LO SCUDO DELLA FEDE (258)
P. Secondo FRANCO, D.C.D.G.,
Risposte popolari alle OBIEZIONI PIU’ COMUNI contro la RELIGIONE (1)
4° Ediz., ROMA coi tipi della CIVILTA’ CATTOLICA, 1864
PREFAZIONE
In ogni tempo v’ebbe peccati e peccatori, ed il dire il contrario è solenne follia, smentita da tutte le storie e dalla esperienza di tutti i secoli. Se vi ha qualche cosa di singolare nell’età nostra, è il non volersi riconoscere siccome male e peccato quello che é veraamente male e peccato: tantochè dove una volta chi aveva commessa la colpa, almeno si riconosceva per peccatore; ai di nostri chi si contamina con essa, fa come la donna descritta dallo Spirito Santo, la quale tergendosi il volto dice: non ho fatto nulla di male: Tergens os sicut dicit, non sum operata malum. Che anzi, per iscusare meglio la colpa, si mettono in campo assiomi, massime, principii più rei ancora che non gli stessi atti che si vogliono difendere. A darne un qualche saggio al lettore, ecco quel che interviene frequentemente. Poniamo per esempio che alcuno vinto alla noia, alla tepidezza trascuri o in tutto o in parte le pratiche del divin culto, egli non si tiene già come una volta per negligente e per trascurato, ma per iscusare e difendere la sua accidia e la sua trascuratezza, ricorrerà a principii fallaci, quali sono, che Dio non cura di siffatte pratiche, che non sono necessarie, che a Dio basta il cuore e somiglianti. Allo stesso modo nel passato, quando un Cristiano aveva la sventura di cedere alla corruzione del suo cuore, almeno ne provava qualche rimorso, ed in faccia alla propria coscienza si riconosceva per quel dissoluto che pure era. Ora non più così; ancora egli va mendicando ragioni, ancor egli stabilisce principii, in virtù dei quali si dichiara innocente, ed afferma che non è un male seguitare gl’impulsi della natura, e che tutti fanno così, e che non si può fare a meno, ed andate dicendo. Quel che io osservo di questi due casi particolari, voi stendetelo ad una moltitudine sterminata di prevaricazioni, per ognuna delle quali si sono trovati detti, sentenze, principii appropriatissimi a scusarle, a levarne l’orrore, a giustificarle ancor pienamente. Ad accrescere poi il numero di questi principii iniqui, due cause concorrono con grande efficacia: le passioni da una parte ed il protestantesimo dall’altra. Le passioni in questi ultimi anni si sono sfrenate in modo singolare alle aure della libertà che spirano gagliardamente, e così domandano uno sfogo. Per abbandonarsi a questo impunemente, bisogna svellersi dal cuore ogni rimorso ed attutire la coscienza. Or come ottenere ciò? Coll’aiuto degli assiomi e dei nuovi principii che s’inventano e si proclamano, col chiamare cioè bene il male e male il bene; e dove non si può mutare la intrinseca perversità delle azioni che si vogliono commettere, illudersi almeno, cambiando loro il nome. – L’ altra cagione non meno efficace è il protestantismo, il quale, sebbene non dimori fra noi abitatore pacifico, pure si tratta da passeggiero e da ospite. Corrono le nostre contrade e libri e trattati e romanzi, i quali sono infetti di spirito protestantico, e le massime che in essi si contengono proclamate, ripetute ogni giorno, si fanno largo a mano a mano nello spirito di molti incauti. Come il respirare continuo un’aria malsana e corrotta guasta la sanità meglio temperata, così l’intendere ogni giorno principii e massime erronee vizia a lungo andare anche i più sani intelletti. Così, a cagione d’esempio, sono protestantici affatto quei detti che corrono per tante bocche, che ogni religione è buona, che un valentuomo non cambia di religione, che a Dio basta il cuore, che basta far bene, che la Confessione è un’invenzione dei preti, che non sono necessarli tanti riti e tante pratiche esteriori. Sentono di protestantismo ed il riprendere la magnificenza dei sacri templi, e l’avversione al clero vuoi secolare vuoi regolare, ed il non far caso delle preghiere fatte in comune, e soprattutto quel malignare sempiterno intorno ai Papi ed ai sacri Pastori. Sono di spirito protestantico tutte quelle libertà che si proclamano ai di nostri di pesare, di parlare, di credere, di operare. Da che ognuno vede quato vasta materia il protestantismo abbracci, e qanto vasta sorgente sia di massime pernisiosissime. Nè la vastità del danno, che lo spirito protestantico arreca, è sola a compiangersi, poichè profondissime sono poi le ferite che esso fa. Imperocchè dove esso entra coi suoi principii, scuote sino dalle radici i punti vitali delle nostre credenze, quali sono il Primato di S. Pietro, l’autorità della Chiesa, la verità dei Sacramenti, la santità del Sacrifizio, l’invocazione dei Santi e simile. Distrugge ogni esercizio di religione, perchè questo non può aver luogo dove non è profonda la persuasione della verità di essa e della necessità di ridurla in atto, conduce i fedeli ad essere Cattolici poco più che di nome, mentre la loro vita è vita al tutto di eterodosso. – E tuttavolta senza fare piagnistei e treni di Geremia inutilmente, chiunque conosca alcun poco la società attuale, sa fino a qual punto tutto ciò si verifichi in essa. Abbiamo famiglie intiere, le quali si stimerebbero insultate se si recasse in dubbio la loro fede, le quali hanno in capo massime sì strane e principii così tutto protestantici, che non potrebbero più se fossero state allevate in mezzo a Londra o Berlino. Molti giovani cresciuti nelle moderne università tolgono a difendere nelle conversazioni e nei crocchi le teorie più contrarie al Cattolicismo che mai abbiano insegnato i regalisti, i dottrinarii, i volteriani. Perfino delle fanciulle, non al tutto perverse, si fanno sentire con certe proposizioni che mettono orrore: e tanto le hanno sentite a ripetere, tanto a sostenere, che non sospettano neppure che esse siano quelle perversità che pur sono. – Che se perfino quelli che si chiamano buoni ed anche sono, posta la buona fede con che parlano ed operano, sono rimasti infetti da tante massime perverse, può fare ognuno ragione di quelli, i quali non la guardano così per sottile in fatto d’anima e di religione. Qual sia la perversità di costoro è impossibile a descriversi. Altri di loro professano a sangue freddon il volterianismo più sfacciato, altri vi encomiano come la migliore di tutte le religioni quella negazione di ogni religione che è il protestantismo. Chi vi spaccia apertamente il socialismo, chi il comunismo, e perfino le sozzure di Fourier e di Saint Simon trovano lodatori e seguaci. Le quali cose tutte considerando io da qualche tempo e deplorandole con tutto il cuore, investigava meco medesimo, se non si dovesse trovare qualche riparo a tanta inondazione di mali. Chi sa, diceva io tra me, che se non quelli che errano a ragion veduta, almeno quelli che errano perché ingannati, non dovessero ritirarsi dall’errore, dove alcuno caritatevolmente ne li avvisasse? Chi sa che essi all’intendere che quelle massime che ripetono bonamente, imprudentemente, sono massime perverse, contrarie alla purezza della cattolica fede, non dovessero prenderne orrore e ripudiarle? Per certo da molti si può sperare un simil frutto, posta la bontà della loro vita e l’amore che ancor portano alla verità. Or se è sperabile un tanto bene, perchè non tentarlo? Sopra queste considerazioni, mi cadde in pensiero di tessere come un catalogo degli errori precipui che vanno attorno in materia di religione, e disposto con qualche ordine metterlo sott’occhio: affinchè come i marinai riscontrano nelle carte marittime gli scogli e i renai che debbono sfuggire; così essi ravvisasero in queste carte i principii e le massime, contro i quali la fede o la coscienza potrebbero far naufragio. – Solo dubitai un momento se fosse a farsi di ognuno di quegli nerrori una piena ro confutazieme, oppor se dovesse bastare l’accenno che non era cattolico quel modo di sentire. Questa seconda via era più piana e spedita, ma lasciava forse desiderare ai lettori ragionevoli qualche cosa. Conciossiachè anche i Cattolici, per quanto siano disposti a sottomettersi nelle cose di fede all’Autorità della Chiesa, pure trovano un conforto all’intendere quelle ragioni che mostrano l’assennatezza e la prudenza della loro madre nel comandare. L’altra via era certamente più larga e più perfetta, ma richiedeva talvolta disquisizioni lunghe e sottili, che facilmente s’intendono da tutti. Il perchè mi sono finalmente risoluto a tenere una via di mezzo, per cui nè facessi sopra ogni materia un trattato, nè lasciassi al tutto indietro qualche buona e salda ragione che dimostrasse la falsità del principio che io toglieva a condannare. – Soprattutto però ho trascelte quelle ragioni che mi parveronpiù popolari. Imperocchè, senza dir nulla che le ragioni più popolarinsono spesso le più efficaci, che cosa gioverebbe il perdersi in ragionamenti sottili, se questi poi non fossero intesi? Le persone dotte non perdono nulla, se sono semplici i ragionamenti che loro si fanno; perderebbe tutto il popolo, se fossero sottili. E perciò niuno vorrà far le maraviglie se più di una volta vedrà messe in disparte ragioni saldissime, che si trovano allegate presso i sacri Dottori e che al tutto avrebbero vinta la causa, ed invece ne troverà addotte altre, di cui non tutti fan uso. La ragione è che disperai talora di rendere popolari le prime, e sperai invece che meglio potessero afferrarsi dal popolo le seconde. – Eccoti, o lettore, tutto il mio divisamento. Non è dunque un trattato quello che ti presento, il quale provi a fondo le verità di cui ragiono: sono risposte, le quali sciolgono le difficoltà popolari contro quelle verità che io suppongo già provate, già stabilite. Se piacerà a sua Divina Maestà il concedermene il tempo e le forze, ti presenterò forse più tardi anche la dimostrazione di quelle verità in un’opera di maggior mole, a cui ho posto mano da qualche tempo: per lo scopo presente confido che quello che ne ho accennato, possa bastare. Inoltre, o lettore, ti avviso che troverai in questa quarta edizione, oltre a molte correzioni, ancora l’aggiunta di alcuni capi. Come nella seconda edizione alle difficoltà che impediscono il credere, ho fatto seguire quelle che impediscono il ben operare, così in questa, oltre l’aver ordinate in alcuni capi le cose dette qua e là intorno al Dominio temporale del Sommo Pontefice, ho pur tolto ad esame i celebri principii del non intervento, delle nazionalità, dei fatti compiuti, ecc. che da qualche tempo in qua fanno tanto rumore. Di che confido che questo qualunque lavoro, rispondendo sempre più alle attuali necessità, debba riuscirne meno imperfetto. – Faccia or Iddio, per la cui gloria solo ho impresa questa tenue fatica, che ella riesca veramente di qualche vantaggio ai lettori, sia con lo scoprire loro quelle falsità da cui avessero l’animo ottenebrato, sia col far balenare limpida al loro sguardo qualche verità che non conoscessero: ma ciò unicamente io lo spero da chi solo può dare a tutti i buoni desiderii il compimento.
CAPO I.
PROVVIDENZA DI DIO
I. Come è provvido Iddio se vediamo alcuni ricchi, ed altri poveri? II. I buoni giacciono oppressi, gli empii sono prosperati.
La Religione cristiana si travaglia principalmente nella grand’opera di dare agli uomini una conoscenza meno imperfetta della divinità: poiché essendo questa il fondamento del retto sentire, è ancora il sostegno del vivere ed operare. In ciò fare incede con gran franchezza e sicurtà, poichè essendosi degnato il Figliuolo di Dio di parlarci di propria bocca e di propria bocca ammaestrarci, or basta porgergli orecchio per giungere intallibibaente alla verità. La miscredenza invece fa tutto l’opposto: si adopera ad oscurare prima d’ogni altra cosa in noi il concetto di Dio, denigrando la sua Provvidenza, infamando la sua giustizia e falsando il concetto della sua bontà, e così ci toglie subito l’oggetto di tutta la nostra religione; togliendoci lo stesso Dio; perocchè non è Dio un Essere che non è provvido, non è giusto, non è buono infinitamente. – Quello che però offende principalmente intorno alla provvidenza divina, è la distribuzione sì differente che si vede nel mondo dei beni terreni. Come è provvido Iddio, domandano alcuni, se noi vediamo alcuni deliziare in ogni agiatezza, ed altri stentare miseramente il tozzo di pane che li tiene in vita? Inoltre, come ha cura di noi se vediamo certi scellerati, che fanno d’ogni erba un fascio, prosperare ogni giorno più, laddove altri, che temono il Signore, stan sempre in fondo? E di ciò si scandalizzano, ne mormorano e non sanno darsene pace. Ora per rispondere ai primi, osservate.
I. Essi si lagnano, che mentre abbondano alcuni, stentino gli altri; ma se Dio nell’ordinare il mondo avesse voluto che tutti gli uomini fossero stati scarsi di beni temporali, appunto come quelli che stentano, non avrebbe potuto far questa legge? Certamente Egli era il padrone di tutti, e se avesse voluto per loro prova, per esercizio della loro fedeltà e per condizione necessaria all’ingresso del Paradiso esigere quelle sofferenze, l’avrebbe potuto senza ingiustizia. Ora che torto fa Egli a coloro dai quali lo pretende, come sono i poveri? Forse perchè non tiene questa condotta con alcuni, quali sono i ricchi, farà torto agli altri coi quali non la tiene? Ma Gesù Cristo ha già risposto a questa difficoltà. Un ricco signore, disse egli nel suo Vangelo, mandò, diversi lavoratori nella sua vigna ad ore diverse, alcuni sul far del mattino, altri presso al mezzogiorno, ed altri quasi in sulla ultima ora del lavoro. Alla sera poi volle dare a questi ultimi la stessa paga che aveva data ai primi. Questi mormoravano, perchè avendo sopportato il caldo e la fatica di tutto il giorno venissero pareggiati a quelli che avevano lavorato tanto meno di loro: ma il padrone li fece ammutolire dicendo: E che torto fo io a voi, quando vi do quello che abbiamo pattuito, se voglio dare anche agli altri la stessa mercede? Forse perchè io son buono, voi mi vorrete male, e mi porterete invidia perchè io son benefico? Il simile può dirsi a quelli che si lamentano delle ricchezze altrui. Iddio aveva diritto di lasciare tutti nella povertà, perchè questa servisse loro di prova, di esercizio di virtù; che torto fa a voi se ha voluto esentare alcuni? Del resto è poi per benefizio comune che ha voluti gli uni poveri e gli altri ricchi. Imperocchè, senza questa varietà, il mondo, la società non potrebbe andare innanzi. Nel corpo umano l’uffizio degli occhi, del capo, è più nobile che quello delle mani e dei piedi; tuttavia questo non è meno necessario di quello, perocchè tutte le membra sono ugualmente richieste alla perfezione dell’uomo. Ora lo stesso avviene nella società: i poveri non sono meno necessari dei ricchi, sebbene gli uffizii degli uni e degli altri siano differenti. Nella società ci vogliono di quelli che comandino, che studiino, che esercitino le discipline più difficili, più ardue, che promuovano il pubblico bene. Tutto ciò non può farsi senza il tempo necessario e talvolta lunghissimo di studii, e quindinsenza le opportune comodità: bisogna dunque che sieno costoro abbastanza agiati di beni di fortuna. Ma nella società bisogna ancora esercitare le arti servili, coltivare la terra, difender colle armi il proprio paese, lavorare, tessere, esercitare tutte le professioni che servono al quotidiano sostentamento: ora chi scenderebbe a fornire tutte queste parti, che, sebbene meno nobili, sono ancora più necessarie delle anzidette? Niuno per certo, se non vi fosse condotto dalla necessità. Fu dunque grandissima provvidenza di Dio, che molti vi fossero applicati dalla scarsezza del vivere, dalla famiglia, dalla nascita, in una parola, dal bisogno in cui si trovano di vivere. Il perchè non solo non è mancamento di provvidenza che gli uni abbondino e gli altri scarseggino, ma sarebbe mancamento di provvidenza se così non fosse. Un costruttore di organi forma tutte le canne di diversa lunghezza e larghezza. Ora fingete che un uomo rozzo, il quale vedesse quel lavoro, prendesse a riprendere l’artefice perchè non le ha fatte tutte uguali, che ha perduta così la simmetria, che cosa gli si avrebbe a rispondere? Che non sa quel che si dice, nè quel che biasima. Dove le canne dell’organo fossero tutte di una dimensione non sarebbe più possibile l’armonia. Ora lo stesso vuol dirsi di chi riprende la varietà degli stati nel mondo. Tolta che fosse questa, perirebbe con lei tutto il conserto armonico della società. Senzaclhè a molti che si lagnano della povertà e di molte altre miserie che si giacciono, si potrebbe dare mia ben altra risposta. Siate ora nelle angustie, nella povertà, nelle afflizioni sì, ma perchè ve le siete cercate? Iddio non è obbligato a far miracoli ad ogni momento al servizio vostro. Ci ha dato il lume della ragione, ci ha dato la guida dei superiori, ci ha fatta risplendere la gran fiaccola della fede, ed ora vuole che noi camminiamo a questo splendore. Ora perché non l’avete fatto? – Vi ha spesse volte dei giovani rimasti a mezzo la carriera dei loro studii, inutili a sè ed agli altri, senza sapere dove dare del capo per vivere onoratamente, i quali bestemmiano la Provvidenza divina; ma di chi è la colpa se sono in quella infelicissima condizione? Perchè non hanno studiato quando era tempo, perchè non hanno voluto mai saper di altro che di spassi e divertimenti? Perchè non hanno dato retta ai genitori, ai maestri, alla coscienza, alla voce della Religione, che ne li rimproverava? Incolpino la propria trascuratezza, la propria malvagità, che ne hanno bene il motivo. Così vi ha delle donne cariche di figliuoli, con un marito bestiale al fianco che dà loro più percosse che bocconi di pane, le quali ora bestemmiano la provvidenza; ma perchè non si ricordano più che da fanciulle erano state avvertite, che quell’uomo non faceva per loro? Perchè non hanno dato retta ai genitori e persino agli amici di casa che ne le sconsigliavano? Perchè andavano sulle furie allora e gridavano che volevano fare a loro modo, e che, come sel toglievano, così se lo sarebbero sopportato? Non incolpino dunque la Provvidenza, ma pur sè stesse. Dite lo stesso di tanti bottegai, di tanti artieri, di tanti servi, che sul lastrico della via pubblica dove ora sono, si sfrenano in bestemmie, quasi lor manchi la Provvidenza. Questi avrebbero a rammentare che invece di attendere al lavoro, alla bottega, al servizio, correvano tutto il giorno le osterie, i caffè, le compagnie degli amici e delle amiche, che frodavano sul peso e sulla misura, che erano scioperati ed oziosi, onde a poco a poco perdettero ogni credito: che, venuti per loro colpa in mala riputazione, più niuno si fidava di loro, e così si ridussero a povertà. Dite lo stesso di certi un tempo signori ed or ridotti alla miseria; che colpa ne ha la Provvidenza, se hanno voluto sfoggiare in lusso più di quello che portavano le loro entrate, se hanno imbandite mense squisite, se hanno voluto levarsi tutti i capricci di teatri, di giuochi, di viaggi, di vizii? Questi e tanti altri simili a questi hanno pure mal garbo a lagnarsi della Provvidenza, quando la colpa è tutta loro. Ora chi mirasse con occhi attenti lo stato della società, vedrebbe ben chiaro che delle miserie che opprimono i più, i nove decimi non hanno altra sorgente che questa: di che vede ognuno quanto sia iniquo il prendersela contro Dio. E tuttavia queste ragioni che sono sì chiare, sono ancora le infime. Imperocchè per chi è capace di sollevare un momento l’animo dalle cose terrene, si apre un campo molto più vasto a considerare. Qual è il fine per cui Iddio ci ha collocati pochi momenti sopra la terra? Per godere, per tripudiare? No certamente; ma perchè questa vita brevissima fosse per noi uno stato di prova, nel quale ognuno mostrasse a Lui la sua fedeltà, e quelli che a Lui si mantengono obbedienti e fedeli conseguissero l’eterna vita, l’eterna felicità: quelli al contrario che fossero trovati infedeli e disobbedienti incorressero la pena che si fossero meritata. Questo intendimento divino ben compreso è la chiave che apre tutti i segreti della divina Provvidenza sopra la terra: perocchè allora si vede subito perché vi sieno i grandi ed i piccoli, i ricchi ed i poveri, e tutte le altre disuguaglianze sociali che tanto travagliano e fanno inabissare alcuni ciechi ed appassionati. È necessaria questa varietà, perché Iddio vuole che quel giorno in cui porremo il piede nel regno dei cieli abbiamo non solo da ringraziare e glorificare Iddio come Autore e fonte di sì gran dono, ma che possiamo eziandio consolarci di ricevere una mercede dovuta alle nostre fatiche, ai nostri meriti. È necessaria questa warietà, perchè lo scampare dai mali eterni ha da essere non solo liberalità amorosa di Dio, ma anche frutto delle nostre operazioni. È necessaria questa varietà perchè è necessario l’esercizio delle virtù, che non possono trovare campo più bello che nell’intreccio dei vani stati. In questa disuguaglianza Iddio prova i ricchi, prescrivendo loro il distacconinteriore da quei beni sensibili, onde sono intorniati, comandando loro la compassione, la liberalità, le limosine verso quelli che abbisognano, e vietando loro il sacrificare tutto a sè stessi, alle proprie passioni e cupidigie. E nel tempo stesso prova i poverelli, poiché pretende da loro l’umiltà, la pazienza, la soggezione, l’uniformità al volere divino, le virtù che accompagnano quello stato. – In questa disuguaglianza prova i grandi e gl’imperanti prescrivendo loro la modestia e l’umiltà in mezzo al lusso ed alle pompe, e la sollecitudine pei poverelli e pel pubblico bene: e prova i popolani ed i sudditi col richiedere da essi la sommissione e la tolleranza. In questa guisa ha luogo l’intreccio delle virtù sociali, civili, morali, religiose, e gli uni e gli altri colla fedeltà ai doveri del proprio stato, con la costanza nelle lotte a cui sono esposti per mantenersi fedeli, mostrano a Dio che lo amano sopra ogni cosa e che a qualunque costo si sottomettono al suo volere, e si procacciano la salute. Tanto è dunque falso che questa varietà di condizioni si opponga alla Provvidenza, che è anzi il mezzo onde il Signore mette in campo la sua maravigliosissima Provvidenza. Solo coloro possono lagnarsi di quest’ordine di cose, che non intendono perchè noi siamo sulla terra. Sì, chi credesse che nostro fine sia il godere, di tripudiare pochi momenti, senza darci alcun pensiero di anima o di eternità, non potrebbe comprendere la differenza degli stati: ma costui non è maraviglia che non intenda ciò, perchè non intenderebbe neppure di essere superiore alle bestie, le quali sole hanno un fine terreno: però di chi sarebbe la colpa? La nostra fede ci parla abbastanza chiaro che, non habemus hic manentem civitatem; che non abbiamo qui una patria permanente, che ne ricerchiamo una futura; sed futurani inquirimus; che quella sola è eternamente durevole: or se alcuno non lo vuol credere, che colpa ne ha l’eterna Verità? Nè niuno credesse poi che in quella prova o in quell’esercizio, in cui Iddio mette i ricchi ed i poveri, i più vantaggiati dovessero essere i doviziosi. Se noi crediamo all’eterna Verità, quelli che scarseggiano dei beni di questa vita, quei che soffrono, quei che gemono ne stanno meglio. Imperocchè, se i ricchi ed i poveri sono provati, ciascuno al proprio cimento, la prova dei ricchi è molto più ardua a sostenersi che non quella dei poveri. Più difficile è che chi abbonda si mantenga nel dovere, di quello che si mantenga nella pazienza chi è povero. Le ricchezze gonfiano il cuore, disoccupano la vita, infiammano le passioni, offrono l’occasione pronta per disfogarle, sicchè riesce oltremodo difficile il non tuffare il labbro in quel calice di piacere che risplende dinanzi. Laddove la povertà, naturalmente, abbassa lo spirito, aiuta a tenere il cuore distaccatd dai beni della terra, sbandisce la oziosità, ed introducendo l’umiltà nel cuore, dispone a tutte le grazie e virtù. – Gesù Cristo ha insegnate tutte queste verità con tanta chiarezza nel santo Vangelo, che è una maraviglia che si posano ignorare da quelli che si professano Cristiani. Ha chiamato perciò mille volte beati i poveri, ha fatto annunciare dai profeti, ch’egli avrebbe evangelizzati i poveri, ha trascelto sempre di trattenersi di preferenza coi poveri, ha scelto per sè stesso lo stato di povero, ha dato per consiglio a chi aspirasse alla perfezione di seguitare la povertà, ha assicurato che era dei poveri il regno dei cieli, ha fatto sapere che in compagnia dei poveri avrebbe giudicate le nazioni; in una parola, tutte le grazie sue più speciali volle offrire ai poveri particolarmente. Laddove tenne coi ricchi ben altro stile. Minacciò guai terribili, se non distribuissero il soverchio ai poverelli, assicurò che avrebbero pianto un giorno quelli che ora godevano; giunse fino a dire, essere molto difficile che entrassero nel regno di Dio, e richiedersi perciò l’onnipotenza divina. Ora queste cose essendo così, come oseranno ancora certi sciocchi Cattolici, i quali pur professano di credere a Gesù Cristo. „ lamentarsi che i ricchi siano di tanto avvantaggiati sopra di loro? Se qualcuno dovesse aver motivo di doglianza, sarebbero piuttosto i ricchi; imperocché se sono avvantaggiati nel presente, sono disaiutati nell’avvenire; se sono prosperati nei beni manchevoli, nol sono altrettanto nei duraturi ed eterni. Che se neppure essi possono lagnarsi, è solo perciò che è sempre posto in loro facoltà lo scuotere di dosso quel fardello che troppo li aggrava e proseguire più speditamente, come tanti Santi hanno fatto, la via del cielo.
II. L’altra difficoltà contro la provvidenza divina, la tolgono alcuni dal veder prosperati talvolta gli empii, mentre i buoni giacciono oppressi e schiacciati. Ebbene neppure questi hanno ragione di tanto scandalizzarsi. Imperocchè lasciando stare le ragioni sopraccennate che soddisfanno anche a questa difficoltà; in primo luogo io vi domando: è poi egli vero che siano solamente i buoni a patire angustie e che i malvagi sempre ne siano inamuni? Quelle disgrazie che sono comuni agli uomini, come le infermità, le pestilenze, le carestie,. le guerre, la fame, colpiscono gli uni e gli altri indifferentemente senza alcun dubbio. Ma anche quelle disgrazie che sono individuali, colpiscono più i malvagi che i buoni. Se anche met uomo dabbene è talora messo in fondo per la perdita delle sostanze senza una colpa, molto più è ordinaria una tal rovina agli ingiusti, ai rapaci, ai truffatori, ai beoni, ai giocatori, ai femminieri, i quali danno fondo alle loro sostanze coi loro medesimi vizi come vediamo ogni giorno: laddove i buoni per la stessa loro bontà prosperano,o o almeno conservano i loro patrimonii. – Le infermità, le morti premature non colpiscono di preferenza i viziosi? – Chi non è al tutto nuovo delle cose di questo mondo, sa che ai nostri giorni una gran parte della gioventù scende nella tomba prima del tempo, appunto per conseguenza delle sue dissolutezze ed abominazioni. E non è questo un castigo gravissimo proprio ai soli malvagi? Gli esilii, le carceri, le confische dei beni e cento altre infamie che vengono inflitte dalle leggi umane, sopra chi piombano d’ordinario? Voglio bene accordare che talvolta ne sia vittinià anche un innocente per altrui prepotenza; ma d’ ordinario non sono proprie che ai soli malvagi, mentre i buoni ne sono esenti. È dunque falsissimo che universalmente gli empii siano prosperati sopra dei buoni. E poi tutti quelli che si stimano buoni sono veramente tali? E che? Non vi sono nel mondo tanti sepolcri imbiancati, i quali mentre hanno un’apparenza esteriore di gran mondezza, internamente ed agli occhi di Dio non sono altro che una massa di putredine e di vermi schifosi? Voglio dire che hanno vizi segreti, delitti segreti, abomitazioni segrete che armano la destra di Colui che vede fin dentro ai cuori? Oh quante volte credei mondo che sia un giusto quello che soffre, mentre è un gravissimo peccatore! Ed intanto che noi siamo tentati di mormorare contro la divina giustizia che lo punisce, dovremmo glorificare invece la divina misericordia che per quella via lo chiama a penitenza. Ma sia pure anche un giusto quegli che soffre al presente, fu però egli sempre giusto? Non avrebbe forse negli anni passati commesse di molte colpe? Non avrebbe ancor egli nella gioventù rotte le sue lance contro di Dio; cioè dato di gravi scandali, profanate chiese, commesse ingiustizie, e non sarebbesi anche contaminato di laidezze e carnalità? Se ciò fosse, ancorchè al presente sia emendato, sia corretto, non sarebbe, invece di una ingiustizia, una grande misericordia fargli al presente espiare le sue colpe, per non riserbargliele nell’avvenire? Ora se le rivolge anche a merito, perchè ne intende il fine divino e lo accetta e vi si rassegna: allora sarebbe mera soddisfazione senza nessun aumento di merito o di premio. – Queste poche osservazioni bastano ad appagare chiunque sia ragionevole: ma la nostra fede discopre in questo proposito un altro grande mistero che merita d’essere considerato. Noi sappiamo che niuno può giungere al cielo se non rendendosi somigliante a Gesù: Quos praescivit, hos et praedestinavit conformes fieri imaginis Filii sui. Il mondo lo intende poco, ma la verità è che niuno arriverà mai al cielo senza questa conformità con Gesù Cristo. Or Gesù fu povero; fu umiliato, fu perseguitato; Gesù faticò tutta sua vita, patì fame, freddo, stenti fino alla morte e morte di croce: quelli che hanno da salvarsi, hanno da ricopiare in sè quei divini lineamenti; e però quelli che Gesù Cristo ama singolarmente, li conduce per questa via onde più presto e perfettamente si rassomiglino a Lui. Con la tribolazione inoltre fa espiare loro i peccati trascorsi, e viepiù li purifica, Colla tribolazione li tiene da sè più dipendenti, e così li preserva da molte cadute. Una pianta, che deve essere collocata in un giardino signorile, si pota, si taglia, si cima, si ripulisce, perché debba a suo tempo comparir bene; come al contrario un albero che dee servire solo a far fuoco si trascura e si abbandona. E così appunto lo insegna Gesù, facendoci sapere che il suo Padre celeste purgherà l’albero buono perchè faccia più frutto. Laddove agli empii accade tutto l’opposto. Non sono piante di pregio, non sono piante da trasportare nel giardino; epperò non si curano. Quando Iddio è nel colmo della sua collera, quando non vuol più punire da padre, ma da giudicare, che cosa fa egli? Getta, annostro modo di parlare, la briglia sul collo al peccatore, lo lascia imperversare e più nol corregge. Avete osservato quel che fa unnpadre terreno con un figliuolo discolo, che quando è più ammonito, ripreso, minacciato, castigato, tanto più imperversa? Il padre finalmente non parla più, ma nel testamento disconoscendolo per suo figliuolo, gli toglie l’eredità. Così fa Iddio quando è nel colmo della sua collera; non parla più coi castighi, lascia imbaldanzire il peccatore; ma poi, quando l’ora è giunta, gli toglie la eternaneredità. – Con che Iddio ottiene due sapientissirni fini. Con quella qualunque prosperità temporale compensa al peccatore quel poco di bene che può aver mescolato al molto male che ha commesso; giacché è impossibile sulla terra che uno commetta solamente del male. Pai glorifica la sua giustizia col punire di pena eterna chi se n’è reso meritevole con le sue colpe. – Il perché, chi ben considerasse le cose, al vedere un empio che prospera, non solo non dovrebbe essere tocco d’invidia, ma dovrebbe gelare d’orrore. Un prepotente a cui tutte riescono le sue trame; una donna che sguazza nelle sue tresche; un dissoluto che si avvolge nelle sue laidezze; un giudice che ingrassa mercanteggiaado la giustizia; un settario che si avanza sempre più nelle sue macchine; un ministro di Stato che si sorregge a furia d’iniquita’; un peccatore qualunque che impingua delle sue nequizie, ci dovrebbono parere altrettanti infelici con un alito d’inferno già in volto, e come dannati che camminano, che vivono in mezzo a noi. – Sono prosperati? Dunque Dio li riserba alla vendetta eterna. Sono prosperati? Dunque Dio ha sottratto loro il mezzo più potente che li richiami alla conversione. Sono prosperati? -Dunque essi si confermano sempre più nella via lubrica del vizio. Sono prosperati? Dunque non si fermeranno finchè non sieno in fondo all’inferno. Gli invidii pure chi vuole, se ne scandalizzi chi il può, chiami pure ingiustizia, se gli basta l’animo, un simile procedere; che agli occhi di chi non abbia perduta affatto la fede, sarà sempre una tale prosperità l’opera più tremenda di giustizia che Iddio eserciti verso di un peccatore. Io per me prego al lettore di queste carte, ben altra grazia: che Iddio tenga lontano misericordiosamente da ogni colpa; ma dove per alta sventura egli venga a cadere in essa, che almeno nol lasci prosperare in quella; e, visitandolo nel tempo con rigore, lo risparmii con misericordia per tutta l’eternità.