12. La preghiera
[G. SIRI: Esercizi spirituali, Ed. Pro Civitate Christiana, Assisi, 1962] –
Vi invito a riflettere sulla preghiera, meglio sull’orazione. Noi siamo arrivati naturalmente al tema perché, quando si è parlato dell’Eucaristia e si è visto che l’Eucaristia è indissolubilmente legata alla croce, ossia alla passione e alla morte di N. S. Gesù Cristo, viene logico che, rimanendo permanente la presenza del Signore nell’Eucaristia, si parli con lui. E viene logico che la mente si volga molte volte, il numero di volte maggiore possibile, alla passione e alla morte del Signore, causa della nostra salute, fondamento della nostra certezza, rimedio dei nostri mali, motivo della nostra speranza. Viene logico, conosciute queste realtà, che l’anima si intrattenga con esse; conosciuto questo mondo molto più grande, che noi possiamo palpare attraverso semplici veli, noi entriamo il più possibile in contatto con esso, e questo mondo facciamo intervenire nel nostro piccolo mondo, sovrastare al nostro piccolo mondo, illuminare la crepuscolarità del nostro povero mondo. Non è detto che l’orazione debba essere sempre una visita al SS. Sacramento o una meditazione sulla Passione del Signore, no; si dice però che a questi punti il riferimento deve essere costante, profondo e cosciente. Ma comunque noi siamo arrivati naturalmente a parlare dell’orazione per il fatto che ci si è parato innanzi un mondo reale, più reale di quello che noi tocchiamo con le mani; vicinissimo, nel quale noi facciamo bene a stare perché, restando là, trattiamo bene le cose di qua; vivendo là, diventiamo imbattibili di qua; contraendoci là, ci dilatiamo di qua; arroccandoci là, non siamo smossi dalle umane difficoltà; considerando le cose di là, diventiamo pratici, positivi, aderenti alle realtà terrene con una incredibile lucidità e una maggiore saggezza.. Conversatio nostra., nondimenticatelo, mai! in cœlis est. Si premette che cos’è l’orazione. L’orazione è l’elevazione dell’anima a Dio. E pertanto è anzitutto ed essenzialmente un atto dell’intelligenza, accompagnato però sempre dalla mozione del cuore, perché se fosse puramente un atto d’intelligenza, sarebbe atto cerebrale e non sarebbe orazione. Qualora venga a mancare l’intervento della volontà, e cioè il moto dell’anima verso Iddio o verso le cose che anche solo indirettamente ci portano a Dio, verrebbe a mancare un elemento sostanziale della preghiera: noi allora faremmo non della preghiera ma dello studio, della divagazione, della distrazione, distrazione pia ma distrazione. La preghiera è dunque una elevazione dell’anima a Dio, di tutta l’anima, con la sua intelligenza e col moto della sua volontà. Basta dire questo per capire che la preghiera è anzitutto ed essenzialmente un fatto interiore e che non può mai abbandonare questa sua interiorità, anche se è conveniente, anzi necessario, che molte volte sia accompagnata da emissione di voce, da ritmo, dalla espressione della collettività regolata secondo una formula, guidata secondo una regìa, un cerimoniale, delle rubriche. – Anzitutto l’orazione si deve dipanare secondo i nostri precisi doveri. Quali sono i fondamentali doveri nostri nei rapporti ufficiali con Dio, non solo nei rapporti morali, cioè nella soggezione alla legge sua e alla sua volontà, ma nei rapporti diremmo di carattere ufficiale con Dio? Sono quattro. Noi abbiamo quattro grandi doveri: il primo è quello dell’adorazione, il secondo è quello dell’azione di grazie, il terzo è quello di chiedere perdono dei nostri peccati, il quarto è quello della domanda. Questi quattro atti sono tutti necessari, per quanto in modo diverso e con diversa gerarchia. Infatti il più importante di tutti è quello dell’adorazione. Questo è il primo e dal quale non ci si può mai esimere. Gli altri, in certi momenti ci potranno essere, in certi momenti ci potranno non essere; ma il primo dovere dev’essere compiuto sempre: l’atto dell’adorazione di Dio. In che cosa consiste l’adorazione? L’adorazione consiste nel riconoscimento della sua suprema Essenza e Maestà e negli atti conseguenti: accettazione, ossequio, lode. Sono questi tutti atti conseguenti. Ma l’atto essenziale dell’adorazione è il riconoscimento della divina eccellenza. Siccome non c’è una eccellenza pari a quella di Dio, è chiaro che l’adorazione non può essere data altro che a Dio. Agli altri si darà venerazione, ammirazione; ma l’adorazione è propria di Dio. È chiaro che è un dovere, perché se è stata creata una intelligenza, la nostra per esempio, è ovvio che è stata creata per intendere. Per intendere che cosa? Anzitutto la prima cosa che esiste, cioè Dio, e accettarla, Pertanto è dovere naturale questo: è dovere al quale tutte le cose debbono confluire. Osservate bene che cosa accade se voi componete questo primo aspetto di un dovere ufficiale nei rapporti con Dio con gli altri doveri. Vedrete che cosa ne salta fuori! – Il secondo dovere è quello di rendere grazie a Dio, il dovere del ringraziamento. Il ringraziamento è una cosa onorevole anche fra gli uomini, perché è una forma di giustizia, cioè è quella forma di restituzione e di riportare le cose al pareggio quando non si danno i termini della necessità o delle possibilità di riduzione a parità. Se uno fa un atto di bontà verso di me, io questo non lo posso computare in danaro e dire: costerà 50 lire, 5000 lire, 50 milioni. Nel caso in cui non può darsi o non è conveniente l’azione di pareggio propria della giustizia commutativa, io gli devo dare la gratitudine dell’anima. La gratitudine è proprio quella che permette che si compiano, si completino, si colmino le lacune che rimarrebbero nell’ordine là dove noi non possiamo ridurre i termini a espressioni di pura giustizia, e cioè a espressioni di pura restitutio ad æqualitatem, che è il carattere della giustizia. Possiamo noi pretendere di dare ad æqualitatem a Dio? Ma che dite? Cosa volete che andiamo a prendere per rendere ad æqualitatem a Dio quello che Dio ha dato a noi? È chiaro che occorre un’altra cosa; non basta la giustizia. La giustizia potrà qualche volta, e molto poche volte, bastare tra gli uomini, ma la giustizia non può bastare verso Dio. È chiaro che ci vuole un altro atto che è succedaneo alla giustizia, che colma un vuoto là dove la giustizia non può essere applicata; e questo atto si chiama gratitudine, ringraziamento, ossia il riconoscimento del bene ricevuto e il movimento dell’anima che trasporta l’onda del proprio affetto in ritorno alla persona dalla quale essa riconosce di aver ricevuto un beneficio. – Ora, se questa logica del ringraziamento e della gratitudine ha tale valore e tale funzione di completamento sovrano nei rapporti tra gli uomini, e quando c’è splende veramente la gratitudine, e tanto più splende quanto meno si ricordano gli uomini della gratitudine, immaginate che cosa sia il dovere della gratitudine verso Dio. Ho detto che la gratitudine è anzitutto un atto di riconoscimento, un prendere atto che si è ricevuto. Chi non si ricorda mai di prendere atto di aver ricevuto da Dio sarà difficile che lo ringrazi, che adempia a questo splendido dovere di gratitudine verso il Creatore, perché non si sofferma mai a considerare che ha e non aveva; che ha e non avrebbe; che non ha avuto in sé stesso e non troverebbe neppure negli altri la ragione di ciò che ha. Se non si ferma mai a considerare questo, è difficile che trovi la ragione per poter fare quell’atto di affettuoso rimando verso Dio con l’atto di volontà nel quale consiste la gratitudine. – Ma c’è un terzo dovere che dobbiamo compiere. È quello di chiedere perdono. La Sacra Scrittura dice che anche il giusto manca sette volte al giorno, tanto per dare una espressione simbolica. Dunque non vi è uomo che non abbia da chiedere perdono a Dio; o perché ha fatto il male o perché non ha fatto il bene. Quand’anche non avesse fatto il male, gli si pareranno dinanzi i casi nei quali poteva fare il bene e non l’ha fatto; oppure poteva fare il meglio e non l’ha fatto; oppure avrebbe potuto arrivare all’ottimo e non l’ha fatto. E allora il caso di domandare perdono a Dio si presenta ogni giorno, per ogni uomo, entra nella normale metodologia della vita. Questo terzo dovere non è più come quello della gratitudine che sta in completivo della giustizia, ma è un dovere che rientra nel canone della stretta giustizia. Perché là dove abbiamo eletto il male, bisogna fare un atto contrario della volontà ed eleggere il bene respingendo il male stesso. Finalmente abbiamo un quarto dovere che è quello di domandare. Non si dica: io non domando niente. Questa è superbia, non è affatto educazione. Perché sarà difficile che uno possa dire, in riguardo degli uomini: io non chiedo assolutamente niente a nessuno. Potrà dire: io non chiedo niente in una determinata forma, cioè non faccio lo scroccone; non mi faccio comperare; non mi faccio vendere. Potrà dire: io non mi prostro indebitamente a scapito della dignità, a scapito del mio ufficio. Ma in questo mondo, quand’è che uno può dire: non chiedo niente a nessuno? Come, non ha chiesto qualcosa a suo padre e a sua madre? È sempre stato capace di avere tutto in sé stesso e per sé stesso? No. Ce ne ha messo prima di arrivare a camminare con le proprie gambe! Quindi a questo mondo qualche
cosa ha dovuto chiedere. Tuttavia è anche concepibile che a un certo momento, sotto certi profili, uno possa dire: io al mondo non chiedo niente a nessuno. Ma guardate che rispetto a Dio non lo si può dire. Perché? Perché ciascuno ha bisogno sempre di superare la propria debolezza. Non ci fosse altro titolo, c’è questo. Anche se rinunciasse al titolo del proprio godimento e dicesse: io non godo e basta; rinunciasse al proprio divertimento, al proprio agio e dicesse: io non voglio nessun divertimento, non voglio nessun agio nella vita. Amen! Ma, cari miei, almeno questo titolo non lo potrà smuovere mai: rimane debole. E pertanto deve appoggiarsi. Deve: ecco la necessità, ecco il dovere; e deve appoggiarsi a Dio. Non dico che sia questo l’unico titolo per cui si deve domandare; dico che almeno di questo nessuno potrà discutere. Pertanto è vero che ogni giorno si presenta agli uomini saggi il dovere di chiedere qualche cosa a Dio. – E, in secondo luogo, noi sappiamo che la grazia del Signore è data a tutti gli uomini in modo sufficiente, ma questa grazia del Signore, della quale noi abbiamo bisogno sempre, è aumentabile secondo il grado della nostra cooperazione e secondo il grado della nostra orazione, cioè secondo il grado in cui noi la chiediamo. E sono talmente infinite le cose da chiedere, talmente infiniti i bisogni per cui bisogna chiedere a Dio, che il dovere incide su ogni giornata della nostra vita, solca ogni caso della nostra esperienza terrena. Ora provatevi un po’ a venirmi a dire che non si sa cosa dire quando si prega. Io penso che non si potrebbe finire più. Quanta gente ho trovato: lei mi dice di pregare! Già, ma come faccio? Dico un po’ di Ave Maria, poi alla fine mi stufo. Dico un po’ di Pater noster, poi alla fine mi stufo; non so neppure più che cosa dica, e dico sempre la medesima cosa. Beh, rispondo io, intanto comincia a non disprezzare le Ave Maria, perché prima che tu abbia capito bene cosa dici, cos’è un’Ave Maria, tutta la vita passerà, e non avrai capito bene ancora, tanto è grande. E questo vale ancor di più per il Pater noster. Sta’ attento: sarai tu che sarai svanito! Perché, se ci metti un po’ di cuore, un po’ di testa, vedrai che potrai dire anche molte Ave Maria e molti Pater noster! Ma a ogni modo e chi ti ha detto che devi dire soltanto delle Ave Maria e dei Pater noster per pregare? Nella preghiera si può mettere tutto. Se io andassi a fare certi discorsi come mi verrebbero, così, di colpo; se li andassi a fare agli uomini, se li venissi a fare anche a voi, vi mettereste a ridere; invece con Dio lo posso fare, perché Dio è Padre. Non ho bisogno di studiare letteratura, di seguire troppo la logica, non ho bisogno neppure di esser preciso nelle mie parole, neppure di parlare. Dio capisce anche i silenzi. Col Signore si può dire tutto, ed è l’unico col quale possiamo dire tutto, essendo capiti in tutto. Non mi verrete a dire dunque che pregare sia una cosa difficile! Quando si hanno davanti questi quattro doveri, si capisce che raggio abbiano, che sorta di superficie totale costituiscano per l’esperienza degli uomini. Ma, messo a posto questo, ora passiamo a un altro punto, a un’altra considerazione. Ci sono degli elementi, degli strumenti che entrano in questi quattro doveri: adorazione, ringraziamento, dolore, domanda. Entrano e li sollevano, li fanno fermentare incredibilmente, li fanno elevare dalla terra al cielo. Lasciate che adesso ve ne dia un’idea. Innanzi tutto le verità della fede. Tutte. Quanto più se ne sa, tanto più lo strumento si ingrandisce. La riflessione alle verità della fede, la riflessione a tutte le parole di Dio, a tutta la parola di Dio, a ogni e singolo contenuto della divina Rivelazione, tutto questo, chiamato in causa, guardate come fa lievitare l’anima; guardate che volute dà alla nostra intelligenza! Che fascini strappa a noi, che elevazioni del sentimento, che slanci, che contemplazioni, che cammini lunghissimi nella ricerca, nella comparazione, nel soffermarci a guardare, nel sintetizzare, nel ritornare, nell’approfondire. Tutto il patrimonio delle idee viene qui e può entrare a far lievitare l’adorazione, il ringraziamento, la propiziazione, l’impetrazione. E non è tutto. C’entra non solo tutto il patrimonio ideale della teologia e della sana filosofia, ma c’entra tutta la storia del mondo. Ogni fatto è capace di fiorire ubertosissimamente e di far lievitare almeno uno di questi doveri, o tutti e quattro. Con Dio si può discorrere anche di quello che succede al Parlamento: non con l’intenzione di far ridere il cielo, eh? no, ma si può discorrere di quello. Pensate: quando nella preghiera si possono convogliare tutti i nostri casi personali, tutte le anfrattuosità della nostra complessa e illeggibile psicologia, talvolta così complessa e così illeggibile da necessitare che entri qualcheduno, un terzo a leggere e a mettere le cose in ordine con carità, con saggezza e con affetto…; pensate: quando ci mettiamo tutto questo, tutto allora diventa oggetto dell’orazione. Quando nella orazione entrano tutti i casi passati, i casi in corso, i casi che debbono ancora avvenire, cioè la vita nostra e degli altri, vi rendete conto che non è davvero difficile trovare di che pregare e di che meditare. Sarà sempre vero che per avere una meditazione ben fatta, in generale, occorre o la voce di un altro o un libro. Quello, per es. di fare orazione nella sua forma più alta, che è la meditazione, l’orazione mentale, sempre e unicamente affidandosi alla propria testa, è una cosa molto difficile, una cosa alla quale, a lungo andare, riescono pochi. Vi potrà riuscire gente che vive pensando, eternamente pensando, sempre pensando e sempre con la mente irreggimentata in un determinato dovere che davanti a Dio deve compiere. Quelli ci potranno riuscire; ma non credo che siano molti che si trovino in questa situazione. Noi dobbiamo attenerci alla media della brava gente.E allora badate che senza la voce di un altro che parla o senza lo scritto davanti che sorregge, non ci si fa molto, perché a un certo punto, pur essendo davanti a questo prato con tutte le erbe possibili e immaginabili, con tutti i fiori, con tutti i colori che non c’è altro che da mettere la mano per portarsene via una bracciata, voi capite bene che se uno in questo prato entra dondolandosi dal sonno, dormendo in piedi, oh, non vedrà né le erbe né i fiori e dirà: non c’è niente; non c’è, non c’è, non c’è. Ma c’è che lui dorme in piedi! Ecco. Bisogna pure svegliarsi! Quando uno comincia a dormire ancora in piedi, ecco allora è il momento di ricorrere al libro. E allora, se non si vedono più e i fiori nel prato e le erbe che stanno intorno, si guardano i dipinti del libro, e si comincia di lì; poi di lì si prende la spinta e forse, riaprendo del tutto gli occhi, si vede il resto, cioè si vede il vero prato, non quello dipinto nel libro di orazione. – Vedete dunque che l’orazione è una cosa possibile. E capite che nell’orazione veramente si consuma, si completa la nostra conversatio in cœlis. – In fondo si può dire che la conversatio nostra in cœlis si riassuma tutta nell’orazione. Perché quando si vive pregando, quando l’orazione circonda talmente la nostra azione da presidiarla, prepararla, munirla, sostenerla, completarla, sorreggerla se decade, rifarla se si è disfatta, allora veramente la nostra conversatio è in cœlis. Tutto il rimanente lo si vede, lo si rende presente, lo si rende attivo per noi, e rendiamo noi attivi in esso tanto quanto c’è la orazione. Perché la vera sostanziale conversatio nostra in cœlis è l’orazione. – Io vi ho parlato per tre giorni per portarvi a questo punto. Gli elementi detti prima sono tuttielementi che rinverdiranno davanti a voi, se ci saràla orazione. E tutto diventerà facile, e tutto rivivràcon colori stupendi, con attrazioni fascinose, se cisarà la orazione. E la vostra vita leviterà all’infinito,se ci sarà la orazione. E il vostro contatto conl’Eucaristia sarà una Pasqua perenne, un gaudio pasquale perenne, se ci sarà la orazione. E la S. Messa sarà per voi il fatto del mondo, il fatto dellastoria, il fatto di tutto, la grande, la prima, lasuprema risorsa alla quale tutto deve convergeree dalla quale tutto deve fluire. Voi dipingerete ilmondo diverso da quello che vi pare; e sarà piùreale, se avrete la orazione, se lo vedrete attraversola orazione. Il cielo si aprirà sulle vostre teste, sevoi lo guarderete attraverso la orazione. – E qui ci scappa fuori l’ultimo elemento delquale io so dire poco; ma so benissimo che c’è,perché lo si sente con la mano: è che nell’orazionec’entra sempre Iddio e agisce Lui. Discretissimamente,non in forme note, non in forme in cuil’orecchio senta, la fantasia interna e i sensi internipercepiscano. No, no. Dio rispetta abitualmentela nostra umana condizione: da gran Signore,fa tutto, entra in tutto, sorregge tutto, ciprepara qualche cosa da tutte le parti camminandoin punta di piedi e non facendosi sentire per nondisturbare l’umana libertà. Ma c’entra, Iddio. Eallora voi ve ne accorgerete! Quante volte potreteavere la impressione di dialogare! Quante volteavrete problemi nella mente; pregherete, e a uncerto punto vi troverete scritta la risposta intesta, così, naturalmente. Quante volte accadràquesto: che avrete dubbi; pregherete, e a un certomomento vedrete che s’è fatto chiaro, è sorto ilgiorno, la notte non c’è più, il dubbio se ne èandato. Che cosa è successo? Non avete notatoniente, non udirete niente, non avrete la minimasensazione che sia passato qualcuno, sarà naturalissimo.È questa la signorilità di Dio: di agirenaturalissimamente con noi, che Egli ha creato inuna natura, pur elevandoci in una soprannatura.Ma sarà così. La conversatio nostra in cœlis èsempre legata al grado di orazione.Leggete le vite dei Santi, e leggetene molte;non subite la moda del nostro tempo, di ridernee di farne la critica. E scoprirete che i Santi si trovanopienamente nell’orazione. Qualunque cosa facciano:miracoli di carità, miracoli di governo, miracolidi conversioni, tenere a posto popoli, aggiustarela storia, rabberciarla di qui, rabberciarladi là. Tutto questo è una quinta; lo sfondo troveretesempre che è stata l’orazione, cioè la loro conversatio in cœlis. – Ora che abbiamo ragionato sulla orazione, sullasostanza vera dell’orazione, dobbiamo preoccuparcidi difendere la orazione, la vita di orazione, didifendere questa nostra conversatio in cœlis.Prima di tutto la dobbiamo difendere dal mondoche ci sta intorno. Il mondo che ci sta intorno èfrastornante, inebriante e avvelenante. Frastorna,inebria, avvelena. E tutto questo fa senza che noice ne accorgiamo. Quando siamo ben pieni diquesto gas che abbiamo aspirato, noi non preghiamopiù o preghiamo male, preghiamo poco,preghiamo tirando le gambe, preghiamo dormendo.Bisogna difendersi dal mondo, se vogliamo difenderela nostra orazione. – Ma bisogna che io mi spieghi un po’ di più.Non so se vi ho raccontato una esperienza che è stata fatta in America, esperienza che ha provocato proibizioni da parte della legge. Hanno messo un fotogramma in mezzo agli altri nella pellicola dei film, facendo un esperimento. Questo fotogramma, unico, rappresentava in modo vivacissimo la réclame di una nota bibita: la Coca-Cola. Hanno inserito questo fotogramma in una pellicola, in 10, in 100 pellicole e hanno cominciato a proiettare la pellicola d’estate. Risultato: nessuno ha visto il fotogramma, perché voi sapete che un fotogramma solo non lo si vede; la frazione di tempo in cui passa non si commensura alla nostra sensibilità e pertanto noi non lo vediamo. Tutt’al più abbiamo la visione di una leggera striscia bianca che balena. Quindi nessuno ha visto il fotogramma. Tutti però hanno avuto sete, ed è aumentata di colpo, fino al 300 % e anche al 400%, la vendita della Coca-Cola. Risolvete il rebus. Si è avuta così una rivelazione, che è terribile, che comincia a entrare nella scienza, là dove se ne sono accorti, e che avrà delle incredibili applicazioni. Si è scoperto che le cose che i nostri sensi esterni trasmettono senza che ve ne sia coscienza, vengono registrate ugualmente. Di quel fotogramma, non essendosene accorto nessuno, nessuno ha avuto coscienza, vero? Bene. Nonostante questo, il fotogramma è stato colto dai sensi esterni, è stato mandato ai sensi interni, è stato registrato e ha agito stimolando quei diversi centri della salivazione, tutti i centri per cui a un certo momento uno dice: io ho sete. Non solo, ma ha indirizzato quei centri in armonia con preesistenti, chiamiamoli così, fotogrammi incisi in questa discoteca che è la testa, e ha indirizzato gli spettatori, che non avevano affatto visto, a comprare la Coca-Cola. Che cosa vuol dire questo? Vuol dire che, anche se io vado in una piazza dove fanno sciocchezze, scempiaggini, oscenità, e io non mi accorgo di niente in fondo, ma sto lì e leggo il giornale con molta attenzione, arrivano a me le onde sonore dei discorsi. E si direbbe che io non li capisca e non abbia coscienza di quel che dicono, ma arrivano e il mio apparecchio le registra e le trattiene. Io do solo qualche sguardo superficiale, non guardo niente; vedo, ma non guardo. Lo spettacolo non è eccessivamente secondo i canoni della cristiana modestia; quindi io vedo così, ma non guardo, ho quella visione generale che si ha dall’aereo. Ma, mentre io non guardo, le onde luminose arrivano a me, il mio apparato sensorio registra, mette in archivio: là ci stanno e chissà che diavolo ti combinano dopo, nel subcosciente! Vi ho voluto richiamare il fenomeno per dirvi: badate che non ci sono muri che ci proteggano dal mondo, dal suo vaniloquio, dalla sua artificialità, dalla sua pazzia. Bisognerebbe vivere chiusi, murati, nella certosa di Grenoble; non vedere mai nessuno, non sentire mai niente. Però io credo che qualche cosa penetrerebbe anche dentro la certosa di Grenoble! Noi dobbiamo prendere coscienza di questo fatto, perché ci possiamo trovare intrisi di questioni che sono artificiose. Mi spiego meglio. Noi ci possiamo trovare inzuppati, come i biscotti nel latte, in un mare di dubbi. Uh! va a vedere da dove arrivano! In genere è così: sono onde raccolte, entrate dentro; hanno fatto come l’acqua sotto la terra dopo che è piovuto: a forza di andare avanti scava canali, apre caverne, fa grandi laghi! È di lì che vengono fuori le sorgenti, ma è anche lì che qualche volta si aprono dei baratri, e va tutto giù. Guardate che tutto questo mondo continuamente ci usura, perché noi riceviamo troppe impressioni; noi diventiamo deboli senza saperlo. Difendetevi! E difendendo la vostra orazione, difenderete la vostra vita. Mi sono soffermato su questo aspetto perché certi stati psicologici che sono il frutto di una invasione dell’esterno, che diventano per le anime che si dedicano alla devozione e a una vita più alta entro limiti più stretti degli ordinari fedeli, e cioè con impegni più gravi degli ordinari fedeli, la causa più comune, più frequente che disturba la loro psicologia e crea dei drammi, viene a portar loro dei dolori che talvolta sono inutili, non sempre, ma molte volte sono dolori inutili.Entrate invece in quel concetto chiaro, che diquesto mondo dà il giudizio che deve dare dall’altezzadella conversatio in cœlis, che è l’unicopunto dove non si è né distratti, né astratti, nécerebrali, né fuori della realtà; è l’unico punto
dal quale si vedono le cose come sono. La maggior parte degli uomini sono invaniti, sono annebbiati dal mondo e non capiscono più dove sono e che cosa ne ricevono. Fuori da questo! Rompiamo questo bozzolo: che l’angelica farfalla esca fuori, alla luce, prenda coscienza, guardi il mondo per quello che è, non per odiare, ma per amare i fratelli di più, per capirli di più, per essere per loro, col cuore, dei padri e delle madri. Ma non si riuscirà ad amarli, i fratelli, se non si capisce il mondo, se la stima, se il giudizio che noi dobbiamo dare del mondo non è di una assoluta franchezza, di una limpidissima e dura chiarezza, senza mezze misure, senza riduzioni, senza letti di Procuste, senza commedie di alto inganno. Difendendo la vostra orazione, difendete la vostra vita, difendete la vostra fede e il vostro merito!