TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (41)
HENRICUS DENZINGER
ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT
ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.
ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM
De rebus fidei et morum
HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI
Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar
(PIO XII, 1944-1958)
Decreto del Sant’Uffizio, 29 marzo (1° aprile) 1944.
I fini del matrimonio.
3838. Domanda: (In alcuni scritti si afferma) che il fine primario del matrimonio non sia quello di procreare figli, o che i fini secondari non siano subordinati al fine primario. ma sono indipendenti da esso. Il fine primario è indicato in vari modi dai vari autori, ad esempio la realizzazione e il perfezionamento personale degli sposi attraverso una completa comunità di vita e di azione; l’amore reciproco degli sposi da promuovere e realizzare attraverso il dono psichico e corporale della propria persona, ed altre cose simili. In questi stessi scritti, alle parole usate nei documenti della Chiesa (come fine primario o fine secondario) viene talvolta attribuito un significato che non corrisponde a quello che questi concetti hanno secondo l’uso comune dei teologi. Domanda: Possiamo accettare l’opinione di alcuni moderni che negano che il fine primario del matrimonio sia la procreazione e l’educazione dei figli, oppure insegnano che i fini secondari non siano essenzialmente subordinati al fine primario, ma siano anche principali e indipendenti?
Risposta (confermata dal Sommo Pontefice il 30 marzo): No.
Decreto del Sant’Uffizio del 19 (21) luglio 1944.
Millenarismo.
3839. Domanda: Che cosa si deve pensare del sistema del millenarismo misto che insegna che prima dell’ultimo giudizio, preceduto o meno dalla risurrezione di molti giusti, Cristo nostro Signore verrà visibilmente sulla nostra terra per regnarvi? (confermata dal Sommo Pontefice il 20 luglio): Il sistema del millenarismo misto non può essere insegnato con certezza.
Lett. Encycl. “Mediator Dei”, 20 nov. 1947.
La presenza di Cristo nei misteri della Chiesa.
3840. [Dz 2297] In ogni atto liturgico è presente, insieme alla Chiesa, il suo divino Fondatore; Cristo è presente nell’augusto Sacrificio dell’altare, non solo nella persona del suo ministro, ma soprattutto nelle specie dell’Eucaristia; è presente nei Sacramenti attraverso la sua potenza che trasfonde in essi come strumenti di santità; infine, è presente nelle lodi e nelle suppliche rivolte a Dio, secondo queste parole: “Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono Ko in mezzo a loro” (Mt XVIII,20). . . .
3855. Pertanto, l’Anno Liturgico, che la pietà della Chiesa promuove e segue, non è una fredda ed indifferente rappresentazione di quelle cose che appartengono a tempi passati, od un semplice e scarno ricordo di cose di un’epoca precedente. È piuttosto Cristo stesso che persevera nella sua Chiesa e che persegue la via della sua grande misericordia; infatti, quando si è incamminato per questa vita mortale facendo del bene, vi è entrato con questo scopo, che i suoi misteri penetrassero nelle menti degli uomini e che attraverso di essi potessero in qualche modo vivere; e questi misteri sono certamente presenti e operano continuamente non in quel modo incerto ed oscuro di cui blaterano certi scrittori più recenti, ma nel modo che ci viene insegnato dalla Chiesa; poiché, secondo l’opinione dei Dottori della Chiesa, gli esempi di perfezione cristiana sono preminenti, e le fonti della grazia divina, a causa dei meriti e delle deprecazioni di Cristo e per il loro effetto perdurano in noi, sebbene esistano individualmente a modo loro secondo il carattere di ciascuno per la nostra salvezza.
La nozione completa di liturgia.
[Dalla stessa Enciclica “Mediator Dei“, 20 novembre 1947].
3841. [Dz 2298] La sacra Liturgia, dunque, costituisce il culto pubblico che il nostro Redentore, Capo della Chiesa, ha manifestato al Padre celeste; e che la società dei fedeli in Cristo attribuisce al proprio Fondatore, e per mezzo di Lui all’eterno Padre; e, per riassumere brevemente, costituisce il culto pubblico del Corpo mistico di Gesù Cristo, cioè del Capo e delle sue membra.
3843. Pertanto, si allontanano completamente dalla vera e piena nozione e comprensione della Sacra Liturgia coloro che la considerano solo come una parte esterna del culto divino, e presentata ai sensi, o come una sorta di apparato di proprietà cerimoniali; e non meno errati sono coloro che la considerano come un mero compendio di leggi e precetti, con cui la Gerarchia ecclesiastica ordina e dispone i riti sacri.
Il rapporto tra la vita ascetica e la pietà della liturgia.
[Dalla stessa Enciclica, “Mediator Dei“, 30 novembre 1947].
3846. [Dz 2299] Perciò nella vita spirituale non ci può essere differenza né conflitto tra l’azione divina che infonde la grazia nelle anime per perpetuare la nostra redenzione, ed il lavoro affine e laborioso dell’uomo che non deve rendere vano il dono di Dio; e così pure tra l’efficacia del rito esterno dei Sacramenti, che nasce ex opere operato (compiuto dall’opera stessa), ed un atto ben meritevole da parte di coloro che partecipano e accettano i Sacramenti. E allo stesso modo tra le suppliche pubbliche e le preghiere private; tra il giusto modo di agire e la contemplazione delle cose superne; tra la vita ascetica e la pietà della Liturgia; e, infine, tra la giurisdizione della Gerarchia ecclesiastica e quel legittimo Magistero e quel potere che sono propriamente chiamati sacerdotali e che sono esercitati nel sacro ministero. – Per questo motivo la Chiesa esorta coloro che servono l’altare come compito affidato, o che sono entrati in un istituto di vita religiosa, a dedicarsi in tempi stabiliti alla pia meditazione, all’autoesame ed alla critica diligenti, e ad altri esercizi spirituali, poiché essi sono preposti in modo speciale alle funzioni liturgiche di celebrare regolarmente il Sacrificio e di offrire le dovute lodi. Senza dubbio la preghiera liturgica, essendo la supplica pubblica dell’illustre Sposa di Gesù Cristo, si distingue con maggiore eccellenza rispetto alle preghiere private. Ma questa maggiore eccellenza non indica affatto che questi due tipi di preghiera siano diversi ed in contrasto tra loro. Infatti, poiché sono animati da un unico e medesimo zelo, si uniscono e sono uniti secondo queste parole: “Cristo è tutto e in tutti” (Col III,11), e si adoperano per gli stessi scopi, affinché Cristo sia formato in noi.
La partecipazione dei fedeli al Sacerdozio di Cristo.
[Dalla stessa Enciclica, “Mediator Dei“, 20 novembre 1947].
3849. [Dz 2300] È opportuno che tutti i fedeli in Cristo comprendano che è loro supremo dovere e dignità partecipare al Sacrificio eucaristico. . . . – Tuttavia, poiché i fedeli in Cristo partecipano al Sacrificio eucaristico, non per questo godono del potere sacerdotale. È anzi necessario che lo teniate ben presente agli occhi del vostro gregge.
3850. Ci sono infatti coloro … che oggi riprendono errori già condannati da tempo ed insegnano che nel Nuovo Testamento il nome “sacerdozio” comprenda tutti coloro che sono stati purificati dall’acqua del Battesimo; e anche che quel precetto con cui Gesù Cristo nell’ultima cena affidò agli Apostoli il compimento di ciò che Egli stesso aveva fatto, si riferivsse direttamente a tutta la Chiesa dei fedeli in Cristo; e che da qui, e solo da qui, è sorto il sacerdozio gerarchico. Pertanto, essi immaginano che il popolo goda del vero potere sacerdotale, ma che il Sacerdote agisca solo in virtù di un ufficio delegato dalla comunità. Perciò ritengono che il Sacrificio eucaristico sia veramente chiamato “concelebrazione” e pensano che sia più opportuno che i Sacerdoti, stando insieme al popolo, “concelebrino” piuttosto che offrire il Sacrificio privatamente in assenza del popolo. – È superfluo spiegare come errori capziosi di questo tipo contraddicano le verità che abbiamo esposto sopra, trattando del rango che il Sacerdote gode nel Corpo mistico di Cristo. Tuttavia, riteniamo di dover ricordare che il Sacerdote agisca al posto del popolo solo per questo motivo, che egli faccia la parte di nostro Signore, Gesù Cristo, in quanto è il Capo di tutte le membra e si offre per loro, e che per questo motivo si accosti all’altare come ministro di Cristo, inferiore a Cristo, ma superiore al popolo. Il popolo, invece, in quanto non fa in alcun modo la parte del Redentore divino e non è conciliatore tra sé e Dio, non può assolutamente godere del diritto sacerdotale. – Tutto questo, infatti, è stabilito dalla certezza della fede; tuttavia, si può dire che anche i fedeli in Cristo offrano la Vittima divina, ma in modo diverso.
3851. Ora, alcuni dei Nostri predecessori e Dottori della Chiesa lo hanno dichiarato molto chiaramente. “Non solo”, dice Innocenzo III di immortale memoria, “i Sacerdoti offrono il Sacrificio, ma anche tutti i fedeli; infatti, ciò che si compie in modo particolare con il ministero dei Sacerdoti, si compie collettivamente con le preghiere dei fedeli”. Ed è piacevole riportare su questo argomento almeno una delle tante affermazioni di San Roberto Bellarmino: “Il Sacrificio – dice – è offerto principalmente nella persona di Cristo. E così l’oblazione che segue la Consacrazione è una sorta di attestazione che tutta la Chiesa acconsenta all’oblazione fatta da Cristo, e la offra contemporaneamente a lui”. – Il rito e le preghiere del Sacrificio eucaristico evidenziano e mostrano non meno chiaramente che l’oblazione della vittima sia compiuta dai Sacerdoti insieme al popolo… . . – Non è sorprendente che i fedeli di Cristo siano elevati a tale dignità. Infatti, con le acque del Battesimo, con il titolo generale di Cristiano essi sono resi membri del Corpo mistico di Cristo, il Sacerdote, e con il “carattere”, per così dire, impresso nelle loro anime, sono assegnati al culto divino; e così partecipano al Sacerdozio di Cristo stesso secondo la loro condizione. . .
3852. Ma c’è anche una ragione molto profonda per cui si dice che tutti i Cristiani, specialmente quelli che sono presenti all’altare, offrano il Sacrificio. – In questo argomento molto importante, per evitare che sorgano errori insidiosi, dobbiamo limitare la parola “offrire” con termini di significato esatto. Infatti, quell’immolazione incruenta, con la quale, quando si pronunciano le parole della Consacrazione, Cristo è reso presente sull’altare nello stato di vittima, è compiuta dal solo Sacerdote, perché ha il ruolo di Cristo, e non perché svolga il ruolo di fedele in Cristo. E così, poiché il Sacerdote pone la vittima sull’altare, offre a Dio Padre la stessa vittima con cui offre un’oblazione per la gloria della Santissima Trinità e per il bene di tutta la Chiesa. Ma i fedeli in Cristo partecipano a questa oblazione in senso ristretto, a modo loro, e in modo duplice, cioè perché offrono il Sacrificio non solo attraverso le mani del Sacerdote, ma anche, in un certo senso, insieme a lui; infatti, a causa di questa partecipazione, anche l’oblazione del popolo è riferita al culto liturgico. – Inoltre, è chiaro che i fedeli in Cristo offrono il Sacrificio attraverso le mani del Sacerdote da questo, che il ministro all’altare fa la parte di Cristo, come del Capo, facendo la sua offerta a nome di tutte le sue membra, per cui in effetti accade che tutta la Chiesa sia giustamente detta offrire l’oblazione della Vittima attraverso Cristo. Ma che il popolo insieme al Sacerdote stesso offra il Sacrificio non è stabilito per questo, perché i membri della Chiesa, proprio come il Sacerdote stesso, compiono un rito liturgico visibile, che appartiene solo al ministro divinamente assegnato a questo; ma perché essi uniscono la loro preghiera di lode, di impetrazione, di espiazione e di ringraziamento alla preghiera o all’intenzione del Sacerdote, persino dello stesso Sommo Sacerdote, affinché nella stessa oblazione della Vittima, sempre secondo un rito esterno del Sacerdote, siano presentati a Dio, il Padre. Infatti, il rito esterno deve per sua natura manifestare il culto interno; ma il Sacrificio della Nuova Legge significa quella suprema fedeltà per mezzo della quale l’Offerente principale stesso, che è Cristo, e insieme a Lui e per mezzo di Lui tutte le sue membra mistiche frequentano e venerano Dio con il dovuto onore.
3853. Erroneamente in questo caso si fa appello alla indole sociale del Sacrificio Eucaristico. Ogni volta, difatti, che il sacerdote ripete ciò che fece il Divin Redentore nell’ultima cena, il sacrificio è realmente consumato, ed esso ha sempre e dovunque, necessariamente e per la sua intrinseca natura, una funzione pubblica e sociale, in quanto l’offerente agisce a nome di Cristo e dei cristiani, dei quali il Divin Redentore è Capo, e l’offre a Dio per la Santa Chiesa Cattolica e per i vivi e i defunti.
3854. L’augusto Sacrificio dell’altare si conclude con la Comunione del divino convito. Ma, come tutti sanno, per avere l’integrità dello stesso Sacrificio, si richiede soltanto che il Sacerdote si nutra del cibo celeste, non che anche il popolo – cosa, del resto, sommamente desiderabile – acceda alla santa Comunione…. Si deve, difatti, ancora una volta notare che il Sacrificio Eucaristico consista essenzialmente nella immolazione incruenta della Vittima divina, immolazione che è misticamente manifestata dalla separazione delle sacre specie e dalla loro oblazione fatta all’Eterno Padre. La santa Comunione appartiene alla integrità del Sacrificio, e alla partecipazione ad esso per mezzo della Comunione dell’Augusto Sacramento; e mentre è assolutamente necessaria al ministro sacrificatore, ai fedeli è soltanto da raccomandarsi vivamente.
3855. Perciò l’anno liturgico, che la pietà della Chiesa alimenta e accompagna, non è una fredda e inerte rappresentazione di fatti che appartengono al passato, o una semplice e nuda rievocazione di realtà d’altri tempi. Esso è, piuttosto, Cristo stesso, che vive sempre nella sua Chiesa e che prosegue il cammino di immensa misericordia da Lui iniziato con pietoso consiglio in questa vita mortale, quando passò beneficando allo scopo di mettere le anime umane al contatto dei suoi misteri, e farle vivere per essi; misteri che sono perennemente presenti ed operanti, non nel modo incerto e nebuloso nel quale parlano alcuni recenti scrittori, ma perché, come ci insegna la dottrina cattolica e secondo la sentenza dei Dottori della Chiesa, sono esempi illustri di perfezione cristiana, e fonte di grazia divina per i meriti e l’intercessione del Redentore, e perché perdurano in noi col loro effetto, essendo ognuno di essi, nel modo consentaneo alla propria indole, la causa della nostra salvezza.
Costit. Apost. “Sacramentum Ordinis” 30 nov. 1947.
La materia e la forma del Sacramento dell’Ordine.
3857. [Dz 2301 1]. Il Sacramento dell’Ordine istituito da Cristo Signore, con il quale si trasmette il potere spirituale e si conferisce la grazia di adempiere correttamente ai doveri ecclesiastici, la fede cattolica lo professa come uno ed unico per la Chiesa universale. . . . E a questi Sacramenti istituiti da Cristo Signore nel corso dei secoli la Chiesa non ha, né potrebbe sostituire altri sacramenti, poiché, come insegna il Concilio di Trento, i sette Sacramenti della Nuova Legge sono stati tutti istituiti da Gesù Cristo, nostro Signore, e la Chiesa non ha alcun potere sulla “sostanza dei Sacramenti”, cioè su quelle cose che, con le fonti della rivelazione divina come testimoni, Cristo Signore stesso ha decretato di conservare in un segno sacramentale. . . .
3858. 3. È stabilito, inoltre, tra tutti che i Sacramenti della Nuova Legge, in quanto segni sensibili ed efficaci della grazia invisibile, devono e significano la grazia che attuano, ed attuano la grazia che significano. Infatti, gli effetti che dovrebbero essere prodotti e così significati dalla sacra Ordinazione del diaconato, del presbiterato e dell’episcopato, cioè il potere e la grazia, si trovano sufficientemente significati in tutti i riti della Chiesa universale di diversi tempi e regioni dall’imposizione delle mani e dalle parole che la determinano. Inoltre, non c’è nessuno che non sappia che la Chiesa romana abbia sempre considerato valide le Ordinazioni conferite in rito greco, senza la consegna degli strumenti, tanto che nel Concilio di Firenze, in cui si realizzò l’unione dei Greci con la Chiesa di Roma, non fu imposto ai Greci di cambiare il rito di Ordinazione, né di inserirvi la tradizione degli strumenti; anzi, la Chiesa volle che nella stessa Città (Roma) i Greci fossero ordinati secondo il loro rito. Da tutto ciò si deduce che secondo il pensiero del Concilio di Firenze la tradizione degli strumenti non sia richiesta per la sostanza e la validità di questo Sacramento, secondo la volontà di nostro Signore Gesù Cristo stesso. Ma se, secondo la volontà e la prescrizione della Chiesa, un giorno la stessa dovesse essere ritenuta necessaria anche per la validità, tutti saprebbero che la Chiesa sia in grado anche di cambiare e abrogare ciò che ha stabilito.
3859. 4. Poiché le cose stanno così, invocando la luce divina con la Nostra suprema Autorità Apostolica e la Nostra conoscenza certa, dichiariamo e, secondo la necessità, decretiamo e stabiliamo che la materia degli Ordini sacri del Diaconato, del Sacerdozio e dell’Episcopato, e solo questa, sia l’imposizione delle mani; ma che la forma, e anch’essa soltanto, sia costituita dalle parole che determinano l’applicazione di questa materia, con le quali gli effetti sacramentali sono significati con un solo significato, cioè il potere degli Ordini e la grazia dello Spirito Santo, e che come tali sono accettati e applicati dalla Chiesa. Ne consegue che, al fine di eliminare ogni controversia e di precludere la via alle inquietudini di coscienza, con la Nostra Autorità Apostolica dichiariamo e, se mai è stato altrimenti legittimamente disposto, decidiamo che la tradizione degli strumenti, almeno per il futuro, non sia necessaria per la validità dei sacri Ordini del diaconato, del Sacerdozio e dell’Episcopato.
3860. 5. Ma per quanto riguarda la materia e la forma nel conferimento di ogni Ordine, con la Nostra stessa suprema Autorità Apostolica decretiamo e stabiliamo quanto segue: Nell’ordinazione dei Diaconi la materia è l’unica imposizione della mano del Vescovo, che avviene nel rito di tale ordinazione. Ma la forma consiste nelle parole del “Prefazio“, di cui le seguenti sono essenziali e quindi richieste per la validità: “Manda su di lui, ti preghiamo, o Signore, lo Spirito Santo, con il quale per l’opera di adempiere fedelmente il tuo ministero sia rafforzato dal dono della tua septiforme grazia”. Nell’ordinazione dei Sacerdoti si tratta della prima imposizione delle mani del Vescovo che venga fatta in silenzio, ma non c’è la continuazione della stessa imposizione con l’estensione della mano destra, né l’ultima a cui sono unite queste parole: “Ricevi lo Spirito Santo: a chi rimetterai i peccati, ecc.”. Ma la forma consiste nelle parole del “prefazio“, di cui le seguenti sono essenziali e quindi richieste per la validità: “Concedi, ti preghiamo, Padre onnipotente, a questo tuo servo la dignità del Sacerdozio; rinnova nelle sue viscere lo spirito di santità, affinché ottenga il dono del buon merito gradito a Te, o Dio, e possa con l’esempio della sua conversazione introdurre il rigido giudizio dei costumi”. Infine, nell’ordinazione o consacrazione Episcopale si tratta dell’imposizione delle mani da parte del Vescovo consacrante. Ma la forma consiste nelle parole del “Prefazio“, di cui le seguenti sono essenziali e quindi richieste per la validità: “Adempi nel Tuo sacerdote il compimento del Tuo ministero, e adornato con gli ornamenti di ogni glorificazione santificalo con la rugiada dell’unguento celeste“. . . .
3861. 6. Affinché non vi sia occasione di dubbio, ordiniamo che in ogni conferimento di Ordini l’imposizione delle mani sia fatta toccando fisicamente il capo di colui che debba essere ordinato, sebbene anche il tocco morale sia sufficiente per compiere validamente un Sacramento. . . . La disposizione di questa Nostra Costituzione non ha valore retroattivo.
Lettera del segretario della Commissione Biblica all’Arcivescovo di Parigi.
Questioni critiche sul Pentateuco.
3862. La Pontificia Commissione Biblica… desidera corrispondere (al sentimento di fiducia sussidiaria) con uno sforzo sincero per promuovere gli studi biblici assicurando loro, nei limiti dell’insegnamento tradizionale della Chiesa, la più piena libertà. Questa libertà è stata affermata in termini espliciti dall’Enciclica (di Pio XII)… Divino afflante Spiritu in questi termini: “L’esegeta cattolico… (il testo (3831>3831) è citato in francese)” … Si prega di comprendere e interpretare, alla luce di questa raccomandazione del Sommo Pontefice, le tre risposte ufficiali date in passato dalla Commissione Biblica sulle questioni sopra citate, e cioè il 23 giugno 1905 sui racconti che sarebbero storici solo in apparenza nei libri storici della Sacra Scrittura (cf. 3373), 27 giugno 1906 sull’autenticità mosaica del Pentateuco (cf. 3394-3397), e 30 giugno 1909 sul carattere storico dei primi tre capitoli della Genesi (cf. 3512-3519), e si ammetterà che esse non precludano affatto un successivo esame veramente scientifico di questi problemi sulla base dei risultati acquisiti negli ultimi quarant’anni. Di conseguenza, la Commissione Biblica non ritiene necessario promulgare, almeno per il momento, nuovi decreti su queste questioni.
3863. Per quanto riguarda la composizione del Pentateuco, nel già citato decreto del 27 giugno 1906 la Commissione Biblica riconosceva già che si poteva affermare che Mosè, “nel comporre la sua opera, si sia servito di documenti scritti o di tradizioni orali” e ammetteva anche modifiche e aggiunte successive a Mosè (cf. 3396 ss.). Nessuno oggi dubita dell’esistenza di queste fonti e non ammette un progressivo aumento delle leggi mosaiche a causa delle condizioni sociali e religiose dei tempi successivi, una progressione che si riscontra anche nei racconti storici. Tuttavia, anche nel campo degli esegeti non Cattolici si professano oggi opinioni molto divergenti circa la natura ed il numero di questi documenti, la loro denominazione e la loro datazione. Non mancano autori in diversi Paesi che, per ragioni puramente critiche e storiche, senza alcun intento apologetico, rifiutino risolutamente le teorie finora più in voga e cerchino la spiegazione di certe peculiarità redazionali del Pentateuco, non tanto nella diversità dei presunti documenti, quanto nella speciale psicologia, nei particolari processi, oggi meglio conosciuti, del pensiero e dell’espressione degli antichi orientali, o ancora nel diverso genere letterario postulato dalla diversità dei soggetti. Per questo invitiamo gli studiosi cattolici a studiare questi problemi senza pregiudizi, alla luce di una sana critica e dei risultati di altre scienze interessate a questi argomenti, e tale studio stabilirà senza dubbio la grande parte e la profonda influenza di Mosè come autore e legislatore.
3864. La questione delle forme letterarie dei primi undici capitoli della Genesi è molto più oscura e complessa. Queste forme letterarie non corrispondono a nessuna delle nostre categorie classiche e non possono essere giudicate alla luce dei generi letterari greco-latini o moderni. Non possiamo quindi né negare né affermare la storicità in blocco, senza applicare indebitamente ad essi gli standard di un genere letterario sotto il quale non possano essere classificati. Se siamo d’accordo che questi capitoli non siano storia in senso classico o moderno, dobbiamo anche ammettere che i dati scientifici attuali non ci permettono di dare una soluzione positiva a tutti i problemi che pongono. Il primo dovere dell’esegesi scientifica consiste qui nello studio attento di tutti i problemi letterari, scientifici, storici, culturali e religiosi connessi a questi capitoli; sarebbe poi necessario esaminare da vicino i procedimenti letterari degli antichi popoli orientali, la loro psicologia, il loro modo di esprimersi e la loro stessa nozione di verità storica; in una parola, sarebbe necessario riunire, senza pregiudizi, tutto il materiale delle scienze paleontologiche, storiche, epigrafiche e letterarie. Solo così potremo sperare di vedere più chiaramente la vera natura di alcuni racconti dei primi capitoli della Genesi. – Dichiarare a priori che le loro narrazioni non contengano storia nel senso moderno del termine implicherebbe facilmente che non ne contengano in alcun senso, mentre raccontano in un linguaggio semplice e figurativo, adatto alle intelligenze di un’umanità meno sviluppata, le verità fondamentali presupposte nell’economia della salvezza, nonché la descrizione popolare delle origini della razza umana e del popolo eletto.
Decreto del Sant’Uffizio, 28 giugno (1 luglio) 1949.
Decreto contro il Comunismo.
3865. Domande: 1. È lecito aderire al partito comunista o favorirlo in qualche modo (cf. 3930)?
2. È permesso pubblicare, distribuire o leggere libri, riviste, giornali od opuscoli che sostengano la dottrina o l’azione dei comunisti, o scrivere in essi?
3. I fedeli cristiani che hanno consapevolmente e liberamente commesso gli atti di cui ai punti 1 e 2 possono essere ammessi ai Sacramenti?
(4) I fedeli cristiani che professano la dottrina materialista ed anticristiana dei comunisti, e soprattutto coloro che la difendono o la propagano, incorrono per questo stesso fatto, come apostati dalla fede cattolica, nella scomunica appositamente riservata alla Sede Apostolica?
Risposta (confermata dal Sommo Pontefice il 30 giugno): Per 1. no: il comunismo è effettivamente materialista ed anticristiano; sebbene i leader comunisti dichiarino talvolta a parole di non attaccare la Religione, essi dimostrano nei fatti, sia con la dottrina che con le azioni, di essere ostili a Dio, alla vera Religione e alla Chiesa di Cristo. Per 2. No: sono di fatto proibiti dalla legge (cf. CJC 1399). Per 3. No, secondo i principi ordinari che riguardano il rifiuto dei Sacramenti a coloro che non hanno la disposizione richiesta. Per 4. Sì.
Lettera del Sant’Uffizio all’Arcivescovo di Boston, 8 agosto 1949.
Necessità della Chiesa per la salvezza.
3866. … Ora, tra le cose che la Chiesa ha sempre predicato e non cesserà mai di predicare c’è anche questa affermazione infallibile che ci insegna che “fuori della Chiesa non c’è salvezza”. Questo dogma deve però essere inteso nel senso in cui lo intende la Chiesa stessa. Infatti, non è al giudizio privato che il nostro Salvatore ha affidato la spiegazione delle cose contenute nel deposito della fede, ma al Magistero della Chiesa.
3867. In primo luogo, la Chiesa insegna che in questa materia si tratta di un comando molto severo di Gesù Cristo. Egli, infatti, ha espressamente ordinato ai suoi Apostoli di insegnare a tutte le Nazioni ad osservare tutto ciò che ha comandato. Non ultimo dei comandamenti di Cristo è quello di essere incorporati con il Battesimo al Corpo Mistico di Cristo, che è la Chiesa, e di rimanere uniti a Cristo ed al suo Vicario, attraverso il quale Egli stesso governa visibilmente la sua Chiesa sulla terra. Per questo motivo, nessuno si salverà se, sapendo che la Chiesa sia stata divinamente istituita da Cristo, non accetterà tuttavia la sottomissione alla Chiesa o rifiuterà l’obbedienza al Romano Pontefice, Vicario di Cristo sulla terra.
3868. Ora il Salvatore non solo ha disposto che tutti i popoli entrino nella Chiesa, ma ha anche deciso che la Chiesa sia il mezzo di salvezza, senza il quale nessuno può entrare nel Regno della gloria celeste.
3869. Nella sua infinita misericordia, Dio ha voluto che gli effetti, necessari per essere salvati, di questi mezzi di salvezza che sono ordinati al fine ultimo dell’uomo non per necessità intrinseca, ma solo per istituzione divina, possano essere ottenuti anche in determinate circostanze, quando questi mezzi siano messi in atto solo per desiderio o volontà. Lo vediamo chiaramente affermato nel santo Concilio di Trento a proposito sia del Sacramento della rigenerazione sia del Sacramento della penitenza ( cf. 1524, 1543).
3870. Ora lo stesso si deve dire, nel suo proprio grado, della Chiesa in quanto mezzo generale di salvezza. Infatti, perché qualcuno ottenga la salvezza eterna, non sempre si richiede che sia effettivamente incorporato alla Chiesa come membro, ma si richiede almeno che sia unito ad essa con il desiderio e la volontà. Tuttavia, non è sempre necessario che questo voto sia esplicito, come nel caso dei catecumeni, ma, quando l’uomo è vittima di un’ignoranza invincibile, Dio accetta anche un voto implicito, così chiamato perché è incluso nella buona disposizione d’animo con cui l’uomo desidera conformare la sua volontà alla volontà di Dio.
3871. Questo è il chiaro insegnamento dell’Enciclica di Pio XII… sul Corpo Mistico di Gesù Cristo. In essa il Sommo Pontefice fa una chiara distinzione tra coloro che siano realmente incorporati nella Chiesa come suoi membri e coloro che siano uniti alla Chiesa solo per voto. … “Ma sono veramente membri della Chiesa solo coloro che hanno ricevuto il Battesimo di rigenerazione e professano la vera fede, e che, d’altra parte, non sono, per propria disgrazia, separati da tutto il Corpo, o non ne sono stati tagliati fuori per colpe molto gravi dalla legittima autorità” (cf. 3802). Verso la fine di questa stessa Enciclica, però, invitando molto affettuosamente all’unità coloro che non appartengono al corpo della Chiesa Cattolica, cita “coloro che, per un certo desiderio e per una volontà inconscia, si trovano ordinati al Corpo mistico del Redentore”, che non esclude affatto dalla salvezza eterna, ma di cui – dice – che tuttavia si trovino in uno stato “in cui nessuno può essere sicuro della sua salvezza eterna. … poiché sono privi di tanti e così grandi aiuti e favori celesti, che possono essere goduti solo nella Chiesa Cattolica” (cf. 3821).
3872. Con queste sagge parole, egli condanna sia coloro che escludono dalla salvezza eterna tutti gli uomini che siano uniti alla Chiesa solo da un voto implicito, sia coloro che affermano falsamente che gli uomini possano salvarsi anche in qualsiasi religione (cf. 2865). – Non dobbiamo nemmeno pensare che un qualsiasi desiderio di unirsi alla Chiesa sia sufficiente per essere salvati. È infatti necessario che il voto che ordini qualcuno alla Chiesa sia animato da una perfetta carità. Il voto implicito può avere effetto solo se la persona anbia una fede soprannaturale. (Eb XI,6; Concilio di Trento, 6ª sessione – cf. 2008. Cap. 8).
3873. (Questo numero 3873 comprende una seconda parte riguardante la fecondazione artificiale; vv. 3323 e 3873 A).
Da quanto detto, quindi, è chiaro che ciò che venga proposto nel commentario “From the hausetops” [Dalle cime dei tetti], fasc. III, come autentica dottrina della Chiesa Cattolica ,sia molto lontano da essa, e che sia molto dannoso sia per chi è dentro che per chi è fuori. Per questo è difficile capire come l’ “Istituto San Benedetto” sia coerente con se stesso, dal momento che, pur definendosi una scuola cattolica e volendo essere considerato tale, in realtà non si conforma alle prescrizioni del CJC. (1381 e 1382) e vi si trovi una fonte di discordia e di ribellione all’Autorità ecclesiastica che è causa di problemi per molte coscienze. Né si capisce come un religioso, cioè p. Feeney, possa presentarsi come “difensore della fede” ed allo stesso tempo non esiti ad opporsi all’istruzione catechistica proposta dalle legittime Autorità…
Allocuzione al 4° Congresso dei Medici cattolici, 29 settembre. 1949. (Cf. 3323)
Fecondazione artificiale.
3873– A
1. La pratica della fecondazione artificiale, per quanto riguarda l’uomo, non può essere considerata esclusivamente, o addirittura principalmente, dal punto di vista biologico e medico, tralasciando quello della morale e del diritto. 2. La fecondazione artificiale al di fuori del matrimonio è da condannare puramente e semplicemente come immorale. La legge naturale e la legge divina positiva stabiliscono che la procreazione di una nuova vita può essere solo il frutto del Matrimonio. Solo il Matrimonio salvaguarda la dignità dei coniugi (principalmente la donna in questo caso), il loro bene personale. Solo esso provvede al bene e all’educazione del bambino. Di conseguenza, quando si tratta di condannare la fecondazione artificiale al di fuori dell’unione coniugale, non c’è spazio per il disaccordo tra i cattolici. Un bambino concepito in queste condizioni sarebbe, per questo stesso fatto, illegittimo.
2. La fecondazione artificiale all’interno del Matrimonio, ma prodotta dall’elemento attivo di una terza parte, è immorale e, come tale, da condannare in toto.
3. Solo i coniugi hanno il diritto reciproco di generare una nuova vita, un diritto esclusivo, non trasferibile e inalienabile. E questo deve avvenire nel rispetto del bambino. A chiunque dia vita a un piccolo essere, la natura impone, in virtù di questo stesso legame, l’onere della sua conservazione ed educazione. Ma tra il coniuge legittimo e il figlio, frutto dell’elemento attivo di un terzo (anche se il coniuge acconsente), non c’è il vincolo originario, il vincolo morale e giuridico della procreazione coniugale.
4. Per quanto riguarda la liceità della fecondazione artificiale nel matrimonio, ci basterà, per il momento, ricordare questi principi di diritto naturale: il semplice fatto che il risultato ricercato sia raggiunto con questo mezzo non giustifica l’uso del mezzo stesso; né il desiderio, di per sé legittimo, dei coniugi di avere un figlio è sufficiente a provare la legittimità del ricorso alla fecondazione artificiale, che realizzerebbe questo desiderio. Sarebbe sbagliato pensare che la possibilità di ricorrere a questo mezzo possa rendere valido un matrimonio tra persone incapaci di contrarlo a causa dell’impendimentum impotentiae.- D’altra parte, è superfluo osservare che l’elemento attivo non possa mai essere lecitamente procurato con atti innaturali. Sebbene i nuovi metodi non possano essere esclusi a priori per il solo fatto di essere nuovi, tuttavia, per quanto riguarda la fecondazione artificiale, non solo c’è motivo di essere estremamente riservati, ma deve essere assolutamente esclusa. Parlando in questo modo, non stiamo necessariamente proibendo l’uso di alcuni mezzi artificiali destinati unicamente a facilitare l’atto naturale o ad aiutare l’atto naturale normalmente compiuto a raggiungere il suo fine.
Risposta del Sant’Uffizio, 28 dicembre 1949.
L’intenzione del ministro del Sacramento
3874. Domanda: Ai fini del giudizio sulle cause di Matrimonio, il Battesimo conferito nelle sette dei Discepoli di Cristo, dei Presbiteriani, dei Congregazionalisti, dei Battisti, dei Metodisti – presupponendo la materia e la forma necessarie – può essere considerato invalido perché il ministro non ha l’intenzione di fare ciò che la Chiesa faccia o ciò che Cristo abbia istituito, o al contrario debba essere considerato valido quando nel caso particolare non sia dimostrato il contrario? Risposta: No per il primo punto, sì per il secondo.
Lett. Encycl. “Humani generis” 12 ag. 1950.
Alcune false opinioni che minacciano di minare i fondamenti della dottrina cattolica *
[Dall’Enciclica “Humani generis“, 12 agosto 1950]
3875. [Dz 2305] La discordia e l’allontanamento dalla verità da parte del genere umano nelle questioni religiose e morali sono sempre stati fonte e causa di dolorosissimo dolore per tutti gli uomini buoni, e specialmente per i figli fedeli e sinceri della Chiesa, e più che mai oggi, quando vediamo offesi da ogni parte i principii stessi della cultura cristiana. – Non c’è da stupirsi, infatti, che tali discordie e vagabondaggi siano sempre fioriti al di fuori dell’ovile di Cristo. Infatti, anche se la ragione umana, parlando semplicemente, con i suoi poteri naturali e la sua luce possa arrivare alla conoscenza vera e certa di un Dio personale che nella sua provvidenza custodisce e dirige il mondo, e anche della legge naturale infusa nelle nostre anime dal Creatore, tuttavia non pochi ostacoli impediscono alla ragione dell’uomo di usare efficacemente e fruttuosamente questa facoltà naturale che possiede. Infatti, le questioni che riguardano Dio e che hanno a che fare con le relazioni tra gli uomini e Dio, sono verità che trascendono completamente l’ordine delle cose sensibili e, quando vengono introdotte nell’azione della vita e la modellano, richiedono dedizione di sé e abnegazione. L’intelletto umano, inoltre, nell’acquisire tali verità fatica a causa non solo dell’impulso dei sensi depravati e dell’immaginazione, ma anche dei desideri che hanno la loro fonte nel peccato originale. Perciò accade che gli uomini, in questioni di questo tipo, si convincano facilmente che ciò che non vogliono sia vero, sia falso o almeno dubbio.
3876. Per questo motivo la “rivelazione” divina deve essere considerata moralmente necessaria, affinché quelle verità, che nell’ambito della Religione e della morale non sono di per sé al di fuori della portata della ragione, ma nella condizione attuale del genere umano, possano essere prontamente afferrate da tutti con forte certezza e senza alcuna commistione di errori*. – D’altra parte, però, la mente umana può talvolta incontrare difficoltà nel formarsi un giudizio certo “di credibilità” sulla fede cattolica, sebbene siano stati disposti da Dio tanti meravigliosi segni esteriori, attraverso i quali, anche alla sola luce naturale della ragione, si possa dimostrare con certezza l’origine divina della Religione cristiana. Infatti, l’uomo, sia indotto da opinioni preconcette sia istigato da desideri e volontà malvagie, può rifiutare e resistere non solo all’evidenza dei segni esterni, che è preminente, ma anche alle ispirazioni superne che Dio porta nei nostri cuori. Chiunque osservi coloro che siano al di fuori dell’ovile di Cristo, può facilmente vedere le principali vie in cui sono entrati molti uomini dotti.
3877. C’è chi sostiene che il cosiddetto sistema dell’evoluzione, non ancora dimostrato in modo irrefutabile nell’ambito delle scienze naturali, e ammesso in modo imprudente e indiscreto, si estenda all’origine di tutte le cose, e chi sostiene con coraggio la teoria monistica e panteistica che tutto il mondo sia soggetto ad una continua evoluzione. In effetti, i sostenitori del comunismo si avvalgono volentieri di questa teoria, per far emergere e difendere più efficacemente il loro “materialismo dialettico”, scacciando ogni nozione di Dio.
3878. [Dz 2306] Queste finzioni dell’evoluzione, con le quali si ripudia tutto ciò che sia assoluto, fermo ed immutabile, hanno aperto la strada ad una nuova filosofia errata che, in opposizione all'”idealismo”, all'”immanenza” e al “pragmatismo”, ha ottenuto il nome di “esistenzialismo”, poiché si preoccupa solo dell'”esistenza” delle cose individuali e trascura l’essenza immutabile delle cose. – C’è anche una sorta di falso “storicismo”, che si occupa solo degli eventi della vita umana, e che demolisce le fondamenta di ogni verità e legge assoluta, non solo per quanto riguarda le questioni filosofiche, ma anche per gli insegnamenti cristiani.
[Dz 2307] In una grande confusione di opinioni come questa, ci dà un po’ di conforto notare coloro che non raramente oggi desiderano tornare dai principi del “realismo”, in cui erano stati istruiti un tempo, alle sorgenti della verità rivelate da Dio, e riconoscere e professare la parola di Dio conservata nella Sacra Scrittura. Allo stesso tempo, però, dobbiamo constatare con rammarico che non pochi di loro, quanto più si aggrappano alla Parola di Dio, tanto più sminuiscono la ragione umana; e quanto più esaltano l’autorità di Dio che rivela, tanto più disprezzano il Magistero della Chiesa, istituito da Cristo Signore per custodire ed interpretare le verità rivelate da Dio. Questo infatti non solo è in aperta contraddizione con le Sacre Scritture, ma è dimostrato falso dall’esperienza concreta. Spesso proprio coloro che sono in disaccordo con la vera Chiesa si lamentano apertamente della propria discordia in materia di dogmi, così da confessare a malincuore la necessità del Magistero vivente.
3879. [Dz 2308] In effetti, i teologi ed i filosofi cattolici, sui quali ricade il grave dovere di proteggere la verità divina ed umana e di inculcarla nelle menti degli uomini, non possono ignorare o trascurare queste opinioni che si allontanano più o meno dalla retta via. Inoltre, dovrebbero esaminare a fondo queste opinioni, perché le malattie non possono essere curate se non sono state diagnosticate correttamente; anche perché a volte nelle false invenzioni si nasconde qualcosa di vero; infine, perché queste teorie spingono la mente a scrutare e soppesare meglio certe verità, filosofiche o teologiche. – Ma se i nostri filosofi e teologi si sforzassero di raccogliere solo tali frutti da queste dottrine, dopo un cauto esame, non ci sarebbe motivo per l’intervento del Magistero della Chiesa. Tuttavia, anche se abbiamo constatato che i dottori cattolici in generale stanno in guardia contro questi errori, è assodato che non mancano, oggi come nei tempi apostolici, coloro che, nel loro estremo zelo per le novità e anche nel timore di essere ritenuti ignoranti su quelle questioni che la scienza di un’epoca progredita ha introdotto, si sforzano di allontanarsi dalla temperanza del sacro Magistero; e così vengono coinvolti nel pericolo di allontanarsi gradualmente e impercettibilmente dalla verità rivelata da Dio, e di condurre altri nell’errore insieme a loro stessi. – In realtà, si osserva anche un altro pericolo, più grave, perché più nascosto sotto l’apparenza della virtù. Ci sono molti che, deplorando la discordia del genere umano e la confusione delle menti, e spinti da un imprudente zelo per le anime, sono mossi da una sorta di impulso ed ardono di un veemente desiderio di abbattere le barriere da cui gli uomini buoni e onesti sono reciprocamente separati, abbracciando un tale irenismo che, dimenticando le questioni che separano gli uomini, non solo cercano di confutare l’ateismo distruttivo con la forza comune, ma persino di riconciliare le idee opposte in materia dogmatica.
3880. E come un tempo c’era chi si chiedeva se lo studio tradizionale dell’apologetica costituisse un ostacolo piuttosto che un aiuto alla conquista delle anime per Cristo, così oggi non manca chi osa procedere fino a sollevare seriamente la questione se la teologia e il suo metodo, come fioriscono nelle scuole con l’approvazione dell’Autorità ecclesiastica, debbano non solo essere perfezionati, ma addirittura riformati del tutto, in modo da propagare più efficacemente il regno di Cristo in tutta la terra, tra uomini di ogni cultura e di ogni opinione religiosa. Se questi uomini non mirassero ad altro che ad un migliore adattamento della scienza ecclesiastica e del suo metodo alle condizioni e alle esigenze attuali, introducendo una sorta di nuovo piano, ci sarebbe poco da temere; Ma, con un irenismo imprudente, alcuni sembrano considerare come ostacoli alla restaurazione dell’unità fraterna le questioni che poggiano sulle stesse leggi e principi dati da Cristo e sulle istituzioni da Lui fondate, o che siano i baluardi ed i pilastri dell’integrità della fede, dal cui crollo tutte le cose sono unite, certo, ma solo in rovina. . . .
3881. [Dz 2309] Per quanto riguarda la teologia, alcuni propongono di diminuire il più possibile il significato dei dogmi, e di liberare il dogma stesso dal modo di parlare a lungo accettato nella Chiesa, e dalle nozioni filosofiche che sono comuni tra i maestri cattolici; in modo che nella spiegazione della dottrina cattolica ci sia un ritorno al modo di parlare della Sacra Scrittura e dei Santi Padri. Essi sperano che arrivi il momento in cui il dogma, spogliato degli elementi che, secondo loro, siano estranei alla rivelazione divina, possa essere confrontato proficuamente con le opinioni dogmatiche di coloro che sono separati dall’unità della Chiesa; in questo modo si raggiungerà gradualmente una reciproca assimilazione tra il dogma cattolico ed i principi dei dissidenti.
3882. [Dz 2310] Inoltre, quando la dottrina cattolica è stata ridotta a questa condizione, pensano che sia aperta la strada per soddisfare le esigenze attuali, esprimendo il dogma nei termini della filosofia contemporanea, sia dell'”immanenza” o dell'”idealismo” o dell'”esistenzialismo” o di qualsiasi altro sistema. Alcune persone più audaci sostengono che ciò possa e debba essere fatto per questo motivo, perché sostengono che i misteri della fede non possano mai essere espressi da nozioni adeguatamente vere, ma solo da nozioni cosiddette “approssimative”, sempre mutevoli, con le quali la verità sia indicata in una certa misura, ma sia anche necessariamente deformata. Perciò pensano che non sia assurdo, ma del tutto necessario che la teologia, al posto delle varie filosofie di cui si è servita come strumenti nel corso del tempo, sostituisca nuove nozioni a quelle vecchie, in modo da rendere in modi diversi, e anche in qualche misura opposti, ma con lo stesso valore, come dicono, le stesse verità divine in modo umano. Aggiungono anche che la storia dei dogmi consiste nel presentare le varie forme successive con cui la verità rivelata si siarivestita, secondo le diverse dottrine e opinioni sorte nel corso dei secoli.
3883. [Dz 231] Ma è chiaro da quanto abbiamo detto che tali sforzi non solo conducano al “relativismo” dogmatico, come viene chiamato, ma di fatto lo contengano; infatti, il disprezzo per la dottrina così come viene comunemente tramandata e per la fraseologia con cui la stessa viene espressa, lo dimostrano più che sufficientemente. Non c’è nessuno che non veda che la fraseologia di tali nozioni, non solo come impiegata nelle scuole ma anche dal Magistero della Chiesa stessa, possa essere perfezionata e lucidata; e, inoltre, si nota che la Chiesa non sia stata sempre costante nell’impiegare le stesse parole. È anche evidente che la Chiesa non possa essere vincolata a nessun sistema filosofico che fiorisca per un breve periodo di tempo; infatti, ciò che è stato messo a punto nel corso di molti secoli dal consenso comune dei Maestri cattolici, al fine di raggiungere una certa comprensione del dogma, senza dubbio non poggia su un fondamento così deperibile. Piuttosto si basano su principi e nozioni derivati da una vera conoscenza delle cose create; e sicuramente nel derivare questa conoscenza, la verità divinamente rivelata abbia illuminato la mente come una stella attraverso la Chiesa. Non c’è quindi da meravigliarsi se alcune di queste nozioni siano state non solo impiegate dai Concili Ecumenici, ma anche sancite a tal punto che non sia giusto discostarsene.
[Dz 2312] Pertanto, trascurare, o respingere, o privare del loro valore tante grandi cose, che in molti casi siano state concepite, espresse e perfezionate dopo un lungo lavoro, da uomini di ingegno e santità non comuni, sotto l’occhio vigile del santo Magistero, e non senza la luce e la guida dello Spirito Santo per esprimere sempre più accuratamente le verità di fede, per cui al loro posto si possono sostituire nozioni congetturali e certe espressioni instabili e vaghe di una nuova filosofia, che come un fiore di campo esiste oggi e morirà domani, non solo è la massima imprudenza, ma rende il dogma stesso come una canna scossa dal vento. Inoltre, il disprezzo per le parole e le idee che i teologi scolastici usano abitualmente, tende ad indebolire la cosiddetta filosofia speculativa, che essi ritengono priva di vera certezza, poiché poggia su un ragionamento teologico.
3884. [Dz 2313] Certamente è deplorevole che coloro che sono avidi di novità passino facilmente dal disprezzo per la teologia scolastica alla negligenza e persino alla mancanza di rispetto per il Magistero della Chiesa, che sostiene tale teologia con la sua autorità. Infatti, questo Magistero è considerato da loro come un ostacolo al progresso ed alla scienza; anzi, da alcuni non Cattolici è visto come un’ingiusta costrizione che impedisce ad alcuni dotti teologi di perseguire la loro scienza. E, sebbene questo sacro Magistero, in materia di fede e di morale, debba essere la norma di fede prossima e universale per qualsiasi teologo, in quanto Cristo Signore gli ha affidato l’intero deposito della fede, cioè le Sacre Scritture e la “tradizione” divina, perché lo custodisca, lo conservi e lo interpreti; eppure il suo ufficio, in base al quale i fedeli sono tenuti a fuggire gli errori che tendono più o meno all’eresia, e così pure “ad osservare le sue costituzioni e i suoi decreti, con i quali tali opinioni perverse sono proscritte e proibite”, viene talvolta ignorato come se non esistesse. Vi sono alcuni che trascurano costantemente di consultare quanto esposto nelle Lettere Encicliche dei Romani Pontefici sul carattere e la costituzione della Chiesa, per il motivo che prevale una certa nozione vaga tratta dagli antichi Padri, soprattutto greci. I Papi, infatti, come ripetutamente affermano, non vogliono giudicare le questioni che sono oggetto di controversia tra i teologi, per cui è necessario un ritorno alle fonti antiche, e le costituzioni e di decreti più recenti del Magistero devono essere spiegati dagli scritti degli antichi. – Anche se queste cose sembrano essere state dette con saggezza, tuttavia non sono prive di errori. È vero che, in generale, i Pontefici concedono libertà ai teologi in quelle questioni che sono contestate con opinioni diverse, ma la storia insegna che molte cose, che prima erano soggette a libera discussione, in seguito non possono più essere discusse.
3885. Non si deve pensare che quanto stabilito nelle Lettere Encicliche non richieda di per sé un assenso, perché in questo i Papi non esercitano il potere supremo del loro Magistero. Infatti, questi argomenti sono insegnati dal Magistero ordinario, a proposito del quale è pertinente quanto segue: “Chi ascolta voi, ascolta me”. (Lc X,16); e di solito ciò che viene esposto ed inculcato nelle Lettere Encicliche, appartiene già alla dottrina cattolica. Ma se i Sommi Pontefici nei loro atti, dopo la dovuta considerazione, esprimono un parere su una questione finora controversa, è chiaro a tutti che tale questione, secondo la mente e la volontà degli stessi Pontefici, non possa più essere considerata una questione di libera discussione tra i teologi.
3886. [Dz 2314] È anche vero che i teologi devono sempre ricorrere alle fonti della rivelazione divina; infatti è loro dovere indicare come ciò che venga insegnato dal Magistero vivente si trovi, esplicitamente o implicitamente, nella Sacra Scrittura e nella “tradizione” divina. Inoltre, entrambe le fonti della dottrina, divinamente rivelate, contengono così tanti e così grandi tesori di verità che di fatto non siano mai esauriti. Pertanto, le discipline sacre rimangono sempre vigorose grazie allo studio delle fonti sacre, mentre, al contrario, la speculazione, che trascura l’approfondimento del deposito sacro, come sappiamo per esperienza, diventa sterile. Ma per questo motivo anche la teologia positiva, come viene chiamata, non può essere messa sullo stesso piano della scienza meramente storica. Infatti, insieme a queste fonti sacre, Dio ha dato un Magistero vivo alla sua Chiesa, per illuminare e chiarire ciò che è contenuto nei depositi della fede in modo oscuro ed implicito. Infatti, il divino Redentore ha affidato questo deposito non ai singoli Cristiani, né ai teologi perché lo interpretino autenticamente, ma al solo Magistero della Chiesa. Inoltre, se la Chiesa esercita questo suo dovere, come è stato fatto più e più volte nel corso dei secoli, sia con l’esercizio ordinario che con quello straordinario di questa funzione, è chiaro che il metodo per cui le cose chiare vengano spiegate da quelle oscure sia del tutto falso; ma piuttosto tutto dovrebbe seguire l’ordine opposto. Perciò il Nostro predecessore di immortale memoria, Pio IX, insegnando che la funzione più nobile della teologia sia quella di mostrare come una dottrina definita dalla Chiesa sia contenuta nelle fonti, aggiunse queste parole, non senza una grave ragione: “Per quel senso stesso con cui è definita”. . . .
3887. [Dz 2315] Ma per tornare alle nuove opinioni di cui abbiamo parlato sopra, molte cose vengono proposte o inculcate nella mente (dei fedeli) a scapito dell’autorità divina della Sacra Scrittura. Alcuni travisano audacemente il significato della definizione del Concilio Vaticano, riguardo a Dio come autore della Sacra Scrittura; e fanno rivivere l’opinione, più volte smentita, secondo cui l’immunità delle Sacre Scritture dall’errore si estende solo a quelle questioni che vengono tramandate riguardo a Dio ed a temi morali e religiosi. Inoltre, parlano falsamente del senso umano dei Libri Sacri, sotto il quale si nasconde il senso divino, che essi dichiarano essere l’unico infallibile. Nell’interpretazione della Sacra Scrittura vogliono che non si tenga conto dell’analogia della fede e della “tradizione” della Chiesa, in modo che l’insegnamento dei santi Padri e del santo Magistero sia riferito, per così dire, alla norma della Sacra Scrittura spiegata da esegeti in modo meramente umano, piuttosto che la Sacra Scrittura sia interpretata secondo la mente della Chiesa, che è stata istituita da Cristo Signore come custode ed interprete dell’intero deposito della verità rivelata da Dio.
3888. [Dz 2316] Inoltre, il senso letterale della Sacra Scrittura e la sua esposizione, così come sono stati elaborati da tanti grandi esegeti sotto l’occhio vigile della Chiesa, secondo le loro false opinioni, dovrebbero cedere alla nuova esegesi che essi chiamano simbolica e spirituale; con la quale i Libri Sacri dell’Antico Testamento, che oggi sono come una fonte chiusa nella Chiesa, potrebbero essere aperti a tutti. Essi dichiarano che con questo metodo spariscono tutte le difficoltà, da cui sono incatenati solo coloro che si aggrappano al senso letterale della Scrittura.
3899. Certamente, tutti vedranno quanto tutto ciò sia estraneo ai principii ed alle norme di interpretazione giustamente stabiliti dai Nostri predecessori di felice memoria: Leone XIII nella Lettera Enciclica “Providentissimus“, Benedetto XV nella Lettera Enciclica “Spiritus Paraclitus” e anche da Noi nella Lettera Enciclica “Divino afflante Spiritu“.
3890. [Dz 2317] E non è strano che tali innovazioni, per quanto riguarda quasi tutti i rami della teologia, abbiano già prodotto frutti velenosi. Si dubita che la ragione umana, senza l’aiuto della “rivelazione” divina e della grazia divina, possa dimostrare l’esistenza di un Dio personale con argomenti dedotti dalle cose create; si nega che il mondo abbia avuto un inizio e si contesta che la creazione del mondo sia stata necessaria, poiché procede dalla necessaria liberalità dell’amore divino; si nega a Dio anche la prescienza eterna e infallibile delle azioni libere degli uomini; tutto ciò, in effetti, si oppone alle dichiarazioni del Concilio Vaticano.
3891. [Dz 2318] Alcuni si chiedono anche se gli Angeli siano creature personali e se la materia differisca essenzialmente dallo spirito. Altri distruggono la vera “gratuità” dell’ordine soprannaturale, poiché pensano che Dio non possa produrre esseri dotati di intelletto senza ordinarli e chiamarli alla visione beatifica. Non solo: viene pervertita la nozione di peccato originale, senza tener conto delle definizioni del Concilio di Trento, e allo stesso tempo la nozione di peccato in generale come offesa a Dio, ed anche il concetto di soddisfazione fatta da Cristo per noi. E c’è chi sostiene che la dottrina della transustanziazione, in quanto fondata su un’antiquata presenza filosofica di Cristo nella Santissima Eucaristia, si riduca ad una sorta di simbolismo, per cui le specie consacrate non siano altro che segni efficaci della presenza spirituale di Cristo e della sua intima unione con le membra fedeli nel Corpo mistico.
[Dz 2319] Alcuni pensano di non essere vincolati dalla dottrina proposta qualche anno fa nella Nostra Lettera Enciclica, relativa alle fonti della “rivelazione“, che insegna che il Corpo mistico di Cristo e la Chiesa siano una cosa sola. Alcuni riducono a qualsiasi formula vuota la necessità di appartenere alla vera Chiesa per ottenere la salvezza eterna. Altri, infine, ledono la natura ragionevole della “credibilità” della fede cristiana.
3892. [Dz 2320] È ben noto quanto la Chiesa apprezzi la ragione umana, in ciò che riguarda la dimostrazione definitiva dell’esistenza di un unico Dio personale; ed anche la prova irrefutabile dei segni divini sui fondamenti della stessa fede cristiana; ed, allo stesso modo, l’espressione corretta della legge che il Creatore abbia posto nelle anime degli uomini; e infine, il raggiungimento di una certa comprensione, e di una comprensione molto fruttuosa, dei misteri. Ma la ragione sarà in grado di svolgere questa funzione solo quando sarà stata addestrata nel modo richiesto, cioè quando si sarà imbevuta di quella sana filosofia che si è a lungo distinta come patrimonio tramandato dalle prime epoche cristiane, e che possiede quindi un’autorità di ordine ancora più elevato, perché il Magistero della Chiesa ha soppesato attentamente i suoi principii e le sue affermazioni principali, che sono stati gradualmente chiariti e definiti da uomini di grande ingegno, alla prova della stessa “rivelazione” divina. Infatti, questa filosofia, riconosciuta e accettata all’interno della Chiesa, protegge il valore vero e sincero della comprensione umana, ed i principii metafisici costanti – cioè la ragione sufficiente, la causalità e la finalità – ed, infine, l’acquisizione di una verità certa e immutabile.
3893. [Dz 2321] Certo, in questa filosofia si trattano molte cose che non riguardano né direttamente né indirettamente la fede e la morale e che, pertanto, la Chiesa affida alla libera discussione dei dotti; ma per quanto riguarda altre questioni, in particolare i principii e le affermazioni principali che abbiamo menzionato sopra, la stessa libertà non è concessa. In tali questioni essenziali, si può sì rivestire la filosofia con un abito più adatto e più ricco, fortificarla con parole più efficaci, liberarla da certi sostegni di studiosi che non sono adatti, e anche arricchirla cautamente con certi elementi sani dello studio umano progressivo; ma non è mai giusto sovvertirla, o contaminarla con principi falsi, o considerarla un grande ma obsoleto monumento. Perché la verità e la sua dichiarazione filosofica non possono essere cambiate di giorno in giorno, soprattutto quando si tratta di principii noti alla mente umana in sé, o di quelle opinioni che poggiano sia sulla saggezza dei secoli, sia sul consenso e sul sostegno della rivelazione divina. Qualunque verità che la mente umana, nella sua onesta ricerca, sarà in grado di scoprire, non potrà certo opporsi a verità già acquisite, poiché Dio, la Verità suprema, ha creato e dirige l’intelletto umano non perché possa opporre quotidianamente nuove verità a quelle giustamente acquisite, ma perché, rimuovendo gli errori che eventualmente si siano insinuati, possa costruire verità su verità nello stesso ordine e nella stessa struttura con cui si percepisce essere stata costituita la natura stessa delle cose, da cui la verità è tratta. Perciò il Cristiano, sia esso filosofo o teologo, non adotta frettolosamente e facilmente ogni novità che gli venga in mente di giorno in giorno, ma con la massima attenzione la mette nella bilancia della giustizia e la soppesa, per non perdere o corrompere la verità già acquisita, con grave pericolo e danno per la fede stessa.
3894. [Dz 2322] Se si esaminano a fondo questi argomenti, sarà evidente perché la Chiesa esiga che i futuri Sacerdoti siano istruiti nelle discipline filosofiche “secondo il modo, la dottrina ed i principi del Dottore Angelico”, poiché sa bene, per esperienza di molti secoli, che il metodo ed il sistema dell’Aquinate, sia per la formazione dei principianti che per l’indagine della verità nascosta, spiccano con particolare evidenza; inoltre, che la sua dottrina è in armonia, come in una sorta di sinfonia, con la “rivelazione” divina, ed è efficacissima per gettare basi sicure della fede, ed anche per raccogliere in modo utile e sicuro i frutti di un sano progresso.
[Dz 2323] Per questo motivo è estremamente deplorevole che la filosofia accettata e riconosciuta all’interno della Chiesa sia oggi disprezzata da alcuni, tanto da essere impudentemente rinnegata come antiquata nella forma e razionalistica, come dicono, nel suo processo di pensiero. Infatti, essi insistono sul fatto che questa nostra filosofia difenda la falsa opinione che possa esistere una metafisica assolutamente vera, mentre, d’altra parte, affermano che le cose, soprattutto il trascendente, non possano essere espresse in modo più adeguato che con dottrine diverse, che si completano a vicenda, anche se, in un certo senso, si oppongono l’una all’altra. Quindi, ammettono che la filosofia delle nostre scuole, con la sua chiara descrizione e soluzione delle questioni, con la sua accurata demarcazione delle nozioni e le sue chiare distinzioni, possa sì essere utile per una formazione alla teologia scolastica, ben adattata alle menti degli uomini del Medioevo, ma non offra un sistema di filosofare che corrisponda alla nostra cultura moderna ed alle sue esigenze. Poi sollevano l’obiezione che una filosofia immutabile non sia altro che una filosofia delle essenze immutabili, mentre la mente moderna debba guardare all'”esistenza” dei singoli oggetti ed alla vita, che è sempre in movimento. Mentre disprezzano questa filosofia, ne esaltano altre, antiche o moderne, dei popoli d’Oriente o d’Occidente, tanto che sembrano insinuare che qualsiasi filosofia o credenza, con alcune aggiunte, se necessario, come correzioni od integrazioni, possa essere conciliata con il dogma cattolico. Nessun Cattolico può dubitare che ciò sia del tutto falso, tanto più che si tratta di quelle finzioni che chiamano “immanenza”, o “idealismo”, o “materialismo”, sia storico che dialettico, o anche “esistenzialismo”, sia che professino l’ateismo, o almeno che rifiutino il valore del ragionamento metafisico.
[Dz 2324] E, infine, trovano questo difetto nella filosofia tradizionale delle nostre Scuole, cioè che nel processo di cognizione si occupi solo dell’intelletto e trascuri la funzione della volontà e degli affetti della mente. Questo non è certamente vero. Infatti, la filosofia cristiana non ha mai negato l’utilità e l’efficacia delle buone disposizioni di tutta la mente per comprendere e abbracciare pienamente le verità religiose e morali; al contrario, ha sempre insegnato che la mancanza di tali disposizioni possa essere la causa del fatto che l’intelletto sia affetto da desideri disordinati e da una volontà malvagia, e che sia così oscurato da non vedere bene. D’altra parte, il Dottore comune ritiene che l’intelletto possa in qualche modo percepire i beni superiori che appartengono all’ordine morale, siano essi naturali o soprannaturali, poiché sperimenta nella mente una sorta di “relazione” appassionata con questi beni, siano essi naturali o aggiunti dal dono della grazia; ed è evidente quanto anche una comprensione così oscura possa essere un aiuto alle indagini della ragione. Tuttavia, una cosa è riconoscere la forza della volontà per la disposizione degli affetti nell’aiutare la ragione ad acquisire una comprensione più certa e più solida delle questioni morali; ma questi innovatori fanno una pretesa diversa, cioè assegnano alle facoltà di desiderare e bramare una sorta di intuizione, e che l’uomo, quando non possa, attraverso il processo della ragione decidere con certezza ciò che debba essere accettato come vero, si rivolge alla volontà, con la quale decide liberamente e sceglie tra opinioni opposte, confondendo così stupidamente l’atto della cognizione e della volontà.
[Dz 2325] Non è strano che a causa di queste nuove opinioni siano in pericolo due branche della filosofia, che per loro natura sono strettamente connesse con la dottrina della fede, cioè la teodicea e l’etica. Alcuni ritengono infatti che la funzione di queste discipline non sia quella di dimostrare qualcosa di certo su Dio o su qualsiasi altro essere trascendentale, ma piuttosto di mostrare che ciò che la fede insegni su un Dio personale e sui suoi precetti sia in perfetta armonia con le esigenze della vita, e quindi dovrebbe essere abbracciato da tutti, in modo da evitare la disperazione e raggiungere la salvezza eterna. Poiché tutte queste opinioni si oppongono apertamente agli insegnamenti dei Nostri predecessori, Leone XIII e Pio X, non possono essere conciliate con i decreti del Concilio Vaticano. Certo, sarebbe superfluo deplorare questi allontanamenti dalla verità, se tutti, anche in materia filosofica, accettassero con la dovuta riverenza il Magistero della Chiesa, il cui compito è certamente non solo quello di custodire ed interpretare il deposito della verità rivelato da Dio, ma anche di vigilare su queste discipline filosofiche, affinché il dogma cattolico non subisca alcun danno da opinioni errate.
3895. [Dz 2326] Ci resta da dire qualcosa sulle questioni che, pur avendo a che fare con le discipline abitualmente chiamate “positive”, siano più o meno legate alle verità della fede cristiana. Non pochi chiedono con insistenza che la Religione Cattolica tenga il più possibile conto di queste discipline. Certamente ciò è lodevole quando si tratta di fatti effettivamente provati, ma bisogna essere cauti quando la questione riguarda “ipotesi“, anche se in qualche modo basate sulla conoscenza umana, nelle quali ipotesi si discute di dottrine contenute nelle Sacre Scritture o nella “tradizione“. Quando tali opinioni congetturali si oppongano direttamente o indirettamente alla dottrina rivelata da Dio, allora la loro richiesta non può essere ammessa in alcun modo.
3896. [Dz 2327] Pertanto, il Magistero della Chiesa non vieta che l’insegnamento dell'”evoluzione” sia trattato in accordo con lo stato attuale delle discipline umane e della teologia, mediante indagini e dispute da parte di uomini dotti in entrambi i campi; nella misura in cui, naturalmente, l’indagine riguarda l’origine del corpo umano derivante da materia già esistente e vivente; ed in modo tale che i ragionamenti di entrambe le teorie, cioè di coloro che sono a favore e di coloro che sono contrari, siano soppesati e giudicati con la dovuta serietà, moderazione e temperanza; e purché tutti siano pronti a cedere al giudizio della Chiesa, alla quale Cristo ha affidato il compito di interpretare autenticamente le Sacre Scritture e di conservare i dogmi della fede. Tuttavia, alcuni con audacia trasgrediscono questa libertà di discussione, agendo come se l’origine del corpo umano da materia vivente già esistente fosse già certa e dimostrata da alcuni indizi già scoperti e dedotti con il ragionamento, e come se non ci fosse nulla nelle fonti della rivelazione divina che richieda la massima moderazione e cautela in questo pensiero.
3897. [Dz 2328] Quando si tratta di un’altra opinione congetturale, cioè del cosiddetto poligenismo, allora i figli della Chiesa non godono affatto di tale libertà. I fedeli in Cristo, infatti, non possono accettare questa opinione, secondo la quale o dopo Adamo siano esistiti uomini su questa terra, che non hanno ricevuto la loro origine per generazione naturale da lui, primo genitore di tutti, o che Adamo significhi una sorta di moltitudine di primi genitori; perché non è affatto evidente come una tale opinione possa essere conciliata con ciò che le fonti della verità rivelata e gli atti del Magistero della Chiesa insegnino a proposito del peccato originale, che deriva da un peccato realmente commesso da un solo Adamo, e che si trasmetta a tutti per generazione, ed esistea in ciascuno come proprio.
3898. [Dz 2329] Come nelle scienze biologiche e antropologiche, così anche in quelle storiche c’è chi trasgredisce audacemente i limiti e le precauzioni stabilite dalla Chiesa. E, in particolare, deploriamo un certo modo del tutto troppo liberale di interpretare i libri storici dell’Antico Testamento, i cui sostenitori difendono la loro causa facendo riferimento, senza alcuna giustificazione, ad una lettera data non molto tempo fa dal Pontificio Consiglio per gli Affari Biblici all’Arcivescovo di Parigi. Questa Lettera avverte chiaramente che gli undici primi capitoli della Genesi, sebbene non siano propriamente conformi ai metodi di composizione storica che gli illustri scrittori greci e latini di eventi passati, o i dotti della nostra epoca hanno usato, tuttavia in un certo senso, che deve essere esaminato e determinato in modo più completo dagli esegeti, sono veramente una sorta di storia; e che gli stessi capitoli, con un linguaggio semplice e figurato adatto alla mentalità di un popolo di scarsa cultura, raccontino sia le principali verità da cui dipende il raggiungimento della nostra salvezza eterna, sia la descrizione popolare dell’origine del genere umano e del popolo eletto. Ma se gli antichi scrittori sacri hanno tratto qualcosa dalle narrazioni popolari (cosa che si può ammettere), non bisogna mai dimenticare che lo hanno fatto assistiti dall’impulso dell’ispirazione divina, che li ha preservati da ogni errore nella selezione e nel giudizio di quei documenti.
3899. [Dz 2330] Inoltre, questi argomenti che sono stati accolti nella Letteratura Sacra dalle narrazioni popolari non sono assolutamente da identificare con mitologie o altre cose del genere, che procedano da un’immaginazione indebita piuttosto che da quello zelo per la verità e la semplicità che risplende così tanto nei Libri Sacri dell’Antico Testamento che i nostri scrittori sacri devono evidentemente essere considerati superiori agli antichi scrittori profani.
Costituzione apostolica “Munificentissimus Deus“, 1° novembre 1950.
Definizione dell’Assunzione di Maria in cielo.
3900. Tutte queste argomentazioni e considerazioni dei santi Padri e dei teologi poggiano sulla Scrittura come loro ultimo fondamento; la Scrittura infatti ci mostra in qualche modo l’augusta Madre di Dio molto intimamente unita al suo Figlio divino e sempre partecipe della sua sorte. Sembra quindi impossibile vedere Colei che ha concepito Cristo, l’ha partorito, l’ha nutrito con il suo latte, l’ha tenuto in braccio e l’ha stretto al suo seno, separarsi da Lui dopo questa vita terrena, se non nell’anima, almeno nel corpo. Poiché il nostro Redentore è il Figlio di Maria, Egli, così perfettamente sottomesso alla Legge divina, non poteva non rendere onore non solo all’eterno Padre ma anche alla sua amata Madre. Potendo quindi farle questo grande onore di preservarla dalla corruzione della morte, dobbiamo credere che l’abbia fatto davvero.
3901. Soprattutto, bisogna ricordare che, fin dal secondo secolo, la Vergine Maria sia stata presentata dai santi Padri come la nuova Eva, soggetta senza dubbio al secondo Adamo, ma intimamente unita a Lui, nella lotta contro il nemico infernale, lotta che, come prefigurato nel Vangelo (Gn III,15), doveva portare alla vittoria totale sul peccato e sulla morte, sempre uniti insieme negli scritti dell’Apostolo delle genti (Rm V-6; 1 Cor XV,21-26 1 Cor XV,54-57). – Di conseguenza, come la gloriosa risurrezione di Cristo era parte essenziale ed ultimo trofeo di questa vittoria, così era necessario che il combattimento condotto dalla Vergine Maria unita al Figlio terminasse con la “glorificazione” del suo corpo verginale; lo stesso Apostolo non dice forse: “Quando… questo corpo mortale avrà indossato l’immortalità, allora si compirà la parola della Scrittura: la morte è stata inghiottita nella vittoria” (1 Cor 15,54).
3902. Per questo l’augusta Madre di Dio, … unita da tutta l’eternità a Gesù Cristo in modo misterioso “in un unico e medesimo decreto” di predestinazione Immacolata nel suo concepimento, … Vergine purissima nella sua Maternità divina, … . generosa compagna del divino Redentore che ha ottenuto un trionfo totale sul peccato e sulle sue conseguenze, ottenendo infine, come supremo coronamento dei suoi privilegi, di essere preservata dalla corruzione del sepolcro e, come suo Figlio, avendo vinto la morte, di essere innalzata in anima e corpo alla gloria nell’alto dei cieli, per risplendere lì come una Regina alla destra di suo Figlio, l’immortale Re dei secoli (1Tm 1,17) .
3903 .. Per la gloria di Dio onnipotente, che ha fatto piovere sulla Vergine Maria la generosità di una benevolenza specialissima, per l’onore del suo Figlio, immortale Re dei secoli e vincitore del peccato e della morte, per la maggior gloria della sua augusta Madre e per la gioia e l’esultanza di tutta la Chiesa, per l’autorità di nostro Signore Gesù Cristo, dei beati Apostoli Pietro e Paolo e per la nostra propria autorità, Noi affermiamo, dichiariamo e definiamo come un dogma divinamente rivelato che : l’Immacolata Madre di Dio, Maria sempre vergine, dopo aver completato il corso della sua vita terrena, è stata elevata in anima e corpo alla gloria celeste.
3904. Pertanto, se qualcuno, Dio non voglia, osi deliberatamente dubitare di ciò che sia stato da Noi definito, sappia che ha totalmente abbandonato la fede divina e cattolica.
Enciclica “Sempiternus Rex“, 8 settembre 1951.
L’umanità di Cristo.
3905. Sebbene non vi sia alcuna ragione per cui l’umanità di Cristo non debba essere approfondita – anche secondo i principii e i metodi della psicologia – vi sono tuttavia alcuni che, in una delicata ricerca di questo tipo, abbandonano più del ragionevole ciò che sia vecchio per costruire ciò che sia nuovo, e che abusano dell’autorità e della definizione del Concilio di Calcedonia per sostenere ciò che hanno concepito. Essi enfatizzano a tal punto lo stato e la condizione della natura umana di Cristo da farla sembrare un soggetto sui juris, come se non sussistesse nella persona del Verbo stesso. Ma il Concilio di Calcedonia, in pieno accordo con il Concilio di Efeso, afferma chiaramente che l’una e l’altra natura del nostro Redentore sono unite “in una sola Persona e sussistenza”, e vieta di ammettere due individui in Cristo, in modo che accanto al Verbo sia posto un homo assumptus che gode di completa autonomia.
Monitum del Sant’Uffizio, 30 giugno 1952.
Rapporti sessuali che evitano l’orgasmo.
3907. È con viva preoccupazione che la Sede Apostolica constata che un certo numero di autori, trattando della vita matrimoniale, siano arrivati qua e là a trattarla pubblicamente e senza pudore fino ai dettagli, e che alcuni addirittura descrivano, approvino e consiglino un certo atto chiamato “abbraccio riservato”. In una materia così importante, che riguarda la santità del Matrimonio e la salvezza delle anime,… la Congregazione del Sant’Uffizio, per non venir meno al suo dovere e per espresso mandato… di Pio XII, ammonisce severamente tutti gli autori a rinunciare a questo modo di fare… Quanto ai Sacerdoti, nel ministero delle anime e nella guida delle coscienze, non si avventurino mai, né di propria iniziativa né interrogati, a parlare in modo da far intendere che non ci sia nulla da obiettare da parte della legge cristiana all'”abbraccio riservato”.
Enciclica “Fulgens corona“, 8 settembre 1953.
La redenzione di Maria.
3908. Se consideriamo l’amore ardentissimo e soave che Dio ha indubbiamente avuto per la Madre del suo unico Figlio, come possiamo anche solo immaginare che Ella sia stata, anche solo per un momento, soggetta al peccato e priva della grazia divina? Dio poteva certamente, in considerazione dei meriti del Redentore, farle dono di un privilegio così eccezionale; non possiamo nemmeno immaginare che non l’abbia fatto. Era infatti opportuno che la Madre del Redentore fosse il più possibile degna di Lui; ma non lo sarebbe stata se la macchia del peccato l’avesse raggiunta, anche solo nel primo momento del suo concepimento, sottoponendola così all’esecrabile dominio di satana.
3909. Né si può dire che per tutto ciò la Redenzione sarebbe diminuita, come se non si estendesse più a tutti i discendenti di Adamo, e che persino qualcosa sarebbe sottratto all’opera ed alla dignità del Redentore stesso. In realtà, se consideriamo la questione in modo approfondito e attento, possiamo facilmente vedere che Cristo, il Signore, ha realmente redento sua Madre nel modo più perfetto, anche se, in considerazione dei suoi meriti, era stata preservata intatta da Dio da ogni macchia ereditaria di peccato. Ecco perché l’infinita dignità di Gesù Cristo e la sua opera di redenzione universale non vengono né sminuite né attenuate da questo capitolo della dottrina, ma anzi esaltate al massimo grado.
3910. Non c’è quindi motivo che molti acattolici e innovatori accusino o riprovino la nostra devozione alla Vergine Madre di Dio, come se sottraessimo qualcosa al culto dovuto all’unico Dio e a Gesù Cristo; mentre, al contrario, ogni onore e venerazione accordati alla nostra Madre celeste accresce senza dubbio la gloria del suo Figlio divino, non solo perché da lui scaturiscono, come da una prima fonte, tutte le grazie e i doni, ma anche perché “la gloria dei figli è dei padri” (Pr XVII,6).
Enciclica “Ad caeli Reginam“, 11 ottobre 1954.
La dignità regale di Maria.
3913. La ragione principale della dignità regale di Maria è senza dubbio la sua divina Maternità. Quando nelle Scritture leggiamo del Figlio che la Vergine concepirà: “Sarà chiamato Figlio dell’Altissimo ed il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà nella casa di Giacobbe per sempre ed il suo regno non avrà fine” (Lc 1,32 s.), e che d’altra parte Maria è proclamata “Madre del Signore” (Lc 1,43), è facile vedere che Lei stessa è Regina, poiché ha dato alla luce un Figlio che fin dal suo concepimento, a causa dell’unione ipostatica della natura umana con il Verbo, era come uomo anche Re e Signore di tutte le cose. San Giovanni Damasceno poteva quindi giustamente scrivere: “Ella è diventata veramente la Sovrana di ogni creatura, poiché è diventata la Madre del Creatore”; e allo stesso modo si può affermare che il primo ad annunciare con bocca celeste la dignità regale di Maria fu proprio l’Arcangelo Gabriele.
3914. Tuttavia, non è solo per la sua divina Maternità che la Beata Vergine Maria deve essere chiamata Regina, ma anche perché per volontà di Dio ha avuto una partecipazione eccezionale all’opera della nostra salvezza eterna. “Cosa c’è di più delizioso e dolce per i nostri pensieri… (che sapere) che Cristo regni su di noi non solo per diritto nativo, ma anche per diritto acquisito, cioè perché ci ha redenti?”. (cf. 3676). Ora, nel compimento di quest’opera di redenzione, la beatissima Vergine Maria fu in verità intimamente associata a Cristo… Infatti, “come Cristo, avendoci redenti, è in questo modo particolare il nostro Signore e il nostro Dio, così anche la Beata Vergine, per il modo unico in cui ha dato il suo contributo alla nostra redenzione, mettendo a disposizione ciò che è, e offrendo volontariamente (Cristo) per noi, desiderando, chiedendo e procurando la nostra salvezza in modo del tutto particolare”.
3915. Da queste considerazioni segue la seguente argomentazione: Se, nell’opera che ha procurato la salvezza spirituale, per volontà di Dio, Maria è stata associata a Gesù Cristo, il principio stesso della salvezza, e ciò in modo simile a quello in cui Eva è stata associata ad Adamo, il principio della morte, cosicché si può dire che l’opera della nostra Redenzione si è compiuta secondo una certa “ricapitolazione” in virtù della quale il genere umano, così come è stato sottoposto alla morte da una vergine, è stato parimenti salvato da una Vergine; se, inoltre, si può dire allo stesso modo che questa gloriosissima Sovrana fu scelta come Madre di Cristo proprio “per essere associata a lui nella Redenzione del genere umano”, e se veramente “fu Lei che, libera da ogni colpa personale o ereditaria, sempre strettamente unita al Figlio, lo offrì sul Golgota all’eterno Padre, insieme all’olocausto dei suoi diritti e del suo amore materno, come nuova Eva”, per tutti i figli di Adamo sfigurati dalla sciagurata caduta”, allora è possibile concludere senza alcun dubbio che, come Cristo, il nuovo Adamo, debba essere Re non solo perché è Figlio di Dio, ma anche perché è il nostro Redentore, così, in una sorta di analogia, la beatissima Vergine è Regina non solo perché è la Madre di Dio, ma anche perché è stata associata come nuova Eva al nuovo Adamo.
3916. Indubbiamente, in senso pieno e assoluto, solo Gesù Cristo, Dio e uomo, è Re; tuttavia, anche se in modo limitato e per analogia, in quanto Madre di Cristo Dio, associata all’opera del divino Redentore, alla sua lotta contro i nemici e alla vittoria che Egli ha riportato su tutti, anche Maria partecipa alla dignità regale. Grazie a questa unione con Cristo Re, ottiene uno splendore e un’eminenza che la rendono superiore all’eccellenza di tutte le cose. – Da questa congiunzione con Cristo scaturisce la facoltà regale che le dà il potere di dispensare i tesori del Regno del divino Redentore; da questa congiunzione con Cristo deriva l’inesauribile efficacia del suo patrocinio materno del Figlio e del Padre.
3917 (Questo numero ha una suddivisione)
Non c’è dunque dubbio che Maria Santissima superi in dignità tutte le realtà create, e che allo stesso modo abbia un primato su tutte dopo il suo Figlio…. … Per comprendere il grado di dignità così eminente che la Madre di Dio ottenne al di sopra di tutte le creature, è bene considerare che fin dal primo momento in cui fu concepita, la santa Madre di Dio fu ricolma di una tale abbondanza di grazie da superare la grazia di tutti i Santi. … Inoltre, la Beata Vergine non solo ottenne il grado supremo, dopo Cristo, di eccellenza e perfezione, ma anche una certa partecipazione a quell’efficacia per cui si dice giustamente che suo Figlio e nostro Redentore regni sulle menti e sulle volontà degli uomini.
Decreto del Sant’Uffizio, 2 aprile 1955.
Contraccezione.
3917 A
La Sacra Congregazione alza la voce con particolare insistenza per condannare e respingere come intrinsecamente malvagio l’uso dei pessari (IUD, diaframma) da parte delle coppie sposate nell’esercizio dei loro diritti coniugali. Inoltre, gli Ordinari non devono permettere che ai fedeli venga detto o insegnato che non si possa fare alcuna obiezione seria secondo i principi della legge cristiana se un marito collabora solo materialmente con la moglie che usi tale mezzo. I confessori ed i direttori spirituali che sostengono il contrario, e che in tal modo guidano le coscienze dei fedeli, si allontanano dai sentieri della verità e della rettitudine morale.
Istruzione del Sant’Uffizio, 2 febbraio 1956.
Morale situazionale.
3918. Contro la dottrina morale tradizionale della Chiesa Cattolica e la sua applicazione, ha cominciato a diffondersi in molte regioni, anche tra i Cattolici, un sistema di morale che viene generalmente chiamato “morale situazionale“… Gli autori che sostengono questo sistema affermano che la regola decisiva e ultima dell’azione non sia il bene oggettivo determinato dalla legge di natura e conosciuto con certezza da questa legge, ma un certo giudizio ed una certa luce interiore della mente di ogni individuo che gli fanno sapere cosa debba fare nella situazione in cui si trova. Pertanto, secondo loro, la decisione ultima dell’uomo non è l’applicazione della legge oggettiva ad un caso particolare, come insegna la morale oggettiva tramandata da eminenti autori, tenendo conto e soppesando, secondo le regole della prudenza, le condizioni particolari della “situazione“, ma direttamente questa luce interiore e questo giudizio. Questo giudizio, almeno in molti casi, per quanto riguarda la rettitudine e la verità oggettiva, in ultima analisi non deve e non può essere misurato secondo alcuna regola oggettiva stabilita al di fuori dell’uomo e indipendente dalla sua convinzione soggettiva, ma è pienamente sufficiente a se stesso.
3919. Secondo questi autori, il concetto tradizionale di “natura umana” non è sufficiente, ma è necessario ricorrere ad un concetto di natura umana “esistente” che, nella maggior parte dei casi, non ha un valore oggettivo assoluto, ma solo relativo e, di conseguenza, mutevole, con la possibile eccezione dei pochi elementi e principi relativi alla natura umana metafisica (assoluti ed immutabili). Lo stesso valore solo relativo è attribuito al concetto tradizionale di “legge naturale“. Gran parte di ciò che oggi viene presentato come postulato assoluto della legge naturale poggia, secondo la loro opinione e dottrina, sul suddetto concetto di natura esistente, e quindi non può che essere relativo e mutevole, e può sempre essere adattato a qualsiasi situazione.
3920. Questi principi, adottati e applicati, dicono ed insegnano che gli uomini, giudicando ciascuno secondo la propria coscienza ciò che deve fare nella situazione presente, non principalmente secondo leggi oggettive, ma secondo la propria intuizione personale per mezzo di questa luce individuale interna, siano preservati o facilmente liberati da molti conflitti morali che altrimenti sarebbero insolubili.
3921. Molte cose di questo sistema di “morale situazionale” sono contrarie alla verità oggettiva ed alle esigenze della sana ragione, appaiono come vestigia del relativismo e del modernismo e sono lontane dalla dottrina cattolica tramandata nei secoli (segue il divieto di sostenere questa dottrina).
Enciclica “Haurietis aquas“, 15 maggio 1956.
Venerazione del Cuore di Gesù.
3922. (È noto che) il motivo per cui la Chiesa accorda un culto di latria al Cuore del divino Redentore… sia duplice. Il primo, che vale anche per le altre sante membra del Corpo di Gesù Cristo, si basa sul principio per cui sappiamo che il suo Cuore, come parte più nobile della sua natura umana, è unito ipostaticamente alla Persona del Verbo divino; ed è per questo che dobbiamo attribuirgli lo stesso culto di adorazione con cui la Chiesa onora la Persona stessa del Figlio di Dio incarnato… . La seconda ragione che si riferisce in modo particolare al Cuore del divino Redentore e che, per un motivo altrettanto particolare, richiede che gli si renda un culto di latria, deriva dal fatto che il suo Cuore, più di ogni altro membro del suo corpo, è un segno o simbolo naturale della sua immensa carità verso il genere umano. “C’è nel Sacro Cuore… il simbolo e l’immagine espressa dell’amore infinito di Gesù Cristo, un amore che ci spinge ad amarci gli uni gli altri”. …
3923. (Cristo) ha veramente unito alla sua Persona divina una natura umana individuale, completa e perfetta, che è stata concepita nel seno purissimo della Vergine Maria per opera dello Spirito Santo. A questa natura umana unita al Verbo di Dio non mancava dunque nulla; Rgli stesso l’assunse, in verità, senza alcuna diminuzione o cambiamento, sia per quanto riguarda il corpo che per quanto riguarda lo spirito: dotato cioè di intelligenza e di volontà, e di tutte le facoltà di conoscenza interna ed esterna, delle facoltà sensitive dell’affetto e di tutte le passioni naturali. (cf. 293 ; 301 ; 355). Perciò, come non c’è dubbio alcuno che Gesù Cristo abbia assunto un vero corpo che gode di tutti i sentimenti che gli sono propri, e tra i quali l’amore supera tutti gli altri, così non c’è dubbio che sia stato dotato di un cuore fisico simile al nostro; poiché, senza questa parte eccelsa del corpo, non ci può essere vita umana, nemmeno per quanto riguarda gli affetti….
3924. È a ragione, quindi, che il Cuore del Verbo incarnato sia considerato il segno ed il simbolo principale di questo triplice amore con cui il Redentore divino ama e continua ad amare il suo Padre eterno e tutti gli uomini. È il simbolo, infatti, di quell’amore divino che Egli condivide con il Padre e lo Spirito Santo, ma che tuttavia, solo in Lui, come Verbo fatto carne, si manifesta a noi attraverso il suo corpo umano deperibile e fragile… È anche il simbolo di quell’amore ardentissimo che, riversato nella sua anima, arricchisce la volontà di Cristo, e le cui azioni sono illuminate e dirette da una duplice conoscenza perfettissima, quella benedetta e quella infusa. Infine, è anche – e questo in modo più naturale e diretto – il simbolo del suo amore sensibile, perché il corpo di Gesù Cristo, formato dallo Spirito Santo nel grembo della Vergine Maria, gode di un potere di sentire e percepire molto perfetto, più, certamente, di tutti gli altri corpi umani. …
3925. …Pertanto, da questa cosa corporea che è il Cuore di Gesù Cristo, e dal suo significato naturale, ci è permesso… di salire non solo alla contemplazione del suo amore, che è percepito dai sensi, ma, ancora più in alto, alla contemplazione ed all’adorazione del suo supremo amore infuso; e infine… alla meditazione e all’adorazione dell’amore divino del Verbo incarnato. Alla luce, dunque, della fede con cui crediamo che le due nature, umana e divina, siano unite nella Persona di Cristo, possiamo concepire gli strettissimi legami che esistono tra l’amore sensibile del Cuore fisico di Gesù e il suo doppio amore spirituale, umano e divino. Di questi amori non dobbiamo dire solo che esistano insieme nella Persona adorabile del divino Redentore, ma che siano legati da un vincolo naturale, essendo l’amore umano e sensibile subordinato all’amore divino e riflettendo in sé la somiglianza analogica di quest’ultimo. Non pretendiamo che si debba pensare che nel Cuore di Gesù si debba vedere ed adorare la cosiddetta immagine formale, cioè il segno assoluto e perfetto del suo amore divino, poiché non è possibile rappresentarne l’intima essenza in modo adeguato con alcuna immagine creata; ma i fedeli, nel rendere culto al Cuore di Gesù, adorano con la Chiesa un segno e come un memoriale dell’amore divino. … È dunque necessario, in questo capitolo della dottrina così importante e così delicato, che tutti tengano sempre presente che la verità del simbolo naturale in virtù del quale il cuore fisico di Gesù è attaccato alla Persona del Verbo, poggi interamente sulla verità fondamentale dell’unione ipostatica; se qualcuno lo nega, rinnova gli errori più volte condannati dalla Chiesa, perché contrari all’unità della Persona in Cristo e alla distinzione ed integrità delle due nature.
La maternità di Maria.
3926. …I fedeli devono avere cura di associare strettamente (la venerazione del Cuore di Gesù) al culto del Cuore Immacolato di Maria. Poiché, per volontà di Dio, la Beata Maria è stata indissolubilmente unita a Cristo nell’opera della redenzione umana, affinché la nostra salvezza derivi dall’amore di Gesù Cristo e dalle sue sofferenze intimamente unite all’amore ed alle sofferenze di sua Madre, è perfettamente opportuno che il popolo cristiano, che ha ricevuto la vita divina di Cristo per mezzo di Maria, dopo aver reso la venerazione dovuta al sacratissimo Cuore di Gesù, renda anche al Cuore amabilissimo della sua Madre celeste un analogo omaggio di pietà, amore, gratitudine e riparazione.
Decr. Del S. Officio, 8 marz. (23 mag.1957.
La Concelebrazione valida.
3928. Domanda: Più Sacerdoti concelebrano validamente il Sacrificio della Messa quando uno di loro non lo fa?
Solo uno di loro pronuncia le parole: “Questo è il mio corpo” e “Questo è il mio sangue” sul pane e sul vino, e gli altri non pronunciano le parole del Signore, ma, con la consapevolezza ed il consenso del celebrante, intendono compiere le sue parole e i suoi gesti e mostrarlo? Risposta (confermata dal Sommo Pontefice il 18 marzo): No; perché, secondo l’istituzione di Cristo, celebra validamente solo chi pronuncia le parole consacratorie.
TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (42): “INDICE DEGLI ARGOMENTI” -I.-