetto nell’umanità, poiché è interamente in ciò che è suo e, lo stesso, interamente in ciò che è nostro (cfr. 293); con la seconda natività ha preso dalla Madre umana, ciò che non era, ma senza cessare di essere ciò che era con la prima, quella per cui è nato dal Padre. Perciò crediamo che Egli sia di due e in due nature che rimangono senza divisione o confusione: senza divisione, poiché dopo l’assunzione della nostra natura anche l’unico Cristo è rimasto e rimane il Figlio di Dio; senza confusione, perché crediamo che le nature siano state unite in una sola Persona e ipostasi in modo tale che, essendo salvaguardata la proprietà di ciascuna, nessuna delle due si sia trasformata nell’altra. E perciò, come abbiamo spesso detto, confessiamo che un solo e medesimo Cristo è vero Figlio di Dio e che lo stesso è vero Figlio dell’uomo, consustanziale al Padre secondo la divinità e consustanziale a noi secondo l’umanità, simile a noi in tutto tranne che nel peccato; passibile nella carne e impassibile nella divinità. Noi professiamo che sotto Ponzio Pilato egli ha liberamente sofferto per la nostra salvezza nella carne, che è stato crocifisso nella carne, che è morto nella carne, che è risorto il terzo giorno nella stessa carne, glorificato e incorruttibile, e… che è salito al cielo e siede anche alla destra del Padre.

443 – [Il compimento del mondo]. Credo e professo… che come è salito al cielo, così verrà a giudicare i vivi e i morti. Per tutti gli uomini che sono nati e morti da Adamo fino alla consumazione dei secoli, con Adamo stesso e sua moglie, che non sono nati da altri genitori, ma sono stati creati, l’uno dalla terra e l’altra da una costola dell’uomo (cfr. Gen. II, 7 Gen II: 22). Professo che poi risorgeranno e staranno “davanti al seggio del giudizio di Cristo, per ricevere la ricompensa di ciascuno per ciò che ha fatto nel suo corpo, sia in bene che in male” Rm XIV: 10 2 Cor V:10 ; e i giusti, come “vasi di misericordia preparati per la gloria” (cfr. Rm IX, 23), li ricompenserà per la sovrabbondante grazia di Dio con i premi della vita eterna e vivranno all’infinito in compagnia degli Angeli, senza alcun timore di ricadere; Quanto agli empi, che per loro scelta rimarranno come “vasi d’ira, destinati alla perdizione” (Rm IX, 22), che non hanno riconosciuto la voce del Signore, oppure l’hanno riconosciuta ma l’hanno abbandonata di nuovo perché sedotti da trasgressioni di ogni genere, Egli li consegnerà con il suo giustissimo giudizio alle pene del fuoco eterno e inestinguibile, affinché brucino senza fine. Questa è dunque la mia fede e la mia speranza, che è in me per dono della misericordia di Dio; e per essa, come ci comanda il beato Apostolo Pietro, dobbiamo essere pronti soprattutto a rispondere a chiunque ce ne chieda conto (cfr. 1 Pt III, 5 ).

Lettera circolare “Vas electionis” a tutto il popolo di Dio, ca. 557.

L’autorità dei Concili ecumenici.

444 – Per quanto riguarda i quattro santi Concili, cioè quello di Nicea dei trecentodiciotto (padri), quello di Costantinopoli dei centocinquanta, il primo di Efeso dei duecento, ma anche (per quanto riguarda) quello di Calcedonia dei seicentotrenta. Professo di aver condotto i miei pensieri sotto la protezione della misericordia divina e di farlo fino alla fine della mia vita, con tutto il mio cuore e le mie forze, per conservarli con piena devozione nella difesa della santa fede e nella condanna delle eresie e degli eretici, poiché questi pensieri sono stati confermati dallo Spirito Santo. Professo che la loro solidità, perché è la solidità di tutta la Chiesa, la proteggerò e la difenderò come hanno fatto senza dubbio i miei predecessori. In questo desidero seguire e imitare soprattutto colui che sappiamo essere stato l’autore del Concilio di Calcedonia (Papa Leone I), il quale, in accordo con il suo nome, si dimostrò chiaramente, con il suo ardentissimo zelo per la fede, un membro di quel leone che nacque dalla tribù di Giuda (cfr. Ap V, 5 ). Così sono convinto che mostrerò sempre la stessa riverenza per i suddetti sinodi, che tutti coloro che sono stati assolti da questi quattro Concili li riterrò ortodossi, e che mai nella mia vita… toglierò qualcosa all’autorità della loro santa e vera predicazione. Ma seguo e venero anche i canoni che la Sede Apostolica accetta… Professo che conservo anche le lettere di papa Celestino di benedetta memoria… e di Agapeto, per la difesa della fede cattolica, per la solidità dei quattro sinodi suddetti e contro gli eretici, e tutti coloro che essi hanno condannato li ritengo condannati, e tutti coloro che essi hanno accolto, specialmente i venerabili vescovi Teodoreto e Ibas, li venero tra gli ortodossi.

445 – Lettera “Admonemus ut” al Vescovo Gaudenzio di Volterra,

(tra il settembre 558 e il febbraio 559).

La forma del battesimo.

Riguardo agli eretici (che vogliono tornare alla fede cattolica, riguardo a chi)… avete pensato di dover consultare noi…. se devono essere battezzati o solo riconciliati, vogliamo la vostra deferenza per mantenere questo… :… affermano di essere battezzati solo nel nome di Cristo e con una sola immersione, ma il precetto del Vangelo …. ci avverte di conferire a ciascuno il santo Battesimo nel Nome della Trinità e con una triplice immersione, poiché nostro Signore dice ai suoi discepoli: “Andate, battezzate tutte le nazioni nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo – Mt XXVIII,19; pertanto, se di fatto le persone che fanno parte dei suddetti eretici, … dovessero riconoscere di essere stati battezzati nel solo Nome del Signore, se passeranno alla fede cattolica, li battezzerete, senza alcuna incertezza, nel nome della Santissima Trinità. Ma… se affermano chiaramente con una professione manifesta di essere stati battezzati nel nome della Trinità, vi affretterete a unirli alla fede cattolica con la sola grazia della riconciliazione, che sarà loro concessa.

446 – Lettera “Adeone te” al Vescovo (Giovanni), inizio 559.

La necessità di unità con la Sede Apostolica.

Voi, che siete collocati nel più alto grado del sacerdozio, siete stati così privi della verità della madre cattolica da non considerarvi subito scismatici quando vi siete allontanati dalla Sede Apostolica? Non avete letto che la Chiesa è stata fondata da Cristo nostro Dio sul principe degli Apostoli, e su un fondamento tale che le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa (cfr. Mt XVI, 18)? E se avete letto questo, dove pensate che sia la Chiesa, se non presso colui nel quale solo si trovano tutte le sedi apostoliche, al quale, come a colui che ha ricevuto le chiavi, è stato concesso il potere di legare e sciogliere? Ma ciò che ha voluto dare a uno, lo ha dato anche a tutti, affinché, secondo le parole del beato martire Cipriano, che spiega questo, si dimostri che la Chiesa sia una. Dove hai vagato, separato da lei, carissimo fratello in Cristo, o quale speranza di salvezza avevi?

Lettera ‘Relegentes autem’ al patrizio Valeriano, marzo oaprile 559.

Il Papa interpreta i decreti dei Concili

447 – Non è mai stato permesso, né sarà mai permesso, che un concilio particolare si riunisca per giudicare un Concilio generale. Ma ogni volta che ad alcuni sorge un dubbio su un Concilio universale – per avere chiarimenti su ciò che non capiscono – o coloro che desiderano la salvezza delle loro anime vengono di propria iniziativa alle sedi apostoliche per essere illuminati, o… se dovessero essere così ostinati e testardi da non voler essere istruiti, è necessario che siano attirati alla salvezza in ogni modo da queste stesse sedi apostoliche, o che siano perseguiti dai poteri secolari secondo i canoni, per non poter essere causa di perdizione per altri.

GIOVANNI III: (17 luglio561-13 luglio 574)

Primo Concilio di Braga (Portogallo), iniziato il 1° maggio 551

Anatemi contro i priscillianisti ed altri.

La Trinità e il Cristo.

451 – 1. Se qualcuno non confessa che il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo siano tre Persone di una sola sostanza, forza e potenza, come insegna la Chiesa cattolica e apostolica, ma dice che siano una Persona sola e solitaria, in modo che il Padre sarebbe lo stesso del Figlio e che lo stesso sarebbe anche lo Spirito Paraclito, come hanno detto Sabellio e Priscilliano, sia anatema!

452 – 2 Se qualcuno introduce al di fuori della Santa Trinità altri nomi della Divinità, dicendo che nella Divinità stessa c’è una Trinità di Trinità, come hanno detto gli gnostici e Priscilliano, sia anatema!

453 – 3 Se qualcuno dice che il Figlio di Dio, nostro Signore, non esisteva prima di nascere dalla Vergine, come hanno detto Paolo di Samosata, Fotino e Priscilliano, sia anatema!

454 – 4 Se qualcuno non onora il giorno della nascita di Cristo secondo la carne, ma finge di onorarlo, e digiuna in quel giorno e nella domenica perché non crede che Cristo sia nato nella vera natura di uomo, come hanno detto Cerdone, Marcione, Mani e Priscilliano, sia anatema!

Creazione e governo del mondo

455 – 5 Se qualcuno crede che le anime umane o gli Angeli provengano dalla sostanza di Dio, come hanno detto Mani e Priscilliano, sia anatema!

456 – 6 Se qualcuno dice che le anime umane peccarono per la prima volta nelle dimore celesti e furono quindi gettate sulla terra in corpi umani, come ha detto Priscilliano, sia anatema!

457 – 7. Se qualcuno dice che il diavolo non fosse all’inizio un Angelo buono, creato da Dio, e che la sua natura non è opera di Dio, ma dice che sia uscito dalle tenebre, che nessuno lo ha creato, ma che egli stesso è il principio e la sostanza del male, come hanno detto Mani e Priscilliano, sia anatema!

458 – 8. Se qualcuno crede che il diavolo abbia creato alcune creature nel mondo e che abbia prodotto tuoni, fulmini, tempeste e siccità con il proprio potere, come ha detto Priscilliano sia anatema!

459 – 9. Se qualcuno pensa che le anime umane siano legate a stelle che ne regolano il destino, come dicevano i pagani e Priscilliano, sia anatema!

460 10. Se qualcuno crede che i dodici segni delle stelle che gli astrologi sono soliti osservare siano disposti secondo le varie membra dell’anima o del corpo, e dice che siano attribuiti ai nomi dei Patriarchi, come ha detto Priscilliano, sia anatema!

461 – 11. Se qualcuno condanna il matrimonio umano e aborre la procreazione dei figli, come hanno detto Mani e Priscilliano, sia anatema!

462 – 12. Se qualcuno dice che la formazione del corpo umano sia opera del demonio e che il concepimento nel grembo materno è opera dei demoni, e se per questo non crede nella risurrezione della carne, come hanno detto Mani e Priscilliano, sia anatema!

463 – 13. Se qualcuno dice che la creazione di ogni carne non sia opera di Dio, ma degli angeli cattivi, come ha detto Priscilliano, sia anatema!

464 – 14 Se qualcuno considera impure le carni che Dio ha dato all’uomo per il suo uso e si astiene dal mangiarle, non per punire il suo corpo, ma perché le considera impure e non gusta neppure le verdure cucinate con la carne, come hanno detto Mani e Priscilliano, sia anatema!

BENEDETTO I: 2 giugno 575-30 luglio 579

PELAGIO II: 26 novembre 579-7 febbraio 590

Lettera “Dilectioni vestræ” ai Vescovi scismatici dell’Istria, 585 o 586

La necessità dell’unione con la Sede romana.

468. – Sebbene sia chiaro dalla stessa parola del Signore nel Santo Vangelo dove si trova il fondamento della Chiesa, ascoltiamo tuttavia ciò che il beato Agostino ha stabilito, ricordando la stessa parola. La Chiesa di Dio è fondata, dice, su coloro che sono riconosciuti, in ragione della successione dei Vescovi, come coloro che hanno presieduto le sedi apostoliche; e chi si è separato dalla Comunione o dall’autorità di queste sedi, si dimostra scismatico. E dopo altre cose: “stando fuori, sarete anche morti per il Nome di Cristo. Tra le membra di Cristo, soffri per Cristo, essendo attaccato al corpo; combatti per il capo [Non sarai annoverato tra le membra di Cristo, soffri per Cristo, essendo attaccato al corpo combatti per il Capo,].

469 – Ma anche il beato Cipriano… dice tra l’altro: “L’inizio procede dall’unità, e il primato è dato a Pietro, affinché si dimostri che la Chiesa di Cristo e il pulpito sono una cosa sola”; e pastori lo sono tutti, ma il gregge è dimostrato essere uno, quel gregge che deve essere condotto al pascolo dagli Apostoli in accordo unanime. E poco dopo: “Colui che non mantiene l’unità della Chiesa crede forse di possedere la fede? Colui che abbandona la cattedra di Pietro, su cui la Chiesa è fondata, e le resiste, si vanta forse di essere nella Chiesa?”… Non possono abitare con Dio coloro che non hanno voluto vivere unanimemente nella Chiesa di Dio; e anche se bruciano nelle fiamme, se espongono la loro vita al rogo e alle belve, non otterranno la corona della fede, ma la punizione della loro malafede, né la gloria finale, ma la morte della disperazione. Un tale uomo può essere messo a morte, ma non può ricevere la corona”… “Il crimine dello scisma è peggiore del crimine di coloro che hanno sacrificato; questi almeno si sottomettono alla penitenza del loro crimine e implorano Dio pagando pienamente la soddisfazione richiesta. Qui si cerca e si chiede la Chiesa, lì si combatte la Chiesa. Qui chi ha fallito ha danneggiato solo se stesso; qui chi si sforza di fare uno scisma porta molte persone nell’errore con lui. Qui si danneggia solo un’anima, lì il pericolo è per molti. Quello, almeno, riconosce di aver peccato e piange e si lamenta; quello si vanta della sua colpa, si compiace della sua offesa, separa i figli dalla madre, allontana le pecore dal loro pastore, turba i Sacramenti di Dio, e mentre quello che ha fallito ha peccato una sola volta, questo pecca ogni giorno. Infine, colui che ha fallito, se in seguito ottiene il martirio, può ricevere le promesse del Regno; costui, se viene messo a morte fuori dalla Chiesa, non può ottenere le ricompense della Chiesa. “

3° Concilio di Toledo, iniziato l’8 maggio 589

Professione di fede del re Reccardo.

470La Trinità divina.

Confessiamo che c’è un Padre, che ha generato dalla sua sostanza il Figlio, che è co-uguale e co-eterno a lui, non però che lo stesso sia nato e generato (nato non generato), ma in modo tale che secondo la persona un altro è il Padre che ha generato, e un altro il Figlio, che è stato generato, e tuttavia secondo la Divinità entrambi sono della stessa sostanza: il Padre, da cui è il Figlio, non è altro da sé; il Figlio, che ha un Padre, esiste senza inizio né diminuzione in questa Divinità, perché è co-uguale e co-eterno al Padre. Allo stesso modo dobbiamo confessare e predicare che lo Spirito procede dal Padre e dal Figlio e che con il Padre e il Figlio è di una sola sostanza; la terza persona della Trinità è quella dello Spirito Santo, che tuttavia possiede l’essenza della divinità in comune con il Padre e il Figlio. Questa santa Trinità è davvero un solo Dio, Padre e Figlio e Spirito Santo, e per la sua bontà tutte le creature (la natura dell’uomo) sono state create buone, ma dalla forma dell’aspetto umano assunto dal Padre e dal Figlio.

la forma dell’aspetto umano assunto dal Figlio, dalla generazione dannata siamo restituiti alla prima beatitudine.

GREGORIO MAGNO I: 3 settembre 590-12 maggio

Lettera “Consideranti mihi” ai Patriarchi. Febbraio 591.

L’autorità dei concili ecumenici.

472 – … Oltre ai quattro libri del Santo Vangelo, confesso di ricevere e venerare i quattro Concili: Infatti abbraccio con piena devozione e custodisco con pieno assenso quello di Nicea, dove viene distrutta la perversa dottrina di Ario; quello di Costantinopoli, dove viene confutato l’errore di Eunomio e di Macedonio; così pure il primo di Efeso, dove viene giudicata l’empietà di Nestorio, e quello di Calcedonia, dove viene condannato l’errore di Eutiche e di Dioscoro; Perché su di essi si regge l’edificio della santa fede, come su una pietra a quattro lati, e su di essi poggia l’edificio di tutta la vita e l’azione; e chi non si attiene alla loro solidità, anche se è considerato una pietra, si trova comunque fuori dall’edificio. Veneriamo anche il quinto Concilio, nel quale la lettera di Ibas viene condannata come piena di errori, e nel quale Teodoro, che separa la persona del Mediatore di Dio e degli uomini in due ipostasi, viene condannato per essere caduto nel crimine di empietà, e nel quale gli scritti di Teodoreto, che sono opera di un’impresa folle, e nei quali viene biasimata la fede del beato Cirillo, vengono ugualmente respinti. Tutti coloro che i suddetti venerabili Concili respingono, io li respingo; quelli che essi venerano, li riconosco; poiché essi sono fondati su un consenso universale, è lui stesso e non loro che distrugge chi ha l’ardire di sciogliere coloro che essi legano o di legare coloro che essi sciolgono. Se qualcuno, quindi, la pensa diversamente, che sia anatema!

Lettera “O quam bona” al Vescovo Virgilio di Arles, 12 agosto 595.

Simonia

473 –  … Ho saputo che nelle regioni della Gallia e della Germania nessuno raggiunge l’ordine sacro senza aver concesso un dono adeguato. Se è così, lo dico con lacrime e lo proclamo con gemiti: se l’ordine sacerdotale è crollato dall’interno, non potrà resistere a lungo all’esterno. Sappiamo infatti dal Vangelo cosa fece il nostro stesso Redentore: entrando nel Tempio, rovesciò i seggi dei venditori di colombe, Mt XXI,12. Vendere colombe significa, infatti, ricevere un beneficio temporale dallo Spirito Santo, che Dio onnipotente conferisce agli uomini come consustanziali a Lui mediante l’imposizione delle mani. Ciò che risulta da questo male, come ho detto, è già indicato; per coloro che hanno l’audacia di vendere colombe nel Tempio di Dio, i loro posti sono caduti secondo il giudizio di Dio. Perché questo errore viene amplificato e diffuso tra i subordinati. Infatti, colui che viene condotto all’onore (ordine) sacro dietro compenso è già corrotto alla radice della sua promozione, ed è più disposto a vendere ad altri ciò che ha comprato. E dov’è allora ciò che è scritto: “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” Mt X, 8? E poiché l’eresia simoniaca è sorta come la prima eresia contro la santa Chiesa, perché non si considera, perché non si vede, che se si ordina qualcuno dietro compenso, lo si rende eretico promuovendolo?

Lettera “Sicut aqua” al patriarca Eulogio di Alessandria, agosto 600.

La scienza di Cristo (contro gli agnostici)

474 – Per quanto riguarda… il passo della Scrittura secondo cui “né il Figlio né gli Angeli conoscono il giorno e l’ora” (cfr. Mc XIII, 32), Vostra Santità pensa giustamente che non sia da riferirsi a questo stesso Figlio considerato come capo, ma considerato nel suo corpo, che noi siamo… Agostino fa uso di questo significato in molti luoghi. Dice anche un’altra cosa, che può essere ascoltata da questo stesso Figlio, e cioè che il Dio onnipotente a volte parla in modo umano, per esempio quando dice ad Abramo: “Ora so che tu temi Dio” (Gen XXII,12), non perché Dio sapesse allora di essere temuto, ma perché Abramo riconosceva allora attraverso di lui di temere Dio. Come si parla di un giorno felice, non perché il giorno stesso sia felice, ma perché ci rende felici, così il Figlio onnipotente dice di ignorare il giorno che Egli stesso fa conoscere, non perché lo ignori, ma perché non permette assolutamente che sia conosciuto.

475 – Perciò si dice anche che solo il Padre conosce, perché il Figlio, che gli è consustanziale per la sua natura, per cui è al di sopra degli Angeli, ha il potere di conoscere ciò che gli Angeli ignorano. Quindi questo può essere inteso in modo più sottile dicendo che il Figlio unigenito, fatto per noi uomo perfetto, conosceva il giorno e l’ora del giudizio nella natura umana e tuttavia non lo conosceva dalla natura umana. Ciò che dunque conosceva in essa, non lo conosceva attraverso di essa, perché era per il potere della sua divinità che il Dio fatto uomo conosceva il giorno e l’ora del giudizio… Perciò la conoscenza che non aveva per mezzo della natura umana, che lo rendeva una creatura con gli Angeli, egli la rifiutò agli Angeli, ha rifiutato di averla con gli Angeli che sono creature. Il Dio-uomo conosce dunque il giorno e l’ora del giudizio, ma proprio perché Dio è uomo.

476 – Questo è chiarissimo, perché chi non è nestoriano non può in alcun modo essere agnostico. Infatti, chi confessa che la Sapienza di Dio si è incarnata, come può dire che c’è qualcosa che la Sapienza di Dio non conosca? È scritto: “In principio era il Verbo e il Verbo era Dio. Da Lui sono state fatte tutte le cose” (Gv 1, 1-3). Se è “tutto”, è senza dubbio anche il giorno e l’ora del giudizio. Chi è dunque così sciocco da osare dire che il Verbo del Padre ha fatto ciò che non conosceva? È scritto ancora: Gesù sapendo che il Padre aveva dato tutto nelle sue mani Gv XIII, 3. Se è “tutto” è ovviamente anche il giorno e l’ora del giudizio. Chi è dunque così sciocco da dire che il Figlio ha ricevuto nelle sue mani ciò che non conosce? Quanto al passo in cui dice alle donne a proposito di Lazzaro: “Dove l’avete deposto? “Noi abbiamo pensato esattamente quello che avete pensato voi, e cioè che se dicono che il Signore non sapeva dove era sepolto Lazzaro e che lo chiedeva per questo motivo, sono costretti senza dubbio a riconoscere che il Signore non sapeva in quali luoghi si erano nascosti Adamo ed Eva dopo il loro peccato quando nel paradiso disse: “Adamo, dove sei?” (Gen III, 9), o quando rimproverò Caino dicendo: “Dov’è Abele, tuo fratello? “Gen. IV, 9”. Se non lo sapeva, perché ha subito aggiunto: “Il sangue di tuo fratello grida a me dalla terra”?

Lettera “Litterarum tuarum primordia” al Vescovo Sereno Massiliense, ottobre 600.

Il diritto dei fedeli di venerare le immagini dei Santi.

477 – Ci è stato riferito… che avete rotto le immagini dei santi, adducendo la scusa che non dovevano essere venerate. Noi lodiamo pienamente il fatto che abbiate proibito di venerarle; ma vi biasimiamo per averle rotte…. Perché una cosa è venerare un’immagine, e un’altra cosa è imparare da ciò che l’immagine dice, cosa si deve venerare. Infatti, ciò che le Scritture sono per coloro che sanno leggere, l’immagine lo realizza per i semplici che la guardano, poiché gli ignoranti vedono ciò a cui devono attaccarsi, e coloro che non conoscono le lettere leggono in essa; perciò, per i popoli principalmente, l’immagine prende il posto della lettura… Se qualcuno vuole fare immagini, non vietateglielo in alcun modo; ma il culto delle immagini evitatelo in ogni modo. La vostra fraternità, al contrario, esorti a far sì che la visione di ciò che è accaduto faccia sentire loro l’ardore del pentimento, e che si prostrino umilmente nell’adorazione dell’unica, onnipotente e santa Trinità.

Lettera “Quia caritati nihil” ai Vescovi di Iberia (Georgia), 22 giugno 601 circa

Battesimo e Ordini sacri degli eretici.

478 – Abbiamo appreso dall’antico insegnamento dei Padri che tutti coloro che sono stati battezzati in eresia nel nome della Trinità, quando ritornano alla santa Chiesa, devono essere richiamati nel seno della Madre Chiesa o con l’unzione del crisma, o con l’imposizione della mano, o con la semplice professione di fede. Per questo l’Occidente rigenera gli ariani con l’imposizione della mano, l’Oriente con l’unzione del santo crisma in vista dell’ingresso nella Chiesa cattolica. Ma i monofisiti e gli altri li riceve solo con la vera professione di fede, perché il santo battesimo che hanno ottenuto dagli eretici riceva poi in loro i poteri della purificazione, quando alcuni hanno ricevuto lo Spirito Santo con l’imposizione della mano e altri sono stati uniti nel seno della Chiesa santa e universale con la professione della vera fede. Quanto agli eretici che non sono stati battezzati nel nome della Trinità, come i Bonosi e i Catafrigi, perché alcuni non credono in Cristo Signore e altri credono falsamente che lo Spirito Santo sia un depravato di nome Montan, essi vengono battezzati quando vengono nella santa Chiesa, perché quello che hanno ricevuto, quando erano nell’errore, senza il Nome della Santissima Trinità, non era un Battesimo. Né può essere chiamato un battesimo ripetuto, poiché, come è stato detto, il primo non è stato dato nel nome della Trinità… Vostra Santità deve accoglierli (i nestoriani) senza alcuna esitazione nella sua comunità, rispettando i loro ordini, in modo che… non suscitando con la vostra indulgenza alcuna opposizione o difficoltà riguardo ai loro ordini, li strapperete dalla bocca dell’antico nemico.

Il momento dell’unione ipostatica.

479 – Ora, la carne non è stata prima concepita nel grembo della Vergine e poi la divinità è entrata nella carne; ma non appena il Verbo è entrato nel grembo, il Verbo si è fatto carne, conservando la virtù della propria natura. … Né fu prima concepito e poi unto; ma essere concepito dallo Spirito Santo dalla carne della Vergine fu lo stesso che essere unto dallo Spirito Santo.

Lettera “Qui sincera” al Vescovo Pascasio di Napoli, novembre 602,

Tolleranza delle diverse credenze religiose

480 – Coloro che, con retta intenzione, desiderano avvicinare gli estranei alla Religione cristiana, alla retta fede, devono sforzarsi di farlo con parole gentili e non con parole dure, affinché l’inimicizia non allontani coloro il cui animo potrebbe essere stato smosso dall’indicazione di una chiara ragione. Per tutti coloro che fanno diversamente e che con questa scusa vogliono allontanarli dalla pratica abituale del loro rito, sembra che lavorino per la propria causa piuttosto che per quella di Dio. In effetti, i Giudei che vivono a Napoli si sono lamentati con noi del fatto che alcune persone stiano facendo sforzi irragionevoli per impedire loro di osservare alcune celebrazioni delle loro feste, in modo da non essere più autorizzati a osservare le celebrazioni delle loro feste come a loro ed ai loro parenti è stato permesso da tempo di osservarle o eseguirle. Se le cose stanno davvero così, sembra che si stiano impegnando in un’impresa inutile. Infatti, a che cosa serve se, anche se è vietato loro di farlo contro le consuetudini di lunga data, non ne traggono alcun vantaggio per la fede e la conversione? O ancora, perché stabilire regole per i Giudei sul modo in cui devono celebrare le loro cerimonie, se poi non riusciamo a conquistarli? Dobbiamo quindi fare in modo che, incoraggiati piuttosto dalla ragione e dalla gentilezza, vogliano seguirci e non fuggire da noi, in modo che, spiegando loro con le Scritture ciò che diciamo, possiamo con l’aiuto di Dio convertirli al seno della Madre Chiesa. Perciò la vostra fraternità li inciti alla conversione con le monizioni, per quanto può con l’aiuto di Dio, e non sia più turbata a causa delle loro celebrazioni; al contrario, abbia piena libertà di osservare e celebrare le proprie feste e ricorrenze, come ha fatto finora.

SABINIANO: 13 settembre 604 – 22 febbraio

BONIFACIO III: 19 febbraio – 12 novembre

BONIFACIO IV: 25 agosto 608 – 8 maggio 615

DEUSDEDIT (Adéodato I): 19 ottobre 61

BONIFACIO V: 23 dicembre 619 – 25 ottobre 625

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (10) “da Onorio I a Martino I”