FESTA DI TUTTI I SANTI
Santa MESSA
Incipit
In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.
Introitus
Gaudeámus omnes in Dómino, diem festum celebrántes sub honóre Sanctórum ómnium: de quorum sollemnitáte gaudent Angeli et colláudant Fílium Dei [Godiamo tutti nel Signore, celebrando questa festa in onore di tutti i Santi, della cui solennità godono gli Angeli e lodano il Figlio di Dio.]
Ps XXXII:1.
Exsultáte, justi, in Dómino: rectos decet collaudátio. [Esultate nel Signore, o giusti: ai retti si addice il lodarLo.]
Gaudeámus omnes in Dómino, diem festum celebrántes sub honóre Sanctórum ómnium: de quorum sollemnitáte gaudent Angeli et colláudant Fílium Dei [Godiamo tutti nel Signore, celebrando questa festa in onore di tutti i Santi, della cui solennità godono gli Angeli e lodano il Figlio di Dio.]
Oratio
Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, qui nos ómnium Sanctórum tuórum mérita sub una tribuísti celebritáte venerári: quǽsumus; ut desiderátam nobis tuæ propitiatiónis abundántiam, multiplicátis intercessóribus, largiáris. [O Dio onnipotente ed eterno, che ci hai concesso di celebrare con unica solennità i meriti di tutti i tuoi Santi, Ti preghiamo di elargirci la bramata abbondanza della tua propiziazione, in grazia di tanti intercessori.]
Lectio
Léctio libri Apocalýpsis beáti Joánnis Apóstoli.
Apoc VII:2-12
In diébus illis: Ecce, ego Joánnes vidi álterum Angelum ascendéntem ab ortu solis, habéntem signum Dei vivi: et clamávit voce magna quátuor Angelis, quibus datum est nocére terræ et mari, dicens: Nolíte nocére terræ et mari neque arbóribus, quoadúsque signémus servos Dei nostri in fróntibus eórum. Et audívi númerum signatórum, centum quadragínta quátuor mília signáti, ex omni tribu filiórum Israël, Ex tribu Juda duódecim mília signáti. Ex tribu Ruben duódecim mília signáti. Ex tribu Gad duódecim mília signati. Ex tribu Aser duódecim mília signáti. Ex tribu Néphthali duódecim mília signáti. Ex tribu Manásse duódecim mília signáti. Ex tribu Símeon duódecim mília signáti. Ex tribu Levi duódecim mília signáti. Ex tribu Issachar duódecim mília signati. Ex tribu Zábulon duódecim mília signáti. Ex tribu Joseph duódecim mília signati. Ex tribu Bénjamin duódecim mília signáti. Post hæc vidi turbam magnam, quam dinumeráre nemo póterat, ex ómnibus géntibus et tríbubus et pópulis et linguis: stantes ante thronum et in conspéctu Agni, amícti stolis albis, et palmæ in mánibus eórum: et clamábant voce magna, dicéntes: Salus Deo nostro, qui sedet super thronum, et Agno. Et omnes Angeli stabant in circúitu throni et seniórum et quátuor animálium: et cecidérunt in conspéctu throni in fácies suas et adoravérunt Deum, dicéntes: Amen. Benedíctio et cláritas et sapiéntia et gratiárum áctio, honor et virtus et fortitúdo Deo nostro in sǽcula sæculórum. Amen. – [In quei giorni: Ecco che io, Giovanni, vidi un altro Angelo salire dall’Oriente, recante il sigillo del Dio vivente: egli gridò ad alta voce ai quattro Angeli, cui era affidato l’incarico di nuocere alla terra e al mare, dicendo: Non nuocete alla terra e al mare, e alle piante, sino a che abbiamo segnato sulla fronte i servi del nostro Dio. Ed intesi che il numero dei segnati era di centoquarantaquattromila, appartenenti a tutte le tribú di Israele: della tribú di Giuda dodicimila segnati, della tribú di Ruben dodicimila segnati, della tribú di Gad dodicimila segnati, della tribú di Aser dodicimila segnati, della tribú di Nèftali dodicimila segnati, della tribú di Manasse dodicimila segnati, della tribú di Simeone dodicimila segnati, della tribú di Levi dodicimila segnati, della tribú di Issacar dodicimila segnati, della tribú di Zàbulon dodicimila segnati, della tribú di Giuseppe dodicimila segnati, della tribú di Beniamino dodicimila segnati. Dopo di questo vidi una grande moltitudine, che nessuno poteva contare, uomini di tutte le genti e tribú e popoli e lingue, che stavano davanti al trono e al cospetto dell’Agnello, vestiti con abiti bianchi e con nelle mani delle palme, che gridavano al alta voce: Salute al nostro Dio, che siede sul trono, e all’Agnello. E tutti gli Angeli che stavano intorno al trono e agli anziani e ai quattro animali, si prostrarono bocconi innanzi al trono ed adorarono Dio, dicendo: Amen. Benedizione e gloria e sapienza e rendimento di grazie, e onore e potenza e fortezza al nostro Dio per tutti i secoli dei secoli.]
Omelia I
(Omelia di S. S. Gregorio XVII – S. Messa 1973)
Cari fedeli, oggi, festa di tutti i Santi, abbiamo ascoltato dal Vangelo (Mt V, l-12a) il codice della santità, perché il codice della santità è questo. Mi sia concesso di invitarvi a considerare che molte altre cose che si dicono non sono il codice della santità [soprattutto quel che si dice dal Vaticano II in poi! – ndr.-]; il codice sta qui nelle otto beatitudini, non altrove. Ma non è sul Vangelo che oggi voglio attirare la vostra attenzione, bensì sulla prima lettura. La prima lettura è tolta dal capitolo VII (vv. 2-4.9-14) del libro dell’Apocalisse di Giovanni l’Apostolo. È una visione che lo stesso Giovanni ha avuto nell’isola di Patmos; fa parte di un gruppo di cinque visioni. – Questa visione è reale nel senso che il veggente vide realmente queste cose che avete sentito, ma è simbolica perché le cose che Giovanni ha visto e riferisce sono semplicemente il simbolo di altre e più alte. Ho detto: sono simboliche; che cosa è il simbolo? Il simbolo è una cosa che si vede, ma richiama in mente un’altra che è invisibile, e nel caso nostro è invisibile perché è troppo grande, non perché è nascosta, ma perché sta ad un livello diverso da quello nel quale stiamo noi e le nostre potenze conoscitive. Pertanto, quello che vorrei farvi notare, data la definizione del simbolo, è che quello che è indicato dalla visione concessa all’Apostolo è immensamente più alto, più grande. Quando siamo dinnanzi a questi simboli, siamo lanciati verso l’infinito e l’eterno, e questo fa capire perché nell’orazione mentale, alla quale tutti i fedeli sono chiamati, non c ‘ è una sponda sulla quale ci si debba arrestare, perché possiamo camminare nell’orazione mentale meditativa tutta la vita senza toccare le sponde, tanto è grande quello che è messo in nostra cognizione da Dio. – Ma messo chiaro questo, dico: questa visione dell’Evangelista che cosa presenta a noi? Mi riferisco alla seconda parte. Nella seconda parte l’Evangelista riferisce la liturgia eterna, cioè porta l’anima nostra – non dico lo sguardo – a ripensare alla vita eterna, al Paradiso, nel quale stanno i Santi. La vita eterna non è essenzialmente un luogo; lo potrà essere in tanto in quanto ci sono delle cose estense, quantitative – come è il corpo umano di Gesù Cristo e della Vergine Santissima assunta in Cielo -, ma il Paradiso, la vita eterna, non è tanto un luogo, quanto uno stato, un modo di essere. E noi qui abbiamo assistito a questa liturgia eterna. Noi potremmo pensare indefinitamente a quello che abbiamo sentito nel libro dell’Apocalisse, ma attenti: la sponda non la tocchiamo! Oggi, il giorno dei Santi – e sotto questo punto di vista la festa dei Santi ha una ragione di principato su tutta la liturgia dell’anno – invita a pensare al Paradiso. – Vedete, cari, le cose che ci aspettano, se meriteremo di salvarci l’anima, sono talmente grandi che le cose più stupende, che possono essere chieste dalla nostra immaginazione e della nostra fantasia, sono soltanto dei simboli. Diceva bene S Francesco d’Assisi: “Tanto è il bene ch’io mi aspetto che ogni pena mi è diletto”. Aveva ragione! E la vita eterna dove sono i Santi – anche i nostri parenti che sono santi sono tra i Santi -, la vita eterna è cosa che trascende ogni simbolo della stessa Sacra Scrittura ed è il vero riferimento della vita umana. Vedete: quando si pensa alla vita eterna – e qui si vede il crimine che compiono coloro che non ne parlano! [cioè i falsi cattolici modernisti –ndr.] -non c’è più nessuna difficoltà ad osservare la legge di Dio; tutto diventa incredibilmente piccolo; le difficoltà vengono perché non si pensa alla liturgia eterna, alla quale un giorno arriveremo anche noi. Non c’è più difficoltà a portare la croce, non c’è più difficoltà ad abbracciarla, abbracciarla come il centro delle nostre delizie: cambia proporzione e volto ogni esperienza di questo mondo. Ma tutto ciò accade nella misura in cui questa liturgia eterna è presente a noi. Quando Giovanni ha visto la visione ed è lì tutto trasecolato, poveretto anche lui – allora, non ora! -, il vegliardo gli chiede: “Hai visto, hai capito?” E dà la risposta: “Costoro con le vesti bianche sono coloro che vengono dalla grande tribolazione”. Evidentemente Giovanni alludeva non solo a tutti i Santi, ma ai molti martiri delle due persecuzioni che già erano passate, quella di Nerone e quella di Diocleziano, della quale fino a un certo punto era stata vittima lui stesso. Traduciamo in forma teorica. Cosa dice il Vecchio? Dice questo: la vita eterna è il riflesso di quello che è stato portato, accettato, sofferto, nella vita presente; dà il concetto della vita. Che vale questa vita destinata a morire, se non perché si riflette tutta nella vita eterna, tutta? I momenti fissati dal merito, gli atti decorati dalla libertà cosciente, il tempo e le circostanze assunte dai medesimi riflessi nell’eternità: questo è il concetto della vita. Al di fuori di questo concetto, o prima o poi, o in superficie o in profondità, non c’è che la disperazione, che è quella che leggiamo negli occhi di troppi nostri fratelli ai quali vogliamo bene. – Cari, il giorno dei Santi ci porta lassù. Con la mente sarà bene restarci e, possibilmente, non discenderne mai!
Graduale
Ps XXXIII:10; 11
Timéte Dóminum, omnes Sancti ejus: quóniam nihil deest timéntibus eum.
V. Inquiréntes autem Dóminum, non defícient omni bono. [Temete il Signore, o voi tutti suoi santi: perché nulla manca a quelli che lo temono.
V. Quelli che cercano il Signore non saranno privi di alcun bene.]
Alleluja
(Matt. XI:28)
Allelúja, allelúja – Veníte ad me, omnes, qui laborátis et oneráti estis: et ego refíciam vos. Allelúja. [Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi: e io vi ristorerò. Allelúia.]
Evangelium
Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Matthǽum.
Matt V:1-12
“In illo témpore: Videns Jesus turbas, ascéndit in montem, et cum sedísset, accessérunt ad eum discípuli ejus, et apériens os suum, docébat eos, dicens: Beáti páuperes spíritu: quóniam ipsórum est regnum cœlórum. Beáti mites: quóniam ipsi possidébunt terram. Beáti, qui lugent: quóniam ipsi consolabúntur. Beáti, qui esúriunt et sítiunt justítiam: quóniam ipsi saturabúntur. Beáti misericórdes: quóniam ipsi misericórdiam consequéntur. Beáti mundo corde: quóniam ipsi Deum vidébunt. Beáti pacífici: quóniam fílii Dei vocabúntur. Beáti, qui persecutiónem patiúntur propter justítiam: quóniam ipsórum est regnum cælórum. Beáti estis, cum maledíxerint vobis, et persecúti vos fúerint, et díxerint omne malum advérsum vos, mentiéntes, propter me: gaudéte et exsultáte, quóniam merces vestra copiósa est in cœlis.”
[In quel tempo: Gesú, vedendo le turbe, salí sulla montagna. Sedutosi, ed avvicinatisi a Lui i suoi discepoli, cosí prese ad ammaestrarli: beati i poveri di spirito, perché di questi è il regno dei cieli. Beati i mansueti, perché possederanno la terra. Beati quelli che piangono, perché saranno consolati. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati i pacifici, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per amore della giustizia, perché di questi è il regno dei cieli. Beati siete voi, quando vi malediranno, vi perseguiteranno, e, mentendo, diranno di voi ogni male per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.]
Omelia II
Mirabilis Deus in Sanctis suis. (Ps. LXVII, 36)
[A. Carmignola: Stelle Fulgide; SEI. –Torino, 1904]
I.
La Chiesa celebra oggi la solennità di tutti i Santi, solennità, che trae origine dalla Consacrazione, che si fece qui in Roma del Panteon, ad onore di tutti i Santi. Questo stupendo edificio innalzato da Menenio Agrippa, genero dell’imperatore Augusto, era stato dedicato a tutti gli dèi falsi e bugiardi del paganesimo. Ma sul principiare del secolo VII essendo stato ceduto dall’imperatore Foca al sommo pontefice S. Bonifacio IV, questi lo purificò ed aperse al culto cristiano, consacrandolo alla SS. Vergine e a tutti i SS. Martiri, ordinando che se ne facesse la festa al 13 di maggio. Ma Gregorio IV nell’anno 834 estese questa festa a tutti i Santi e Sante del cielo, da celebrarsi non solo in Roma, come erasi fatto sino allora, ma per tutto il mondo cristiano, assegnandole il 1° novembre. E ben a ragione, perciocché essendo il numero dei Santi pressoché infinito, e non potendosi nel corso di un anno celebrare la festa di ciascun santo in particolare, era conveniente con una solennità ad onore di tutti celebrare anche quelli, che nel corso dell’anno sono in certa guisa forzatamente negletti, E tanto più perché una tale solennità servendo efficacemente a fermare il nostro pensiero sulla grande meraviglia divina, che sono i santi, ci avrebbe indotti altresì a lodare e ringraziare il Signore d’aver santificati i suoi servi in terra e d’averli coronati di gloria in cielo, a riconoscere la loro grandezza e la loro potenza e ad onorarli ed invocarli, a ricordare gli splendidi e salutari esempi, che essi ci hanno dato in ogni età, in ogni sesso e in ogni condizione, e ad imitarli colla memoria della grande ricompensa, che ora essi godono in paradiso. – Perciocché se Iddio è veramente ammirabile in tutte le sue opere, lo è senza dubbio in modo particolare nei suoi santi: Mirabilis Deus in sanctis suis. Egli è ammirabile nella loro predestinazione, ammirabile nella loro vocazione, ammirabile in tutta l’economia della loro salute, ammirabile nella loro gloria e nella loro beatitudine, ma ammirabile sopra tutto, come nota S. Leone Magno, per averci dato in essi dei protettori e degli esemplari: Mirabilis Deus in sanctis suis, in quibus et præsidium nobis constituit et exemplum. – Entriamo dunque oggi nelle mire sapienti della Chiesa e, fissando lo sguardo sopra i Santi tutti del cielo, animiamoci a compiere i tre principali doveri che abbiamo verso di essi. – E voi, o Vergine Santissima, amabile S. Giuseppe, Angeli e Santi tutti del Paradiso, con la intercessione vostra presso Dio rendete fruttuose le nostre considerazioni: Omnes sancti et sanctæ Dei, intercedete prò nobis.
II
L’Apostolo S. Giovanni nella sua divina Apocalisse vide una moltitudine di Santi di ogni nazione, di ogni popolo e di ogni lingua, rivestiti di candide stole e recanti nelle loro mani delle palme, simbolo della vittoria da loro riportata sopra il demonio, sul mondo e sulla carne. Questi Santi tutti stavano dinnanzi al trono dell’ Altissimo, e pieni di gioia benedicevano, glorificavano e ringraziavano il Signore e l’Agnello, cioè Gesù Cristo, riconoscendo, come osserva S. Agostino, che nel mondo essi vinsero la prova delle tribolazioni, onde furono assaliti, non già per propria virtù, ma coll’aiuto di Dio, e che nel Cielo essi posseggono quella gloria ineffabile per i meriti dello stesso Signore Gesù Cristo. Epperò lo stesso Apostolo S. Giovanni vide ancora che i Santi deponevano le loro corone a pie’ del trono di Dio e si gettavano colla faccia per terra innanzi all’Agnello, adorando Lui che vive per tutti i secoli. Eziandio gli Angeli come custodi ed amici dei Santi prendevano parte alla loro allegrezza, e intorno al medesimo trono di Dio facevano eco alle loro voci dicendo: « Sempre e per tutti i secoli sia benedizione, gloria, lode, onore e rendimento di grazie a Dio nostro Signore ». – Ecco adunque il primo nostro dovere nella presente solennità, e in tutte le feste dei Santi: unire le nostre voci a quelle degli Angeli e Santi medesimi, e lodare, glorificare e ringraziare Iddio, perché con la sua gratuita misericordia li ha eternamente eletti e predestinati a quella gloria, che ora godono in Cielo; perché nel tempo della loro vita mortale li ha chiamati al suo santo servizio e li ha giustificati in virtù dei meriti di Gesù Cristo, Agnello immacolato, ricolmandoli delle grazie e dei doni dello Spirito Santo, e finalmente li ha coronati di onore e di gloria nel suo celeste regno in Paradiso. Uniamo adunque le nostri voci con quelle degli Angeli e degli Arcangeli, dei Troni e delle Dominazioni e di tutta la corte celeste, e cantiamo anche noi l’inno della gloria di Dio, dicendo: Santo, Santo, Santo è il Dio di Sabaoth. Pieni sono della tua gloria i cieli e la terra: osanna nel più alto dei cieli. Benedetto tu, che sei venuto sulla terra, e vi vieni ancora ogni giorno a renderla feconda di Santi: osanna, osanna nel più alto dei cieli!
III.
Il secondo dovere, che noi dobbiamo compiere verso i Santi, si è quello di onorarli ed invocarli nei nostri bisogni, rendendo in tal guisa ad essi il culto loro dovuto. Vi hanno di coloro, i quali nel culto, che la Chiesa Cattolica ordina peri Santi, vogliono vedere una specie di idolatria. Ma che cosa è l’idolatria? Essa è un rendere a chi non è Dio il culto supremo di adorazione dovuto a Lui solo. Ora è questo forse il culto, che noi rendiamo ai Santi? No certamente. Il culto supremo di onore e di gloria è a Dio solo che lo rendiamo, e i Santi li veneriamo soltanto, non già riconoscendo in essi altrettanti Dei, ma unicamente degli uomini sommamente di noi benemeriti e da Dio stesso grandemente amati e glorificati. E qual cosa più naturale di questa? Forsechè si agisca diversamente nella civile società? Allora che in essa si tratta di uomini, che ben meritarono pei servigi resi alla patria o nel governo dei popoli, o nelle vittorie sui nemici, o nelle benefiche istituzioni, o nell’arte letteraria od in qualsiasi altra, non si sogliono essi onorare del culto civile? Non è la loro fronte, che si cinge di corona ? Non è il loro petto, che si orna di medaglie? Non è per essi, che si fanno splendide sepolture, che si intessono orazioni di lode, che. si adornano i sepolcri? E qual secolo andrà più famoso del nostro per la manìa d’innalzar monumenti, di apporre lapidi e di deporre corone? E quello che si fa e si sente di dover fare nella società civile, sarà idolatria il farlo nella società religiosa della Chiesa Cattolica? Se le fibre del cuor umano mostrano di fremere dinanzi agli eroi, non dico del valore e dell’ingegno, ma dell’audacia e dell’impostura, non dovranno esaltarsi davanti agli eroi della virtù? – Ma vedete strana logica di certa gente. Essa per le onoranze ai suoi grandi toglie persino ad imprestito il linguaggio della Chiesa, e parla ancor essa di martiri, di are sacrosante, di commemorazioni, di pellegrinaggi, di santificazione e simili; e poi grida la croce addosso a noi e ci chiama idolatri o fanatici, perché veneriamo i Santi! quei Santi, che hanno reso a Dio il più umile e rispettoso servigio, che dalla creatura si possa rendere al creatore! quei Santi, che servendo a Dio hanno pur tanto beneficato la società e la beneficano tuttora con gli esempi che ci hanno lasciati! quei Santi, che possedettero la scienza più sublime e dispiegarono il valore più eroico! E oltre ai grandi meriti, che i Santi acquistarono durante la loro vita, non sono ora per eccellenza gli amici di Dio? E chi potrà penetrare le tenerezze, che Dio ha per loro! I giusti sono per Iddio oggetto d’ineffabile predilezione fin da questa vita, nella quale vanno ancor soggetti a tante miserie e colpe veniali, sì che egli posa sopra di loro con compiacenza i suoi occhi: Oculi mei super iustos (Ps. XXXIII, 14); e non li chiama più servi, ma amici: jam non dicam vos servos, sed amicos (Ioann., XV, 15), Or che sarà adesso, che al tempo della prova è succeduto quello della ricompensa? Adesso, che dopo aver richiesto da loro obbedienza, generosità, sacrifici, ed aver tutto ottenuto, è giuntoli tempo di ricambiar tutto ciò? Ah! mirate prove di amore che Iddio dà ora a suoi Santi ! Ei li vuole con sé: Volo ut ubi ego sum, illie sit et minister meus (Ioann. XII, 26); vuole essere egli stesso la loro mercede; ergo ero merces tua (Gen. XV, 1); vuole che siano inebriati della medesima felicità, di cui Egli gode: torrente voluptatix tuæ poiabis eos (Ps. XXXV, 9). E noi potremmo amare ed onorare Iddio senza amare ed onorare codesti suoi figli prediletti? Ma alla fin fine, quando un re ama ed onora egli stesso il suo suddito, vuole forse che dagli altri sia disprezzato o per lo meno tenuto in nessun conto? Allora che Faraone costituiva Giuseppe secondo nel suo regno per avere con la spiegazione dei suoi sogni procacciata la salvezza dell’Egitto, intendeva forse di riconoscerlo per tale egli solo? E quando Assuero volle onorar Mardocheo per avergli salvata la vita, si contentò egli di onorarlo nelle chiuse stanze della sua reggia? E quando Baldassarre ebbe spiegato da Daniele l’enigma di quella scritta tremenda: Mane, Thecel, Fares, fu egli pago di dargli collane ed anelli preziosi? La storia ben diversamente ci attesta che quei sovrani non paghi di onorare essi medesimi questi uomini grandi, vollero eziandio che fossero onorati da tutti i loro sudditi, epperò mandandoli in trionfo per le città dei loro regni, li facevano precedere da un banditore che ad alta voce doveva gridare: « Così si onori colui, che il re vuol onorare!» E noi dunque non dovremo onorare i Santi, che Dio stesso tanto onora e glorifica? – Ma, soggiungono i protestanti, voi altri cattolici non ci potrete negare che nella Bibbia non si trova alcuna traccia di questo culto. E per ciò? Risponderemo noi, dovremo astenerci dall’onorare i santi? Sappiamo bene che voi pretendete che nulla debbasi fare, che non sia prescritto nella Bibbia; ma sappiamo pure che oltre al falsificare la Bibbia stessa, voi non fate poi quanto essa prescrive di fare. La Bibbia ad esempio nel Vangelo di S, Matteo al capo XVIII, versicolo decimosettimo, dice che « se alcuno non ascolta la Chiesa, ha da essere considerato come un gentile ed un pubblicano ». Or bene, quale ascolto date voi alla Chiesa? Se foste docili ai suoi santi insegnamenti, riterreste che non è la Bibbia sola, che deve formare la norma dei nostri insegnamenti, ma che oltre alla parola di Dio scritta, vi ha pure la parola di Dio venutaci per Tradizione, la quale ha la stessa autorità, perché tutta è parola dello stesso Iddio. Ed allora dalla Tradizione imparereste, che il culto dei Santi da noi rimonta sino ai tempi apostolici; che non solo ne hanno articoli espressi il Concilio Tridentino e Niceno II, ma che la pratica di questo culto si trova ancora nei cimiteri, nelle catacombe, negli oratori, nei monumenti, che innalzavansi a celebrare la memoria dei martiri, e presso dei quali recavansi per pregare i fedeli; udreste dirvi da S. Agostino, da S. Giovanni Crisostomo e ripetutamente da S. Cipriano e da Tertulliano che nei giorni anniversari della morte dei martiri offrivasi a Dio il Santo Sacrificio in loro onore; vedreste gli onori speciali tributati dalle loro Chiese a S. Pionio, a S. Policarpo, a S. Ignazio, discepoli questi ultimi degli stessi Apostoli; leggereste nelle Costituzioni Apostoliche i giorni, in cui devesi far festa per onorare gli Apostoli ed i martiri, e finalmente ricavereste l’uso di questo culto dagli stessi eretici Manichei, che nel terzo e quarto secolo ne facevano come voi, rimprovero alla Chiesa Cattolica. – Del resto è vero che nella Bibbia non vi è traccia del culto dei Santi? Io l’apro nel libro del Genesi (XVIII, 2 — XIX, I) e vi leggo che Abramo e Lot s’inchinarono d’innanzi agli angeli loro inviati da Dio: io l’apro nel libro dell’Esodo (XXIII, 20) e vi leggo che così parla Iddio al suo popolo: « Ecco, io manderò il mio Angelo, che ti preceda nel cammino; onoralo, ascolta la sua voce e guardati dal disprezzarlo; imperciocché il mio nome è con lui ». Io l’apro nel libro di Giosuè (V, 15) e vi leggo che egli si incurva dinnanzi all’Angelo, che gli è apparso, e che ei riceve l’ordine dall’angelo stesso di togliersi i calzari, perchè il luogo dove sta è santo; io l’apro nel libro IV dei Re (I, 10-13) e v i leggo il castigo terribile, con cui Iddio punì i due capitani, che mancarono di rispetto al profeta Elia, e l’atto di venerazione usato al medesimo da un terzo capitano. Nello stesso (II, 24) leggo l’aspra vendetta, che Dio fece dei fanciulli schernitori di Eliseo, e (IV, 37) l’onore che allo stesso profeta rese la Sunamitide, dopo ché ebbe da lui il figlio risuscitato. Come dunque si osa dire che nella Bibbia, non vi è traccia del culto dei Santi? Né è una difficoltà il dire che il culto, di cui si parla nella Bibbia, trovasi tributato a santi ancor viventi: perché se Iddio e con la parola e col fatto approvò l’onore, che fu reso agli uomini santi, mentre ancor vivevano quaggiù soggetti alle umane imperfezioni, si potrà forse dubitare ch’Egli non si compiaccia dell’onore, che rendiamo ai Santi, quando già uscirono da questo mondo, e la Chiesa col suo giudizio ci assicura che sono beati in cielo? Non solo adunque non siamo idolatri nell’onorare i santi, ma neppure novatori, come pretenderebbero i protestanti. Onorando i Santi non facciamo né più né meno di quel che si fece per testimonianza della Bibbia nell’antica legge, e né più né meno di quello che per testimonianza della Tradizione sempre si fece nella legge nuova.
IV.
Ma, udite, o fratelli: il protestantesimo non è pago ancora, e dopo d’averci contraddetto l’onore ai Santi vuole contraddirci eziandio l’invocazione del loro aiuto. Udite come esattamente riproduce i suoi sentimenti un illustre scrittore: « Quelli che furono santi in questo mondo, quelli che ebbero il cuore sì ricco d’amore e la mano sì feconda di benefizi, non hanno più per noi che la fredda luce della loro gloria. Non domandiamo loro nulla, perché essi non intendono le nostre domande; non confidiamo nella loro intercessione; essi non possono più nulla per noi. La perfezione consummata, in cui essi si trovano, ha inaridito nel loro seno l’ammirabile potere di far del bene a quelli che essi amavano. Un padre non è più padre, una madre non è più madre, un fratello non è più fratello, un amico non è più amico. Versiamo lacrime senza speranza, e come il re Agag solleviamo questo lamentevole grido: Sicóim separat amara mors? Così ci separa la morte amara? » Ecco la dottrina del protestantesimo, che rompe quella catena preziosa, che lega la Chiesa trionfante del cielo colla Chiesa militante della terra. – E non sentite, o fratelli, rivoltarsi contro di essa i sentimenti più delicati e profondi del vostro cuore? Non udite voi la natura gridare sdegnata al protestantesimo: tu menti? I suoi larghi e generosi istinti non vi dicono forse: la verità non può essere questa? ed è impossibile questo separatismo brutale, che isola la terra dal cielo? Ah! ben diversa è la dottrina della Chiesa cattolica! Ogni giorno essa invita i suoi figli a ripetere colle parole del Simbolo: Credo la Comunione dei Santi, vale a dire: credo che e anime beate del cielo, e anime militanti della terra, ed anime purganti del Purgatorio siamo tutti un solo e medesimo corpo, il cui capo è Gesù Cristo; credo che in questo mistico corpo l’interesse di un membro è l’interesse di un altro, il bene dell’uno è il piacere dell’altro, la pena dell’uno è la compassione dell’altro: credo che la carità più viva è quella, che lega insieme tutte queste membra, che sebbene ancora in luoghi diversi formano tuttavia un solo corpo, la Chiesa di Gesù Cristo. – E stando salda questa unità, del cui dogma sono ripiene le sacre scritture, come si potrà, senza sragionare, negar le comunicazioni tra i santi del cielo e gli nomini della terra? La Chiesa militante, prosegue il grande Monsabré, per rapporto alla Chiesa trionfante è nelle condizioni analoghe a quelle d’un esercito, che combatte in lontano paese, di fronte alla patria, ove tutto è ordine, prosperità e pace. Forseché l’esercito non ha sempre gli occhi rivolti alla patria, d’onde attende i soccorsi ed i rinforzi, dei quali ha bisogno per condurre a buon termine una faticosa campagna? E forseché la patria per godere d’una felicità egoistica non si dà pensiero delle fatiche, dei patimenti di quei valorosi, che tengono alto l’onore della bandiera? Forseché tra l’esercito e la patria non esiste una solidarietà intima, che si manifesta in uno scambio generoso e pieno di fiducia, di preghiere e di sollecitudini, di voti e di benefizi, fino al giorno, nel quale i vincitori attraverseranno in trionfo la folla commossa dei cittadini, che col cuore erano con essi sulla terra straniera? Onta e sventura al paese, che dimentica i suoi soldati! Voi sapete troppo bene, o fratelli, fino a qual punto il patriottismo si sdegni contro simile delitto. – Or bene, esercito di Gesù Cristo sempre in battaglia contro i nemici della salute, noi imploriamo ed attendiamo dai Santi, che abitano la patria celeste, nella quale un giorno dovremo noi pure trionfare, un’assistenza necessaria ed efficace. È questo un diritto che noi abbiamo, appartenendo noi allo stesso corpo, cui appartengono i Santi. E perché non lo eserciteremo? Se la gloria che inonda i Santi avesse, come credevano gli antichi del fiume Lete, la strana proprietà di far loro dimenticare la terra, dove testé combattevano nelle nostre file, allora sì che sarebbe inutile invocare i Santi. Sarebbe pure inutile, se la luce, in cui vivono, loro impedisse di stendere lo sguardo alle nostre miserie; se Iddio dopo d’esser stato con essi sì generoso quando erano in terra, fosse adesso con loro sì scarso; se finalmente il costume dei Santi fosse il medesimo degli uomini volgari ed egoisti del mondo, che saliti dal basso all’alto, dalle miserie alle prosperità, dimenticano sì facilmente i parenti e gli amici rimasti allo stesso posto di prima. Ma tutto è ben diverso, Ah! i Santi saliti al Cielo ricordano l’aspra lotta, che dovettero a tal fine sostener qui in terra; vedendo Dio vedono tutto ciò che egli ama, tutto ciò, di cui egli ha cura, epperò conoscono i nostri bisogni meglio di quanto li conosciamo noi stessi; la loro potenza è cresciuta in cielo in ragione della loro perfezione, e come è cresciuta in essi la potenza di aiutare gli uomini, così è cresciuta la loro volontà di aiutarli, e quanto più sono sicuri della loro felicità, tanto più sono solleciti della, nostra salute: Quantum de sua felicitate securi, tantum de nostra salute solliciti (S. Ciprianus, lib. de Mortal.); epperò meritano di essere da noi con tutta fiducia invocati. – E dica pure il protestantesimo che l’apostolo san Paolo asserisce che un solo è il mediatore tra Dio e gli uomini, Gesù Cristo (1 Timot. II, 5), ma noi riterremo senza dubbio che un solo per natura è il mediatore tra il cielo e la terra, un solo per natura è il Salvatore del genere umano, un solo per natura è il nostro avvocato presso il trono dell’Altissimo; ma che ciò non toglie che altri mediatori ed avvocati vi possano essere per partecipazione e per grazia. Il protestantesimo dica pure che col rivolgerci ai Santi facciamo affronto a Dio, quasi riconoscendo in essi e non in Dio i padroni ed i dispensatori della grazia, ma noi riterremo che ci rivolgiamo ai santi non come ad autori e padroni delle grazie, ma semplicemente come ad intercessori per ottenerle. Tanto è vero che la Chiesa nella S. Messa non mai si dirige con le sue orazioni ai Santi, ma si rivolge direttamente a Dio pregandolo a concederle, le sue grazie, per la intercessione dei Santi, e sempre per i meriti di Gesù Cristo: Per Dominum nostrum Iesum Christum. Il far rimettere nelle mani del re una supplica per mezzo di un suo favorito, sarà questo un affronto al re stesso e un riconoscere per autore della grazia, che si implora, il suo favorito? Il protestantesimo dica pure che Dio, è ottimo padre, pronto sempre ad esaudirci e che Gesù Cristo, per mezzo della sua passione e morte ci ha meritate tutte le grazie, di cui abbisogniamo, e che perciò è inutile il ricorrere ai Santi, e noi riterremo che se Iddio è ottimo Padre, noi siamo pur troppo figliuoli cattivi, ai quali può giustamente negare quello che noi gli chiediamo, per avere noi tante volte negato a Lui quello che da noi richiedeva; ed essere perciò sommamente utile ad ottenere le grazie sue l’interporre l’intercessione dei figliuoli santi, che Iddio per la loro bontà predilige: che se Gesù Cristo basta senza alcun dubbio a meritarci ogni favore, ciò non impedisce che Egli si compiaccia di onorare i Santi, facendoci ottenere le grazie anche per la intercessione degli stessi. Finalmente quando il protestantesimo ci dirà ancora che nella Bibbia non trovasi parola dell’invocazione dei Santi, e noi colla Bibbia alla mano mostreremo loro che nel vecchio testamento gli amici di Giobbe a lui si raccomandano, perché plachi Iddio con essi sdegnato; che Mose ed Aronne s’interpongono più volte in favore degli Israeliti prevaricatori; che il popolo ebreo ricorre alle preghiere di Samuele; che nel libro di Zaccaria si parla d’un Angelo, che prega Dio per i Giudei; che nel libro II dei Maccabei si manifesta la cura che degli stessi presero Onia e Geremia già passati di questa vita; che nel nuovo testamento il Divin Salvatore compie il suo primo miracolo per intercessione di Maria; che S. Paolo si raccomanda alle orazioni dei fedeli; che S. Giacomo li esorta a pregare gli uni per gli altri; che S. Pietro promette loro di ricordarsene dopo morte; e finalmente che S. Giovanni nella sua Apocalisse vede in cielo ventiquattro seniori, che prostrati dinanzi all’Agnello tengono in mano ampolle d’oro piene di soavi fragranze, che sono le orazioni dei Santi (V, 8). – Per noi cattolici poi aggiungeremo che l’invocazione dei Santi è sempre stata nella Chiesa una pratica costante, da noi sino ai primi secoli: le cui chiare testimonianze si ritrovano nelle più antiche liturgie, negli atti dei martiri, negli scritti di Origene, di S. Cipriano, di S. Eusebio, di S. Gregorio Nazianzeno, di S. Cirillo Gerosolimitano, scrittori tutti del III, IV e V secolo, nei concilii ecumenici Costantinopolitano III e Niceno II, e che però ben a ragione il Concilio Tridentino comanda ai sacri Pastori di insegnare ai fedeli che « i Santi, i quali regnano con Cristo, offrono a Dio le loro orazioni per gli uomini; essere quindi cosa buona ed utile l’invocarli supplichevolmente ».
V.
Ma riguardo a questo secondo dovere, che noi dobbiamo compiere coi Santi, il protestantesimo si scandalizza ancora, e l’incredulità ci deride, perché dei Santi veneriamo le reliquie e le immagini. Ora non torna neppur difficile il riconoscere quanto ingiusto sia questo scandalo e questa derisione. Forseché noi adoriamo le immagini e le reliquie dei Santi, come facevano i Pagani coi loro idoli? Forseché riponiamo nelle stesse una qualche fiducia? Se noi baciamo e veneriamo le immagini e le reliquie dei Santi, non intendiamo forse di riferire il culto e la venerazione nostra ai Santi medesimi? Vedete strana incoerenza: si protesta contro il culto delle immagini e reliquie dei Santi; ma si protesta forse contro il culto, che il soldato serba alla sua bandiera? si protesta forse contro il rispetto, che il popolo serba alla casa, che vide nascere un uomo grande e ne raccolse l’estremo sospiro? si protesta forse contro del figlio, che guarda con riverenza uno scritto del padre? si protesta forse contro la sposa, che serba con tenerezza l’anello dello sposo? contro l’amico, che tiene caro un fiore staccato dalla tomba dell’amico? contro la famiglia, che appende con affetto i ritratti dei maggiori? Ma che dico? si protesta forse contro i governi e i municipii che nei loro musei serbano e venerano capelli, calzoni, tabacchiere, bastoni, badili e persino altri più vili istrumenti degli uomini che si dicono grandi? Eh via! l’iniquità mentisce mai sempre a se stessa: mentita est iniquitas sibi (Ps. XXVI, 12). Le immagini dei Santi che noi veneriamo ci parlano al cuore, ci ricordano le loro virtù, l a loro potenza, ci stampano in mente il dovere, che noi abbiamo di imitarli, e ci spronano a seguire i loro esempi, e noi non rigetteremo giammai un culto per noi tanto utile. I corpi e le reliquie dei Santi sono corpi e reliquie di coloro, che sono membra vive di Gesù Cristo e templi dello Spirito Santo per là grazia, onde furono ripieni; ed un giorno saranno con le anime glorificati in cielo, e noi non disprezzeremo giammai la voce della ragione, che ci dice di venerarli. La Chiesa in ogni tempo ebbe in uso il culto delle reliquie; i cristiani serbarono sempre con venerazione l’arena inzuppata dal sangue dei martiri, e si gloriarono sempre d’inginocchiarsi nei santuari dinanzi agli avanzi gloriosi di quei Santi, che essi invocano a difesa e tutela della loro patria; e Dio stesso più volte con grazie e miracoli ha mostrato come questo culto gli torni accettevole.
VI.
Se non che, o fratelli, se è a dolere che i nostri fratelli separati non vogliano saperne di culto e d’invocazione dei Santi, non è a dolere anche più, che praticamente facciano lo stesso certi cristiani? Allorquando nel secolo III i pagani di Roma piangevano nel vedere disprezzati dai Cristiani i loro dei, Tertulliano rispondeva loro: Io non so se gli dei vostri più abbiano a lamentarsi di noi, che di voi: Nescio plusne dii vestri de nóbis quam de vóbis querantur. E giustamente, perché i Cristiani disprezzavano gli dei di Roma per ragione e per principio; laddove i pagani pretendevano d’onorarli con il libertinaggio e con lo sregolamento delle loro passioni. Or bene, se noi badiamo come taluni tra noi cattolici onorino ed invochino i Santi, sapremmo asserire se i Santi più abbiano a lamentarsi di noi, che degli eretici? Ed in vero, vi dirò con un grande oratore: noi sappiamo che i Santi sono gli amici di Dio e i nostri patroni, sappiamo che prostrati dinanzi al trono del Signore del continuo pregano per noi, sappiamo che tanto si occupano della nostra salute, che ci salvano dall’ira di Dio, che ci scampano da mille disgrazie e pericoli, sappiamo che sono i nostri più grandi benefattori, potendosi dir di ciascuno: Me fratrum amator et populi: questi è il vero amante dei suoi fratelli e del popolo (2 Mac. XV). Ma intanto poi li copriamo, non dico solo di oblio e di ingratitudine, ma di oltraggio e di disonore. I Santi implorano sul nostro capo le benedizioni celesti, e noi talora apriamo la bocca a bestemmiare il loro nome. – Per essi la Chiesa innalza dei templi e noi con la nostra irreligione li violiamo; per essi istituisce delle feste e noi con la noncuranza nostra le profaniamo; per essi celebra offici e intesse elogi e noi vi assistiamo, non dico con indifferenza, ma persino con spirito di disprezzo. A renderci profittevoli le loro solennità la Chiesa ci obbliga alla vigilia ed al digiuno e noi calpestiamo questa legge, e quei giorni medesimi, che per essere ai Santi consacrati dovrebbero essere per noi giorni di onesta gioia e di religiosa pietà, sono invece giorni di licenza, di divertimenti, di giuochi, di gozzoviglie e di disordini. Ecco, o fratelli, per nostra onta, qual è il culto, che molti di noi cattolici prestiamo ai Santi! Che dirò poi dell’invocazione che rivolgiamo talora ai medesimi? Io non parlo, no, di quelle preghiere abominevoli, e secondo il termine della Sacra Scrittura, esecrabili, che se fossero dai Santi esaudite, farebbero di loro altrettanti fautori dei nostri vizi, di quelle preghiere cioè con cui s’invocano i Santi per il successo d’una impresa ingiusta, pel mantenimento di una fortuna iniqua, per la prosperità d’un affare malvagio, per la soddisfazione d’una sregolata cupidigia, per la riuscita d’una scellerata vendetta. Questo, come dice Agostino, sarebbe il massimo degli affronti, perché se gl’infedeli domandavano tali cose ai loro falsi dei, egli è perché li ritenevano per più corrotti di loro, e non v’è perciò da stupirne; ma sapere che i Santi sono glorificati in cielo per la virtù e chiedere loro quello, che mira all’annientamento della medesima, sarebbe questa la più orrenda delle indegnità. Non parlo neppure di quelle preghiere affatto mondane, con le quali invochiamo dai Santi beni del tutto profani, agi, ricchezze, onori, e non mai ciò che riguarda il nostro avanzamento nelle cristiane virtù, e la santificazione delle anime nostre. Anche, questa sarebbe una riprovevole usanza, mostrarsi così solleciti d’invocare i Santi quando si tratta di ottenere un bell’impiego, di raggiungere una carica, di aver robustezza di salute, di guarire da una infermità, di scampare da una malattia contagiosa, di abbattere i nemici della patria, di ottenere un tempo favorevole alle campagne, di fare un raccolto abbondante, di riuscir bene in un negozio, e poi trascurare d’invocarli, anzi non invocarli affatto quando si tratta di distruggere un’abitudine viziosa, di vincere una passione che ci domina, di abbattere la carne che si ribella, di superare la tentazione che ci travaglia, di preservarci dalle piaghe del mondo e dalla sua corruzione. Sì, anche questa sarebbe noncuranza e cecità dannosissima. Io voglio parlare soltanto del grande abuso, che della invocazione dei Santi noi facciamo in quelle preghiere medesime in apparenza le più religiose, in quelle preghiere, con le quali protendiamo di ottenere dai Santi quello che non ci studiamo di ottenere noi stessi, in quelle preghiere, con cui abbiamo l’impudenza di chiedere ai Santi l’intercessione per la nostra salvezza, avendo poi la pretesa di vivere noi senza vigilanza e senza attenzione per la stessa. – Noi invochiamo i Santi, e vorremmo che ad ottenere il compimento dei nostri voti bastasse l’invocarli: noi invochiamo i Santi, e domandando loro lo spirito di penitenza, vorremmo continuare a vivere a nostro genio: noi invochiamo i Santi, e domandando loro la grazia di convertirci, vorremmo che la nostra conversione non importasse alcuna violenza, alcun distacco, alcun sacrificio per parte nostra; noi invochiamo i Santi, e domandando loro il possesso della virtù vorremmo non aver da prendere alcuna misura per conseguirlo, e soventi volte, come Agostino prima che rompesse le sue ree catene, non crediamo d’essere esauditi giammai; noi invochiamo i Santi e vorremmo determinare le grazie che ci hanno a fare, e grazie non di rado, che non ci convengono affatto e che più ancora che a nostra salute servirebbero a nostra rovina! Ah cristiani! ricordiamoci che se i Santi sono potenti appresso Dio, non lo sono contro di Dio e contro del suo volere: che se sono potenti, il sono d’una potenza regolata ed ordinata, d’una potenza raffermata ogni giorno secondo l’intendimento della legge eterna: vale a dire essi, sono potenti per consolarci nelle nostre pene e non già per farcene esenti; essi sono potenti per darci mano ad operare e non già per trattenerci in una rilassata indolenza; potenti secondo i disegni di Dio e non secondo le nostre velleità e i nostri capricci. Invochiamoli adunque i Santi, perché Iddio, in essi ammirabile, ce li ha dati per nostri protettori; ma appunto perché sono Santi invochiamoli santamente. Che se per nostra storditezza e malizia li invocheremo alla mondana, anziché farci dei protettori, che ci difendano e ci soccorrano, ricordiamoci che ci faremo dei testimoni e dei giudici per accusarci e condannarci. – S. Giovanni nell’Apocalisse tra le altre cose intese pure i Santi a domandare a Dio non grazie per gli uomini, ma giustizia e vendetta contro gli uomini: Usquequo non vindicas sanguinem nostrum de iis qui habitant in terra? (VI, 10): Signore, giustizia e vendetta non solo contro gli uomini, che nel corso della vita ci hanno disprezzati, perseguitati, accusati, condannati, messi a morte: giustizia e vendetta non solo contro gli uomini libertini ed empii, che hanno profanato le nostre feste, e beffeggiato il nostro culto; ma giustizia e vendetta contro di coloro eziandio, che hanno fatto e vogliono fare della nostra protezione un uso sì contrario ai tuoi divini voleri e sì iudeguo della nostra santità: Usquequo non vindica? sanguinem nostrum de iis qui habitant in terra ?
VII.
Ma passiamo ora a dir brevemente del terzo dovere, che noi dobbiamo compiere verso dei Santi, che è quello d’imitarli. Stava per morire l’illustre Matatia, quel generoso principe de’ Maccabei, e chiamati a sé dappresso i suoi figlinoli così disse loro : « Figli, zelate la legge di Dio e ricordate soprattutto gli esempi, gloriosi dei padri vostri, ed anche voi vi acquisterete una gloria ed un nome immortale. Eicordate la fedeltà di Àbramo, la sofferenza di Giuseppe, l’obbedienza di Giosuè, la moderazione di Davidde, lo zelo di Elia, la integrità di Daniele e ricopiate nell’animo vostro così belle virtù e così operando di generazione in generazione toccherete con mano che non v’ha cosa più onorata e sicura quanto quella di servire a Dio ». Così parlò quel venerando vegliardo, che S. Giovanni chiama uomo evangelico prima ancor dell’evangelio. E così parla a noi il Signore del continuo. «Ricordate le virtù dei Santi, egli dice, considerate i loro esempi e seguiteli: anche per questo fine io li ho suscitati. Ecco gli eroi della vostra fede, ecco gli uomini, di cui il mondo non era degno, e che disprezzati dal mondo si resero degni di me. Contemplateli, paragonateli con voi e scoprendo l’infinita distanza, che vi separa, studiatevi di avvicinarvi. Invece di affettare virtù mondane, che non hanno né verità né sodezza, invece della prudenza della carne, che vi danneggia e vi fa nemici di Dio, invece di quella sconsigliata politica, che vi violenta la coscienza e vi getta in un abisso di colpa, invece di quella scienza mondana, che tanto vi gonfia e niente vi giova, abbracciate quelle virtù che hanno praticato i Santi, e se pur volete uno sfogo alla vostra ambizione, cercatelo nell’emulare i loro esempi : Æmulamini charismata meliora » (1 Cor. 1,12). – Ecco, o fratelli, quel che vi dice Cristo, quel che vi dice sopratuttto in questo giorno sacro a tutti i Santi. – Ma io so bene che a sottrarsi all’adempimento di questo precetto non mancano i pretesti. E primo è quello di figurarci difficile e quasi impossibile la santità. Ma come, esclama S. Bernardo, difficile la santità? Se Dio richiedesse da voi la possanza dei miracoli, la predizione delle cose future, la grazia delle guarigioni, il discernimento degli spiriti, la sublimità delle visioni, la grandézza delle rivelazioni, allora capirei esser difficile il farsi santi: ma è questo forse che richiede da noi? No per certo. Ei si contenta che noi siamo umili, pazienti, caritatevoli, temperanti, casti, misericordiosi; questo gli basta per averci in conto di santi e questo forse sarà difficile? Mirate i Santi, ci dice l’Apostolo, essi provarono gli scherni e le battiture, furono lapidati, furono segati, furono tentati, perirono sotto la spada, andarono raminghi, coperti di pelli di pecora e di capra, mendichi, angustiati, afflitti, errando per le solitudini, e per le montagne, e nelle spelonche e caverne della terra; e se questi e quelli, soggiunge S. Agostino, con l’aiuto di Dio hanno potuto tanto, perché non potrò anch’io assai meno? Si isti et illi cur non ego? Perché non potrò essere casto anch’io? Perché non potrò essere umile anch’io? Perché non potrò perdonare anch’io? Perché non potrò anch’io essere paziente? – Ma i Santi, si dice, ed ecco il secondo pretesto, erano uomini diversi da noi, né soggetti alle stesse miserie. Oh quale inganno! I Santi erano uomini e donne deboli come siamo noi, erano composti della stessa fragile creta; essi ancora, dice S. Bernardo, provarono le molestie di questo esilio, le afflizioni di questo misero pellegrinaggio, essi ancora sentirono il peso di questo corpo mortale e gli stimoli della ribelle concupiscenza. Essi pure furono esposti alle tentazioni, ai tumulti delle passioni, alle contraddizioni ed agli scandali del mondo. Anzi molti furono peccatori come noi, e forse più di noi, e sperimentarono gravissime difficoltà e ripugnanze al bene; pure confidati nella grazia di Dio vinsero e tentazioni e passioni e scandali e riuscirono a santificarsi. Oh! abbandoniamoci anche noi nelle braccia del Signore, ed il Signore ricco nella sua misericordia ci sosterrà nella lotta coi nostri nemici e ce ne darà come ai Santi la vittoria. Finalmente, si dice ancora, come è possibile farci santi nello stato nostro? Com’è? nello stato vostro è impossibile farvi santo? Ma quale stato è il vostro? Siete giovani? ecco dei santi giovani. Siete vecchi? ecco dei santi vecchi. Siete nobili? ecco dei santi nobili. Siete di bassa condizione? ecco dei santi plebei. Siete dotti? ecco dei santi dotti. Siete idioti? ecco dei santi idioti. Siete vergini? ecco dei santi vergini. Siete coniugati? ecco dei santi coniugati. Siete preti? ecco dei santi preti. Siete soldati? Ecco dei santi soldati. Siete sovrani? ecco dei santi sovrani. Siete ricchi? ecco dei santi ricchi. Siete poveri? ecco dei santi poveri. Ah! non vi è stato, no non v’è stato alcuno, che non abbia i suoi santi e non v’è stato alcuno, in cui non sia dato di farsi santo. Anche l’accattone che va elemosinando il pane di porta in porta, o che chiede la carità alla porta delle nostre chiese, anch’esso sempre che il voglia può farsi santo. – Non lo credete? Intorno alla metà del secolo XVIII nasceva in Piccardia, provincia di Francia, un figlioletto. Nel 1770 gli balenava alla mente una divina ispirazione e si trasformava in tale figura da metter compassione negli uomini di buon cuore e da destar il riso negli uomini mondani. – Vestito di logora veste, cinto di una fune, nudo il capo, e con scarpe sdruscite nei piedi pellegrinava nei più celebri santuari della Germania, della Svizzera, della Francia, della Spagna e dell’Italia; e nel 1777 poneva da ultimo sua stanza in Roma. Al bisogno del cibo soddisfaceva con frusti di pane e con erbe gittate per la via, al bisogno della sete con l’acqua, e se riceveva elemosina sollevava gli altri poverelli. Macilento com’era e squallido, se talvolta veniva fastidiosamente rigettato o schernito dalla procace plebaglia, non solo non risentivasi punto, ma lieto anzi e tranquillo riceveva ogni ludibrio ed ingiuria. Passava la massima parte della giornata nelle chiese dinanzi l’immagine di Maria e dinanzi a Gesù in Sacramento. Finalmente una volta dopo passate molte ore in preghiera nella chiesa di S. Maria dei monti cadeva in deliquio, e trasportato nella vicina casa di un uomo benefico, dopo avere inutilmente chiamato di venire disteso sulla nuda terra, spirava l’anima nel bacio del Signore il 16 aprile del 1783. Era l’ora in cui suonavano tutte le campane di Roma per la recita di tre Salve Regina ordinata da Pio VI pei bisogni della Chiesa, e quasi che quel suono fosse voce celeste pareva rivelare la morte di quel povero agli innocenti fanciulli, i quali andavano gridando per le vie della città: È morto il santo: è morto il santo! Ed un santo davvero era morto! S. Giuseppe Benedetto Labre! – Oh come è vero, o fratelli, che Dio è mirabile ne’ suoi santi: mirabilis Deus in sanctis suis! e che tutti, se il vogliono, possono farsi santi! Mettiamoci adunque di buona volontà; affidiamoci alla grazia di Dio; interponiamo la mediazione dei Santi, di quelli particolarmente, di cui portiamo il nome e che abbiamo scelti a protettori, e non dubitiamo che o poco o tanto ci faremo santi anche noi, e non indarno avremo rivolta a Dio questa grande preghiera: Aeterna fac cum Sanctis tuis in Gloria numerari!
Credo …
Offertorium
Orémus
Sap III:1; 2; 3
Justórum ánimæ in manu Dei sunt, et non tanget illos torméntum malítiæ: visi sunt óculis insipiéntium mori: illi autem sunt in pace, allelúja. [I giusti sono nelle mani di Dio e nessuna pena li tocca: pàrvero morire agli occhi degli stolti, ma invece essi sono nella pace.]
Secreta
Múnera tibi, Dómine, nostræ devotiónis offérimus: quæ et pro cunctórum tibi grata sint honóre Justórum, et nobis salutária, te miseránte, reddántur. [Ti offriamo, o Signore, i doni della nostra devozione: Ti siano graditi in onore di tutti i Santi e tornino a noi salutari per tua misericordia.]
Communio
Matt 5:8-10
Beáti mundo corde, quóniam ipsi Deum vidébunt; beáti pacífici, quóniam filii Dei vocabúntur: beáti, qui persecutiónem patiúntur propter justítiam, quóniam ipsórum est regnum cœlórum. [Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio: beati i pacifici, perché saranno chiamati figli di Dio: beati i perseguitati per amore della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.]
Postcommunio
Orémus.
Da, quǽsumus, Dómine, fidélibus pópulis ómnium Sanctórum semper veneratióne lætári: et eórum perpétua supplicatióne muníri. [Concedi ai tuoi popoli, Te ne preghiamo, o Signore, di allietarsi sempre nel culto di tutti Santi: e di essere muniti della loro incessante intercessione.]
Ite, Missa est.
R. Deo gratias.