GNOSI: TEOLOGIA DI sATANA (14) – GNOSI E BUDDISMO -2-

GNOSI: TEOLOGIA di Satana (14)

“omnes dii gentium dæmonia”

GNOSI E BUDDISMO

Sulla strada della seta.

Il buddhismo è nato nel III secolo della nostra era nei reami greco-sciti e parti della Bactriana, nel nord dell’India. San Tommaso Apostolo aveva evangelizzato questa regione, Mani vi ha insegnato la sua dottrina gnostica e da questo III secolo il buddhismo si diffonde in tutta l’Asia centrale lungo le due strade della seta che collegano questa regione alla Cina, l’una circondante il nord del deserto centrale e del deserto del Gobi, l’altra che si snoda lungo la parte meridionale della catena dell’Himalaya ed il Tibet. – Ciò che occorre rimarcare innanzitutto è che nelle città di accesso da cui si dipartono queste due strade, sorgono monasteri costruiti in questa epoca. Lo stile, gli ornamenti, i bassorilievi, le pitture di questi edifici sono state ritrovate nel XI secolo tra le rovine. Si rileva l’impronta di un’arte iraniana, che ha subito l’influenza greca e romana. Gli artisti sono venuti dalla Siria, il Buddha vi conserva i caratteri dell’arte di Gandhara. – A Miran, nel sud del Lobnor, un antico santuario buddhista ci ha conservato degli affreschi degni di Pompei. Abbiamo la sorpresa di scoprirvi un Buddha accompagnato dai suoi monaci, personaggi imberbi con un copricapo frigio, geni alati, quadrighe. Il nome del pittore è Tita. Lo stile è romano e siriaco: « Bisogna concluderne – dice Victor Goluobov, che il pittore sia un artista formato in qualche laboratorio di Antiochia o di Bactriana? » – Gli apostoli del buddhismo che penetrano in Cina sono dei Parti o ancora degli indo-Sciti, di cultura iraniana e greca, venuti dall’Afganistan. La prima comunità buddhista installata a Lao-Yang (Ho-nan-fou), la capitale dell’impero cinese, è stata fondato da un Parto. Scoperte ancora più sensazionali vengono ancora a mostrare, in un gran numero di monasteri buddhisti dell’Asia centrale le prove della loro origine manichea. – A. Von le Coq, all’inizio del novecento, ha percorso la strada della seta a nord del deserto, nella regione del Tourfan. Questo paese era occupato nel VII ed VIII secolo da un popolo misto di elementi sciti, iraniani, turchi, gli Uiguri. La loro capitale Chotcho, oggi chiamata Kao-Tchang, o Karakhoja, fu visitata da Albert Von le Coq che passava da sorpresa in sorpresa. Egli trovò un’alta piramide a tre piani, comprendente sei nicchie che riparavano dei Buddha dipinti e dorati. Uno di essi giaceva più lontano, privo di testa. Von le Coq vi notò gli stessi caratteri trovati sui monumenti di Gandhara. Più distante, verso il centro della città, c’è una immensa costruzione  composta da tre sale rettangolari circondate da una serie di ambienti più piccoli a volte. Sul muro della parete settentrionale, dopo aver abbattuto un moro più recente, apparve un affresco maestoso. Un gran sacerdote in piedi, rivestito da ornamenti sacerdotali, circondato da un clero tutto vestito di bianco. Ogni personaggio porta il suo nome scritto sul petto, in caratteri uiguri, ma i nomi sono iraniani. Il più grande è Mani, il profeta supremo. « Nell’edificio a cupola della parte sud, facemmo una terribile scoperta –scrive Von le Coq, gli stessi personaggi, nei loro bianchi vestiti, al naturale, non più in piedi, in un bell’ordine processoniale, ma coricati, ammassati in un impressionante disordine, in una caterva di un centinaio di corpi mummificati: tutta la comunità di monaci buddhisti là sorpresi da una morte violenta, un massacro generalizzato abbattutosi su di essi. Von le Coq attribuisce questo massacro alle persecuzioni religiose provocate dalle autorità cinesi. – Infine, fuori dalle muraglia della città, una piccola chiesa nestoriana contenente le vestigia di pitture murali bizantine raffiguranti un sacerdote ed altri personaggi portanti dei rami. All’interno della città tutti gli scritti buddhisti ridotti in brandelli potevano raccogliersi con la pala. In questa regione si trovò un altro santuario contenente una biblioteca di manoscritti manichei irrimediabilmente danneggiati dalle acque fangose di un sistema di irrigazione, ed all’entrata di questa biblioteca il cadavere di un monaco buddhista assassinato, restato avvolto nella sua bianca veste macchiata di sangue. Von le Coq  dichiarava alla fine della sua vita che questa era la scoperta più sensazionale che egli aveva fatto nel corso della sua carriera di ricercatore. – Continuiamo questa esplorazione, essa ci riserverà ancora delle straordinarie sorprese. Lungo la via meridionale della seta si trova la città cinese di Touen-Houang, nel Kan-Sou. È la città dei “mille buddha”. Essa contiene un monastero buddista ben conservato con delle sale dipinte e scolpite nella roccia. In una di esse, due ricercatori, sir. Aurel Stein e M. Pelliot, francese, si fecero aprire un armadio murato nel quale trovarono migliaia di manoscritti antichi che il buon monaco era incapace di decifrare. Essi riuscirono a comprarne diversi importanti gruppi. Quale sorpresa! In mezzo ai manoscritti buddhisti essi trovarono un gran numero di manoscritti manichei. Innanzitutto un Catechismo della religione del “Buddha di luce, Mani”, tradotto dall’iranico in cinese nel 731 su ordine imperiale. Vi si apprende che il Buddha di luce, Mani, è nato nell’ottavo giorno di una seconda linea nel reame di Sou-Lin, che designa presso i cinesi l’Asia occidentale, dunque la Siria o la Babilonia, secondo la traduzione di Pelliot. Un altro frammento dello stesso catechismo, chiamato frammento Stein, è riprodotto in una delle compilazioni cinesi del XVIII secolo in cui il Buddha è chiamato Mani. Poi essi decifrarono dei manoscritti in pehlvi, in sogdiano, in turco antico, in uiguro e in cinese, nei quali si predicava la “religione della luce, dei due principi e dei tre movimenti.” Si è trovato una raccolta di inni e di preghiere con le loro notazioni musicali – “ciò che richiama i manichei, al dire di Sant’Agostino, è che essi amano molto la musica” -, un formulario di Confessione ricostruito frammento per frammento grazie alle scoperte di  M. Radloff, identico a quello che si pratica presso i buddhisti; una regola della comunità che ci fa conoscere quali sono le condizioni a cui deve adempiere colui che vuole entrare nell’ordine, come deve essere il tempio, etc.; un frammento di vangelo apocrifo; un altro frammento della vita di Buddha; un “libro santo incompleto di una religione della Persia” pubblicato a Perkin e trovato anche a Touen-Houang [è un trattato manicheo datante il 900 circa]; raccolte di pezzi cinesi ispirati alle diverse opere di Mani stesso che, seduto in mezzo ai suoi fedeli, è reputato rispondere alle domande che gli pone il suo discepolo preferito Addo, o Addas. – Messo in presenza di una scoperta così prodigiosa di manoscritti manichei in gran numero in diversi monasteri buddhisti dell’Asia centrale, gli storici non hanno compreso che l’insegnamento di questi manoscritti era identico a quello del buddhismo, che il Buddha del quale seguivano le lezioni, era Mani stesso, perché bisogna comprendere che mai i discepoli del Buddha-Mani si sono chiamati manichei. È il termine che fu loro dato dagli storici greci  latini. Essi erano soltanto i “figli della luce”, i discepoli del Buddha, l’illuminato. Questi storici, ingannati dalla certezza che avevano di un buddhismo anteriore al Cristianesimo, hanno tentato di collegare questi documenti manichei alla religione del Buddha con l’idea di una ricopiatura.  I manichei, essi dicevano, hanno praticato un sincretismo sistematico. Altri dicono che il buddhismo sembra essere stato coevo del manicheismo presso gli uiguri. Henri-Charles Puech, nel suo libro sui manichei, ci dice che essi tentavano un avvicinamento al fine di applicare a Mani testi buddhisti, supposti anteriori. Egli precisa che, nel “catechismo cinese”, detto frammento Stein, di cui abbiamo parlato, si fondono taoismo, buddhismo e manicheismo. In effetti questo catechismo cinese ha, come precursori di Mani, Buddha e Lao-Tseu. Nel frammento di Tourfan si è trovata la successione degli ancestri di Mani e di Buddha: “Lista dei profeti dell’umanità: Sem, Shem, Enosh, Nicoteo, Henoch, Gesù”. “L’apostolo di luce, che viene cinque volte nel suo tempo, si riveste della chiesa di carne d’umanità e diviene capo in seno alla “chiesa di giustizia”. Egli è l’emanazione di Nous-Luce, padre di tutti gli apostoli”. È già l’idea gnostica dei grandi iniziati. – “Mescolanza, sincretismo, coesistenza”? Ancora bisognerebbe spiegare il perché di questo incontro tra questi due sistemi religiosi, il perché dell’identità dei personaggi: monaci buddhisti o manichei? Buddha o Mani? Chi ha copiato dall’altro? Quando noi leggiamo ad esempio i riferimenti fatti al Cristianesimo nella biografia del Buddha, noi siamo portati a pensare che l’uno abbia preceduto l’altro. Se vogliamo pure esaminare le cose più da vicino, vediamo che il buddhismo ha operato una cernita nei suoi “assorbimenti” e ci accorgiamo che ha rigettato dal Cristianesimo gli stessi elementi già rigettati dagli gnostici manichei: il culto della croce, la nozione del Sacrificio, i sacramenti, etc. … e che gli elementi che gli sono pervenuti, sono stati copiati dai vangeli apocrifi gnostici … – In conclusione, sembra che il buddhismo dell’Asia centrale non sia venuto dall’India, ma dalla Persia e dai regni Sciti, ciò che lascia pensare che il buddhismo sia penetrato tardivamente nell’India e che non vi si sia tenuto se non provvisoriamente, perché si scontrava con l’ostilità dichiarata dei brahmani. Ma vi torneremo.

Da Mani a Buddha.

Mani aveva delle nozioni estese in pittura e scultura grazie alle quali aveva acquisito grande celebrità in Asia. Egli percorse l’Indostan ed il Turkestan. Un giorno, avendo scoperto nel deserto una montagna che comunicava mediante una vasta caverna con una pianura deliziosa e che non aveva altre uscite, si risolse segretamente a vivervi per un anno. Egli annunziò allora ai suoi discepoli che stava per risalire in cielo dal quale sarebbe ridisceso dopo un anno per portar loro gli ordini di Dio, che avrebbe loro portato vicino alla caverna di cui indicava la posizione. Vi si ritirò dunque e visse solo per un anno, occupato interamente a dipingere ed incidere figure straordinarie su una tavola chiamata ertankimany. Al tempo convenuto, riapparve nei paraggi della caverna aspettando i suoi discepoli. Mostrò loro le tavole che aveva riunito in un volume e dichiarò loro che questo grande libro proveniva dal cielo. Tutto il Turkestan abbracciò la sua “religione della luce”. Le comunità manichee si diffusero nei regni dell’Asia centrale sotto la protezione dei Parti e degli Sciti. Esse stabilirono delle “chiese-monastero”, sotto la direzione dei successori di Mani, i Buddha, i  Saravan, gli Imam, capi supremi della chiesa. Lo stesso Mani, dopo la sua gnostica “crocifissione”, è risalito fino alla “colonna di luce”, poi alla luna e al sole per giungere nel “paese del riposo e della gioia”, il “Nirvana”, “l’eterno regno di luce” che è la sua patria ritrovata. Egli è il sigillo dei profeti, l’apostolo dell’ultima generazione. Tutte queste espressioni si ritrovano nei manoscritti scoperti a Tourfan. – Nel corso dei suoi studi sul manicheismo, Henri-Charles Puech si è avvicinato poco a poco a queste stesse conclusioni. Egli aveva ben notato che, ad esempio, il tempio buddista di Bezelik, situato presso Tourfan, era incontestabilmente manicheo. Egli avrebbe potuto affermare lo stesso per tutti gli altri templi dell’Asia centrale. – Nel corso dei suoi studi sulle liturgie manichee, Puech ha egualmente notato progressivamente i loro rapporti con i riti buddhisti. Egli li ha collegati all’insegnamento di Mani. In effetti noi sappiamo che gli gnostici, e dunque i manichei, insegnano che il cosmo è animato da un principio universale, l’anima del mondo o “luce divina”; che questa anima luminosa percorre l’insieme degli esseri che costituiscono il mondo e dà la vita alle piante, agli animali, ad ogni essere vivente contiene, chiuso in esso, una scintilla luminosa dell’anima universale [panteismo gnostico]. Ciascuno di essi è dunque sensibile al dolore ed al piacere. Cuocere un frutto, tagliare un legume, sradicare un albero, sgozzare un animale, sono dei veri omicidi. L’agricoltura e l’allevamento degli animali sono attività criminali [sembra di riascoltare le stesse paranoie allucinanti dei vegani, gnostici-manichei … senza esserne ravvisati!]. Ugualmente il matrimonio e la procreazione sono condannate, perché costringono a rinchiudere queste particelle luminose, le parti migliori della “divinità universale”, nei corpi che le tengono prigioniere. Questa idea stravagante, ma logica nella sua assurdità è, con la reincarnazione, comune agli gnostici, ai manichei ed ai buddhisti, loro successori ed eredi. – A partire da questo si può comprendere l’attitudine del monaco buddhista, accovacciato a terra, con la sua ciotola di cibo in mano. – Gli “eletti”, i “puri”, i “catari”, prendono il loro pasto in comune, una volta al giorno. Prima di mangiare, si ritirano in disparte e rivolgono agli alimenti questa preghiera: “ non sono io che vi ho raccolto, che vi ho mondato, non vi ho impastato, non vi ho cotto. Così io sono innocente di tutti i mali che avete sofferto.” Si mettono in piedi o seduti con la ciotola del cibo, vaso sacro, in mano. Poi secondo un cerimoniale ben regolato, cominciano a mangiare. Essi pretendono che durante la digestione, l’anima divina racchiusa nella materia si liberi e vada dal loro stomaco per risalire in cielo e riunirsi alla sua “sorgente”. In tal modo, credono di liberare dalle tenebre della materia il “dio-luce” prigioniero. La loro masticazione è un altro atto sacro. Poi accordano il perdono ai caritatevoli catecumeni che hanno loro preparato la pietanza. La elemosina alimentare è in effetti una sacra offerta. – Henri-Charles Puech ha ugualmente comparato il manuale di confessione dei monaci buddhisti ai manoscritti scoperti nell’Asia centrale. Egli ha così concluso che questi erano calcati sullo stesso modello. Gli “eletti” manichei facevano confessione dei loro peccati davanti ai confratelli riuniti ogni lunedì. I monaci buddhisti lo fanno ogni quindici giorni, secondo lo stesso formulario, con la recita del Pâtimokka. Infatti i peccati dei monaci si riportano tutti al rifiuto della luce e della conoscenza (della gnosi!). – Infine la posizione accovacciata dei monaci si spiega con il desiderio di prendere la posizione fetale nel seno materno. Si tratta di raccogliersi in se stessi per preparasi al ritorno nella terra originale, nell’utero primitivo dal quale sono usciti tutti gli esseri, in modo da accelerare la morte che libererà l’anima luminosa chiusa nella materia del corpo. – Noi comprendiamo bene così che i principali riti della liturgia buddhista non hanno senso intellegibile se non ci si riferisce all’insegnamento di Mani. [Il religioso romano, p. Giorgi, amico del Papa Benedetto XIV, pubblicò nel 1762 una “enorme compilazione” sotto il titolo di “alfabeto tibetano”. Egli era in corrispondenza con i religiosi cappuccini in missione nel Tibet. Grazie agli insegnamenti dei suoi confratelli, egli descrive il buddhismo come una contraffazione del Cristianesimo dovuto all’azione perversa dei manichei. Il p. De Lubac, lo gnostico della “nuovelle thèologie” – del quale ci siamo occupati in un numero precedente – che cita quest’opera aggiunge:  “Una idea fissa che falsa il suo esposto. L’opera non è letta e la conoscenza del buddhismo non ha sofferto per niente di questo insuccesso”. Questa idea fissa, come la chiamava il noto fanta-teologo gnostico del concilio para-gnostico “Vaticano II”, era pertanto pura VERITA’, come è stato dimostrato inconfutabilmente dalle ricerche recenti. È ancora una volta verificato che è cosa non buona che un autore proponga una spiegazione nuova ed inattesa, seppur veritiera, quando le idee alla moda, seppur truffaldine, si trovano in contraddizione con quest’ultima!].

Il buddismo tibetano

Secondo furto al Cristianesimo. Il padre Huc, nel corso del suo viaggio in Tartaria, in Tibet e Cina, non è stato affatto sorpreso di incontrare nel culto dei Lama, il pastorale, la mitra, la dalmatica, la cappa, il flagellum, la benedizione data stendendo la mano sulla testa dei fedeli, un servizio a due cori con sermone, salmodia, litanie, genuflessioni, il culto delle reliquie, l’uso dell’acqua benedetta, degli esorcismi, il rosario, la campanella, le campane, l’incensiere, gli altari decorati con i fiori, delle immagini, ad esempio una donna portante una corona sulla testa ed un bambino nelle braccia, che schiaccia con il piede un dragone. Egli ha riconosciuto ugualmente una descrizione figurata di un vero purgatorio, ove i demoni tormentano i defunti nei cerchi, che ricordano l’inferno di Dante (ancora un’altra fonte per Dante: dopo Ibn Arabi, il buddhismo!), le processioni all’interno ed all’esterno dei templi. I monaci iniziano con un apprendistato, poi ricevono un’ordinazione; essi fanno voto di obbedienza, di castità e povertà, praticano la confessione, si rasano la testa e vivono nei monasteri sotto la direzione dei superiori. Esistono pure dei conventi femminili. Alla testa della chiesa si trova un “papa”, il Dalai Lama, assistito dai cardinali, i Tchoutouktous. – Il padre Huc ci spiega che questi adattamenti sono venuti direttamente dalla Chiesa Romana, in seguito alle relazioni che si sono avute nel XIII secolo tra l’impero Mogol ed i Cristiani di Occidente. L’autore di queste copie sarebbe questo Tsong-Khapa, che fu forse pure il vero fondatore del lamaismo. – La somiglianza tra i riti Cristiani e buddhisti è stata segnalata in questa epoca, il XIII secolo, da Jean de Ruysbroeck che visitò gli stati del Gran Kahn. Egli stabilì nettamente la differenza tra i Saraceni, i nestoriani e gli idolatri, cioè i buddhisti. Entrando in un tempio buddhista degli Uiguri, esclamò: “ Quando entrai nel loro tempio mi sembrò di  vedere dei preti veri!”

Il culto di Krishna

Terza copia del Cristianesimo: il culto di Krishna. Il buddismo è penetrato fortemente dell’India nel corso del Medio-Evo. Ora, Buddha condannava le caste, proclamava l’uguaglianza tra gli uomini, accoglieva ugualmente il principe e il paria.: « il brahmano, o discepolo, è nato da una donna, così come il tchandala, l’ultimo degli umani, a cui chiude la porta della salvezza ». – I brahmani si opposero inizialmente al buddhismo che invadeva il culto sensuale e gioioso di Vischnù, già molto diffuso e lo resero ancor più popolare identificando il “dio” con gli eroi famosi delle grandi guerre, Krischna. Nel Rig-Veda, Krischna signifia “nero”, e designa i demoni, nemici di Indra (lo Zeus indiano). Poi Krischna fu rappresentato come l’eroe delle grandi guerre per simbolizzare di nuovo e rendere popolare la religione dei brahmani minacciata dall’invasione del buddhismo. Con questa strategia i brahmani tentarono di guadagnare alla loro causa la casta dei Kshatiyas, i guerrieri ed i re. Più tardi per ricondurre ad essi i buddhisti, misero Buddha nel Panthéon buddhista come un ultimo avatar di Vischnù. – Poi essi inviarono i loro “saggi” in Occidente a studiare la dottrina cristiana, come annota il Mahâbharata. Questa conoscenza del Cristianesimo dovette loro fornire nuovi concetti religiosi che sembrarono loro buoni per arginare i progressi del buddhismo e del Cristianesimo. Utilizzando la rassomiglianza dei nomi Krischna e Cristo, composero la Baghvad-Gita. Questo mito di Krischna prese sviluppo nel corso del Medio-Evo, poi nel XIII secolo fino al XVIII della nostra era. I Purânas sono i libri religiosi che descrivono le cerimonie ed i riti delle feste destinate a celebrare la nascita di Krischna. Vi si mostra Krischna nascente, portato sul seno di sua madre, in una capanna di pastori, circondato dai pastori, poi il viaggio di Nanda e del suo sposo Mathura per pagare il tributo, la presenza dei buoi ed altri animali domestici nella capanna della nascita, la guarigione della gobba, Koubja che aveva sparso profumo sul capo di Krischna; poi si aggiunge qualche episodio ispirato alla fuga di Bethlem, al massacro degli innocenti, ai miracoli dell’infanzia, una tentazione, una trasfigurazione. – I brahmani, introducendo questo culto di Krischna, hanno popolarizzato la teoria delle reincarnazioni divine. Krischna è il dio supremo che si incarna di tempo in tempo « ogni volta che la religione degenera e l’empietà trionfa ». Dopo il suo insegnamento, perisce di morte violenta, abbandonato dai suoi. – Egli pone al di sopra della scienza a dell’ascetismo, la « bhakti », l’amore. Ma il suo insegnamento è falsato da un senso panteista dalla Bhagavad-Gita. Gesù Cristo aveva detto: « Io sono la via, la verità e le vita ». Krischna traduce: « Io sono la vita di tutti gli esseri (dunque l’anima universale del mondo), il supporto del mondo, la sua via, il suo rifugio ». – Gesù Cristo aveva detto: « Io sono l’alfa e l’omega ». Krischna traduce: Io sono l’inizio, il centro e la fine delle cose, l’immortalità e la morte » (formula panteista). Gesù Cristo aveva detto: « Io so da dove vengo e dove vado. Ma voi non sapete né da dove vengo, né dove vado ». Krischna traduce: « Io sono passato per le nascite (metempsicosi), tu anche. Io le conosco tutte, tu non le conosci affatto » – Krischna insegna il rispetto delle caste e il finale assorbirsi nella divinità! Si vede dunque che i brahmani, nel rigettare il buddhismo, ne avevano conservato però l’essenziale: il panteismo e la reincarnazione, il dissolvimento finale nel nulla, il Nirvana. – Già gli specialisti dell’India avevano avvicinato nell’ultimo secolo i monumenti dell’India all’iconografia cristiana. Essi avevano constatato le numerose copie fatte dall’India all’Occidente cristiano. Il grande indianista Albrecht Weber aveva notato nella sua “Storia della letteratura sanscrita”: « il culto di Krischna come dio si è completato sotto un’influenza cristiana. Angelo de Gubernatis, indianista italiano, anch’egli così scriveva: « Nella mitologia brahmanica c’è una delle più belle trasformazioni della divinità alla quale ha contribuito la conoscenza del Cristo giunta fino all’India e che pareva, come già a Weber, aver fornito a Krischna, con una parte di dottrina, diversi episodi della sua vita » (Enciclopedia indiana). Lo si vede chiaramente, i veri sapienti vanno a cercare l’imitazione in India. È l’India che ha copiato il Vangelo e non il contrario! Krischna è una invenzione moderna dovuta alla preoccupazione che i brahmani hanno avuto di recuperare Buddha e Gesù-Cristo per restare i padroni delle basse caste, attirate dall’insegnamento dei missionari. – Infine si è recentemente preteso che gli Indù conoscessero la Trinità. Ora questa concezione è tardiva  presso i brahmani; essa risale solamente ai  Purânas, scritti nel corso del Medio-Evo, ed « imitazione del dogma cristiano sfigurato » come dice molto esattamente Angelo De Gubernatis. Essi hanno ammesso Vishnù e Civa in un gruppo supremo ove hanno introdotto il loro Bramha. Essi insegnarono ai loro discepoli che questi tre nomi non designano che delle forme o maniera d’essere della divinità. Essi hanno impiegato la parola Trimurti, « tripla forma », ma questo è un vocabolo recente, moderno, destinato a dare una colorazione di sapienza ed occidentale al loro insegnamento.

[Continua …]

 

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.