Mons. J. J. GAUME
IL TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO, Vol. I
[vers. Ital. A. Carraresi, vol. I, Tip. Ed. Ciardi, Firenze, 1887; impr.]
CAPITOLO XXV.
(continuazione del precedente.)
Culto del serpente presso le nazioni moderne tuttora idolatre — La setta degli Ofiti — La Cina adora il Gran Drago — È il sigillo dell’impero — Solenne processione in onore del Drago — L’imperatrice attuale — La Cocincina — L’India: pubblica adorazione del serpente — Tempio di Soubra-Manniah — “Festa della Penitenza — Culto privato del serpente — L’Africa — Culto del serpente di Etiopia, a tempo di san Frumenzio — Culto attuale, di tutti più celebre — Passo di De Brosses e di Bosman — Culto del serpente nel Regno di Juidah (Widah) da un secolo a questa parte — Culto attuale, simile all’antichità pagane — Curiosi ma tristi dettagli — Relazione dei missionari e di un chirurgo di marina — L’America — Culto del serpente all’epoca della scoperta — Culto attuale — Relazione del Padre Bonduel — Culto del serpente nella Polinesia, l’Australia, l’Oceania — Il Vaudoux — Culto agli S tati Uniti — Parole di un missionario — Altre testimonianze — In Haiti — Sacrifizio umano — Esecuzione dei colpevoli nel 1864.
Se l’assioma da noi ricordato avesse bisogno di una nuova conferma, si troverebbe nella storia delle nazioni pagane ancora esistenti su diversi punti del globo. Molto tempo dopo la pubblicazione del Vangelo, vediamo il culto del serpente vivo perpetuarsi presso gli Ofiti, eretici ostinati, dei quali parla Origène e sant’Epifanio (Contr. Cels. et hær., 37). Fra gli Gnostici apparve una sètta numerosa, la quale, per ragione del suo culto peculiare del serpente, ricevette il nome d’Ofìti. Gli adepti insegnavano che la sapienza erasi manifestata agli uomini sotto la figura di un serpente. Adoravano pure con devozione un serpente chiuso in una lunga gabbia. Quando era giunto il giorno di celebrare la ricordanza dei servizio reso al genere umano, mediante l’albero della scienza, aprivano la gabbia, e chiamavano il serpente, il quale saliva sulla tavola e si avvoltolava intorno ai pani; quest’era ai loro occhi, un perfetto sacrificio. Dopo avere adorato il serpente, offrivano per mezzo suo un inno di lode al Padre celeste. – Nessuno ignora che il Gran Drago è la suprema divinità della Cina e della Cocincina. Uno dei divertimenti, che spesso si ripete nel palazzo dell’imperatore al Pekino, è il Drago intorno alla gabbia dell’avoltoio, con la gola spalancata, con gli occhi inferociti che escono dall’orbita. Quest’è l’emblema inseparabile del figlio del cielo, che trovasi sopra il suo sigillo, sulle sue tazze, il suo vasellame, i suoi mobili, sugli angoli delle case, sulle porte, dappertutto. (Annali della Propag. della Fede, n. 223, p. 298, 1887). Il Drago scolpito sul sigillo imperiale! Non direbbesi l’infernale parodia della croce, che sormonta la corona dei principi cristiani; o dell’antica iscrizione delle monete d’oro del regno di Francia: Christus vincit, regnat, imperat! Non è un segno vano, il Dio che rappresenta, è l’oggetto di un culto reale. Cosi il giovine imperatore della China, essendo stato colpito da una grave malattia nel 1865, la imperatrice madre si è portata per nove giorni a piedi, mattina e sera, al gran tempio del Drago a pregare pel suo figlio. Poco fa gli abitanti della città cinese di Tlng-haè si lamentavano della siccità. Fu deciso che il Drago comparisse nelle strade, e si pregasse solennemente di mandare la pioggia nelle campagne. Al giorno stabilito noi vedemmo volgersi per le vie principali di Ting-haè in tortuosi giri il mostro, portato da cinquanta o sessanta persone, intorno alle quali si accalcava tutta la popolazione della città. (Annali della Filosof. Crist,, t. XVI, p. 355). Ancor oggi, le congregazioni cinesi di Saigon celebrano ogni anno, con un lusso ed una pompa inusitata, la festa del Drago. L’interminabile processione percorre le vie principali della città, e qualche volta anche attraversa il giardino del palazzo dei governatore. – (Corriere di SaXgon, 1865).La schifosa figura del Drago si incontra dovunque. Ad ogni momento la s’invoca, e in tutte le circostanze più importanti della vita ed anche dopo morte. L’Annamita che ha perduto un membro della sua famiglia non si permetterebbe di sotterrarlo, prima d’avere domandato allo stregone, od al sacerdote del Drago, di fargli conoscere il luogo della sepoltura. Si suppone che vi siano dei draghi sotterranei che passano e ripassano in certi luoghi privilegiati. I morti si pongono sulla loro via, nella credenza che i draghi ricolmino essi ed i parenti loro di ricchezze e di felicità. Se una disgrazia colpisce la famiglia, si va a dissotterrare il morto, e dietro l’indicazione di un nuovo oracolo, lo si sotterra in un luogo più prossimo al passaggio del Drago. – Il serpente ha rappresentato un ufficio considerevole presso gli antichi popoli dell’India (Massimo di Tiro, Dissert., VII, p. 139, ediz. Reiske), ed il suo culto si è mantenuto fino a questo giorno in quella vasta parte dell’Asia. I loro libri sacri sono pieni di racconti in cui è fatta menzione del serpente. Ivi, come in Egitto, tutti i simboli del culto, portano la sua immagine. Un gran serpente figura al principio del mondo, ed è l’oggetto di una profonda venerazione. « Vedesi un tempio rinomatissimo, consacrato al serpente, all’est del Maissour, in un luogo detto Soubra Manniàh. Questo nome è quello del gran serpente, tanto famoso nelle favole indiane. « Tutti gli anni nel mese di dicembre, ha luogo una festa solenne nel tempio. Innumerevoli devoti accorrono di molto lontano per offrire ai serpenti adorazioni e sacrifici in quel luogo privilegiato. Una moltitudine di questi serpenti hanno fissato il loro domicilio nell’interno del tempio, dove sono mantenuti e ben nutriti dai Brama che gli servono. La protezione speciale di cui godono, ha permesso loro di moltiplicarsi sino al punto che ne vediamo uscire da tutti i lati all’intorno. Molti devoti portano loro da mangiare. Guai a chi avesse la disgrazia di uccidere una di quelle divinità striscianti! Si tirerebbe addosso terribili castighi. » (Costumi e istituzioni dei popoli dell7India, del sig. Dubois, superiore delle Missioni straniere, il quale ha dimorato ventotto anni nelle Indie, t. II, c. XII, p. 435). Sopra un altro punto dell’immensa penisola, il serpente riceve pure gli onori divini. « Recentemente, scrive uno dei nostri missionari, sono stato a Galcutta, testimone oculare di una festa religiosa, celebrata in onore della dea Kalli. È una delle più solenni dell’anno: essa si nomina la festa della Penitenza. Il primo giorno della festa, la moltitudine dei curiosi era immensa, essa superava quasi il numero dei penitenti. Ma il secondo e il terzo giorno vidi in molti punti, principalmente sui canti delle strade e nei crocicchi, alcuni uomini che avevano la lingua traforata verticalmente da una lunga sbarra di ferro. Essi la dondolavano al suono degli strumenti, e ballavano essi medesimi in quello stato. Altri si erano fatta una larga apertura nelle reni e nelle spalle, e da ciascun foro passava un enorme serpente, che coi suoi giri tortuosi avvolgeva il loro corpo. » (Annali della Propag. della Fede, n. 18, p. 535, aprile, 1886). Oltre all’adorazione nazionale del serpente, gli Indiani, come gli antichi abitanti dell’Egitto, rendono anch’oggi un culto domestico ad un serpente comunissimo, la cui morsicatura dà quasi istantaneamente la morte; lo si chiama serpente capei. La loro condotta, che ognuno può verificare con i propri occhi, rende credibile tutto quello che abbiamo letto dell’antichità pagana. I devoti vanno in cerca dei buchi, ove stanno riposti questa sorta di serpenti. Allorquando hanno avuto la fortuna di scoprirne qualcuno, essi vanno religiosamente a deporre alla bocca di detti fori, del latte, dei banani (fichi di Adamo), ed altri cibi che sanno esser graditi da questi dèi rettili. – Se per caso uno di essi s’introduce in una casa, gli abitanti si riguardano dal cacciarlo via, ed è al contrario gelosamente custodito e onorato con sacrifici. Vediamo infatti degli Indiani conservare presso di sé per parecchi anni di questi grossi serpenti capels; ed ancorché dovesse costare la vita a tutta la famiglia, nessuno ardirebbe porre la mano su di essi (Costumi e istituzioni dei popoli dell’Indie, del Sig. Dubois. Per altri popoli moderni, vedi gli Ann. della Filos. Cristiana, citati più sopra). – Passiamo adesso in Africa. Antichissimamente il serpente è stato il gran dio della terra di Cam. Nel quarto secolo, allorché san Frumenzio andò a portare la fede agli Etiopi, trovò il culto del serpente in tutto il suo splendore. Per riuscire nella sua missione, dovette come Daniele, incominciare col distruggere il serpente che era stato sino allora la divinità degli Axumiti. (Gonzales, apud Ludolf. Etiopie, p. 479). Cosi accade ancora in tutta l’Africa non cristiana. Fra tutte le nazioni negre a lui note, dice un viaggiatore tedesco, non ve n’è una che non adori il serpente…. « I Fidas, oltre al gran serpente, che è là divinità di tutta la nazione, hanno ciascuno i loro piccoli serpenti, adorati come tanti dèi penati, ma che non sono stimati, potenti del pari quanto l’altro, di cui non sono che i subordinati. Quando un uomo ha riconosciuto che il suo dio lare, il suo serpente domestico, è senza forza per fargli ottenere ciò ch’egli domanda, egli fa ricorso al gran serpente. « I sacrifici che presso i popoli, formano la parte più interessante dei culti, consistono in bovi, vacche, montoni ecc. Alcune nazioni offrono altresì dei sacrifizi umani. Tra il numero delle feste annuali, bisogna contare il pellegrinaggio della nazione dei Fidas al tempio del gran serpente. Il popolo riunito dinanzi l’abitazione del serpente, con la faccia prostrata contro terra, adora quella divinità senza osare di levare gli occhi su di lei. Fuori dei sacerdoti non havvi che il re che abbia diritto a questo favore, e per una volta soltanto. » (Oldendrop, citato dal dott, Boudin nel culto del serpente, p. 57 e segg. in-8, 1864). Un altro viaggiatore si esprime in questi termini: « Il culto più celebre dell’Africa, dice Bosman. è quello del serpente. Tra il gran numero di serpenti che vi sono onorati con cerimonie più o meno bizzarre, ve ne ha uno che è riguardato come il Padre, ed a cui si rendono omaggi particolari. Gli si è fabbricato un tempio, dove sacerdoti sono incaricati di servirlo. I re gli inviano doni magnifici, e intraprendono lunghi pellegrinaggi per andare a presentargli le loro offerte e le loro adorazioni. » (Viaggio di Bosman, nel gran dizionario della Favola, art. Serpenti d’Africa). Trattando lo stesso soggetto nella sua storia degli Dei Fetisci, (Fetiscio viene dal portoghese fetisso che vuol dire incantato)il presidente de Brosses pronunzia parole d’oro allorché dice: « Il miglior mezzo d’illuminare certi punti oscuri dell’antichità, e di sapere ciò che avveniva presso le nazioni pagane antiche, si è di esaminare ciò che accade presso le nazioni pagane d’oggigiorno, e di vedere se non succede in qualche luogo, tuttora sotto gli occhi nostri, qualcosa di simile. La ragione si è, come dice un filosofo greco, che le cose si fanno e si faranno come le si son fatte. L‘Ecclesiastico dice pure; Quid est quod fuit? ipsum quod futurum est. Ora niente rassomiglia più al culto del serpente e degli animali sacri dell’Egitto, quanto quello del fetiscio o serpente vergato dell’Juidah (Dicesi oggi Whydah), piccolo regno sulla costa della Guinea, il quale potrà servire d’esempio per tutto quel che avviene di simile nell’interno dell’Africa. Vediamo già che nulla più rassomiglia al serpente di Babilonia, che il profeta Daniele ricusò di adorare. » (Del culto degli Dei Fetìsci, p, 16 e 26 ef. ediz, in-12, 1760)- La storia ci ha detto che gli Epiroti credevano che tutti i loro serpenti sacri discendessero dal gran serpente Python: medesima credenza in Africa. « Il serpente, continua l’autore, è un animale grosso quanto la coscia d’un uomo, e lungo circa sette piedi, rigato di bianco, di bleu, di giallo e di bruno, con la testa tonda, gli occhi aperti, senza veleno, di una dolcezza e di una familiarità sorprendente con gli uomini. Questi rettili entrano volentieri nelle case e si lasciano prendere e maneggiare. » (Del culto degli dei fetisci, p. 29 e segg.). « Tutta la specie di questi serpenti sacri, se deesi credere ai negri dell’Juidali, discende da un solo che abita il gran tempio presso la citta di Shabi, e che vivendo da parecchi secoli, è diventato di una grandezza e di una grossezza smisurata. Era stato prima la divinità dei popoli di Ardra; ma questi essendosi resi indegni della sua protezione, il serpente venne di suo proprio moto a dare la preferenza ai popoli dell’Juidah. Nel momento stesso di una battaglia, che le due nazioni dovevano darsi, lo videro passare pubblicamente da uno dei due campi all’altro. Ecco l’antica evocazione. II gran sacerdote allora lo prese nelle sue braccia e lo mostrò a tutto l’esercito. A questa vista tutti i negri caddero in ginocchio, e riportarono facilmente una vittoria completa sul nemico. » (Idem). A Babilonia, in Egitto, in Grecia e presso gli altri popoli pagani dell’antichità, il serpente aveva dei templi dove era servito da sacerdoti e da sacerdotesse, onorato, consultato, nutrito a spese del pubblico. I soli suoi ministri avevano il diritto, di penetrare nel suo santuario; fuori di lì, ei si rendeva familiare, e degnava lasciarsi prendere e maneggiare. Ecco parola per parola ciò che avviene in Africa: « Si edificò un tempio al nuovo fetiscio. Fu portato sopra un tappeto di seta per cerimonia con tutte le possibili testimonianze di gioia e di rispetto; e gli furono assegnati fondi per la sua sussistenza. Gli si scelsero dei sacerdoti per servirlo e, vergini per essere a lui consacrate. Subito questa nuova divinità prese autorità sulle antiche. Essa presiede al commercio, all’agricoltura, alle greggi, alla guerra, agli affari pubblici del governo ecc. Gli si fanno considerevoli doni, cioè pezze intere di stoffe dì cotone o di mercanzie d’Europa; tonnellate di liquori, e greggi interi: dei sacerdoti s’incaricano di portare al serpente le adorazioni del popolo, e riferire i responsi della divinità, non essendo permesso ad alcun altro che ai sacerdoti, nemmeno al re, d’entrare nel tempio e di vedere il serpente. La posterità di questo rettile divino è diventata innumerevole. Quantunque essa sia meno onorata del capo, non avvi negro che non si creda felicissimo d’incontrare serpenti di questa specie, e che non li alloggi e li nutrisca con allegrezza. » – Ricolmo d’onori e servito da sacerdoti, il gran serpente volle, come in antico, avere delle sacerdotesse. « Ecco in qual modo si prendono per procurargliele. Durante un certo tempo dell’anno, le vecchie sacerdotesse o beias, armate di clave, corrono il paese, dallo spuntar del sole fino a mezzanotte, furibonde come tante baccanti. Tutte le fanciulle dell’età di dodici anni che possono trovare, gli appartengono di diritto; né è permesso di resister loro. (Nell’antico Messico, trovasi la medesima tratta’di giovinette a profitto del serpente). Esse rinchiudono queste giovinette in delle capanne, le trattano assai dolcemente e le istruiscano nel canto, nel ballo e nei sacri riti. Dopo averle istruite, imprimono loro il segno della consacrazione, disegnando loro sulla pelle, con acute punture, delle figure di serpenti…. « Si dice loro che il serpente le ha contrassegnate, e in generale, il segreto su tutto ciò che avviene alle donne nell’interno dei chiostri, è talmente raccomandato sotto pena d’essere portate via e bruciate vive dal serpente; che nessuna di esse è tentata di violarlo. Allora le vecchie le riconducono, durante un’oscura notte, ognuna alla porta dei loro genitori, che le ricevono con gioia, e pagano carissima alle sacerdotesse la pensione della dimora, tenendo ad onore la grazia che il serpente ha fatta alla loro famiglia. Le giovanette incominciano allora ad essere rispettate ed a godere una infinità di privilegi. « Finalmente, quando sono esse nubili, ritornano al tempio in cerimonia e benissimo abbigliate per essere sposate al serpente. Il giorno dopo si riconduce la maritata nella sua famiglia, e d’allora in poi ha parte alle retribuzioni del sacerdozio. Una parte di quelle fanciulle si marita in seguito a qualche negro, ma il marito deve rispettarle quanto egli rispetta il serpente, di cui portano il marchio, né possono loro parlare fuorché in ginocchio, e restare soggetti in ogni cosa alla loro autorità. » (Del culto degli dei fetisci, p. 49 e seg.). Ecco oggi dunque, come anticamente, in Africa, come dappertutto, l’innocenza profanata dal serpente e consacrata al suo servizio. « Indipendentemente da questa specie di religiose affiliate, avvi una consacrazione passeggera per le giovinette… S’immaginano che queste siano state toccate dal serpente, il quale avendo concepito dell’inclinazione per esse, ispira loro una specie di furore. Talune si mettono tutt’ad un tratto a fare degli urli spaventosi, assicurando che il fetiscio le ha toccate. Esse divengono furibonde come tante pitonesse; e rompono tutto quel che cade loro tra mano, facendo mille danni. » (Ivi, p. 42). Stando alla relazione di Bosman, in altre contrade di questa trista parte di mondo, vedesi come nell’antichità, le più belle figlie del paese consacrate al servizio dei serpenti. Havvi questo di particolare, che i negri credono che il gran serpente ed i suoi confratelli abbiano l’usanza di adocchiare in primavera le giovinette in sulla sera, e che l’accostarsi, o il semplice contatto di questi rettili faccia perdere ad esse la ragione. (Bosman, come sopra). – Viaggi più recenti confermano questi dettagli e ne aggiungono dei nuovi: « In tutti i villaggi, si diceva poco tempo fa quello dei nostri missionari che penetrò assai addentro nell’Africa, voi trovate il fetiscio della località, senza contare quelli di ciascuna casa. Il fetiscio del villaggio è pel solito un grosso serpente che passeggia liberamente per tutte le strade. Il primo che io scòrsi, mi ispirò un vero spavento. Presi il mio bastone per batterlo, ma la mia guida mi trattenne il braccio, e fece bene. Se avessi avuta la disgrazia di offendere quel dio, sarei stato sull’istante fatto a pezzi. » Alla data del 28 aprile 1861 un altro missionario scrive da Dahomey: « Il popolo di questo paese pare consacrato al più abominevole feticismo. Il culto dei serpenti vivi è in voga su molti punti della costa: ma in nessuna parte hanno templi e sacrifici regolari come a Whydah. (Città di circa 20,000 anime, sul mare). In un recinto ben disposto, si nutrisce un centinaio di grossi serpenti, i quali vanno quando gli pare e piace a passeggiare per la città. Allora tutti quelli che gli incontrano, abbassano il capo fino in terra, mentre che l’animale abominevole avanza pesantemente per la via, fino a che qualche fervente adoratore non lo prende con rispetto e lo riporta nel suo covile. » (Annali ecc. Marzo 1861, p. 390. — I Gallas che abitano la costa opposta dell’Africa adorano pur essi il serpente. A questo dio rettile attribuiscono una terribile potenza sulla natura. Se si sente una scossa di terremoto, si vedono gli abitanti correre con le mani piene di doni verso la caverna, riguardata come l’abitazione del dio che scuote la terra). – Questo tempio, o piuttosto questa spaventosa tana, fu visitata nel 1860 da un chirurgo della marina imperiale, che ne fa la seguente descrizione. « La prima mia visita fu al tempio dei serpenti fetisci, situato non lungi dal forte, in un luogo un po’ isolato, sotto un gruppo di alberi magnifici. Questo curioso edificio consiste semplicemente in una specie di rotonda, di dieci o dodici metri di diametro e sette o otto di altezza. Le sue mura, in terra asciutta hanno due aperture, l’una opposta all’altra, per le quali entrano od escono liberamente le divinità di quel luogo. La vòlta dell’edificio, formata di rami d’alberi intrecciati che sostengono una tettoia d’erbe secche, è costantemente tappezzata di una miriade di serpenti che potei esaminare a tutto mio agio…. « La loro statura varia da uno a tre metri. La testa è larga, schiacciata e triangolare ad angoli rotondi, sostenuta da un collo un po’ meno grosso del corpo. Il loro colore varia dal giallo chiaro, al giallo verdastro. Il maggior numero porta sul dorso due linee brune. Gli altri sono regolarmente macchiati. Durante la mia visita, quegli animali potevano ammontare a più di un centinaio. Alcuni scendevano e salivano avvinghiati a dei tronchi d’alberi, disposti a tale effetto lungo le muraglia; altri sospesi per la coda, dondolavano in qua e in là sopra il mio capo, scintillando la loro triplice lingua e, guardandomi col continuo batter degli occhi; altri infine a spira, o addormentati sull’erbe del tetto, digerivano senza dubbio le ultime offerte dei fedeli. Malgrado l’affascinante stranezza di quello spettacolo, io sentiva dentro di me un certo malessere in mezzo a quelle viscose divinità…. « I sacerdoti che ne hanno cura, abitano vicino al tempio…. Queste spaventose divinità hanno pure delle sacerdotesse; sono come le fetiscie o spose del serpente fetiscio. In certe epoche dell’anno le vecchie sacerdotesse corrono per le strade del villaggio, rapiscono le bambine dagli otto ai dieci anni che incontrano, e le conducono nella loro abitazione. Queste bambinette subiscono là un noviziato più o meno lungo, e quando divengono nubili sono fidanzate al serpente fetiscio. Più tardi alcune finiscono per maritarsi a de’ semplici mortali, ma assai difficilmente, perché conservando sempre qualche cosa del loro sacro carattere, esigono dal loro marito una completa sottomissione. » (Rapporto del Sig. Repin nel Giro del mondo, n. 161, p. 71-74 —: 4° anno 1868). – Tutti questi dèi rettili non sono inoffensivi come quelli di Whydah. « Un altro punto della nostra missione, scrive il padre Borghero, offre uno spettacolo assai più ributtante. Al gran Popo, non lungi da Whydàh, i serpenti non hanno tempio, è vero; ma ricevono un culto che fa orrore. Vi è una specie di rettili ferocissimi, della razza dell’aspide, o del boa. Quando uno di questi serpenti incontra per via dei piccoli animali, li divora senza pietà. Quanto più e vorace, tanto più eccita la devozione dei suoi adoratori. Ma i maggiori onori, le maggiori benedizioni gli sono prodigate, quando ei trova qualche fanciullo, e ne fa suo pasto. Allora i genitori di questa povera vittima si prostrano a terra e rendono grazie ad una tale divinità, per avere scelto il frutto delle loro viscere per farne suo cibo; « E noi ministri di Colui che ha vinto l’antico serpente e che l’ha maledetto, siamo obbligati ad avere tutti i giorni questo spettacolo sotto gli occhi nostri, senza che ci sia dato modo di vendicare l’onore del nostro maestro cosi indegnamente oltraggiato. » (Annali ecc., marzo 1861, p. 890 e seg. Come sotto l’ardente sole dell’Africa, così il culto del serpente esiste ancor oggi in mezzo alle nevi della Mantchourie. Id., 1867, n. 175, p. 428). – Il culto del serpente si è rinvenuto nelle vaste contrade del nuovo mondo, e questa non è la minor prova dell’unità della razza umana. Al momento della scoperta dell’America, gli Spagnuoli riscontrarono su diversi punti tracce non dubbie del culto del serpente. Ricordiamoci che nel Messico, Huitzilopochtli, principale divinità dell’impero, era assiso sopra una gran pietra cubica, da ciascun angolo della quale, usciva un serpente mostruoso. La faccia del nume era coperta da una maschera, alla quale era appeso un altro serpente. Il tempio dedicato a Quetzalcohuatl, altra divinità messicana, era di forma rotonda, e l’entratura rappresentava una gola di serpente che pareva volesse divorare, riempiendo di terrore quelli che vi si accostavano la prima volta. – Negli annali più antichi dei Messicani la prima donna chiamata da essi la madre della nostra carne, è sempre rappresentata come vivente in relazione con un gran serpente. Questa donna figurata nei loro monumenti da una sorta di geroglifici, porta il nome di Cikuacohuatl, che significa donna del serpente. Fra gli altri doni gli si offrivano delle spine tinte di sangue dei sacerdoti e dei nobili, poi anche delle vittime umane. (Storia delle nazioni civilizzate del Messico dell’abate le Brasseur di Berigbourg, t. III, p. 504). – È qui il luogo di fare una osservazione che si riproduce parecchie volte nel nostro studio. Ogni credenza religiosa si traduce con atti speciali che le danno carattere. E niente è più vero della parola citata più sopra: Dimmi quel che tu credi, ed io ti dirò ciò che tu fai. Per ciò che concerne il culto dei serpenti l’esperienza dimostra, che presso quasi tutti i popoli il suo infallibile corollario è stato il sacrificio umano. Non è forse questa la prova evidente che il culto del serpente non è altro che il culto del grande omicida? Proseguiamo il nostro cammino. Durante i primi anni della conquista, un certo numero d’indigeni abbracciarono il Cristianesimo, piuttosto per timore che per convinzione. Gli adoratori del serpente non trascuravano nulla per far loro abiurare la fede, e ricondurli alle pratiche dell’antico culto. Sotto il titolo specioso di medici, s’introducevano nei villaggi, e spessissimo riuscivano nella loro colpevole impresa. Prima di ammettere il rinnegato alla iniziazione, esigevano la rinunzia al Cristianesimo. Gli lavavano quelle parti del corpo, sulle quali aveva quello ricevuto le unzioni del Battesimo, per cancellarne qualunque traccia. Di poi, conducevano il loro discepolo in una oscura foresta, o nel fondo di un precipizio, e là invocavano su di esso il gran serpente variegato, il quale si presentava accompagnato da altri piccoli serpenti. Il gran serpente si lanciava d’un tratto in bocca, e usciva per la parte posteriore del corpo. Gli altri uno dopo l’altro facevano altrettanto, poi rientravano tutti nel formicolaio; questi riti si ripetevano per tredici giorni di seguito. In questo tempo gli iniziatori comunicavano ai loro adepti, conferendo loro la maestranza, la misteriosa autorità che essi medesimi esercitavano sugli individui, direttamente o indirettamente ascrittisi all’idolatria. Con una sola parola, con un solo sguardo, potevano essi, entrando in una casa, soggiogare la volontà degli abitanti e specialmente delle donne. Le genti in tal modo affascinate, si sentivano impossessate da un tremito convulso in tutto il corpo sino al punto, che parevano come indiavolate. Si gettavano per terra con la bocca spesso spumante, e rimanevano cosi per tutto quel tempo che piaceva al mostro di ritenergli in quello stato. Il Vescovo di Chiapa dichiara di avere tutti questi particolari e altri ancora da parecchi iniziati, ravveduti dei loro errori. (Vedi Burgoa, descrizione geografica della provincia di san Domingo de Ozaca, cap. 17, Messico 1674. Torquemada, Monarchia indiana, t. II, 1, 6).Diminuito, ma non abolito, il culto del serpente si pratica ancora ai dì nostri, presso le tribù selvaggio dell’America del nord. Uno dei nostri missionari il P. Bonduel che ha dimorato per circa venti anni nel Wisconsin, ci raccontava nel 1858 che, gli stregoni non si dedicavano mai alle loro pratiche magiche che nei luoghi aridi, sulle spiagge di quelle fangose paludi e con la testa contornata della pelle del gran serpente Ketch-Kéfébeck. La formula della loro evocazione cominciava con queste terribili parole: « O tu che sei armato di dieci granfie, scendi nella mia capanna. » La preghiera continua, aggiunge il padre, finché la capanna non si sconvolge in cosiffatto modo che la vetta tocca il suolo. – Lasciamo per un momento l’America, per fare una escursione negli Arcipelaghi di recente scoperti. Alle isole Viti, nell’Oceano Polinesiaco, gli abitanti adorano in un enorme serpente la loro principale divinità che porta il nome di Ndengeì. (Pritchard, Besearches into The physical history ou Menkind, Londra, 1846, in-8, t. V, p. 247). « Presso la donna australiana, scrive un missionario, è meno il gusto di un adornamento che l’idea di un sacrificio religioso che la porta a mutilarsi. Allorché è tuttora giovine le si lega la punta del dito mignolo della mano sinistra, con dei fili di ragnatelo. In capo a qualche giorno si strappa la prima falange, offesa dalla cancrena, e viene consacrata al dio serpente. » (Annali della Propag. della fede, n. 98, p. 275). – Nell’Oceania il pascersi di serpenti pare cammini insieme col culto del rettile. Non sarebbe forse in questo caso, per queste infelici vittime del demonio, la parodia sacrilega della Comunione eucaristica? Ecco quel che riferisce un viaggiatore moderno: « Quei dell’Australia mangiano ogni specie di serpenti, anco i più velenosi. Essi procurano però di sbuzzarli, e di tagliarli la testa.- Sebbene i serpenti siano in grandissima quantità nella Nuova Olanda, io non ne ho incontrato che un solo, durante la mia dimora a Sydney, ancorché facessi nei boschi delle lunghe e frequenti girate. « Quando mi apparve questo serpente, io l’uccisi con un colpo di fucile, e mi affrettai a mutilarlo più che potevo: ma l’indigeno che mi accompagnava lo prese, e dopo avergli tagliato il capo per maggior sicurezza, se ne servi come di una cravatta aspettando a mangiarlo poi a cena. » (E. Deiessert, Viaggi nei due Oceani, p. 185 e 186). – Ritorniamo in America e terminiamo il nostro viaggio per gli Stati del Sud e per Haiti. Nel trasportare dalla parte dell’Africa milioni di negri in America, il trattato vi portò seco anche il culto del serpente. La sètta di cui l’odioso rettile è la principale, forse l’unica divinità, si chiama la sètta dei Vaudoux. Molto diffusa tra i negri degli Stati Uniti, delle Antille e di S. Domingo, essa conta tra i suoi adepti molti creoli, gente di colore, ed anco bianchi, dei due sessi. Taluni anche occupano nella società, altissime posizioni. (L’imperatore Soulouque in particolare era un fervente adoratore del serpente). – I Vaudoux la cui immoralità agguaglia, se non sorpassa quella dei Mormoni, ispirano un grande spavento. Si credono possessori di segreti importanti per fabbricare terribili veleni, i cui effetti sono diversissimi. Taluni uccidono come la folgore, altri alterano la ragione o la distruggono completamente. Quantunque sia tanto difficile quanto pericoloso il mescolarsi nelle loro faccende, però alcuni fatti recenti sono venuti a porre in chiaro i vergognosi e crudeli misteri di questa abominevole sètta. I Vaudoux si adunano sempre di notte in abitazioni isolate o nelle montagne, in mezzo a folte foreste. Il serpente che riceve le loro adorazioni, comunica le sue volontà per l’organo di un gran sacerdote tra i settari, e più specialmente ancora per quello della compagna che si unisce al gran sacerdote, elevandola alla dignità di gran sacerdotessa. Questi due ministri, che diconsi ispirati dal serpente; ispirazione alla quale gli adepti hanno la più robusta fede, portano i pomposi nomi di re e di regina. Resistere loro, è resistere allo stesso nume esponendosi ai più terribili castighi: una volta riuniti, gli iniziati si spogliano affatto. Il re e la regina si pongono ad una delle estremità del recinto, vicino all’altare su cui è una gabbia che racchiude il serpente. Allorché si sono assicurati che nessun profano si è introdotto nell’assemblea, la cerimonia incomincia con l’adorazione del serpente. Questa consiste in proteste di fedeltà al suo culto e di sottomissione alle sue volontà. Si rinnova nelle mani del re e della regina il giuramento del segreto, accompagnato da tutto ciò che il delirio ha potuto immaginare di più orribile, per renderlo più imponente. In seguito, il re e la regina con tuono affettuoso come di padre e di madre, indirizzano ai loro diletti figli alcune commoventi osservazioni. Quindi la regina sale sulla gabbia che contiene il serpente (È precisamente ciò che faceva la Pitonessa di Delfo), non tarda, a sentirsi invasa dallo spirito del nume che ha sotto i piedi: ella si agita, prova in tutto il suo corpo un tremito convulso, e l’oracolo parla per bocca sua. Allorché l’oracolo ha risposto a tutte le questioni, il serpente è adorato di nuovo e ciascuno gli offre un tributo. Terminata l’adorazione, anche il re pone il piede sulla gabbia, e tosto riceve una impressione che egli comunica alla regina e questa comunica a tutti quelli che la circondano. Questi non tardano ad essere in preda alla più violenta agitazione; si contorcono ad un tratto e agitano così vivamente la parte superiore del corpo, che la testa e le spalle pare che si sloghino. (Ciò ricorda il Djedàb degli Aissaoua dell’Africa, che abbiamo visto a Parigi nel 1867, e i Coribanti dell’antichità, il cui nome greco significa agitare violentemente il capo. satana non invecchia). – Chi finisce per cadere di stanchezza, e chi di deliquio: altri finalmente provano un furibondo delirio. In tutti poi vi sono tali tremiti nervosi, che non sono più in grado di padroneggiare. Non possiamo descrivere quel che allora succede; è facile però il comprendere che in seguito all’eccessivo sovreccitamento dei sensi, che hanno dovuto produrre quelle scapigliate baccanali, lo sfogo dei grossolani piaceri, e delle brutali passioni, in quell’orrida promiscuità dei due sessi, non può mancar di presentare il più disgustoso spettacolo. – satana, nemico implacabile dell’anima dell’uomo che spinge a tutti i generi di degradamento, non lo è meno del suo corpo. Presso differenti popoli, antichi e moderni, il sacrificio umano è il corollario infallibile del culto del serpente. I Vaudoux continuano fedelmente la crudele tradizione; non si saprà mai il numero delle vittime che hanno scannato. (qui segue, in nota, un racconto di cronaca giudiziaria dell’epoca, di un fatto accaduto in Haiti, dai risvolti crudi, per non dire orripilanti, che preferiamo non riportare – ndr. -) – Tutti questi fatti e mille altri dello stesso genere, provano una volta di più all’Europa incredula, all’Europa che volge le spalle al Redentore, che il re della Città del male è sempre lo stesso; sempre pronto a riprendere il suo impero, sempre geloso di farsi adorare sotto la forma vincitrice del serpente, sempre sitibondo del sangue dell’uomo, divenuto suo schiavo. Essi stabiliscono ancora che il culto del serpente, come il sacrificio umano, ha fatto il giro del mondo. Entrambi esistono anch’oggi: il primo soprattutto sopra una larga scala, presso un gran numero di popoli dell’Africa, dell’Asia e dell’America. Cosi nella Città del male vi sono due perpetuità: perpetuità del sacrificio umano; perpetuità dell’adorazione del serpente, sotto la sua naturale forma. Queste due perpetuità ne amplificano una terza: la perpetuità cioè degli oracoli nel mondo pagano. Senza di ciò, come spiegare che sotto tutti i climi, in tutte le epoche, in tutti i gradi della civiltà, l’uomo non Cristiano abbia preso per suo dio, per suo gran dio, il più aborrito di tutti gli esseri; ed a lui abbia sacrificato quel che ha di più caro? (V. sul serpente un bel passo di Chateaubriand, Genio del Cristianesimo, t. I, lib. in, c. 2). Purnonostante, è cosi. Il fatto è universale e permanente; havvi dunque una causa universale e permanente. Questa causa non esiste, né nei lumi della ragione, né nelle inclinazioni della natura, né nella volontà di Dio. A meno che non si voglia rimanere dinanzi a questo fatto spietato, con gli occhi sgranati e la bocca spalancata, bisogna dunque spiegarlo, mediante l’ufficio sovrano del serpente nella caduta dell’umanità. Con la ragione illuminata dalla fede, bisogna riconoscere che un fatto simile, non venendo né da Dio né dall’uomo, è a fortiori rivelato da una potenza intermedia. Non dimentichiamo, che qui la parola rivelazione, non implica la divinità del rivelante; ma l’universalità e l’identità della rivelazione implicano 1’universalità ela identità del rivelante; di questo parleremo altrove. Trattare tutto ciò di superstizione, di figurismo e di allegoria, è mentire alla sua propria coscienza, e burlarsi del senso comune. Parlare di superstizione, d’ignoranza, di demenza, in una credenza fondamentale, è lo stesso che non dir nulla, o pronunziar la condanna dell’umano genere. Ma se dopo sei mila anni, il genere umano, straniero al Cristianesimo, è stato ed è ancora un fanatico, un pazzo, un ignorante; è confessare, che il Cristianesimo è la verità, la luce, la ragione. Lasciamo all’incredulo, per non confessar ciò, balbettare sofismi; e continuiamo.