TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (41)
HENRICUS DENZINGER
ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT
ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.
ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM
De rebus fidei et morum
HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI
Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar
(da BENEDETTO XV, a Pio XII, 1914-1944)
BENEDETTO XV: 3 settembre 1914 22 gennaio 1922.
Lett. Encycl. “Ad beatissimi Apostolorum”, 1 nov. 1914.
L’ambito della libera disputa teologica.
3625. Quindi, qualora la legittima autorità impartisca qualche ordine, a nessuno sia lecito trasgredirlo, perché non gli piace; ma ciascuno sottometta la propria opinione all’autorità di colui al quale è soggetto, ed a lui obbedisca per debito di coscienza. Parimenti nessun privato, o col pubblicare libri o giornali, ovvero con tenere pubblici discorsi, si comporti nella Chiesa da maestro. Sanno tutti a chi sia stato affidato da Dio il magistero della Chiesa; a lui dunque si lasci libero il campo, affinché parli quando e come crederà opportuno. È dovere degli altri prestare a lui, quando parla, ossequio devoto, ed ubbidire alla sua parola. – Riguardo poi a quelle cose delle quali — non avendo la Sede Apostolica pronunziato il proprio giudizio — si possa, salva la fede e la disciplina, discutere pro e contro, è certamente lecito ad ognuno di dire la propria opinione e di sostenerla. Ma in simili discussioni rifuggasi da ogni eccesso di parole, potendone derivare gravi offese alla carità; ognuno liberamente difenda la sua opinione, ma lo faccia con garbo, né creda di poter accusare altri di sospetta fede o di mancata disciplina per la semplice ragione che la pensa diversamente da lui.
3626. Nè soltanto desideriamo che i Cattolici rifuggano dagli errori dei Modernisti, ma anche dalle tendenze dei medesimi, e dal cosiddetto spirito modernistico; dal quale chi rimane infetto, subito respinge con nausea tutto ciò che sappia di antico, e si fa avido ricercatore di novità in ogni singola cosa, nel modo di parlare delle cose divine, nella celebrazione del sacro culto, nelle istituzioni cattoliche e perfino nell’esercizio privato della pietà. Vogliamo adunque che rimanga intatta la nota antica legge: «Nulla si innovi, se non ciò che è stato tramandato»; la quale legge, mentre da una parte deve inviolabilmente osservarsi nelle cose di Fede, deve dall’altra servire di norma anche in tutto ciò che va soggetto a mutamento, benché anche in questo valga generalmente la regola: «Non cose nuove, ma in modo nuovo».
Risposta della Commissione Biblica, 18 giugno 1915.
La seconda venuta di Cristo nelle Rpistole paoline.
3628. Domanda 1: Per risolvere le difficoltà incontrate nelle epistole di san Paolo e degli altri apostoli dove si parla della “Parousia“, come viene chiamata, o della seconda venuta di Nostro Signore Gesù Cristo, è lecito per l’esegeta cattolico affermare che gli Apostoli, pur non insegnando alcun errore sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, esprimano tuttavia sentimenti umani personali nei quali può insinuarsi l’errore o l’illusione? Risposta: no.
3629. Domanda 2: Data l’esatta nozione dell’ufficio apostolico, l’indubbia fedeltà di San Paolo alla dottrina del Maestro ed il dogma cattolico dell’ispirazione e dell’inerranza delle Sacre Scritture, in virtù del quale tutto ciò che lo scrittore sacro afferma, dichiara e insinua debba essere considerato come affermato, dichiarato ed insinuato dallo Spirito Santo; dopo uno studio attento e diretto dei testi delle Epistole dell’Apostolo, riconosciuti come perfettamente conformi al modo di parlare del Signore stesso, è necessario affermare che l’Apostolo Paolo non ha detto nulla nei suoi scritti che non fosse perfettamente conforme all’ignoranza del tempo della Parusia che Cristo stesso ha dichiarato essere propria degli uomini? Risposta: Sì.
3630. Domanda 3: Se consideriamo attentamente la frase greca “noi che siamo vivi e rimaniamo”, se teniamo conto anche delle spiegazioni dei Padri ed in particolare di Giovanni Crisostomo, così esperto nella conoscenza della sua lingua madre e delle Rpistole di san Paolo, è lecito respingere come troppo lontana e priva di solido fondamento l’interpretazione tradizionale nelle scuole cattoliche (che peraltro gli stessi innovatori cinquecenteschi mantennero) che spiega le parole di san Paolo nel capitolo 4 della prima lettera ai Tessalonicesi, versetti 15-17, (1Ts 4,15-17), senza includervi l’affermazione di una Parusia così vicina che l’Apostolo pone se stesso e i suoi lettori tra i superstiti che andranno incontro a Cristo? Risposta: No.
Decreto del Sant’Uffizio del 29 marzo (8 aprile) 1916.
Rifiuto di immagini raffiguranti Maria con paramenti sacerdotali.
3632. Poiché, soprattutto negli ultimi tempi, sono state dipinte e diffuse immagini raffiguranti la Beata Vergine Maria in paramenti sacerdotali,… i cardinali… hanno deciso il 15 gennaio 1913: l’immagine della Beata Vergine Maria in paramenti sacerdotali deve essere respinta.
Risposta della Sacra Penitenzieria, 3 aprile 1916.
L’uso onanistico del matrimonio.
3634. Domanda: Può una moglie collaborare all’azione del marito che, per abbandonarsi alla voluttà, vuole commettere il crimine di Onan e dei Sodomiti e che la minaccia di morte o di gravi danni se non si adegua? Risposta: a) Se il marito vuole commettere il crimine di Onan nella consuetudine del Matrimonio, spargendo il seme al di fuori del recipiente dopo l’inizio dell’unione, e minaccia la moglie di morte o di gravi pene se non cede alla sua volontà perversa, secondo l’opinione di teologi provati e sperimentati, ella può in questo caso unirsi al marito in questo modo, poiché da parte sua si sta abbandonando ad una cosa e a un’azione lecita, ma permette il peccato del marito per un motivo serio che lo giustifichi; Infatti, l’amore con cui sarebbe tenuta a impedirlo non è vincolante quando è legato ad un tale danno. b) Ma se il marito vuole commettere con lei il crimine dei sodomiti, dato che questa unione sodomitica è un atto innaturale da parte di ciascuno dei coniugi che si uniscono in questo modo, e un atto gravemente malvagio secondo il giudizio di tutti i dottori, la moglie non può in questo caso cedere lecitamente al marito immorale per nessuna ragione, nemmeno per evitare la morte.
Risposta del Sant’Uffizio a vari Ordinari locali, 17 maggio 1916.
Gli ultimi Sacramenti per gli scismatici.
3635. Domanda 1: Si possono conferire questi Sacramenti, senza abiurare i propri errori, agli scismatici materiali che sono in punto di morte e che chiedono in buona fede l’assoluzione o l’estrema unzione? Risposta: No; al contrario, si richiede che rifiutino gli errori nel miglior modo possibile e che facciano una professione di fede.
3636. Domanda 2: L’assoluzione e l’Estrema Unzione possono essere conferite agli scismatici in punto di morte e privi di sensi? Risposta: Sì, condizionatamente, soprattutto se le circostanze permettono di ipotizzare che essi abbiano almeno implicitamente rigettato i loro errori, ma evitando efficacemente ogni scandalo, cioè facendo capire ai presenti che la Chiesa presume che all’ultimo momento essi siano tornati all’unità.
Risposta della Sacra Penitenzieria, 3 giugno 1916.
L’uso onanistico del matrimonio con mezzi artificiali.
3638. Domande: 1. Se il marito vuole usare uno strumento per praticare l’onanismo, la moglie è obbligata a opporsi positivamente?
3639. 2. Se la risposta è negativa per giustificare la resistenza passiva da parte della moglie, sono sufficienti ragioni dello stesso peso dell’onanismo naturale (senza strumento) o sono assolutamente necessarie ragioni di maggior peso?
3640 3. Se l’intero argomento deve essere sviluppato e insegnato in modo più sicuro, l’uomo che fa uso di tali strumenti deve davvero essere equiparato ad uno stupratore, al quale la donna deve quindi opporre la stessa resistenza di una vergine all’intruso? Risposte: Per 1. sì. – Per 2. Trattata al punto 1 – Per il punto 3. Sì.
Risposta del Sant’Uffizio, 24 aprile 1917.
Spiritismo.
3642. Domanda: È lecito assistere a colloqui o manifestazioni spiritiche, con un medium come si dice, o senza medium, con o senza l’uso dell’ipnotismo, anche quando queste sedute presentano un’apparenza di onestà e di pietà, interrogando le anime o gli spiriti, ascoltando la loro risposta, o semplicemente assistendo, anche protestando tacitamente o espressamente di non voler avere rapporti con gli spiriti maligni? Risposta (confermata dal Sommo Pontefice il 26 aprile): No su tutti i punti.
Decreto del Sant’Uffizio, 5 giugno 1918.
La scienza dell’anima di Cristo.
3645. Domanda: Si possono insegnare con certezza le seguenti proposizioni? 1) Non è certo che ci fosse nell’anima di Cristo, mentre viveva tra gli uomini, la conoscenza che i beati possiedono in visione.
3646. (2) Non si può dichiarare certa l’opinione che l’anima di Cristo non conoscesse nulla, ma che fin dall’inizio conoscesse tutte le cose del Verbo, passate, presenti e future, cioè tutto ciò che Dio conosce attraverso la scienza della visione.
3647. (3) La dottrina di alcuni moderni sulla scienza limitata dell’anima di Cristo non è meno accettabile nelle scuole cattoliche dell’opinione degli antichi sulla sua scienza universale.
Risposta (confermata dal Sommo Pontefice il 6 giugno): no.
Risposta del Sant’Uffizio, 16 (18) luglio 1919.
Dottrine teosofiche.
Domanda: Le dottrine che oggi si chiamano teosofiche possono essere messe d’accordo con la dottrina cattolica, ed è quindi lecito appartenere a società teosofiche, essere presenti alle loro riunioni e leggere i loro libri, riviste, giornali e scritti?
Risposta (confermata dal Sommo Pontefice il 17 luglio): no su tutti i punti.
Enciclica “Spiritus Paraclitus“, 15 settembre 1920.
L’ispirazione della Sacra Scrittura.
3650. Infatti, non si troverà pagina negli scritti del grandissimo dottore (Girolamo) da cui non emerga che con tutta la Chiesa Cattolica egli abbia fermamente e costantemente sostenuto che i libri scritti sotto l’ispirazione dello Spirito Santo hanno Dio come autore, e che come tali sono stati trasmessi alla Chiesa stessa (cf. 3006). Egli afferma, infatti, che i libri della Sacra Scrittura siano stati composti sotto l’ispirazione, o la suggestione o l’insinuazione, o addirittura sotto la dettatura dello Spirito Santo; inoltre, che è stato Lui a scriverli e a pubblicarli; e non dubita affatto che i vari autori, ciascuno secondo il proprio carattere ed il proprio ingegno, abbiano liberamente prestato il loro aiuto all’ispirazione divina. Così non solo afferma in modo generale ciò che è comune a tutti gli scrittori sacri, cioè che nello scrivere hanno seguito lo Spirito di Dio, in modo che Dio debba essere ritenuto la causa principale di ogni pensiero e di tutte le affermazioni della Scrittura, ma discerne anche con attenzione ciò che sia particolare per ciascuno. … Girolamo illustra questa comunanza di lavoro tra Dio e l’uomo in vista della realizzazione di una stessa opera paragonandola ad un operaio che, per realizzare un oggetto, si serve di un attrezzo o di uno strumento. …
PIO XI: 6 Febbraio 1922-10 febbraio 1939.
Decreto del Sant’Uffizio, 22 novembre 1922.
L’atto sessuale coitus interrumptus.
3660. Domande: 1 – È lecito che i confessori stessi insegnino la pratica dell’atto sessuale semicompleto e la raccomandino indistintamente a tutti i penitenti che temono di avere troppi figli?
3661. 2 – Deve essere biasimato il confessore che, dopo aver tentato invano tutti i rimedi per allontanare da questo male un penitente che abusa del Matrimonio, gli insegni a praticare l’atto sessuale a metà per evitare qualsiasi peccato mortale?
3662. (3) – Deve essere biasimato il confessore che, nelle circostanze descritte al punto (2), consigli al penitente di praticare l’atto sessuale semicompleto di cui è a conoscenza, o che, alla domanda se questa pratica sia lecita, risponda semplicemente che sia lecita, senza alcuna restrizione o spiegazione? Risposta (confermata dal Sommo Pontefice il 23 novembre): Per 1. no. – Per 2. e 3. Sì.
Enciclica “Studiorum ducem“, 29 giugno 1923.
L’autorità dell’insegnamento di Tommaso d’Aquino.
3665. Da parte Nostra, ordiniamo che le prescrizioni dei Nostri predecessori, in particolare Leone XIII e Pio X, nonché le direttive da Noi impartite l’anno scorso, (cf. 3139; 3601) siano attentamente meditate e scrupolosamente osservate da tutti coloro che occupano specialmente le cattedre più importanti nelle scuole clericali. Siano però convinti di adempiere al loro ufficio e di rispondere alle nostre aspettative se, dopo essersi fatti ferventi discepoli del santo Dottore con uno studio diligente ed approfondito dei suoi scritti, comunichino ai loro alunni il fervore di questo amore commentando il Dottore, e li rendano capaci di suscitare lo stesso zelo negli altri.
3666. Certamente speriamo che tra coloro che venerano San Tommaso – come dovrebbero fare tutti i figli della Chiesa che si dedicano ai migliori studi – ci sia quella nobile emulazione, rispettosa di una giusta libertà, che favorisca il progresso della scienza, ma non la denigrazione, che non giova alla verità e che ha come unico risultato quello di sciogliere i legami della carità. Si attengano dunque tutti fedelmente a quanto prescrive il Codice di Diritto Canonico (CIS 1366 Par. 2), e cioè che “nello studio della filosofia razionale e della teologia, come pure nell’insegnamento di queste scienze agli alunni, i maestri seguano in tutto il metodo, la dottrina e i principi del Dottore Angelico, e si faranno un dovere di coscienza di aderirvi”; e tutti osserveranno questa regola, in modo da poterlo chiamare il loro maestro in tutta verità.
3667. Ma nessuno pretenda da un altro più di quanto la Chiesa, madre e maestra di tutti, pretenda da tutti; e nelle questioni su cui i migliori scrittori delle scuole cattoliche sono soliti disputare secondo opinioni contrarie, nessuno deve essere impedito di seguire l’opinione che gli sembri più probabile.
Lettera apostolica “Infinita Dei misericordia“, 29 maggio 1924.
La rinascita dei meriti e dei doni.
3670. Durante l’anno sabbatico, gli Ebrei recuperavano i beni che avevano alienato e tornavano “alla loro proprietà”; gli schiavi riacquistavano la libertà e tornavano “alla loro famiglia d’origine” (Lv XXV,10); e i debitori ricevevano la remissione del debito: ora tutto questo avviene e si verifica presso di noi in modo ancora più abbondante nell’anno del perdono. Infatti, chi durante il Giubileo si attiene alle prescrizioni della Sede Apostolica con cuore contrito, recupera tutti i meriti e le grazie che il peccato gli ha fatto perdere; e viene liberato dalla crudele tirannia di satana per poter godere nuovamente della libertà “con la quale Cristo ci ha liberati” (Ga IV,31); infine, grazie all’applicazione dei sovrabbondanti meriti di Gesù Cristo, della Beata Vergine Maria e dei Santi, viene pienamente esonerato da tutte le pene subite per le sue colpe e mancanze.
Decreto della Sacra Congregazione del Concilio, 13 giugno 1925.
Quasi-duelli conosciuti come Bestimmungs-Mensuren.
3672. Domanda: Le dichiarazioni della Sacra Congregazione del Concilio del 1890 (9 agosto) e del 1923 (10 febbraio), con le quali i duelli studenteschi in uso nelle università tedesche e chiamati Bestimmungs-Mensuren sono punibili con sanzioni ecclesiastiche, riguardano – secondo l’opinione di alcuni autori recenti – solo i duelli in cui si combatte con il pericolo di ferite molto gravi, o comprendono anche quelli che si svolgono senza pericolo di ferite gravi?
Risposta (approvata dal Sommo Pontefice il 20 giugno): No al primo punto, sì al secondo.
Enciclica “Quas primas“, 11 dicembre 1925.
La dignità ed il potere regale di Cristo uomo.
3675. Che Cristo sia chiamato “Re” in senso metaforico, per quell’alto grado di eccellenza con cui si distingue tra tutte le creature e le supera, è un’usanza che è sempre esistita ed è comune. Così si dice che egli regni sulle menti degli uomini…, e anche sulle volontà degli uomini… . Infine, Cristo è riconosciuto come il Re dei cuori… Tuttavia, per approfondire il nostro argomento, non c’è nessuno che non veda che il nome ed il potere di un re, nel senso proprio del termine, debbano essere attribuiti a Cristo nella sua umanità; infatti, è solo in quanto uomo che si può dire che abbia ricevuto potere e onore dal Padre.., poiché il Verbo di Dio, in quanto della stessa sostanza del Padre, non può non avere tutto in comune con il Padre, e quindi anche la sovranità suprema e più assoluta su tutte le creature. (Si dimostra poi dalle Scritture che Cristo sia Re; si fa riferimento in particolare a Num 24,19 Sal II, Sal XLIV,7; Sal LXXI,7 ss. Is 9,6 Ger XXIII,5 ss. Zac IX,9 Lc 1,32 ss.
3676. Quanto al fondamento di questa dignità e di questo potere, è felicemente indicato da Cirillo di Alessandria: “Per dirla in una parola, la sovranità che Egli possiede su tutte le creature, non l’ha presa con la forza, non l’ha ricevuta da una mano estranea, ma l’ha avuta per la sua essenza e per la sua natura”; la sua preminenza riposa infatti su questa mirabile unione che è chiamata ipostatica. Ne consegue non solo che Cristo debba essere adorato dagli Angeli e dagli uomini in quanto Dio, ma anche che gli Angeli e gli uomini debbano obbedire alla sua autorità ed essergli sottomessi in quanto uomo, perché solo in virtù dell’unione ipostatica Cristo ha potere su tutte le creature. Ma cosa c’è di più delizioso e soave per i nostri pensieri di questo: che Cristo regni su di noi non solo per diritto di nascita, ma anche per diritto acquisito, cioè perché ci ha redenti (cf. 3352)? Che tutti gli uomini smemorati ricordino quale prezzo siamo costati al nostro Salvatore: “Non siete stati infatti riscattati con oro e argento corruttibili… ma con il sangue prezioso di Cristo, come di un agnello senza macchia né difetto” (1P 1,18ss). Non apparteniamo più a noi stessi, poiché Cristo ci ha riscattati “a caro prezzo” (1Co VI:20) ; i nostri corpi stessi “sono membra di Cristo” (1Co IV: 15).
3677. Ma per spiegare brevemente il significato e la natura di questa regalità, è quasi superfluo dire che essa consista in un triplice potere, senza il quale la regalità sarebbe difficile da concepire. … Dobbiamo credere nella fede cattolica che Cristo Gesù sia stato dato agli uomini come il Redentore a cui debbano prestare fede, e allo stesso tempo come il Legislatore a cui debbano obbedire (cf. 1571). I Vangeli, tuttavia, non lo mostrano come Colui che abbia emanato leggi, ma piuttosto come il Legislatore. … – Quanto al potere giudiziario ricevuto dal Padre, Gesù stesso disse ai Giudei che lo accusavano di aver violato il riposo del sabato guarendo miracolosamente un malato: “Il Padre non giudica nessuno, ma ha dato ogni giudizio al Figlio” (Gv V,22). In questo si comprende anche – perché non possa essere separato dal giudizio – che Egli ha il pieno diritto di distribuire premi e castighi agli uomini, anche durante la loro vita. D’altra parte, è necessario attribuire a Cristo anche questo potere che viene chiamato esecutivo, poiché è necessario che tutti obbediscano al suo impero, con le punizioni che si dice saranno inflitte a coloro che si ribellano, e alle quali nessuno potrà sfuggire.
3678. Tuttavia, questo regno è principalmente spirituale e si estende alle realtà spirituali, come dimostrano chiaramente le parole della Scrittura che abbiamo riportato sopra, e come dimostra anche Cristo Signore nel modo in cui agisce. Infatti, non solo in un’occasione, quando i Giudei e persino gli stessi Apostoli pensavano che il Messia avrebbe condotto il popolo alla libertà e restaurato il regno di Israele, egli stesso eliminò e distrusse questa illusione e questa speranza. Quando stava per essere proclamato re dalla folla di ammiratori che lo circondava, rifiutò sia il titolo che l’onore andandosene e nascondendosi; davanti al governatore romano dichiarò di nuovo che il suo regno non fosse “di questo mondo” (Gv XVIII,36). I Vangeli ci presentano questo regno come un regno in cui ci si prepari ad entrare facendo penitenza, ed in cui nessuno possa entrare se non attraverso la fede ed il Battesimo, che, pur essendo un rito esterno, rappresenta e realizza una rigenerazione interiore. Si oppone unicamente al regno di satana ed al potere delle tenebre, ed ai suoi seguaci viene chiesto non solo di staccare il cuore dalle ricchezze e dai beni terreni, di praticare la mitezza e di avere fame e sete di giustizia, ma anche di rinunciare a se stessi e di prendere la propria croce. Ma poiché Cristo, come Redentore, ha acquistato la Chiesa con il suo sangue, e poiché come Dacerdote è offerto e si offre perennemente come vittima per i peccati, chi non vede che la stessa carica regale assuma la natura di questi due uffici e vi partecipi?
3679. Inoltre, sarebbe un errore ignominioso negare a Cristo uomo qualsiasi sovranità sulle società civili, poiché Egli ha dal Padre il diritto più assoluto sulle creature, dato che tutte le cose sono sotto il suo giudizio. Tuttavia, finché è vissuto sulla terra, si è astenuto completamente dall’esercitare questo dominio, e come allora ha disdegnato il possesso e la cura dei beni umani, così oggi li ha permessi e li permette a chi li possiede. Il che è detto nel modo più bello in questo detto: “Non rapisce regni mortali, Colui che dà regni eterni”. Perciò l’impero del nostro Redentore abbraccia l’intera umanità; a questo proposito facciamo volentieri nostre le parole del nostro predecessore di immortale memoria: “Manifestamente il suo impero non si estende solo alle nazioni che portano il nome di cattoliche, o a coloro che, essendo stati battezzati, appartengono alla Chiesa se consideriamo la legge, anche se l’errore delle loro opinioni li porti fuori strada da essa, o se il dissenso li separi dalla carità; ma abbraccia anche tutti coloro che sono considerati fuori dalla fede cristiana, in modo che è in stretta verità l’universalità del genere umano che è soggetto al potere di Gesù Cristo” (cf. 3350). E a questo proposito non c’è bisogno di fare alcuna differenza tra le diverse comunità domestiche o civili, perché gli uomini riuniti in società non sono meno soggetti al potere di Cristo dei singoli individui. Lo stesso Cristo è la fonte della salvezza sia privata che comune: “Non c’è salvezza in nessun altro e non è stato dato agli uomini nessun altro nome sotto il cielo che si debba invocare per essere salvati” (At IV,12).
Istruzione del Sant’Uffizio, 19 giugno 1926.
Cremazione dei corpi.
3680. Poiché vi sono molti, anche tra i Cattolici, che non esitano a celebrare questa barbara usanza che ripugna non solo alla pietà cristiana, ma anche a quella naturale verso i corpi dei defunti, e che la Chiesa, fin dall’inizio, ha costantemente proscritto, come uno dei più lodevoli vantaggi che dobbiamo al progresso civile di oggi, come si dice, e alla conoscenza della protezione della salute,… (i fedeli devono essere avvertiti) che questa cremazione dei cadaveri è lodata e propagata dai nemici del nome cristiano al solo scopo di allontanare gradualmente le menti dalla mediazione della morte, di privarle della speranza nella resurrezione dei morti e di preparare così la strada al materialismo. Di conseguenza, sebbene la cremazione dei cadaveri non sia in sé assolutamente malvagia, e sebbene in alcune circostanze straordinarie, per gravi e consolidate ragioni di interesse pubblico, possa essere autorizzata, e di fatto lo è, non è meno evidente che la sua pratica comune e in qualche modo sistematica, così come la propaganda a suo favore, costituiscono atti empi e scandalosi, e sono quindi gravemente illeciti.
Dichiarazione del Sant’Uffizio, 2 giugno 1927.
Il “Comma Johanneum“
3681. Domanda Si può negare o almeno dubitare con certezza dell’autenticità del testo di San Giovanni nella prima epistola, capitolo 5, versetto 7, che dice: “Tre infatti sono i testimoni nei cieli: il Padre, il Verbo e lo Spirito Santo, e questi tre sono uno”? (1Gv V,7) Il 13 gennaio 1897, il Sant’Uffizio ha dato la seguente risposta alla domanda: No. Nella dichiarazione del 2 giugno 1927, il Sant’Uffizio ha affrontato nuovamente la questione:
3682. Questo decreto è stato dato per frenare l’audacia dei dottori privati che si arrogano il diritto o di rifiutare completamente l’autenticità del Comma Johanneum, o almeno di metterlo in dubbio con il loro ultimo giudizio. Tuttavia, non intendeva in alcun modo impedire agli autori cattolici di approfondire la questione e, dopo aver soppesato attentamente le argomentazioni con la misura e con la gravità che la questione richiede, possano propendere per una concezione contraria all’autenticità, purché almeno si riconoscano disposti a conformarsi al giudizio della Chiesa, che ha ricevuto da Cristo il mandato non solo di interpretare la Sacra Scrittura, ma anche di custodirla fedelmente.
Lett.Encycl. “Mortalium animos”. 6 genn. 1928.
3683. … inoltre in materia di fede, non è lecito ricorrere a quella differenza che si volle introdurre tra articoli fondamentali e non fondamentali, quasi che i primi si debbano da tutti ammettere e i secondi invece siano lasciati liberi all’accettazione dei fedeli. La virtù soprannaturale della fede, avendo per causa formale l’autorità di Dio rivelante, non permette tale distinzione. Sicché tutti i cristiani prestano, per esempio, al dogma della Immacolata Concezione la stessa fede che al mistero dell’Augusta Trinità, e credono all’Incarnazione del Verbo non altrimenti che al Magistero infallibile del Romano Pontefice, nel senso, naturalmente, determinato dal Concilio Ecumenico Vaticano. Né per essere state queste verità con solenne decreto della Chiesa definitivamente determinate, quali in un tempo quali in un altro, anche se a noi vicino, sono perciò meno certe e meno credibili? Non le ha tutte rivelate Iddio? Il Magistero della Chiesa — che per divina Provvidenza fu stabilito nel mondo affinché le verità rivelate si conservassero sempre incolumi, e facilmente e con sicurezza giungessero a conoscenza degli uomini, — benché quotidianamente si eserciti dal Romano Pontefice e dai Vescovi in comunione con lui, ha però l’ufficio di procedere opportunamente alla definizione di qualche punto con riti e decreti solenni, se accada di doversi opporre più efficacemente agli errori e agli assalti degli eretici, oppure d’imprimere nelle menti dei fedeli punti di sacra dottrina più chiaramente e profondamente spiegati. Però con questo uso straordinario del Magistero non si introducono invenzioni né si aggiunge alcunché di nuovo al complesso delle dottrine che, almeno implicitamente, sono contenute nel deposito della Rivelazione divinamente affidato alla Chiesa, ma si dichiarano i punti che a parecchi forse ancora potrebbero sembrare oscuri, o si stabiliscono come materia di fede verità che prima da taluno si reputavano controverse.
Decr. del Sant’Uffizio, 24 luglio (2 agosto) 1929.
Masturbazione diretta.
3684. È lecita la masturbazione provocata direttamente per ottenere lo sperma e quindi individuare la malattia contagiosa chiamata “blenorragia” e curarla per quanto possibile? – Risposta (confermata dal Sommo Pontefice il 26 luglio) No.
Let. Encycl. “Divini illius magistri”, 31 dic. 1929.
3685. [Dz 2202]. Poiché ogni metodo di educazione mira a quella formazione dell’uomo che egli deve acquisire in questa vita mortale, per raggiungere il fine ultimo a lui destinato dal Creatore, è evidente che non può chiamarsi veramente tale nessuna educazione che non sia interamente ordinata a questo fine ultimo, nell’ordine attuale delle cose stabilito dalla provvidenza di Dio, cioè dopo che Egli si è rivelato nel suo Unigenito, che solo è “la via, la verità e la vita” (Gv XIV,6), non può esistere un’educazione piena e perfetta se non quella che si chiama cristiana. . . .
3685. [Dz 2203] Il compito di educare non appartiene ai singoli uomini, ma necessariamente alla società. Ora, le società necessarie sono tre, distinte l’una dall’altra, ma armoniosamente combinate per volontà di Dio, alle quali l’uomo è assegnato fin dalla nascita; di queste, due, cioè la famiglia e la società civile, sono di ordine naturale; la terza, la Chiesa, per intenderci, è di ordine soprannaturale. La vita familiare occupa il primo posto e, poiché è stata istituita e preparata da Dio stesso per questo scopo, per prendersi cura della generazione e dell’educazione della prole, per sua natura e per i suoi diritti intrinseci ha la priorità sulla società civile. Tuttavia, la famiglia è una società imperfetta, perché non è dotata di tutte quelle cose con cui può raggiungere perfettamente il suo nobilissimo scopo; ma l’associazione civile, poiché ha in suo potere tutte le cose necessarie per raggiungere il fine a cui è destinata, cioè il bene comune di questa vita terrena, è una società assoluta sotto tutti i punti di vista e perfetta; per questo stesso motivo, quindi, è preminente rispetto alla vita familiare, che in effetti può realizzare il suo scopo in modo sicuro e corretto solo nella società civile. Infine, la terza società, in cui l’uomo con le acque del Battesimo entra in una vita di grazia divina, è la Chiesa, sicuramente una società soprannaturale che abbraccia tutto il genere umano; perfetta in se stessa, poiché tutte le cose sono a sua disposizione per raggiungere il suo fine, cioè la salvezza eterna dell’uomo, e quindi suprema nel suo stesso ordine. – Di conseguenza, l’educazione, che si occupa di tutto l’uomo, dell’uomo individualmente e come membro della società umana, sia essa stabilita nell’ordine della natura o nell’ordine della grazia divina, riguarda queste tre società necessarie, in modo armonioso secondo il fine proprio di ciascuna, in proporzione all’ordine attuale divinamente stabilito.
3686. [Dz 2204]. Ma in primo luogo, in modo più preminente, l’educazione spetta alla Chiesa, cioè per un duplice titolo nell’ordine soprannaturale che Dio ha conferito a lei sola; e quindi con un titolo del tutto più potente e più valido di qualsiasi altro titolo dell’ordine naturale. – La prima ragione di tale diritto risiede nella suprema autorità del Magistero e nella missione che il divino Fondatore della Chiesa le ha conferito con queste parole: “A me è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque ad insegnare… fino alla consumazione del mondo” (Mt XXVIII,18-20). A questo Magistero Cristo Signore ha conferito l’immunità dall’errore, insieme al comando di insegnare a tutti la Sua dottrina; pertanto, la Chiesa “è stata istituita dal suo divino Fondatore come colonna e fondamento della verità, per insegnare a tutti gli uomini la fede divina, per custodire integro e inviolato il deposito che le è stato dato, e per dirigere e modellare gli uomini nelle loro azioni pubbliche e private verso la purezza dei costumi e l’integrità della vita, secondo la norma della dottrina rivelata”. * – La seconda ragione del diritto deriva da quel dovere soprannaturale di madre, con il quale la Chiesa, purissima sposa di Cristo, dona agli uomini una vita di grazia divina, e la nutre e promuove con i suoi Sacramenti e precetti. Degnamente, quindi, Sant’Agostino dice: “Non avrà Dio come padre chi non sarà disposto ad avere la Chiesa come madre”. *
3687. [Dz 2205] Perciò la Chiesa promuove le lettere, le scienze e le arti, nella misura in cui sono necessarie o utili all’educazione cristiana e a tutte le sue attività per la salvezza delle anime, fondando e sostenendo le sue scuole e istituzioni, nelle quali si insegna ogni disciplina e ci si avvicina a tutti i gradi dell’erudizione. E non si deve pensare che la cosiddetta educazione fisica sia estranea al suo Magistero materno, poiché anch’essa ha la capacità di giovare o nuocere all’educazione cristiana. – E questa azione della Chiesa in ogni tipo di cultura della mente, così come è di altissimo beneficio per le famiglie e le nazioni che, allontanate da Cristo, corrono verso la distruzione, – come dice giustamente Ilario: “Cosa può essere così pericoloso per il mondo come non aver accettato Cristo?”. *—La Chiesa, infatti, come madre prudentissima, non impedisce affatto che le sue scuole e le sue istituzioni, in ogni nazione, che educano i laici, si conformino alle leggi prescritte dalle autorità, ma è pronta in ogni modo a collaborare con le autorità e, se per caso dovessero sorgere delle difficoltà, a scioglierle con una reciproca intesa.
3688. Inoltre, è diritto della Chiesa, che non può cedere, e dovere che non può abbandonare, di vigilare su tutta l’educazione che viene impartita ai suoi figli, cioè ai fedeli, sia nelle istituzioni pubbliche che in quelle private, non solo per quanto riguarda la dottrina religiosa che vi viene insegnata, ma anche per quanto riguarda ogni altra disciplina o disposizione di affari, secondo che abbiano qualche relazione con la Religione e i precetti morali. *
3689. [Dz 2206] I diritti della famiglia e dello Stato, persino gli stessi diritti che appartengono ai singoli cittadini in riferimento alla giusta libertà di investigare le cose della scienza e dei metodi della scienza, e di ogni cultura profana della mente, non solo non sono in contrasto con tale diritto speciale della Chiesa, ma sono addirittura in armonia con esso. Infatti, per far conoscere subito la causa e l’origine di tale concordia, l’ordine soprannaturale, da cui dipendono i diritti della Chiesa, lungi dal distruggere e indebolire l’ordine naturale, a cui appartengono gli altri diritti che abbiamo menzionato, piuttosto lo eleva e lo perfeziona; infatti, di questi ordini uno fornisce l’aiuto e, per così dire, il complemento all’altro, coerentemente con la natura e la dignità di ciascuno, poiché entrambi procedono da Dio, che non può essere incoerente con se stesso: “Le opere di Dio sono perfette e tutte le sue vie sono giudizio” (Dt XXXII,4). – In effetti, la questione apparirà più chiara se consideriamo separatamente e più da vicino il dovere di educare, che riguarda la famiglia e lo Stato.
3690. [Dz 2207] E, in primo luogo, il dovere della famiglia concorda meravigliosamente con il dovere della Chiesa, poiché entrambi procedono in modo molto simile da Dio. Infatti Dio comunica direttamente alla famiglia la fecondità, nell’ordine naturale, il principio della vita e quindi il principio dell’educazione alla vita, insieme all’autorità, che è il principio dell’ordine. – A questo proposito il Dottore Angelico, con la consueta chiarezza di pensiero e precisione nel parlare, dice: “Il padre secondo la carne partecipa in modo particolare al metodo del principio che si trova universalmente in Dio. . . Il padre è il principio della generazione e dell’educazione, e di tutte le cose che riguardano la perfezione della vita umana”. La famiglia, dunque, detiene direttamente dal Creatore il dovere ed il diritto di educare la propria prole; e poiché questo diritto non può essere messo da parte, perché è connesso ad un obbligo molto grave, ha la precedenza su qualsiasi diritto della società civile e dello Stato, e per questo nessun potere sulla terra può infrangerlo. . . .
3691. [Dz 2208] Da questo dovere di educare, che appartiene in modo particolare alla Chiesa ed alla famiglia, non solo derivano i maggiori vantaggi, come abbiamo visto, per tutta la società, ma non possono essere lesi i veri e propri diritti dello Stato, per quanto riguarda l’educazione dei cittadini, secondo l’ordine stabilito da Dio. Questi diritti sono assegnati alla società civile dallo stesso Autore della natura, non per diritto di paternità, come per la Chiesa e la famiglia, ma per l’autorità che è in Lui di promuovere il bene comune sulla terra, che è appunto il suo fine.
3692. [Dz 2209] Da ciò consegue che l’educazione non appartiene alla società civile nello stesso modo in cui appartiene alla Chiesa o alla famiglia, ma chiaramente in un altro modo, che corrisponde naturalmente al suo fine proprio. Questo fine, inoltre, cioè il bene comune dell’ordine temporale, consiste nella pace e nella sicurezza, di cui godono le famiglie ed i singoli cittadini esercitando i loro diritti; e allo stesso tempo nella massima abbondanza possibile di cose spirituali e temporali per la vita mortale, abbondanza che deve essere raggiunta con lo sforzo ed il consenso di tutti. Il dovere dell’autorità civile, che è nello Stato, è dunque duplice: custodire e far progredire, ma in nessun modo assorbire la famiglia ed i singoli cittadini o sostituirsi ad essi.
3693. Pertanto, per quanto riguarda l’educazione, è diritto o, per meglio dire, compito dello Stato tutelare con le sue leggi il diritto prioritario della famiglia, come abbiamo detto sopra; cioè, di educare la prole in modo cristiano, e quindi di riconoscere il diritto soprannaturale della Chiesa in tale educazione cristiana. – Lo Stato ha anche il dovere di tutelare questo diritto nel bambino stesso, se in qualsiasi momento le cure dei genitori – a causa della loro inerzia, ignoranza o cattiva condotta – vengano meno fisicamente o moralmente; poiché il loro diritto di educare, come abbiamo detto sopra, non è assoluto e dispotico, ma dipendente dalla legge naturale e divina, e per questo soggetto non solo all’autorità ed al giudizio della Chiesa, ma anche alla vigilanza ed alla cura dello Stato per il bene comune; perché la famiglia non è una società perfetta, che possiede in sé tutto ciò che è necessario per portarsi alla piena e completa perfezione. In questi casi, altrimenti molto rari, lo Stato si mette al posto della famiglia, ma, sempre nel rispetto dei diritti naturali del bambino e dei diritti soprannaturali della Chiesa, considera e provvede alle necessità del momento con un’opportuna assistenza.
3694. [Dz 2210] In generale, è diritto e dovere dello Stato vigilare sull’educazione morale e religiosa della gioventù secondo le norme della retta ragione e della fede, rimuovendo gli impedimenti pubblici che vi si oppongono. Ma è soprattutto dovere dello Stato, come esige il bene comune, promuovere l’educazione e l’istruzione della gioventù in diversi modi; in primo luogo e da solo, favorendo e aiutando l’opera intrapresa dalla Chiesa e dalla famiglia, il cui successo è dimostrato dalla storia e dall’esperienza; laddove quest’opera manca o non è sufficiente, svolgendola in prima persona, anche con la creazione di scuole e istituti; perché lo Stato, più delle altre società, abbonda di risorse che, essendogli state date per i bisogni comuni di tutti, è giusto ed opportuno che le spenda a beneficio di coloro da cui le ha ricevute. Inoltre, lo Stato può prescrivere e poi fare in modo che tutti i cittadini apprendano i doveri civili e politici; anche che vengano istruiti nelle scienze e nell’apprendimento della morale e della cultura fisica, nella misura in cui sia opportuno e il bene comune ai nostri tempi lo richieda. Tuttavia, è chiaro che lo Stato è tenuto a rispettare, pur promuovendo l’istruzione pubblica e privata in tutti questi modi, i diritti intrinseci della Chiesa e della famiglia ad un’educazione cristiana, ma anche ad avere riguardo per la giustizia che attribuisce a ciascuno il proprio. Pertanto, non è lecito che lo Stato riduca a sé l’intero controllo dell’educazione e dell’istruzione, in modo che le famiglie siano costrette fisicamente e moralmente a mandare i loro figli alle scuole dello Stato, contrariamente ai doveri della loro coscienza cristiana od alla loro legittima preferenza.
3695. Tuttavia, ciò non impedisce allo Stato di istituire scuole che possano essere definite preparatorie per i doveri civici, specialmente per il servizio militare, per la corretta amministrazione del governo o per il mantenimento della pace in patria e all’estero; tutte attività che, essendo così necessarie per il bene comune, richiedono una particolare competenza e una speciale preparazione, purché lo Stato si astenga dall’offendere i diritti della Chiesa e della famiglia nelle questioni che li riguardano.
3696. [Dz 2211] Spetta alla società civile fornire, non solo alla gioventù, ma anche a tutte le età e a tutte le classi, un’educazione che si può chiamare civica, e che consiste, in positivo, come si dice, nel fatto che le questioni siano presentate pubblicamente agli uomini che appartengono a tale società, i quali, impregnando le loro menti con la conoscenza e l’immagine delle cose, e con un appello emotivo, spingano le loro volontà verso l’onorevole e le guidano con una sorta di costrizione morale; ma in negativo, nel fatto che essa protegge e ostacola le cose che vi si oppongono. Ora, questa educazione civica, così ampia e complessa da includere quasi l’intera attività dello Stato per il bene comune, deve essere conforme alle leggi della giustizia e non può essere in contrasto con la dottrina della Chiesa, che è la maestra divinamente costituita di queste leggi.
[Dz 2212]. Non bisogna mai dimenticare che nel senso cristiano l’uomo intero deve essere educato, grande com’è, cioè riunito in una sola natura, attraverso lo spirito e il corpo, e istruito in tutte le parti della sua anima e del suo corpo, che procedono dalla natura o la superano, come finalmente lo riconosciamo dalla retta ragione e dalla rivelazione divina, cioè l’uomo che, decaduto dalla sua condizione originaria, Cristo ha redento e restituito a questa dignità soprannaturale, per essere figlio adottivo di Dio, ma senza i privilegi preternaturali grazie ai quali il suo corpo era prima immortale e la sua anima giusta e sana. Per questo motivo, è accaduto che i difetti che sono confluiti nella natura dell’uomo dal peccato di Adamo, in particolare l’infermità della volontà e i desideri sfrenati dell’anima, sopravvivono nell’uomo. – E, certamente, “la follia è legata al cuore del bambino e la verga della correzione la scaccerà” ( Pr XXII,15). Pertanto, fin dall’infanzia l’inclinazione della volontà, se perversa, deve essere frenata; ma se buona, deve essere promossa, e soprattutto le menti dei bambini devono essere impregnate degli insegnamenti che vengono da Dio, e le loro anime rafforzate dagli aiuti della grazia divina; e, se questi venissero a mancare, nessuno potrebbe essere frenato nei suoi desideri né guidato alla completa perfezione dalla formazione e dall’istruzione della Chiesa, che Cristo ha dotato della dottrina celeste e dei divini Sacramenti per essere l’efficace maestra di tutti gli uomini.
[Dz 2213]. Pertanto, ogni forma di insegnamento ai bambini che, limitandosi alle sole forze della natura, rifiuta o trascura le questioni che contribuiscono, con l’aiuto di Dio, alla giusta formazione della vita cristiana, è falsa e piena di errori; ed ogni modo e metodo di educazione della gioventù che non tenga conto, o lo faccia a malapena, della trasmissione del peccato originale dai nostri primi genitori a tutti i posteri, e quindi si affida interamente alle sole forze della natura, si allontana completamente dalla verità. La maggior parte dei sistemi di insegnamento che vengono apertamente proclamati ai nostri giorni tendono a questo obiettivo. Hanno vari nomi, a dire il vero, ma la loro caratteristica principale è quella di basare quasi tutta l’istruzione sul fatto che sia giusto che i bambini si istruiscano da soli, evidentemente con il proprio genio e la propria volontà, ignorando i consigli degli anziani e degli insegnanti e mettendo da parte ogni legge e risorsa umana e persino divina. Tuttavia, se tutti questi aspetti sono così circoscritti dai loro stessi limiti che i nuovi maestri di questo tipo desiderano che anche i giovani prendano parte attiva alla loro istruzione, tanto più correttamente quanto più avanzano negli anni e nella conoscenza delle cose, e allo stesso modo che tutta la forza e la severità, di cui, tuttavia, la giusta correzione non fa assolutamente parte, questo è vero, ma non è affatto nuovo, poiché la Chiesa lo ha insegnato e i maestri cristiani, in modo tramandato dai loro antenati, lo hanno mantenuto, imitando Dio che ha voluto che tutte le cose create e soprattutto tutti gli uomini cooperassero attivamente con Lui secondo la loro natura, poiché la Sapienza divina “giunge da un capo all’altro e ordina tutte le cose con dolcezza” (Sg VIII,1). . . .
3697. [Dz 2214] Ma molto più perniciose sono quelle opinioni e quegli insegnamenti che riguardano il seguire assolutamente la natura come guida. Questi entrano in una certa fase dell’educazione umana che è piena di difficoltà, cioè quella che ha a che fare con l’integrità morale e la castità. Infatti, qua e là molti sostengono e promuovono stoltamente e pericolosamente il metodo di educazione che viene disgustosamente chiamato “sessuale”, poiché pensano stupidamente di poter mettere in guardia i giovani dalla sensualità e dall’eccesso con mezzi puramente naturali, dopo aver scartato ogni aiuto religioso e pio, iniziandoli e istruendoli tutti, senza distinzione di sesso, anche pubblicamente, in dottrine pericolose; e, quel che è peggio, esponendoli prematuramente alle occasioni, affinché le loro menti, abituate, come dicono, si induriscano ai pericoli della pubertà. – Ma in questo sbagliano gravemente, perché non tengono conto della debolezza innata della natura umana e di quella legge piantata nelle nostre membra che, per usare le parole dell’Apostolo Paolo, “combatte contro la legge della mia mente” (Rm VII,23); e inoltre negano avventatamente ciò che abbiamo imparato dall’esperienza quotidiana, ossia che i giovani certamente più degli altri cadono più spesso in azioni disdicevoli, non tanto a causa di una conoscenza imperfetta dell’intelletto, quanto a causa di una volontà esposta alle lusinghe e non sostenuta dall’assistenza divina. – In questa materia estremamente delicata, tutto sommato, se alcuni giovani devono essere consigliati al momento opportuno da coloro ai quali Dio ha affidato il compito, unito alle grazie opportune, di educare i bambini, sicuramente si devono usare quelle precauzioni e abilità che sono ben note agli insegnanti cristiani.
3698. [Dz 2215] Sicuramente, altrettanto falso e dannoso per l’educazione cristiana è quel metodo di istruzione dei giovani che viene comunemente chiamato “coeducazione”. I due sessi sono stati istituiti dalla sapienza di Dio a questo scopo, affinché nella famiglia e nella società si completino a vicenda e si uniscano in ogni cosa; per questo motivo esiste una distinzione del corpo e dell’anima che li differenzia l’uno dall’altro, che di conseguenza deve essere mantenuta nell’educazione e nell’istruzione, o, piuttosto, dovrebbe essere favorita da una giusta distinzione e separazione, in accordo con l’età e le circostanze. Tali precetti, in accordo con quelli della prudenza cristiana, devono essere osservati al momento giusto e in modo opportuno non solo in tutte le scuole, soprattutto durante gli anni inquieti della giovinezza, da cui dipende interamente il modo di vivere per quasi tutta la vita futura, ma anche nei giochi e negli esercizi ginnici, in cui si deve prestare particolare attenzione alla modestia cristiana delle ragazze, in quanto è particolarmente sconveniente per loro esporsi ed esibirsi sotto gli occhi di tutti.
[Dz 2216] Ma per ottenere un’educazione perfetta bisogna fare in modo che tutte le condizioni che circondano i bambini durante la loro formazione corrispondano al fine proposto. – E sicuramente, per necessità di natura, l’ambiente del bambino per la sua corretta formazione deve essere considerato come la sua famiglia, istituita da Dio proprio a questo scopo. Perciò, infine, considereremo giustamente stabile e sicura l’istituzione che si riceve in una famiglia ben ordinata e ben disciplinata; e tanto più efficace e stabile quanto più i genitori e gli altri membri della famiglia si presentano ai figli come esempio di virtù.
[Dz 2217] Inoltre, per le debolezze della natura umana, resa più debole dal peccato ancestrale, Dio nella sua bontà ha fornito gli abbondanti aiuti della sua grazia e quell’abbondante assistenza che la Chiesa possiede per purificare le anime e per condurle alla santità; la Chiesa, diciamo, quella grande famiglia di Cristo, che è l’ambiente educativo più intimamente e armoniosamente connesso con le singole famiglie.
[Dz 2218] Poiché, tuttavia, le nuove generazioni dovevano essere istruite in tutte quelle arti e scienze grazie alle quali la società civile progredisce e fiorisce, e poiché la famiglia da sola non bastava a questo scopo, nacquero le scuole pubbliche; ma all’inizio – si noti bene – attraverso gli sforzi della Chiesa e della famiglia che lavoravano insieme, e solo molto più tardi attraverso gli sforzi dello Stato. Così le sedi e le scuole di apprendimento, se consideriamo la loro origine alla luce della storia, erano per loro natura un aiuto, per così dire, e quasi un complemento sia alla Chiesa che alla famiglia. Ne consegue che le scuole pubbliche non solo non possono essere in opposizione alla famiglia e alla Chiesa, ma devono sempre essere in armonia con entrambe, per quanto le circostanze lo permettano, in modo che questi tre elementi, cioè la scuola, la famiglia e la Chiesa, sembrino realizzare essenzialmente un unico santuario dell’educazione cristiana, a meno che non si voglia che la scuola si allontani dal suo chiaro scopo e si trasformi in una malattia e nella distruzione della gioventù.
[Dz 2219] Da ciò consegue necessariamente che attraverso le scuole dette neutrali o ludiche, l’intero fondamento dell’educazione cristiana viene distrutto e rovesciato, in quanto la Religione è stata completamente rimossa da esse. Ma non si tratta di scuole neutrali se non in apparenza, perché in realtà sono o saranno chiaramente ostili alla Religione. – È un compito lungo e non c’è bisogno di ripetere ciò che hanno dichiarato apertamente i Nostri predecessori, in particolare Pio IX e Leone XIII, durante i cui regni si verificò soprattutto la grave malattia di tale laicismo che invase le scuole pubbliche. Ripetiamo e confermiamo le loro dichiarazioni e anche le prescrizioni dei Sacri Canoni, secondo le quali ai giovani Cattolici è proibito frequentare per qualsiasi motivo le scuole neutre o miste, cioè quelle che Cattolici e non Cattolici frequentano per l’istruzione; ma sarà permesso frequentarle, purché a giudizio di un ordinario prudente, in certe condizioni di luogo e di tempo, si prendano speciali precauzioni. Non si può infatti tollerare una scuola (soprattutto se è l'”unica” scuola e tutti i bambini sono tenuti a frequentarla) in cui, sebbene i precetti della sacra dottrina siano insegnati separatamente ai Cattolici, i maestri non siano Cattolici, e che impartiscano ai bambini cattolici e non cattolici una conoscenza generale delle arti e delle lettere.
[Dz 2220] Perché, poiché l’insegnamento della Religione è impartito in una certa scuola (di solito con troppa parsimonia), tale scuola per questo motivo non soddisfa i diritti della Chiesa e della famiglia; né è così resa adatta alla frequenza degli alunni cattolici; Perché, affinché qualsiasi scuola sia all’altezza di questo, è necessario che tutta l’istruzione e la dottrina, l’intera organizzazione della scuola, cioè i suoi insegnanti, il piano di studi, i libri, in realtà, tutto ciò che riguarda qualsiasi ramo dell’apprendimento, sia così permeato e così forte nello spirito cristiano, sotto la guida e l’eterna vigilanza della Chiesa, che la Religione stessa costituisca sia la base che il fine dell’intero schema di istruzione; e questo non solo nelle scuole in cui si insegnano gli elementi dell’apprendimento, ma anche in quelle di studi superiori. “È necessario”, per usare le parole di Leone XIII, “non solo che la gioventù venga educata alla Religione in determinati momenti, ma che tutto il resto della sua istruzione sia pervaso da un sentimento religioso. Se questo manca, se questa sacra condizione non permea e non stimola le menti degli insegnanti e degli istruiti, si otterrà poco beneficio da qualsiasi apprendimento, e spesso ne seguirà un danno non piccolo “.
[Dz 2221] Inoltre, tutto ciò che viene fatto dai fedeli di Cristo per promuovere e proteggere la scuola cattolica per i loro figli, è senza dubbio un’opera religiosa, e quindi un dovere importantissimo dell'”Azione Cattolica”; di conseguenza, sono molto graditi al Nostro cuore paterno e degni di particolare lode tutti quei sodalizi che in molti luoghi si impegnano in modo speciale e con grande zelo in un’opera così essenziale. – Pertanto, sia proclamato in alto, ben notato e riconosciuto da tutti che i fedeli di Cristo, nel richiedere una scuola cattolica per i loro figli, non sono in nessun luogo del mondo colpevoli di un atto di dissenso politico, ma compiono un dovere religioso che la loro stessa coscienza richiede perentoriamente; e questi Cattolici non intendono sottrarre i loro figli alla formazione e allo spirito dello Stato, ma piuttosto formarli proprio a questo scopo, nel modo più perfetto e più adatto all’utilità della nazione, poiché un vero Cattolico, in effetti, ben istruito nell’insegnamento cattolico, è per questo stesso fatto il miglior cittadino, un sostenitore del suo paese e obbediente con una fede sincera all’autorità pubblica sotto qualsiasi forma legittima di governo.
[Dz 2222] La salutare efficienza delle scuole, inoltre, va attribuita non tanto alle buone leggi, quanto ai buoni insegnanti, che, ben preparati e ciascuno con una buona conoscenza della materia da insegnare agli studenti, veramente adorni delle qualità di mente e di spirito che il loro dovere più importante ovviamente richiede, brillano di un amore puro e divino per i giovani loro affidati, proprio come amano Gesù Cristo e la sua Chiesa, di cui sono i figli più amati, e proprio per questo hanno sinceramente a cuore il vero bene della famiglia e della patria. Perciò ci consoliamo molto e riconosciamo la bontà di Dio con cuore grato, quando vediamo che oltre agli uomini e alle donne delle comunità religiose che si dedicano all’insegnamento dei bambini e dei giovani, ci sono tanti ed eccellenti insegnanti laici di entrambi i sessi, e che questi – per il loro maggiore progresso spirituale si uniscono in associazioni e sodalizi spirituali, che vanno lodati e promossi come un nobile e forte aiuto all'”Azione Cattolica” – incuranti del proprio vantaggio, si dedicano strenuamente e incessantemente a quello che San Gregorio di Nazianzo chiama “il bene”. Gregorio di Nazianzo chiama “l’arte delle arti e la scienza delle scienze”, ossia la direzione e la formazione della gioventù. Tuttavia, poiché le parole del Maestro divino si applicano anche a loro: “La messe è molta, ma gli operai sono pochi” (Mt IX,37), questi insegnanti di educazione cristiana – la cui formazione dovrebbe essere di particolare interesse per i pastori d’anime e i superiori degli Ordini religiosi – esortiamo il Signore della messe con preghiere supplichevoli a fornire tali insegnanti in maggior numero.
[Dz 2223] Inoltre, l’educazione del bambino, in quanto “molle come la cera per essere plasmato nei vizi” in qualsiasi ambiente viva, deve essere diretta e sorvegliata rimuovendo le occasioni di male e fornendo opportunamente occasioni di bene nei momenti di rilassamento della mente e di godimento dei compagni, perché “le cattive comunicazioni corrompono i buoni costumi” (1Cor XV,33). – Tuttavia, la vigilanza e l’attenzione che abbiamo detto dovrebbero essere applicate non richiedono affatto che i giovani siano allontanati dalla frequentazione di uomini con i quali devono vivere la loro vita e che devono consultare per quanto riguarda la salvezza delle loro anime; ma solo che siano fortificati e rafforzati cristianamente – soprattutto oggi – contro gli allettamenti e gli errori del mondo, che, secondo le parole di Giovanni, sono interamente “concupiscenza della carne, concupiscenza degli occhi e orgoglio della vita” (1Gv II,16), in modo che, come scrisse Tertulliano dei primi Cristiani: “I nostri si mantengano come Cristiani che devono essere sempre partecipi del possesso del mondo, non del suo errore”.
[Dz 2224] L’educazione cristiana mira propriamente e immediatamente a fare dell’uomo un vero e perfetto cristiano cooperando con la grazia divina, cioè a plasmare e modellare Cristo stesso in coloro che sono rinati nel battesimo, secondo la chiara affermazione dell’Apostolo: “Figlioli miei, di cui sono di nuovo in travaglio, finché non sia formato Cristo in voi” (Ga IV,19). Infatti, il vero cristiano deve vivere una vita soprannaturale in Cristo: “Cristo è la nostra vita” (Col III,4), e manifestarla in tutte le sue azioni, “affinché la vita di Gesù si manifesti nella nostra carne mortale” (2Cor IV,11). – Per questo motivo, l’educazione cristiana abbraccia la totalità delle azioni umane, perché riguarda il funzionamento dei sensi e dello spirito, dell’intelletto e della morale, degli individui, della società domestica e civile, non per indebolirla, ma per elevarla, regolarla e perfezionarla, secondo l’esempio e l’insegnamento di Gesù Cristo. – Così il vero Cristiano, plasmato dall’educazione cristiana, non è altro che l’uomo soprannaturale che pensa, giudica e agisce costantemente e coerentemente secondo la retta ragione; ispirato soprannaturalmente dagli esempi e dagli insegnamenti di Gesù Cristo; cioè un uomo eccezionale per forza di carattere. Infatti, chi segue la propria inclinazione e agisce ostinatamente, intento ai propri desideri, non è un uomo di carattere forte; ma solo colui che segue i principi eterni della giustizia, come riconosce anche lo stesso ospite pagano quando loda l’uomo “giusto” insieme all'”uomo tenace di propositi”; ma queste idee di giustizia non possono essere pienamente rispettate se non si attribuisce a Dio ciò che gli spetta, come fa il vero Cristiano. – Il vero Cristiano, lungi dal rinunciare alle attività di questa vita e dal sopprimere i suoi talenti naturali, al contrario li promuove e li porta a perfezione, cooperando con la vita soprannaturale in modo tale da abbellire il modo naturale di vivere e da sostenerlo con aiuti più efficaci, che sono in accordo non solo con le cose spirituali ed eterne, ma anche con le necessità della vita naturale stessa.
Lett. Encycl. “Casti connubi”, 31 dic. 1930.
3700. [Dz 2225] In primo luogo, dunque, questo rimanga come base immutabile e inviolabile: il matrimonio non è stato istituito o restaurato dall’uomo, ma da Dio; non dall’uomo, ma dall’autore stesso della natura, Dio; e dal restauratore della stessa natura è stato fortificato, confermato ed elevato attraverso le leggi; e queste leggi, pertanto, non possono essere soggette ad alcuna decisione dell’uomo e nemmeno ad alcun accordo contrario da parte degli sposi stessi. Questa è una dottrina della Sacra Scrittura (Gen 1,27 s.; Gen 2,22 s.; Mt 19,3 s.; Eph V,23 s.); questa è la tradizione continua e unanime della Chiesa; questa è la solenne definizione del sacro Concilio di Trento, che dichiara e conferma [v. 24; cfr. n. 969 s.] che il vincolo perpetuo e indissolubile del matrimonio, l’unità e la stabilità dello stesso emanano da Dio come loro autore.
3701. Ma, sebbene il Matrimonio per sua natura sia stato istituito da Dio, tuttavia la volontà dell’uomo ha il suo ruolo, ed un ruolo nobilissimo in esso; infatti, ogni singolo Matrimonio, in quanto unione coniugale tra un certo uomo e una certa donna, nasce solo dal libero consenso di entrambi gli sposi, ed in effetti questo libero atto della volontà, con cui entrambe le parti si consegnano e accettano i diritti propri del Matrimonio, è così necessario per costituire un vero Matrimonio che non può essere fornito da alcun potere umano. Eppure tale libertà ha solo questo scopo, stabilire che i contraenti desiderano realmente contrarre Matrimonio e desiderano farlo o meno con una certa persona; ma la natura del Matrimonio è del tutto lontana dalla libertà dell’uomo, tanto che non appena l’uomo ha contratto matrimonio è soggetto alle sue leggi divine e alle sue proprietà essenziali. Il Dottore Angelico, infatti, parlando della buona fede nel Matrimonio e della prole, dice: “Queste cose sono talmente realizzate nel Matrimonio dal patto coniugale stesso che se nel consenso che lo costituisce fosse espresso qualcosa di contrario, non sarebbe un vero Matrimonio”. Con il Matrimonio, dunque, le anime sono unite e rese una cosa sola, e le anime sono influenzate prima e più fortemente dei corpi; non da un affetto transitorio dei sensi o dello spirito, ma da una decisione deliberata e ferma della volontà; e da questa unione delle anime, con il decreto di Dio, nasce un legame sacro ed inviolabile. – Questa natura del tutto propria e peculiare di questo contratto lo rende completamente diverso non solo dai legami degli animali eseguiti dal solo cieco istinto della natura, in cui non c’è ragione né libero arbitrio, ma anche da quelle unioni sfrenate degli uomini, che sono ben lontane da ogni vero e onorevole legame di volontà, e prive di qualsiasi diritto alla vita familiare.
3702. [Dz 2226] Da ciò risulta ormai assodato che l’autorità veramente legittima ha il potere per legge e quindi è costretta dal dovere a frenare, impedire e punire i Matrimoni infimi, che sono contrari alla ragione ed alla natura; ma poiché si tratta di una questione che si rifà alla stessa natura umana, non è meno assodato che il Nostro predecessore, Leone XIII, di felice memoria, ha chiaramente insegnato: * “Nella scelta dello stato di vita non c’è dubbio che è in potere e discrezione degli individui preferire una delle due cose: o adottare il consiglio di Gesù Cristo riguardo alla verginità, o legarsi con i vincoli del Matrimonio. Togliere il diritto naturale e primordiale del matrimonio, o in qualsiasi modo circoscrivere lo scopo principale del matrimonio stabilito all’inizio dall’autorità di Dio: “Crescete e moltiplicatevi” (Gen 1,28), non è in potere di alcuna legge dell’uomo”.
3703. [Dz 2227] Ora, mentre ci accingiamo a spiegare quali sono queste benedizioni, concesse da Dio, del vero Matrimonio, e quanto siano grandi, Venerabili Fratelli, ci vengono in mente le parole di quel famosissimo Dottore della Chiesa, che non molto tempo fa abbiamo commemorato nella nostra Lettera Enciclica, Ad Salutem, pubblicata al compimento del XV secolo dopo la sua morte. Sant’Agostino dice: “Tutte queste sono benedizioni, per le quali il Matrimonio è una benedizione: la prole, la fede coniugale e il Sacramento”. Il Santo Dottore mostra chiaramente come questi tre titoli contengano una splendida sintesi di tutta la dottrina sul Matrimonio cristiano: “Per la fede coniugale si fa attenzione che non ci siano rapporti con un altro uomo o un’altra donna al di fuori del vincolo matrimoniale; per la prole, che i figli siano generati nell’amore, nutriti con bontà ed educati religiosamente; per il Sacramento, che il Matrimonio non sia rotto e che l’uomo o la donna separati non abbiano rapporti con un altro uomo o donna nemmeno per la prole. Questa è, per così dire, la legge del Matrimonio, con cui si abbellisce la fecondità della natura e si controlla la depravazione dell’incontinenza”.
3704. [Dz 2228] [1] Così il figlio occupa il primo posto tra le benedizioni del Matrimonio. È chiaro che lo stesso Creatore del genere umano, che per la sua bontà ha voluto usare gli uomini come aiutanti nella propagazione della vita, lo ha insegnato in Paradiso, quando ha istituito il Matrimonio, dicendo ai nostri primi genitori, e attraverso di loro a tutti gli sposi: “Crescete e moltiplicatevi e riempite la terra” (Gen 1,28). Questo pensiero Sant’Agostino lo deduce molto bene dalle parole dell’apostolo Paolo a Timoteo (1Tm V,14), quando dice: “Così l’Apostolo è testimone che il Matrimonio è compiuto per la generazione. Desidero, dice, che le giovani si sposino. E come se qualcuno gli dicesse: perché? Perché? aggiunge subito: Per generare figli, per essere madri di famiglia” (1Tm V,14).
3705. [Dz 2229] In effetti, i genitori cristiani dovrebbero comprendere ulteriormente che non sono destinati solo a propagare e a preservare la razza umana sulla terra, anzi, non ad allevare alcun tipo di adoratori del vero Dio, ma a generare una prole della Chiesa di Cristo; a procreare “concittadini dei santi e membri della casa di Dio” (Ep II,19), affinché il popolo dedito al culto di Dio e del nostro Salvatore aumenti ogni giorno. Infatti, anche se i coniugi cristiani, pur essendo essi stessi santificati, non hanno il potere di trasfondere la santificazione nella loro prole, sicuramente la generazione naturale della vita è diventata una via di morte, attraverso la quale il peccato originale passa nella prole; tuttavia, in qualche modo, partecipano a quel Matrimonio primordiale del Paradiso, poiché è loro privilegio offrire la propria prole alla Chiesa, affinché da questa fecondissima madre dei figli di Dio siano rigenerati attraverso il lavacro del Battesimo fino alla giustizia soprannaturale, e diventino membra vive di Cristo, partecipi della vita immortale e, infine, eredi della gloria eterna che tutti desideriamo con tutto il cuore. . . .
[Dz 2230] Ma la benedizione della prole non si completa con la buona opera della procreazione; occorre aggiungere qualcos’altro che è contenuto nella doverosa educazione della prole. Certo, Dio sapientissimo non avrebbe provveduto a sufficienza per il bambino che nasce, e quindi per l’intero genere umano, se non avesse assegnato anche il diritto e il dovere di educare agli stessi a cui ha dato il potere e il diritto di generare. Infatti, non può sfuggire a nessuno che la prole, non solo per quanto riguarda la vita naturale, ma ancor meno per quella soprannaturale, non può bastare a se stessa o provvedere a se stessa, ma ha bisogno per molti anni dell’assistenza di altri, di cure e di educazione. Ma è certo che, quando la natura e Dio lo richiedano, questo diritto e dovere di educare la prole spetta soprattutto a coloro che hanno iniziato l’opera della natura generando, ed è loro assolutamente vietato esporre quest’opera alla rovina lasciandola incompiuta e imperfetta. Di certo, nel Matrimonio sono state prese le migliori disposizioni possibili per questa necessaria educazione dei figli, nella quale, poiché i genitori sono uniti l’uno all’altro da un vincolo insolubile, c’è sempre a disposizione la cura e l’assistenza reciproca di entrambi. . . . – Né si può tacere che, poiché il dovere affidato ai genitori per il bene della prole è di così grande dignità e importanza, ogni uso onorevole di questa facoltà data da Dio di procreare una nuova vita, per ordine del Creatore stesso e delle leggi della natura, sia diritto e privilegio del solo Matrimonio e deve essere confinato entro i sacri limiti del matrimonio.
3706. [Dz 2231] [2] Un’altra benedizione del matrimonio, di cui abbiamo parlato come menzionata da Agostino, è la benedizione della fede, che è la reciproca fedeltà dei coniugi nell’adempimento del contratto matrimoniale, in modo che ciò che per questo contratto, sancito dalla legge divina, è dovuto solo a un coniuge, non possa essere negato a lui né permesso a nessun altro; né si può concedere al coniuge ciò che non può mai essere concesso, poiché è contrario ai diritti e alle leggi divine e si oppone soprattutto alla fede coniugale. – Così questa fede esige in primo luogo l’unità assoluta del Matrimonio, che il Creatore stesso ha stabilito nel Matrimonio dei nostri primi genitori, quando ha voluto che esistesse solo tra un uomo e una donna. E anche se in seguito Dio, il legislatore supremo, ha un po’ attenuato questa legge primordiale per un certo periodo, tuttavia non c’è dubbio che la Legge evangelica abbia ripristinato interamente quell’unità originaria e perfetta ed ha eliminato tutte le dispense, come mostrano chiaramente le parole di Cristo e il modo uniforme di insegnare o di agire da parte della Chiesa [cfr. nota 969]. . . .
Cristo Signore non ha voluto condannare solo la poligamia e la poliandria, successive o simultanee, come vengono chiamate, o qualsiasi altro atto disonorevole; ma, affinché i sacri legami del Matrimonio siano assolutamente inviolati, ha proibito anche i pensieri e i desideri intenzionali su tutte queste cose: “Ma io vi dico che chi guarda una donna per concupirla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore” (Mt V,28). Queste parole di Cristo Signore non possono essere annullate nemmeno dal consenso di un coniuge, perché esprimono la legge di Dio e della natura, che nessuna volontà dell’uomo potrà mai infrangere o piegare. – Anche i reciproci rapporti familiari tra i coniugi, affinché la benedizione della fede coniugale risplenda con il dovuto splendore, devono essere contraddistinti dal marchio della castità, in modo che marito e moglie si comportino in tutto secondo la legge di Dio e della natura, e si sforzino di seguire sempre la volontà del sapientissimo e santissimo Creatore, con grande riverenza per l’opera di Dio.
3707. [Dz 2232] Inoltre, questa fedeltà coniugale, chiamata molto giustamente da Sant’Agostino * la “fede della castità”, fiorirà più facilmente, e anche molto più piacevolmente, e come nobilitante proveniente da un’altra fonte più eccellente, cioè dall’amore coniugale, che pervade tutti i doveri della vita matrimoniale e detiene una sorta di primato di nobiltà nel matrimonio cristiano. “Inoltre, la fedeltà coniugale esige che marito e moglie siano uniti da un amore particolarmente santo e puro, non come si amano gli adulteri, ma come Cristo ha amato la Chiesa; infatti l’Apostolo ha prescritto questa regola quando ha detto: “Mariti, amate le vostre mogli, come anche Cristo ha amato la Chiesa” (Ep. 5,25; cfr. Col. 3,19); la quale Chiesa Egli ha certamente abbracciato con immenso amore, non per il proprio vantaggio, ma tenendo davanti a sé solo il bene della sua sposa”. *
Parliamo quindi di un amore che non poggi solo su un’inclinazione carnale che scompare molto presto, né solo su parole piacevoli, ma che è anche fissato nell’affetto più intimo del cuore; e, “poiché la prova dell’amore è una manifestazione di fatti”, * questo è dimostrato da fatti esteriori. Ora, questi atti nella vita domestica non includono solo l’assistenza reciproca, ma dovrebbero estendersi anche a questo, anzi dovrebbero mirare soprattutto a questo, che marito e moglie si aiutino quotidianamente a formare e a perfezionare sempre più l’uomo interiore, in modo che attraverso la loro collaborazione nella vita possano progredire sempre più nelle virtù, e possano crescere soprattutto nel vero amore verso Dio e verso il prossimo, dal quale infatti “dipende tutta la Legge e i Profeti” (Mt 22,40) *.Manifestamente l’esempio più perfetto di tutta la santità posta da Dio davanti agli uomini è Cristo Signore. Tutti, in qualsiasi condizione e in qualsiasi modo onorevole siano entrati nella vita, con l’aiuto di Dio dovrebbero anche arrivare al più alto grado di perfezione cristiana, come dimostrano gli esempi di molti santi.
Questa mutua formazione interiore del marito e della moglie, questo costante zelo per portarsi reciprocamente alla perfezione, in un senso molto vero, come insegna il Catechismo Romano, si può dire che sia la prima ragione e il primo scopo del matrimonio; se, tuttavia, il matrimonio non viene accettato in modo troppo ristretto come istituito per la corretta procreazione ed educazione dei figli, ma in modo più ampio come partecipazione reciproca a tutta la vita, alla compagnia e all’associazione.
Con questo stesso amore devono essere regolati i restanti diritti e doveri del matrimonio, in modo che non solo la legge della giustizia, ma anche la norma dell’amore sia quella dell’Apostolo: “Il marito renda il debito alla moglie e la moglie allo stesso modo al marito” (1Cor 7,3).
3708. Dz 2233 Infine, dopo che la società domestica è stata confermata dal vincolo di questo amore, deve necessariamente fiorire in essa quello che Agostino chiama l’ordine dell’amore. Quest’ordine comprende sia la supremazia del marito sulla moglie e sui figli, sia la sottomissione e l’obbedienza pronta e non riluttante della moglie, che l’Apostolo raccomanda con queste parole: “La donna sia sottomessa al marito come al Signore, perché il marito è il capo della moglie, come Cristo è il capo della Chiesa” (Eph V,22 s.).
3709. Tuttavia questa obbedienza non nega o toglie la libertà che spetta di diritto alla donna, sia per la sua dignità di essere umano, sia per i suoi nobili doveri di moglie, madre e compagna; né esige che essa obbedisca a ogni desiderio del marito, che non sia conforme alla retta ragione o alla sua dignità di moglie; né, infine, significa che la moglie debba essere messa sullo stesso piano di coloro che la legge chiama minori, ai quali non è abitualmente concesso il libero esercizio dei propri diritti per mancanza di giudizio maturo o per inesperienza nelle faccende umane; ma proibisce quella libertà esagerata che non ha alcuna cura per il bene della famiglia; proibisce che in questo corpo della famiglia il cuore sia separato dalla testa, con grande danno di tutto il corpo e con il pericolo prossimo della rovina. Infatti, se l’uomo è la testa, la donna è il cuore, e così come lui detiene il primato nel governare, lei può e deve rivendicare il primato nell’amore per se stessa come proprio. – Inoltre, questa obbedienza della moglie al marito, per quanto riguarda il grado e il modo, può essere diversa, a seconda delle persone, dei luoghi e delle condizioni del tempo; anzi, se il marito viene meno al suo dovere, è responsabilità della moglie sostituirsi a lui nella direzione della famiglia. Ma la struttura stessa della famiglia e la sua legge principale, così come sono state costituite e confermate da Dio, non possono mai e in nessun luogo essere stravolte o contaminate. – Su questo punto del mantenimento dell’ordine tra marito e moglie il nostro predecessore di felice memoria, Leone XIII, ha saggiamente insegnato nella sua Lettera Enciclica sul mondo Matrimonio cristiano che abbiamo citato: “L’uomo è il capo della famiglia e il capo della donna; tuttavia, poiché essa è carne della sua carne e osso del suo osso, sia sottomessa ed obbediente all’uomo, non alla maniera di una serva ma di una compagna, affinché naturalmente non manchi né l’onore né la dignità nell’obbedienza prestata. Ma che la carità divina sia la guida indefettibile del dovere in colui che è a capo e in colei che obbedisce, poiché entrambi portano l’immagine, l’uno di Cristo, l’altra della Chiesa… . . ” *
3710. Dz 2234 [3] Tuttavia, l’insieme di questi grandi benefici è completato e, per così dire, portato a compimento da quella benedizione del Matrimonio cristiano che abbiamo chiamato, con le parole di Agostino, Sacramento, con cui si indica l’indissolubilità del vincolo e l’elevazione e la consacrazione da parte di Cristo del contratto a segno efficace della grazia. – In primo luogo, a dire il vero, Cristo stesso pone l’accento sull’indissolubilità del vincolo nuziale quando dice: “Ciò che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi” (Mt XIX,6); e: “Chiunque abbandona la propria moglie e ne sposa un’altra commette adulterio, e chi sposa colei che è stata allontanata dal marito commette adulterio” (Lc XVI,18). – Inoltre, Sant’Agostino colloca in questa indissolubilità quella che chiama “la benedizione del sacramento”, con queste chiare parole: “Ma nel Sacramento si vuole che il Matrimonio non sia rotto, e che l’uomo o la donna licenziati non si uniscano ad un altro, nemmeno per la prole.
3711. [Dz 2235]. E questa stabilità inviolabile, sebbene non sia della stessa misura perfetta in ogni caso, riguarda tutti i veri Matrimoni; perché quel detto del Signore: “Ciò che Dio ha unito, l’uomo non lo separi”, sebbene, detto del Matrimonio dei nostri primi genitori, sia il prototipo di ogni Matrimonio futuro, deve applicarsi a tutti i veri Matrimoni. Perciò, sebbene prima di Cristo la sublimità e la severità della legge primordiale fossero così mitigate che Mosè permise ai cittadini del popolo di Dio, a causa della durezza del loro cuore, di concedere una legge di divorzio per determinate cause; tuttavia Cristo, in accordo con il suo potere di Legislatore supremo, revocò questo permesso di maggiore licenza e restaurò la legge primordiale nella sua interezza attraverso quelle parole che non devono mai essere dimenticate: “Ciò che Dio ha unito, l’uomo non lo separi”. Così, molto saggiamente, Pio Vl, Nostro predecessore di felice memoria, scrivendo al Vescovo di Agria, disse: “Da ciò risulta chiaramente che il Matrimonio, anche nello stato di natura, e sicuramente molto prima che fosse elevato alla dignità di Sacramento propriamente detto, è stato stabilito da Dio in modo tale da portare con sé un vincolo perpetuo e indissolubile, che, di conseguenza, non può essere sciolto da alcuna legge civile. E così, anche se l’elemento sacramentale può essere separato dal Matrimonio, come è vero in un Matrimonio tra infedeli, tuttavia in tale Matrimonio, in quanto vero Matrimonio, deve rimanere e sicuramente rimane quel legame perpetuo che per diritto divino è così inerente al Matrimonio fin dal suo inizio che non è soggetto ad alcun potere civile. Perciò, qualsiasi Matrimonio si dica che è stato contratto, o è così contratto da essere un vero Matrimonio, e allora avrà quel vincolo perpetuo che è insito per diritto divino in ogni vero Matrimonio, o si suppone che sia stato contratto senza quel vincolo perpetuo, e allora non è un Matrimonio, ma un’unione illecita che ripugna per il suo scopo alla legge divina, e quindi non può essere stipulato o mantenuto.
3712. [Dz 2236] Se questa stabilità sembra soggetta ad eccezioni, per quanto rare, come nel caso di alcuni matrimoni naturali contratti tra infedeli, o se tra fedeli di Cristo, quelli validi ma non consumati, tale eccezione non dipende dalla volontà dell’uomo o da un potere meramente umano, ma dalla legge divina, il cui unico custode e interprete è la Chiesa di Cristo. Tuttavia, nemmeno tale potere potrà mai intaccare per nessuna ragione un Matrimonio cristiano valido e consumato. Infatti, poiché in questo caso il contratto matrimoniale è pienamente compiuto, ne risultano anche l’assoluta stabilità e indissolubilità per volontà di Dio, che non possono essere attenuate da alcuna autorità umana. – Se vogliamo indagare con la dovuta riverenza l’intima ragione di questa volontà divina, la scopriremo facilmente nel significato mistico del Matrimonio cristiano, che si ha pienamente e perfettamente nel Matrimonio consumato tra fedeli. Infatti, come testimonia l’Apostolo nella sua Lettera agli Efesini (Eph V,32) (a cui abbiamo fatto riferimento all’inizio), il Matrimonio dei Cristiani richiama l’unione più perfetta che esiste tra Cristo e la Chiesa: “Questa è un grande sacramento, ma io parlo in Cristo e nella Chiesa”, la cui unione, infatti, finché Cristo vivrà e la Chiesa attraverso di Lui, sicuramente non potrà mai essere sciolta da alcuna separazione. . . .
3713. [Dz 2237]. In questa benedizione del Sacramento, oltre alla sua indissolubile fermezza, sono contenuti anche emolumenti ben più alti, indicati molto opportunamente dalla parola “Sacramento”; Per i Cristiani, infatti, non si tratta di un nome vuoto e vacuo, poiché Cristo Signore, “l’istitutore e il perfezionatore” * dei Sacramenti, elevando il Matrimonio dei suoi fedeli a vero e proprio Sacramento della Nuova Legge, lo ha reso di fatto segno e fonte di quella peculiare grazia interiore con cui perfeziona l’amore naturale, conferma l’unione indissolubile e santifica gli sposi. – E poiché Cristo ha stabilito un valido consenso coniugale tra i fedeli come segno di grazia, la natura del Sacramento è così intimamente legata al Matrimonio cristiano che non può esistere un vero Matrimonio tra battezzati “se non è, per l’appunto, un Sacramento”. – Quando poi i fedeli con animo sincero prestano tale consenso, aprono per sé un tesoro di grazia sacramentale, da cui attingono forza soprannaturale per adempiere ai loro obblighi e doveri con fedeltà, nobiltà e perseveranza fino alla morte.
3714. Questo Sacramento, nel caso di coloro che, come si dice, si pongono sulla sua strada, non solo accresce il principio permanente della vita soprannaturale, cioè la grazia santificante, ma elargisce anche doni particolari, buone disposizioni d’animo e semi di grazia, aumentando e perfezionando le potenze naturali, in modo che gli sposi siano in grado non solo di comprendere con la ragione, ma di conoscere intimamente, di tenere saldamente, di desiderare efficacemente e di compiere, in effetti, tutto ciò che riguarda lo stato matrimoniale, sia i suoi fini che i suoi obblighi; infine, concede loro il diritto di ottenere l’assistenza effettiva della grazia tutte le volte che ne abbiano bisogno per adempiere ai doveri di questo stato.
[Dz 2238]. Tuttavia, poiché è una legge della Provvidenza divina nell’ordine soprannaturale che gli uomini non raccolgano il pieno frutto dei Sacramenti che ricevono dopo aver acquisito l’uso della ragione, a meno che non cooperino con la grazia, la grazia del Matrimonio rimarrà in gran parte un talento inutile nascosto nel campo, a meno che gli sposi non esercitino la forza soprannaturale e coltivino e sviluppino i semi della grazia che hanno ricevuto. Ma se faranno tutto il possibile per rendersi docili alla grazia, saranno in grado di sopportare i pesi del loro stato e di adempiere ai suoi doveri, e saranno rafforzati e santificati e, per così dire, consacrati da un così grande Sacramento. Infatti, come insegna Sant’Agostino, così come con il Battesimo e l’Ordine sacro un uomo viene messo a parte ed assistito sia per condurre la sua vita in modo cristiano, sia per adempiere ai doveri del Sacerdozio, e non è mai privo dell’aiuto sacramentale, quasi allo stesso modo (anche se non con un segno sacramentale) i fedeli che sono stati uniti dal vincolo del Matrimonio non possono mai essere privati dell’assistenza e del legame sacramentale. Anzi, come aggiunge lo stesso Santo Dottore, essi portano con sé quel santo vincolo anche quando possono essere diventati adulteri, anche se non più per la gloria della grazia, ma per il crimine del peccato, “come l’anima apostata, come se si ritirasse dall’unione con Cristo, anche dopo che la fede è stata persa, non perde il sacramento della fede che ha ricevuto dal lavacro della rigenerazione”. – Ma questi stessi sposi, non frenati ma ornati dal vincolo d’oro del Sacramento, non ostacolati ma rafforzati, lottino con tutte le loro forze per questo fine, affinché il loro Matrimonio, non solo per la forza e il significato del Sacramento, ma anche per la loro mentalità ed il loro carattere, sia e rimanga sempre l’immagine vivente di quella fecondissima unione di Cristo con la Chiesa, che certamente è da venerare come il mistero dell’amore più perfetto.
L’abuso del matrimonio.
[Dalla stessa Enciclica, “Casti Connubii”, 31 dicembre 1930].
3716. [Dz 2239] Parliamo della prole, che alcuni hanno l’audacia di chiamare il fastidioso fardello del matrimonio, e che dichiarano debba essere evitata non con l’onorevole continenza (permessa anche nel Matrimonio quando entrambi i coniugi sono d’accordo), ma con la frustrazione dell’atto naturale. In effetti, alcuni si giustificano per questo abuso criminale adducendo il fatto che siano stanchi di figli e desiderino semplicemente soddisfare i loro desideri senza il conseguente “fardello“; altri adducono il fatto che non possono osservare la continenza, o che a causa di difficoltà della madre o di circostanze familiari non possano avere una prole. – Ma di certo nessuna ragione, nemmeno la più grave, può far sì che ciò che sia intrinsecamente contro natura diventi conforme alla natura ed onorevole. Poiché, inoltre, l’atto coniugale per sua natura è destinato alla generazione della prole, coloro che nell’esercitarlo deliberatamente lo privano della sua forza e del suo potere naturale, agiscono contro natura e fanno qualcosa di vergognoso ed intrinsecamente cattivo. – Non c’è quindi da meravigliarsi se la stessa Sacra Scrittura testimoni che la Maestà divina guardi a questo nefasto crimine con il più grande odio, e talvolta lo ha punito con la morte, come racconta Sant’Agostino: “È illecito e vergognoso per uno giacere anche con la moglie legittima, quando è impedito il concepimento della prole. Onan fece questo; per questo Dio lo uccise”.
3717. [Dz 2240]. Poiché, dunque, alcune persone, discostandosi palesemente dalla dottrina cristiana tramandata dall’inizio senza interruzioni, hanno recentemente deciso che si debba predicare un’altra dottrina su questo modo di agire, la Chiesa Cattolica, alla quale Dio stesso ha affidato l’insegnamento e la difesa dell’integrità e della purezza dei costumi, posta in mezzo a questa rovina dei costumi, affinché conservi la castità del contratto matrimoniale immune da questo basso peccato, ed in segno della sua missione divina alza alta la sua voce attraverso la Nostra bocca e proclama nuovamente: Qualsiasi uso dell’atto coniugale, nel cui esercizio esso viene intenzionalmente privato del suo potere naturale di procreare la vita, viola la legge di Dio e della natura, e coloro che hanno commesso un tale atto, si macchiano della colpa di un peccato grave. – Perciò ammoniamo i Sacerdoti che si dedicano all’ascolto delle Confessioni e gli altri che hanno la cura delle anime, in accordo con la Nostra suprema Autorità, a non permettere che i fedeli a loro affidati errino in questa gravissima legge di Dio, e ancor più a mantenersi immuni da false opinioni di questo tipo, e a non conniverci in alcun modo. Se un confessore o un pastore d’anime, cosa che Dio non voglia, conduce egli stesso i fedeli a lui affidati in questi errori, o almeno li conferma con l’approvazione o con il colpevole silenzio, sappia che deve rendere conto a Dio, Giudice supremo, del tradimento della sua fiducia, e consideri le parole di Cristo rivolte a loro: “Essi sono ciechi, e i ciechi li guidano; e se i ciechi guidano i ciechi, entrambi cadono nella fossa” (Mt XV,14).
3718. [Dz 2241] La Santa Chiesa sa bene che non raramente uno dei coniugi pecchi piuttosto che commettere un peccato, quando per un motivo molto grave permette una perversione del giusto ordine, che egli stesso non vuole; e per questo è senza colpa, purché poi si ricordi della legge della carità e non trascuri di impedire e dissuadere l’altro dal peccare. Non si può dire che agiscano contro l’ordine della natura quei coniugi che usano il loro diritto in modo corretto e naturale, anche se per ragioni naturali di tempo o di alcuni difetti non possa nascere una nuova vita. Infatti, nel Matrimonio stesso, come nella pratica del diritto coniugale, si considerano anche i fini secondari, come l’aiuto reciproco, la coltivazione dell’amore reciproco e il placamento della concupiscenza, che i coniugi non sono affatto proibiti di tentare, purché sia preservata la natura intrinseca di quell’atto, e quindi il suo giusto ordinamento sia verso il suo fine primario. . . . – Bisogna fare attenzione che le condizioni calamitose degli affari esterni non diano occasione ad un errore molto più disastroso. Infatti, non possono sorgere difficoltà che annullino l’obbligo dei mandati di Dio che proibiscano atti che sono cattivi per la loro natura interiore; ma in tutte le circostanze collaterali i coniugi, rafforzati dalla grazia di Dio, possono sempre compiere fedelmente il loro dovere e conservare la loro castità nel Matrimonio senza macchie vergognose; perché la verità della fede cristiana è espressa nell’insegnamento del Sinodo di Trento: “Nessuno affermi avventatamente ciò che i Padri del Concilio hanno posto sotto anatema, cioè che vi siano precetti di Dio impossibili da osservare per il giusto. Dio non chiede l’impossibile, ma con i suoi comandi vi istruisce a fare ciò che siete in grado di fare, a pregare per ciò che non siete in grado di fare, e vi assiste affinché siate in grado” [cfr. n. 804]. Questa stessa dottrina fu di nuovo solennemente ripetuta e confermata nella condanna dell’eresia giansenista, che osava pronunciare questa bestemmia contro la bontà di Dio: “Alcuni precetti di Dio sono impossibili da adempiere, anche per gli uomini giusti che vogliono e si sforzano di osservare le leggi secondo le forze che hanno; manca loro anche la grazia che lo renderebbe possibile” [cfr. n. 1092].
L’uccisione del feto.
[Dalla stessa Enciclica, “Casti Connubii”, 31 dicembre 1930].
3719. [Dz 2242]. È da notare anche un altro gravissimo delitto, con il quale si tenta di uccidere la vita della prole nascosta nel grembo della madre. Inoltre, alcuni desiderano che questo sia permesso secondo il piacere della madre o del padre; altri, invece, lo chiamano illecito a meno che non vi siano ragioni molto gravi, che chiamano con il nome di “indicazione” medica, sociale, eugenetica. Poiché questa si riferisce alle leggi penali dello Stato, secondo le quali è vietata la distruzione della prole generata ma non ancora nata, tutti questi chiedono che l'”indicazione”, che difendono individualmente in un modo o nell’altro, sia riconosciuta anche dalle leggi pubbliche e sia dichiarata esente da ogni pena. Anzi, non mancano coloro che chiedono che i magistrati pubblici diano una mano a queste operazioni di morte, cosa che purtroppo sappiamo tutti avvenire con grande frequenza in alcuni luoghi.
3720. [Dz 2243]. Ora, per quanto riguarda l'”indicazione” medica e terapeutica, per usare le loro parole, abbiamo già detto, Venerabili Fratelli, quanto siamo dispiaciuti per la madre, la cui salute e persino la vita sono minacciate da gravi pericoli derivanti dal dovere della natura; ma quale ragione può mai essere abbastanza forte da giustificare in alcun modo l’omicidio diretto di un innocente? Questo è il caso in questione. Che si tratti della madre o della prole, è contrario al precetto di Dio ed alla voce della natura: “Non uccidere!” (Es XX,13). La vita di ogni persona è un bene altrettanto sacro e nessuno potrà mai avere il potere, nemmeno l’autorità pubblica, di distruggerla. Di conseguenza, è molto ingiusto invocare il “diritto di spada” contro l’innocente, poiché questo vale solo contro il colpevole; né esiste in questo caso un diritto di difesa cruenta contro un aggressore ingiusto (perché chi chiamerebbe un bambino innocente un aggressore ingiusto?); né esiste un “diritto di estrema necessità”, come viene chiamato, che possa estendersi anche all’uccisione diretta dell’innocente. Pertanto, i medici onorati ed esperti si sforzano lodevolmente di proteggere e salvare la vita sia della madre che della prole; d’altro canto, si dimostrerebbero indegni del nobile nome di medico e della lode quanti pianificano la morte dell’uno o dell’altro sotto l’apparenza di praticare la medicina o per motivi di falsa pietà. . . .
3721. [Dz 2244] Ora, ciò che viene proposto a favore di un’indicazione sociale ed eugenetica, con mezzi leciti ed onorevoli ed entro i dovuti limiti, può e deve essere ritenuto una soluzione per queste questioni; ma a causa delle necessità su cui poggiano questi problemi, cercare di procurare la morte dell’innocente è improprio e contrario al precetto divino promulgato dalle parole dell’Apostolo: “Non si deve fare il male perché ne venga un bene” (Rm III,8). – Infine, coloro che ricoprono alte cariche tra le Nazioni e promulgano leggi non possono dimenticare che spetta all’autorità pubblica, attraverso leggi e sanzioni appropriate, difendere la vita degli innocenti, tanto più che coloro la cui vita è in pericolo e vengono attaccati sono meno capaci di difendersi da soli, tra i quali sicuramente i bambini nel grembo delle madri occupano il primo posto. Ma se i magistrati pubblici non solo non proteggono questi piccoli, ma con le loro leggi e ordinanze lo permettono, consegnandoli così alle mani di medici ed altri per essere uccisi, ricordino che Dio è il giudice ed il vendicatore del “sangue innocente che grida dalla terra al cielo” (Gen IV,10).
Il diritto al matrimonio e la sterilizzazione.
[Dalla stessa Enciclica, “Casti Connubii“, 31 dicembre 1930]
3722. [Dz 2245]. Infine, si deve condannare quella pratica perniciosa che è strettamente legata al diritto naturale dell’uomo di contrarre Matrimonio, e che riguarda anche in modo reale il bene della prole. Ci sono infatti coloro che, eccessivamente preoccupati per i fini dell’eugenetica, non solo danno alcuni consigli salutari per procurare più sicuramente la salute ed il vigore della futura prole – il che non è certo contrario alla retta ragione – ma antepongono l’eugenetica ad ogni altro fine di ordine superiore; e con l’autorità pubblica vogliono proibire il Matrimonio a tutti coloro dai quali, secondo le norme e le congetture della loro scienza, pensano che verrà generata una prole difettosa e corrotta a causa della trasmissione ereditaria, anche se queste stesse persone sono naturalmente adatte a contrarre Matrimonio. Anzi, vogliono addirittura che queste persone, anche contro la loro volontà, siano private per legge di questa facoltà naturale attraverso l’intervento dei medici; e questo lo propongono non come una pena severa per un crimine commesso, da ricercare da parte dell’autorità pubblica, né per scongiurare futuri crimini della colpa, ma, contrariamente ad ogni diritto e pretesa, arrogando ai magistrati civili questo potere, che non hanno mai avuto e non potranno mai avere legittimamente. – Chi agisce in questo modo dimentica completamente che la famiglia è più sacra dello Stato e che gli uomini sono generati principalmente non per la terra e per il tempo, ma per il cielo e l’eternità. E, certamente, non è giusto che uomini, per altri versi capaci di sposarsi, che secondo le congetture, anche se si applica ogni cura ed diligenza, genereranno solo una prole difettosa, siano per questo motivo gravati da un grave peccato se contraggono Matrimonio, anche se a volte dovrebbero essere dissuasi dal Matrimonio.
3723. [Dz 2246] In effetti, i magistrati pubblici non hanno alcun potere diretto sui corpi dei loro sudditi; pertanto, non possono mai nuocere direttamente o intaccare in alcun modo l’integrità del corpo, se non c’è stato un crimine e se non c’è una causa per una grave punizione, né per motivi di eugenetica, né per qualsiasi altro scopo. San Tommaso d’Aquino ha insegnato lo stesso, quando, chiedendo se i giudici umani abbiano il potere di infliggere qualche male all’uomo per scongiurare i mali futuri, ammette che ciò sia corretto in riferimento ad alcuni altri mali, ma giustamente e degnamente lo nega per quanto riguarda il ferimento del corpo: “Mai nessuno, secondo il giudizio umano, dovrebbe essere punito, quando non è colpevole, con una pena di fustigazione a morte, o di mutilazione, o di percosse”. – La dottrina cristiana ha stabilito questo, ed alla luce della ragione umana è abbastanza chiaro che i privati non hanno altro potere sulle membra del loro corpo, e non possono distruggerle o mutilarle, o in qualsiasi altro modo renderle inadatte alle funzioni naturali, se non quando non si può provvedere altrimenti al bene dell’intero corpo.
L’emancipazione della donna.
[Dalla stessa Enciclica, “Casti Connubii“, 31 dicembre 1930].
[Dz 2247]. Chiunque, poi, offuschi il lustro della fede e della castità coniugale scrivendo e parlando, questi stessi maestri dell’errore minano facilmente l’obbedienza fiduciosa e onorevole della donna all’uomo. Molti di loro blaterano anche che si tratti di una forma indegna di servitù da parte di un coniuge nei confronti dell’altro; che tutti i diritti tra i coniugi siano uguali; e quando questi vengano violati dalla servitù di uno dei due, proclamano con orgoglio che una sorta di emancipazione sia stata o dovrebbe essere realizzata. Questa emancipazione, inoltre, la stabiliscono in un triplice modo: nel governo della società domestica, nell’amministrazione degli affari familiari e nell’impedire o distruggere la vita della prole, che chiamano sociale, economica e fisiologica: fisiologico, in quanto desiderano che la donna si liberi o sia liberata dai doveri di moglie, sia coniugali che materni, per sua libera scelta (ma abbiamo già detto abbastanza che questa non sia emancipazione, ma un miserabile crimine); economiche, naturalmente, in quanto desiderano che la donna, anche all’insaputa o con l’opposizione dell’uomo, possa liberamente possedere, portare avanti e amministrare i propri affari, trascurando i figli, il marito e l’intera famiglia; infine, sociali, in quanto sottraggono alla moglie le cure domestiche, sia dei figli che della famiglia, affinché possa, trascurandole, seguire le proprie inclinazioni e persino dedicarsi agli affari e agli affari pubblici.
[Dz 2248]. Ma questa non è una vera emancipazione della donna, né una libertà conforme alla ragione, né degna di lei e dovuta all’ufficio di nobile madre e moglie cristiana; è piuttosto una corruzione della natura femminile e della dignità materna, ed una perversione dell’intera famiglia, per cui il marito è privato di una moglie, la prole di una madre, e la casa e l’intera famiglia di un guardiano sempre vigile. Anzi, questa falsa libertà e l’innaturale uguaglianza con l’uomo sono volte alla distruzione della donna stessa; infatti, se la donna scende dal seggio regale a cui è stata innalzata tra le mura domestiche dal Vangelo, sarà presto ridotta all’antica servitù (se non in apparenza, ma di fatto) e diventerà, come lo era tra i pagani, un mero strumento dell’uomo. – Ma quell’uguaglianza di diritti che è così esagerata ed estesa, dovrebbe essere riconosciuta naturalmente tra quelli che sono propri della persona e della dignità umana, e che seguono il contratto nuziale e sono naturali al Matrimonio; e in questi, certamente, entrambi i coniugi godono assolutamente dello stesso diritto e sono tenuti agli stessi obblighi; in altre questioni deve esistere una sorta di disuguaglianza e di giusta proporzione, che il bene della famiglia e la dovuta unità e stabilità della società domestica e dell’ordine richiedono. – Tuttavia, laddove le condizioni sociali ed economiche della donna sposata, a causa dei mutati modi e pratiche della società umana, debbano essere in qualche modo modificate, spetta all’autorità pubblica adattare i diritti civili della donna alle necessità ed ai bisogni di questo tempo, tenendo in debita considerazione ciò che richiedano le diverse disposizioni naturali del sesso femminile, la buona morale ed il bene comune della famiglia; a condizione, inoltre, che rimanga intatto l’ordine essenziale della società domestica, che si fonda su un’autorità ed una saggezza superiori a quelle umane, cioè divine, e che non possano essere modificate dalle leggi pubbliche e dal piacere degli individui.
Divorzi.
[Dalla stessa Enciclica, “Casti Connubii“, 31 dicembre 1930].
3724. [Dz 2249] I sostenitori del neopaganesimo, non avendo imparato nulla dall’attuale triste situazione, continuano ogni giorno ad attaccare più aspramente la sacra indissolubilità del Matrimonio e le leggi che la sostengono, e sostengono che si debba decidere di riconoscere i divorzi, che altre leggi più umane debbano essere sostituite a quelle obsolete. – Essi adducono molte cause diverse per il divorzio, alcune derivanti dalla malvagità o dal peccato delle persone, altre basate sulle circostanze (le prime le chiamano soggettive, le seconde oggettive); infine, tutto ciò che rende più dura e sgradevole la vita matrimoniale individuale. . . . – Quindi si dice che le leggi debbano essere fatte per conformarsi a queste esigenze ed alle mutate condizioni dei tempi, alle opinioni degli uomini, alle istituzioni ed ai costumi civili, che singolarmente, e soprattutto se riunite, testimoniano chiaramente che la possibilità di divorziare debba essere immediatamente concessa per determinate cause. – Altri, proseguendo con notevole impudenza, ritengono che, essendo il Matrimonio un contratto puramente privato, debba essere lasciato direttamente al consenso ed all’opinione privata dei due che lo hanno contratto, come avviene per gli altri contratti privati, e quindi possa essere sciolto per qualsiasi motivo.
[Dz 2250]. Ma a tutte queste farneticazioni si oppone l’unica legge certa di Dio, confermata pienamente da Cristo, che non può essere indebolita da nessun decreto degli uomini o decisione del popolo, da nessuna volontà dei legislatori: “Ciò che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi” (Mt XIX,6); e se un uomo, contrariamente a questa legge, separa, è immediatamente illegale; così giustamente, come abbiamo visto più di una volta, Cristo stesso ha dichiarato: “Chiunque abbandona la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio, e chi sposa la donna che è stata abbandonata, commette adulterio” (Lc XVI,18). E queste parole di Cristo si riferiscono a qualsiasi Matrimonio, anche a quello puramente naturale e legittimo; perché l’indissolubilità è propria di ogni vero Matrimonio, e qualsiasi cosa riguardi l’allentamento del vincolo è completamente sottratta al beneplacito delle parti interessate e ad ogni potere secolare.
Educazione sessuale ed eugenetica.
[Dal Decreto del Sant’Uffizio, 21 marzo 1931]
[Dz 2251 I]. Domanda: Si può approvare il metodo che si chiama “educazione sessuale” o anche “iniziazione sessuale”?
Risposta: Negativamente, e che il metodo debba essere conservato interamente come è stato esposto fino ad oggi dalla Chiesa e dai santi uomini, e raccomandato dal Santissimo Padre nella Lettera Enciclica “Sull’educazione cristiana della gioventù”, data il 31 dicembre 1929 [vedi n. 2214]. Naturalmente, si deve avere cura di impartire alla gioventù di entrambi i sessi un’istruzione religiosa piena e solida, senza interruzioni; in questa istruzione si deve suscitare la considerazione, il desiderio e l’amore per le virtù angeliche; e in particolare si deve inculcare loro di insistere nella preghiera, di essere costanti nei Sacramenti della penitenza e della Santissima Eucaristia, di essere devoti alla Beata Vergine, Madre della santa purezza, con devozione filiale e di affidarsi completamente alla sua protezione; di evitare accuratamente le letture pericolose, i giochi osceni, le frequentazioni con i malvagi e tutte le occasioni di peccato. – Non possiamo quindi assolutamente approvare quanto sia stato scritto e pubblicato in difesa del nuovo metodo soprattutto in questi ultimi tempi, anche da parte di alcuni autori cattolici.
[Dz 2252 II]. Cosa pensare della cosiddetta teoria dell'”eugenetica”, sia essa “positiva” o “negativa”, e dei mezzi da essa indicati per portare la progenie umana ad uno stato migliore, ignorando le leggi naturali o divine o ecclesiastiche che riguardano i diritti dell’individuo al Matrimonio?
Risposta: Che questa teoria sia da disapprovare completamente, e da ritenere falsa e da condannare, come nella Lettera Enciclica sul matrimonio cristiano, “Casti connubii“, del 31 dicembre 1930 [cfr. n. 2245 s.].
Lett. Encycl. “Quadragesimo anno”, 15 mag. 1931.
L’autorità della Chiesa negli affari sociali ed economici.
3725. Dz 2253 Bisogna ribadire il principio che Leone XIII ha chiaramente stabilito molto tempo fa, e cioè che in noi risiede il diritto ed il dovere di giudicare con suprema Autorità questi problemi sociali ed economici . . . Infatti, sebbene gli affari economici e la disciplina morale si avvalgano di principi propri, ciascuno nella propria sfera, tuttavia è falso affermare che l’ordine economico e quello morale siano così distinti ed estranei l’uno all’altro che il primo non dipenda in alcun modo dal secondo.
La proprietà o il diritto di proprietà.
[Dalla stessa Enciclica, “Quadragesimo anno“, 15 maggio 1931]
3726. [Dz 2254]. La sua natura individuale e sociale. In primo luogo, dunque, si consideri riconosciuto e certo che né Leone XIII, né i teologi che hanno insegnato sotto la guida e la direzione della Chiesa hanno mai negato o messo in discussione la duplice natura della proprietà, che si chiama individuale e sociale, a seconda che riguardi i singoli o guardi al bene comune; ma hanno sempre unanimemente affermato che il diritto alla proprietà privata sia stato assegnato agli uomini dalla natura, o dal Creatore stesso, sia perché essi possano provvedere individualmente a se stessi ed alle loro famiglie, sia perché per mezzo di questa istituzione i beni che il Creatore ha destinato all’intera famiglia umana possano realmente servire a questo fine, che non può essere raggiunto se non attraverso il mantenimento di un ordine definito e fisso. . . .
3727. [Dz 2255] Obblighi inerenti alla proprietà. Per porre dei limiti precisi alle controversie che hanno cominciato a sorgere sulla proprietà e sui doveri ad essa inerenti, dobbiamo innanzitutto stabilire il principio fondamentale che Leone XIII ha stabilito, ossia che il diritto di proprietà si distingue dal suo uso. La giustizia detta “commutativa“, infatti, impone agli uomini di mantenere sacra la divisione dei beni e di non ledere i diritti altrui oltrepassando i limiti della proprietà; ma che i proprietari facciano un uso onorevole dei loro beni non è affare di questa giustizia, bensì di altre virtù, i cui doveri “non è giusto ricercare con l’emanazione di una legge”. Pertanto, alcuni dichiarano ingiustamente che la proprietà ed il suo uso onorevole siano delimitati dagli stessi limiti; e, cosa molto più in contrasto con la verità, che a causa del suo abuso o del suo mancato uso il diritto alla proprietà sia distrutto e perso. . . .
3728. [Dz 2256] Qual è il potere dello Stato. Dalla natura stessa della proprietà, che abbiamo chiamato sia individuale che sociale, deriva che gli uomini debbano di fatto tenere conto in questa materia non solo del proprio vantaggio, ma anche del bene comune. Definire questi doveri in dettaglio, quando la necessità lo richieda e la legge naturale non li prescriva, è compito di coloro che sono a capo dello Stato. Pertanto, ciò che è permesso a coloro che possiedono una proprietà in considerazione della vera necessità del bene comune, ciò che è illecito nell’uso dei loro beni l’autorità pubblica può deciderlo più accuratamente, seguendo i dettami della legge naturale e divina. Infatti, Leone XIII insegnava saggiamente che la descrizione dei beni privati è stata affidata da Dio all’industria dell’uomo e alle leggi dei popoli. … Tuttavia è chiaro che lo Stato non può svolgere il suo compito in modo arbitrario. Infatti, il diritto naturale di possedere la proprietà privata e di trasmettere i beni per eredità deve sempre rimanere intatto e non violato, “perché l’uomo è più antico dello Stato” * e inoltre “la casa domestica è anteriore sia nell’idea che nei fatti alla comunità civile”. – Così il sapientissimo Pontefice aveva già dichiarato illegittimo che lo Stato esaurisse i fondi privati con il pesante fardello di tasse e tributi. L’autorità pubblica non può abolire il diritto di proprietà privata, poiché questo non deriva dalla legge dell’uomo ma dalla natura, ma può solo controllarne l’uso e armonizzarlo con il bene comune “*. . .
3729. [Dz 2257] Obblighi relativi ai redditi superflui. I redditi superflui non sono lasciati interamente all’arbitrio dell’uomo, cioè le ricchezze di cui non ha bisogno per sostenere la vita in modo adeguato e decoroso; ma d’altra parte la Sacra Scrittura ed i santi Padri della Chiesa dichiarano continuamente e con parole chiarissime che i ricchi sono tenuti con la massima serietà al precetto di praticare la carità, la beneficenza e la liberalità. L’investimento di redditi piuttosto cospicui affinché abbondino le opportunità di lavoro retribuito, a condizione che questo lavoro sia applicato alla produzione di prodotti veramente utili, deduciamo dallo studio dei principi del Dottore Angelico, è da considerarsi un’azione nobile di magnifica virtù, e particolarmente adatta alle necessità del tempo.
3730. [Dz 2258]. Titoli di acquisto della proprietà. Inoltre, non solo la tradizione di tutti i tempi, ma anche la dottrina del Nostro predecessore, Leone, testimoniano chiaramente che la proprietà in primo luogo si acquista con l’occupazione di una cosa che non appartenga a nessuno, e con l’industria, o specificazione che dir si voglia. Infatti non si arreca alcun danno a nessuno, checché se ne dica, quando si occupa una proprietà che non sia reclamata e che non appartenga a nessuno; ma l’industria che viene esercitata dall’uomo in nome proprio, e con la quale si aggiunge un nuovo tipo o un aumento alla sua proprietà, è l’unica industria che dà al lavoratore un titolo sui suoi frutti”.
Capitale e lavoro.
[Dalla stessa Enciclica, “Quadragesimo anno“, 15 maggio 1931].
3731. [Dz 2259] Ben diversa è la natura del lavoro che viene affittato ad altri e che viene esercitato sul capitale altrui. Questa affermazione è particolarmente in armonia con ciò che Leone XIII dice essere più vero, “che le ricchezze dello Stato sono prodotte solo dal lavoro dell’uomo che lavora”. – Nessuno dei due senza l’altro è in grado di produrre qualcosa. Ne consegue che, a meno che uno non svolga un lavoro sulla propria proprietà, la proprietà dell’uno debba essere associata in qualche modo al lavoro dell’altro; perché nessuno dei due produce nulla senza l’altro. E questo Leone XIII aveva in mente quando scrisse: “Non ci può essere capitale senza lavoro, né lavoro senza capitale”. Pertanto, è del tutto falso attribuire all’uno o all’altro da solo ciò che sia stato ottenuto dallo sforzo congiunto di entrambi; ed è del tutto ingiusto che l’uno neghi l’efficacia dell’altro, e si arroghi il merito di ciò che è stato realizzato. . . .
3732. [Dz 2260]. Il principio direttivo della giusta distribuzione. Senza dubbio, per evitare che con queste false decisioni blocchino l’avvicinamento alla giustizia e alla pace, entrambi avrebbero dovuto essere avvertiti dalle sagge parole del Nostro predecessore: “Anche se divisa tra proprietari privati, la terra non cessa di servire all’utilità di tutti”. Pertanto, la ricchezza che viene continuamente accresciuta grazie al progresso economico e sociale dovrebbe essere distribuita in modo tale da preservare il bene comune di tutta la società. In base a questa legge di giustizia sociale, ad una classe è vietato escludere l’altra dalla partecipazione ai profitti. Tuttavia, la classe ricca viola questa legge di giustizia sociale quando, per così dire, libera da ogni ansia per la sua fortuna, consideri giusto quell’ordine di cose per cui tutto spetta a lei e niente all’operaio; e la classe senza proprietà viola questa legge quando, fortemente incattivita dalla giustizia violata e troppo incline a rivendicare a torto l’unico diritto proprio di cui è consapevole, pretenda tutto per sé, con la motivazione che sia stato fatto dalle proprie mani, e quindi attacchi e si sforzi di abolire la proprietà e il reddito, o i profitti che non siano stati ottenuti con il lavoro, di qualsiasi tipo essi siano, o di qualsiasi natura essi siano nella società umana, per nessun altro motivo se non perché sono tali. E non dobbiamo trascurare il fatto che in questa materia alcuni si appellano, in modo inopportuno ed indegno, all’Apostolo quando dice: “Se uno non vuole lavorare, non lo lasci mangiare” (2Ts III,10); infatti l’Apostolo pronuncia questa affermazione contro coloro che si astengono dal lavoro, anche se possono e devono lavorare; e ci consiglia di fare un uso zelante del tempo e delle forze, sia del corpo che della mente, e di non gravare sugli altri, quando possiamo provvedere a noi stessi. Ma in nessun modo l’Apostolo insegna che il lavoro è l’unico titolo per ricevere un sostentamento e dei profitti (cfr. 2Ts III,8-10). – A ciascuno, dunque, va assegnata la propria parte di proprietà; e si deve fare in modo che la distribuzione dei beni creati sia conforme alle norme del bene comune o della giustizia sociale. . . .
Il giusto salario o stipendio del lavoro.
[Dalla stessa Enciclica]
Consideriamo la questione del salario, che Leone XIII disse “essere di grande importanza”, enunciando e spiegando la dottrina ed i precetti dove necessario.
3733. [Dz 2261] Il contratto di salario non è ingiusto nella sua essenza. In primo luogo, infatti, coloro che dichiarano che il contratto di affitto e di accettazione di manodopera a pagamento sia ingiusto nella sua essenza, e che quindi al suo posto debba essere sostituito un contratto di società, sono completamente in errore, e calunniano gravemente il Nostro predecessore, la cui Lettera Enciclica “Sul salario” non solo ammette un tale contratto, ma lo tratta a lungo secondo i principi della giustizia
3734. [Dz 2262] (Su quale base debba essere stimata una giusta remunerazione). Leone XIII ha già saggiamente dichiarato, con le seguenti parole, che la giusta misura del salario debba essere stimata non in base ad una sola ma a diverse considerazioni: “Affinché si possa stabilire una giusta misura del salario, si devono considerare molte condizioni. . . . “
La natura individuale e sociale del lavoro. Sia per la proprietà che per il lavoro, soprattutto per quello dato in affitto, si deve osservare che, oltre alle preoccupazioni personali o individuali, si deve considerare anche l’aspetto sociale; infatti, se non c’è un corpo veramente sociale ed organico, se l’ordine sociale e giuridico non protegge il lavoro, se i vari mestieri che dipendono l’uno dall’altro, uniti in reciproca armonia, non si completano a vicenda e se, cosa più importante, l’intelletto, il capitale ed il lavoro non si uniscono come in un’unità, gli sforzi dell’uomo non possano produrre i frutti dovuti. Pertanto, gli sforzi dell’uomo non possono essere valutati giustamente né adeguatamente ripagati se si trascura la loro natura sociale e individuale. – Tre questioni fondamentali da considerare. Inoltre, da questo duplice carattere, che è la natura profonda del lavoro umano, derivano le conclusioni più serie in base alle quali i salari dovrebbero essere regolati e determinati.
3735. [Dz 2263]. a) Il sostentamento del lavoratore e della sua famiglia. È giusto, infatti, che il resto della famiglia contribuisca, secondo le proprie capacità, al sostentamento comune di tutti, come si può vedere soprattutto nelle famiglie dei contadini ed anche in molte famiglie di artigiani e piccoli negozianti; ma è sbagliato abusare della tenera età dei bambini e della debolezza delle donne. Soprattutto in casa o nelle questioni che riguardano la casa, lasciate che le madri di famiglia svolgano il loro lavoro occupandosi delle cure domestiche. Ma l’abuso peggiore, che deve essere eliminato con ogni sforzo, è quello delle madri costrette a svolgere un’attività remunerativa lontano da casa, a causa dell’esiguità del salario del padre, trascurando le proprie cure e i propri doveri speciali, e soprattutto l’educazione dei figli. Occorre quindi fare ogni sforzo affinché i padri ricevano un salario sufficientemente ampio da soddisfare adeguatamente le ordinarie esigenze domestiche. Ma se allo stato attuale delle cose questo non può essere sempre realizzato, la giustizia sociale richiede che vengano introdotti al più presto dei cambiamenti che permettano ad ogni lavoratore adulto di essere garantito da un tale salario. Non sarà inutile elogiare tutti coloro che, in modo molto saggio ed utile, hanno tentato vari piani per adeguare il salario del lavoratore agli oneri della famiglia, in modo che quando gli oneri aumentano, il salario venga aumentato; sicuramente, se questo dovesse accadere, si farebbe abbastanza per soddisfare i bisogni straordinari.
3736. [Dz 2264] b) La condizione dell’azienda. Si deve tenere conto anche di un’azienda e del suo proprietario; infatti, ingiustamente verrebbero richiesti salari smisurati, che l’azienda non possa sopportare senza la sua rovina e la conseguente rovina dei lavoratori. Tuttavia, se l’azienda produce meno profitti a causa della diligenza, della pigrizia o della negligenza nei confronti del progresso tecnico ed economico, questo non è da considerarsi una giusta causa per abbassare i salari dei lavoratori. Tuttavia, se ad un’impresa non torna una quantità di denaro sufficiente a pagare agli operai un giusto salario, perché è oppressa da oneri ingiusti o perché è costretta a vendere il suo prodotto a un prezzo inferiore a quello giusto, coloro che vessano un’impresa si rendono colpevoli di un grave reato; perché privano del giusto salario gli operai che, costretti dalla necessità, sono obbligati ad accettare un salario inferiore a quello giusto. . . .
3737. [Dz 2265] c) Le esigenze del bene comune. Infine, la scala dei salari deve essere adeguata al benessere economico del popolo. Abbiamo già mostrato come sia utile al benessere del popolo che gli operai e i funzionari, accantonando la parte del loro salario non utilizzata per le spese necessarie, acquisiscano gradualmente un modesto patrimonio; ma non bisogna trascurare un’altra cosa, di importanza appena minore, e particolarmente necessaria nel nostro tempo, ossia che venga fornita un’opportunità di lavoro a coloro che siano in grado e disposti a lavorare. . . . Un’altra cosa, poi, è contraria alla giustizia sociale, ovvero che, per motivi di guadagno personale e senza alcuna considerazione del benessere comune, si abbassino o si alzino eccessivamente i salari dei lavoratori; questa stessa giustizia esige che con una pianificazione concertata e con la buona volontà, per quanto si possa fare, si regolino i salari in modo tale che il maggior numero possibile di persone possa avere un impiego e ricevere mezzi adeguati per il mantenimento della vita.
Molto opportunamente, è importante anche una ragionevole proporzione tra i salari, con la quale è strettamente connessa la giusta proporzione dei prezzi di vendita dei beni prodotti dai vari gruppi come l’agricoltura, l’industria ed altri. Se tutti questi aspetti sono mantenuti in armonia, le varie competenze si combineranno e si uniranno come in un unico corpo e, come le membra di un corpo, si aiuteranno e si perfezioneranno a vicenda. Allora l’ordine economico e sociale sarà veramente stabilito e raggiungerà i suoi scopi, se verranno forniti a tutti ed a ciascuno tutti quei benefici che possono essere forniti dalle ricchezze e dalle risorse della natura, dalle competenze tecniche e dalla costituzione sociale degli affari economici. Anzi, questi benefici dovrebbero essere tanto numerosi quanto sono necessari per soddisfare le necessità e le convenienze onorevoli della vita, e per elevare gli uomini a quel modo di vivere più felice che, a condizione che sia condotto con prudenza, non solo non è un ostacolo alla virtù, ma un grande aiuto ad essa.
Il giusto ordine sociale.
[Dalla stessa Enciclica, “Quadragesimo anno”, 15 maggio 1931].
3738. [Dz 2266] – [Il dovere dello Stato]. Quando ora parliamo di riforma delle istituzioni, abbiamo in mente soprattutto lo Stato, non come se tutta la salvezza fosse da aspettarsi dalla sua attività, perché a causa del male dell’individualismo, di cui abbiamo parlato, le cose sono arrivate ad un punto tale che la vita sociale altamente sviluppata, che un tempo fioriva compostamente in diverse istituzioni, sia stata abbassata e quasi cancellata; e i singoli uomini e lo Stato sono rimasti quasi soli, con un danno non indifferente per lo Stato che, avendo perso la sua forma di regime sociale ed avendo assunto tutti gli oneri precedentemente sostenuti dalle associazioni ora distrutte, è stato quasi sommerso e sopraffatto da un numero infinito di funzioni e doveri. – Pertanto, l’autorità suprema dello Stato dovrebbe affidare ai gruppi più piccoli l’espletamento di affari e problemi di minore importanza, dai quali altrimenti sarebbe fortemente distratta. In questo modo, tutte le questioni che riguardano lo Stato saranno eseguite in modo più libero, vigoroso ed efficiente, dal momento che esso è l’unico abilitato a svolgerle, dirigendo, sorvegliando, sollecitando e obbligando, a seconda delle circostanze e delle necessità. Pertanto, coloro che sono al potere si convincano che quanto più il principio del dovere del “sussidiario” sia perfettamente rispettato ed un ordine gerarchico graduale fiorisca tra le varie associazioni, tanto più eccezionali saranno l’autorità e l’efficienza sociale, e più felice e prospera la condizione dello Stato.
3739. [Dz 2267]. L’armonia reciproca degli “ordini“. Inoltre, sia lo Stato che ogni cittadino di spicco, dovrebbero guardare e sforzarsi soprattutto per questo, che con la soppressione dei conflitti tra le classi possa essere suscitata e promossa una piacevole armonia tra gli ordini. . . . – Perciò la politica sociale deve lavorare per il ripristino degli “ordini” …, “ordini”, cioè, in cui gli uomini sono collocati non in base alla posizione che occupano nel mercato del lavoro, ma in base ai diversi ruoli sociali che esercitino individualmente. Infatti, come accade per impulso naturale che coloro che sono uniti dalla vicinanza del luogo fondino dei comuni, così anche coloro che esercitano lo stesso mestiere o la stessa professione – sia essa economica o di altro tipo – formano corporazioni o determinati gruppi (collegia seu corpora quaedam), cosicché questi gruppi, essendo veramente autonomi, siano abitualmente indicati, se non come essenziali alla società civile, almeno come naturali ad essa. . . . – È appena il caso di ricordare che ciò che Leone XIII ha insegnato sulla forma di governo politico sia ugualmente applicabile, con le dovute proporzioni, alle corporazioni od ai gruppi, e cioè che sia lecito agli uomini scegliere la forma che preferiscono, purché si tenga conto delle esigenze della giustizia e del bene comune.
3740. [Dz 2268] [Libertà di associazione]. Ora, come gli abitanti di un comune sono soliti fondare associazioni per scopi molto diversi, alle quali ciascuno ha piena facoltà di aderire o meno, così coloro che esercitano lo stesso mestiere si associano tra loro in modo altrettanto libero per scopi in qualche modo connessi all’esercizio del loro mestiere. Poiché queste libere associazioni sono state spiegate in modo chiaro e lucido dal Nostro predecessore, riteniamo sufficiente sottolineare questo punto: che l’uomo ha piena libertà non solo di formare tali associazioni, che sono di diritto e ordine privato, ma anche di scegliere liberamente all’interno di esse quell’organizzazione e quelle leggi che sono considerate particolarmente favorevoli al fine che è stato proposto”. * La stessa libertà deve essere mantenuta nell’istituire associazioni che si estendono oltre i limiti di un singolo commercio. Inoltre, queste libere associazioni che già fioriscono e godono di frutti salutari, secondo il pensiero della dottrina sociale cristiana, si prefiggano di preparare la strada a quelle corporazioni o “ordini” più importanti di cui abbiamo fatto menzione sopra, e lo realizzino con impegno.
3741. [Dz 2269]. Il principio guida dell’economia da ripristinare. Un’altra questione, strettamente connessa alla prima, deve essere tenuta presente. Come l’unità della società non può poggiare sulla reciproca opposizione delle classi, così il giusto ordinamento degli affari economici non può essere affidato alla libera competizione delle forze. . . Perciò si devono cercare principi più alti e più nobili con cui controllare questo potere in modo fermo e solido: la giustizia sociale e la carità sociale. Pertanto, le istituzioni del popolo, e di tutta la vita sociale, devono essere impregnate di questa giustizia, in modo che sia veramente efficiente, o stabilire un ordine giuridico e sociale, con il quale, per così dire, l’intera economia possa essere modellata. La carità sociale, inoltre, dovrebbe essere l’anima di questo ordine, e un’autorità pubblica attenta dovrebbe mirare a proteggerla e custodirla efficacemente, compito che potrà svolgere con meno difficoltà, se si libererà di quei pesi che abbiamo dichiarato prima non esserle propri. – Inoltre, le varie Nazioni dovrebbero sforzarsi di raggiungere questo obiettivo unendo il loro zelo e le loro fatiche, in modo che, poiché negli affari economici dipendono per la maggior parte l’una dall’altra ed hanno bisogno dell’aiuto reciproco, possano promuovere con saggi patti e istituzioni, una favorevole e felice cooperazione nel mondo dell’economia.
Socialismo.
[Dalla stessa Enciclica, “Quadragesimo anno“, 15 maggio 1931]
3742. [Dz 2270] Dichiariamo quanto segue: Sia che si consideri il socialismo come dottrina, sia che lo si consideri come fatto storico, sia che lo si consideri come “azione”, se veramente rimane socialismo, anche dopo aver ceduto alla verità e alla giustizia nelle questioni che abbiamo menzionato, non può essere conciliato con i dogmi della Chiesa cattolica, poiché concepisce una società umana completamente in contrasto con la verità cristiana.
3743. Il socialismo concepisce una società ed un carattere sociale dell’uomo completamente in contrasto con la verità cristiana. Secondo la dottrina cristiana, l’uomo, dotato di una natura sociale, è posto su questa terra affinché, conducendo una vita in società e sotto un’autorità ordinata da Dio (cfr. Rm XIII,1), possa sviluppare e far evolvere pienamente tutte le sue facoltà a lode e gloria del suo Creatore; e compiendo fedelmente il dovere del suo mestiere, o di qualsiasi altra vocazione, possa acquisire per sé la felicità temporale ed eterna. Il socialismo, invece, ignorando completamente questo fine sublime dell’uomo e della società, e non preoccupandosene, afferma che la società umana sia stata istituita per i soli vantaggi materiali. . . .
3744. Cattolico e socialista hanno significati contraddittori. Ma se il socialismo, come tutti gli errori, contiene in sé qualche verità (che, del resto, i Sovrani Pontefici non hanno mai negato), tuttavia si basa su una dottrina della società umana, peculiare a se stessa, ed in contrasto con il vero Cristianesimo. “Socialismo religioso”, “Socialismo cristiano” hanno significati contraddittori: nessuno può essere allo stesso tempo un buon Cattolico ed un socialista nel vero senso della parola”.
3447. Che se il socialismo, come tutti gli errori, ammette pure qualche parte di vero (il che del resto non fu mai negato dai Sommi Pontefici), esso tuttavia si fonda su una dottrina della società umana, tutta sua propria e discordante dal vero Cristianesimo. Socialismo religioso e socialismo cristiano sono dunque termini contraddittori: nessuno può essere buon Cattolico ad un tempo e vero socialista.
Risposta della Sacra Penitenzieria, 20 luglio 1932.
Ricorso esclusivo ai periodi sterili.
3748. Domanda: È di per sé lecita la pratica dei coniugi che, poiché per giusti e gravi motivi preferiscono evitare onestamente la prole, si astengano di comune accordo e per onesti motivi dalla consuetudine del Matrimonio se non in quei giorni in cui, secondo le teorie di alcuni autori recenti (Ogino-Knaus), non possa esserci concepimento per motivi naturali? Risposta: Trattata nella risposta della Sacra Penitenzieria del 16 giugno 1880 (cf. 3148.)
La maternità universale della Beata Vergine Maria.
[Dall’Enciclica “Lux veritatis“, 25 dicembre 1931]
[Dz 2271] Ella (a ben vedere), per il fatto di aver portato in grembo il Redentore del genere umano, è in un certo senso la Madre più benigna di tutti noi, che Cristo Signore ha voluto avere come fratelli (cfr. Rm VIII,29). Il nostro predecessore di felice memoria, Leone XIII, così si esprime: “Così ce l’ha mostrata Dio che, per il fatto stesso di averla scelta come Madre del suo Unigenito, l’ha chiaramente dotata di sentimenti materni che non esprimono altro che amore e bontà; così l’ha mostrata Gesù Cristo con il suo stesso atto, quando ha voluto di sua volontà essere sottomesso ed obbediente a Maria, come il figlio alla madre; così l’ha dichiarata dalla Croce quando l’ha affidata, come l’intero genere umano, a Giovanni il discepolo, perché fosse da lui curata e custodita” (Gv XIX,26 s.); così, infine, l’ha mostrata a tutti noi come una madre benigna (cfr. Rm VIII,29). ); tale, infine, si è data Lei stessa, che ha accolto con il suo grande spirito l’eredità di grande lavoro lasciata dal Figlio morente, ed ha iniziato subito a esercitare i suoi doveri materni verso tutti.
Risposta della Commissione Biblica, 1 luglio 1933.
3750. Domanda 1: È lecito per un Cattolico, soprattutto alla luce dell’interpretazione autentica del Principe degli Apostoli (At 2,24-33 At 13,35-37) interpretare le parole del Sal XVI,10-11: “Non lascerai la mia anima nello Sceol, né permetterai che il tuo Santo veda la corruzione; mi hai fatto conoscere i sentieri della vita”, come se l’autore non intendesse parlare della risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo? Risposta: No.
3751. Domanda 2: È lecito affermare che le parole di Gesù Cristo che leggiamo in Mt XVI, 26: “E che giova all’uomo se guadagna il mondo intero e perde la propria anima? O che cosa darà un uomo in cambio della sua anima?”, così come le seguenti, che leggiamo in San Luca: “Che cosa giova ad un uomo guadagnare il mondo intero se poi rovina o perde se stesso? “non riguardano letteralmente la salvezza eterna dell’anima, ma solo la vita temporale dell’uomo, nonostante il contenuto delle parole stesse e il loro contesto, nonché l’unanime interpretazione cattolica?
Risposta: No.
Lett. Encycl. “Ad catholici sacerdotii“, 20 dic. 1935.
3755. Gli effetti dell’Ordine del sacerdozio.
[Dall’Enciclica “Ad catholici sacerdotii“, 20 dicembre 1935]
3755. [Dz 2275] Il ministro di Cristo è il Sacerdote; pertanto, egli è, per così dire, lo strumento del divino Redentore, affinché egli possa continuare nel tempo la sua opera meravigliosa che, con la sua divina efficacia, ha restaurato l’intera società degli uomini e l’ha portata a un più alto perfezionamento. Piuttosto, come siamo soliti dire in modo giusto ed appropriato: “Egli è un altro Cristo”, poiché svolge il suo ruolo secondo queste parole: “Come il Padre ha mandato me, anch’Io mando voi” (Gv XX,21); e allo stesso modo e attraverso la voce degli Angeli il suo Maestro canta: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli” ed esorta alla pace “gli uomini di buona volontà” (cfr. Lc II,14). . . .
3756. Tali poteri, conferiti con lo speciale Sacramento del Sacerdozio, poiché si imprimono nella sua anima con il carattere indelebile per cui, come Colui di cui condivide il Sacerdozio, egli diventa “Sacerdote per sempre” (Sal CIX,4), non sono fugaci e transitori, ma stabili e permanenti. Anche se per la fragilità umana dovesse cadere in errori e disgrazie, non potrà mai cancellare dalla sua anima questo carattere sacerdotale. Inoltre, attraverso il Sacramento dell’Ordine il Sacerdote non solo acquisisce il carattere sacerdotale, non solo gli alti poteri, ma è anche reso più grande da una nuova e speciale grazia e da speciali aiuti, grazie ai quali, se solo si conformerà fedelmente, con la sua libera e personale cooperazione, alla potenza divinamente efficace di questi doni celesti, sicuramente sarà in grado di affrontare degnamente e senza sconforto di spirito gli ardui doveri del suo ministero. . . . – Dai santi ritiri [degli esercizi spirituali] di questo tipo può anche scaturire a volte una tale utilità, che uno, entrato “in sortem Domini” non per chiamata di Cristo stesso ma indotto dai suoi motivi terreni, possa essere in grado di “suscitare la grazia di Dio” (cfr. 2Tm 1); infatti, essendo ormai legato a Cristo ed alla Chiesa da un vincolo eterno, non può far altro che far proprie le parole di San Bernardo: “Per il futuro, fa’ buone le tue vie e le tue ambizioni e santifica il tuo ministero; se la santità della vita non l’ha preceduta, almeno la segua”. La grazia che è comunemente concessa da Dio e che viene data in modo speciale a chi accetta il Sacramento dell’Ordine, lo aiuterà senza dubbio, se lo desidera veramente, non tanto a modificare ciò che all’inizio fosse stato progettato in modo sbagliato da lui, quanto ad eseguire ed a prendersi cura dei doveri del suo ufficio.
Dall’Enciclica “Ad catholici sacerdotii“, 20 dicembre 1935.
3757. [Dz 2276]Infine, anche in questa materia il Sacerdote, compiendo l’opera di Gesù Cristo, che “passò tutta la notte nella preghiera di Dio” (Lc VI,12), e “visse sempre per intercedere per noi” (Heb VII,25), è per ufficio l’intercessore presso Dio per tutti; tra i suoi mandati c’è quello di offrire non solo il vero e proprio Sacrificio dell’altare a nome della Chiesa alla Divinità celeste, ma anche “il Sacrificio di lode” (Sal XLIX,14) e le preghiere comuni; Egli, infatti, con i salmi, le suppliche ed i cantici, mutuati in gran parte dalla Sacra Scrittura, assolve quotidianamente e ripetutamente al dovere dell’adorazione dovuta a Dio, e compie il necessario ufficio di tale adempimento per gli uomini. . . .
3758. Se la supplica privata è così potente a causa delle solenni e grandi promesse fatte da Gesù Cristo (Mt VII,7-11; Mc XI,23 Lc XI,9-13), allora le preghiere, che vengono pronunciate nell’Ufficio a nome della Chiesa, sposa prediletta del Redentore, godono senza dubbio di maggiore forza e virtù.
Risposta del Sant’Uffizio. 11 agosto 1936. Sterilizzazione.
3760. Dichiarazione: … Un’operazione chirurgica che porti alla sterilizzazione non è, ovviamente, un'”azione intrinsecamente malvagia per quanto riguarda la sostanza dell’atto”, e può quindi essere permessa finché è necessaria per procurare una buona salute. Ma se viene eseguita allo scopo di impedire la procreazione di figli, è un'”azione intrinsecamente malvagia per l’assenza di diritto in colui che agisce”, poiché né un uomo privato, né l’autorità pubblica, hanno un potere diretto di disporre delle membra del corpo che si estenda fino a quel punto.
3761. Questa dottrina, esplicitamente presentata dal Sommo Pontefice, deve essere applicata integralmente alla legge sulla sterilizzazione in questione. Il fatto che questa legge, volta a prevenire la prole handicappata, sia stata emanata per motivi puramente eugenetici, ovvero per prevenire danni economici o di altro tipo, non cambia la fattispecie né compensa l’assenza di diritti da parte di chi agisce, ed è per questo che l’operazione di sterilizzazione che viene prescritta debba essere considerata intrinsecamente ingiusta, e di fatto lo è.
3762. Di conseguenza: anche se il fine della legge, che è quello di curare la salute ed il vigore della prole, e di prevenire la prole handicappata, non deve essere riprovato, l’oggetto della legge, cioè i mezzi prescritti per condurre a questo fine, deve tuttavia essere totalmente riprovato. (In conseguenza di ciò, il Sant’Uffizio diede questa risposta il 15 luglio 1936: )
3763. 1) Una sterilizzazione effettuata per questo fine, che è quello di impedire la discendenza, è un’azione intrinsecamente cattiva per l’assenza di un diritto da parte di chi agisce; ed è per questo che è proibita dalla stessa legge naturale, sia che venga effettuata in virtù di un’autorità privata, sia che venga effettuata in virtù di un’autorità pubblica.
3764. 2) … Nella misura in cui prescrive che tale sterilizzazione sia richiesta o che sia effettuata, la “Legge per evitare che la prole soffra di una malattia ereditaria” è contraria al vero bene comune, ingiusta e non può creare un obbligo in coscienza.
3765. 3) Approvare questa legge, raccomandarla o applicarla con sentenza giudiziaria a casi particolari affinché si proceda alla sterilizzazione, così come approvare la sterilizzazione stessa in vista della prevenzione della prole…, significa approvare qualcosa di intrinsecamente malvagio…, ed è per questo immorale ed illecita.
Lett. Encycl. “Divini Redemptoris”, 19 mar. 1937.
3771.Quanto a ciò che la ragione e la fede dicono dell’uomo, Noi abbiamo esposto i punti fondamentali nell’Enciclica sull’educazione cristiana. L’uomo ha un’anima spirituale e immortale; è una persona, dal Creatore ammirabilmente fornita di doni di corpo e di spirito, un vero « microcosmo » come dicevano gli antichi, un piccolo mondo, che vale di gran lunga più di tutto l’immenso mondo inanimato. Egli ha in questa e nell’altra vita solo Dio per ultimo fine; è dalla grazia santificante elevato al grado di figlio di Dio e incorporato al regno di Dio nel mistico Corpo di Cristo. Conseguentemente Dio l’ha dotato di molteplici e svariate prerogative: diritto alla vita, all’integrità del corpo, ai mezzi necessari all’esistenza; diritto di tendere al suo ultimo fine nella via tracciata da Dio; diritto all’associazione, alla proprietà, e all’uso della proprietà.– Come il Matrimonio e il diritto all’uso naturale di esso sono di origine divina, così anche la costituzione e le prerogative fondamentali della famiglia sono state determinate e fissate dal Creatore stesso, non dall’arbitrio umano né da fattori economici. Nell’Enciclica sul Matrimonio cristiano e nell’altra Nostra, sopra accennata, sull’educazione, Ci siamo largamente diffusi su questi argomenti. Dio ha in pari tempo ordinato l’uomo anche alla società civile, richiesta dalla sua stessa natura. Nel piano del Creatore la società è un mezzo naturale, di cui l’uomo possa e debba servirsi per il raggiungimento del suo fine, essendo la società umana per l’uomo, e non viceversa.
3772. Ma Dio ha in pari tempo ordinato l’uomo anche alla società civile, richiesta dalla sua stessa natura. Nel piano del Creatore la società è un mezzo naturale, di cui l’uomo può e deve servirsi per il raggiungimento del suo fine, essendo la società umana per l’uomo, e non viceversa. Ciò non è da intendersi nel senso del liberalismo individualistico, che subordina la società all’uso egoistico dell’individuo; ma solo nel senso che, mediante l’unione organica con la società, sia a tutti resa possibile per la mutua collaborazione l’attuazione della vera felicità terrena; inoltre nel senso che nella società trovano sviluppo tutte le doti individuali e sociali, inserite nella natura umana, le quali sorpassano l’immediato interesse del momento e rispecchiano nella società la perfezione divina: ciò nell’uomo isolato non potrebbe verificarsi. Ma anche quest’ultimo scopo è in ultima analisi in ordine all’uomo, perché riconosca questo riflesso della perfezione divina, e lo rimandi così in lode e adorazione al Creatore. Solo l’uomo, la persona umana, e non una qualsiasi società umana, è dotato di ragione e di volontà moralmente libera.
3773. Pertanto come l’uomo non può esimersi dai doveri voluti da Dio verso la società civile, e i rappresentanti dell’autorità hanno il diritto, quando egli si rifiutasse illegittimamente, di costringerlo al compimento del proprio dovere, così la società non può frodare l’uomo dei diritti personali, che gli sono stati concessi dal Creatore, i più importanti dei quali sono stati da Noi sopra accennati, né di rendergliene impossibile per principio l’uso. È quindi conforme alla ragione e da essa voluto che alla fin fine tutte le cose terrestri siano ordinate alla persona umana, affinché per mezzo suo esse trovino la via verso il Creatore. E si applica all’uomo, alla persona umana, ciò che l’Apostolo delle Genti scrive ai Corinti sull’economia della salvezza cristiana: «Tutto è vostro, voi siete di Cristo, Cristo è di Dio ». Mentre il comunismo impoverisce la persona umana, capovolgendo i termini della relazione dell’uomo e della società, la ragione e la rivelazione la elevano così in alto! – Sull’ordine economico-sociale i princìpi direttivi sono stati esposti nell’Enciclica sociale di Leone XIII sulla questione del lavoro, e nella Nostra sulla ricostruzione dell’ordine sociale sono stati adattati alle esigenze del tempo presente. Poi, insistendo di nuovo sulla dottrina secolare della Chiesa, circa il carattere individuale e sociale della proprietà privata, Noi abbiamo precisato il diritto e la dignità del lavoro, i rapporti di vicendevole appoggio e aiuto che devono esistere tra quelli che detengono il capitale e quelli che lavorano, il salario dovuto per stretta giustizia all’operaio per sé e per la sua famiglia.
Giustizia sociale.
[Dall’Enciclica “Divini Redemptoris“, 19 marzo 1937]
3774. [Dz 2277] In realtà, oltre alla giustizia che si chiama commutativa, si deve promuovere anche la giustizia sociale, che esige doveri dai quali né i lavoratori né i datori di lavoro possano sottrarsi. Ora, è compito della giustizia sociale esigere dall’individuo ciò che sia necessario per il bene comune. Ma come nel caso della struttura di qualsiasi corpo vivente, non c’è alcun riguardo per il bene dell’insieme, se ogni singolo membro non sia dotato di tutte le cose di cui ha bisogno per svolgere il proprio ruolo, così nel caso della costituzione e della composizione della comunità, non ci può essere alcuna disposizione per il bene dell’intera società, se i singoli membri, cioè gli uomini dotati della dignità della personalità, non siano forniti di tutto ciò di cui hanno bisogno per esercitare i loro doveri sociali. Se, dunque, si provvede alla giustizia sociale, i ricchi frutti dello zelo attivo cresceranno dalla vita economica, che maturerà in un ordine di tranquillità, e daranno prova della forza e della solidarietà dello Stato, proprio come la forza del corpo si riconosce dal suo funzionamento indisturbato, completo e fruttuoso. – La giustizia sociale non sarà soddisfatta se gli operai non potranno garantire a se stessi e alle loro famiglie un sostentamento sicuro, basato su un salario accettabile e coerente con la realtà; se non si darà loro l’opportunità di acquisire una modesta fortuna per se stessi, in modo da evitare quella piaga del pauperismo universale, che è così ampiamente diffusa; se non si faranno, infine, piani opportuni per il loro beneficio, in base ai quali gli operai, per mezzo di assicurazioni pubbliche o private, possano avere una qualche copertura per la loro vecchiaia, i periodi di malattia e la disoccupazione. A questo proposito è bene ripetere ciò che abbiamo detto nella Lettera enciclica Quadragesimo anno“: “Solo allora l’ordine economico e sociale sarà ben stabilito, ecc. (cfr. n. 2265).
Enciclica “Firmissimam constantiam” ai Vescovi degli Stati Uniti d’America del Messico, 28 marz. 1937.
3775. Avete insegnato che, anche a costo di gravi inconvenienti per se stessa, la Chiesa sostenga la pace e l’ordine, e che condanni qualsiasi ribellione o violenza ingiusta contro i poteri costituiti. D’altra parte, è stato anche affermato da voi che se si verifica il caso in cui i poteri stessi combattano apertamente la giustizia e la verità a tal punto da distruggere persino le fondamenta dell’autorità, non si capisce perché dovremmo condannare i cittadini che si uniscono per proteggere se stessi e la nazione, quando usano mezzi leciti ed approvati contro coloro che abusano del potere portando alla rovina la vita pubblica comune.
3776. Anche se la soluzione di queste questioni dipenda necessariamente dalle circostanze concrete, è necessario evidenziare alcuni principi: 1. Gli atti di resistenza di questo tipo hanno il carattere di mezzo o di fine relativo, non quello di fine ultimo ed assoluto. 2. In quanto mezzi, devono essere azioni lecite e non intrinsecamente malvagie. 3. Poiché devono essere adeguati e proporzionati al fine, devono tuttavia essere attuati solo nella misura in cui conducano in tutto o in parte al fine perseguito, ma in modo tale che non causino alla comunità ed alla giustizia un danno maggiore di quello che cercano di riparare. 4. L’uso di questi mezzi ed il pieno esercizio dei diritti civili e politici, tuttavia, poiché comprendono anche ciò che è puramente temporale e tecnico o la difesa della forza, non riguardano direttamente il compito dell’Azione Cattolica, anche se essa ha il dovere di istruire gli uomini Cattolici ad esercitare in modo giusto i diritti loro propri e a difenderli con mezzi giusti, secondo quanto richiede il bene comune. 5. Poiché il clero e l’Azione Cattolica sono tenuti, in virtù della missione di pace e di amore che è stata loro affidata, a unire tutti gli uomini “nel vincolo della pace” (Eph IV,3), essi devono contribuire in massimo grado alla prosperità della Nazione, sia promuovendo grandemente l’unione dei cittadini e delle classi, sia sostenendo tutte le iniziative sociali che non siano in contraddizione con la dottrina di Cristo e la legge morale.
PIO XII: 2 marz. 1938- 9 ott.1958
Lett. Encycl. “Summi pontificatus”, 20 ott. 1939.
La legge naturale.
[Dall’Enciclica “Summi Pontificatus“, 20 ottobre 1939]
3780. [Dz 2279] È assodato che la prima e profonda fonte dei mali da cui è afflitto lo Stato moderno derivi dal fatto che la norma universale della moralità è negata e respinta, non solo nella vita privata degli individui, ma anche nello Stato stesso, e nei rapporti reciproci che esistono tra le razze e le nazioni; cioè, la legge naturale viene annullata dalla detrazione e dalla negligenza. – Questa legge naturale poggia su Dio come fondamento, l’onnipotente Creatore e Autore di tutto, e anche il supremo e più perfetto Legislatore, il più saggio e giusto vendicatore delle azioni umane. Quando la Divinità eterna viene negata in modo avventato, allora il principio di ogni probità vacilla ed oscilla, e la voce della natura tace, o viene gradualmente indebolita, che insegna agli ignoranti e a coloro che non hanno ancora acquisito l’esperienza della civiltà ciò che sia giusto e ciò che non sia giusto; ciò che sia permesso e ciò che non sia permesso, e li avverte che un giorno dovranno rendere conto delle loro azioni buone e cattive davanti al Giudice Supremo.
L’unità naturale del genere umano.
[Dalla stessa Enciclica, “Summi Pontificatus“, 20 ottobre 1939].
[Dz 2280]. [L’errore pernicioso] è contenuto nella dimenticanza di quel rapporto reciproco tra gli uomini e di quell’amore che la comune origine e l’uguaglianza della natura razionale di tutti gli uomini, a qualunque razza appartengano, richiedono. . . . La Bibbia narra che dal primo matrimonio dell’uomo e della donna ebbero origine tutti gli altri uomini, che si divisero in varie tribù e nazioni e si dispersero in varie parti del mondo. . . . (Ac XVII,26): Perciò, grazie ad una meravigliosa intuizione mentale, possiamo vedere e contemplare il genere umano come un’unità, a causa della sua comune origine dal Creatore, secondo queste parole: “Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, per mezzo di tutti e in noi tutti” (Eph IV,6); e allo stesso modo, una sola natura che consiste nella materialità del corpo e nell’anima immortale e spirituale. . ..
Diritto internazionale.
[Dalla stessa Enciclica, “Summi Pontificatus“, 20 ottobre 1939].
3783. [Dz 2281] Venerabili Fratelli, l’opinione che attribuisce un potere quasi infinito allo Stato non solo è un errore fatale per la vita interna delle Nazioni e per la promozione di una maggiore crescita, ma nuoce anche alle relazioni reciproche dei popoli, poiché viola quell’unità con cui tutte le Nazioni dovrebbero essere contenute nei loro rapporti reciproci, spoglia le leggi internazionali della loro forza e della loro potenza e, aprendo la strada alla violazione di altre leggi, rende molto difficile la convivenza in pace e tranquillità.
3784. Il genere umano, infatti, sebbene per la legge dell’ordine naturale stabilita da Dio si disponga in classi di cittadini e, allo stesso modo, in Nazioni e Stati, è tuttavia legato da vincoli reciproci negli affari giuridici e morali, e si riunisce in un’unica grande congregazione di popoli destinati a perseguire il bene comune di tutte le Nazioni, ed è governato da norme speciali che preservino l’unità e li indirizzino quotidianamente verso circostanze più prospere.
3785. Certamente non c’è nessuno che non veda che, se si rivendicano diritti per lo Stato, che è del tutto assoluto e non è responsabile nei confronti di nessuno, ciò si oppone completamente al diritto naturalmente radicato e lo confuta completamente; ed è chiaro, inoltre, che tali diritti mettano a discrezione dei governanti dello Stato i vincoli legalmente concordati con i quali le Nazioni sono unite l’una all’altra; e impediscano un onesto accordo di menti e la reciproca collaborazione per azioni utili. Se, Venerabili Fratelli, le intese tra gli Stati, adeguatamente organizzate e durature, richiedono questo, i legami di amicizia, da cui scaturiscono ricchi frutti, esigono che i popoli riconoscano i principi e le norme della legge naturale con cui le Nazioni sono unite l’una all’altra, e siano obbedienti ad essi. Allo stesso modo, questi stessi principi esigono che ogni Nazione conservi la propria libertà e che a tutti siano assegnati quei diritti grazie ai quali possano vivere e avanzare di giorno in giorno sulla strada del progresso civile verso circostanze più prospere; infine, esigono che i patti stipulati, come previsto e sancito dal diritto internazionale, rimangano intatti e inviolabili. – Non c’è dubbio che solo allora le Nazioni possano convivere pacificamente, solo allora possono essere governate pubblicamente da legami stabiliti, quando esiste tra loro la fiducia reciproca; quando tutti sono convinti che la fiducia accordata sarà preservata da entrambe le parti; infine, quando tutti accettano come certe le parole: “Meglio la saggezza che le armi da guerra” (cfr. Eccles. Qo IX,18); e, inoltre, quando tutti sono disposti ad approfondire e discutere una questione, ma non con la forza e la minaccia di portare ad una situazione critica, se si frappongono ritardi, controversie, difficoltà, cambiamenti di fronte, che in effetti possono nascere non solo dalla malafede, ma anche da un cambiamento di circostanze e da un reciproco scontro di interessi individuali.
3786. Ma allora separare il diritto delle Nazioni dal diritto divino, in modo che dipenda dalle decisioni arbitrarie dei governanti dello Stato come unico fondamento, non è altro che farlo cadere dal suo trono di onore e sicurezza, e consegnarlo ad uno zelo eccessivo e interessato al vantaggio privato e pubblico, che non cerca altro che di affermare i propri diritti e negare quelli degli altri.
[Dz 2282] Certamente, si deve affermare che nel corso del tempo, a causa di gravi cambiamenti nelle circostanze – che, mentre il patto veniva stipulato, non erano previsti, o forse non potevano nemmeno essere previsti -, o interi accordi o alcune parti di questi diventino talvolta ingiusti per una delle parti stipulanti, o potrebbero sembrarlo, o almeno risultare eccessivamente severi, o, infine, diventare tali da non poter essere eseguiti con vantaggio. Se ciò dovesse accadere, il rifugio deve necessariamente essere preso in una discussione sincera ed onesta, al fine di apportare le opportune modifiche al patto o di comporne uno completamente nuovo. Ma, d’altra parte, considerare i patti come cose fluide e fugaci, e attribuirsi il tacito potere, ogni volta che il proprio vantaggio lo richieda, di infrangerli di propria volontà, cioè senza consultare e trascurare l’altra parte del patto, priva certamente gli Stati della dovuta e reciproca fiducia; e così l’ordine della natura è completamente distrutto, e i popoli e le Nazioni sono separati gli uni dagli altri come da precipitosi e profondi abissi.
3786. Ma d’altra parte, staccare il diritto delle genti dall’àncora del diritto divino, per fondarlo sulla volontà autonoma degli stati, significa detronizzare quello stesso diritto e togliergli i titoli più nobili e più validi, abbandonandolo all’infausta dinamica dell’interesse privato e dell’egoismo collettivo tutto intento a far valere i propri diritti e a disconoscere quelli degli altri.
Decreto del Sant’Uffizio, 21 (24) febbraio 1940.
Sterilizzazione.
3788. Domanda: È lecita la sterilizzazione diretta, perpetua o temporanea, di un uomo o di una donna? Risposta (confermata dal Sommo Pontefice il 22 febbraio): No; è proibita dalla legge naturale e, per quanto riguarda la sterilizzazione eugenetica, è già stata riprovata con il decreto del 21 marzo 1931.
Decreto del Sant’Uffizio del 27 novembre (2 dicembre) 1940.
L’uccisione diretta di persone innocenti per ordine dell’autorità.
3790. Domanda: È lecito uccidere direttamente, per ordine delle autorità pubbliche, coloro che, senza aver commesso alcun crimine meritevole di morte, non siano tuttavia più in grado, per carenze mentali o fisiche, di essere utili alla nazione, e che anzi sono considerati un peso per essa ed un ostacolo al suo vigore e alla sua forza?
Risposta (confermata dal Sommo Pontefice il 1° dicembre): No, perché ciò è contrario alla legge naturale e alla legge divina positiva.
Lett. Commissione biblica ai Vescovi italiani. 20 ago. 1942. (Circa il libretto di un Anonimo [don Dolindo Ruotolo]
Il senso letterale e spirituale della Scrittura.
3792. (1) L’autore anonimo, pur facendo un’affermazione a parole sul fatto che il senso letterale sia “la base dell’interpretazione biblica”, in realtà sostiene un’interpretazione totalmente soggettiva ed allegorica… Certo, è un’affermazione di fede, e va tenuta come principio fondamentale, che la Sacra Scrittura contenga, oltre al senso letterale, un senso spirituale o tipico, come insegna la via di nostro Signore e degli Apostoli; tuttavia, non tutte le frasi o tutti i racconti biblici contengono un senso tipico, ed è stato un grande eccesso della scuola alessandrina voler trovare ovunque un senso simbolico, anche a scapito del senso letterale e storico. Il significato spirituale o tipico, oltre a basarsi sul significato letterale, deve essere provato o dall’uso di nostro Signore, degli Apostoli o degli scrittori ispirati, o dall’uso tradizionale dei santi Padri e della Chiesa, specialmente nella sacra Liturgia, perché “la regola della preghiera è la regola della fede (cf. 246). Un’applicazione più ampia dei testi sacri può anche essere giustificata da uno scopo di edificazione nella predicazione e negli scritti ascetici; ma il significato che risulta dalle sistemazioni più fortunate, quando non sia stato approvato come detto sopra, non può dirsi veramente e rigorosamente il significato della Bibbia, né il significato che Dio ha ispirato all’agiografo.
3793. L’autore anonimo, invece, che non fa nessuna di queste elementari distinzioni, vuole imporre i voli della sua immaginazione come significato della Bibbia, come “la vera comunione spirituale della sapienza del Signore”, e ignorando l’importanza capitale del significato letterale, accusa calunniosamente gli esegeti cattolici di considerare “solo il significato letterale” e di considerarlo “in modo umano, prendendolo solo materialmente per quello che le parole significano”…. In questo modo egli rifiuta la regola d’oro dei Dottori della Chiesa, formulata così chiaramente da Tommaso d’Aquino: “Tutti i significati si basano sull’unico significato letterale, e si può argomentare solo a partire da esso”; una regola che i Sommi Pontefici hanno approvato e consacrato quando hanno prescritto, soprattutto, che il significato letterale debba essere ricercato con tutta la cura possibile. Così, ad esempio, Leone XIII… Per questo è necessario soppesare attentamente il valore delle parole stesse, il significato del contesto, la somiglianza dei passi e altre cose simili, e anche associare chiarimenti esterni con una scienza appropriata”… (viene citato anche il precetto 3284 di Agostino) Benedetto XV ha anche detto… “Vogliamo esaminare attentamente le parole stesse della Scrittura, per accertare al di là di ogni dubbio ciò che l’autore sacro abbia scritto; ed egli… raccomanda agli esegeti di “salire con misura e discrezione a interpretazioni più elevate”. – Infine i due Papi… insistono, con le parole stesse di san Girolamo, sul dovere dell’esegeta: “Il dovere del commentatore è di esporre non idee ed intenzioni personali, ma unicamente il pensiero, l’idea dell’autore che commenta”.
3794. (2) … Il Concilio di Trento volle, contro la confusione causata dalle nuove traduzioni in latino e nelle lingue volgari allora diffuse, sancire l’uso pubblico nella Chiesa d’Occidente della versione latina comune, giustificandolo con l’uso secolare che la Chiesa ne faceva, Ma non intendeva con questo sminuire in alcun modo l’autorità delle antiche versioni usate nelle Chiese d’Oriente, in particolare quella dei Settanta usata dagli stessi Apostoli, e ancor meno l’autorità dei testi originali. Si oppose ad alcuni Padri che volevano l’uso esclusivo della Vulgata come unico testo autorevole. L’autore anonimo, invece, ritiene che, in virtù del decreto del Concilio di Trento, abbiamo nella versione latina un testo dichiarato superiore a tutti gli altri; critica gli esegeti per aver voluto interpretare la Vulgata con l’aiuto dei testi originali e delle altre versioni antiche. Per lui, il decreto dà “la certezza del testo sacro”, cosicché la Chiesa non ha bisogno di “cercare di nuovo l’autentica lettera di Dio”, e questo non solo in materia di fede e di morale, ma per tutte le questioni (anche letterarie, geografiche, cronologiche, ecc.)…
3795. Ora, una simile affermazione non solo è contraria al senso comune, che non accetterebbe mai che una versione possa essere superiore al testo originale, ma è anche contraria al pensiero dei Padri del Concilio, come risulta dagli atti ufficiali. Il Concilio era addirittura convinto della necessità di rivedere e correggere la stessa Vulgata, e affidò il compito ai sovrani Pontefici, che lo fecero, così come fecero, secondo i più competenti collaboratori del Concilio stesso, un’edizione corretta della Septuaginta,… e poi ordinarono quella del testo ebraico dell’Antico Testamento e del testo greco del Nuovo Testamento… E contraddice apertamente il precetto dell’enciclica “Providentissimus“: “Non intendiamo però che non si tenga conto delle altre versioni che i Cristiani delle prime epoche hanno usato con lode, e soprattutto dei testi primitivi”.
3796. In breve, il Concilio di Trento dichiarò la Vulgata “autentica” in senso giuridico, cioè per tutto ciò che riguardi “la forza probatoria in materia di fede e di morale”, ma non escluse il fatto di possibili divergenze dal testo originale e dalle versioni antiche…
L’origine corporale dell’uomo.
[Da un discorso di Pio Xll del 30 novembre 1941, all’inizio dell’anno della Pontificia Accademia delle Scienze]
[Dz 2285] Dio ha collocato l’uomo al posto più alto nella scala degli esseri viventi, dotato com’è di un’anima spirituale, il principale ed il più alto di tutto il regno animale. Le numerose indagini nei campi della paleontologia, della biologia e della morfologia su altre questioni riguardanti l’origine dell’uomo non hanno finora prodotto nulla di chiaro e certo in modo positivo. Pertanto, possiamo solo lasciare al futuro la risposta alla domanda se un giorno la scienza illuminata e guidata dalla rivelazione offrirà soluzioni certe e definitive ad una questione così seria.
Lett. Encycl. “Mystici corporis”, 29 giu. 1943.
I Membri della Chiesa
3800. … inoltre, come nella natura delle cose il corpo non è costituito da una qualsiasi congerie di membra, ma dev’essere fornito di organi, ossia di membra che non abbiano tutte il medesimo compito, ma siano debitamente coordinate; così la Chiesa, per questo specialmente deve chiamarsi corpo, perché risulta da una esatta disposizione e coerente unione di membri fra loro diversi. Né altrimenti l’Apostolo descrive la Chiesa, quando dice: “come in un sol corpo abbiamo molte membra, e non tutte le membra hanno la stessa funzione, così noi molti siamo un corpo in Cristo, e membra gli uni degli altri” (Rom. 12, 4).
3801. Non bisogna però credere che questa organica struttura della Chiesa sia costituita dai soli gradi della gerarchia e ad essi limitata, oppure, come ritiene un’opposta sentenza, consti unicamente di persone carismatiche (benché Cristiani forniti di doni prodigiosi non mancheranno mai alla Chiesa)…
3802. [Dz 2286] In realtà sono da annoverare tra i membri della Chiesa solo coloro che hanno ricevuto il lavacro della rigenerazione e professano la vera fede, e non si siano, per loro disgrazia, separati dalla struttura del Corpo, o per gravissimi peccati non siano stati esclusi da una legittima autorità. “Poiché in un solo spirito”, dice l’Apostolo, “siamo stati tutti battezzati in un solo corpo, sia Giudei che Gentili, sia legati che liberi” (1Cor XII,13). Quindi, come nella vera comunità dei fedeli di Cristo c’è un solo Corpo, un solo Spirito, un solo Signore ed un solo Battesimo, così ci può essere una sola fede (cfr. Eph. IV,5); e così chi rifiuta di ascoltare la Chiesa, come dice il Signore “sia come il pagano ed il pubblicano” (cfr. Mt XVIII,17). Pertanto, coloro che sono divisi gli uni dagli altri nella fede o nel governo non possono vivere nell’unità di tale corpo e nel suo unico spirito divino.
3803. Neppure deve ritenersi che il corpo della Chiesa, appunto perché è fregiato del nome di Cristo, anche nel tempo del terreno pellegrinaggio sia composto soltanto di membri che si distinguono nella santità, o di coloro che sono predestinati da Dio alla felicità eterna. Infatti si deve attribuire all’infinita misericordia del nostro Salvatore il non negare ora un posto nel suo mistico corpo a coloro ai quali già non negò un posto nel convito (cfr. Matth. IX, 11; Marc. XI, 16; Luc. XV, 2). Poiché non ogni delitto commesso, per quanto grave, è tale che di sua natura (come lo scisma, l’eresia, l’apostasia) separi l’uomo dal corpo della Chiesa. Né si estingue ogni vita in quelli che, pur avendo perduto col peccato la carità e la grazia divina sì da non essere più capaci del premio soprannaturale, conservano tuttavia la fede e la speranza cristiana, e, illuminati da luce celeste, da interni consigli ed impulsi dello Spirito Santo, sono spinti a concepire un salutare timore e vengono eccitati a pregare ed a pentirsi dei propri peccati.
La giurisdizione dei Vescovi.
[Dalla stessa Enciclica “Mystici Corporis“, 29 giugno 1943].
3804. [Dz 2287] Perciò i Vescovi dei sacri riti sono da considerarsi i membri più illustri della Chiesa universale non solo perché sono legati al Capo divino di tutto il Corpo da un vincolo specialissimo, e quindi sono giustamente chiamati “parti principali delle membra del Signore “*, ma, per quanto riguarda la propria diocesi, perché come veri pastori nutrono e governano individualmente in nome di Cristo le greggi loro affidate [Conc. Vat, Cost. de Eccl., cap. 3; cfr. n. 1828]; tuttavia, mentre fanno questo, non sono del tutto indipendenti, ma sono posti sotto la debita autorità del Romano Pontefice, pur godendo della potestà ordinaria di giurisdizione ottenuta direttamente dallo stesso Sommo Pontefice. Perciò devono essere venerati dal popolo come successori degli Apostoli divinamente designati [cfr. Cod. Iur. Can., CIS 329, 1); e più che ai governanti del mondo, anche ai più alti, si addicono ai nostri Vescovi quelle parole, in quanto unti con il crisma dello Spirito Santo: “Non toccate il mio unto” (1Ch XVI,22 Sal CIV,15).
La cooperazione dei membri del Corpo mistico con il Capo.
3805. Nè tuttavia bisogna ritenere che Cristo, il Capo, essendo posto in luogo così sublime, non voglia l’aiuto del Corpo. Si deve infatti asserire di questo Corpo mistico ciò che Paolo afferma del composto umano: “Il capo non può dire… ai piedi: voi non mi siete necessari” (1 Cor. XII, 21). Appare chiaramente quindi che i Cristiani hanno assolutamente bisogno dell’aiuto del divin Redentore, poiché Egli stesso ha detto: “Senza di me non potete far nulla” (Io. XV, 5), e, secondo la dottrina dell’Apostolo, ogni accrescimento di questo Corpo mistico per la propria edificazione, dipende dal Capo, Cristo (cfr. Eph. IV, 16; Col. II, 19). Tuttavia bisogna anche por mente, benché a prima vista ciò possa destar meraviglia, che anche Cristo ha bisogno delle sue membra. Anzitutto perché la Persona di Gesù Cristo è rappresentata dal Sommo Pontefice, il quale per non essere aggravato dal peso dell’ufficio pastorale, deve rendere anche altri in molte cose partecipi della sua sollecitudine, e deve essere ogni giorno alleggerito dall’aiuto di tutta la Chiesa supplicante. Inoltre il nostro Salvatore, governando da se stesso la Chiesa in modo invisibile, vuol essere aiutato dalle membra del suo Corpo mistico nell’attuare l’opera della redenzione. Ciò veramente non accade per bisogno o debolezza, ma piuttosto perché Egli stesso così dispose per maggiore onore dell’intemerata sua Sposa. Mentre infatti moriva sulla Croce, donò alla sua Chiesa, senza nessuna cooperazione da parte di essa, l’immenso tesoro della Redenzione; quando invece si tratta di distribuire tale tesoro, Egli non solo partecipa con la sua Sposa incontaminata quest’opera di santificazione, ma vuole che tale attività scaturisca in qualche modo anche dall’azione di essa.
Il modo in cui vive Cristo nella Chiesa.
3806. Tuttavia tale nobilissima denominazione non dev’essere presa come se appartenesse all’intera Chiesa quell’ineffabile vincolo col quale il Figlio di Dio assunse un’individua umana natura; ma consiste in ciò che il nostro Salvatore comunica talmente con la sua Chiesa i beni suoi propri, che questa, secondo tutto il suo modo di vivere, quello visibile e quello invisibile, presenta una perfettissima immagine di Cristo. Poiché, in virtù di quella missione giuridica per la quale il divin Redentore mandò nel mondo gli Apostoli come egli stesso era stato mandato dal Padre (cfr. Io. 17, 18; 20, 21), è proprio lui che battezza, insegna, governa, assolve, lega, offre, sacrifica, per mezzo della Chiesa.
Lo Spirito Santo come anima della Chiesa.
[Dalla stessa Enciclica “Mystici Corporis“, 29 giugno 1943].
3807. [Dz 2288] Se esaminiamo da vicino questo principio divino di vita e di virtù dato da Cristo, nella misura in cui lo ha stabilito come fonte di ogni dono e di ogni grazia creata, comprendiamo facilmente che esso non è altro che il Paraclito, lo Spirito che procede dal Padre e dal Figlio, e che in modo particolare è chiamato “Spirito di Cristo” o “Spirito del Figlio” (Rm 8,9 2Co 3,17 Ga 4,6). Infatti, con questo soffio di grazia e di verità il Figlio di Dio unse la sua anima nel grembo incontaminato della Vergine; questo Spirito si compiace di abitare nell’anima amata del Redentore come nel suo tempio più amato; questo Spirito Cristo, versando il proprio sangue, ha meritato per noi sulla croce; questo Spirito, infine, quando ha alitato sugli apostoli, ha donato alla Chiesa per la remissione dei peccati (cfr. Gv XX,22); e questo Spirito è chiamato “Spirito di Cristo” o “Spirito del Figlio”. Gv 20,22); e, mentre Cristo solo ha ricevuto questo Spirito senza misura (cfr. Gv III,34), tuttavia alle membra del corpo mistico viene impartito solo secondo la misura della donazione di Cristo, dalla pienezza di Cristo stesso (cfr. Ep 1,8 Ep IV,7). E dopo che Cristo è stato glorificato sulla croce, il suo Spirito viene comunicato alla Chiesa nella più ricca effusione, affinché essa e i suoi singoli membri diventino sempre più quotidianamente simili al nostro Salvatore. È lo Spirito di Cristo che ci ha resi figli adottivi di Dio (cfr. Rm VIII,14-17 Ga IV,6-7), affinché un giorno “tutti noi, contemplando a viso aperto la gloria di Dio, siamo trasformati nella stessa immagine di gloria in gloria” (2Co III,18). –
3808. Inoltre, a questo Spirito di Cristo, come a nessun principio visibile, va attribuito anche il fatto che tutte le parti del Corpo sono unite tra loro come lo sono con il loro capo eccelso; perché Egli è intero nel Capo, intero nel Corpo, intero nelle singole membra, e con queste è presente, e queste le assiste in vari modi, secondo i loro vari compiti e uffici, secondo il maggiore o minore grado di salute spirituale di cui godono. È Lui che, per la sua grazia celeste, deve essere ritenuto il principio di ogni atto vitale e di fatto salutare in tutte le parti del corpo. Egli è colui che, pur essendo presente di per sé in tutte le membra ed essendo divinamente attivo in esse, opera anche nelle membra inferiori attraverso il ministero delle membra superiori; infine, Egli è colui che, mentre produce sempre di giorno in giorno la crescita della Chiesa impartendo la grazia, rifiuta di abitare attraverso la grazia santificante nelle membra completamente tagliate fuori dal Corpo. In effetti, la presenza e l’attività dello Spirito di Gesù Cristo sono sinteticamente e vigorosamente espresse dal Nostro saggissimo predecessore, Leone XIII, di immortale memoria, nell’Enciclica “Divinum illud“, con queste parole: “Basti dire che, come Cristo è il Capo della Chiesa, lo Spirito Santo è la sua anima”.
La natura del Corpo mistico.
3809. Tale denominazione, ch’è in uso presso parecchi antichi scrittori, è comprovata da non pochi documenti dei Sommi Pontefici. Quest’appellativo infatti deve adoperarsi per varie ragioni, poiché per mezzo di esso si può distinguere il Corpo sociale della Chiesa, di cui Cristo è Capo e condottiero, dal corpo fisico dello stesso Cristo, che nato dalla Vergine Madre di Dio, è ora assiso alla destra del Padre in cielo e nascosto in terra sotto i veli eucaristici: e, ciò che maggiormente importa per gli errori moderni, per mezzo di questa determinazione lo si può distinguere da qualunque altro corpo sia fisico sia morale.
3810. Mentre infatti nel corpo naturale il principio della unità congiunge le parti in modo che le singole manchino completamente della propria sussistenza, invece nel Corpo mistico la forza di mutua congiunzione, sebbene intima, unisce le membra tra loro di guisa che le singole godano completamente di una propria personalità. Se poi consideriamo il mutuo rapporto del tutto e delle singole membra, esse in ogni corpo fisico vivente sono in ultima analisi destinate soltanto a profitto di tutto il composto; mentre, in una compagine sociale di uomini, nell’ordine del fine dell’utilità, l’ultimo scopo è il bene di tutti e di ciascun membro, essendo essi persone.
3811. Se poi confrontiamo il Corpo mistico con quello morale, allora bisogna notare tra i due una differenza di somma importanza. Nel corpo morale, il principio di unità non è altro che il fine comune e la comune cooperazione ad un medesimo fine, mediante l’autorità sociale; invece nel Corpo mistico, di cui trattiamo, alla comune tendenza per lo stesso fine va aggiunto un altro principio interno che esiste ed agisce con forza e nell’intera compagine e nelle singole sue parti, ed è di tale eccellenza da superare per se stesso immensamente tutti i vincoli di unità che conglutinano sia un corpo fisico sia un corpo morale. Ciò, come sopra abbiamo detto, non è qualche cosa di ordine naturale, bensì soprannaturale, anzi in se stesso infinito ed increato, cioè lo Spirito divino che, come dice l’Angelico, “uno e identico per numero, riempie ed unisce tutta la Chiesa” (De Veritate, q. 29, a. 4. c.).
Conoscenza dell’anima di Cristo.
[Dalla stessa Enciclica “Mystici Corporis“, 29 giugno 1943].
3812. [Dz 2289] Ma una conoscenza così amorosa come quella che il divino Redentore ci ha donato fin dal primo momento della sua Incarnazione, supera qualsiasi potere zelante della mente umana; poiché attraverso la visione beatifica, di cui ha cominciato a godere quando era appena stato concepito nel grembo della Madre di Dio, ha le membra del suo corpo mistico sempre e costantemente presenti a Lui, e le abbraccia tutte con il suo amore redentore.
Chiesa pienezza di Cristo Cristo.
3813. Da quanto abbiamo detto fin qui, si vede chiaramente, Venerabili Fratelli, perché l’Apostolo Paolo tanto spesso scriva che Cristo è in noi, e noi in Cristo. Il che egli dimostra ancora con una ragione alquanto sottile: Cristo, come sufficientemente abbiamo detto sopra, è in noi per il suo Spirito che ci comunica e per mezzo del quale egli agisce in noi in maniera tale, da doversi dire che qualsiasi cosa divina si operi dallo Spirito Santo in noi, viene operata anche da Cristo (cfr. S. Thom. Comm. in Ep. ad Eph., cap. II, lect. 5).”Se uno non ha lo Spirito di Cristo (dice l’Apostolo), non è dei suoi: se invece Cristo è in voi…, lo spirito vive per effetto della giustificazione” (Rom. VIII, 9-111)
L’inabitazione dello Spirito Santo nelle anime.
[Dalla stessa Enciclica, “Mystici Corporis“, 29 giugno 1943]
3814. [Dz 2290] Certamente non ignoriamo i molti veli che si frappongono alla comprensione e alla spiegazione di questa profonda dottrina, che riguarda la nostra unione con il divino Redentore e l’inabitazione dello Spirito Santo in modo speciale nelle anime; veli dai quali questa profonda dottrina è avvolta come da una specie di nube, a causa della debolezza delle menti di coloro che la studiano. E sappiamo anche che da un’indagine corretta e persistente su questo argomento, e dal conflitto di varie opinioni e dallo scontro di idee, a condizione che l’amore per la verità e la debita obbedienza alla Chiesa dirigano tali indagini, abbonda e viene fuori una luce preziosa, grazie alla quale anche nella scienza sacra si raggiunge un progresso simile a questo. Pertanto, non censuriamo coloro che intraprendono diversi modi e metodi di ragionamento per comprendere e, secondo il loro potere, chiarire il mistero di questa nostra meravigliosa unione con Cristo. Ma sia questa una verità generale ed incrollabile, se non vogliono allontanarsi dalla sana dottrina e dal corretto insegnamento della Chiesa: cioè che ogni tipo di unione mistica, con la quale i fedeli in Cristo superano in qualche modo l’ordine delle cose create ed entrano a torto tra le divine, in modo che anche un solo attributo dell’eterna Divinità possa essere predicato come proprio, è da respingere completamente. Inoltre, si tenga ben presente che tutte le attività in queste materie sono da considerarsi comuni alla Santissima Trinità, in quanto dipendono da Dio come causa efficiente suprema.
3815. Notino inoltre che qui si tratta necessariamente di un mistero nascosto, che in questo esilio terreno, essendo coperto da un velo, non può mai essere guardato o descritto da lingua umana. Infatti, le Persone divine sono dette abitare in quanto, essendo presenti in modo imperscrutabile nelle creature animate dotate di intelletto, sono raggiunte da esse attraverso la conoscenza e l’amore, ma in un modo intimo ed unico che trascende ogni natura. Infatti, per contemplare questo in modo da avvicinarsi almeno un po’ ad esso, non vanno trascurati quel modo e quel metodo che il Sinodo Vaticano [v. 3, Cost. de fid. cath., cap. 4; cfr. n. 1795] ha vivamente raccomandato in questioni di questo tipo; questo metodo, infatti, lottando per ottenere la luce con cui le cose nascoste di Dio possano essere riconosciute almeno un po’, procede così, confrontando questi misteri tra loro e con il fine ultimo a cui sono diretti. Opportunamente, poi, il Nostro saggissimo predecessore, Leone XIII di felice memoria, parlando di questa nostra unione con Cristo e del divino Paraclito che abita in noi, volge lo sguardo a quella visione beatifica con cui un giorno in cielo questa stessa unione mistica otterrà la sua consumazione e perfezione. Egli dice: “Questa meravigliosa unione, che viene chiamata “inabitazione“, differisce solo per il nostro stato creato da quella con cui Dio dà gioia e abbraccia gli abitanti del cielo. In questa visione celeste sarà proprio, in modo del tutto ineffabile, contemplare il Padre, il Figlio e lo Spirito divino con gli occhi della mente accresciuti dalla luce superiore, e assistere per tutta l’eternità alle processioni delle Persone divine, e gioire con una felicità molto simile a quella di cui è felice la santissima ed indivisa Trinità”.
False tendenze della vita spirituale.
3816. Infatti non mancano coloro i quali non considerando abbastanza che l’Apostolo Paolo circa questo argomento parlò metaforicamente e senza distinguere (com’è assolutamente necessario) i significati particolari e propri di corpo fisico, di corpo morale, di corpo mistico, dànno di questa unione una spiegazione alterata. Giacchè fanno unire e fondere in una stessa persona fisica il divin Redentore e le membra della Chiesa: e mentre attribuiscono agli uomini cose divine, fanno Gesù Cristo soggetto ad errori e a debolezze umane. Dalla falsità di questa dottrina ripugnano la fede cattolica e i precetti dei Santi Padri, rifuggono la mente e la dottrina dell’Apostolo delle Genti, il quale, sebbene congiunga tra loro con mirabile fusione Cristo e il Corpo mistico, tuttavia oppone l’uno all’altro come lo Sposo alla Sposa (cfr. Eph. V, 22-23).
Falso «quietismo»
3817. Non meno lontano dalla verità è il pericoloso errore di quelli che dall’arcana unione di noi tutti con Cristo si studiano di dedurre un certo insano quietismo, col quale tutta la vita spirituale dei cristiani e il loro progresso nella virtù vengono attribuiti unicamente all’azione del divino Spirito, escludendo cioè e lasciando da parte la nostra debita cooperazione. Nessuno certamente può negare che il Santo Spirito di Gesù Cristo sia l’unica fonte donde promana nella Chiesa e nelle sue membra ogni forza superna. Infatti, come: dice il Salmista, “il Signore largisce grazie e gloria” (Ps. 83, 12). Ma che gli uomini perseverino costantemente nelle opere di santità, che progrediscano con alacrità nella grazia e nella virtù, che infine non soltanto tendano strenuamente alla vetta della perfezione cristiana, ma incitino secondo le proprie forze anche gli altri a conseguire la medesima perfezione, tutto questo, lo Spirito celeste non vuol compiere, se gli stessi uomini non cooperano ogni giorno con diligenza operosa. “Infatti, come osserva Ambrogio, i benefici divini non vengono trasmessi a chi dorme, ma a chi veglia” (Expos. Evang. sec. Luc., IV, 49; Migne, PL, 15, 1626). Poiché, se nel nostro corpo mortale le membra si corroborano e si sviluppano con ininterrotto esercizio, molto più ciò accade nel Corpo sociale di Gesù Cristo, nel quale le singole membra godono di una propria libertà, coscienza, azione. Perciò colui che disse: “Vivo, non più io, ma vive in me Cristo” (Gal. II, 20), non dubitò di asserire: “la grazia di lui, cioè di Dio, verso di me non fu cosa vana; anzi ho faticato più di tutti loro, non già io, ma la grazia di Dio con me” (I Cor. 15, 10). Quindi è chiarissimo che nelle accennate fallaci dottrine, il mistero di cui trattiamo non sarebbe diretto allo spirituale profitto dei fedeli, ma si volgerebbe miseramente alla loro rovina.
3818. Da tali false asserzioni proviene anche che alcuni affermino non doversi molto inculcare la frequente confessione dei peccati veniali, poiché meglio si adatta quella confessione generale che ogni giorno la Sposa di Cristo coi suoi figli a sé congiunti nel Signore fa per mezzo dei Sacerdoti sul punto di ascendere all’altare di Dio. È vero che in molte e lodevoli maniere, come voi, o Venerabili Fratelli, ben conoscete, possono espiarsi questi peccati, ma per un più spedito progresso nel quotidiano cammino della virtù, raccomandiamo sommamente quel pio uso, introdotto dalla Chiesa per ispirazione dello Spirito Santo, della confessione frequente, mercè la quale si accresce la retta conoscenza di se stesso, si sviluppa la cristiana umiltà, si sradica la perversità dei costumi, si resiste alla negligenza e al torpore spirituale, si purifica la coscienza, si rinvigorisce la volontà, si procura la salutare direzione delle coscienze e si aumenta la grazia in forza dello stesso sacramento.
3819. Vi sono inoltre alcuni i quali o negano alle nostre preghiere ogni vera efficacia d’impetrazione, ovvero si sforzano d’insinuare nelle menti che le suppliche rivolte a Dio in privato bisogna ritenerle di poco valore, mentre piuttosto quelle pubbliche usate nel nome della Chiesa realmente valgono come quelle che partono dal corpo mistico di Gesù Cristo.
3820. Certuni infine dicono che le nostre preghiere non debbano essere dirette alla stessa Persona di Gesù Cristo, ma piuttosto a Dio o all’eterno Padre per mezzo di Cristo, poiché il nostro Salvatore, in quanto Capo del suo Corpo mistico, dov’essere considerato semplicemente “mediatore di Dio e degli uomini” (I Tim. II, 5). Ma ciò non solo si oppone alla mente della Chiesa e alla consuetudine deiCristiani, ma offende anche la verità. Cristo infatti, per parlare con esatto linguaggio, è Capo di tutta la Chiesa (cfr. S. Thom. De Veritate, q. 29, a. 4, c.) secondo l’una e l’altra natura insieme, la divina e l’umana, e del resto Egli stesso asserì solennemente: “Se mi domanderete qualche cosa in mio nome, Io lo farò” (Io. XIVV, 14). E sebbene le preghiere sian rivolte all’eterno Padre per mezzo del suo Unigenito di preferenza nel Sacrificio eucaristico, nel quale Cristo, essendo Egli stesso Sacerdote ed Ostia, compie in modo speciale l’ufficio di conciliatore, tuttavia non poche volte e persino nello stesso santo Sacrificio, si usano preghiere rivolte allo stesso divin Redentore …
La salvezza degli uomini fuori dalla Chiesa visibile.
3821. Anche coloro che non appartengono al visibile organismo della Chiesa, come voi ben sapete, Venerabili Fratelli, fin dal principio del Nostro Pontificato, Noi affidammo alla celeste tutela ed alla celeste direzione, protestando solennemente che, sull’esempio del buon Pastore, nulla Ci stava più a cuore che essi abbiano la vita e l’abbiano in sovrabbondanza (cfr. Lett. Enc. Summi Pontificatus). E quella solenne Nostra affermazione, dopo aver implorate le preghiere di tutta la Chiesa, intendiamo ripetere in questa Lettera Enciclica, con la quale abbiamo celebrato le lodi “del grande e glorioso Corpo di Cristo” (Iren. Adv. Hær., 4, 33, 7; Migne, PG, 7, 1076); con animo riboccante di amore, invitiamo tutti e singoli ad assecondare spontaneamente gli interni impulsi della divina grazia e a far di tutto per sottrarsi a quelle attuali condizioni, sulle quali non possono certo sentirsi sicuri della propria salvezza (Pio IX Jam nos omnes, 13 Sett. 1868: Act. Conc. Vat. C. L., 7, 10), perché, sebbene da un certo inconsapevole desiderio e anelito siano ordinati al mistico Corpo del Redentore, tuttavia sono privi di quei tanti doni ed aiuti celesti che solo nella Chiesa Cattolica è dato di godere. Rientrino perciò nella cattolica unità e tutti uniti a Noi nell’unica compagine del Corpo di Gesù Cristo, si accostino con Noi all’unico Capo nella società di un gloriosissimo amore (cfr. Gelas. I, Epist. 14: Migne, PL, 59, 89). Senza mai interrompere di pregare lo Spirito dell’amore e della verità, Noi li aspettiamo con le braccia aperte, non come estranei, ma quali figli che entrino nella loro stessa casa paterna.
3822. Però mentre desideriamo che una tale preghiera salga ininterrotta a Dio da parte dell’intero Corpo mistico, affinché tutti gli sviati entrino al più presto nell’unico ovile di Gesù Cristo, dichiariamo essere assolutamente necessario che ciò sia fatto di libera e spontanea volontà, non potendo credere se non chi lo vuole (cfr. August., In Io. Ev. tract., 26, 2: Migne, PL, 30, 1607). Onde, se alcuni, non credenti, vengono di fatto forzati ad entrare nell’edificio della Chiesa, ad avvicinarsi all’altare, a ricevere i Sacramenti, costoro, senza alcun dubbio, non diventano veri cristiani, (cfr. August., ibidem), poiché la fede, senza la quale è impossibile piacere a Dio (Hebr. 11, 6), deve esser il libero “ossequio dell’intelletto e della volontà” (Conc. Vat., De Fide cath., cap. 3). Se dunque dovesse talvolta accadere che, in contrasto con la costante dottrina di questa Sede Apostolica (cfr. Leo XIII: Immortale Dei: A.A.S. XXVIII pp.174-175, Cod. Iur. Can. 1351), taluno venga spinto suo malgrado ad abbracciare la Fede cattolica, Noi non possiamo esimerCi, per coscienza del Nostro dovere, dall’esprimere la Nostra riprovazione. E poiché gli uomini godono di libera volontà e possono anche, sotto l’impulso di perturbazioni d’animo e di perverse passioni, abusare della propria libertà, è necessario che vengano attratti con efficacia alla verità del Padre dei lumi per opera dello Spirito del suo diletto Figlio.
Il rapporto tra la B.V.M. e la Chiesa.
[Dalla stessa Enciclica “Mystici Corporis“, 29 giugno 1943].
[Dz 2291] Fu Lei [la Vergine Madre di Dio] che, libera dal peccato personale o originale, sempre strettamente unita al Figlio, lo offrì sul Golgota all’Eterno Padre, insieme all’olocausto dei suoi diritti di Madre e del suo amore di Madre, come nuova Eva, per tutti i figli di Adamo macchiati dalla sua pietosa caduta, in modo che Lei, che nella carne era la Madre del nostro Capo, con il nuovo titolo anche di dolore e di gloria, nello spirito fosse fatta Madre di tutte le sue membra. Fu Lei che con preghiere potentissime fece sì che lo Spirito del divino Redentore, già donato sulla Croce, fosse elargito con doni meravigliosi il giorno di Pentecoste alla Chiesa appena risorta. Infine, Lei stessa, sopportando con animo forte e fiducioso i suoi tremendi dolori, più di tutti i fedeli di Cristo, vera Regina dei Martiri, “ha colmato ciò che manca alle sofferenze di Cristo… per il suo corpo, che è la Chiesa” (Col 1,24); e ha assistito il Corpo mistico di Cristo, nato dal cuore straziato del nostro Salvatore, con la stessa cura materna e lo stesso amore profondo con cui ha custodito e nutrito il Bambino Gesù che allattava nella culla. – Così lei, la Madre santissima di tutte le membra di Cristo, al cui Cuore Immacolato abbiamo fiduciosamente consacrato tutti gli uomini e che ora risplende in cielo nella gloria del corpo e dell’anima e regna insieme al Figlio, chieda ardentemente e si adoperi per ottenere da Lui che copiosi flussi di grazia scorrano dal Capo eccelso su tutte le membra del Corpo mistico senza interruzione.
Lett. Encyclic. “Divino afflante Spiritu“, 30 sett. 1943.
L’autenticità della Vulgata.
3825. [Dz 2292] Ma che il Sinodo di Trento abbia voluto che la Vulgata fosse la versione latina “che tutti dovrebbero usare come autentica”, vale, come tutti sanno, solo per la Chiesa latina e per l’uso pubblico della Scrittura, e non diminuisce l’autorità e la forza dei testi antichi. Infatti, a quel tempo non si teneva conto dei primi testi, ma delle versioni latine che circolavano in quel periodo, tra le quali il Concilio decretò che era giustamente da preferire quella versione che era stata approvata dal lungo uso di tanti secoli all’interno della Chiesa. Quindi questa eminente autorità della Vulgata, o, come si dice, autenticità, fu stabilita dal Concilio non tanto per motivi critici, quanto piuttosto per il suo uso autorizzato nella Chiesa, continuato nel corso di tanti secoli; e da questo uso si dimostra che questo testo, come la Chiesa ha inteso e intende, in materia di fede e di morale è del tutto esente da errori, cosicché, sulla base della testimonianza e della conferma della Chiesa stessa, nelle discussioni, nelle citazioni e nelle riunioni può essere citato con sicurezza e senza pericolo di errore; e di conseguenza tale autenticità è espressa in primo luogo non con il termine critico ma piuttosto giuridico. Pertanto, l’autorità della Vulgata in materia di dottrina non impedisce affatto, anzi quasi esige, che oggi si ricorra a questa stessa dottrina per ottenere un aiuto che renda quotidianamente più chiaro e meglio spiegato il significato corretto della Sacra Scrittura. E nemmeno questo è proibito dal decreto del Concilio di Trento, cioè che per l’uso e il beneficio dei fedeli in Cristo e per una più facile comprensione delle opere divine si facciano traduzioni nelle lingue comuni; e anche queste, dai primi testi, come sappiamo sono già state fatte lodevolmente con l’approvazione dell’autorità della Chiesa in molte regioni.
Il senso letterale e mistico delle Sacre Scritture.
[Dalla stessa Enciclica “Divino afflante Spiritu“, 30 settembre 1943].
3826. [Dz 2293] Ben equipaggiato con la conoscenza delle lingue antiche e con l’aiuto dell’erudizione critica, l’esegeta cattolico si accosti a quel compito che, tra tutti quelli che gli sono imposti, è il più alto: scoprire ed esporre il vero significato delle Sacre Scritture. In questo lavoro gli interpreti tengano presente che la loro massima attenzione deve essere quella di discernere e definire il cosiddetto senso letterale del linguaggio della Bibbia. Facciano emergere questo significato letterale delle parole con la massima diligenza, attraverso la conoscenza delle lingue, utilizzando l’aiuto del contesto e del confronto con passi simili; infatti, tutti questi elementi sono abitualmente utilizzati per aiutare l’interpretazione anche degli scrittori profani, in modo da rendere chiara la mente dell’autore. Inoltre, gli esegeti delle Sacre Scritture, consapevoli di avere a che fare con la parola divinamente ispirata, tengano conto non meno diligentemente delle spiegazioni e delle dichiarazioni del magistero della Chiesa, così come della spiegazione data dai Santi Padri, e anche dell'”analogia della fede”, come nota molto saggiamente Leone XIII nella lettera enciclica Providentissimus Deus. * Anzi, provvedano a questo con particolare zelo, spiegando non solo le questioni che riguardano la storia, l’archeologia, la filologia e altre discipline simili, come ci duole dire che si fa in certi commentari, ma, dopo aver introdotto opportunamente tali questioni, nella misura in cui possono contribuire all’esegesi, indicano soprattutto qual è la dottrina teologica in materia di fede e di morale nei singoli libri e testi, in modo che questa loro spiegazione possa non solo aiutare i professori di teologia a esporre e confermare i dogmi della fede, ma anche essere di aiuto ai sacerdoti per chiarire la dottrina cristiana al popolo, e infine servire a tutti i fedeli per condurre una vita santa e degna di un cristiano.
3827. Quando hanno dato una tale interpretazione, soprattutto, come abbiamo detto, teologica, facciano effettivamente tacere coloro che affermano che difficilmente si trova qualcosa a titolo di commento biblico per elevare la mente a Dio, nutrire l’anima e promuovere la vita interiore, e dichiarino che si deve ricorrere a una certa interpretazione spirituale e cosiddetta mistica. Quanto ciò sia lontano dal vero lo dimostra l’esperienza di molti che, considerando e meditando frequentemente la Parola di Dio, perfezionano la loro anima e sono mossi da un forte amore verso Dio; e ciò è chiaramente dimostrato dall’eterna istituzione della Chiesa e dagli ammonimenti dei più eminenti dottori.
3828. Certamente, ogni significato spirituale non è escluso dalla Sacra Scrittura. Infatti, ciò che è stato detto e fatto nell’Antico Testamento è stato sapientemente ordinato e disposto da Dio in modo che gli eventi passati presagissero in modo spirituale ciò che sarebbe avvenuto nella nuova alleanza di grazia. Perciò l’esegeta, come deve trovare ed esporre il cosiddetto significato letterale delle parole, che lo scrittore sacro intendeva ed esprimeva, così deve anche trovare il significato spirituale, purché si possa stabilire giustamente che è stato dato da Dio. Perché solo Dio può conoscere questo significato spirituale e rivelarcelo. Infatti, lo stesso Salvatore divino ci indica tale significato nei Santi Vangeli e ce lo insegna; anche gli apostoli, imitando l’esempio del Maestro, parlando e scrivendo lo professano; così pure l’insegnamento tramandato dalla Chiesa; infine, l’antica pratica della liturgia dichiara, ovunque si possa giustamente applicare quel famoso pronunciamento: La legge del pregare è la legge del credere. Dunque, gli esegeti cattolici chiariscano ed espongano questo senso spirituale, voluto e ordinato da Dio stesso, con quella diligenza che la dignità della Parola divina richiede; ma si guardino religiosamente dal proclamare altri significati trasferiti delle cose come il senso genuino della Sacra Scrittura.
Tipi di letteratura nella Sacra Scrittura.
[Dalla stessa Enciclica “Divino afflante Spiritu“, 30 settembre 1943].
3829. [Dz 2294] Perciò l’interprete, con ogni cura e senza trascurare la luce che le indagini più recenti hanno gettato, si sforzi di discernere quale fosse il vero carattere e la condizione di vita dello scrittore sacro; in quale epoca fiorì; quali fonti utilizzò, sia scritte che orali, e quali forme di espressione impiegò. In questo modo sarà in grado di conoscere meglio chi fosse lo scrittore sacro e cosa volesse indicare con i suoi scritti. A nessuno sfugge infatti che la norma più alta dell’interpretazione è quella che permette di percepire e definire ciò che lo scrittore intena dire, come consiglia Sant’Atanasio: “Qui, come è opportuno fare in tutti gli altri passi della Scrittura divina, osserviamo che si debba considerare con precisione e fedeltà in quale occasione l’Apostolo ha parlato; qual è la persona e qual è l’argomento su cui ha scritto, per evitare che chi ignora queste cose, o intenda qualcos’altro al di fuori di esse, o si allontani dal vero significato”.
3830. Ma il senso letterale delle parole e degli scritti degli antichi autori orientali molto spesso non è così chiaro come lo è per gli scrittori della nostra epoca. Infatti, ciò che essi vogliono significare con le parole non è determinato dalle sole leggi della grammatica o della filologia, né dal solo contesto del passo; l’interprete dovrebbe in ogni caso tornare mentalmente, per così dire, a quelle remote epoche dell’Oriente, affinché, giustamente assistito dall’aiuto della storia, dell’archeologia, dell’etnologia e di altre discipline, possa discernere e percepire i cosiddetti generi letterari che gli scrittori di quell’epoca cercavano di impiegare e di fatto impiegavano. Infatti, gli antichi orientali, per esprimere ciò che avevano in mente, non usavano sempre le stesse forme e gli stessi modi di parlare che usiamo noi oggi, ma piuttosto quelli che erano accettati per l’uso tra gli uomini del loro tempo e delle loro località. Quali fossero, l’esegeta non può determinarlo, per così dire, in anticipo, ma solo attraverso un’accurata indagine delle antiche letterature dell’Oriente. Inoltre, tale indagine, portata avanti negli ultimi dieci anni con maggiore cura e diligenza rispetto al passato, ha mostrato con maggiore chiarezza quali forme di linguaggio fossero utilizzate in quei tempi antichi, sia per descrivere questioni in poesia, sia per proporre norme e leggi di vita, sia infine per narrare i fatti e gli eventi della storia. Questa stessa indagine ha anche dimostrato chiaramente che il popolo d’Israele era particolarmente preminente tra le altre nazioni antiche dell’Oriente nello scrivere correttamente la storia, sia per l’antichità che per la fedeltà del racconto degli eventi; il che è sicuramente l’effetto dell’ispirazione divina ed il risultato dello scopo speciale della storia biblica che riguarda la Religione. Infatti, nessuno che abbia una giusta comprensione dell’ispirazione biblica si sorprenda del fatto che tra gli Scrittori Sacri, come tra gli altri antichi, si trovino certi modi precisi di spiegare e di raccontare; certi tipi di idiomi particolarmente appropriati alle lingue semitiche, le cosiddette approssimazioni, e certi metodi iperbolici di parlare, sì, a volte persino paradossi con cui gli eventi si imprimono più saldamente nella mente. Infatti, nessuno di questi modi di parlare è estraneo alle Sacre Scritture, che presso i popoli antichi, specialmente presso gli orientali, il linguaggio umano usava abitualmente per esprimere il proprio pensiero, ma a questa condizione, che il tipo di linguaggio impiegato non sia in contrasto con la santità e la verità di Dio, come con la sua solita perspicacia il Dottore Angelico ha notato nelle seguenti parole: “Nella Scrittura le cose divine ci vengono fatte conoscere nel modo che usiamo abitualmente”. Infatti, come il Verbo sostanziale di Dio è stato reso simile all’uomo in tutto e per tutto “senza peccato”, così anche le parole di Dio, espresse in linguaggio umano, sono state rese in tutto e per tutto simili al linguaggio umano, senza errori, cosa che San Giovanni Crisostomo ha già esaltato con il massimo elogio come la (testo greco cancellato) o condiscendenza di un Dio provvidente; e che ha affermato più e più volte essere il caso delle Sacre Scritture. Pertanto, l’esegeta cattolico, per soddisfare le esigenze attuali delle questioni bibliche, per spiegare la Sacra Scrittura, e per mostrarla e dimostrarla priva di ogni errore, usi prudentemente questo aiuto, per indagare come la forma di espressione ed il tipo di letteratura impiegata dallo scrittore sacro, contribuiscano a un’interpretazione vera e genuina; e si convinca che questa parte del suo ufficio non può essere trascurata senza grande danno per l’esegesi cattolica. Infatti, non di rado – per soffermarsi solo su una cosa – quando alcuni propongono, a mo’ di rimprovero, che gli Autori Sacri si siano allontanati dalla verità storica o non abbiano riportato gli eventi in modo accurato, si scopre che non si tratta d’altro che dei metodi naturali e abituali degli antichi nel parlare e nel narrare, che nei reciproci rapporti tra gli uomini erano regolarmente impiegati, e di fatto erano impiegati in accordo con una pratica ammissibile e comune. Pertanto, l’onestà intellettuale richiede che, quando questi argomenti si trovino nel discorso divino che è espresso per l’uomo con parole umane, non siano caricati di errore più di quando siano pronunciati nell’uso quotidiano della vita. Pertanto, attraverso la conoscenza e la valutazione accurata dei modi e delle abilità di parlare e scrivere degli antichi, sarà possibile risolvere molti problemi sollevati contro la verità e l’attendibilità storica della divina Scrittura; e non meno opportunamente tale studio contribuirà a una comprensione più piena e chiara della mente dello Scrittore Sacro.
Libertà di investigazione scientifica nella questione biblica.
3831. Questo stato di cose non è un motivo perché l’interprete cattolico, animato da forte e attivo amore della sua disciplina e sinceramente attaccato alla Santa Madre Chiesa, si debba mai trattenere dall’affrontare le difficili questioni sino ad oggi non ancora risolte, non solo per ribattere le obbiezioni degli avversari, ma anche per tentare una solida spiegazione che lealmente s’accordi con la dottrina della Chiesa e in ispecie col tradizionale sentimento della immunità della Scrittura Sacra da ogni errore, e dia insieme la conveniente soddisfazione alle conclusioni ben certe delle scienze profane. Si ricordino poi tutti i figli della Chiesa che sono tenuti a giudicare non solo con giustizia, ma ancora con somma carità gli sforzi e le fatiche di questi valorosi operai della vigna del Signore; inoltre tutti devono guardarsi da quel non molto prudente zelo, per cui tutto ciò che sa di novità si crede per ciò stesso doversi impugnare o sospettare. Tengano presente, soprattutto, che nelle norme e leggi date dalla Chiesa si tratta della dottrina riguardante la fede ed i costumi e che tra le tante cose contenute nei Sacri Libri legali, storici, sapienziali e profetici, poche sono quelle di cui la Chiesa con la sua autorità abbia dichiarato il senso, né in maggior numero si contano quelle intorno alle quali si ha l’unanime sentenza dei Padri. Ne restano dunque molte, e di grande importanza, nella cui discussione e spiegazione si può e si deve liberamente esercitare l’ingegno e l’acume degli interpreti cattolici, affinché ognuno per la sua parte rechi il suo contributo a vantaggio di tutti, ad un crescente progresso della sacra dottrina, a difesa ed onore della Chiesa. È la vera libertà dei figliuoli di Dio, che mantiene fedelmente la dottrina della Chiesa e insieme accoglie con animo grato come dono di Dio e mette a profitto i portati delle scienze profane. Questa libertà, secondata e sorretta dalla buona volontà di tutti, è la condizione e la sorgente di ogni verace frutto e di ogni solido progresso nella scienza cattolica, come egregiamente avverte il Nostro Predecessore di felice memoria, Leone XIII, ove dice: “Se non si mantiene la concordia degli animi e non si pongono al sicuro i principi, non si possono dai vari studi, anche di molti, aspettare grandi progressi in quella disciplina” (Lett. Apost. “Vigilantiæ”; Leone XIII, Acta XXII, p. 237; Ench. Bibl. n. 136).
Istruzione della Sacra Penitenzieria, 25 marzo 1944.
Assoluzione generale.
3832. (Per eliminare i dubbi sulla facoltà) di dare in certe circostanze l’assoluzione sacramentale con una formula generale, cioè un’assoluzione sacramentale collettiva, senza che vi sia stata una precedente confessione dei peccati da parte di ciascun fedele, la Sacra Penitenzieria (dichiara):
3833. 1 I Sacerdoti, anche se non sono abilitati ad ascoltare le confessioni sacramentali, hanno la facoltà di assolvere in modo generale, insieme e contemporaneamente: a) come in pericolo di morte, i soldati che combattono o stanno per combattere, quando, o per la moltitudine dei soldati o per la brevità del tempo, non possano essere ascoltati singolarmente. Tuttavia, se le circostanze sono tali che sembra moralmente impossibile o estremamente difficile assolvere i soldati al momento del combattimento o se il combattimento è imminente, allora è lecito dare loro l’assoluzione non appena lo si ritenga necessario. b) Civili e soldati quando c’è un imminente pericolo di morte durante le incursioni nemiche.
3834. 2. A parte i casi di pericolo di morte, non è permesso dare l’assoluzione sacramentale a più fedeli contemporaneamente, né a singoli fedeli che, solo a causa del gran numero di penitenti, come può accadere ad esempio in un grande giorno di festa o a causa di un’indulgenza da conquistare, si siano confessati solo a metà. Ciò sarebbe tuttavia consentito se si aggiungesse un’altra necessità, abbastanza grave ed urgente, e proporzionata alla gravità del precetto divino dell’integrità della Confessione, ad esempio se i penitenti, senza loro colpa, fossero ridotti ad essere privati per lungo tempo della grazia del Sacramento e della santa Comunione. ..
3835. (4) (Tra l’altro, i penitenti devono essere avvertiti che: è necessario che coloro che sono stati assolti in gruppo accusino secondo le regole, fin dalla prima Confessione che fanno, ogni peccato grave commesso e non ancora accusato in precedenza.
3836. 5. Che i Sacerdoti istruiscano chiaramente i fedeli sul fatto che è gravemente proibito, quando si è pienamente consapevoli di aver commesso un peccato mortale, non ancora regolarmente accusato e dato in confessione, eludere di proposito l’obbligo imposto sia dalla legge divina che da quella ecclesiastica, di accusare in Confessione tutti i peccati mortali commessi e ciascuno di essi, in attesa dell’occasione in cui l’assoluzione sacramentale sarà data al gruppo.
3837. (7) Se il tempo lo permette, questa assoluzione deve essere impartita con la formula abituale completa, ma al plurale; altrimenti si può usare la formula seguente più breve: “Vi assolvo da tutte le censure ed i peccati nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”.
TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (41): “PIO XII, 1944-1958”.