SESTA PETIZIONE
” Non c’indurre in tentazione „.
[G. Perardi: LA DOTTRINA CATTOLICA – LA GRAZIA VOL. III; L.I.C.E. ed. Torino, 1931 – imprim. ]
SOMMARIO: 1. – Introduzione; il peccato, il più gran male ed oggetto di tre petizioni. La tentazione. — 2. – CHE COS’È LA TENTAZIONE. — 2. – La tentazione come prova. — 3. – Le vere tentazioni; per indurre al male. — 4. – Tre fonti di tentazione: 1) la concupiscenza; donde essa proviene; 2) il demonio; perché odia l’uomo; 3) il mondo col suo spirito e massime. — 5. – PERCHÈ DIO PERMETTE LA TENTAZIONE. Dio la permette perché: 1) non era conveniente che Egli impedisse le conseguenze del peccato, per essa glorifichiamo Dio; 2) meritiamo pel Paradiso; 3) ci formiamo all’umiltà; 4) ci attacchiamo meglio alla virtù. — 6. – Ciò che chiediamo colla sesta petizione, in ordine alla tentazione. — 7. – Come non era utile che Dio ci liberasse dalla tentazione. — 8. – DOVERI NOSTRI: In ordine alla tentazione, dobbiamo: 1) temerla e perciò fuggire le occasioni; 2) opporle la sobrietà e la vigilanza; 3) lo spirito di fede; 4) e la preghiera. — 9. – Conclusione. Come comportarsi prima, durante e dopo la tentazione.
1. -Il peccato, ed è facile intenderlo, è il maggior male, anzi si può dire l’unico vero male dell’uomo, poiché solamente pel peccato, l’uomo è distolto da Dio suo ultimo fine e avviato alla perdizione. Del peccato, quindi, l’uomo deve seriamente preoccuparsi più che di ogni altra cosa. Ecco perché il peccato è, in qualche modo, oggetto del Pater in varie petizioni. Con la quinta se ne chiede la remissione in quanto commesso e appartenente perciò alla vita passata; con la sesta si chiede di non ricadervi nella vita avvenire soccombendo alla tentazione e infine anche con la settimana se ne chiede la liberazione come di ogni altro male. – Come la causa più ordinaria per cui si cade in peccato, è la tentazione, Gesù Cristo ha voluto che la tentazione come causa del peccato, fosse oggetto di una petizione determinata, speciale: Non c’indurre in tentazione. Giova quindi che intendiamo bene che cosa s’intenda per tentazione, perché Dio la permetta e quali siano i mezzi principali di cui dobbiamo usare per evitarla e per non soccombere in essa.
2. – Che cosa sono dunque e in che cosa consistono le tentazioni e donde esse realmente provengono? Considerate che sotto il nome di tentazione, si possono intendere due cose: cioè la prova dolorosa della virtù, e un’azione tendente a far cadere in peccato. Iddio permette talora delle sventure e delle tribolazioni anche gravi a prova della virtù, a perfezionamento dei giusti, a maggior merito pel cielo, prove che prendono impropriamente il titolo di tentazioni. Così ad esempio vedete Giuseppe il casto in Egitto. Egli resiste risolutamente alle lusinghe e agli allettamenti della empia egiziana, della indegna moglie di Putifarre. E in ricompensa della sua generosa virtù egli ha la prigione. Prova dolorosa e tentazione della sua virtù, in quanto verrebbe spontaneo dire: Ma dunque non era meglio per lui se non fosse stato fedele a Dio, osservatore forte dei comandamenti?… che giustizia di Dio è questa? Permettere che la virtù, perché virtù, finisca in prigione e trionfi invece la calunniatrice indegna? Altro esempio eloquente di questa prova, è Tobia, il giusto, il quale a Babilonia, di giorno raccoglie i cadaveri degl’infelici Ebrei morti, e nella notte dà loro pietosa sepoltura. Nell’esercizio della sua pietà egli perde la vista. Ebbene l’arcangelo Raffaele dopo averlo guarito per mezzo del figlio di lui Tobiolo di ritorno da Gabes, col fiele del pesce, gli disse: Perché eri accetto a Dio fu necessario che la tentazione ti provasse. Queste e altre simili prove — quali subirono Abramo quando Dio gli chiese il sacrificio d’Isacco, Giobbe quando precipitò nella sventura perdendo ogni bene, la famiglia e la salute, Susanna quando rifiutando di acconsentire alle malvagie richieste dei vecchioni, da loro calunniata fu condannata a morte — queste e altre simili prove, che tutti abbiamo più o meno a subire, sono chiamate tentazioni in senso improprio, tentazioni solo in quanto mettono a dura prova la virtù e la rassegnazione del giusto; ma esse non sono vere tentazioni nel senso che ne parliamo noi ora.
3. – Vere tentazioni invece sono quelle che direttamente, o indirettamente ci eccitano a trasgredire i santi Comandamenti, a venir meno ai nostri gravi doveri di uomini e di Cristiani. Chi, in vita sua, non ha provato il peso e la lotta della tentazione? C’è per tutti quel momento in cui, senza saperne il perché, si sente come una spinta che porta al male verso cui già si è inclinati e specialmente verso taluno dei sette vizi capitali; in cui si sente un peso indicibile del dovere, di certi punti della legge di Dio, quasi una ripugnanza a fare ciò che si deve. Sono queste le vere tentazioni che costituiscono la lotta e il combattimento del soldato di Gesù Cristo; tentazioni da cui nessuno, assolutamente nessuno, va pienamente esente, non il peccatore, non il giusto; non il fedele che vive nel mondo, anzi neppure il solitario che vive nel deserto e nel chiostro. Bambini si ondeggia fra il dire o non dire la verità, tra il prendere o non, un frutto, un dolce proibito. Si è alle prime lotte, alle prime tentazioni. Quante battaglie poi nel corso della vita! E nell’estrema ora, in punto di morte si sentirà ancora la voce della tentazione: tendente a impedire i conforti religiosi, a contendere la fiducia in Dio, a risvegliare il ricordo d’ingiustizie ed offese patite, a ridestare colpevoli rimpianti di malvagie soddisfazioni. Ci avverte lo Spirito Santo che c’è per tutti il tempo della pace e il tempo della guerra (Eccl., III, 8). S. Gerolamo commentando queste parole ci dice che il tempo della guerra spirituale è per noi tutti il tempo della vita presente, tempo di guerra per la virtù esposta ad ogni assalto di tentazione, e che tempo della pace sarà solamente l’eternità dove non vi sarà più lotta né combattimento, l’eternità beata del cielo detto celeste Gerusalemme, che significa appunto visione di pace. – Giobbe avvertiva dai suoi tempi che la vita dell’uomo sulla terra è milizia. Esercito richiama il pensiero alla guerra, perché è costituito essenzialmente per la difesa e per la salvezza della patria. Milizia è la nostra vita perché in essa dobbiamo sempre sostenere la lotta della tentazione.
4. – Donde provengono a noi le tentazioni? Perché siamo così inclinati e tentati al male? Tre sono le cause della tentazione, e cioè la concupiscenza nostra, il demonio e il mondo stesso.
1) In prima la nostra concupiscenza. Considerate: sono in noi come due forze, due potenze, due energie contrarie di cui una ci spinge al bene, l’altra al male; per una parte noi ammiriamo tutto ciò che è bello, nobile, santo, generoso; e dall’altra parte ci sentiamo spinti e attratti al male, dalle passioni, dal vizio. Per non caderci è necessaria una lotta forte, generosa. Sembra quasi che in noi siano due persone, due anime; una buona, amante del bene, cattiva l’altra, amante del male. Tutto ciò è conseguenza del peccato originale col quale tutti nasciamo, il quale (come si è spiegato a suo tempo) è l’eredità che ci proviene dai nostri progenitori. Dopo la loro colpa Dio discese nel paradiso terrestre; li chiamò al suo tribunale, li interrogò, li giudicò, pronunciò la sentenza di condanna. La maledizione della terra fu una figura della maledizione che colpì tutta l’umanità; la terra, abbandonata a sé, non produce che triboli e spine; solo a prezzo di grandi fatiche, d’intensi lavori essa dà all’uomo i frutti che gli abbisognano per vivere. Così la natura dell’uomo, l’uomo in corpo e anima, spogliata di tutti i doni soprannaturali in conseguenza del peccato, fu inclinata al male e per sé non produce che opere cattive; non produce opere buone anche solo di ordine naturale, se non con sforzo e sacrificio. La natura decaduta inclina e spinge al male; le passioni sregolate non danno tregua e si agitano e ci combattono continuamente, il fuoco della concupiscenza non si estingue mai.
2) Si aggiunge l’azione del demonio che continuamente aizza e fomenta in noi le passioni e ci suggestiona al male. Egli non parla al nostro orecchio; parla invece all’anima nostra suggerendoci ed eccitandoci al male. Esso continua contro di noi l’opera sua satanica riuscitagli contro il primo uomo. – Ma perché, domanderete voi, il demonio è nemico del nostro bene e ci tenta al male? che male gli abbiamo fatto noi? Nessuno; ma egli ci tenta al male ed è avversario nostro perché è nemico di Dio, di cui siamo figli adottivi. – La storia, — e pur troppo anche la cronaca degli ultimi anni — ricordano che uomini malvagi, odiando un nemico e non potendo colpirlo direttamente, lo colpirono negli affetti, facendo del male ai suoi cari, ai suoi figli, alla sua sposa. Così fa il demonio: egli odia Dio; non potendolo colpire in nessun modo, tenta di sfogare su noi l’odio suo, perché siamo figli di Dio, sue immagini vive, oggetto del suo paterno amore, e perché destinati a glorificarlo godendolo eternamente in paradiso. Il demonio ci odia, inoltre, perché noi siamo il prezzo della redenzione di Gesù Cristo. Ed ecco che, come ricorda S. Pietro, esso quale leone ruggente va attorno cercando chi divorare (1 di S. Pietro, V, 8, 9). Conoscete la forza e l’astuzia del leone detto il re degli animali? Ebbene, per la forza e per l’astuzia, a lui rassomiglia il demonio. – Vedetelo nel paradiso terrestre dove si presenta ad Eva. Non le si presenta nella sua bruttezza, no; non presenta subito il peccato nella sua gravità; si limita a domandar ad Eva perchè non si nutra, né mangi un dato cibo. Poi getta un dubbio sulla parola di Dio, sul castigo da Lui minacciato; fa balenare alla mente della donna incauta una grandezza, una scienza che essa ora non ha (Cf. nel Credo, la caduta di Adamo). Così fa anche ora con noi, egli non si presenta quale demonio; invece, assume la qualità di un amico, di un libro, di una figura, di un divertimento; propone un piacere. Dio l’ha proibito! « Ma sarà vero? e perché poi? non sei uomo? non hai diritto di conoscere, di sapere, di gustare? — L’Inferno! Ma ci sarà poi?… e non è Dio infinitamente buono? e in ogni caso, avrai tempo di confessarti, di ottenerne il perdono.
3) E poi il mondo che, coi suoi beni, colle sue massime, pompe e vanità, costituisce un’altra fonte di tentazione e di cui pure il demonio si serve per suggestionarci al male. Le ricchezze che eccitano di sé così vivo desiderio, i piaceri che appagano i sensi e le passioni, compagnie che operano come emissari e delegati del demonio, spettacoli e divertimenti fatti per suscitare più vive le passioni, stampe e figure che sono un eccitamento continuo al male. Il mondo, in una parola, che sempre distoglie dal bene e spinge al male offrendone i piaceri.
5. – Direte, perché Dio permette la tentazione?
1) Considerate che non era conveniente Dio impedisse le conseguenze del primo peccato; conseguenze che sono in noi concupiscenza e passioni disordinate, arma del demonio per tentarci al male. Alla bontà di Dio, bastava apprestarci i rimedi e gli aiuti opportuni per vincerle; il che Egli ha fatto. Onde per nostro ammaestramento e incoraggiamento, anche Gesù Cristo ha voluto essere tentato, e nella tentazione noi ricaviamo dei beni segnalati. Infatti, per la tentazione noi glorifichiamo meglio Iddio ed Egli meglio vede la nostra fedeltà. Che gloria renderemmo noi al Signore quando la nostra sottomissione e il servizio che gli dobbiamo, non ci costassero nessun sacrificio o sforzo? La fedeltà è come l’amore; è nelle prove che si conosce e si distingue dalle promesse e parole che non costano nulla. Quando si è nella gloria e nella prosperità, quanti si professano amici! Ma nell’ora della sventura, del dolore molti spariscono. Questa è l’ora che distingue i veri dagli apparenti amici. Così Iddio ci riconosce veramente suoi quando noi non colle sole parole, ma coi fatti generosi, col rifiuto alle suggestioni del demonio, agli allettamenti esterni e del senso, gli diciamo « Signore, sono vostro, vi amo e vi servo ». Ci riconosce per suoi quando coi fatti e, se occorre, anche con le parole, diciamo al demonio : « Vade retro, via, satana, tu coi piaceri, con le soddisfazioni, con le vanità, coi peccati che mi proponi, Dio comanda e proibisce; a Lui obbedisco anche con sacrificio ». – Come il capitano si compiace del soldato che fortemente combatte, così il Signore si compiace del Cristiano che resiste e lotta da valoroso le battaglie spirituali. Il Signore si manifestò un giorno a Santa Caterina da Siena dopo ch’ella aveva subito una forte tentazione. Essa, se ne lamentò fiduciosamente col Signore: Dov’eravate Voi mentr’io era in sì gravi angustie? E il Signore, amorevolmente: Io ti era vicino, e ti osservavo con gioia e compiacenza. Pensiero di grande conforto! Quando noi resistiamo al demonio, quando rifiutiamo i suoi suggerimenti… il Signore ci è vicino… ci guarda… e si compiace di noi, dei nostri sentimenti.
2) Il paradiso dev’essere non solamente dono e grazia del Signore, ma anche merito nostro. Meritiamo con tutte le opere buone; ma quanto maggiormente meritiamo mantenendoci buoni e operando bene a dispetto degli allettamenti e dei suggerimenti del demonio, quando combattiamo risolutamente le sante battaglie del Signore e della sua giustizia! – Il soldato è benemerito della patria, specialmente quando nella lotta affronta disagi, pericoli, quando per essa espone coraggiosamente anche la vita. Così il Cristiano merita bensì con ogni opera buona, ma merita specialmente quando sopporta energicamente la lotta e ne riporta bella e nobile vittoria.
3) Funesta passione è in noi la superbia, per la quale tentiamo d’innalzarci indebitamente; virtù difficile e pur necessaria l’umiltà per la quale riconosciamo il nostro nulla e il bisogno che sempre abbiamo di Dio, de’ suoi aiuti e delle sue grazie. La tentazione ci umilia sia per le brutture al cui pericolo ci espone e che ci propone, sia facendoci sentire la nostra incapacità a vivere, da soli, una vita nobilmente onesta. E quindi la tentazione ci forma all’umiltà, alla diffidenza di noi facendoci sentire come da noi soli non possiamo nulla, siamo deboli e, abbandonati a noi, saremmo tosto dei vinti. Ci forma alla confidenza umile nel Signore, il quale ci ha promesso — solo che noi facciamo ciò che dobbiamo e ne lo preghiamo — la vittoria. Da ciò il pensiero consolante di S. Bernardo, che il demonio è debole e non può vincere se non chi vuol esser vinto. E osservava S. Gerolamo a proposito della tentazione di Gesù Cristo: Il demonio gli disse: Gettati giù; ma non lo gettò egli stesso; così non può ora che suggerirci, eccitarci al male, ma egli non può mai farcelo commettere.
4) Un altro segnalato vantaggio ci apporta la tentazione, ed è di farci amare di più la virtù. Pare assurda quest’affermazione; eppure essa risponde a verità; e la potete riconoscere facilmente da un semplice paragone. Se date ad un bambino una cosa che gli piaccia, egli la tiene stentatamente in mano. Ma se fate per riprendergliela, allora con energia con tutte due le mani egli la stringe a sé, la difende. Guardate quello che si fa delle cose di valore; finché non c’è pericolo si lasciano incustodite, ma se c’è qualche pericolo, con che diligenza si custodiscono, e si osserva se le chiavi chiudano, se i mobili in cui sono riposte siano ben solidi. Così è della virtù. Per essa si è, spesso, trascurati; ma se colla tentazione il demonio fa per rapircela, allora si lotta, allora si difende risolutamente. Non si sono vedute giovani anche leggere, che esposte alla lotta decisa, trassero dall’intimo dell’anima energie e risoluzioni che parea follia attendere da esse? – Ecco perché il Signore permette che noi siamo tentati, per farci del bene, per conoscere la nostra vera fedeltà, per farci meritare, per formarci all’umiltà, alla diffidenza di noi e alla confidenza in Lui, per farci amare di più la virtù riguardandola anche un po’ come merito e conquista nostra, come frutto delle nostre generose vittorie. Ed è perciò che i più gran Santi furono anche i più tentati, e la loro santità fu pure frutto e merito delle loro vittorie. Anche S. Paolo andò lungamente soggetto alla tentazione, e tre volte pregò instantemente il Signore di liberamelo. E il Signore si degnò rispondergli che doveva bastargli la grazia sua divina, che nella lotta la virtù si perfeziona (II ai Cor., XII, 8, 9). Ricordatelo a vostro conforto; la virtù si perfeziona nella lotta della tentazione.
6. – Orbene, in ordine alla tentazione che cosa chiediamo a Dio colla sesta petizione del Pater?
1) Per intendere il valore della petizione è necessario che conosciamo il significato della parola indurre. Prendendo materialmente questa parola, taluno potrebbe pensare che Dio direttamente induca l’uomo nella tentazione, quasi che egli stesso realmente lo tenti [Come anche recentemente hanno affermato alcuni ignoranti a-cattolici (i soliti servi dell’anticristo?) che vorrebbero finanche sostituire il termine biblico! – ndr. -]. Dio non ci induce nessuno in tentazione, in quanto Egli ci spinga o proponga il male; la tentazione in questo senso non è mai opera di Dio, ma del demonio, delle nostre passioni e del mondo, Egli c’induce in tentazione solamente in quanto potrebbe bensì impedirla e non l’impedisce, in quanto talora permette anche la tentazione e la caduta come giusta punizione di altri peccati e specialmente di eccessiva confidenza in se stessi e nelle proprie forze e risoluzioni. L’espressione della lingua ebraica non distingueva la cosa permessa e il fine voluto o solo tollerato, dalla conseguenza non voluta (cfr. in S . LUCA, IV, la parabola della semenza : « per via di parabola affinché guardando non vedano e ascoltando non intendano » ).
2) Da ciò è facile intendere il valore della petizione. Con le sole nostre forze noi non possiamo resistere sempre vittoriosamente né alle tentazioni della concupiscenza, né a quelle del demonio, né a quelle del mondo. Talora la forza della concupiscenza, la suggestione del demonio e l’attrattiva del mondo coi suoi beni, piaceri e gloria, è più potente delle nostre energie ; ed è tale forza che ha dato occasione agli uomini i quali non pensano né confidano nella grazia di Dio, di dire che a certe colpe l’uomo non può resistere, e quindi essi le considerano solo come debolezze se pure non le dicono persino necessità di natura. – Ammaestrati da Gesù Cristo noi, con le sue parole stesse, ci rivolgiamo a Dio Padre e lo preghiamo di non abbandonarci, ma di darci forza contro tutte le tentazioni perché non soccombiamo mai in esse e invece ne usciamo sempre vittoriosi.
7. – Ma sarebbe stato meglio che Dio ci avesse sottratti pienamente alla tentazione? Abbiamo già sostanzialmente risposto a tale domanda. Ma considerate ancora come nell’ordine naturale delle cose, Dio non poteva sottrarci alla triplice tentazione se non con un miracolo continuo o con un cambiamento soprannaturale dello stato a cui il peccato condusse l’umanità. E ciò non fu ritenuto conveniente dalla Divina Provvidenza. Ciò non era necessario poiché la grazia sua, in unione all’opera nostra, è sempre sufficiente a darci la vittoria. – Ma non era neppure conveniente come già si è accennato, né utile per noi poiché la tentazione : a) ci dà la coscienza del nostro nulla, della nostra debolezza e fragilità; b) c’indirizza a staccare il cuore da questa terra, da questa vita esposta a tanti e così gravi pericoli; c) ci forma alla carità fraterna poiché esposti tutti ai medesimi pericoli, agli stessi combattimenti; d) suscita in noi non disprezzo ma carità sincera per i fratelli caduti poiché anche noi possiamo sempre cadere; e ci anima a stender loro fraternamente la mano per rialzarli come la vorremo tesa a noi.
8. – Quali sono i nostri doveri in ordine alla tentazione e che cosa dobbiamo fare per non cadere in essa? Ritenete ben chiaro che nella tentazione Iddio ci accorderà sempre il suo aiuto; ma che Egli esige anche la nostra azione e cooperazione, sia per tener da noi lontana la tentazione non dandovi volontariamente causa, sia per superarla. Giova dunque ricordare specificatamente ciò che Dio esige da noi in ordine alla tentazione o che cosa noi dobbiamo fare per riuscirne, con la grazia sua, sempre vittoriosi.
1) In prima dobbiamo temere ragionevolmente la tentazione. Temete prudentemente la tentazione, diffidate di voi per non presumere delle vostre forze, per non esporvi spensieratamente ai pericoli. Persuadetevi; la tentazione è cosa grave se ne deve avere un salutare timore. Se della tentazione si ha un giusto e prudente timore, non la si provoca mai, non c i si espone quindi senza grave necessità al suo pericolo, e se ne evitano pertanto le occasioni. Se ai giorni nostri sono tanti i vinti della tentazione, una delle principali cause è appunto questa, perché non si teme la tentazione, si ha eccessiva fiducia in sé e quindi non si evitano, non si fuggono le occasioni. Persuadiamoci; la vittoria della tentazione è una grazia del Signore; ma il Signore non dà la grazia a chi volontariamente si espone al pericolo. È forse gloria del Signore accordare grazie straordinarie per la vittoria del presuntuoso? Non è forse l’onore stesso della grazia che esige che sia accordata solamente a chi se ne rende degno e non serva mai di pretesto alla temerità umana, di premio alla presunzione superba? – Quante giovani si sarebbero mantenute virtuose se avessero evitato le occasioni pericolose dei divertimenti, balli, teatri, cinematografi… Quanti giovani avrebbero conservato il tesoro della fede se avessero evitato le cattive compagnie, letture… Là il demonio fu di loro vittorioso, perché là c’era l’occasione cattiva a cui essi volontariamente si esposero.
2) Non basta; contro la tentazione, S. Pietro ci dice: Siate sobrii e vigilate » (I Lett., V, 8). La sobrietà ossia la temperanza nel mangiare e nel bere, si può considerare sotto vari aspetti; qui l’Apostolo la propone in riguardo alla tentazione del demonio contro cui bisogna essere vigilanti. Per essere vigilanti bisogna essere sobrii; non può vigilare chi si abbandona all’eccesso nel mangiare e nel bere. Il corpo soverchiamente pieno di cibo e di bevande è portato all’indolenza e al sonno, è reso incapace di seria vigilanza. Nella guerra, per quanto è possibile, si tagliano i viveri ai nemici. Mangiare e bere largamente, più del necessario, è alimentare le nostre passioni, i nostri nemici; ed è perciò che Gesù Cristo avvertì che c’è un genere di demoni che si vince solamente col digiuno e con l’orazione. Le tentazioni del senso non si vincono senza mortificazione. Il corpo troppo sazio ubbidisce al senso, alle passioni, al demonio e non all’anima.
3) Al demonio nelle tentazioni, ci esorta ancora S. Pietro, a resistere « forti nella fede » (lbid., 9), pensiero a Dio sovrano e supremo Signore nostro che ci ha intimato la sua legge, a Dio a cui saremmo ribelli accettando la proposta del demonio, a Dio che è Padre amorosissimo di cui calpesteremmo l’amore, a Dio che in premio dell’ubbidienza ci promette il Paradiso e che per la disubbidienza ci minaccia l’Inferno eterno. Forti nella fede! Ed ecco la realtà della situazione nostra… Noi qui sulla terra, tra Paradiso e Inferno, tra l’eterna beatitudine e gli eterni tormenti, tra la felicità e la più tremenda sventura… Ascolteremo il demonio?… Ascoltandolo noi rinunzieremmo al Paradiso, a Dio, alla beatitudine e meriteremmo l’Inferno e gli eterni suoi tormenti. E per che cosa, poi?… È questo il pensiero che noi non meditiamo abbastanza, che anzi non ricordiamo neppure. A qual prezzo il peccatore rinunzia al paradiso e merita l’inferno? Fu ben stolto Esaù che per un piatto di lenticchie vendette al fratello il diritto della primogenitura; ma il poveretto aveva un’attenuante, egli aveva fame… Sarebbe ben sciocco l’uomo che per un meschino e momentaneo piacere, facesse getto d’un vistoso patrimonio; sarebbe sciocco colui che per una gemma di vetro desse una grande somma. Ma non è questo il contratto che il demonio con la tentazione propone all’uomo?… Egli infatti gli dice: « Eccoti una soddisfazione; prendila. E per essa rinunzia al Paradiso, alla tua qualità di figlio di Dio… e divieni mio schiavo per condividere poi un giorno con me tormenti eterni ». Tremendo mercato che nessuno farebbe certamente se vi riflettesse; se un raggio di fede brilla alla nostra mente, no, nessuno di noi ascolta il demonio, il mondo, il senso, nessuno si dà a loro, vinto.
4) Infine, mezzo indispensabile è la preghiera. « Chiedete e otterrete » (S. MATT., VII, 7) ci dice Gesù Cristo. La vittoria nelle tentazioni è opera nostra e grazia del Signore; alla tentazione resistiamo forti nella fede e chiediamo al Signore grazia e aiuto. Nella guerra ricevere rinforzi, conforta, rianima, incoraggia. Ebbene nella nostra guerra spirituale, chiediamo al Signore, e allora gli aiuti e, se così volete chiamarli, i rinforzi per la vittoria nostra verranno proporzionati sempre al nostro bisogno. Si prega tanto per ogni necessità temporale; si prega per la guarigione, si prega per vincere la lite, pel buon esito di ogni interesse. Preghiamo noi per motivi migliori, per cause più importanti, per la vittoria nelle tentazioni. Quando recitiamo il Pater pensiamo di più a ciò che chiediamo; e le parole: Non c’indurre in tentazione, siano veramente supplica del cuor nostro a Dio, perché ci liberi e ci dia la vittoria della tentazione.
9. – Siccome l’argomento di questa petizione è essenzialmente pratico in ogni giorno e quasi in ogni ora della vita, conviene riassumere almeno in poche parole come dobbiamo comportarci in riguardo alla tentazione.
Prima; bisogna non solo non esporsi alle tentazioni, ma non darvi mai occasione, e quindi evitare tutto ciò che può suscitare od eccitare le passioni; essere vigilanti sui nostri sensi, sulle parole, sugli sguardi.- evitare compagnie, letture e divertimenti e cose che possono fomentare le passioni; moderare tutti gli onesti piaceri sensibili del gusto, del tatto, del riposo stesso. E fortificarci spiritualmente, poiché sappiamo di dover sempre lottare, come il soldato cura le sue forze ed armi per essere preparato a vincere e non ad essere vinto. Ci si fortifica coi Sacramenti, con la pietà, con la meditazione, con la vita cristianamente morale e religiosa.
Durante la tentazione,- mantenere grande serenità e tranquillità di spirito; elevare il pensiero a Gesù Cristo, a Maria Vergine. Anzi, ponetevi allora nette e chiare due questioni. Ecco: a) il demonio mi propone questo; Gesù Cristo me lo proibisce; a chi voglio dar retta, chi ascoltare? Se non ascolto Gesù Cristo, morto per me sulla Croce, io, per quanto sta da me, gli rinnovo la Passione e morte; V) Proponendomi ciò il demonio mi offre un piacere, una soddisfazione come prezzo per la rinunzia al Paradiso e per accettare l’Inferno; voglio dunque vendere il Paradiso, e accettare l’Inferno per tali miserabili soddisfazioni? Se vi riflettete un momento, indirizzerete tosto un’invocazione a Maria Vergine e la vittoria sarà pronta, immediata e totale. Aggiungo che non si raccomanda mai abbastanza al Cristiano di ricorrere, nella tentazione, alla preghiera. Quando il demonio ci tenta, non cadiamo mai vinti, né egli ci supera mai se ricorriamo alla preghiera. Quando s’invocano devotamente i nomi di Gesù e di Maria, il demonio fugge: dopo tale invocazione non è possibile dar retta al demonio, praticare i suoi suggerimenti, commettere il peccato, offender Dio. Così pure è molto conveniente usare, se è possibile, nella tentazione dell’arma potentissima della croce. Dopo, non pensarci più, per nessun motivo, ma limitarvi ancora ad una domanda: Il Signore è contento di me, è contento per il modo con cui mi sono comportato in questa lotta? E se non lo è pienamente che cosa debbo promettergli per l’avvenire? Ecco ciò che vi debbo suggerire come pratica e frutto della istruzione d’oggi, assicurandovi — e l’esperienza vi confermerà pienamente la mia parola — che se vi comporterete in tal modo, la tentazione non sarà mai per voi causa di peccato ma occasione di virtù e quindi di grandi meriti, e vi otterrà maggiori benedizioni dal Signore e un giorno maggior gloria in Paradiso.
Esempi, Similitudini, Note, ecc.
Il demonio tentatore. — Lo Spirito Santo ascrive chiaramente alla tentazione del demonio l’origine prima della caduta di Giuda e della menzogna di Anania e Saffira. – A proposito di Giuda scrive San Giovanni : « E fatta la cena, poiché già il diavolo a Giuda di Simone Iscariota aveva messo in cuore di tradirlo, ecc. S. GIOVANNI, XIII, 2). Nei primi tempi della Chiesa la carità suggeriva a molti Cristiani i quali possedevano qualche cosa, beni, case, ecc., di vendere tutto e metterne il prezzo in comune, consegnandolo agli Apostoli; e si distribuiva a ciascuno secondo che n’avesse bisogno. A tal consegna però nessuno era tenuto: ognuno la faceva liberamente. Or Anania e Saffira vendettero un podere; e convennero tra loro di portarne una parte agli Apostoli e ritener l’altra per sé, dicendo d’aver venduto il podere a un prezzo inferiore. E S. Pietro disse ad Anania: Come mai satana tentò il tuo cuore da mentire allo Spirito Santo e ritenere del prezzo del campo? Mentre l’avevi non restava forse a te? Anche venduto, non rimaneva a tua disposizione? Non hai mentito a uomini, ma a Dio. Anania, all’udir tali parole, cadde e spirò. La stessa sorte toccò alla moglie di lui, Saffira, che aveva confermato la bugia, come si era stabilito d’accordo col marito (Atti, V). — Anche la caduta di Adamo e di Eva, come si è visto a suo tempo, ebbe origine dalla tentazione formale e aperta del demonio. Il tentatore è come legato. —, Con questa similitudine S. Agostino cerca di darci un’idea del potere che hanno i demoni per tirarci al male. – Un cane legato alla catena può abbaiare e far paura, ma mordere o far del male non può, se non a coloro che gli vanno vicini. Così è del demonio: egli può tentarci, provocarci, metterci paura, ma farci cadere nel peccato non può, se noi non vogliamo. Ora, come noi daremmo dello stolido a chi si fosse lasciato mordere da un cane rabbioso, legato alla catena, così dobbiamo dare dell’imprudente a chi si accosta al demonio con l’ascoltarne le tentazioni, o, peggio ancora, col mettersi volontariamente nelle occasioni e nei pericoli di peccare (compagni, giuochi, osterie, ecc.). – State lontani da queste cose, e, se tuttavia siete tentati, ribattete prontamente le tentazioni, dicendo: « Non voglio ». Pregate, invocate Gesù e Maria, e il diavolo non potrà mai farvi peccare (ROSATI, Esempi). Dov’eravate, Signore? — Si racconta nella vita di S. Caterina da Siena, ch’essa un giorno lottò lungamente contro il demonio per una fortissima e lunga tentazione. Riuscita a superarla, essendosi a lei manifestato il Signore, essa se ne lagnò amorevolmente con lui e gli domandò: Dov’eravate mentre io era così tentata e lottava contro il demonio? E il Signore le disse: Ero vicino a te; mi compiacevo della tua virtù e ti sostenevo con la mia grazia.
Astuzia del demonio. — L’orso è assai ghiotto del miele, tanto che il solo odore lo attira anche da grandi distanze. Perciò, a catturare gli orsi, si usa spesso esporre del miele intriso di acquavite, nei punti che l’orso suole frequentare. Così, quando l’orso ha divorato il miele, diviene ubbriaco e può facilmente essere ammazzato a bastonate, poiché nella sua ubriachezza si stordisce talmente che non è capace di difendersi. — Similmente fa con noi il nemico infernale: egli ci presenta le cose e i piaceri peccaminosi come seducenti: a cose fatte ci accorgiamo subito di essere stati ingannati, ma intanto il nemico ci ha spogliati della vita dell’anima.
— Il demonio è come un pescatore, che getta nell’acqua la rete o l’amo, e in cui s’impigliano quei pesci soltanto che vogliono incapparvi, invece che fuggire l’insidia. Il demonio può bensì influenzare la nostra fantasia e la nostra mente; tuttavia non può influenzare immediatamente il nostro intelletto e la nostra volontà, violentando il nostro consenso. (SPIRAGO).
Dove il diavolo dorme. — Essere tentati è, di per sé, un buon segno. Come infatti i cani non abbaiano agli uomini di casa, ma agli estranei, così il demonio non si preoccupa tanto dei peccatori, perché sa di averli in suo potere, mentre agli uomini pii dà continuamente molestia. Sant’Efrem ebbe in proposito questo sogno: Gli pareva di esser giunto ad una grande città corrotta, e di vedere sulla porta il diavolo sdraiato e sonnecchiante, che, soltanto di quando in quando apriva gli occhi per guardare pigramente all’intorno. Poi Efrem si allontanava dalla città e veniva nel deserto: ivi trovava un eremita e intorno a lui c’era un intero esercito di diavoli. Di che esasperato Efrem gridò: « Non vi vergognate, spiriti maligni, di essere in tanti contro uno, mentre in quella grande città ve ne è uno solo, che sonnecchia? ». Gli risposero: « Già: nella città non abbiamo da darci fatica e anche il diavolo che vi sta, è quasi di troppo; qui invece siamo ancora troppo pochi, poiché questo sant’uomo ci fa toccare sempre delle grandi batoste ». — Chi dunque non ha tentazioni o non le sente più, sta in realtà assai peggio di chi le soffre (Id.).
Mezzi eroici. — Vi sono Santi che sono ricorsi a rimedii eroici per superare le tentazioni della carne e del demonio. S. Martiniano da ben 28 anni viveva una vita molto austera, quando ebbe a sostenere fortissime tentazioni contro la purità; e poiché esse non cessavano, il Santo accese un fuoco e vi stese entro una gamba; il dolore lo faceva strillare, ma egli diceva a se stesso: « Se non posso neppure tollerare un sì debole fuoco, come potrei sopportare il fuoco dell’Inferno, in cui il peccato mi precipiterebbe? ». Da quel momento si trovò libero dalle sue tentazioni: infatti gli stessi dolori del piede, non gli permettevano più nemmeno di avvertire i pensieri cattivi. — Nella tentazione non è necessario certamente ricorrere a mezzi sì eroici ed estremi: basta che ci ricordiamo delle nostre ultime cose, della morte, del giudizio e via dicendo. La sacra Scrittura medesima c’insegna: « Pensa alle tue ultime cose e in eterno non peccherai ». (Eccli. VII, 40).
Benedetto, contro le medesime gravi tentazioni si avvoltolò nudo in un cespuglio di spine e di ortiche, uscendone tutto insanguinato. Ma da quel punto egli andò libero da ogni tentazione del senso, com’egli stesso disse poi ai suoi discepoli. S. Tommaso d’Aquino, ancor giovanetto, aveva deliberato risolutamente di entrare nell’ordine dei Domenicani; i suoi parenti però misero in opera ogni sorta di mezzi per distoglierlo da quel proposito. Un giorno lo rinchiusero in un’alta torre del castello paterno, e introdussero nella sua camera una donna perché lo traesse al male. Tommaso cercò dapprima di fuggire; ma vistosi rinchiuso da ogni parte, afferrò dal camino un tizzo ardente e con esso costrinse la sfacciata donna a fuggire.