LO SCUDO DELLA FEDE (259)
P. Secondo FRANCO, D.C.D.G.,
Risposte popolari alle OBIEZIONI PIU’ COMUNI contro la RELIGIONE (2)
4° Ediz., ROMA coi tipi della CIVILTA’ CATTOLICA, 1864
CAPO II.
GIUSTIZIA DIVINA.
I. Che colpa hanno tanti bambini morti senza Battesimo per esser condannati all’ inferno?
II. Che colpa tanti Gentili a cui non fu predicata la fede?
III. Che colpa tanti che son nati nell’eresia?
Dopo la provvidenza divina nell’amministrare le cose di quaggiù, viene spesso intaccata la divina giustizia, quasi Dio punisse talvolta chi a loro avviso nol merita. Questa difficoltà vien mossa soprattutto rispetto alla salvezza eterna degli idolatri, degli scismatici, dei Protestanti e di quanti sono separati dalla Chiesa Vattolica. Ed a inuoverla non sono solo gli empii, i quali bestemmiano quel che.non conoscono, ma sono talvolta anche certi buoni, i quali vorrebbero qualche schiarimento per loro conforto e consolazione. – Che colpa hanno, domandasi in primo luogo, tanti Gentili per essere condannati all’inferno, se niuno finora ha loro predicato il Vangelo, oppure se i loro padri, a cui era stato predicato, l’hanno rigettato? Che colpa soprattutto può ritrovarsi nei bambini che muoiono senza Battesimo, perchè debbano essere condannati?
I. Per cominciare da quest’ultima difficoltà, essa nasce tutta dal modo, onde apprendono costoro le dottrine di santa Chiesa, rispetto ai bambini morti senza Battesimo. Or dunqùe, in che consiste la loro dannazione? Forse sono gettati in mezzo al fuoco, in mezzo ai tormenti? La santa Chiesa non ci ha mai obbligati ad ammettere una cotale dottrina, osserva il Balmes. Essa c’insegna che non saranno ammessi alla beatitudine, che consiste nella visione beatifica del Signore, ma poi è ben lontana dal sottoporli ai tormenti. Che anzi alcuni Teologi riprendono i parziali della contraria sentenza, ed insegnano invece che essi, sebbene privi della visione beatifica, pure saranno in uno stato di vita sì lieto, sì avventurato, che molto meglio per loro è l’aver l’esistenza in quel modo che non averla. – Quello che fa ad alcuni difficoltà è il sentir a dire che essi non avranno la visione beatifica, e par loro molto duro che i pargoli, incapaci come sono di peccato attuale, abbiano ad essere esclusi dalla gloria, sol perchè non fu cancellato in loro il peccato originale: ma a togliere in gran modo questa difficoltà e molte altre che sí potrebbero muovere in altri punti non dissomiglianti, giova richiamare alla mente alcune verità. Che cosa è la beatitudine eterna? Secondo la fede cattolica, essa è la visione intuitiva di Dio, la possessione beatificante di Dio. È questo uno stato naturale all’uomo? Non mai: esso è uno stato affatto soprannaturale, ai quale non si può pervenire senza un aiuto al tutto soprannatusale. Ora farebbe mai Iddio un torto ad una sua creatura, quando non l’elevasse a quello stato? Non gliel farebbe in eterno. Fa Iddio forse ma torto alle pietre, col non date loro, a cagion d’esempio, il non vivere come alle piante il sentire come dà agli animali? Certo no. Quando da ad un essere tutto quello che gli appartiene, secondo l’ordine in cui lo ha collocato, Iddio ha fatto abbastanza. Ma secondo questo ragionare, qual sarebbe la beatitudine che sarebbe conveniente all’uomo, se non fosse elevato ad uno stato soprannaturale? Sarebbe una beatitudine puramente naturale, proporzionata cioè a’ suoi sensi ed alla sua ragione, e questa sarebbe un ampio compenso di tutto quello che gli uomini avessero fatto per Iddio. Nè in ciò vi sarebbe alcuna durezza, alcuna ingiustizia, perché Iddio darebbe loro un premio proporzionato al loro merito. Un principe, a cagione di esempio, vuole premiare due suoi servi fedeli; che cosa fa? Uno il premia in modo al tutto straordinario, e perciò lo fa a sè collega nell’imperio. Un altro lo premia solo proporzionatamente ai suoi meriti, e gli dà dei feudi, delle onorificenze. Ora commette forse qualche ingiustizia verso questo secondo, a cui dà tutto quello che gli perviene, perchè a quel primo profonde doni più ampli? Niuno oserà affermarlo. Ora questo è quel che in qualche modo interviene nel nostro caso. Quelli che sono stati innalzati, mediante il Battesimo, ad uno stato soprannaturale, li premia in un modo al tutto straordinario, cioè colla sua visione beatifica: ai bambini morti senza Battesimo lascia una semplice partecipazione di beni naturali ed una naturale cognizione ed amor di Dio: Sibi (Deo) coniungentur per participationem naturalium bonorum et ita etiam de ipso gaudere poterunt naturali cognitione et dilectione 1.(1 S. Thom. in II S. D. S. 33, 9, 2 a. 2.). – Ma essi, dirà taluno, soffriranno per ciò che conosceranno di qual bene siano privi. Neppure questo, vi risponderà S. Tommaso, neppur questo ha luogo: poichè sebbene essi sapranno in genere che cosa sia beatitudine, non conosceranno punto quello che sia la beatitudine della visione beatifica: Cognoscunt quidem, beatitudinem in generali secundum communem rationem, non autem in speciali; e perciò non si dorranno della privazione di essa: Ideo de eius amissione non dolent. – Ma fino a qual punto si estenderà questa loro beatitudine? Questo è quello che nè io, nè altri vi saprà dire, poiché Dio non si compiacque di rivelarcelo. S. Tommaso, che è si cauto nel sentenziare, afferma che questi fanciulli potranno avere cognizione ed amor di Dio nell’ordine puramente naturale, e che potranno godere di questi beni che loro ha conceduto il Signore, ma non lo spiega più lungamente. Altri gravissimi Teologi, giovandosi della libertà che lascia la santa Chiesa in tal quistione, con maggiore o minore probabilità vanno discutendo qual esser possa; ed altri col Pighio, col Catarino, col Molina, col Salmerone pensano che abiteranno la terra già tutta purificata ed abbellita. Altri insegnano con S. Bonaventura, col Bellarmino, che saranno esenti da ogni dolore; altri collo Sfondrato, che meneranno vita felice e tranquilla in un naturale amore di Dio: naturali dilectione. Checché però ne sia di tutto ciò, certo è che la santa Chiesa non ci ha mai obbligati a tenere che essi provassero pene di senso. Che se è così, ché torto fa loro Iddio nel non cumularli di beni maggiori? È un bene sì fattamente gratuito la visione beatifica, che se Dio mai non lo avesse proposto ad alcuno, gli uomini, non che pretenderlo, non l’avrebbero neppur conosciuto. Qual diritto vi hanno adunque? E se non vi possono aver diritto, che torto fa loro Iddio quando loro lo dinega? Fingete che un principe avesse conceduto ad un povero popolano di desinare nel suo palazzo, avrebbe questi buon garbo a lagnarsi perché non è stato collocato alla mensa del principe stesso? Se già non diventa un obbligo la liberalità, se non diventa un’ingiustizia il beneficare dentro certi limiti, mai non si potrà riprendere la divina condotta.
II. E gl’idolatri? Cogl’idolatri eziandio il Signore non commette ingiustizia di alcuna sorta. Richiamate pertanto a mente alcune verità di gran rilievo. Prima di tutto non è da credere che tutti quei popoli, che vennero designati sotto nome di Gentili, fossero composti di soli idolatri: perocchè, sebbene questi fossero pur troppo molti, molti anche erano che ritenevano ancora la cognizione del vero Iddio. Prima del diluvio, secondo S. Tommaso ed i più gravi Teologi; non vi ebbe idolatria di sorta. E se dopo fa introdotta sventuratamente nel mondo, molti se ne preservarono. Ne abbiamo la prova nella persona del santo Giobbe e de’ suoi amici, e nel Centurione del Vangelo; ed è al tutto verisimile che, come essi credevano nel vero Iddio, così vi credessero molti altri, i quali od avevano conservate le tradizioni primitive, od avevano appreso a conoscere la verità dai Giudici sparsi in tanta parte di mondo, oppure, servendosi rettamente della ragione, dalle cose visibili avevano raggiunto le invisibili come parlano le sante Scritture. – In secondo luogo anche quelli che sono nati nell’idolatria, sono forse stati abbandonati da Dio, sì che non abbiano avuti i mezzi necessari per la salvezza? Nulla meno. Altra cosa è che non li abbiano avuto in quell’abbondanza che li ebbero alcuni popoli, altra cosa è che siano mancati loro quelli che al tutto erano necessarii. Niuno vi ebbe mai neppur tra loro che si sia dannato senza sua colpa. I Gentili ebbero in primo luogo la grazia necessaria per conoscere il vero Dio, e l’ebbero in tal misura che al tutto bastasse, perché conoscendolo il potessero glorificare. Il perché dove gl’idolatri sian fedeli alle grazie che Iddio lor fornisce, Iddio deve non al loro merito, ma alla sua fedeltà, il non privarli di quei mezzi ulteriori che si richiedono alla salvezza. Continua Egli pertanto ad illuminarli colle sue cognizioni, a fortificarli colle sue grazie, affinché sempre più progrediscano sino ad amarlo sopra ogni cosa, fino a pentirsi salutarmente dei loro peccati. Sappiamo però, soggiungono essi, che è necessario il Battesimo e la fede nel mediatore divino Gesù Cristo per giungere a salvamento. E questa come l’hanno? Non vi sgomenti neppur questa replica, perocchè essa non chiude per nulla la via della salute a chi voglia risolutamente salvarsi. – Imperocchè i sacri Dottori osservano all’uopo, che quanto alla cognizione del Mediatore, Iddio a molti l’ha rivelata espressamente, siccome fece col santo Giobbe che diceva: Io so che vive il mio Redentore. Che se non lo rivelò loro, ebbero pure del divin Mediatore, se non una fede esplicita, almeno una fede implicita nella divina Provvidenza, in quanto credevano Iddio essere liberatore degli uomini, secondo que modi che a lui sarebbon piaciuti (S. Thom.2. 2. q.2, a. 7.). Quanto al Battesimo poi, sebbene questo sia necessario, non è però necessario che sia ricevuto nel fatto, bastando che sia nel desiderio; e dove invincibilmente sia ignorata la necessità di esso, come avviene nei Gentili, si trova racchiuso un tal desiderio nell’atto per cui amano Dio sopra ogni cosa. il peichè è verissimo che anche i Gentili, sebbene non abbiano quei mezzi più abbondevoli di salute che abbiamo noi, non sono però privi di essi in modo che, mantenendosi fedeli a quelli che hanno, non possano giungere a salvamento. In una parola, Iddio in tutti i tempi. provvide agli uomini per siffatta guisa, che essi il potessero conoscere, conoscendolo glorificarlo: e quando essi dal canto loro facciano quel che possono, Iddio, che vuole sinceramente la salvezza di tutti, aggiunge loro quel che non possono.
III. Intorno ai protestanti ed agli scismatici è ancora più facile la risposta. Imperocchè è egli vero che la santa Chiesa insegni, come suppongono alcuni, che sieno tutti irreparabilmente dannati? Nulla meno. La santa Chiesa insegna bensì che fuori della vera Chiesa non vi ha salute: ma in un senso ben diverso da quello che essi credono. In due maniere può uno trovarsi fuori della cattolica Chiesa: può trovarvisi perché è nato nell’eresia e nello scisma senza. sua colpa; può trovarvisi perché da sè medesimo ha abbracciata l’eresia o lo scisma. Chi è nato sventuratamente in seno dell’errore non è colpevole finchè dura in esso con buona fede, cioè finchè non ha un dubbio serio, un dubbio grave intorno alle dottrine che egli ammette. Fino a tanto che è in buona fede, la santa Chiesa non lo considera come separato da sè altro che materialmente, e non insegna che per questo sia fuori della via della salute. Può e deve in questo caso il protestante e lo scismatico fare almeno quel tanto che in buona fede crede doversi fare; e siccome è entrato per la porta legittima del Battesimo, siccome ha una notizia almeno delle cose principalissime della santa fede, e siccome solo per ignoranza invincibile rifiuta le altre verità rivelate, così con quei mezzi che ha, dove se ne valga, potrà ancor esso giungere alla salute. È vero che questi mezzi sono per loro meno copiosi che pel Cattolico; è vero che il protestante non ha soprattutto il sacramento della Penitenza e la divina Eucaristia, coi quali si ottengono tanto più facilmente la giustificazione e le grazie divine: tuttavolta quando ne ignora invincibilmente la necessità, può supplirvi a quel modo con cui vi suppliscono anche i Cattolici, nel caso estremo di mancanza di confessore, coli’eccitarsi alla contrizione dei proprii peccati ed al perfetto amore di Dio sopra ogni cosa, e così impetrare il perdono e la salute. Che anzi, fondati sopra queste dottrine, noi Cattolici abbiamo fiducia che molti dei nostri cari fratelli, sventuratamente da noi divisi, convertendosi debbano un giorno riunirsi a noi nella patria, poichè la loro divisione da noi non è altro che materiale. Ma per fare questo avranno poi la grazia necessaria all’uopo? Indubitatamente l’hanno; poichè, siccome ognuno ha l’obbligo di sperare e di amare il Signore finché è in vita, e siccome ha l’obbligo di farlo quando giunge la saa ultima ora, il che non si può senza la grazia divina, così forza è che abbiano anche la grazia necessaria a quegli atti. Altrimenti ne seguirebbe, che si potrebbe commettere una colpa, mentre non si ha in propria mano il poterla evitare; il che sarebbe un assurdo tutto insieme ed una bestemmia contro la divina bontà. – Che se lo scismatico ed il protestante hanno con piena cognizione di causa abbracciato da sè l’eresia e lo scisma, oppure se dimorano in essa con mala fede, che è quanto dire con dubbii gravi e certi di essere nell’errore, che torto fa loro Iddio se li condanna, quando essi rigettano la verità conosciuta, oppure non la cercano quando si avveggono di non possederla? Allora essi chiudono gli occhi in faccia al lume onde Iddio li rischiara; allora si ribellano ai rimorsi che la coscienza in loro risveglia; allora non curano verità di somma importanza, quali sono le rivelate da Dio, e si rendono colpevoli di un gravissimo eccesso, e non è da maravigliare se Dio li condanni come infedeli e gravissimi peccatori. – Da ciò s’intende come debba esser presa quella sentenza, per cui si afferma non esservi salute fuor della Chiesa. Si vuol significare che non vi è salate per quelli che stanno fuor della Chiesa sapendo di esserne fuori o almen dubitandone; laddove non si considerano come fuori ogni qualvolta sono fuori solo materialmente. Se queste verità così semplici fossero note, cesserebbero tutte insieme le maggiori bestemmie che si avventino contro Dio, e le più nere calunnie onde si diffami la santa Chiesa. – Ne’ segue da questo che noi dobbiamo esser meno grati al Signore del benefizio inestimabile di essere stati collocati in seno alla Cattolica Chiesa. Imperocchè sebbene sia vero che chi tra gli eterodossi si trovi in buona fede, come abbiamo spiegato, sia in istato di potersi salvare, non può negarsi tuttavia che non sia in condizione molto pericolosa. Da una parte i tanti libri che si scrivono di religione, le relazioni che si hanno sì frequenti coi Cattolici, la luce che diffonde la romana Chiesa, gli errori sempre più gravi in che precipitano i protestanti, risvegliano facilmente dubbii e sospetti non leggeri negli animi, e così tolgono la buona fede: dall’altra parte l’arrendersi a questa luce e fare le opportune ricerche ed abbracciar poi la verità conosciuta, costa sempre una vittoria difficile sopra il rispetto umano, costa il rinnegare l’amor proprio in materia gravissima, costa il vincere mille timori del mondo, ed esige una fedeltà al Signore che pur troppo non è comune: ondechè le passioni umane impediscono molte volte -l’abbracciare col fatto quello che si è conosciuto esser vero. Laddove noi, senza dover superare nessun contrasto, ci troviamo in possesso, per una ineffabile misericordia divina, della verità, e possiamo con molta facilità giungere al termine avventurato dell’eterna salvezza. Di che, chi potrà mai ringraziare bastevolmente l’amorosa provvidenza del Signore, che di tanto ci ha senza nessun merito gratificati? – Inoltre sebbene sia vero che quegli tra gli eterodossi che sono in buona fede possano salvarsi per quanto appartiene alle credenze; tuttavia per giungere alla salute si richiede ancora la bontà della vita, che è quanto dire la fuga dal peccato grave o la contrizione di essi e la divina carità. Ora tutto ciò non riesce neppur sì agevole a noi Cattolici: eppur abbiamo troppo maggiori aiuti che essi non hanno: l’istruzione accurata del modo di pentirci, l’obbligo di esercitarci nella fede, nella speranza e nella carità; abbiamo il grande Sacrifizio dell’altare che ci impetra doni così eccellenti; abbiamo la facilità di ricuperare la grazia nel Sacramento di Penitenza; abbiamo l’aiuto pronto della Vergine benedetta e dei Santi da noi invocati; abbiamo tutte le grazie che la santa Chiesa ottiene a tutti quelli che partecipano i suoi riti, le sue cerimonie, le sue preghiere; abbiamo finalmente la fonte stessa di tutti i beni nella divina Eucaristia, alla quale unendoci noi, ci troviamo confortati a combattere le nostre passioni, animati a1 bene, alla virtù, alla vita soprannaturale della grazia. Ora se anche noi così aiutati sperimentiamo ancora sì difficile alla nostra debolezza il viver
bene, fate ragion di quel che sarà pei protestanti che non hanno tanti mezzi. Quanto dunque non è facile che chi non si perde per mancanza della fede, venga poi a perdersi per mancanza della vita cristiana! – E ciò per non dir nulla ancora di quei, protestanti più infelici (eppur son tanti) i quali, allontanandosi sempre più da Gesù Cristo e dalla Chiesa, sono caduti nel profondo di ogni male, nel rinnegar cioè con orribile razionalismo la divinità di nostro Signor Gesù Cristo e tutta la rivelazione; i quali sono protestanti di nome, ma nel fatto sono pagani al tutto: e non può sovrastare loro altra sorte che quella che spetta ai felloni che hanno rinnegato l’Autor della vita. Di che vede ognuno se sia o da rallentare lo zelo nel trarre alla verità quei meschini, o da essere meno riconoscenti a quel Dio sì buono, che per sua ineffabile misericordia ci ha posti in grembo alla Madre Chiesa. – Da tutto ciò nondimeno, dirà taluno, si ritrae sempre che Dio è aceettatore di persone, mentre con alcuni almeno è più liberale di grazie che non con altri. Ebbene qual risposta darò io a questa replica? Se chiamate accettatore di persone Iddio, perchè dispensa in copia i suoi doni ad uno più che ad un altro, io vi concederò che appunto è così. Sì, Iddio con alcuni è più liberale di grazie che non con altri. E che? Vorreste voi togliere a Dio creatore di tutti gli esseri, padrone supremo, quella libertà che pretendete voi, verme vilissimo della terra? E voi non pretendete di aver diritto di beneficare più un povero che un altro? Più una classe di persone che un’altra? Non siete voi accettator di persone, quando tra molti che vi sollecitano, scegliete di preferenza un servitore, un artigiano, un mercatante, un maestro di casa? Quando non fate agli altri Lui torto positivo, voi non credete di far loro ingiuria, solo perchè preferite quelli che vi danno più nel genio. E Dio, il quale è padrone in ben altro modo che non siete voi, supremo, assoluto, universale, indipendente, e, che più monta, d’infinita santità e sapienza, non potrà collocare maggiori doni in uno che in un altro, amare gli uni di preferenza agli altri? Che stranezza e che stravaganza è mai cotesta? – Inoltre se tra noi l’accettazione di persone è quasi sempre congiunta con qualche difetto, non è già così nel Signore. Quando noi anteponiamo gli uni agli altri nostri prossimi, il facciamo il più delle volte mossi da ragioni umane o di un amore disordinato o di un’avversione viziosa; spesse volte il facciamo in pregiudizio di chi avrebbe maggiori diritti sopra di noi, o per altri motivi suggeriti più dalla passione che dalla ragione. Ma in Dio infinitamente giusto e santo non possono cadere tali imperfezioni. Se Egli antepone gli uni agli altri, il fa con infinita sapienza, il fa con rettitudine infinita. Egli ha nella sua onnipotenza il diritto di farlo, nella sua sapienza il fine per cui farlo, nella sua bontà il modo di farlo convenientemmite. Mancherebbe ancora questa che l’uomo riducesse Dio alle sue norme e lo misurasse colla sua stregua!