G. De SEGUR: I SANTI MISTERI (3)
[Opere di Mgr. G. De Ségur, Tomo X, 3a Ed. – LIBRAIRIE SAINT- JOSEPH TOLRA, LIBRAIRE-ÉDITEUR, 112, RUE DE RENNES, 112 – 1887 PARIS, impr.]
VIII
La pulizia delle mani prima di celebrare i santi Misteri.
Prima di vestirsi per la Messa, il Prete deve lavarsi le mani, alfine di togliere fino al più minuto pulviscolo che potrebbe esservi attaccato. È il simbolo della purezza senza macchia che deve avere la sua anima. Occorre essere molto delicati su questo punto. Un buono e santo vegliardo, Vicario di San Sulpizio, preferì un giorno ritardare la sua Messa di alcuni minuti piuttosto che mancare a questo simbolico lavaggio delle mani. Poiché gli si diceva che le sue mani fossero pulite: « … senza dubbio – egli rispose – ma proprio poco fa ho preso del tabacco, e credo che prima di salire all’altare sia più conveniente lavarmi di nuovo le mani. » Non è necessario baciare preliminarmente la terra. Un povero abate si vestiva un giorno per dir Messa senza aver osservato questa usanza, quando il curato, tutto scandalizzato si elevò rimproverandogli la sua negligenza: « Ma, signore, questo non è segnato nelle rubriche, » rispose modestamente l’altro. « Non importa signore, bisogna fare più di quanto sia segnato; è più umile. » Prima di prendere l’amitto, ci si lava dunque le mani. Bisogna aver le mani pulite, molto pulite, prima di dir Messa, per toccare le cose sante, e soprattutto il Santo dei Santi stesso. Questa accortezza è indispensabile per un doppio ordine di motivi: per il rispetto del Santo Sacramento e per la carità verso i fedeli ai quali si distribuirà la santa Comunione. Una pia dama mi diceva della strana ripugnanza che le causava il pensiero di comunicarsi dalle mani di un certo curato di campagna, uomo eccellente del resto, ma che non si lavava le mani tutti i giorni. « … è spaventoso – aggiungeva con aria disperata – è terribile vedere e sentire questo grosso pollice grigiastro toccarmi la lingua, checché io faccia. E le sue unghie a lutto! … io chiudo gli occhi per non vedere tutto ciò. Ma è orribile! » Dunque bisogna lavarsi le mani prima di indossare l’amitto. Come abbiamo detto, la pulizia esteriore e la decenza sono qui il simbolo della purezza interiore.
IX
Cosa rappresenta il Prete rivestito dei paramenti sacerdotali
Alfine di meglio rappresentare GESÙ-CRISTO, che è Prete con essi ed in essi, i Preti si rivestono, per celebrare la Messa, di ornamenti sacri, benedetti dal Vescovo; questi ornamenti, o paramenti, raffigurano la santità e la gloria di GESÙ. – I Preti si rivestono interamente di una lunga veste bianca che si chiama “alba” (Per avere il diritto di rivestirsi dell’amitto e dell’alba, bisogna essere almeno sub-diacono, i chierici inferiori ed ancor più i laici non devono mai indossarli, sia per recitare l’Epistola – in certe grandi Messe di campagna – sia per compiere nella chiesa qualche altra funzione apocrifa), che è fermata da un cordone ugualmente bianco; precedentemente egli ha posto sulla testa e poi abbassato sul collo un lino bianco, chiamato “amitto”, ed incrociato sul petto un ornamento simile, ma più lungo che si chiama “stola”; infine, al di sopra di tutto, un grande paramento, che lo copre quasi per intero: è la “casula”. Per celebrare la Messa, il Prete deve essere rivestito da tutti questi ornamenti. L’amitto simbolizza la purezza perfetta e l’energia della fede che devono avere i ministri dell’altare, dove essi stanno per toccare in modo così familiare il Mistero dei misteri, il Sacramento che la Chiesa chiama essa stessa « il Mistero della fede. » Dalla perfezione e dall’ardore della fede dei Sacerdoti, dipende in effetti, si può certo affermare, la santità della loro vita, ed in particolare la santità con la quale essi celebrano la Messa. L’alba ed il cordone significano con il loro candore, l’innocenza e la santità celeste dei Figli di Dio, di cui i Sacerdoti devono essere rivestiti per rappresentare degnamente GESÙ-CRISTO sull’altare. « Il Cristo – dice un Padre – è la gran tunica dei Preti, magna sacerdotum tunica. » L’alba deve essere di lino o di filo. Il pizzo che l’orna deve ugualmente essere di filo, e non deve invaderla interamente “fin sotto l’ascella”, come talvolta succede. Un buon curato di campagna, entusiasta alla vista di un bellissimo pizzo con cui una pia donna stava per ornare la sua alba delle grandi feste, volle forzatamente applicare questo pizzo tutto intero; e poiché questo proveniva da uno di questi immensi abiti che assorbono facilmente venticinque o anche trenta metri di guarnizioni, il bravo curato, dopo aver guarnito come conveniva la parte bassa della sua alba, immaginò di sovrapporvi due belle balze. Delle balze volanti ad un’alba!!! Nei secoli della fede, in cui la pietà metteva il suo sigillo in ogni cosa, l’alba di lino fine non aveva altro ornamento che cinque bei ricami, raffiguranti le cinque piaghe di Nostro Signore resuscitato: due erano al di sopra del polso, due in basso dell’alba sul davanti sopra i piedi; la quinta al centro del petto, o tutt’al più in basso all’alba e dietro. Il manipolo che il Prete porta sul braccio sinistro, come il diacono, era all’origine, un velo destinato ad asciugare le lacrime che in questi tempi di fede e di fervore primitivo, accompagnavano abitualmente l’oblazione dei divini misteri. Oggi purtroppo le lacrime di compunzione scorrono molto raramente. Il Prete tuttavia dovrebbe piangere sull’altare, con Nostro Signore, sui peccati del mondo intero e sulle proprie colpe. Egli dovrebbe piangere d’amore, dovrebbe portarvi questo spirito di vittima e di contrizione profonda da cui scorre il dono delle lacrime: ciò che dovrebbe fare all’altare, è in effetti, una immolazione, un sacrificio; è necessario che sia vittima con GESÙ-CRISTO, se vuole essere degnamente Prete e sacrificatore con GESÙ-CRISTO. La stola rappresenta la potenza sacerdotale del Figlio di DIO, in nome del quale il Sacerdote sta per salire sull’altare, rappresentarvi la santa Chiesa, consacrare il Corpo ed il Sangue del Salvatore e distribuire la santa Eucaristia al popolo fedele. È GESÙ che si dà Egli stesso ai Cristiani per mano dei suoi Sacerdoti. – La stola del semplice Prete è incrociata e legata sul suo petto perché egli non ha la pienezza del sacerdozio che risiede in lui, in virtù della sua consacrazione. – Infine la casula, che un tempo era più ampia di oggi, e che avviluppava il Prete interamente, era figura della gloria celeste di GESÙ-CRISTO che oggi non offre più il Sacrificio in una carne passibile e mortale, ma nello stato glorioso, impassibile, immortale celeste, nel quale è entrato con la sua Resurrezione e Ascensione. (Si è sfortunatamente caduti in un eccesso di forme molto meschine, con il pretesto di una maggiore comodità per il Celebrante e per motivo di risparmio economico. La maggior parte delle casule francesi assomigliano a delle casse da violino, sono strette, striminzite, orrende. Esse sono praticamente contrarie alle regole tracciate da Roma, che ultimamente ha espresso il desiderio che non ci si allontani dalle forme utilizzate all’epoca del Concilio di Trento. Ora, san Carlo Borromeo, constatando questa forma, dice che la casula deve avere circa un cubito e mezzo da ogni lato, a partire dalla scollatura – un cubito e mezzo equivale a ottanta o novanta centimetri – Io ho visto a Roma una casula di San Pio V: essa era larga così com’era lunga, ampia quasi più davanti che dietro. Nei tesori di due o tre santuari ne ho viste altre che datavano del sedicesimo secolo, e che ugualmente avevano una considerevole ampiezza. Quella di Sant’Ignazio è molto più stretta: ma pare che a più riprese egli l’abbia ritoccata, cioè accorciata, per tenerla in uno stato migliore. Il Italia, e a Roma stessa, alle casule non sono stati risparmiati deplorevoli colpi di forbici alle belle regole liturgiche relative ai paramenti sacerdotali. Io ho visto a Roma delle casule che non arrivavano fino alle ginocchia; queste, più che brutte, erano ridicole). Il colore della casula, che varia a seconda delle feste, ricorda ugualmente al Prete ed ai fedeli lo spirito particolare del mistero che si celebra in quel determinato giorno, o la grazia del Santo in onore del quale è offerto il Sacrificio. La Chiesa, dopo aver rivestito il Sacerdote di sacri ornamenti che raffigurano il Sacerdozio divino di GESÙ-CRISTO, gli permette di celebrare la Messa. Quanto grandi sono tutte le cose della Chiesa! La maggior parte dei poveri stolti che se ne burlano o la disdegnano, certamente cambierebbero condotta e linguaggio se si dessero la pena di studiare e penetrarne il senso profondo.
X
Panorama d’insieme sul senso e sui riti della Messa.
Prima di entrare nel dettaglio delle nostre spiegazioni sul cerimoniale della Messa, non sarà inutile dare una panoramica generale, come chiave dell’insieme di queste cerimonie sacratissime. Si possono innanzitutto dividere i riti della Messa in due grandi sezioni: quelle parti che precedono il Sacrificio propriamente detto, dall’inizio fino alla Consacrazione; e quelle che concernono la Consacrazione, fino alla fine. Le prime sono i riti preparatori al Santo Sacrificio; le seconde ne costituiscono i riti complementari. Tra le due, come al centro, come la sommità, vi è la Consacrazione, in cui consiste essenzialmente il Sacrificio eucaristico. Analizzando ancora più dettagliatamente, si possono distinguere tra i riti preparatori, tre fasi, tre parti: dapprima la preparazione penitenziaria ai piedi dell’altare; poi i riti sacri che vanno dall’Introito all’Offertorio, e che rappresentano in maniera più generale l’unità della Religione Cristiana, sola Religione degli Angeli, dell’uomo innocente, dei Patriarchi, della Sinagoga e del Vangelo; infine i riti che vanno dall’Offertorio fino al Canone ed alla Consacrazione e terminano con il Pater fino alla fine, e che concernono più particolarmente il secondo avvento, il regno glorioso di Cristo e della sua Chiesa e la nostra futura consumazione nella gloria. La Messa è così un gran dramma che abbraccia nel suo magnifico simbolismo, tutti i secoli, gli eletti di tutti i tempi, l’opera di DIO intera, il mistero totale del Nostro Signore GESÙ-CRISTO e della santa Chiesa.
XI
Le prime preghiere e cerimonie della Messa.
Il Sacerdote, in piedi ai piedi dell’altare, saluta profondamente il Crocifisso; o se il Santissimo Sacramento è nel Tabernacolo, fa la genuflessione per adorarlo. Occorre fare le genuflessioni con grande rispetto. Nello stesso tempo, con il corpo le deve fare il cuore; cioè egli deve inchinarsi davanti al buon DIO, con umiltà, abbassarsi, contrirsi con grande amore davanti alla maestà di GESÙ-CRISTO. Il ginocchio destro deve toccare terra ed il resto restar ritto; le mani devono essere giunte. Le genuflessioni si ripetono così spesso nel culto divino che occorre essere molto diligenti nel ben farle. Lo stesso è per il Segno della Croce che bisogna fare religiosamente inquadrato in tutte le sue estensioni. Il servente Messa, che assiste il Sacerdote, si inginocchia di fianco a lui, sempre dal lato opposto al Messale. Dopo aver fatto la genuflessione, il Sacerdote comincia la Messa facendo il segno della Croce. Questo segno augusto che riassume e significa il Sacrifico cruento della Redenzione, è mirabilmente posto all’inizio della Messa, poiché la Messa non è altro che la rappresentazione mistica di questo stesso Sacrificio. Esso si ripete molto spesso nel corso della Messa, per questa stessa ragione. Il Sacerdote, così come il servente e tutti i fedeli, non devono farlo se non con un grande sentimento di venerazione e di fede. Le due mani giunte davanti al petto, con i pollici incrociati, il destro sul sinistro, il Sacerdote recita un salmo di penitenza e di speranza, ispirato già al Re-Profeta nell’angoscia dell’esilio. Il Sacerdote lo recita nel nome di GESÙ, anch’Egli esiliato, con la sua incarnazione, in mezzo ai nemici di DIO, in terra straniera. Con GESÙ e nello Spirito di GESÙ, la Chiesa militante aspira alla vera Gerusalemme; essa aspira « all’altare di DIO, ad altare Dei, » che non è altri che il Cristo celeste. L’altare ove il Sacerdote si appresta a salire per offrirvi, con GESÙ ed in GESÙ, il Sacrificio del cielo e della terra, simbolizza questo divino Re dei cieli, come già abbiamo detto. Dopo il salmo [Ps. XLII, Judica me Deus], il sacerdote si inchina profondamente e recita il Confiteor. Egli chiede perdono per i suoi peccati, perché, pur essendo Sacerdote, cioè un altro GESÙ-CRISTO, non di meno è un povero uomo peccatore, sottomesso, come gli altri uomini, alle infermità ed alle debolezza della umana natura. – In effetti alla Messa, il Sacerdote ricopre diversi ruoli, se ci è lecito parlar così; innanzitutto è GESÙ-CRISTO stesso che agisce e parla in lui; a volte è la Santa Chiesa de cui egli è ministro e ministro davanti a DIO; altre volte è l’uomo, il povero peccatore, che parla e supplica in suo nome dapprima, e poi a nome di tutti gli uomini, suoi fratelli, ed in particolare a nome degli astanti. Nella confessione dei peccati, il Sacerdote ricopre insieme tutti questi ruoli. I peccati di cui GESÙ ha voluto caricarsi per aprirgli i cieli sono in effetti l’ostacolo universale che ha obbligato il divin Capo, innanzitutto, e poi tutti i suoi membri con Lui, ad umiliarsi nella penitenza, a soffrire, a piangere, a morire, ad annientarsi davanti alla maestà di DIO tre volte Santo. GESÙ, l’Agnello di DIO, ha espiato tutto sull’altare della Croce. Resuscitati con Lui ed in Lui, noi possiamo come Lui, aspirare al cielo, salire all’altare del Signore, e questo per i meriti di GESÙ-CRISTO, per quelli della Vergine Immacolata, « Porta del cielo, » di San Michele Arcangelo e di tutti gli Angeli, di San Pietro e di tutti i Santi. Dopo essersi così umiliato e purificato con la confessione pubblica e generale dei propri peccati, il Sacerdote sale sull’altare. Egli lascia il comune terreno, il livello dei semplici fedeli, si eleva al di sopra della terra; non deve essere più un uomo, ma un Angelo, un Cristo, un cero celeste. Egli deve lasciare in basso tutti i pensieri umani, tutti i sentimenti umani, anche i più onesti, i più utili, per non avere che pensieri divini degni di Colui di cui è, sull’altare, il rappresentante visibile. Sull’altare degli Angeli, egli deve essere un Angelo. – Egli bacia l’altare: cerca in GESÙ-CRISTO, che l’altare raffigura, nell’assistenza dei Santi, ed in particolare di quelli di cui l’altare contiene qualche reliquia, a benedizione, la grazia che non possiede per se stesso. E qui termine quella che possiamo chiamare, la preparazione immediata di penitenza. – Il Confiteor, non lo dimentichiamo, è una dei sacramentali della Chiesa. Quando è recitato con le disposizioni convenienti, esso possiede la virtù di cancellare i peccati veniali. Il Sacerdote e tutti gli astanti devono dunque recitarlo con molta pietà e contrizione. Durante tutte le preghiere preparatorie, bisogna unirsi a GESÙ, Penitente universale che ha portato ed espiato tutti i peccati del mondo e che, vivendo nei suoi Sacerdoti e nei suoi fedeli, comunica loro con il suo spirito di penitenza il perdono e la santità. Alle Messe solenni, il Diacono ed il Suddiacono si pongono a lato del Sacerdote, fanno come lui la confessione dei peccati e con lui salgono all’altare; come diremo dopo, essi rappresentano l’antica e la nuova Alleanza, di cui gli eletti sono tutti i poveri peccatori convertiti e santificati. Questo inizio dei santi Misteri si fa ai piedi dell’altare, non sull’altare stesso, per ricordare a tutti che il Sacrificio di GESÙ-CRISTO e della sua Chiesa celebrato quaggiù nella penitenza, in mezzo alle lotte e nell’afflizione, si completa, si consuma nel cielo, tra gli Angeli. La nostra vittima, il nostro GESÙ eucaristico, si offre simultaneamente in sacrificio in mezzo alla sua Chiesa militante ed in mezzo alla sua Chiesa trionfante, sulla terra e nei cieli. Il Sacrificio cruento terrestre è il medesimo del Sacrificio incruento e celeste.
XII
L’Introito, il KYRIE ed il GLORIA.
Il Sacerdote si pone dal lato dell’Epistola, fa nuovamente il segno della croce e recita ciò che si chiama l’Introito. Poi torna in mezzo all’altare per recitare le nove invocazioni del Kyrie eleison e poi l’inno mirabile conosciuto con il nome di Gloria, di cui il nostro grande santo Ilario, Vescovo di Poitiers, è molto probabilmente l’autore. Questa parte delle preghiere della Messa ha un carattere particolarmente grandioso e mistico, cioè pieno di misteri. Il Sacerdote recitando l’Introito (che un tempo si componeva di uno o più salmi), e segnandosi col segno della croce, raffigura il Sacerdote eterno, GESÙ-CRISTO Nostro Signore, riempiendo Adamo ed i primi Patriarchi del suo spirito di Religione, di preghiera, di adorazione e cominciando con essi, fin dalle origini del mondo, ad adorare il vero DIO, a rendergli grazia, a domandargli misericordia e ad espiare il peccato. – Il Figlio di Dio, che doveva farsi uomo quaranta secoli più tardi, viveva già in Adamo, in Abele e nei primi Padri del genere umano. Egli era loro interiormente unito e li santificava con lo Spirito della sua grazia. Era là la prima fase della Religione Cristiana, la sola vera Religione, di cui il Cristo è il grande Sacerdote eterno, secondo l’ordine di Melchisedech. E siccome la Religione degli uomini è sempre stata la stessa Religione degli Angeli; siccome il Sacerdote, per il solo fatto di esser salito all’altare di Dio, conversa con gli Angeli, è associato alle Gerarchie celesti, osa mescolare la sua voce alle voci degli Angeli, unisce le sue adorazioni e quelle della Chiesa militante, alle adorazioni dei novi cori degli Angeli. È con questo spirito che si avvia con fiducia alla stessa adorabile Trinità, supplicando, con gli Angeli, il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo di avere pienamente compassione della Chiesa militante di cui è ministro. Le nove invocazioni del Kyrie sono innanzitutto la professione di fede del Mistero della Santissima Trinità, sul quale riposano tutti gli altri misteri della Religione Cristiana; poi, esse ci ricordano che i nove cori degli Angeli adorano e lodano, come noi e con noi, il Signore nostro DIO: DIO il Padre, al quale è offerto direttamente il santo Sacrificio della Messa; DIO Figlio, GESÙ, vero DIO e vero uomo, che è il Sacerdote e la Vittima del Sacrificio; DIO, Spirito Santo, che è il centro focale di questo stesso Sacrificio, cioè l’Amore infinito che ha spinto GESÙ a sacrificarsi così, sul Calvario dapprima, poi sull’altare, e che deve riempire il cuore del Sacerdote e quello di tutti gli astanti. Gli Angeli hanno, in effetti, la nostra stessa Religione; così come noi e con noi, essi adorano GESÙ come loro Capo divino, come loro Re legittimo, e lo amano con un amore purissimo. Essi lo adorano e lo amano in particolare con noi, nella Santa Eucaristia che è, per così dire, il punto di contatto del cielo e della terra, il legame vivente della Chiesa militante e della Chiesa trionfante, l’incontro, visibile ed invisibile, celeste e terrestre, degli Angeli e degli uomini. Quanto al Gloria, esso ci mostra come in un riassunto, questo grande mistero della vera Religione, che si svolge dall’inizio alla dine dei secoli, e di cui GESÙ-CRISTO è l’anima e la vita. Noi abbiamo già visto che, secondo le tradizioni più venerabili, questo gran dramma del Cristianesimo militante deve durare sei mila anni, sei epoche. Non è forse per questo che la Chiesa ordina al Sacerdote di inclinare sei volte la testa durante la recita o il canto del Gloria? Egli deve farlo per prima, pronunciando il Nome di DIO, per la gloria del Quale tutto esiste, a gloria del Quale tutto si riporta. Ora essendo GESÙ il solo vero DIO vivente con il Padre e lo Spirito Santo, è di GESÙ che gli Angeli di Bethleem dicevano: « Gloria a DIO in cielo ». La Gloria è l’inno angelico dell’Incarnazione; sono gli Angeli che dicono agli uomini: « Gloria a GESÙ in cielo e sulla terra! Gloria al solo DIO vivente, da parte di tutti gli Angeli e di tutti gli uomini. » GESÙ-CRISTO è apparso sulla terra nella quarta epoca del mondo, l’anno quattromila dopo Adamo. Così il quarto inchino della testa si fa pronunziando il suo Nome adorabile. E siccome GESÙ-CRISTO deve tornare nel suo secondo Avvento, alla fine della sesta età del mondo per resuscitare tutti gli eletti e far trionfare la sua Chiesa con Lui, il Sacerdote inclina la testa per la sesta volta pronunziando di nuovo il Nome del Redentore, e proclamando che ogni creatura sarà forzata a riconoscere che GESÙ, il DIO del Calvario e dell’altare è « il solo Santo, il solo Signore, l’Altissimo, con lo Spirito Santo nella Gloria di DIO Padre. » Pronunciando per la seconda volta il Nome adorabile di GESÙ-CRISTO, il Sacerdote fa su se stesso il segno della Croce, per indicare che al secondo Avvento sarà compiuto il mistero della Redenzione, e che il Corpo mistico di GESÙ-CRISTO, la Chiesa intera, sarà liberata per virtù della Croce. Le inclinazioni della testa al Gloria hanno ancora, come i ceri sull’altare, un altro significato, ma più angelico e più mistico. Esse esprimono le adorazioni di ciascuno dei gruppi angelici presieduti dai sette grandi Serafini di cui parla la Scrittura. Essi sono sottoposti al governo spirituale e materiale di ciascuno dei sei Angeli che sovrintendono la durata della Chiesa militante, ed anche di questa settima era che sarà come la Domenica della grande settimana della Chiesa, l’era del riposo, della pace, del trionfo. È lo stesso mistero rappresentato dai sei ceri della Messa solenne, e dal settimo della Messa Solenne Pontificale. – Quale gloria, quale santo onore per noi, l’essere ammessi già da questo mondo ad adorare Nostro-Signore con gli Angeli e come gli Angeli! Che santità in questi riti della Messa, così poco compresi e così semplici, almeno in apparenza! Ecco il senso grandioso e profondo dell’Introito e del Gloria. È la proclamazione dell’unità della Religione degli Angeli e degli uomini, dei Patriarchi, dei Profeti e degli Apostoli in GESÙ-CRISTO, Sommo Sacerdote di questa Religione divina, Capo di questa adorazione universale e nello stesso tempo Vittima del Sacrificio che la esprime e la riassume sui nostri altari. E pensare che ci sono persone che trovano che la nostra fede sia meschina e ristretta nelle idee! – Un celebre medico di Parigi, uomo onesto secondo il mondo, ma ignorante come un turco in ciò che concerne il Cristianesimo, non diceva ultimamente ad un suo amico che lo invitava a convertirsi: « … mio caro, io non amo se non ciò che sia grande. Che cos’è il DIO di cui tu mi parli? Il tuo DIO, vedi, è troppo piccolo per me! »?