LO SCUDO DELLA FEDE (264)

LO SCUDO DELLA FEDE (264)

P. Secondo FRANCO, D.C.D.G.,

Risposte popolari alle OBIEZIONI PIU’ COMUNI contro la RELIGIONE (6)

4° Ediz., ROMA coi tipi della CIVILTA’ CATTOLICA, 1864

CAPO VII.

CULTO ESTERNO

I. Iddio non ha bisogno di culto esterno. II. Iddio non ritrae verun vantaggio dal nostro culto.

Simigliante alla massima precedente è un’altra, che pur gode gran credito ai giorni nostri, ed è l’affermare che a Dio bastando il cuore, Ei non abbisogna di culto esterno, e che Egli non cura le forme esteriori del culto, che altro non sono che vane superfluità, e che Egli non abbisogna dei nostri ossequi. Coll’antecedente miravano ad abbattere ogni culto, con questa mirano ad annientare almeno il culto esteriore come si pratica nella Chiesa; con quella assalivano direttamente la Religione, con questa l’assaltano indirettamente, ma con niente minor efficacia e perversità.

I. A Dio bastando il cuore, voi dite, ei non si cura del culto esterno; ma siete poi ben certa che a Lui basti il cuore? Io invece son certo che non gli basta né punto, né poco, e la mia ragione è semplicissima, perché è impossibile il dargli il cuore, senza darglielo per mezzo di riti, di cerimonie, di atti anche esteriori. Volete vederlo? Che cosa è l’uomo? È un composto di anima e di corpo essenzialmente. Se prendete la sola anima, è uno spirito separato, se prendete il solo corpo, è un cadavere: bisogna prendere l’uno e l’altro per avere un uomo. Come opera egli adunque in forza di questa unione? Opera con quel genere di operazione che risulta dall’uno e dall’altra. Provatevi un poco ad ammettere nel vostro cuore un qualche affetto, senza che tosto traspaia anche nell’esterno. Il timore vi fa impallidire, la gioia vi fa tripudiare, la collera vi fa tremare a verga a verga, l’amore vi si conosce in faccia a mille miglia lontano: tantochè quando volete simulare anche alcuno di questi affetti, la commozione vi tradisce e vi scopre quando il volete meno. Che cosa vuol dire ciò? Che il corpo e lo spirito in questo stato d’unione vanno così d’accordo e sono così dipendenti l’uno dall’altro, che non possono non avere un’operazione comune. Ora se questo si verifica in tutte le nostre operazioni, perché non dovrà verificarsi anche nell’esercizio della Religione? Oh che? Saremo di una natura per le cose terrene e di un’altra per le cose celesti? Guardate, questi capi scarichi vorrebbero disfarci uomini per farci filosofi. Appunto come quel bottaio che per ripulire una botte cominciava coll’appiccarvi il fuoco! Del resto fosse pure anche possibile il venirne a capo, e l’uomo potesse esercitare tutta la religione solamente col cuore, sarebbe allora lecito il farlo? Punto punto. Poiché la Religione è un dovere che appartiene non alla sola persona individuale, ma a tutta la società, cioè è tale, a cui debbono tutti gli uomini prender parte in comune. Vi dichiarerò le cose con un esempio., Se un monarca va a visitare una sua provincia, basta forse che ciascun cittadino in particolare gli faccia atto di riverenza? Certo no: ma la città tutta in corpo con atti e feste pubbliche lo riconosce. E ciò perché? Perché quel monarca è superiore non solo degl’individui, ma di tutta la città e di tutta la provincia. Ora Iddio non è solo padrone degl’individui, ma è padrone e autore della società tutta quanta, ed ha diritto di essere dalla società stessa riconosciuto con atti di Religione. Ed in qual modo si praticherà questa Religione in comune senza atti esteriori? Sto a vedere che gli uomini potranno congiungersi insieme coi soli atti della mente, come fanno gli Angeli, e non avranno più bisogno dei sensi per intendersi! Forse questa sarà una proprietà di quei signori della religione del cuore, e tal sia di loro: ma per noi, poveri figliuoli d’Adamo, ci vuole la Religione del cuore, ma non disgiunta da quella dei sensi. E che sia così, voi potreste convincervene anche per altra via. Quando vi abbatterete con alcuno di quegli che con piglio filosofico levano tanto alto la religione del cuore, chiamatelo un poco in disparte e fategli qualche interrogazione. Il mio valentuomo, ditegli confidentemente ed a quattro occhi, questa religione del cuore sì perfetta, e di cui voi avete il profondo segreto, come riesce poi all’opera? la praticate voi davvero? La ‘praticate spesso? La praticate almeno qualche volta? Su dite, vi ritirate voi talvolta nel segreto del vostro cuore, e là solo con Dio, vi umiliate profondamente, gli chiedete perdono delle vostre colpe, prendete delle generose risoluzioni di non più offenderlo? In una parola gli fate poi l’omaggio di quel vostro gran cuore, che è il solo incenso che deve ardere, come voi dite, sull’altare della divinità? Su, parlate schietto, dite la verità una volta, fate tutto ciò, o non ne fate nulla? Mio lettore, a questa domanda, qualcuno vi cadrà dalle nuvole, altri vi guarderà trasognato, ed altri, per sbrigarsi più presto, vi manderà a tutti i diavoli. Oh che è mai questo? Eccovi decifrato il mistero. La religione del cuore, cioè la religione senza atti esterni, è un impossibile, e que’ ribaldi che cercano di metterla in onore, il sanno al pari di noi, e non se ne valgono che come di uno stratagemmandi guerra. Veggono benissimo’ che il ricusare al tutto un qualche culto è cosa brutale e da parerne meno che uomini, anche presso del mondo, il quale pure non la guarda così per sottile: dall’atra parte il professarne alcuna è lo stesso che accollarsene la obbligazione in faccia alla società; e questo è un fardello che non si vuole sulle spalle: epperò si è fatto ricorso ad una religione invisibile, comenè quella del cuore, e si protesta che quella è la propria religione; ma come nel cuore nessuno può vedere, così non si ha obbligo di farne altro. Diceva un bell’umore, che costoro fingono la natura dell’Angelo per poter essere bestie impunemente. A questo modo si fugge la taccia di non aver religione di sorta, e non si ha la noia di praticarne alcuna; anzi si sale ancora in riputazione di filosofo, mentre si mena una vita da sciocco: non è bello questo trovato? Bellissimo invero! peccato solo che, come si fa gabbo agli uomini, così non si possa fare a Dio scrutatore dei cuori! E che questa sia la spiegazione vera del tanto magnificare la religione del cuore che si fa ai dì nostri, voi lo potrete raccogliere ancora da ciò che i medesimi, dimenticandosi la parte che fanno in scena, lascino poi sfuggire talvolta chiaro chiaro il loro intendimento in un’altra massima ugualmente perversa: Che bisogno ha Dio delle nostre meschinità, dei nostri atti di religione? Che vantaggio ne può egli ritrarre? Colle quali parole tradiscono apertamente il loro segreto, e mostrano fino al fondo tutta la corruzione dei loro cuori, dando a conoscere che non vogliono praticarne veruna. Seguitiamoli tuttora in questa nuova loro massima portentosa.

II. Iddio non ha bisogno dei nostri ossequi meschini e non ne ritrae nessun vantaggio, dicono essi. Sapevamocelo. E che però? Dunque, non gli si debbono rendere? Ma siamo noi, noi proprio quelli che ne abbiamo bisogno, non è Dio. Mai nessuno al mondo è stato così stolido che abbia inculcata la religione, perché Dio ne avesse bisogno. Già si sa che il bisogno è tutto nostro. Noi siamo creature di Dio e tali, che tutto che abbiamo e che speriamo, tutto è nelle sue mani: quindi dobbiamo aver da Lui una dipendenza continua per ricevere da Lui tutto quello onde abbisogniamo. Se Egli non ci conservasse continuamente, noi ad ogni istante cadremmo nel nulla; se Egli non ci assistesse ad ogni momento, in ogni momento rimarremmo sopraffatti da qualche calamità. Fingete che la luna non volesse dipendere dal sole, sul pretesto che il sole non ha bisogno di lei, che cosa direste voi? Direste che non è per bene del sole che essa deve dipendere, ma è per bene suo, perocché essa, senza del sole, sarà in perpetua scurità. – Immaginate che una pecorella non volesse star soggetta e dipender dal suo pastore, sul pretesto che il pastore non abbisogna di lei, e voi direste a questa pecora matta che essa è che ne ha bisogno, poiché, senza il pastore, non saprà dove ire a pascolare e morrà di fame, oppure, rimasta senza difesa, sarà sbranata dai lupi. Similmente Iddio essendo il solo nostro padre, il solo nostro aiuto, la sola nostra sicurezza, il solo che possa condurci all’altissimo nostro fine, noi non possiamo fare senza di Lui: abbiamo da stargli d’intorno ad ogni istante, perché Egli ad ogni istante sparga soprandi noi le sue grazie. Soprattutto però questo si vede rispetto ai peccati. Iddio non ha bisogno di noi, ma è egli vero che noi l’offendiamo pur troppo colle nostre colpe? Se è vero che trascuriamo e calpestiamo moltenvolte la legge che ci ha imposta, è vero che siamo rei. Or chi non vede, che abbiamo bisogno e bisogno grande e bisogno stretto di ottenere il perdono, se pur non vogliamo incorrere la sua vendetta,ne, non ostante le nostre reità, finalmente giungere alla salute? Il giudice senza dubbio non ha bisogno del reo, il ricco non ha bisogno del povero, il potente non ha bisogno del debole; ma i languenti, i colpevoli hanno bisogno di chi li aiuti e li protegga. Così noi abbiamo bisogno di Dio per rendercelo favorevole, onde sospenda i suoi castighi, ed accettando le nostre umiliazioni, ci usi misericordia. Andate adesso a dire che il Signore non abbisogna della nostra religione, se vi basta l’animo. Senzachè, quando anche noi non ne avessimo bisogno, sarebbe egli vero che fossimo disobbligati dal prestargli i nostri ossequi? Nulla meno. Iddio ne ha il diritto, e diritto così essenziale, così assoluto, inalienabile, che non può rinunziarvi senza cessare d’essere Dio. Potrebbe mai un padre spogliarsi della dignità ed autorità paterna da render lecito ad un figliuolo il vilipenderlo, batterlo, maltrattarlo? Sarebbe una violazione delle leggi sacrosante della natura. Potrebbe uno sposo rinunziare ai suoi diritti per modo da consentire ad una sposa delle infedeltà? Sarebbe un orrore. Potrebbe un principe svestire la sua qualità di sovrano al punto di mettere in mano de’ suoi sudditi ogni autorità? Sarebbe una sovversione di tutto l’ordine sociale. Ma quando tutti essi potessero rinunziare a sì essenziali loro diritti, non potrebbe ancora rinunziarvi Iddio. Egli può non formar creature, ma non può, formate che le abbia, a sè non dirigerle, perché non può non essere, com’è, il loro principio, così ancora l’ultimo loro fine. Il perché quando anche noi non avessimo bisogno di Lui, Egli non potrebbe non esigere il nostro culto, se pure egli non può cessare d’essere Dio e noi creature. – Questa osservazione mi somministra anche un’altra ragione non meno chiara. Se Dio, anche per impossibile, ci proibisse di onorarlo, di ossequiarlo, di prestargli il nostro culto, noi non potremmo neppure allora farne a meno tanto è necessaria a noi la religione verso di lui! Vi ammirate forse di questa proposizione! Ebbene, rispondete a me. Se Dio prescrivesse alla luce di non illuminare, al fuoco di non bruciare, all’acqua di non bagnare, al vento di mai non soffiare, agli alberi di non spiegar mai rami, fronde, fiori e frutti, e così via via, se levasse ad ogni creatura la propria naturale operazione, che cosa potrebbero rispondere tutti questi esseri? Che tanto varrebbe per loro l’essere annichilati: posciaché, se tutto quello che sono, il sono solamente in ordine a quelle opere; levate queste, essi sono vani ed inutili. Or sappiate che è lo stesso dell’uomo riguardo a Dio. L’uomo ha un intelletto fatto per conoscer Lui, un cuore per amarlo, come l’albero è fatto produrre, l’uccello per volare mentre l’intelletto mai non si posa, il cuore mai è sazio finché non si congiungano a Dio; se voi però togliete all’uomo la religione, che è il solo mezzo per cui stringersi a Lui, e voi avete annientato e distrutto l’uomo. Vedete dunque quanto errino quelli che credono, che Iddio li abbia dispensati dall’obbietto della Religione! E ciò per dir nulla del torto che fanno costoro alla bontà di Dio, la quale esigerebbe, se tanto si potesse, un’infinità di amore e di servigio. Come no? Una bontà da nulla e’ incanta, ed una bontà, qual è quella di Dio, non ci ha pure a muovere? Un raggio di beltà creata ci affascina, e non ci hanno a rapire raggi infiniti di una bellezza increata? Un’aura di sapienza ci tiene assorti di maraviglia, e possiamo rifiutare le nostre ammirazioni ad una infinita sapienza? Non possiamo vietare al nostro cuore di amare gli oggetti amabili, e potremo impedirgli di amare un oggetto amabile infinitamente? E potremo tutto ciò quand’anche quest’oggetto infinitamente buono, bello, santo, amabile sia verso di noi largo de’ benefizi più squisiti, delle grazie più preziose, dell’amore il più tenero? Ma che? Siamo noi tigri dell’Africa, pantere, leopardi? Abbiamo noi un cuore dentro il petto, oppure un macigno? Eppure tant’è. O negare che quanto abbiamo l’abbiamo da Dio, o consentire che gli stiamo continuamente d’intorno con ogni maniera d’ossequio che ci può mettere sul labbro e nel cuore la religione. – Finalmente se Dio non si cura del nostro culto, perché è venuto sulla terra per stabilirlo? Perché l’ha istituito, perché l’ha propagato, perché ha fatto tutto ciò con tanta sollecitudine? Perché ha mandato i suoi Apostoli a tutta la terra? Qui vi vuole una risposta, e non può essere altra che questa: O negare recisamente tutta la grand’opera dell’Incarnazione divina, o concedere che a Gesù infinitamente importa del nostro culto. Il primo non osaron dirlo neppure i demoni, poiché confessarono che Gesù era il Figliuolo di Dio; come dunque negare il secondo?