FESTA DELLA’ASSUNZIONE IN CIELO DELLA B. VERGINE MARIA (2023)

FESTA DELLA B. V. MARIA ASSUNTA IN CIELO

15 AGOSTO (2023)

Assunzione della B. V. M.

[D. G. LEFEBVRE O. S. B.: Messale romano – L.I.C.E. –R. BERRUTI, TORINO 1936]

Doppio di I classe con Ottava Comune – Paramenti bianchi.

In questa festa, la più antica e la più solenne del Ciclo Mariano (VI secolo), la Chiesa invita tutti i suoi figli sparsi nel mondo a unire la loro gioia (Intr.), la loro riconoscenza (Pref.) a quella degli Angeli che lodano il Figlio di Dio, perché sua Madre è entrata in questo giorno, con il corpo e con l’anima, nel cielo (All.). Nella Basilica di Santa Maria Maggiore si celebra a Natale il Mistero, che è il punto di partenza di tutte le glorie della Vergine ed ancora si celebra oggi l’Assunzione, che ne è l’ultimo. Maria, porta in sé l’umanità di Gesù al momento dell’incarnazione del Verbo; oggi è Gesù, che riceve a sua volta il corpo di Maria in cielo. Ammessa a godere le delizie della contemplazione eterna, la Madre ha scelto ai piedi del suo divin Figlio la miglior parte, che non le sarà giammai tolta (Vang., Com.).

In altri tempi si leggeva il Vangelo della Vigilia, dopo quello del giorno, a fine di dimostrare che la Madre di Gesù è la più fortunata tra tutte, perché meglio d’ogni altra, « Ella ascoltò la parola di Dio ». Questa Parola, questo Verbo, questa Sapienza divina che stabilisce, sotto l’Antica Legge, la sua dimora nel popolo d’Israele (Ep.), è discesa sotto la Nuova Legge in Maria. Il Verbo si è incarnato nel seno della Vergine e ora negli splendori della celeste Sion egli l’ha colmata delle delizie della visione beatifica. Come Marta, la Chiesa sulla terra si dedica alle sollecitudini delle quali necessita la vita presente ed ancora come Marta, la Chiesa reclama l’aiuto di Maria (Or., Secr., Postc). Una processione fu sempre fatta nel giorno della festa dell’Assunzione. A Gerusalemme era formata dai numerosi pellegrini che andavano a pregare sulla tomba della Vergine e contribuirono così all’istituzione di questa solennità. Il clero di Costantinopoli faceva anch’esso nel giorno della festa dell’Assunzione di Maria una processione. A Roma, dal VII al XVI secolo, il corteo papale, al quale prendevano parte le rappresentanze del Senato e del popolo, andava in quel giorno dalla chiesa di San Giovanni in Laterano a quella di Santa Maria Maggiore. Questo si chiamava fare la Litania.

Assunzione della Beata Maria Vergine.

[Appendice al Messale ut supra]

Doppio di I classe con Ottava Comune. – Paramenti bianchi.

La credenza nell’Assunzione corporea di Maria SS. era già radicata da secoli nel cuore dei fedeli, profondamente persuasi che la Vergine, sin dal momento del suo transito da questa terra al Cielo, era stata glorificata da Dio anche nel corpo, senza che dovesse attendere che questo risorgesse, insieme con quello di tutti gli altri, alla fine del mondo. Cosi La festa dell’Assunzione, celebrata già verso il 500 in Oriente, costituì la più antica e la maggiore solennità dell’anno in onore di Maria SS. Tuttavia la realtà dell’Assunzione corporea di Maria in Cielo non fu oggetto di una solenne definizione da parte del Papa se non il 1° novembre 1950. In tale giorno, il Sommo Pontefice Pio XII proclamò dogma di fede che « Maria, terminata la carriera della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste quanto all’anima e quanto al corpo. – Questa definizione, maturata lentamente, ma incessantemente nei diciannove secoli che seguirono al beato transito di Maria da questa terra, ha ed avrà un’eco incalcolabile nella dottrina come nella vita cristiana. – Una delle sue conseguenze pratiche sarà quella di attirare vieppiù l’attenzione dei fedeli sulla futura glorificazione nostra non solo quanto all’anima, ma anche quanto al corpo. Come Adamo ci rovinò nell’una e nell’altro, così Gesù ci redense non solo quanto all’anima, ma anche quanto al corpo, cosicché l’anima del giusto è destinata ad una beatitudine immensa mediante la visione beatifica di Dio, ed il corpo alla sua volta verrà risuscitato, trasformato e configurato a quello glorioso del Cristo. Per Maria SS. la glorificazione corporea avvenne alla fine della sua carriera mortale; per gli altri giusti non avverrà che alla fine del mondo; ma se devono attenderla, non possono però dubitarne; la loro redenzione è certissima e sarà completa e perfetta (Rom. VIII, 23; Ef. IV, 30). Avendo già realizzato pienamente in se stessa il disegno divino della nostra redenzione, Maria SS. è per noi, colla sua Assunzione corporea, un altro modello, oltre quello di Gesù, della divinizzazione dell’anima mediante la visione beatifica e della glorificazione del corpo cui tutti siamo chiamati e che tutti dobbiamo meritare con le buone opere e con le sofferenze di questa vita cristianamente sopportate. Come del Cristo, così saremo coeredi di Maria SS., se soffriremo con Lei e come Lei (Rom. VIII, 17). – D’altra parte, l’Assunta non soltanto ci ricorda quale sia la nostra meta soprannaturale e la via per raggiungerla, ma ci presta anche il suo validissimo aiuto. A quel modo che una buona mamma mira sempre a rendere partecipi della sua felicità tutti i suoi figli, così la Madre nostra celeste regna in Paradiso sempre sollecita della salvezza di tutti gli uomini. S. Paolo ci rappresenta Gesù che vive alla destra del Padre, sempre pregando per noi (Rom. VIII, 34; Ebr. VII, 25); la Chiesa, alla sua volta, ci dice che la Vergine è stata assunta in cielo, affinché fiduciosamente s’interponga presso Dio per noi peccatori (Segreta della Vigilia).

Affine di perpetuare anche nella Liturgia il ricordo della definizione del dogma dell’Assunzione di Maria SS., la Santa Sede ha pubblicato una nuova Messa in onore dell’Assunta, ordinando di inserirla nel Messale il giorno 15 d’agosto, in luogo di quella antica (A. A. S. 1950, pag. 703-5).

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

V. Adjutórium nostrum ✠ in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
M. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.

S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Ap XII:1
Signum magnum appáruit in cœlo: múlier amicta sole, et luna sub pédibus ejus, et in cápite ejus coróna stellárum duódecim.

[Un gran segno apparve nel cielo: una Donna rivestita di sole, con la luna sotto i piedi, ed in capo una corona di dodici stelle].

Ps XCVII:1
Cantáte Dómino cánticum novum: quóniam mirabília fecit.

[Cantate al Signore un càntico nuovo: perché ha fatto meraviglie].

Signum magnum appáruit in coelo: múlier amicta sole, et luna sub pédibus ejus, et in cápite ejus coróna stellárum duódecim

[Un gran segno apparve nel cielo: una donna rivestita di sole, con la luna sotto i piedi, ed in capo una corona di dodici stelle].

Oratio

Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, qui Immaculátam Vírginem Maríam, Fílii tui genitrícem, córpore et ánima ad coeléstem glóriam assumpsísti: concéde, quǽsumus; ut, ad superna semper inténti, ipsíus glóriæ mereámur esse consórtes.

[Onnipotente sempiterno Iddio, che hai assunto in corpo ed ànima alla gloria celeste l’Immacolata Vergine Maria, Madre del tuo Figlio: concédici, Te ne preghiamo, che sempre intenti alle cose soprannaturali, possiamo divenire partecipi della sua gloria].

Lectio

Léctio libri Judith.
Judith XIII, 22-25; XV:10

Benedíxit te Dóminus in virtúte sua, quia per te ad níhilum redégit inimícos nostros. Benedícta es tu, fília, a Dómino Deo excelso, præ ómnibus muliéribus super terram. Benedíctus Dóminus, qui creávit coelum et terram, qui te direxit in vúlnera cápitis príncipis inimicórum nostrórum; quia hódie nomen tuum ita magnificávit, ut non recédat laus tua de ore hóminum, qui mémores fúerint virtútis Dómini in ætérnum, pro quibus non pepercísti ánimæ tuæ propter angústias et tribulatiónem géneris tui, sed subvenísti ruínæ ante conspéctum Dei nostri. Tu glória Jerúsalem, tu lætítia Israël, tu honorificéntia pópuli nostri.

[Il Signore ti ha benedetta nella sua potenza, perché per mezzo tuo annientò i nostri nemici. Tu, o figlia, sei benedetta dall’Altissimo piú che tutte le donne della terra. Sia benedetto Iddio, creatore del cielo e della terra, che ha guidato la tua mano per troncare il capo al nostro maggior nemico. Oggi ha reso cosí glorioso il tuo nome, che la tua lode non si partirà mai dalla bocca degli uomini che in ogni tempo ricordino la potenza del Signore; a pro di loro, infatti, tu non ti sei risparmiata, vedendo le angustie e le tribolazioni del tuo popolo, che hai salvato dalla rovina procedendo rettamente alla presenza del nostro Dio. Tu sei la gloria di Gerusalemme, tu la gloria di Israele, tu l’onore del nostro popolo!]

Graduale

Ps XLIV:11-12; XLIV:14
Audi, fília, et vide, et inclína aurem tuam, et concupíscit rex decórem tuum.

[Ascolta, o figlia; guarda e inclina il tuo orecchio, e s’appassionerà il re della tua bellezza.]

V. Omnis glória ejus fíliæ Regis ab intus, in fímbriis áureis circumamícta varietátibus. Allelúja, allelúja.

[V. Tutta bella entra la figlia del Re; tessute d’oro sono le sue vesti. Allelúia, allelúia].

V. Assumpta est María in cælum: gaudet exércitus Angelórum. Allelúja.  

[Maria è assunta in cielo: ne giúbila l’esercito degli Angeli. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Lucam.
Luc 1:41-50
“In illo témpore: Repléta est Spíritu Sancto Elisabeth et exclamávit voce magna, et dixit: Benedícta tu inter mulíeres, et benedíctus fructus ventris tui. Et unde hoc mihi ut véniat mater Dómini mei ad me? Ecce enim ut facta est vox salutatiónis tuæ in áuribus meis, exsultávit in gáudio infans in útero meo. Et beáta, quæ credidísti, quóniam perficiéntur ea, quæ dicta sunt tibi a Dómino. Et ait María: Magníficat ánima mea Dóminum; et exsultávit spíritus meus in Deo salutári meo; quia respéxit humilitátem ancíllæ suæ, ecce enim ex hoc beátam me dicent omnes generatiónes. Quia fecit mihi magna qui potens est, et sanctum nomen ejus, et misericórdia ejus a progénie in progénies timéntibus eum.”

[In quel tempo: Elisabetta fu ripiena di Spirito Santo, e ad alta voce esclamò: Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo seno! Donde a me questo onore che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, infatti, che appena il tuo saluto è giunto alle mie orecchie, il bimbo ha trasalito nel mio seno. Beata te, che hai creduto che si compirebbero le cose che ti furono dette dal Signore! E Maria rispose: L’ànima mia magnifica il Signore, e il mio spirito esulta in Dio mio salvatore, perché ha guardato all’umiltà della sua serva; ed ecco che da ora tutte le generazioni mi diranno beata. Perché grandi cose mi ha fatto colui che è potente, e santo è il suo nome, e la sua misericordia si estende di generazione in generazione su chi lo teme.]

OMELIA

[E. Campana: Maria nel dogma cattolico, Marietti ed. VI ed. Torino, 1946]

VI. — In genere, a causa della divina maternità, Maria si trovò così intimamente congiunta a Gesù, i misteri della vita di Maria si intrecciano così armonicamente coi misteri della vita del Salvatore, che la mancata glorificazione del corpo di Maria segnerebbe una insopportabile stonatura in questo così divino armonioso concerto. « Non v’è, ci sia lecito usare le parole stesse del Nicolas, non v’è un solo mistero di Gesù Cristo, che non abbia il suo accompagnamento e come la sua eco in un mistero corrispondente della santissima Vergine: e questo parallelo dei misteri del Figlio con quelli della Madre è così costante, che è impossibile non vederci una legge. Così il primo di questi misteri, quello della destinazione di Gesù Cristo, implica necessariamente quello della predestinazione di Maria, poiché Egli è predestinato solo in quanto uomo, e per conseguenza figliuolo di Maria. Il secondo mistero di Gesù Cristo, quello della sua preannunciazione profetica, non si presenta a noi senza associare Maria alla medesima grandezza: la donna, la Vergine è sempre mostrata dai profeti al tempo stesso che il suo seme, ossia il Figliuolo, il cui nome proprio di Fiore, di Germe, di Figlio, che gli è sempre dato nelle sacre Scritture, chiama necessariamente quello di radice, di donna, di madre, che corrisponde. Maria può dire come Gesù Cristo: Nel complesso del libro di me sta scritto. — In testa del libro è stato scritto di me. Il mistero, il gran mistero della venuta di Gesù Cristo, dell’Incarnazione del Verbo, non forma che uno con quello dell’Annunciazione della maternità divina; il medesimo mistero che produce un Uomo-Dio, fa una Madre di Dio. Il mistero della visita di Gesù al suo Precursore e della santificazione che gli arrecava con quello della Visitazione di Maria ad Elisabetta, e lo Spirito Santo per la bocca di questa non benedice il frutto, senza benedire il seno di Maria. Il giorno della Natività presenta il Bambino con Maria sua madre, riflettendo sopra di Lei lo splendore della sua divinità e della gloria che gli angeli, i pastori ed i re gli conferiscono. Il mistero della Presentazione si congiunge con quello della Purificazione, e l’associazione della Madre col Figliuolo nel gran destino di essere posto per bersaglio alla contraddizione affinché di molti cuori restino disvelati i pensieri, va nella profezia del vecchio Simeone, fino a passar l’anima della Madre colla medesima spada di dolore che penetrerà quella del Figlio. La fuga in Egitto ed il ritorno a Nazareth ci fanno vedere il Bambino e la Madre, strettamente uniti nel pericolo e nella salute, confidati come un solo deposito alla guardia ed alla fedeltà di Giuseppe. La manifestazione della sapienza del Fanciullo-Dio, al tempio fra i Dottori, non può separarsi dalla manifestazione della sua sommissione a Maria, prolungata per ben vent’anni, e della fedeltà con cui questa Madre faceva di tutte queste cose conserva in cuor suo. L’entrata di Gesù nella carriera dei suoi prodigi, e la manifestazione della sua gloria col miracolo di Cana, fa luogo al glorioso mistero della potente intercessione di Maria, che l’ottiene da questo divin Figliuolo, sino a fargli anticipar l’ora della sua gloria. Finalmente, quando quest’ora è venuta, questa grand’ora della sua passione e della sua morte, che dev’esser quella della nostra redenzione e del suo trionfo, allora il Salvatore del mondo vuole che la sua Madre sia al suo lato, che divida i suoi patimenti liberatori, quel calice di amarezza e di morte che deve esaurire quello della collera celeste: Egli vuole che la compassione di Lei risponda alla sua passione, e che questa e quella si raddoppino reciprocamente, per concorrere al medesimo fine, quello di generare noi alla vita di Dio, sino a costituire Maria nostra Madre, col medesimo mistero che rende Dio nostro Padre. « È chiaro: tutti i misteri di Gesù camminano così accompagnati da un mistero corrispondente di Maria. Sono come due voci, due strumenti disuguali di tono, ma che formano sempre un perfetto accordo di armonia. Maria è come quella nube su cui il sole per riflesso dei suoi raggi viene a rappresentarsi esso medesimo, in una brillante chiarezza, formando un altro sole intorno a sè, con quel fenomeno luminoso che si chiama perielio. Così intorno ad ogni mistero, ad ogni grandezza, ad ogni gloria di Gesù Cristo, v’ha un mistero luminoso, una grandezza ed una gloria corrispondente in Maria. È un fatto, ed un fatto così certo, che suppone una economia, una legge. « Come si vorrebbe ora che il mistero dell’Ascensione sia il solo mistero di Gesù Cristo che non avesse il suo parellelo in un mistero conforme in Maria? Come mai due destini così meravigliosamente uniti sin dalla loro origine ed in tutto il loro corso si vorranno separare al loro termine? Sarebbe questa un’anomalia tanto più strana, perchè egli è in vista del termine ch’Ei sono stati sì strettamente uniti nella loro predestinazione e nel loro corso. L’Assunzione della SS. Vergine vien dunque coll’Ascensione di Gesù Cristo a compiere mirabilmente il meraviglioso accordo dei loro destini ».

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Gen III:15
Inimicítias ponam inter te et mulíerem, et semen tuum et semen illíus.

[Porrò inimicizia tra te e la Donna: fra il tuo seme e il Seme suo.]

Secreta

Ascéndat ad te, Dómine, nostræ devotiónis oblátio, et, beatíssima Vírgine María in coelum assumpta intercedénte, corda nostra, caritátis igne succénsa, ad te júgiter ádspirent.

[Salga fino a Te, o Signore, l’omaggio della nostra devozione, e, per intercessione della beatissima Vergine Maria assunta in cielo, i nostri cuori, accesi di carità, aspirino sempre verso di Te.]

Præfatio  …

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

… de Beata Maria Virgine
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Et te in Assumptione beátæ Maríæ semper Vírginis collaudáre, benedícere et prædicáre. Quæ et Unigénitum tuum Sancti Spíritus obumbratióne concépit: et, virginitátis glória permanénte, lumen ætérnum mundo effúdit, Jesum Christum, Dóminum nostrum. Per quem majestátem tuam laudant Angeli, adórant Dominatiónes, tremunt Potestátes. Cæli cælorúmque Virtútes ac beáta Séraphim sócia exsultatióne concélebrant. Cum quibus et nostras voces ut admítti jubeas, deprecámur, súpplici confessióne dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: Te, nella Assunzione della Beata sempre Vergine Maria, lodiamo, benediciamo ed esaltiamo. La quale concepì il tuo Unigenito per opera dello Spirito Santo e, conservando la gloria della verginità, generò al mondo la luce eterna, Gesù Cristo nostro Signore. Per mezzo di Lui, la tua maestà lodano gli Angeli, adorano le Dominazioni e tremebonde le Potestà. I Cieli, le Virtú celesti e i beati Serafini la celebrano con unanime esultanza. Ti preghiamo di ammettere con le loro voci anche le nostre, mentre supplici confessiamo dicendo:]

Sanctus,

Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster,

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Luc 1:48-49
Beátam me dicent omnes generatiónes, quia fecit mihi magna qui potens est.

[Tutte le generazioni mi diranno beata, perché grandi cose mi ha fatto colui che è potente.]

Postcommunio

Orémus.
Sumptis, Dómine, salutáribus sacraméntis: da, quǽsumus; ut, méritis et intercessióne beátæ Vírginis Maríæ in coelum assúmptæ, ad resurrectiónis glóriam perducámur.

[Ricevuto, o Signore, il salutare sacramento, fa, Te ne preghiamo, che, per i meriti e l’intercessione della beata Vergine Maria Assunta in cielo, siamo elevati alla gloriosa resurrezione.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (49)

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (49)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

INDICE DEGLI ARGOMENTI -VIII-

G. – DIO CONGREGANTE LA CHIESA DELLA SALVEZZA.

1. Fondazione della Chiesa.

G1a. a. – ESISTENZA DELL’ASSEMBLEA DEI FEDELI DI CRISTO

Fede dei simboli nella Chiesa I 5 10-30 36 41//51 60-63 126 150: fede nella in remissione dei peccati, vita eterna mediante la Chiesa 21s; fede in un unico regno, Battesimo nella Chiesa 2-4.

G1b. b. – CRISTO FONDATORE DELLA CHIESA.

Cristo è primo e principale fondamento della Chiesa 774.

La Chiesa è comprata al prezzo del Sangue di Cristo 540 575.

La Chiesa è sorta -; dalla libera volontà di Cristo 3302s; -: dal fianco del secondo Adamo come dormiente sulla croce 3328.

Il primo apparire della Chiesa fu nel giorno di Pentecoste 3328.

Cristo per giuridica missione di per sé è colui che battezza per la Chiesa, insegna, regge, sacrifica 3806.

G1c. c. – FONDAMENTO GERARCHICO: COLLEGIO DEGLI APOSTOLI le

Fede dei simboli nella Chiesa apostolica 42-49 60 150.

Paritaria è l’elezione degli Apostoli, ma lo fu anche per la discrezione di potestà 282 2594.

G1d. d – FONDAMENTO MONARCHICO: PIETRO PRINCIPE DEGLI APOSTOLI

Cristo costituisce Pietro principe degli Apostoli 3055 ; da questo il primato di Pietro 350s 446 640 774s 3053s 3055 3308; vari appellativi di Pietro circa il suo primato 3308.

Pietro è il fondamento secondario della Chiesa 774 (3051); è il capo visibile di tutta la Chiesa 942 (944) 1207 3055; è principio di unità 3051.

Pietro ricevette la giurisdizione immediatamente da Cristo, non mediante (a.per decreti sinodali) la Chiesa a350 a640 3054 3055; fu Vicario di Cristo 942 1263.

Pietro assunse pienissima giurisdizione 1052; non solo un primato di onore 3055; Gli Apostoli non prendono la loro potestà senza Pietro e contro Pietro 3309; la loro giurisdizione è soggetta alla potestà di Pietro 1052; neanche Paolo fu pari a Pietro (ctr. L’errore circa il duplice capo della Chiesa) 1999 3555; riprov.: [Pietro non ebbe alcuna cognizione del suo primato] 3455.

2. Continutà della Chiesa.

G2a. a. — PERPETUITÀ DELLA CHIESA.

La Chiesa è perpetua ossia perenne. 2997 3303s; tempio eterno 3051.

È Costituita per rendere perenne l’opera di Cristo 3050; la salvezza dei popoli richiede la Chiesa perpetua 3328.

G2b. b. — CONTINUITÀ DELLA GERARCHIA.

La gerarchia è costituita dalla Ordinazione sacra. CdIC 109.

Apostoli constituiron Vescovi e diaconi 101; i Vescovi sono i successori degli Apostoli 101 1318 1778 3061

3307 3804 CdIC 329, § 1; si riprova: [La Potestà di legare e sciogliere è data solo agli Apostoli non ai loro successori] 732 (1476).

I Vescovi sono stabiliti dallo Spirito Santo, e per il loro ministero sono anche generati Padri onde reggere la Chiesa. 3328.

G2c. c. — CONTINUAZIONE DELLA MONARCHIA

Il Vescovo romano è successore di Pietro Apostolo 111, cap. 17; 133 136 181 233-235 861 1053 1264 1307 1868 2540 2593 3056s 3058 3059 3067 (3555) CdIC 218, § 1; pertanto la Sede Romana del Pontefice è “Sede Apostolica, “Sede di Pietro Ap.”, “Fonte Apostolica” 136 149 217s 238 etc.

I Pontifici Romani successero a Pietro nella stessa pienezza di potestà 1053.

Il Primato della Sede Romana non è ottenuta con decreti sinodali 350 640 874.

G2d. d. — CONTINUITÀ DEL POPOLO DI DIO.

Tra i finì del matrimonio si contempla anche l’aumento corporale della Chiesa. 1311 3143 3705.

G3. Unità della Chiesa di Cristo.

Fede nella Chiesa una ed a.unica (riprovate le affermazioni b.degli scismatici ossia della teoria dei rami silenti) 5 41s 44 46 a47s 51 150 350 b446 b468s 802 a870s 872 1050 b1159 ac2885-2888 b2937s 2997-2999 3300-3304;

in unico regno di Dio 3s.

La Ch. è una per unità di sposa, di fede, di Sacramenti, di carità 871;

In quanto Corpo mistico di Cristo 3300-3304.

Cristo non formò la Chiesa come comunità distinte plurime simili per genere 3303; l’unità consiste in ciò, che un solo gregge sia sotto un unico pastore in forza della comunione con il Romano Pontefice e della medesima professione di fede 3060; principio (radice, fondamento) è a. il primato e b. il Magistero a2888 b3113 ab3305-3310.

4. Costituzione giuridica della Chiesa.

G4a. a. – PERFEZIONE DELLA CHIESA QUALE SOCIETÀ GIURIDICA.

La Chiesa è una società perfetta nel genere e nel diritto (a.in possesso di ogni mezzo per il suo fine) 2919 a3167 3171 3685; pertanto è suprema nel suo ordine 3167s 3171 3685; non è inferiore al governo civile 3167; è ina delle due supreme potestà che reggono il mondo 347 362 (642) 767 873.

Nelle cose essenziali la costituzione della Chiesa è fondata sull’ordinazione divina, immune dall’arbitraria disposizione degli uomini 3114; si riprovano gli errori del modernismo circa la costituzione della Chiesa 3452-3456 3492s.

La Chiesa si riserva il diritto esclusivo di costituire il clero 604 659 712 1063 1769 1777 CdIC 109 1352.

La Chiesa si riserva il diritto ai beni temporali; ctr. avversari 941 1126s 1137s 1160 1166 1168 1181//1189 1194 1274-1276 1491 2281 29242927 2975s CdIC 1495 1499.

G4b. b. – POTESTÀ LEGIFERANTE, GIUDIZIARIA, COERCITIVA

La Chiesa ha giurisdizione diretta nelle cose spirituali e suoi annessi CdIC 1553; al giudizio della Chiesa spetta il governo interno delle anime 2265-2268; partecipa il diritto di educare ed istruire religiosamente 2892 2945-2948 3685-3689 CdIC 1329-1348.

Alla Chiesa compete il diritto di perseguire i trasgressori con le pene spirituali e temporali (cioè scomuniche, interdetti, altre censure) 945 1129-1135 1161-1163 1180 1214//1219 1271-1273 1473s 2604s 2646- 2650 2914 CdIC 2214, § 1; la Ecclesia rifugge da ogni vendetta cruenta, accontentandosi del giudizio sacerdotale 283; rivendica tuttavia a sé il diritto di invocare il braccio secolare 1215 1272 1483s.

Si riprova l’asserzione postulante come necessaria all’esercizio della legittima potestà la dignità morale e la predestinazione (a.soprattutto del romano Pontefice) (1210) 1211-1213 ‘1220//1226 1230.

Circa le cose occulte (a.della mente e dell’intenzione della cosa interiore) la Chiesa non giudica 1814 2266s a3318.

Il diritto della Chiesa non riguarda i non battezzati 1671 CdIC 12; gli eretici non sono esenti dall’autorità della Chiesa, tuttavia sono privati dei bene della Chiesa 2568-2570.

G4c. c. – MEMBRI DELLA CHIESA ECCLESIAE

I membri della Chiesa sono coloro che hanno ricevuto il Battesimo, professano la vera fede, né mai si sono separati dalla compagine del Corpo di Cristo 3802.

Riprov. le asserzioni che restringono l’ambito dei membri -: alla Chiesa spirituale evangelicamente vivente distinta dalla Chiesa carnale papale 911; -: ai soli predestinati alla beatitudine 1201-1206 12201224 2476 3803; – : ai soli giusti, viventi in grazia 2474-2478 2615.

Riprov. Le asserz. estendenti l’ambito dei membri agli scomunicati per rito 1128//1163 1180 1217-1219 1271-1273 1473s 2491-2493.

Il diritto dei membri di ricevere i ben spirituali impone al clero l’obbligo di amministrare i a.mezzi necessari alla salvezza, b.il Sacrificio della Messa e dei Sacramenti , c.la dottrina cristiana CdIC a682 b785 b853 b886 b892 b939 a1329- 1348.

G4d. d. – ORDINE DEL REGIME

4da. In genere. La Potestà della Chiesa non deriva nei ministri dalla comunità dei fedeli 2602s; si riprova: (Cristo volle amministrare la Chiesa secondo gli usi di una repubblica) 2595.

Per il ministero del verbo (e a.dei Sacramenti) è richiesta (a.l’ordinazione) e la missione dalla potestà della Chiesa 760s (769) 796 809 866 1163s 1217s 1277s a1777.

La Potestà della Chiesa non si esttingue nel ministro peccatore o errante 912 1135 1158 1165 1212s (1220//1226) 1230.

Nella Chiesa sono noti la diversità del grado dell’ordine ecclesiastico 282 796 1765 1772 (1776) CdIC 108.

Varie distinzioni degli ordini nella Chiesa: chierici – laici CdIC 107; a.Sommo Sacerdote (“Vescovo uno”) – b.Vescovo – c. presbitero (o “secondo Sacerdote) – d.levita – e.diaconi – f.subdiaconi – g.accolito – h.esorcista – i.lettori – k.ostiari – I.salmisti o cantori – m.laici – n.vedove aedm101 e bc101. agekin bec119 bce121 bce187 b215s bcefghikl cefghikl326-329 cefghik765; ordini maggiori (presbiteriato, diacon., subdiacon.) – minori (accolitato, esorcist., lettor., ostiar.) CdIC 949.

La gerarchia di divina istituzione consta di Vescovi, presbiteri, ministri (a.diaconato) 1776 CdIC a108, § 3.

Nella gerarchia vi è distinzione di potestà, riprovata l’asserzione opposta: [tutti di Sacerdoti istituiti da Cristo sono di eguale giurisdizione9] 282 944 1265 1767 1777.

4db. Giurisdizione del Sommo Pontefice: primato. La Chiesa richiede per diritto divino l’unità di regime 3306; questa si trova nel primato: vd. G 3; la solidità della Chiesa consiste nel primato 3052.

Riconoscimento del primato — è richiesto (102) 109 132 181s 221 232-235 282 347 446 468s 638-641 774s 861 875 910 1051-1064 1191 1307s 2539 2592s 3059s 3064; — è eccellente 108 133-136 181s 1860 216s 264 306 661-664; —; è necessaria alla salute 233s 875 1051 1060 (1191) 3867; chi rinuncia alla sottomissione al S.Pontefice è scismatico CdIC 1325, § 2.

Riprovate le obiezioni ctr. il primato [tra le altre: a.la Dignità del Papa emanò da Cesare”; b.essa deriva dal diavolo: c. la Chiesa non ha bisogno di un capo terreno] b1187 1188 b1190 1192 a1209 c.1227-1229 1475s 2592-2597 3555.

Il S. Pontefice è il capo visibile della Chiesa 872 1307 2592s 3059 3113; è il vicario di Cristo 872 1054 (1118 1187) 1307 1448 (1475) 1868 2540 2592s 2603 3059; assume da Cristo immediatamente ogni potestà di giurisdizione 1054 (1187 2592s) 3060 3064 3113.

Il S. Pontefice è subordinato per diritto divino a Cristo per le disposizioni ecclesiastica, così da non poter mutare la sua costituzione3114.

Giurisdizione del S. Pontefice —: è est episcopale, ordinaria, immediata 3060 3064 CdIC 218, § 2.

—: se estende a tutta la Chiesa militante, ad ogni fedele 1053s 1307 3059 (3113) CdIC 218, § 2.

—: ha suprema potestà sia nelle cose di fede e di morale, sia in cose disciplinari e di regime ecclesiastico 3060 3064 (3307) CdIC 109 218, § 1 219; i decreti del S. Pontefice non richiedono il consenso della Chiesa affinché siano ut irreformabili 2284 2490 3074.

—: è di somma potestà legislativa, amministrativa, coercitiva 1057 1059 1061 1271-1273; questa non consiste dei soli diritti riservati (3064) 3113; può dispensare da tutto ciò di che la Chiesa universale stabilisce 1417.

—: è suprema la potestà giudiziaria eccles. 1055 1128-1135 2592 3063 CdIC 1569 1597; i fedeli devo sempre accogliere l’appello del S. Pontefice 133-135 639 641 861 3063 CdIC 1569; dal suo giudizio non è lecito discostarsi 133 135 182 221 232 235 641 3063; la prima Sede non deve essere giudicata da nessuno.638 873 943 1056 1058 1139 CdIC 1556; dalla sentenza del S. Pontefice a nessuno è dato appellarsi ad altro giudizio (a.nello specifico al Concilio generale) 641 1056 a1375 (a2935) 3063 CdIC a228, § 2 1880 2332.

—: ha la pienezza di potestà per elargire le indulgenze 819 868 1026 1059 1266 1398 1416.

—: è indipendente dall’autorità 2596 2603 CdIC 218, § 2.

-: è independente dalla probità morale e dalla predestinazione del Papa 912 914 1158 ( 1165).

Il S. Pontefice costituisce i Vescovi 2592 CdIC 329, § 2; precede gli altri Vescovi non solo per l’onore del grado ma anche per la suprema potestà 661 811 861 1308 2593 3067 CdIC 218; si riprova l’asserz circa la relazione del S. Pontefice con altri Vescovi e sedi 2595 2597 2935 3064; si rivendica il primato dall’accusa di centralismo ed assolutismo 3112-3116.

La Sede Romana per il primato è chiamata “madre”, “maestra” di tutte le chiese (particulari) 774 1616 1868 2781.

Il S. Pontefice ha autorità sul Concilio che giudica, b.trasferisce, c.proroga, d.scioglie, e.conferma (approva) e398-400 447 861 abd 11445 ‘18474850 2282s 2329 bcdS1309 CdIC abde222 e227.

4dc. Giurisdizione dei Vescovi. L’ordine dei Vescovi è proprio dell’ordine gerarchico (a.attinente all’intima constituzione della Chiesa a3307; la sua istituzione è (a.egualmente) divina (e b.immutabile) e ad eessa il a.il primato a3115 CdIC 329, § I.

La giurisdizione episcopale è a.immediata ed b.ordinaria (essa è c.potestà a sé propria, non vicaria del S. Pontefice) ab3061 ac3307 b3804 CdIC b329, § I.

I Vescovi reggono le chiese particolari sotto l’autorità del S. Pontefice (a.dal quale ricevono giurisdizione immediata) 1778 3308s a3804 CdIC 329, § 1; la potestà del S. Pontefice non si oppone alla potestà di giurisdizione dei Vescovi è non può assorbirla 3061 3112 3115 3310.

Si riprovano le asserzioni esageranti i diritti dei Vescovi 2594 2606-2608.

Sedi patriarcali (a.Constantinopoli, b.Alessandria, c.Antiochia, d.Gerusalemme e.ad esse si confermano tutti i diritti ed i privilegi bc351 abcd661 abcd 881 861 abcde1308.

Proprio dei Vescovi è ordinare i ministri della Chiesa e conferire il Sacramento della confermazione 1768 1777 (3328).

I Vescovi sono presbiteri superiori 1768 1777. –

Il Concilio generale dei Vescovi non può essere giudicato dal Sinodo particolare 447; non è invero superiore al. Papa 233 1151 (2935s) S1309; add. G 4db. (circa l’autorità del Pontefice sui Concili);

Si riprova: [lee definizioni del Concilio nazionale non ammettono dispute] 2936.

4dd. La funzione dei laici nella Chiesa. Al laico non è data missione canonica onde predicare 760s (770s) 796 809 866 1163s 1217s 1277 1777; i peccati non si devono confidare ai laici 866 1260 1463 1684 1700.

5. Costituzione spirituale carismatica della Chiesa.

G5a. a. – INDOLE SOPRANNATURALE IN GENERE.

La Chiesa (a.come proprio fine e mezzo per il fine) è soprannaturale a3167 3300s 3685; è spirituale.3167 3300s.

La Chiesa muove i doni dello Spirito nei carismi 575 3328; non vi sono uomini carismatici che manchino di essi homines.3801.

La Chiesa è chiamata “Santa” nei simboli 1-5 11-30 36 41s 47 51 60-63 150; è senza macchia e ruga 493 575.

G5b. b. – INDOLE VITALE MISTICA.

La Chiesa è chiamata “madre” dei fedeli 45 47 478 807 1507 1863; “coniuge (sposa) di Cristo” 901 3805.

La Chiesa è la pienezza di Cristo 3813; si descrive il modo in cui Cristo vive nella Chiesa 3806.

La Chiesa è il Corpo mistico di Cristo, di cii il capo è Cristo 493 575

870 3300s 3800-3816; spiegazione di questa nozione (ctr. gli errori) 3300s 3800 3809-3811 3816; cooperazione dei membri con il capo 3805; la sola fede non rende membro vivo del Corpo di Cristo 1531.

Lo Spirito Santo è concepito come anima della Chiesa 3328 3807s; add. B 2cb.

L’Eucharistia è deta anima della Chiesa (gerarchica) 3364.

6. Fine della Chiesa

G6a. a. — LA CHIESA MEZZO ESTERNO DI SALVEZZA.

Fine della Chiesa è la salvezza eterna delle anime 3166 3168.

Fede dei simboli nella Chiesa quale mezzo: “per” la Chiesa 21s; “nella” Chiesa 2-4.

Necessità della Chiesa per la salvezza 575 792 802 870 1191 1351 2720 2730s 2785 2865 2867 2917 2997-2999 3304 3821s 3866-3873; la divina legge tiene avvianti alla vera Chiesa CdIC 1322, § 2; in certe situazioni è sufficiente il voto = (anche implicito) o il desiderio (appartenenti alla Chiesa) 3821 3869-3872; anche fuoori dalla Chiesa è concessa la grazia 2429.

È riprovato l’indifferentismo o latitudinarismo 2720 2730s 2785 2865-2867 2915-2918 (2921 2977-2979).

G6b. b. — DESTINAZIONE UNIVERSALE DELLA CHIESA.

La Chiesa è destinata a comprendere tutto il genere umano. Ecclesia destinata est, ut complectatur totum genus humanum (a.non è circoscritta a nessun luogo o tempo) 350 a3166 3685 CdIC 1322, § 2.

Fede dei simboli nella Chiesa “cattolica” 3-5 12 15 19 21 23 27-30 36 41//51 60 126 150.

G6c. c.— CONOSCIBILITÀ DELLA VERA CHIESA.

La Chiesa è esterna, visibile 3300; Dio istituì la Chiesa con note manifeste affinché potesse essere riconosciuta da tutti. 3012.

Motivi vari di credibilità della Chiesa 2779 3013s; soprattutto la si può riconoscere dalle quattro note di: cattolicità, unità, santità apostolica successione 42 150 684 792 2888 2997.

Nessun uomo può accampare l’ignoranza invincibile della vera Chiesa. 2865 2866.

G6d. d. — RELAZIONE DELLA CHIESA CON I FINI NATURALI.

La Chiesa non vuole ostacolare la cultura, le comodità ed i beni (materiali) della società umana 2775 2940 3019 3178 3255; infatti anche questi beni. Se rettamente usati possono condurre a Dio 3019.

Nella questione sociale ed economica la Chiesa è maestra dei costumi morali: vd. H1 ba.

Si riprova: Recriminazioni circa la relazione della Chiesa con la cultura profana. 1179 2980 3457.

G6e. e. — RELAZIONI DELLA CHIESA CON IL POTERE.

In tutto ciò che attiene alla salvezza delle anime, è competente unicamente la Chiesa, indipendente e libera 345 347 362 638 642 941-945 1058 1063 2919 (2934) 3168 3171.

La Chiesa rivendica nella fattispecie —: l’elezione e la consacrazione per gli uffici ecclesiastici 604 659 712 1063 1769 1777; —: il regime spirituale ed il commercio tra il S. Pontefice ed i fedeli 663 2944 2949-2953 3062 CdIC 2333; —: la disposizione circa le cose ecclesiastiche 712; —: la celebrazione dei Concili 600; tuttavia talvolta si è tuttavia permessa la partecipazione dei principi secolari ai Concili. 343 639.

Si riprovano le asserzioni secondo cui la libertà della Chiesa debba essere repressa in favore del potere civile [in particolare: il potere civile è, definire i diritti della Chiesa; la forza delle leggi ecclesiastiche dipende dall’assenso del potere civile; nel conflitto tra leggi eccl. e civ. prevale il diritto civile] 2893-2896 2919s 29281/2948 2954s 3062.

Nei vari negoziati è da curare la modestia di entrambi gli ordini 642.

Nei negoziati misti è desiderabile che non vi sia secessione (separazione) tra autorità eccl. e civ., ma concordia, collegamento ordinato (a somiglianza del corpo e dell’anima) 2955 a3168 3172.

La Chiesa è indifferente alla forma di governo civile 2769 3150 3165 3173s.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (50)

IL CATECHISMO DI SPIRAGO (IV)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (IV)

CATECHISMO POPOLARE O CATTOLICO

SCRITTO SECONDO LE REGOLE DELLA PEDAGOGIA PER LE ESIGENZE DELL’ETÀ MODERNA

DI

FRANCESCO SPIRAGO

Professore presso il Seminario Imperiale e Reale di Praga.

Trad. fatta sulla quinta edizione tedesca da Don. Pio FRANCH Sacerdote trentino.

Trento, Tip. Del Comitato diocesano.

N. H. Trento, 24 ott. 1909, B. Bazzoli, cens. Eccl.

Imprimatur Trento 22 ott. 1909, Fr. Oberauzer Vic. G.le.

PRIMA PARTE DEL CATECHISMO

LA FEDE. (1)

I. LA CONOSCENZA DI DIO.

La conoscenza di Dio è la conoscenza delle sue qualità e perfezioni, delle sue opere, della sua volontà, delle fonti di grazia da Lui stabilite, ecc. “Crescete sempre nella conoscenza di Dio”. (Col. 1, 10.) Ora vediamo solo come in uno specchio e con enigmi (gli specchi degli antichi erano poco chiari), ma dopo la morte conosceremo Dio in modo chiaro. (I. Cor. XIII, 12.)

1. LA CONOSCENZA DI DIO È LA FELICITÀ DEGLI ANGELI E DEI SANTI.

Questa conoscenza è il nutrimento degli Angeli e dei santi; è di questo nutrimento che parlava l’Arcangelo Raffaelle quando diceva a Tobia: “Io uso un cibo e una bevanda invisibili agli uomini.” (Tob. XII, 19) Allo stesso modo Cristo dice: “Ora la vita eterna consiste nel conoscere te, l’unico vero Dio, e Gesù Cristo che tu hai mandato. “Tuttavia, la conoscenza che gli eletti hanno di Dio in cielo è diversa da quella che abbiamo sulla terra. I Santi hanno una conoscenza immediata (diretta) di Dio, che si chiama visione (beatifica). Noi, invece, conosciamo Dio solo mediatamente (indirettamente) attraverso le sue opere e la rivelazione. 11 Questa conoscenza è come la scienza geografica, si conosce un paese solo dalle carte geografiche (e se ne ha una conoscenza solo indiretta e imperfetta), l’altro lo conosce per averlo attraversato e osservato (e ne ha una conoscenza immediata e più perfetta). Il Salvatore ha detto degli Angeli buoni: “Gli Angeli del cielo vedono sempre il volto del Padre mio che è nei cieli”. Anche i santi vedono il volto di Dio, perché assomigliano agli Angeli” (S. Luca XX, 36.)

2. LA CONOSCENZA DI DIO È MOLTO IMPORTANTE; PERCHÈ SENZA DI ESSA SULLA TERRA NON CI PUÒ ESSERE NÉ FELICITÀ, NÉ VERA ONESTÀ.

Senza la conoscenza di Dio, non ci può essere felicità. Essa è in effetti il nutrimento della nostra anima. Se manca questo cibo, l’anima è tormentata dalla fame, l’uomo è scontento. “Se manca la pace interiore, tutti i beni della terra, le ricchezze, la salute, ecc. non potranno mai darci gioia”. (S. Grég. Nys.)

– Pochi uomini, purtroppo, si preoccupano di questo nutrimento, che rimane per la vita eterna; essi si preoccupano solo del cibo che soddisfa solo per un momento. L’uomo che non conosce Dio è come un cieco, ha un passo instabile, cade spesso e sbatte contro le cose, si sente molto infelice, non ha piacere nella vita; tale è l’uomo senza Dio: non vede la sua meta, cade da un peccato all’altro non ha consolazione nella vita e non ha speranza nella morte. – Chi non ha conoscenza di Dio è un ignorante, anche se fosse il più grande studioso. (Marie Laïaste.). Guai all’uomo che sa tutto, ma non conosce Te, o mio Dio!” (S. Aug.) Infelice soprattutto perché manca di contentezza. Lo stesso Goethe, quell’uomo illustre, riconosceva (nelle conversazioni con l’amico Eckermann) che in 75 anni non aveva sperimentato che 4 settimane di vero benessere; egli paragonava tutta la sua vita ad una pietra, che deve sempre essere fatta rotolare in avanti su un pendio. Da dove veniva dunque l’insoddisfazione di un uomo del genere? – Senza conoscenza di Dio, non ci può essere vera onestà. Un campo incolto non può produrre buoni frutti, ed un uomo che non ha conoscenza di Dio non può fare buone azioni. Questa ignoranza è la causa della maggior parte dei peccati. Perché tanti falsi giuramenti, o prestati alla leggera ? Perché non si prega, perché non partecipiamo alle funzioni religiose, perché trascuriamo i Sacramenti? Perché questa ricerca appassionata di oro e onori, di piaceri sensuali, dove calpestiamo così audacemente i comandamenti di Dio? Perché non conosciamo Dio. L’imperatore Giuseppe II (+ nel 1790) si mescolava spesso con il popolo sotto mentite spoglie, e più di una volta fu maltrattato to dai suoi funzionari… Perché? Perché non lo riconoscevano, altrimenti lo avrebbero trattato in modo diverso. Lo stesso vale per Dio. Osea grida: “Perché non c’è conoscenza di Dio sulla terra”, insulti, menzogne, omicidi, furti… . si sono diffusi come un diluvio”. (IV. 2.) E S. Paolo assicura che i Giudei non avrebbero mai crocifisso Gesù Cristo, il Re della Gloria, se lo avessero conosciuto (I Cor. 11, 8). “Se gli uomini vi conoscessero, non vi offenderebbero mai”. (S. Ign. L.) L’esperienza dimostra che la maggior parte dei detenuti nelle carceri non sa nulla di “Dio“. Quando Federico II di Prussia ha riconosciuto che la scomparsa della conoscenza di Dio portava ad un aumento della criminalità, apostrofò il suo ministro dicendogli “Portatemi della religione”- Imparare e comprendere il catechismo, che è solo un riassunto del Vangelo di Gesù Cristo, sono due cose molto importanti. Tuttavia, la conoscenza delle verità religiose noncostituisce ancora onestà; perché uno può conoscerle ed essere comunque un uomo immorale. “Nella religione, la cosa principale non è la conoscenza e la fede, ma l’azione e la condotta”.

3. LA VERA CONOSCENZA DI DIO SI ACQUISISCE DALLA FEDE NELLE VERITÀ RIVELATE DA DIO.

Indubbiamente possiamo conoscere Dio con la ragione, con la considerazione delle creature (Rm I, 20); i cieli raccontano la sua gloria (Sal XVIII, 2), mostrano la sua onnipotenza e la sua sapienza. la sua la sua bontà, la sua bellezza. Ma la nostra ragione è debole e non arriveremmo mai ad una conoscenza esatta e chiara di Dio. – Sappiamo quali idee insensate avessero sulla Divinità e quale culto immorale praticassero i pagani, che pensavano solo in termini di ragione. “Se tanti oggetti su questa terra sono inspiegabili per l’uomo, quanto più grande è il pericolo di errore, quando cerca di scrutare ciò che è al di sopra del cielo” (Bellarmino). Nessuno può scrutare ciò che è al di sopra del cielo, se Dio non gli dà la sapienza e non gli manda il suo Spirito. (Sap. IX, 14-16); e questo aiuto ci è dato dalla fede.

Questa fede nelle verità rivelate da Dio ci dà una conoscenza esatta e distinta di Dio. Così sant’Agostino dice: “Credo per conoscere”, e sant’Anselmo: “Quanto più siamo nutriti dalla fede, tanto più siamo pieni di comprensione”. La fede è l’inizio di ogni conoscenza superiore di Dio. La fede è spesso chiamata una luce divina (Catech. Rom. – 1. Pietro II, 9) che risplende nella nostra anima”. (2. Cor. IV, 6). Infatti, così come la luce, il lampo, penetra le tenebre, allo stesso modo la fede penetra i misteri cristiani (S. Bern.). Come la luce illumina la casa, così la fede illumina l’anima (S. J. Chr.) La fede rassomiglia ad un osservatorio su un monte: da lì si scopre ciò che non si vede in pianura; dall’alto della fede si scopre ciò che non si nota nella semplice contemplazione delle creature. La fede è come un telescopio attraverso il quale si può vedere ciò che non si vede ad occhio nudo; attraverso la fede si vede ciò che non si riconosce dalla sola ragione. La fede è come uno specchio: in uno specchio si vede una torre altissima.; con la fede possiamo conoscere la maestà di Dio (S. Bonav.); assomiglia anche a un bastone, un bastone usato per sostenere le membra tremanti; con la fede sosteniamo la nostra ragione in modo da conoscere meglio Dio (S. J. Chr.) – Ci sono due libri in cui impariamo a conoscere Dio: un libro senza lettere, la Natura, ed un libro con lettere, la Sacra Scrittura, che ci comunica la Rivelazione.

2. LA RIVELAZIONE DIVINA.

Se qualcuno si trova dietro a delle tende trasparenti in una stanza, può vedere i passanti per strada, ma loro non vedono lui. Se tuttavia si manifesta con la voce, i passanti possono indovinare chi c’è dietro la tenda. 11 Lo stesso vale per Dio, che ci vede senza essere visto da noi (Is. XLV, 15), eppure si è manifestato agli uomini in vari modi: ai nostri primi genitori, ad Abramo (al quale si presentò in forma umana con due angeli), a Mosè nel roveto ardente, agli Ebrei sul Monte Sinai, ecc.

1. DIO SI È SPESSO RIVELATO AGLI UOMINI NEL CORSO DEI SECOLI. (Eb. I. 1, 21).

Cioè, Dio ha spesso parlato agli uomini delle sue qualità, dei suoi progetti (ad esempio della futura Redenzione), della sua volontà, e li ha illuminati sul loro destino, il loro futuro dopo la morte, ecc. – Questa rivelazione di Dio si chiama soprannaturale in contrapposizione alla manifestazione naturale che avviene attraverso la creazione visibile, cioè mediante la natura.

2. LA RIVELAZIONE DIVINA AVVENIVA DI SOLITO NEL MODO SEGUENTE: DIO PARLAVA A CERTI UOMINI IN PARTICOLARE E DAVA LORO L’ORDINE DI ANNUNCIARE PUBBLICAMENTE AGLI ALTRI UOMINI LE COSE CHE ERANO STATE RIVELATE LORO.

Dio parlò a certi uomini in particolare, per esempio a Noê, ad Abramo ed ai suoi figli e a Mosè, perché trovò in loro un’anima pura (S. J. Chr.). Dio mandò Noè agli uomini viziosi prima del diluvio, e Mosè agli israeliti perseguitati e al Faraone. – Come eccezione, Dio parlò a molti uomini a volte o si servì del ministero degli Angeli. Dio si è rivelato a un’intera folla in una sola volta dando la sua legge sul Sinai (Dio ha parlato a tutto il popolo d’Israele) e al battesimo di Gesù. (Dio Padre ha pronunciato queste parole: “Questo è il mio Figlio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto”). Dio si è servito anche degli Angeli per rivelarsi. Mandò Raffaele a Tobia. Quando Dio parlava agli uomini, assumeva una forma visibile; per esempio, quella di un Angelo o di un uomo, oppure parlava da una nuvola (sul Monte Sinai), in un roveto ardente (a Mosè), in una luce intensa (a Paolo), nel mormorio del vento (a Elia), o con un’illuminazione interiore (Levit. XII, 6-8). – Gli uomini a cui Dio aveva parlato e che aveva incaricato di rendere testimonianza davanti ad altri uomini (S. Giovanni I, 7) sono solitamente chiamati Inviati di Dio. Generalmente Dio scelse solo uomini di buoni costumi e li dotò del dono dei miracoli e della profezia, affinché la loro parola fosse creduta. Ricordiamo i miracoli di Mosè davanti al faraone, i miracoli dei profeti e degli Apostoli.

3. LA PRELDICAZIONE DELLA RIVELAZIONE DIVINA FU FATTA SOPRATTUTTO MEDIANTE I PATRIARCHI, I PROFETI, IL FIGLIO DI DIO GESÙ CRISTO (Eb. I, 1) E GLI APOSTOLI.

La rivelazione è semplicemente l’educazione del genere umano. Ciò che l’educazione è per l’individuo, la rivelazione è per l’intera umanità. La Rivelazione risponde alle alle esigenze delle età successive dell’uomo: l’infanzia, l’adolescenza e la maturità. I Patriarchi, che erano come bambini, avevano meno bisogno di leggi e Dio conversava con loro in modo familiare. Gli israeliti, ovr come negli adolescenti vi era sensualità ed amor proprio, avevano bisogno di essere educati con insegnamenti continui e leggi severe. Ma quando Dio volle che l’umanità entrasse nell’età matura, le leggi severe sono cadute e Dio ha dato attraverso il suo Figlio la legge dell’amore. (I Cor. XIII, 11; Gal. III, 24.) – Di tutti i predicatori della rivelazione, il Figlio di Dio è stato il testimone più fedele. (Apoc. I, 5) ed era venuto in questo mondo per testimoniare la verità. (S. Giovanni XVIII, 37) Ciò che disse, lo disse come il Padre gli aveva insegnato. (S. Giovanni XII, 50.) Poteva parlare con più precisione e chiarezza di tutti gli altri, perché, essendo il Figlio unigenito nel seno del Padre, vedeva la natura di Dio meglio di chiunque altro. (S. Giovanni I, 18) Testimoniò ciò che aveva visto, ma gli uomini non accettarono la sua testimonianza. (S. Giovanni III, 11.) – Anche gli Apostoli erano predicatori di rivelazioni. Dovevano rendere testimonianza di ciò che avevano visto, soprattutto della risurrezione del Salvatore (Atti X, 39 ss.), non solo a Gerusalemme, ma in tutta la Giudea, in Samaria, ma fino ai confini della terra. (I, 8) Così San Paolo diceva che il suo ministero consisteva nel rendere testimonianza al Vangelo. (XX,24). La rivelazione di Gesù Cristo e degli Apostoli è stata l’ultima parola di Dio agli uomini. (Héb. I, 1.); essa chiude la serie delle rivelazioni, che sono rivolte a tutta l’umanità.

4. ANCHE DOPO LA MORTE DEGLI APOSTOLI DIO SI È RIVELATO SPESSO AGLI UOMINI; MA QUESTE RIVELAZIONI NON SONO CONTINUAZIONI DELLA RIVELAZIONE EVANGELICA SU CUI SI BASA LA NOSTRA FEDE. (Ben. XIV. S. Thom. Aq.)

Le rivelazioni divine si verificano spesso ancora oggi, per ravvivare la fede tra gli uomini, come ad esempio le apparizioni della Vergine a Lourdes, in Francia, nel 1858. Anche se, da una parte, non dobbiamo essere troppo precipitosi nel credere a tali rivelazioni (Sap. XIX, 4), perché molto spesso ci sono state delle imposture, non dobbiamo però respingerle senza esaminarle (Tess. V, 20 ss.), come, ahimè gli uomini con sentimenti carnali di solito lo fanno. – Queste rivelazioni sono ancora fatte a uomini desiderosi di perfezione, come vediamo nella storia, soprattutto negli atti di canonizzazione dei santi. Cristo apparve a San Francesco d’Assisi in una chiesa (Origine della Porziuncola), il Bambino Gesù a Sant’Antonio di Padova (Immagine di questo santo con in braccio il Bambino Gesù); Santa Teresa vedeva spesso Cristo, Santi e Angeli e parlava con loro, ecc. Queste rivelazioni private (apparizioni, visioni, ecc.) sono doni di Dio il cui scopo è quello di staccarci completamente dalla terra e di elevarli a una perfezione superiore. (Scaramelli) Tuttavia, la santità non consiste in queste rivelazioni e consolazioni, ma nelle sofferenze e nella virtù eroica. Anche gli uomini empi possono avere visioni: Balthasar vide la mano che scriveva sul muro. (Dan. V.). Non possiamo quindi concludere logicamente dalle visioni di un uomo che egli sia santo. Queste rivelazioni private non sono una continuazione della rivelazione su cui poggia la nostra fede; riguardano solo gli individui, e, di norma, servono solo a rendere più comprensibili le verità rivelate. (Ne abbiamo un esempio nell’apparizione di Lourdes (1858): Maria vi dice: Io sono l’Immacolata-Concezione; sgorga una fonte le cui acque hanno prodotto molte guarigioni meravigliose. Ora, curiosamente, quattro anni prima (1854) Pio IX aveva solennemente definito il dogma dell’Immacolata Concezione della Madre di Dio.; questa apparizione servì a diffondere e chiarire il dogma e Dio ne confermò la verità con i miracoli. – È da notare, tuttavia, che in molte private, il demonio cerca di provocare delle imposture; nessuno quindi deve dare credito alle rivelazioni, anche a quelle riconosciute dalla Chiesa (come quelle di Santa Teresa, Santa Brigida, Santa Gertrude, ecc.), con una fede maggiore di quella in un uomo onesto. Se si hanno delle ragioni, si può anche in modo riservato rifiutare la sua fede. (Ben. XIV.)

5. LA RIVELAZIONE DIVINA ERA NECESSARIA, PERCHÈ SENZA DI ESSA, DOPO IL PECCATO ORIGINALE, GLI UOMINI NON AVREBBERO CONOSCIUTO NÈ DIO, NÈ LA SUA VOLONTÀ, E PERCHÈ L’UMANITÀ AVEVA BISOGNO DI ESSERE PREPARATA ALLA VENUTA DEL REDENTORE .

I tre Magi, nel profondo Oriente, non avrebbero mai trovato Cristo, se non si fosse rivelato a loro attraverso una stella; allo stesso modo, l’umanità, che dal peccato originale viveva lontano dalla propria patria, non sarebbe mai giunta a un’esatta conoscenza di Dio, se Egli non si fosse rivelato. “L’occhio corporeo ha bisogno di luce per vedere le cose della terra, e la ragione, l’occhio dell’anima, ha bisogno della luce della rivelazione divina per vedere le cose di Dio. (S. Aug.) Il peccato originale e i disturbi della carne avevano oscurato la ragione umana in modo tale da renderla incapace di riconoscere Dio nelle sue opere (Sap. IX, 16); lo dimostra la storia di tutti i popoli pagani. Essi adoravano migliaia di divinità, e tra queste i cattivi,

bestie, statue, e questo di un culto immorale, spesso crudele (sacrifici umani). Rappresentavano i loro dèi con tutte le loro debolezze e tutti i loro vizi, addirittura come protettori di questi vizi. Le più grandi menti dell’antichità caddero in grossolani errori: Cicerone approvava il suicidio, Platone l’esposizione dei bambini, il disprezzo per gli stranieri, l’ubriachezza in onore degli dèi; tutti loro erano ”in errore” sulla creazione, si contraddicevano l’un l’altro, cambiavano spesso opinione e csdevano in un contrasto tra la loro condotta e i loro discorsi. (Socrate insegnava l’unità di Dio e derideva la follia dell’idolatria, eppure prima di morire sacrificò un gallo ad Esculapio). La maggior parte di loro – Socrate e Platone fra tutti – riconosceva la propria miseria e confessava francamente l’impotenza della loro ragione a scoprire qualcosa di Dio e delle cose divine, e la necessità dell’intervento diretto e della manifestazione esplicita della sua volontà. – Senza la rivelazione divina gli uomini non avrebbero riconosciuto o onorato adeguatamente il Redentore.

Dio ha agito come un re che vuole fare il suo ingresso solenne in una città e che annuncia il suo arrivo con molto anticipo. – Abbiamo questa rivelazione divina.e dobbiamo ringraziare Dio, come il cieco deve ringraziare il medico che gli ha restituito la vista. Dobbiamo compatire coloro che non si preoccupano della rivelazione; sono come l’uomo che, a mezzogiorno, tiene le imposte chiuse e rimane nelle tenebre.

3. LA PREDICAZIONE DELLA RIVELAZIONE.

1. LE VERITÀ RIVELATE AGLI UOMINI DA DIO SONO, PER SUO ORDINE, ANNUNCIATE A TUTTI I POPOLI DELLA TERRA DALLA CHIESA CATTOLICA, E COL MEZZO DELLA PAROLA PARLATA, VALE A DIRE CON LA PREDICAZIONE.

L’ordine di proclamare a tutti i popoli le verità rivelate da Dio è stato impartito ai capi della Chiesa da Gesù Cristo al momento della sua ascensione. Cristo disse allora agli Apostoli: “Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra”. Andate dunque e insegnate a tutte le nazioni e battezzatele nel nome del Padre, del Figlio e del Santo, ed ecco, Ko sono con voi tutti i giorni, fino alla fine dei secoli”. Gli Apostoli e i loro successori non lasciarono che alcun potere civile proibisse loro di predicare il Vangelo. Quando il Sinedrio proibì agli Apostoli di predicare, San Pietro e gli altri dichiararono categoricamente: “Dobbiamo obbedire a Dio piuttosto che agli uomini” (Atti 29). E ancora oggi la Chiesa non ammette alcuna interferenza da parte dello Stato nell’esercizio del mandato di insegnamento conferitogli da Cristo. In molti Paesi, e anche nel nostro tempo, diversi Stati rivendicano il cosiddetto luogo reale, secondo il quale i decreti della Chiesa anche quelli dogmatici, siano soggetti alla censura governativa. La Santa Sede ha minacciato di scomunica tutti coloro che direttamente o indirettamente, impediscono la pubblicazione o l’esecuzione dei decreti pontificii. (Pio IX, 12 ottobre 1869). È difficile spiegare l’esistenza di queste leggi nel nostro tempo, in cui, in base alle legislazioni liberali sul diritto, ognuno è libero di esprimere pubblicamente la propria opinione. E poiché la Chiesa ha il compito di annunciare le verità rivelate a tutti gli uomini, i Papi inviano continuamente missionari nei Paesi ed Encicliche al mondo cristiano. I Vescovi indirizzano lettere alle loro diocesi e inviano sacerdoti nelle loro diocesi: ogni domenica questi sacerdoti tengono un sermone nelle loro chiese parrocchiali e impartiscono l’istruzione religiosa nelle scuole. – Mentre la nostra Chiesa diffonde le verità rivelate con la predicazione, i maomettani, per esempio, propagano la loro fede con il ferro e il fuoco, i protestanti con la Bibbia.

SONO NELL’ERRORE QUELLI CHE CREDONO CHE LA BIBBIA SOLA ABBIA COME SCOPO DI COMUNICARE LE VERITÀ RIVELATE A TUTTA I POPOLI DELLA TERRA.

Dio ha voluto che gli uomini conoscessero la rivelazione e quindi giungessero alla fede in Lui attraverso la predicazione e non, come sostengono i protestanti, attraverso le sole Scritture. Cristo ha solo predicato, senza scrivere nulla. Agli Apostoli disse: “Andate ed ammaestrate tutte le nazioni (Matth. XXIII 79), non: “Scrivete a tutte le genti”. Quindi gli Apostoli, ad eccezione di due, non scrissero vangeli, ma si limitarono a predicare. Erano”, dice Sant’Agostino, “i libri dei fedeli”. S. Paolo dice: “La frde viene dall’udito”. (Rom. X, 17), e non dalla semplice lettura. L’insegnamento orale, inoltre, risponde perfettamente alla natura dell’uomo: preferiamo imparare da un insegnante piuttosto che fare una grande ricerca. Se la Scrittura fosse l’unico mezzo per conoscere la Rivelazione, sarebbe difficile capirla, prima di tutto, nonostante la predicazione di Cristo e degli Apostoli, gli uomini, vivendo prima della scrittura delle Sacre Scritture non sarebbero stati in grado di raggiungerla (cioè tutti gli uomini prima di di Mosè, quindi prima della composizione dei Vangeli). Anche oggi sarebbe il caso di tutti coloro che non saprebbero leggere, che sarebbero troppo poveri per comprare una Bibbia, o troppo poco istruiti per capire certi passaggi molto difficili della Bibbia. Eppure Dio vuole che tutti gli uomini giungano alla conoscenza della verità (I Tim. II, 4). – I libri sacri stessi perderebbero il loro valore se la Chiesa, attraverso la parola vivente, non ci assicurasse la loro origine divina e la loro perfetta integrità. S. Agostino dice: non crederei nel Vangelo se non vi fossi condotto dall’autorità della Chiesa.

UNA VERITÀ CHE LA CHIESA CI RAPPRESENTA COME RIVELATA DA DIO SI CHIAMA DOGMA O ARTICOLO DI FEDE.

I Concili generali (i Vescovi di tutta la Chiesa riuniti insieme) e il Papa da solo hanno il diritto di dichiarare che una verità sia divinamente rivelata. Il Concilio di Nicea ha definito come articolo di fede la divinità di Cristo (325) e Pio IX l’Immacolata Concezione della Beata Vergine. Ma non si trattava della creazione di una nuova verità, bensì della semplice dichiarazione che questa verità fosse realmente rivelata da Dio e sempre creduta dalla Chiesa. Non si tratta di un nuovo seme seminato nel campo della Chiesa, è semplicemente il seme gettato dagli Apostoli che sta arrivando ad una più ampia fioritura. (S. Vinc. de P.) il bambino, avanzando nella conoscenza della religione, non cambia la sua fede, ma piuttosto il suo modo di vivere la religione, non cambia la sua fede, e come poco l’insieme dei fedeli, la Chiesa accetta dottrine, quando all’apparire di alcune eresie discute e spiega più chiaramente alcune verità e rende la fede obbligatoria per tutti. – Una verità accettata nella Chiesa da sempre, ma non ancora dichiarata come rivelata da Dio, si chiama pia opinione. La fede nell’Assunzione della Beata Vergine, ad esempio, è una pia opinione (oggi dogma definito da Pio XII).

2. LA CHIESA CATTOLICA TRAE LE VERITÀ RIVELATE DA DIO DALLA SACRA SCRITTURA E DALLA TRADIZIONE.

La Sacra Scrittura e la Tradizione hanno pari autorità e devono essere ricevute con uguale rispetto e sottomissione. (Conc. Tr. 4.) La Sacra Scrittura è la Parola scritta di Dio, la Tradizione è la Parola non scritta di Dio. S. Paolo esorta i fedeli ad attenersi non solo a ciò che è stato loro scritto, ma anche a ciò che è stato comunicato oralmente. (Il Tessal. 11, 14).

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (V)

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S.S. BENEDETTO XV – “PATERNO JAM DIU”

Il Santo Padre, nel tempo immediatamente seguente al primo conflitto mondiale, mosso dalla carità verso i fratelli più bisognosi dell’Europa centrale, in particolare i bambini, commosso dagli infiniti drammi umani, smuove i fedeli Cattolici ad aprirsi alla carità per alleviare le condizioni economiche di quei popoli travagliati dalle brutture di una guerra orribile. Ecco l’amore di un padre spirituale che al bisogno diviene anche benefattore materiale. Questo è un vero Pontefice, Vicario in terra del Dio uomo che si commuoveva fino al pianto nel vedere i bisogni temporali degli uomini che era venuto a redimere dalla schiavitù spirituale del demonio. Oggi più che mai abbiamo bisogno dell’intervento divino per evitare il baratro in cui stanno precipitando interi popoli e nazioni e le società un tempo cristiane oggi apostate dalla fede nel nostro Salvatore e Redentore.

PATERNO IAM DIU

ENCICLICA DI PAPA BENEDETTO XV

SUI BAMBINI DELL’EUROPA CENTRALE

AI PATRIARCHI, PRIMATI, ARCIVESCOVI, VESCOVI

E ALTRI ORDINARI IN PACE E COMUNIONE CON LA SANTA SEDE

Venerabili Fratelli,

Salute e Benedizione Apostolica.

Era attesa e speranza del Nostro cuore paterno che, una volta terminato il terribile conflitto e ripristinato lo spirito di carità cristiana, le regioni desolate dalla carestia e dalla miseria, soprattutto nell’Europa centrale, potessero a poco a poco migliorare la loro condizione, grazie agli sforzi congiunti di tutti gli uomini buoni. Ma questa Nostra speranza non è stata realizzata dagli eventi. Infatti, da ogni parte ci giunge notizia che quelle popolose regioni sono prive di cibo e di vestiario in una misura che va al di là di ogni immaginazione, cosicché un deplorevole decadimento della salute è il risultato tra i meno resistenti, e specialmente tra i bambini. Questa loro disgrazia affligge il Nostro cuore tanto più che essi sono del tutto innocenti e persino ignari del sanguinoso conflitto che ha desolato quasi tutto il mondo; inoltre, essi rappresentano i germi delle generazioni future, che non possono non risentire della loro debilitazione.

2. Tuttavia, la nostra angoscia è stata in qualche modo alleviata dall’apprendere che uomini di buona volontà si sono riuniti in società per “salvare i bambini”. Non abbiamo esitato ad approvare e confermare con la nostra autorità, come era giusto, questo nobile piano. Infatti, esso corrisponde al grave dovere di affetto che sentiamo nei confronti di quella tenera età che è più cara al nostro Divino Redentore e che ha meno forza per sopportare e soffrire i mali. In effetti, l’avevamo già fatto in passato. Ricorderete che in tempi non lontani ci siamo adoperati con i nostri mezzi per soccorrere i bambini del Belgio che si trovavano in condizioni estreme di fame e di miseria, raccomandandoli alla pubblica carità dei Cattolici. La generosità di quest’ultima fu tale che in gran parte fu possibile provvedere alle necessità di tanti bambini innocenti e preservarne la vita e la salute. Infatti, non appena abbiamo rivolto la nostra esortazione per questo nobile scopo all’Episcopato degli Stati Uniti d’America, i nostri desideri sono stati generosamente soddisfatti dalla più ampia corrispondenza. Registriamo oggi questo felice risultato, non solo per rendere il tributo del Nostro elogio a uomini degni di essere ricordati negli annali della carità cristiana, ma anche per invitare con la Nostra voce e la Nostra autorità i Vescovi di tutto il mondo a prendere provvedimenti per attuare la Nostra proposta, e a impiegare a tal fine tutto il loro prestigio presso i loro greggi. Con l’approssimarsi del periodo natalizio, che commemora la nascita di Nostro Signore Gesù Cristo, il nostro pensiero vola spontaneamente ai poveri bambini, specialmente nell’Europa centrale, che sentono più crudelmente la mancanza delle necessità della vita; e abbracciamo questa tenera età con tanta più sollecitudine in quanto richiama più esattamente l’immagine del Divino Bambino che sostiene per amore degli uomini nella grotta di Betlemme il rigore dell’inverno e la mancanza di ogni cosa. Nessuna circostanza potrebbe essere più opportuna di questa per indurci a sollecitare per i bambini innocenti la carità e la pietà dei cristiani e di tutti coloro che non disperano della salvezza del genere umano.

3. Perciò, Venerabili Fratelli, allo scopo di raggiungere nelle vostre rispettive diocesi l’obiettivo di cui abbiamo parlato, ordiniamo che il prossimo 28 dicembre, festa dei Santi Innocenti, si facciano preghiere pubbliche e si raccolgano le elemosine dei fedeli. Per aiutare su scala più ampia tanti bambini poveri in questa nobilissima gara di carità, oltre al denaro sarà necessario raccogliere cibo, medicine e vestiti, tutti elementi che mancano in queste regioni. Non è il caso di dilungarsi a spiegare come queste offerte possano essere convenientemente suddivise e inviate a destinazione. Questo compito può essere affidato ai comitati che sono stati costituiti per questo scopo e che possono provvedere in qualsiasi modo.

4. Infine, confidiamo che l’esortazione che, mossi dal dovere di quella paternità universale che Dio ci ha affidato, abbiamo fatto, sebbene rivolta principalmente ai cattolici, possa essere benevolmente ascoltata da tutti coloro che hanno sentimenti di umanità. Inoltre, per dare esempio agli altri, nonostante le continue richieste di aiuto che ci giungono da ogni parte, abbiamo deciso, nella misura delle nostre possibilità, di contribuire al soccorso di questi poveri bambini con la somma di 100.000 lire.

5. Nel frattempo, come auspicio dei felici risultati che ci aspettiamo dalla vostra benevolenza, impartiamo con tutto l’affetto a voi, Venerabili Fratelli, e al vostro clero e popolo, la Benedizione Apostolica.

Dato a San Pietro, Roma, il 24 novembre dell’anno 1919, nel sesto del Nostro Pontificato.

BENEDETTO XV

NOVENA AL SACRO ED IMMACOLATO CUORE DI MARIA PER LA CONVERSIONE DEI PECCATORI.

NOVENA AL SACRO ED IMMACOLATO CUORE DI MARIA PER LA CONVERSIONE DEI PECCATORI (inizia 13 agosto, festa 22 agosto)

I. O Cuore immacolato di Maria, irradiato sempre dal sole di Giustizia, Gesù, vibrate un raggio di vostra luce divina nel cuore di quegli infelici che vivono immersi nelle tenebre del peccato, e  scoprire loro l’enormità delle loro colpe, e la via di uscirne con sicurezza e senza dilazione. Ave.

II. O Cuore immacolato di Maria, dolce rifugio dei poveri peccatori, deh, quanti di essi per la vostra intercessione, già provano i salutevoli strazi di quei rimorsi che sono i primi frutti di quella divina grazia di cui Voi siete la Madre. Ah, cara Madre, compite l’opera che avete incominciato, e riduceteli fiduciosi e dolenti al vostro figlio Gesù. Ave.

III. O Cuore immacolato di Maria, Cuore, ahi, trafitto le mille volte dall’acutissima spada del peccato! deh, per pietà, ottenete a questi sgraziati che hanno di bel nuovo crocefisso il vostro divin Figlio, un dolore profondo delle loro colpe, e la grazia di non peccare mai più. Ave.

IV. O Cuore immacolato di Maria, più candido della neve, più splendente del sole, deh, vi commuova lo stato lagrimevole di quegli infelici che gridano all’impotenza d’uscire da quella schiavitù in cui sono stretti dalle loro basse e ree passioni. Ah, cara Madre, Voi che siete la Vergine Potente  per eccellenza, spezzate Voi quelle catene per le quali il demonio tenta di trascinarli all’eterna rovina. Ave.

V. O Cuore immacolato di Maria, che per i miseri peccatori avete tanto patito con Gesù là sul Calvario, esposto agli scherni di quella plebe sfrenata. Voi che conoscete quanto timido e fiacco sia lo spirito dell’uomo, deh, aiutate gl’infelici traviati a vincere gli umani rispetti, e disprezzar le beffe e le derisioni degli ostinati libertini, onde possano stringersi al vostro Cuore materno per non separarsene mai più. Ave.

VI. O Cuore Immacolato di Maria, il più tenero e compassionevole per noi, che deste a Gesù quel Sangue che Egli tutto versò sulla Croce per lavare d’ogni colpa le anime nostre, deh, lavate anche Voi le anime di tutti i peccatori in questo bagno salutare, aiutandoli ad accostarsi al Sacramento della Penitenza col cuore penetrato dal più profondo dolore delle loro colpe. Ave.

VII. O Cuore Immacolato di Maria tempio della Divinità, tabernacolo del divin Verbo, trono luminoso di gloria, santuario di tutte le grazie, deh, fate che dalle anime di tutti i Cristiani spariscono le nere  macchie del peccato, e splendente rifulga d’ogni più bella luce il soave raggio della grazia, onde così sian fatti degni di ricevere il vostro figlio Gesù. Ave.

VIII. O Cuore Immacolato di Maria, sorgente di ogni grazia, albergo delle più elette virtù, deh, fate che nelle anime ravvedute risplendano le cristiane virtù della Fede, della Speranza, della Carità e della Religione; perché così ornate di tanta bellezza, vengano loro da Voi aperte un giorno le beate porte del Paradiso. Ave.

IX. O Cuore Immacolato di Maria, speranza dei fedeli, delizia del Cielo, le passate infedeltà fanno tremare quei benedetti che già risorsero alla grazia. O Regina del Cielo e della terra, o caro Rifugio dei peccatori, deh! continuate ancora il vostro ministero di misericordia e d’amore, col non lasciarli dipartire da Voi mai più. Voi siete la madre della santa perseveranza. Deh, fate loro adunque da Madre: correggeteli, castigateli, ma teneteli sempre nel vostro Cuore santissimo immacolato! Ave, Gloria .

PEL SACRO CUORE DI MARIA.

Deus, qui beatæ Mariæ semper virginis Cor sanctissimum spiritualibus gratiæ donis cumulasti, et ad imaginem divini Cordis Filii tui Jesu Christi charitate et misericordia plenum esse voluisti, concede: ut qui hujus dulcissimi Cordis memoriam agimus, fideli virtutum ipsius imitatione, Christum in nobis exprimere valeamus. Qui tecum , etc.

PER LA CONVERSIONE DEI PECCATORI.

Deus, misericors et clemens, exaudi preces quas pro fratribus pereuntibus, gementes in conspectu tuo effundimus ut, conversi ab errore viæ suæ, liberentur a morte, ut ubi abundavit delictum superabundet et gratia.

ALTRA PER LA CONVERSIONE DEI PECCATORI.

Deus, cui proprium est misereri semper et parcere, suscipe deprecationem nostram; et omnes famulos tuos, quos delictorum catena constringit, miseratio tuæ pietatis clementer absolvat. Per Dominum nostrum, etc.

DOMENICA XI DOPO PENTECOSTE (2023)

DOMENICA XI DOPO PENTECOSTE (2023)

Semidoppio – Paramenti verdi.

La Chiesa nella liturgia di questo giorno ci insegna come Dio accordi il suo aiuto divino a tutti quelli che lo domandano con confidenza. Ezechia guarì da una malattia mortale, grazie alla sua preghiera, come pure liberò il suo popolo dai nemici; mercè la sua preghiera sulla croce, Gesù cancella i nostri peccati (Ep.) e risuscita il suo popolo a nuova vita mediante il Battesimo di cui è simbolo la guarigione del sordo muto, dovuta pure alla preghiera di Cristo (Vang.). Così, dato che per la virtù dello Spirito Santo, Gesù cacciò il demonio dal sordo muto e che i Sacerdoti di Cristo cacciano il demonio dall’anima dei battezzati, si comprende come questa XI Domenica dopo Pentecoste si riferisca al mistero pasquale ove, dopo aver celebrata la risurrezione di Gesù si celebra la discesa dello Spirito Santo sulla Chiesa, e si battezzano i catecumeni nello Spirito Santo e nell’acqua affinché, come insegna S. Paolo seppelliti con Cristo, con Lui resuscitino. – Il regno delle dieci tribù (regno d’Israele) durò 200 anni circa (938-726) e contò 19 re. Quasi tutti furono malvagi al cospetto del Signore e Dio, allora, per castigarli, dette il loro paese ai nemici. Salmanassar, re d’Assiria, assediò Samaria e trascinò Israele schiavo in Assiria nell’anno 722. I pagani, che presero il posto nel paese, non si convertirono totalmente al Dio d’Israele e furono detti samaritani dal nome di Samaria. — Il regno di Giuda durò 350 anni circa (938-586) ed ebbe 20 re. Una sola volta questa stirpe regale fu per perire, ma venne salvata dai sacerdoti che nascosero nel tempio Gioas, al tempo di Atalia. Parecchi di questi re furono malvagi, altri finirono come Salomone nel peccato, ma quattro furono, fino alla fine, grandi servi di Dio. Questi sono Giosafat, Gioathan, Ezechia, Giosia. L’ufficio divino parla in questa settimana di Ezechia, tredicesimo re di Giuda. Egli aveva venticinque anni quando diventò re e regnò in Gerusalemme per ventinove anni. Durante il sesto anno del suo regno, Israele infedele fu tratto in schiavitù. « Il re Ezechia, dice la Santa Scrittura, pose la sua confidenza in Jahvè, Dio d’Israele e non vi fu alcuno uguale a lui fra i re che lo precedettero o che lo seguirono; così Jahvè fu con lui ed ogni sua impresa riuscì bene ». Allorché Sennacherib, re d’Assiria, voleva Impadronirsi di Gerusalemme, Ezechia salì al Tempio e innalzò una preghiera a Dio, pura come quelle di David e Salomone. Allora il profeta Isaia disse a Ezechia di non temere nulla poiché Dio avrebbe protetto il suo regno. E l’Angelo di Jahvè colpì di peste centosettantacinque mila uomini nel campo degli Assirii. Sennacherib, spaventato, ritornò a marce forzate a Ninive ove morì di spada. Dio accordò più di cento anni di sopravvivenza al regno di Giuda pentito, mentre aveva annientato il regno d’Israele impenitente. — Ma Ezechia cadde gravemente malato e Isaia gli annunciò che sarebbe morto: « Ricordati, o Signore, disse allora il re a Dio, che io ho proceduto avanti a te nella verità e con cuore perfetto, e che ho fatto ciò che a te è gradito » (Antifona del Magnificat). E Isaia fu mandato da Dio ad Ezechia per dirgli: « Ho intesa la tua preghiera e viste le tue lacrime; ed ecco che ti guarisco e fra tre giorni tu salirai al Tempio del Signore ». Ezechia infatti guari e regnò ancora quindici anni. Questa guarigione del re che uscì, per così dire, dal regno della morte il terzo giorno, è una figura della risurrezione di Gesù. Così la Chiesa ha scelto oggi l‘Epistola di S. Paolo nella quale l’Apostolo ricorda che il Salvatore è « morto per i nostri peccati, è stato seppellito ed è resuscitato « nel terzo giorno » e che per la fede in questa dottrina noi saremo salvi come l’Apostolo stesso. Per questo stesso motivo è preso per l’Introito il Salmo 67, nel quale lo stesso Apostolo ha visto la profezia dell’Ascensione (Ephes., IV, 8).

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

V. Adjutórium nostrum ✠ in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.

Confíteor

Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et tibi, pater: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, ✠ absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Ps LXVII: 6-7; 36

Deus in loco sancto suo: Deus qui inhabitáre facit unánimes in domo: ipse dabit virtútem et fortitúdinem plebi suæ.

[Dio abita nel luogo santo: Dio che fa abitare nella sua casa coloro che hanno lo stesso spirito: Egli darà al suo popolo virtù e potenza.]

Ps LXVII: 2
Exsúrgat Deus, et dissipéntur inimíci ejus: et fúgiant, qui odérunt eum, a fácie ejus.

[Sorga Iddio, e siano dispersi i suoi nemici: fuggano dal suo cospetto quanti lo odiano.

Deus in loco sancto suo: Deus qui inhabitáre facit unánimes in domo: ipse dabit virtútem et fortitúdinem plebi suæ.

[Dio abita nel luogo santo: Dio che fa abitare nella sua casa coloro che hanno lo stesso spirito: Egli darà al suo popolo virtù e potenza.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, qui, abundántia pietátis tuæ, et merita súpplicum excédis et vota: effúnde super nos misericórdiam tuam; ut dimíttas quæ consciéntia metuit, et adjícias quod orátio non præsúmit.

[O Dio onnipotente ed eterno che, per l’abbondanza della tua pietà, sopravanzi i meriti e i desideri di coloro che Ti invocano, effondi su di noi la tua misericordia, perdonando ciò che la coscienza teme e concedendo quanto la preghiera non osa sperare.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corínthios.
1 Cor XV: 1-10
“Fratres: Notum vobis fácio Evangélium, quod prædicávi vobis, quod et accepístis, in quo et statis, per quod et salvámini: qua ratione prædicáverim vobis, si tenétis, nisi frustra credidístis. Trádidi enim vobis in primis, quod et accépi: quóniam Christus mortuus est pro peccátis nostris secúndum Scriptúras: et quia sepúltus est, et quia resurréxit tértia die secúndum Scriptúras: et quia visus est Cephæ, et post hoc úndecim. Deinde visus est plus quam quingéntis frátribus simul, ex quibus multi manent usque adhuc, quidam autem dormiérunt. Deinde visus est Jacóbo, deinde Apóstolis ómnibus: novíssime autem ómnium tamquam abortívo, visus est et mihi. Ego enim sum mínimus Apostolórum, qui non sum dignus vocári Apóstolus, quóniam persecútus sum Ecclésiam Dei. Grátia autem Dei sum id quod sum, et grátia ejus in me vácua non fuit.”

[“Fratelli: Vi richiamo il Vangelo che vi ho annunziato, e che voi avete accolto, e nel quale siete perseveranti, e mediante il quale sarete salvi, se lo ritenete tal quale io ve l’ho annunciato, tranne che non abbiate creduto invano. Poiché in primo luogo vi ho insegnato quello che anch’io appresi: che Cristo è morto per i nostri peccati, conforme alle Scritture; che fu seppellito, e che risuscitò il terzo giorno, conforme alle Scritture; che apparve a Cefa, e poi agli undici. Dopo apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta, dei quali molti vivono ancora, e alcuni sono morti. Più tardi apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli Apostoli. Finalmente, dopo tutti, come a un aborto, apparve anche a me. Invero io sono l’ultimo degli Apostoli, indegno di portare il nome d’Apostolo, perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per la grazia di Dio, però sono quel che sono; e la sua grazia in me non è rimasta infruttuosa.”].

LA SINTESI DEL CREDO IN S. PAOLO.

Una delle cose che ci stupiscono davanti a certi monumenti costrutti dalla mano dell’uomo, monumenti materiali, è la loro antichità. Quando dinanzi all’arco di Tito, ancora così ben conservato nelle sue linee maestose, e anche in certi, in molti particolari secondarî, possiamo dire: ha duemila anni circa… ci pare d’aver fatto un grande elogio. Eppure questo è monumento morto. Noi ci troviamo oggi dinanzi a un monumento vivo, una costruzione ideale, cioè di idee, di concetto, di verità: il Credo, quello che voi sentite cantare ogni domenica. Ebbene il Credo ha duemila anni di vita. E noi ci troviamo oggi davanti al primo Credo, quale lo insegnava Paolo ai suoi convertiti. Non c’è tutto, c’è però la sostanza, il midollo centrale. Alcuni articoli sono sottintesi come presupposto necessario e implicito: altri saranno da lui stesso accennati altrove come corollari, ma il nucleo centrale è il Cristo Gesù, e Gesù è crocifisso e risorto. La sostanza, il centro del Vangelo è lì: Dio, Dio Creatore fa parte del credo religioso; cioè proprio di ogni religione che voglia essere appena appena non indegnissima di tal nome. Anche i Giudei credono in Dio Creatore e Signore del cielo e della terra. San Paolo non ricorda questo articolo, qui dove sintetizza il suo Credo, il Credo dei suoi Cristiani, non perché essi possano impunemente negare Dio, ma perché è troppo poca cosa per noi l’affermarlo Creatore. Il nostro Credo incomincia dove finisce il Credo della umanità religiosa. Ed eccoci a Gesù Cristo. Uomo-Dio, Dio incarnato, uomo divinizzato, mistero di unione che non è confusione e non è separazione. Ebbene, questi due aspetti che in Gesù Cristo Signor nostro si sintetizzano, San Paolo li scolpisce, da quel maestro che è, nella Crocifissione e nella Resurrezione di Lui. « Io, – dice Paolo ai suoi fedeli suoi… da lui istruiti, da lui battezzati, da lui organizzati, — io vi ho prima di tutto trasmesso quello che ho ricevuto anch’io, vale a dire: che Cristo è morto per i nostri peccati, come dicono le Scritture, che fu sepolto ». È il poema, grandioso poema, e vero come la più vera delle prose, delle umiliazioni di N. S. Gesù Cristo: l’affermazione perentoria e suprema della sua vera e santa umanità: patire, morire, patir sulla Croce, morire sulla Croce. – San Paolo tutto questo lo ha predicato ai Corinzi, come egli stesso dice altrove, con santa insistenza. A momenti pareva che non lo sapessero: era inebriato della Croce; ossessionato dal Crocefisso. Lo predicava con entusiasmo. E veramente questo Gesù che soffre e muore è così nostro. È così vicino a noi. Non potrebbe esserlo di più. « In labore hominum est: » è anch’egli soggetto al travaglio degli uomini. Travaglio supremo, supremo flagello: la morte. Tanto più ch’Egli è morto non solo come noi, ma per noi, per i nostri peccati e per la nostra salute; per i nostri peccati, causa la nostra salute, scopo e risultato della Redenzione. Ma per le loro cause sono morti anche gli eroi: Gesù Cristo è quello che è, quello che Paolo predica, la Chiesa canta nel Credo: Figlio di Dio unigenito, e la prova, la dimostrazione: la Sua Resurrezione. Uomo muore, Dio vive di una vita che vince la morte, e va oltre di essa immortale. Perciò Paolo continua: « Vi ho trasmesso che Cristo risuscitò il terzo giorno, come dicono le Scritture ». E della Resurrezione cita i testimonî classici, primo fra tutti Cefa, ultimo Lui, Paolo, ultimo degli Apostoli, indegno di portarne il nome, ma Apostolo come gli altri. La morte univa Gesù a noi, la vita non lo separa da noi. Gesù Crocifisso è il nostro amore mesto e forte. Gesù Risorto è la nostra grande speranza, primogenito quale Egli è di molti fratelli. Da venti secoli la Chiesa canta questo inno di fede, di speranza, d’amore.

P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

Graduale

Ps XXVII:7 – :1
In Deo sperávit cor meum, et adjútus sum: et reflóruit caro mea, et ex voluntáte mea confitébor illi.

[Il mio cuore confidò in Dio e fui soccorso: e anche il mio corpo lo loda, cosí come ne esulta l’ànima mia.]

V. Ad te, Dómine, clamávi: Deus meus, ne síleas, ne discédas a me. Allelúja, allelúja

[A Te, o Signore, io grido: Dio mio, non rimanere muto: non allontanarti da me.]

Alleluja

Allelúia, allelúia
Ps LXXX:2-3
Exsultáte Deo, adjutóri nostro, jubiláte Deo Jacob: súmite psalmum jucúndum cum cíthara. Allelúja.

[Esultate in Dio, nostro aiuto, innalzate lodi al Dio di Giacobbe: intonate il salmo festoso con la cetra. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Marcum.
Marc VII:31-37
In illo témpore: Exiens Jesus de fínibus Tyri, venit per Sidónem ad mare Galilaeæ, inter médios fines Decapóleos. Et addúcunt ei surdum et mutum, et deprecabántur eum, ut impónat illi manum. Et apprehéndens eum de turba seórsum, misit dígitos suos in aurículas ejus: et éxspuens, tétigit linguam ejus: et suspíciens in coelum, ingémuit, et ait illi: Ephphetha, quod est adaperíre. Et statim apértæ sunt aures ejus, et solútum est vínculum linguæ ejus, et loquebátur recte. Et præcépit illis, ne cui dícerent. Quanto autem eis præcipiébat, tanto magis plus prædicábant: et eo ámplius admirabántur, dicéntes: Bene ómnia fecit: et surdos fecit audíre et mutos loqui.

[“In quel tempo Gesù, tornato dai confini di Tiro, andò por Sidone verso il mare di Galilea, traversando il territorio della Decapoli. E gli fu presentato un uomo sordo e mutolo, e lo supplicarono a imporgli la mano. Ed egli, trattolo in disparte della folla, gli mise le sua dita nelle orecchie, e collo sputo toccò la sua lingua: e alzati gli occhi verso del cielo, sospirò e dissegli: Effeta, che vuol dire: apritevi. E immediatamente se gli aprirono le orecchie, e si sciolse il nodo della sua lingua, e parlava distintamente. Ed egli ordinò loro di non dir ciò a nessuno. Ma per quanto loro lo comandasse, tanto più lo celebravano, e tanto più ne restavano ammirati, e dicevano: Ha fatto bene tutte lo cose: ha fatto che odano i sordi, e i muti favellino!”


Omelia

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI  ediz. Soc. Ed. Vita e pensiero – Milano)

APRI L’ANIMA ALLA PREGHIERA

Condussero a Gesù un uomo sordo e muto perché, toccandolo con la sua mano, lo sanasse. Egli lo trasse fuori dalla calca: gli toccò con le dita le orecchie e gli pose un po’ di saliva tra le labbra. Poi, guardando in alto, sospirò: « Apriti! » disse. A quel comando divino il sordomuto cominciò a udire e a parlare. La folla intorno ammirava stupefatta e magnificava la potenza del Signore, dicendo: « Ogni cosa gli riesce bene. Ma che uomo è costui che ai sordi dà l’udito, ai muti la parola? ». – I gesti di Gesù in questo miracolo, ci ricordano il rito del santo Battesimo. È ancora Gesù che nella persona del suo ministro tocca l’orecchio e bagna di saliva le labbra del battezzando, e ripete il suo comando miracoloso: « Apriti! ». Apriti! E l’anima ch’era sorda e muta alla vita soprannaturale si apre alla grazia che da ogni parte scaturisce in lei e la rende una nuova creatura, innestata a Cristo come un tralcio nel tronco della vite, figlia anch’essa di Dio e perciò erede delle divine sostanze. Questi sono gli effetti del Battesimo. Ma l’immenso tesoro di grazie che Dio pone in noi deve essere accuratamente conservato, rinnovato, accresciuto con una continua preghiera. È necessario che il battezzato preghi sempre senza mai cessare. In un libro molto noto di letteratura umoristica si parla di un buffo barone (quello di Münchausen) il quale pretendeva di sollevarsi da terra aggrappandosi ai capelli. Illusi nella medesima stoltezza sono quei Cristiani che pensano di vivere il loro Battesimo e di salvarsi senza pregare continuamente, soltanto aggrappati alle proprie forze. – Nell’ordine soprannaturale noi, colle nostre forze, non possiamo tener fronte ai nostri nemici spirituali così astuti e così forti. Non possiamo nella nostra debolezza sostenere il peso della legge di Dio e osservare i comandamenti. Non possiamo compiere il minimo atto di virtù. Esplicita la parola di Gesù Cristo: « Senza di me non potete far nulla » (Giov., XV, 5); è ben esplicita la parola dell’Apostolo Paolo: « Noi non siamo capaci di pensare, da per noi stessi, qualche cosa di buono; la nostra capacità è da Dio » (II Cor, III, 5). Da ciò risulta che la preghiera è il linguaggio indispensabile della vita cristiana e che ogni mutismo in proposito è ingiustificabile. – 1. LA PREGHIERA È IL LINGUAGGIO DELLA VITA CRISTIANA. Lo Spirito Santo provoca continuamente l’anima battezzata con queste parole: « apriti alla preghiera! ». Anzi Egli stesso forma nel profondo dei cuori quei gemiti inenarrabili, quegli atti di domanda fiduciosa che attraversano i cieli e vanno a toccare il cuore di Dio. a) Quando alla vista di un cielo stellato, d’un ridente mattino, d’un campo promettente copioso raccolto, d’una cerchia di monti, di un’azzurra conca di lago, dello sconfinato orizzonte del mare, voi assurgete ad ammirare la grandezza, la bellezza, la forza di Dio autore di tutte le cose; quando considerando le vicende degli uomini e i casi stessi della vostra vita, voi intravvedete la trama della sapienza e della bontà di Dio che tutto dispone soavemente; e nel medesimo tempo di fronte alla Maestà Divina sentite la nullità del vostro essere, e v’inchinate col vostro pensiero profondamente davanti a Lui, riconoscendolo per vostro Padre, allora l’anima vostra si eleva a Dio: voi pregate. Questa è preghiera di adorazione. È un dovere la preghiera di adorazione; è un dovere del figlio riconoscere suo padre; del suddito riconoscere il suo sovrano; del servo riconoscere il suo padrone; della creatura riconoscere il suo Creatore. È poi una delle forme più belle di preghiera, perché l’anima non chiede nulla per sé, dimentica se stessa e si immerge in Dio: lo loda, lo adora, lo benedice, lo glorifica per nessun motivo interessato, ma solo per la sua gloria. Propter magnam gloriam tuam! Quando ripensando ai molti e segnalati benefici ricevuti da Dio, voi sentite in fondo all’anima vostra sgorgare l’onda della gratitudine verso di Lui, e mentre il cuore si effonde in teneri affetti, il labbro non sa contenere calde espressioni di ringraziamento, allora l’anima vostra si eleva a Dio: voi pregate. Questa è preghiera di ringraziamento. È un dovere la preghiera di ringraziamento, perché è un dovere del beneficato essere riconoscente dei benefici ricevuti. Un soldato indigeno durante la guerra africana faceva questa pungente osservazione: « I soldati bianchi, quando si sentono colpiti dalla disgrazia, allora implorano soccorso: aiutami, buon Dio! buon Dio, aiutami! Quando invece tutto procede bene, a loro gusto, allora se ne fregano di Dio, anzi lo bestemmiano con le parole e lo insultano con le opere ». Quel soldato nero forse esagerava, ma diceva una dolorosa verità. Infatti, quanti sospiri, quante novene, lumini, fiori per ottenere una grazia! Ed ottenutala, intenti a godersela, si dimentica il benefattore. I più grandi benefici del Signore sono tre:— la Creazione; e di questo lo dovete ringraziare con le preghiere del mattino e della sera; — la Incarnazione del suo Figlio; e di questo lo dovete ringraziare con la S. Messa ogni domenica e ogni festa di precetto. E perché fuggire via prima delle tre «Ave Maria » finali? È forse segno di riconoscenza?  — la vostra divinizzazione mediante la grazia santificante; e di questo lo dovete ringraziare con la fuga dalle occasioni di peccato.  c) Quando alla considerazione dei vostri sbagli, vi sentite profondamente penetrati di umiliazione e di dolore per le offese fatte a Dio, e inorridendo alla vostra perfidia e miseria cominciate a rivolgervi a Lui implorando perdono, allora l’anima vostra si eleva a Dio: voi pregate. Questa è preghiera di propiziazione. È un dovere la preghiera di propiziazione perché è dovere dell’offensore chiedere perdono all’offeso, dichiararsi pronto alla riparazione. – d) Quando nei dubbi, nei pericoli, nelle lotte, nelle tribolazioni, nelle amarezze, voi sentite il bisogno di Dio e a Lui ricorrete chiedendo aiuti materiali e spirituali, invocando specialmente per l’anima luce, assistenza, forza di adempire fedelmente la Sua divina volontà, allora l’anima vostra si eleva a Dio: voi pregate! Questa è la preghiera di domanda. È un dovere la preghiera di domanda (o impetrazione), perché è un dovere indeclinabile per ciascuno di provvedere alla propria eterna salvezza, e così raggiungere il fine vero per cui è stato creato. Siccome nel presente ordine di Provvidenza Dio ha legato la concessione delle sue grazie alla preghiera, è ben chiara la conseguenza che ne deriva: chi prega si salva, chi non prega si danna. – 2. INGIUSTIFICABILE MUTISMO. Ho l’impressione incresciosa che in questo nostro tempo si preghi troppo poco. -a) La società moderna, in quanto tale, non prega più: le nazioni sono diventate o atee o indifferenti. Nei parlamenti e dai governi non si nomina più il Nome di Dio, né per invocarlo, né per ringraziarlo. – La famiglia moderna va perdendo il suo linguaggio cristiano. Il Rosario in troppe case non risuona più, e quella sua dolce e intima monotonia non solleva più i cuori oppressi dalla faticosa giornata. b) Degli individui, molti non aprono più bocca col Signore: moltissimi aprono ancora la bocca ma non il cuore e non è preghiera la loro. Sono Cristiani che non possono vivere, e in realtà non vivono, in grazia di Dio. In essi il Battesimo è ridotto ad un’energia soffocata, ad un germe isterilito. satana, ritornandovi con la sua tirannia, li ha rifatti sordi e muti: sordi agli inviti di Dio, muti a chiamarlo e a rispondergli. — Non prego, perché è inutile pregare: Dio vede bene che al mondo ci sono anch’io e sa già i miei bisogni. Dio sa che ci sei al mondo, ma tu non sai che al mondo c’è anche Dio, Dio sa i tuoi bisogni, ma tu non sai i suoi desideri e le sue volontà sopra di te. — Non prego perché non ho mai ottenuto nulla. Senza dubbio tu sbagli le cose da chiedere. Dio non nega mai nulla di ciò che è necessario o utile alla nostra salvezza eterna. I beni temporali che gli vai chiedendo, tu non puoi sapere se siano favorevoli o dannosi alla tua anima. Fidati di Lui. Guai se ascoltasse tutte le sciocchezze che gli chiediamo! Molte nostre preghiere assomigliano a quelle di una fanciulla che pregava perché cessasse la febbre di sua madre così: « Fate che la febbre scenda a zero, fate che  scenda a zero ». — Non prego, perché non ho ottenuto nulla anche quando chiedevo beni spirituali. T’inganni: non ti avrà esaudito in quella forma che t’aspettavi. Dio non ha promesso di esaudirci a modo nostro, ma al suo. S. Monica aveva pregato che Dio non lasciasse partire dall’Africa il suo Agostino, altrimenti non si sarebbe convertito più. Dio lo lascia partire per l’Italia. Monica dunque non fu esaudita? Anzi meglio e più presto: in Italia Agostino doveva convertirsi e porre le basi della sua santità. — Non prego perché non ho fede: mi pare di buttar via il tempo a parlare con nessuno. Appunto perché la tua fede è quasi spenta hai bisogno di pregare di più. La preghiera è l’olio della lampada della fede. S. Tommaso d’Aquino, il più sapiente dei Santi e il più santo dei sapienti, diceva: « Ho visto più luce ai piedi del Crocifisso che in tutti i libri dei sapienti ». L’uomo che non prega è un viaggiatore sperduto in una foresta e senza lume. — Non prego perché sono sempre quel medesimo peccatore. E lo sarai, finché non ti metterai a pregare veramente. Senza preghiera si è incapaci di essere puri, di essere umili, di perdonare, di amare. – Ma la più grave disgrazia di quelli che non pregano è che a poco a poco si rendono incapaci di pregare. È un incensiere spento, che non solleverà più alle sfere celesti una nube di profumo attesa e gradita. È un’arpa dalle corde consunte e infrante, che non vibrerà più nessuna nota che s’accordi ai canti angelici. — L’APOSTOLATO DELLA PREGHIERA. Fermate la vostra attenzione sull’atteggiamento delle turbe: ognuno dimentica per un istante se stesso, non pensa che all’infelice che è sordo e muto e per lui implora la grazia della guarigione. E furono degni di vedere il miracolo..  Ai nostri tempi capita spesso di sentire mormorare così: « Il mondo va male è ritornato nel paganesimo. Non ha l’udito per ascoltare la voce di Dio, la voce dei suoi ministri, la voce dei comandamenti e dei precetti. Non ha più la bocca per pregare, per confortare, ma solo per le imprecazioni, per i giudizi temerari, per le liti, per discorsi osceni ». Tutto questo è vero: ma che cosa facciamo noi per migliorare il mondo? che cosa possiamo fare? Pregare. – La città di Catania, una volta era stata sorpresa da un incendio terribile. La siccità prolungata e il vento avevano secondata la fiamma nell’opera devastatrice. Gli abitanti con gli occhi pieni di lacrime guardavano la rovina delle loro case, impotenti a salvarle. Quand’ecco il Vescovo esclamare: « E non abbiamo noi un rimedio miracoloso? Contro le sventure la beata Agata non ci ha forse lasciato il velo suo? Si prenda il velo di santa Agata ». Appena la preziosa reliquia, tra i singhiozzi e le suppliche, fu levata contro le fiamme, queste perdettero ardire e si spensero come se mancasse materia da consumare. Il vizio impuro, la follìa dei piaceri, l’indifferenza religiosa devastano la vita cristiana e tentano di travolgerla in una fiamma infernale. È inutile perdere il tempo in constatazioni oziose e in piagnistei: bisogna ricorrere ai rimedi. Ed il rimedio infallibile è la preghiera. Essa, come il velo miracoloso di S. Agata, soffocherà l’incendio del male divampante e farà trionfare Gesù Cristo. Invece sono pochi i Cristiani che pregano; e sono troppo pochi quelli che nelle loro preghiere sanno oltrepassare l’orizzonte dei propri interessi personali per occuparsi degli interessi delle anime e della Chiesa. « Noi dobbiamo pregare per tutti perché Dio vuole la salvezza di tutti ». Così c’invita S. Paolo. Ma specialmente dobbiamo pregare per i Sacerdoti perché Iddio li renda santi e li preservi da ogni sordità e mutolezza spirituale. Dobbiamo pregare per i peccatori, perché Gesù ritorni vicino a loro e li tragga dalla sordità e mutolezza del peccato, come un giorno ha guarito il povero sordo-muto. – 1. LA PREGHIERA PER I SACERDOTI. Nella vita dei frati predicatori si racconta una mirabile storia. Dal convento i frati sono usciti per lontane regioni a predicare. Ma ecco che la stagione delle piogge e lo sciogliersi delle nevi hanno ingrossato le acque, ed un fiume vorticoso taglia loro la via. Veramente si scopre una barca, ma senza remi… Dall’altra parte le folle aspettano, ansiose della parola di Dio, ansiose dei sacramenti di Dio. Ad un tratto dal vertice d’un monte vicino discese correndo una bambina di forse otto anni, con un grosso ramo sulle spalle: si slanciò nella barca, con quello fece da remo, e traghettò i frati predicatori alla sponda opposta, ove poterono incominciare la loro missione. Ebbene, quante volte i Sacerdoti, come già quei frati predicatori sono impossibilitati a compiere la loro opera di bene! Talvolta è il demonio che suscita infiniti ostacoli, che indurisce i cuori; tal’altra mancano i mezzi materiali, il tempo, il danaro, la salute; e intanto le anime attendono invano l’opera del ministro di Dio. È necessario accompagnare il loro ministero con ferventi preghiere perché dal cielo la grazia del Signore, come la misteriosa bambina della leggenda, cali a fecondare l’apostolato sacerdotale. S. Vincenzo de’ Paoli, quando tornava a casa stanco per una giornata di faticoso lavoro, raccoglieva i suoi amici e li conduceva a pregare per i sacerdoti. « In questo momento forse sono afflitti, in questo momento forse stanno persuadendo un moribondo a ricevere i sacramenti, in questo momento forse il demonio tenta la loro fede, il loro fervore, la loro virtù… preghiamo, perché ne hanno bisogno. Se il sale diventa insipido, che cosa mai potrà salare la terra? ». S. Francesco Saverio scriveva a S. Ignazio che egli aveva potuto convertire l’India, solo perché in Europa si era pregato molto per lui. Pochi anni or sono un Vescovo di Cina fu interrogato sul mezzo che egli credesse migliore per convertire a Cristo tutto quell’immenso impero. « Avremmo bisogno, rispose, di qualche Carmelitana di più, di qualche Trappista di più, di molte anime che pregassero di più per i missionari ». – 2. PREGHIERA PER I PECCATORI. S. Giovanni l’Evangelista in una lettera ha scritto: « Se alcuno possiederà ricchezze di questo mondo e vedrà che c’è un altro il quale soffre nell’indigenza, e chiuderà la sua borsa e la sua mano in un egoismo crudele, costui è uno scomunicato e la grazia di Dio non è in lui ». Se l’Apostolo prediletto ha scritto parole così terribili per le necessità materiali della vita, pensate, o Cristiani, quale condanna avrà l’uomo che, vedendo il suo prossimo in sciagure spirituali, non avrà fatto nulla per la salvezza di quell’anima! E Gesù ha detto: « Io conoscerò se voi siete miei discepoli, se vi amerete gli uni e gli altri come io vi ho amati ». Or bene, l’amore che il Figlio di Dio ci ha voluto, fu soprattutto l’amore per le anime. Per le anime sotto la condanna del peccato originale Egli si fece uomo; per le anime oppresse dai peccati ha istituito il Sacramento della Penitenza; per lavare le anime da ogni macchia non ha esitato a lasciarsi tradire, flagellare, mettere in croce, e spargere tutto il suo sangue, e financo le ultime stille di acqua rimaste nel suo cuore squarciato. Dopo questo, c’è forse qualcuno che può dire in verità di essere seguace di Gesù Cristo se non sente il bisogno di pregare per i peccatori, di riparare per loro, di affrettarne la conversione? Quanto diversa invece è la condotta di molti tra noi. Si viene a sapere che un tale ha commesso uno sbaglio e subito, con acre compiacenza, si sparge in pubblico il peccato altrui e si diffonde lo scandalo. Molto meglio invece pregare per quell’anima, ascoltare qualche Messa, offrire a Dio qualche nostra mortificazione. Così hanno fatto le turbe per il povero sordo-muto: non l’hanno scacciato, non l’hanno deriso, ma presolo per mano lo condussero davanti a Gesù e scongiurarono il Signore di guarirlo. Quanto meglio se invece di portar rancore e di cercare la vendetta contro quelli che ci hanno fatto del male, noi imparassimo a pregare per loro! Penserebbe il Signore a illuminarli, e a sospingerli alla dovuta riparazione. E quanto di guadagnato sarebbe se invece delle mormorazioni, noi avessimo sulle labbra delle preghiere! In breve si cambierebbe la faccia al mondo. Le sorelle di Lazzaro con la preghiera hanno saputo strappare a Gesù il miracolo grande della resurrezione. Ogni uomo che è caduto in peccato è pure un nostro fratello che è morto nell’anima: la sua sventura è così grave che ci deve fare compassione, poiché a questo mondo l’unico vero male è l’offesa di Dio. Tocca a noi imitare le sorelle di Lazzaro, e tanto supplicare da ottenere la resurrezione spirituale. O genitori, se nella vostra casa c’è qualche figliuolo lontano da Gesù, è solo con la preghiera che voi potrete convertirlo. È con la preghiera, o buone sorelle, che dovete ottenere dal Signore che vostro fratello ritorni sulla via della bontà e della salvezza, è con la preghiera che le spose otterranno la grazia per il loro marito, e i figli per il loro padre. Dio ascolta queste suppliche ardenti, e certamente le esaudisce, anche se talora ci fa alquanto aspettare. Del resto, se nessun vincolo umano ci lega al peccatore, c’è sempre — e più forte — il vincolo divino: egli è il figlio di Dio come noi, egli è redento dal sangue di Cristo come noi. Felici quelli che avranno la fortuna di salvare almeno un’anima, perché saranno sicuri di essere salvi. Animam salvasti animam prædestinasti. – È scritto nella Leggenda aurea che Bartolomeo apostolo, arrivando nell’estrema regione dell’India, entrò in un tempio ov’era l’idolo d’Ascaroth e molti altri nelle loro nicchie con davanti bracieri e profumi ardenti. L’Apostolo angustiato di quella demoniaca idolatria, si portò nel mezzo e levando le mani in alto e sospirando cominciò a pregare e a piangere. Subito i fuochi si spensero e Ascaroth e tutti gli altri idoli furono rovesciati dalle loro nicchie e travolti, da una forza invisibile, in una rovina miseranda. Nei cuori di molti uomini, come in altrettanti templi viventi, il demonio col peccato ancora oggi si è acceso molti fuochi e si è innalzato molti idoli. Leviamo le mani in preghiera verso il Cielo: supplichiamo e piangiamo affinché venga finalmente il regno di Cristo. Dio a noi pure, come in quel giorno al suo Apostolo, farà grazia di vedere nelle anime spegnersi i fuochi delle passioni e frantumarsi gli idoli dei peccati.

 IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps XXIX:2-3
Exaltábo te, Dómine, quóniam suscepísti me, nec delectásti inimícos meos super me: Dómine, clamávi ad te, et sanásti me.

[O Signore, Ti esalterò perché mi hai accolto e non hai permesso che i miei nemici ridessero di me: Ti ho invocato, o Signore, e Tu mi hai guarito.]

Secreta

Réspice, Dómine, quǽsumus, nostram propítius servitútem: ut, quod offérimus, sit tibi munus accéptum, et sit nostræ fragilitátis subsidium.

[O Signore, Te ne preghiamo, guarda benigno al nostro servizio, affinché ciò che offriamo a Te sia gradito, e a noi sia di aiuto nella nostra fragilità.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de sanctissima Trinitate
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui cum unigénito Fílio tuo et Spíritu Sancto unus es Deus, unus es Dóminus: non in uníus singularitáte persónæ, sed in uníus Trinitáte substántiæ. Quod enim de tua glória, revelánte te, crédimus, hoc de Fílio tuo, hoc de Spíritu Sancto sine differéntia discretiónis sentímus. Ut in confessióne veræ sempiternǽque Deitátis, et in persónis propríetas, et in esséntia únitas, et in majestáte adorétur æquálitas. Quam laudant Angeli atque Archángeli, Chérubim quoque ac Séraphim: qui non cessant clamáre quotídie, una voce dicéntes:

veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: che col Figlio tuo unigénito e con lo Spirito Santo, sei un Dio solo ed un solo Signore, non nella singolarità di una sola persona, ma nella Trinità di una sola sostanza. Cosí che quanto per tua rivelazione crediamo della tua gloria, il medesimo sentiamo, senza distinzione, e di tuo Figlio e dello Spirito Santo. Affinché nella professione della vera e sempiterna Divinità, si adori: e la proprietà nelle persone e l’unità nell’essenza e l’uguaglianza nella maestà. La quale lodano gli Angeli e gli Arcangeli, i Cherubini e i Serafini, che non cessano ogni giorno di acclamare, dicendo ad una voce:]

Sanctus,

Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster,

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.

V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Prov III: 9-10
Hónora Dóminum de tua substántia, et de prímitus frugum tuárum: et implebúntur hórrea tua saturitáte, et vino torculária redundábunt.

[Onora il Signore con i tuoi beni e con l’offerta delle primizie dei tuoi frutti, allora i tuoi granai si riempiranno abbondantemente e gli strettoi ridonderanno di vino.]

Postcommunio  

  Orémus.
Sentiámus, quǽsumus, Dómine, tui perceptióne sacraménti, subsídium mentis et córporis: ut, in utróque salváti, cæléstis remédii plenitúdine gloriémur.

[Fa, o Signore, Te ne preghiamo, che, mediante la partecipazione al tuo sacramento, noi sperimentiamo l’aiuto per l’anima e per il corpo, affinché, salvi nell’una e nell’altro, ci gloriamo della pienezza del celeste rimedio.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1

)ORDINARIO DELLA MESSA

LO SCUDO DELLA FEDE (264)

LO SCUDO DELLA FEDE (264)

P. Secondo FRANCO, D.C.D.G.,

Risposte popolari alle OBIEZIONI PIU’ COMUNI contro la RELIGIONE (6)

4° Ediz., ROMA coi tipi della CIVILTA’ CATTOLICA, 1864

CAPO VII.

CULTO ESTERNO

I. Iddio non ha bisogno di culto esterno. II. Iddio non ritrae verun vantaggio dal nostro culto.

Simigliante alla massima precedente è un’altra, che pur gode gran credito ai giorni nostri, ed è l’affermare che a Dio bastando il cuore, Ei non abbisogna di culto esterno, e che Egli non cura le forme esteriori del culto, che altro non sono che vane superfluità, e che Egli non abbisogna dei nostri ossequi. Coll’antecedente miravano ad abbattere ogni culto, con questa mirano ad annientare almeno il culto esteriore come si pratica nella Chiesa; con quella assalivano direttamente la Religione, con questa l’assaltano indirettamente, ma con niente minor efficacia e perversità.

I. A Dio bastando il cuore, voi dite, ei non si cura del culto esterno; ma siete poi ben certa che a Lui basti il cuore? Io invece son certo che non gli basta né punto, né poco, e la mia ragione è semplicissima, perché è impossibile il dargli il cuore, senza darglielo per mezzo di riti, di cerimonie, di atti anche esteriori. Volete vederlo? Che cosa è l’uomo? È un composto di anima e di corpo essenzialmente. Se prendete la sola anima, è uno spirito separato, se prendete il solo corpo, è un cadavere: bisogna prendere l’uno e l’altro per avere un uomo. Come opera egli adunque in forza di questa unione? Opera con quel genere di operazione che risulta dall’uno e dall’altra. Provatevi un poco ad ammettere nel vostro cuore un qualche affetto, senza che tosto traspaia anche nell’esterno. Il timore vi fa impallidire, la gioia vi fa tripudiare, la collera vi fa tremare a verga a verga, l’amore vi si conosce in faccia a mille miglia lontano: tantochè quando volete simulare anche alcuno di questi affetti, la commozione vi tradisce e vi scopre quando il volete meno. Che cosa vuol dire ciò? Che il corpo e lo spirito in questo stato d’unione vanno così d’accordo e sono così dipendenti l’uno dall’altro, che non possono non avere un’operazione comune. Ora se questo si verifica in tutte le nostre operazioni, perché non dovrà verificarsi anche nell’esercizio della Religione? Oh che? Saremo di una natura per le cose terrene e di un’altra per le cose celesti? Guardate, questi capi scarichi vorrebbero disfarci uomini per farci filosofi. Appunto come quel bottaio che per ripulire una botte cominciava coll’appiccarvi il fuoco! Del resto fosse pure anche possibile il venirne a capo, e l’uomo potesse esercitare tutta la religione solamente col cuore, sarebbe allora lecito il farlo? Punto punto. Poiché la Religione è un dovere che appartiene non alla sola persona individuale, ma a tutta la società, cioè è tale, a cui debbono tutti gli uomini prender parte in comune. Vi dichiarerò le cose con un esempio., Se un monarca va a visitare una sua provincia, basta forse che ciascun cittadino in particolare gli faccia atto di riverenza? Certo no: ma la città tutta in corpo con atti e feste pubbliche lo riconosce. E ciò perché? Perché quel monarca è superiore non solo degl’individui, ma di tutta la città e di tutta la provincia. Ora Iddio non è solo padrone degl’individui, ma è padrone e autore della società tutta quanta, ed ha diritto di essere dalla società stessa riconosciuto con atti di Religione. Ed in qual modo si praticherà questa Religione in comune senza atti esteriori? Sto a vedere che gli uomini potranno congiungersi insieme coi soli atti della mente, come fanno gli Angeli, e non avranno più bisogno dei sensi per intendersi! Forse questa sarà una proprietà di quei signori della religione del cuore, e tal sia di loro: ma per noi, poveri figliuoli d’Adamo, ci vuole la Religione del cuore, ma non disgiunta da quella dei sensi. E che sia così, voi potreste convincervene anche per altra via. Quando vi abbatterete con alcuno di quegli che con piglio filosofico levano tanto alto la religione del cuore, chiamatelo un poco in disparte e fategli qualche interrogazione. Il mio valentuomo, ditegli confidentemente ed a quattro occhi, questa religione del cuore sì perfetta, e di cui voi avete il profondo segreto, come riesce poi all’opera? la praticate voi davvero? La ‘praticate spesso? La praticate almeno qualche volta? Su dite, vi ritirate voi talvolta nel segreto del vostro cuore, e là solo con Dio, vi umiliate profondamente, gli chiedete perdono delle vostre colpe, prendete delle generose risoluzioni di non più offenderlo? In una parola gli fate poi l’omaggio di quel vostro gran cuore, che è il solo incenso che deve ardere, come voi dite, sull’altare della divinità? Su, parlate schietto, dite la verità una volta, fate tutto ciò, o non ne fate nulla? Mio lettore, a questa domanda, qualcuno vi cadrà dalle nuvole, altri vi guarderà trasognato, ed altri, per sbrigarsi più presto, vi manderà a tutti i diavoli. Oh che è mai questo? Eccovi decifrato il mistero. La religione del cuore, cioè la religione senza atti esterni, è un impossibile, e que’ ribaldi che cercano di metterla in onore, il sanno al pari di noi, e non se ne valgono che come di uno stratagemmandi guerra. Veggono benissimo’ che il ricusare al tutto un qualche culto è cosa brutale e da parerne meno che uomini, anche presso del mondo, il quale pure non la guarda così per sottile: dall’atra parte il professarne alcuna è lo stesso che accollarsene la obbligazione in faccia alla società; e questo è un fardello che non si vuole sulle spalle: epperò si è fatto ricorso ad una religione invisibile, comenè quella del cuore, e si protesta che quella è la propria religione; ma come nel cuore nessuno può vedere, così non si ha obbligo di farne altro. Diceva un bell’umore, che costoro fingono la natura dell’Angelo per poter essere bestie impunemente. A questo modo si fugge la taccia di non aver religione di sorta, e non si ha la noia di praticarne alcuna; anzi si sale ancora in riputazione di filosofo, mentre si mena una vita da sciocco: non è bello questo trovato? Bellissimo invero! peccato solo che, come si fa gabbo agli uomini, così non si possa fare a Dio scrutatore dei cuori! E che questa sia la spiegazione vera del tanto magnificare la religione del cuore che si fa ai dì nostri, voi lo potrete raccogliere ancora da ciò che i medesimi, dimenticandosi la parte che fanno in scena, lascino poi sfuggire talvolta chiaro chiaro il loro intendimento in un’altra massima ugualmente perversa: Che bisogno ha Dio delle nostre meschinità, dei nostri atti di religione? Che vantaggio ne può egli ritrarre? Colle quali parole tradiscono apertamente il loro segreto, e mostrano fino al fondo tutta la corruzione dei loro cuori, dando a conoscere che non vogliono praticarne veruna. Seguitiamoli tuttora in questa nuova loro massima portentosa.

II. Iddio non ha bisogno dei nostri ossequi meschini e non ne ritrae nessun vantaggio, dicono essi. Sapevamocelo. E che però? Dunque, non gli si debbono rendere? Ma siamo noi, noi proprio quelli che ne abbiamo bisogno, non è Dio. Mai nessuno al mondo è stato così stolido che abbia inculcata la religione, perché Dio ne avesse bisogno. Già si sa che il bisogno è tutto nostro. Noi siamo creature di Dio e tali, che tutto che abbiamo e che speriamo, tutto è nelle sue mani: quindi dobbiamo aver da Lui una dipendenza continua per ricevere da Lui tutto quello onde abbisogniamo. Se Egli non ci conservasse continuamente, noi ad ogni istante cadremmo nel nulla; se Egli non ci assistesse ad ogni momento, in ogni momento rimarremmo sopraffatti da qualche calamità. Fingete che la luna non volesse dipendere dal sole, sul pretesto che il sole non ha bisogno di lei, che cosa direste voi? Direste che non è per bene del sole che essa deve dipendere, ma è per bene suo, perocché essa, senza del sole, sarà in perpetua scurità. – Immaginate che una pecorella non volesse star soggetta e dipender dal suo pastore, sul pretesto che il pastore non abbisogna di lei, e voi direste a questa pecora matta che essa è che ne ha bisogno, poiché, senza il pastore, non saprà dove ire a pascolare e morrà di fame, oppure, rimasta senza difesa, sarà sbranata dai lupi. Similmente Iddio essendo il solo nostro padre, il solo nostro aiuto, la sola nostra sicurezza, il solo che possa condurci all’altissimo nostro fine, noi non possiamo fare senza di Lui: abbiamo da stargli d’intorno ad ogni istante, perché Egli ad ogni istante sparga soprandi noi le sue grazie. Soprattutto però questo si vede rispetto ai peccati. Iddio non ha bisogno di noi, ma è egli vero che noi l’offendiamo pur troppo colle nostre colpe? Se è vero che trascuriamo e calpestiamo moltenvolte la legge che ci ha imposta, è vero che siamo rei. Or chi non vede, che abbiamo bisogno e bisogno grande e bisogno stretto di ottenere il perdono, se pur non vogliamo incorrere la sua vendetta,ne, non ostante le nostre reità, finalmente giungere alla salute? Il giudice senza dubbio non ha bisogno del reo, il ricco non ha bisogno del povero, il potente non ha bisogno del debole; ma i languenti, i colpevoli hanno bisogno di chi li aiuti e li protegga. Così noi abbiamo bisogno di Dio per rendercelo favorevole, onde sospenda i suoi castighi, ed accettando le nostre umiliazioni, ci usi misericordia. Andate adesso a dire che il Signore non abbisogna della nostra religione, se vi basta l’animo. Senzachè, quando anche noi non ne avessimo bisogno, sarebbe egli vero che fossimo disobbligati dal prestargli i nostri ossequi? Nulla meno. Iddio ne ha il diritto, e diritto così essenziale, così assoluto, inalienabile, che non può rinunziarvi senza cessare d’essere Dio. Potrebbe mai un padre spogliarsi della dignità ed autorità paterna da render lecito ad un figliuolo il vilipenderlo, batterlo, maltrattarlo? Sarebbe una violazione delle leggi sacrosante della natura. Potrebbe uno sposo rinunziare ai suoi diritti per modo da consentire ad una sposa delle infedeltà? Sarebbe un orrore. Potrebbe un principe svestire la sua qualità di sovrano al punto di mettere in mano de’ suoi sudditi ogni autorità? Sarebbe una sovversione di tutto l’ordine sociale. Ma quando tutti essi potessero rinunziare a sì essenziali loro diritti, non potrebbe ancora rinunziarvi Iddio. Egli può non formar creature, ma non può, formate che le abbia, a sè non dirigerle, perché non può non essere, com’è, il loro principio, così ancora l’ultimo loro fine. Il perché quando anche noi non avessimo bisogno di Lui, Egli non potrebbe non esigere il nostro culto, se pure egli non può cessare d’essere Dio e noi creature. – Questa osservazione mi somministra anche un’altra ragione non meno chiara. Se Dio, anche per impossibile, ci proibisse di onorarlo, di ossequiarlo, di prestargli il nostro culto, noi non potremmo neppure allora farne a meno tanto è necessaria a noi la religione verso di lui! Vi ammirate forse di questa proposizione! Ebbene, rispondete a me. Se Dio prescrivesse alla luce di non illuminare, al fuoco di non bruciare, all’acqua di non bagnare, al vento di mai non soffiare, agli alberi di non spiegar mai rami, fronde, fiori e frutti, e così via via, se levasse ad ogni creatura la propria naturale operazione, che cosa potrebbero rispondere tutti questi esseri? Che tanto varrebbe per loro l’essere annichilati: posciaché, se tutto quello che sono, il sono solamente in ordine a quelle opere; levate queste, essi sono vani ed inutili. Or sappiate che è lo stesso dell’uomo riguardo a Dio. L’uomo ha un intelletto fatto per conoscer Lui, un cuore per amarlo, come l’albero è fatto produrre, l’uccello per volare mentre l’intelletto mai non si posa, il cuore mai è sazio finché non si congiungano a Dio; se voi però togliete all’uomo la religione, che è il solo mezzo per cui stringersi a Lui, e voi avete annientato e distrutto l’uomo. Vedete dunque quanto errino quelli che credono, che Iddio li abbia dispensati dall’obbietto della Religione! E ciò per dir nulla del torto che fanno costoro alla bontà di Dio, la quale esigerebbe, se tanto si potesse, un’infinità di amore e di servigio. Come no? Una bontà da nulla e’ incanta, ed una bontà, qual è quella di Dio, non ci ha pure a muovere? Un raggio di beltà creata ci affascina, e non ci hanno a rapire raggi infiniti di una bellezza increata? Un’aura di sapienza ci tiene assorti di maraviglia, e possiamo rifiutare le nostre ammirazioni ad una infinita sapienza? Non possiamo vietare al nostro cuore di amare gli oggetti amabili, e potremo impedirgli di amare un oggetto amabile infinitamente? E potremo tutto ciò quand’anche quest’oggetto infinitamente buono, bello, santo, amabile sia verso di noi largo de’ benefizi più squisiti, delle grazie più preziose, dell’amore il più tenero? Ma che? Siamo noi tigri dell’Africa, pantere, leopardi? Abbiamo noi un cuore dentro il petto, oppure un macigno? Eppure tant’è. O negare che quanto abbiamo l’abbiamo da Dio, o consentire che gli stiamo continuamente d’intorno con ogni maniera d’ossequio che ci può mettere sul labbro e nel cuore la religione. – Finalmente se Dio non si cura del nostro culto, perché è venuto sulla terra per stabilirlo? Perché l’ha istituito, perché l’ha propagato, perché ha fatto tutto ciò con tanta sollecitudine? Perché ha mandato i suoi Apostoli a tutta la terra? Qui vi vuole una risposta, e non può essere altra che questa: O negare recisamente tutta la grand’opera dell’Incarnazione divina, o concedere che a Gesù infinitamente importa del nostro culto. Il primo non osaron dirlo neppure i demoni, poiché confessarono che Gesù era il Figliuolo di Dio; come dunque negare il secondo?

IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA (11)

IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA (11)

FRANCESCO OLGIATI,

IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA.

Soc. ed. Vita e Pensiero, XIV ed., Milano – 1956.

Imprim. In curia Arch. Med. Dic. 1956- + J. Schiavini Vic. Gen.

Capitolo QUARTO (3)

L’AMORE NEL SACRIFICIO

III – LA FORMAZIONE DELLA VOLONTÀ AL SACRIFICIO.

Il programma del sacrificio è duro; e tutti i tentativi ideati dalla fragilità umana per mutare la rozza croce del Golgota, chiazzata di sangue, in graziosi ed artistici crocefissi d’avorio, con sfondo di velluto, sono sempre falliti. L’educazione morale, perciò, consiste nello sforzo di allenare gli spiriti al sacrificio. Si è tanto meglio preparatinalla vita e tanto meglio si vive, quanto più si è capaci di nobili e sante abnegazioni. Una simile formazione alcuni si illusero di raggiungerla rivolgendosi alla mente umana. Senza discutere quale sia l’importanza storica della teoria di Socrate, che riduceva la virtù a conoscenza e la malvagità ad ignoranza; senza voler seguire nella storia della filosofia la corrente intellettualistica e la volontaristica a proposito della identità o della distinzione in morale della pratica dalla teoria, abbiamo nell’epoca moderna Benedetto Spinoza, che nel suo scritto De emendatione intellectus affidò alla conoscenza adeguata della realtà la soluzione del problema della vita. L’autore dell’Ethica, in nome dell’esperienza, dichiarò vani e futili « tutti gli avvenimenti più frequenti della vita ordinaria ». Non bisogna porsi — egli inculcava — dal punto di vista del finito, del contingente, del perituro, dell’imperfetto. Non bisogna legarsi alle ricchezze, ai beni sensibili. Bisogna giungere al grado più alto della conoscenza, a quella conoscenza intuitiva che, dal punto di vista dell’Unica Sostanza, tutto spiega, che capisce come ogni cosa abbia una ragione d’essere e tutto accada necessariamente, anche ciò che chiamiamo il male. Quando si arriva ad una tal visione della realtà, la parola del vecchio Eraclito: « Non ridere, non piangere, ma comprendere — non ridere, non flere, sed intelligere » diventa bella come un programma. Nulla può turbarci allora nella nostra olimpica serenità. E noi in tal modo vivremo felici. Tale panteismo deterministico di Spinoza, se non può avere in questo Sillabario la sua confutazione, la trova nella stessa coscienza, che, pur cogliendo il reale nella sua organicità, sente da un lato di essere libera e, dall’altro, pur sapendo che tutto, anche il male, viene razionalizzato nella storia per opera di Dio, non è con ciò olimpicamente serena. Il vero può illuminarci ed aiutarci nella vita. E noi, che concepiamo il progresso educativo nella sua unità viva, siamo ben lungi dal negare che la luce della mente abbia un influsso immenso sull’azione e che alla decisione della volontà debba precedere il giudizio della ragione: nil voliturn, quin praecognitum, dicevano i nostri antichi. Anche nel campo soprannaturale, non sosteniamo noi forse la necessità di basare la morale sul dogma? Non basta, però, sapere. La vita è qualcosa di più. Con la mente illuminata, bisogna liberamente agire ed allora solo si ha l’attività morale. Diffondiamo pure la luce nelle intelligenze; ma dobbiamo formare anche la volontà ed i caratteri, conformi alla retta ragione ed alla fede. Lo sanno per esperienza tutti gli educatori, anche quando prescindono dall’ordine soprannaturale; e meritatamente su questo punto ha insistito il Fikster, maestro oggi così caro alla gioventù. In che modo, dunque, si può formare la volontà al sacrificio? Siccome l’azione morale cristiana implica non solo un elemento divino, — la grazia, — ma altresì l’elemento umano, — l’adesione ed il libero contributo del nostro volere, — conviene lumeggiare i due problemi, per vedere quale obbligo ci spetta come uomini e quale come Cristiani.

1. – I mezzi umani per la formazione della volontà.

Il pensiero semplice che Feirster, sia nelle lezioni all’Università di Zurigo come nei suoi libri, è andato sviluppando si può riassumere in poche righe. Se noi vogliamo prepararci alla vita, all’azione, e non sciupare la nostra giovinezza e l’esistenza tutta, dobbiamo formarci un carattere, dobbiamo essere padroni della nostra volontà; altrimenti, nell’oceano del mondo e degli eventi, saremo una nave senza timone in balia delle burrasche. È di una immensa importanza per « l’uomo in tutte le professioni ed in tutte le circostanze, l’essere padrone di sè. È importante quasi quanto l’imparare a camminare. Chi non sa dominarsi, è come un uomo che non sia sicuro sulle sue gambe, e non può mai sapere dove andrà a finire, perché in tutto ciò che fa e dice non ha nessun indirizzo preciso ». Per ottenere questo dominio sopra di noi, in modo da poter svolgere un’attività proficua ed energica, la scienza e la cultura non bastano. « Non basta conoscere la buona strada, ma bisogna anche saperla seguire. Anche il sapere qual è la forza del vapore ed il modo di dominarla, non è di molto vantaggio, se il meccanico non costruisce la macchinane la caldaia. Lo stesso avviene del ben fare »: non basta conoscere le grandi cose; « dobbiamo anche acquistare, mediante l’esercizio, l’abitudine di sopprimere gli istinti ribelli, l’arte di eseguire ciò che si è concepito ».nQual è la strada unica e sicura per giungere ad una vetta così eccelsa? Come conquistare la padronanza della propria volontà, in modo da rendere quest’ultima pronta ad agire, senza impacci e senza viltà? – Il Fiirster, per risolvere il problema, osserva che, sia nelnbene come nel male, l’animo non ascende né  discende in un istante: ma procede sempre per una lenta formazione; il nostro carattere non è l’opera di un giorno; ma è simile alle isole madreporiche. « Spesso, egli scrive, a settecento metri sotto il livello del mare, una colonia di polipi coralliferi sorge e sempre più cresce, fínchè un anello chiuso di scogli emerge dalle acque. L’acqua del mare salsa che vi è racchiusa diviene lago di acqua dolce che con l’andar del tempo si dissecca. Dalle piante decomposte, dai detriti del corallo e dalla sabbia del mare ha origine un terreno fecondo; una noce di cocco approda alla costa; vengono uccelli e lasciano cadere semi di arbusti e di alberi di paesi lontani; ogni onda, e, anche più, ogni burrasca abbandona sulla spiaggia qualche cosa di nuovo, finché l’isola si copre di ogni specie di piante e di alberi. Allora fa la sua comparsa l’uomo, che prende dimora sull’isola ospitale fabbricata dal polipo del corallo, un piccolo essere che ha l’aspetto di una goccia di latte ». Avviene lo stesso fenomeno per il carattere nella nostra vita individuale, come altresì per i grandi avvenimenti nella nostra vita sociale. Il paziente ed assiduo lavoro di ogni giorno, le piccole gocce, le cose minuscole, producono poi rivolgimenti giganteschi, che all’occhio superficiale paiono improvvisi, ma che furono in realtà lentamente preparati. Gli « infinitamente piccoli » assumono in tal modo una immensa efficacia nel mondo e nella storia. Ecco perché, conclude il Iiirster, è grandiosa l’importanza della ginnastica della volontà. La maggior parte degli uomini non ha il dominio di sé, manca di energia, di spirito, non sa volere efficacemente, per il motivo che non ha mai conosciuto il segreto della propria educazione. Come il bimbo, quando incomincia a camminare, non può partecipare subito ad una maratona, ma comincia a piccoli passini sostenuto dalle dande, e poi attraverso molteplici capitomboli, adagio adagio, irrobustisce le sue gambe ed impara a passeggiare da sè, senza necessità di sostegno nè pericoli di cadute; così anche la nostra volontà, se noi la esercitiamo, se la teniamo in una ginnastica attiva, a poco a poco si fortifica, impara a vincersi nelle piccole cose, ed al momento dell’assalto trova in sè l’energia sufficiente per la vittoria. La quotidiana e minuscola ginnastica della volontà ha un grande valore, non già considerata in se stessa, ma in quanto è indirizzata al dominio del proprio io, alla liberazione della schiavitù degli impulsi, delle passioni, dei capricci, dei nervi, della propria ed altrui viltà. Di conseguenza il Fórster raccomanda vivamente e descrive a lungo i vari esercizi di ginnastica spirituale. Per esempio: si fa una gita e si ha sete; bisogna resistere, per non essere schiavi del proprio palato. Non già che non si debba mai bere nelle gite. Ma, di tempo in tempo, bisogna provare se si è ancora padroni di casa propria. Si sta mangiando un frutto appetitoso, che ci fa venire l’acquolina in bocca; noi vogliamo affermare la nostra volontà dinanzi ad esso: vi rinunciamo; non perchè sarebbe un delitto od una colpa gustare quel frutto, ma per fare un po’ di ginnastica della volontà. Un giorno, perciò, sarà una sigaretta che non fumeremo; un altro giorno una espressione brillante, che sarebbe stata applaudita e che noi sapremo tacere, e via dicendo. E, ripetiamolo ancora una volta, tutto ciò, non perché il fumare una sigaretta o il lanciare un frizzo geniale sia una colpa; ma per esercitare il nostro animo alla padronanza di sè. – L’antimoralismo può sorridere di compassione dinanzi a questi esercizi necessari per la formazione del proprio carattere; potrà stimarli piccoli espedienti di spiriti gretti; potrà dire ai giovani: « Godete la vostra primavera; rompete ogni divieto; avvicinate le vostre labbra ad ogni frutto »; ma persino Benedetto Croce riconosceva che « niente v’è di più stolto dell’antimoralismo ». Esso « crede di celebrare la forza, la salute, la libertà; e vanta, invece, la servitù delle passioni sbrigliate, l’apparente floridezza del malato e la forza del maniaco. La moralità (non dispiaccia agli antimoralisti letterati) non che fisima da pedante o consolazione di impotenti, è il sangue buono contro il sangue guasto ». Soltanto frenando le passioni e gli istinti, noi diveniamo veramente liberi.

2. – La morale cristiana e la formazione della volontà.

Il Cristianesimo ha sempre inculcato questa pratica della ginnastica della volontà, che in termini cristiani è chiamata la virtù e la mortificazione.

1. – Come una rondine non fa primavera, osserva Aristotile nella sua Etica a Nicomaco, così un atto solo non fa una virtù. Quest’ultima è l’abitudine del bene; e, solo mediante la ripetizione degli atti o un dono di Dio, possiamo acquistare quella dolce inclinazione a compiere azioni buone, che è così utile ed efficace nella vita dello spirito. Se giova imparare il nuoto e se vai la pena di esercitarsi per saper nuotare, molto più nel mare burrascoso della esistenza nostra, fra le tempeste e le burrasche, serve possedere quelle perfezioni proprie dell’attività pratica, che ci facilitano l’adempimento del nostro dovere e l’attuazione della legge cristiana d’amore. Io non mi dilungherò a ricordare come i teologi classifichino le virtù in teologali ed in cardinali, secondo che hanno per oggetto Dio, nostro ultimo fine, ovvero i mezzi per raggiungere Dio. Non rammenterò come tre siano le virtù teologali, la fede, la speranza e la carità; e quattro le cardinali, la prudenza, la giustizia, la fortezza e la temperanza, così chiamate, perchè — nota san Tommaso — sopra di esse si aggira e si fonda la vita morale, come la porta sui cardini. Non soggiungerò nulla intorno alla distinzione delle virtù in acquisite ed in infuse, secondo che si tratta di abitudini contratte con le sole forze naturali mediante la ripetizione degli stessi atti, ovvero di un prodotto della grazia, inserito in noi immediatamente da Dio. Ciò che ci interessa è lo sforzo nostro nell’acquisto delle virtù. Poichè, anche quando la virtù è infusa, essa è sempre un germe, che occorre svolgere; è una rosa che deve sbocciare al sole della nostra cooperazione. È stolto credere che i Santi ci abbiano dato la fioritura delle loro opere virtuose, unicamente perchè furono favoriti dal cielo di speciali aiuti; essi corrisposero ai doni divini e con quanta generosità! La mitezza di san Francesco di Sales è costata vent’anni di battaglia e di lavoro; l’umiltà di san Carlo Borromeo fu il frutto di un lungo ed intenso esercizio; e nessun Santo sarebbe divenuto tale, se avesse sepolto il talento ricevuto da Dio e non l’avesse trafficato con energia perseverante di volontà.

2. – Come la virtù implica la pratica abituale nel bene, così la mortificazione consiste nella lotta abituale contro il male. Cosa ci predica l’esempio dei Padri del deserto e di tutti i Santi? Leggiamo nella vita di san Macario che un giorno, là nel deserto, gli venne portato in dono un grappolo di uva. Padrone di sè e della sua gola, ascoltò la voce dell’amore fraterno, che lo consigliava segretamente a recarlo ad un altro eremita, il quale ne aveva forse maggior bisogno di lui. Così fece. Ed il solitario, accogliendo il regalo, rese grazie a Dio ed a Macario, ma, come lui, portò il grappolo ad un altro eremita, e questo ad un altro, e così via, in modo che quel grappolo fece il giro di tutte le celle disperse nel deserto e spesso molto lontane le une dalle altre, finchè ritornò ancora intatto nelle mani del Santo, senza che nessuno avesse saputo che da lui, per il primo, era partito. Ed i fatti, uno più affascinante dell’altro, si potrebbero citare a iosa. Mi limiterò ad avvertire solo che tali mortificazioni assumono un colorito speciale nei vari Santi e nei vari Cristiani, secondo la loro indole e la missione storica che dovevano e che debbono compiere. Ad esempio, prendiamo Filippo Neri, « Pippo il buono,, il Santo dell’allegria o, come diceva superficialmente Goethe, « il santo umorista ». Uno dei suoi più accurati biografi, il Bacci, riferisce che « soleva il sant’uomo molte volte saltare in presenza delle persone, eziandio de’ Cardinali, e Prelati; nè solo facea questo in luoghi remoti, e non abitati, ma ancora dove suol esser maggior frequenza di gente, come ne’ palazzi, nelle piazze, e nelle strade…». « Un’altra volta si fece tagliare la barba da una banda sola, e con mezza barba uscì in pubblico saltando, come avesse avuto vittoria di qualche grande cosa… ». « Volendo un suo penitente lasciarsi il ciuffo come usava in quei tempi, il Santo non solo non glie lo permise; ma gli comandò che si tosasse, e per mortificarlo maggiormente gli disse che andasse da fra Felice Cappuccino, che gli avrebbe fatto la carità. Andò il buon penitente, e fra Felice (il quale era rimasto d’accordo col Santo) in cambio

di tosarlo gli rase tutta la testa, e colui sopportò il tutto con grandissima pazienza ». Ed eran cani che faceva portare in braccio ai suoi penitenti, anche illustri, per le vie di Roma; ed era il Baronio, il celebre storico, inviato « con un fiasco grande, che tenea più di sei boccali, all’osteria ordinandogli, che si facesse dare una foglietta di vino; ma che prima facesse lavar il fiasco, e che andasse in cantina a vederlo cavare; e poi si facesse rendere il resto, alle volte d’un testone ed altre volte d’uno scudo d’oro; per la qual cosa volendo egli fare tutte quelle diligenze, questi osti tenendosi beffati, non solo gli dicevano villanie, ma bene spesso lo minacciavano di dargli delle bastonate ».

Voi ridete e forse siete tentati di dar ragione a certi biografi moderni di san Filippo, i quali sostengono che ai giorni nostri non lo porrebbero più sugli altari. Ahimè! Avreste torto. Quelle che, in apparenza, sembrano stranezze da manicomio, erano mezzi per dominare se stessi; erano mortificazioni, per non essere schiavi dell’ambiente o della superbia; era, in breve, ciò che Fórster definisce la ginnastica dell’educazione, nella Roma dei suoi tempi!… I discepoli capivano che le bizzarrie imposte eran più sapienti del dileggio da esse provocato; e dello stesso dileggio si servivano come arma per la propria formazione. – Si noti. La Chiesa stessa impone a tutti i credenti l’esercizio di queste mortificazioni. Le astinenze ed i digiuni, ad es., — oltre che un ossequio che noi presentiamo a Dio, rinunciando a qualche cosa per suo amore — non sono forse altresì una ginnastica spirituale « per chi deve sostenere il combattimento contro la legge delle membra? ». « Il digiuno, spiega il Manzoni, accompagna senza interruzione il primo Testamento; Giovanni, precursore del nuovo, l’osserva e lo predica; e Quello che fu l’aspettazione e il compimento dell’uno, il fondatore e la legge dell’altro, e la salute di tutti, Gesù Cristo, lo comanda, lo regola, ne leva l’ipocrita ruvidezza e la malinconica ostentazione, l’attornia d’immagini socievoli consolanti, ne insegna lo spirito, e ne dà lui stesso l’esempio. Certo, la Chiesa non ha bisogno d’altra autorità, per rendere ragione d’averlo conservato. Gli Apostoli sono i primi a praticarlo. Il digiuno e la preghiera precedono l’imposizione delle mani, che conferì a Paolo la missione verso le genti; e la religione, come disse il Massillon, nasce nel seno del digiuno e dell’astinenza. D’allora in poi, dove si può segnare un tempo di sospensione o d’intervallo? La storia ecclesiastica ne attesta la continuità in tutti i tempi e in tutti i santi; e se si trova purtroppo qualche volta il letterale adempimento del digiuno, scompagnato da una vita cristiana, è impossibile trovare una vita cristiana scompagnata dal digiuno. I martiri e i re, i Vescovi e i semplici fedeli eseguiscono e amano questa legge: essa si trova come in un posto naturale tra Cristiani. Fruttuoso, Vescovo di Tarragona, rifiutò, andando al martirio, una bevanda che gli era offerta per confortarlo; la rifiutò, dicendo chennon era passata l’ora del digiuno. Chi non prova un sentimento di rispetto per una legge così rispettata, nel momento solenne del dolore, da un uomo che stava per dare una testimonianza di sangue alla verità? Chi non vede che questa legge medesima aveva contribuito a prepararlo al sacrificio, e che, per morire imitatore di Gesù Cristo, egli n’era vissuto imitatore? Ma prescindendo da questi esempi ammirabili, nelle circostanze più ordinarie d’un Cristiano, il digiuno e le astinenze si legano con ciò che la sua vita ha di più degno e di più puro. Si veda un uomo giusto, fedele a’ suoi doveri, attivo nel bene, sofferente nelle disgrazie, fermo e non impaziente contro l’ingiustizia, tollerante e misericordioso; e si dica se le pratiche dell’astinenza non sono in armonia con una talencondotta. San Paolo paragona il Cristiano all’atleta che, per guadagnare una corona corruttibile, era in tutto astinente. L’agilità ed il vigore che ne veniva al suo corpo era tanto evidente, i mezzi erano così corrispondenti alfine, che a nessuno pareva irragionevole quel tenore di vita, nessuno se ne meravigliava; e noi, educati all’idee spirituali del Cristianesimo, non sapremo vedere la necessità e la bellezza di quelle istruzioni che tendono a render l’animo desto e forte contro le inclinazioni del senso? ». – Come si vede dalla citazione del Manzoni, anche san Paolo discorre di ginnastica. E non ci sarebbe differenza fra le mortificazioni nell’ordine naturale e nell’ordine soprannaturale, se il Cristiano non le compisse in unione a Gesù Cristo, al Quale è incorporato e che in tutta la sua vita si mortificò, da Betlem al digiuno nel deserto ed alla morte di croce. Le virtù cristiane e la mortificazione nostra divinizzate dalla grazia, rese più efficaci per la preghiera, accompagnate dai Sacramenti, sono qualcosa non di meno, ma di più della ginnastica umana della volontà. E l’elemento divino congiunto all’elemento umano; è, sopra tutto, un esercizio che non potrebbe esistere in una visione antropocentrica della realtà, riguardato come un metodo di perfezionamento della propria personalità e che, invece, viene inquadrato in una visione teocentrica e cristiana. Noi ci mortifichiamo, per far vivere Cristo in noi; ci crocifiggiamo con Lui per risorgere insieme. In altre parole, la caratteristica della virtù e della mortificazione cristiana è la educazione della volontà umana, mediante la grazia e la formazione di Cristo in noi. Non c’è, quindi, da meravigliarsi se tale formazione è unita ai Sacramenti e specialmente a tre di essi: la Cresima, la Comunione, la Confessione. – La Cresima ci fa soldati dell’esercito cristiano e ci rende forti per i sacrifici dell’Amore nella vita. Non invano il nipote di Renan, Ernest Psichari, 1’8 febbraio 1913, dopo aver ricevuto da mons. Gibier, Vescovo di Orléans, il Sacramento della Confermazione, poteva esclamare: « Monsignore, mi sembra d’avere un’altra anima! ». Non invano Giosuè Borsi, al card. Maffi che l’aveva cresimato dopo la conversione, poteva dire: « Ora sono soldato di Cristo ». È lo Spirito Santo che fortifica il figlio di Dio, segnato dal segno della Croce e confermato col crisma della salute. – La Messa, ricordo e rinnovazione della immolazione della Croce, ci rammenta ogni volta la grande verità cristiana dell’Amore nel sacrificio ed accresce le nostre energie, perchè anche noi, scendendo ed allontanandoci dal mistico Calvario dell’altare, ci sappiamo sacrificare per Dio e pernamore dei fratelli. L’Eucaristia, unendoci a Gesù Cristo, presente nell’Ostia, ci trasforma in Lui, di modo che la battaglia può essere ripresa, continuata, combattuta con la chiara consapevolezza che Gesù Cristo combatte in noi, con noi, per noi e che quindi siamo forti di una forza divina. La Confessione, prescindendo dal perdono dei peccati che ci interesserà in seguito, è infine un Sacramento di immensa efficacia educativa. Il confessore non è solo giudice, ma padre e maestro e medico; e l’accusa dei peccati importa una serie di atti quanto mai utile per l’opera formatrice delle nostre coscienze. Se poi il sacerdote viene scelto da un’anima, non solo come confessore, ma come Direttore spirituale, ecco che la formazione resta sempre più facilitata e favorita. Mentre il confessore è colui che ascolta le colpe, le giudica e le assolve, il Direttore spirituale (che può essere, del resto, lo stesso confessore, ma può essere anche un altro ministro di Dio studia un carattere e adagio adagio lo coglie, attraverso la molteplicità dei suoi atti e dei suoi difetti, nell’unità della sua indole. È allora che il Direttore spirituale può divenire la guida buona, che ci accompagna sulle alte montagne e ci fa evitare pericoli e precipizi. Le stesse mortificazioni vengono da lui dirette e ordinate ad un fine particolare, che potrà essere, ad es., la lotta contro il difetto predominante o lo sforzo per la conquista di una virtù.

3. – Conclusione.

Quale unità organica, allora, ci si presenta allo sguardo tra dogma, morale, Sacramenti, gerarchia e vita nel Cristianesimo! Il dogma della Redenzione e la storia della Passione sono la base della virtù e dell’abnegazione; i Sacramenti sono mezzi per raggiungere la formazione nostra soprannaturale; il Sacerdote è la guida in tali spirituali ascensioni. Ed in tutto questo un’unica anima palpita e freme: l’Amore. È per amor suo che noi ci sacrifichiamo ogni giorno; è per comunicare sempre più intensamente al suo Amore divino che ci accostiamo ai Sacramenti e ci avviciniamo ai suoi ministri. L’Amore nel sacrificio: ecco ciò che apprendiamo dalla verità dogmatica, dall’insegnamento morale, dall’aiuto dei Sacramenti, dal sacerdozio cattolico; ed ecco la vera vita cristiana con le battaglie quotidiane, che ora dobbiamo considerare.

Riepilogo

La morale cristiana risolve il contrasto che sorge tra l•a realtà dura della vita e l’idealità bella dell’amore, mediante il concetto di sacrificio e la formazione della propria volontà.

I. REALE ED IDEALE. – Il vero amore della legge morale cristiana non ha nulla in comune con le sdolcinatezze sentimentali o con le utopie irrealizzabili, ma proclama che la vita è lotta, è milizia, è continua battaglia. Come ama la patria solo il soldato che combatte per essa, così ama Dio ed il prossimo chi sa rinnegare senstesso e dimostrare a fatti il suo amore. Una simile battaglia non contrasta con l’Amore infinito di Dio per noi, ma è la prova del nostro amore per Lui.

II. IL SACRIFICIO. – Per amare Dio bisogna rinnegare se stessi prendendo la croce e seguire Cristb: ecco la condizione, indispensabile su questa terra, dell’amore. Per non cadere in errori, è necessario ricordare:

a) 11 vero concetto di sacrificio. — Il sacrificio non è la morte per la morte, od il dolore per il dolore; bensì è la morte per la vita. Bisogna morire per vivere; bisogna rinunciare alla vita parziale ed egoistica, alle passioni, alle cattive tendenze, per raggiungere una vita più alta. E’ con tale criterio che occorre distinguere le vere dalle false mortificazioni.

b) Il concetto di sacrificio cristiano. — Esso, oltre l’idea espressa, implica due altre esigenze:

l° il sacrificio cristiano è solo quello compiuto per amore a Dio ed ai fratelli;

2° in unione a Cristo.

II problema del dolore, a questo modo, si risolve nel problema dell’amore e più non costituisce una difficoltà.

III. LA FORMAZIONE DELLA VOLONTÀ AL SACRIFICIO. – Il comando di rinnegare noi stessi per l’amore, se è bello in sè, è duro da praticarsi. È indispensabile, quindi, formarci, allenarci ed esercitarci nel sacrificio. Ciò si ottiene:

a) con la ginnastica spirituale della nostra volontà, ossia con le mortificazioni, che immensamente giovano a correggere ed a fortificare il carattere. Anche le astinenze ed i digiuni imposti dalla Chiesa sono ispirati da simile motivo;

b) con la rinnovazione degli atti buoni, che generano in noi la virtù acquisita;

c) coi mezzi soprannaturali, come la grazia, le virtù infuse, la preghiera, i Sacramenti.

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (III)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (III)

CATECHISMO POPOLARE O CATTOLICO SCRITTO SECONDO LE REGOLE DELLA PEDAGOGIA PER LE ESIGENZE DELL’ETÀ MODERNA

DI

FRANCESCO SPIRAGO

Professore presso il Seminario Imperiale e Reale di Praga.

Trad. fatta sulla quinta edizione tedesca da Don. Pio FRANCH Sacerdote trentino.

Trento, Tip. Del Comitato diocesano.

N. H. Trento, 24 ott. 1909, B. Bazzoli, cens. Eccl.

Imprimatur: Trento 22 ott. 1909, Fr. Oberauzer Vic. G.le.

INTRODUZIONE

Perché siamo qui sulla terra?

Come un alunno o uno studente va a scuola per uno scopo preciso, cioè una carriera da intraprendere, così l’uomo è sulla terra, alla scuola della vita, per raggiungere un obiettivo sublime, la felicità eterna dopo la morte, ed in qualche modo già durante questa vita.

NOI SIAMO SU QUESTA TERRA PER ACQUISTARE LA FELICITÀ ETERNA PER LA GLORIFICAZIONE DI DIO.

La glorificazione di Dio è l’obiettivo di tutta la creazione. Tutte le creature sono state fatte da Dio affinché attraverso di esse (innanzitutto attraverso le qualità che hanno ricevuto da Dio) la perfezione o la gloria di Dio fosse rivelata alle creature ragionevoli, cioè agli Angeli e agli uomini, e affinché lodino e onorino Dio. Spinto dalla sua infinita bontà, il buon Dio creò il cielo e la terra, gli Angeli e gli uomini, le creature viventi e quelle non viventi, affinché ciascuno lo lodasse e lo onorasse secondo la sua dignità e le sue facoltà”. (P. Cochem, cappuccino autore di numerose opere religiose popolari). Anche gli esseri privi di ragione e di sensibilità, gli animali feroci e domestici, gli alberi e le piante, i metalli e le pietre, lodano Dio, ciascuno secondo le proprie capacità, perché tutti contribuiscono alla gloria ed all’onore del loro Creatore (P. Cochem.). Il Signore ha fatto ogni cosa per causa sua (Prov. XVI, 4) e ha detto, tramite il profeta Isaia: “Sono io che ho creato per la mia gloria tutti coloro che invocano il mio nome” (Is. XLIII, 7). Per questo l’uomo è stato creato: per rivelare la gloria di Dio. Ogni uomo rivela questa gloria, che lo voglia o no. Il magnifico organismo del suo corpo, le sublimi facoltà del suo spirito, le ricompense del giusto, le punizioni del peccatore, in una parola, tutto in lui proclama la gloria di Dio: la sua onnipotenza, la sua sapienza, la sua bontà, la sua giustizia, e così via. I dannati stessi procurano gloria a Dio (Prov. XVI, 4), perché mostrano la grandezza e la santità della giustizia divina. – Ma l’uomo è un essere ragionevole e libero, glorificherà Dio soprattutto attraverso la conoscenza di Dio e l’uso della sua libertà, ed egli lo fa riconoscendolo come Dio, amandolo ed onorandolo Ne parleremo nel prossimo paragrafo. – Poiché, dunque, l’uomo non è creato solo per la vita terrena, ma soprattutto per la vita dopo la morte, ne consegue che egli è solo un viaggiatore, uno straniero quaggiù (Sal. CXVIII, 19); assomiglia all’atleta che corre nella gara. (I Cor. IX, 24). La vita è un viaggio (Gen. XLVll, 19), un pellegrinaggio verso un santuario comune (S. Basilio). Noi non abbiamo una dimora permanente qui, ma cerchiamo quella che verrà. (Heb. XIII, 14). La nostra patria è in cielo, la terra è un esilio (Segneri, gesuita italiano, predicatore celebre).

QUINDI NON ESISTIAMO SOLO PER ACCUMULARE TESORI TERRENI, PER RAGGIUNGERE ONORI, PER MANGIARE E BERE, PER GODERE I PIACERI DEI SENSI.

Chiunque persegua solo questi obiettivi si comporta in modo stolto come il servo che, invece di servire il suo padrone, dedica il suo tempo ad occupazioni secondarie e trascura quella principale, se ne sta ozioso nella pubblica piazza e non lavora nella vigna del Signore (Mt. XX, 4). Si tratta di un comportamento sciocco come quello di un bambino che, incaricato di un compito dal padre, trova qualcosa sul suo cammino, si ferma e, dimenticando completamente gli ordini ricevuti non si occupa che solamente di ciò che dovrebbe lasciare. (L. de Gren.). Egli è come un viaggiatore che, sedotto dal fascino della strada, si ferma troppo a lungo, viene sorpreso dall’inverno e non raggiunge la meta. (S. Aug.) – Noi non siamo stati creati per questa terra; Dio ha costruito i nostri corpi in modo tale che i nostri occhi guardino verso il cielo. (S. Grég. de Nysse.) Il campanile, persino gli alberi e le piante, ci ricordano la nostra patria: tutti tendono verso le regioni dell’alto.

COSÌ CRISTO DICE: “UNA SOLA COSA È NECESSARIA”. (S. Luca X, 42); “CERCATE INNANZITUTTO IL REGNO DI DIO E LA SUA GIUSTIZIA, IL RESTO VI SARÀ DATO IN AGGIUNTA”. (S. Matth. VI, 33).

Molti uomini, ahimè, dimenticano il loro destino; pensano solo alle cose presenti ed effimere, al denaro, alle ricchezze, alle dignità, ecc. L’epitaffio sulla loro lapide potrebbe recitare: “Qui giace uno sciocco, che non ha mai saputo perché sia vissuto”. (Alban Stolz. Prof. di pastorale di Friburgo in Brisgau, uno degli scrittori piu umoristidi della Germania, 1808-1883). Molti uomini si comportano come i re dell’antichità, che regnavano per un solo anno, per poi essere relegati su un’isola deserta e che, dopo aver trascorso l’anno in una sfrenata dissolutezza, perivano miseramente sulla loro isola. Pochi assomigliano al re saggio che approfittò del suo regno di un anno per esplorare l’isola e si fece precedere da servi e tesori (Mohler VI, 213, autore di un grande catechismo in esempi). Cristo ricordava sempre agli uomini il loro fine ultimo, s. Filippo Neri faceva lo stesso: ad uno studente al quale rivolgeva sempre la domanda: “E poi? (Mehler Vï, 440.) – Chi non si preoccupa della meta non è un viaggiatore, ma un vagabondo. L’uno cade nelle mani della polizia, l’altro in quelle del diavolo; cade in tentazione. (S. Matth. XXVI, 41). È come un marinaio che non sa dove sta andando. Egli somiglia ad un marinaio che non sa dove andare e che porta la sua nave al naufragio. (S. Alph.) Gesù Cristo lo paragona ad un uomo che dorme (S. Matth. XXV, 5); colui che è attento alla cura della propria salvezza è comparato al contrario ad un uomo che veglia. (S. Matth. XXIV, 42).

2 . Come dobbiamo comportarci con la felicità eterna?

La felicità eterna consiste nell’unione con Dio. Questa unione è prodotta da un atto dell’intelletto (attraverso la conoscenza, o meglio la vista, di Dio) e da un atto della volontà (mediante l’amore di Dio). Noi vogliamo raggiungere questa meta: la felicità, ma dobbiamo essere già vicini ad essa qui sulla terra: dobbiamo cercare di conoscere Dio e di amarlo. E l’amore consiste, secondo Gesù Cristo (S. Giovanni XIV, 21), nell’osservanza dei comandamenti. Ne consegue che:

ACQUISTEREMO LA FELICITÀ ETERNA CON I SEGUENTI MEZZI:

1. DOBBIAMO CERCARE DI CONOSCERE DIO ATTRAVERSO LA FEDE NELLE VERITÀ DA LUI RIVELATE.

Gesù Cristo ha detto: “Questa è la vita eterna: che conoscano Te, o Padre, l’unico vero Dio, e Colui che hai mandato, Gesù Cristo” (S. Giovanni XVII, 3). Egli afferma così che la conoscenza della divinità conduce l’uomo alla felicità.

2. LA VOLONTÀ DI DIO DEVE ESSERE COMPIUTA OSSERVANDO I SUOI COMANDAMENTI.

Gesù Cristo dice nel suo colloquio con il giovane ricco nel Vangelo: “Se vuoi entrare nella vita eterna, osserva i comandamenti” (S. Matth. XIX, 17).

RIDOTTO ALLE PROPRIE FORZE , L’UOMO NON PUÒ NÉ CREDERE NÉ OSSERVARE I COMANDAMENTI, PER QUESTO EGLI HA BISOGNO DELLA GRAZIA DI DIO.

L’uomo, considerato in se stesso, ha bisogno della grazia per raggiungere il suo scopo. Adamo, anche nella sua innocenza, ne aveva bisogno. Se si vuole intraprendere un viaggio si ha bisogno di risorse diverse dalla capacità di camminare. Così noi, per marciare verso il cielo abbiamo bisogno di un soccorso divino. Il contadino che ara il suo campo non raccoglie nulla senza il sole e la pioggia; così anche l’uomo che aspira al cielo. – Ma dobbiamo anche ricordare che l’uomo è particolarmente indebolito dal peccato originale. La grazia diventa ancora più necessaria. Tutto ciò che è debole ha bisogno di aiuto e sostegno; il cieco ha bisogno di una guida, il malato di un consolatore. L’uomo indebolito dal peccato ha bisogno di un aiuto esterno, della grazia divina, se vuole raggiungere la sua meta. (S. Bonav.) Siamo come un uomo che si è accasciato sulla strada e non riesce a proseguire;se vede passare qualcuno in auto, lo prega di dargli un passaggio. Il sentimento della nostra debolezza deve quindi portarci a cercare l’aiuto che è in Dio. (Alb. Stolz.) Così Cristo ci dice: “Senza di me non potete fare nulla”. (S. Giovanni. XV. 5). La grazia di Dio è necessaria alla nostra anima come il sole alla terra per illuminarla e riscaldarla. (S. Giovanni Crisostomo).

LA GRAZIA DI DIO È ATTINTA ALLE SORGENTI DELLA GRAZIA STABILITE DA CRISTO. DUNQUE:

3. NOI DOBBIAMO ATTINGERE ALLE FONTI DELLA GRAZIA, CHE SONO: IL SSNTO SACRIFICIO DELLA MESSA, I SACRAMENTI E LA PREGHIERA.

Come un recipiente è un mezzo per bere, così ci sono modi e mezzi stabiliti da Dio per concederci la grazia. – La fede è come la strada che conduce alla porta del cielo, i comandamenti sono come i carrtelli indicatori e le grazie come delle provvigioni di denaro. La strada che conduce al cielo è stretta, ripida, piena di spine, e pochi la percorrono. Al contrario, “la porta e la via della perdizione sono larghe e quelli che vi passano sono molti ” (S. Matth. VII, 13.).

POSSIAMO ANCHE DIRE: CHI VUOL SALVARSI, DEVE AVERE RELIGIONE.

Infatti la religione è la conoscenza della divinità, unita al servizio di Dio e al comportamento conforme alla volontà di Dio. – La religione non è, come alcuni credono oggi, una questione di sentimenti. Perché la religione si manifesta con fermi principi rivelati da Dio; è soprattutto una questione di volontà e di attività. Fornisce la misura di ciò che sia giusto per tutte le nostre azioni. È un’ancora in tutte le tempeste della vita. La religione non è una questione puramente scientifica, una mera conoscenza delle cose religiose, altrimenti anche i demoni sarebbero religiosi: essi sanno infatti cosa vuole Dio, ma agiscono nella direzione opposta. La religione comprende anche il servizio a Dio. Non si chiama pianista chi ha una conoscenza più o meno approfondita del pianoforte, ma non lo pratica; allo stesso modo, non si dice che un uomo abbia religione se non dimostra i suoi sentimenti religiosi con atti esteriori.

POSSIAMO ANCHE DIRE: CHI VUOLE SALVARSI DEVE CERCARE DI DIVENIRE SIMILE A DIO.

L’uomo diventa simile a Dio se tutti i suoi pensieri e le sue azioni assomigliano ai pensieri ed alle azioni divine. I comandamenti di Dio sono uno specchio in cui possiamo vedere fino a che punto siamo o non siamo simili a Dio (San Leone I).

3. Non c’è felicità perfetta quaggiù.

1. I BENI TERRENI DI QUESTO MONDO SOLO, LE RICCHEZZE. GLI ONORI, I PIACERI, NON POSSONO RENDERCI FELICI, PERCHÉ NON POSSONO APPAGARE LA NOSTRA SNIMA, ANZI SPESSO AVVELENANO LA NOSTRA VITA ED INFINE CI ABBANDONANO ALLA MORTE.

I beni terreni ci ingannano: sono bolle di sapone, iridescenti di colori brillanti, ma sono solo gocce. d’acqua. Assomigliano anche a frutti artificiali di cera, spesso più belli alla vista di quelli veri, ma deludenti per chi vuole assaggiarli. I piaceri del mondo sono altrettanto ingannevoli (Weninger, predicatore attuale tedescon, S.J.). Sono come una goccia d’acqua gettata sul fuoco. Lungi dallo spegnerlo, lo si fa divampare ancora di più; allo stesso modo, i piaceri eccitano le passioni sensuali. L’uomo è nato per Dio e per la felicità del cielo, come un pesce per l’acqua: toglietelo dall’acqua e si dibatte, si piega e si contorce, nonostante l’esca che gli si mette davanti; vuole rimanere nel suo elemento, solo lì c’è vita e soddisfazione per lui. È lo stesso per l’uomo quando si allontana da Dio (Deharbe, autore di un grande catechismo molto diffuso in Germania). Così Sant’Agostino grida: “Il nostro cuore è inquieto, Signore, finché non riposa in te! “I beni e i piaceri di questo mondo non possono soddisfare la nostra anima. Questo ha bisogno di nutrimento, come il corpo, ma non può essere saziata da nulla di corporeo, così come il corpo non può essere saziato da nulla di spirituale. (Ketteler. Vescovo di Magonza, + 1887) Per questa ragione Cristo disse alla Samaritana: “Chiunque beve quest’acqua avrà di nuovo sete” (S. Giovanni IV, 13.). Si soddisfa l’anima con le ricchezze tanto poco quanto si spegne il fuoco con legna, olio o pece, o dissetarsi con il sale. (S. Bonav.) Nella Roma pagana, all’inizio dell’Impero, quando la ricchezza e il lusso ebbero un eccesso sfrenato, i suicidi aumentarono in proporzione spaventosa. Cosa ci dice questo? “È che l’uomo può trovare la pace del cuore solo nella conoscenza della verità e della santità della vita. (S. Aug.) – I beni di questo mondo a volte avvelenano persino la vita. Quali preoccupazioni non ha un uomo ricco? Le ricchezze sono come spine; chi si aggrappa ad esse si procura un dolore simile a quello di un uomo che stringe le spine tra le mani. (S. J. Chrys.) Come ogni goccia d’acqua dolce si mescola con le onde amare e salate dell’Oceano, così la dolcezza dei piaceri mondani si trasforma in amarezza. (S. Bonav.) Ma è soprattutto quando questi piaceri sono peccaminosi che gettano in disgrazia, come il frutto proibito del Paradiso. L’uomo è allora come un pesce che si lascia prendere all’amo; al piacere temporaneo segue un dolore amaro. (S. Aug.) I piaceri colpevoli del mondo sono le bacche velenose che sembrano cibo delizioso, ma il cui uso produce grandi sofferenze e spesso la morte. “Il mondo è nemico dei suoi amici” (P. Segneri, S.J.). I beni temporali ci abbandonano alla morte. Non porteremo nulla con noi oltre la tomba. (I, Tim. VI, 7). Il mondo passa con le sue attrattive. (I., Joan., II, 17.) Da qui le parole di Salomone: “Vanità delle vanità, e tutto è vanità” (Eccl. II). Quando il Papa viene incoronato, si accende uno stoppino di quercia e si canta: “Santo Padre, così passa la gloria del mondo!” – In breve, l’uomo ha solo il destino del ragno. Passa giorni a tirare i fili della sua tela dalla sua sostanza per catturare una mosca o un insetto. Poi arriva una domestica e, con un colpo di scopa, distrugge la tela ed uccide spesso il ragno. Allo stesso modo, un uomo si affanna per anni per ottenere un bene, una posizione, il cuore di una persona, e poi arriva un ostacolo, una malattia, un’infermità e infine la morte; tutti i piani sono rovinati e tutti le pene sono state inutili. (Hunolt, predicatore tedesco S.J. +1740.) La lucciola brilla di notte, ma di giorno è nera e si nasconde; i piaceri mondani sono come essa, brillano durante la notte di questa vita passeggera ed il loro splendore scompare nel grande giorno del giudizio. (S. Bonav.)

I BENI TEMPORALI ESISTONO SOLO PER AIUTARCI AD ACQUISTARE LA FELICITÀ ETERNA.

L’intera creazione non è che una scala, e ogni creatura è un piolo sulla via che porta a Dio (Weninger). Nello studio del pittore, tutti gli oggetti, i pennelli, i colori, gli oli, non servono, in ultima istanza, se non a completare il quadro; allo stesso modo, tutti gli esseri della creazione servono solo a completare il quadro; allo stesso modo, tutti gli esseri della creazione servono in definitiva solo a sostenerci nella conquista del Cielo. (Deharbe.) Chi dunque ha un’avversione esagerata per le cose della terra e si rifiuta di farne uso, non porterà a compimento il suo destino; ma lo stesso vale per chi abbia un attaccamento eccessivo ad esse. I beni terreni sono come un fiammifero, che è un mezzo necessario per fare luce, ma che, alla fine, brucia le dita di chi li tiene troppo a lungo. I beni della terra sono un mezzo per ottenere la luce eterna, ma coloro che li trattengono, li brucia la dannazione eterna. (Weninger.) Possiamo anche paragonare i beni temporali agli strumenti, ai rimedi: se vengono usati male, danneggiano invece di servire. (Deharbe.). Si possono ancora comparare i beni di questo mondo come mezzi per il nostro fine ultimo; ma non appena essi diventano ostacoli, dobbiamo distaccarcene. (S. Ign. L.) Che questi beni siano i nostri schiavi; noi non dobbiamo essere i loro. (S. Alph.)

2. SOLO IL VANGELO DI GESÙ CRISTO È IN GRADO DI RENDERCI PARZIALMENTE FELICI IN QUESTO MONDO, PERCHÉ CHI SEGUE QUESTA DOTTRINA TROVERÀ L’INTERIORE SODDISFAZIONE.

Gesù Cristo disse alla Samaritana: Chiunque beve dell’acqua che io gli do non avrà mai sete, (S. Giovanni IV, 13); poi quando promise il Santissimo Sacramento nella sinagoga di Cafarnao, ripete: “Chi viene a me non avrà mai fame”.

(Gli insegnamenti di Gesù Cristo possono quindi placare i desideri della nostra anima, e di conseguenza le sofferenze della nostra vita, non potranno più rendere l’uomo veramente infelice.

3. CHI SEGUE GLI INSEGNAMENTI DI GESÙ CRISTO SARÀ PERSEGUITATO; MA QUESTE PERSECUZIONI NON POTRSNNO NUOCERGLI. TUTTI COLORO, DICE SAN PAOLO, CHEVVOGLIONO VIVERE PIENAMENTE IN GESÙ CRISTO, SUBIRANNO PERSECUZIONI. (II Tim. III, 12).

Tutta la vita del Cristiano è una croce ed un martirio, se vuole vivere secondo il Vangelo. (S. Aug.) Lo dico con piena convinzione: meno una persona è devota, meno persecuzioni subirà. (S. Grég. I.) “Il servo, dice Gesù Cristo, non è superiore al padrone”. (S. Matth, X, 24), cioè il servo non ha diritto ad una sorte migliore di Cristo, suo padrone. Gesù disse: “Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi” (Ib. 16). I ladri detestano la luce, e i peccatori aborriscono i giusti. (S. J. Chrys.) I mondani (coloro che cercano la felicità quaggiù) ci guarderanno come degli originali, persino come stolti. (1 Cor. IV, 3), ci giudicheranno sfavorevolmente (ibid. 3), ci odieranno (S. Giovanni XVII, 14; S. Matteo X, 22), ci perseguiteranno. (S. Giovanni XV, 20). Ma guai a chi è lodato da loro (ibid. 19), perché non si può essere amati dal mondo se non odiando Cristo (S. Giovanni XV, 20). Le massime dei mondani sono in flagrante contraddizione con quelle di Cristo Il mondo considera stolti coloro dei quali Cristo predica la beatitudine (S. Matth. V, 3-10.)

TUTTAVIA CRISTO AGGIUNGE: “CHI ASCOLTA E PRATICA LE MIE PAROLE, E COME UN UOMO PRUDENTE CHE COSTRUISCE LA CASA SULA ROCCIA.”. (S. Matt. VII, 24).

Costruire su Dio significa costruire su un fondamento incrollabile. Le persecuzioni a cui è stato soggetto Giuseppe, non solo non lo danneggiarono, ma gli furono addirittura utili. Quali persecuzioni non subì il pio Davide, prima dal re Saul e poi dal suo stesso figlio Assalonne; e da tutte queste prove uscì vittorioso. Così Davide si rallegrava: “I giusti sono sottoposti a molte afflizioni, ma il Signore li libera da tutte queste pene” (Sal. XXXIII, 20). Don Bosco a Torino fu sottoposto a innumerevoli prove nel prendersi cura dei bambini abbandonati. Nonostante ciò, fino alla sua morte (1888) fondò, con la grazia di Dio, quasi duecento case di accoglienza dove 130.000 bambini ricevettero un’educazione. Dio non abbandona il giusto (Sal, XXXVI, 25.) Il malvagio trama la nostra rovina e Dio lo fa contribuire al nostro vantaggio. Ai dolori del Calvario seguono le gioie della Risurrezione. “Un buon Cristiano non ha nulla da temere né dagli uomini né dal diavolo. Se Dio è con noi chi può essere contro di noi? (S. J. Chrys.)

4. LA PERFETTA FELICITÀ NON È POSSIBILE QUAGGIÙ; PERCHÉ NESSUNO PUÒ ASSOLUTAMENTE SFUGGIRE ALLA SOFFERENZA.

Come abbiamo visto, i mondani sono soggetti a disgrazie e di giusti sono perseguitati. Inoltre, nessuno sfugge alla malattia, al dolore ed alla morte. La terra è una valle di lacrime (Salve Regina), un enorme ospedale dove ci sono tanti malati quanti sono gli uomini vivi. La terra è un campo di battaglia contro i nemici della nostra salvezza, e la nostra vita una lotta. (Giobbe VII, 1) La terra è un luogo di esilio, di esilio lontano dalla patria (Segneri), un oceano sempre agitato da violente tempeste. (S. Vinc. F.) – Felicità e disgrazia, gioia e dolore si alternano nella vita, come il sole e la pioggia in natura. Ogni piacere è come il precursore imminente dell’infelicità. Un giorno Filippo di Macedonia venne a conoscenza di tre eventi felici in una volta sola: “Sono stato troppo felice”, gridò, “questa prosperità non durerà a lungo”. Questa prosperità non continuerà a lungo. La vita nera è una traversata, durante la quale le onde a volte ci innalzano, a volte ci abbassano (S. Amb.), un viaggio che ci costringe a camminare a volte in pianura e a volte in salite dolorose. (San Gregorio I). – Fate il massimo sforzo per migliorare la sorte dell’umanità, perché essa non sarà mai libera da grandi flagelli, perché la sofferenza ed il dolore sono il destino dell’umanità. Il socialismo è, quindi, incapace di raggiungere l’obiettivo che si propone, organizzare una vita libera dalle privazioni e piena di piacere e godimenti. (Leone X lil, 1891).

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (48)

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (48)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

INDICE DEGLI ARGOMENTI -VII-

F. – DIO CHE DONA LA VITA DELLA GRAZIA

1. Grazia in genere.

F1a. a. – GRATUITÀ.

La grazia di Cristo è un dono di Dio 226 245 248 376 379 382 395 397-400 623 626 632s 1541 1566 3014: l’ordine soprannaturale è gratuito 3891.

Dalla grazia provengono tutte le disposizioni dell’anima degli uomini ed i meriti. (246) 248 373-379 388 396-400 1525s 1532 1553; l’uomo non può impetrare con l’orazione (naturale) la grazia 373 376.

La bontà di Dio vuole che i nostri meriti siano gli stessi suoi doni. 248 1548 1582.

F 1b. b. – SOPRANNATURALITÀ

La grazia è il principio della vita soprannaturale 3714; (lo stesso si dimostra indirettamente da ciò) la grazia come principio superiore efficace si oppone al principio meramente naturale (al vigore o bene di natura) impotente 373 377 (383//395) 396-400.

F2. Grazia attuale

F2a. a. – NATURA DELLA GRAZIA ATTUALE.

Dio opera in noi mediante la grazia 244 248; da ciò l’eccellenza della grazia rispetto alla cooperazione del libero arbitrio 243.

La grazia consiste non nella mera conoscenza dei comandamenti, ma anche nelle forze che mettiamo nell’amare e comprenderli 226 245; la grazia da per se stessa il “potere

semplicemente”, non solo “il poter più facilmente” 227 245 1552.

La grazia a. illumina, b. inspira, muove la volontà a243 b375-377 abc1525 b1553 ab3010.

La grazia a. precede le azioni salutari (previene), b. concorre, c. Sussegue .(perfezionando) a243 a245s ab248 a373//407 abc399 ab685 a1525s abc1546.

F2b. b. – NECESSITÀ DELLA GRAZIA ATTUALE

La grazia è necessaria – : alla salute (soprannaturale) in genere 376//395 1691; -: per risorgere dal peccato originale 239: -: per usar bene il libero arbitrio 242 246 248 (622): – : per ogni azione salutare, onde prevenirle, accompagnarle, susseguirle. vd. F 2a; —: per preparare la giustificazione 1525s 1551 1553; —: al desiderio della grazia illuminantie ed eccitante 1525 1553 2618 2620; —: per credere (a. all’inizio anche alla fede e l’affezione alla credulità) a375 378 396s 1526 1553 3010 3035; —: all’orazione 373 376; —: al purgante o al penitente 374 1553 ; —: allo sperante 1553 ; —: a colui che ama (1526) 1553; —: per praticare i comandamenti di Dio (a. e quindi non solo per praticarli più facilmente) 226 a227 a245 239//248 a1552; con um l’aiuto della grazia l’uomo può osservare i comandamenti ed a. astenersi dai gravi peccati b. eccetto i difetti più lievi (397) 1536 a1537 b1544 1568 (1572); —: per resistere quotidianamente alle insidie del diavolo e della concupiscenza

240s (248) 1515; per acquisire meriti 243 246 248 1546; —: per perseverare fino alla fine della vita 241 246 380 623 626 632s 1541 1566 1572 1911 3014.

F2c. c. — DISTRIBUZIONE DELLE GRAZIE.

2ca La volontà di Dio è salvifica universale. Dio vuole senza eccezioni che tutti gli uomini siano salvi 623; Dio (Cristo) vuole che nessun uomo perisca 340 780.

Chlristo è inviato perché tutti riacquistino l’adozione dei figli di Dio 1522; ha patito per gli uomini (a. per quanto attiene alla sua bontà) 332 a340 624 630 1522s 2005 2304s.

Da questo non ne consegue che tutti (a. cristiani) siano salvi 623s 630 a2362; Cristo fornisce la grazia anche a quelli che periscono 340; chi perisce, perisce a. non per volontà di Dio (Cristo), ma b. per propria colpa, potendosi salvare a333 a339 a340 b623 b6265.

La grazia è concessa anche al di fuori dalla Chiesa 2305 1429 3014.

La grazia ai giustificato non manca mai, poiché Dio non li abbandona 1537 1546.

2cb Predestinazione. Dio scelse sec. la prescienza gli uomini, che per grazia, predestinò alla vita 621.

Dio predestinò solo i buoni 685; non predestinò ai cattivi la loro malizia. 335 397 596 621 628 1567; predestinazione non riguarda il male agire, ma la pena 621 628s.

Dio solo conosce in anticipo (non predestina) i cattivi 628 685; la prescientia non fa che ne consegua necessariamente il male 333 627.

Riprov. afferm: (Alcuni sono predestinati alla morte, altri alla vita) 335;

[La grazia della giustificazione attiene solo ai predestinati] 1567.

F 2d. d. — EFFICIENZA DELLA GRAZIA.

La grazia richiede la libera cooperazione, a. contr. asserzione: [il libero arbitrio deve esercitarsi in modo meramente passivo ] 243-245 248 a330 a339 397 1525s 1529 1541 a1554 3846 22012217 (2224//2253).

La grazia non toglie il libero arbitrio: a. L’uomo può resistere alla grazia (così come la b.grazia riesce meramente sufficiente) 248 685 a1525 2002 2004 b2305s a2401-b2425 2430s a2621 a3010.

Riprov. spiegazione inopportuna sul concorso della grazia col libero arbitrio: [Dio ci dona la sua onnipotenza] 2170s.

3. Grazia della giustificazione.

F3a. a. — NATURA DELLA GIUSTIFICAZIONE.

Essenza: la giustificazione è tanto giustizia di Dio quanto giustizia nostra” 1529 1547.

La grazia della giustificazione ovvero carità non è solo un favore (esterno) di Dio, ma aderisce sé stesso al giustificato 1530 1547 1561.

Riprov. l’afferm.: [gli uomini senza la giustizia di Cristo o per la giustizia di Cristo sono formalmente giustificati 1560s; [la giustificazione consiste nell’obbedienza ai comandamenti] 1942 1969s.

Effetto : la grazia giustificante elimina qualsiasi ragione di peccato 225 245 1515 1528; si riprova: [il reato del peccato si estingue da solo o non è imputato] 1515 (1575) 3235: la giustificazione invero non consiste nella sola remissione dei peccati 1528 1561.

– fa a.del nemico un amico di Dio a1528 1535.

– produce una rinascita, una rigenerazione, un rinnovamento 632 1523 1528s (1565) 1942; rende l’uomo un figlio a. adottivo di Dio 1515 a1522 a1524 (1913) a1942 2623 3012 3771 3957; rende familiari di Dio 1535; fa eredi di Dio (e della gloria sua) 1515 1528 3957; innesta in Cristo (394) 1530.

– produce la santificazione dell’uomo interiore 1528 1942; all’uomo è infusa la virtù della fede, della speranza, della carità (780 904) 1530s 1561.

L’uomo giustificato non è trattenuto dall’ingresso del cielo 1453 1515.

Si espone il riconoscimento della dottrina Tridentina circa la giustificazione (a. ctr. la calunnia, derogarla dalla gloria di Dio e dai meriti di Cristo) 1550 a1583 1863.

F3b. b. – EFFICIENZA DEL DONO DELLA GIUSTIFICAZIONE

La grazia santificante è il permanente principio vitale soprannaturale 3714; la giustificazione non si ottiene se non mediante la grazia 1014.

L’inabitazione divina nell’anima del giusto come in un tempio 3330s; per questo stato o condizione differisce dalla celeste 3331 3815; si realizza la presenza di tutta la Trinità 3331 3814s; questa è predicata come peculiare dello Spirito Santo 44 46 48 1923 1963 3329-3331 3814s: lo Spirito S. è il dono a. dell’Altissimo per i giustificati 1522 1529s 1561 1690 a3330; lo Sp. S. è operante nei Santi 60; è purificante, vivificante 62s 150.

F3c. c. – CAUSE DELLA GIUSTIFICATIONE.

Causa meritoria: Gesù Cristo (a. Per la sua passione) a1529 1546s (1582).

Causa efficiente : la misericordia di Dio 1529.

Causa strumentale: il Battesimo (o il suo voto) 1524 1529; per la ricaduta nel peccato, il sacramento della Penitenza 1542; add. J 3c. et 6c

(Circa la necessità del Battesimo e della Penitenza); si riprova.: [la giustificazione si opera per la sola fede a. senza sacramento.] (1559) a1579 a1604s 1608.

Causa formale: la giustizia di Dio Dei nella quale l’uomo riceve in sé la sua giustizia sec. la misura che Dio vuole dare e secondo la propria disposizione ed operazione 1529.

Causa finale: la gloria di Dio e di Cristo e la vita eterna 1529 (1583).

F3d. d. – GRATUITÀ DELLA GIUSTIFICATIONE.

I peccati sono rimessi gratuitamente 1529 1533; nessuno di essi che precede la giustificazione la merita. 1525 1532.

F3e. e. – DISPOSIZIOME ALLA GIUSTIFICATIONE.

È Richiesta una certa preparazione o disposizione 1525 1529.

Tra gli atti di preparazione è recensita: -la fede 1526s (1531) 3012; la fede è fondamento e radice di ogni giustificazione 1532; questo appartiene alla disposizione dell’uomo battezzando 2836-2838; la fede non consiste nella fiducia, che siano rimessi i peccati 1533s 1562; si riprov. l’affermazione più lassa della fede per la giustificazione 2119-2123.

– : speranza nella misericordia di Dio 1526. – : un certo amore di Dio iniziale 1526.

— : la virtù della penitenza (contenente la contrizione o l’attrizione, l’odio del peccato , a.non solo il proposito di una nuova vita) a1457 1526s 1669 a1692 a1713 2836-2838.

— il timore della giustizia divina (che può essere un motivo buono soprannaturale) (1456) 1526s 1558 2314 2460-2467 2625.

– l’inizio di una nuova vita e l’osservanza dei comandamenti di Dio 1526s (1531 1964).

F3f. f. — STATO DELLA NATURA RIPARATA.

3fa. Quanto al pericolo di perdere la grazia. L’uomo anche dopo la giustificazione può peccare 241 339 1540 (1542) 1573; si riprova: [Peccando dopo la giuustificazione nessuno fu veramente giustificato] 1573; [la grazia giustif. si perde col solo peccato di infedeltà] 1544 1577.

Rispetto alla proprie infermità ed indisposizione l’uomo può temere circa la sua grazia 1534; l’uomo non deve confidare sulle sue buone opere né sulla buona coscienza 1548s; nessuno deve presumere con assoluta certezza, di essere perseverante nello stato di grazia 1541 1566 1572; nessuno può con certezza essere tranquillo ripromettendosi il pentimento 1540.

Il giustificato non è immune dai peccati lievi (a. se non per speciale privilegio della grazia) 1537 a1573. Il ricaduto può essere ancora giustificato (a. col Sacram. della penit.) a1542 1579 (1668 1670).

3f b. Quanto alla coscienza dello stato di grazia. Nessuno può conoscere con certezza di fede se abbia conseguito la grazia 1534; nessun viatore a. senza una speciale rivelazione se sia un eletto a1540 1565 a1566.

3fc. Quanto all’aumento della grazia. La grazia della giustizia può essere conservata ed aumentata con le buone opere 1535 1545-1547 1574; le buone opere non sono pertanto frutto o segni della giustificazione 1574; add. l’argomento dell’aumento della grazia mediante i sacramenti: J 2cb.

3fd. Quanto alle sequele (naturali) del peccato. Si ottiene la remissione quanto alla colpa ed alla pena eterna, ma resta da assolvere al reato della pena temporale (o in terra o in purgatorio) 1580; resta il fomite del peccato e della concupiscenza 1515.

3fe. Quanto all’obbligo della legge divina. Il giustificato non è esonerato dall’osservazione dei precetti, il che è contrario all’affermazione: [a. I precetti di Dio non riguardano i Cristiani; b. Il Vangelo è la nuda promessa della vita eterna senza obbligo di osservarne i comandamenti; c. Il Vangelo comanda solo la fede, le altre cose sono libere] 1535-1539 1568 ac1569 abc1570 c1571 1572 2471; tuttavia l’osservanza dei comandamenti non è impossibile al giustificato. (397) 1536 1568 (1572) 1954 2001 2406 2619 (3718).

F 4. 4. Virtù infuse.

Nella giustificazione all’uomo sono infuse la fede, la speranza, la carità (780 904) 1530.

Con le opere buone si può ottenere l’aumento delle virtù 1944.

Chi si riveste di grazie e carità può pure vestirsi di fede e speranza. 1544 1578 1963s 2312 3803.

La fede e la speranza quali virtù teologali sono prive dalla visione dell’essenza divina 1001.

La fede è una virtù soprannaturale (375) 3008 3032; nozione: vd. A 8a.

La fede è un dono della grazia (a.pur quando non operi per la carità) 443 824 a3010 3035.

La fede è l’inizio della salvezza, fondamento e radice della giustificazione 1532 3008;

sotto la fede in cui crede, l’uomo defunto prima dell’accoglienza del sacramento potrebbe essere giusto 121.

Vari errori circa la fede quale grazia 2351s 2416-2428 2442 2448 2468s.

Si rivendica contro gli errori la speranza della mercede eterna per le opere buone: [a.Pecca chi opera per la speranza della mercede eterna; b.la perfetta rassegnazione richiede che sia eliminata la speranza] a1539 a1576 a1581 b2207 b2212; riprov.: [ogni peccatore decade, se gli manca la speranza e questa non c’è dove non c’è l’amor di Dio] 2457.

La grazia è preparata dal timor di Dio 1526 2625; errori circa la fede come virtù della carità teologica 1454 2453-2456 2458.

Obblighi morali nell’esercizio delle virtù teologali: vd. K 2a-c.

F5. 5. Doni dello Spirito Santo.

Lo Spirito Santo è chiamato per i suoi doni: Spirito settiforme, Sp. di sapienza. etc. (a.enumerando i singoli doni) a178 183 1726.

F6. 6. Il Merito dell’uomo giusto.

Le opere buone dell’uomo giustificato così sono doni di Dio, affinché siano anche i meriti dello stesso giustificato 243 248 1546 1548 1582 (3846); riprov. ass. negante la ragione del vero merito soprannaturale 1908//1918.

Alle buone opere invero è meritato (ossia tq. e resa la mercede): a.un aumento di grazia, b.la vita eterna, c.conseguimento della vita eterna, d.l’aumento della gloria b72 b443 b485 b802 b1545 a1574 abcd1582.

Per la diversità dei meriti diversa è la visione di Dio (1305).

I Peccatori (mortalmente) non sono giammai capaci di meriti superiori 3803.

I meriti (mortificati) rivivono con la forza della penitenza 3670.

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