DOMENICA X dopo PENTECOSTE

Introitus
Ps LIV:17; 18; 20; 23
Dum clamárem ad Dóminum, exaudívit vocem meam, ab his, qui appropínquant mihi: et humiliávit eos, qui est ante saecula et manet in ætérnum: jacta cogitátum tuum in Dómino, et ipse te enútriet. [Quando invocai il Signore, esaudí la mia preghiera, salvandomi da quelli che stavano contro di me: e li umiliò, Egli che è prima di tutti i secoli e sarà in eterno: abbandona al Signore ogni tua cura ed Egli ti nutrirà.]
Ps LIV:2
Exáudi, Deus, oratiónem meam, et ne despéxeris deprecatiónem meam: inténde mihi et exáudi me.
[O Signore, esaudisci la mia preghiera e non disprezzare la mia supplica: ascoltami ed esaudiscimi.]
Dum clamárem ad Dóminum, exaudívit vocem meam, ab his, qui appropínquant mihi: et humiliávit eos, qui est ante sæcula et manet in ætérnum: jacta cogitátum tuum in Dómino, et ipse te enútriet. [Quando invocai il Signore, esaudí la mia preghiera, salvandomi da quelli che stavano contro di me: e li umiliò, Egli che è prima di tutti i secoli e sarà in eterno: abbandona al Signore ogni tua cura ed Egli ti nutrirà.]

Oratio

Orémus.
Deus, qui omnipoténtiam tuam parcéndo máxime et miserándo maniféstas: multíplica super nos misericórdiam tuam; ut, ad tua promíssa curréntes, cœléstium bonórum fácias esse consórtes.
[O Dio, che manifesti la tua onnipotenza soprattutto perdonando e compatendo, moltiplica su di noi la tua misericordia, affinché quanti anelano alle tue promesse, Tu li renda partecipi dei beni celesti.]

Lectio
Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corínthios.
1 Cor XII:2-11
Fratres: Scitis, quóniam, cum gentes essétis, ad simulácra muta prout ducebámini eúntes. Ideo notum vobisfacio, quod nemo in Spíritu Dei loquens, dicit anáthema Jesu. Et nemo potest dícere, Dóminus Jesus, nisi in Spíritu Sancto. Divisiónes vero gratiárum sunt, idem autem Spíritus. Et divisiónes ministratiónum sunt, idem autem Dóminus. Et divisiónes operatiónum sunt, idem vero Deus, qui operátur ómnia in ómnibus. Unicuíque autem datur manifestátio Spíritus ad utilitátem. Alii quidem per Spíritum datur sermo sapiéntiæ álii autem sermo sciéntiæ secúndum eúndem Spíritum: álteri fides in eódem Spíritu: álii grátia sanitátum in uno Spíritu: álii operátio virtútum, álii prophétia, álii discrétio spirítuum, álii génera linguárum, álii interpretátio sermónum. Hæc autem ómnia operátur unus atque idem Spíritus, dívidens síngulis, prout vult.

Omelia I

[Mons. G. Bonomelli, Omelie, vol III – Torino, 1899. Omelia XXI]

« Voi sapete, che, essendo Gentili, andavate agli idoli muti, come vi menavano. Perciò vi dico, che nessuno, parlando nello Spirito di Dio, può dire anatema a Gesù; e che nessuno può dire Signore Gesù, se non per lo Spirito Santo. Vi sono poi diversi doni, ma lo Spirito è medesimo: e sono diversi ministeri, ma è lo stesso Signore; e sono diverse operazioni, ma è lo stesso Dio, che opera tutto in tutti. A ciascuno poi è data la manifestazione dello Spirito ad utilità. Perciocché ad uno è data per lo Spirito parola di sapienza, ad altro di scienza, secondo lo Spirito stesso. Ad altro la fede per il medesimo Spirito, ad altri doni di guarigioni nello stesso Spirito. Ad altro l’operare portenti, ad altro profezia, ad altro il discernere gli spiriti, ad altro generi di lingue, ad altro interpretazioni di lingue. Ora tutte queste cose le opera quell’uno e medesimo Spirito, dividendole a ciascuno come vuole „ (I. Cor. XII, 2-11).

Lo scopo della prima lettera di S. Paolo ai Corinti (le sentenze che or ora avete udite spettano a quella lettera) è vario, come apparisce a chi la legge anche solo superficialmente. Si studia di togliere i dissidi, che turbavano la pace di quella Chiesa e vuole, che smesse le pretensioni a sapienza, riconosca nei sacri ministri Colui che li manda. Usando della sua autorità, separa dalla Chiesa l’incestuoso: stabilisce come devono regolarsi, quanto al mangiar le carni offerte agli idoli e dichiara la dottrina di Cristo intorno al matrimonio ed alla verginità, e dà le norme intorno al modo di celebrare la cena e di ricevere la S. Eucaristia. Nella primitiva Chiesa erano assai frequenti i doni straordinari, secondo la promessa di Cristo. L’Apostolo per cessare i pericoli e la confusione, che ne potevano derivare nella Chiesa, ricorda ai fedeli la dottrina cattolica intorno a questi doni e poi traccia le regole pratiche, alle quali si devono attenere nell’uso dei medesimi. Nella lezione, che debbo spiegare, si espone la dottrina cattolica rispetto a tutti i doni celesti, ed essa è ben meritevole di tutta la vostra attenzione. Dio è il Padre dei lumi, dice S. Giacomo, – è la fonte inesauribile di tutti i doni, siano naturali, siano sovrannaturali. I doni di Dio, che appartengono all’ordine sovrannaturale si sogliono partire in due grandi classi: alla prima classe spettano i doni più eccellenti, quelli che per se stessi ci fanno grati a Dio, ci costituiscono suoi amici, anzi suoi figliuoli e partecipi della sua stessa natura; tal è la grazia di Dio santificante. Alla seconda classe di doni sovrannaturali appartengono quelli, che propriamente non ci fanno amici di Dio, ma che ci possono condurre a lui e che si possono trovare e si trovano di fatti anche in uomini peccatori. Così taluno può avere il dono della profezia, di far miracoli e andate dicendo, e vivere in peccato ed anche perdersi. Questi doni sovrannaturali nessuno può meritarli; Iddio li concede a chi vuole secondo i consigli della sua sapienza, e direttamente hanno per fine, non il bene di chi li riceve, ma sì il bene altrui. Così il potere sacerdotale è volto principalmente alla salvezza delle anime e può trovarsi e validamente si esercita anche da chi ne è indegno e vive nel peccato e nello scandalo. S. Paolo nel luogo, che siamo per ispiegare, ragiona dei doni sovrannaturali della seconda classe, a quei tempi molto comuni, perché erano ordinati a diffondere e stabilire la fede e la religione, ch’era in sul suo nascere. – L’Apostolo scrive a ai Corinti, molti dei quali erano stati Gentili, e dopo aver detto loro: – Quanto ai doni spirituali non voglio che ne siate ignari, ,, prosegue e scrive: ” Voi sapete, che, essendo Gentili, andavate agli idoli mutoli, come vi menavano. „ Con destrezza affatto naturale S. Paolo contrappone lo stato presente a quello, in cui poco prima si trovavano quei suoi neofiti allo scopo manifesto di far loro conoscere l’immenso beneficio ricevuto. Non potete dimenticarlo, par che dica l’Apostolo: pochi anni or sono voi eravate idolatri e adoravate statue mute e come pecore vi lasciavate condurre a’ loro piedi. Voi, esseri dotati di ragione e di libera volontà, prestavate il vostro culto ad idoli muti, sordi, senza vita. Quale vergogna per voi caduti sì basso! Ora avete conosciuto Dio, il vero Dio, puro spirito e lui solo adorate, lui, sorgente d’ogni bene e perciò siete capaci di conoscere il pregio eccelso de’ suoi doni e il modo di usarne a vostra santificazione. “Il perché vi significo, continua S. Paolo, che nessuno, parlando nello Spirito di Dio può dire anatema a Gesù. „ Dire anatema significa maledire, bestemmiare, esecrare, ed è forma di parlare ebraica. Volete conoscere chi ha lo Spirito di Dio e possiede la verità – Volete conoscere i veri dottori e distinguerli dai falsi, dagli impostori? Tenete questa regola: Chi sente bene di Gesù Cristo, lo riconosce, lo confessa qual è, nostro Salvatore: chi l’onora e l’ama, costui ha lo Spirito di Dio, è nella verità, e potete sicuramente ascoltarlo e seguirlo. In quei primi principi, erano già sorti non pochi maestri, che insegnavano perverse dottrine: chi diceva ch’era uomo soltanto e non Dio: chi affermava che non aveva corpo vero, ma solo apparente, e perciò solo apparentemente aveva patito ed era morto, e chi altri errori spacciava intorno a Gesù Cristo. Ebbene: chiunque erra intorno a Gesù Cristo e lo bestemmia, sappiatelo bene. non parla nel suo spirito, e fuggitelo. Questo stesso criterio è ripetutamente stabilito quarant’anni dopo da S. Ignazio M. nelle sue magnifiche lettere, che sembrano l’eco di quelle di san Paolo, del quale dovette essere discepolo. Per contrario, “Nessuno può pronunziare Signore Gesù, se non per lo Spirito santo. „ In altri termini: Chi riconosce Gesù per Signore, lo confessa, lo benedice, questi ha lo spirito di lui, e in lui dovete riconoscere un suo sincero discepolo. Una grande verità è qui affermata dall’Apostolo, ed è questa: Nessuno, sia quanto si voglia pieno d’ingegno e di dottrina, senza la grazia divina, senza l’aiuto dello Spirito Santo, può credere e sperare, come si deve,, in Gesù Cristo, e nemmeno invocarlo a salute. Senza gli occhi potreste voi vedere le cose? Senza gli orecchi potreste voi udire? Senza la ragione potreste voi ragionare e senza volontà potreste voi volere? Certo che no, e non occorre dimostrarlo. Similmente senza la grazia di Dio, che illumina la nostra mente ed eccita ed avvalora la nostra volontà, noi non solo non possiamo credere, né sperare, né amare Iddio, ma nemmeno fare il minimo atto od avere il minimo pensiero, che a lui ci guidi e ci renda accettevoli. In una parola: senza l’aiuto della grazia divina non possiamo fare né poco, né molto, in ordine alla nostra salvezza, ma nulla, perfettamente nulla: non possiamo nemmeno pronunciare o invocare, come si deve, il nome di Gesù! “Nemo potest dicere Dominus Jesus nìsì in Spiritu sancto”. Quale argomento di umiliarci dinanzi a Dio e di riconoscere la necessità assoluta della sua grazia e di chiederla con ogni istanza! Tutti i beni, tutte le grazie vengono da Dio, e senza di lui non abbiamo, né possiamo fare cosa alcuna: è verità di fede. “Sono poi diversi i doni, ma lo Spirito è il medesimo. „ I doni, dei quali qui si discorre, sono quelli, che si chiamano gratis dati, per es. i miracoli, le profezie, i doni del sacro ministero e via via: essi sono vari e più innanzi li nomina distintamente, ma la causa o il principio, che li produce è un solo, lo Spirito santo. Quantunque tutti questi doni vengano tutti egualmente dalle tre divine Persone, nondimeno si attribuiscono specialmente allo Spirito santo, perché esso è l’Amore sostanziale del Padre e del Figlio, e questi doni sono un frutto od una conseguenza dell’amore di Dio verso di noi. – “E diversi sono i ministeri, ma è lo stesso Signore. „ La parola ministeri, qui usata, significa i diversi uffici o servigi che sono nella Chiesa, per es. l’ufficio di diacono, di prete, di vescovo; sono diversi, è vero, ma è un solo e medesimo chi li ha istituiti, che è Gesù Cristo, fondatore della Chiesa. – “E diverse sono le operazioni, ma è lo stesso Dio che opera tutto in tutti. „ Colla parola operazioni S. Paolo indica la potenza, la forza od efficacia, per cui le grazie e i ministeri sacri producono i loro effetti variamente; ma il  principio, da cui derivano, è sempre Dio e più propriamente il Padre, che è il principio senza principio del Figlio e dello Spirito Santo. E Dio opera tutto in tutte le cose: “Operatur omnia in omnibus”. Questa espressione o sentenza, perché non sia torta a cattivo senso, richiede un po’ di spiegazione. – Senza fallo tutte le cose che esistono, tanto nell’ordine naturale, che nel sovrannaturale, tutte muovono da Dio, sono effetto dell’azione divina: Qui operatur omnia. Ma Dio opera o produce anche gli effetti, che derivano dalle cause seconde? Il fuoco brucia, la luce illumina, l’acqua bagna, l’albero germoglia il suo frutto: questi effetti sono essi prodotti da Dio stesso? Certamente il fuoco brucia per sé, e la luce lumina per sé, e l’acqua per sé bagna, e l’albero per sé fruttifica; ma perché poi tutte teste cose producono questi effetti? D’onde traggono le forze per produrli? Essi fanno ciò che fanno, perché tale è la loro natura, né potrebbero fare diversamente da quello che fanno; ma la forza per cui producono gli effetti, che noi vediamo, fondamentalmente la ricevono da Dio solo, che le ha create, tantoché possiamo dire, che è Dio che opera per loro e tutto opera in ciascuna di loro. Onde è verità certissima il dire, che Dio brucia col fuoco, ci illumina colla luce, ci disseta coll’acqua, ci nutre coi frutti degli alberi e ci veste colle lane delle pecore: Deus operatur omnia in omnibus. Tutti i servigi, che noi riceviamo ad ogni istante dalle creature, che ne circondano, li riceviamo veramente da Dio, poiché esse non fanno che ciò che Dio creatore vuole facciano: sono esecutrici fedeli e infallibili delle sue leggi e de’ suoi voleri. – È dunque un linguaggio pieno di verità quello che si ode sì spesso sulle labbra del popolo credente: Dio ci ha dato la pioggia! Dio ci dà il calore del sole! Dio ne ha concesso un raccolto abbondante! Dio ci ha mandata questa siccità! e via dicendo. È dunque un linguaggio pieno di verità e a torto gli uomini della scienza lo biasimano quasi erroneo e contrario alla scienza. Il popolo in tutti i fenomeni naturali vede e riconosce la Causa prima senza negare le cause seconde, e quella li ascrive: gli uomini della scienza non badano alla causa prima e si fermano alle cause seconde. Questi ragionano bene, e ragionerebbero meglio se quando è necessario e conveniente dalle cause seconde risalissero, alla Causa prima, e quelli riconoscendo la prima debbono riconoscere anche le cause seconde o immediate: ma questi meritano compatimento se non le ricordano, perché spesso le ignorano: ma il loro linguaggio è sempre vero e sapiente. Ma vi sono creature, fornite di ragione e libertà, come gli angeli e gli uomini; anch’esse operano secondo la loro natura. Ma come? Sicuramente in modo ben diverso da quello che tengono le creature irragionevoli. Le creature ragionevoli operano liberamente, possono fare e non fare, a questo e a quel modo, e Iddio non le sforza, ma rispetta egli stesso quella libertà, che loro ha data. Ma la forza di fare ciò che fanno, sia bene, sia male, da chi la ricevono? Anch’esse tutte e sempre la ricevono da Dio solo e perciò è giusto il dire, che anche in esse Dio opera tutto in ciascuna: Operatur omnia in omnibus. Non opera, né può operare il male, ch’egli non vuole, né può volere, ma la forza, con cui l’uomo fa il male, anche questa viene da Dio. È vero pertanto che tutto è dono di Dio, in qualunque ordine di cose, e ch’egli opera tutto in ogni cosa. Dio è un solo e nella semplicissima sua unità produce la più sterminata varietà di effetti: diversissimi sono i doni, eppure un solo è lo Spirito, da cui scaturiscono. – S. Cirillo di Gerusalemme spiega la cosa con una similitudine, che non è senza grazia. Uditelo: “Vedete, così il santo in una delle sue mirabili catechesi, vedete l’acqua; essa è una sola e da per tutto la stessa, senza colore proprio; fate che si spanda sopra un prato e lo irrighi; dovunque spuntano fiori per colore e fragranza differentissimi tra loro. Similmente la grazia dello Spirito Santo: essa è una sola in se stessa, eppure variamente partecipata produce vari effetti, ond’è verissima la sentenza dell’Apostolo: Diverse sono le operazioni, ma è lo stesso Iddio, che opera tutto in tutti. „ S. Paolo ora discende ai doni particolari, che Dio concede a vantaggio della Chiesa: “A ciascuno è data la manifestazione dello Spirito a fine di utilità; „ il che vuol dire, che il dono dello Spirito santo, nel quale lo stesso Spirito Santo si fa conoscere, come il sole si manifesta nei suoi raggi, ha per fine proprio il bene della Chiesa. E in vero; ad uno è data la parola di sapienza per lo Spirito Santo: “Alii quidem datur sermo sapientìæ”. Che è quanto dire, lo Spirito Santo ad uno largisce il dono di spiegare i misteri più alti della dottrina evangelica, di gustare e far gustare colla parola le verità più sublimi e farne sentire tutta l’altezza e la profondità, la lunghezza e la larghezza, come altrove scrive lo stesso Apostolo:  “Ad un altro è data la parola della scienza, secondo lo stesso Spirito. „ Noi possiamo conoscere semplicemente le verità, averne la nozione precisa, e possiamo conoscerle, assaporarne la bellezza e la dolcezza e praticarle: questo secondo dicesi dono della sapienza, quel primo, dono della scienza. Non occorre il dire che la sapienza sovrasta alla scienza e ne è, a così dire, il fine. Un teologo o filosofo può conoscere nettamente le verità della fede, spiegarvele e mostrarvele ad evidenza senza praticarle: S. Francesco d’Assisi, che passa le notti intere, meditando quelle parole; ” Mio Dio, voi siete tutto per me, „ si delizia nella contemplazione della verità: egli possiede il dono della sapienza. La scienza è luce, sì, ma luce fredda: la sapienza è luce che spande per tutte le fibre dell’anima il tepore ed il calore della vita, che ci fa amare e praticare la verità. – Seguitiamo l’Apostolo nella sua lunga enumerazione dei doni celesti: ” Ad un altro è data la fede nello stesso Spirito: „ “Alteri fides in eodem Spiritu”. Gesù Cristo un giorno disse agli Apostoli: ” Se voi avete fede, direte a questo monte: Tirati in là e gettati in mare, e il monte ubbidirà. „ E di questa fede, operatrice di miracoli, non della fede ordinaria e comune, teologica che Gesù Cristo ragiona. Questa è un dono singolare, punto necessaria per salvarsi, ma solo per operare miracoli. – “Ad altri sono dati doni di guarigioni nello stesso Spirito. „ Gesù Cristo e gli Apostoli assai volte con una parola, con un cenno, con una preghiera, coll’ombra della loro persona scacciavano le infermità più ostinate e restituivano ai miseri, che n’erano travagliati, la perfetta guarigione. Questo dono speciale di guarire gli infermi era assai comune nella Chiesa dei primi secoli, e qui è ricordato da S. Paolo: ” Ad altro è dato operare prodigi: „ Alii operatio virtutum. Nella sentenza precedente S. Paolo accenna in particolare il dono di risanare gli infermi, qui designa più largamente il dono di far miracoli: Alii operatio virtutum, che è molto più ampio del far guarigioni, giacche comprende qualunque miracolo. ” Ad altri è data la profezia. „ Ve lo dissi altra volta: la parola profezia ha parécchi significati distinti nei Libri santi, e due sono i principali: talora la parola profezia importa conoscimento e annunzio di cose future affatto superiori alle forze umane, e questo è il significato più comune e più proprio: tal altra si usa per significare semplicemente l’annunzio di verità divine, onde profeta e predicatore o apostolo equivalgono. In questo luogo la parola profezia suona precisamente il dono di dichiarare in pubblico le verità della fede, e i sensi della Scrittura santa, in modo piano ed intelligibile. – “Ad altro, continua S. Paolo, è dato il discernere gli spiriti: „ Alii discretio spirituum. Che dono è questo, dilettissimi? Ciò che avviene in fondo al nostro spirito, i pensieri, che si affacciano alla nostra mente, gli affetti e desideri, che spuntano nel nostro cuore, non sono manifesti che a Dio solo: i demoni, anzi gli stessi Angeli, senza una illustrazione particolare di Dio, non possono spingere lo sguardo nei penetrali del nostro spirito e leggervi ciò che vi passa. Possono, come noi uomini e più di noi uomini, perché dotati di acume assai maggiore, possono argomentare i pensieri e gli affetti interni dagli atti esterni ed averne una cognizione congetturale, ma non certa ed assoluta. Conoscere pertanto con sicurezza gli occulti pensieri e leggere nel libro delle coscienze a Dio solo è riservato e a quegli uomini, che Iddio rischiara della sua luce: esso è un dono affatto sovraumano, ed era frequente in quei primordi della Chiesa. “Ad altro, prosegue ancora S. Paolo, è dato di avere generi di lingue: „ Alii genera linguarum. Nessun uomo può parlare una lingua ignota: la è cosa evidente: il perché se una persona favella in una lingua ad essa ignota, è forza arguire che lo fa per virtù divina, che è un dono dall’alto. Ebbene: il dì della Pentecoste avvenne questo miracolo e avvenne pubblicamente per le vie di Gerusalemme, come si narra nel libro degli Atti apostolici. Gli Apostoli annunziavano il Vangelo nella loro lingua nativa e le turbe, che li ascoltavano, benché ignare di quella, li intendevano, onde attonite esclamavano: Come avviene, che noi li intendiamo ciascuno nel nostro linguaggio? Quel fatto ebbe a ripetersi più volte e se n’ebbero prove indubitate nelle predicazioni di S. Francesco Xaverio. Ai tempi apostolici questo miracolo del favellare in una lingua ignota non doveva essere infrequente, perché S. Paolo ne parla qui e in altro luogo più innanzi. Ma se alcuni  parlavano linguaggi stranieri e mostravano in sé la virtù divina, vi erano altri, che li spiegavano, illustrati sempre dallo stesso Spirito, onde S. Paolo soggiunge: “Ad un altro è data l’interpretazione delle lingue: „ Alii interpretatio sermonum. Il parlare improvvisamente una lingua affatto ignota in mezzo all’adunanza dei fedeli mostrava l’azione divina ed era una prova della verità della fede, ma non illuminava le menti, che udivano accenti strani senza afferrarne il senso: stupivano gli uditori, ma nulla apprendevano, e ciò che più importa è che  le menti siano illustrate dalla luce del vero. Ed  ecco che Iddio, aggiungendo miracolo a miracolo, in mezzo all’assemblea dei fedeli, ad un tratto dava a qualcuno il dono di interpretare quelle lingue straniere e ne spiegava i sensi, tantoché i presenti ne ritraevano edificazione. – “Tutte queste cose, conchiude il nostro Apostolo, opera un solo e medesimo Spirito, spartendole a ciascuno come vuole. „ Sono dodici doni diversi, che in questo luogo sono partitamente numerati da S. Paolo: doni che avevano per iscopo diretto di mostrare la divinità della fede, di rassodarla negli animi e propagarla rapidamente, e che per se stessi non erano tali da santificare né quelli che li possedevano, né quelli che n’erano testimoni. Questi doni se nella Chiesa non vennero, né  verranno meno giammai, sono senza fallo assai più rari, perché minore è il bisogno, e a quella prova della divina origine della cristiana religione altre splendidissime sono sottentrate [Quando gli Apostoli cominciarono la predicazione evangelica, i miracoli erano una necessità, e perciò erano frequentissimi: più tardi la stessa propagazione e conservazione della Chiesa divennero un miracolo permanente, e l’adempimento delle profezie a tutti manifesto, può tenere il luogo di tutti i miracoli.]. – Tutti quei doni sì magnifici e sì vari sgorgavano dalla stessa fonte, da Dio, causa suprema d’ogni cosa, da Dio, che li dà a chi vuole, come vuole, quanto vuole e quando vuole perché nessuno può dirgli: Io ho il diritto di averli. L’unica ragione della partecipazione di questi doni è la volontà sovrana del donatore. – Carissimi figliuoli! Iddio dispone ogni cosa in numero, peso e misura, e come non abbonda nelle cose superflue, così non manca nelle necessarie. Gli Apostoli, annunziando il Vangelo, dovevano provarne la verità e la divina origine ai Giudei ed ai Gentili: come potevano ciò fare senza miracoli, che scuotessero quei popoli rozzi, ignoranti, schiavi di superstizioni antichissime? Si trattava di insegnare e far abbracciare una dottrina, che aveva per autore un uomo vissuto poverissimo, morto sulla croce; una dottrina, che imponeva misteri inscrutabili, che muoveva guerra asprissima a tutte le passioni: una dottrina, che veniva proposta da pescatori, da uomini sprezzati, senza cultura, senza autorità. Come far credere e tenere fermissimamente questa dottrina senza l’intervento immediato di Dio, senza la prova irrecusabile dei miracoli? E i miracoli furono fatti, si moltiplicarono sui passi degli Apostoli e dei loro discepoli, miracoli solenni, indubitati, quasi continui, come ne fanno fede gli Atti apostolici e S. Paolo in questa lettera, e la Chiesa fu stabilita. Poiché la Chiesa fu stabilita, la necessità dei miracoli se non cessò al tutto, certamente scemò di molto, ed ecco perché i miracoli nel corso dei secoli furono meno frequenti. A noi per credere la divinità della nostra religione non occorrono nuovi miracoli; basta la cognizione certa di quelli, che accompagnarono la sua comparsa sulla terra: basta il compimento delle profezie, che si avverano sotto i nostri occhi, e la forza delle quali cresce di giorno in giorno; a noi basta la sola vista di questa Chiesa, che inerme e sempre combattuta attraverso i secoli, e sulla via da lei percorsa spande tanta luce di verità, tal serie e tal cumulo di benefici d’ogni maniera da mostrare ad evidenza, essere ella opera, non degli uomini, ma di Dio. – Un’altra osservazione ed ho finito. I miracoli sono fatti visibili, certi, che ci attestano la presenza di Dio: sono la sua voce, che risuona sulla terra, l’opera immediata della sua mano, e perciò grandissimo è in tutti il desiderio di vederli, di toccarli. Per vedere un miracolo che non farebbero i popoli? Basta la sola fama, la sola voce d’un miracolo per agitarli, per far loro intraprendere lunghi viaggi,  per riempirli di gioia o di timore, per imporre loro i maggiori sacrifici. Sì, i miracoli son cose grandi e per esserne testimoni è  bene spesa qualunque fatica; ma io, grida S. Paolo, vi addito cose ancor più grandi, doni senza confronto più eccelsi, che voi potete acquistare: “Æmulaminì charismata melìora et adhuc excellentìorern viam vobis demonstro”. Io suppongo che ciascuno di voi parli per divina virtù tutte le lingue della terra e le intenda: che conosca tutti i segreti dei cuori, che con una parola risani tutte le infermità, che comandi a tutta la natura, che sappia tutti gli avvenimenti dell’avvenire, che richiami a vita novella i morti. Qual potenza! Qual gloria! Qual felicità! Ebbene: io vi dico, che chiunque di voi ha viva la fede in cuore, chiunque possiede la carità, pratica l’umiltà, la mortificazione, l’obbedienza; chiunque in breve è adorno delle virtù proprie del cristiano, è di gran lunga superiore a chi avesse il potere di operare tutti i miracoli più strepitosi. Perché? Perché con questo potere sì glorioso potrebbe miseramente perdere l’anima sua, doveché col possesso della virtù egli è caro a Dio e assicura l’eterna sua salvezza. Una vecchierella pia e virtuosa dinanzi a Dio è più grande del massimo operatore di miracoli, a talché di Giovanni Battista sta scritto, che non fece alcun miracolo, eppure tra i figli di donna non sorse chi fosse maggiore di lui [Questa sentenza evangelica non vuol dire, come taluno parve credere, che il Precursore fosse veramente il più gran santo che sia stato sulla terra: essa significa soltanto che Giovanni Battista fu il maggiore dei profeti per ragione del suo ufficio.]

Graduale
Ps XVI:8; LXVIII:2
Custódi me, Dómine, ut pupíllam óculi: sub umbra alárum tuárum prótege me.
[Custodiscimi, o Signore, come la pupilla dell’occhio: proteggimi sotto l’ombra delle tue ali.]
V. De vultu tuo judícium meum pródeat: óculi tui vídeant æquitátem. [Venga da Te proclamato il mio diritto: poiché i tuoi occhi vedono l’equità.]

Alleluja
Allelúja, allelúja

 Ps LXIV:2
Te decet hymnus, Deus, in Sion: et tibi redde tu votum in Jerúsalem.
Allelúja. [A Te, o Dio, si addice l’inno in Sion: a Te si sciolga il voto in Gerusalemme. Allelúia.]

Evangelium
Sequéntia sancti Evangélii secúndum Lucam.
R. Gloria tibi, Domine!
Luc XVIII:9-14.
In illo témpore: Dixit Jesus ad quosdam, qui in se confidébant tamquam justi et aspernabántur céteros, parábolam istam: Duo hómines ascendérunt in templum, ut orárent: unus pharisæus, et alter publicánus. Pharisaeus stans, hæc apud se orábat: Deus, grátias ago tibi, quia non sum sicut céteri hóminum: raptóres, injústi, adúlteri: velut étiam hic publicánus. Jejúno bis in sábbato: décimas do ómnium, quæ possídeo. Et publicánus a longe stans nolébat nec óculos ad cœlum leváre: sed percutiébat pectus suum, dicens: Deus, propítius esto mihi peccatóri.Dico vobis: descéndit hic justificátus in domum suam ab illo: quia omnis qui se exáltat, humiliábitur: et qui se humíliat, exaltábitur.”  [In quel tempo: Ad alcuni che si ritenevano giusti e disprezzavano gli altri, Gesú disse questa parabola: Due uomini salirono al tempio per pregare: uno era fariseo, l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava cosí entro di sé: Signore, Ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, o come anche questo pubblicano. Io digiuno due volte il sabato e dò le decime di tutto quello che posseggo. E il pubblicano, stando lontano, non osava neppure levare lo sguardo in alto, ma si percuoteva il petto, dicendo: O Dio, sii clemente con me peccatore. Orbene, io vi dico che questi ritornò a casa sua giustificato a preferenza dell’altro, poiché chi si esalta verrà umiliato e chi si umilia verrà esalato.]

Omelia II

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. II -1851-]

-Opere buone-

Il Fariseo descritto da Gesù Cristo nell’odierno Vangelo si può rassomigliare a quella canna là nel deserto agitata dal vento, di cui lo stesso divin Salvatore ad altro proposito fa menzione. Osservate: una canna è ritta, vuota, infeconda; eppur se la muove un leggero vento, par che applauda a sé stessa col rumorio delle foglie. Mirate se non è questa l’immagine più espressiva del Fariseo superbo. Ritto in piedi innanzi all’altare, vuoto di meriti, sterile di opere buone, fa plauso a sé stesso, e si vanta per uomo singolare e virtuoso; e, Signore, dice, io non sono già come il restante degli uomini, ingiusti, adulteri, rapaci. In ogni settimana io fo due digiuni, pago puntualmente le decime di tutto ciò che possiedo. Un pubblicano per l’opposto in fondo del Tempio, come un albero carico di frutti, che piega i rami, e curva la cima fin sul terreno, sta cogli occhi e col capo chini al suolo, e battendosi il petto, chiede pietà e perdono, e si confessa peccatore. Diversa è la disposizione d’entrambi, diversa la sorte. Il primo accresce la sua malizia e la sua colpa, il secondo se n’esce giustificato dal Tempio. Oh quanti cristiani sono imitatori del Fariseo! E perché stanno lontani da alcuni vivi più enormi, si lusingano d’ottener salute, ancorché tralascino l’opere buone. Quanti cristiani contenti delle foglie d’un apparente virtù sperano conseguir l’eterna mercede! A disingannare costoro passo senza più a dimostrare come una vita senza opere buone equivale ad una vita rea, e come una virtù di esterna apparenza non si distingue dal vizio. Incominciamo.

I. – Molti, che alieni dalle opere della cristiana pietà menano una vita sterile, oziosa, indifferente in tutto ciò che riguarda il bene dell’anima, ed il servizio di Dio, a sedare i rimorsi della propria coscienza, o sedotti da una non sempre scusabile ignoranza, sogliono uscire in queste espressioni: Io non faccio alcun male, non rubo, non bestemmio, non fo torto a persona, e in così dire credono aver fatto il tutto per andar salvi. – Voi dunque dite: “Non faccio alcun male”. E che male, io rispondo, fece quel servo nell’Evangelio? a cui il suo padrone diede un talento da mettere a traffico? Non consumò già quel danaro in crapule, in giuochi, in gozzoviglie, anzi lo custodì gelosamente; ma perché lo tenne ozioso fu condannato e punito. “Io non faccio alcun male”: e che male fecero quelle cinque vergini dall’Evangelo chiamate stolte? Non macchiarono già né in fatti, né in pensieri la loro purezza, eppure perché negligenti a provvedersi di olio per andar incontro al divino sposo, furono escluse per sempre dalle nozze celesti. “Io non faccio alcun male”: e che male fece quella ficaia da Gesù Cristo maledetta? Non aveva già prodotti frutti velenosi o nocivi; eppure perché infruttuosa la maledisse. Fu quella ficaia un immagine della riprovata Sinagoga, ed è altresì una figura d’un anima pigra, trascurata, sterile di buone operazioni, e come tale non può aspettarsi che la divina maledizione. – In effetti Cristo giudice alla fine del mondo non dirà rivolto ai reprobi: lungi da me, bestemmiatori, ladri, sacrileghi, adulteri, fornicatori; perché tutti questi portando scritti in fronte i loro delitti, e il carattere della loro riprovazione, non vi à bisogno di somiglianti invettive. Dirà ad essi bensì, andate, maledetti, al fuoco eterno, perché avete omesse le opere della cristiana carità. Io era affamato nella persona dei miei poverelli, e non mi avete soccorso, era ignudo, e non mi avete coperto, era infermo e non mi siete comparsi davanti. Dunque, quand’anche non si fosse fatto altro male, l’omissione delle opere buone è un motivo più che sufficiente, e giustissimo per meritare condanna di morte eterna. – Due cose, dice il re Profeta, si richiedono per operare la nostra salute, declinar dal male, e praticare il bene: “Diverte a malo, et fac bonum” (Psal. XXXIII, 14). Son questi i due piedi, coi quali si cammina per la strada del paradiso, sono queste le due ali, con le quali si vola al cielo. – Chi si allontana dal male va con un piè solo, e pretende volare con una sol’ala; ma con un sol piede non può far lunga strada, ma con un’ala sola il volo si converte in caduta. Voi vi astenete dal male, questo è tenersi sul negativo; ma per salvarsi non basta una bontà negativa, è necessaria una positiva bontà. Anche una statua à una bontà negativa, perché non fa né può far male alcuno; ma non ha alcun merito, né può aver alcun premio. – Tutti quei cristiani dunque che nulla fanno di positivo bene, si possono rassomigliare, col citato re Profeta, agl’idoli del paganesimo, così da esso descritti; hanno questi falsi Dei, fatti per man degli uomini, hanno occhi e non vedono, hanno orecchie e non sentono, hanno lingua e non parlano, hanno mani e non palpano, hanno piedi e non camminano. Tali sono quelli trascurati e neghittosi nel ben operare. Hanno occhi, e non vedono il pericolo a cui gli espone una vita così discorde dalle verità della fede: hanno orecchie, e non ascoltano la parola di Dio, né le voci e i reclami della rea coscienza: hanno lingua, e non pregano, né si confessano interamente: hanno mani, ossia facoltà di travagliare per la loro salvezza, e stanno “tota die otiosi”: hanno piedi finalmente, ma non battono quella strada che conduce al cielo. Or che sarà di quest’idoli, di questi simulacri? Che ne sarà? Incorreranno la divina maledizione al par degl’idoli pagani, come sta scritto nel libro della Sapienza : “Idolum maledictum. . . et qui fecit illud” (Sap. XIV, 18).

II. “Ma noi, parmi d’essere qui interrotto da chi va dicendo, noi ben persuasi, che senza buone opere non si può sperar salute, frequentiamo i Sacramenti e le ecclesiastiche funzioni, facciamo limosine, visitiamo infermi, e tanti altri atti pratichiamo di religione e di cristiane virtù”. Assai mi consola quanto voi asserite. Ma siccome può nascer dubbio se l’opere vostre siano in realtà, o in apparenza virtuose, contentatevi che per puro zelo ed amor delle vostre anime io le chiami ad esame. Voi frequentemente vi confessate e comunicate. Fin qui questi sono verbi, vi dirò col beato Alberto Magno precettore di S. Tommaso l’angelico, “verba, sunt ista”; ma i verbi non bastano per il merito e per la salute; è necessario che ai verbi si aggiungano gli avverbi. Mi spiego: confessarsi, comunicarsi, questi son verbi, confessarsi bene, comunicarsi fruttuosamente, questi sono avverbi. Voi frequentate i Sacramenti, ma frequentate altresì le conversazioni pericolose, ove si parla, si burla, si ride a spese della santa onestà; frequentate i Sacramenti, e frequentate del pari le bettole, i giuochi, i ridotti: accusate le vostre colpe nel tribunale di penitenza, ma ricadete con la stessa facilità nelle medesime colpe: ricevete sulla vostra lingua Gesù sacramentato, ma la vostra lingua è sempre mordace, impura, mormoratrice: accogliete in seno il mansueto Agnello di Dio, ma siete sempre impazienti, iracondi, collerici, se è così, le vostre confessioni, le vostre comunioni sono foglie e non frutti, sono veleno e non medicina. E voi che vantate opere di pietà e di virtù, venite qua. In prima, un atto, per essere virtuoso e meritevole, fa d’uopo indirizzarlo a un buon fine. Se fate limosina per esser veduti e stimati dagli uomini, l’azione per sé ottima e santa, diventa rea, peccaminosa pel fine obliquo di vana ostentazione. Dite altrettanto di qualunque altro atto di virtù. Il fine buono o malvagio, dicono i Teologi con S. Agostino, fa buona o malvagia la vostra azione: “Noveris ex fine a vitiis discernendas esse virtutes”. – In secondo luogo: sia buono, sia retto il vostro fine, se voi non siete in grazia di Dio, le opere vostre tuttoché naturalmente buone, potranno bensì esservi giovevoli a piegar il cuore di Dio, a concedervi grazia di ravvedimento e dì conversione, ma in ordine alla vita eterna sono di nessun valore, sono cadaveri di virtù, sono opere morte. Avete mai veduto nelle grandi città qualche superbo mausoleo innalzato per tomba e per memoria d’illustre personaggio? In mezzo sta locata un’urna marmorea, che racchiude il corpo del rinomato defunto; stanno intorno in atto dolente diverse statue esprimenti le virtù reali o supposte del morto soggetto. Evvi la giustizia che piange, la clemenza che si scopre il volto, la pietà che si asciuga le lacrime, la prudenza che ad una mano appoggia la fronte. Tutte queste sono virtù di marmo, virtù simboliche che fanno onore ad uno scheletro. Per non dissimil guisa, se per alcun grave peccato siete morti alla grazia, le virtù da voi praticate sono, in ordine al merito di vita eterna, simulacri di virtù, vane immagini di un’anima incadaverita. Dunque, fratelli amatissimi, non ci pasciamo di vento, come l’odierno Fariseo, non ci vantiamo di foglie. – È vero che il divin maestro c’inculca a dare, coll’opere buone, esteriore esempio edificante, onde ne sia glorificato il Padre celeste: “Videant opera vestra bona, et glorificent patrem vestrum qui in cœlis est” (Matth. V, 16); ma se agli atti esterni di pietà e di religione ci obbliga il buon esempio, l’intenzione, dice S. Gregorio Magno (Ad Philip. II, 12), l’intenzione occulta del nostro spirito, veduta da Dio solo, dev’essere pura, a Dio diretta, a Dio piacente, e custodita nel segreto del cuore. Purifichiamo pertanto la nostra intenzione nell’operare il bene: non siamo così facili ad approvare noi stessi e la morale nostra condotta. Temendo, tremando, ci esorta S. Paolo, operate la vostra salute: “Cum metu et tremore, vestram salutem operamini”. Semplice, temente Iddio e santo era Giobbe, eppur temeva di tutte l’opere sue “Verebar omnia opera mea” (Job. IX, 21). Non crediamo così agevolmente d’essere giusti o giustificati. Son ripresi nel Vangelo odierno quei che in sé confidando si reputavano giusti: “Qui in se confidebant tamquam justi”. Temiamo, miei cari, sull’incertezza di salvarci, e temiamo sul pericolo di perderci. Ancora uno sguardo al penitente pubblicano: compreso da salutare spavento non ardisce inoltrarsi nel Tempio; ma dietro al Fariseo si tiene in fondo, umiliato, confuso, non osa alzar gli occhi dal pavimento, si confessa peccatore, e come tale implora la divina clemenza, e a colpi sonori si batte il petto: Percutiebat pectus suum”. Tre cose sono da osservarsi a nostra istruzione su questo battersi il petto, sulla scorta di Teofilatto, Eutimio, e S. Agostino. Il moto della mano, il petto percosso, e il suono del colpo. Nel moto della mano son figurate l’opere buone necessarie a praticarsi per chi vuole andar salvo: nel petto percosso il pentimento del cuore per le colpe commesse, e la riparazione delle stesse colla penitenza: finalmente nel suono del colpo il buon esempio che nasce dall’emendazione della vita. – Ecco la norma che dobbiamo seguire per evitare la condanna del Fariseo, per ottenere, come il Pubblicano, il perdono, la grazia giustificante, e la vita eterna, che Dio ci conceda. 

Credo…

Offertorium
Orémus
Ps XXIV:1-3
Ad te, Dómine, levávi ánimam meam: Deus meus, in te confído, non erubéscam: neque irrídeant me inimíci mei: étenim univérsi, qui te exspéctant, non confundéntur.
[A Te, o Signore, ho innalzata l’ànima mia: o Dio mio, in Te confido, che io non abbia ad arrossire: che non mi irridano i miei nemici: poiché quanti a Te si affidano non saranno confusi.]

Secreta
Tibi, Dómine, sacrifícia dicáta reddántur: quæ sic ad honórem nóminis tui deferénda tribuísti, ut eadem remédia fíeri nostra præstáres. [A Te, o Signore, siano consacrate queste oblazioni, che in questo modo volesti offerte ad onore del tuo nome, da giovare pure a nostro rimedio.]

Communio
Ps L:21.
Acceptábis sacrificium justítiæ, oblatiónes et holocáusta, super altáre tuum, Dómine. [Gradirai, o Signore, il sacrificio di giustizia, le oblazioni e gli olocausti sopra il tuo altare.]

Postcommunio
Orémus.
Quǽsumus, Dómine, Deus noster: ut, quos divínis reparáre non désinis sacraméntis, tuis non destítuas benígnus auxíliis.
[Ti preghiamo, o Signore Dio nostro: affinché benigno non privi dei tuoi aiuti coloro che non tralasci di rinnovare con divini sacramenti.]

 

 

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.